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Italian Pages 2816 [2809] Year 2019
Collana pubblicata con il contributo di:
Maria e George Embiricos Athina Maria Fix Sydney Picasso
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CLASSICI DELLA LETTERATURA EUROPEA Collana diretta da
NUCCIO ORDINE
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William Shakespeare, The Complete Works, Second Edition was originally published in English in 2005. This bilingual edition is published by arrangement with Oxford University Press. William Shakespeare: The Complete Works, Second Edition. Author: William Shakespeare; Editors: Stanley Wells, Gary Taylor, John Jowett and William Montgomery © Oxford University Press 1986, 2005
ISBN 978-88-587-8163-0 Redazione Luca Mazzardis Realizzazione editoriale a cura di Netphilo Publishing, Milano www.giunti.it www.bompiani.it © 2019 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani Via Bolognese 165, 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio 4, 20123 Milano - Italia Prima edizione digitale: gennaio 2019
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TUTTE LE OPERE di William Shakespeare Volume quarto
Tragicommedie, drammi romanzeschi, sonetti, poemi, poesie occasionali
Coordinamento generale di Franco Marenco Testi inglesi a cura di John Jowett, William Montgomery, Gary Taylor e Stanley Wells Traduzioni, note introduttive e note ai testi di Daniele Borgogni, Camilla Caporicci, Antonio Castore, Masolino D’Amico, Chiara Lombardi, Luca Manini, Franco Marenco, Massimiliano Palmese, Caterina Ricciardi
BOMPIANI
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SOMMARIO Piano dell’opera Introduzione di Franco Marenco
IX XI
Tutte le opere di William Shakespeare Volume IV. Tragicommedie, drammi romanzeschi, sonetti, poemi, poesie occasionali
Tragicommedie The Merchant of Venice / Il mercante di Venezia Testo inglese a cura di William Montgomery Nota introduttiva, traduzione e note di Franco Marenco
5
Troilus and Cressida / Troilo e Cressida Testo inglese a cura di Gary Taylor Nota introduttiva, traduzione e note di Chiara Lombardi
221
Measure for Measure / Misura per misura Testo inglese a cura di John Jowett Nota introduttiva, traduzione e note di Caterina Ricciardi
515
All’s Well That Ends Well / Tutto è bene ciò che finisce bene Testo inglese a cura di Gary Taylor Nota introduttiva, traduzione e note di Chiara Lombardi
755
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TUTTE LE OPERE DI WILLIAM SHAKESPEARE
Drammi romanzeschi Pericles / Pericle, principe di Tiro Testo inglese a cura di Gary Taylor Nota introduttiva, traduzione e note di Antonio Castore
999
The Winter’s Tale / Racconto d’inverno Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Franco Marenco
1243
Cymbeline / Cimbelino Testo inglese a cura di Gary Taylor Nota introduttiva, traduzione e note di Daniele Borgogni
1485
The Tempest / La tempesta Testo inglese a cura di John Jowett Nota introduttiva, traduzione e note di Masolino D’Amico
1759
Sonetti, poemi, poesie occasionali The Sonnets / Sonetti Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva e note di Camilla Caporicci Traduzione di Massimiliano Palmese
1947
Venus and Adonis / Venere e Adone Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2147
The Rape of Lucrece / Lucrezia violata Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2245
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TUTTE LE OPERE DI WILLIAM SHAKESPEARE
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The Passionate Pilgrim / Il pellegrino appassionato Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2405
The Phoenix and Turtle / La Fenice e la Tortora Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2441
A Lover’s Complaint / Lamento di un’innamorata Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2461
Various Poems / Poesie occasionali Testo inglese a cura di Stanley Wells Nota introduttiva, traduzione e note di Luca Manini
2499
Note
2523
Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note
2729
Indice dei nomi citati nei testi
2745
Profili biografici dei curatori
2749
Indice del volume
2757
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WILLIAM SHAKESPEARE TUTTE LE OPERE secondo l’edizione Oxford
PIANO DELL’OPERA I volumi sono divisi per generi, che nei testi originali sono spesso mescolati, ma restano empiricamente utili. All’interno di ciascun volume le opere sono disposte secondo l’ordine di composizione – anche per quanto riguarda i drammi storici, la cui disposizione non segue una linea dinastica, ma il ben più interessante sviluppo dell’arte shakespeariana. VOLUME I: LE TRAGEDIE Tito Andronico (1592); Romeo e Giulietta (1595); Giulio Cesare (1599); Amleto (1600-1601); Otello (1603-1604); La Storia di Re Lear (1605-1606); Macbeth (1606); Antonio e Cleopatra (1606); Timone d’Atene (1606); Coriolano (1608); La Tragedia di Re Lear (1610). VOLUME II: LE COMMEDIE I due gentiluomini di Verona (1589-1591); La bisbetica domata (15901591); La commedia degli errori (1594); Pene d’amore perdute (1594-1595); Sogno di una notte di mezza estate (1595); Le allegre comari di Windsor (1597-1598); Molto rumore per nulla (1598-1599); Come vi piace (15991600); La dodicesima notte (1601); I due nobili congiunti (1613). VOLUME III: I DRAMMI STORICI La contesa tra le due famose casate di York e Lancaster (Enrico VI, seconda parte) (1590-1591); La vera tragedia di Riccardo duca di York e del buon re Enrico VI (Enrico VI, terza parte) (1591); Enrico VI, prima parte (1592); La tragedia del re Riccardo III (1592-1593); Il regno di Edoardo III (1592-93); IX
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TUTTE LE OPERE DI WILLIAM SHAKESPEARE
La tragedia del re Riccardo II (1595); Vita e morte di re Giovanni (1596); La storia di Enrico IV, prima parte (1596-1597); Enrico IV, seconda parte (1597-1598); La vita di Enrico V (1598-1599); Il libro di Tommaso Moro (1603-1604); Tutto è vero, o Enrico VIII (1613). VOLUME IV: TRAGICOMMEDIE, DRAMMI ROMANZESCHI, SONETTI, POEMI, POESIE OCCASIONALI TRAGICOMMEDIE
Il mercante di Venezia (1596-1597); Troilo e Cressida (1602); Misura per misura (1603-1604); Tutto è bene ciò che finisce bene (1606-1607). DRAMMI ROMANZESCHI
Pericle, principe di Tiro (1607); Racconto d’inverno (1609-1610); Cimbelino (1610-1611); La tempesta (1610-1611). SONETTI, POEMI, POESIE OCCASIONALI
Sonetti (1593-1603) Venere e Adone (1592-1593); Lucrezia violata (1593-1594); Il pellegrino appassionato (1599); La fenice e la tortora (1601); Lamento di un’innamorata (1603-1604); Poesie occasionali (1593-1616).
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Introduzione di Franco Marenco Un autore, due mestieri
Poesia e teatro Uno Shakespeare con due volti e in due abiti diversi? Ebbene sì: si prepari il lettore a distinguere l’uomo di lettere dall’uomo di teatro, muovendo con noi controcorrente, o almeno contro il luogo comune dell’estetica idealistica che lo voleva grande drammaturgo in quanto grande poeta – e lo diceva con le parole, tanto famose quanto fuorvianti, di un suo acceso ammiratore, J. W. Goethe: “Shakespeare appartiene di necessità negli annali della poesia, comparendo solo per accidente in quelli del teatro” (Shakespeare und kein Ende!, 1815-1826). Grandi poeti e insieme grandi drammaturghi sono stati Eschilo, Seneca, Tasso, Marlowe, Shakespeare, Corneille, Racine ecc., perché ciascuno di loro è stato capace di eccellere in due mestieri differenziati da pratiche rituali, tradizioni formali, influenze testuali e, non ultime, consuetudini ricettive fortemente dissimili, se non addirittura discordi. È la disparità di tali condizioni che deve emergere nella considerazione delle loro opere, pur quando è imperativo riconoscere il (raro) traguardo della loro intima coerenza e uniformità. Ciò è vero soprattutto nel caso di Shakespeare, i cui drammi occupano l’instabile linea di confine fra i vertici della grande poesia rinascimentale e le profonde radici del teatro popolare di tutti i tempi – “fra principe e popolo”, come dice il regista in incognito dell’intreccio di Misura per misura (I, 3, 45). È vero: se Shakespeare non fosse stato un grande poeta non avremmo drammi così grandi che portano il suo nome. Ma è altrettanto vero che a manifestarsi in quei versi a volte recitati in coro dal suo pubblico originario non era soltanto una personalità particolarmente dotata di inventiva, di eleganza stilistica, di visione ideale, ma un’intera XI
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INTRODUZIONE
comunità con la sua storia, le sue passioni, i suoi conflitti, i suoi stimoli, le sue resistenze e rifiuti. Unica era la vocazione, ma differenti le tradizioni cui quell’arte plurale attingeva, e che arrivava a fecondare. Nell’arena del teatro il soggetto poetante scendeva a un continuo confronto con l’architetto del racconto e del dialogo, con il regista dell’azione, con l’impresario oculato, con la struttura di un genere che si era evoluto nel tempo, che lo sovrastava, lo vincolava. Separati erano gli ambienti che lo accoglievano e premiavano – e separati i loro modi di accoglienza e approvazione – fino a determinare la sua qualità di artista, le tecniche delle sue composizioni, e con esse il suo status – elevato come poeta, basso se non infimo come drammaturgo – nella società del tempo. Apriamo in questo modo un capitolo di critica e interpretazione che non è affatto usurato: per gran parte del Novecento a controllare l’esegesi shakespeariana è stato l’approccio formale del new criticism ovvero, in termini più nostri, di filologia e critica del testo, che tendeva ad ascoltare il poeta – e il drammaturgo sub specie esclusivamente poetica – per scandagliarne i sentimenti e gli usi linguistici, chiudendo le porte a considerazioni più ampie, di ambientazione soprattutto materiale. Come già avvertiva Alessandro Serpieri in tempi ormai lontani, non si affrontava nella sua interezza il “nodo … di una comunicazione complessa per il confluire di molteplici codici” (Come comunica il teatro: dal testo alla scena, 1978). Poca considerazione andava cioè a quanto pesassero nel processo creativo i ruoli professionali cui l’uno e l’altro – il poeta e il drammaturgo, ciascuno con la propria artigianale strumentazione – si erano impegnati; e pochissima attenzione andava a quei problemi che ai giorni nostri sarebbero stati raccolti sotto il termine di performance, ovvero di messa in scena degli spettacoli con cui uno sparuto gruppo di “poeti” – pochi dei quali aspiranti ad essere considerati tali – si rivolgeva a un pubblico sempre più entusiasta, sempre più folto ed esigente, fino a dettare la moda di questa o quella tendenza del teatro, questa o quella tecnica poetica. Ecco le condizioni in cui scriveva Shakespeare: composizione poetica e composizione drammaturgica correvano su binari paralleli pronti a confluire nei grandi drammi, ma rimanendo separati quanto a tradizioni di riferimento ed a prospettive di successo, fi no alla resa dei conti non solo ideali ma reali, finanziari e commerciali, nel contatto con sezioni della società eterogenee e divise, con i loro particolari gusti, i loro pregiudizi e le loro predilezioni. Ne fa fede il fatto che verso XII
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la fine della carriera il drammaturgo scartò ogni adeguamento alle nuove mode di teatro importate dal continente, per scavare ancora e ancora nel solco più umile e autoctono della sua professione – nulla di più e nulla di meno sono i suoi “romanzi”, fra cui La Tempesta – mentre, dopo il suo abbandono, la compagnia che aveva diretto per vent’anni affidò la direzione a John Fletcher, l’autore che aveva esordito con l’imitazione del Pastor fido di Battista Guarini. Un sintomo del confronto fra le due professioni ci è offerto dai rispettivi canali di pubblicazione, e il caso di Shakespeare può servire per tutti. Il quadro che emerge non potrebbe essere più sconcertante per l’osservatore moderno, abituato all’identificazione di un testo attraverso il binomio nome dell’autore/titolo dell’opera. I primi lavori shakespeariani che rispettano tale regola sono due poemetti di derivazione classica, Venere e Adone e Lucrezia violata, rispettivamente del 1593 e 1594: la paternità era dichiarata non nel frontespizio ma nella dedica a un potenziale patrono dell’alta aristocrazia. In quegli anni un’epidemia di peste aveva distolto il giovane autore dal lavoro per il teatro, per cui aveva già scritto e rappresentato sette drammi, pubblicati poi in fragili in-quarto piuttosto scorretti e intestati alla compagnia che li aveva messi in scena, non all’autore. Il primo testo teatrale che lo menziona nel frontespizio è il Riccardo III del 1598, ristampa dell’edizione anonima di un anno prima, quando lui aveva aggiunto al suo attivo altri undici drammi (dodici se si vuol contare anche lo smarrito Pene d’amore vittoriose) compreso Romeo e Giulietta, uscito anonimo anche quello. Da allora però la sua produzione per la scena non avrebbe più rinunciato a dichiarare la propria paternità, mentre taceva il poeta, almeno pubblicamente: i Sonetti, eccelsa prova di poesia, circolavano manoscritti “fra amici”, e sarebbero stati dati alle stampe nel 1609, probabilmente per un atto piratesco, senza il consenso dell’autore. La sua raggiunta autorevolezza non riposava sulla forma lirica, ma era da attribuire al fatto che il suo nome era diventato una risorsa finanziaria per gli editori di testi teatrali. Si palesa così una necessaria distinzione – di solito sottaciuta, forse perché troppo compromessa da un criterio mercantile – fra opere poetiche rivolte a un pubblico d’élite, colto e economicamente dotato, e opere teatrali rivolte a un pubblico eterogeneo, con prevalenza di popolani illetterati o del tutto analfabeti, refrattari alla lettura ma affascinati dalla mimesi teatrale e dal ritmo del blank verse; un genere, insomma, che non aveva bisogno XIII
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INTRODUZIONE
di essere letto per essere apprezzato, seguito, amato come effettivamente era, negli anfiteatri popolari dove venivano rappresentati i tanti capolavori di quell’età. E la riprova dell’incostanza con cui Shakespeare e la sua compagnia di attori seguivano la pubblicazione dei testi del loro repertorio la si trova nel fatto che tredici suoi titoli vennero pubblicati fra il 1594 e il 1600, quando la compagnia riscuoteva i primi successi, ma solo cinque fra il 1601 e il 1616, quando le sue fortune erano ormai consolidate, mentre altri dodici capolavori rimanevano inediti. Gli “Uomini del re” erano preoccupati di farsi ascoltare piuttosto che di farsi leggere. Siamo così entrati nel complicato e prolungato processo di maturazione dello spettacolo popolare in “letteratura”, che a sua volta rimanda al passaggio fra cultura orale e cultura scritta: la prima stava alla base del teatro rinascimentale europeo, fenomeno popolare e gentilizio insieme, mentre la seconda si andava emancipando dalla matrice vocale per proporsi come principale supporto per la circolazione della poesia, fenomeno protoborghese e poi borghese tout court . L’assimilazione del teatro nel sistema letterario fu un fenomeno molto prolungato e complesso, ed è oggi completa grazie soprattutto alle istituzioni didattiche del mondo intero; una vicenda questa che non deve però oscurare gli inizi del processo stesso, in cui l’opera di Shakespeare occupa un posto cruciale. La promozione dell’autore alla piena dignità “letteraria” si può far risalire a ben otto anni dopo la sua morte, cioè al 1623, quando due suoi antichi colleghi, gli attori John Heminges e Henry Condell, pubblicarono il celebre in-folio (First Folio) che ne consacrò la fama. Prima di allora, Shakespeare in quanto uomo di teatro non era che “un corbaccio venuto su dal nulla che si fa bello con le nostre piume: un cuore di tigre agghindato da attore” (Robert Greene, Greene’s Groatsworth of Wit, 1592), impegnato in una professione di livello triviale. Per meditato paradosso il First Folio conteneva solo drammi, precisamente trentasei, per metà mai pubblicati prima: fra gli altri Giulio Cesare, Misura per Misura, Macbeth, Antonio e Cleopatra, La tempesta ecc., che non conosceremmo senza quella preziosissima raccolta; altri ancora, come il Pericle, ne restarono fuori, forse a causa di un coautore troppo legato al malfamato mondo dello spettacolo popolare. Che quella dei curatori fosse una scelta ponderata, e anche polemica, lo attesta il confronto con la pubblicazione delle opere di un poeta e drammaturgo contemporaneo rivale di Shakespeare, Ben Jonson, avvenuta nel 1616 e contenente XIV
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drammi, poesie e libretti per trattenimenti di corte: una mescolanza di generi che sbandierava per la prima volta il titolo di Works, riservato fino allora ai classici, e quindi l’esplicita pretesa di collocare tutta la produzione jonsoniana, teatrale, poetica o scenografica che fosse, su un pari gradino di autorevolezza. In simmetrica risposta a questa pretesa, otto anni dopo, il First Folio calcava la mano su un titolo più umile, Mr. William Shakespeares Comedies, Histories, & Tragedies, ma consacrava anch’esso il proprio esclusivo contenuto, il dramma dalle origini infime e oscure, fra i generi pretendenti ai massimi livelli della letterarietà. Tale consacrazione incontrerà un singolare destino nel giudizio dell’autore del Wilhelm Meister che abbiamo citato in apertura: tenendo anche lui presente la distinzione fra poesia e teatro, Goethe avrebbe semplicemente capovolto il senso del lavoro di Heminges e Condell, e con quello la storia della fortuna critica del Bardo. Mingle-mangle: un teatro plurale… Quanto precede ci serve per inquadrare la noncuranza, o meglio la ribellione di Shakespeare e dei suoi collaboratori nei confronti del rigido sistema dei generi letterari così come lo aveva teorizzato e praticato il Rinascimento sul continente europeo. Noi stessi ci siamo affannati, e con noi la storiografia letteraria di ogni tempo e paese, a rappresentare i suoi testi teatrali, soprattutto quelli contenuti nel presente volume, attraverso formule e definizioni che li allineassero al resto della cultura continentale, imprigionandoli in qualche pania tenace e inventando concrezioni sempre più contraddittorie, i cui costituenti non fanno che stridere penosamente l’uno sull’altro: non più semplici tragedie e commedie, ma “commedie cupe”, “drammi dialettici” o “problematici”, “tragicommedie”, “romanzi teatrali”, “teatro romanzesco” ecc., mai raggiungendo un qualche consenso su quali e quanti testi inserire in ciascuna categoria, priva comunque di ogni autorizzazione originaria. In effetti abbiamo tutti emulato senza volerlo l’ironico castello di parole con cui Polonio cerca di magnificare il repertorio degli attori arrivati a Elsinore, accumulando senza risparmio “tragedie, commedie, storie, pastorali, pastoral-comiche, storico-pastorali, tragico-storiche, tragicocomico-storico-pastorali” (Amleto, II, 2, 398-402), non accorgendoci della goffaggine cui l’autore esponeva Polonio, e noi insieme a lui. Ne usciamo giustamente sconfitti: anche le etichette accettate dal presente XV
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INTRODUZIONE
volume empiricamente e per tradizionale consenso, “tragicommedie” e “drammi romanzeschi”, di fronte alla ricchezza di quei testi si rivelano delle povere, superflue approssimazioni. Quel teatro è incoercibile in formule precise, perché è sperimentale proprio nell’uso, tra l’altro, di quelle etichette e categorie che chiamiamo “generi letterari”, e quindi nel suscitare emozioni in conflitto con le premesse da cui partono i testi canonici, o con le conclusioni cui arrivano; perché l’orecchio dell’autore è rivolto all’ascolto di fonti plurime e tradizionalmente non conciliabili, e la sua scelta di parole, eventi, percorsi travalica ogni limite e confine prestabilito – ciò che rende in molti casi fragile, se non sviante, lo studio delle fonti –. La tragedia non viene mai sola, né mai sola la commedia; e non importa dove cominci l’una e finisca l’altra. Echi di canoniche regole vengono soffocati da antiche e nuove logiche di organizzazione testuale, strutture e immagini risapute vengono splendidamente rigenerate, ogni rivolo di derivazione viene convertito in un torrente di novità – cosa evidente in un testo come Troilo e Cressida, che fa scrivere a Piero Boitani “nella prassi, Shakespeare fabbrica la propria tradizione: mescola e sovrappone le fonti, le intarsia, le stravolge, sembra le irrida, inventa: crea quell’impasto inafferrabile che è la tradizione secondo William Shakespeare” (Troilo e Amleto. Shakespeare e il senso della tradizione, 2017) –. E di fronte al lettore che insiste sulla fedeltà di molti drammi alla nuda falsariga di una “fonte” precisa, lo spettatore scopre sempre un vantaggio nel ribattere che mille sono gli effetti che il drammaturgo riesce a cavarne, fino a farne cose totalmente proprie, fino all’esito di un nuovo, inatteso disegno. Per tutti citiamo il finale del Racconto d’inverno, che qualche critico ancora considera assente nei propositi iniziali dell’autore: il colpo di scena più famoso di tutto il teatro shakespeariano – l’animarsi in scena di una statua, evidente ripresa della vicenda di Pigmalione nelle Metamorfosi ovidiane – ridotto a un’aggiunta dell’ultimo momento, non a un programma di calcolata sorpresa. Per il pubblico elisabettiano – per gli analfabeti e più ancora per gli istruiti – assistere a quegli “inafferrabili impasti” doveva risultare in un genere a sé, fondato non sulla verifica e sulla condivisione di verità come pretenderà poi il teatro naturalista, ma sul piacere dell’avventura in ricognizioni inconsuete, di provare perplessità e sorpresa, di scoprire la provocazione dell’improbabile e dell’eterogeneo, di scompigliare i tradizionali modi di ricezione (in quelle arene tumultuanti erano all’ordine XVI
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del giorno le urla, le risate, gli schiamazzi). Le cronache ci consegnano spettatori pronti all’esperienza dell’anticonformismo, cioè a recepire e discutere temi e sviluppi apparentemente contrastanti se non contraddittori, che brillano per la loro estraneità al luogo comune, all’assodato, al prevedibile. Dominava quel teatro l’aureo principio sintetizzato da Thomas Cartwright presentando la produzione del maggior collaboratore di Shakespeare, John Fletcher, verso la metà Seicento: Nessuno, che pur lavori di fantasia, Può fin dall’inizio orientarsi; Tutti si interrogano su come andrà a fi nire, Finché l’inatteso non si avvera. (Commendatory verses, in Beaumont and Fletcher, Comedies and Tragedies, 1647)
E questa poetica della sorpresa in teatro stava all’estremo opposto della volontà di permanenza cui aspira la pagina lirica, e con essa uno dei più grandi sonetti in cui il Bardo stesso si infervora ad ammirare e decantare l’enigmatico fair youth: la tua eterna estate non sfiorisce e mai tu perderai la tua armonia: all’ombra della Morte non svanisce chi sopravvive nella mia poesia. E, fin che esisteranno occhi e sospiro, tu vivo in questi versi avrai respiro. (Sonetto 18, vv. 9-14)
È chiaro: l’improvvisata degli attori sulla scena è immersa nel tempo – “…finché l’inatteso non si avvera…” – e al tempo resta soggetta; mentre la conquista di una forma assoluta è del tempo nemica – il “Tempo fugge” (Sonetto 19, v. 6) mentre colui che del canto è oggetto, il fair youth, sarà “eterno nella mia poesia” (Sonetto 19, v. 14) –: ecco come si oppongono i due generi, le cui forme diventavano di giorno in giorno più indipendenti. In Shakespeare e nei drammaturghi suoi contemporanei il dramma non trattiene ma anzi invita l’invasione di elementi che sovvertono ciò che la XVII
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INTRODUZIONE
tradizione ha stabilito come adeguato e assimilabile: una tendenza, questa, che i teorici della generazione precedente contemplavano con palese disgusto: fra i più ligi alle forme continentali ecco Sir Philip Sidney: “…quelle [nostre] tragicommedie bastarde (mongrel tragi-comedies) che mescolano i re con i villani…” (The Defense of Poetry, 1583); e fra i fanatici della morale pubblica ecco il libellista Philip Stubbes: “…quegli spettacoli non sono che mercati di dissolutezza che inducono all’immoralità e al sudiciume…” (Anatomy of Abuses, 1583) – due condanne equivalenti, da due sezioni della società che la vulgata critica e accademica considera però antagoniste –. In seguito, quando Shakespeare era già attivo, ecco prorompere dal palco della cultura di corte, opposto a quello delle arene pubbliche, il lamento dell’“eufuista” John Lyly, egregio inventore di spettacolini allegorici per deliziare la regina (lo citiamo anche nell’imperdibile originale): What heretofore hath beene served in severall dishes for a feast, is now minced in a charger for a gallimaufrey. If we present a mingle-mangle, our fault is to be excused, because the whole world is become an hodge-podge,
ovvero Ciò che fi nora in un banchetto è stato servito in piatti separati è diventato una portata unica, un pasticcio in pezzi e bocconi. Se presentiamo un guazzabuglio la nostra colpa deve essere perdonata perché l’intero mondo è diventato un grande ginepraio. (Midas, Prologue, 1592)
E non si era che all’inizio: al suo arrivo a Londra, gli scrittori già affermati (come il già citato Greene) diffidavano di Shakespeare prevedendo la demolizione cui avrebbe sottoposto le fragili impalcature dei loro stentati successi. Dopo un apprendistato costruito sulla tradizione nativa (ma spesso superandola senza riguardo e con sorniona ironia, con lo sguardo rivolto ai classici) il giovane drammaturgo aveva intrapreso decisamente la strada di invenzioni nuove, spaziose e demolitrici di certezze, che avrebbero approfondito il solco tra il suo teatro e la modesta – tolte poche eccezioni – routine elisabettiana, mirando come primo bersaglio alle regole aristoteliche, sempre sovvertite e riesumate XVIII
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solo nella prova finale, La tempesta, per un quasi irridente omaggio. Certo Amleto è una grande anzi suprema tragedia, dalla quale però il ruolo grottesco affidato a Polonio, che abbiamo ricordato più sopra, appare come un voluto, ricercato sollievo; mentre Molto rumore per nulla è per metà tragedia e per metà commedia, di costruzione molto più libera e problematica delle tragicommedie di Giraldi Cinzio o di Guarini o di Corneille (quest’ultimo però consapevole della “mostruosità”, cioè della complessità di certe sue creazioni). L’ircocervo era la forma invocata dal pubblico, e il drammaturgo si ingegnava a inscenarlo, inserendo oscure complicazioni in intrecci solari, sviluppi sognanti in ambiente realistico, fusioni di aspetti contraddittori nel mingle-mangle di uno spettacolo. Ne scaturiscono, come scrive Caterina Ricciardi a proposito di Misura per misura, delle “congenite antinomie tuttora irrisolte, nonostante il titolo ironicamente equilibrante”. Più inquieti e frastagliati ancora sono i drammi ultimi o “romanzeschi” (definizione che vuol essere denuncia e insieme attenuante per lo scatenarsi della fantasia che li pervade…): imputabili di una certa trascuratezza nello stile, essi assumono piena vita non alla lettura ma alla presentazione, alla performance di attori capaci di ricreare il clima fiabesco che vi regna. È sintomatico che la loro qualità si accentui invece che disperdersi con l’età dell’autore: c’è chi continua a parlare dello Shakespeare del Racconto d’inverno e della Tempesta come di un “vecchio”, quando non aveva più di quarantasette anni. Soltanto i grandi rinnovatori del teatro novecentesco, da Antonin Artaud a Jerzy Grotowski a Peter Brook, avrebbero saputo riscoprire il segreto dei teatranti elisabettiani, proprio prendendo le mosse da una ridefinizione del concetto di “rappresentazione”, svincolato da ogni legame col genere letterario. Da qui la loro opposizione al teatro classico. La rappresentazione da loro postulata è quella “originaria … magica e rituale” che implica “soprattutto che il teatro o la vita cessino di ‘rappresentare’ un altro linguaggio, cessino di lasciarsi sviare da un’altra parte, per esempio dalla letteratura, sia pure poetica. Perché nella poesia come letteratura, la rappresentazione verbale dissolve la rappresentazione scenica”; al contrario “il teatro, arte indipendente e autonoma, non può esimersi, per resuscitare, o semplicemente vivere, dal mettere in evidenza ciò che lo differenzia dal testo, dalla parola pura, dalla letteratura, e da tutti gli altri mezzi scritti stabilizzati” (Jacques Derrida, Prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, 1966). XIX
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…. per un pubblico plurale La dicotomia fra letteratura e teatro proposta da alcuni dei principali registi del Novecento ha un indubbio valore ermeneutico, ma non può sottrarre noi, praticanti di storia e critica letteraria nel ventunesimo secolo, dalla constatazione come tutto Shakespeare sia ormai inglobato nel sistema letterario mondiale, spesso noncurante della “indipendenza e autonomia” dell’arte dal Bardo primariamente esercitata; e come quel sistema sia oggi esplorabile attraverso il suo storico divenire. Ciò ci consente un percorso a ritroso, in una storia per nulla esaurita, quella di una comunicazione teatrale complessa e sfaccettata, che ha il pubblico fra i suoi fattori principali: il pubblico vociante che invadeva “ogni giorno, a ogni ora, giorno e notte, marea alta o bassa, a godere di drammi e farse…” (Stubbes) le arene che fino a qualche anno prima ospitavano combattimenti di animali. Nel triangolo formato da autori (i testi), attori (la performance) e spettatori (la società), questi ultimi hanno una parte non secondaria nel determinare il significato culturale degli spettacoli, ciò che li elegge a protagonisti, elusivi forse ma sempre necessari e sempre presenti, accanto ai protagonisti di invenzione; e questo impone a noi di individuare una dimensione dei testi al di là delle loro qualità formali, ossia quanto e come essi definiscano modi di sentire e valori comuni a una porzione sempre più consistente della comunità. Non mancano gli strumenti: le variazioni di argomento e di stile molto ci dicono sui gusti, sulle inclinazioni, sulle esigenze cui quei testi rispondevano e ancora rispondono. In Shakespeare c’è un notevole divario fra i primi e gli ultimi drammi, certo da attribuire alla maturazione del poeta e della sua visione, ma anche all’evolversi delle tecniche della messinscena, alla disponibilità di attori specializzati in certi ruoli, ai diversi spazi in cui quei testi venivano presentati, e prima di tutto alla cangiante disposizione di un pubblico eterogeneo e culturalmente sfaccettato, ma anche imperiosamente partecipe, e avido di sensazioni che altri generi di finzione non fornivano con altrettanta immediatezza e fisicità. Era quella una platea in perenne visibilio per l’eclettismo e la dismisura, morale e linguistica, che gli autori riuscivano a creare; erano, come si amava dire, dei “conoscenti”, certo non tutti eruditi né alfabetizzati, ma tutti curiosi delle straordinarie possibilità e versatilità di una lingua che pare quasi inventata di recita in recita, e che diventava la chiave di volta dei drammi. Quelli erano i detentori e i garanti dell’empatia che per gli attori significava la XX
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vita, e talvolta l’agiatezza: era lo spirito di ogni singolo individuo di una comunità avida di identità da rintracciare nei miti classici, nei romanzi medievali, nelle favole del folclore, nelle cronache del passato nazionale, e vogliosa di liberare la fantasia che solo la tumultuosa “realtà alternativa” della scena, di quell’irripetibile scena fra Cinque e Seicento, riusciva a sollecitare. E allo stimolo della comunità gli autori rispondevano con la polifonia dei discorsi, la mescolanza dei generi, la dialogica instabilità dei ruoli di autore e spettatore. A lungo mani esperte ritagliarono i copioni sull’eterogeneità del pubblico, finché all’inizio del Seicento si cominciò a parlare di repertori specializzati a seconda dei teatri e della condizione sociale di chi li frequentava. Poi, a partire dal secondo decennio del secolo, la specializzazione letteraria dei testi avrebbe seguito in parallelo la specializzazione sociale dei teatri, servendo chi gli strati alti e chi gli strati bassi della popolazione, con conseguente adattamento delle storie e dei temi a gusti contrastanti. Ma come vedremo, la produzione shakespeariana non cambiò mai la propria destinazione, rimanendo fino alla fine improntata al genio del pluralismo e della discordanza, il che vuol dire, in pratica, alla costruzione di intrecci plurisemici e antinomici, difficili da “risolvere”, e miranti come si è detto alla sorpresa, allo sconcerto e al dubbio piuttosto che a comode certezze e conclusioni moralmente accettabili. Le molteplici prospettive servivano ad attivare nell’uditorio la facoltà dell’interpretazione: Shakespeare ricerca questo esito non meno che i drammaturghi suoi contemporanei: lui impara da Thomas Kyd, dialoga con Christopher Marlowe, insegna a Thomas Middleton, John Webster e John Ford: prendendo spunto da leggende e centoni di bassa lega circolanti sul continente, tutti costruiscono le loro trame sul contrasto fra il panorama di solide certezze vantato sulla scena – i titoli altisonanti, i giuramenti solenni, i conclamati amori, le prevedibili tirate – e l’ineluttabile procedere del dramma che demolisce una per una quelle premesse, precipitando gli spettatori in un agognato limbo di meraviglia e orrore, ovvero in qualcosa che è già pieno “teatro della crudeltà”, “magico e rituale”: il vero argomento, anzi il cuore stesso di quei coraggiosi drammi di avanguardia barocca. Ne emerge una struttura profondamente ironica nei confronti non solo del singolo personaggio, ad ogni passo sorpreso dagli eventi, ma anche dell’intero retroterra del genere letterario di partenza, e infine della stessa concezione dell’uomo come essere dotato di XXI
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nobiltà e razionalità superiori, che l’umanesimo aveva proclamato e il protestantesimo andava accanitamente disattivando. È a questa epocale svolta della cultura che gli “apprendisti, damerini, bottegai” che affollavano i teatri erano chiamati a rispondere, ed alla quale, ci dicono le cronache, rispondevano all’unisono. Tragicommedie C’è un notevole divario fra la cultura teatrale inglese del Cinque e Seicento e quella del continente europeo, in special modo l’italiana, la più volenterosa nell’elaborazione teorica del genere: vediamo la prima concentrarsi tutta sulla produzione materiale dei drammi, alla ricerca del successo commerciale e accantonando qualsiasi giustificazione speculativa; la seconda, invece, in quella discussione teorica restava interminabilmente impelagata, appellandosi alle autorità del passato – la Poetica di Aristotele in primo piano – e vincolando a tali autorità ogni esperimento concreto, evidentemente per un pubblico di spettatori che erano prima di tutto lettori con un grado di cultura maggiore dei loro contemporanei inglesi. Ciò che persegue l’una scuola è trascurato, o almeno non perseguito con pari accanimento dall’altra: una conferma, se ce ne fosse bisogno, di una progressiva divaricazione fra il mondo “basso” del teatro, attivissimo sul continente come nelle isole britanniche ma tenuto a debita distanza dalle accademie, e il mondo “alto” di queste ultime, che resta ininfluente per gli inglesi. Da autori “arretrati”, marginali sulla scena europea, questi diventano così, improvvisamente, fra i più avanzati “innovatori”. Le loro opere si arricchiscono mescolando, come si è detto, l’alto e il basso, ma anche manipolando tempi e spazi senza preoccuparsi dei precetti dei maestri, mentre i colleghi europei si accapigliano con puntiglio su questa o quella intoccabile regola. Il periodo cui noi diamo il nome di “tardo Rinascimento” e poi “barocco” viene oggi, nei paesi di lingua inglese, immancabilmente ridefinito early modern, di “prima modernità” senza dispendio di ulteriori etichette, superflue per quella cultura. Un caso di arretramento interpretato come innovazione è quello di The Faithful Shepherdess, esordio nel 1608 del John Fletcher di cui abbiamo parlato: controparte al femminile del Pastor fido (1587) del Guarini, quel dramma era un tentativo di adeguarsi a un modello “alto” di compiuto livello letterario, e riproduceva quasi verbatim nel testo a stampa le pagine teoriche del Compendio della poesia XXII
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tragicomica (1600, pubblicate con il testo del dramma nel 1602) del poeta e teorico italiano. Il dramma inglese incontrò un notevole fiasco a teatro, ma ebbe vasta circolazione nella versione stampata; e un uguale destino incontrava intanto la tragicommedia guariniana. La scuola italiana e la scuola inglese si erano finalmente incontrate, grazie al beffardo destino di mirare all’efficacia letteraria per approdare all’inefficacia teatrale. E ciò accadeva mentre Shakespeare, incurante di discriminazioni e divieti, a dispetto di tutto e di tutti attirava in patria le solite folle plaudenti, e non solo di groundlings: un testo come il Pericle – di cui la sua compagnia diffidava, essendo l’esordio della serie ispirata a quell’immenso serbatoio dell’immaginario che sono le narrazioni popolari, e scritto in collaborazione con George Wilkins, un poco raccomandabile oste e tenutario di bordello – nella stagione 1607-1608 divenne il clou di una serata al “popolare” Globe, nobilitato dalla presenza dell’ambasciatore francese e del segretario dell’ambasciata fiorentina con il loro seguito, tutti invitati dal nobile veneziano Giorgio Giustinian per celebrare l’esito felice della missione diplomatica diretta a scongiurare la crisi dei rapporti fra la Serenissima e il Papato. Costo della serata: la somma astronomica di venti corone (più che giustificata dall’esito del negoziato, favorito dalla mediazione francese). Invece del fiasco temuto da tutti (per le scene ambientate in un lupanare), il Pericle fu uno straordinario successo (forse proprio per quelle scene?) non solo immediato ma durevole, addirittura fino alla soppressione dei teatri (1642), e anche dopo, durante la Restaurazione. Shylock, o dell’ambiguità Shakespeare trova presto il paradigma per le sue “tragicommedie” – usiamo questo termine inusuale in lui, per l’approssimazione che ci consente a una forma sostanzialmente ibrida –. Lo trova quando è alle prese con un problema non da poco, capace di gettare nel dubbio un carattere come il suo, alieno dal partito preso: il compito era quello di partecipare a una delle non rare campagne xenofobe inscenate a Londra contro i mercanti stranieri. La sua compagnia, allora gli “Uomini del Lord cancelliere” – era stata preceduta nel 1592 dagli “Uomini di Lord Strange” loro concorrenti, con un pastiche di aspra dissacrazione, l’Ebreo di Malta, in cui Christopher Marlowe aveva rovesciato una litania di infamie non solo su un diabolico ebreo, ma sui capi cristiani e musulmani con lui rivaleggianti in tradimenti e efferatezze. Il senso ultimo era che in XXIII
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Occidente la peste morale si irradia dal centro – Malta, omphalos dell’universo mediterraneo – a ogni periferia: non esiste nazione, e meno che mai religione, capace di tener fede ai princìpi dell’umanità. Il drammaturgo, ateo professo, finì ammazzato ventottenne, un anno dopo. Il testo marloviano era tornato sulle scene nel 1596, e si è molto congetturato che quello shakespeariano fosse una affrettata risposta a quell’ardua sfida. In realtà, il contrasto fra le due opere non potrebbe essere più marcato: al furore apocalittico dell’Ebreo di Malta rispondeva il sofisticato equilibrio del Mercante di Venezia; la retorica dello sdegno e della catastrofe si stemperava in una vena profondamente problematica. Eppure, tolti i toni più accesi, il sostrato etico delle due prove non è poi così diverso: l’intera trama shakespeariana è costruita su aspre contrapposizioni che lasciano intravedere accostamenti e somiglianze: ebrei e cristiani si avversano usando armi dialettiche comuni, le Sacre scritture; gli uni e gli altri peccano di intolleranza, senza mai uscire dal circolo vizioso dell’astio e dell’irriducibilità; da una parte e dall’altra, le dichiarazioni pubbliche nascondono retropensieri e ipocrisie inconfessabili. Ma Marlowe aveva appiattito ogni antitesi nell’unico calderone dell’infinita ignominia umana, mentre Shakespeare sarebbe stato ben attento a tracciare in netto chiaroscuro psicologie e motivazioni dell’una e dell’altra fazione, e a tener lontano lo spettatore dalla tentazione dell’inerzia o della rassegnazione, per immergerlo in una inesauribile mescolanza di “commedia” e di “tragedia” sempre compresenti. Ecco come si fronteggiano i due generi rivali in questo esperimento di dramma misto: volendo che esso sia soltanto l’una cosa o l’altra, diventano parziali le interpretazioni che si sono susseguite nei quattro secoli trascorsi da quel capolavoro di ambiguità. Isolando alcuni passi e trascurandone altri, esse finiscono per richiudersi su pregiudizi senza prospettive, cosa che Shakespeare non fa mai. Dunque la memorabile e “tragica” difesa che Shylock fa della propria umanità (III, 1, 49-69) non cancella la “comica” meschinità delle parole che egli pronuncia alla notizia che la figlia sta scialacquando il suo patrimonio (II, 8, 15-18; III, 1, 80-83); la sua tragica libidine di vendetta, appesa formalmente all’osservanza letterale della legge (IV, 1, 302-309) non è diversa dal doppio formalismo, anzi dal fondamentalismo feroce di chi si vendica su di lui allo stesso modo, condannandolo (IV, 1, 321329); persino il clown Lancetta vive una sua tragicomica psicomachia, fra l’angelo (la “coscienza”) dell’ordine sociale e il diavolo dell’accaniXXIV
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mento antisemita (II, 2, 1-69). E a coronamento di tutto, ecco il sottile gioco di contrasti e bilanciamenti tracciato dalle due trame parallele che oppongono Venezia, il mondo rissoso degli affari, e Belmonte, il mondo gioioso dell’amore: l’antitesi si stempera nell’interdipendenza di tutto ciò che era apparso così irriducibilmente in opposizione. E l’evocazione lirica finale dei più celebri amori tragici della mitologia si svolge sotto la luce obliqua della luna, simbolo di serena contemplazione, ma anche di volubilità e incostanza… Il crepuscolo degli eroi Se il Mercante rappresenta la sistemazione personale di un problema civile di primaria grandezza, rivoltando una semplice pratica diffamatoria in approfondita meditazione, Troilo e Cressida è la revisione in chiave disincantata e beffarda di tutto quanto i classici maggiori potevano avere insegnato di grande, di nobile e magniloquente sulla guerra, sugli eroi della guerra, e su quel poeticamente durevolissimo rapporto che lega la guerra all’amore: un omaggio alla tradizione ma omaggio al contrario, in chiave satirica anzi sarcastica, e violenta in questo senso. Si evita una rivisitazione della storia di Paride ed Elena, la coppia più celebre per aver vissuto fi no in fondo il vincolo amore/guerra, e si riprende la storia di una coppia per così dire di complemento, non derivata dai poemi primordiali ma dai racconti medievali fra cui quelli di Boccaccio, Chaucer, Lydgate, Caxton, fonti molto inclini a sfruttare il senso dell’avventura, e poco a dispensare esempi virtuosi: una scelta che sembra denunciare l’impossibilità di adeguarsi a certe vette, o come dicono molti illustri esegeti, di scrivere “una tragedia tradizionale”. Nelle parole di Chiara Lombardi: “Il dramma non può essere commedia a lieto fine, ma neanche tragedia, per quanto anticipi per molti aspetti il senso del tragico moderno che deriva proprio dalla morte della tragedia classica. Non è tragedia classica perché non c’è una verità sovrumana, né dèi né destino a garantirla, ma sopratutto perché il male si cala nella normalità, e diventa, come nel Novecento, abitudine codificata e banale, e talvolta anche ridicola” (Nota introduttiva al dramma, in questo volume). Su Troilo e Cressida come dramma moderno e addirittura postmoderno molti hanno insistito, mettendo in luce come siano la figura dell’eroe e il concetto stesso di eroismo a perdere consistenza: nulla di eroico nei due protagonisti, ridotti a interrogaXXV
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re ansiosi un destino che li seduce per poi rifiutarli; e nulla di eroico in Achille, che non uccide ma fa uccidere Ettore in un’imboscata per mano di orrendi sicari, subito sollecitati a urlare l’infame inganno che sarà perpetuato dalla grande poesia: “Achilles hath the mighty Hector slain!” (V, 9, 14). Nulla di eroico, anzi tutta la bieca volgarità possibile nelle forze impegnate nella famosa guerra di Troia, nel campo greco (Tersite) come in quello troiano (Pandaro). Ma la parte più moderna del dramma è la divisione che inaugura negli usi linguistici dei personaggi: da una parte le tirate roboanti e dispersive degli eroi omerici, memorie di un’eloquenza un tempo influente ma ora ridotta a semplice maschera, inutile a nascondere la realtà grottesca e straniante del complotto e del colpo basso; dall’altra parte la gergalità infi ma di Tersite, che non si fa scrupolo di insultare tutto e tutti, riducendo l’intera vicenda a un unico teatro di libidine, malafede, soperchieria, rapina, e risultando alla fi ne un degradato e degradante veicolo di verità. Eros e potere Di tutti i drammi cosiddetti “problematici” – qui “tragicommedie” – il più problematico è senz’altro Misura per misura, che accampa dilemmi di profondo interesse etico, religioso e civile senza arrivare ad offrire vere e proprie soluzioni – tanto che, addirittura, alla fine non fi nisce, demandando allo spettatore di immaginare una conclusione che stringa gli ultimi nodi del racconto, rimasti allentati: accetterà la pia Isabella l’offerta di matrimonio del duca? – E la ragione di tanta incertezza è, questa sì, chiara: qualsiasi esito si voglia immaginare non esaurisce gli interrogativi che si sono aperti nel corso dell’azione, anzi ne crea dei nuovi. Le fi la del discorso restano difficilmente conciliabili. Shakespeare spariglia le carte che ha in mano: prende una storiaccia da tempo circolante sul continente e in patria sul rapporto fra legge e sessualità (Giraldi Cinzio, Chappuys, Whetstone ecc.), variamente raccontata ma ricca comunque, a qualsiasi latitudine, di improvvisate, sfilacciature, contraddizioni, che devono avere attirato l’autore con il fascino dell’intricato, con l’invito al funambolico, e quindi con l’esposizione degli insolubili dubbi che agitavano in quel momento storico gli animi di un’Europa in crisi: insomma, un ingorgo di incidenti e problemi da tener sveglio l’uditorio in teatro, peraltro abituatissimo in Inghilterra a intrecci zoppicanti e a interrogativi illimitati; tutti aspetti cui una posXXVI
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sibile revisione del testo da parte di Thomas Middleton, dopo la morte dell’autore, non possono che avere aggiunto complicazioni. Questa però non è che la porta d’ingresso nel mondo di Misura per misura, perché su quella soglia il drammaturgo si arresta: la dimensione tutta teatrale delle fonti “romanzesche” lo richiama e sollecita, ma il poeta-fi losofo che abita in lui non può certo limitarsi a una semplice ripresa di temi e personaggi. C’è da rappresentare il potere e lui lo sdoppia, ne fa due figure complementari, un profittatore corrotto e pronto al ricatto sessuale, e un superiore occulto, “quel vecchio stravagante degli angoli oscuri” (IV, 3, 154), un controllore un po’ impiccione ma capace di tenere in pugno l’azione, insomma un regista che tutto vede e tutto sorveglia dall’alto; poi c’è da descrivere l’angoscia della donna ricattata, stretta fra il voto di castità reso a Dio e il ricatto del seduttore che ha per posta la vita di suo fratello; poi c’è il mondo gaudente e sproloquiante dei bassifondi di qualsiasi città europea, con le loro prostitute, i loro mezzani e i loro capoccia, una memorabile galleria di plebei in cui eccellono le grandi doti satiriche dell’autore; poi c’è l’esigenza di animare, di dare un ritmo sostenuto a queste vicende, qualità in cui Shakespeare non è secondo a nessuno. E questa non è che la base, illuminata in ogni momento dai lampi del suo genio: il suo modo di rendere la scissione interiore del magistrato fellone (“quando mi accingo a pregare e pensare, penso e prego in direzioni disparate” [II, 4, 1]; “avremmo voluto e non voluto” [IV, 4, 33]) investe anche Isabella, la sua vittima (“se non fossi in guerra fra volere e non volere” [II, 2, 33]); lo squilibrio nevrotico dell’uomo di potere si misura nel suo opposto speculare, la soddisfatta accettazione della propria bassezza da parte di Lucio, campione di malignità e invenzioni menzognere (si ricorda una splendida interpretazione di Franco Parenti nel 1958!). E ancora: l’abilità retorica e dialettica di Isabella; la citazione delle massime bibliche e cristiane, sempre però in situazioni che le condizionano, o in psicologie che le smentiscono; la questione religiosa, che mette in scena la lotta all’ultimo sangue che la civiltà riformata aveva scatenata contro la sessualità comunque defi nita; e che carica di rappresentatività una novizia in procinto di farsi monaca, una vocazione che la Riforma aveva cancellato, e che solo la collocazione dell’azione a Vienna, potenza cattolica, rendeva plausibile; i mille accorgimenti che l’autore inventa per non precipitare il fi nale, tenendo tutti, sopra e sotto il palcoscenico, XXVII
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sospesi sulla sorte di questo e quello; finché la rappresentazione fi nisce, ma come abbiamo notato, non del tutto: lo stesso spettatore viene attirato nell’universo esotico, tumultuante e contraddittorio di una Vienna non tutta di fantasia… Il teatro dell’ironia Un titolo come Tutto è bene ciò che finisce bene è molto di più che una massima di buon senso popolare diffusa in tutta Europa e trapiantata da un calepino qualsiasi a un intreccio teatrale che si vuole brillante. Per noi diventa invece il segnale che è stato raggiunto il punto estremo di un percorso: dopo le certezze dei drammi storici e delle tragedie, l’estro creativo dell’autore ha privilegiato le aporie presenti in storie complesse, in problemi di difficile soluzione, che escludono punti fermi sui quali indugiare e dei quali compiacersi. Il percorso ha tracciato finora un doppio binario, di ricerca e sfruttamento di materiali accessibili a tutti, ormai desueti e consumati dall’uso, e insieme di allontanamento da essi, dalla loro più logora “facilità”, mettendone a nudo l’insufficienza e investendo tutto l’effetto drammatico proprio su questa contraddizione. Ma così facendo Shakespeare affermava una volta per tutte che una cosa era il suo “teatro” e un’altra la “letteratura”, cioè le fonti che continuavano a nutrirlo copiosamente; la novellistica del continente aveva avuto la sua stagione degna di reverenza e rivisitazione, ma conservava queste prerogative solo in quanto matrice di nuova spettacolarità e problematicità: quello rimane sempre e comunque il fine ultimo, il principio unico di egemonia sulle preoccupazioni dell’autore, per cui qualunque mezzo, anche il più trito e ritrito, può venir utile. Il pubblico reclama immedesimazione, sorpresa, istruzione, empatia nei confronti di tante storie avventurose, cariche di suspense, di dubbi irrisolti e di colpi di scena? Bene, li trova nelle commedie e tragicommedie fino allora prodotte, e li troverà ancora, con un supplemento speciale di incantesimi, magie, geografie immaginarie, redenzioni miracolose negli spettacoli a venire, i drammi romanzeschi. Ma non li otterrà senza che tutta questa materia avventurosa venga immersa proprio nel senso comune, venga fatta segno cioè a una cospicua dose di distacco e di ironia, pronunciata da un mondo diverso, più evoluto, a spese della tradizione oltre che a spese dell’autore stesso. La parola chiave dell’operazione è naturalmente presente in quel titolo, nel verbo “finire”. Ci dice che ogni XXVIII
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storia deve avere un suo approdo, ma il problema insormontabile è come arrivarci in un modo soddisfacente, che tutto risolva e tutti ammaestri ed edifichi: il tragitto si rivela invece sempre più accidentato, fino a mancare di una vera conclusione. E il teatro interviene a dar conto di questa mancanza, la sottolinea ma nello stesso tempo ne approfitta: la sua fortuna starà proprio nel rendere evidente la distanza fra il regno delle favole che ne costituisce la base, e la sensibilità rinnovata del pubblico, e di colui o coloro che si impegnano a soddisfarlo anche grazie a tecniche di messinscena del tutto nuove. Dal Mercante di Venezia in poi, cioè piuttosto presto nella carriera del Bardo, intorno al 1597, i problemi sul tappeto diventano troppi e troppo ardui; lui li osserva con l’occhio scettico di uno spettatore scaltrito, voglioso di divertimento anche a spese di quanto la tradizione letteraria ha promesso. Da qui l’assenza di veri e propri finali, e l’avvento di storie che invariabilmente si riaprono – nei nostri interrogativi, se non sulla scena – nel momento di chiudersi: questa la “scoperta” cui costringono anche Misura per misura e Troilo e Cressida (diversi saranno i finali dei drammi romanzeschi, basati prevalentemente su un processo di maturazione di un’eroina). Ecco allora il nuovo titolo, che annuncia come sia venuto il momento di scoprire il gioco, e di assuefarsi a una divertita accettazione delle cose – anzi dei difetti, delle storture – del mondo, con cui la tradizione ha così a lungo brillato, e il cui rimedio può solo stare in quel poco di interesse e divertimento che ora se ne può trarre. “Tutto è bene…”: più che una morale cinica, è un furbo richiamo per gli spettatori affezionati, anche se non c’è traccia di recite contemporanee del dramma, che venne pubblicato per la prima volta solo nel Folio del 1623. Difetti e storture, dicevamo: non si possono definire diversamente le vicende ricavate dalla novella di Giletta di Narbona dal Decameron (III, 9) del Boccaccio, tradotta da William Painter nella sua raccolta The Palace of Pleasure (1566). Shakespeare le espone abbastanza fedelmente, ma non si trattiene dal diffondervi un profondo senso di perplessità e di metadrammatica ironia. Fatta eccezione per il clown Paroles, spaccone e millantatore, tutto parole e svolazzi e niente fatti – un supplemento di tipica fattura shakespeariana, che sarà il beniamino delle platee nel secolo successivo (si veda il suo discorso contro la verginità, I, 1, 122-160) – l’intreccio non è che pura, esibita convenzionalità: un’orfana indigente si innamora non ricambiata di un conte; il re le è grato perché lo ha guaXXIX
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rito, e pretende che i due giovani si sposino. Lui però non ne vuole sapere, e parte per la guerra; lei, indomita, lo insegue per mari e monti, gli promette progenie, poi nottetempo si sostituisce nel suo letto alla donna che lui brama, e alla fine riesce a coronare il suo sogno. Al racconto delle tante peripezie della fanciulla, il conte finisce per accettarla e – ciascuno ne deduca quel che vuole – con una sola battuta! (V, 3, 316-317). Ma quella “fine” che dovrebbe confermare che tutto è andato bene non fa che ripartire da capo, con la nuova decisione del re per un nuovo matrimonio che non avrà luogo, perché il riconoscimento di quanto è successo non è ancora avvenuto. Nessuna lezione è stata imparata, e l’unico scopo dello spettacolo era non l’ammaestramento degli spettatori ma il loro svago, cioè lo spettacolo stesso, il verificarsi dei colpi di scena, la recitazione di bravi attori che sappiano tenere il pubblico sulla corda. Tutta la scena terza dell’atto quinto, che stentiamo a definire “finale”, è spesa nell’affannoso tentativo di far capire (invano) al re cosa sia successo, e che gli consenta le battute (si noti la forma ipotetica e sospensiva): “Sembra che tutto sia andato bene, e se opportuna ci pare la fine, lasciamo ogni amarezza e diamo il benvenuto alla dolcezza” (V, 3, 334-335). Insomma ci possiamo accontentare, come ribadisce l’Epilogo ammiccando agli spettatori: Finita la storia, il re in ginocchio chiede che la sua supplica esaudiate: se soddisfatti vi mostrerete, noi a ripagarvi siamo pronti con svaghi di giorno in giorno architettati; starà allora a noi mostrar pazienza, a voi lasciando attiva rispondenza. Batteteci le mani gentilmente, e i nostri cuori voi guadagnerete.
Drammi romanzeschi Eccoci all’ultima stagione shakespeariana, la stagione della magia e della fiaba, delle spregiudicate fantasie, delle aeree invenzioni, degli intrecci avventurosi ricavati da narrazioni arcaiche, che fanno del “magico e rituale” la loro più comune materia. Abbandonate l’inflessibilità della tragedia e la docilità della commedia si passa a un registro più variegato XXX
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e malleabile, mai del tutto congruo né prevedibile, e quindi pieno di sorprese, di rivelazioni che fi no all’ultimo tengono il fiato dell’uditorio sospeso; è questa la materia del “romanzo” medievale, da cui discende la defi nizione che a fi ne Ottocento Edward Dowden, critico dilettante ma lettore sapiente, diede di questi drammi: romances, richiamandoli cioè a un genere all’apparenza ingestibile da parte degli autori di teatro, costretti, a differenza dei romanzieri, alla premura delle “nostre due ore di trambusto sulla scena” (Romeo e Giulietta, Prologo, 12), contro la proliferante ampiezza dei centoni e dei lunghi poemi di epoche passate: era, quello promosso da Dowden, uno dei tanti episodi di avvicinamento, anzi di confusione fra “teatro” e “letteratura”, che noi lasceremo così com’è per convenzione e convenienza, ma anche perché rende testimonianza di quanto i due termini possano davvero condividere, ovvero la prodigiosa energia e vitalità dei testi shakespeariani. Quella era anche la stagione delle collaborazioni con autori appena giunti alla ribalta, la stagione dei bilanci e degli epiloghi, delle sotterranee revisioni di antichi punti fermi; e della proposta di un rinnovato patto con il pubblico, ora tentato da più inquiete e inquietanti vicende da parte delle compagnie e degli autori concorrenti, una schiera di molto agguerriti artigiani del verso e della scena, saliti sulle spalle del Maestro per approfondire gli aspetti più popolari, e spesso più grandguignoleschi, del suo magistero. Ed è verosimile che sia stato proprio questo seguito, con le nuove mode che sviluppava, a determinare la svolta che ora sta sotto i nostri occhi. Per documentarla non potremmo trovare di meglio che il suo primo prodotto, Pericle, principe di Tiro, di cui abbiamo già parlato come di un grande e inatteso successo – curiosamente, contro le previsioni stesse della compagnia: del resto, l’assenza di questo dramma dall’editio princeps del Folio 1623 sembra indicare il persistente sospetto nei confronti di un testo fin da subito apparso frutto di collaborazione –. E il Pericle è un vero e proprio repertorio di topoi romanzeschi, con i viaggi e le peripezie, i tiranni, i pirati, i rapimenti, il perdersi e il ritrovarsi, le agnizioni finali. Per inquadrare queste convenzioni arcaiche viene riesumata una figura ripresa da vecchie pratiche teatrali ormai desuete, il narratore extradiegetico, che commentava nel medioevo l’azione dei mimi. A tale ruolo viene dato il nome di un poeta del Trecento, John Gower, che apre l’azione con una cantilena che merita attenzione: XXXI
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To sing a song that old was sung From ashes ancient Gower is come, Assuming man’s infirmities To glad your ear and please your eyes. It hath been sung at festivals, On ember-eves and holy-ales, And lords and ladies in their lives Have read it for restoratives. […] If you, born in these latter times When wit’s more ripe, accept my [rhymes, And that to hear an old man sing May to your wishes pleasure bring, I life would wish, and that I might Waste it for you like taper-light.
A cantare un canto in antico cantato, dalle ceneri il vecchio Gower è tornato; assumendo su di sé l’umana infermità, per diletto dei vostri occhi e dell’udito. L’hanno cantato nelle celebrazioni, a vigilia dei digiuni e alle sagre dei [patroni, l’hanno letto dame e nobili signori e vi hanno trovato ragione di ristoro. […] E se, posteri, accettate questo metro, voi, avvezzi a rime più mature, se avere un vecchio in veste di cantore possa recar gioia ai vostri desideri per me io vita chiederei, e di poterla consumar per voi qual torcia in poche [ore. (I, 0, 1-8, 12-16)
Non sappiamo se questi versi claudicanti siano di Shakespeare o del suo coautore (il sospetto ricade fortemente sul secondo…), ma essi hanno per noi il valore di un manifesto, forse non di poetica ma certo di pratica teatrale. Domandiamoci: perché questo accento sull’arcaico? Ovvero: perché nei primi anni del Seicento, al punto massimo di una già gloriosa carriera di mastro-artigiano, Shakespeare sente il bisogno di scrivere o sottoscrivere questo richiamo al passato, alle veglie notturne e alle “sagre” del contado, alle “dame” e ai “nobili signori” di medievale memoria, e di aggiungere ben tre occasioni di una pratica teatrale desueta come la “pantomima”, oltre ad invocare il favore del pubblico che conosce meglio, quello delle grandi arene come il Globe dove infatti Pericle verrà rappresentato? Chi e che cosa lo induce a presentare come attraente quel passato (a parte certe scene che penetrano nel malaffare dei bassifondi londinesi)? Lo richiama, rispondiamo, l’ideale (o, direbbe qualcuno, il fantasma) di un teatro per tutti, un rituale rinnovato di spettacolo in spettacolo, gioioso o cupo a seconda dei casi, in cui si riconosca l’intera collettività, superando antiche e nuove divisioni di ceto, di religione, di condizione di vita. Era infatti XXXII
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una complessa emergenza culturale a generare la svolta storica del teatro shakespeariano, a trascinarlo nell’accanito tentativo di conservare quella preziosa popolarità che si era conquistato grazie alla circolarità della cultura, al legame che teneva insieme e confrontava l’aristocratico e il plebeo, la scena e la platea, il passato e il presente, il vizio e la virtù, il medievale e il barocco, il teatro e il romanzo… Quel legame si andava dissolvendo sotto la pressione di una nuova selettività, che nella società valeva l’ascesa di una nuova élite aristocratica, nella letteratura favoriva l’affermazione della normatività neoclassica, e nel teatro portava alla crescente separazione fra le arene “pubbliche” – più popolari per il basso costo dell’entrata – e le sale “private” – dalla capienza molto minore e dai prezzi molto più alti – che offrivano spettacoli sempre più distanti per gusti, linguaggi, scenografie. Eppure, proprio negli stessi anni la compagnia di Shakespeare occupava, con il Globe e il Blackfriars, l’una e l’altra sponda del Tamigi e del gusto teatrale. E quale risposta Shakespeare chiedeva al suo pubblico? Chiedeva memoria, di una cultura unitaria e completa, una matrice che l’ultima fase della sua produzione continuamente chiama in causa: si ricordino per tutte le ripetute sollecitazioni di Prospero a Miranda nella Tempesta: “Cosa vedi andando a ritroso nel buio abisso del tempo?” (I, 2, 50). Mentre le compagnie rivali inauguravano un genere fondamentalmente lugubre, pervaso dello scetticismo che invadeva tutta la letteratura del periodo, Shakespeare e i suoi attori si lanciavano in un recupero di tutto ciò che aveva fatto grande e reso popolare il teatro – il loro teatro! – aperto a chiunque volesse divertirsi o inorridire, sempre eccessivamente, e sempre subendo l’incanto della lingua: in una parola, essi accentuarono i caratteri “mostruosi” e “contro natura” di cui tanto si doleva Ben Jonson dal piedistallo delle novità neoclassiche – defi nendo il Pericle a mouldy tale, “un racconto muffoso” (Ode to himself, 1629, v. 22) –. Strumenti di novità e svecchiamento erano se mai le loro originalissime trovate scenografiche, le musiche eseguite da cori di ragazzi professionisti, e soprattutto le splendenti figure del discorso. Fu allora che prese avvio anche la stagione delle collaborazioni, cominciando con fantasisti come Wilkins e con autori dalla vena più dolce e romantica come Fletcher. Ne vennero fuori dei testi ibridi – romanzi sceneggiati? commedie “bastarde”? tragicommedie? – sempre comunque dei veri e propri, rinnovati hodge-podge, come aveva previsto Lyly quindici anni XXXIII
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prima, certo non per incoraggiarli. E invece, consapevolmente e provocatoriamente, questo teatro ritornava alle sue origini folcloriche, al gusto della spettacolarità, alla narrazione in pubblico, al polimorfismo della rappresentazione, che molti contemporanei già sentivano come colpevole sregolatezza. Era la splendida, estrema sopravvivenza di un mondo e di un’arte destinati a scomparire, ma anche a lasciare di sé una traccia indelebile. Ascendente donna A differenza dalle “tragicommedie”, che per temi e problematiche si distinguono fortemente l’una dall’altra, e per questo pretendono trattamenti individuali, i drammi romanzeschi presentano impronte comuni, che ne fanno una serie piuttosto unitaria. Ricerche recenti (Hackett) hanno dato risalto alla voga che ottennero i romanzi presso il pubblico femminile nel primo Seicento inglese. Tipici del genere erano gli intrecci complicati, il dominio della fortuna nelle cose umane, la rigenerazione favorita dagli ambienti pastorali, il sorprendente realizzarsi di oracoli, l’alta retorica, la prospettiva sostanzialmente armonica di un fi nale conciliante. Sono tutti ingredienti che appaiono attivi nelle ultime opere di Shakespeare. Ma la prima e più evidente loro caratteristica è l’estrema varietà e utopicità dei luoghi rappresentati, con viaggi, rotte, itinerari, peripli che portano i protagonisti da un porto all’altro del Mediterraneo (Pericle), dalla Sicilia alla Boemia e ritorno (Il racconto d’inverno, dove la “Boemia” è dotata addirittura di porti e navi alla fonda…), da Milano a una misteriosa isola che dovrebbe trovarsi nel Mediterraneo ma ha tratti che la collocherebbero in ben più esotici mari, pur con Tunisi e Napoli all’orizzonte… (La tempesta), dalla Britannia all’Italia al Galles (Cimbelino). Un secondo aspetto fondamentale è l’immersione degli spettatori nel regno della fantasia primordiale e della magia, cioè in quella particolare esperienza che il teatro, e solo il teatro, in quegli anni riusciva ancora a offrire. Questa scelta permette non solo di attingere liberamente da generi ormai desueti, ma anche di ribadire l’importanza di quei legami sociali tra il singolo e la comunità che appaiono sempre più labili: così, il rito di iniziazione dell’eroe fiabesco si riverbera innanzitutto sulla comunità che assiste alle sue avventure; le cento città che attraversa, le cento prove cui si sottomette, diventano altrettante tappe della nostra maturazione. XXXIV
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Ma esiste anche un ulteriore elemento, ancora più distintivo seppure variamente preparato in opere precedenti quali Tutto è bene ciò che finisce bene (1606-07), ed è che quell’eroe passa il testimone del suo ruolo a un’eroina, non una sposa ma una figlia, una fanciulla sulla soglia della maturità e dell’amore, la quale diventa agente di avventure, ma soprattutto di istruzione per sé e di progresso per gli altri, attori e spettatori inclusi. È il destino di questa figura femminile a emergere come un importante filo conduttore dell’azione, che può così diventare un’allegoria dell’ingresso della gioventù nella società adulta, e di una consapevolezza che viene finalmente raggiunta dopo le mille peripezie e le micidiali insidie che il mondo esterno obbliga a superare: dalla tirannide dei congiunti alla violenza di volgari pretendenti, dalle gelosie personali alle faide famigliari agli inganni dei maligni, fino ai vizi che deturpano i costumi della comunità. Molto spazio degli intrecci viene occupato dal precipitare di questi impedimenti, e dal concitato accapigliarsi dei loro agenti, in mancanza dei quali non ci sarebbe avventura. I drammi diventano così una storia esemplare delle resistenze che l’innocente, messa alla prova, è in grado di opporre alle forze retrive nel suo tentativo di raggiungere l’unico obiettivo per cui vale vivere, l’affermazione dei sentimenti che connettono una generazione all’altra. Nel Pericle, dove la mano di Shakespeare è visibile nelle ultime dodici scene, due sono le generazioni che si succedono negli accidenti dell’esistenza, e due le sequenze, simmetriche e omologhe, in cui si articola il dramma. Nella prima l’eroe Pericle, e nella seconda l’eroina Marina, sua figlia, impersonano il principio dell’amore ideale, e patiscono per questo una ingiusta persecuzione che ne oscura le identità. Alle prove cui sono esposti essi reagiscono dando prova di virtù e costanza, grazie alle quali vengono riconosciuti per quello che sono, e premiati col matrimonio o col ricongiungimento famigliare. Le due sequenze (scene 1-12 e 15-22) sono separate dal trascorrere di quattordici anni. Le scene 13-14, centrali, sono di transizione: nasce Marina mentre i suoi genitori vengono separati. Alla feroce innaturalità dell’inizio, dominato dal pericolo dell’incesto, si contrappone nel finale la naturalità felicemente restaurata nel rapporto fra padre, madre e figlia. L’arma di Marina nel momento di maggior rischio è la parola, l’alto linguaggio della tradizione letteraria, fattore reintegrante dell’eroina nella società. Così si accomiata da lei Lisimaco, che l’ha tentata per poi subito ritirarsi sconfitto: “Addio esempio XXXV
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di virtù, il migliore mai prodotto dalla natura: non ho dubbi che la tua sia un’educazione elevata” (19, 137-139). Il Racconto d’inverno accampa non una ma due eroine, madre e figlia, Ermione e Perdita, vittime l’una di una gelosia irragionevole, l’altra del pregiudizio di casta. Ancora due le sequenze temporali, ora distinte anche nel genere – tragica la prima, “comica” e “pastorale” la seconda – e separate dai sedici anni necessari perché Perdita, così chiamata perché ritenuta dispersa, ritorni al mondo con il fulgore della bellezza incontaminata. Rende notevoli queste figure una caratteristica del tutto nuova, che è il contrario di quanto innalza Marina nel dramma precedente: alla tracotanza della supremazia maschile Perdita e Ermione non oppongono una facondia da donne sapienti; la loro semplice presenza scenica porta con sé la promessa dell’agnizione, lontano dai prolungati discorsi che sono prerogativa dei potenti. Entrambe, del tutto inattese ma vive e palpitanti, entrano in scena dopo un periodo di eclissi: Perdita al centro di una festa campestre da tutti ammirata, Ermione nel cuore della corte nobiliare che l’aveva scacciata, e che ora l’accoglie come statua marmorea ferma e silente, pronta però ad aprirsi, magicamente e trionfalmente, all’abbraccio e all’affetto generale, grazie a un memorabile colpo di scena in tutto e per tutto debitore del mito di Pigmalione. È chiara l’intenzione metateatrale di questi spettacolari sviluppi: il nodo della vicenda si scioglie grazie a una serie di metamorfosi e travestimenti, cui non può mancare il commento straniante di Perdita: “Vedo che la commedia vuole che io vi reciti una parte!” (IV, 4, 656-657). In Cimbelino lo schema fin qui osservato si capovolge a più riprese: la realizzazione dell’amore dell’eroina Innogene è già avvenuta in un antefatto raccontato all’inizio, e tutta la vicenda consiste nel prodigarsi dei suoi nemici per disfare quella conquista, e nel suo impegno per conservarla. La giovane principessa ha sposato segretamente il prode Postumo, che per questo viene bandito e si rifugia a Roma. Cimbelino, il re britanno padre di Innogene, non solo non protegge la figlia ma lascia che la regina trami per gettarla nelle braccia di un suo indegno rampollo, poi di avvelenarla. Ignorando il destino l’una dell’altro, i due giovani affrontano separati una serie di prove sempre più impegnative che approfondiscono la loro estraneità, e che culminano nell’inganno ordito da un perfido italiano, Giacomo, che esibisce la falsa prova di avere sedotto Innogene. A Postumo non rimane che rivoltarsi contro colei che crede XXXVI
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fedifraga e volerla morta, mentre un personaggio più umile e fedele, Pisanio, gli contende il ruolo di eroe positivo. Gli sposi rimangono divisi e fieramente avversi l’uno all’altra fino all’ultimo, quando le agnizioni finali liberano tutti dalla pesante cappa di equivoci che li ha opposti finora. Innogene ostenta la forza di un guerriero: “In questa impresa sarò un soldato e la affronterò con il coraggio di un principe” (III, 4, 183-185), e a tale scopo si traveste da uomo, con il nome rivelatore di “Fidele”, ma in realtà la sua è solo una delle tante debolezze dell’intreccio. Anche questa è una variazione sul tema che conosciamo: a bella posta Shakespeare complica le cose, mostrando la protagonista in tutte le sue difficoltà e contraddizioni a impersonare un ruolo di riferimento. Scrive Daniele Borgogni a questo proposito: “Il dramma finisce bene ‘a spese’ di Innogene, nel senso che porterà lei e lo spettatore a liberarsi dell’illusione preconcetta che il linguaggio spieghi tutto in modo trasparente, ma soprattutto alla constatazione della precarietà e fragilità dell’identità umana, presentata come qualcosa di sfaccettato, frammentario e solo provvisoriamente fissato dal lieto fine”. Meno complesso il ruolo della donna nella Tempesta, che nella produzione del Bardo arriva quasi per ultima – anche nell’assegnare il testo a lui soltanto, gli altri drammi coevi essendo tutti in collaborazione – ma resta senza dubbio il suo frutto più ardito e originale, e non solo per l’allestimento scenico molto più elaborato e fastoso dei più modesti esperimenti del passato. Paradossalmente però, questo è anche l’unico dramma shakespeariano che rispetta la convenzione antica delle tre unità di tempo, luogo e azione, che i teorici rinascimentali attribuivano ad Aristotele. L’inizio rappresenta il momento in cui la figura femminile si affaccia all’esperienza della vita, e la struttura a doppia sequenza temporale viene nuovamente a cadere. Presente e passato sono compresenti e intrecciati fi n dal pressante racconto che l’eroe Prospero fa alla figlia Miranda dei tradimenti e delle angherie che lo hanno privato del trono di Milano, e di come i due siano approdati su una magica “isola disabitata”: “Non ho fatto niente se non per te, mia cara; per te, figlia mia, che ignori chi tu sia; che non sai niente di dove io venga…” (I, 2, 16-19). L’azione scenica diventa così la sostanza stessa dell’educazione di Miranda; con lei il pubblico è indotto a identificarsi, e in lei emerge tutta una gamma di sentimenti formativi: la pietà nei confronti dell’umanità infelice – “Oh! Alla vista di quei poveretti che soffrivano, ho XXXVII
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sofferto anch’io! … Quelle grida sono stati colpi bussati alla porta del cuore!” (I, 2, 5-9) – l’affetto verso il genitore e il sostegno morale alla sua causa – “Oh, mi sanguina il cuore a pensare alle sventure in cui vi siete trovato!” (63-64; cfr. 152-153) – il ribrezzo per la violenza tentata su di lei dall’abominevole selvaggio cui ha insegnato il linguaggio – “Schiavo aborrito, che respingi ogni impronta di bontà, capace come sei di ogni male! Io ti compativo, mi sono sforzata per farti parlare”… (I, 2, 353360) – l’incanto del primo incontro con un uomo che nessun tabù le possa sottrarre: “Cosa è quello? Uno spirito? […] potrei definirlo una cosa divina; poiché in natura non ho mai visto nulla di così nobile”… (413-422) – e l’abile difesa che fa del giovane, mettendo tra parentesi il padre (499-500). Infine, il pudore che dapprima la trattiene dal dichiarare tutto il suo amore, ma che poi cede al sacro trasporto dell’innocenza, facendole rompere ogni indugio: FERDINANDO
Perché piangete? MIRANDA
Per la mia indegnità, che non osa offrire quello che io desidero dare, e tanto meno prendere quello che mi fa morire dal desiderio. Ma queste sono sciocchezze. Questa cosa tanto più cerca di nascondersi, tanto più grande appare. Via, timida prudenza! Consigliami tu, innocenza semplice e santa! Io sono vostra moglie, se mi vorrete sposare; altrimenti morirò vostra vergine. Di esservi compagna potete negarmi; ma sarò la vostra serva, che lo vogliate o no. (III, 1, 77-86)
Così, grazie all’amore provato e corrisposto, si conclude la crescita di Miranda da naufraga dispersa e impotente a sposa felice e principessa di un regno “italico” (di pura fantasia). Un processo parallelo è quello con cui l’eroe Prospero riesce a debellare le congiure ordite dai naufraghi prima e durante il viaggio, e a ristabilire la giustizia a suo tempo violata. Lo aiutano in questo il potere arcano dei libri di magia e la sottomissione di Ariel, uno spirito dell’aria che lui controlla fino alle battute finali, quando anche Ariel può finalmente ritornare alla libertà del suo elemento. Dall’incantesimo di Prospero restiamo così liberati noi stessi, ancora aggrappati a quel relitto di nave e di speranza che la tempesta ha XXXVIII
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squassato, ma che conteneva, ignorati o irrisi da tutti, Ferdinando con la sua promessa d’amore e Gonzalo, “onesto vecchio consigliere”, con il suo incrollabile ottimismo – “Qui c’è tutto quel che favorisce la vita”… (II, 1, 54) – e la sua flebile, “comica” utopia d’altri tempi: GONZALO
In questo regno io farei ogni cosa alla rovescia. Non consentirei nessun tipo di commercio; nessuna carica di magistrati; le lettere sarebbero ignote; niente ricchezza, povertà, servitù; niente […] In comune tutte le cose che la Natura produrrebbe senza sudore e senza sforzi: tradimento, fellonia, spada, lancia, pugnale, fucile, o necessità di qualsivoglia macchina, non l’avrei; ma la Natura elargirebbe di sua iniziativa ogni abbondanza, ogni frutto, per nutrire il mio popolo innocente. (II, 1, 153-170)
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INTRODUZIONE
University Press, 1941; B. HODGDON e W. W. WORTHEN (cur.), A Companion to Shakespeare and Performance, Malden, MA – Oxford, Blackwell, 2005; P. HOLLAND e S. ORGEL (cur.), From Script to Stage in Early Modern England, Basingstoke, Palgrave, 2004; D. LINDLEY, “Blackfriars, music and masque: theatrical contexts of the last plays”, in C. M. S. ALEXANDER (cur.), cit.; A. MARZOLA (cur.), The Difference of Shakespeare, Bergamo, Bergamo U. P., 2008; S. MCMILLIN e S.-B. MACLEAN (cur.), The Queens Men and their Plays, Cambridge, Cambridge U. P., 2004; G. MELCHIORI, (cur.), Le forme del teatro, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1979; ID., Shakespeare, Bari Laterza, 1994; N. MYHILL e J. A. LOW (cur.), Imagining the Audience in Early Modern Drama, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2011; S. SERPIERI (cur.), Come comunica il teatro: dal testo alla scena, Milano, il Formichiere, 1978; ID., Avventure dell’interpretazione. Leggere i classici oggi, Pisa, ETS, 2015; M. THOMPSON e R. THOMPSON (cur.), Shakespeare and the Sense of Performance. Essays in the Tradition of Performance Criticism in Honour of Bernard Beckerman, Newark-London, Delaware U. P., 1989; R. WEIMANN, Authority and Representation in Early Modern Drama, Aldershot, Palgrave Macmillan, 1996; ID., Author’s Pen and Actor’s Voice: Playing and Writing in Shakespeare’s Theatre, Cambridge, Cambridge U. P., 2000; R. WEIMANN e D. BRUSTER, Shakespeare and the Power of Performance. Stage and Page in the Elizabethan Theatre, Cambridge, Cambridge U. P., 2008; B. WILSON e P. YACHNIN (cur.), Making Publics in Early Modern Europe: People, Things, Forms of Knowledge, London-New York, Routledge, 2010; P. YACHNIN, Stage-Wrights. Shakespeare, Jonson, Middleton, and the Making of Theatrical Value, Philadelphia, Pennsylvania U. P., 1997; P. YACHNIN e P. BADIR (cur.), Shakespeare and the Cultures of Performance, London, Ashgate, 2008; P. YACHNIN e J. SLIGHTS (cur.), Shakespeare and Character. Theory, History, Performance, and Theatrical Persons, Basingstoke-New York, Palgrave Macmillan, 2009. Su teatro e religione K. BRITLAND, “Politics, religion, geography and travel: historical contexts of the last plays”, in C. M. S. Alexander, cit.; P. COLLINSON, From iconoclasm to Iconophobia. The Cultural Impact of the Second English Reformation, Reading, University of Reading, 1986; J. H. DAGENHARDT e E. WILLIAMSON (cur.), Religion and Drama in Early Modern England. XLIV
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UN AUTORE, DUE MESTIERI
The Performance of Religion on the Renaissance Stage, Franham, Ashgate, 2011; C. GALLAGHER e S. GREENBLATT, Practicing New Historicism, Chicago, University of Chicago Press, 2000; C. GALLO, L’altra natura. Eucarestia e poesia nel primo Seicento inglese, Pisa, ETS, 2018; S. GOSSON, Playes Confuted in Five Actions (1582), New York-London, Garland, 1972; R. HORNBACK, “Staging Puritanism in the early 1590s: the Carnivalesque, Rebellious Clown as Anti-Puritan Stereotype”, Renaissance and Reformation, XXIV, 3, 2000; K. JACKSON e A. F. MAROTTI (cur.) Shakespeare and Religion. Early Modern and Postmodern Perspectives, Notre Dame, IND, Univ. of Notre Dame, 2011; D. LOEWENSTEIN e M. WITMORE (cur.), Shakespeare and Early Religion, Cambridge, Cambridge U. P., 2015; J. R. LUPTON, Citizen-Saints. Shakespere and Political Theology, Chicago, Chicago U. P., 2005; J. D. MARDOCK e K. R. MCPHERSON (cur.), Stages of Engagement. Drama and Religion in Post-Reformation England, Pittsburgh PEN, Duquesne U. P., 2014; J.-C. MAYER, Shakespeare’s Hybrid Faith. History, Religion and the Stage, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2006; PH. STUBBES, Anatomie of Abuses (1583), cur. M. J. Kidnie, Shakespeare Institute, Birmingham, 1996; B. WALSH, Unsettled Toleration. Religious Difference on the Shakepearean Stage, Oxford, Oxford U. P., 2016; E. WILLIAMSON, The Materiality of Religion in Early Modern English Drama, Bagingstoke, Ashgate, 2009; P. YACHNIN e P. BADIR (cur.), Shakespeare and the Cultures of Performance. London, Ashgate, 2008.
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Tutte le opere di William Shakespeare IV Tragicommedie, drammi romanzeschi, sonetti, poemi, poesie occasionali
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The Merchant of Venice Il mercante di Venezia Testo inglese a cura di WILLIAM MONTGOMERY Nota introduttiva, traduzione e note di FRANCO MARENCO
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Nota introduttiva
“Il più problematico dei drammi di Shakespeare”, “inquietante”, “poliedrico”, “sospeso fra opposti” – o, più dottamente, “dialettico” – : il Mercante di Venezia non si lascia facilmente imprigionare in una sola dimensione, com’è evidente dalla sua prima iscrizione nel registro dei testi approvati dalla censura: “Il Mercante di Venezia, altrimenti detto l’Ebreo di Venezia”. Un titolo inusuale, che lasciava aperto il dubbio: quale è il protagonista, il mercante cristiano o l’usuraio ebreo? E quali contrasti e sentimenti nasconde quell’interrogativo? E come rappresentarli a un pubblico avido di sensazioni forti? Prendiamo il rapporto fra Shylock l’ebreo e Jessica la sua bella figlia, che per amore del cristiano Lorenzo fugge di casa con la pingue cassaforte del padre. Il quale, colpito in quanto ha di più caro, e non distinguendo fra affetti e interessi pecuniari, sembra sia stato udito esclamare: “Mia figlia! Oh, i miei ducati! Oh, mia figlia! Scappata con un cristiano! Oh i miei ducati cristiani! Giustizia! La legge! I miei ducati e mia figlia!” ecc. (II, 8, 15-18); e più tardi, quando Jessica viene rintracciata a Genova, intenta a sperperare il patrimonio paterno, ecco come Shylock si lamenta: “Vorrei vedere mia figlia morta ai miei piedi con quei gioielli alle orecchie! Lei, nella bara ai miei piedi con tutti i ducati lì dentro!” ecc. (III, 1, 82-84). “Sporco spilorcio” mormora una voce dentro di noi; ma “povero vecchio, povero padre ferito” corregge un’altra voce, cogliendo la disperazione che prorompe da quelle vane e sconclusionate invettive. Il fatto che si confondano così grettamente possessività sentimentale e ingordigia pecuniaria non può che indurci a una smorfia, a metà fra il disprezzo e la commiserazione; una smorfia che poteva ben voltarsi, quando 7
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Shylock entrò in scena per la prima volta, in una risata beffarda, serva di un pregiudizio radicato nel profondo – ma altrettanto profondamente bilanciato e messo in crisi, nella stessa scena, dalla memorabile rivendicazione che l’ebreo fa della propria umanità, e del suo valore universale (III, 1, 49-69). Questo è l’instabile equilibrio che l’intero dramma mette in campo, oggi come ieri, pur con diverse sfumature: un costante slittamento di impressioni ed emozioni, dalla condanna alla pietà, dal disgusto alla simpatia, dal serio al faceto, dalla dissonanza all’armonia. Il dubbio è addirittura posto al centro della struttura drammatica, come mise en abîme farsesca e all’antica, un ricalco della psicomachia medievale: a mostrarsi sospeso fra ebraismo e cristianità, fra parsimonia e dispendio, fra ribellione e parola data è il servitore di Shylock, il buffone Lancetta – si veda più sotto la matrice di questo nome – che in soliloquio faustiano inscena una tenzone accesa e prolungata fra il diavolo tentatore che gli impone di rompere gli indugi e scappare a gambe levate dall’ebreo, e l’angelo della coscienza che lo esorta a essere “onesto”, a restare nei ranghi, come doveva apparire giusto anche allora (II, 2, 1-29). La sospensione di Lancetta fra propositi ed esiti alternativi non è certamente propria soltanto del Mercante, ma vi trova un’espressione esemplare. Un tratto caratteristico della drammaturgia shakespeariana è quello di evocare verità e riflessioni centrali attraverso i margini, cioè mettendole in bocca a personaggi di seconda e terza fi la come un servo, e quasi distrattamente, come degli “a parte” inessenziali – comici perché sprovveduti, ma seri perché liberi e diretti alla sostanza che gli altri preferiscono non vedere: “Questa manica di stupidi ha portato alla luce quel che la vostra saggezza non ha scoperto” dice Borraccio in Tanto rumore per nulla, parlando dei bifolchi che scoprono verità a lungo ignorate (V, 1, 225-227). E a metà fra il serio e il comico – ovvero fra il diavolo dell’esclusione e l’angelo dell’inclusione – sono rimaste sospese generazioni dopo generazioni di spettatori, di fronte a un dramma come il Mercante che tocca, tra le altre, una questione vitale per la civiltà di ogni tempo e paese, il confronto fra maggioranze e minoranze etniche: in un mondo popolato non solo di “veneziani” – come al solito molto simili ai londinesi – ma anche di “mori”, cioè di arabi musulmani o “pagani”, di principi e buffoni, signori e mendicanti, insomma del più vario campionario antropologico che nel Cinquecento si potesse immaginare, 8
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il testo concentra e tiene insieme i principi dell’intransigenza identitaria e della tolleranza comunitaria, della vendetta e della conciliazione, dell’accaparramento capitalistico e dell’osservanza delle Leggi ataviche. Avvicinandoci di più alla contingenza storica, osserviamo che Shylock nasceva col compito di rivaleggiare con Barabas, L’ebreo di Malta messo in scena da Christopher Marlowe fra il 1589 e il 1592, e ripreso nel 1594 e 1596 (e giudicato da T. S. Eliot nel Novecento, con tipica spocchia, «una farsa»). Simili figure di ebrei dall’avidità e perfidia spropositate nascevano in un contesto indubbiamente antisemita, per leggende e dicerie ataviche più che per esperienze dirette: dall’Inghilterra quel popolo era stato cacciato sotto Edoardo I tre secoli prima, e nel Cinquecento sembra che non ne rimanessero che poche famiglie in incognito. Di quella etnia non si conoscevano il “carattere” e i modi di vivere che per sentito dire, principalmente attraverso la letteratura e soprattutto la predicazione religiosa (si ricordano tra le altre le frequenti condanne di Martino Lutero, e i suoi i trattati contro “i giudei e le loro calunnie”, 1543); una letteratura che attribuiva all’ebreo, fra le altre nefandezze, quella dell’usura ipocritamente condannata dalle comunità cristiane – con ampi spazi per un compiacente revisionismo, come quello dei banchieri italiani e tedeschi, o di Calvino nella Ginevra della Riforma –. Simili stereotipi popolari venivano attualizzati in occasione delle frequenti campagne avverse ai mercanti stranieri, o di casi clamorosi come quello che aveva portato sul patibolo l’archiatra reale, il portoghese Roderigo Lopez, ebreo convertito, accusato – probabilmente a torto – di aver attentato alla vita della regina, e giustiziato il 7 giugno 1594. Ridurre simbolicamente l’ebreo a campione di intrecci molto molto noir, cioè di crudeltà nefaste e macchinazioni tanto complicate quanto risibili in qualsiasi contesto di razionale convivenza, allora come ieri – e speriamo non più oggi, né domani – era un modo facile per battere cassa, per offrire alla folla uno dei tanti capri espiatori a basso prezzo di cui è sempre avida consumatrice: una figura tanto ridicola quanto innocua, dato che la sua reale incarnazione non era a portata di mano nella vita di tutti i giorni. In Shylock ritroviamo tracce di questa caratterizzazione demoniaca, ma l’arte di Shakespeare non si ferma mai alla facciata dei fenomeni, e qui come in ogni altro contesto problematico subentra, si direbbe per sua naturale necessità, la complicazione del dato iniziale. Ne è prova proprio la sospensione e l’altalena che hanno 9
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subito da allora a oggi le interpretazioni del Mercante – di questo, forse più che di ogni altro dramma shakespeariano – a conferma che nel tempo qualsiasi testo dice cose diverse a spettatori diversi, e che qualsiasi lettura viene influenzata da gusti, pregiudizi e ideologie mutevoli. Torneremo sulla storia delle più memorabili messinscene; ci basti per ora tener presente che figure comiche in senso lato – per intenderci, non lontane dalle buffonerie slapstick della commedia dell’arte, fi no a quella del primo cinematografo e del Chaplin più legato alla tradizione popolare – erano quasi certamente gli Shylock cinque e secenteschi, con tanto di parrucca rossa, naso adunco, zimarra bisunta, gesti e strepiti esagerati (ne sopravvivono esemplari ancora nel Novecento, per esempio nelle interpretazioni di Max Reinhardt a Berlino nel 1921, o in quella di Theodore Komisarjevsky a Stratford nel 1932 – bruttissimi anni per simili scelte). Ma nessuna epoca, almeno dal Settecento in poi, ha potuto sottrarsi al fascino di altri Shylock, quelli di statura tragica, pieni di dignità e di profonda umanità offesa (vuoi per la “terribile energia” con cui lo impersonò Edmund Kean nel 1814, vuoi per la vivacità e fi nezza psicologica che gli conferì Peter O’Toole nel 1960, o più recentemente per la sardonica consapevolezza dell’ipocrisia e della crudeltà del mondo degli affari portata in scena da Philip Madoc con la regia di Michael Bogdanov nel 2003). A noi non resta che registrare per ora come queste letture discordanti – fra cui la “comica” dove “giustizia è fatta” e tutti sono contenti, e la “tragica” dove “la giustizia non è di questo mondo” e il singolo resta vittima senza redenzione – abbiano proceduto sostanzialmente mescolate, se non addirittura appaiate lungo i secoli, e siano oggi impossibili da districare, se non al prezzo di tradire la polisemia shakespeariana. Del resto, il dramma segnalava la sua (occasionale, certo mai dichiarata) natura di “tragicommedia” fin dal titolo della sua prima edizione, The Comical History of the Merchant of Venice, anche quello piuttosto ambiguo: era un avvertimento al pubblico, che uno stiracchiato lieto fi ne era a portata di mano, o era al contrario solo sabbia negli occhi di spettatori troppo inclini a commuoversi? Data e trasmissione del testo La prima notizia che si ha del Mercante è la già menzionata iscrizione nel registro delle pubblicazioni consentite (Stationers’ Register), il 22 luglio del 1598, con la proibizione di stampare il testo senza il permesso del 10
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lord ciambellano, nella cui compagnia di attori militava Shakespeare. Il titolo compare inoltre, ancora nel 1598, in una miscellanea di luoghi comuni letterari, Palladis Tamia del religioso Francis Meres, per cui si suppone che il dramma fosse già stato presentato, fra il 1596 e il 1597, come uno degli ultimi drammi proposti dall’impresario James Burbage nell’arena del Theatre, o uno dei primi nel Curtain in cui la compagnia si era trasferita. Dell’originale sopravvivono due edizioni in-quarto, ambedue datate 1600, ma una (Q1) appartiene verosimilmente a quell’anno, mentre è stato accertato che l’altra (Q2) appartiene a una serie stampata solo nel 1619, e falsamente datata. Una terza edizione trovò posto nel’in-folio (F) del 1623, curato da John Heminges e Henry Condell, membri della compagnia originaria. Q2 e F derivano da Q1, ma ambedue con numerose varianti di dubbia autorevolezza, e tracce di interventi censori. Q1 è ritenuto molto vicino al manoscritto autografo, e fornisce quindi il testo-guida per questa edizione, con l’aggiunta delle didascalie di regia, più estese in F, e della divisione in atti, anch’essa presente in F (mentre la divisione in scene è opera di curatori settecenteschi, a cominciare da Nicholas Rowe, 1709). I nomi dei personaggi In Q1, Q2 e F i nomi dei personaggi ricorrono con notevoli variazioni, o abbreviati in modo spesso eccentrico. Shylock vi appare unito al generico Jew (quest’ultimo preferito nell’edizione Arden 2010); l’edizione Oxford 2005 curata da William Montgomery, che qui riproduciamo, lo stabilizza come già aveva fatto Rowe, e inoltre considera come un personaggio unico Salerio quello che negli originali compare come Salarino e Salario, senza una vera distinzione di ruoli. Per il personaggio che nelle edizioni originali compare come Iobbe e Iob (ovvero “Giobbe”), Montgomery opta per “Gobbo”, con ciò avvicinandosi senza volerlo alla singolare scoperta che uno storico nostro contemporaneo, Brian Pullan, ha fatto negli archivi della Serenissima, per cui, come spieghiamo ancora più sotto, alla fi ne del Cinquecento guardiani del Ghetto erano davvero un padre e un figlio di nome “Gobbo”. (Un’identificazione alternativa è quella proposta da M. M. Mahood nell’edizione Cambridge 20032: fra le tante descrizioni di Venezia reperibili a Londra alla fi ne del Cinquecento poteva esserci quella del Gobbo di Rialto, scultura di Pietro Grazioli 11
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da Salò che sostiene la “Piera del Bando”, un piccolo palco in pietra dal quale venivano gridate le proclamazioni ufficiali). Nel testo il figlio è Launcelot e Launcelet, che in Rowe diventa Launcelot, ripreso dalle edizioni moderne senza una vera ragione, e diventato “Lancillotto” nelle precedenti traduzioni italiane. Ma il curatore dell’edizione New Oxford 2017, Rory Loughnane, giudica, secondo noi giustamente, “assurda ogni allusione al cavaliere eroe della leggenda arturiana in questo contesto”, per cui nella nostra edizione diventa “Lancetta”, un’approssimazione al moderno lancet (“bisturi”), ed al probabile intento dell’autore di fornire il personaggio di un qualche acume nell’esporre le contraddizioni dell’ambiente. Inoltre Loughnane, con altri studiosi come Catherine Gallagher, preferisce “Giobbe”, cioè la figura biblica, a “Gobbo”, e distingue i ruoli di Salerio e Solanio, ma accetta di considerare Salerino e Salerio come un unico personaggio. Le fonti e la vicenda Le fonti del Mercante appartengono a due rami del grande tronco della narrativa, l’orale e il letterario, che per quel tempo possono a malapena essere distinti, per il loro diffondersi attraverso i racconti in piazza o intorno al fuoco prima che in volumi a stampa. Non ci attarderemo quindi sul problema se Shakespeare conoscesse l’italiano, lingua nella quale è scritto il maggiore di quei testi, la prima novella della quarta giornata della raccolta, Il Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, scritta fra il 1378 e il 1385 e nota soprattutto nell’edizione milanese del 1558, in cui fu molto rimaneggiata dall’editore Lodovico Domenichi. È la storia di Giannetto e Ansaldo, che contiene – riveduti e corretti come vedremo – tutti i principali avvenimenti della storia del Mercante, con l’eccezione delle fortune del corteggiamento di Porzia affidate alla scelta degli scrigni. Quest’ultimo episodio ha il suo probabile testo d’origine in un manuale per predicatori composto fra il Due e il Trecento, le Gesta romanorum ben note ad autori come Boccaccio, Chaucer, Gower (in Confessio Amantis), e reperibile in una traduzione di Richard Robinson ristampata nel 1595. Shakespeare però tratta quel materiale manipolandolo a scaltro uso e consumo suo e del suo pubblico. Inoltre, per i modi della fuga di Jessica dalla casa paterna vanno menzionati il Novellino di Masuccio Salernitano, e il già ricordato Ebreo di Malta di Marlowe. Molte altre ipotesi sono state avanzate nell’accanita caccia a episodi, 12
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brani, assonanze che potrebbero aver ispirato particolari momenti del dramma – da una ballata popolare sulle crudeltà dell’ebreo Gernutus, a un copione non sopravvissuto intitolato The Jew, al romanzo Zelauto di Anthony Munday (1580: dove l’usuraio è cristiano e non ebreo), alla “Declamazione 95” dell’Epitome de cent histoires tragiques, una raccolta di esercizi retorici compilata da Alexandre Sylvain e tradotta come The Orator (1596), fino alla tarda “moralità” The Three Ladies of London, attribuita a Robert Wilson, che metteva in scena le allegorie di Amore, Coscienza e Lucro, seguite dal “segretario” Usura – ma una simile ricerca appare oggi poco produttiva di fronte a un più flessibile e ampio concetto dell’intertestualità, capace di portare in gioco, accanto a questo o quel preciso richiamo, le inesauribili ed elusive potenzialità del “pensiero anonimo e collettivo” (come direbbe il nostro Gianni Celati) che circolavano nelle narrazioni della comunità. I tratti principali del Pecorone sono talmente vicini al nostro dramma da permetterci di trattare insieme fonte e vicenda raccontata, accomunando due sezioni solitamente distinte nelle note introduttive di questo volume. Un’idea dello sviluppo del racconto ci è data dal malizioso riassunto premesso nelle edizioni a stampa: Giannetto, morto il padre, va a Vinegia, ed è accolto come figliuolo da messer Ansaldo, ricco mercante. Vago di vedere il mondo, monta sopra di una nave, ed entra nel porto di Belmonte. Quel che gli avvenne con una Vedova, signora di esso, la quale prometteva di sposar colui che giacendosi con lei n’avesse preso piacere.
Però la promettente vedova si rivela un osso duro, perché addormenta il povero Giannetto prima di coricarglisi accanto: così lui perde il piacere e la scommessa, e con essa la nave di Ansaldo. Altro viaggio, e altra sconfitta dell’innamoratissimo Giannetto, che viene ancora soccorso dal sempre generoso Ansaldo. Questi però, avendo esaurito le sue sostanze, accattò dieci mila ducati da un giudeo, con questi patti, che s’egli non glie li avesse renduti da ivi a San Giovanni di giugno prossimo che venia, il detto giudeo gli potesse levare una libra di carne d’addosso dovunque e’ volesse; e così fu contento messere Ansaldo; e ‘l giudeo di questo fece trarre carta autentica 13
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con testimonii, e con quelle cautele e solennità che intorno a ciò bisognavano, e poi gli annoverò dieci mila ducati d’oro, de’ quali danari messere Ansaldo fornì ciò che mancava alla nave […]
Al terzo viaggio, grazie a una “cameriera” che lo avverte dell’inganno, Giannetto non si addormenta e conquista finalmente la vedova – che ne risulta “più che contenta” – e con lei un immenso patrimonio; dimentica però Ansaldo e la cauzione impegnata per lui, che il giudeo ora esige a tutti i costi. Il novello sposo ritorna precipitoso a Venezia, dove arriva anche la sposa, travestita da saggio giudice bolognese, in tempo per risolvere argutamente il caso, a tutto detrimento dell’ostinato usuraio. Segue la vicenda dell’anello “impegnato” per amore, abbandonato per gratitudine, ricuperato per lo scioglimento fi nale, con il ritorno di ciascuno alla propria identità. La storia del Mercante è grosso modo quella raccontata da ser Giovanni: più che la scheletrica trama, deve avere attirato il talento drammaturgico del Bardo la sua profonda simbologia, cioè l’abbondanza di motivi ricorrenti in un millenario flusso di narrazioni popolari, che la mitologia classica e la novellistica italiana e francese avevano tramandato per tutto il medioevo, per offrirli poi alla rivisitazione dell’antropologia e della psicoanalisi moderna: sono archetipi e frammenti di miti e fiabe senza tempo, riemergenti in racconti che ne hanno perso il bandolo cosciente, o che lo nascondono a un pubblico ormai distaccato, ma che comprende e apprezza stereotipi come la conversione dell’impresa bellica o commerciale in impresa d’amore, la seduzione esercitata sull’eroe dalla donna che è insieme Eros e Thanatos (si veda il saggio di Freud su Il motivo della scelta degli scrigni, 1913), la lotta della sagacia umana contro i capricci degli dei o della Fortuna, il successo propiziato dalla soluzione di un enigma, il sangue e la carne dati come pegno per una redenzione altrimenti impedita, il valore materiale opposto al valore morale, ecc. ecc. Alla resa dei conti, Shakespeare rimodula tutti questi motivi a sua convenienza: rinomina i personaggi – Bassanio per Giannetto, Antonio per Ansaldo, Porzia per la Vedova – altera i termini del corteggiamento affidando la conquista del trofeo femminile-patrimoniale alla scelta di uno fra tre scrigni di metalli diversi – con il valore ideale opposto al valore venale – e quindi introduce un elemento di riflessione etica che manca 14
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nella novella italiana; ma nel contempo accentua la connessione fra motivo sentimentale e motivo economico, collocandola al centro del dramma. A legare questi due livelli di discorso non sono infatti solo le parole di Shylock che più sopra ci hanno sorpreso ed esasperato, ma anche il modo in cui Bassanio si presenta ad Antonio (chiedendo che si indebiti per favorire le sue aspirazioni patrimoniali) e al pubblico: “A Belmonte c’è una ricca ereditiera […] Oh mio Antonio, se avessi i mezzi [per farla mia] il mio spirito pronostica un tale guadagno che senza dubbio farebbe la mia fortuna”… (I, 1, 161-176). Ancora più complesso di attrazioni e restrizioni, debiti e crediti, promesse e frustrazioni è il triangolo che si disegna fra Antonio, Bassanio e Porzia in sostituzione del semplice rapporto parentale (o quasi) fra Ansaldo e Giannetto – in cui l’intrusione del “giudeo” interviene solo come complicazione dell’intreccio e occasione della sorpresa finale, senza immediati riflessi di rilievo morale o civile. In termini simbolici, l’aiuto che nel Pecorone la generazione degli anziani concede ai giovani perché si riproducano/arricchiscano in un regime di pacifico e ordinato godimento della proprietà viene aggiornato nel Mercante nell’aiuto portato dall’amico all’amico in regime di finanza spietata, che impone la propria legge, strozza ogni slancio umano ed è pronta a condannare ogni sentimento che non si pieghi al preciso computo del dare e avere; e che lascia l’amicizia sospesa in uno spazio di ambiguità, dove i sentimenti non sono più quelli di sempre, riconoscibili e perseguibili come tali, ma vagano allo sbando. Le infi nite illazioni sulla malinconia e la possibile omosessualità di Antonio non possono essere abbracciate del tutto o del tutto rifiutate, perché dipendono dalla rarefazione e dall’incostanza che un’economia già moderna – sotto il nome fatidico di “usura” – ha introdotto nelle relazioni fra gli uomini, e qui fra lui e Bassanio. Per questo Shylock, il rappresentante di questa confusione, diventa il vero, tragico protagonista del dramma. Tragico, ma non ancora propriamente moderno: il fatto che il compito di deus ex machina gli venga sottratto da chi ha i soldi non per esosità parossistica ma per legittima eredità, cioè da Porzia en travesti, è il modo che Shakespeare riprende per sentirsi erede anche lui, di un passato e di un sistema narrativo ben evidentemente, già ai suoi tempi, recuperabile solo attraverso l’inventiva del rifacimento, della riscrittura. Appartiene al capitolo delle fonti la scoperta cui abbiamo accennato, annunciata nell’ultimo Novecento da Brian Pullan, eminente storico di 15
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Venezia: un documento negli archivi della Repubblica veneziana identifica ben due “Gobbo”, padre e figlio, come guardiani del Ghetto (V. Riferimenti bibliografici). È come se Shakespeare desumesse il suo testo e i suoi personaggi non dalle fonti di cui si continua a discutere, ma dalla vita stessa; o, azzardiamo in questo caso, da una poi dimenticata frequentazione della Commedia dell’arte… Problematica e prospettive critiche Abbiamo accennato nelle due sezioni precedenti all’indecidibilità che è caratteristica del testo del Mercante, cioè alle incertezze in cui induce il genio poetico shakespeariano proponendo alla limitata e confusa coscienza di noi, pubblico nell’Europa del secolo XXI, le grandi questioni proprie della maturazione della civiltà umana, come quelle dei rapporti fra etnie e religioni diverse, fra sessi diversi e diverse concezioni dello scambio mercantile ed economico. Questioni fondamentali ma mutevoli da un’epoca all’altra, ora divise da un integralismo intransigente ora (molto più raramente) ricomposte in una conciliazione di estremi; ma soprattutto materie talmente intrecciate, talmente trascorrenti l’una nell’altra da non consentire visioni parziali, per temi esclusivi, e meno che mai conclusivi. Ne è un riflesso il cumulo di interpretazioni che ne sono scaturite, non ultime naturalmente quelle di attori e registi che attraverso quattro secoli hanno dato vita ai caratteri e agli eventi concepiti per il dramma shakespeariano che insieme all’Amleto è il più rappresentato di sempre. Interpretazioni che non possono non approdare a una visione multiforme e sfaccettata dell’opera: perché l’amore, il sentimento più assoluto nel sistema di valori occidentale, deve misurarsi con l’economia domestica, il denaro con l’interesse, l’interesse con la norma religiosa, la religione con l’etica sociale, l’etica con l’altro, l’altro con l’identità propria e del simile, l’identità con il desiderio, il desiderio con la virtualità del corpo, il corpo con l’imperativo della riproduzione, la riproduzione biologica con la riproduzione dei beni e la loro giusta valutazione, la giustizia umana con la misericordia divina, e così via. O più particolarmente: in Bassanio l’amore è vincolato al benessere materiale su cui la classe aristocratica fonda il suo potere; ma la libertà di questa classe non si esplica se non nell’ambito della volontà paterna (vedi Porzia), e quindi nell’omaggio a un invariabile codice ancestrale; e se l’amore, sentimento tutto personale, impone a Jessica di rompere 16
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questo codice, la perdita che ne consegue è quella dell’intera cultura di un nucleo sociale e dei suoi simboli, sì da oscurare i destini di chi quella perdita procura (lo si evince persino dall’unico vero momento lirico del dramma, il dialogo di Jessica e Lorenzo che apre il quinto atto con una nota di felicità erotica e insieme di presagio funesto); nel mondo del commercio, dove il valore è misurato in termini monetari, il malinconico Antonio non è né carne né pesce: segue i dettami della sua categoria per quanto riguarda l’acrimonia nei confronti dei concorrenti, ma li sovverte quando si rifiuta di prestare denaro a interesse; e non gli è da meno Shylock, che predica una visione umanitaria della posizione nel mondo di sé e dei suoi correligionari dopo aver dichiarato il suo odio per il gruppo sociale opposto; e l’espediente con cui Porzia in qualità di giudice cava d’impaccio il debitore Antonio non è che la riconferma, con assolutizzazione logica, del criterio con cui il creditore Shylock lo voleva condannato. Insomma, assistiamo al continuo rincorrersi, disunirsi e completarsi di questioni morali, sociali e religiose che vogliono essere considerate nella loro concretezza storica non meno che nella loro universale e poetica immanenza, e che producono nell’esercizio critico una parallela disseminazione di punti di vista e di metodi, di cui cerchiamo di dar conto in modo molto sommario. Particolarmente influenti sono state le analisi della struttura comica o “del lieto fine”, in relazione ai riti della festa popolare e alla tradizione drammaturgica dell’Occidente (Frye), all’armonia familiare e sociale cui approda la conclusione (Danson), alla dialettica fra solidarietà e egoismo finanziario (Brown), al superamento dei confini del genere e della forma unitaria delle commedie precedenti (Leggatt), alla risoluzione dei contrasti tipica del rito comunitario impedita dall’extracomunitario per eccellenza, quello Shylock che nessuna convenzione riesce a contenere (Barber). La dualità fra individuo e comunità si inserisce in questa discussione non tanto nei termini della storia sociale (veneziana o, metaforicamente, inglese), quanto nei termini delle pratiche linguistiche del periodo: Shakespeare aveva imparato a scuola l’esercizio della retorica, che individuava la verità come prodotto di una osservazione da punti di vista opposti, e questo sarebbe il principio costitutivo di Shylock, per provocare nel pubblico reazioni volta a volta sfavorevoli o favorevoli alla sua storia (McDonald); in una prospettiva più generale, l’opposizione individuo/società sfocia nell’esigenza di 17
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non lasciarsi “ricondurre all’ossessione del dominio, all’obbligo di controllare il dominato, alla passione imperiale” (Lyotard), o nel raggiungimento di un’etica del dono (Gallagher). Shylock appartiene a una vasta serie di personificazioni del mito ebraico (J. Gross), mentre l’intreccio del suo dramma offre immagini di sovversione sociale e religiosa che solo il rito teatrale riesce a esorcizzare (Fiedler). Molti sono gli studi sull’evolversi dello stereotipo dell’ebreo – che paradossalmente diventa alla fine “l’essenza alienata della società cristiana” (Greenblatt) – su come abbia concorso alla formazione dell’identità nazionale inglese, e sul contributo che al suo consolidamento è venuto dalla teologia protestante (Shapiro). Dalla tensione sentimentale che affiora nei dialoghi fra Antonio e Bassanio prendono spunto saggi di critica psicoanalitica e di genere: vi prevale l’osservazione che l’identità sessuale fosse al tempo di Shakespeare più mobile e indefi nita di quanto non si presuma oggi (Smith, Sinfield), e si dà risalto al confronto fra Venezia e Belmonte – la città “mascolina” e competitiva contro l’eremo “materno” e generoso – e fra Shylock e Porzia, quest’ultima come figura ermafrodita, efficace quando impersona ruoli maschili (Tennenhouse). Belmonte “addomestica” l’amore avventuroso della novellistica continentale, mentre Venezia resta il regno della violenza e dell’anarchia – ovvero, nei termini della teoria di Jacques Lacan – di tutto il desiderio inesperibile nei tempi nuovi (Belsey). La storia dei rapporti sociali ed economici che agitano il dramma fornisce naturalmente il più nutrito capitolo di ricerca. Il Nuovo storicismo (variamente definito negli Stati Uniti; in Gran Bretagna “Materialismo culturale”) e la nuova critica economica abbandonano la nozione di un testo prodotto da un soggetto unico e sovrano, per aderire a quella di un’elaborazione culturale complessiva, dipendente da molti fattori non tutti consci: fra gli altri, dal dialogo polifonico fra le voci dell’ufficialità e altre voci marginali e critiche che si levano dalle culture minori. Il Mercante offre più di un esempio in questo senso: l’episodio della scelta degli scrigni riporta alla luce una abusata fiaba popolare, ma viene impiegato per sottolineare come il valore materiale debba rimanere distinto dal valore spirituale, contro l’andazzo di una società che stava perdendo tale bussola (Drakakis). Il dilemma tipico degli studi neostoricisti, se il testo si offra a una lettura oppositiva o favorevole all’ideo18
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logia prevalente, viene risolto analizzando insieme le “mitologie economiche” cui si appoggia l’autore, ma anche il senso di emancipazione cui il dramma riesce ad approdare (Moisan). Secondo altri la letteratura subentra a legittimare nuovi assetti economici e sociali: il Mercante diventa allora dramma del conflitto fra un feudalesimo in estinzione e un sorgente capitalismo, risolto dall’alleanza, impersonata da Porzia, del latifondo con il capitale mercantile (Cohen), anche se i segni di benessere che ricorrono nel finale restano superficiali, e minacciati dalla perenne presenza di penuria e sconforto (Shell); le logiche razziste e capitaliste sono sovvertite dalla consapevolezza, attiva nel lettore moderno, degli sviluppi che razzismo e capitalismo hanno assunto nella storia (Ryan, Holderness). L’evoluzione del “linguaggio della differenza” è rintracciata non solo nell’azione drammatica, ma anche nel “processo di costruzione della nostra stessa modernità occidentale” (Marzola 1996), mentre ottiene sempre maggiore attenzione la traduzione letteraria di questioni tecniche come il maturare dell’economia dello scambio finanziario (Lawrence), la regolamentazione del credito, l’accumulazione primaria del capitale, il feticismo della merce, la coniatura, la mentalità dell’espansione (Woodbridge, Rizzoli). Una ripresa della prospettiva più genuinamente letteraria – in primo piano lo studio di come il drammaturgo costruisca il suo materiale – porta a insistere sulla presenza, nel Mercante come in tutti i drammi problematici, di volute, coltivate e irrisolvibili “contraddizioni”, e dei modi di lettura tipici del pubblico elisabettiano, che vedeva in Shylock la già popolarissima figura del vendicatore (Margolies) – figura appunto letteraria, prima che di rappresentante di una particolare economia o anche di una razza, i due aspetti del personaggio più discernibili e critici per noi, al contrario di quanto non fossero nel Cinquecento inglese –; ed ha carattere tutto letterario l’equilibrio che Shakespeare, al contrario di Marlowe, riesce a mantenere fra favola e distopia nel confronto fra mondi inconciliabili (Lombardi). Inesauribile resta comunque il problema critico delle caratterizzazioni, e soprattutto della caratterizzazione del protagonista Shylock; ciò che ci rimanda al più ampio quadro della cultura inglese fra Cinque e Seicento, ed al posto occupato dal teatro nella svolta impressa in ogni campo di attività dall’opera energica della Riforma protestante. Tale discorso non 19
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può esaurirsi nelle quattro battute possibili qui, per cui rimandiamo alle pur insufficienti note nell’introduzione generale al volume. Basterà rilevare per ora come l’atteggiamento degli influenti opinionisti religiosi nei confronti degli attori e delle loro rappresentazioni fosse di condanna ed esecrazione senza appello. Tornava utile il realismo antimimetico dei padri della Chiesa: il teatro era un travestimento generale, spacciava identità multiple e cangianti, era espressione di ingannevoli, depravate fantasie. I suoi esempi erano tiranni, assassini, femmine invereconde, e i suoi araldi erano attori sfuggenti alla propria identità naturale per impersonarne un’altra, finta e snaturata. Il suo linguaggio era quanto di più lontano si potesse immaginare dall’austera precettistica che i tempi esigevano, basata sulla lettura e la memorizzazione assidua della parola infusa dallo Spirito, unica fonte di saggezza e di vigore spirituale, da applicarsi e da seguire, al di là di qualsiasi pretesa ermeneutica, secondo il significato letterale (per William Whitaker, eminente teologo della Riforma inglese, la Scrittura trovava in sé l’unica sua interpretazione legittima [Disputatio de Sacra Scriptura contra hujus temporis papistas, 1588]). Una simile teoria della comunicazione svalutava, quando non deplorava, la polisemia dello spettacolo e la figuralità dell’espressione, ovvero i mezzi con cui i teatranti si guadagnavano da vivere, e da prosperare nei casi più fortunati: non si contano gli attacchi ai loro costumi stravaganti, alle loro vite assurde, ai loro discorsi fumosi, attacchi tutti basati sulla dicotomia fra “essere” e “apparire”. Ed era nell’ambito di questo stesso discorso che i polemisti protestanti accusavano i loro avversari cattolici di voler imporre il sigillo della sacralità letterale sulla natura puramente figurale del dogma della transustanziazione (per cui si veda lo studio di Carmen Gallo L’altra natura. Eucarestia e poesia nel primo Seicento inglese, 2018). Dal canto suo la gente di teatro rispondeva per le rime, spesso per sotterranea allusione più che per ritorsione diretta: Shakespeare stesso si tenne al coperto, com’era del resto suo costume, anche se alcuni suoi personaggi come il Malvolio della Dodicesima notte (1601) o l’Angelo di Misura per misura (1603-1604) non sembrano venire dal nulla: troppa la loro rigidità, ipocrisia e prosopopea per non ricordare certi divines puritani ridicolizzati in altri drammi coevi. Ora, nel Mercante di personaggi da “ridicolizzare” – tali cioè da gratificare il senso di superiorità se non il disprezzo del pubblico – ce n’è soltanto uno, Shylock: altri, 20
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come Lancetta e parzialmente Graziano, sono comici, diciamo così, per convenzione, ma non ridicoli. Invece non era facile sottrarre l’ebreo al peso degli stereotipi che albergavano nella narrazione popolare sulla sua gente. Per farne un uomo in carne ed ossa Shakespeare, e Marlowe prima di lui, dovevano ricorrere a qualità o caratteristiche di altri gruppi sociali, o di altre più riconoscibili etnie. Nell’Ebreo di Malta Marlowe aveva fatto di Barabas, con tipica aggressività iconoclasta, la sommatoria delle più esecrabili qualità di cristiani, musulmani ed ebrei messi insieme. Shakespeare trovava invece nella fonte, il Pecorone, un segnale più preciso e inderogabile: la cocciuta resistenza dell’ebreo a mutare, a cose fatte, i termini del contratto stipulato con Antonio. Alla preghiera di Porzia perché mostri clemenza, Shylock risponderà “quando [il contratto] sarà pagato alla lettera” (IV, 1, 232: per questa traduzione del termine tenor si veda la nota al testo italiano), con ciò richiamando posizioni ben al di là dell’ambito mercantile o razziale. Una libbra di carne ha da essere, e null’altro: nessun intervento interpretativo può scalfire il marmo di un testo che impegna tutta una comunità; un contratto è come una Scrittura sacra. Ora, i sostenitori di una simile teoria della comunicazione erano a quotidiana portata di mano: erano i riformatori che sostenevano, contro la secolare pratica dell’interpretazione allegorica, analogica e anagogica della Bibbia, che “la Scrittura non ha che un senso, che è quello letterale” (William Tyndale, The Obedience of a Christian Man, 1528). Molta della caratterizzazione di Shylock viene così a dipendere da uno sfondo di polemica religiosa e dei suoi artifici retorici. Quando si attribuiva a un personaggio un vizio come l’usura, o più generalmente come l’ipocrisia, di cui gli ebrei erano anche e specialmente accusati, il nome che ad esso si associava poteva essere quello di “ebreo”, ma la sostanza comportamentale che si affacciava nella caratterizzazione non era quella di un’astrazione: era quella di uno dei tanti “precisiani” – altro appellativo ironico per i puritani – che volevano il divorzio assoluto dei costumi e dell’espressione da ogni frutto della libera fantasia trasfigurante. Era, nella definizione che dava Thomas Nashe dell’ipocrisia, “ogni machiavellismo, ogni puritanesimo e compiacenza esteriore mostrata a un nemico, ogni profferta di amicizia verso colui che odio e che vorrei danneggiare; ogni mascheratura che nasconda azioni malvagie con apparenze di urbanità” (Pierce Penilesse His Supplication to the 21
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Deuill, 1592). Questi, che Nashe designa come difetti non di “ebrei” ma di “machiavellici e puritani”, sono il nucleo mitico su cui inizia a formarsi (o a confermarsi) Shylock, per poi acquistare sempre nuovi strati di complessità in un’operazione metaforica di spostamento di caratteristiche dal noto all’ignoto, e di sostituzione del vuoto di conoscenza con un pieno di esperienza. Al centro del dramma si manifesta così il problema del valore delle parole e dell’interpretazione. Lo si intuisce fi n dalla prima schermaglia al momento della formulazione del patto: un atto faticoso e complesso, a tre voci (Bassanio, Antonio, Shylock), che chiama in causa gli opposti modi di ragionare, le ostilità ataviche, le conciliazioni epidermiche e interessate, il cerimoniale della trattativa e i sospetti che la ostacolano, le resistenze irriducibili – ma anche, paradossalmente, le somiglianze di comportamento fra le etnie che si fronteggiano. Shylock gioca con gli strumenti della grande disputa cristiana sul senso e sull’interpetazione delle Scritture, volta a volta esibendoli o nascondendoli nel suo accorto, sofisticato argomentare. Egli si dichiara così padrone della finzione, in ciò assecondato dal suo oppositore Antonio, che mette in guardia l’amico Bassanio dalle pretese di onestà da parte di chi è avvezzo, come avrebbe detto Nashe, alle “mascherature”: “Hai sentito Bassanio? Il diavolo sa citare le Scritture per i suoi disegni […] Oh che bell’apparenza ha la falsità!” (si veda tutto I, 3). Shylock proclama il suo desiderio di vendetta, e Antonio lo segue in una fitta gara a chi dichiara di meno, e sottintende di più (I, 3, vv. 110-112; 128-135). Cristiani e ebrei sono legati in un’aspra contesa su chi con la parola si accanisce di più contro l’altro, senza uno spiraglio di conciliazione e anzi scoprendo lo specchio nel quale devono forzosamente riflettersi, per essere riconosciuti, alla fine, simili nella comune degenerazione. L’accostamento fra cristiani e ebrei, e l’uso che gli uni e gli altri fanno, in perfetta analogia, di una parola-feticcio, dotata soltanto di significati assoluti, acquistano la massima evidenza nella scena del processo che Shylock intenta ad Antonio, per ottenere fi nalmente il prezzo del loro patto (si veda tutto l’atto IV). Shylock è ancora il primo motore dell’azione, il campione di un letteralismo intransigente: fondamentale per lui è il documento – scritto e sottoscritto, come prova assoluta di identità convergenti – che lo lega e insieme lo oppone a un gruppo, una comunità, una religione “nemica”, che lo isola e insieme lo dota di un 22
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inusitato potere di vita o di morte sugli altri. Il suo è un fondamentalismo a doppio taglio, contro chi gli sta intorno e contro lui stesso. E non è lui il solo a investire tutto il suo destino nel senso univoco della parola. Anzi, la mossa che lo sconfigge, il formalismo alla seconda potenza di Porzia, non è altro che la riconferma, l’applicazione altrettanto univoca e perentoria del suo stesso rigorismo, reso ancora più tagliente dal senso di perdita defi nitiva e totale che comporta. Il dotto giudice nei cui panni si cela la signora di Belmonte ha buon gioco nel rovesciare sull’usuraio inflessibile la sua stessa inflessibilità (IV, 1, 321329). L’ultimo contrappasso è scattato, in un intreccio dove abbondano i contrappassi in una successione inesauribile e circolare. La giustizia nominalistica ha funzionato, la reversibilità dell’odio si è palesata, e la vecchia pretesa di Shylock, di specchiarsi nei costumi dei cristiani, ossia tanto nell’“umanità” che essi venerano quanto nella disumanità che essi praticano, è stata esaudita nel momento stesso della sconfitta – di lui, come dei cristiani ora trionfanti nel segno del travestimento, dell’inganno, del teatro. Lo stesso principio vige nella trama di Belmonte parallela a quella veneziana, come sempre succede nelle doppie trame del teatro elisabettiano. Anche a Belmonte si pone, nell’ambito dell’amore, la questione della scelta fra la lettera – cioè il valore manifesto degli scrigni – e la figura – cioè la loro verità interna, esplorabile soltanto al di là della superficie e dei feticismi. Cominciata in contrasto manicheo, la storia del Mercante continua a stemperare le opposizioni, a confrontare e ad avvicinare gli estremi, fi no a sancire la necessaria interdipendenza di tutto ciò che ci era apparso così irriducibilmente antitetico: Venezia e Belmonte, la materialità e l’astrazione, l’odio e l’amore, gli ebrei e i cristiani, la tragedia e la commedia. Il dramma si è costruito in graduale simmetria fra le tesi in gioco – le differenze, gli odi, le brutalità reciproche – tutte regolate dal principio letteralistico, e tutte alla fi ne sconfitte da un’unica antitesi, la licenza figurale, la metafora che è all’opera nei travestimenti, nelle analogie fra mercanti e amanti, nella rappresentazione di una storia italiana come trionfo di due princìpi ancora antitetici, l’arte e l’economia, insomma del nuovo materialismo che stava invadendo l’Inghilterra. Simmetrie, beninteso, non di riscatto per nessuno, ma di semplice reciprocità, di rispecchiamento di colpe comuni, di una crisi comune. 23
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La fortuna sulle scene e sullo schermo Abbiamo già riferito su come sia stato problematico, in tutto il percorso teatrale del Mercante, arrivare a interpretazioni non univoche, in bianco e nero, e con inevitabili risvolti fondamentalisti. Ci ha provato il fior fiore degli attori e dei registi del mondo intero, impegnati a variare gli strumenti della recitazione per arrivare al cuore di un inafferrabile Shylock, che sembra invitare agli stereotipi della razza, della religione, dell’aggressività economica, per poi rifiutarli tutti a favore soltanto della resa sulla scena, aiutata in questo da uno straordinario testo poetico. Già agli esordi, per quello che ne sappiamo, il disagio procurato da una sua personificazione solo negativa e quasi caricaturale veniva aggirato buttando tutto il resto in buffoneria e caciara: un modo sempre efficace per sollevare lo spettatore da un troppo profondo coinvolgimento. Ci fu presto chi pensò di cambiare registro: nel primo Settecento la storia venne voltata in senso tragico, con un protagonista che non era più il vendicatore frustrato e grottesco, ma una personalità sfaccettata, adatta alle grandi potenzialità di un grande attore, il già ricordato Edmund Kean. I rapporti di un’Inghilterra in pieno clima imperialistico con una comunità ebraica ormai attivamente presente sul territorio nazionale influirono notevolmente sulle numerose riprese del dramma nell’Ottocento, che trovarono in Henry Irving un acuto interprete dell’avvicinamento fra le qualità umane di ebrei e cristiani, annullando lo spazio del pregiudizio, e aprendo quello dell’autocoscienza nel pubblico. Le letture “fi lologiche” care alla scuola di William Poel riesumarono nel Novecento una vicenda ancora intrinsecamente cupa con uno Shylock capace di malvagità e rabbia, ma alleggerita dalla rivisitazione di riti e passatempi popolari attribuiti, con non poca fantasia, al Cinquecento. La pretesa di un’ambientazione storicamente rigorosa venne a cadere nelle messinscene successive, ricche di sfumature ricavate sì dal testo, ma approfondite secondo sensibilità e convinzioni proprie della contemporaneità, insomma facendo reagire l’una contro l’altra, insieme alle due culture, anche due mentalità lontane nel tempo. Ne risultarono alcune produzioni memorabili, come quella di Jonathan Miller nel 1970, ambientata in una Venezia “vittoriana”, cioè borghese e antisemita, cui uno Shylock impersonato da Laurence Olivier risponde con l’elegante sufficienza del parvenu più intelligente degli altri; o produzioni controverse come quella di John Barton otto anni dopo, a parti invertite, 24
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con uno Shylock gretto calcolatore, pronto a sacrificare la fede per il guadagno, e una Venezia che non gli è da meno quanto a meschinità e opportunismo. Il pendolo avrebbe presto oscillato in senso opposto con Arnold Wesker, figlio di ebrei est-europei, che nello stesso anno reinventava il dramma col titolo di The Merchant, opponendo alla separatezza del protagonista il protervo esclusivismo dei cristiani, e denunciando come fuorvianti persino i termini che egli usa per affermare la propria umanità (III, 1, 49-69). Pochi anni dopo, per la sempre viva serie delle attualizzazioni, l’attore Antony Sher vedeva nella messinscena della Royal Shakespeare Company la condanna della nuova apartheid attuata da Israele nei confronti dei palestinesi. O si prenda la produzione del Deutschestheater di Berlino Est nel 1986, che opponeva uno Shylock vitalissimo a una Venezia decadente, dedita ai bagordi, cristiana solo di nome; o molte di quelle del decennio successivo, in cui le caratteristiche più idiosincratiche delle due culture venivano cacofonicamente mescolate, fino a produrre un quasi insopportabile desiderio di chiarificazione – se non di resa dei conti, che appariva però sempre sospesa, rinviabile e, nei casi più riusciti, rinviata all’oggi dello spettacolo –. (Non arrivarono invece mai a tanto le numerose riprese fi lmiche e televisive – citiamo fra tutte quella diretta da M. Radford nel 2004, protagonista Al Pacino – proposte sotto l’influenza semplificante del cinema americano). Una rinnovata inconciliabilità caratterizzò la fine del secolo, favorendo l’espediente già adottato all’inizio, di contaminare elementi seri con elementi farseschi (affidati ai due Gobbo), e di caratterizzare i ruoli secondo risaputi profi li caricaturali, di cui Shylock fu ovviamente la prima vittima. Non meno ovviamente, anche l’ambiente mercantile veneziano fornì pretesti per aggiornare la critica di un capitalismo ormai trionfante su tutto il pianeta, capace di imporre una legge molto più dura di quella religiosa, che non lascia scampo ad alcuna conversione, e meno che mai al perdono: anche la piccola corte di Belmonte si rivela così portatrice di poco raccomandabili vocazioni, che ne negano la pretesa nobiltà. Gli effetti e le trovate suggerite dalle forme di spettacolo più moderne, dalla pantomima al vaudeville al musical, e persino da teorie scientifiche di gran seguito come la psicoanalisi, che erano affiorate sporadicamente nelle regie di tutto il secolo scorso, si ripresentano rinforzate nel nuovo: già alla fine degli anni ’90 Mark Rylance affidava una ripresa della commedia dell’arte a un trio di mimi capitanati da un italiano, Marcello 25
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Magni, con il compito di sollecitare la partecipazione attiva del pubblico, pronto ad esprimere sonoramente i propri sentimenti; mentre Trevor Nunn non risparmiava accenti morbosi nel rapporto fra Shylock e la figlia Jessica, che faceva parlare occasionalmente in Yiddish, né momenti omoerotici fra Antonio e Bassanio, i due cristiani che si impelagano nello sciagurato contratto con l’ebreo. Ma a influire sulle nuove produzioni non poteva non essere la grande crisi finanziaria iniziata nel primo decennio del secolo, e subito diventata occasione di ripresa e consolidamento della critica anticapitalistica. Ne troviamo un esponente per così dire ante litteram in Michael Bogdanov, che nel 2003 trasfigura la Venezia del Rinascimento nella Londra del Duemila, completa di affaristi e di speculatori senz’anima, che si muovono sotto il dominio di oscure pulsioni all’autodistruzione: la figura di Shylock è quella di un principe destinato alla deposizione e alla polvere, e il resto del mondo diventa una sentina di sentimenti repressi. Il senso di una crisi generale e del fallimento individuale domina l’allestimento americano (Boston) di Darko Tresnjak nel 2011, mentre nel 2016 Jonathan Mumby riporta al Globe espedienti tradizionali come le insistenti citazioni di simboli religiosi – per es. Antonio “crocifisso” da Shylock – e l’episodio di Belmonte allietato da un elegante balletto interculturale – una specialità questa dell’ultimo teatro inglese – mentre Jonathan Pryce fornisce un’eccellente prova di energia e spietatezza, tanto imperiosa quanto evidentemente disperata. In un mondo ormai invaso dal caos e dal tradimento, a Shylock non rimane che misurare il proprio fallimento contro quello di tutti coloro che gli stanno intorno – a meno di non cambiare del tutto il finale, con la compagnia che recita un inedito accenno al pentimento, anzi alla vergogna per il maltrattamento dell’ebreo, come succede nell’allestimento della Sydney Opera house con la direzione di Anne-Louise Sarks, 2017… FRANCO MARENCO
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THE MERCHANT OF VENICE
THE PERSONS OF THE PLAY
ANTONIO, a merchant of Venice BASSANIO, his friend and Portia’s suitor LEONARDO, Bassanio’s servant LORENZO friends of Antonio GRAZIANO and Bassanio SALERIO SOLANIO
}
SHYLOCK, a Jew JESSICA, his daughter TUBAL, a Jew LANCELOT, a clown, first Shylock’s servant and then Bassanio’s GOBBO, his father
PORTIA, an heiress NERISSA, her waiting-gentlewoman BALTHASAR Portia’s servants STEFANO
}
Prince of MOROCCO Prince of ARAGON
}
Portia’s suitors
Duke of Venice Magnificoes of Venice
A jailer, attendants, and servants
SIGLE Q1: il primo in-quarto (1600). Q2: il secondo in-quarto (1619, con la data falsa del 1600). F: l’in-folio (1623). Il testo-guida di questa edizione è Q1 con integrazioni da F per quanto riguarda le didascalie di regia. Segnaliamo in nota solo varianti con significati alternativi. I Personaggi. In Q1, Q2 e F i nomi di alcuni personaggi compaiono abbreviati e anche variabili, es. “Salarino”, “Salerino”, “Saler.”, “Sal.” ecc., e “Solanio”, “Salanio”, “Sol.” ecc. L’ed. Oxford 2005 a cura di William Montgomery segue una tradizione che considera Salarino e Salario come un personaggio unico, “Salerio”. L’ed. New Oxford Shakespeare 2017 a cura di Rory Loughnane attribuisce invece a III, 2 e IV, 1 la presenza sia di “Salerio” che di “Solanio”.
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LA COMICA STORIA DEL MERCANTE DI VENEZIA, ALTRIMENTI DETTA DELL’EBREO DI VENEZIA1 PERSONAGGI
ANTONIO, un mercante di Venezia BASSANIO2, suo amico e pretendente di Porzia LEONARDO, servitore di Bassanio LORENZO amici di Antonio GRAZIANO e Bassanio SALERIO3 SOLANIO
}
SHYLOCK, un ebreo JESSICA, sua figlia TUBAL, un ricco ebreo della sua tribù LANCETTA4, buffone, prima servitore di Shylock poi di Bassanio GOBBO5, suo padre
PORZIA, Signora di Belmonte, un’ereditiera NERISSA, sua dama di compagnia BALDASSARRE servitori di Porzia STEFANO, un messo
}
}
Principe del MAROCCO pretendenti Principe di ARAGONA di Porzia
DOGE di Venezia Nobili veneziani6
Carceriere, seguito, servitori
Un altro problema riguarda i nomi della famiglia dei clown: per noi il figlio, “Lancelot” o “Lancelet”, non è traducibile (come di solito) con “Lancillotto”, ma se mai “Lancetta”, per le ragioni che diamo in nota, v. l’elenco dei personaggi. Invece il padre, “Gobbo”, compare in varie edizioni come “Iobbe”, “Jobbe” e “Iob”, cioè nella forma italiana, “Giobbe”. Nell’ed. Oxford un altro personaggio, “Graziano”, compare direttamente nella grafia italiana, mentre in altre edizioni conserva la grafia inglese di “Gratiano”. Non così “Porzia”, che è sempre “Portia”. THE MERCHANT OF VENICE. Il testo venne iscritto nel registro delle opere autorizzate (Stationers’ Register), il 22 luglio 1598, probabilmente per prevenire pubblicazioni piratesche, col titolo “[…] a booke of the Marchaunt of Venyce or otherwise called the Iewe of Venyce […]”, e pubblicato nel 1600 con il titolo di “The Comical History of the Merchant of Venice” (Q1). L’ed. Oxford qui riprodotta combina i due titoli.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter Antonio, Salerio, and Solanio
ANTONIO
In sooth, I know not why I am so sad. It wearies me, you say it wearies you, But how I caught it, found it, or came by it, What stuff ’tis made of, whereof it is born, I am to learn; And such a want-wit sadness makes of me That I have much ado to know myself.
5
SALERIO
Your mind is tossing on the ocean, There where your argosies with portly sail, Like signors and rich burghers on the flood — Or as it were the pageants of the sea — Do overpeer the petty traffickers That curtsy to them, do them reverence, As they fly by them with their woven wings. SOLANIO (to Antonio) Believe me, sir, had I such venture forth The better part of my affections would Be with my hopes abroad. I should be still Plucking the grass to know where sits the wind, Peering in maps for ports and piers and roads, And every object that might make me fear Misfortune to my ventures out of doubt Would make me sad. SALERIO My wind cooling my broth Would blow me to an ague when I thought What harm a wind too great might do at sea. I should not see the sandy hour-glass run But I should think of shallows and of flats, And see my wealthy Andrew, decks in sand, a Vailing her hightop lower than her ribs
10
15
20
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27. Decks: docks in Q, variamente emendato in ed. moderna; es. docked in sand = “spiaggiato”. Con decks in sand William Montgomery, il curatore della presente edizione, implica che i ponti del galeone siano stati invasi dalla sabbia. 34
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
I, 1
Entrano Antonio, Salerio e Solanio7
ANTONIO
Davvero non mi capacito perché sono così triste8. È una cosa che mi stanca e, dici tu, che stanca anche te. Ma come io l’abbia presa, o trovata, o incontrata, e di quale sostanza sia fatta, o dove sia nata, vorrei capirlo; una tristezza che mi istupidisce9 talmente da rendermi difficile conoscere me stesso10. SALERIO
È l’oceano che ti agita la mente, là dove le tue navi11 dalle vele possenti, come signore e ricche autorità sulle onde – ovvero, fastosi cortei12 del mare – guardano dall’alto i piccoli trafficanti che a loro si inchinano, le riveriscono, mentre gli volano accanto con le loro ali trapunte. SOLANIO (a Antonio) Credetemi, signore, se mai io avessi fuori un tale patrimonio, la miglior parte dei miei affetti accompagnerebbe le mie speranze. E starei ancora a strappare l’erba per capire dove tira il vento, e a cercare sulle carte porti, e moli, e rade. E qualsiasi cosa mi facesse temere un rovescio di fortuna, senza dubbio mi rattristerebbe. SALERIO
Soffiando sulla minestra per raffreddarla mi verrebbe un accidente al pensiero di quali danni potrebbe fare un vento troppo forte in mare. E non potrei guardare la sabbia scorrere nella clessidra senza pensare a banchi e fondali, e al mio ricco galeone13 a secco sulla spiaggia, che reclina l’albero maestro fi n sotto il fasciame,
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
To kiss her burial. Should I go to church And see the holy edifice of stone And not bethink me straight of dangerous rocks Which, touching but my gentle vessel’s side, Would scatter all her spices on the stream, Enrobe the roaring waters with my silks, And, in a word, but even now worth this, And now worth nothing? Shall I have the thought To think on this, and shall I lack the thought That such a thing bechanced would make me sad? But tell not me. I know Antonio Is sad to think upon his merchandise.
30
35
40
ANTONIO
Believe me, no. I thank my fortune for it, My ventures are not in one bottom trusted, Nor to one place; nor is my whole estate Upon the fortune of this present year. Therefore my merchandise makes me not sad.
45
SOLANIO
Why then, you are in love. ANTONIO
Fie, fie.
SOLANIO
Not in love neither? Then let us say you are sad Because you are not merry, and ’twere as easy For you to laugh, and leap, and say you are merry Because you are not sad. Now, by two-headed Janus, Nature hath framed strange fellows in her time: Some that will evermore peep through their eyes And laugh like parrots at a bagpiper, And other of such vinegar aspect That they’ll not show their teeth in way of smile Though Nestor swear the jest be laughable.
51
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Enter Bassanio, Lorenzo, and Graziano Here comes Bassanio, your most noble kinsman, Graziano, and Lorenzo. Fare ye well. We leave you now with better company. 36
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
fi no a baciare la sua stessa sepoltura. E andando in chiesa, forse che a vedere la pietra del santo edificio non mi verrebbero in mente gli scogli pericolosi che solo a toccare il fianco del mio debole vascello ne spargerebbero fra i flutti tutto il carico di spezie, rivestendo con le mie sete le acque ruggenti? In una parola, quello che un dato momento vale tanto, poi non vale più nulla? Potrei pensare a questo senza pensare che se una cosa simile accadesse mi renderebbe triste? Ma non ditemi nulla, io so che Antonio è triste al pensiero delle sue mercanzie. ANTONIO
No, credetemi. Ringrazio la fortuna che i miei averi non siano affidati a una sola stiva, né destinati a un solo porto; né tutto il mio patrimonio alle vicissitudini di questo solo anno. Quindi non è la mercanzia a rendermi triste. SOLANIO
Ha, ma allora siete innamorato! ANTONIO
Via, via! SOLANIO
Nemmeno innamorato? Allora diciamo che siete triste perché non siete allegro, e che per voi farebbe lo stesso ridere e saltare e dire che siete allegro perché non siete triste14. Allora, per Giano bifronte15, la natura ai suoi tempi ha combinato degli strani tipi: alcuni che aguzzano sempre gli occhi e ridono come pappagalli davanti allo zampognaro16, e altri dall’aspetto così acido che non scoprono i denti in un sorriso neanche se Nestore giura che lo scherzo merita una risata17. Entrano Bassanio, Lorenzo e Graziano Ecco il vostro nobilissimo parente Bassanio, con Graziano e Lorenzo. Arrivederci, vi lasciamo in migliore compagnia.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
SALERIO
I would have stayed till I had made you merry If worthier friends had not prevented me.
60
ANTONIO
Your worth is very dear in my regard. I take it your own business calls on you, And you embrace th’occasion to depart. SALERIO Good morrow, my good lords.
65
BASSANIO
Good signors both, when shall we laugh? Say, when? You grow exceeding strange. Must it be so? SALERIO
We’ll make our leisures to attend on yours. Exeunt Salerio and Solanio LORENZO
My lord Bassanio, since you have found Antonio, We two will leave you; but at dinner-time I pray you have in mind where we must meet. BASSANIO I will not fail you.
70
GRAZIANO
You look not well, Signor Antonio. You have too much respect upon the world. They lose it that do buy it with much care. Believe me, you are marvellously changed.
75
ANTONIO
I hold the world but as the world, Graziano — A stage where every man must play a part, And mine a sad one. GRAZIANO Let me play the fool. With mirth and laughter let old wrinkles come, And let my liver rather heat with wine Than my heart cool with mortifying groans. Why should a man whose blood is warm within Sit like his grandsire cut in alabaster, Sleep when he wakes, and creep into the jaundice By being peevish? I tell thee what, Antonio —
80
85
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
SALERIO
Sarei rimasto a rallegrarvi un po’, se dei più degni amici non ci riuscissero meglio di me. ANTONIO
Voi per me siete degnissimo, ma penso che i vostri affari vi reclamino, e che vi sia grata l’occasione per ritirarvi. SALERIO
Buon giorno, miei gentili signori. BASSANIO
Cari miei due signori, a quando due risate? Ditemi, quando? Siete diventati così freddi! Proprio così dovete essere? SALERIO
Vi dedicheremo un po’ del nostro tempo libero. Escono Salerio e Solanio LORENZO
Signor Bassanio, poiché avete trovato Antonio, noi due vi lasciamo; ma vi prego, ricordatevi dove dobbiamo incontrarci a pranzo. BASSANIO
Non mancherò. GRAZIANO
Non avete una bella cera, signor Antonio. Troppo rispetto per il mondo. Lo perdono quelli che troppo si affannano a conquistarlo. Credetemi, siete straordinariamente cambiato. ANTONIO
Considero il mondo per quello che è, Graziano – una scena dove ciascuno recita la sua parte, e la mia è una parte triste18. GRAZIANO
E la mia sia quella del buffone. Ben vengano, col buonumore e le risate, le rughe della vecchiaia, e mi si riscaldi il fegato19 col vino prima che mi si raffreddi il cuore con tanto di mortificazioni e piagnistei. Perché un uomo che ha dentro sangue caldo dovrebbe starsene fermo come un antenato, una statua di alabastro?20 E dormire quando è sveglio, e farsi venire l’itterizia per il malumore? Te21 lo dico
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
I love thee, and ’tis my love that speaks — There are a sort of men whose visages Do cream and mantle like a standing pond, And do a wilful stillness entertain With purpose to be dressed in an opinion Of wisdom, gravity, profound conceit, As who should say ‘I am Sir Oracle, And when I ope my lips, let no dog bark.’ O my Antonio, I do know of these That therefore only are reputed wise For saying nothing, when I am very sure, If they should speak, would almost damn those ears Which, hearing them, would call their brothers fools. I’ll tell thee more of this another time. But fish not with this melancholy bait For this fool gudgeon, this opinion. — Come, good Lorenzo. — Fare ye well a while. I’ll end my exhortation after dinner. LORENZO (to Antonio and Bassanio) Well, we will leave you then till dinner-time. I must be one of these same dumb wise men, For Graziano never lets me speak.
90
95
100
105
GRAZIANO
Well, keep me company but two years more Thou shalt not know the sound of thine own tongue. ANTONIO
Fare you well. I’ll grow a talker for this gear.
110
GRAZIANO
Thanks, i’faith, for silence is only commendable In a neat’s tongue dried and a maid not vendible. Exeunt Graziano and Lorenzo ANTONIO Yet is that anything now? b BASSANIO Graziano speaks an infi nite deal of nothing,
more than any man in all Venice. His reasons are as
113. Yet is: in Q e F It is. 40
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
io, Antonio – ti voglio bene, è il mio affetto che parla – ci sono uomini simili a un pantano ribollente e schiumoso, che caparbiamente ostentano silenzio allo scopo di farsi una reputazione di saggezza, di gravità, di profondo acume, come a dire: “Io sono il Signor Oracolo, e quando apro bocca zitti tutti, anche i cani!”22 Antonio mio, io so di quelli che sono reputati saggi per non dir nulla23, e sono sicurissimo che se parlassero, quasi causerebbero la dannazione di coloro che ascoltandoli darebbero dello ‘stupido’ al loro fratello24. Ti dirò di più un’altra volta. Ma tu non cercare di prendere all’amo questa preda da niente, questa reputazione, con quella tua esca della malinconia. – Vieni, buon Lorenzo – a rivederci fra un po’; finirò la mia predica dopo pranzo. LORENZO (a Antonio e Bassanio) Bene, vi lasciamo fino all’ora di pranzo. Io devo essere uno di quei saggi muti, perché Graziano non mi lascia mai parlare. GRAZIANO
Allora resta con me altri due anni, e dimenticherai il suono della tua voce. ANTONIO
Arrivederci. Diventerò un chiacchierone anch’io a furia di ascoltare queste baggianate. GRAZIANO
Alla buon’ora, poiché il silenzio è commendevole solo per una lingua affumicata e in una ragazza ormai fuori mercato25. Escono Graziano e Lorenzo ANTONIO
E insomma? BASSANIO
Graziano è uno che non dice niente all’infinito, più di chiunque altro a Venezia. Le sue ragioni sono come due chicchi di grano se-
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
two grains of wheat hid in two bushels of chaff: you shall seek all day ere you find them, and when you have them they are not worth the search. ANTONIO
Well, tell me now what lady is the same To whom you swore a secret pilgrimage, That you today promised to tell me of.
120
BASSANIO
’Tis not unknown to you, Antonio, How much I have disabled mine estate By something showing a more swelling port Than my faint means would grant continuance, Nor do I now make moan to be abridged From such a noble rate; but my chief care Is to come fairly off from the great debts Wherein my time, something too prodigal, Hath left me gaged. To you, Antonio, I owe the most in money and in love, And from your love I have a warranty To unburden all my plots and purposes How to get clear of all the debts I owe.
125
130
ANTONIO
I pray you, good Bassanio, let me know it, And if it stand as you yourself still do, Within the eye of honour, be assured My purse, my person, my extremest means Lie all unlocked to your occasions.
135
BASSANIO
In my schooldays, when I had lost one shaft, I shot his fellow of the selfsame flight The selfsame way, with more advisèd watch, To find the other forth; and by adventuring both, I oft found both. I urge this childhood proof Because what follows is pure innocence. I owe you much, and, like a wilful youth, That which I owe is lost; but if you please To shoot another arrow that self way
140
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
polti sotto due staia di pula: li puoi cercare tutto un giorno prima di trovarli, e quando ce l’hai non valgono la fatica. ANTONIO
Bene, ora dimmi chi è la signora alla quale hai giurato di andare in pellegrinaggio segreto, e di cui oggi hai promesso che mi avresti parlato. BASSANIO
Tu non ignori, Antonio, quanto io abbia dilapidato il mio patrimonio mantenendo un tenore di vita più fastoso di quanto i miei scarsi mezzi potessero alla lunga permettere. Né io mi lamento di dover recedere da questo andazzo signorile; ma il mio principale assillo è quello di disobbligarmi con onore dai grossi debiti ai quali una gioventù un po’ troppo prodiga mi ha vincolato. A te, Antonio, devo di più, in denaro e affetto, e nel tuo affetto trovo l’autorizzazione a rivelarti come intendo sollevarmi da tutti i debiti che ho. ANTONIO
Ti prego, caro Bassanio, dimmi tutto; e se le cose stanno, come sempre stai tu, nel perimetro dell’onore, stai sicuro che la mia borsa 26, la mia persona, ogni mio avere si prodigano a tuo favore. BASSANIO
Ai tempi della scuola, quando una freccia mi andava perduta, ne tiravo subito un’altra nella stessa traiettoria e con la stessa forza, ma con maggiore concentrazione, per ritrovare la prima: rischiandone due, spesso due ne ritrovavo. Traggo questo insegnamento dall’infanzia perché quanto sto per dire è concepito in tutta innocenza. Ti devo molto, e, da giovane sconsiderato quale sono, quel che ti devo l’ho perso; ma se tu avessi la bontà di tirare un’altra freccia
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 1
Which you did shoot the first, I do not doubt, As I will watch the aim, or to find both Or bring your latter hazard back again, And thankfully rest debtor for the first.
150
ANTONIO
You know me well, and herein spend but time To wind about my love with circumstance; And out of doubt you do me now more wrong In making question of my uttermost Than if you had made waste of all I have. Then do but say to me what I should do That in your knowledge may by me be done, And I am pressed unto it. Therefore speak.
155
160
BASSANIO
In Belmont is a lady richly left, And she is fair, and, fairer than that word, Of wondrous virtues. Sometimes from her eyes I did receive fair speechless messages. Her name is Portia, nothing undervalued To Cato’s daughter, Brutus’ Portia; Nor is the wide world ignorant of her worth, For the four winds blow in from every coast Renownèd suitors, and her sunny locks Hang on her temples like a golden fleece, Which makes her seat of Belmont Colchis’ strand, And many Jasons come in quest of her. O my Antonio, had I but the means To hold a rival place with one of them, I have a mind presages me such thrift That I should questionless be fortunate.
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ANTONIO
Thou know’st that all my fortunes are at sea, Neither have I money nor commodity To raise a present sum. Therefore go forth — Try what my credit can in Venice do; That shall be racked even to the uttermost To furnish thee to Belmont, to fair Portia.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 1
nella stessa direzione della prima, non ho dubbi che, migliorando la mira, le ritroverei entrambe, oppure ti riporterei quanto hai azzardato per la seconda volta, rimanendo tuo riconoscente debitore per la prima. ANTONIO
Tu mi conosci bene, e sprechi il tuo tempo a saggiare il mio affetto con dei giri di parole. E senza dubbio mi fai più torto dubitando che per te farei l’impossibile, che se mi avessi sperperato tutto. Quindi dimmi cosa pensi che io possa fare per te, e io sono pronto a farlo. Dunque parla. BASSANIO
A Belmonte27 c’è una ricca ereditiera, bella e, cosa ancora più bella, di eccezionali virtù. Talvolta dai suoi occhi ho ricevuto silenti messaggi. Il suo nome è Porzia, per nulla inferiore alla figlia di Catone, la Porzia di Bruto28. Il vasto mondo non ne ignora le doti, se i quattro venti sospingono da ogni costa pretendenti di gran nome, e i riccioli solari che le scendono sulle tempie come un vello d’oro fanno di Belmonte una spiaggia della Colchide, dove tanti Giasoni approdano per conquistarla 29. Oh mio Antonio, se avessi i mezzi per competere anche con uno solo di loro, il mio spirito pronostica un tale guadagno che senza dubbio farebbe la mia fortuna30. ANTONIO
Tu sai che tutte le mie fortune sono sul mare, e che al momento non ho denaro né mercanzia per raccogliere liquidità. Perciò mettiti in strada, e cerca di scoprire quanto credito io possa avere a Venezia; sarà tutto spremuto al massimo perché tu raggiunga Belmonte e la
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 2
Go presently enquire, and so will I, Where money is; and I no question make To have it of my trust or for my sake.
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Exeunt [severally] 1.2
Enter Portia with Nerissa, her waiting-woman
PORTIA By my troth, Nerissa, my little body is aweary of
this great world. NERISSA You would be, sweet madam, if your miseries
were in the same abundance as your good fortunes are; and yet, for aught I see, they are as sick that surfeit with too much as they that starve with nothing. It is no mean happiness, therefore, to be seated in the mean. Superfluity comes sooner by white hairs, but competency lives longer. PORTIA Good sentences, and well pronounced. NERISSA They would be better if well followed. PORTIA If to do were as easy as to know what were good to do, chapels had been churches, and poor men’s cottages princes’ palaces. It is a good divine that follows his own instructions. I can easier teach twenty what were good to be done than to be one of the twenty to follow mine own teaching. The brain may devise laws for the blood, but a hot temper leaps o’er a cold decree. Such a hare is madness, the youth, to skip o’er the meshes of good counsel, the cripple. But this reasoning is not in the fashion to choose me a husband. O me, the word ‘choose’! I may neither choose who I would nor refuse who I dislike; so is the will of a living daughter curbed by the will of a dead father. Is it not hard, Nerissa, that I cannot choose one nor refuse none? NERISSA Your father was ever virtuous, and holy men at their death have good inspirations; therefore the lottery
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 2
bella Porzia. Vai e informati, come farò anch’io, dove sta il contante; a me non importa di ottenerlo a credito o per amicizia. Escono [separatamente] I, 2
Entra Porzia con Nerissa, sua dama di compagnia31
PORZIA
Davvero, Nerissa, il mio piccolo corpo è stanco di questo vasto mondo32. NERISSA
Stanca dovreste essere, dolce signora, se le vostre avversità fossero altrettanto abbondanti delle vostre fortune; e tuttavia, a quel che vedo, sta male tanto chi troppo si ingozza quanto chi non si nutre affatto. Così non è soddisfazione da poco restarsene a metà. Col superfluo vengono prima i capelli bianchi, mentre col minimo indispensabile si vive di più. PORZIA
Sentenze esemplari, e dette bene. NERISSA
Meglio sarebbero se messe in atto. PORZIA
Se fare fosse altrettanto facile che sapere cosa è bene fare, le cappelle sarebbero chiese, e i casolari dei poveri sarebbero palazzi principeschi. È un buon prete quello che segue i suoi stessi insegnamenti. Io potrei più facilmente insegnare ciò che è bene fare a venti persone piuttosto che essere una di quelle venti e seguire quanto ho insegnato. Il cervello può decretare leggi per il sangue, ma un temperamento focoso scavalca un freddo decreto: è una tale lepre la follia della gioventù, da saltar oltre le trappole poste da un buon avviso che rimane zoppo33. Ma queste considerazioni non aiutano a scegliere un marito. Ahimè, la parola ‘scegliere’! Io non posso né scegliere chi vorrei, né rifiutare chi non mi piace; è così che la volontà di una figlia viva è condizionata dal volere di un padre morto: non è spiacevole, Nerissa, che io non possa scegliere né rifiutare alcuno? NERISSA
Vostro padre è sempre stato virtuoso, e le anime grandi hanno buone illuminazioni in punto di morte. La lotteria che ha idea47
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 2
that he hath devised in these three chests of gold, silver, and lead, whereof who chooses his meaning chooses you, will no doubt never be chosen by any rightly but one who you shall rightly love. But what warmth is there in your affection towards any of these princely suitors that are already come? PORTIA I pray thee overname them, and as thou namest them I will describe them; and according to my description, level at my affection. NERISSA First there is the Neapolitan prince. PORTIA Ay, that’s a colt indeed, for he doth nothing but talk of his horse, and he makes it a great appropriation to his own good parts that he can shoe him himself. I am much afeard my lady his mother played false with a smith. NERISSA Then is there the County Palatine. PORTIA He doth nothing but frown, as who should say ‘An you will not have me, choose’. He hears merryc tales and smiles not. I fear he will prove the weeping philosopher when he grows old, being so full of unmannerly sadness in his youth. I had rather be married to a death’s-head with a bone in his mouth than to either of these. God defend me from these two! NERISSA How say you by the French lord, Monsieur le Bon? PORTIA God made him, and therefore let him pass for a man. In truth, I know it is a sin to be a mocker, but he — why, he hath a horse better than the Neapolitan’s, a better bad habit of frowning than the Count Palatine. He is every man in no man. If a throstle sing, he falls d straight a-cap’ring. He will fence with his own shadow. If I should marry him, I should marry twenty husbands. If he would despise me, I would forgive him, for if he love me to madness, I shall never requite him.
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46. ‘An: arcaico per “se”; non più segnalato. 58. Throstle: emend. tardo per Trassell in Q e F. 48
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 2
to con questi tre scrigni d’oro, argento e piombo, per cui chi fa la scelta giusta sceglie voi, senza dubbio non sarà mai vinta da nessuno che voi non possiate giustamente amare. Ma quale calore nutrono i vostri sentimenti verso i pretendenti che sono già arrivati? PORZIA
Ti prego, ripeti i loro nomi, e mentre li nomini io li descrivo: dalla mia descrizione tu capirai i miei sentimenti. NERISSA
Allora, il primo è il principe napoletano. PORZIA
Ah, il puledrino: lui non fa altro che parlare del suo cavallo, e mena un gran vanto, fra le sue grandi qualità, di saperlo ferrare lui stesso. Mi viene il sospetto che la sua signora madre abbia avuto una storia con un maniscalco. NERISSA
Poi c’è il conte Palatino34. PORZIA
Quello non fa che mostrarsi accigliato, come se dovesse dire ‘Se non mi volete, arrangiatevi’. Ascolta barzellette e mica ride, lui. Ho paura che da vecchio sarà un altro filosofo del pianto, essendo da giovane così pieno di pessimismo35. Preferirei maritarmi a una testa di morto con un osso in bocca, che all’uno o all’altro di questi due. Che Dio mi protegga da loro! NERISSA
E che dite allora del signore francese, Monsieur Le Bon?36 PORZIA
L’ha fatto Dio, quindi diciamo pure che è un uomo. So benissimo che si fa peccato a prendere in giro la gente, ma lui – ah, quanto al cavallo è meglio del napoletano, e quanto al cipiglio le sue cattive abitudini sono migliori di quelle del conte Palatino. È il nessuno in ognuno: se canta un tordo si mette a far le capriole, e si metterebbe a duellare con la propria ombra. Se lo sposassi, ne sposerei venti di mariti. E se mi disprezzasse lo perdonerei, ma se mi amasse alla follia io non lo ricambierei mai.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 2
NERISSA What say you then to Falconbridge, the young
baron of England? PORTIA You know I say nothing to him, for he understands
not me, nor I him. He hath neither Latin, French, nor Italian, and you will come into the court and swear that I have a poor pennyworth in the English. He is a proper man’s picture, but alas, who can converse with a dumb show? How oddly he is suited! I think he bought his doublet in Italy, his round hose in France, his bonnet in Germany, and his behaviour everywhere. NERISSA What think you of the Scottish lord, his neighbour? PORTIA That he hath a neighbourly charity in him, for he borrowed a box of the ear of the Englishman and swore he would pay him again when he was able. I think the Frenchman became his surety, and sealed under for another. NERISSA How like you the young German, the Duke of Saxony’s nephew? PORTIA Very vilely in the morning when he is sober, and most vilely in the afternoon when he is drunk. When he is best he is a little worse than a man, and when he is worst he is little better than a beast. An the worst fall that ever fell, I hope I shall make shift to go without him. NERISSA If he should offer to choose, and choose the right casket, you should refuse to perform your father’s will if you should refuse to accept him. PORTIA Therefore, for fear of the worst, I pray thee set a deep glass of Rhenish wine on the contrary casket; for if the devil be within and that temptation without, I know he will choose it. I will do anything, Nerissa, ere I will be married to a sponge.
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86. An, qui congiunzione, per and: non più segnalato. 50
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 2
NERISSA
Allora cosa dite a Falconbridge, il giovane barone inglese? PORZIA
Sai che non gli dico niente, perché lui non mi capisce, né io capisco lui. Non sa il latino, né il francese, né l’italiano, e tu puoi giurare in tribunale che il mio inglese non vale un soldo. È l’immagine del bell’uomo, ma ahimè, chi può fare conversazione con un personaggio da pantomima?37 E com’è vestito strano! Il farsetto lo avrà comprato in Italia, i calzoni a sbuffo in Francia, il berretto in Germania, e il comportamento non so dove. NERISSA
E cosa pensate del suo vicino, il nobile scozzese? PORZIA
Che si comporta da caritatevole vicino, perché avendo preso una sberla dall’inglese ha giurato che glie l’avrebbe restituita non appena fosse in grado. Penso che il francese abbia fatto da garante, impegnandosi a dargliene un’altra38. NERISSA
E vi piace il giovane tedesco, il nipote del duca di Sassonia? PORZIA
Molto poco la mattina quando è sobrio, e niente del tutto il pomeriggio quando è ubriaco. Al suo meglio è un po’ peggio di un uomo, e al suo peggio un po’ meglio di una bestia. Per male che vada, spero di poterne fare a meno. NERISSA
Se decidesse di scegliere, e scegliesse lo scrigno giusto, voi verreste meno alla volontà di vostro padre se vi rifiutaste di accettarlo. PORZIA
E quindi, per prevenire il peggio, ti prego di mettere un bel boccale di vino del Reno accanto a uno scrigno sbagliato39, perché se avesse dentro il diavolo, e fuori quella tentazione, sono sicura che sceglierebbe quella. Farei di tutto, Nerissa, pur di non sposarmi una spugna.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 2
NERISSA You need not fear, lady, the having any of these
lords. They have acquainted me with their determinations, which is indeed to return to their home and to trouble you with no more suit unless you may be won by some other sort than your father’s imposition depending on the caskets. PORTIA If I live to be as old as Sibylla I will die as chaste as Diana unless I be obtained by the manner of my father’s will. I am glad this parcel of wooers are so reasonable, for there is not one among them but I dote on his very absence; and I pray God grant them a fair departure. NERISSA Do you not remember, lady, in your father’s time, a Venetian, a scholar and a soldier, that came hither in company of the Marquis of Montferrat? PORTIA Yes, yes, it was Bassanio — as I think, so was he called. NERISSA True, madam. He of all the men that ever my foolish eyes looked upon was the best deserving a fair lady. PORTIA I remember him well, and I remember him worthy of thy praise.
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Enter a Servingman How now, what news? SERVINGMAN The four strangers seek for you, madam, to
take their leave, and there is a forerunner come from a fifth, the Prince of Morocco, who brings word the Prince his master will be here tonight. PORTIA If I could bid the fifth welcome with so good heart as I can bid the other four farewell, I should be glad of his approach. If he have the condition of a saint and the complexion of a devil, I had rather he should shrive me than wive me. Come, Nerissa. (To the Servingman) Sirrah, go before. Whiles we shut the gate upon one wooer, Another knocks at the door. Exeunt
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Shakespeare IV.indb 52
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 2
NERISSA
Non dovete temere, signora, di prendervi nessuno di questi signori. Loro mi hanno informato della loro intenzione di tornarsene a casa e di non importunarvi più con la loro corte, a meno che non possiate essere conquistata in qualche maniera diversa da quella degli scrigni, imposta da vostro padre. PORZIA
Dovessi diventare vecchia come la Sibilla morirò casta come Diana40, se non sarò conquistata secondo la volontà di mio padre. Mi fa piacere che questo gruppo di pretendenti sia così ragionevole, perché non ce n’è uno di cui io non desideri l’assenza; e prego Dio che gli conceda un gradito commiato. NERISSA
Non ricordate, signora, un veneziano, uomo colto e soldato, che al tempo di vostro padre venne qui in compagnia del marchese di Monferrato? PORZIA
Sì, sì, Bassanio – così mi pare che si chiamasse. NERISSA
È vero, signora. Di tutti gli uomini che i miei frivoli occhi hanno guardato era il più meritevole di una bella dama. PORZIA
Lo ricordo bene, e lo ricordo degno della tua lode. Entra un servitore Allora, che notizie? SERVITORE
I quattro stranieri cercano di lei, signora, per prendere congedo, e c’è un messo che viene da un quinto, il principe del Marocco, con la notizia che il suo padrone sarà qui a sera. PORZIA
Se potessi dare il benvenuto al quinto con lo stesso animo con cui do l’addio agli altri quattro, sarei felice del suo arrivo; se avesse le qualità del santo e l’aspetto del diavolo, preferirei che mi confessasse piuttosto che maritarmi. Vieni, Nerissa. (Al servitore) E tu, precedi. Si chiude il cancello dietro un corteggiatore, ed ecco che un altro bussa alla porta. Escono 53
Shakespeare IV.indb 53
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
1.3
Enter Bassanio with Shylock the Jew
SHYLOCK Three thousand ducats. Well. BASSANIO Ay, sir, for three months. SHYLOCK For three months. Well. BASSANIO For the which, as I told you, Antonio shall be
bound.
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SHYLOCK Antonio shall become bound. Well. BASSANIO May you stead me? Will you pleasure me? Shall
I know your answer? SHYLOCK Three thousand ducats for three months, and Antonio bound. BASSANIO Your answer to that. SHYLOCK Antonio is a good man. BASSANIO Have you heard any imputation to the contrary? SHYLOCK Ho, no, no, no, no! My meaning in saying he is a good man is to have you understand me that he is sufficient. Yet his means are in supposition. He hath an argosy bound to Tripolis, another to the Indies. I understand moreover upon the Rialto he hath a third at Mexico, a fourth for England, and other ventures he hath squandered abroad. But ships are but boards, sailors but men. There be land rats and water rats, water thieves and land thieves — I mean pirates — and then there is the peril of waters, winds, and rocks. The man is, notwithstanding, sufficient. Three thousand ducats. I think I may take his bond. BASSANIO Be assured you may. SHYLOCK I will be assured I may, and that I may be assured, I will bethink me. May I speak with Antonio?
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Shakespeare IV.indb 54
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
I, 3
Entra Bassanio con Shylock l’ebreo41
SHYLOCK
Tremila ducati. Bene. BASSANIO
Sì signore, per tre mesi. SHYLOCK
Per tre mesi. Bene. BASSANIO
Per i quali, come vi ho detto, garantisce Antonio. SHYLOCK
Antonio si rende garante. Bene. BASSANIO
Mi darete una mano? Mi farete il favore? Mi date una risposta? SHYLOCK
Tremila ducati per tre mesi, e Antonio garantisce. BASSANIO
Datemi una risposta. SHYLOCK
Antonio è buono. BASSANIO
Avete sentito qualcosa al contrario? SHYLOCK
Oh no, no, no, no! Dicendo che è buono volevo farmi capire, cioè che è affidabile. E tuttavia, i suoi beni sono incerti. Ha una nave in rotta per Tripoli, un’altra per le Indie. Ed ho sentito a Rialto42 che ne ha una terza verso il Messico, e una quarta verso l’Inghilterra, e altri investimenti sparsi per il mondo. Ma le navi non sono che assi, e i marinai non più che uomini. Esistono topi di terra e topi d’acqua, ladri d’acqua e ladri di terra – pirati voglio dire – e poi i pericoli di acque, e venti, e scogli. Malgrado ciò, l’uomo è affidabile. Tremila ducati. Penso di potermi fidare delle sue garanzie. BASSANIO
Potete, statene sicuro. SHYLOCK
Devo accertarmene, e per accertarmene ci devo pensare. Posso parlare con Antonio?
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Shakespeare IV.indb 55
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
BASSANIO If it please you to dine with us. SHYLOCK [aside] Yes, to smell pork, to eat of the habitation
which your prophet the Nazarite conjured the devil into! I will buy with you, sell with you, talk with you, walk with you, and so following, but I will not eat with you, drink with you, nor pray with you.
30 f
35
Enter Antonio [To Antonio] What news on the Rialto? [To Bassanio] Who is he comes here? BASSANIO This is Signor Antonio. [Bassanio and Antonio speak silently to one another] SHYLOCK (aside)
How like a fawning publican he looks. I hate him for he is a Christian; But more, for that in low simplicity He lends out money gratis, and brings down The rate of usance here with us in Venice. If I can catch him once upon the hip I will feed fat the ancient grudge I bear him. He hates our sacred nation, and he rails, Even there where merchants most do congregate, On me, my bargains, and my well-won thrift — Which he calls interest. Cursèd be my tribe If I forgive him. BASSANIO Shylock, do you hear?
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SHYLOCK
I am debating of my present store, And by the near guess of my memory I cannot instantly raise up the gross Of full three thousand ducats. What of that? Tubal, a wealthy Hebrew of my tribe, Will furnish me. But soft — how many months Do you desire? [To Antonio] Rest you fair, good signor. Your worship was the last man in our mouths.
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31. [Aside]: emend. tardo, infatti poco dopo Shylock accetta l’invito a cena. 56
Shakespeare IV.indb 56
30/11/2018 09:31:31
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
BASSANIO
Se vi fa piacere pranzare con noi. SHYLOCK [a parte]
Già, a sentire l’odore del maiale, e cibarmi di quell’abitacolo che il vostro profeta il Nazareno ha stipato di diavoli!43 Con voi io compro, vendo, parlo, cammino e così via, ma con voi non mangio, non bevo e non prego44. Entra Antonio [A Antonio] Notizie da Rialto? [A Bassanio] Chi è questo che arriva? BASSANIO
Questo è il signor Antonio. [Bassanio e Antonio parlano sottovoce] SHYLOCK (a parte)
Quanto assomiglia a un viscido pubblicano!45 Lo odio perché è cristiano, ma ancor di più perché, da quello sprovveduto mentecatto che è, presta denaro gratuitamente, e fa scendere il tasso di interesse che osserviamo qui a Venezia. Se tanto tanto mi riesce di fargli lo sgambetto46 mi ci ingrasso il rancore che da tempo nutro per lui. Lui odia il nostro sacro popolo, e proprio dove si radunano più mercanti sta a imprecare contro di me, i miei affari, il mio ben meritato profitto – che lui chiama “interesse”47. Sia maledetta la mia tribù se gliela lascio passare! BASSANIO
Shylock, mi sentite? SHYLOCK
Sto valutando le mie risorse attuali, e per quanto mi aiuta la memoria non credo di poter disporre subito della somma di tremila ducati. Ma non importa: Tubal, un ricco giudeo della mia tribù, me li procurerà. Calma però – per quanti mesi li volete? (A Antonio). Ben trovato, mio buon signore. Stavamo proprio parlando di voi.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
ANTONIO
Shylock, albeit I neither lend nor borrow By taking nor by giving of excess, Yet to supply the ripe wants of my friend I’ll break a custom. (To Bassanio) Is he yet possessed How much ye would? SHYLOCK Ay, ay, three thousand ducats. ANTONIO And for three months.
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SHYLOCK
I had forgot — three months. (To Bassanio) You told me so. — Well then, your bond; and let me see — but hear you, Methoughts you said you neither lend nor borrow Upon advantage. ANTONIO I do never use it. SHYLOCK
When Jacob grazed his uncle Laban’s sheep — This Jacob from our holy Abram was, As his wise mother wrought in his behalf, The third possessor; ay, he was the third —
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ANTONIO
And what of him? Did he take interest? SHYLOCK
No, not take interest, not, as you would say, Directly int’rest. Mark what Jacob did: When Laban and himself were compromised That all the eanlings which were streaked and pied Should fall as Jacob’s hire, the ewes, being rank, In end of autumn turnèd to the rams, And when the work of generation was Between these woolly breeders in the act, The skilful shepherd peeled me certain wands, And in the doing of the deed of kind He stuck them up before the fulsome ewes Who, then conceiving, did in eaning time Fall parti-coloured lambs; and those were Jacob’s.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
ANTONIO
Shylock, benché io non dia né prenda a prestito, non esigendo né elargendo interessi48, tuttavia, per fare fronte agli immediati bisogni del mio amico farò un’eccezione. (A Bassanio) Lui sa già di cosa hai bisogno? SHYLOCK
Sì, certo, tremila ducati. ANTONIO
E per tre mesi. SHYLOCK
Avevo dimenticato – tre mesi. (A Bassanio) Me l’avete detto. – Bene, ora la vostra cauzione; e vediamo – ma ascoltate: mi pare che mi aveste detto che non date né prendete a prestito facendoci un profitto. ANTONIO
No, non lo faccio mai. SHYLOCK
Quando Giacobbe pascolava le pecore di suo zio Labano – Questo Giacobbe discendeva dal nostro santo Abramo, e la sua saggia madre gli procurò la terza successione49; sì, era la terza… ANTONIO
Cosa c’entra lui? Prendeva interessi? SHYLOCK
No, non prendeva “interessi”, come direste voi – non direttamente. Fate attenzione a quanto fece Giacobbe: si accordò con Labano che tutti gli agnelli che fossero nati striati e chiazzati sarebbero stati il suo compenso, poi quando, alla fine dell’autunno, le pecore in calore vennero portate ai montoni, mentre quei lanosi genitori erano intenti all’opera della riproduzione, il sagace pastore tolse la corteccia a certe verghe, e nel compiersi dell’atto di natura le piantò davanti alle femmine da impregnare, e quelle al momento di figliare generarono agnelli chiazzati, dei quali Giacobbe si appropriò50.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
This was a way to thrive; and he was blest; And thrift is blessing, if men steal it not. ANTONIO
This was a venture, sir, that Jacob served for — A thing not in his power to bring to pass, But swayed and fashioned by the hand of heaven. Was this inserted to make interest good, Or is your gold and silver ewes and rams?
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SHYLOCK
I cannot tell. I make it breed as fast. But note me, signor — ANTONIO Mark you this, Bassanio? The devil can cite Scripture for his purpose. An evil soul producing holy witness Is like a villain with a smiling cheek, A goodly apple rotten at the heart. O, what a goodly outside falsehood hath!
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SHYLOCK
Three thousand ducats. ’Tis a good round sum. Three months from twelve — then let me see the rate. ANTONIO
Well, Shylock, shall we be beholden to you? SHYLOCK
Signor Antonio, many a time and oft In the Rialto you have rated me About my moneys and my usances. Still have I borne it with a patient shrug, For suff’rance is the badge of all our tribe. You call me misbeliever, cut-throat, dog, And spit upon my Jewish gaberdine, g And all for use of that which is mine own. Well then, it now appears you need my help. Go to, then. You come to me, and you say ‘Shylock, we would have moneys’ — you say so,
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111. Spit: in Q e F spet, voce arcaica sia per il presente che per il passato, di solito modernizzata. 60
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
Un modo di farci un guadagno, e lui fu benedetto; e il guadagno è una benedizione, se non lo si ruba. ANTONIO
Quello fu un evento, signore, di cui Giacobbe fu lo strumento – una cosa che non stava in lui di realizzare, e che fu prodotta e modellata dalla mano del cielo. E questo fu scritto per giustificare l’usura, o voi parlate di pecore e montoni per dire di oro e argento? SHYLOCK
Non sta a me dirlo. Ma io li faccio riprodurre altrettanto rapidamente. Ma ascoltatemi, signore… ANTONIO
Hai sentito Bassanio? Il diavolo sa citare le Scritture per i suoi disegni. Un’anima scellerata che espone santi convincimenti è come un criminale col sorriso sul volto, una bella mela che è marcia dentro. Oh che bell’apparenza ha la falsità! SHYLOCK
Tremila ducati. Una bella cifra tonda. Tre mesi su dodici, vediamo la percentuale. ANTONIO
Allora, Shylock, vi saremo debitori? SHYLOCK
Signor Antonio, tante volte a Rialto mi avete denigrato a causa dei miei denari e dei miei interessi. E io l’ho sopportato con una paziente scrollata di spalle, perché la sopportazione è il distintivo della nostra tribù. Mi chiamate miscredente, tagliagole, cane, e sputate sulla mia gabbana di ebreo, e tutto per l’uso che faccio di ciò che è mio. E così, ora sembra che abbiate bisogno del mio aiuto. Ma bene! Venite da me e dite “Shylock, ci servono soldi” – così
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
You, that did void your rheum upon my beard, And foot me as you spurn a stranger cur Over your threshold. Moneys is your suit. What should I say to you? Should I not say ‘Hath a dog money? Is it possible A cur can lend three thousand ducats?’ Or Shall I bend low, and in a bondman’s key, With bated breath and whisp’ring humbleness Say this: ‘Fair sir, you spat on me on Wednesday last; You spurned me such a day; another time You called me dog; and for these courtesies I’ll lend you thus much moneys’?
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ANTONIO
I am as like to call thee so again, To spit on thee again, to spurn thee too. If thou wilt lend this money, lend it not As to thy friends; for when did friendship take A breed for barren metal of his friend? But lend it rather to thine enemy, Who if he break, thou mayst with better face Exact the penalty. SHYLOCK Why, look you, how you storm! I would be friends with you, and have your love, Forget the shames that you have stained me with, Supply your present wants, and take no doit Of usance for my moneys; and you’ll not hear me. This is kind I offer. BASSANIO This were kindness. SHYLOCK This kindness will I show. Go with me to a notary, seal me there Your single bond, and, in a merry sport, If you repay me not on such a day, In such a place, such sum or sums as are Expressed in the condition, let the forfeit Be nominated for an equal pound Of your fair flesh to be cut off and taken In what part of your body pleaseth me.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
dite, voi che mi avete scatarrato sulla barba, e preso a calci come si scaccia un cane randagio dalla soglia di casa. Soldi, chiedete. E io cosa dovrei dirvi? Non dovrei dirvi “un cane non ha soldi? È possibile che un bastardo presti tremila ducati?” O dovrei inchinarmi a terra, e con un tono da schiavo, col fiato rotto dovrei bisbigliarvi umilmente “Buon signore, mercoledì scorso mi avete sputato addosso, nel tal giorno mi avete scacciato con una pedata, un’altra volta mi avete chiamato cane; e per queste cortesie vi presto tutti questi soldi”? ANTONIO
E così mi sento ancora di chiamarti, e di sputarti ancora addosso, e di scacciarti ancora a calci. Se presterai questo denaro non prestarlo come ad amici: quando mai l’amicizia ha preteso il frutto dello sterile metallo di un amico?51 Prestalo piuttosto al tuo nemico, che se non dovesse mantenere gli impegni tu possa più liberamente esigere la penale. SHYLOCK
Eh diamine, quanto tempestate! Io volevo esservi amico, e avere il vostro affetto, e scordare le indegnità che mi avete rovesciato addosso, venire incontro ai vostri presenti bisogni, e non chiedervi un soldo di usura per il mio prestito – e voi non mi ascoltate! La mia è un’offerta generosa!52 BASSANIO
Alla faccia della generosità! SHYLOCK
E della mia generosità io vi darò prova. Venite con me da un notaio, firmatemi un impegno unico53 senza condizioni che se non mi ripagate nel tal giorno, nel tal posto e alla tale data, la somma o le somme espresse nel contratto, la penale stabilita sia – così, per ridere! – una libbra esatta della vostra bianca carne, da tagliare e togliere in quella parte del vostro corpo che a me piacerà.
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Shakespeare IV.indb 63
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 1 SCENE 3
ANTONIO
Content, in faith. I’ll seal to such a bond, And say there is much kindness in the Jew. h BASSANIO
You shall not seal to such a bond for me. I’ll rather dwell in my necessity. ANTONIO
Why, fear not, man; I will not forfeit it. Within these two months — that’s a month before This bond expires — I do expect return Of thrice three times the value of this bond.
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SHYLOCK
O father Abram, what these Christians are, Whose own hard dealings teaches them suspect The thoughts of others! (To Bassanio) Pray you tell me this: If he should break his day, what should I gain By the exaction of the forfeiture? A pound of man’s flesh taken from a man Is not so estimable, profitable neither, As flesh of muttons, beeves, or goats. I say, To buy his favour I extend this friendship. If he will take it, so. If not, adieu, And, for my love, I pray you wrong me not.
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ANTONIO
Yes, Shylock, I will seal unto this bond.
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SHYLOCK
Then meet me forthwith at the notary’s. Give him direction for this merry bond, And I will go and purse the ducats straight, See to my house — left in the fearful guard Of an unthrifty knave — and presently I’ll be with you. ANTONIO Hie thee, gentle Jew. Exit Shylock The Hebrew will turn Christian; he grows kind.
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152. The Jew: secondo un emend. tardo, thee, Jew: “tu, ebreo”. 64
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO I SCENA 3
ANTONIO
Bene, in fede firmerò questa obbligazione, e dico che nell’ebreo c’è generosità. BASSANIO
Non firmerai questa obbligazione per me. Preferisco rimanere povero. ANTONIO
Non temere, non pagherò la penale. Nel giro di due mesi – un mese prima che scada il contratto – mi aspetto di disporre di tre volte tante il valore di questa obbligazione. SHYLOCK
Oh padre Abramo, cosa sono mai questi cristiani, la cui crudeltà gli insegna a sospettare i pensieri degli altri! (A Bassanio) Vi prego, ditemi: se lui dovesse venir meno all’impegno, che cosa ci guadagnerei io esigendo quella penale? Tolta a un uomo, una libbra di carne umana non è così pregevole, né così apprezzata, come lo sarebbe la carne di un montone, di un bue o una capra. Allora dico: per guadagnarmi il suo favore offro questo gesto di amicizia: se l’accetta, bene. Se no, addio, e vi prego, non ripagate la mia generosità con qualche torto. ANTONIO
Sì, Shylock, firmerò questo contratto. SHYLOCK
Allora vediamoci subito dal notaio. Istruitelo su come fare questo divertente contratto, mentre io vado a mettere i ducati in scarsella, passo da casa – lasciata nelle mani di un balordo scriteriato – e vi raggiungo subito. ANTONIO
Affrettati, buon ebreo. Esce Shylock Si farà cristiano, il giudeo; diventa generoso54.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 1
BASSANIO
I like not fair terms and a villain’s mind. ANTONIO
Come on. In this there can be no dismay. My ships come home a month before the day. 2.1
Exeunt
[Flourish of cornetts.] Enter the Prince of Morocco, a tawny Moor all in white, and three or four followers accordingly, with Portia, Nerissa, and their train
MOROCCO (to Portia)
Mislike me not for my complexion, The shadowed livery of the burnished sun, To whom I am a neighbour and near bred. Bring me the fairest creature northward born, Where Phoebus’ fire scarce thaws the icicles, And let us make incision for your love To prove whose blood is reddest, his or mine. I tell thee, lady, this aspect of mine Hath feared the valiant. By my love I swear, The best regarded virgins of our clime Have loved it too. I would not change this hue Except to steal your thoughts, my gentle queen.
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PORTIA
In terms of choice I am not solely led By nice direction of a maiden’s eyes. Besides, the lott’ry of my destiny Bars me the right of voluntary choosing. But if my father had not scanted me, And hedged me by his wit to yield myself His wife who wins me by that means I told you, Yourself, renownèd Prince, then stood as fair As any comer I have looked on yet For my affection. MOROCCO Even for that I thank you. Therefore I pray you lead me to the caskets
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 1
BASSANIO
Condizioni favorevoli e propositi malevoli: non mi piace. ANTONIO
Andiamo, su. Per questo non c’è da temere. Le mie navi tornano un mese prima della data fissata. Escono II, 1
[Squilli di trombe]. Entra il principe del Marocco, un arabo55 di pelle bruna vestito di bianco, con tre o quattro seguaci simili a lui, e Porzia, Nerissa e il loro seguito56
MAROCCO (a Porzia)
Non vi dispiaccia il colore della mia pelle, livrea brunita dal sole ardente, al quale io sono vicino e quasi familiare. Prendete la creatura più bianca che ci sia a settentrione, dove il fuoco di Febo57 a stento giunge a sciogliere i ghiaccioli, e fate che per amor vostro ci incidiamo le carni, a prova di chi ha il sangue più rosso. Ti 58 dico, signora, che questo mio aspetto ha atterrito dei valorosi. Giuro sul mio amore che insigni vergini della nostra regione l’hanno amato. Non lo cambierei se non per rapire i vostri pensieri, mia dolce regina. PORZIA
Quanto alle scelte, la mia non è dettata soltanto dal calcolo scrupoloso dei miei occhi di ragazza. Inoltre, la lotteria del mio destino mi nega il diritto a una scelta volontaria. Ma se la prudenza di mio padre non mi avesse costretta a concedermi in sposa a chi mi ottiene nel modo che vi ho detto, voi stesso, illustre principe, ai miei occhi sareste altrettanto idoneo59 degli altri candidati al mio affetto. MAROCCO
E pertanto io vi ringrazio, e vi prego di condurmi agli scrigni, a tentare la mia sorte. Per questa scimitarra, che uccise il Sofì60 e
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
To try my fortune. By this scimitar, That slew the Sophy and a Persian prince That won three fields of Sultan Suleiman, I would o’erstare the sternest eyes that look, Outbrave the heart most daring on the earth, Pluck the young sucking cubs from the she-bear, Yea, mock the lion when a roars for prey, To win the lady. But alas the while, i If Hercules and Lichas play at dice Which is the better man, the greater throw May turn by fortune from the weaker hand. So is Alcides beaten by his rage, And so may I, blind Fortune leading me, Miss that which one unworthier may attain, And die with grieving. PORTIA You must take your chance, And either not attempt to choose at all, Or swear before you choose, if you choose wrong Never to speak to lady afterward In way of marriage. Therefore be advised.
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MOROCCO
Nor will not. Come, bring me unto my chance. PORTIA
First, forward to the temple. After dinner Your hazard shall be made. MOROCCO Good fortune then, To make me blest or cursèd’st among men.
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[Flourish of cornetts.] Exeunt 2.2
Enter Lancelot the clown
LANCELOT Certainly my conscience will serve me to run
from this Jew my master. The fiend is at mine elbow and tempts me, saying to me ‘Gobbo, Lancelot Gobbo, good Lancelot,’ or ‘good Gobbo,’ or ‘good Lancelot 31. The lady = “la signora”; emed. tardo thee, lady, seguito nella traduzione. 68
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
un principe persiano, e vinse61 tre battaglie campali per il sultano Solimano62, io saprei sfidare lo sguardo più fiero, e abbattere il coraggio del cuore più ardito della terra, e strappare i cuccioli al petto dell’orsa, sì, e mi burlerei del leone che ruggisce alla preda, e tutto per conquistare voi, signora. Ma ahimè, se Ercole e Lica63 giocano ai dadi chi è il migliore, il lancio più fortunato potrebbe riuscire, per avventura, alla mano più debole. Così l’Alcide64 viene sconfitto dalla sua stessa ira, e così potrei io, guidato dalla cieca fortuna, perdere ciò che uno meno degno potrebbe ottenere, mentre io muoio di dolore. PORZIA
Dovete correre il rischio: rinunciare a scegliere, o giurare prima di scegliere, che se la scelta non fosse quella giusta non rivolgerete mai più un’offerta di matrimonio a una donna. Perciò state attento. MAROCCO
Non lo farò. Su, portatemi a tu per tu col rischio. PORZIA
Al tempio65, prima di tutto. Dopo pranzo farete la vostra scelta. MAROCCO
Alla buona ventura allora: che mi faccia il più benedetto o maledetto degli uomini. [Squilli di trombe]. Escono II, 2
Entra Lancetta, buffone66
LANCETTA
Di sicuro è la coscienza a farmi fuggire dall’ebreo, il mio padrone. Il diavolo67 mi sta alle costole e mi tenta, mi dice “Gobbo68, Lancetta Gobbo, buon Lancetta”, o “buon Gobbo”, o “buon Lancetta Gobbo – usa le gambe, fai uno scatto, filatela!”. Ma la coscienza mi dice “No, stai attento, onesto Lancetta, attenzione onesto Gobbo”, o, come sopra, “onesto Lancetta Gobbo – non scappare, trattieniti,
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Shakespeare IV.indb 69
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
Gobbo — use your legs, take the start, run away.’ My conscience says ‘No, take heed, honest Lancelot, take heed, honest Gobbo,’ or, as aforesaid, ‘honest Lancelot Gobbo — do not run, scorn running with thy heels.’ Well, the most courageous fiend bids me pack. ‘Via!’ says the fiend; ‘Away!’ says the fiend. ‘For the heavens, rouse up a brave mind,’ says the fiend, ‘and run.’ Well, my conscience hanging about the neck of my heart says very wisely to me, ‘My honest friend Lancelot’ — being an honest man’s son, or rather an honest woman’s son, for indeed my father did something smack, something grow to; he had a kind of taste — well, my conscience says, ‘Lancelot, budge not’; ‘Budge!’ says the fiend; ‘Budge not’, says my conscience. ‘Conscience,’ say I, ‘you counsel well’; ‘Fiend,’ say I, ‘you counsel well.’ To be ruled by my conscience I should stay with the Jew my master who, God bless the mark, is a kind of devil; and to run away from the Jew I should be ruled by the fiend who, saving your reverence, is the devil himself. Certainly the Jew is the very devil incarnation; and in my conscience, my conscience is but a kind of hard conscience to offer to counsel me to stay with the Jew. The fiend gives the more friendly counsel. I will run, fiend. My heels are at your commandment. I will run. Enter old Gobbo, [blind,] with a basket GOBBO Master young man, you, I pray you, which is the way to Master Jew’s? LANCELOT (aside) O heavens, this is my true-begotten father who, being more than sand-blind — high-gravel-blind — knows me not. I will try confusions with him. GOBBO Master young gentleman, I pray you which is the way to Master Jew’s? LANCELOT Turn up on your right hand at the next turning, but at the next turning of all on your left, marry at the very next turning, turn of no hand but turn down indirectly to the Jew’s house.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
non dartela a gambe!”. Eppure, l’ardito diavolo mi istiga a darmi una mossa. “Via!” dice il diavolo, “avanti!” mi incalza “per il cielo, sveglia il tuo animo coraggioso!”, il diavolo dice, “e scappa!”. Ah, ma la coscienza mi si aggrappa al collo del cuore e mi dice molto saggiamente “Lancetta, onesto amico mio”, sei figlio di un uomo onesto, o piuttosto di una donna onesta – perché veramente mio padre aveva gusti un tantino smack69, e gli tirava un po’, insomma gli andava bene un po’ di tutto – bah, la coscienza dice “Lancetta, resta dove sei!”; “muoviti!” dice il diavolo, e “non muoverti!” mi dice la coscienza. “Coscienza mia,” dico io, “tu bene consigli”; e “diavolo,” dico io, “tu consigli bene”. A farmi guidare dalla coscienza dovrei stare con l’ebreo mio padrone, che, Dio mi salvi, è una specie di diavolo; mentre scappare dall’ebreo vorrebbe dire dar retta al diavolo che, con tutto il rispetto per voi70, è il diavolo in persona. Certo l’ebreo è proprio l’incarnazione del diavolo, e in tutta coscienza, la mia coscienza è proprio una dura coscienza a consigliarmi da amica di starmene con l’ebreo. Più da amico mi consiglia il diavolo. Diavolo, me la batto. Le mie calcagna sono ai tuoi ordini. Me la batto. Entra il vecchio Gobbo [cieco] con un cesto GOBBO
Signore, quel giovane, vi prego, qual è la strada per il signor ebreo? LANCETTA (a parte) Oddio, costui è il mio legittimo padre, che essendo più che orbo – orbo come una talpa71 – non mi riconosce. Ora gli confondo un po’ le idee. GOBBO
Signore, quel giovane, vi prego, qual è la strada per il signor ebreo? LANCETTA
La prossima svolta a destra, ma alla prima di tutte a sinistra, e a quella dopo, per la madonna, attento a non svoltare affatto, ma vai giù e attraversa fino alla casa dell’ebreo.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
GOBBO By God’s sonties, ’twill be a hard way to hit. Can
you tell me whether one Lancelot that dwells with him dwell with him or no? LANCELOT Talk you of young Master Lancelot? (Aside) Mark me now, now will I raise the waters. (To Gobbo) Talk you of young Master Lancelot? GOBBO No master, sir, but a poor man’s son. His father, though I say’t, is an honest exceeding poor man, and, God be thanked, well to live. LANCELOT Well, let his father be what a will, we talk of young Master Lancelot. GOBBO Your worship’s friend, and Lancelot, sir. LANCELOT But I pray you, ergo old man, ergo I beseech you, talk you of young Master Lancelot? GOBBO Of Lancelot, an’t please your mastership. LANCELOT Ergo Master Lancelot. Talk not of Master Lancelot, father, for the young gentleman, according to fates and destinies and such odd sayings — the sisters three and such branches of learning — is indeed deceased; or, as you would say in plain terms, gone to heaven. GOBBO Marry, God forbid! The boy was the very staff of my age, my very prop. LANCELOT [aside] Do I look like a cudgel or a hovel-post, a staff or a prop? (To Gobbo) Do you know me, father? GOBBO Alack the day, I know you not, young gentleman. But I pray you tell me, is my boy — God rest his soul — alive or dead? LANCELOT Do you not know me, father?
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
GOBBO
Per tutti i santi del cielo, non sarà facile trovarla. Mi potete dire se un certo Lancetta che abita da lui ci abita o no? LANCETTA
Volete dire il giovane mastro72 Lancetta? (A parte) Attenti, ora scateno un cataclisma!73 (A Gobbo) Volete dire il giovane mastro Lancetta? GOBBO
Non mastro, signore, ma figlio di un pover’uomo. Suo padre, anche se sono io che lo dico, è un onesto eccessivamente povero e, Dio sia lodato, benestante. LANCETTA
Beh, che suo padre sia chi vuol essere, ma noi parliamo di mastro Lancetta. GOBBO
L’amico di vostra signoria, Lancetta, signore. LANCETTA
Ergo74 vi prego, vecchio mio, ergo vi scongiuro, parlate del giovane mastro Lancetta? GOBBO
Di Lancetta, se piace alla vostra maestria. LANCETTA
Ergo mastro Lancetta! Ma non parlate di mastro Lancetta, padre, perché il giovane gentiluomo, secondo i fati e le destinazioni e simili strani discorsi, e le tre Parche e altre branche del sapere, lui è davvero deceduto, o come diremmo in parole povere, volato in cielo. GOBBO
Mannaggia, Dio ne scampi! Il ragazzo era il sostegno della mia vecchiaia, il mio unico aiuto! LANCETTA [a parte] Ma vi sembro un randello, un palo, un appoggio, un puntello? (A Gobbo). Non mi riconoscete, padre? GOBBO
Ah povero me! Io non vi conosco, giovane gentiluomo. Ma vi prego, ditemi: il mio ragazzo – pace all’anima sua – è vivo o morto? LANCETTA
Non mi riconosci, padre? 73
Shakespeare IV.indb 73
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
GOBBO Alack, sir, I am sand-blind. I know you not.
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LANCELOT Nay, indeed, if you had your eyes you might
fail of the knowing me. It is a wise father that knows his own child. Well, old man, I will tell you news of your son. (Kneeling) Give me your blessing. Truth will come to light; murder cannot be hid long — a man’s son may, but in the end truth will out. GOBBO Pray you, sir, stand up. I am sure you are not Lancelot, my boy. LANCELOT Pray you, let’s have no more fooling about it, but give me your blessing. I am Lancelot, your boy that was, your son that is, your child that shall be. GOBBO I cannot think you are my son. LANCELOT I know not what I shall think of that, but I am Lancelot the Jew’s man, and I am sure Margery your wife is my mother. GOBBO Her name is Margery indeed. I’ll be sworn, if thou be Lancelot thou art mine own flesh and blood.
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He feels Lancelot’s head Lord worshipped might he be, what a beard hast thou got! Thou hast got more hair on thy chin than Dobbin my fill-horse has on his tail. LANCELOT It should seem then that Dobbin’s tail grows backward. I am sure he had more hair of his tail than I have of my face when I last saw him. j GOBBO Lord, how art thou changed! How dost thou and thy master agree? I have brought him a present. How ’gree you now? LANCELOT Well, well; but for mine own part, as I have set up my rest to run away, so I will not rest till I have run some ground. My master’s a very Jew. Give him a present? — give him a halter! I am famished in his service. You may tell every finger I have with my ribs.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
GOBBO
Ahimè no, sono mezzo cieco! Non vi riconosco. LANCETTA
Già, veramente potresti non riconoscermi anche se avessi gli occhi. Sono saggi i padri che riconoscono la loro prole75. Beh vecchio, ti do io notizie do tuo figlio. (Si inginocchia) Datemi la vostra benedizione. La verità verrà alla luce: il delitto non si può nascondere a lungo, ma un figlio sì, e alla fine la verità verrà fuori. GOBBO
Ma vi prego, signore, alzatevi. Dubito che siate davvero Lancetta, il mio ragazzo. LANCETTA
Io prego voi, piantiamola lì e datemi la vostra benedizione. Sono Lancetta, quello che era il vostro ragazzo, che è vostro figlio, e sarà il vostro bebè76. GOBBO
Non posso credere che tu sia mio figlio. LANCETTA
Non so cosa ne posso credere io, ma sono Lancetta il servitore dell’ebreo, e sono certo che vostra moglie Marghe sia mia madre. GOBBO
Il suo nome è proprio Marghe. Giuro, se sei mio figlio sei carne e sangue miei. Tocca la testa di Lancetta Sia lodato il Signore, che barba ti sei fatto? Hai più peli tu sul mento che il mio ronzino77 Dobbin sulla coda! LANCETTA
Sembrerebbe allora che la coda di Dobbin cresca al contrario. L’ultima volta che l’ho visto aveva più peli nella coda di quanti non ne abbia io sulla faccia78. GOBBO
Dio santo, come sei cambiato! E vai d’accordo col padrone? Gli ho portato un regalo. Andate d’accordo ora? LANCETTA
Beh, bene. Per quanto mi riguarda, ho deciso79 di darmela a gambe, e non mi fermo finché non sarò lontano da qui. Il padrone è un vero ebreo. Dargli un regalo? – dagli un cappio che si impicchi! Muoio di fame al suo servizio. Potete contarmi tutte le costole con le cin75
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
Father, I am glad you are come. Give me your present to one Master Bassanio, who indeed gives rare new liveries. If I serve not him, I will run as far as God has any ground.
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Enter Bassanio with Leonardo and followers O rare fortune! Here comes the man. To him, father, for I am a Jew if I serve the Jew any longer. BASSANIO (to one of his men) You may do so, but let it be so hasted that supper be ready at the farthest by five of the clock. See these letters delivered, put the liveries to making, and desire Graziano to come anon to my lodging. Exit one LANCELOT (to Gobbo) To him, father. GOBBO (to Bassanio) God bless your worship. BASSANIO Gramercy. Wouldst thou aught with me? GOBBO Here’s my son, sir, a poor boy — LANCELOT (to Bassanio) Not a poor boy, sir, but the rich Jew’s man that would, sir, as my father shall specify. GOBBO (to Bassanio) He hath a great infection, sir, as one would say, to serve — LANCELOT Indeed, the short and the long is, I serve the Jew, and have a desire as my father shall specify. GOBBO (to Bassanio) His master and he, saving your worship’s reverence, are scarce cater-cousins. LANCELOT (to Bassanio) To be brief, the very truth is that the Jew, having done me wrong, doth cause me, as my father — being, I hope, an old man — shall frutify unto you.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
que dita. Padre, sono contento che siate venuto. Il regalo datelo a un certo mastro Bassanio, che davvero dà belle livree nuove. Se non riesco a servire lui, scappo finché Dio mi concede un po’ di terreno. Entra Bassanio con Leonardo e seguito Oh che fortuna! Eccolo che viene. Andiamogli incontro, padre, altrimenti ebreo lo sarò io, se servirò ancora l’ebreo. BASSANIO (a uno dei suoi) Fai così, ma in fretta, che la cena sia pronta al più tardi alle cinque. Consegna queste lettere, ordina le livree e di’ a Graziano che venga subito da me. Esce uno del seguito LANCETTA (a Gobbo)
Avanti, padre. GOBBO (a Bassanio)
Dio benedica vossignoria. BASSANIO
Grazie davvero. Desiderate qualcosa? GOBBO
Ecco mio figlio, signore, un povero ragazzo… LANCETTA (a Bassanio)
Non un povero ragazzo, signore, ma il servitore del ricco ebreo, che vorrebbe, signore, come specificherà mio padre… GOBBO (a Bassanio) Ha una grande infezione80, signore, come si dice, di servire… LANCETTA
Insomma, per farla lunga e farla breve, io sono a servizio dall’ebreo, dal quale desidererei, come mio padre specificherà… GOBBO (a Bassanio) Il suo padrone e lui, con tutto il rispetto per vossignoria, non sono proprio culo e camicia… LANCETTA (a Bassanio) A farla breve, la sola verità è che l’ebreo, avendomi trattato male, mi spinge, come mio padre – che, come spero, è vecchio – pienamente vi fruttificherà…
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Shakespeare IV.indb 77
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
GOBBO (to Bassanio) I have here a dish of doves that I
would bestow upon your worship, and my suit is — LANCELOT (to Bassanio) In very brief, the suit is impertinent
to myself, as your worship shall know by this honest old man; and though I say it, though old man, yet, poor man, my father. BASSANIO One speak for both. What would you? LANCELOT Serve you, sir. GOBBO (to Bassanio) That is the very defect of the matter, sir. BASSANIO (to Lancelot) I know thee well. Thou hast obtained thy suit. Shylock thy master spoke with me this day, And hath preferred thee, if it be preferment To leave a rich Jew’s service to become The follower of so poor a gentleman. LANCELOT The old proverb is very well parted between my master Shylock and you, sir: you have the grace of God, sir, and he hath enough.
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BASSANIO
Thou speak’st it well. (To Gobbo) Go, father, with thy son. (To Lancelot) Take leave of thy old master and enquire My lodging out. (To one of his men) Give him a livery More guarded than his fellows’. See it done. LANCELOT (to Gobbo) Father, in. I cannot get a service, no, I have ne’er a tongue in my head — well!
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He looks at his palm If any man in Italy have a fairer table which doth offer to swear upon a book, I shall have good fortune. Go to, here’s a simple line of life, here’s a small trifle of wives — alas, fifteen wives is nothing. Eleven widows and nine maids is a simple coming-in for one man, and then to scape drowning thrice, and to be in peril of my life with the edge of a featherbed — here are simple
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Shakespeare IV.indb 78
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
GOBBO (a Bassanio)
Ho qui un piatto di palombelle che vorrei donare a vossignoria, e il favore che ho da chiedervi è… LANCETTA (a Bassanio) Molto in breve, il favore è impertinente a me, come apprenderà vossignoria da questo onesto vecchio – e benché lo dica io, per quanto vecchio, tuttavia, pover’uomo, è mio padre. BASSANIO
Parli uno per entrambi. Cosa volete? LANCETTA
Servire voi, signore. GOBBO (a Bassanio) Questo è il vero difetto della questione, signore. BASSANIO (a Lancetta) Io ti conosco bene, e la tua richiesta è accolta. Oggi il tuo padrone Shylock mi ha parlato e ti ha raccomandato, se si può dire raccomandazione quella di toglierti dal servizio di un ebreo ricco per metterti al seguito di un gentiluomo povero. LANCETTA
Avete ben diviso il vecchio proverbio fra voi e padron Shylock, signore: a voi la grazia di Dio, e a lui quel che basta81. BASSANIO
Hai detto bene. (A Gobbo) Padre, vai con tuo figlio. (A Lancetta) Congedati dal tuo vecchio padrone e domanda dov’è la mia casa. (A uno del seguito) Dategli la livrea più decorata di quelle degli altri. Badate che sia fatto. LANCETTA (a Gobbo) Padre, io non saprei procurarmi un posto, eh? Non saprei tenere la lingua a freno, eh? Si guarda il palmo della mano Se c’è qualcuno in Italia che offra un palmo migliore per giurare sulla Bibbia, io avrò fortuna82. Eppure, guarda: qui c’è una linea della vita che è semplice, mentre qui, nelle linee del matrimonio, c’è un po’ di mogli83… peccato, quindici mogli son poche. Undici vedove e nove vergini sono un misero raccolto per un uomo solo, e poi scampare a tre annegamenti e essere in pericolo di vita sull’orlo di un letto di piume84 – violazioni naturali! Beh, se la fortuna è 79
Shakespeare IV.indb 79
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 2
scapes. Well, if Fortune be a woman, she’s a good wench for this gear. Father, come. I’ll take my leave of the Jew in the twinkling. Exit with old Gobbo BASSANIO
I pray thee, good Leonardo, think on this. These things being bought and orderly bestowed, Return in haste, for I do feast tonight My best-esteemed acquaintance. Hie thee. Go.
165
LEONARDO
My best endeavours shall be done herein. He begins to leave. Enter Graziano GRAZIANO (to Leonardo)
Where’s your master? LEONARDO
Yonder, sir, he walks.
Exit
GRAZIANO
Signor Bassanio. Graziano.
BASSANIO
GRAZIANO
I have a suit to you. k BASSANIO You have obtained it.
170
GRAZIANO
You must not deny me. I must go with you to Belmont. BASSANIO
Why then, you must. But hear thee, Graziano, Thou art too wild, too rude and bold of voice — Parts that become thee happily enough, And in such eyes as ours appear not faults; But where thou art not known, why, there they show Something too liberal. Pray thee, take pain To allay with some cold drops of modesty Thy skipping spirit, lest through thy wild behaviour I be misconstered in the place I go to, And lose my hopes.
175
180
170. Suit: in Q2 e F a sute, in Q1 sute. 80
Shakespeare IV.indb 80
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 2
donna, con me questa volta fa la brava. Padre, vieni. Mi licenzio dall’ebreo in un batter d’occhio. Esce con il vecchio Gobbo BASSANIO
Ti prego, caro Leonardo, pensaci tu. Dopo aver comprate e messe a posto queste cose ritorna in tutta fretta, perché questa sera faccio festa ai miei migliori amici. Avanti, vai. LEONARDO
Farò del mio meglio. Si accinge a uscire. Entra Graziano GRAZIANO (a Leonardo)
Dov’è il tuo padrone? LEONARDO
Eccolo, signore, sta arrivando. Esce GRAZIANO
Signor Bassanio! BASSANIO
Graziano. GRAZIANO
Vi rivolgo una preghiera. BASSANIO
È già esaudita. GRAZIANO
Non mi dite di no. Devo venire con voi a Belmonte. BASSANIO
Se proprio dovete – ma ascolta, Graziano, tu sei troppo rozzo, troppo brusco e schietto – doti che ti stanno bene, e che ai nostri occhi non appaiono difetti: ma dove non sei conosciuto, insomma, lì sembrano un po’ troppo libere. Ti prego, cerca di temperare con qualche goccia di fredda modestia i tuoi spiriti bollenti… Nel posto dove vado non vorrei essere frainteso per il tuo contegno poco decoroso, e perdere così le mie speranze.
81
Shakespeare IV.indb 81
30/11/2018 09:31:33
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 3
Signor Bassanio, hear me. If I do not put on a sober habit, Talk with respect, and swear but now and then, Wear prayer books in my pocket, look demurely — Nay more, while grace is saying hood mine eyes Thus with my hat, and sigh, and say ‘Amen’, Use all the observance of civility, Like one well studied in a sad ostent To please his grandam, never trust me more. BASSANIO Well, we shall see your bearing. GRAZIANO
185
190
GRAZIANO
Nay, but I bar tonight. You shall not gauge me By what we do tonight. BASSANIO No, that were pity. I would entreat you rather to put on Your boldest suit of mirth, for we have friends That purpose merriment. But fare you well. I have some business.
195
GRAZIANO
And I must to Lorenzo and the rest. But we will visit you at supper-time. 2.3
Exeunt severally
Enter Jessica and Lancelot, the clown
JESSICA
I am sorry thou wilt leave my father so. Our house is hell, and thou, a merry devil, Didst rob it of some taste of tediousness. But fare thee well. There is a ducat for thee. And, Lancelot, soon at supper shalt thou see Lorenzo, who is thy new master’s guest. Give him this letter, do it secretly; And so farewell. I would not have my father See me in talk with thee.
5
82
Shakespeare IV.indb 82
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 3
GRAZIANO
Signor Bassanio, ascoltate: se non metto su un contegno serio, se non parlo moderatamente e bestemmio solo qualche volta, se non mi metto in tasca un breviario e non assumo un’aria compassata – di più ancora, se mentre si recita il “benedicite” non mi copro gli occhi così, con il cappello, e non sospiro e dico “amen”, e non seguo ogni forma del vivere civile, come chi ostenta un’aria depressa per compiacere la nonna, non fidatevi più di me. BASSANIO
Bene, vedremo come ti comporti. GRAZIANO
Già, ma non stasera. Non mi misurate per quel che faccio stasera. BASSANIO
No, sarebbe un peccato. Anzi, ti imploriamo piuttosto di metterti il vestito più sgargiante e chiassoso: abbiamo amici che vogliono fare baldoria. Ma addio. Ho qualcosa da fare. GRAZIANO
E io devo raggiungere Lorenzo e gli altri. Siamo da voi per cena. Escono, ognuno per la sua strada II, 3
Entrano Jessica e Lancetta85, il buffone
JESSICA
Mi spiace che lasci mio padre così. Se casa nostra è un inferno, tu, un diavoletto allegro, le toglievi un po’ della sua cupezza. Ma buona fortuna, eccoti un ducato. E, Lancetta, fra poco a cena vedrai Lorenzo, ospite del tuo nuovo padrone. Dagli questa lettera in gran segreto, e così addio. Non voglio che mio padre mi veda parlare con te.
83
Shakespeare IV.indb 83
30/11/2018 09:31:33
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 4
LANCELOT Adieu. Tears exhibit my tongue, most beautiful
pagan; most sweet Jew; if a Christian do not play the knave and get thee, I am much deceived. But adieu. These foolish drops do something drown my manly spirit. Adieu. JESSICA Farewell, good Lancelot. Exit Lancelot Alack, what heinous sin is it in me To be ashamed to be my father’s child! But though I am a daughter to his blood, I am not to his manners. O Lorenzo, If thou keep promise I shall end this strife, Become a Christian and thy loving wife. Exit
14
20
Enter Graziano, Lorenzo, Salerio, and Salanio l
2.4
LORENZO
Nay, we will slink away in supper-time, Disguise us at my lodging, and return All in an hour. GRAZIANO
We have not made good preparation. SALERIO
We have not spoke as yet of torchbearers.
5
SOLANIO
’Tis vile, unless it may be quaintly ordered, And better in my mind not undertook. LORENZO
’Tis now but four o’clock. We have two hours To furnish us. Enter Lancelot with a letter Friend Lancelot, what’s the news? LANCELOT (presenting the letter) An it shall please you to break up this, it shall seem to signify.
11
0.1. Salanio: così nel testo Oxford; ma Solanio per il resto della scena. 84
Shakespeare IV.indb 84
30/11/2018 09:31:33
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 4
LANCETTA
Addio. Le mie lacrime parlano per me, bellissima pagana, dolcissima ebrea. Mi sbaglio di grosso se un cristiano non ti gioca un brutto tiro e non ti fa sua. Ma addio. Questi stupidi goccioloni annegano il mio spirito virile. Addio. JESSICA
Addio, buon Lancetta. Lancetta esce Ahimè, che peccato odioso sto commettendo, a vergognarmi di essere figlia di mio padre! Ma benché io sia figlia del suo sangue, non lo sono del suo modo di fare. Oh, Lorenzo, se mantieni la promessa io metto fine a questa contesa, divento cristiana e tua amorevole sposa. Esce II, 4
Entrano Graziano, Lorenzo, Salerio e Solanio86
LORENZO
Allora ce la squagliamo durante la cena, ci travestiamo a casa mia, e torniamo nel giro di un’ora. GRAZIANO
Non siamo ancora pronti. SALERIO
Non abbiamo ancora chi porta le fiaccole. SOLANIO
Così non va; se non è tutto appuntino, è meglio non far nulla. LORENZO
Sono solo le quattro. Abbiamo due ore per prepararci. Entra Lancetta con una lettera Lancetta amico mio, che notizie porti? LANCETTA (gli porge la lettera)
Se vi degnate di rompere il sigillo, avrà parvenza di comunicare qualcosa87.
85
Shakespeare IV.indb 85
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 4
LORENZO (taking the letter)
I know the hand. In faith, ’tis a fair hand, And whiter than the paper it writ on Is the fair hand that writ. GRAZIANO Love-news, in faith. LANCELOT [to Lorenzo] By your leave, sir. LORENZO Whither goest thou? LANCELOT Marry, sir, to bid my old master the Jew to sup tonight with my new master the Christian.
15
LORENZO
Hold, here, take this. (Giving money) Tell gentle Jessica I will not fail her. Speak it privately. Go Exit Lancelot Gentlemen, Will you prepare you for this masque tonight? I am provided of a torchbearer.
20
SALERIO
Ay, marry, I’ll be gone about it straight. SOLANIO
And so will I. Meet me and Graziano At Graziano’s lodging some hour hence. SALERIO ’Tis good we do so. Exit with Solanio LORENZO
25
GRAZIANO
Was not that letter from fair Jessica? LORENZO
I must needs tell thee all. She hath directed How I shall take her from her father’s house, What gold and jewels she is furnished with What page’s suit she hath in readiness. If e’er the Jew her father come to heaven It will be for his gentle daughter’s sake; And never dare misfortune cross her foot Unless she do it under this excuse: That she is issue to a faithless Jew. Come, go with me. Peruse this as thou goest.
30
35
86
Shakespeare IV.indb 86
30/11/2018 09:31:33
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 4
LORENZO (prende la lettera)
Conosco la mano. È davvero una bella mano, e più bianca della carta su cui è scritta è la bella mano che ha scritto. GRAZIANO
Notizie d’amore, vedo. LANCETTA [a Lorenzo] Con permesso, signore. LORENZO
Dove te ne vai? LANCETTA
Perdiana, signore, a invitare il mio vecchio padrone ebreo a cenare con il mio nuovo padrone cristiano. LORENZO
Aspetta, prendi questo. (Gli dà del denaro) Alla gentile Jessica di’ che non mancherò. Diglielo di nascosto. Vai. Lancetta esce 88
Signori, vi preparate per la mascherata di questa sera? Ho trovato un portafiaccole. SALERIO
Ah, perdio, anch’io mi ci metto. SOLANIO
E così faccio io. LORENZO
Incontriamoci da Graziano fra circa un’ora. SALERIO
Benissimo. Esce con Solanio GRAZIANO
Quella lettera non era di Jessica? LORENZO
Devo per forza dirti tutto. Mi mostra come portarla via dalla casa di suo padre, degli ori e gioielli che possiede, e del costume da paggio che ha pronto. Se mai l’ebreo suo padre sale al cielo, sarà per merito della sua gentile figliola. Che mai la sventura le attraversi la strada, se non perché è figlia di ebreo miscredente. Vieni, andiamo insieme. Questa leggila strada facendo. 87
Shakespeare IV.indb 87
30/11/2018 09:31:33
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 5
He gives Graziano the letter Fair Jessica shall be my torchbearer. 2.5
Exeunt
Enter Shylock the Jew and his man that was, Lancelot the clown
SHYLOCK
Well, thou shalt see, thy eyes shall be thy judge, The difference of old Shylock and Bassanio. (Calling) What, Jessica! (To Lancelot) Thou shalt not gormandize As thou hast done with me. (Calling) What, Jessica! (To Lancelot) And sleep and snore and rend apparel out. (Calling) Why, Jessica, I say! LANCELOT (calling) Why, Jessica!
5
SHYLOCK
Who bids thee call? I do not bid thee call. LANCELOT Your worship was wont to tell me I could do
nothing without bidding. Enter Jessica JESSICA (to Shylock) Call you? What is your will?
10
SHYLOCK
I am bid forth to supper, Jessica. There are my keys. But wherefore should I go? I am not bid for love. They flatter me, But yet I’ll go in hate, to feed upon The prodigal Christian. Jessica, my girl, Look to my house. I am right loath to go. There is some ill a-brewing towards my rest, For I did dream of money-bags tonight. LANCELOT I beseech you, sir, go. My young master doth expect your reproach. SHYLOCK So do I his.
15
20
88
Shakespeare IV.indb 88
30/11/2018 09:31:33
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 5
Dà la lettera a Graziano La bella Jessica sarà il mio portafiaccola. Escono II, 5
Entrano Shylock l’ebreo e quello che era il suo servitore, Lancetta il buffone89
SHYLOCK
Ebbene, lo vedrai da te, giudicheranno i tuoi occhi la differenza che passa fra il vecchio Shylock e Bassanio! (Chiama) Ehi, Jessica! (A Lancetta) Non potrai più rimpinzarti come facevi da me. (Chiama) Allora, Jessica! (A Lancetta) E poltrire e ronfare e consumare vestiti! (Chiama) Insomma, Jessica, dico! LANCETTA
Insomma, Jessica! SHYLOCK
Chi ti ha detto di chiamare? Io non te l’ho chiesto. LANCETTA
Vossignoria mi diceva sempre che non dovevo far nulla senza una chiamata90. Entra Jessica JESSICA (a Shylock)
Mi avete chiamato? Cosa volete? SHYLOCK
Sono invitato a cena, Jessica. Qui ci sono le chiavi. Ma perché dovrei andarci? Non è per amore che mi invitano, ma per adularmi, e io ci vado per odio, per mangiare alle spalle del prodigo cristiano. Jessica, ragazza mia, bada alla casa. Non ho proprio voglia di andare. Qualcosa di male bolle in pentola, a minacciare la mia pace: ho sognato sacchi di monete stanotte. LANCETTA
Vi prego signore, andate. Il mio giovane padrone aspetta la vostra scomparsa91. SHYLOCK
E io la sua.
89
Shakespeare IV.indb 89
30/11/2018 09:31:33
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 5
LANCELOT And they have conspired together. I will not
say you shall see a masque, but if you do, then it was not for nothing that my nose fell a-bleeding on Black Monday last at six o’clock i’th’ morning, falling out that year on Ash Wednesday was four year in th’afternoon.
27
SHYLOCK
What, are there masques? Hear you me, Jessica, Lock up my doors; and when you hear the drum And the vile squealing of the wry-neckedfife, Clamber not you up to the casements then, Nor thrust your head into the public street To gaze on Christian fools with varnished faces, But stop my house’s ears — I mean my casements. Let not the sound of shallow fopp’ry enter My sober house. By Jacob’s staff I swear I have no mind of feasting forth tonight. But I will go. (To Lancelot) Go you before me, sirrah. Say I will come. LANCELOT I will go before, sir. (Aside to Jessica) Mistress, look out at window for all this. There will come a Christian by Will be worth a Jewës eye. Exit SHYLOCK (to Jessica) What says that fool of Hagar’s offspring, ha?
30
35
40
JESSICA
His words were ‘Farewell, mistress’; nothing else. SHYLOCK
The patch is kind enough, but a huge feeder, Snail-slow in profit, and he sleeps by day More than the wildcat. Drones hive not with me; Therefore I part with him, and part with him To one that I would have him help to waste His borrowed purse. Well, Jessica, go in.
45
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90
Shakespeare IV.indb 90
30/11/2018 09:31:34
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 5
LANCETTA
Così hanno cospirato. Non dico che vedrete una mascherata, ma se vi capita, allora non era per nulla che il mio naso si è messo a sanguinare il lunedì di Pasqua alle sei del mattino, cadendo quell’anno, ogni quattro, nel pomeriggio del mercoledì delle Ceneri92. SHYLOCK
Come, mascherate? Ascoltami Jessica, spranga le porte, e quando senti i tamburi e lo stridio abietto del flauto dal collo storto93 non arrampicarti fino alle serrande, e non sporgere la testa fin nella strada a deliziarti di citrulli cristiani con le facce dipinte, ma chiudi le orecchie della mia casa – le serrande, dico – e fa sì che i suoni di quelle vuote stupidaggini non entrino nella mia austera dimora. Per la verga di Giacobbe94, giuro di non aver voglia di far festa questa sera. Ma vado. (A Lancetta) Tu precedimi, avanti. Digli che arrivo. LANCETTA
Vi precedo, signore. (A parte, rivolgendosi a Jessica) Padrona, ciò malgrado state alla finestra. Un cristiano arriverà che lo sguardo dell’ebrea rallegrerà95. Esce SHYLOCK
Che dice quell’idiota della stirpe di Agar96, eh? JESSICA
Ha detto “addio, padrona”, e nient’altro. SHYLOCK
Il buffo screziato è una bella sagoma, ma mangia come un lupo, impara come una lumaca, e dorme di giorno peggio di un gatto selvatico. Pelandroni non ne voglio a casa mia97; per questo me ne libero, e lo passo a uno perché lo aiuti a sperperare la somma di denaro che ha preso a prestito. Bene, Jessica, ritirati. Magari tor-
91
Shakespeare IV.indb 91
30/11/2018 09:31:34
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 6
Perhaps I will return immediately. Do as I bid you. Shut doors after you. Fast bind, fast find — A proverb never stale in thrifty mind. Exit at one door JESSICA
Farewell; and if my fortune be not crossed, I have a father, you a daughter lost.
55
Exit at another door 2.6
Enter the masquers, Graziano and Salerio, [with torchbearers]
GRAZIANO
This is the penthouse under which Lorenzo Desired us to make stand. SALERIO His hour is almost past. GRAZIANO
And it is marvel he outdwells his hour, For lovers ever run before the clock. SALERIO
O, ten times faster Venus’ pigeons fly To seal love’s bonds new made than they are wont To keep obligèd faith unforfeited.
5
GRAZIANO
That ever holds. Who riseth from a feast With that keen appetite that he sits down? Where is the horse that doth untread again His tedious measures with the unbated fire That he did pace them first? All things that are Are with more spirit chasèd than enjoyed. How like a younker or a prodigal m The scarfèd barque puts from her native bay, Hugged and embracèd by the strumpet wind!
10
15
14. Younker: emend. tardo, come riuso del germanico junker, “giovane nobiluomo”; in Q younger, in F yonger. 92
Shakespeare IV.indb 92
30/11/2018 09:31:34
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 6
no prestissimo. Fai come ti dico. Chiudi le porte dietro di te. Ben sprangato, ben ritrovato: il vecchio proverbio è sempre valido per una mente avveduta. Esce da una porta JESSICA
Addio; se la fortuna non mi tradirà, me del padre, voi della figlia priverà. Esce da un’altra porta II, 6
Entrano in maschera Graziano e Salerio [con portafiaccole]98
GRAZIANO
Questa è la loggia dove Lorenzo ci ha chiesto di attendere. SALERIO
Siamo già quasi oltre l’ora fissata. GRAZIANO
Strano che ritardi: gli innamorati sono sempre in anticipo. SALERIO
Oh, le colombe di Venere99 volano dieci volte più veloci per sigillare i nuovi patti d’amore che per conservare fedeltà non ancora tradite! GRAZIANO
Questo è sempre vero. Chi mai abbandona un banchetto con il forte appetito con cui si è seduto? E quale cavallo ricalca la noia delle sue strade con lo slancio focoso della prima volta? Tutto ciò che c’è viene inseguito con maggiore ardore di quanto non sia goduto. Com’è simile al cadetto o a figliol prodigo la nave che salpa pavesata dal porto nativo, cinta e abbracciata dal vento impudente!
93
Shakespeare IV.indb 93
30/11/2018 09:31:34
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 6
How like the prodigal doth she return, With over-weathered ribs and raggèd sails, Lean, rent, and beggared by the strumpet wind! Enter Lorenzo, [with a torch] SALERIO
Here comes Lorenzo. More of this hereafter.
20
LORENZO
Sweet friends, your patience for my long abode. Not I but my affairs have made you wait. When you shall please to play the thieves for wives I’ll watch as long for you therein. Approach. n Here dwells my father Jew. (Calling) Ho, who’s within?
25
Enter Jessica above in boy’s apparel JESSICA
Who are you? Tell me for more certainty, Albeit I’ll swear that I do know your tongue. LORENZO Lorenzo, and thy love. JESSICA
Lorenzo, certain, and my love indeed, For who love I so much? And now who knows But you, Lorenzo, whether I am yours?
30
LORENZO
Heaven and thy thoughts are witness that thou art. JESSICA
Here, catch this casket. It is worth the pains. I am glad ’tis night, you do not look on me, For I am much ashamed of my exchange; But love is blind, and lovers cannot see The pretty follies that themselves commit; For if they could, Cupid himself would blush To see me thus transformèd to a boy.
35
LORENZO
Descend, for you must be my torchbearer.
40
24. Therein: emend. Montgomery; in Q then = “allora”. 94
Shakespeare IV.indb 94
30/11/2018 09:31:34
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 6
E quanto resta simile a quel prodigo quando ritorna, sfasciate le costole e stracciate le vele, smagrita, squassata, spogliata da venti lascivi? Entra Lorenzo [con una fiaccola] SALERIO
Ecco Lorenzo. Continuiamo dopo. LORENZO
Cari amici, abbiate pazienza per il lungo ritardo. Non io ma i miei affari vi hanno fatto aspettare. Quando vi andrà di rubare una moglie vi aspetterò altrettanto a lungo. Avviciniamoci. Qui abita l’ebreo mio suocero. (Chiama) Oh! qualcuno in casa? Entra Jessica in alto100 , vestita da paggio JESSICA
Chi siete? Parlate, per sicurezza, anche se giuro di riconoscere la voce. LORENZO
Lorenzo, il tuo amore. JESSICA
Lorenzo davvero, e davvero il mio amore. E chi mai amerei così? E chi se non tu, Lorenzo, saprebbe ora che sono tua? LORENZO
Il cielo e i tuoi pensieri sono testimoni che lo sei. JESSICA
Ecco, prendi questo scrigno. Ne vale la pena. Sono lieta che sia notte, non guardarmi: ho vergogna del mio travestimento. Ma l’amore è cieco, e gli innamorati non sanno vedere le assurdità che commettono, perché altrimenti Cupido stesso arrossirebbe al vedermi così trasformata in ragazzo. LORENZO
Scendi, sarai il mio portafiaccole.
95
Shakespeare IV.indb 95
30/11/2018 09:31:34
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 6
JESSICA
What, must I hold a candle to my shames? They in themselves, good sooth, are too too light. Why, ’tis an office of discovery, love, And I should be obscured. LORENZO So are you, sweet, Even in the lovely garnish of a boy. But come at once, For the close night doth play the runaway, And we are stayed for at Bassanio’s feast.
45
JESSICA
I will make fast the doors, and gild myself With some more ducats, and be with you straight.
50
Exit above GRAZIANO
Now, by my hood, a gentile, and no Jew. o LORENZO
Beshrew me but I love her heartily, For she is wise, if I can judge of her; And fair she is, if that mine eyes be true; And true she is, as she hath proved herself; And therefore like herself, wise, fair, and true, Shall she be placèd in my constant soul.
55
Enter Jessica below What, art thou come? On, gentlemen, away. p Our masquing mates by this time for us stay. Exit with Jessica and Salerio Enter Antonio ANTONIO
Who’s there?
51. Gentile: in Q gentle = “gentile” nel senso caratteriale, non etnico. Q2, qui seguito, sfrutta invece l’impetuosità di Graziano che insiste sul contrasto cristiani/ebrei. 58. Gentlemen: così in F; in Q gentleman = “signore”. 96
Shakespeare IV.indb 96
30/11/2018 09:31:34
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 6
JESSICA
Come, devo illuminare la mia vergogna? Veramente è già fin troppo chiara101. Questo, amore, è un incarico che mette allo scoperto, mentre io dovrei rimanere nell’ombra. LORENZO
Ma lo sei, cara, anche così in questo delizioso abito da ragazzo. Dunque vieni subito, ché la notte sta fuggendo, e noi siamo attesi alla festa di Bassanio. JESSICA
Sprango le porte, mi spolvero d’oro con qualche ducato in più, e sono subito da te. Esce dall’alto GRAZIANO
Per questo cappuccio, ecco una gentile, non più ebrea! LORENZO
Mi venga un accidente se non l’amo di tutto cuore: è saggia se la capisco bene, bella se gli occhi non mi ingannano, e sincera come s’è dimostrata; e allora così com’è, saggia, bella e sincera, avrà posto nel mio cuore costante. Entra Jessica, in basso Ah, eccoti qui. Avanti signori, andiamo! A quest’ora i compagni in maschera ci aspettano. Esce con Jessica e Salerio Entra Antonio ANTONIO
Chi è là?
97
Shakespeare IV.indb 97
30/11/2018 09:31:34
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 7
GRAZIANO
Signor Antonio?
60
ANTONIO
Fie, fie, Graziano, where are all the rest? ’Tis nine o’clock. Our friends all stay for you. No masque tonight. The wind is come about. Bassanio presently will go aboard. I have sent twenty out to seek for you.
65
GRAZIANO
I am glad on’t. I desire no more delight Than to be under sail and gone tonight. 2.7
Exeunt
[Flourish of cornetts.] Enter Portia with Morocco and both their trains
PORTIA
Go, draw aside the curtains, and discover The several caskets to this noble prince. The curtains are drawn aside, revealing three caskets (To Morocco) Now make your choice. MOROCCO
This first of gold, who this inscription bears: ‘Who chooseth me shall gain what many men desire.’ The second silver, which this promise carries: ‘Who chooseth me shall get as much as he deserves.’ This third dull lead, with warning all as blunt: ‘Who chooseth me must give and hazard all he hath.’ How shall I know if I do choose the right?
6
10
PORTIA
The one of them contains my picture, Prince. If you choose that, then I am yours withal. MOROCCO
Some god direct my judgement! Let me see. I will survey th’inscriptions back again. What says this leaden casket? ‘Who chooseth me must give and hazard all he hath.’
15
98
Shakespeare IV.indb 98
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 7
GRAZIANO
Signor Antonio! ANTONIO
Via, Graziano, dove sono gli altri? Sono le nove, e gli amici vi stanno aspettando. Niente mascherata stasera. Si è levato il vento, e Bassanio sta per imbarcarsi. Ho mandato non so quanti uomini ad avvertirvi. GRAZIANO
Mi fa piacere. Per questa sera non desidero altro diletto che issare le vele e salpare! Escono II, 7
[Squilli di trombe]. Entrano Porzia e il principe del Marocco con i loro seguiti102
PORZIA
Avanti, aprite le tende e, per questo nobile principe, scoprite gli scrigni. Vengono tirate le tende, rivelando tre scrigni (A Marocco) Ora fate la vostra scelta. MAROCCO
Il primo è d’oro, e porta questa iscrizione: “Chi sceglie me otterrà ciò che molti desiderano”. Il secondo è d’argento, e reca questa promessa: “Chi sceglie me avrà quanto si merita”. Il terzo è di opaco piombo, con un avvertimento altrettanto conciso: “Chi sceglie me deve dare e azzardare tutto ciò che possiede”. Come saprò se ho scelto quello giusto? PORZIA
Uno di essi contiene il mio ritratto, principe. Se scegliete quello, sono vostra anch’io. MAROCCO
Che un dio103 guidi la mia scelta! Vediamo, ripasserò ancora le iscrizioni. Cosa dice questo scrigno di piombo? “Chi sceglie me deve dare e azzardare tutto ciò che possiede”. Deve dare, per che cosa?
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 7
Must give, for what? For lead? Hazard for lead? This casket threatens. Men that hazard all Do it in hope of fair advantages. A golden mind stoops not to shows of dross. I’ll then nor give nor hazard aught for lead. What says the silver with her virgin hue? ‘Who chooseth me shall get as much as he deserves.’ ‘As much as he deserves’: pause there, Morocco, And weigh thy value with an even hand. If thou beest rated by thy estimation Thou dost deserve enough, and yet ‘enough’ May not extend so far as to the lady. And yet to be afeard of my deserving Were but a weak disabling of myself. As much as I deserve — why, that’s the lady! I do in birth deserve her, and in fortunes, In graces, and in qualities of breeding; But more than these, in love I do deserve. What if I strayed no farther, but chose here? Let’s see once more this saying graved in gold: ‘Who chooseth me shall gain what many men desire.’ Why, that’s the lady! All the world desires her. From the four corners of the earth they come To kiss this shrine, this mortal breathing saint. The Hyrcanian deserts and the vasty wilds Of wide Arabia are as throughfares now For princes to come view fair Portia. The watery kingdom, whose ambitious head Spits in the face of heaven, is no bar To stop the foreign spirits, but they come As o’er a brook to see fair Portia. One of these three contains her heavenly picture. Is’t like that lead contains her? ’Twere damnation To think so base a thought. It were too gross To rib her cerecloth in the obscure grave.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 7
Per del piombo? Azzardare per del piombo? Questo scrigno minaccia. Quelli che azzardano tutto lo fanno nella speranza di buoni profitti. Ma un aureo intelletto non si genuflette davanti alla promessa di qualche scarto. Io non do né azzardo nulla per del piombo. E cosa dice l’argento dal pallore virginale? “Chi sceglie me avrà quanto si merita”. “Quanto si merita”: fermo lì, Marocco, e soppesa il tuo valore con mano imparziale. Se vieni valutato come tu stesso ti stimi meriti abbastanza, e tuttavia “abbastanza” potrebbe non includere la dama. E tuttavia, dubitare del mio merito equivarrebbe a degradarmi da solo. Quanto mi merito – ma è la dama, perbacco! La mia nascita la merita, e così le mie fortune, e la prestanza, e la qualità dell’istruzione; ma più ancora, la merita il mio amore. Se non procedessi oltre, e scegliessi questo? Ma leggiamo ancora questo detto inciso nell’oro: “Chi sceglie me otterrà ciò che molti desiderano”. Perbacco, è la dama! Tutto il mondo la desidera. Dai quattro angoli della terra arrivano per baciare questa icona sacra, questa mortale santa che respira. I deserti ircani e le vaste distese selvagge della grande Arabia sono strade aperte per i principi che vengono a contemplare la bella Porzia. Il regno marino, il cui ambizioso capo sputa in faccia al cielo104, non è d’ostacolo per gli audaci stranieri che lo scavalcano come un ruscello per contemplare la bella Porzia. Uno di questi tre contiene la sua celestiale immagine. È possibile che sia il piombo? Sarebbe bestemmia concepire un pensiero tanto abietto. Sarebbe troppo volgare pensare che il suo sudario sia racchiuso in una tomba tanto oscura.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 7
Or shall I think in silver she’s immured, Being ten times undervalued to tried gold? O sinful thought! Never so rich a gem Was set in worse than gold. They have in England A coin that bears the figure of an angel Stamped in gold, but that’s insculped upon; But here an angel in a golden bed Lies all within. Deliver me the key. Here do I choose, and thrive I as I may.
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He is given a key PORTIA
There, take it, Prince; and if my form lie there, Then I am yours. Morocco opens the golden casket O hell! What have we here? A carrion death, within whose empty eye There is a written scroll. I’ll read the writing. ‘All that glisters is not gold; Often have you heard that told. Many a man his life hath sold But my outside to behold. Gilded tombs do worms infold. q Had you been as wise as bold, Young in limbs, in judgement old, Your answer had not been enscrolled. Fare you well; your suit is cold.’ Cold indeed, and labour lost. Then farewell heat, and welcome frost. Portia, adieu. I have too grieved a heart To take a tedious leave. Thus losers part.
MOROCCO
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[Flourish of cornetts.] Exit with his train
69. Tombs: emend. tardo; in Q e F timber = “legname”. 102
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 7
O debbo pensare che sia murata nell’argento, di ben dieci volte inferiore in valore al fidato oro? O reo pensiero! Mai una gemma così preziosa è stata incastonata in un metallo più vile dell’oro. In Inghilterra hanno una moneta che porta la figura di un angelo105, ma è solo incisa nell’oro, mentre un angelo sta qui dentro, e d’oro è il suo letto. Datemi la chiave: questo scelgo, e vada come vuole. Gli viene data la chiave PORZIA
Eccola, prendete, principe. E se vi compare il mio ritratto, sono vostra. Marocco apre lo scrigno d’oro MAROCCO
Per l’inferno! Cosa abbiamo qui? Una carogna, la morte106, nel cui occhio vuoto c’è un cartiglio con lo scritto che vado a leggere. “Non tutto ciò che luce è oro schietto Lo dice e lo ridice il detto: In molti la vita ci han rimesso Per esserne attirati dal riflesso. Solo vermi le tombe dorate han custodito. Se saggio quanto audace fossi tu stato Nelle membra un giovanotto, Nel giudizio un sano vecchiotto, Tal risposta non avresti avuto. Il tempo della corte ti è scaduto”. Scaduto davvero: fatica sprecata. Perciò addio l’ardore, e benvenuto il gelo! Porzia, addio. Il mio cuore è troppo addolorato per prendere un acconcio congedo. Così se ne va lo sconfitto. [Squilli di tromba]. Esce col suo seguito
103
Shakespeare IV.indb 103
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 8
PORTIA
A gentle riddance. Draw the curtains, go. Let all of his complexion choose me so. The curtains are drawn. Exeunt 2.8
Enter Salerio and Solanio
SALERIO
Why, man, I saw Bassanio under sail. With him is Graziano gone along, And in their ship I am sure Lorenzo is not. SOLANIO
The villain Jew with outcries raised the Duke, Who went with him to search Bassanio’s ship.
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SALERIO
He came too late. The ship was under sail. But there the Duke was given to understand That in a gondola were seen together Lorenzo and his amorous Jessica. Besides, Antonio certified the Duke They were not with Bassanio in his ship.
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SOLANIO
I never heard a passion so confused, So strange, outrageous, and so variable As the dog Jew did utter in the streets. ‘My daughter! O, my ducats! O, my daughter! Fled with a Christian! O, my Christian ducats! Justice! The law! My ducats and my daughter! A sealèd bag, two sealèd bags of ducats, Of double ducats, stol’n from me by my daughter! And jewels, two stones, two rich and precious stones, Stol’n by my daughter! Justice! Find the girl! She’hath the stones upon her, and the ducats!’
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SALERIO
Why, all the boys in Venice follow him, Crying, ‘His stones, his daughter, and his ducats!’
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 8
PORZIA
Grata liberazione! Chiudete le tende, avanti. Che mi scelgano allo stesso modo tutti quelli che hanno la sua carnagione. Vengono chiuse le tende. Escono II, 8
Entrano Salerio e Solanio107
SALERIO
Insomma, amico, ho visto salpare Bassanio, e Graziano è partito con lui, ma sono sicuro che sulla nave non c’è Lorenzo. SOLANIO
Il perfido ebreo con le sue urla ha dato la sveglia al Doge, che se n’è andato con lui a perquisire la nave di Bassanio. SALERIO
È arrivato troppo tardi, la nave era già al largo. Però lo hanno informato di aver visto Lorenzo e il suo amore Jessica insieme su una gondola. Inoltre, Antonio ha assicurato il Doge che non erano sulla nave con Bassanio. SOLANIO
Mai ho sentito uno sfogo di passione così confusa, strana, ingiuriosa e incoerente come quello cui si è abbandonato il cane ebreo108. “Mia figlia! Oh, i miei ducati! Oh, mia figlia! Scappata con un cristiano! Oh i miei ducati cristiani! Giustizia! La legge! I miei ducati e mia figlia! Una sacca piena, due sacche piene di ducati, di doppi ducati, rubati a me da mia figlia! E gioielli, due pietre, due pietre ricche e preziose rubate da mia figlia! Giustizia! Trovate la ragazza! Ha le pietre addosso, e i ducati!” SALERIO
E tutti i ragazzini di Venezia che lo rincorrono, gridando “Le sue pietre!109 Sua figlia, i suoi ducati!”
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 8
SOLANIO
Let good Antonio look he keep his day, Or he shall pay for this. SALERIO Marry, well remembered. I reasoned with a Frenchman yesterday, Who told me in the narrow seas that part The French and English there miscarrièd A vessel of our country, richly fraught. I thought upon Antonio when he told me, And wished in silence that it were not his.
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SOLANIO
You were best to tell Antonio what you hear — Yet do not suddenly, for it may grieve him. SALERIO
A kinder gentleman treads not the earth. I saw Bassanio and Antonio part. Bassanio told him he would make some speed Of his return. He answered, ‘Do not so. Slubber not business for my sake, Bassanio, r But stay the very riping of the time; And for the Jew’s bond which he hath of me, Let it not enter in your mind of love. Be merry, and employ your chiefest thoughts To courtship and such fair ostents of love As shall conveniently become you there.’ And even there, his eye being big with tears, Turning his face, he put his hand behind him And, with affection wondrous sensible, He wrung Bassanio’s hand; and so they parted.
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SOLANIO
I think he only loves the world for him. I pray thee let us go and find him out, And quicken his embracèd heaviness With some delight or other.
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39. Slubber: così in Q2 e F; in Q1 slumber = “dormire”, qui usato transitivamente. 106
Shakespeare IV.indb 106
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 8
SOLANIO
Che il buon Antonio osservi la scadenza, se no la pagherà per questo. SALERIO
Davvero, fai bene a ricordarlo. Ieri ragionavo con un francese, che mi ha detto che nello stretto che separa la Francia dall’Inghilterra è naufragato un vascello del nostro paese, con un ricco carico. Ho pensato ad Antonio quando me l’ha detto, e ho sperato in silenzio che non fosse roba sua. SOLANIO
Faresti bene a dire ad Antonio quel che hai sentito – ma con cautela: potrebbe fargli male. SALERIO
Non esiste sulla faccia della terra un gentiluomo più disponibile. Ho visto Antonio e Bassanio separarsi. Bassanio gli ha detto che si sarebbe affrettato a tornare, ma lui ha risposto: “Non farlo. Non rovinare i tuoi affari per me, Bassanio, ma aspetta che maturi il tempo110; e quanto all’obbligo che ho verso l’ebreo, non lasciarlo entrare nei tuoi piani d’amore. Stai allegro, e impiega i tuoi migliori pensieri al corteggiamento, e a quei riti amorosi che là ti sembreranno opportuni”. E in quel momento, con gli occhi gonfi di pianto, voltando la faccia ha steso la mano dietro di sé, e con intensa, indescrivibile sensibilità ha stretto la mano di Bassanio; e così si sono lasciati. SOLANIO
Credo che ami il mondo solo per lui. Ti prego, andiamo a cercarlo, e solleviamo la tristezza in cui è caduto con qualcosa di piacevole.
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Shakespeare IV.indb 107
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 9
SALERIO
2.9
Do we so.
Exeunt
Enter Nerissa and a servitor
NERISSA
Quick, quick, I pray thee, draw the curtain straight. The Prince of Aragon hath ta’en his oath, And comes to his election presently. The servitor draws aside the curtain, revealing the three caskets. [Flourish of cornetts.] Enter Aragon, his train, and Portia PORTIA
Behold, there stand the caskets, noble Prince. If you choose that wherein I am contained, Straight shall our nuptial rites be solemnized. But if you fail, without more speech, my lord, You must be gone from hence immediately.
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ARAGON
I am enjoined by oath to observe three things: First, never to unfold to anyone Which casket ’twas I chose. Next, if I fail Of the right casket, never in my life To woo a maid in way of marriage. Lastly, if I do fail in fortune of my choice, Immediately to leave you and be gone.
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PORTIA
To these injunctions everyone doth swear That comes to hazard for my worthless self. ARAGON
And so have I addressed me. Fortune now To my heart’s hope! Gold, silver, and base lead. He reads the leaden casket ‘Who chooseth me must give and hazard all he hath.’ You shall look fairer ere I give or hazard. What says the golden chest? Ha, let me see. ‘Who chooseth me shall gain what many men desire.’
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Shakespeare IV.indb 108
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 9
SALERIO
Sì, facciamo così. Escono II, 9
Entra Nerissa con un servitore111
NERISSA
Presto, presto, apri subito la tenda. Il principe di Aragona ha pronunciato il giuramento e sta arrivando per fare la sua scelta. Il servitore tira la tenda, scoprendo i tre scrigni. [Squilli di trombe.] Entrano il principe di Aragona, il suo seguito, e Porzia PORZIA
Guardate, nobile principe, ecco gli scrigni. Se scegliete quello che mi contiene, i riti nuziali saranno immediatamente celebrati. Ma se sbagliate, mio signore, senza altri discorsi immediatamente ve ne andrete. ARAGONA
Il giuramento mi obbliga a osservare tre condizioni: prima, non rivelare mai a nessuno quale scrigno io abbia scelto. Poi, se manco lo scrigno giusto, mai più nella vita corteggiare una fanciulla per sposarla. Infine, se nella scelta sono sfortunato, lasciarvi e andarmene immediatamente. PORZIA
Su tali condizioni giurano tutti coloro che si mettono in gioco per la mia indegna persona. ARAGONA
Ed a ciò sono preparato anch’io. Che la fortuna arrida alla speranza del mio cuore! Oro, argento e vile piombo. Legge lo scrigno di piombo “Chi sceglie me deve dare e azzardare tutto ciò che possiede”. Devi essere più invitante, prima che io dia o azzardi. Cosa dice il forziere d’oro? Ah, vediamo: “Chi sceglie me otterrà ciò che molti
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 9
‘What many men desire’ — that ‘many’ may be meant By the fool multitude, that choose by show, Not learning more than the fond eye doth teach, Which pries not to th’interior but, like the martlet, Builds in the weather on the outward wall Even in the force and road of casualty. I will not choose what many men desire, Because I will not jump with common spirits And rank me with the barbarous multitudes. Why then, to thee, thou silver treasure-house. Tell me once more what title thou dost bear. ‘Who chooseth me shall get as much as he deserves’ — And well said too, for who shall go about To cozen fortune, and be honourable Without the stamp of merit? Let none presume To wear an undeservèd dignity. O, that estates, degrees, and offices Were not derived corruptly, and that clear honour Were purchased by the merit of the wearer! How many then should cover that stand bare, How many be commanded that command? How much low peasantry would then be gleaned From the true seed of honour, and how much honour Picked from the chaff and ruin of the times s To be new varnished? Well; but to my choice. ‘Who chooseth me shall get as much as he deserves.’ I will assume desert. Give me a key for this, And instantly unlock my fortunes here. He is given a key. [He] opens the silver casket
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PORTIA
Too long a pause for that which you find there. ARAGON
What’s here? The portrait of a blinking idiot Presenting me a schedule. I will read it. 47. Chaff: chast in Q, chaffe in F = “pula, lolla”, l’involucro dei chicchi di grano o riso, preferito dall’ed. Oxford. 110
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 9
desiderano” – ma “molti” può voler dire la pazza folla, che sceglie dall’apparenza, senza nulla imparare al di là di quel che insegna l’occhio credulo, che non penetra le doti interiori, ma come il rondone costruisce il nido sui muri esterni aperti alle intemperie, esposto a forze e correnti di ogni tempaccio. Io non scelgo ciò che molti desiderano, perché non mi consorzio con gli animi comuni, né mi schiero con barbare moltitudini. Eccomi dunque a te, argenteo ricettacolo di tesori. Recitami ancora una volta il titolo che porti. “Chi sceglie me avrà ciò che si merita”. Ben detto, perché chi mai andrà in giro a gabbare la fortuna e pretendere rispetto senza il sigillo del merito? Che nessuno presuma di indossare una dignità immeritata. Oh, se possedimenti, titoli di nobiltà, cariche non fossero mai ottenute per corruzione, e se quel limpido onore fosse sempre acquistato per il merito di chi lo indossa! Quanti dovrebbero tenersi il berretto che ora si scappellano, e quanti ricevere ordini che ora ne danno? Quanti bifolchi fiorirebbero dalla semina del vero onore, e quanto onore si troverebbe sotto i cascami112 e le rovine del tempo, per acquistare nuovo lustro? Bene, la mia scelta. “Chi sceglie me avrà ciò che si merita”. E il merito mi compete. Di questo datemi la chiave, e subito si schiudano le mie fortune. Gli viene data una chiave. Apre lo scrigno d’argento PORZIA
Troppo lungo l’indugio per ciò che ci trovate. ARAGONA
Che c’è qui? Un idiota che strizza l’occhio, e mi porge un cartiglio.
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Shakespeare IV.indb 111
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 2 SCENE 9
How much unlike art thou to Portia! How much unlike my hopes and my deservings! ‘Who chooseth me shall have as much as he deserves.’ Did I deserve no more than a fool’s head? Is that my prize? Are my deserts no better?
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PORTIA
To offend and judge are distinct offices, And of opposèd natures. ARAGON What is here?
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He reads the schedule ‘The fire seven times tried this; Seven times tried that judgement is That did never choose amiss. Some there be that shadows kiss; Such have but a shadow’s bliss. There be fools alive, iwis, Silvered o’er; and so was this. Take what wife you will to bed, I will ever be your head. So be gone; you are sped.’ Still more fool I shall appear By the time I linger here. With one fool’s head I came to woo, But I go away with two. Sweet, adieu. I’ll keep my oath Patiently to bear my wroth.
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[Flourish of cornetts.] Exit with his train PORTIA
Thus hath the candle singed the moth. O, these deliberate fools! When they do choose They have the wisdom by their wit to lose.
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NERISSA
The ancient saying is no heresy: Hanging and wiving goes by destiny. PORTIA
Come, draw the curtain, Nerissa. 112
Shakespeare IV.indb 112
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO II SCENA 9
Lo leggerò. Quanto diverso da Porzia sei tu! Quanto diverso dalle mie speranze e dai miei pregi! “Chi sceglie me avrà ciò che si merita”. Non ho meritato di più della testa di un buffone? È questo il premio per me? E non sono meglio i miei meriti? PORZIA
Errare e giudicare sono attività distinte, e di natura opposta. ARAGONA
Qui cosa dice? Legge il cartiglio “Sette volte il fuoco l’ha temprato Sette volte il giudizio ha confermato Di chi mai scegliendo ha errato. C’è chi alle ombre crede E solo d’ombre resta erede. Ci son pazzi al mondo stati Come questo, tutti argentati. Porta a letto chi vorrai Me per tua testa sempre avrai. Così, via: vinto te ne andrai” E tanto più pazzo risulterò per quanto qui resterò. Con una testa d’idiota ho corteggiato, e con due me ne torno beffato. Addio, dolcezza. Il giuramento manterrò, e il mio scorno pazientemente sopporterò. [Squilli di trombe] Esce con il seguito PORZIA
Così la falena si è strinata alla candela. Oh questi sciocchi se la cercano! Quando finalmente scelgono hanno l’accortezza di perdere la testa. NERISSA
È sempre valido il vecchio detto: “il destino comanda forca e matrimonio”. PORZIA
Avanti, tira la tenda, Nerissa.
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Shakespeare IV.indb 113
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 1
Nerissa draws the curtain. Enter a Messenger MESSENGER
Where is my lady? PORTIA
Here. What would my lord?
MESSENGER
Madam, there is alighted at your gate A young Venetian, one that comes before To signify th’approaching of his lord, From whom he bringeth sensible regreets, To wit, besides commends and courteous breath, Gifts of rich value. Yet I have not seen So likely an ambassador of love. A day in April never came so sweet To show how costly summer was at hand As this fore-spurrer comes before his lord.
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PORTIA
No more, I pray thee, I am half afeard Thou wilt say anon he is some kin to thee, Thou spend’st such high-day wit in praising him. Come, come, Nerissa, for I long to see Quick Cupid’s post that comes so mannerly.
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NERISSA
Bassanio, Lord Love, if thy will it be! 3.1
Exeunt
Enter Solanio and Salerio
SOLANIO
Now, what news on the Rialto? SALERIO Why, yet it lives there unchecked that Antonio hath a ship of rich lading wrecked on the narrow seas — the Goodwins I think they call the place — a very dangerous flat, and fatal, where the carcasses of many a tall ship lie buried, as they say, if my gossip Report be an honest woman of her word. SOLANIO I would she were as lying a gossip in that as ever knapped ginger or made her neighbours believe
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Shakespeare IV.indb 114
30/11/2018 09:31:36
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 1
Nerissa tira la tenda. Entra un messo MESSO
Dov’è la mia signora? PORZIA
Eccomi. Cosa comanda il mio signore? MESSO
Signora, è approdato al molo un giovane veneziano, uno che precede il suo padrone e ne annuncia l’arrivo; da lui porta tangibili saluti, ovvero, oltre a omaggi e cortesie verbali, doni di notevole valore. Finora mai ho veduto un così appropriato ambasciatore d’amore. Giorno d’aprile mai venne così dolce ad annunciare l’arrivo della prodiga estate, come questo araldo che precede il suo signore. PORZIA
Basta, ti prego; quasi ho timore che tu dica ancora che è qualche tuo parente, da come lo lodi con così elevata eloquenza. Vieni, vieni Nerissa: sono ansiosa di vedere arrivare il veloce messo di Cupido, con la sua cortesia. NERISSA
Sia Bassanio il signore dell’amore, se così tu vorrai! Escono III, 1
Entrano Solanio e Salerio113
SOLANIO
Dunque, quali novità da Rialto? SALERIO
Mah, corre voce non smentita che una nave di Antonio dal ricco carico sia naufragata nello Stretto – Goodwinks, credo che chiamino quel posto114 – una secca molto pericolosa e fatale, dove sono sepolte le carcasse di tante navi d’alto bordo115, come dicono, se quella pettegola di Madama Notizia è onesta e di parola. SOLANIO
Vorrei che in questo caso fosse una pettegola contafrottole, come quelle che biascicano zenzero o fanno credere ai vicini di piange-
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Shakespeare IV.indb 115
30/11/2018 09:31:36
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 1
she wept for the death of a third husband. But it is true, without any slips of prolixity or crossing the plain highway of talk, that the good Antonio, the honest Antonio — O that I had a title good enough to keep his name company — SALERIO Come, the full stop. SOLANIO Ha, what sayst thou? Why, the end is he hath lost a ship. SALERIO I would it might prove the end of his losses. t SOLANIO Let me say amen betimes, lest the devil cross my prayer —
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Enter Shylock for here he comes in the likeness of a Jew. How now, Shylock, what news among the merchants? SHYLOCK You knew, none so well, none so well as you, of my daughter’s flight. SALERIO That’s certain. I for my part knew the tailor that made the wings she flew withal. SOLANIO And Shylock for his own part knew the bird was fledge, and then it is the complexion of them all to leave the dam. SHYLOCK She is damned for it. SALERIO That’s certain, if the devil may be her judge. SHYLOCK My own flesh and blood to rebel! SOLANIO Out upon it, old carrion, rebels it at these years? SHYLOCK I say my daughter is my flesh and my blood.
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18. His losses: emend. tardo; in Q e F my losses = “le mie perdite”. 116
Shakespeare IV.indb 116
30/11/2018 09:31:36
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 1
re per la morte del terzo marito. Ma è vero, senza indulgere alla prolissità, o abbandonare la strada maestra del discorso, che il buon Antonio, l’onesto Antonio – Oh, sapessi trovare un titolo adeguato ad accompagnare il suo nome… SALERIO
Insomma, finisci il discorso. SOLANIO
Eh? Cosa dici? Insomma, alla fine ha perduto una nave. SALERIO
E speriamo che sia la fine delle sue perdite SOLANIO
Intanto fammi dire “amen”, prima che il diavolo si insinui nella mia preghiera… Entra Shylock Ed eccolo che arriva, nelle sembianze di un ebreo. Allora Shylock, che notizie tra i mercanti? SHYLOCK
Voi sapevate – nessuno meglio di voi, nessuno – della fuga di mia figlia. SALERIO
Questo è certo. Per parte mia, io conosco il sarto che ha cucito le ali con cui è volata via. SOLANIO
E Shylock per parte sua sapeva che l’uccellino aveva messo le piume, e a quel punto natura voleva che lasciasse il nido. SHYLOCK
Sia dannata per questo. SALERIO
Questo è certo, se è il diavolo a giudicarla. SHYLOCK
La mia stessa carne, il mio stesso sangue, sollevarsi così! SOLANIO
Vergogna, vecchia carcassa, ti si impenna alla tua età?116 SHYLOCK
Dico che mia figlia è carne e sangue mio!
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Shakespeare IV.indb 117
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 1
SALERIO There is more difference between thy flesh and
hers than between jet and ivory; more between your bloods than there is between red wine and Rhenish. But tell us, do you hear whether Antonio have had any loss at sea or no? SHYLOCK There I have another bad match. A bankrupt, a prodigal, who dare scarce show his head on the Rialto; a beggar, that was used to come so smug upon the mart. Let him look to his bond. He was wont to call me usurer: let him look to his bond. He was wont to lend money for a Christian courtesy: let him look to his bond. SALERIO Why, I am sure if he forfeit thou wilt not take his flesh. What’s that good for? SHYLOCK To bait fish withal. If it will feed nothing else it will feed my revenge. He hath disgraced me, and hindered me half a million; laughed at my losses, mocked at my gains, scorned my nation, thwarted my bargains, cooled my friends, heated mine enemies, and what’s his reason? — I am a Jew. Hath not a Jew eyes? Hath not a Jew hands, organs, dimensions, senses, affections, passions; fed with the same food, hurt with the same weapons, subject to the same diseases, healed by the same means, warmed and cooled by the same winter and summer as a Christian is? If you prick us do we not bleed? If you tickle us do we not laugh? If you poison us do we not die? And if you wrong us shall we not revenge? If we are like you in the rest, we will resemble you in that. If a Jew wrong a Christian, what is his humility? Revenge. If a Christian wrong a Jew, what should his sufferance be by Christian example? Why, revenge. The villainy you teach me I will execute, and it shall go hard but I will better the instruction. Enter a Man from Antonio MAN (to Solanio and Salerio) Gentlemen, my master Antonio is at his house and desires to speak with you both.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 1
SALERIO
C’è più differenza fra la tua carne e la sua di quanta ce n’è fra l’ebano e l’avorio, più fra il tuo sangue e il suo che fra il vino rosso e quello del Reno. Ma dicci, hai sentito se Antonio ha subito qualche rovescio in mare, o no? SHYLOCK
Ecco, un’altra bella fregatura! Un bancarottiere, uno scialacquatore che quasi non osa farsi vedere a Rialto; un pezzente che se ne veniva bello bello ai mercati! Ma badi al suo pegno! Mi chiamava usuraio: ma badi al suo pegno! Prestava denaro per cristiana generosità: ma badi al suo pegno! SALERIO
Bah, sono sicuro che se manca all’impegno non gli prenderai certo della carne – a che ti servirebbe? SHYLOCK117
A farne esca per i pesci. Se non altro, nutrirà almeno la mia vendetta. Mi ha danneggiato, mi ha bloccato mezzo milione, ha gioito quando perdevo, deriso i miei guadagni, disprezzato la mia gente, mandato a monte i miei migliori affari, scoraggiato i miei amici, incoraggiato i miei nemici, e per quale ragione? – Io sono ebreo. E non ha occhi un ebreo? Un ebreo non ha mani, organi, arti, sensi, affetti, passioni; non è nutrito dallo stesso cibo, ferito con le stesse armi, soggetto agli stessi mali, curato dagli stessi farmaci, riscaldato e raffreddato dagli stessi inverni ed estati come lo è un cristiano? Se ci pungete noi non sanguiniamo? Se ci fate il solletico noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? E se ci fate torto noi non ci vendichiamo? Se siamo come voi nel resto, anche in ciò noi vi somigliamo. Se un ebreo offende un cristiano, qual è il suo benservito? La vendetta! Se un cristiano offende un ebreo, con quale tolleranza questi dovrebbe rispondere, seguendo l’esempio cristiano? Ma con la vendetta, no? La perfidia che mi insegnate io la metto in pratica, e non mi sarà difficile superare i miei istruttori. Entra un famiglio di Antonio FAMIGLIO (a Solanio e Salerio)
Signori, Antonio il mio padrone è a casa, e desidera parlare con tutti e due. 119
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 1
SALERIO We have been up and down to seek him.
Enter Tubal SOLANIO Here comes another of the tribe. A third cannot
be matched unless the devil himself turn Jew. Exeunt Solanio and Salerio, with Antonio’s Man SHYLOCK How now, Tubal? What news from Genoa? Hast
thou found my daughter?
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TUBAL I often came where I did hear of her, but cannot
find her. SHYLOCK Why, there, there, there, there. A diamond gone cost me two thousand ducats in Frankfurt. The curse never fell upon our nation till now — I never felt it till now. Two thousand ducats in that and other precious, precious jewels. I would my daughter were dead at my foot and the jewels in her ear! Would she were hearsed at my foot and the ducats in her coffin! No news of them? Why, so. And I know not what’s spent in the search. Why thou, loss upon loss: the thief gone with so much, and so much to find the thief, and no satisfaction, no revenge, nor no ill luck stirring but what lights o’ my shoulders, no sighs but o’ my breathing, no tears but o’ my shedding. TUBAL Yes, other men have ill luck too. Antonio, as I heard in Genoa — SHYLOCK What, what, what? Ill luck, ill luck? TUBAL Hath an argosy cast away coming from Tripolis. SHYLOCK I thank God, I thank God! Is it true, is it true? TUBAL I spoke with some of the sailors that escaped the wreck.
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SALERIO
L’abbiamo cercato dappertutto. Entra Tubal SOLANIO
Eccone un altro della tribù. Non se ne troverebbe un terzo uguale a meno che il diavolo in persona non si faccia ebreo. Escono Solanio e Salerio, con il famiglio di Antonio SHYLOCK
Ebbene, Tubal, che notizie da Genova? Hai trovato mia figlia? TUBAL
Ho sentito spesso parlare di lei, ma non sono riuscito a trovarla. SHYLOCK
Ah è così, è così, è così! Se n’è andato un diamante che a Francoforte mi era costato duemila ducati. Mai come ora la maledizione ha colpito la nostra gente – mai l’ho provata fino ad ora. Duemila ducati per quello, e altri gioielli preziosi, preziosi! Vorrei vedere mia figlia morta ai miei piedi con quei gioielli alle orecchie! Lei, nella bara ai miei piedi con tutti i ducati lì dentro! Di loro nessuna notizia, eh? Non so neanche quanto sto spendendo in questa ricerca. E tu, una perdita dietro l’altra! Tanto quando scappa il ladro, poi tanto per cercarlo, e nessuna soddisfazione, nessuna vendetta né scalogna per nessuno salvo quel che cade addosso a me, nessun sospiro se non quelli che emetto io, nessuna lacrima se non quelle che verso io! TUBAL
Già, anche altri posso avere sfortuna. Antonio, a quanto ho sentito a Genova – SHYLOCK
Come come come? Sfortuna? Sfortuna? TUBAL
Tornando da Tripoli una sua ragusea118 è naufragata. SHYLOCK
Iddio sia ringraziato, sia ringraziato Iddio! Ma è vero? È vero? TUBAL
Ho parlato con qualcuno dell’equipaggio che è scampato al naufragio. 121
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 1
SHYLOCK I thank thee, good Tubal. Good news, good
news! Ha, ha — heard in Genoa? u TUBAL Your daughter spent in Genoa, as I heard, one night fourscore ducats. SHYLOCK Thou stick’st a dagger in me. I shall never see my gold again. Fourscore ducats at a sitting? Fourscore ducats? TUBAL There came divers of Antonio’s creditors in my company to Venice that swear he cannot choose but break. SHYLOCK I am very glad of it. I’ll plague him, I’ll torture him. I am glad of it. TUBAL One of them showed me a ring that he had of your daughter for a monkey. SHYLOCK Out upon her! Thou torturest me, Tubal. It was my turquoise. I had it of Leah when I was a bachelor. I would not have given it for a wilderness of monkeys. TUBAL But Antonio is certainly undone. SHYLOCK Nay, that’s true, that’s very true. Go, Tubal, fee me an officer. Bespeak him a fortnight before. I will have the heart of him if he forfeit, for were he out of Venice I can make what merchandise I will. Go, Tubal, and meet me at our synagogue. Go, good Tubal; at our synagogue, Tubal. Exeunt severally
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99. Heard: emend. tardo; in Q heere, in F here. 122
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 1
SHYLOCK
Ti ringrazio, caro Tubal. Buone notizie, buone notizie! Ah, ah – sentite a Genova! TUBAL
Tua figlia ha speso a Genova, mi hanno detto, in una notte ottanta ducati. SHYLOCK
Mi pianti un pugnale nel petto. Non rivedrò più il mio oro. Ottanta ducati in un colpo solo? Ottanta ducati? TUBAL
Sono venuti con me a Venezia diversi creditori di Antonio, che mi assicurano che non potrà che fare bancarotta. SHYLOCK
Mi fa proprio piacere. Lo perseguiterò, lo torturerò. Ne sono felicissimo. TUBAL
Uno di loro mi ha mostrato un anello che tua figlia gli ha dato in cambio di una scimmietta. SHYLOCK
Sia maledetta! Tu mi torturi, Tubal! Era il mio turchese. Me lo ha dato Leah, ai tempi che ero scapolo. Non me ne sarei separato per una giungla di scimmie! TUBAL
Ma Antonio è certamente rovinato. SHYLOCK
Ah, è vero, è verissimo. Tubal, vai e procurami un ufficiale giudiziario. Prenotalo quindici giorni prima. Gli prendo il cuore se fallisce: con lui non più a Venezia io potrei fare tutti gli affari che voglio. Vai, Tubal; ehi Tubal, ci vediamo alla sinagoga! Escono da due porte diverse
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
3.2
Enter Bassanio, Portia, Nerissa, Graziano, and all their trains. [The curtains are drawn aside revealing the three caskets]
PORTIA (to Bassanio)
I pray you tarry. Pause a day or two Before you hazard, for in choosing wrong I lose your company. Therefore forbear a while. There’s something tells me — but it is not love — I would not lose you; and you know yourself Hate counsels not in such a quality. But lest you should not understand me well — And yet a maiden hath no tongue but thought — I would detain you here some month or two Before you venture for me. I could teach you How to choose right, but then I am forsworn. So will I never be; so may you miss me. But if you do, you’ll make me wish a sin, That I had been forsworn. Beshrew your eyes, They have o’erlooked me and divided me. One half of me is yours, the other half yours — Mine own, I would say, but if mine, then yours, And so all yours. O, these naughty times Puts bars between the owners and their rights; And so, though yours, not yours. Prove it so, Let fortune go to hell for it, not I. I speak too long, but ’tis to piece the time, To eke it, and to draw it out in length To stay you from election. BASSANIO Let me choose, For as I am, I live upon the rack.
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PORTIA
Upon the rack, Bassanio? Then confess What treason there is mingled with your love.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
III, 2
Entrano Bassanio, Porzia, Nerissa, Graziano, e tutti i loro seguiti. [Le tende sono aperte rivelando i tre scrigni]119
PORZIA (a Bassanio)
Aspettate, vi prego. Prendete un giorno o due prima di correre questo rischio; se faceste la scelta sbagliata io perderei la vostra compagnia. Perciò tardate ancora un po’. Qualcosa mi dice – ma non è amore – che non vorrei perdervi. Eppure, voi sapete che non è l’odio che così consiglia. Ma affinché non mi fraintendiate – anche se a una ragazza conviene pensare più che parlare – vorrei trattenervi qui qualche mese, due, prima che tentiate la sorte per me120. Potrei insegnarvi a scegliere bene, ma allora verrei meno alla mia promessa, ciò che non farò mai; allora potreste perdermi, ma se così fosse mi fareste desiderare di aver peccato, venendo meno alla promessa. Occhi funesti i vostri, che mi hanno affascinata e divisa: una metà di me è vostra, l’altra metà vostra – mia, volevo dire, ma se mia allora è vostra, e così sono tutta vostra. Ah tempi malvagi, che erigono barriere fra i diritti e chi li possiede! Vostra allora, benché non vostra. E se così sarà, che la fortuna vada all’inferno, in vece mia. Ho parlato troppo, ma è per ritardare il tempo, dilatarlo, e prolungarlo per impedirvi di affrontare la prova. BASSANIO
Lasciatemi tentare, perché così sono sotto tortura121. PORZIA
Sotto tortura, Bassanio? Allora confessate quale tradimento sia commisto al vostro amore.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
BASSANIO
None but that ugly treason of mistrust Which makes me fear th’enjoying of my love. There may as well be amity and life ’Tween snow and fire as treason and my love.
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PORTIA
Ay, but I fear you speak upon the rack, Where men enforcèd do speak anything. BASSANIO
Promise me life and I’ll confess the truth. PORTIA
Well then, confess and live. ‘Confess and love’ Had been the very sum of my confession. O happy torment, when my torturer Doth teach me answers for deliverance! But let me to my fortune and the caskets.
BASSANIO
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PORTIA
Away then. I am locked in one of them. If you do love me, you will find me out. Nerissa and the rest, stand all aloof. Let music sound while he doth make his choice. Then if he lose he makes a swanlike end, Fading in music. That the comparison May stand more proper, my eye shall be the stream And wat’ry deathbed for him. He may win, And what is music then? Then music is Even as the flourish when true subjects bow To a new-crownèd monarch. Such it is As are those dulcet sounds in break of day That creep into the dreaming bridegroom’s ear And summon him to marriage. Now he goes, With no less presence but with much more love Than young Alcides when he did redeem The virgin tribute paid by howling Troy To the sea-monster. I stand for sacrifice. The rest aloof are the Dardanian wives,
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BASSANIO
Nessuno, se non il vile tradimento del dubbio, che mi fa temere di non coronare il mio amore. Tra amore e tradimento c’è lo stesso accordo che tra la neve e il fuoco. PORZIA
Già, ma ho paura che parliate come sotto tortura, quando vi si fa dire qualunque cosa. BASSANIO
Promettetemi la vita e confesserò la verità. PORZIA
Allora, confessate e vivete122. BASSANIO
“Confesso di amare” sarebbe tutta la mia confessione. Oh felice tormento, quando chi mi tortura mi insegna le formule della liberazione! A me la fortuna, a me gli scrigni! PORZIA
Avanti allora! In uno io sono racchiusa. Se mi amate, mi trovate. Nerissa e le altre, voi state da parte. Che la musica accompagni la sua scelta123. Poi, se fallisce, farà la morte del cigno, che nella musica svanisce124. E affinché il confronto sia più appropriato, il mio occhio sarà per lui il ruscello, l’acqua il letto di morte125. O lui può vincere, e allora quale musica sarà? Sarà lo squillo col quale i sudditi sinceri si inchinano all’incoronazione del monarca. Saranno i dolci suoni che all’alba penetrano l’orecchio dello sposo ancora immerso nei sogni, e lo esortano alle nozze. Ed eccolo avanzare, con prestanza non minore ma con molto maggiore amore del giovane Alcide, quando riscattò il virginale tributo pagato dai dolenti troiani al mostro degli abissi126. Io sono la vittima sacrificale, qui di fianco stanno le donne darda-
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
With blearèd visages come forth to view The issue of th’exploit. Go, Hercules. Live thou, I live. With much much more dismay I view the fight than thou that mak’st the fray.
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[Here music.] A song the whilst Bassanio comments on the caskets to himself [ONE FROM PORTIA’S TRAIN] v Tell me where is fancy bred, Or in the heart, or in the head? How begot, how nourishèd? [ALL] Reply, reply. w [ONE FROM PORTIA’S TRAIN] It is engendered in the eyes, With gazing fed; and fancy dies In the cradle where it lies. Let us all ring fancy’s knell. I’ll begin it: ding, dong, bell. ALL Ding, dong, bell. BASSANIO (aside) So may the outward shows be least themselves. The world is still deceived with ornament. In law, what plea so tainted and corrupt But, being seasoned with a gracious voice, Obscures the show of evil? In religion, What damnèd error but some sober brow Will bless it and approve it with a text, Hiding the grossness with fair ornament? There is no vice so simple but assumes x Some mark of virtue on his outward parts. How many cowards whose hearts are all as false As stairs of sand, wear yet upon their chins The beards of Hercules and frowning Mars, Who, inward searched, have livers white as milk?
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63, 67. ONE FROM PORTIA’S TRAYNE: emend. Montgomery, assente in Q e F. 66. [ALL]: non in Q né in F. 81. Vice: in Q voyce = “voce”. 128
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
niche, venute coi volti umidi di pianto a constatare l’esito dell’impresa127. Avanti, Ercole. Vivendo tu, io vivo. Assisto alla prova con molta, molta più apprensione di quanta ne abbia tu nel sostenerla. [A questo punto, la musica]. Una canzone, mentre Bassanio commenta tra sé e sé di fronte agli scrigni UNO DEL SEGUITO DI PORZIA
Dimmi, dove nasce amore, Nella testa, oppur nel cuore? Com’è concepito, E come vien nutrito? TUTTI
Rispondi, rispondi. UNO DEL SEGUITO DI PORZIA
Dagli occhi è generato, Dagli sguardi vien saziato; Poi l’idea si distoglie Dalla culla che l’accoglie128. Dell’idea la fin cantiam Iniziando din, don, dan. TUTTI
Din, don, dan. BASSANIO (a parte)
Non lasciamoci ingannare dalle apparenze. A fuorviare il mondo è l’ornamento129. Nei processi, quale arringa pur ipocrita e corrotta non può oscurare il male, se abbellita da una voce suadente? Nella religione, quale dannato errore non può essere benedetto e giustificato da una santa citazione, fatta con grave contegno, che ne mascheri la fallacia con un bello svolazzo? Non c’è vizio tanto evidente che manifestandosi non assuma qualche parvenza di virtù. Quanti codardi dal cuore infido come una scala di sabbia portano un mento ornato dalla barba di Ercole e di Marte dal fiero cipiglio, e se frugati dentro non mostrano che un fegato bianco
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
And these assume but valour’s excrement To render them redoubted. Look on beauty And you shall see ’tis purchased by the weight, Which therein works a miracle in nature, Making them lightest that wear most of it. So are those crispèd, snaky, golden locks Which makes such wanton gambols with the wind Upon supposèd fairness, often known To be the dowry of a second head, The skull that bred them in the sepulchre. Thus ornament is but the gullèd shore To a most dangerous sea, the beauteous scarf Veiling an Indian beauty; in a word, The seeming truth which cunning times put on To entrap the wisest. (Aloud) Therefore, thou gaudy y gold, Hard food for Midas, I will none of thee. (To the silver casket) Nor none of thee, thou pale and common drudge ’Tween man and man. But thou, thou meagre lead, Which rather threaten’st than dost promise aught, Thy paleness moves me more than eloquence, And here choose I. Joy be the consequence! PORTIA (aside) How all the other passions fleet to air, As doubtful thoughts, and rash-embraced despair, And shudd’ring fear, and green-eyed jealousy. O love, be moderate! Allay thy ecstasy. In measure rain thy joy; scant this excess. z I feel too much thy blessing: make it less, For fear I surfeit.
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Bassanio opens the leaden casket
101. Therefore, thou: così in Q2; in Q1 e F therefore then. 112. Rain: così in Q e F; possibilmente rein = “tieni alla briglia”, per emend. tardo. 130
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
come il latte130, e per farsi temere ricorrono a misere escrescenze del valore? Contempla la bellezza, e considera come la si acquisti a peso, e come sia un miracolo della natura che si faccia più leggera quella che ne porta di più131. Tali sono quei riccioli d’oro che si attorcigliano serpentini in sensuose capriole nel vento, doti di una presunta bellezza, spesso riconosciuti lasciti di un’altra testa, essendo già nella tomba il cranio che li ha nutriti. Dunque l’ornamento non è che l’insidiosa spiaggia di un mare affollato di pericoli, il sontuoso velo che ammanta una bellezza esotica132; in una parola, è la falsa verità che l’astuzia del tempo indossa per accalappiare anche il più saggio133. (Alza la voce) Perciò non voglio te oro vistoso, indigesto cibo di Mida. (Allo scrigno d’argento). Né voglio te, pallido, banale strumento di scambio fra gli umani. Te invece, umile piombo, che minacci più di quanto prometti, il tuo pallore mi ispira più di qualsiasi eloquenza, te io scelgo. E gioia ne sia l’esito! PORZIA (a parte) Come svaniscono nell’aria tutte le altre passioni! I pensieri dubbiosi, la disperazione che ti stringe improvvisa, la paura che rabbrividisce, le gelosia dai verdi occhi134. Amore, sii equilibrato! Tempera la tua estasi, modera la tua gioia con misura. Frena ogni eccesso. Troppo mi commuove la tua grazia: riducila, ché non mi sazi del tutto. Bassanio apre lo scrigno di piombo
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
What find I here? Fair Portia’s counterfeit. What demi-god Hath come so near creation? Move these eyes? Or whether, riding on the balls of mine, Seem they in motion? Here are severed lips Parted with sugar breath. So sweet a bar Should sunder such sweet friends. Here in her hairs The painter plays the spider, and hath woven A golden mesh t’untrap the hearts of men Faster than gnats in cobwebs. But her eyes — How could he see to do them? Having made one, Methinks it should have power to steal both his And leave itself unfurnished. Yet look how far The substance of my praise doth wrong this shadow In underprizing it, so far this shadow Doth limp behind the substance. Here’s the scroll, The continent and summary of my fortune. ‘You that choose not by the view Chance as fair and choose as true. Since this fortune falls to you, Be content, and seek no new. If you be well pleased with this, And hold your fortune for your bliss, Turn you where your lady is, And claim her with a loving kiss.’ A gentle scroll. Fair lady, by your leave, I come by note to give and to receive, Like one of two contending in a prize, That thinks he hath done well in people’s eyes, Hearing applause and universal shout, Giddy in spirit, still gazing in a doubt Whether those peals of praise be his or no. So, thrice-fair lady, stand I even so, As doubtful whether what I see be true Until confirmed, signed, ratified by you.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
BASSANIO
Qui cosa si trova? Il ritratto della bella Porzia. Quale semidio è mai giunto tanto vicino alla creazione?135 Sono questi occhi a muoversi, oppure è il galoppare delle mie pupille che gli imprime movimento? Appena schiuse, le labbra si separano in un soave respiro: solo una così dolce barriera può separare due così dolci amici. Qui nei suoi capelli il pittore, imitando il ragno, ha tessuto una trama d’oro per catturare i cuori degli uomini, più saldamente che i moscerini nella ragnatela. Ma gli occhi – come ha potuto guardarli mentre li ritraeva? Una volta disegnato, direi che uno solo avesse il potere di rubare entrambi i suoi e rimanere sguarnito, senza compagno. E tuttavia, guarda come la sostanza della mia lode faccia torto a questa apparenza: così svalutata, essa non fa che zoppicare dietro alla sua sostanza. Qui c’è il cartiglio, il contenuto e la sommatoria della mia fortuna. “Non credendo all’apparenza Ben si rischia l’eccellenza. La fortuna ti ha baciato, Pago sii, di più è peccato. Se di questa tua conquista Soddisfatto tu sarai Una dama ben provvista Con un bacio vincerai” . Che scritta benevola! Bella signora, col vostro permesso vengo a dare e ricevere il dovuto136, come quel concorrente in una gara che sentendo applausi e clamore generale pensa di aver fatto bella figura agli occhi della gente, ma resta ancora frastornato, e ancora si guarda attorno dubbioso, se quel boato di approvazione sia per lui o no. Tale resto io, signora tre volte bella, dubbioso se quel che vedo è vero, fi nché non sia da voi confermato, sottoscritto, ratificato.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
PORTIA
You see me, Lord Bassanio, where I stand, Such as I am. Though for myself alone I would not be ambitious in my wish To wish myself much better, yet for you I would be trebled twenty times myself, A thousand times more fair, ten thousand times more rich, That only to stand high in your account I might in virtues, beauties, livings, friends, Exceed account. But the full sum of me Is sum of something which, to term in gross, Is an unlessoned girl, unschooled, unpractisèd, Happy in this, she is not yet so old But she may learn; happier than this, She is not bred so dull but she can learn; Happiest of all is that her gentle spirit Commits itself to yours to be directed As from her lord, her governor, her king. Myself and what is mine to you and yours Is now converted. But now I was the lord Of this fair mansion, master of my servants, Queen o’er myself; and even now, but now, This house, these servants, and this same myself Are yours, my lord’s. I give them with this ring, Which when you part from, lose, or give away, Let it presage the ruin of your love, And be my vantage to exclaim on you.
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BASSANIO
Madam, you have bereft me of all words. Only my blood speaks to you in my veins, And there is such confusion in my powers As after some oration fairly spoke By a belovèd prince there doth appear Among the buzzing pleasèd multitude, Where every something being blent together Turns to a wild of nothing save of joy,
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Shakespeare IV.indb 134
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
PORZIA
Mi vedete, signor Bassanio, dove sono, così come sono. Sebbene per mio conto io non abbia l’ambizione di volermi migliore di quello che sono, tuttavia per voi vorrei triplicare venti volte me stessa, ed essere mille volte più bella, e diecimila volte più ricca, e al solo scopo di eccellere nella vostra stima superare qualsiasi stima in virtù, bellezze, beni, amici137. Ma la piena somma di me, grosso modo, è la somma di una ragazza senza istruzione, senza cultura, senza esperienza; e felice in questo, di non avere passato l’età in cui si può ancora imparare; e ancora più felice, di non essere stata allevata così male da non arrivare a comprendere le cose; e più felice di tutto, di affidare docilmente il suo spirito al vostro, che lo guidi come suo signore, suo governatore, suo re. Io e ciò che è mio si converte ora a voi e a ciò che è vostro. Finora ero io padrona in questa bella casa, a capo di questa servitù, regina di me stessa; e ora, proprio ora, questa casa, e questa servitù, e questa me stessa sono vostri, sono del mio padrone. Ve li dono con questo anello, che se doveste separarvene, o perderlo, o darlo ad altri, annuncerà la rovina del vostro amore, e occasione per me di diffamarvi. BASSANIO
Signora, mi avete privato della parola. A parlarvi è solo il sangue delle mie vene, e le mie facoltà sono confuse come la folla vociferante che ha ascoltato grata la ben organizzata orazione di un principe amato, e mescolato ogni sensazione in un insieme vorticoso, incomprensibile se non come espressione di gioia, espressa e
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
Expressed and not expressed. But when this ring Parts from this finger, then parts life from hence. O, then be bold to say Bassanio’s dead.
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NERISSA
My lord and lady, it is now our time That have stood by and seen our wishes prosper To cry ‘Good joy, good joy, my lord and lady!’ GRAZIANO
My lord Bassanio, and my gentle lady, I wish you all the joy that you can wish, For I am sure you can wish none from me. And when your honours mean to solemnize The bargain of your faith, I do beseech you Even at that time I may be married too.
190
BASSANIO
With all my heart, so thou canst get a wife.
195
GRAZIANO
I thank your lordship, you have got me one. My eyes, my lord, can look as swift as yours. You saw the mistress, I beheld the maid. You loved, I loved; for intermission No more pertains to me, my lord, than you. Your fortune stood upon the caskets there, And so did mine too, as the matter falls; For wooing here until I sweat again, And swearing till my very roof was dry With oaths of love, at last — if promise last — I got a promise of this fair one here To have her love, provided that your fortune Achieved her mistress. PORTIA Is this true, Nerissa?
200
205
NERISSA
Madam, it is, so you stand pleased withal. BASSANIO
And do you, Graziano, mean good faith? GRAZIANO Yes, faith, my lord.
210
136
Shakespeare IV.indb 136
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
non espressa. Ma quando questo anello si separerà da questo dito, allora la vita se ne separerà, e potrete dire che Bassanio è morto! NERISSA
Mio signore e mia signora, ora tocca a noi, che in disparte abbiamo visto compiersi i nostri desideri, gridare il nostro augurio di “Gioia, gioia a voi, nostri signori!” GRAZIANO
A voi Bassanio mio signore, e a voi gentile signora, auguro tutta la gioia che desiderate, perché sono sicuro che non saranno i vostri desideri a impedire la mia. Quando le Vostre Eccellenze vorranno celebrare il negoziato della vostra fedeltà, vi prego che anch’io possa celebrare le mie nozze. BASSANIO
Con tutto il cuore, se troverai una moglie. GRAZIANO
Ringrazio Sua Eccellenza per avermene trovata una. I miei occhi, signore, sono altrettanto svelti dei vostri. Voi avete guardato la padrona, io la damigella. Voi avete amato, ed ho amato anch’io; l’indugio non si addice né a me né a voi, mio signore. La vostra fortuna era contenuta negli scrigni, ed è capitato che ci stesse anche la mia. E sudando le sette camicie nel corteggio, e facendo giuramenti d’amore fino a prosciugarmi il palato, alla fine – se durano le promesse – ho ottenuto da questa bella damigella qui una promessa d’amore, a condizione che la vostra fortuna ottenesse la sua signora. PORZIA
È la verità, Nerissa? NERISSA
Sì signora, se così vi piace. BASSANIO
E voi Graziano, parlate in buona fede? GRAZIANO
In buon fede, mio signore.
137
Shakespeare IV.indb 137
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
BASSANIO
Our feast shall be much honoured in your marriage. GRAZIANO (to Nerissa)
We’ll play with them the first boy for a thousand ducats. NERISSA What, and stake down? GRAZIANO
No, we shall ne’er win at that sport and stake down. Enter Lorenzo, Jessica, and Salerio, a messenger from Venice But who comes here? Lorenzo and his infidel! What, and my old Venetian friend Salerio!
216
BASSANIO
Lorenzo and Salerio, welcome hither, If that the youth of my new int’rest here Have power to bid you welcome. (To Portia) By your leave, I bid my very friends and countrymen, Sweet Portia, welcome.
220
PORTIA
So do I, my lord. They are entirely welcome. LORENZO
I thank your honour. For my part, my lord, My purpose was not to have seen you here, But meeting with Salerio by the way He did entreat me past all saying nay To come with him along. SALERIO I did, my lord, And I have reason for it. Signor Antonio Commends him to you.
225
He gives Bassanio a letter Ere I ope his letter I pray you tell me how my good friend doth.
BASSANIO
230
138
Shakespeare IV.indb 138
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
BASSANIO
Festeggeremo con molto onore anche il vostro matrimonio. GRAZIANO (a Nerissa)
Scommetteremo con loro mille ducati su chi avrà il suo primo erede138. NERISSA
Come? Mettendoli giù uno sull’altro? GRAZIANO
Macché, non si vince al gioco stando l’uno sull’altro. Entrano Lorenzo, Jessica, Salerio, e un messo da Venezia Ma chi viene? Lorenzo e la sua infedele! Ma anche il mio vecchio amico veneziano, Salerio! BASSANIO
Lorenzo e Salerio, benvenuti fra noi, se il mio nuovo interesse in quanto ci circonda mi dà il potere di dichiararvi tali. (A Porzia) Col vostro permesso, dolce Porzia, saluto così i miei cari amici e concittadini. PORZIA
E altrettanto faccio io, mio signore. Sono in ogni caso i benvenuti. LORENZO
Ringrazio Vostro Onore. Veramente non era mio proposito di venire qui, ma strada facendo ho incontrato Salerio, che mi ha pregato di accompagnarlo, senza accettare rifiuti. SALERIO
Così è stato, mio signore, ed avevo le mie ragioni. Il signor Antonio si raccomanda a voi. Dà una lettera a Bassanio BASSANIO
Prima che apra questa lettera ditemi come sta il mio caro amico.
139
Shakespeare IV.indb 139
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
SALERIO
Not sick, my lord, unless it be in mind; Nor well, unless in mind. His letter there Will show you his estate. Bassanio opens the letter and reads GRAZIANO
Nerissa, (indicating Jessica) cheer yon stranger. Bid her welcome. Your hand, Salerio. What’s the news from Venice? How doth that royal merchant good Antonio? I know he will be glad of our success. We are the Jasons; we have won the fleece.
235
SALERIO
I would you had won the fleece that he hath lost.
240
PORTIA
There are some shrewd contents in yon same paper That steals the colour from Bassanio’s cheek. Some dear friend dead, else nothing in the world Could turn so much the constitution Of any constant man. What, worse and worse? With leave, Bassanio, I am half yourself, And I must freely have the half of anything That this same paper brings you. BASSANIO O sweet Portia, Here are a few of the unpleasant’st words That ever blotted paper. Gentle lady, When I did first impart my love to you I freely told you all the wealth I had Ran in my veins: I was a gentleman; And then I told you true; and yet, dear lady, Rating myself at nothing, you shall see How much I was a braggart. When I told you My state was nothing, I should then have told you That I was worse than nothing, for indeed I have engaged myself to a dear friend, Engaged my friend to his mere enemy, To feed my means. Here is a letter, lady,
245
250
255
260
140
Shakespeare IV.indb 140
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
SALERIO
Non male, mio signore, se non di spirito. E nemmeno bene, se non per il suo spirito139. Questa lettera vi esporrà il suo stato140. Bassanio apre la lettera e legge GRAZIANO
Nerissa, accogli ospitale la forestiera (indica Jessica), dalle il benvenuto. Qua la mano, Salerio. Che notizie da Venezia? Come sta il nostro re dei mercanti, il buon Antonio? So che sarà contento del nostro successo. Noi siamo Giasoni, abbiamo conquistato il vello d’oro141. SALERIO
Magari aveste conquistato il vello che lui ha perduto. PORZIA
Su quella carta ci sono notizie deprimenti, che rubano il colore dal viso di Bassanio. Certo la morte di qualche caro amico, perché nient’altro al mondo potrebbe sconvolgere così le sembianze di un uomo dai nervi saldi. Come, sempre peggio? Bassanio, io sono metà di voi: concedetemi di avere la metà di quanto questo foglio vi ha portato. BASSANIO
Oh dolce Porzia, ci sono qui delle parole più sconfortanti di quante abbiano mai macchiato carta! Gentile signora, quando per la prima volta vi ho dichiarato il mio amore, vi ho detto francamente che tutta la ricchezza che avevo scorreva nelle mie vene: il mio è sangue di gentiluomo. Allora vi dissi il vero, e tuttavia, cara signora, pur valutandomi zero, ora vedrete quanto mi vantavo. Quando vi dissi che non possedevo niente, avrei dovuto aggiungere, oh dolce Porzia, che quello era meno di niente, perché in verità, per incrementare i miei averi mi ero impegnato con un caro amico, e avevo impegnato il mio caro amico a un suo nemico giurato. Qui c’è una lettera, signora,
141
Shakespeare IV.indb 141
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
The paper as the body of my friend, And every word in it a gaping wound Issuing life-blood. But is it true, Salerio? Hath all his ventures failed? What, not one hit? From Tripolis, from Mexico, and England, From Lisbon, Barbary, and India, And not one vessel scape the dreadful touch Of merchant-marring rocks? SALERIO Not one, my lord. Besides, it should appear that if he had The present money to discharge the Jew He would not take it. Never did I know A creature that did bear the shape of man So keen and greedy to confound a man. He plies the Duke at morning and at night, And doth impeach the freedom of the state If they deny him justice. Twenty merchants, The Duke himself, and the magnificoes Of greatest port, have all persuaded with him, But none can drive him from the envious plea Of forfeiture, of justice, and his bond.
265
270
275
280
JESSICA
When I was with him I have heard him swear To Tubal and to Cush, his countrymen, That he would rather have Antonio’s flesh Than twenty times the value of the sum That he did owe him; and I know, my lord, If law, authority, and power deny not, It will go hard with poor Antonio. PORTIA (to Bassanio) Is it your dear friend that is thus in trouble?
285
BASSANIO
The dearest friend to me, the kindest man, The best-conditioned and unwearied spirit In doing courtesies, and one in whom The ancient Roman honour more appears Than any that draws breath in Italy.
290
142
Shakespeare IV.indb 142
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
una carta che è come il corpo del mio amico, in cui ogni parola è una ferita aperta, da cui cola il sangue della vita. Salerio, ma è proprio vero? Sono fallite tutte le sue iniziative? Non se n’è salvata neanche una? Da Tripoli, dal Messico e dall’Inghilterra, da Lisbona, dalla Barberia e dall’India, non uno dei suoi vascelli è scampato al tremendo impatto con scogli rovinosi per i mercanti? SALERIO
Nessuno, mio signore. Inoltre, sembra che se anche volesse tacitare l’ebreo con un pronto pagamento, quello non accetterebbe. Non ho mai conosciuto una creatura, uomo all’apparenza, così impaziente e smaniosa di rovinare un uomo. Sta dietro al Doge mattina e sera, e accusa lo stato di tradire la sua autorità se gli si nega giustizia. Venti mercanti, il Doge stesso, e i nobili di maggior peso hanno cercato di ragionarlo, ma nessuno è riuscito a smuoverlo dalla sua perfida pretesa di reclamare l’obbligo, la giustizia, la penale. JESSICA
Quanto stavo con lui l’ho sentito giurare a Tubal e a Cush142, suoi compatrioti, che avrebbe preferito avere la carne di Antonio piuttosto che venti volte la somma che gli deve; e so, mio signore, che se la legge, l’autorità e il potere non lo impediranno, si mette male per il povero Antonio. PORZIA (a Bassanio) È il vostro caro amico che si trova così a mal partito? BASSANIO
L’amico a me più caro, l’uomo più liberale, lo spirito meglio disposto e più instancabile nel compiere azioni generose, uno in cui l’antico onore dei romani si dichiara più che in qualsiasi altro che respira in Italia.
143
Shakespeare IV.indb 143
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 2
PORTIA What sum owes he the Jew?
295
BASSANIO
For me, three thousand ducats. What, no more? Pay him six thousand and deface the bond. Double six thousand, and then treble that, Before a friend of this description Shall lose a hair thorough Bassanio’s fault. aa First go with me to church and call me wife, And then away to Venice to your friend; For never shall you lie by Portia’s side With an unquiet soul. You shall have gold To pay the petty debt twenty times over. When it is paid, bring your true friend along. My maid Nerissa and myself meantime Will live as maids and widows. Come, away, For you shall hence upon your wedding day. Bid your friends welcome, show a merry cheer. Since you are dear bought, I will love you dear. But let me hear the letter of your friend. [BASSANIO] (reads) ‘Sweet Bassanio, my ships have all miscarried, my creditors grow cruel, my estate is very low, my bond to the Jew is forfeit, and since in paying it, it is impossible I should live, all debts are cleared between you and I if I might but see you at my death. Notwithstanding, use your pleasure. If your love do not persuade you to come, let not my letter.’ PORTIA
300
305
310
PORTIA
O, love! Dispatch all business, and be gone.
320
BASSANIO
Since I have your good leave to go away I will make haste, but till I come again No bed shall e’er be guilty of my stay Nor rest be interposer ’twixt us twain.
Exeunt
300. Thorough: emend. tardo, in Q e F through. 144
Shakespeare IV.indb 144
30/11/2018 09:31:38
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 2
PORZIA
Qual è la somma che deve all’ebreo? BASSANIO
Per me, tremila ducati. PORZIA
Tutto qui? Dagliene143 seimila e cancella la penale. Raddoppiane seimila, e triplica il risultato, prima che un amico di quella fatta debba rinunciare a un capello per colpa di Bassanio. Prima andiamo in chiesa e chiamami tua sposa, poi subito a Venezia dal tuo amico: mai giacerai accanto a Porzia con animo inquieto. Avrai tanto oro da pagare venti volte il tuo misero debito. E quando questo è saldato, porta con te il tuo amico. Intanto, la mia compagna Nerissa ed io stessa vivremo da zitelle e vedove. Avanti, sbrighiamoci: siete di partenza proprio nel giorno delle nozze. Dai il benvenuto agli amici, e mostrati contento. Caro mi costi, e ancor più caro mi sarai. Ma sentiamo la lettera del tuo amico. BASSANIO (legge) “Caro Bassanio, le mie navi sono tutte disperse, i miei creditori diventano aggressivi, il mio patrimonio è ai minimi termini, l’obbligo che ho verso l’ebreo è scaduto, e poiché pagandolo sarà impossibile che io viva, tutti i debiti che hai con me ti sono rimessi, se solo potrò vederti prima di morire. Ciononostante fai come ti senti. Se il tuo affetto non ti persuade a venire, non sia questa lettera a farlo”. PORZIA
Oh amore! Dimentica tutto e vai! BASSANIO
Mi affretto col tuo consenso, ma fino al mio ritorno non ci sarà letto che colpevolmente mi accolga, né riposo che si interponga fra noi. Escono
145
Shakespeare IV.indb 145
30/11/2018 09:31:38
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 3
3.3
Enter Shylock the Jew, Solanio, Antonio, and the jailer
SHYLOCK
Jailer, look to him. Tell not me of mercy. This is the fool that lent out money gratis. Jailer, look to him. ANTONIO Hear me yet, good Shylock. SHYLOCK
I’ll have my bond. Speak not against my bond. I have sworn an oath that I will have my bond. Thou called’st me dog before thou hadst a cause, But since I am a dog, beware my fangs The Duke shall grant me justice. I do wonder, Thou naughty jailer, that thou art so fond To come abroad with him at his request. ANTONIO I pray thee hear me speak.
5
10
SHYLOCK
I’ll have my bond. I will not hear thee speak. I’ll have my bond, and therefore speak no more. I’ll not be made a soft and dull-eyed fool To shake the head, relent, and sigh, and yield To Christian intercessors. Follow not. I’ll have no speaking. I will have my bond.
15 Exit
SOLANIO
It is the most impenetrable cur That ever kept with men. ANTONIO Let him alone. I’ll follow him no more with bootless prayers. He seeks my life. His reason well I know: I oft delivered from his forfeitures Many that have at times made moan to me. Therefore he hates me. SOLANIO I am sure the Duke Will never grant this forfeiture to hold.
20
25
ANTONIO
The Duke cannot deny the course of law, For the commodity that strangers have 146
Shakespeare IV.indb 146
30/11/2018 09:31:38
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 3
III, 3
Entrano Shylock l’ebreo, Solanio, Antonio e il carceriere144
SHYLOCK
Guardia, tienilo d’occhio. Non parlatemi di misericordia145. Questo è lo sciocco che prestava soldi senza interesse. Guardia, tienilo d’occhio. ANTONIO
Però ascoltami, buon Shylock. SHYLOCK
Voglio la mia penale. Non prendertela contro la mia penale. Ho giurato sulla mia penale. Mi hai chiamato cane prima che ne avessi una ragione, e dato che sono un cane, stai attento alle mie zanne. Il Doge mi renderà giustizia. Mi chiedo, inetta di una guardia, come si possa essere così sprovveduti da portarlo fuori a sua richiesta. ANTONIO
Ti prego, lascia che ti parli. SHYLOCK
Voglio la penale, non ascoltarti. Voglio la penale, e tu non dire più nulla! Non farai di me un bonario e lacrimoso deficiente rammollito che scuote la testa, e sospira, e cede alle suppliche dei cristiani. Non venirmi dietro! Non voglio sentire altro, voglio la mia penale! Esce SOLANIO
È il cane più inflessibile che mai abbia vissuto con l’uomo. ANTONIO
Lascialo perdere. Non lo inseguirò più con vane preghiere. Ciò che vuole è la mia vita, e il motivo lo conosco bene: ho spesso riscattato dalle sue grinfie molti che venivano a lamentarsi con me. È per questo che mi odia. SOLANIO
Sono sicuro che il Doge non permetterà che la penale sia pagata. ANTONIO
Il Doge non può impedire il corso della legge: negare i privilegi economici di cui godono gli stranieri qui da noi a Venezia sarebbe
147
Shakespeare IV.indb 147
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 4
With us in Venice, if it be denied, Will much impeach the justice of the state, Since that the trade and profit of the city Consisteth of all nations. Therefore go. These griefs and losses have so bated me That I shall hardly spare a pound of flesh Tomorrow to my bloody creditor. Well, jailer, on. Pray God Bassanio come To see me pay his debt, and then I care not. 3.4
30
35 Exeunt
Enter Portia, Nerissa, Lorenzo, Jessica, and Balthasar, a man of Portia’s
LORENZO (to Portia)
Madam, although I speak it in your presence, You have a noble and a true conceit Of godlike amity, which appears most strongly In bearing thus the absence of your lord. But if you knew to whom you show this honour, How true a gentleman you send relief, How dear a lover of my lord your husband, I know you would be prouder of the work Than customary bounty can enforce you.
5
PORTIA
I never did repent for doing good, Nor shall not now; for in companions That do converse and waste the time together, Whose souls do bear an equal yoke of love, There must be needs a like proportion Of lineaments, of manners, and of spirit, Which makes me think that this Antonio, Being the bosom lover of my lord, Must needs be like my lord. If it be so, How little is the cost I have bestowed In purchasing the semblance of my soul From out the state of hellish cruelty. This comes too near the praising of myself,
10
15
20
148
Shakespeare IV.indb 148
30/11/2018 09:31:38
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 4
come venir meno alla giustizia dello stato, poiché al commercio e al profitto della città concorrono tutte le nazioni. Perciò andiamocene. Questi rovesci e perdite mi hanno tanto consumato che a malapena domani troveranno su di me una libbra di carne per il mio sanguinario creditore. Allora, guardia, avanti. Prego Dio che Bassanio venga ad assistere al pagamento del suo debito, ché di altro non mi importa. Escono III, 4
Entrano Porzia, Nerissa, Lorenzo, Jessica e Baldassarre, servitore di Porzia146
LORENZO (a Porzia)
Signora, non dovrei dirlo con voi presente, ma la vostra concezione dell’amicizia, divino sentimento, è davvero nobile e sincera, e appare con tutta evidenza nel vostro sopportare l’assenza del vostro signore. Ma se conosceste a chi tributate questo onore, a quale onesto gentiluomo prestate soccorso, e quanto affetto lo leghi al mio signore vostro marito, so che sareste più orgogliosa della vostra azione di quanto ad essa non vi obblighi un costume generoso. PORZIA
Non mi sono mai pentita di compiere il bene, e non lo farò ora; tra amici che insieme conversano e passano il tempo, ed i cui animi sono sottomessi a un comune giogo di affetti, deve esistere per forza una somiglianza nell’aspetto, nel modo di fare e di pensare. Così immagino che Antonio, per essere l’amico del cuore del mio signore, al mio signore debba assomigliare. E dunque, quanto basso è il costo che sopporto per sollevare da uno stato di crudeltà infernale l’analogo alla mia anima! Ma mi avvicino troppo a una lode di me
149
Shakespeare IV.indb 149
30/11/2018 09:31:39
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 4
Therefore no more of it. Hear other things: ab Lorenzo, I commit into your hands The husbandry and manage of my house Until my lord’s return. For mine own part, I have toward heaven breathed a secret vow To live in prayer and contemplation, Only attended by Nerissa here, Until her husband and my lord’s return. There is a monastery two miles off, And there we will abide. I do desire you Not to deny this imposition, The which my love and some necessity Now lays upon you. LORENZO Madam, with all my heart, I shall obey you in all fair commands.
25
30
35
PORTIA
My people do already know my mind, And will acknowledge you and Jessica In place of Lord Bassanio and myself. So fare you well till we shall meet again.
40
LORENZO
Fair thoughts and happy hours attend on you! JESSICA
I wish your ladyship all heart’s content. PORTIA
I thank you for your wish, and am well pleased To wish it back on you. Fare you well, Jessica. Exeunt Lorenzo and Jessica Now, Balthasar, As I have ever found thee honest-true, So let me find thee still. Take this same letter, And use thou all th’endeavour of a man
45
23. Hear other things: emend. tardo, in Q heere other things, in F3 here other things. 150
Shakespeare IV.indb 150
30/11/2018 09:31:39
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 4
stessa, quindi basta, ascoltate quest’altra cosa: Lorenzo, lascio nelle vostre mani la responsabilità e la gestione della casa, fino al ritorno del mio signore. Quanto a me, ho fatto al cielo il voto segreto di vivere in preghiera e contemplazione, in compagnia della sola Nerissa, finché non tornano suo marito e il mio signore. C’è un monastero a due miglia da qui, nel quale andremo ad abitare. Vi chiedo di non rifiutare l’impegno che il mio affetto e la necessità ora vi impongono. LORENZO
Signora, con tutto il cuore obbedisco ai vostri amabili ordini. PORZIA
I miei famigli sono già al corrente delle mie intenzioni, e obbediranno a voi e Jessica come se foste il signor Bassanio e me stessa. Così, arrivederci e alla prossima. LORENZO
Serenità e ore felici vi accompagnino! JESSICA
Auguro a voi signora tutto il bene possibile. PORZIA
Vi ringrazio per questo augurio, e ho piacere di farlo anch’io a voi. Arrivederci, Jessica. Escono Lorenzo e Jessica Dunque, Baldassarre, visto che ti ho sempre trovato onesto e sincero, tale fa che ti trovi ancora. Prendi questa lettera, e fai il massimo sforzo umanamente possibile per raggiungere Padova in
151
Shakespeare IV.indb 151
30/11/2018 09:31:39
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 4
In speed to Padua. See thou render this ac Into my cousin’s hands, Doctor Bellario, And look what notes and garments he doth give thee, Bring them, I pray thee, with imagined speed Unto the traject, to the common ferry Which trades to Venice. Waste no time in words, But get thee gone. I shall be there before thee.
50
55
BALTHASAR
Madam, I go with all convenient speed.
Exit
PORTIA
Come on, Nerissa. I have work in hand That you yet know not of. We’ll see our husbands Before they think of us. NERISSA Shall they see us? PORTIA
They shall, Nerissa, but in such a habit That they shall think we are accomplishèd With that we lack. I’ll hold thee any wager, When we are both accoutered like young men I’ll prove the prettier fellow of the two, And wear my dagger with the braver grace, And speak between the change of man and boy With a reed voice, and turn two mincing steps Into a manly stride, and speak of frays Like a fine bragging youth, and tell quaint lies How honourable ladies sought my love, Which I denying, they fell sick and died. I could not do withal. Then I’ll repent, And wish for all that that I had not killed them; And twenty of these puny lies I’ll tell, That men shall swear I have discontinued school Above a twelvemonth. I have within my mind
60
65
70
75
49. Padua: emend. tardo, in Q e F Mantua (Mantova); ma Padova era allora la sede degli studi di giurisprudenza. 152
Shakespeare IV.indb 152
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 4
fretta. Consegna questa lettera a mio cugino, il dottor Bellario. Le carte e gli indumenti che ti darà portali, ti prego, con la velocità del pensiero al traghetto pubblico per Venezia. Non sprecar tempo in chiacchiere, e parti subito. Io ci sarò prima di te. BALDASSARRE
Signora, vado con tutta la velocità necessaria.
Esce
PORZIA
Muoviamoci, Nerissa. Ho in mente una faccenda che tu ancora non conosci. Vedremo i nostri mariti prima che pensino a noi. NERISSA
E loro ci vedranno? PORZIA
Sì, Nerissa, ma abbigliate in modo che ci credano dotate di ciò che ci manca147. Scommetto qualsiasi cosa che quando saremo agghindate da giovanotti io sarò il più carino, e porterò la spada con grazia più spavalda, e parlerò con la voce da zufolo del ragazzo che si fa uomo148, e scambierò due passetti femminili per un passo maschile, e narrerò di zuffe come un giovane gradasso, e dirò bugie astruse su come stimabili signore abbiano bramato il mio amore, e di come, avendole io ricusate, si siano ammalate e siano morte, senza che io potessi farci nulla. Poi mi pentirò, e desidererò, dopotutto, di non averle uccise. E conterò tante di quelle frottole che la gente penserà che io manchi da scuola da più di un anno. Ho
153
Shakespeare IV.indb 153
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 5
A thousand raw tricks of these bragging Jacks Which I will practise. NERISSA Why, shall we turn to men? PORTIA Fie, what a question’s that If thou wert near a lewd interpreter! But come, I’ll tell thee all my whole device When I am in my coach, which stays for us At the park gate; and therefore haste away, For we must measure twenty miles today. 3.5
80
Exeunt
Enter Lancelot the clown, and Jessica
LANCELOT Yes, truly; for look you, the sins of the father
are to be laid upon the children, therefore I promise you I fear you. I was always plain with you, and so now I speak my agitation of the matter, therefore be o’ good cheer, for truly I think you are damned. There is but one hope in it that can do you any good, and that is but a kind of bastard hope, neither. JESSICA And what hope is that, I pray thee? LANCELOT Marry, you may partly hope that your father got you not, that you are not the Jew’s daughter. JESSICA That were a kind of bastard hope indeed. So the sins of my mother should be visited upon me. LANCELOT Truly then, I fear you are damned both by father and mother. Thus, when I shun Scylla your father, I fall into Charybdis your mother. Well, you are gone both ways. JESSICA I shall be saved by my husband. He hath made me a Christian.
7
10
16
154
Shakespeare IV.indb 154
30/11/2018 09:31:39
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 5
in mente mille trucchetti di questi palloni gonfiati, e li metterò in atto. NERISSA
Ma allora, ci facciamo due uomini?149 PORZIA
Bah, che domanda! E se ti sentisse uno che interpreta male? Però avanti, ti racconterò il mio piano quando siamo nella carrozza che ci attende ai cancelli del parco. Perciò sbrigati, quest’oggi dobbiamo fare venti miglia. Escono III, 5
Entrano Lancetta il buffone, e Jessica150
LANCETTA
Eh sì, proprio così, attenzione che le colpe dei padri saranno punite nei figli151, perciò ti giuro, ho paura per te. Ti ho sempre parlato schietto, e ora ti esprimo la mia agitazione152 della questione, quindi stattene allegra, che penso davvero che sarai dannata. C’è solo una speranza nella faccenda che ti possa andar bene, e quella è solo un genere di speranza bastarda. JESSICA
E di quale speranza si tratterebbe, prego? LANCETTA
Mannaggia, la cosa che puoi in parte sperare è che tuo padre non ti abbia generata, che non sei figlia dell’ebreo. JESSICA
Già sarebbe proprio bastarda una speranza così. In questo modo, sarebbero punite in me le colpe di mia madre. LANCETTA
Allora, per davvero, ho paura che tu sia dannata sia da parte di padre che da parte di madre. Insomma, quando eviti Scilla, tuo padre, incappi in Cariddi153, tua madre. Beh, sei fregata da una parte e dall’altra. JESSICA
Sarà mio marito a salvarmi154. Mi ha fatta cristiana.
155
Shakespeare IV.indb 155
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 5
LANCELOT Truly,
the more to blame he! We were Christians enough before, e’en as many as could well live one by another. This making of Christians will raise the price of hogs. If we grow all to be pork-eaters we shall not shortly have a rasher on the coals for money. Enter Lorenzo
JESSICA I’ll tell my husband, Lancelot, what you say. Here
he comes.
26
LORENZO I shall grow jealous of you shortly, Lancelot, if
you thus get my wife into corners. JESSICA Nay, you need not fear us, Lorenzo. Lancelot and I are out. He tells me flatly there’s no mercy for me in heaven because I am a Jew’s daughter, and he says you are no good member of the commonwealth, for in converting Jews to Christians you raise the price of pork. LORENZO (to Lancelot) I shall answer that better to the commonwealth than you can the getting up of the Negro’s belly. The Moor is with child by you, Lancelot. LANCELOT It is much that the Moor should be more than reason, but if she be less than an honest woman, she is indeed more than I took her for. LORENZO How every fool can play upon the word! I think the best grace of wit will shortly turn into silence, and discourse grow commendable in none only but parrots. Go in, sirrah, bid them prepare for dinner. LANCELOT That is done, sir. They have all stomachs. LORENZO Goodly Lord, what a wit-snapper are you! Then bid them prepare dinner. LANCELOT That is done too, sir; only ‘cover’ is the word.
34
40
45
156
Shakespeare IV.indb 156
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 5
LANCETTA
Ah davvero, così ci si mette anche lui! C’erano già abbastanza cristiani prima, tanti quanti potevano vivere bene l’uno accanto all’altro. Farne degli altri alzerà il prezzo dei maiali. Se tutti diventiamo mangiatori di carne di porco, tra poco non avremo neanche i soldi per farci una fetta di pancetta arrosto155. Entra Lorenzo JESSICA
Dirò a mio marito cosa dici tu. Eccolo che arriva. LORENZO
Diventerò presto geloso di te, Lancetta, se stringi così mia moglie all’angolo! JESSICA
No, non temere, Lorenzo; Lancetta ed io siamo ai ferri corti. Lui mi dice chiaro e tondo che non c’è misericordia per me in paradiso, perché sono figlia di un ebreo, e dice che tu non sei un buon membro della comunità, perché convertendo degli ebrei al cristianesimo alzi il prezzo del maiale. LORENZO (a Lancetta) Alla comunità risponderò meglio io di te che hai gonfiato la pancia della nera. La Mora aspetta da te, Lancetta. LANCETTA
Che la Mora sia grossa è un’assurdità: ma se le manca l’onestà, più grossa di quanto la volessi era già156. LORENZO
Com’è facile per un matto giocare con le parole! Presto il dono migliore dell’intelletto sarà il silenzio, e sarà pregevole solo la parola dei pappagalli. Su, avanti, vai dentro e di’ che si preparino per la cena157. LANCETTA
Già fatto, signore. Tutti hanno uno stomaco. LORENZO
Buon Dio, facciamo gli spiritosi eh? Allora digli di preparare la tavola. LANCETTA
Già fatto, signore; solo che la parola è “coperti”. 157
Shakespeare IV.indb 157
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 3 SCENE 5
LORENZO Will you cover then, sir? LANCELOT Not so, sir, neither. I know my duty.
50
LORENZO Yet more quarrelling with occasion! Wilt thou
show the whole wealth of thy wit in an instant? I pray thee understand a plain man in his plain meaning. Go to thy fellows; bid them cover the table, serve in the meat, and we will come in to dinner. LANCELOT For the table, sir, it shall be served in. For the meat, sir, it shall be covered. For your coming in to dinner, sir, why, let it be as humours and conceits shall govern. Exit
55
LORENZO
O dear discretion, how his words are suited! The fool hath planted in his memory An army of good words, and I do know A many fools that stand in better place, Garnished like him, that for a tricksy word Defy the matter. How cheer’st thou, Jessica? And now, good sweet, say thy opinion: How dost thou like the Lord Bassanio’s wife?
60
65
JESSICA
Past all expressing. It is very meet The Lord Bassanio live an upright life, For, having such a blessing in his lady, He finds the joys of heaven here on earth, And if on earth he do not merit it, ad In reason he should never come to heaven. Why, if two gods should play some heavenly match And on the wager lay two earthly women, And Portia one, there must be something else Pawned with the other; for the poor rude world Hath not her fellow. LORENZO Even such a husband Hast thou of me as she is for a wife.
70
75
72. Merit it: emend. tardo, in Q1 e F meane it = “intenderlo”. 158
Shakespeare IV.indb 158
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO III SCENA 5
LORENZO
E cosa vorrebbe coprire, signore? LANCETTA
Ma niente signore, so come comportarmi. LORENZO
Non perdi un colpo, eh?! Vorrai mostrare tutto il tuo spirito in una volta sola? Quindi cerca di capire un uomo schietto che ti parla schiettamente. Vai dai tuoi compagni, digli di coprire la tavola, di servire le vivande, che noi arriviamo per la cena. LANCETTA
Quanto alla tavola, signore, sarà servita. Quanto alle vivande, signore, saranno coperte. Quanto al vostro arrivare, signore, beh, lasciamo che a decidere siano i vostri umori e impellenze. Esce LORENZO
Oh santa furbizia! Come si destreggia con le parole! Nella memoria del matto ha messo radici un esercito di belle parole, e io ne conosco di altri matti che stanno più in su di lui, agghindati come lui, che per una battuta un po’ chic arrivano a sfidare il buon senso. Beh, come stai Jessica? Ora, mia dolcissima, dimmi la tua opinione: vai d’accordo con la moglie del signor Bassanio? JESSICA
Oltre ogni dire. Sarà bene che il signor Bassanio faccia una vita come si deve, perché sua moglie è per lui una tale benedizione da fargli trovare il paradiso in terra; e se sulla terra lui non lo meritasse, è ragionevole che non giunga mai in paradiso. Insomma, se due divinità facessero una scommessa celeste su due donne mortali, e se Porzia fosse una di queste, quell’altra dovrebbero potenziarla, perché il povero mondo meschino non ha l’eguale. LORENZO
E io per te sono un marito pari a lei come moglie.
159
Shakespeare IV.indb 159
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
JESSICA
Nay, but ask my opinion too of that!
80
LORENZO
I will anon. First let us go to dinner. JESSICA
Nay, let me praise you while I have a stomach. LORENZO
No, pray thee, let it serve for table-talk. Then, howsome’er thou speak’st, ’mong other things I shall digest it. JESSICA Well, I’ll set you forth. Exeunt 4.1
Enter the Duke, the magnificoes, Antonio, Bassanio, Graziano, and Salerio
DUKE
What, is Antonio here? ANTONIO
Ready, so please your grace.
DUKE
I am sorry for thee. Thou art come to answer A stony adversary, an inhuman wretch Uncapable of pity, void and empty From any dram of mercy. ANTONIO I have heard Your grace hath ta’en great pains to qualify His rigorous course, but since he stands obdurate, And that no lawful means can carry me Out of his envy’s reach, I do oppose My patience to his fury, and am armed To suffer with a quietness of spirit The very tyranny and rage of his.
5
10
DUKE
Go one, and call the Jew into the court. SALERIO
He is ready at the door. He comes, my lord. Enter Shylock
160
Shakespeare IV.indb 160
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
JESSICA
Già, però chiedi la mia opinione anche su questo! LORENZO
Lo faccio subito. Prima andiamo a cena. JESSICA
Ma no, lascia che ti lodi finché ho appetito! LORENZO
E invece, ti prego, parliamo a tavola. Così, qualunque cosa dirai, la digerirò con il resto. JESSICA
Bene, sarai servito. Escono IV, 1
Entrano il Doge, i nobili, Antonio, Bassanio, Graziano e Salerio158
DOGE
Dunque, Antonio è qui? ANTONIO
Pronto a servire Vostra Grazia. DOGE
Mi rammarico per te. Sei venuto a difenderti da un avversario di pietra, un miserabile privo di umanità, incapace di pietà, vuoto e senza nemmeno una sola goccia di misericordia. ANTONIO
Ho sentito che Vostra Grazia si è data molta pena per attenuare la sua durezza, ma poiché si ostina così, e nessuno strumento legale può mettermi al riparo dal morso della sua invidia, opporrò la mia pazienza alla sua furia, e mi preparo a sopportare con animo sereno la sua grande crudeltà e rabbia159. DOGE
Qualcuno chiami in aula l’ebreo. SALERIO
È pronto alla porta, arriva, mio signore. Entra Shylock
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Shakespeare IV.indb 161
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
DUKE
Make room, and let him stand before our face. Shylock, the world thinks — and I think so too — That thou but lead’st this fashion of thy malice To the last hour of act, and then ’tis thought Thou’lt show thy mercy and remorse more strange Than is thy strange apparent cruelty, And where thou now exacts the penalty — Which is a pound of this poor merchant’s flesh — Thou wilt not only loose the forfeiture, But, touched with human gentleness and love, Forgive a moiety of the principal, Glancing an eye of pity on his losses, That have of late so huddled on his back Enough to press a royal merchant down And pluck commiseration of his state From brassy bosoms and rough hearts of flint, From stubborn Turks and Tartars never trained To offices of tender courtesy. We all expect a gentle answer, Jew.
15
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25
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SHYLOCK
I have possessed your grace of what I purpose, And by our holy Sabbath have I sworn To have the due and forfeit of my bond. If you deny it, let the danger light Upon your charter and your city’s freedom. You’ll ask me why I rather choose to have A weight of carrion flesh than to receive Three thousand ducats. I’ll not answer that, But say it is my humour. Is it answered? What if my house be troubled with a rat, And I be pleased to give ten thousand ducats To have it baned? What, are you answered yet? Some men there are love not a gaping pig, Some that are mad if they behold a cat, And others when the bagpipe sings i’th’ nose Cannot contain their urine; for affection,
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Shakespeare IV.indb 162
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
DOGE
Fate largo160, che si presenti qui davanti a noi. Shylock, tutti credono – e lo credo anch’io – che tu mantenga questa facciata di inflessibilità fino all’ultimo momento, per poi mostrare una pietà e un ravvedimento ancora più straordinari di tanta apparente ferocia; e che mentre ora esigi la penale – cioè una libbra di carne di questo povero mercante – poi non solo lo libererai da tale obbligo ma, toccato da umanità e amore, gli condonerai una parte del capitale, gettando uno sguardo pietoso su quel che ha perduto, un peso che gli è appena capitato addosso, e tale da schiantare un principe dei mercanti, e farlo commiserare da petti di bronzo e duri cuori di pietra, e turchi impassibili, e tartari per nulla abituati a pratiche di tenera generosità. Ebreo, tutti noi aspettiamo una risposta gentile. SHYLOCK
Ho comunicato a Vostra Grazia le mie intenzioni, ed ho giurato sul nostro santo Shabbat161 di avere la penale che mi spetta per debito e obbligo. Se mi viene negata, che il discredito investa i vostri statuti e le libertà della vostra città! Mi chiederete perché io preferisca un pezzo di carne di carogna a tremila ducati. A questa domanda io non rispondo: diciamo che è un mio sfizio162. Vi va come risposta? E se la mia casa fosse infestata da un topo, e a me piacesse di spendere diecimila ducati per cacciarlo? Ecco, vi soddisfa la risposta? C’è della gente cui non piace un maiale a bocca aperta163, altri che si agitano se vedono un gatto, e altri che non trattengono l’urina al suono nasale della cornamusa. Il fatto è che la suggestione, tiranna
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Shakespeare IV.indb 163
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
Mistress of passion, sways it to the mood Of what it likes or loathes. Now for your answer: As there is no firm reason to be rendered Why he cannot abide a gaping pig, Why he a harmless necessary cat, Why he a woollen bagpipe, but of force Must yield to such inevitable shame As to offend himself being offended, So can I give no reason, nor I will not, More than a lodged hate and a certain loathing I bear Antonio, that I follow thus A losing suit against him. Are you answered?
50
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BASSANIO
This is no answer, thou unfeeling man, To excuse the current of thy cruelty. SHYLOCK
I am not bound to please thee with my answers. BASSANIO
Do all men kill the things they do not love?
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SHYLOCK
Hates any man the thing he would not kill? BASSANIO
Every offence is not a hate at first. SHYLOCK
What, wouldst thou have a serpent sting thee twice? ANTONIO
I pray you think you question with the Jew. You may as well go stand upon the beach And bid the main flood bate his usual height; You may as well use question with the wolf Why he hath made the ewe bleat for the lamb; ae You may as well forbid the mountain pines To wag their high tops and to make no noise When they are fretten with the gusts of heaven, You may as well do anything most hard
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75
73. Bleat: così in F, in Q bleak = come agg., “oscuro, spaventoso”. 164
Shakespeare IV.indb 164
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
delle passioni, le dirige secondo quanto le piace o le ripugna. Ma ecco che vi rispondo: siccome non c’è una ragione precisa per cui uno non debba tollerare un maiale a bocca aperta, e un altro un innocuo e utile gatto, o una zampogna lanosa164, ma debba invece rassegnarsi all’inevitabile vergogna di offendere essendo egli stesso offeso165, così io non posso dare una ragione – e non la darò – altra che un odio radicato e una certa repulsione che provo per Antonio: per questo io insisto in questa causa infruttuosa contro di lui. Vi va come risposta? BASSANIO
Tu, uomo insensibile, questa non è una risposta che scusi il torrente della tua crudeltà166. SHYLOCK
Le mie risposte non sono tenute a farti piacere. BASSANIO
È così comune uccidere ciò che non si ama? SHYLOCK
E si può odiare senza volere uccidere? BASSANIO
Ma ogni offesa non è subito odio. SHYLOCK
Come, vuoi che un serpente ti morda due volte? ANTONIO
Ti prego, non è il caso di discutere con l’ebreo. Sarebbe come andare sulla spiaggia a chiedere che la marea si abbassi quando è alta; o come chiedere al lupo perché la pecora ha belato perdendo il suo agnello; o come impedire ai pini della montagna di scuotere le alte chiome e di stormire quando li investono le raffiche dal cielo; e più difficile ancora sarebbe il tentare di intenerire il suo cuore di
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Shakespeare IV.indb 165
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
As seek to soften that — than which what’s harder? — His Jewish heart. Therefore, I do beseech you, Make no more offers, use no farther means, But with all brief and plain conveniency Let me have judgement and the Jew his will. BASSANIO (to Shylock) For thy three thousand ducats here is six.
80
SHYLOCK
If every ducat in six thousand ducats Were in six parts, and every part a ducat, I would not draw them. I would have my bond.
85
DUKE
How shalt thou hope for mercy, rend’ring none? SHYLOCK
What judgement shall I dread, doing no wrong? You have among you many a purchased slave Which, like your asses and your dogs and mules, You use in abject and in slavish parts Because you bought them. Shall I say to you ‘Let them be free, marry them to your heirs. Why sweat they under burdens? Let their beds Be made as soft as yours, and let their palates Be seasoned with such viands.’ You will answer ‘The slaves are ours.’ So do I answer you. The pound of flesh which I demand of him Is dearly bought. ’Tis mine, and I will have it. If you deny me, fie upon your law: There is no force in the decrees of Venice. I stand for judgement. Answer: shall I have it?
90
95
100
DUKE
Upon my power I may dismiss this court Unless Bellario, a learnèd doctor Whom I have sent for to determine this, Come here today. SALERIO My lord, here stays without A messenger with letters from the doctor, New come from Padua.
105
166
Shakespeare IV.indb 166
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
ebreo: che c’è di più duro? Quindi, ti scongiuro: non più offerte, né altri ripieghi, ma lascia che, con il criterio più rapido e lineare, io sia giudicato e lui ottenga quel che vuole. BASSANIO (a Shylock) Per i tuoi tremila ducati eccotene seimila. SHYLOCK
Anche se ogni ducato dei seimila fosse diviso in sei parti, e ognuna fosse un ducato, io non li prenderei. Io voglio il mio pegno! DOGE
Come potrai sperare nella pietà, se a te manca del tutto? SHYLOCK
Quale giudizio dovrei mai temere, se non faccio nulla di male? Ci sono tra voi molti schiavi che avete comprato, che usate come i vostri asini e cani e muli nei lavori più servili e abietti, perché li avete comprati. E allora io vi dico: “fatene degli uomini liberi! Sposateli alle vostre eredi. Perché affaticarli sotto carichi oppressivi? Fate che i loro letti siano soffici come i vostri, e che i loro palati possano gustare le stesse pietanze”.167 Voi risponderete “gli schiavi sono nostri”, e altrettanto rispondo io a voi. La libbra di carne che chiedo da lui è comprata a caro prezzo. Mia è, e io l’avrò. Se me la negate, sfasciate la vostra legge: i decreti di Venezia non avrebbero più forza. Io pretendo una sentenza. Rispondete! la avrò? DOGE
I miei poteri mi consentono di sciogliere questa corte, a meno che non arrivi oggi Bellario, un erudito dottore che ho mandato a chiamare perché dirima il caso. SALERIO
Mio signore, c’è qui fuori un messo appena arrivato da Padova con lettere dal dottore.
167
Shakespeare IV.indb 167
30/11/2018 09:31:40
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
DUKE
Bring us the letters. Call the messenger.
[Exit Salerio]
BASSANIO
Good cheer, Antonio. What, man, courage yet! The Jew shall have my flesh, blood, bones, and all Ere thou shalt lose for me one drop of blood.
110
ANTONIO
I am a tainted wether of the flock, Meetest for death. The weakest kind of fruit Drops earliest to the ground; and so let me. You cannot better be employed, Bassanio, Than to live still and write mine epitaph.
115
Enter [Salerio, with] Nerissa apparelled as a judge’s clerk DUKE
Came you from Padua, from Bellario? NERISSA
From both, my lord. Bellario greets your grace. She gives a letter to the Duke. Shylock whets his knife on his shoe BASSANIO (to Shylock)
Why dost thou whet thy knife so earnestly?
120
SHYLOCK
To cut the forfeit from that bankrupt there. GRAZIANO
Not on thy sole but on thy soul, harsh Jew, Thou mak’st thy knife keen. But no metal can, No, not the hangman’s axe, bear half the keenness Of thy sharp envy. Can no prayers pierce thee?
125
SHYLOCK
No, none that thou hast wit enough to make.
168
Shakespeare IV.indb 168
30/11/2018 09:31:40
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
DOGE
Portate le lettere, e chiamate il messo. [Esce Salerio] BASSANIO
Animo, Antonio. Su, coraggio! L’ebreo avrà la mia carne, sangue, ossa e tutto, prima che tu perda per me una sola goccia di sangue. ANTONIO
Io sono l’agnello infetto del gregge, il più adatto ad essere ucciso168. Il frutto più debole è quello che cade al suolo per primo, e così sia per me. Bassanio, tu non puoi trovar migliore impiego che vivere e scrivere il mio epitaffio. Entrano [Salerio con] Nerissa travestita da scrivano di avvocato DOGE
Venite da Padova, da parte di Bellario? NERISSA
Da tutti e due, mio signore. Bellario saluta Vostra Grazia. Dà una lettera al Doge. Shylock si affila il coltello sulla suola di una scarpa. BASSANIO (a Shylock)
Perché affili quel coltello con tanta foga? SHYLOCK
Per tagliare il pegno da quel bancarottiere lì. GRAZIANO
Non è sul cuoio ma sul tuo cuore169, perfido ebreo, che stai affilando il coltello. Non c’è metallo – no, e neanche la scure del boia – che sia affi lato la metà del tuo odio tagliente. Non c’è preghiera che possa scuoterti? SHYLOCK
No, nessuna che tu abbia l’ingegno di inventare.
169
Shakespeare IV.indb 169
30/11/2018 09:31:40
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
GRAZIANO
O, be thou damned, inexorable dog, af And for thy life let justice be accused! Thou almost mak’st me waver in my faith To hold opinion with Pythagoras That souls of animals infuse themselves Into the trunks of men. Thy currish spirit Governed a wolf who, hanged for human slaughter, Even from the gallows did his fell soul fleet, And, whilst thou lay’st in thy unhallowed dam, Infused itself in thee; for thy desires Are wolvish, bloody, starved, and ravenous.
130
135
SHYLOCK
Till thou canst rail the seal from off my bond Thou but offend’st thy lungs to speak so loud. Repair thy wit, good youth, or it will fall To cureless ruin. I stand here for law.
140
DUKE
This letter from Bellario doth commend A young and learnèd doctor to our court. Where is he? NERISSA He attendeth here hard by To know your answer, whether you’ll admit him.
145
DUKE
With all my heart. Some three or four of you Go give him courteous conduct to this place. Exeunt three or four Meantime the court shall hear Bellario’s letter. (Reads) ‘Your grace shall understand that at the receipt of your letter I am very sick, but in the instant that your messenger came, in loving visitation was with me a young doctor of Rome; his name is Balthasar. I acquainted him with the cause in controversy between 127. Inexorable: così in F3; in Q e F inexecrable = “inesecrabile” (improbabile).
170
Shakespeare IV.indb 170
30/11/2018 09:31:40
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
GRAZIANO
Oh sii maledetto, cane inesorabile! La tua vita è un oltraggio alla giustizia! Tu mi fai quasi vacillare nella mia fede, e abbracciare l’opinione di Pitagora, che le anime degli animali si trasferiscono nei corpi degli uomini!170 Il tuo spirito ringhioso ha governato un lupo impiccato per aver ucciso uomini, che dalla forca esalò la sua anima turpe, e te l’ha infusa mentre tu stavi ancora nel grembo di una madre miscredente; perché da lupo è la tua ingordigia sanguinaria, affamata, insaziabile. SHYLOCK
A meno che tu non riesca a strappare il sigillo dal mio contratto a suon di urli, non fai che offendere i tuoi polmoni a gridare tanto. Dai una regolata alla tua intelligenza, buon giovane, o cadrà in incurabile rovina. Io qui propugno la giustizia. DOGE
Questa lettera da Bellario raccomanda alla nostra corte un dottore giovane e dotto. Dov’è? NERISSA
È fuori che aspetta di sapere se lo ricevete. DOGE
Con tutto il cuore. Tre o quattro di voi vadano cortesemente a riceverlo. Tre o quattro escono Intanto la corte ascolti la lettera di Bellario. (Legge) «Sappia Vostra Grazia che la vostra lettera mi trova gravemente ammalato, ma anche che al suo arrivo il vostro messo ha trovato presso di me, in amabile visita, un giovane dottore di Roma; il suo nome è Baldassarre. L’ho informato della causa in discussione fra l’ebreo e
171
Shakespeare IV.indb 171
30/11/2018 09:31:40
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
the Jew and Antonio, the merchant. We turned o’er many books together. He is furnished with my opinion which, bettered with his own learning — the greatness whereof I cannot enough commend — comes with him at my importunity to fill up your grace’s request in my stead. I beseech you let his lack of years be no impediment to let him lack a reverend estimation, for I never knew so young a body with so old a head. I leave him to your gracious acceptance, whose trial shall better publish his commendation.’
163
Enter [three or four with] Portia as Balthasar You hear the learn’d Bellario, what he writes; And here, I take it, is the doctor come. (To Portia) Give me your hand. Come you from old Bellario?
165
PORTIA
I did, my lord. You are welcome. Take your place. Are you acquainted with the difference That holds this present question in the court?
DUKE
PORTIA
I am informèd throughly of the cause. Which is the merchant here, and which the Jew?
170
DUKE
Antonio and old Shylock, both stand forth. Antonio and Shylock stand forth PORTIA
Is your name Shylock? SHYLOCK
Shylock is my name.
PORTIA
Of a strange nature is the suit you follow, Yet in such rule that the Venetian law Cannot impugn you as you do proceed. (To Antonio) You stand within his danger, do you not?
175
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Shakespeare IV.indb 172
30/11/2018 09:31:40
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
Antonio il mercante. Abbiamo consultato insieme molti libri. A lui ho affidato la mia opinione che, perfezionata dalla sua sapienza – la cui qualità va al di là di ogni mia lode – dietro mia insistenza lo accompagna nel compito di soddisfare in mia vece la vostra richiesta. Vi prego di non considerare i suoi scarsi anni come ostacolo a che sia fatto segno a un rispetto reverente, perché non ho mai conosciuto un’intelligenza così adulta in un corpo così giovane. Lo lascio alla vostra graziosa accoglienza: la prova renderà lampante il suo valore.» Entrano [tre o quattro con] Porzia come Baldassarre Avete ascoltato quanto ha scritto il dotto Bellario. E qui vedo che il dottore è arrivato. (A Porzia). Datemi la mano. Venite da parte del vecchio Bellario? PORZIA
Sì, mio signore. DOGE
Siete il benvenuto. Accomodatevi. Siete informato sulla causa di cui si discute oggi in questa corte? PORZIA
Ne sono perfettamente al corrente. Chi è il mercante, e chi l’ebreo?171 DOGE
Antonio e il vecchio Shylock vengano avanti. Avanzano Antonio e Shylock PORZIA
Shylock è il vostro nome? SHYLOCK
Shylock è il mio nome. PORZIA
La causa da voi impugnata è di una strana natura, e tuttavia legittima, tale che le norme veneziane non possono impedirvi di portarla avanti. (A Antonio) E voi siete in suo potere, è così?
173
Shakespeare IV.indb 173
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
ANTONIO
Ay, so he says. PORTIA
Do you confess the bond?
ANTONIO
I do. PORTIA Then must the Jew be merciful. SHYLOCK
On what compulsion must I? Tell me that.
180
PORTIA
The quality of mercy is not strained. It droppeth as the gentle rain from heaven Upon the place beneath. It is twice blest: It blesseth him that gives, and him that takes. ’Tis mightiest in the mightiest. It becomes The thronèd monarch better than his crown. His sceptre shows the force of temporal power, The attribute to awe and majesty, Wherein doth sit the dread and fear of kings; But mercy is above this sceptred sway. It is enthronèd in the hearts of kings; It is an attribute to God himself, And earthly power doth then show likest God’s When mercy seasons justice. Therefore, Jew, Though justice be thy plea, consider this: That in the course of justice none of us Should see salvation. We do pray for mercy, And that same prayer doth teach us all to render The deeds of mercy. I have spoke thus much To mitigate the justice of thy plea, Which if thou follow, this strict court of Venice Must needs give sentence ’gainst the merchant there.
185
190
195
200
SHYLOCK
My deeds upon my head! I crave the law, The penalty and forfeit of my bond. PORTIA
Is he not able to discharge the money?
205
174
Shakespeare IV.indb 174
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
ANTONIO
Già, a sentir lui. PORZIA
Riconoscete il debito? ANTONIO
Lo riconosco. PORZIA
Allora l’ebreo dovrà essere clemente. SHYLOCK
E chi mi obbliga? Ditemelo. PORZIA
L’essenza della clemenza sta nel non essere costretta172. Cade dal cielo sulla terra come dolce pioggia, ed è due volte benedetta: benedice chi la offre, e chi la riceve. Potentissima fra i potenti, si addice meglio di una corona al monarca sul trono. Il suo scettro richiama la forza del potere temporale e l’attributo della reverenza e maestà, nel quale risiedono il timore e il terrore propri dei re. Ma la clemenza sta al di sopra del dominio dello scettro, il suo trono sta nel cuore dei re, è attributo di Dio stesso, e il potere terreno si dimostra più simile al potere di Dio quando la clemenza addolcisce la giustizia. Quindi, ebreo, benché sia giustizia quella che chiedi, considera che se la giustizia facesse il suo corso, nessuno di noi sarebbe certo della salvezza. Noi invochiamo clemenza, e invocandola impariamo tutti ad applicarla. Tanto ho detto per mitigare il tuo appello alla giustizia: ma se lo manterrai, questa severa corte di Venezia è obbligata a emettere sentenza avversa al mercante qui presente. SHYLOCK
La mia testa risponda delle mie azioni!173 Io mi appello alla legge, voglio la penale del mio contratto! PORZIA
Lui non può restituire il denaro?
175
Shakespeare IV.indb 175
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
BASSANIO
Yes, here I tender it for him in the court, Yea, twice the sum. If that will not suffice I will be bound to pay it ten times o’er On forfeit of my hands, my head, my heart. If this will not suffice, it must appear That malice bears down truth. And, I beseech you, Wrest once the law to your authority. To do a great right, do a little wrong, And curb this cruel devil of his will.
210
PORTIA
It must not be. There is no power in Venice Can alter a decree establishèd. ’Twill be recorded for a precedent, And many an error by the same example Will rush into the state. It cannot be.
215
SHYLOCK
A Daniel come to judgement, yea, a Daniel! O wise young judge, how I do honour thee!
220
PORTIA
I pray you let me look upon the bond. SHYLOCK
Here ’tis, most reverend doctor, here it is. PORTIA
Shylock, there’s thrice thy money offered thee. SHYLOCK
An oath, an oath! I have an oath in heaven. Shall I lay perjury upon my soul? No, not for Venice. PORTIA Why, this bond is forfeit, And lawfully by this the Jew may claim A pound of flesh, to be by him cut off Nearest the merchant’s heart. (To Shylock) Be merciful. Take thrice thy money. Bid me tear the bond.
225
231
176
Shakespeare IV.indb 176
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
BASSANIO
Sì, lo metto io per lui, qui nella corte, anzi, il doppio del debito. E se non bastasse questo io lo ripago moltiplicato dieci volte, e mi ci impegno le mani, la testa, il cuore. E se ancora non basta, che sia chiaro come la perfidia domina sull’onestà. E, vi prego, per una volta piegate la legge alla vostra autorità. Fate una piccola ingiustizia per compiere un grande atto di giustizia, e contrastate la volontà di questo demonio crudele. PORZIA
Non si può. A Venezia non esiste potere che possa alterare una legge in vigore. Diventerebbe un precedente, e più di un errore si insinuerebbe al seguito, nello stato. Così non si può. SHYLOCK
Abbiamo un Daniele174 a giudicarci! Sì, un Daniele! Oh saggio giudice giovinetto, quanto ti onoro! PORZIA
Vi prego, fatemi vedere il contratto. SHYLOCK
Eccolo qui, reverendissimo dottore, eccolo qui. PORZIA
Shylock, il denaro che ti si offre è tre volte tanto. SHYLOCK
Ho giurato, ho giurato! Ho fatto giuramento al cielo. Devo spergiurare sulla mia anima? No, non per Venezia. PORZIA
Ora, questo contratto è scaduto, e in forza di esso l’ebreo può legittimamente reclamare una libbra di carne, da tagliare nella parte più vicina al cuore del mercante. (A Shylock) Sii clemente. Prendi tre volte tanto il tuo denaro. Chiedimi di strappare il contratto.
177
Shakespeare IV.indb 177
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
SHYLOCK
When it is paid according to the tenor. It doth appear you are a worthy judge. You know the law. Your exposition Hath been most sound. I charge you, by the law Whereof you are a well-deserving pillar, Proceed to judgement. By my soul I swear There is no power in the tongue of man To alter me. I stay here on my bond.
235
ANTONIO
Most heartily I do beseech the court To give the judgement. PORTIA Why, then thus it is: You must prepare your bosom for his knife —
240
SHYLOCK
O noble judge, O excellent young man! PORTIA
For the intent and purpose of the law Hath full relation to the penalty Which here appeareth due upon the bond.
245
SHYLOCK
’Tis very true. O wise and upright judge! How much more elder art thou than thy looks! PORTIA (to Antonio) Therefore lay bare your bosom. SHYLOCK Ay, his breast. So says the bond, doth it not, noble judge? ‘Nearest his heart’ — those are the very words.
250
PORTIA
It is so. Are there balance here to weigh the flesh? SHYLOCK I have them ready. PORTIA
Have by some surgeon, Shylock, on your charge To stop his wounds, lest he do bleed to death.
255
SHYLOCK
Is it so nominated in the bond?
178
Shakespeare IV.indb 178
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
SHYLOCK
Quando sarà pagato alla lettera175. Sembra che voi siate un giudice valente. Voi conoscete la legge. La vostra esposizione è stata perfetta, e io vi ingiungo, in nome della legge di cui siete una benemerita colonna, di emettere la sentenza: per la mia anima, giuro che non c’è lingua di uomo che possa smuovermi. Io sto al mio contratto. ANTONIO
Con tutto il cuore supplico la corte di emettere la sentenza. PORZIA
E allora eccola. Devi porgere il petto al suo coltello – SHYLOCK
Oh nobile giudice, oh giovane eccellente! PORZIA
Poiché il senso e il proposito della legge convalidano pienamente la penale che qui appare dovuta secondo il contratto. SHYLOCK
È verissimo! Oh saggio e retto giudice! Quanto più adulto sei di quanto appari! PORZIA (a Antonio) Perciò scopriti il petto. SHYLOCK
Sì, il petto! Così dice il contratto, non è vero nobile giudice? “Nella parte più vicina al cuore”, quelle sono proprio le parole. PORZIA
Così è. C’è qui una bilancia per pesare la carne? SHYLOCK
Ce l’ho pronta. PORZIA
Chiamate un medico, Shylock, che a vostre spese gli argini le ferite, ed eviti che muoia dissanguato. SHYLOCK
C’è scritto nel contratto?
179
Shakespeare IV.indb 179
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
PORTIA
It is not so expressed, but what of that? ’Twere good you do so much for charity. SHYLOCK
I cannot find it. ’Tis not in the bond. PORTIA (to Antonio) You, merchant, have you anything to say?
260
ANTONIO
But little. I am armed and well prepared. Give me your hand, Bassanio; fare you well. Grieve not that I am fall’n to this for you, For herein Fortune shows herself more kind Than is her custom; it is still her use To let the wretched man outlive his wealth To view with hollow eye and wrinkled brow An age of poverty, from which ling’ring penance Of such misery doth she cut me off. Commend me to your honourable wife. Tell her the process of Antonio’s end. Say how I loved you. Speak me fair in death, And when the tale is told, bid her be judge Whether Bassanio had not once a love. Repent but you that you shall lose your friend, And he repents not that he pays your debt; For if the Jew do cut but deep enough, I’ll pay it instantly, with all my heart.
265
270
275
BASSANIO
Antonio, I am married to a wife Which is as dear to me as life itself, But life itself, my wife, and all the world Are not with me esteemed above thy life. I would lose all, ay, sacrifice them all Here to this devil, to deliver you. PORTIA [aside] Your wife would give you little thanks for that If she were by to hear you make the offer.
280
285
180
Shakespeare IV.indb 180
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
PORZIA
Non espressamente, ma che importa? Sarebbe bene che lo faceste per carità. SHYLOCK
Non lo trovo. Nel contratto non c’è. PORZIA (a Antonio) Voi, mercante, avete qualcosa da dire? ANTONIO
Ben poco. Sono fermo e ben preparato. Bassanio, dammi la mano; addio. Non ti addolorare se sono giunto a questo per te. Con me la fortuna si mostra più gentile di quanto sia suo costume, perché è solita permettere che lo sventurato sopravviva alla sua ricchezza, e assista con occhio incavato e fronte aggrondata a una vecchiaia miseranda. Ma ora lei mi sottrae a un tale protratto supplizio. Ricordami alla tua onorata moglie. Dille come si è arrivati alla fine di Antonio, e come ti ho amato; parla bene di me in morte, e quando la storia è finita chiedile di giudicare se una volta Bassanio non sia stato amato. Tu non rimpiangere altro che di aver perduto il tuo amico, e lui non rimpiangerà di aver pagato il tuo debito. Se l’ebreo taglia abbastanza a fondo io lo pago all’istante, con tutto il cuore. BASSANIO
Antonio, sono sposato a una moglie che mi è più cara della vita, ma la vita stessa, mia moglie, e tutto il mondo non valgono per me la tua vita. Tutto io perderei, sì, tutti li sacrificherei a questo demonio, pur di liberarti. PORZIA [a parte] Tua moglie non ti sarebbe troppo grata se fosse qui a sentirti fare questa offerta.
181
Shakespeare IV.indb 181
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
GRAZIANO
I have a wife who, I protest, I love. I would she were in heaven so she could Entreat some power to change this currish Jew. NERISSA [aside] ’Tis well you offer it behind her back; The wish would make else an unquiet house. SHYLOCK [aside] These be the Christian husbands. I have a daughter. Would any of the stock of Barabbas Had been her husband rather than a Christian. (Aloud) We trifle time. I pray thee pursue sentence.
290
PORTIA
A pound of that same merchant’s flesh is thine. The court awards it, and the law doth give it. SHYLOCK Most rightful judge!
296
PORTIA
And you must cut this flesh from off his breast. The law allows it, and the court awards it.
300
SHYLOCK
Most learnèd judge! A sentence: (to Antonio) come, prepare. PORTIA
Tarry a little. There is something else. This bond doth give thee here no jot of blood. The words expressly are ‘a pound of flesh’. Take then thy bond. Take thou thy pound of flesh. But in the cutting it, if thou dost shed One drop of Christian blood, thy lands and goods Are by the laws of Venice confiscate Unto the state of Venice. GRAZIANO O upright judge! Mark, Jew! O learnèd judge! SHYLOCK Is that the law? PORTIA Thyself shalt see the act; For as thou urgest justice, be assured Thou shalt have justice more than thou desir’st.
306
310
182
Shakespeare IV.indb 182
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
GRAZIANO
Io ho una moglie che dichiaro di amare, ma vorrei che fosse in cielo, a pregare qualche potere di ammansire questo ebreo rognoso. NERISSA (a parte) Fai bene a spenderti così dietro le sue spalle, se no il tuo desiderio metterebbe un po’ di subbuglio in casa. SHYLOCK (a parte) Eccoli, i mariti cristiani. Io ho una figlia. Magari suo marito fosse stato uno della schiatta di Barabba176, piuttosto che un cristiano. (Alza la voce) Stiamo perdendo tempo. Ti prego, dai esecuzione alla sentenza. PORZIA
Una libra di carne di quel mercante è tua. La corte te la assegna, e la legge lo concede. SHYLOCK
Giustissimo giudice! PORZIA
E devi tagliare la carne dal suo petto. La legge lo consente, e la corte te la assegna. SHYLOCK
Dottissimo giudice! Ha sentenziato! (A Antonio) Avanti, preparati. PORZIA
Aspetta un momento. C’è ancora qualcosa. Questo contratto qui non ti assegna neanche una goccia di sangue. Le parole esatte sono: “una libbra di carne”. E allora prenditi il tuo credito, prendi la tua libbra di carne. Ma se tagliandola tu versi anche una sola goccia di sangue cristiano, per le leggi di Venezia le tue terre e i tuoi beni saranno confiscati dallo stato. GRAZIANO
Oh retto giudice! Prendi nota, ebreo! Che dottrina questo giudice! SHYLOCK
È questa la legge? PORZIA
Il testo è a tua disposizione177; poiché invochi giustizia, stai sicuro che avrai più giustizia di quanta ne desideri.
183
Shakespeare IV.indb 183
30/11/2018 09:31:41
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
GRAZIANO
O learnèd judge! Mark, Jew — a learnèd judge!
315
SHYLOCK
I take this offer, then. Pay the bond thrice, And let the Christian go. BASSANIO Here is the money. PORTIA
Soft, the Jew shall have all justice. Soft, no haste. He shall have nothing but the penalty. GRAZIANO
O Jew, an upright judge, a learnèd judge!
320
PORTIA (to Shylock)
Therefore prepare thee to cut off the flesh. Shed thou no blood, nor cut thou less nor more But just a pound of flesh. If thou tak’st more Or less than a just pound, be it but so much As makes it light or heavy in the substance Or the division of the twentieth part Of one poor scruple — nay, if the scale do turn But in the estimation of a hair, Thou diest, and all thy goods are confiscate.
325
GRAZIANO
A second Daniel, a Daniel, Jew! Now, infidel, I have you on the hip.
330
PORTIA
Why doth the Jew pause? Take thy forfeiture. SHYLOCK
Give me my principal, and let me go. BASSANIO
I have it ready for thee. Here it is. PORTIA
He hath refused it in the open court. He shall have merely justice and his bond.
335
GRAZIANO
A Daniel, still say I, a second Daniel! I thank thee, Jew, for teaching me that word.
184
Shakespeare IV.indb 184
30/11/2018 09:31:41
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
GRAZIANO
Oh giudice dotto! Prendi nota, ebreo – che dottrina questo giudice! SHYLOCK
Accetto l’offerta, allora. Pagatemi tre volte tanto il debito, e che il cristiano sia libero. BASSANIO
Ecco qui il denaro. PORZIA
Piano, l’ebreo merita piena giustizia. Piano, non c’è fretta. Non avrà altro che la penale. GRAZIANO
Oh ebreo, un giudice retto, un giudice dotto! PORZIA (a Shylock)
Allora preparati a tagliare la carne. Bada di non spargere sangue, né di tagliare di più o di meno di una libbra di carne. Se prendi di più o di meno di una libbra esatta, sia pure quanto basta a farne il peso un po’ più alto o un po’ più basso, anche di una frazione della ventesima parte di un misero grammo178 – anzi, se la bilancia dovesse pendere anche solo per il peso di un capello tu muori, e tutti i tuoi averi sono confiscati. GRAZIANO
Un nuovo Daniele, un Daniele, ebreo! Ora, ebreo, ti tengo in pugno!179 PORZIA
Perché esita l’ebreo? Avanti, prendi la tua penale. SHYLOCK
Datemi il capitale, e lasciatemi andare. BASSANIO
Ce l’ho pronto per te. Eccolo. PORZIA
Lo ha rifiutato al cospetto di tutti. Avrà solo giustizia e la sua penale. GRAZIANO
Un Daniele torno a dire, un nuovo Daniele! Ti ringrazio, ebreo, per avermi insegnato quel nome.
185
Shakespeare IV.indb 185
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
SHYLOCK
Shall I not have barely my principal? PORTIA
Thou shalt have nothing but the forfeiture To be so taken at thy peril, Jew.
340
SHYLOCK
Why then, the devil give him good of it. I’ll stay no longer question. PORTIA Tarry, Jew. The law hath yet another hold on you. It is enacted in the laws of Venice, If it be proved against an alien That by direct or indirect attempts He seek the life of any citizen, The party ’gainst the which he doth contrive Shall seize one half his goods; the other half Comes to the privy coffer of the state, And the offender’s life lies in the mercy Of the Duke only, ’gainst all other voice — In which predicament I say thou stand’st, For it appears by manifest proceeding That indirectly, and directly too, Thou hast contrived against the very life Of the defendant, and thou hast incurred The danger formerly by me rehearsed. Down, therefore, and beg mercy of the Duke. GRAZIANO (to Shylock) Beg that thou mayst have leave to hang thyself — And yet, thy wealth being forfeit to the state, Thou hast not left the value of a cord. Therefore thou must be hanged at the state’s charge. DUKE (to Shylock) That thou shalt see the difference of our spirit, I pardon thee thy life before thou ask it. For half thy wealth, it is Antonio’s. The other half comes to the general state, Which humbleness may drive unto a fine.
345
350
355
360
365
186
Shakespeare IV.indb 186
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
SHYLOCK
Non avrò neanche il mio capitale? PORZIA
Non avrai altro che la penale, da prendere a tuo rischio e pericolo, ebreo. SHYLOCK
Beh, allora che il diavolo glielo faccia godere! Non andrò avanti a discutere. PORZIA
Aspetta, ebreo. La legge non ha ancora finito con te. Sta scritto nelle leggi di Venezia che se si dimostra che uno straniero ha minacciato direttamente o indirettamente la vita di un cittadino, la parte contro la quale ha tramato si appropria di metà dei suoi beni, e l’altra metà va nelle casse dello stato, e la vita del colpevole dipende soltanto dalla clemenza del Doge, contro ogni altra voce. In questa condizione io dico che tu ti trovi. Infatti, appare manifestamente che tu, in modo indiretto e anche diretto, hai tramato contro la vita dell’imputato, macchiandoti del reato di cui ho discorso. Dunque inginocchiati, e appellati alla clemenza del Doge. GRAZIANO (a Shylock) Prega che ti si lasci andare a impiccarti – e però, se la tua ricchezza passa allo stato, tu non hai più neanche i soldi per la corda. Così dovrai essere impiccato a spese dello stato. DOGE (a Shylock) Affinché tu possa vedere quanto è diverso il nostro animo, ti condono la vita prima che tu lo chieda. Quanto ai tuoi averi, metà sono di Antonio, e l’altra metà viene alla comunità, e potrà essere trasformata in ammenda se mostrerai sottomissione.
187
Shakespeare IV.indb 187
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
PORTIA
Ay, for the state, not for Antonio.
370
SHYLOCK
Nay, take my life and all, pardon not that. You take my house when you do take the prop That doth sustain my house; you take my life When you do take the means whereby I live. PORTIA
What mercy can you render him, Antonio?
375
GRAZIANO
A halter, gratis. Nothing else, for God’s sake. ANTONIO
So please my lord the Duke and all the court To quit the fine for one half of his goods, I am content, so he will let me have The other half in use, to render it Upon his death unto the gentleman That lately stole his daughter. Two things provided more: that for this favour He presently become a Christian; The other, that he do record a gift Here in the court of all he dies possessed Unto his son, Lorenzo, and his daughter.
380
385
DUKE
He shall do this, or else I do recant The pardon that I late pronouncèd here. PORTIA
Art thou contented, Jew? What dost thou say?
390
SHYLOCK
I am content. PORTIA (to Nerissa) Clerk, draw a deed of gift. SHYLOCK
I pray you give me leave to go from hence. I am not well. Send the deed after me, And I will sign it. DUKE Get thee gone, but do it.
188
Shakespeare IV.indb 188
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
PORZIA
La parte dello stato, non quella di Antonio. SHYLOCK
No, prendetevi la vita e tutto, non condonate nulla. Vi prendete la mia casa nel togliermi ciò che la sostiene; e vi prendete la mia vita nel togliermi i mezzi di cui vivo. PORZIA
Quale grazia gli potete concedere, Antonio? GRAZIANO
Una forca, gratis. E null’altro, per l’amor di Dio. ANTONIO
Col consenso del Doge e di tutta la corte, condonerei l’ammenda di metà dei suoi beni, a me sta bene se mi darà l’altra metà in usufrutto, per renderla alla sua morte al gentiluomo che gli ha sottratto la figlia. Due altre cose dovrà fare per questo favore: diventare subito cristiano, e registrare qui in corte una donazione di tutto ciò di cui disporrà alla sua morte a suo figlio Lorenzo e a sua figlia. DOGE
Questo deve fare, o io ritiro il condono che ho appena annunciato. PORZIA
Ebreo, ti sta bene? Cos’hai da dire? SHYLOCK
Mi sta bene. PORZIA (a Nerissa)
Scrivano, si stenda un atto di donazione. SHYLOCK
Vi prego, datemi il permesso di allontanarmi. Non sto bene. Mandatemi l’atto, lo firmerò. DOGE
Allontanati, ma che sia fatto.
189
Shakespeare IV.indb 189
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
GRAZIANO (to Shylock)
In christ’ning shalt thou have two godfathers. Had I been judge thou shouldst have had ten more, To bring thee to the gallows, not the font. Exit Shylock DUKE (to Portia) Sir, I entreat you home with me to dinner.
395
PORTIA
I humbly do desire your grace of pardon. I must away this night toward Padua, And it is meet I presently set forth.
400
DUKE
I am sorry that your leisure serves you not. Antonio, gratify this gentleman, For in my mind you are much bound to him. Exit Duke and his train BASSANIO (to Portia) Most worthy gentleman, I and my friend Have by your wisdom been this day acquitted Of grievous penalties, in lieu whereof Three thousand ducats due unto the Jew We freely cope your courteous pains withal.
405
ANTONIO
And stand indebted over and above In love and service to you evermore.
410
PORTIA
He is well paid that is well satisfied, And I, delivering you, am satisfied, And therein do account myself well paid. My mind was never yet more mercenary. I pray you know me when we meet again. I wish you well; and so I take my leave.
415
BASSANIO
Dear sir, of force I must attempt you further. Take some remembrance of us as a tribute, Not as fee. Grant me two things, I pray you: Not to deny me, and to pardon me.
420
190
Shakespeare IV.indb 190
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
GRAZIANO (a Shylock)
Al battesimo avrai due padrini. Se fossi stato io il giudice, te ne avrei assegnati dieci180 di più, per condurti alla forca anziché al fonte. Esce Shylock DOGE (a Porzia)
Signore, vi invito a casa mia per la cena. PORZIA
Umilmente vi chiedo di scusarmi. Devo partire questa sera per Padova, ed è bene che mi metta in moto presto. DOGE
Mi dispiace che vi manchi il tempo. Antonio, compensate questo gentiluomo: credo che gli dobbiate molto. Escono il Doge e il suo seguito BASSANIO (a Porzia)
Degnissimo signore, grazie alla vostra saggezza io e il mio amico siamo oggi liberi da pene gravose, per cui offriamo liberalmente i tremila ducati dovuti all’ebreo come compenso del vostro cortese impegno. ANTONIO
Rimanendo in debito ora e sempre con voi per affetto e devozione. PORZIA
La migliore ricompensa è la soddisfazione, e io, nel liberarvi, sono soddisfatto, e mi ritengo così compensato. Non ho mai avuto inclinazioni mercenarie. Dovessimo incontrarci di nuovo, spero che mi riconosciate181. Prendo congedo, con tanti auguri. BASSANIO
Caro signore, sono obbligato a tentarvi ancora. Prendete qualcosa che vi ricordi di noi, non come gabella ma come omaggio. E concedetemi due cose: non ditemi di no, e perdonatemi.
191
Shakespeare IV.indb 191
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 1
PORTIA
You press me far, and therefore I will yield. [To Antonio] Give me your gloves. I’ll wear them for ag your sake. (To Bassanio) And for your love I’ll take this ring from you. Do not draw back your hand. I’ll take no more, And you in love shall not deny me this.
425
BASSANIO
This ring, good sir? Alas, it is a trifle. I will not shame myself to give you this. PORTIA
I will have nothing else, but only this; And now, methinks, I have a mind to it.
430
BASSANIO
There’s more depends on this than on the value. The dearest ring in Venice will I give you, And find it out by proclamation. Only for this, I pray you pardon me. PORTIA
I see, sir, you are liberal in offers. You taught me first to beg, and now methinks You teach me how a beggar should be answered.
435
BASSANIO
Good sir, this ring was given me by my wife, And when she put it on she made me vow That I should neither sell, nor give, nor lose it.
440
PORTIA
That ’scuse serves many men to save their gifts. An if your wife be not a madwoman, And know how well I have deserved this ring, She would not hold out enemy for ever For giving it to me. Well, peace be with you.
445
Exeunt Portia and Nerissa 423. [To Antonio]: attribuzione tarda, non in Q né in F; secondo Montgomery è possibile che tutto il discorso di Porzia sia diretto a Bassanio. 192
Shakespeare IV.indb 192
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 1
PORZIA
Mi costringete, e così acconsento. [A Antonio] Datemi i vostri guanti. Li porterò per amor vostro. (A Bassanio) E per amor vostro vi prendo questo anello. Non ritirate la mano: non voglio altro, e per amore voi non me lo negherete. BASSANIO
Questo anello, buon signore? Ma no, è una cosa da nulla. Mi vergognerei a darvelo! PORZIA
Non voglio nient’altro, e questo soltanto; anzi, ora che ci penso, lo voglio proprio. BASSANIO
Ma vi è connesso più del suo valore. Vi darò il più costoso anello di Venezia, lo troverò con un’offerta pubblica, ma vi prego, per questo scusatemi. PORZIA
Vedo, signore, che sete liberale nelle offerte. Prima mi fate chiedere l’elemosina, poi ecco che mi insegnate a rispondere a un mendicante. BASSANIO
Buon signore, questo anello mi è stato dato da mia moglie, e quando me l’ha messo al dito mi ha fatto giurare che non lo avrei mai venduto, né dato, né perduto. PORZIA
Sono scuse: tanti le impiegano per risparmiarsi i regali. Se vostra moglie non è una matta, e sapesse quanto ho meritato questo anello, non vi terrebbe a lungo rancore se voi me lo deste. Bah, statemi bene. Escono Porzia e Nerissa
193
Shakespeare IV.indb 193
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 4 SCENE 2
ANTONIO
My lord Bassanio, let him have the ring. Let his deservings and my love withal Be valued ’gainst your wife’s commandëment. BASSANIO
Go, Graziano, run and overtake him. Give him the ring, and bring him, if thou canst, Unto Antonio’s house. Away, make haste.
450
Exit Graziano Come, you and I will thither presently, And in the morning early will we both Fly toward Belmont. Come, Antonio. 4.2
Exeunt
Enter Portia and Nerissa, still disguised
PORTIA
Enquire the Jew’s house out, give him this deed, And let him sign it. We’ll away tonight, And be a day before our husbands home. This deed will be well welcome to Lorenzo. Enter Graziano GRAZIANO Fair sir, you are well o’erta’en.
My lord Bassanio upon more advice Hath sent you here this ring, and doth entreat Your company at dinner. PORTIA That cannot be. His ring I do accept most thankfully, And so I pray you tell him. Furthermore, I pray you show my youth old Shylock’s house.
5
10
GRAZIANO
That will I do. Sir, I would speak with you. (Aside to Portia) I’ll see if I can get my husband’s ring Which I did make him swear to keep for ever.
NERISSA
194
Shakespeare IV.indb 194
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO IV SCENA 2
ANTONIO
Bassanio, mio signore, dagli quell’anello. Che i suoi meriti, insieme al mio affetto, siano più forti degli ordini di tua moglie. BASSANIO
Vai Graziano, corrigli dietro. Dagli l’anello, e portalo, se ti riesce, in casa di Antonio. Avanti, fai in fretta. Esce Graziano Tu ed io ci andiamo subito, e domattina presto voleremo a Belmonte. Vieni, Antonio. Escono IV, 2
Entrano Porzia e Nerissa, ancora travestite182
PORZIA
Cerca la casa dell’ebreo, dagli questo atto, e fallo firmare. Noi partiamo stanotte, per essere a casa un giorno prima dei nostri mariti. Quest’atto farà piacere a Lorenzo. Entra Graziano GRAZIANO
Caro signore, sono riuscito a raggiungervi. Il signor Bassanio ci ha pensato su, e vi manda questo anello, e richiede la vostra compagnia a cena. PORZIA
Non possiamo. Accetto l’anello con molti ringraziamenti, e vi prego di farglielo presente. E ora vi prego di mostrare al mio ragazzo la casa del vecchio Shylock. GRAZIANO
Sarà fatto. NERISSA
Signore, una parola. (A parte, a Porzia) Vedo se mi riesce di avere l’anello di mio marito, che gli ho fatto giurare di portarlo per sempre.
195
Shakespeare IV.indb 195
30/11/2018 09:31:42
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
PORTIA (aside to Nerissa)
Thou mayst; I warrant we shall have old swearing That they did give the rings away to men. But we’ll outface them, and outswear them too. Away, make haste. Thou know’st where I will tarry.
15
Exit [at one door] NERISSA (to Graziano)
Come, good sir, will you show me to this house? Exeunt [at another door] 5.1
Enter Lorenzo and Jessica
LORENZO
The moon shines bright. In such a night as this, When the sweet wind did gently kiss the trees And they did make no noise — in such a night Troilus, methinks, mounted the Trojan walls, And sighed his soul toward the Grecian tents Where Cressid lay that night. JESSICA In such a night Did Thisbe fearfully o’ertrip the dew And saw the lion’s shadow ere himself, And ran dismayed away. LORENZO In such a night Stood Dido with a willow in her hand Upon the wild sea banks, and waft her love To come again to Carthage. JESSICA In such a night Medea gatherèd the enchanted herbs That did renew old Aeson. LORENZO In such a night Did Jessica steal from the wealthy Jew, And with an unthrift love did run from Venice As far as Belmont.
5
10
15
196
Shakespeare IV.indb 196
30/11/2018 09:31:42
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
PORZIA (a parte, a Nerissa)
Ce la farai, e attenta ai soliti giuramenti: diranno che hanno dato gli anelli a degli uomini. Ma noi li sbugiarderemo, e faremo più giuramenti di loro. Esce [da una porta] NERISSA (a Graziano)
Allora, buon signore, mi indicate la casa? Escono [da un’altra porta] V, 1
Entrano Lorenzo e Jessica183
LORENZO
Che bel chiaro di luna!184 In una notte così, mentre un vento gentile baciava dolcemente gli alberi, che neanche stormivano – in una notte così Troilo deve essere salito sulle mura di Troia, a sospirare l’anima verso le tende greche dove Cressida quella notte dormiva185. JESSICA
In una notte così Tisbe saltellava timorosa sulla rugiada, e appena vide l’ombra del leone corse via impaurita186. LORENZO
In una notte così Didone stava sulla riva del mare selvaggio, agitando un ramo di salice perché il suo amore tornasse a Cartagine187. JESSICA
In una notte così Medea raccoglieva le erbe magiche che avrebbero ringiovanito Esone188. LORENZO
In una notte così Jessica piantava in asso il ricco ebreo, e fuggiva da Venezia a Belmonte con un prodigo amore189.
197
Shakespeare IV.indb 197
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
In such a night Did young Lorenzo swear he loved her well, Stealing her soul with many vows of faith, And ne’er a true one. LORENZO In such a night Did pretty Jessica, like a little shrew, Slander her love, and he forgave it her. JESSICA
20
JESSICA
I would outnight you, did nobody come. But hark, I hear the footing of a man. Enter Stefano, a messenger LORENZO
Who comes so fast in silence of the night?
25
STEFANO A friend. LORENZO
A friend — what friend? Your name, I pray you, friend? STEFANO
Stefano is my name, and I bring word My mistress will before the break of day Be here at Belmont. She doth stray about By holy crosses, where she kneels and prays For happy wedlock hours. LORENZO Who comes with her?
30
STEFANO
None but a holy hermit and her maid. I pray you, is my master yet returned? LORENZO
He is not, nor we have not heard from him. But go we in, I pray thee, Jessica, And ceremoniously let us prepare Some welcome for the mistress of the house.
35
Enter Lancelot, the clown LANCELOT (calling) Sola, sola! Wo, ha, ho! Sola, sola! LORENZO Who calls?
40
198
Shakespeare IV.indb 198
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
JESSICA
In una notte così il giovane Lorenzo le giurava il suo amore, e le rapiva l’anima con mille promesse di fedeltà, e nessuna sincera. LORENZO
In una notte così la bella Jessica, da quella scontrosetta che è, faceva torto al suo amore, che per questo la perdonò. JESSICA
Di notti così ne saprei inventare più di te, se nessuno arrivasse. Ma attento, sento i passi di un uomo. Entra Stefano, un messo LORENZO
Chi arriva così di corsa nel silenzio della notte? STEFANO
Un amico. LORENZO
Un amico – che amico? Il vostro nome prego, amico! STEFANO
Il mio nome è Stefano, e porto la notizia che la mia padrona sarà qui a Belmonte prima dell’alba. Si attarda a inginocchiarsi e pregare davanti alle croci che incontra lungo il cammino, che le concedano un felice tempo coniugale. LORENZO
Chi c’è con lei? STEFANO
Solo un santo eremita e la sua dama di compagnia. Ma ditemi, il mio padrone è già tornato? LORENZO
No, né abbiamo notizie da lui. Ma andiamo dentro, ti prego Jessica, a preparare con le dovute forme il benvenuto per la signora della casa. Entra Lancetta, il buffone LANCETTA (grida)
Tutuuu! Tutuuuuuuu! Arri, arri! Tutuuuuuu!190 LORENZO
Chi grida?
199
Shakespeare IV.indb 199
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
LANCELOT (calling) Sola! — Did you see Master Lorenzo? ah
(Calling) Master Lorenzo! Sola, sola! LORENZO Leave hollering, man: here. LANCELOT (calling) Sola! — Where, where? LORENZO Here.
45
LANCELOT Tell him there’s a post come from my master
with his horn full of good news. My master will be here ere morning. ai Exit LORENZO (to Jessica) Sweet soul, let’s in, and there expect their coming. And yet no matter. Why should we go in? My friend Stefano, signify, I pray you, Within the house your mistress is at hand, And bring your music forth into the air. Exit Stefano How sweet the moonlight sleeps upon this bank! Here will we sit, and let the sounds of music Creep in our ears. Soft stillness and the night Become the touches of sweet harmony. Sit, Jessica.
50
55
[They] sit Look how the floor of heaven Is thick inlaid with patens of bright gold. There’s not the smallest orb which thou behold’st But in his motion like an angel sings, Still choiring to the young-eyed cherubins. Such harmony is in immortal souls, But whilst this muddy vesture of decay Doth grossly close it in, we cannot hear it. aj
60
65
[Enter Musicians]
41. Master Lorenzo: in Q “M. Lorenzo”, ma in F2 “M. Lorenza”, che alcuni commentatori traducono come “Mistress Lorenza”: Lancetta chiamerebbe così Jessica, perché ormai passata dalla potestà del padre Shylock a quella del rapitore e “fidanzato” Lorenzo. 48-49. Morning. / LORENZO … Sweet soul, let’s: emend. tardo; in Q e F morning. Sweet soul. / LORENZO Let’s. 65. It in: così in Q1; in Q2 e F in it. 200
Shakespeare IV.indb 200
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
LANCETTA (grida)
Tutuuuuuu! Avete visto mastro Lorenzo? (Grida) Mastro Lorenzo191, tutuuuuu! LORENZO
Smetti di strillare, uomo: eccomi. LANCETTA (grida) Tutuuuuuu! Dove? Dove? LORENZO
Qui! LANCETTA
Digli che è arrivato un corriere dal mio padrone, con il corno pieno di buone notizie. Lui sarà qui prima che faccia giorno. Esce LORENZO (a Jessica)
Anima mia, entriamo, e aspettiamo il loro arrivo. Ma no, non importa: perché dovremmo entrare? Stefano amico mio, per favore annuncia in casa che la padrona sta arrivando, e porta qui fuori i suonatori. Esce Stefano Com’è dolce la luce della luna che dorme distesa su questo pendio! Sediamoci qui, ad ascoltare le note che allietano l’udito. La tenera quiete della notte si accorda con il tocco della dolce armonia. Siedi, Jessica. Si siedono E guarda la volta del cielo, quale fitto intarsio di luminosi cerchi d’oro disegna! Anche il più piccolo pianeta che vedi, col suo movimento produce il canto di un angelo192, in coro con i cherubini dagli occhi appena schiusi193. Tale è l’armonia delle anime immortali, che noi, finché le racchiude questo caduco involucro di fango, non possiamo percepire. [Entrano i musici]
201
Shakespeare IV.indb 201
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
(To the Musicians) Come, ho, and wake Diana with a hymn. With sweetest touches pierce your mistress’ ear, And draw her home with music. The Musicians play JESSICA
I am never merry when I hear sweet music. LORENZO
The reason is your spirits are attentive, For do but note a wild and wanton herd Or race of youthful and unhandled colts, Fetching mad bounds, bellowing and neighing loud, Which is the hot condition of their blood, If they but hear perchance a trumpet sound, Or any air of music touch their ears, You shall perceive them make a mutual stand, Their savage eyes turned to a modest gaze By the sweet power of music. Therefore the poet Did feign that Orpheus drew trees, stones, and floods, Since naught so stockish, hard, and full of rage But music for the time doth change his nature. The man that hath no music in himself, Nor is not moved with concord of sweet sounds, Is fit for treasons, stratagems, and spoils. The motions of his spirit are dull as night, And his affections dark as Erebus. Let no such man be trusted. Mark the music.
70
75
81
85
Enter Portia and Nerissa, as themselves PORTIA
That light we see is burning in my hall. How far that little candle throws his beams — So shines a good deed in a naughty world.
90
NERISSA
When the moon shone we did not see the candle.
202
Shakespeare IV.indb 202
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
(Ai musici) Avanti, su, svegliate Diana con un inno194. Con le note più dolci fatevi sentire dalla vostra padrona, e suonando indicatele la strada. Suonano i musici JESSICA
Una musica dolce non mi rende mai allegra. LORENZO
Perché il tuo spirito è assorto. Ma osserva un gregge sfrenato e selvatico, o un branco di giovani puledri indocili che saltano imbizzarriti, mugghiando e nitrendo a perdifiato per il caldo temperamento del loro sangue: se per caso sentono uno squillo di tromba, o se un’aria musicale gli arriva alle orecchie, ecco che si fermano tutti all’unisono, e da ferini i loro occhi si fanno mansueti, grazie al dolce potere della musica. Per questo il poeta ha immaginato che Orfeo smuovesse gli alberi, le pietre e i fiumi, poiché nulla è così statico, così duro e rabbioso, che la musica non possa mutarne per qualche tempo la natura. L’uomo che non ha musica in sé, che non si commuove alla dolce armonia dei suoni, è incline ai tradimenti, ai raggiri e alle rapine. Le sue emozioni sono spente come la notte, e i suoi affetti oscuri come l’Erebo195. Non fidarti di un tale uomo – ma ascolta la musica. Entrano Porzia e Nerissa, non più travestite. PORZIA
La luce che vediamo arde nella mia sala: da quanta distanza si vede quella fioca candela! Così splende un’opera buona in un mondo cattivo. NERISSA
Quando splendeva la luna non vedevamo la candela.
203
Shakespeare IV.indb 203
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
PORTIA
So doth the greater glory dim the less. A substitute shines brightly as a king Until a king be by, and then his state Empties itself as doth an inland brook Into the main of waters. Music, hark.
95
NERISSA
It is your music, madam, of the house. PORTIA
Nothing is good, I see, without respect. Methinks it sounds much sweeter than by day.
100
NERISSA
Silence bestows that virtue on it, madam. PORTIA
The crow doth sing as sweetly as the lark When neither is attended, and I think The nightingale, if she should sing by day, When every goose is cackling, would be thought No better a musician than the wren. How many things by season seasoned are To their right praise and true perfection!
105
[She sees Lorenzo and Jessica] Peace, ho! [Music ceases] The moon sleeps with Endymion, And would not be awaked. LORENZO [rising] That is the voice, Or I am much deceived, of Portia.
110
PORTIA
He knows me as the blind man knows the cuckoo — By the bad voice. LORENZO Dear lady, welcome home. PORTIA
We have been praying for our husbands’ welfare, Which speed we hope the better for our words. Are they returned?
115
204
Shakespeare IV.indb 204
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
PORZIA
Così la gloria maggiore oscura quella minore. Un reggente risplende fulgido come un re finché il re non è presente, poi la sua condizione si svuota come un ruscelletto nell’oceano. Ascolta, una musica. NERISSA
Sono i vostri musici, signora, della casa. PORZIA
Non c’è nulla, credo, che sia buono solo per se stesso. Così mi sembra molto più dolce che di giorno. NERISSA
È il silenzio, signora, a renderla tale. PORZIA
Il canto del corvo è dolce come quello dell’allodola, quando nessuno ci pensa; e se l’usignolo cantasse di giorno fra le oche che starnazzano, non sarebbe considerato cantore migliore dello scricciolo. Quante cose acquistano giusta lode e vera perfezione, se colte nel loro momento! [Vede Lorenzo e Jessica] Silenzio, perdiana! [Cessa la musica] La luna dorme con Endimione, e non vuole essere svegliata196. LORENZO [si alza] Questa, se non sbaglio, è la voce di Porzia. PORZIA
Mi conosce come il cieco conosce il cuculo197 – per la voce sgradevole. LORENZO
Cara signora, benvenuta a casa. PORZIA
Abbiamo pregato per il benessere dei nostri mariti, e speriamo che le nostre parole gli abbiano giovato198. Sono tornati?
205
Shakespeare IV.indb 205
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
Madam, they are not yet, But there is come a messenger before To signify their coming. PORTIA Go in, Nerissa. Give order to my servants that they take No note at all of our being absent hence; Nor you, Lorenzo; Jessica, nor you. LORENZO
120
[A tucket sounds] LORENZO
Your husband is at hand. I hear his trumpet. We are no tell-tales, madam. Fear you not. PORTIA
This night, methinks, is but the daylight sick. It looks a little paler. ’Tis a day Such as the day is when the sun is hid.
125
Enter Bassanio, Antonio, Graziano, and their followers. Graziano and Nerissa speak silently to one another BASSANIO
We should hold day with the Antipodes If you would walk in absence of the sun. PORTIA
Let me give light, but let me not be light; For a light wife doth make a heavy husband, And never be Bassanio so for me. But God sort all. You are welcome home, my lord.
130
BASSANIO
I thank you, madam. Give welcome to my friend. This is the man, this is Antonio, To whom I am so infinitely bound.
135
PORTIA
You should in all sense be much bound to him, For as I hear he was much bound for you. ANTONIO
No more than I am well acquitted of.
206
Shakespeare IV.indb 206
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
LORENZO
Non ancora, signora, ma un messo è venuto ad annunciarne l’arrivo. PORZIA
Nerissa, entra in casa e ordina ai servi di non dire che siamo state fuori – né tu, Lorenzo, e nemmeno tu, Jessica. [Squillo di tromba] LORENZO
Vostro marito è vicino, sento la sua tromba. Noi non siamo pettegoli, signora. Non temete. PORZIA
Direi che la notte sta impallidendo: la luce è quella di un giorno malato. Sarà una giornata di sole velato. Entrano Bassanio, Antonio, Graziano e il loro seguito. Graziano e Nerissa si parlano a parte BASSANIO
La tua permanenza nell’ombra sarebbe per noi come avere la luce agli antipodi. PORZIA
E luce darò, ma non troppa: perché una moglie brillante199 fa il marito cupo, e non voglio che Bassanio lo sia per me. Ma provveda Dio. Benvenuto a casa, mio signore. BASSANIO
Ti ringrazio, signora. Dai il benvenuto al mio amico. Questo è l’uomo, è Antonio, al quale sono infinitamente debitore. PORZIA
Dovresti essergli debitore in tutti i sensi, perché a quanto mi dicono lui si è molto indebitato per te. ANTONIO
Non più di quanto non sia stato compensato.
207
Shakespeare IV.indb 207
30/11/2018 09:31:43
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
PORTIA
Sir, you are very welcome to our house. It must appear in other ways than words, Therefore I scant this breathing courtesy. GRAZIANO (to Nerissa) By yonder moon I swear you do me wrong. In faith, I gave it to the judge’s clerk. Would he were gelt that had it for my part, Since you do take it, love, so much at heart.
140
145
PORTIA
A quarrel, ho, already! What’s the matter? GRAZIANO
About a hoop of gold, a paltry ring That she did give me, whose posy was For all the world like cutlers’ poetry Upon a knife — ‘Love me and leave me not’.
150
NERISSA
What talk you of the posy or the value? You swore to me when I did give it you That you would wear it till your hour of death, And that it should lie with you in your grave. Though not for me, yet for your vehement oaths You should have been respective and have kept it. Gave it a judge’s clerk? — no, God’s my judge, The clerk will ne’er wear hair on’s face that had it.
155
GRAZIANO
He will an if he live to be a man. NERISSA
Ay, if a woman live to be a man.
160
GRAZIANO
Now by this hand, I gave it to a youth, A kind of boy, a little scrubbèd boy No higher than thyself, the judge’s clerk, A prating boy that begged it as a fee. I could not for my heart deny it him.
165
208
Shakespeare IV.indb 208
30/11/2018 09:31:43
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
PORZIA
Signore, siete il benvenuto a casa nostra. Ma ciò non dovrà apparire solo a parole, quindi non mi dilungo in ridondanti cortesie. GRAZIANO (a Nerissa) Per la luna in cielo200, giuro che mi fai torto. In fede mia, l’ho dato allo scrivano del giudice. Ora vorrei che castrassero il malcapitato per averlo avuto da me, se tu, amore mio, te la prendi tanto a cuore. PORZIA
Ehi, già un litigio! Cos’è che non va? GRAZIANO
È per un cerchietto d’oro, un anellino da nulla, che lei mi ha dato, il cui motto era come i versi che l’arrotino incide su tutti i coltelli, “Amami e non lasciarmi”. NERISSA
Cosa cianci del motto o del valore? Quando te l’ho dato hai giurato che lo avresti portato fino all’ora della tua morte, e che riposerà con te nella tomba. Avresti dovuto avere rispetto non per me, ma per i tuoi strenui giuramenti, e tenertelo. Allo scrivano di un giudice! Eh no, Dio mi sia testimone, allo scrivano che se l’è preso non crescerà mai un pelo sul viso! GRAZIANO
Gli crescerà quando si farà uomo. NERISSA
Sì, se una donna può farsi uomo! GRAZIANO
Insomma, per questa mano201, l’ho dato a un giovinetto, una specie di ragazzo, un soldo di cacio non più alto di te, scrivano del giudice, un ragazzino petulante che lo pretese come ricompensa. In coscienza, non ho potuto negarglielo!
209
Shakespeare IV.indb 209
30/11/2018 09:31:44
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
PORTIA
You were to blame, I must be plain with you, To part so slightly with your wife’s first gift, A thing stuck on with oaths upon your finger, And so riveted with faith unto your flesh. I gave my love a ring, and made him swear Never to part with it; and here he stands. I dare be sworn for him he would not leave it, Nor pluck it from his finger for the wealth That the world masters. Now, in faith, Graziano, You give your wife too unkind a cause of grief. An ’twere to me, I should be mad at it. BASSANIO (aside) Why, I were best to cut my left hand off And swear I lost the ring defending it. GRAZIANO [to Portia] ak My lord Bassanio gave his ring away Unto the judge that begged it, and indeed Deserved it, too, and then the boy his clerk, That took some pains in writing, he begged mine, And neither man nor master would take aught But the two rings. PORTIA (to Bassanio) What ring gave you, my lord? Not that, I hope, which you received of me.
170
175
180
185
BASSANIO
If I could add a lie unto a fault I would deny it; but you see my finger Hath not the ring upon it. It is gone. PORTIA
Even so void is your false heart of truth. By heaven, I will ne’er come in your bed Until I see the ring. NERISSA (to Graziano) Nor I in yours Till I again see mine.
190
179. GRAZIANO [to Portia]: non in Q; secondo Montgomery, questo discorso potrebbe essere diretto a Nerissa. 210
Shakespeare IV.indb 210
30/11/2018 09:31:44
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
PORZIA
Se devo essere sincera la colpa è vostra, di esservi separato così leggermente dal primo dono di vostra moglie, una cosa che i giuramenti vi hanno incollato al dito, e la fede inchiodato nella carne. Io ho dato al mio amore un anello, e gli ho fatto giurare che non se ne sarebbe mai separato: e lui qui sta. Oserei giurare per lui che non se ne separerebbe, né che se lo toglierebbe dal dito neanche per tutta la ricchezza dei padroni del mondo. Ora, seriamente, Graziano. Avete dato a vostra moglie una troppo grave causa di dispiacere. Se fosse fatto a me, io sarei furibonda. BASSANIO (a parte) Allora farei meglio a tagliarmi la sinistra e giurare che l’ho persa difendendo l’anello. GRAZIANO (a Porzia) Il signor Bassanio ha dato il suo anello al giudice che gliel’ha chiesto, e veramente se lo meritava, e poi il ragazzo suo scrivano, per essersi dato la briga di scarabocchiare qualcosa, ha preteso il mio, e né servo né padrone hanno voluto altro che i due anelli. PORZIA (a Bassanio) Quale anello gli hai dato, mio signore? Non quello, spero, che hai ricevuto da me! BASSANIO
Se potessi aggiungere un bugia a un errore, lo negherei. Ma vedi che il mio dito non ha più l’anello: è andato. PORZIA
E altrettanto vuoto di verità è il tuo falso cuore. Per il cielo, non vengo a letto con te finché non vedo l’anello. NERISSA (a Graziano) Né io con te finché non rivedo il mio.
211
Shakespeare IV.indb 211
30/11/2018 09:31:44
THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
Sweet Portia, If you did know to whom I gave the ring, If you did know for whom I gave the ring, And would conceive for what I gave the ring, And how unwillingly I left the ring When naught would be accepted but the ring, You would abate the strength of your displeasure.
BASSANIO
195
PORTIA
If you had known the virtue of the ring, Or half her worthiness that gave the ring, Or your own honour to contain the ring, You would not then have parted with the ring. What man is there so much unreasonable, If you had pleased to have defended it With any terms of zeal, wanted the modesty To urge the thing held as a ceremony? Nerissa teaches me what to believe. I’ll die for’t but some woman had the ring.
200
205
BASSANIO
No, by my honour, madam, by my soul, No woman had it, but a civil doctor Which did refuse three thousand ducats of me, And begged the ring, the which I did deny him, And suffered him to go displeased away, Even he that had held up the very life Of my dear friend. What should I say, sweet lady? I was enforced to send it after him. I was beset with shame and courtesy. My honour would not let ingratitude So much besmear it. Pardon me, good lady, For by these blessèd candles of the night, Had you been there I think you would have begged The ring of me to give the worthy doctor.
210
215
220
PORTIA
Let not that doctor e’er come near my house. Since he hath got the jewel that I loved, And that which you did swear to keep for me,
225
212
Shakespeare IV.indb 212
30/11/2018 09:31:44
IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
BASSANIO
Dolce Porzia, se tu sapessi a chi ho dato l’anello, se sapessi per chi ho dato l’anello, e se immaginassi per cosa ho dato l’anello, e quanto di buon grado ho lasciato l’anello quando nulla se non l’anello era considerato accettabile, tu mitigheresti il tuo risentimento. PORZIA
Se tu sapessi il valore dell’anello, o metà della virtù di chi ti ha dato l’anello, o l’onore che ti avrebbe fatto custodire l’anello, non ti saresti mai separato dall’anello. Chi mai sarebbe così irragionevole, se tu ci avessi messo un minimo di scrupolo per difenderlo, chi così indiscreto da pretendere un oggetto di così alto valore simbolico? Nerissa mi insegna cosa credere: che io possa morire se l’anello non ce l’ha qualche donna. BASSANIO
No, per il mio onore, signora, per la mia anima, non l’ha avuto nessuna donna ma un dottore in legge che ha rifiutato da me tremila ducati e ha preteso invece l’anello, che io gli ho negato, lasciando che se ne andasse via scontento, proprio lui che aveva salvato la vita al mio caro amico. Dolce signora, cos’altro dovrei dire? Mi sono sentito obbligato a farglielo avere dopo, spinto dalla vergogna e dalla cortesia. Il mio onore non ha voluto macchiarsi di ingratitudine fi no a questo punto. Perdonami, buona signora: per queste benedette stelle della notte, se fossi stata là credo che mi avresti pregato di darti l’anello, per donarlo al meritevole dottore. PORZIA
Sarà meglio che quel dottore non si avvicini mai alla mia casa. Ora lui ha quel gioiello che amavo, e che tu hai giurato di conservare
213
Shakespeare IV.indb 213
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
I will become as liberal as you. I’ll not deny him anything I have, No, not my body nor my husband’s bed. Know him I shall, I am well sure of it. Lie not a night from home. Watch me like Argus. If you do not, if I be left alone, Now by mine honour, which is yet mine own, I’ll have that doctor for my bedfellow. NERISSA (to Graziano) And I his clerk, therefore be well advised How you do leave me to mine own protection.
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GRAZIANO
Well, do you so. Let not me take him then, For if I do, I’ll mar the young clerk’s pen. ANTONIO
I am th’unhappy subject of these quarrels. PORTIA
Sir, grieve not you. You are welcome notwithstanding. BASSANIO
Portia, forgive me this enforcèd wrong, And in the hearing of these many friends I swear to thee, even by thine own fair eyes, Wherein I see myself — PORTIA Mark you but that? In both my eyes he doubly sees himself, In each eye one. Swear by your double self, And there’s an oath of credit. BASSANIO Nay, but hear me. Pardon this fault, and by my soul I swear I never more will break an oath with thee. ANTONIO (to Portia) I once did lend my body for his wealth Which, but for him that had your husband’s ring, Had quite miscarried. I dare be bound again, My soul upon the forfeit, that your lord Will never more break faith advisedly.
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
per amor mio. Così io sarò generosa come sei stato tu: non gli negherò niente di ciò che possiedo, no, neanche il mio corpo, né il letto mio maritale. Lo conoscerò bene, ne sono ben sicura 202. Non allontanarti da casa nemmeno per una notte. Fammi la guardia come Argo203. Se non lo farai, se sarò lasciata sola, per il mio onore, che è ancora tutto mio, prenderò quel dottore per mio compagno di letto. NERISSA (a Graziano) E io avrò il suo scrivano, quindi rifletti bene prima di lasciare che mi protegga da sola. GRAZIANO
Bene, fai così. Ma che non mi capiti a tiro, perché se lo prendo glie lo sciupo io il pennino, al giovane scrivano! ANTONIO
Io sono l’infelice argomento di questi battibecchi. PORZIA
Signore, non vi dispiacete. Siete comunque il benvenuto. BASSANIO
Porzia, perdonami un torto cui sono stato obbligato, e al cospetto di questi tanti amici che mi ascoltano ti giuro, per i tuoi begli occhi, nei quali mi specchio – PORZIA
Ma sentilo! Nei miei due occhi lui si vede due volte, una per occhio. Giura per sé e per il suo doppio, ecco un giuramento degno di fede! BASSANIO
No, ma ascoltami. Perdona questo errore, e per la mia anima giuro che non verrò più meno a un giuramento fatto a te. ANTONIO (a Porzia) Per il suo bene, una volta, ho impegnato il mio corpo. E questo, se non fosse stato per colui che ha avuto l’anello di vostro marito, sarebbe stato annientato. Ora oso impegnarmi ancora, in garanzia la mia anima, che il vostro signore non mancherà più intenzionalmente alla sua parola.
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
PORTIA
Then you shall be his surety. Give him this, And bid him keep it better than the other.
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ANTONIO
Here, Lord Bassanio, swear to keep this ring. BASSANIO
By heaven, it is the same I gave the doctor! PORTIA
I had it of him. Pardon me, Bassanio, For by this ring, the doctor lay with me. NERISSA
And pardon me, my gentle Graziano, For that same scrubbèd boy, the doctor’s clerk, In lieu of this last night did lie with me.
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GRAZIANO
Why, this is like the mending of highways In summer where the ways are fair enough! What, are we cuckolds ere we have deserved it?
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PORTIA
Speak not so grossly. You are all amazed. Here is a letter. Read it at your leisure. It comes from Padua, from Bellario. There you shall find that Portia was the doctor, Nerissa there her clerk. Lorenzo here Shall witness I set forth as soon as you, And even but now returned. I have not yet Entered my house. Antonio, you are welcome, And I have better news in store for you Than you expect. Unseal this letter soon. There you shall find three of your argosies Are richly come to harbour suddenly. You shall not know by what strange accident I chancèd on this letter. ANTONIO I am dumb! BASSANIO (to Portia) Were you the doctor and I knew you not?
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
PORZIA
Dunque sarete voi la garanzia per lui. Dategli questo, e pregatelo di conservarlo meglio del precedente. ANTONIO
Ecco, signor Bassanio, giurate di conservare questo anello. BASSANIO
Cielo, è lo stesso che ho dato al dottore! PORZIA
L’ho avuto da lui. Perdonami, Bassanio: per questo anello il dottore è venuto a letto con me. NERISSA
E perdona anche me, mio gentile Graziano, ma quello stesso ragazzino imberbe, lo scrivano del dottore, per questo se ne è venuto a letto con me questa notte. GRAZIANO
Uffa, ma allora è come riparare le strade in estate, quando sono ancora in buono stato! Ma siamo già cornuti prima di meritarcelo? PORZIA
Non parlate così volgare. Siete tutti sbigottiti. Ecco una lettera, leggetela con comodo. Viene da Padova, da parte di Bellario. Troverete che Porzia era il dottore, e Nerissa lo scrivano. Lorenzo, qui presente, può testimoniare che sono partita presto come voi, e arrivata solo da poco. Non sono ancora entrata in casa. Antonio, siete benvenuto, ed ho per voi migliori notizie di quanto vi aspettate. Aprite presto questa lettera, vi troverete che tre delle vostre ragusee sono inaspettatamente ricomparse in porto con i loro carichi. Non vi dirò per quale strano accidente questa lettera mi sia capitata fra le mani. ANTONIO
Sono senza parole! BASSANIO (a Porzia)
Tu eri il dottore e non ti ho riconosciuto?
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THE MERCHANT OF VENICE, ACT 5 SCENE 1
GRAZIANO (to Nerissa)
Were you the clerk that is to make me cuckold? NERISSA
Ay, but the clerk that never means to do it Unless he live until he be a man. BASSANIO (to Portia) Sweet doctor, you shall be my bedfellow. When I am absent, then lie with my wife. ANTONIO (to Portia) Sweet lady, you have given me life and living, For here I read for certain that my ships Are safely come to road. PORTIA How now, Lorenzo? My clerk hath some good comforts, too, for you.
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NERISSA
Ay, and I’ll give them him without a fee. There do I give to you and Jessica From the rich Jew a special deed of gift, After his death, of all he dies possessed of.
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LORENZO
Fair ladies, you drop manna in the way Of starvèd people. PORTIA It is almost morning, And yet I am sure you are not satisfied Of these events at full. Let us go in, And charge us there upon inter’gatories, And we will answer all things faithfully.
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GRAZIANO
Let it be so. The first inter’gatory That my Nerissa shall be sworn on is Whether till the next night she had rather stay, Or go to bed now, being two hours to day. But were the day come, I should wish it dark Till I were couching with the doctor’s clerk. Well, while I live I’ll fear no other thing So sore as keeping safe Nerissa’s ring.
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305 Exeunt
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IL MERCANTE DI VENEZIA, ATTO V SCENA 1
GRAZIANO (a Nerissa)
E tu eri lo scrivano che mi dovrebbe cornificare? NERISSA
Già, ma non avrà mai intenzione di farlo, a meno che non diventi uomo. BASSANIO (a Porzia) Dolce dottore, il letto ci aspetta. E quando mi assenterò, potrai giacere con mia moglie. ANTONIO (a Porzia) Dolce signora, mi avete dato vita e di che vivere: leggo qui che alcune mie navi sono felicemente arrivate in porto. PORZIA
E tu, Lorenzo? Il mio scrivano ha buone notizie anche per te. NERISSA
E gratis le darò. Porto a te e Jessica uno speciale atto di donazione da parte del ricco ebreo: alla sua morte avrete tutto quel che possiede. LORENZO
Gentili signore, la vostra è manna che piove sugli affamati. PORZIA
È quasi giorno, ma sono sicura che questi eventi non vi siano ancora del tutto chiari. Andiamo in casa, e provvedete a interrogarci: a tutto risponderemo in modo veritiero. GRAZIANO
E così sia. Il primo esame cui Nerissa sarà chiamata a rispondere sotto giuramento sarà questo: Se vuol stare fino a notte in piedi, o fin d’ora del letto calcar gli arredi. E quando è giorno, io scuro lo vorrei, ché con lo scrivano del dottore giacerei. Finché vivo a nulla baderò con maggior cura che a tener l’anello204 di Nerissa bene in sicura. Escono
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Troilus and Cressida Troilo e Cressida Testo inglese a cura di GARY TAYLOR Nota introduttiva, traduzione e note di CHIARA LOMBARDI
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Nota introduttiva
Il Troilo e Cressida di Shakespeare (1600-1601) è un dramma d’amore e di guerra ambientato ai tempi dell’assedio di Troia. In questo contesto, è ben più noto il mito di Elena, riscritto in molteplici varianti che vanno da Omero a Gorgia, da Stesicoro a Euripide fino a Offenbach e oltre. Si continua a rileggere e a riscrivere la storia, il rapimento da parte di Paride e la guerra condotta dai Greci in difesa di Menelao, ma non si scioglieranno mai né il mistero, né le ragioni dell’adulterio e di quella doppiezza che identifica il personaggio ora in un corpo ora in un idolo, in un fantasma. In questo senso Elena è un incubo che, in quanto identificabile come qualcosa di irreale, da una parte allevia la colpa di un’intera civiltà, e dall’altra la duplica e la ripropone ossessivamente. “Una danza eterea sopra l’abisso” – l’ha definita Günther Zuntz, uno studioso di Euripide. La danza è quella della bellezza e della seduzione, l’abisso schiude la paradossalità della guerra, della morte, dell’amore, le dinamiche del farsi e del disfarsi delle società, le contraddizioni dell’uomo come animale politico. Nel dramma shakespeariano il mito di Elena e Paride resta sullo sfondo di un’altra storia d’amore – quella di Troilo e Cressida, appunto – che non può prescindere dalla prima, anche soltanto perché ne condivide il motivo dell’adulterio e i legami con la guerra. La vicenda si differenzia però dalla dimensione propriamente iconica e simbolica che caratterizza lo sviluppo mitologico dell’altra coppia (non sviluppato fino in fondo da Omero, ma lasciato in forma subliminale) per assumere contorni più concreti, più riconoscibili nel quotidiano. Troilo, il più giovane dei figli di Priamo, ama la greca Cressida, figlia dell’indovino Calcante, e lo confessa fin dalla sua prima entrata in sce223
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TROILO E CRESSIDA
na all’amico Pandaro, zio della ragazza e intermediario tra i due. La passione si consuma rapida e immediata, goduta e intensa quasi come quell’amore al quale gli spettatori pochi anni prima avevano assistito con Romeo e Giulietta (1592-1595). In quest’ultimo risaltava il confronto con una società arida e conformista che chiudeva i due innamorati in un vincolo sempre più stretto; un legame che, tanto più li separava dal mondo circostante, quanto più li univa e li conduceva, assieme, ad una sola morte (come Paolo e Francesca nel V canto dell’Inferno). Nel Troilo e Cressida, invece, il male, come il veleno profuso in Amleto (1600), entra dentro la coppia fin dall’inizio per portare divisioni, ambiguità e dolore, speranze ma anche cattivi pensieri e presagi, terrore e desiderio. I valori sono inquinati alle radici; i punti di vista sono tutti ugualmente veri e falsi. La guerra incalza, nella sua follia, e si fa sempre più pressante anche il Tempo, che precipita nel mito classico accelerando i ritmi e la corsa verso la fine. È il Tempo come dimensione interiore che acquista una diversa scansione, ed è anche il segno della Storia, della prima età moderna, della conquiste, delle guerre di religione, del colonialismo e del primo capitalismo con le sue metafore di consumo e di reificazione. Scanditi da questo tempo frettoloso, si avvicendano la notte d’amore tra Troilo e Cressida, lo scambio della donna con Antenore, il tradimento con Diomede, che costituisce un trauma privato dentro il trauma della guerra, in corrispondenza simbolica con l’adulterio di Elena. Nel dramma mutano e si corrompono le forme dell’epica: i grandi eroi, Ettore e Achille in primis, entrano in contraddizione con se stessi; l’eroismo è sempre differito e frustrato, come gli scontri e i duelli, fino al parossismo delle scene finali in cui Ettore corre all’inseguimento di un’armatura vuota e luminosa (altro idolo, altro fantasma); Achille, il superbo leone offeso, lascia ai Mirmidoni – trasformati in mostri, in orrendi corpi mutilati – il compito di uccidere Ettore, come voleva la tradizione. L’identità dell’eroe si ritrova compromessa: Troilo è personaggio psicologicamente ‘diviso’; Achille è un inetto e un vigliacco, e le sue gesta gloriose sono state obliterate dal tempo e dimenticate; Ettore parla a favore della pace, ma alla fine si scatena contro la luce di quell’armatura vuota scintillante; Cressida è e non è se stessa, e si moltiplica (come Elena) tra l’essere fantasma o realtà, tra il recitare il personaggio dell’innamorata e quello della traditrice. Nessuno può più riconoscersi in questo mondo, in questi personaggi, nemmeno essi stessi, se non a patto di mettere in 224
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NOTA INTRODUTTIVA
discussione un intero sistema di valori e di punti di riferimento. Tutti i discorsi e le teorie, nel dramma, arrivano a un punto morto oppure si rovesciano nel loro contrario. Il cristianesimo, la filosofia antica di matrice platonica, lo stoicismo si rivelano inadeguati a spiegare quella condizione di stallo – questa sorta di assedio, in senso moderno, da Camus a Bertolucci – in cui ristagna il presente. Altrettanto può dirsi delle teorie che riguardano l’amore. Ogni verità crolla se s’infrange quel principio d’unione che era, per Platone come per Boezio, l’Amore. Su di esso si reggeva anche l’ordine politico, che dovrebbe corrispondere, secondo le teorie stoiche, a quello naturale delle api e dei pianeti. L’evidenza, o forse una machiavelliana realtà effettuale, interviene a spazzare via teoremi e astrazioni, a creare contraddizioni che disorientano personaggi e spettatori. Ovunque è enfatizzato il rapporto stridente tra i grandi ideali e la bassa corporeità simboleggiata dal cibo, dal sesso e dalla malattia. Con David Hillman, potremmo parlare per il Troilo e Cressida di “satira scettica” in cui si profi la il “mondo incerto” di Montaigne, il “mondo senza fondamenta” di Cartesio. Si perdono i confi ni di demarcazione tra le cose, tra i luoghi, i personaggi, i punti di vista, come tra i generi letterari. Il significante si allontana (in senso moderno, pur con le dovute cautele) dal significato e trascina con sé i giuramenti e le promesse. La parola, come per Amleto, si distacca dalla realtà, dalla sostanza. Words, words, mere words, no matter from the heart: può essere l’eco di Troilo, nel leggere la lettera di Cressida (V, 3, 108), all’oscuro scetticismo di Amleto (II, 2, 192). Anche un personaggio come Tersite – cinico e volgare cronista della guerra, dei suoi ministers corrotti e dei suoi amori lussuriosi e smodati, esito della geniale amplificazione del ritratto omerico che affidava alle sue parole disordinate una più blanda funzione di dissacrare re ed eroi – non ha le benefiche caratteristiche di un fool come Feste o Touchstone. Le sue invettive non riescono a ripulire il mondo, ma soltanto a fare risaltare il marcio che contagia inevitabilmente gli spettatori, il clapperclawing (V, 4, 1) che li accosta a quegli eroi grotteschi portati sulla scena e ai diavoli dell’Inferno dantesco, a stigmatizzare l’applauso sciocco e acritico. Pandaro non riesce a riscattarsi dal suo ruolo abietto e saluta gli spettatori con la minaccia del contagio. La malattia non è però del teatro, ma della società che lo condanna. Il teatro, al contrario, è lo spazio della conoscenza, dell’autocritica, della felicità o del disvelamento (talvolta traumatico) del male. Dove, con 225
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TROILO E CRESSIDA
Amleto (The play’s the thing, II, 2, 613), si può ripartire da zero per conoscere se stessi e la realtà. Il dramma non può essere commedia a lieto fine, ma neanche tragedia, per quanto anticipi per molti aspetti il senso del tragico moderno che deriva proprio dalla morte della tragedia classica. Non è tragedia classica perché non c’è una verità sovrumana, né dèi né destino a garantirla, ma soprattutto perché il male si cala nella normalità, e diventa, come nel Novecento, abitudine codificata e banale, e talvolta anche ridicola. Data e trasmissione del testo Pubblicato nell’edizione in-quarto nel 1609 (Q) e nell’in-folio nel 1623 (F), il dramma di Shakespeare Troilus and Cressida viene registrato nello Stationers’ Register il 7 febbraio 1603, dal tipografo James Roberts, con l’annotazione The booke of Troilus and Cresseda as ys acted by my lo: Chamberlens Men. Sono passati sei mesi da quando lo stesso Roberts vi ha iscritto l’Amleto, ed entrambi si collocano nelle attività della compagnia del Ciambellano, che sarebbe presto diventata la compagnia del Re (the King’s Men). Per quanto riguarda la prima data di composizione, l’ipotesi più condivisa è quella che ascrive il dramma al periodo tra il 1600 e 1601. Alcune coordinate di confronto per questa datazione possono essere le seguenti: il Prologo armato (presente soltanto nell’in-folio), come probabile riferimento satirico a un analogo personaggio che figurava nel Poetaster di Ben Jonson, prodotto nell’estate 1601 (ma può anche trattarsi di un’aggiunta di poco successiva al dramma, composto da non oltre un anno); l’episodio dell’uccisione di Ettore da parte dei Mirmidoni che compariva, dopo Caxton e Lydgate, in un dramma sulla vita di Thomas Cromwell, registrato l’11 agosto 1602; alcune allusioni, contenute nel testo di Thomas Middleton Family of Love (1602), al discorso di Ulisse sull’ordine gerarchico nelle società politiche e nel mondo naturale. Sappiamo, inoltre, che nel 1599 l’impresario della compagnia del Lord Ammiraglio, Henslowe, aveva pagato i drammaturghi Dekker e Chettle per un altro Troilus and Cressida, ma gli uomini del Ciambellano avevano deciso di avvalersi di Shakespeare per stendere un testo migliore di quello dei loro rivali. Questi riferimenti ci permettono di immaginare una prima rappresentazione del dramma al Globe, nel 1601 o all’inizio del 1602. A conferma 226
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NOTA INTRODUTTIVA
di questo, l’edizione del 1609 è accompagnata dall’indicazione: THE Historie of Troilus /and Cresseida. / As is was acted by the Kings Maiesties / seruants at the Globe. È anche possibile identificare nell’apostrofe di Tersite a Giove e a Mercurio, giudicati incapaci di togliere per sempre di mezzo Aiace e Achille (II, 3, 10 sgg.), un’allusione metateatrale alle due divinità immortalate al Globe in due dipinti posti ai lati del palcoscenico. “Specchio di ghiotte passioni”: le fonti Troilo e Cressida è una delle opere della letteratura occidentale con la più intensa intertestualità alle spalle, in cui i personaggi vantano un palinsesto di ricorrenze e di sovrapposizioni che si accumulano a partire dalla matrice omerica per passare attraverso svariati testi della letteratura europea. Gli eroi omerici indossano le maschere della tradizione eroica che li ha costruiti. Al tempo stesso, però, sono maschere grottesche e stranianti, sono come una bellissima e famosa attrice che tornasse a calcare le scene sul viale del tramonto portandosi dietro il ricordo stridente di ciò che è stata. Da un certo punto di vista, nel dramma di Shakespeare tutto è già successo. La guerra di Troia, in quanto mito, è avvenuta una volta per tutte, ma è anche interpretabile come archetipo simbolico di tutte le guerre a venire. Il poema omerico diviene quindi traccia su cui condurre un’impietosa indagine – che sconfina spesso nel grottesco, appunto, scavalcando il senso del tragico antico e rinascimentale – non soltanto amorosa, ma sui rapporti di potere e sulle leggi economiche di un preciso momento storico così come di ogni tempo. Anche quel fatale incontro tra i due innamorati è dato per avvenuto. Ma quando e dove? Per ricostruire questa lunga storia, occorre immaginarla come un vero e proprio palinsesto, le cui sovrapposizioni sono collocate da Shakespeare in una prospettiva di reciprocità simultanea, in un mosaico complessivo antico e straordinariamente innovativo. A partire dall’Iliade, dove rintracciamo le loro matrici, Troilo e Cressida percorrono la tradizione letteraria in modo indipendente l’uno dall’altro, per incontrarsi – a quanto ne sappiamo – soltanto nell’Histoire de Troie (1180) di Benoît de Sainte-Maure, dove per la prima volta diventano amanti. Nel XXIV libro dell’Iliade, quando le sorti di Troia stanno precipitando, Priamo compiange Troilo tra i migliori figli perduti, Mestore ed Ettore, rappresentandolo in un’immagine istantanea, “combattente su carro” o “cavaliere” (XXIV, 253). Nell’Eneide (I, 474 sgg.), nei quadri incontra227
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TROILO E CRESSIDA
ti da Enea nel tempio fatto costruire da Didone a Cartagine, Troilo è definito infelix puer e trascinato per i capelli; prefigura così lo strazio, narrato nei versi successivi, compiuto da Achille sul corpo di Ettore per vendicare l’amico Patroclo. Il contrastante ritratto di Troilo bellissimo e valoroso, ma ucciso crudelmente nel fiore degli anni, torna nei Postomerica di Quinto Smirneo (IV sec. d.C., IV, vv. 430-35), con un paragone topico, quello del fiore reciso, che ricorda la morte del giovane Eurialo nell’Eneide (IX, 435 sgg.). È, quindi, attingendo alle opere medievali di Darete Frigio e Ditti Cretese che Benoît de Sainte-Maure recupera i frammentari ritratti di Troilo per accostarlo all’incostante figura di Briseida, il cui nome rimanda a quello delle due schiave, Briseida e Criseida, contese tra Achille e Agamennone in apertura dell’Iliade. Nell’Histoire de Troie si mettono in evidenza le caratteristiche di fresca bellezza e giovinezza dell’ultimo figlio di Priamo (vv. 5393-5400), ma già in questo testo il personaggio, dopo essere stato amato per qualche tempo da Briseida, è tradito dal “molto rissoso” (mout noisos) Diomede. Briseida ci è consegnata da ritratti non meno contrastanti. In quasi tutti i testi antichi e medievali, la donna conserva quel contrasto luce-ombra, bianco-nero, e quei tratti misteriosi (tra cui le “terribili” sopracciglia unite, segno di estrema peccaminosità e infedeltà) con cui appare a partire dall’Arte di amare di Ovidio (III, 189 sgg.) e dalle Odi di Orazio (II, 4, 3 sgg.) fino alla Storia della distruzione di Troia di Guido delle Colonne. Dimenticato da Shakespeare e recuperato nel romanzo di Morley The Trojan Horse (1937), il particolare diventerà la caratterizzazione essenziale della donna, la sintesi e la condensazione segreta del suo fascino: “L’unica cosa che io posso vedere sono le sopracciglia”, dice Troilo, che aggiunge di avere “un pensiero da matto”: quello di morderle (Morley). Gli occhi della donna, che normalmente rappresentano il tramite alla conoscenza di una persona, appaiono velati da un’ombra di mistero, oggetto parziale freudiano di cui Troilo, senza successo, vorrà impossessarsi. Si può facilmente comprendere quanto la storia narrata da Benoît de Sainte-Maure e Guido delle Colonne, nei rifacimenti successivi, potesse fare gola a Boccaccio, che nel proemio del Filostrato (1338-1339) dichiara di avere cominciato “con sollicita cura” a “rivolgere l’antiche storie per trovare cui fare scudo verisimilmente del mio segreto e amoroso dolore” (Proemio, 27-28). Naturalmente il personaggio cui farsi scudo sarebbe stato Troilo, e nessuno meglio di lui poteva rappresentare il paradosso 228
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NOTA INTRODUTTIVA
di un eroe bello e valoroso ma incomprensibilmente tradito. Si trattava di discutere le ragioni di questo scacco, collegato con la fine di Troia: necessità storica? Fortuna o caso secondo la concezione antica, tragica, oppure rinascimentale dei termini? Gioco psicologico delle passioni e responsabilità individuale? Le metamorfosi di Criseida contribuiscono a complicare questo quadro: abbandonata dal padre Calcante e vedova, la giovane è descritta fin dall’inizio, in quel fulminante incontro nel tempio di Pallade, con una gamma insolita di sfaccettature fisiche e psicologiche che costituiscono la manifestazione e, insieme, la ragione (mai del tutto esaustiva) dell’enorme fascino esercitato tanto sui personaggi quanto sui lettori: prudenza e saggezza; civettuola e cortigiana sprezzatura; passionalità e, al tempo stesso, perfetto controllo delle emozioni e dei piaceri; ironia e disincantata adattabilità alla regole della vita. Qualche anno dopo, la storia passa in Inghilterra con il Troilus and Criseyde (1385-1386) di Geoffrey Chaucer, vero e proprio “romanzo” in versi che ci ripropone l’incontro (e il colpo di fulmine) nel tempio e lo sviluppo psicologico e narrativo che descrive l’innamoramento dei due personaggi, il tradimento e la morte dell’eroe che si situa, con voluta ambiguità e ironia, in bilico tra il mondo omerico e il mondo della cavalleria medievale. A distruggere la figura convenzionale del cavaliere senza macchia e senza paura che aveva il suo punto di riferimento obbligato nell’Enea virgiliano prima, e negli eroi cavallereschi poi, sia Boccaccio sia Chaucer inseriscono tra i due innamorati il personaggio di Pandaro, amico, ruffiano o cupido, che si sostituisce spesso all’azione diretta di Troilo, sottolineando in lui una certa inettitudine e, appunto, l’incapacità di comportarsi da eroe come la tradizione gli imporrebbe. Il nome di Pandaro evoca il mitico arciere omerico, la cui freccia, scoccata nel IV libro dell’Iliade durante il duello tra Paride e Menelao, diviene responsabile della continuazione della guerra. Dopo Chaucer e prima di arrivare a Shakespeare, la storia è filtrata da alcune fonti inglesi del XV secolo: la versione di William Caxton che, nel Recuyell of the Historyes of Troye (1474), traduce l’opera di Raoul le Fèvre, storiografo di Filippo il Buono, autore del Recueil des Histoires de Troie (1464) basato sull’Historia Destructionis Troiae di Guido delle Colonne; il poema in prosa intitolato Troye Boke o The hystorye / Sege and dystruccyon of Troye (scritto nel 1412 circa e pubblicato nel 1513 e nel 1555) dell’inglese John Lydgate, ispirato a Benoît de Sainte-Maure e 229
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a Chaucer; il Testament of Cresseid di Robert Henryson (1532), concepito come una continuazione del testo di Chaucer, ma con un diverso finale: Cressida, colpita dalla peste dopo il tradimento, è costretta a mendicare, ma manda un anello prezioso (tutto ciò che le rimane) a Troilo, il quale le fa erigere un monumento a ricordo del loro amore. Shakespeare lo riprende non tanto in questo dramma, quanto nella Dodicesima notte (III, 1, 155), dove Cressida è raffigurata come una mendicante. I riferimenti all’Iliade arrivano con ogni probabilità a Shakespeare dalla traduzione di George Chapman, i Seven Books of the Iliads of Homer, Prince of Poets (1598), e dai Ten Books of Homer’s Iliad (1581) di Arthur Hall, basati sulla traduzione francese di Hugues Salel. A questi testi, a Chapman soprattutto, si ispirano passi come quello in cui Cressida e Pandaro assistono alla sfi lata di soldati sotto le mura di Troia (I, 2), mentre i grandi discorsi di guerra derivano più specificamente da Caxton e Lydgate (come anche il gesto di Achille di fare uccidere Ettore dai suoi Mirmidoni). Pressoché contemporanei a quello shakespeariano, infine, conosciamo due drammi: l’uno, opera di Henry Chettle e Thomas Dekker e andato presto perduto, porta il suo stesso titolo, Troilus and Cressida, rappresentato nel 1599; l’altro è The Iron Age di Thomas Heywood, un dramma di vendetta che riscrive la storia di Troia portando sulla scena i suoi personaggi principali, compresi Tersite (con un ruolo e un linguaggio molto simile a quello shakespeariano) e gli stessi Troilo e Cressida. Nel dramma di Shakespeare la ripresa dei personaggi passa attraverso tutti questi (e probabilmente anche altri) testi, che trasformano a loro volta episodi dell’epica antica in forme spesso incoerenti, che esigono nuove interpretazioni e nuove domande. L’invenzione shakespeariana di Tersite, ad esempio, assente nei testi di Boccaccio e di Chaucer, deriva dal rapporto con l’Omero tradotto da Chapman e con altri testi meno noti come lo stesso Thersites di Nicholas Udall (1537) e il già citato Iron Age di Heywood; il personaggio, però, rappresenta anche un’originale figura di fool, il matto dal linguaggio irriverente ma rivelatore di verità, tipico del teatro inglese e shakespeariano. Nel rielaborare questa fitta tradizione, Shakespeare conferma quella sua insuperabile capacità di assorbire ciò che leggeva e ascoltava, trasformandolo in qualcosa di assolutamente nuovo. Senz’altro meno fortunata, almeno a teatro, è infatti la riscrittura di John Dryden nella tragedia dal 230
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titolo Troilus and Cressida, or Truth Found too Late (“Troilo e Cressida, o la verità trovata troppo tardi”, 1679), nonostante la sua dichiarata volontà di “ripulire” il dramma, epurandolo da quanto egli stesso definiva in termini di heap of Rubbish, under which many excellent thoughts lay wholly buryed (“un mucchio di immondizia, sotto il quale giacciono sepolti molti eccellenti pensieri”). La sua versione, più snella e moralizzante, tende a sopprimere le (pur fecondissime) aporie lasciate da Shakespeare e a rendere tutto più chiaro e distinto, lasciando però una traccia ben più pallida e senz’altro meno attuale nella storia del dramma. Soltanto nel Novecento, Jean Giraudoux nella pièce La guerre de Troie n’aura pas lieu (“La guerra di Troia non si farà”, 1935) e Christopher Morley nel già citato romanzo The Trojan Horse (in italiano tradotto da Cesare Pavese) riusciranno a fare qualcosa di simile, riportando all’attualità l’archetipo della guerra troiana. La storia non può finire, ha osservato Morley, va ancora riscritta: “Perché lasciare che quello specchio di così ghiotte passioni ch’è l’assedio e la caduta di Troia si vada appannando sotto l’azione dei secoli e della ruggine, come una vecchia armatura in un museo? – Buttiamo la panoplia arrugginita, detergiamo lo specchio, e sotto gli occhi avremo, disinvolti e contemporanei, coloriti appena d’un’impalpabile trasparenza d’eternità scanzonata, quegli stessi felici mortali di tremila anni fa”. La vicenda Contrariamente al Filostrato di Boccaccio e al Troilo e Criseida di Chaucer, incentrati sulla storia d’amore e poco sulla guerra troiana, il dramma di Shakespeare mantiene un equilibrio tra i due motivi collocandoli all’interno del doppio intreccio, e facendo risaltare le corrispondenze reciproche. Troilo e Cressida si apre con le parole del Prologo armato, che espone gli antefatti della storia, con l’occupazione delle pianure della Frigia da parte dei Greci partiti alla riconquista di Elena, e con l’immagine della città di Troia serrata nell’assedio. Già dal suo linguaggio emerge l’attenzione del dramma per il corpo, violato dalla guerra e da rapporti che non riescono a concretarsi in alcunché di fecondo, ed evocato attraverso le figure metaforiche o metonimiche legate al cibo, alla digestione, alla malattia. Il Prologo riporta l’immaginazione degli spettatori a un potente simbolo che racchiude uno spazio, un tempo, una storia: In Troy, there lies 231
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the scene sono le prime parole del dramma. Troia è anche la città senza tempo, che appartiene a ogni lettore: “È la città più famosa della terra e appartiene quindi a tutti quanti, e a tutti i tempi” (Morley). L’anacronismo è un dato costante e consapevole: se Boccaccio e Chaucer giocano ironicamente sulla sovrapposizione tra lo spazio antico e la città medievale, “grande e dilettosa” (Filostrato, V, 34), Shakespeare fa precipitare al suo interno le parole dei mercanti e dei commerci, di un capitalismo che comincia ad impadronirsi dell’immaginario collettivo, ed esprime soprattutto la tragedia e l’assurdità delle guerre, di conquista o di religione che siano, come dato storico ma anche umano. I frequenti stacchi metateatrali, poi, indicano che il pubblico non deve credere acriticamente in ciò che vede, né tanto meno identificare i suoi personaggi in quegli eroi invincibili tramandati dalla tradizione. Gli spettatori sono chiamati a guardare tutto dall’alto, come fanno Cressida e il suo servo Alessandro, e poi ancora Cressida e Pandaro (I, 2) che ripropone la tecnica antica della teichoscopia (letteralmente “guardare dall’alto delle mura”, una tecnica usata, con tutt’altri effetti, in Iliade, III, 121-138, 155-160, 162-165, e nelle Argonautiche di Valerio Flacco, VI, 427-760, nella scena in cui Medea si innamora di Giasone). Contro ogni forma di idealizzazione, l’amore e la guerra – e, tanto più, una guerra per amore – possono essere rappresentati solo in questo modo, nell’alterno succedersi di vicinanza e di distanza, di adesione e di distacco, di partecipazione e di straniamento. Anche il rapporto tra versi (in cui sono scritti i due terzi del testo) e prosa (per un terzo) segue un’analoga dinamica, con l’uso dei versi per i grandi discorsi d’amore e di guerra, e la prosa (affidata soprattutto a Pandaro e a Tersite) come espressione di demitizzazione. In questo modo, e in tutto lo sviluppo del dramma, il testo si distanzia anche da quella propaganda Tudor che collegava le origini dei Britanni ai mitici fondatori di Troia. Dal punto di vista strutturale, l’apertura del dramma con la grottesca, satirica, figura di Prologo armato e la sua chiusura, in dissolvenza, con il brusio dell’ape che langue e il desolato testamento di Pandaro, rimarcano la finzione teatrale “contrassegnando la transizione dalla tragedia epica alla commedia satirica” e “sembrano anticipare procedimenti propri del teatro epico brechtiano” (Melchiori 1997). Interessante notare come le sequenze del dramma si svolgano secondo una costante alternanza tra la città di Troia e il campo greco, fino alla battaglia conclusiva che avviene in una sorta di terra di nessuno, con il massacro di Ettore da parte dei 232
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Mirmidoni (V, 7 e V, 9), in un tramonto che si colloca in un’atmosfera da Götterdämmerung (Boitani). Il costante passaggio, quasi cinematografico, tra il campo greco e la città di Troia suggerisce riflessioni che toccano il problema del tempo e del ritmo del dramma, a mio avviso centrali nella resa del testo, su cui tornerò ancora in seguito. Il dramma si colloca infatti lungo un arco temporale non così precisamente scandito come, ad esempio, lo è il Romeo e Giulietta. Fino all’incontro tra Troilo e Cressida, posto al centro del dramma (III, 2), il passare del tempo non è sempre segnalato, mentre da quel momento la vicenda occupa due giorni. Questa scelta non è priva di significato e di un notevole effetto scenico. Nelle prime due sequenze, l’alternanza tra scena greca e troiana può immaginarsi pressoché simultanea, secondo una tecnica che trova scarsi riscontri nel teatro del tempo, ma che sottolinea la prospettiva speculare e anamorfica con cui si confrontano anche i contenuti del dramma stesso. A partire dall’incontro tra i due innamorati (III, 2), invece, il tempo è scandito e prende a scorrere precipitosamente, come le parole stesse dei personaggi rimarcano, verso la necessaria separazione e l’altrettanto necessaria fine di Troia. Se l’atto III si chiudeva con la notte, l’atto IV si svolge lungo l’arco di un’intera giornata, che prosegue fino a notte fonda in apertura dell’atto V con le scene presso la tenda di Achille e di Calcante. La giornata successiva si estende dalle profezie di Andromaca e Cassandra (V, 3) ai massacri di guerra (V, 7-9), per finire con il sinistro tramonto commentato da Achille: “Guarda, Ettore, come il sole comincia a tramontare, come la tetra notte gli ansima alle calcagna. E quando il sole sarà sceso e oscurato, la vita di Ettore sarà finita […] L’ala di drago della notte calando si estende sulla terra e, come un arbitro, separa gli eserciti” (V, 9, 5-8; 17-18). L’alba successiva, se mai sorgerà, è soltanto evocata nella maledizione di Troilo: “Ettore è morto. Non c’è più nulla da dire. No, fermi. Voi, vili, abominevoli tende così superbamente piantate sulle nostre pianure frigie, nell’alba in cui il Titano oserà ancora sorgere, io vi attraverserò da cima a fondo!” (V, 11, 23-26). Nella morsa del tempo: interpretazioni e performance Da sempre il Troilus and Cressida, forse il dramma meno noto di Shakespeare almeno in Italia, desta notevoli problemi di interpretazione. La prima difficoltà nasce dall’attribuzione ad esso di un genere letterario preciso. Per Coleridge, nessuna opera di Shakespeare era più difficile 233
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da caratterizzare. L’incertezza nasce già dalla discrepanza tra la lettera accompagnatoria dell’in-quarto del 1609, dove si parla di commedia, e l’in-folio del 1623, in cui il testo è segnato tra le tragedie. Agostino Lombardo ha osservato che il dramma non può essere annoverato tra le commedie, “non avendo nulla del comico né di quella “luce fantastica” che altre commedie di Shakespeare possiedono”, ma nemmeno tragedia, “mancando ad essa i valori stabili e i punti di riferimento che rendono la tragedia possibile”; così la morte, “sempre presente a gelare il sorriso della commedia, fallisce nel determinare la catarsi tragica” (Boitani). Per questo il dramma si avvicinerebbe piuttosto al genere della dark comedy, con un alto grado di problematicità e una rappresentazione sarcastica della guerra e delle sue cause (ibidem). Per Rossiter il dramma doveva essere particolarmente adatto a giovani intellettuali, a menti esercitate nella logica e nella retorica, capaci di cogliere i principi filosofici generali, gli aspetti morali, etici e legali dietro ad ogni argomento e attratti dalla sfida a interpretare questa “deliberata e seducente oscurità”. Del resto, sono proprio le aporie, filosofiche e formali, a rendere il testo impossibile da catalogare secondo le norme antiche e rinascimentali di poetica, ma maggiormente stimolante nella ricezione. Il problema del genere implica infatti quello delle interpretazioni e viceversa. Aveva ragione Heinrich Heine nel dire che, per dare un giudizio adeguato sul dramma, “abbiamo bisogno dell’aiuto di una nuova estetica che non è mai stata scritta” (Hillebrand – Baldwin, New Variorum Edition of Troilus and Cressida). Di fronte all’assenza di verità e di soluzioni, e di un finale tragico che preluda alla catarsi, i personaggi, attesi come eroi, restano incapaci di usare le loro qualità fisiche e intellettuali per agire. In questo contesto, come si è anticipato, una delle forze più potenti è rappresentata dal Tempo, che si manifesta come consumo, dimenticanza, perdita, fine. L’eroe non è più padrone di esso, come voleva Seneca (“Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est”, Lettere a Lucilio, I, 1), ma lo subisce. “Il tempo consola o finisce”, dice Pandaro a Troilo in apertura del dramma (I, 2, 74-75), dopo avergli consigliato un’attesa paziente nella conquista di Cressida; ed Ettore, poco prima di morire, dirà: “La fine tutto incorona, e sarà quel vecchio arbitro universale, il Tempo, un giorno, a finire” (IV, 5, 225-226). La centralità del concetto di tempo ha un riflesso sulla performance e sul ritmo, che a teatro dovrebbe essere molto accelerato, serrato, quasi verti234
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ginoso, come in un certo cinema dei nostri giorni. Unici dèi superstiti, la Storia e il Tempo si proiettano nella concitata ansietà dei personaggi, in un diffuso senso di sfuggente precarietà. Nella storia d’amore di Troilo e Cressida, il tempo consola (durante quell’unica notte d’amore concessa, che sostituisce lo spazio ben più ampio offerto al piacere degli innamorati da Boccaccio nell’intera III parte del Filostrato) e finisce, subito dopo, con la necessità di consegnare Cressida in cambio di Antenore. È questo il momento in cui il tempo sembra cominciare a scorrere più rapidamente, in forme simboliche che ne sottolineano la forza distruttiva e incontrollabile: nell’adynaton che rende paradossale la promessa di fedeltà di Cressida e il futuro più remoto immediatamente presente, specie per lo spettatore che conosca la storia (III, 2, 181 sgg.); nella rassegnata considerazione di Paride al fratello Troilo al momento della separazione (IV, 1, 49-50); nell’immagine dello stesso innamorato, costretto ad arrendersi, nel salutare Cressida, al Tempo ingiurioso, con “la fretta del ladro che ammassa la sua ricca refurtiva alla rinfusa” (IV, 5, 41-42). Ed è il tempo che divorerà il corpo di Cressida, nella sua stessa previsione (“Il tempo, la violenza, la morte, facciano del mio corpo tutto ciò che possono fare, fino alla fine”, IV, 3, 27-28). Anche il concetto di relatività e riflessività delle qualità umane, non più dipendenti da un’etica stabilita a priori, è messo in relazione da Ulisse, nel suo discorso su Achille, con l’immagine del tempo che tiene sulla schiena un borsello, dove ripone le elemosine per affidarle all’oblio, “grandioso mostro di ingratitudine” (III, 3, 140-141). Il tempo in questo dramma è un meccanismo inarrestabile di consumo, di oblio e di morte che lascia allo spettatore l’immagine allegorica delle rovine, del passato e del futuro simultaneamente colti come “avvolti da gusci e dall’informe rovina dell’oblio” (IV, 7, 50-51). Ha notato Linda Charnes che il dramma affligge i personaggi con una “conoscenza storica” che influenza in larga misura, se non completamente, tutti i loro rapporti verbali e, di conseguenza, la loro identità. Dal punto di vista interpretativo e performativo, alla centralità di questo concetto di tempo si associano non soltanto le immagini di oblio, ma anche il linguaggio del consumo, del cibo, della malattia. Il corpo assume assoluta centralità sulla scena, proprio nella sua precarietà e rovina, ma anche come presenza trascurata, che completa le parole: il corpo di Cressida, gestito da Pandaro, tra i “buoni mercanti di carne” da lui stesso citati, oppure illusoriamente sottratto, con il tradimento stesso, all’azio235
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ne combinata di time, force, and death; i sensi che trasmettono le visioni anamorfiche e alterate di Troilo; il corpo straziato dei Mirmidoni che entrano in scena come mostruosi brandelli e il cadavere rinserrato nell’armatura ricorsa da Ettore; e infine quello dello stesso Ettore, “trascinato vergognosamente per il campo, in maniera brutale, legato alla coda del cavallo del suo assassino” (V, 11, 4-5). Proprio nella descrizione della morte di Ettore, le immagini dell’oscuramento del sole e del cielo, come nel Lear e nel Macbeth, segnalano la fine di un mondo, delineando il male nella/della Storia che si ripete. Sullo sfondo, intanto, una macabra marcetta (con la didascalia [exeunt marching]) – l’ennesima dopo la continua scansione di tamburi, fanfare e squilli di tromba – accompagna l’uscita di scena di Troilo e dei soldati. Immaginiamoci una scena simile a quella in cui Benigni, nel film La vita è bella, si allontana verso la fucilazione strizzando l’occhio al figlio nascosto. Le rappresentazioni Il dramma si presta a esercitare un fortissimo effetto emozionale sul pubblico, sia per la ripresa degli archetipi di amore e guerra sia per le diverse forme di attualizzazione volte a demitizzare e a dissacrare l’eroismo bellico e ad accentuare i risvolti grotteschi ed estremi del tragico, tanto che nella forma del dramma è stata vista l’anticipazione della violenza delle moderne avanguardie, come in Sarah Kane e Manfred Karge (Ricordi). Una delle scelte registiche più frequenti è stata quella di sovrapporre all’immaginario della guerra di Troia scene, effetti e costumi dei grandi conflitti mondiali del Novecento. Questo avveniva già nel 1938, con la regia di Michael Macowan, che enfatizzava il senso della catastrofe imminente con il contrasto tra frivolezza e terrore, tra antico e moderno, come avveniva nel contemporaneo romanzo di Morley; analogamente, nella rappresentazione diretta da Tyrone Guthrie nel 1956 all’Old Vic, i Greci vestivano come i soldati tedeschi della prima guerra mondiale, mentre i Troiani rappresentavano gli inglesi, con un effetto di triplice sovrapposizione tra mondo classico, elisabettiano e contemporaneo. In Germania, le due regie di Otto Falckenberg (1925 e 1936) suggerivano implicite risonanze con la propaganda nazista. La follia della guerra evocata in questo dramma diventa in seguito evocativa per altri conflitti come la guerra del Vietnam e, ancora più spiccatamente, per la resa dei 236
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rapporti tra il fanatismo estremo dei soldati in guerra e un eroismo degenerato e malato (con allusioni all’aids). Dopo le regie di Michael Boyd e Trevor Nunn del 1998, nel 2009 Matthew Dunster dirige il Troilus al Globe Theatre di Londra, con un Pandaro interpretato da un vulcanico Matthew Kelly e Tersite altrettanto brillantemente recitato da Paul Hunter. La funzione comica e trainante di questi due personaggi è stata enfatizzata fin dalle prime rappresentazioni. Basti ricordare una delle prime produzioni inglesi, quella del 1907, che vedeva Charles Fry nei panni di Tersite, ruolo poi interpretato nel 1912 (nello spettacolo diretto da William Poel al Covent Garden) da una donna vestita da clown, Elspeth Keith. Nella rappresentazione del 1964 di Roger Planchon, invece, Tersite era l’unico personaggio a non essere un matto. In Italia, il dramma conta poche messe in scena rispetto alle innumerevoli rappresentazioni riservate ai classici shakespeariani. La profondità dei problemi filosofici posti dal testo, i lunghi dibattimenti del primo e secondo atto, l’intricata stratificazione di linguaggi e significati, senza contare il gran numero dei personaggi, richiedono enormi impegni di regia e costosissime produzioni. Per questo, ad accogliere la sfida del Troilo sono stati registi del calibro di Luchino Visconti, Luigi Squarzina, Roberto Guicciardini, Giancarlo Cobelli e Luca Ronconi. Tra le prime rappresentazioni, ricordiamo quella di Visconti dell’estate 1949, sulla traduzione di Gerardo Guerrieri, allestita nella cornice dei giardini di Boboli a Firenze, con un prestigiosissimo cast: Vittorio Gassman nel ruolo di Troilo, Rina Morelli in Cressida, Paolo Stoppa nei panni di Pandaro, Franco Interlenghi in Patroclo, Marcello Mastroianni in Diomede, Memo Benassi nel ruolo di Tersite e Giorgio Albertazzi in quello di Alessandro. Squarzina ha tradotto e rappresentato il testo, nel 1964 a Genova, enfatizzando l’immaginario archetipico della guerra di Troia portando sulla scena attori vestiti come soldati del Novecento. Tale è anche la scelta di Luca Ronconi, che ha allestito il dramma per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 (con traduzione di Gabriele Baldini e Luigi Squarzina, e inserti di Luca Fontana), collocando nello squadrato e spoglio contesto dei Lumiq Studios tutta la crudele e volgare degenerazione di questo amore ai tempi di una guerra sempre possibile e sempre efferata, con soldati in tute mimetiche, bombe e raffiche di mitragliatrici. Sulla nudità dei corpi e sull’essenzialità delle scene ha puntato invece, come in precedenza la regia di John Barton del 1968, 237
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l’interpretazione di Giancarlo Cobelli, che si è avvalsa della traduzione e resa testuale di Enrico Groppali per la messa in scena nel 1993 al teatro Ariosto di Reggio Emilia. Tra le ultime rappresentazioni, è significativo che nell’estate 2012 l’Aquila, città sconvolta dalla violenza di un terremoto che è stato come una guerra della natura contro l’uomo, abbia ospitato la rappresentazione del dramma diretta e interpretata da Alessandro Preziosi con i giovani attori del laboratorio I cantieri dell’immaginario. CHIARA LOMBARDI
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TROILUS AND CRESSIDA THE PERSONS OF THE PLAY
PROLOGUE Trojans
}
PRIAM, King of Troy HECTOR DEIPHOBUS his sons HELENUS, a priest PARIS TROILUS MARGARETON, a bastard CASSANDRA, Priam’s daughter, a prophetess ANDROMACHE, wife of Hector AENEAS commanders ANTENOR PANDARUS, a lord CRESSIDA, his niece CALCHAS, her father, who has joined the Greeks
}
HELEN, wife of Menelaus, now living with Paris ALEXANDER, servant of Cressida Servants of Troilus, musicians, soldiers, attendants Greeks AGAMEMNON, Commander-in-Chief MENELAUS, his brother NESTOR ULYSSES ACHILLES PATROCLUS, his companion DIOMEDES AJAX THERSITES MYRMIDONS, soldiers of Achilles Servants of Diomedes, soldiers
SIGLE Q: il primo in-quarto (1609, da cui derivano Qa e Qb). F: l’in-folio (1623). Il testo-guida di questa edizione è, in generale, F, che si ritiene più vicino al testo rappresentato a teatro, benché le relazioni tra i diversi in-quarto e l’in-folio siano tuttora controverse. In Qb il dramma si apre con un’epistola intitolata ‘A neuer writer, to an euer reader. Newes’ non riportata in questa edizione, che costituisce sostegno di un’ipotesi che il dramma non fosse stato rappresentato pubblicamente fi no al 1609. Segnaliamo in nota solo varianti con significati alternativi tra Q e F, ed emendamenti successivi che interessano la traduzione. Le trascrizioni sono sempre modernizzate, salvo quando il testo presenta insieme la grafia arcaica e quella moderna.
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TROILO E CRESSIDA PERSONAGGI
PROLOGO Troiani
}
PRIAMO, re di Troia ETTORE DEIFOBO suoi ELENO, sacerdote figli PARIDE TROILO MARGARETONE, un bastardo CASSANDRA, figlia di Priamo, profetessa ANDROMACA, moglie di Ettore ENEA comandanti ANTENORE PANDARO, signore CRESSIDA, sua nipote CALCANTE, suo padre, che si è unito ai Greci
}
ELENA, moglie di Menelao, ora concubina di Paride ALESSANDRO, servitore di Cressida Servitori di Troilo, musicanti, soldati, persone del seguito Greci AGAMENNONE, comandante supremo MENELAO, suo fratello NESTORE ULISSE ACHILLE PATROCLO, suo compagno DIOMEDE AIACE TERSITE MIRMIDONI, soldati di Achille Servitori di Diomede, soldati
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TROILUS AND CRESSIDA, PROLOGUE
Prologue
Enter the Prologue armed
PROLOGUE
In Troy there lies the scene. From isles of Greece The princes orgulous, their high blood chafed, Have to the port of Athens sent their ships, Fraught with the ministers and instruments Of cruel war. Sixty-and-nine, that wore Their crownets regal, from th’Athenian bay Put forth toward Phrygia, and their vow is made To ransack Troy, within whose strong immures The ravished Helen, Menelaus’ queen, With wanton Paris sleeps — and that’s the quarrel. To Tenedos they come, And the deep-drawing barques do there disgorge Their warlike freightage; now on Dardan plains The fresh and yet unbruisèd Greeks do pitch Their brave pavilions. Priam’s six-gated city — Dardan and Timbria, Helias, Chetas, Troien, And Antenorides — with massy staples And corresponsive and full-fi lling bolts Spar up the sons of Troy. Now expectation, tickling skittish spirits On one and other side, Trojan and Greek, Sets all on hazard. And hither am I come, A Prologue armed — but not in confidence Of author’s pen or actor’s voice, but suited In like conditions as our argument — To tell you, fair beholders, that our play Leaps o’er the vaunt and firstlings of those broils, Beginning in the middle, starting thence away To what may be digested in a play. Like or find fault; do as your pleasures are; Now, good or bad, ’tis but the chance of war. Exit
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TROILO E CRESSIDA, PROLOGO
Prologo
Entra il Prologo armato1
PROLOGO
Troia è la scena. Dalle isole di Grecia i tracotanti prìncipi, nobile sangue in ebollizione, al porto di Atene hanno mandato le navi, cariche di uomini e d’armi per una guerra crudele. Sessantanove teste coronate sono salpate dalla baia di Atene alla volta della Frigia. Il loro voto: saccheggiare Troia, nelle cui possenti mura Elena, la moglie rapita a Menelao, dorme con il dissoluto Paride. Questa la causa della guerra 2. Arrivano a Tenedo. Pescose caracche vomitano il loro carico bellicoso. E subito sulle pianure dardaniche le truppe fresche e ancora integre piantano a sfida le loro tende. La città di Priamo dalle sei porte – Dardana, Timbria, Eliade, Chetade, Troade e Antenoride – serrate da chiodi massicci, da chiavistelli ben piazzati e indistruttibili, rinchiude i Troiani. Ora l’attesa stuzzica gli animi impazienti: da una parte e dall’altra, Greci e Troiani si preparano al rischio3. Ed eccomi qui anch’io, il Prologo armato, e non per fiducia in penna d’autore o voce di attore, ma in carattere con l’argomento, per dirvi, miei cari spettatori, che il nostro dramma salta i pretesti e le prime fasi di questo carnaio4, e inizia nel suo bel mezzo. Comincio di qui, per procedere oltre, su ciò che può essere smaltito in uno spettacolo. Godetevelo, o criticatelo, fate come volete: bene o male che vada, è questa la sorte della guerra. Esce
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter Pandarus, and Troilus armed
TROILUS
Call here my varlet. I’ll unarm again. Why should I war without the walls of Troy That find such cruel battle here within? Each Trojan that is master of his heart, Let him to field — Troilus, alas, hath none. PANDARUS Will this gear ne’er be mended?
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TROILUS
The Greeks are strong, and skilful to their strength, Fierce to their skill, and to their fierceness valiant. But I am weaker than a woman’s tear, Tamer than sleep, fonder than ignorance, Less valiant than the virgin in the night, And skilless as unpractised infancy. PANDARUS Well, I have told you enough of this. For my part, I’ll not meddle nor make no farther. He that will have a cake out of the wheat must tarry the grinding. TROILUS Have I not tarried? PANDARUS Ay, the grinding; but you must tarry the boulting. TROILUS Have I not tarried? PANDARUS Ay, the boulting; but you must tarry the leavening. TROILUS Still have I tarried. PANDARUS Ay, to the leavening; but here’s yet in the word ‘hereafter’ the kneading, the making of the cake, the heating the oven, and the baking — nay, you must stay the cooling too, or ye may chance burn your lips.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 1
I, 1
Entrano Pandaro, e Troilo armato5
TROILO
Chiamate il mio scudiero! Mi toglierò ancora le armi. Perché dovrei combattere fuori dalle mura di Troia, quando c’è una battaglia tanto crudele qui, dentro di me? Ogni troiano che sia padrone del suo cuore scenda pure in campo. – Troilo, purtroppo, non lo è più. PANDARO
Riusciremo mai a raddrizzare questo affare?6 TROILO
I Greci sono forti e abili a usare questa forza, feroci nella loro abilità e coraggiosi grazie a tale ferocia. Io, invece, sono più debole della lacrima di una donna, più torpido del sonno, più insulso dell’ignoranza, meno coraggioso di una vergine di notte, e incapace come un infante. PANDARO
Va bene, su questo credo di aver già detto abbastanza. Per quanto mi riguarda, non ci voglio più entrare, né rovistare più a fondo. Ma chi voglia fare una torta con del grano deve per forza aspettare la macinatura7. TROILO
E non ho aspettato? PANDARO
Già, la macinatura. Devi, però, aspettare la setacciatura. TROILO
E non ho aspettato? PANDARO
La setacciatura, certo. Devi, però, aspettare la lievitazione. TROILO
L’ho aspettata. PANDARO
Fino alla lievitazione. Ma già l’espressione stessa ‘e poi’ implica il tempo in cui si impasta, in cui la torta prende forma, quando si accende il forno, e la si cuoce a dovere. Sicuro, dovete aspettare che si raffreddi, altrimenti finirete per scottarvi le labbra.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 1
TROILUS
Patience herself, what goddess e’er she be, Doth lesser blench at suff’rance than I do. At Priam’s royal table do I sit And when fair Cressid comes into my thoughts — So, traitor! ‘When she comes’? When is she thence? PANDARUS Well, she looked yesternight fairer than ever I saw her look, or any woman else.
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TROILUS
I was about to tell thee: when my heart, As wedgèd with a sigh, would rive in twain, Lest Hector or my father should perceive me I have, as when the sun doth light askance, Buried this sigh in wrinkle of a smile. But sorrow that is couched in seeming gladness Is like that mirth fate turns to sudden sadness. PANDARUS An her hair were not somewhat darker than Helen’s — well, go to, there were no more comparison between the women. But, for my part, she is my kinswoman; I would not, as they term it, ‘praise’ her. But I would somebody had heard her talk yesterday, as I did. I will not dispraise your sister Cassandra’s wit, but —
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TROILUS
O Pandarus! I tell thee, Pandarus, When I do tell thee ‘There my hopes lie drowned’, Reply not in how many fathoms deep They lie endrenched. I tell thee I am mad In Cressid’s love; thou answer’st ‘She is fair’, Pourest in the open ulcer of my heart
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37. Askance: emend. Oxford; in Q è a scorne, e in emend. successivi a storm. Il paragone con il sole che si lascia intravvedere in tralice si collega al significato di askance (come nel moderno to look askance = “guardare o reagire con dubbio o sospetto”), e di scorne. A storm, invece, rende l’immagine contrastante della luce del sole che si manifesta ancora tra le nuvole covando la tempesta imminente. 41. Qui e passim: An = if (non più segnalato). 248
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 1
TROILO
La pazienza in persona, che pure è una dea, sopporta il dolore molto peggio di me. Quando siedo alla tavola reale di Priamo, e quando la bella Cressida entra nei miei pensieri… Traditore che sono! ‘Quando entra’? Ne è forse mai fuori? PANDARO
Certo, ieri sera l’ho vista più bella che mai, più luminosa di qualsiasi altra donna. TROILO
Volevo dirtelo: quando il mio cuore, trafitto da un sospiro, stava per spaccarsi in due, per paura che Ettore o mio padre se ne accorgessero, ho sepolto quel sospiro dietro la ruga di un sorriso, come quando il sole lascia intravvedere un raggio soltanto in tralice. Ma il dolore celato da una gioia solo apparente è come quell’euforia che il destino fa presto a tramutare in tristezza. PANDARO
Se solo i suoi capelli non fossero appena un tantino più scuri di quelli di Elena… – ma lasciamo perdere, non ci sarebbe neanche paragone, tra le due donne. Per me, è sempre mia nipote. Perciò non vorrei, come si dice, lodarla troppo. Mi piacerebbe, però, che qualcuno l’avesse sentita parlare, ieri sera, come è capitato a me. Certo non mi permetto di sottovalutare l’intelligenza di vostra sorella Cassandra, eppure… TROILO
Pandaro! Te lo dico, Pandaro, quando ti dico ‘le mie speranze sono annegate’, non rispondermi a quali abissi di profondità esse se ne stanno. Ti dico che sono pazzo di Cressida, e tu mi rispondi ‘è bellissima’: versi nell’ulcera aperta del mio cuore i suoi occhi, e i
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 1
Her eyes, her hair, her cheek, her gait, her voice; Handlest in thy discourse, O, that her hand, In whose comparison all whites are ink Writing their own reproach, to whose soft seizure The cygnet’s down is harsh, and spirit of sense Hard as the palm of ploughman. This thou tell’st me — As true thou tell’st me — when I say I love her. But saying thus, instead of oil and balm Thou lay’st in every gash that love hath given me The knife that made it. PANDARUS I speak no more than truth. TROILUS Thou dost not speak so much. PANDARUS Faith, I’ll not meddle in it. Let her be as she is. If she be fair, ’tis the better for her; an she be not, she has the mends in her own hands. TROILUS Good Pandarus, how now, Pandarus! PANDARUS I have had my labour for my travail. Ill thought on of her and ill thought on of you. Gone between and between, but small thanks for my labour.
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TROILUS
What, art thou angry, Pandarus? What, with me? PANDARUS Because she’s kin to me, therefore she’s not so
fair as Helen. An she were not kin to me, she would be as fair o’ Friday as Helen is on Sunday. But what care I? I care not an she were a blackamoor. ’Tis all one to me. TROILUS Say I she is not fair? PANDARUS I do not care whether you do or no. She’s a fool to stay behind her father. Let her to the Greeks — and so I’ll tell her the next time I see her. For my part, I’ll meddle nor make no more i’th’ matter.
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75. An she were not kin to me: così in Fb; in Q e Fa An she were kin to me, “se fosse mia parente”. Visto il risentimento di Pandaro, è da preferirsi la prima scelta testuale. 250
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 1
capelli, le guance, il passo, la voce di lei. E nel tuo discorso tocchi persino quella mano, al cui confronto tutte le sfumature del bianco diventano inchiostri che scrivono la loro vergogna, e rispetto alla cui morbida presa la piuma del cigno è ruvida, e il più etereo tatto è duro come il palmo della mano del contadino. È questo che mi dici, come quando dici ‘è vero’ se ti dico che la amo. Quando dici così, intingi in ogni ferita che amore mi ha inferto, invece che olio e balsamo, quel pugnale che l’ha aperta. PANDARO
Non dico altro che la verità. TROILO
Ma non dici tutto. PANDARO
Davvero, non voglio più immischiarmi in questa storia. Lascia che lei sia come è. Se è bella, meglio per lei. Se non lo è, si aggiusterà da sé come meglio crede. TROILO
Avanti, mio buon Pandaro… Pandaro? PANDARO
Ho faticato per questo lavoro, e con quale guadagno? Disprezzato da lei, disprezzato da voi. Ho brigato a destra e a manca, ma con poca riconoscenza per la mia fatica8. TROILO
Ma come, siete arrabbiato, Pandaro? Arrabbiato con me? PANDARO
Soltanto perché è mia parente, allora dicono che non è bella come Elena. Se non fosse mia nipote, potrebbe essere bella di venerdì come Elena lo è di domenica9. Ma, in fin dei conti, che me ne importa? Non me ne importerebbe nemmeno se fosse nera come una mora, così poco conta per me. TROILO
Dico forse che non è bella? PANDARO
Che mi importa! Ditelo o non ditelo. È una sciocca a non andare dietro a suo padre. Che vada tra i Greci. Glielo dirò la prossima volta che la vedo. Da parte mia, in questa faccenda non voglio più mettermi di mezzo. 251
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 1
TROILUS Pandarus — PANDARUS Not I.
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TROILUS Sweet Pandarus — PANDARUS Pray you, speak no more to me. I will leave
all as I found it. And there an end.
Exit
Alarum TROILUS
Peace, you ungracious clamours! Peace, rude sounds! Fools on both sides. Helen must needs be fair When with your blood you daily paint her thus. I cannot fight upon this argument. It is too starved a subject for my sword. But Pandarus — O gods, how do you plague me! I cannot come to Cressid but by Pandar, And he’s as tetchy to be wooed to woo As she is stubborn-chaste against all suit. Tell me, Apollo, for thy Daphne’s love, What Cressid is, what Pandar, and what we? Her bed is India; there she lies, a pearl. Between our Ilium and where she resides Let it be called the wild and wand’ring flood, Ourself the merchant, and this sailing Pandar Our doubtful hope, our convoy, and our barque.
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Alarum. Enter Aeneas AENEAS
How now, Prince Troilus? Wherefore not afield?
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TROILUS
Because not there. This woman’s answer sorts, For womanish it is to be from thence. What news, Aeneas, from the field today? AENEAS
That Paris is returnèd home, and hurt. TROILUS
By whom, Aeneas?
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Shakespeare IV.indb 252
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 1
TROILO
Pandaro… PANDARO
Niente Pandaro. TROILO
Dolce Pandaro… PANDARO
Vi prego, non rivolgetemi più la parola. Lascerò tutto com’è, e che sia finita. Esce Allarme TROILO
Calma, sguaiati clamori, rozzi suoni! Calma! Pazzi siete, da entrambe le parti! Elena dev’essere bella davvero, se voi le rifate ogni giorno il trucco con il sangue10. Non posso combattere, è un motivo troppo meschino per la mia spada. Ma Pandaro… – dèi, come mi affliggete! Non posso giungere a Cressida se non per mezzo di Pandaro, che è troppo permaloso per essere sedotto a sedurre a sua volta, così come lei è tanto tenacemente casta di fronte a ogni mio invito. Dimmi, Apollo, in nome dell’amore che porti a Dafne11, chi è Cressida, chi è Pandaro, e chi siamo noi? Il suo letto è l’India. Lì giace, una perla. E tra la nostra Ilio e il luogo dove lei vive c’è, per così dire, un mare selvaggio in cui è facile naufragare: noi siamo il mercante, e Pandaro la vela, nostra speranza dubbiosa, nostra scorta, nostro umile guscio di noce. Allarme. Entra Enea ENEA
Allora, principe Troilo, come mai non siete in campo? TROILO
Perché non ci sono. Una risposta da donna, perché è da donne non esserci. Quali notizie, Enea, dal campo oggi? ENEA
Paride si è ritirato. Ferito. TROILO
Da chi, Enea?
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Shakespeare IV.indb 253
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
AENEAS
Troilus, by Menelaus.
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TROILUS
Let Paris bleed, ’tis but a scar to scorn: Paris is gored with Menelaus’ horn. Alarum AENEAS
Hark what good sport is out of town today. TROILUS
Better at home, if ‘would I might’ were ‘may’. But to the sport abroad — are you bound thither?
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AENEAS
In all swift haste. Come, go we then together.
TROILUS
1.2
Exeunt
Enter [above] Cressida and her servant Alexander
CRESSIDA
Who were those went by? Queen Hecuba and Helen.
ALEXANDER CRESSIDA
And whither go they? Up to the eastern tower, Whose height commands as subject all the vale, To see the battle. Hector, whose patience Is as a virtue fixed, today was moved. He chid Andromache and struck his armourer And, like as there were husbandry in war, Before the sun rose he was harnessed light, And to the field goes he, where every flower Did as a prophet weep what it foresaw In Hector’s wrath. CRESSIDA What was his cause of anger? ALEXANDER
5
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7. Husbandry: si riferisce all’economia, alla buona gestione economica; in questo senso Ettore è paragonato al fattore che si reca a trarre profitto dalle sue terre. 254
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
ENEA
Da Menelao, Troilo. TROILO
Paride sanguini pure: non è che una ferita di poco conto. Sono le corna di Menelao a farlo sanguinare12. Allarme ENEA
Sentite che bel divertimento, oggi, fuori dalle mura della città! TROILO
Sarebbe meglio spassarsela a casa. Se ‘potessi’ diventasse ‘posso’! Ma al divertimento lì fuori ci stavate andando? ENEA
In tutta fretta. TROILO
Bene, andiamoci assieme. Escono I, 2
Entrano [da sopra] Cressida e il suo servo Alessandro13
CRESSIDA
Chi erano quelle che sono passate? ALESSANDRO
La regina Ecuba ed Elena. CRESSIDA
Dove vanno? ALESSANDRO
Alla torre orientale, dalla cui sommità si domina la valle, per vedere la battaglia. Ettore, la cui pazienza è innata come una virtù, oggi era fuori di sé: ha rimproverato Andromaca, ha colpito l’attendente. E come se in guerra ci fosse da fare economia, prima che spuntasse il sole si è armato alla leggera ed è sceso in campo. Lì dove ogni fiore, come un profeta, piangeva per ciò che si intuiva nella collera di Ettore. CRESSIDA
Qual era la causa della sua ira?
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
ALEXANDER
The noise goes this: there is among the Greeks A lord of Trojan blood, nephew to Hector; They call him Ajax. CRESSIDA Good, and what of him? ALEXANDER
They say he is a very man per se, And stands alone. CRESSIDA So do all men Unless they are drunk, sick, or have no legs. ALEXANDER This man, lady, hath robbed many beasts of their particular additions: he is as valiant as the lion, churlish as the bear, slow as the elephant — a man into whom nature hath so crowded humours that his valour is crushed into folly, his folly farced with discretion. There is no man hath a virtue that he hath not a glimpse of, nor any man an attaint but he carries some stain of it. He is melancholy without cause and merry against the hair; he hath the joints of everything, but everything so out of joint that he is a gouty Briareus, many hands and no use, or purblind Argus, all eyes and no sight. CRESSIDA But how should this man that makes me smile make Hector angry? ALEXANDER They say he yesterday coped Hector in the battle and struck him down, the disdain and shame whereof hath ever since kept Hector fasting and waking. CRESSIDA Who comes here? ALEXANDER Madam, your uncle Pandarus.
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[Enter Pandarus above] CRESSIDA Hector’s a gallant man.
22. Farced: emend. tardo per sauced (in Q): la scelta sancisce un lieve slittamento semantico tra “farcita” e “condita”. La preferenza del primo termine attenua ogni valenza positiva del ritratto di Aiace. 256
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
ALESSANDRO
Circola questa voce: c’è tra i Greci un signore di sangue troiano, cugino di Ettore. Si chiama Aiace. CRESSIDA
Bene, e allora cosa dicono di lui? ALESSANDRO
Dicono che è proprio un uomo, in sé e per sé, e che si distingue dagli altri. CRESSIDA
Così come fanno tutti gli uomini. A meno che non siano ubriachi, o che non abbiano le gambe. ALESSANDRO
Quest’uomo, mia signora, ha sottratto le peculiarità di molti animali: è forte come il leone, rustico come l’orso, lento come l’elefante. Un uomo dove la natura ha concentrato tanti di quegli umori che il suo valore è esploso in follia, e la sua follia è appena condita da un pizzico di discernimento. Non c’è virtù umana di cui non possegga almeno un barlume, nessun vizio di cui non abbia macchia. Malinconico senza ragione, allegro controvoglia. Riesce ad assestare ogni cosa, ma ogni cosa è in lui così dissestata che lo si potrebbe definire un Briareo14 gottoso, con molte mani e nessuna manualità, un Argo mezzo cieco, tutto occhi e niente vista. CRESSIDA
Ma come è possibile che un uomo così, un uomo che a me fa ridere, faccia tanto arrabbiare Ettore? ALESSANDRO
Si dice che ieri abbia tenuto testa a Ettore in battaglia e l’abbia buttato a terra, e che lui, per lo smacco e per la vergogna, non riesca più a mangiare né a trovare pace. CRESSIDA
E adesso chi arriva? ALESSANDRO
Signora, vostro zio Pandaro. [Entra Pandaro da sopra] CRESSIDA
Ettore è un prode. 257
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
ALEXANDER As may be in the world, lady. PANDARUS What’s that? What’s that? CRESSIDA Good morrow, uncle Pandarus.
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PANDARUS Good morrow, cousin Cressid. What do you
talk of? — Good morrow, Alexander. — How do you, cousin? When were you at Ilium? CRESSIDA This morning, uncle. PANDARUS What were you talking of when I came? Was Hector armed and gone ere ye came to Ilium? Helen was not up, was she?
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CRESSIDA
Hector was gone but Helen was not up? PANDARUS E’en so. Hector was stirring early. CRESSIDA
That were we talking of, and of his anger. PANDARUS Was he angry? CRESSIDA So he says here. PANDARUS True, he was so. I know the cause too. He’ll lay about him today, I can tell them that. And there’s Troilus will not come far behind him. Let them take heed of Troilus, I can tell them that too. CRESSIDA What, is he angry too? PANDARUS Who, Troilus? Troilus is the better man of the two.
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CRESSIDA
O Jupiter! There’s no comparison.
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PANDARUS What, not between Troilus and Hector? Do
you know a man if you see him?
48. Up? L’interrogativo, omesso da F2 in poi, ritorna nell’ed. Oxford. Se si vuol cogliere l’allusione all’uso di gone per “gravida” e di up per “eretto”, si approda a un provocatorio scambio dei ruoli sessuali di Ettore e Elena. V. anche la nota alla (intraducibile) traduzione, che rinuncia al paradosso sessuale per mantenere l’equivoco linguistico. 258
Shakespeare IV.indb 258
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
ALESSANDRO
Come nessuno al mondo, signora. PANDARO
Che succede, qui, che succede? CRESSIDA
Buongiorno, zio Pandaro. PANDARO
Buongiorno, nipote Cressida. Di che si parla? – Buongiorno, Alessandro. Come va, nipotina? Quando siete stata a palazzo? CRESSIDA
Questa mattina, zio. PANDARO
Di cosa si parlava, quando sono arrivato? Ettore era già partito in armi prima che tu venissi a Ilio? Elena non era ancora alzata, vero? CRESSIDA
Come, Ettore attivo con Elena passiva?15 PANDARO
Certo, Ettore si è mosso presto. CRESSIDA
È di questo che parlavamo, della sua collera. PANDARO
Era arrabbiato? CRESSIDA
Così mi dice costui16. PANDARO
Sì, è vero. E conosco anche il motivo. Farà strage oggi, ve lo dico io, e Troilo non sarà da meno. Attenzione a Troilo, ve lo dico io. CRESSIDA
Cosa, è arrabbiato anche lui? PANDARO
Chi, Troilo? Troilo è il migliore dei due17. CRESSIDA
Giove, non c’è paragone! PANDARO
Che, non c’è paragone tra Troilo ed Ettore? Ma sapete riconoscere un uomo nel vederlo?
259
Shakespeare IV.indb 259
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA
Ay, if I ever saw him before and knew him. PANDARUS Well, I say Troilus is Troilus. CRESSIDA
Then you say as I say, for I am sure He is not Hector. PANDARUS No, nor Hector is not Troilus, in some degrees.
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CRESSIDA
’Tis just to each of them: he is himself. PANDARUS Himself? Alas, poor Troilus, I would he were. CRESSIDA So he is.
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PANDARUS Condition I had gone barefoot to India. CRESSIDA He is not Hector. PANDARUS Himself? No, he’s not himself. Would a were
himself! Well, the gods are above, time must friend or end. Well, Troilus, well, I would my heart were in her body. No, Hector is not a better man than Troilus. CRESSIDA Excuse me. PANDARUS He is elder. CRESSIDA Pardon me, pardon me. PANDARUS Th’other’s not come to’t. You shall tell me another tale when th’other’s come to’t. Hector shall not have his will this year.
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CRESSIDA
He shall not need it if he have his own. PANDARUS Nor his qualities.
82. Will: così in Q; in emend. tardo wit. In quest’ultimo caso, Pandaro si riferisce all’intelligenza, mentre Q rimandava alla “volontà”, ma anche al “desiderio carnale”. 260
Shakespeare IV.indb 260
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Certo, se l’ho già visto e conosciuto prima. PANDARO
Bene, io vi dico che Troilo è Troilo. CRESSIDA
Allora diciamo la stessa cosa, perché sono sicura che Troilo non è Ettore. PANDARO
No, e Ettore non è Troilo per molti aspetti. CRESSIDA
Questo vale per l’uno e per l’altro. Egli è se stesso. PANDARO
Se stesso! Ahimè, povero Troilo! Magari lo fosse18. CRESSIDA
Certo che lo è. PANDARO
Se lo è, io sono andato a piedi fino in India. CRESSIDA
Non è Ettore. PANDARO
Se stesso! No, non è se stesso: magari fosse se stesso! Ecco, gli dèi sono in cielo, e il tempo consola o finisce19. Bene. Troilo. Bene. Vorrei che il mio cuore fosse nel corpo di lei. No, Ettore non è un uomo migliore di Troilo. CRESSIDA
Come hai detto? PANDARO
È più vecchio. CRESSIDA
Scusa! Pardon… PANDARO
L’altro non è ancora sbocciato20. Me la racconterai diversamente, quando arriverà al dunque. Ettore non avrà mai la sua volontà. CRESSIDA
Non dovrebbe certo averne bisogno, se ha la propria. PANDARO
Ma non ha le sue qualità. 261
Shakespeare IV.indb 261
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA No matter.
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PANDARUS Nor his beauty. CRESSIDA
’Twould not become him; his own’s better. PANDARUS You have no judgement, niece. Helen herself
swore th’other day that Troilus for a brown favour, for so ’tis, I must confess — not brown neither — CRESSIDA No, but brown. PANDARUS Faith, to say truth, brown and not brown. CRESSIDA To say the truth, true and not true. PANDARUS She praised his complexion above Paris’. CRESSIDA Why, Paris hath colour enough. PANDARUS So he has. CRESSIDA Then Troilus should have too much. If she praised him above, his complexion is higher than his; he having colour enough, and the other higher, is too flaming a praise for a good complexion. I had as lief Helen’s golden tongue had commended Troilus for a copper nose. PANDARUS I swear to you, I think Helen loves him better than Paris. CRESSIDA Then she’s a merry Greek indeed. PANDARUS Nay, I am sure she does. She came to him th’other day into the compassed window, and you know he has not past three or four hairs on his chin — CRESSIDA Indeed, a tapster’s arithmetic may soon bring his particulars therein to a total.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Non importa. PANDARO
E nemmeno la sua bellezza. CRESSIDA
Non gli starebbe bene: la sua è migliore. PANDARO
Non avete capacità di giudizio, nipotina. Elena in persona l’altro giorno era disposta a giurare che Troilo, per essere un bel moro – perché è moro, bisogna ammetterlo, ma neanche troppo… CRESSIDA
No, ma moro. PANDARO
A dire la verità, certo, scuro e non scuro. CRESSIDA
A dire la verità, vero e non vero. PANDARO
Lodava la sua carnagione più che quella di Paride. CRESSIDA
E perché? A Paride non manca il colore. PANDARO
Certo che ne ha. CRESSIDA
Allora Troilo ne ha in eccesso. Se Elena l’ha lodato di più, vuol dire che la sua carnagione è più intensa di quella dell’altro. Se a Paride non manca il colore, e l’altro ne ha di più, è una lode troppo accesa per un buon incarnato. Vorrei essere come Elena dalla lingua d’oro per elogiare facilmente Troilo e il suo naso di bronzo21. PANDARO
Ve lo giuro. Penso che ad Elena piaccia più di Paride. CRESSIDA
Allora è davvero una greca allegra. PANDARO
Sì, ne sono sicuro. L’altro giorno è passata sotto il suo bovindo… Sai com’è, lui non ha ancora che tre o quattro peli sul mento… CRESSIDA
Sicuro, l’aritmetica di un birraio farebbe presto a tirare le somme. 263
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
PANDARUS Why, he is very young — and yet will he within
three pound lift as much as his brother Hector. CRESSIDA Is he so young a man and so old a lifter? PANDARUS But to prove to you that Helen loves him: she
came and puts me her white hand to his cloven chin. CRESSIDA Juno have mercy! How came it cloven?
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PANDARUS Why, you know, ’tis dimpled. I think his
smiling becomes him better than any man in all Phrygia. CRESSIDA O he smiles valiantly. PANDARUS Does he not? CRESSIDA O yes, an’t were a cloud in autumn. PANDARUS Why, go to then. But to prove to you that Helen loves Troilus — CRESSIDA Troilus will stand to the proof if you’ll prove it so. PANDARUS Troilus? Why, he esteems her no more than I esteem an addle egg. CRESSIDA If you love an addle egg as well as you love an idle head you would eat chickens i’th’ shell. PANDARUS I cannot choose but laugh to think how she tickled his chin. Indeed, she has a marvellous white hand, I must needs confess — CRESSIDA Without the rack. PANDARUS And she takes upon her to spy a white hair on his chin.
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112. Lift: così in F; in Q list = “compiacere”, meno coerentemente collegato al successivo gioco di parole di Cressida (so old a lifter, per cui v. la traduzione). 264
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
PANDARO
Beh, è molto giovane. E però, quanto a forza 22, ha sollevato tre libbre più di suo fratello Ettore. CRESSIDA
Così giovane, e già così avvezzo ai sollevamenti?23 PANDARO
Solo per dimostrarvi quanto piaccia ad Elena: lei si avvicina e gli va a mettere la bianca mano sulla fossetta del mento – CRESSIDA
Per la grazia di Giunone! E come se l’è infossato? PANDARO
Beh, sapete bene che ha questa fossetta: penso che il suo sorriso lo renda il più bell’uomo di Frigia. CRESSIDA
Ah, sorride che è una meraviglia. PANDARO
Non lo credete? CRESSIDA
Certo, come una nuvola d’autunno. PANDARO
E basta! Ma per darvi prova che Elena ama Troilo… CRESSIDA
Troilo se la sobbarcherebbe davvero, quella prova 24, se voi gliela provaste. PANDARO
Troilo! Macché: la valuta non più di quanto io stimi un uovo marcio. CRESSIDA
Se vi piace un uovo sgallato tanto quanto una testa sballata, finirete per mangiarvi i pulcini nel guscio. PANDARO
Mi viene da ridere a pensare a come lei gli titillava il mento. Certo, ha una mano meravigliosamente bianca, devo confessarlo… CRESSIDA
Confessiamolo pure, senza che ci torturino25. PANDARO
E si mette pure a scovargli un pelo bianco sul mento! 265
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA Alas, poor chin! Many a wart is richer. PANDARUS But there was such laughing! Queen Hecuba
laughed that her eyes ran o’er. CRESSIDA With millstones. PANDARUS And Cassandra laughed. CRESSIDA But there was a more temperate fire under the pot of her eyes — or did her eyes run o’er too? PANDARUS And Hector laughed. CRESSIDA At what was all this laughing? PANDARUS Marry, at the white hair that Helen spied on Troilus’ chin. CRESSIDA An’t had been a green hair I should have laughed too. PANDARUS They laughed not so much at the hair as at his pretty answer. CRESSIDA What was his answer? PANDARUS Quoth she, ‘Here’s but two-and-fifty hairs on your chin, and one of them is white.’ CRESSIDA This is her question. PANDARUS That’s true, make no question of that. ‘Twoand-fifty hairs,’ quoth he, ‘and one white? That white hair is my father, and all the rest are his sons.’ ‘Jupiter!’ quoth she, ‘which of these hairs is Paris my husband?’ ‘The forked one,’ quoth he, ‘pluck’t out and give it him.’ But there was such laughing, and Helen so blushed and Paris so chafed and all the rest so laughed, that it passed.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Ahi, povero mento. Mi sa che un neo qualsiasi di peli ne ha di più. PANDARO
Ma che ridere! La regina Ecuba rideva fino alle lacrime. CRESSIDA
Fino a che non le strabordavano gli occhi26. PANDARO
Anche Cassandra rideva. CRESSIDA
Ma c’era un fuoco più calmo sotto la pentola dei suoi occhi. Oppure lacrimavano gli occhi anche a lei? PANDARO
E anche Ettore rideva. CRESSIDA
E per cosa tanto ridere? PANDARO
Erano divertiti dal pelo bianco scovato da Elena sul mento di Troilo. CRESSIDA
Fosse stato almeno un pelo verde, avrei riso anch’io. PANDARO
Non ridevano tanto per il pelo, quanto per la sua bella risposta. CRESSIDA
E qual era questa risposta? PANDARO
Lei ha detto: ‘Non hai che cinquantadue peli sul mento, e uno è bianco’. CRESSIDA
Questo è il suo computo. PANDARO
Certo. Un computo che non fa una grinza. ‘Cinquantadue peli’, dice lui, ‘e uno bianco: quello bianco è mio padre e gli altri sono i suoi figli’. ‘Per Giove!’, dice lei, ‘quali di questi è Paride, mio marito?’. ‘Ma quello con la doppia punta’27, dice lui, ‘strappalo e regalaglielo’. C’era proprio da ridere! Ed Elena tutta rossa, e Paride così irritato. E tutti gli altri che ridevano da non poterne più.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA So let it now, for it has been a great while going
by.
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PANDARUS Well, cousin, I told you a thing yesterday.
Think on’t. CRESSIDA So I do. PANDARUS I’ll be sworn ’tis true. He will weep you an’t
were a man born in April.
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CRESSIDA And I’ll spring up in his tears an’t were a nettle
against May. A retreat is sounded PANDARUS Hark, they are coming from the field. Shall we
stand up here and see them as they pass toward Ilium? Good niece, do, sweet niece Cressida. CRESSIDA At your pleasure. PANDARUS Here, here, here’s an excellent place, here we may see most bravely. I’ll tell you them all by their names as they pass by, but mark Troilus above the rest.
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Enter Aeneas passing by [below] CRESSIDA Speak not so loud. PANDARUS That’s Aeneas. Is not that a brave man? He’s
one of the flowers of Troy, I can tell you. But mark Troilus; you shall see anon. Enter Antenor passing by [below] CRESSIDA Who’s that?
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PANDARUS That’s Antenor. He has a shrewd wit, I can
tell you, and he’s a man good enough. He’s one o’th’ soundest judgements in Troy whosoever, and a proper man of person. When comes Troilus? I’ll show you Troilus anon. If he see me you shall see him nod at me.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Ecco, allora lasciamo perdere. L’avete raccontata già troppo lunga. PANDARO
Bene, nipote, ieri vi ho detto una cosa. Pensateci. CRESSIDA
Ci penserò. PANDARO
Vi giuro che è vera. Piange per voi come un uomo nato ad aprile28. CRESSIDA
E io germoglierò sotto le sue lacrime, come un’ortica di maggio. Suona la ritirata PANDARO
Udite! Stanno tornando dal campo di battaglia. Volete che ci fermiamo qui e li vediamo sfilare mentre passano verso la cittadella di Troia? Su, nipotina, buona, dolce Cressida. CRESSIDA
Come volete. PANDARO
Qui, venite qui, questo è un posto eccellente; è il posto migliore29. Ve li indico tutti per nome via via che passano. Ma tra questi fate attenzione a Troilo. Entra Enea passando [sotto] CRESSIDA
Non parlate così ad alta voce. PANDARO
Quello è Enea: non è un uomo coraggioso? È uno dei virgulti di Troia, posso garantirvelo. Ma voi guardate bene Troilo. Lo vedrete tra poco. Entra Antenore passando [sotto] CRESSIDA
E quello chi è? PANDARO
Questo è Antenore. Sagace ingegno, credete a me. Uomo piuttosto valido. Una delle menti più brillanti di Troia, comunque, e di persona un uomo come si deve. Ma quando arriva Troilo? Ve lo mostrerò presto: se mi vede, mi ammicca. 269
Shakespeare IV.indb 269
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA Will he give you the nod? PANDARUS You shall see. CRESSIDA If he do, the rich shall have more.
Enter Hector passing by [below] PANDARUS That’s
Hector, that, that, look you, that. There’s a fellow! — Go thy way, Hector! — There’s a brave man, niece. O brave Hector! Look how he looks. There’s a countenance. Is’t not a brave man? CRESSIDA O a brave man. PANDARUS Is a not? It does a man’s heart good. Look you what hacks are on his helmet. Look you yonder, do you see? Look you there. There’s no jesting. There’s laying on, take’t off who will, as they say. There be hacks. CRESSIDA Be those with swords?
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Enter Paris passing by [below] PANDARUS Swords, anything, he cares not. An the devil
come to him it’s all one. By’God’s lid it does one’s heart good. Yonder comes Paris, yonder comes Paris. Look ye yonder, niece. Is’t not a gallant man too? Is’t not? Why, this is brave now. Who said he came hurt home today? He’s not hurt. Why, this will do Helen’s heart good now, ha! Would I could see Troilus now. You shall see Troilus anon. Enter Helenus passing by [below] CRESSIDA Who’s that?
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PANDARUS That’s Helenus. I marvel where Troilus is.
That’s Helenus. I think he went not forth today. That’s Helenus. CRESSIDA Can Helenus fight, uncle?
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Ammicca? A voi? PANDARO
Vedrete. CRESSIDA
Se lo farà, vi farà fesso30. Entra Ettore passando [sotto] PANDARO
Ecco Ettore, eccolo là, guardate bene, che uomo! Avanti, Ettore! Ecco un uomo valido, nipote mia! Ettore coraggioso! Guarda come si presenta: che portamento! Non è un uomo valoroso? CRESSIDA
Un uomo valoroso! PANDARO
Non è vero? Uno così fa bene al cuore. Guardate quanti bolli ci sono sul suo elmo. Guardate là, vedete? Guardate: non c’è mica da scherzare, qui, sono botte da orbi, come si suol dire. Che botte! CRESSIDA
Son fatti con le spade? Entra Paride passando [sotto] PANDARO
Spade o no, per lui è lo stesso, lui se ne infischia! E se anche gli viene davanti il diavolo, è uguale. Per le palpebre degli dèi, fa proprio bene al cuore questo qui. E là c’è Paride, c’è Paride. Guardate là, nipotina: non è pure questo un eroe? Valoroso, no? Chi ha detto che tornava a casa ferito, oggi? Non è ferito. Questo solleverà il cuore di Elena, ah ah! Ma se poteste vedere Troilo adesso. Lo vedrete tra poco. Entra Eleno passando [sotto] CRESSIDA
E quello chi è? PANDARO
Quello è Eleno. Mi domando dove sia Troilo. Quello è Eleno. Penso proprio che non sia sceso in campo oggi. Quello è Eleno. CRESSIDA
Eleno è capace di combattere, zio? 271
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
PANDARUS Helenus? No — yes, he’ll fight indifferent well.
I marvel where Troilus is.
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[A Shout] Hark, do you not hear the people cry ‘Troilus’? Helenus is a priest. Enter Troilus passing by [below] CRESSIDA What sneaking fellow comes yonder? PANDARUS Where?
Yonder? That’s Deiphobus. — ’Tis Troilus! There’s a man, niece, h’m? Brave Troilus, the prince of chivalry! CRESSIDA Peace, for shame, peace. PANDARUS Mark him, note him. O brave Troilus! Look well upon him, niece. Look you how his sword is bloodied and his helm more hacked than Hector’s, and how he looks and how he goes. O admirable youth! He ne’er saw three-and-twenty. — Go thy way, Troilus, go thy way! — Had I a sister were a grace, or a daughter a goddess, he should take his choice. O admirable man! Paris? Paris is dirt to him, and I warrant Helen to change would give an eye to boot.
226
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Enter common soldiers passing by [below] CRESSIDA Here comes more. PANDARUS Asses, fools, dolts. Chaff and bran, chaff and
bran. Porridge after meat. I could live and die i’th’ eyes of Troilus. Ne’er look, ne’er look, the eagles are gone. Crows and daws, crows and daws. I had rather be such a man as Troilus than Agamemnon and all Greece. CRESSIDA There is among the Greeks Achilles, a better man than Troilus. PANDARUS Achilles? A drayman, a porter, a very camel.
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231. Da questo punto F ritorna ad essere il testo-guida. 236. An eye: così in Q; in F money (= “denaro”). 272
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
PANDARO
Eleno? No. Cioè sì. Combatte. Mica male. Mi domando dove sia Troilo. [Un grido] Ehi! Non sentite che la folla grida ‘Troilo’? Eleno è un prete. Entra Troilo passando [sotto] CRESSIDA
E chi è quel tizio strisciante che arriva ora? PANDARO
Dove? Là? Quello è Deifobo. Ecco Troilo!31 Quello sì che è un uomo, nipote! Oh, evviva Troilo! Il principe della cavalleria! CRESSIDA
Calma, per favore, calma! PANDARO
Fate attenzione a lui, notatelo bene. Grande Troilo! Guardalo, nipote, osserva la sua spada, com’è insanguinata, e il suo elmo, che è più ammaccato di quello di Ettore. E come si presenta, come incede! Ragazzo ammirevole. Non ha ancora ventitré anni. Sempre avanti, Troilo, sempre avanti! Se avessi come sorella una delle Grazie, o per figlia una dea, gli farei scegliere. Uomo ammirevole! Paride? Paride è uno sgorbio in confronto a lui. Te lo garantisco, Elena darebbe un occhio della testa per lui. Entrano soldati semplici passando [sotto] CRESSIDA
Ne arrivano altri. PANDARO
Asini, sconsiderati, idioti! Paglia e crusca, paglia e crusca! Pappetta dopo la bisteccona! Potrei vivere e morire negli occhi di Troilo. Non guardate più, non guardate più: le aquile se ne sono andate, e restano corvi e cornacchie, corvi e cornacchie! Preferirei essere Troilo piuttosto che Agamennone e tutti i Greci. CRESSIDA
Tra i Greci c’è Achille, e vale più di Troilo. PANDARO
Achille! Un carrettiere, un facchino, un vero cammello. 273
Shakespeare IV.indb 273
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
CRESSIDA Well, well. PANDARUS Well, well? Why, have you any discretion?
Have you any eyes? Do you know what a man is? Is not birth, beauty, good shape, discourse, manhood, learning, gentleness, virtue, youth, liberality, and so forth, the spice and salt that season a man? CRESSIDA Ay, a minced man — and then to be baked with no date in the pie, for then the man’s date is out. PANDARUS You are such another woman! One knows not at what ward you lie. CRESSIDA Upon my back to defend my belly, upon my wit to defend my wiles, upon my secrecy to defend mine honesty, my mask to defend my beauty, and you to defend all these — and at all these wards I lie at a thousand watches. PANDARUS Say one of your watches. CRESSIDA ‘Nay, I’ll watch you for that’ — and that’s one of the chiefest of them too. If I cannot ward what I would not have hit, I can watch you for telling how I took the blow — unless it swell past hiding, and then it’s past watching. PANDARUS You are such another!
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Enter Boy BOY Sir, my lord would instantly speak with you. PANDARUS Where?
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Shakespeare IV.indb 274
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
CRESSIDA
Beh, insomma… PANDARO
Insomma? Perché, credete di avere un po’ di discernimento, voi? Ce li avete gli occhi? Sapete che cos’è un uomo? Non sono la nobiltà di nascita, la bellezza, le proporzioni, la facondia, la cultura, la cortesia, il valore, la giovinezza, la magnanimità e virtù siffatte le spezie e il sale che danno sapore ad un uomo? CRESSIDA
Ah, certo, un uomo fatto a fette, pronto per essere messo nel forno, ma senza il dattero, nella torta, perché allora il dattero dell’uomo non c’entra niente32. PANDARO
Che diavolo di donna! Uno non sa mai su quali posizioni di guardia stiate. CRESSIDA
Uso la schiena per difendere il pancino, l’ingegno per difendere i desideri, la segretezza per salvaguardare il mio buon nome, la maschera per difendere la bellezza, e voi per proteggere tutto quanto. Ecco come sto in guardia, in mille modi. PANDARO
Ditene uno. CRESSIDA
‘Guardarmi bene proprio da voi’: questa è una delle mie principali posizioni di difesa. Se non posso salvaguardare ciò che non vorrei fosse colpito, posso almeno badare che voi non andiate a raccontarlo in giro. A meno che qualcosa non si gonfi talmente che addio nascondiglio, addio guardia!33 PANDARO
Siete proprio un bel tipo! Entra il paggio PAGGIO
Signore, il mio padrone vuole parlarvi immediatamente. PANDARO
Dove?
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 2
BOY At your own house.
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PANDARUS Good boy, tell him I come.
Exit Boy
I doubt he be hurt. Fare ye well, good niece. CRESSIDA Adieu, uncle. PANDARUS I’ll be with you, niece, by and by. CRESSIDA To bring, uncle? PANDARUS Ay, a token from Troilus. CRESSIDA By the same token, you are a bawd.
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Exeunt Pandarus [and Alexander] Words, vows, gifts, tears, and love’s full sacrifice He offers in another’s enterprise; But more in Troilus thousandfold I see Than in the glass of Pandar’s praise may be. Yet hold I off. Women are angels, wooing; Things won are done. Joy’s soul lies in the doing. That she beloved knows naught that knows not this: Men price the thing ungained more than it is. That she was never yet that ever knew Love got so sweet as when desire did sue. Therefore this maxim out of love I teach: Achievement is command; ungained, beseech. Then though my heart’s contents firm love doth bear, Nothing of that shall from mine eyes appear. Exit
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 2
PAGGIO
A casa vostra. PANDARO
Ragazzo, ditegli che arrivo. Esce il paggio Ho paura che sia ferito. Arrivederci, nipotina. CRESSIDA
Addio, zio. PANDARO
Sarò prestissimo da voi, nipotina. CRESSIDA
Per portarmi che cosa, zio? PANDARO
Ovvio, un pegno di Troilo. CRESSIDA
Un pegno. Allora siete un ruffiano. Escono Pandaro [e Alessandro] Parole, voti, regali, lacrime, e l’intero rito sacrificale dell’amore lui li offre per iniziativa di un altro. Ma in Troilo io vedo mille volte di più di quanto non possa specchiarsi nelle lodi di Pandaro. Perciò tengo duro. Le donne sono angeli durante il corteggiamento, bottino di guerra una volta che un uomo le ha avute. La gioia sta nell’atto stesso. Una donna che voglia essere amata non sa nulla, se non sa questo: gli uomini apprezzano ciò che non hanno ancora conquistato più di quanto esso non valga. E non esiste donna che non sappia quanto dolce sia l’amore quando è il desiderio che lo invoca. Quindi vi insegno questa massima dell’amore: durante la conquista, comandi; vinta, obbedisci34. Allora, anche se il mio cuore è certo dell’amore che provo, nulla di tutto ciò apparirà dai miei occhi. Esce
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Shakespeare IV.indb 277
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
1.3
Sennet. Enter Agamemnon, Nestor, Ulysses, Diomedes, and Menelaus, with others
AGAMEMNON
Princes, what grief hath set the jaundice on your cheeks? The ample proposition that hope makes In all designs begun on earth below Fails in the promised largeness. Checks and disasters Grow in the veins of actions highest reared, As knots, by the conflux of meeting sap, Infects the sound pine and diverts his grain Tortive and errant from his course of growth. Nor, princes, is it matter new to us That we come short of our suppose so far That after seven years’ siege yet Troy walls stand, Sith every action that hath gone before, Whereof we have record, trial did draw Bias and thwart, not answering the aim And that unbodied figure of the thought That gave’t surmisèd shape. Why then, you princes, Do you with cheeks abashed behold our works, And think them shames, which are indeed naught else But the protractive trials of great Jove To find persistive constancy in men? The fineness of which mettle is not found In fortune’s love — for then the bold and coward, The wise and fool, the artist and unread, The hard and soft, seem all affined and kin. But in the wind and tempest of her frown Distinction with a loud and powerful fan, Puffing at all, winnows the light away, And what hath mass or matter by itself Lies rich in virtue and unminglèd.
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NESTOR
With due observance of thy godly seat, Great Agamemnon, Nestor shall apply Thy latest words. In the reproof of chance Lies the true proof of men. The sea being smooth,
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 3
I, 3
Fanfara. Entrano Agamennone, Nestore, Ulisse, Diomede e Menelao, con altri35
AGAMENNONE
Principi, quale affanno vi ha ingiallito le guance? La grande ambizione che la speranza alimenta in tutti i progetti iniziati qui sulla terra fallisce in rapporto alle grandi imprese promesse. Ostacoli e disastri crescono nelle vene delle somme azioni, come nel confluire eccessivo della linfa i nodi infettano il pino sano e deviano la sua fibra in contorte escrescenze durante la crescita. E noi, principi, non dobbiamo stupirci se ci allontaniamo dalle nostre più alte speranze così tanto che, dopo sette anni di assedio, le mura di Troia sono ancora lì in piedi. Poiché ogni azione trascorsa di cui si conservi memoria è passata attraverso deviazioni e ostacoli senza che fosse soddisfatto né il suo fine, né quell’immateriale figura del pensiero da cui essa, per congettura, si era formata. Perché, allora, principi, arrossite di fronte alle nostre imprese e le chiamate con il nome di vergogna? Esse non sono che i percorsi tortuosi con cui il grande Giove mette alla prova la resistenza e la costanza degli uomini. La preziosità di quella tempra non si accerta nei favori della fortuna. Ed è per questo che il vile e il codardo, il saggio e lo stolto, l’artista e lo zotico, il forte e il debole possono sembrare tutti parenti e simili. Ma è nel vento e nella tempesta della fortuna che il senso della distinzione, con il suo ampio e potente ventaglio, soffiando su tutto setaccia ciò che è polvere, mentre ciò che possiede un certo peso lo mantiene in tutta la sua virtù e purezza36. NESTORE
Con il dovuto rispetto per il vostro divino scranno, grande Agamennone, Nestore si permette di chiosare le vostre ultime parole. Nei capricci della sorte risiede la vera prova per gli uomini. Quando il mare è uno specchio, quante navicelle-giocattolo osano ve-
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
How many shallow bauble-boats dare sail Upon her patient breast, making their way With those of nobler bulk! But let the ruffian Boreas once enrage The gentle Thetis, and anon behold The strong-ribbed barque through liquid mountains cut, Bounding between the two moist elements Like Perseus’ horse. Where’s then the saucy boat Whose weak untimbered sides but even now Co-rivalled greatness? Either to harbour fled, Or made a toast for Neptune. Even so Doth valour’s show and valour’s worth divide In storms of fortune. For in her ray and brightness The herd hath more annoyance by the breese Than by the tiger; but when the splitting wind Makes flexible the knees of knotted oaks And flies flee under shade, why then the thing of courage, As roused with rage, with rage doth sympathize, And with an accent tuned in selfsame key Retorts to chiding fortune. ULYSSES Agamemnon, Thou great commander, nerve and bone of Greece, Heart of our numbers, soul and only spirit In whom the tempers and the minds of all Should be shut up, hear what Ulysses speaks. Besides th’applause and approbation The which, (to Agamemnon) most mighty for thy place and sway, And thou, (to Nestor) most reverend for thy stretchedout life, I give to both your speeches — which were such
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50
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60
53. Retorts: emend. tardo; in Q e F retires = “retrocede”. 280
Shakespeare IV.indb 280
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 3
leggiare sul suo petto paziente, seguendo la rotta di imbarcazioni di ben più nobile stazza. Ma basta che il violento vento di Borea faccia andare in collera la gentile Teti, ed ecco che la nave dalle forti fiancate taglia le montagne d’acqua e balza tra i due fluidi elementi come il cavallo di Perseo. Dov’è allora quella navicella, quel giocattolo i cui deboli e malfermi fianchi rivaleggiavano con i grandi? Sarà fuggita presto in porto, oppure finita in pasto a Nettuno! Anche in questo caso il valore apparente si distingue dal valore autentico nelle tempeste della Fortuna. Poiché nello splendore dei suoi raggi il gregge è infastidito più dal tafano che dalla tigre. Ma quando il vento tagliente piega le ginocchia dei nodosi roveri, e le mosche fuggono all’ombra, allora chi abbia un po’ di coraggio, spinto dalla furia, e in sintonia con essa, adattandosi a quel suo stesso accordo, sa rispondere per le rime ai colpi della Fortuna. ULISSE
Agamennone, grande re, solido nerbo della Grecia, cuore delle nostre moltitudini, anima e unico spirito nel quale dovrebbero serrarsi tempre e pensieri di tutti, ascolta quel che dice Ulisse. Dopo il plauso e l’approvazione che attribuisco ai discorsi di entrambi – a te (ad Agamennone), il più potente per ruolo e governo, e a te (a Nestore), reverendissimo per lunga e intensa vita; del tuo discorso,
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As, Agamemnon, every hand of Greece Should hold up high in brass, and such again As, venerable Nestor, hatched in silver, Should with a bond of air, strong as the axle-tree On which the heavens ride, knit all Greeks’ ears To his experienced tongue — yet let it please both, Thou (to Agamemnon) great, and (to Nestor) wise, to hear Ulysses speak.
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AGAMEMNON
Speak, Prince of Ithaca, and be’t of less expect That matter needless, of importless burden, Divide thy lips, than we are confident When rank Thersites opes his mastic jaws We shall hear music, wit, and oracle.
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ULYSSES
Troy, yet upon his basis, had been down And the great Hector’s sword had lacked a master But for these instances: The specialty of rule hath been neglected. And look how many Grecian tents do stand Hollow upon this plain: so many hollow factions. When that the general is not like the hive To whom the foragers shall all repair, What honey is expected? Degree being vizarded, Th’unworthiest shows as fairly in the masque [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .] The heavens themselves, the planets, and this centre Observe degree, priority, and place, Infixture, course, proportion, season, form, Office and custom, in all line of order. And therefore is the glorious planet Sol In noble eminence enthroned and sphered
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62. Every hand: emend. tardo: in Q e F and the hand = “Agamennone, che è la guida dei Greci” (in relazione all’affermazione di Ulisse, che il comandante è nerve and bone of Greece, v. 54). 84. Lacuna nel testo: sia in F che in Q si suppone che manchi una riga contenente un termine positivo da opporre a unworthiest. 282
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Agamennone, i Greci dovrebbero innalzare un trofeo in bronzo, mentre quello pronunciato da te, venerabile Nestore, cesellato in argento, dovrebbe avvincere come un abbraccio d’aria, forte come l’asse intorno al quale cavalcano i cieli, le orecchie di tutti i Greci alla perizia della tua lingua – ebbene, piaccia a entrambi, a te (ad Agamennone) il potente e a te (a Nestore) il saggio, ascoltare la parola di Ulisse. AGAMENNONE
Parla, principe di Itaca. Dalle tue labbra non ci aspettiamo che esca un’osservazione di poco peso o senza importanza, così come quando Tersite spalanca le sue vischiose mascelle non ci attendiamo di udire musica, e nemmeno saggezza, né tanto meno profezie. ULISSE
Troia, che è ancora ben solida sulle sue fondamenta, sarebbe già crollata, e la spada del grande Ettore già abbandonata a se stessa, se non fosse per questi motivi: il principio di autorità è stato trascurato – osservate: quante sono le tende vuote dei Greci piantate su questa pianura, altrettante sono le fazioni vacanti. Quando il generale non è come un alveare al quale fanno capo tutte le api, che miele ci si aspetta?37 E quando la gerarchia è mascherata, il più indegno si atteggia come se fosse il migliore. [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .]38 I cieli stessi, i pianeti e questa terra al centro di tutto osservano una gerarchia, una priorità, un rango, una propria sede, un corso, una proporzione, una stagione, e forme, doveri, incarichi secondo livelli perfettamente ordinati. È per questo che il glorioso pianeta Sole nobilmente troneggia circondato dagli altri astri39. Il suo oc-
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Amidst the other, whose med’cinable eye Corrects the ill aspects of planets evil And posts like the commandment of a king, Sans check, to good and bad. But when the planets In evil mixture to disorder wander, What plagues and what portents, what mutiny? What raging of the sea, shaking of earth? Commotion in the winds, frights, changes, horrors Divert and crack, rend and deracinate The unity and married calm of states Quite from their fixture. O when degree is shaked, Which is the ladder to all high designs, The enterprise is sick. How could communities, Degrees in schools, and brotherhoods in cities, Peaceful commerce from dividable shores, The primogenity and due of birth, Prerogative of age, crowns, sceptres, laurels, But by degree stand in authentic place? Take but degree away, untune that string, And hark what discord follows. Each thing meets In mere oppugnancy. The bounded waters Should lift their bosoms higher than the shores And make a sop of all this solid globe; Strength should be lord of imbecility, And the rude son should strike his father dead. Force should be right — or rather, right and wrong, Between whose endless jar justice resides, Should lose their names, and so should justice too. Then everything includes itself in power, Power into will, will into appetite; And appetite, an universal wolf, So doubly seconded with will and power, Must make perforce an universal prey,
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92. Ill aspects of planets evil: così in F; Q riporta influence of evil planets = “cura gli influssi dei pianeti maligni”. Pur presentando un’evidente ridondanza, F ha il merito di ampliare per sineddoche la metafora. 284
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chio, come quello di un medico, cura gli influssi malati dei pianeti maligni e il suo effetto, come il proclama di un re, colpisce buoni e cattivi. Ma se gli astri si confondono vagando in un diabolico disordine, quali pestilenze e sciagure, quali ribellioni, maremoti, terremoti, tornadi, terrori, mutazioni e altri spaventosi fenomeni frantumerebbero e dividerebbero, sradicherebbero e distruggerebbero l’unità, allontanando dal loro centro Stati pacificamente riuniti? Certo, quando i ranghi sono sconvolti, ciò che è scala alle più grandi imprese, l’azione si ammala. E come potrebbero altrimenti le comunità, i ruoli magistrali, le fratrie cittadine, il pacifico commercio in coste segnate da diversi confini politici, la primogenitura e il diritto di nascita, i diritti dovuti all’età, alle corone e agli scettri, agli allori… – come potrebbero, se non per gerarchia, stare al loro giusto posto? Turbate appena la gerarchia, stonate questo tasto, e ascoltate che razza di disarmonia ne deriva. Ogni cosa guarderà in faccia all’altra in totale opposizione. Le acque, prima circoscritte, solleveranno il loro alveo oltre le spiagge che le contenevano, e di questo solido globo faranno un’unica brodaglia. La forza dominerà sulla debolezza e il figlio imbelle colpirà a morte il padre. La forza sarà legge o, meglio, la ragione e il torto, la cui infinita lotta è la giustizia a dirimere, perderanno i loro nomi, e così pure la giustizia stessa. Ogni cosa imploderà in potere, il potere in voglia, la voglia in appetito. E l’appetito, lupo universale, doppiamente fomentato da voglia e potere, farà dell’universo intero la sua preda e poi di-
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And last eat up himself. Great Agamemnon, This chaos, when degree is suffocate, Follows the choking. And this neglection of degree it is That by a pace goes backward in a purpose It hath to climb. The general’s disdained By him one step below; he, by the next; That next, by him beneath. So every step, Exampled by the first pace that is sick Of his superior, grows to an envious fever Of pale and bloodless emulation. And ’tis this fever that keeps Troy on foot, Not her own sinews. To end a tale of length: Troy in our weakness lives, not in her strength.
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NESTOR
Most wisely hath Ulysses here discovered The fever whereof all our power is sick. AGAMEMNON
The nature of the sickness found, Ulysses, What is the remedy?
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ULYSSES
The great Achilles, whom opinion crowns The sinew and the forehand of our host, Having his ear full of his airy fame Grows dainty of his worth, and in his tent Lies mocking our designs. With him Patroclus Upon a lazy bed the livelong day Breaks scurrile jests And, with ridiculous and awkward action Which, slanderer, he ‘imitation’ calls, He pageants us. Sometime, great Agamemnon, Thy topless deputation he puts on, And like a strutting player, whose conceit Lies in his hamstring and doth think it rich To hear the wooden dialogue and sound
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137. Lives: così in F; in Q stands = “si regge in piedi”. 286
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vorerà se stesso40. Grande Agamennone, questo caos sopraggiunge quando la gerarchia è soffocata. Trascurare la gerarchia significa andare all’indietro, precipitare con l’intento di compiere una scalata. Il generale è disprezzato da chi gli sta un gradino più in basso, e costui dal suo sottomesso; e il precedente da chi gli è sotto; così ogni grado, sull’esempio di chi ha in odio il suo superiore, coltiva quella febbre invidiosa propria di una pallida, anemica emulazione. Questa è la febbre che tiene in piedi Troia, non certo il suo vigore. Quindi, per finire un discorso tanto lungo, Troia fa leva sulla nostra debolezza, non sulla propria forza. NESTORE
Con molta sapienza, Ulisse ha individuato la febbre di cui il nostro potere è ammalato. AGAMENNONE
Trovata la natura del male, Ulisse, qual è il rimedio? ULISSE
Il grande Achille, che l’opinione pubblica incorona come il nerbo e la punta di diamante del nostro esercito, con le orecchie piene di tronfia fama, si compiace sempre più del suo valore, e nella sua tenda si prende gioco delle nostre tattiche. Se ne sta con Patroclo, tutto il giorno a poltrire in brandina, a sollazzarsi con giochetti scurrili. Costui, con gesti ridicoli e altisonanti che, sfacciato, chiama ‘imitazioni’, fa il verso a noi tutti. Qualche volta, grande Agamennone, si veste della tua eccelsa autorità e si pavoneggia come un attore la cui arte gli sta negli stivali. E, come quello, si compiace nell’ascoltare il dialogo legnoso fra i suoi passi strascinati e le assi del palco che
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’Twixt his stretched footing and the scaffoldage, Such to-be-pitied and o’er-wrested seeming He acts thy greatness in. And when he speaks ’Tis like a chime a-mending, with terms unsquared Which from the tongue of roaring Typhon dropped Would seem hyperboles. At this fusty stuff The large Achilles on his pressed bed lolling From his deep chest laughs out a loud applause, Cries ‘Excellent! ’Tis Agamemnon just. Now play me Nestor, hem and stroke thy beard, As he being dressed to some oration.’ That’s done as near as the extremest ends Of parallels, as like as Vulcan and his wife. Yet god Achilles still cries, ‘Excellent! ’Tis Nestor right. Now play him me, Patroclus, Arming to answer in a night alarm’. And then forsooth the faint defects of age Must be the scene of mirth: to cough and spit, And with a palsy, fumbling on his gorget, Shake in and out the rivet. And at this sport Sir Valour dies, cries, ‘O enough, Patroclus! Or give me ribs of steel. I shall split all In pleasure of my spleen.’ And in this fashion All our abilities, gifts, natures, shapes, Severals and generals of grace exact, Achievements, plots, orders, preventions, Excitements to the field or speech for truce, Success or loss, what is or is not, serves As stuff for these two to make paradoxes.
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NESTOR
And in the imitation of these twain Who, as Ulysses says, opinion crowns With an imperial voice, many are infect. Ajax is grown self-willed and bears his head In such a rein, in full as proud a place As broad Achilles, and keeps his tent like him, Makes factious feasts, rails on our state of war
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rimbombano. Rappresenta la tua grandezza con uno scimmiottare pietoso, eccessivo. E quando parla sembra una campana rotta, con termini rozzi che, colati dalla lingua del ruggente Tifone41, vorrebbero sembrare iperbolici42. Di fronte a questa robaccia antiquata il grande Achille, stravaccato sul letto sfatto, dal fondo del petto ride e applaude fragorosamente, e grida: ‘Magnifico, questo è proprio Agamennone! E ora imita Nestore; ah, lisciati la barba, come fa lui prima di cominciare un discorso’! E lui ci va vicino come le estremità di due rette parallele, come Vulcano può somigliare a sua moglie Venere. Eppure, grida ancora il divo Achille: ‘Eccellente! È proprio Nestore. E ora fammelo mentre si arma per affrontare un allarme notturno’. E allora, per Diana, le debolezze dell’età diventano le protagoniste della scena clou: quando tossisce e sputa e, annaspando mezzo paralizzato sulla gorgiera, sbatte su e giù il gancetto. A questo spasso il Signor Valore muore dal ridere. E grida: ‘Basta, Patroclo, oppure datemi costole d’acciaio! Finiranno per farmi esplodere la milza dal piacere!’43 Ecco, in questa bella scena tutte le nostre abilità, i doni naturali, l’aspetto fisico, ogni nostra qualità individuale e collettiva, le imprese, i piani, la capacità di comandare e di prevedere, l’ardore in battaglia, i discorsi per tregue, successi o perdite, ciò che è e non è, diventano la sostanza dei loro paradossi. NESTORE
E a imitare questi due – che, come dice Ulisse, la pubblica opinione incorona come autorità regie – sono stati contagiati in molti. Aiace è cresciuto enormemente in presunzione: tiene alta la testa e assume atteggiamenti superbi in gara con il grande Achille. Se ne sta chiuso nella tenda anche lui, organizza festini e cospirazioni, pontifica sulle cause della guerra, ieratico come un oracolo, e
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Bold as an oracle, and sets Thersites, A slave whose gall coins slanders like a mint, To match us in comparisons with dirt, To weaken and discredit our exposure, How rank so ever rounded in with danger.
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ULYSSES
They tax our policy and call it cowardice, Count wisdom as no member of the war, Forestall prescience and esteem no act But that of hand. The still and mental parts That do contrive how many hands shall strike When fitness calls them on, and know by measure Of their observant toil the enemy’s weight, Why, this hath not a finger’s dignity. They call this ‘bed-work’, ‘mapp’ry’, ‘closet war’. So that the ram that batters down the wall, For the great swinge and rudeness of his poise They place before his hand that made the engine, Or those that with the finesse of their souls By reason guide his execution.
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NESTOR
Let this be granted, and Achilles’ horse Makes many Thetis’ sons. Tucket AGAMEMNON
What trumpet?
Look, Menelaus. MENELAUS
From Troy. Enter Aeneas [and a trumpeter] AGAMEMNON What would you fore our tent? AENEAS
Is this great Agamemnon’s tent I pray you? AGAMEMNON Even this.
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213. And a trumpeter: Q e F non riportano la presenza di questo personaggio, inserito dai commentatori successivi. 290
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sguinzaglia Tersite – uno schiavo la cui bile conia calunnie come una zecca – a paragonarci con delle sozzerie, a sminuire e a screditare il nostro ardire, così circondato ovunque di pericoli. ULISSE
Costoro denigrano la nostra politica, la tacciano di codardia, se ne infischiano della previdenza come virtù inadatta alla guerra, ignorano ogni strategia preventiva, e per loro l’agire non vale se non menando le mani. I ragionamenti silenziosi, quando si conta il numero di mani atte a colpire quando opportuno, e si valuta la forza dell’avversario, e si cerca di intuire in base all’osservazione il peso del nemico, ebbene, tutto questo non vale quanto un mignolo per loro. Questo lo chiamano lavoro da lenzuola, pignoleria da grafomani, strategia da tavolo. E invece l’ariete che butta giù le mura, sotto la spinta e la violenza soltanto del suo peso, ecco, questo lo antepongono alla mano dell’uomo che ne ha costruito la struttura, oppure a colui che con acutezza di ingegno, con la ragione, dirige la sua azione. NESTORE
Se si ammette questo, allora il cavallo di Achille vale innumerevoli figli di Teti. Squilli di tromba AGAMENNONE
Che cos’è questa tromba? Guardate, Menelao. MENELAO
Viene da Troia. Entra Enea [e un trombettiere] AGAMENNONE
Che cosa volete lì davanti alla nostra tenda? ENEA
È la tenda del grande Agamennone, di grazia? AGAMENNONE
Proprio così.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
AENEAS
May one that is a herald and a prince Do a fair message to his kingly ears? AGAMEMNON
With surety stronger than Achilles’ arm, Fore all the Greekish heads, which with one voice Call Agamemnon heart and general.
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AENEAS
Fair leave and large security. How may A stranger to those most imperial looks Know them from eyes of other mortals? AGAMEMNON
How?
AENEAS
Ay, I ask that I might waken reverence And on the cheek be ready with a blush Modest as morning when she coldly eyes The youthful Phoebus. Which is that god in office, guiding men? Which is the high and mighty Agamemnon? AGAMEMNON (to the Greeks) This Trojan scorns us, or the men of Troy Are ceremonious courtiers.
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AENEAS
Courtiers as free, as debonair, unarmed, As bending angels — that’s their fame in peace. But when they would seem soldiers they have galls, Good arms, strong joints, true swords — and great Jove’s acorn Nothing so full of heart. But peace, Aeneas, Peace, Trojan; lay thy finger on thy lips. The worthiness of praise distains his worth,
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221. Heart: emend. Oxford (Q e F hanno head = “capo”), più coerentemente con le altre metafore corporali e organiciste. 236. Great: così in Q; non in F. La maggior parte degli editori segue F per ragioni metriche; Acorn: emend. Oxford; in Q e F accord, seguito nella traduzione. 292
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ENEA
Può uno che è araldo e principe riferire un messaggio alle sue orecchie regali? AGAMENNONE
Con maggiore sicurezza che sotto il braccio di Achille e davanti a tutti i potenti di Grecia che chiamano Agamennone cuore e generale. ENEA
Ottimo consenso e ampia garanzia. Ma come può uno straniero distinguere questi sommi sguardi imperiali dagli occhi di altri mortali? AGAMENNONE
Come? ENEA
Sì, mi domando come possa ridestare in me quella reverenza e suscitare quel pronto rossore delle guance, modesto come l’alba quando guarda con pudore il giovane Febo44. Qual è quel dio in carica che guida gli uomini? Qual è il sommo e potente Agamennone? AGAMENNONE (ai Greci) Questo Troiano ci prende in giro. Oppure a Troia gli uomini sono tutti cortigiani querimoniosi. ENEA
Cortigiani liberi e felici, pacifici, come angeli premurosi. Questa è la loro fama in tempo di pace. Ma quando vogliono apparire soldati, hanno ardimento e braccia valenti, forti membra e spade che non tradiscono. Se il grande Giove lo concede, nessuno ha tanto coraggio. Ma silenzio, Enea. Silenzio, Troiano. Un dito sulle labbra. Il valore della lode diminuisce se colui che è lodato e colui
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
If that the praised himself bring the praise forth. But what, repining, the enemy commends, That breath fame blows; that praise, sole pure, transcends.
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AGAMEMNON
Sir, you of Troy, call you yourself Aeneas? AENEAS
Ay, Greek, that is my name. AGAMEMNON What’s your affair, I pray you? AENEAS
Sir, pardon, ’tis for Agamemnon’s ears.
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AGAMEMNON
He hears naught privately that comes from Troy. AENEAS
Nor I from Troy come not to whisper him. I bring a trumpet to awake his ear, To set his sense on the attentive bent, And then to speak. AGAMEMNON Speak frankly as the wind. It is not Agamemnon’s sleeping hour. That thou shalt know, Trojan, he is awake, He tells thee so himself. AENEAS Trumpet, blow loud. Send thy brass voice through all these lazy tents, And every Greek of mettle let him know What Troy means fairly shall be spoke aloud.
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The trumpet sounds We have, great Agamemnon, here in Troy A prince called Hector — Priam is his father — Who in this dull and long-continued truce Is resty grown. He bade me take a trumpet And to this purpose speak: ‘Kings, princes, lords, If there be one among the fair’st of Greece That holds his honour higher than his ease,
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240. That the: così in Q; in F that he. 260. Resty: così in Q; in F rusty = “arrugginito” [sta arrugginendo]. 294
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che loda sono la stessa persona. Soltanto ciò che il nemico, suo malgrado, ti attribuisce, può levarsi in aria come chiara fama. Ed è soltanto quella lode, vera, a durare. AGAMENNONE
Signore, troiano, vi chiamate Enea? ENEA
Sì, Greco, è questo il mio nome. AGAMENNONE
Per favore, perché siete qui? ENEA
Signore, chiedo scusa. Ciò che sto per dire è riservato ad Agamennone. AGAMENNONE
Da Troia le sue orecchie non odono nulla di privato. ENEA
Né giungo io da Troia per sussurrargli nelle orecchie. C’è con me un trombettiere per destare il suo udito, per mettergli tutti i sensi in allerta. E poi parlerò. AGAMENNONE
Parla libero come il vento. Per Agamennone non è questa l’ora del riposo. Perché tu lo sappia, lui è ben sveglio. Te lo dice lui stesso. ENEA
Trombettiere, soffia con forza. Leva la tua fanfara tra tutte queste pigre tende e ad ogni Greco che si rispetti fai sapere ciò che Troia proclama a gran voce. Suono di tromba Noi abbiamo, grande Agamennone, qui in Troia un principe di nome Ettore – Priamo è suo padre – che in questa noiosa e ormai troppo lunga tregua sta impigrendo. Mi ordina di prendere con me un trombettiere e di parlare in questo modo: ‘re, principi, signori, se c’è qualcuno tra i migliori Greci che valuta l’onore più del proprio agio, che cerca la fama più di quanto non tema il pericolo, che
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That seeks his praise more than he fears his peril, That knows his valour and knows not his fear, That loves his mistress more than in confession With truant vows to her own lips he loves, And dare avow her beauty and her worth In other arms than hers — to him this challenge. Hector in view of Trojans and of Greeks Shall make it good, or do his best to do it: He hath a lady wiser, fairer, truer, Than ever Greek did compass in his arms, And will tomorrow with his trumpet call Midway between your tents and walls of Troy To rouse a Grecian that is true in love. If any come, Hector shall honour him. If none, he’ll say in Troy when he retires The Grecian dames are sunburnt and not worth The splinter of a lance.’ Even so much.
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AGAMEMNON
This shall be told our lovers, Lord Aeneas. If none of them have soul in such a kind, We left them all at home. But we are soldiers, And may that soldier a mere recreant prove That means not, hath not, or is not in love. If then one is, or hath, or means to be, That one meets Hector. If none else, I’ll be he. NESTOR (to Aeneas) Tell him of Nestor, one that was a man When Hector’s grandsire sucked. He is old now, But if there be not in our Grecian mould One noble man that hath one spark of fire To answer for his love, tell him from me I’ll hide my silver beard in a gold beaver
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290. Mould: così in F; in Q host = “esercito”, spesso preferito ma difeso dall’ed. Oxford in quanto più sostenuto. 296
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conosca il valore ma non la paura, che ami la sua dama ben oltre le dichiarazioni, le promesse d’amore sussurrate sulle sue labbra, che osi testimoniare la sua bellezza e il suo valore gettandosi tra le braccia di altri e non solo tra le sue, a costui è rivolta questa sfida. Ettore, sotto gli occhi di Troiani e Greci, dimostrerà, o farà del suo meglio per dimostrare, che la sua dama è più saggia, più bella, più fedele di qualunque altra donna mai stretta tra le braccia dei Greci45. Domani il suono della sua tromba, levato a metà strada tra le vostre tende e le mura di Troia, chiamerà a battaglia quel greco che sia devoto in amore. Se ci sarà qualcuno, Ettore gli renderà onore. Se non ci sarà alcuno, nel fare ritorno a Troia dirà che le donne greche sono tutte indegne46 e non valgono nemmeno la scheggia di una lancia’. Questo è tutto. AGAMENNONE
Lo diremo ai nostri innamorati, signor Enea. Se nessuno di loro avrà coraggio in tale impresa, li lasceremo tutti a casa. Ma noi siamo soldati, e possa dimostrarsi un vigliacco quel soldato che non intenda esserlo, o non sia stato, o non sia tuttora innamorato! Se ve n’è uno che lo sia, o lo sia stato, o intenda esserlo, incontrerà Ettore. Se non ve ne sarà alcuno, ci sono qui io. NESTORE (ad Enea) Ditegli di Nestore, che era già uomo quando il nonno di Ettore prendeva ancora il latte. È vecchio oramai. Ma se nel nostro esercito greco non ci sarà alcun uomo nobile con una scintilla di fuoco per rispondere a questa sfida d’amore, ditegli da parte mia che nasconderò la mia barba d’argento sotto una visiera d’oro e questi
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And in my vambrace put this withered brawn, And meeting him will tell him that my lady Was fairer than his grandam, and as chaste As may be in the world. His youth in flood, I’ll prove this truth with my three drops of blood.
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Now heavens forbid such scarcity of youth. ULYSSES Amen.
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Fair Lord Aeneas, let me touch your hand. To our pavilion shall I lead you first. Achilles shall have word of this intent; So shall each lord of Greece, from tent to tent. Yourself shall feast with us before you go, And find the welcome of a noble foe.
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Exeunt all but Ulysses and Nestor ULYSSES
Nestor! NESTOR What says Ulysses? ULYSSES I have a young Conception in my brain; be you my time To bring it to some shape. NESTOR What is’t? ULYSSES This ’tis: Blunt wedges rive hard knots. The seeded pride That hath to this maturity blown up In rank Achilles must or now be cropped Or, shedding, breed a nursery of like evil To overbulk us all. NESTOR Well, and how?
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294. Vambrace: il termine, obsoleto, si trova nei Troye Boke di Lydgate (III, 87) e indica la parte di armatura che copriva l’avambraccio (il “braccialetto”). 298. Prove: così in Q; in F pawne = “azzardo”, “gioco”. 298
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 3
muscoli canuti sotto l’armatura47, per andargli incontro e dirgli che la mia dama era più bella della sua bisnonna e virtuosa come mai nessuna al mondo. A dispetto della sua giovinezza travolgente, proverò questa verità con le mie tre sole gocce di sangue. ENEA
Che i cieli non vogliano questa penuria di gioventù. ULISSE
Così sia. AGAMENNONE
Caro Enea, signore, lasciate che vi dia la mano. Per prima cosa vi condurrò al nostro accampamento. Achille deve essere al corrente di questo vostro proposito. E come lui ogni signore di Grecia, di tenda in tenda. Dovete banchettare con noi prima di andarvene, per ricevere il benvenuto di un nobile nemico. Escono tutti, tranne Ulisse e Nestore ULISSE
Nestore! NESTORE
Che cosa dice Ulisse? ULISSE
Ho un’idea fresca in mente. Siate voi il tempo che le darà forma. NESTORE
Di che si tratta? ULISSE
Ecco qui. Coltelli smussati tagliano stretti nodi. Il seme della superbia è cresciuto a tal punto in Achille che ora deve essere estirpato, altrimenti si diffonderà e farà germinare un tale vivaio di analoghi mali da soffocarci tutti. NESTORE
Bene, e quindi?
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Shakespeare IV.indb 299
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
ULYSSES
This challenge that the gallant Hector sends, However it is spread in general name, Relates in purpose only to Achilles.
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NESTOR
The purpose is perspicuous, even as substance Whose grossness little characters sum up. And, in the publication, make no strain But that Achilles, were his brain as barren As banks of Libya — though, Apollo knows, ’Tis dry enough — will with great speed of judgement, Ay with celerity, find Hector’s purpose Pointing on him.
320
325
ULYSSES
And wake him to the answer, think you? NESTOR
Yes, ’tis most meet. Who may you else oppose, That can from Hector bring his honour off, If not Achilles? Though’t be a sportful combat, Yet in this trial much opinion dwells, For here the Trojans taste our dear’st repute With their fin’st palate. And trust to me, Ulysses, Our imputation shall be oddly poised In this wild action: for the success, Although particular, shall give a scantling Of good or bad unto the general — And in such indices, although small pricks To their subsequent volumes, there is seen The baby figure of the giant mass Of things to come at large. It is supposed He that meets Hector issues from our choice, And choice, being mutual act of all our souls, Makes merit her election, and doth boil, As ’twere, from forth us all a man distilled Out of our virtues — who miscarrying, What heart from hence receives the conqu’ring part To steel a strong opinion to themselves?
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 3
ULISSE
La sfida che ci rivolge il prode Ettore, benché rivolta generalmente a ciascuno, ha per suo unico fine quello di rivolgersi soltanto ad Achille. NESTORE
Uno scopo evidente, come i capitali che si sommano con tanti piccoli numeri. Quando sarà resa pubblica la sfida, non dubitare che lo stesso Achille – nemmeno se il suo cervello fosse desolato come i deserti della Libia (benché, lo sa Apollo, sia secco abbastanza) – comprenderà con rapido calcolo, in un attimo, che Ettore mira a lui. ULISSE
E pensate che risponderà all’invito? NESTORE
È assai opportuno. E chi altro opporgli, che possa farsi onore con Ettore, se non Achille? Anche se combattessero per svago, in questo scontro è in gioco la nostra fama. I Troiani vi saggeranno la nostra reputazione più preziosa con il loro palato più raffinato. E credetemi, Ulisse, i meriti che ci vengono attribuiti stanno precariamente in equilibrio su questa effimera azione. Perché il successo, anche di un singolo uomo, finisce per influire, nel bene e nel male, su quello dei suoi. In indici come questi, che sono inezie rispetto ai volumi che seguiranno, si scorge però in nuce quella grande massa di cose che insieme prenderanno forma48. Si ritiene che chi incontrerà Ettore sia scelto da noi, e che la nostra scelta, poiché viene dall’accordo delle opinioni di noi tutti, produca infine uno che è il distillato delle nostre generali virtù. Se invece costui fallisse, quale coraggio non riceverà da ciò la parte vittoriosa, rafforzando così la propria ferrea opinione di sé? Se
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Shakespeare IV.indb 301
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 1 SCENE 3
Which entertained, limbs are e’en his instruments, In no less working than are swords and bows Directive by the limbs. ULYSSES Give pardon to my speech: Therefore ’tis meet Achilles meet not Hector. Let us like merchants show our foulest wares And think perchance they’ll sell. If not, The lustre of the better yet to show Shall show the better. Do not consent That ever Hector and Achilles meet, For both our honour and our shame in this Are dogged with two strange followers.
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355
NESTOR
I see them not with my old eyes. What are they? ULYSSES
What glory our Achilles shares from Hector, Were he not proud we all should wear with him. But he already is too insolent, And we were better parch in Afric sun Than in the pride and salt scorn of his eyes, Should he scape Hector fair. If he were foiled, Why then we did our main opinion crush In taint of our best man. No, make a lott’ry, And by device let blockish Ajax draw The sort to fight with Hector. Among ourselves Give him allowance as the worthier man — For that will physic the great Myrmidon, Who broils in loud applause, and make him fall His crest, that prouder than blue Iris bends. If the dull brainless Ajax come safe off, We’ll dress him up in voices; if he fail, Yet go we under our opinion still That we have better men. But hit or miss, Our project’s life this shape of sense assumes: Ajax employed plucks down Achilles’ plumes.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO I SCENA 3
questa è solida, le membra diventano suoi strumenti, e non meno attivi di spade e archi diretti dalle membra stesse. ULISSE
Col vostro permesso: proprio per questo non è opportuno che Achille incontri Ettore. Noi, come i mercanti, dobbiamo esporre le nostre merci più scadenti contando di venderle. In caso contrario, il lustro della merce più pregiata ancora da esporre ci riserverà la figura migliore. Non permettete che Ettore e Achille si affrontino: sia in caso di onore, sia in caso di sconfitta, saremo vincolati a due spiacevoli conseguenze. NESTORE
I miei occhi offuscati dalla vecchiaia mi impediscono di vederle. Quali sarebbero? ULISSE
La gloria che Achille potrebbe ricavare da Ettore, se non fosse così superbo, potremmo condividerla con lui. Ma egli è troppo sprezzante. Sarebbe preferibile, per noi, arrostire al sole africano piuttosto che nella superbia e nel disprezzo del suo sguardo, se avesse la meglio sul nobile Ettore. Se invece fosse battuto, la nostra migliore reputazione ne andrebbe distrutta, macchiata dal meglio eroe. Estraiamo a sorte, piuttosto, e con un trucco facciamo in modo che sia lo stolido Aiace quello designato a combattere con Ettore. Diamogli a credere che sia lui il nostro eroe più valoroso. Sarà una bella purga per il grande Mirmidone che cuoce tra fragorosi applausi. Gli farà abbassare la cresta, più superba di quella dell’azzurra Iride49. Se il minchione senza cervello Aiace ne uscirà salvo, lo porteremo in trionfo a gran voce. Se fallirà, ci resterà sempre la reputazione di avere un uomo migliore. Successo o fallimento, la vita del nostro progetto assume tale forma e tale significato: usare Aiace per abbassare le piume ad Achille.
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Shakespeare IV.indb 303
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
NESTOR
Now, Ulysses, I begin to relish thy advice, And I will give a taste of it forthwith To Agamemnon. Go we to him straight. Two curs shall tame each other; pride alone Must tarre the mastiffs on, as ’twere their bone.
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Exeunt 2.1
Enter Ajax and Thersites
AJAX Thersites. THERSITES Agamemnon — how if he had boils, full, all
over, generally? AJAX Thersites. THERSITES And those boils did run? Say so, did not the General run then? Were not that a botchy core? AJAX Dog. THERSITES Then there would come some matter from him. I see none now. AJAX Thou bitch-wolf’s son, canst thou not hear? Feel then.
6
11
He strikes Thersites THERSITES The plague of Greece upon thee, thou mongrel
beef-witted lord! AJAX Speak then, thou unsifted leaven, speak! I will beat
thee into handsomeness.
15
THERSITES I shall sooner rail thee into wit and holiness.
But I think thy horse will sooner con an oration than thou learn a prayer without book. [Ajax strikes him]
14. Unsifted: ed. Oxford; in Q unsalted = “insipido”; in F whinid’st = “molle”. 304
Shakespeare IV.indb 304
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
NESTORE
Ulisse, ora sì, comincio a gustare il vostro proposito. Ne darò subito un assaggio ad Agamennone. Andiamo da lui. I due cagnacci si domeranno l’un l’altro. E sarà l’orgoglio da solo ad ammansire questi due mastini: sarà il loro osso. Escono Entrano Aiace e Tersite50
II, 1 AIACE
Tersite! TERSITE
Agamennone… E se avesse l’impetigine? Tutto pieno di pustole, dappertutto, general…mente! AIACE
Tersite! TERSITE
E se queste pustole gli scoppiassero? Dimmi, non scoppierebbe anche lui, il gran generale? Lui, sì, quel concentrato di pus? AIACE
Cane! TERSITE
Finalmente gli uscirebbe fuori un po’ di sostanza. Per ora non ci vedo niente. AIACE
Figlio di una cagna puttana, ma non senti?51 Senti questo, allora! Colpisce Tersite TERSITE
La peste greca ti prenda, bastardo, testa più ottusa di un bue! AIACE
Parla, dai, pastone indigesto, parla! Ti lavoro io tanto da farti diventare bello. TERSITE
Faccio prima a farti venire più furbo e più saggio io a forza di sfotterti. Fa prima il tuo cavallo a pronunciare un discorso che te a imparare una preghiera a memoria. [Aiace lo colpisce] 305
Shakespeare IV.indb 305
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
Thou canst strike, canst thou? A red murrain o’ thy jade’s tricks. AJAX Toad’s stool!
20
[He strikes Thersites] Learn me the proclamation. THERSITES Dost thou think I have no sense, thou strikest
me thus? AJAX The proclamation.
25
THERSITES Thou art proclaimed a fool, I think. AJAX Do not, porcupine, do not. My fingers itch. THERSITES I would thou didst itch from head to foot. An
I had the scratching of thee, I would make thee the loathsomest scab in Greece. AJAX I say, the proclamation. THERSITES Thou grumblest and railest every hour on Achilles, and thou art as full of envy at his greatness as Cerberus is at Proserpina’s beauty, ay, that thou barkest at him. AJAX Mistress Thersites. THERSITES Thou shouldst strike him. AJAX Cobloaf. THERSITES He would pun thee into shivers with his fist, as a sailor breaks a biscuit. AJAX You whoreson cur.
30
35
40
[He strikes Thersites]
30. Greece: così in F, che cancella l’inessenziale “nelle sortite tu sei lento come chiunque altro” di Q. 306
Shakespeare IV.indb 306
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
Ma come picchi! Che gli venga la peste bovina ai tuoi trucchi da ronzino. AIACE
Fungaccio velenoso! [Colpisce Tersite] Dimmi il proclama52. TERSITE
Pensi che non sento, a picchiarmi così? AIACE
Il proclama! TERSITE
Mi sa che tu sia un proclamato buffone. AIACE
Attento, porcospino, attento, perché mi prudono le mani. TERSITE
Che ti pruda pure tutto, dalla testa ai piedi. Se mi metto a grattarti io, ti riduco alla crosta più rognosa di tutta la Grecia53. AIACE
Il proclama, ti dico. TERSITE
Tutto il giorno vai avanti a brontolare e a criticare Achille, perché sei invidioso di lui quanto Cerbero della bellezza di Proserpina54. Già, passi il tempo ad abbaiare! AIACE
Signorina Tersite. TERSITE
È lui che dovresti picchiare. AIACE
Pagnottella. TERSITE
Ma lui ti ridurrebbe in frantumi con un pugno, come un marinaio quando spacca una galletta. AIACE
Cane figlio di puttana! [Colpisce Tersite]
307
Shakespeare IV.indb 307
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
THERSITES Do! Do! AJAX Thou stool for a witch.
[He strikes Thersites] THERSITES Ay, do, do! Thou sodden-witted lord, thou hast
in thy skull no more brain than I have in mine elbows. An asnico may tutor thee. Thou scurvy valiant ass, thou art here but to thrash Trojans, and thou art bought and sold among those of any wit like a barbarian slave. If thou use to beat me, I will begin at thy heel and tell what thou art by inches, thou thing of no bowels, thou. AJAX You dog. THERSITES You scurvy lord. AJAX You cur.
51
[He strikes Thersites] THERSITES Mars his idiot! Do, rudeness! Do, camel, do,
do!
56
Enter Achilles and Patroclus ACHILLES
Why, how now, Ajax? Wherefore do ye thus? How now, Thersites? What’s the matter, man? THERSITES You see him there? Do you? ACHILLES Ay. What’s the matter? THERSITES Nay, look upon him. ACHILLES So I do. What’s the matter?
60
45. In thy skull: aggiunta Oxford, assente in Q e F. 46. Asnico: Q e F hanno asinico; entrambe le grafie ricalcano italiano e spagnolo. 308
Shakespeare IV.indb 308
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
TERSITE
Dai, fatti sotto! AIACE
Cesso di una strega! [Colpisce Tersite] TERSITE
Avanti, avanti, batti! Sei un cervello fuso, c’hai meno intelligenza sotto quel cranio di quanto non ce n’abbia io nei gomiti. Persino un asinello può darti ordini. Misero asinaccio da quattro soldi, sei qui solo per dare giù botte ai Troiani, e a chi gli è rimasto un po’ di sale in zucca non resta che venderti e comprarti come uno schiavo barbaro. Se continui a picchiarmi, te lo spiegherò io che cosa sei, da capo a piedi, centimetro per centimetro: te sei un involucro senza budella, te. AIACE
Cane! TERSITE
Eroe da strapazzo! AIACE
Botolo ringhioso! [Colpisce Tersite] TERSITE
Zimbello di Marte! Su, villano, bestia da soma, fatti sotto, avanti! Entrano Achille e Patroclo ACHILLE
Allora, Aiace? Perché gli fate così? Avanti, Tersite. Che succede? TERSITE
Lo vedi questo qui? Lo vedi? ACHILLE
Sì, che succede? TERSITE
Bene, guardalo. ACHILLE
Lo vedo. E allora?
309
Shakespeare IV.indb 309
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
THERSITES Nay, but regard him well. ACHILLES ‘Well’? Why, I do so. THERSITES But yet you look not well upon him. For
whosomever you take him to be, he is Ajax.
66
ACHILLES I know that, fool. THERSITES Ay, but ‘that fool’ knows not himself. AJAX Therefore I beat thee. THERSITES Lo, lo, lo, lo, what modicums of wit he utters.
His evasions have ears thus long. I have bobbed his brain more than he has beat my bones. I will buy nine sparrows for a penny, and his pia mater is not worth the ninth part of a sparrow. This lord, Achilles — Ajax, who wears his wit in his belly and his guts in his head — I’ll tell you what I say of him. ACHILLES What? THERSITES I say, this Ajax —
76
[Ajax threatens to strike him] ACHILLES Nay, good Ajax. THERSITES Has not so much wit —
80
[Ajax threatens to strike him] ACHILLES (to Ajax) Nay, I must hold you. THERSITES As will stop the eye of Helen’s needle, for whom
he comes to fight.
310
Shakespeare IV.indb 310
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
TERSITE
Sì, ma guardalo bene. ACHILLE
Bene. Lo sto guardando bene. TERSITE
No, non lo stai guardando bene. Perché da qualunque parte lo giri, è sempre Aiace55. ACHILLE
Lo so, matto. TERSITE
Già, ma è quel matto lì che non conosce se stesso56. AIACE
È per questo che te le suono. TERSITE
Evvia, che massime da quattro soldi escono dalla sua bocca. I suoi ragionamenti c’hanno le orecchie lunghe così. Gli ho sballottato più io il cervello che lui a me le ossa. Se piglio nove passeri per un penny, la sua pia mater non vale neanche la nona parte di un solo passero57. Senti Achille, questo signore qui, Aiace, che c’ha il cervello nello stomaco e le budella nel cranio, te lo dico io quel che ho da dire di lui. ACHILLE
Che cosa? TERSITE
Ti dico che questo qui, Aiace… [Aiace minaccia di picchiarlo] ACHILLE
No, buon Aiace. TERSITE
…non ha così tanto cervello… [Aiace minaccia di picchiarlo] ACHILLE (ad Aiace)
Avanti, ti devo trattenere. TERSITE
… da chiudere la cruna dell’ago di Elena58, per la quale si viene a combattere. 311
Shakespeare IV.indb 311
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
ACHILLES Peace, fool. THERSITES I would have peace and quietness, but the fool
will not. He, there, that he, look you there.
86
AJAX O thou damned cur I shall — ACHILLES (to Ajax) Will you set your wit to a fool’s? THERSITES No, I warrant you, for a fool’s will shame it. PATROCLUS Good words, Thersites.
90
ACHILLES (to Ajax) What’s the quarrel? AJAX I bade the vile owl go learn me the tenor of the
proclamation, and he rails upon me. THERSITES I serve thee not. AJAX Well, go to, go to.
95
THERSITES I serve here voluntary. ACHILLES Your last service was sufferance. ’Twas not
voluntary: no man is beaten voluntary. Ajax was here the voluntary, and you as under an impress. THERSITES E’en so. A great deal of your wit, too, lies in your sinews, or else there be liars. Hector shall have a great catch an a knock out either of your brains. A were as good crack a fusty nut with no kernel. ACHILLES What, with me too, Thersites?
99
104
102. A: così in Q, frequente per he (in F, non più segnalato). 312
Shakespeare IV.indb 312
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
ACHILLE
Taci, matto. TERSITE
Vorrei pace e tranquillità, ma questo matto qui non vuole. Sì, quello lì! Vedi com’è? Guardalo adesso. AIACE
Cane dannato! Io ti… ACHILLE (ad Aiace) Vi mettete all’altezza di un matto? TERSITE
No, te lo garantisco, il matto lo farebbe svergognare. PATROCLO
Ben detto, Tersite. ACHILLE (ad Aiace)
Qual è la questione? AIACE
Ho chiesto a questo vile gufo di illustrarmi il tenore del proclama e lui si prende gioco di me. TERSITE
Non sono tuo servo. AIACE
Insomma, piantala! TERSITE
Io svolgo servizio volontario. ACHILLE
Il tuo ultimo servizio era subìto, non era certo da volontario. Nessun uomo si fa picchiare volontariamente. Era Aiace a volere, e tu a subire. TERSITE
Diciamo così. E sì che anche tu c’hai una buona parte della tua intelligenza nei muscoli, e chi mi smentisce è bugiardo. Ettore si farà su proprio un bel bottino, se riesce a spremervi le cervella. Come schiacciare una noce ammuffita senza più il gheriglio. ACHILLE
Ce l’hai pure con me, Tersite?
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Shakespeare IV.indb 313
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 1
THERSITES There’s Ulysses and old Nestor, whose wit was
mouldy ere your grandsires had nails on their toes, yoke you like draught oxen and make you plough up the war. ACHILLES What? What? THERSITES Yes, good sooth. To Achilles! To, Ajax, to — AJAX I shall cut out your tongue. THERSITES ’Tis no matter. I shall speak as much wit as thou afterwards. PATROCLUS No more words, Thersites, peace. THERSITES I will hold my peace when Achilles’ brach bids me, shall I? ACHILLES There’s for you, Patroclus. THERSITES I will see you hanged like clodpolls ere I come any more to your tents. I will keep where there is wit stirring, and leave the faction of fools. Exit PATROCLUS A good riddance. ACHILLES (to Ajax) Marry, this, sir, is proclaimed through all our host: That Hector, by the fifth hour of the sun, Will with a trumpet ’twixt our tents and Troy Tomorrow morning call some knight to arms That hath a stomach, and such a one that dare Maintain — I know not what. ’Tis trash. Farewell. AJAX Farewell. Who shall answer him?
111
116
121
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115. Brach: emend. tardo; Q e F hanno Brooch. Brach equivale al moderno bitch. 118. Clodpolls: in Q Clatpoles, in F Clotpoles. Clod- ha più senso in quanto sta per blockheads, “zucconi”. 314
Shakespeare IV.indb 314
30/11/2018 09:31:52
TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 1
TERSITE
C’è l’Ulisse e il vecchio Nestore – con l’intelligenza già ammuffita prima ancora che ai vostri nonni spuntassero le unghie dei piedi – che vi aggiogano come buoi per trascinare l’aratro della guerra. ACHILLE
Cosa, cosa? TERSITE
È la verità. Alè, Achille! Alé, Aiace! AIACE
Te la taglio, quella lingua. TERSITE
Poco male. Parlerei anche dopo con altrettanto senno di te! PATROCLO
Basta, Tersite! Zitto. TERSITE
Zitto perché me lo chiede la cagnetta di Achille? ACHILLE
Prenditi questo, Patroclo. TERSITE
Voglio vedervi impiccati come degli zucconi, prima di tornare alle vostre tende. Mi tratterrò dove circola un po’ di intelligenza e lascerò i litigi dei cretini. Esce PATROCLO
Una bella liberazione. ACHILLE (ad Aiace)
Dunque, signore, il proclama che circola tra tutto il nostro esercito è questo: Ettore, alla quinta ora di domani mattina59, verrà con il trombettiere tra le nostre tende e la città di Troia per sfidare a battaglia qualche cavaliere che abbia un po’ di fegato. Qualcuno che osi sostenere… Non so che cosa. ’Sto schifo. Addio. AIACE
Addio. E chi gli risponderà?
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Shakespeare IV.indb 315
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
ACHILLES
I know not. ’Tis put to lott’ry. Otherwise, He knew his man. [Exeunt Achilles and Patroclus] AJAX O, meaning you? I will go learn more of it. [Exit] 2.2
[Sennet.] Enter King Priam, Hector, Troilus, Paris, and Helenus
PRIAM
After so many hours, lives, speeches spent, Thus once again says Nestor from the Greeks: ‘Deliver Helen, and all damage else — As honour, loss of time, travail, expense, Wounds, friends, and what else dear that is consumed In hot digestion of this cormorant war — Shall be struck off.’ Hector, what say you to’t?
6
HECTOR
Though no man lesser fears the Greeks than I, As far as toucheth my particular, yet, dread Priam, There is no lady of more softer bowels, More spongy to suck in the sense of fear, More ready to cry out, ‘Who knows what follows?’ Than Hector is. The wound of peace is surety, Surety secure; but modest doubt is called The beacon of the wise, the tent that searches To th’ bottom of the worst. Let Helen go. Since the first sword was drawn about this question, Every tithe-soul, ’mongst many thousand dimes, Hath been as dear as Helen — I mean, of ours. If we have lost so many tenths of ours To guard a thing not ours — nor worth to us, Had it our name, the value of one ten — What merit’s in that reason which denies The yielding of her up? TROILUS Fie, fie, my brother! Weigh you the worth and honour of a king So great as our dread father in a scale
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Shakespeare IV.indb 316
30/11/2018 09:31:53
TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
ACHILLE
Non lo so. Estrarranno a sorte. Altrimenti saprebbe chi è il suo uomo. [Escono Achille e Patroclo] AIACE
Oh, è voi che intendono. Ma voglio saperne di più. [Esce] II, 2
[Squilli di tromba] Entrano il re Priamo, Troilo, Paride, e Eleno60
PRIAMO
Dopo tante ore, vite, discorsi spesi, ancora una volta Nestore dice da parte dei Greci: ‘consegnate Elena, e tutti gli altri danni – onore, tempo, fatica, denaro, ferite, amici e quant’altro si sia consumato nella rovente digestione di questa guerra predatrice61 – saranno azzerati’. Ettore, che ne dite? ETTORE
Nonostante nessuno abbia meno timore dei Greci di quanto ne abbia io, almeno per quanto riguarda il mio interesse, grande Priamo, non c’è donna di viscere più delicate, più permeabile alla paura, più pronta a gridare ‘Chissà che succederà dopo!’, di quanto non sia Ettore. La piaga della pace è la sicurezza, la sicurezza senza affanno62. Ma il modesto dubbio è chiamato il faro del saggio, il bisturi che cerca nel fondo del marcio63. Si lasci andare via Elena: da quando fu sguainata la prima spada per la sua causa, ogni decima anima, tra le tante migliaia, è stata preziosa quanto Elena64. Tra i nostri uomini, intendo. Se abbiamo perduto così tante migliaia di noi per custodire una cosa non nostra, che non vale un decimo di noi neanche se portasse il nostro stesso nome, quale merito possiamo avere a non restituirla? TROILO
Vergogna, fratello mio, vergogna! Soppesate il valore e l’onore di un re del calibro del nostro potente padre su una scala di pesi co-
317
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
Of common ounces? Will you with counters sum The past-proportion of his infinite, And buckle in a waist most fathomless With spans and inches so diminutive As fears and reasons? Fie, for godly shame!
30
HELENUS
No marvel though you bite so sharp at reasons, You are so empty of them. Should not our father Bear the great sway of his affairs with reason Because your speech hath none that tells him so?
35
TROILUS
You are for dreams and slumbers, brother priest. You fur your gloves with ‘reason’. Here are your reasons: You know an enemy intends you harm, You know a sword employed is perilous, And reason flies the object of all harm. Who marvels then, when Helenus beholds A Grecian and his sword, if he do set The very wings of reason to his heels And fly like chidden Mercury from Jove, Or like a star disorbed? Nay, if we talk of reason, Let’s shut our gates and sleep. Manhood and honour Should have hare hearts, would they but fat their thoughts With this crammed reason. Reason and respect Make livers pale and lustihood deject.
40
45
HECTOR
Brother, she is not worth what she doth cost The holding. TROILUS What’s aught but as ’tis valued?
50
34. La variante tra reason (Q = la “ragione”), qui privilegiata, e reasons (F = i “ragionamenti”, gli argomenti che motivano una scelta) non è irrilevante, in rapporto all’uso dei due termini nel discorso seguente (ad es. ai vv. 37 e 38, 48 e 49). 47. Hare: la metafora della lepre per designare il cuore (Q), qui mantenuta, è sostituita in F dall’aggettivo hard. 318
Shakespeare IV.indb 318
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
muni? Volete calcolare con il pallottoliere la sua sproporzionata infinità? Misurare una incommensurabile profondità con spanne e inchiostri tanto umili come paure e calcoli razionali? Vergogna, per l’amor di Dio! ELENO
Non c’è da meravigliarsi che voi mordiate con tanta acrimonia i calcoli razionali, giacché ne siete completamente incapace. Nostro padre non dovrebbe forse reggere il grande potere del suo Stato con la ragione, perché il vostro discorso, dissennato, glielo nega? TROILO
Voi siete fatto per sognare e poltrire, fratello prete. Voi ci fate pelliccia per i guanti con la ‘ragione’. Ecco le vostre ragioni: voi sapete che un nemico vi vuole male; voi sapete che l’uso della spada è pericoloso; e che la ragione fugge l’oggetto di ogni male65. Chi si meraviglia, allora, se quando vede un greco con la spada, Eleno mette le ali della ragione alle calcagna e vola via come Mercurio rampognato da Giove, o come una stella vagante? Ah sì, se parliamo di ragione, chiudiamo pure la porta e andiamocene a dormire. L’umanità e l’onore dovrebbero avere cuore di lepre, per ingrassare i loro pensieri con questa opulenta ragione. Ragione e prudenza rendono il fegato pallido e deprimono il vigore. ETTORE
Fratello, Elena non vale quanto costa tenerla. TROILO
Cos’è che vale qualcosa se non quanto è valutato?
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
HECTOR
But value dwells not in particular will. It holds his estimate and dignity As well wherein ’tis precious of itself As in the prizer. ’Tis mad idolatry To make the service greater than the god; And the will dotes that is inclinable To what infectiously itself affects Without some image of th’affected merit.
55
TROILUS
I take today a wife, and my election Is led on in the conduct of my will; My will enkindled by mine eyes and ears, Two traded pilots ’twixt the dangerous shores Of will and judgement. How may I avoid — Although my will distaste what it elected — The wife I chose? There can be no evasion To blench from this and to stand firm by honour. We turn not back the silks upon the merchant When we have spoiled them; nor the remainder viands We do not throw in unrespective sewer Because we now are full. It was thought meet Paris should do some vengeance on the Greeks. Your breath of full consent bellied his sails; The seas and winds, old wranglers, took a truce And did him service. He touched the ports desired, And for an old aunt whom the Greeks held captive He brought a Grecian queen, whose youth and freshness Wrinkles Apollo’s and makes stale the morning. Why keep we her? The Grecians keep our aunt. Is she worth keeping? Why, she is a pearl Whose price hath launched above a thousand ships And turned crowned kings to merchants. If you’ll avouch ’twas wisdom Paris went —
60
65
70
75
80
55. Mad: così in Q, generalmente accettato; in F made. 70. Sewer: emend. Oxford, in Q sive, in F same. 320
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
ETTORE
Il valore non consiste nel desiderio del singolo. Mantiene valore e dignità tanto per se stesso quanto per l’apprezzamento di chi valuta. È folle idolatria fare la cerimonia più grande del dio66. E vaneggia il desiderio di chi attribuisca qualche valore a ciò verso cui morbosamente propende senza un qualche segno del merito attribuito. TROILO
Oggi prendo moglie e la mia scelta è guidata dall’arbitrio del mio desiderio; ma il desiderio mi è acceso dagli occhi e dalle orecchie, due piloti abituati a destreggiarsi tra le coste pericolose che sono la volontà e il senno67. Come posso ripudiare, se la mia volontà prenderà a disprezzare ciò che aveva prediletto, la donna da me prescelta? Non c’è via di scampo per evitare questo e conservare l’onore. Non restituiamo la seta al mercante dopo averla rovinata, né le vivande avanzate si gettano nell’immondizia perché ne siamo sazi. Si è ritenuto opportuno che Paride si prendesse la sua vendetta sui Greci: il respiro del vostro pieno consenso ha gonfiato le sue vele. Mari e venti, vecchi rissosi, si sono presi una tregua e gli si sono inchinati. Paride ha toccato i porti desiderati, e per una vecchia zia68 che i Greci tenevano prigioniera si è preso una regina ellenica, la cui giovinezza e freschezza rende rugoso Apollo e pallido il mattino. Perché la teniamo? I Greci si tengono nostra zia. Vale la pena custodirla? Essa è una perla69, il cui prezzo ha mosso un migliaio di navi e trasformato fior di teste coronate in mercanti. Se riconoscerete che Paride è stato saggio ad andare – e necessariamente lo
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
As you must needs, for you all cried, ‘Go, go!’; If you’ll confess he brought home noble prize — As you must needs, for you all clapped your hands And cried, ‘Inestimable!’ — why do you now The issue of your proper wisdoms rate, And do a deed that never fortune did: Beggar the estimation which you prized Richer than sea and land? O theft most base, That we have stol’n what we do fear to keep! But thieves unworthy of a thing so stol’n, That in their country did them that disgrace We fear to warrant in our native place. CASSANDRA [within] Cry, Trojans, cry! PRIAM What noise? What shriek is this?
85
90
95
TROILUS
’Tis our mad sister. I do know her voice. CASSANDRA [within] Cry, Trojans! HECTOR It is Cassandra.
[Enter Cassandra raving, with her hair about her ears] CASSANDRA
Cry, Trojans, cry! Lend me ten thousand eyes And I will fill them with prophetic tears. HECTOR Peace, sister, peace.
100
CASSANDRA
Virgins and boys, mid-age, and wrinkled old, Soft infancy that nothing canst but cry, Add to my clamours. Let us pay betimes A moiety of that mass of moan to come. Cry, Trojans, cry! Practise your eyes with tears. Troy must not be, nor goodly Ilium stand. Our firebrand brother, Paris, burns us all. Cry, Trojans, cry! Ah Helen, and ah woe! Cry, cry ‘Troy burns!’ — or else let Helen go.
105
110 Exit
103-209. Per tutta questa scena il testo di riferimento diventa Q. 322
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
riconoscerete, poiché tutti quanti gridavate ‘Vai, vai’; se ammetterete che ha portato a casa un nobile trofeo – e necessariamente lo ammetterete, perché tutti quanti applaudivate e gridavate ‘Inestimabile’, allora perché disprezzate il frutto della vostra saggezza e fate ciò che la Fortuna non ha mai fatto: svalutare il prezzo che avete stimato superiore a quello del mare e della terra? Oppure, furto ancora più ignobile, abbiamo rubato qualcosa che abbiamo timore di conservare! Ladri indegni di quell’oggetto rubato, che ha arrecato tali disgrazie al suo paese, noi temiamo di salvaguardarla nella nostra stessa patria. CASSANDRA
[da dentro] Piangete, Troiani, piangete! PRIAMO
Che strepito, che grido è mai questo? TROILO
È quella pazza di nostra sorella. Riconosco la sua voce. CASSANDRA
[da dentro] Piangete, Troiani! ETTORE
È Cassandra. [Entra Cassandra, in delirio, con i capelli sciolti] CASSANDRA
Piangete, Troiani, piangete! Prestatemi diecimila occhi, e li riempirò di lacrime profetiche. ETTORE
Calma, sorella, calma! CASSANDRA
Vergini e ragazzi, uomini maturi e vecchi, teneri infanti di tutto incapaci fuorché di piangere, unitevi ai miei clamori! Paghiamo per tempo almeno la metà di quell’ondata di lamenti che verranno. Piangete, Troiani, piangete! Esercitate i vostri occhi alle lacrime! Troia non deve essere più, la bella Ilio non sarà più in piedi. Il nostro fratello Paride è un tizzone ardente70 che ci brucerà tutti quanti. Piangete, Troiani, piangete! Elena, una sventura! Piangete, piangete! Troia brucia, o altrimenti lasciate andare via Elena. Esce 323
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
HECTOR
Now, youthful Troilus, do not these high strains Of divination in our sister work Some touches of remorse? Or is your blood So madly hot that no discourse of reason, Nor fear of bad success in a bad cause, Can qualify the same? TROILUS Why, brother Hector, We may not think the justness of each act Such and no other than the event doth form it, Nor once deject the courage of our minds Because Cassandra’s mad. Her brainsick raptures Cannot distaste the goodness of a quarrel Which hath our several honours all engaged To make it gracious. For my private part, I am no more touched than all Priam’s sons. And Jove forbid there should be done amongst us Such things as might offend the weakest spleen To fight for and maintain.
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PARIS
Else might the world convince of levity As well my undertakings as your counsels. But I attest the gods, your full consent Gave wings to my propension and cut off All fears attending on so dire a project. For what, alas, can these my single arms? What propugnation is in one man’s valour To stand the push and enmity of those This quarrel would excite? Yet I protest, Were I alone to pass the difficulties And had as ample power as I have will, Paris should ne’er retract what he hath done Nor faint in the pursuit. PRIAM Paris, you speak Like one besotted on your sweet delights. You have the honey still, but these the gall. So to be valiant is no praise at all.
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
ETTORE
Ora, giovane Troilo, nemmeno questi estremi accessi profetici in nostra sorella vi creano qualche rimorso? O il vostro sangue è così follemente acceso che nessun discorso razionale, nessuna paura di un insuccesso per una causa ingiusta può fare alcunché per mitigarlo? TROILO
Ebbene, fratello Ettore, non possiamo certo pensare che la rettitudine di ogni azione sia soltanto quella confermata dagli eventi, e nemmeno scacciare il coraggio dai nostri cuori soltanto perché Cassandra è matta71. I rapimenti del suo cervello insano non possono guastare la bellezza di una lotta che vanta tutto il nostro onore. Per parte mia, non sono più impressionato di tutti gli altri figli di Priamo. E Giove impedisca che presso di noi si facciano cose che possano scoraggiare i fegati più deboli dal combattere e dal resistere. PARIDE
Se così fosse, il mondo potrebbe tacciare di leggerezza i miei giuramenti e i vostri consigli. Ma io chiamo a testimoni gli dèi che il vostro pieno consenso ha messo le ali alla mia disposizione ed eliminato tutti i timori che assediavano un progetto tanto terribile. Altrimenti, a che cosa servirebbero queste mie sole braccia? Quale difesa è il valore di un solo uomo, per resistere alla pressione e all’ostilità di coloro che sono coinvolti nella contesa? Eppure io dichiaro che se anche fossi solo ad affrontare le difficoltà e il mio potere coincidesse con la mia volontà, Paride non ritratterebbe mai su ciò che ha fatto, né mancherebbe mai alla lotta. PRIAMO
Paride, voi parlate come un uomo frastornato da dolci seduzioni. Voi avete il miele, e loro il fiele. Essere coraggiosi non merita alcuna lode.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
PARIS
Sir, I propose not merely to myself The pleasures such a beauty brings with it, But I would have the soil of her fair rape Wiped off in honourable keeping her. What treason were it to the ransacked queen, Disgrace to your great worths, and shame to me, Now to deliver her possession up On terms of base compulsion? Can it be That so degenerate a strain as this Should once set footing in your generous bosoms? There’s not the meanest spirit on our party Without a heart to dare or sword to draw When Helen is defended; nor none so noble Whose life were ill bestowed or death unfamed Where Helen is the subject. Then I say: Well may we fight for her whom we know well The world’s large spaces cannot parallel.
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HECTOR
Paris and Troilus, you have both said well, But on the cause and question now in hand Have glossed but superficially — not much Unlike young men, whom Aristotle thought Unfit to hear moral philosophy. The reasons you allege do more conduce To the hot passion of distempered blood Than to make up a free determination ’Twixt right and wrong; for pleasure and revenge Have ears more deaf than adders to the voice Of any true decision. Nature craves All dues be rendered to their owners. Now, What nearer debt in all humanity Than wife is to the husband? If this law
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163. But: emend. tardo; in Q e F and, che comporta una leggera sfumatura di significato nella traduzione = “e sulla causa e sul problema attuale avete espresso il vostro parere, ma superficialmente”. 326
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
PARIDE
Signore, non offro solo a me stesso i piaceri che una tale bellezza comporta. Ma vorrei cancellare l’onta del suo ardimentoso rapimento, custodendola qui con onore72. Che tradimento sarebbe per la regina catturata, che disonore per il vostro grande valore e che vergogna per me, cedere il suo possesso in virtù di una semplice imposizione! Può una tentazione tanto degenere come questa avere, anche solo per un attimo, messo piede nel vostri cuori generosi? Non c’è, tra i nostri, spirito tanto gretto da non avere cuore o spada da sguainare per difendere Elena, nessuno tanto nobile da considerare inutile la vita o infame la morte, quando si tratta di Elena. Quindi io dico che facciamo bene a combattere per colei che, lo sappiamo bene, non trova confronto in nessuna parte del mondo73. ETTORE
Paride e Troilo, entrambi avete parlato bene, e sulla causa e sul problema attuale avete espresso il vostro commento, ma superficialmente. Proprio come fanno i giovani, che Aristotele riteneva inadatti ad ascoltare di filosofia morale74: le ragioni da voi addotte assecondano la calda passione dei temperamenti sfrenati piuttosto che l’ordine di una libera scelta tra giusto e sbagliato, perché il piacere e la vendetta hanno orecchie più sorde delle bisce alla voce di ogni giusta decisione. La natura pretende che il dovuto sia reso al proprietario. Ora, quale debito più stretto c’è, tra tutta l’umanità, che una moglie per il marito? Se questa legge di natura è corrotta dalla passione, e per-
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 2
Of nature be corrupted through affection, And that great minds, of partial indulgence To their benumbèd wills, resist the same, There is a law in each well-ordered nation To curb those raging appetites that are Most disobedient and refractory. If Helen then be wife to Sparta’s king, As it is known she is, these moral laws Of nature and of nations speak aloud To have her back returned. Thus to persist In doing wrong extenuates not wrong, But makes it much more heavy. Hector’s opinion Is this in way of truth — yet ne’ertheless, My sprightly brethren, I propend to you In resolution to keep Helen still; For ’tis a cause that hath no mean dependence Upon our joint and several dignities.
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TROILUS
Why, there you touched the life of our design. Were it not glory that we more affected Than the performance of our heaving spleens, I would not wish a drop of Trojan blood Spent more in her defence. But, worthy Hector, She is a theme of honour and renown, A spur to valiant and magnanimous deeds, Whose present courage may beat down our foes, And fame in time to come canonize us — For I presume brave Hector would not lose So rich advantage of a promised glory As smiles upon the forehead of this action For the wide world’s revenue. HECTOR I am yours, You valiant offspring of great Priamus. I have a roisting challenge sent amongst The dull and factious nobles of the Greeks
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 2
fino le grandi menti possono opporvisi in virtù di quella parziale indulgenza ispirata da una paralisi della volontà, c’è una legge in ogni Stato ben organizzato per tenere a freno questi appetiti furiosi che sono i più disobbedienti e ostinati. Se Elena, dunque, è moglie del re di Sparta, com’è noto che essa sia, queste leggi morali della natura e degli Stati parlano forte e chiaro che bisogna restituirla. Perseverare nell’agire ingiustamente non attenua l’errore, ma se mai lo appesantisce. L’opinione di Ettore è questa, e tende alla verità. E tuttavia, focosi fratelli, sono d’accordo con voi nel decidere di tenere ancora Elena, perché è una questione che ha una risonanza non esigua sulla nostra dignità, privata e pubblica75. TROILO
Ecco, così hai toccato il vivo del nostro piano. Se non fosse la gloria a muoverci più di tutto l’operare dei nostri gravosi umori, non vorrei che una sola goccia di sangue troiano fosse più versato in difesa di lei. Ma, nobile Ettore, lei è un motivo di onore e di fama; ci incita ad azioni coraggiose e magnanime, di cui l’attuale ardire può sconfiggere i nostri nemici, e la cui fama ci potrà rendere immortali. Perciò oso dire che un uomo valoroso come Ettore non potrebbe mai perdere una così allettante prospettiva di gloria annunciata, quella che sorride sulla fronte di questa azione, per tutte le ricchezze del mondo intero. ETTORE
Sono con voi, valoroso virgulto del potente Priamo. Ho appena lanciato una clamorosa sfida a quei nobili greci sciocchi e faziosi,
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
Will shriek amazement to their drowsy spirits. I was advertised their great general slept Whilst emulation in the army crept; This I presume will wake him. [Flourish.] Exeunt 2.3
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Enter Thersites
THERSITES How
now, Thersites? What, lost in the labyrinth of thy fury? Shall the elephant Ajax carry it thus? He beats me and I rail at him. O worthy satisfaction! Would it were otherwise: that I could beat him whilst he railed at me. ’Sfoot, I’ll learn to conjure and raise devils but I’ll see some issue of my spiteful execrations. Then there’s Achilles: a rare engineer. If Troy be not taken till these two undermine it, the walls will stand till they fall of themselves. O thou great thunder-darter of Olympus, forget that thou art Jove, the king of gods; and Mercury, lose all the serpentine craft of thy caduceus, if ye take not that little, little, less than little wit from them that they have — which short-armed ignorance itself knows is so abundantscarce it will not in circumvention deliver a fly from a spider without drawing their massy irons and cutting the web. After this, the vengeance on the whole camp — or rather, the Neapolitan bone-ache, for that methinks is the curse dependent on those that war for a placket. I have said my prayers, and devil Elnvy say ‘Amen’. — What ho! My lord Achilles!
21
Enter Patroclus [at the door to the tent] PATROCLUS Who’s there? Thersites? Good Thersites, come
in and rail.
[Exit]
209. Shriek: così in Q; in F strike = “colpire”, con amazement riconducibile al senso di Q. 18. Neapolitan: così in Q; assente in F. 330
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
una sfida che urlerà sconcerto ai loro spiriti assopiti. Mi è stato comunicato che il loro grande generale se la dorme, mentre nell’esercito serpeggia la rivalità. Questo, presumo, lo risveglierà. [Fanfara]. Escono II, 3
Entra Tersite, da solo76
TERSITE
E allora, Tersite! Che ci fai, perduto nel labirinto della tua furia?77 Quell’elefante di Aiace può farla franca così? Lui me le suona e io lo sfotto. Bella soddisfazione! Al contrario, dovrei essere io che gliele suono, e lui che mi sfotte. Dio santo, imparerò il malocchio e la diabolica magia, pur di veder qualche frutto delle mie astiose maledizioni. Ma ecco qui Achille, il fine stratega! Se Troia non cade finché questi due non trovano il modo per indebolirla, le sue mura staranno su finché non cadranno da sé. O tu, grande fulminatore dell’Olimpo, dimentica di essere Giove, il re degli dèi, e tu, Mercurio, deponi pure l’astuzia serpentina del tuo caduceo78, se non riuscite a togliere a quei due quel poco, meno di poco, quel nonnulla di cervello che si ritrovano! Perché anche il più sprovveduto ignorante capirebbe che il loro cervello è così smaccatamente elementare da non sapere elaborare nemmeno il trucco per liberare una mosca da un ragno senza bisogno di tirar fuori tutta la ferraglia delle loro armi e tagliare la tela. E dunque, la furia si abbatta su tutto il campo! O piuttosto, il mal napoletano!79 Questa, a mio avviso, la giusta punizione per coloro che fanno la guerra per una sottana80. Bene, ho detto le mie preghiere, e ora il diavolo Invidia dica ‘Amen’. Ehilà! Achille, mio Signore! Entra Patroclo [alla porta della tenda] PATROCLO
Chi c’è qua? Tersite! Buon Tersite, vieni e insulta qualcuno81.
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Shakespeare IV.indb 331
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
THERSITES If I could ha’ remembered a gilt counterfeit,
thou wouldst not have slipped out of my contemplation; but it is no matter. Thyself upon thyself! The common curse of mankind, folly and ignorance, be thine in great revenue! Heaven bless thee from a tutor, and discipline come not near thee! Let thy blood be thy direction till thy death! Then if she that lays thee out says thou art a fair corpse, I’ll be sworn and sworn upon’t she never shrouded any but lazars.
32
[Enter Patroclus] Amen. — Where’s Achilles? PATROCLUS What, art thou devout? Wast thou in prayer? THERSITES Ay. The heavens hear me!
35
PATROCLUS Amen.
Enter Achilles ACHILLES Who’s there? PATROCLUS Thersites, my lord.
38
ACHILLES Where? Where? O where? — Art thou come?
Why, my cheese, my digestion, why hast thou not served thyself into my table so many meals? Come: what’s Agamemnon? THERSITES Thy commander, Achilles. — Then tell me, Patroclus, what’s Achilles? PATROCLUS Thy lord, Thersites. Then tell me, I pray thee, what’s Thersites? THERSITES Thy knower, Patroclus. Then tell me, Patroclus, what art thou? PATROCLUS Thou mayst tell, that knowest. ACHILLES O tell, tell.
44
50
24. If I could ha’: così in Q; in F If I could have. 36. PATROCLUS Amen: così in Q; non in F. 46. Thersites: così in Q; in F è thy selfe. Anche se il problema del ‘conosci te stesso’ è centrale in queste battute, qui è più logico e più coerente riferirsi direttamente al nome dell’interlocutore. 332
Shakespeare IV.indb 332
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
TERSITE
Se potessi ricordarmi di una moneta falsa, te non mi usciresti mai più di mente. Ma lasciamo perdere. A te basta guardarti allo specchio! Le più diffuse piaghe dell’umanità, follia e ignoranza, ti appartengano, e con gli interessi maturati! Il cielo ti salvi dai maestri, e che l’istruzione non si avvicini mai a te! Lascia pure che il tuo sangue ti guidi fino alla morte!82 E se poi colei che ti darà una sistemata dirà ‘ma che bel cadavere!’, quella sarà di certo, giuro e spergiuro, una che non avrà sotterrato altri che lebbrosi. [Entra Patroclo] Amen. Dov’è Achille? PATROCLO
Come, sei osservante? Stavi pregando? TERSITE
Magari! E che il cielo mi ascolti! PATROCLO
Amen. Entra Achille ACHILLE
Chi c’è qui? PATROCLO
Tersite, mio signore. ACHILLE
Dove? Dove? Sei venuto? Perché, formaggino mio, mio digestivo, perché non ti sei più presentato alla mia tavola da così tanti pasti? Andiamo, cos’è Agamennone? TERSITE
Il tuo comandante, Achille. Allora dimmi, Patroclo, cos’è Achille? PATROCLO
Il tuo signore, Tersite. Ma tu dimmi, invece, ti prego, cos’è Tersite? TERSITE
Uno che ti conosce, Patroclo. E dimmi, Patroclo, che sei tu? PATROCLO
Puoi dirlo tu, che mi conosci. ACHILLE
Avanti, parla. 333
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
THERSITES I’ll decline the whole question. Agamemnon
commands Achilles, Achilles is my lord, I am Patroclus’ knower, and Patroclus is a fool. PATROCLUS You rascal. THERSITES Peace, fool, I have not done. ACHILLES (to Patroclus) He is a privileged man. — Proceed, Thersites. THERSITES Agamemnon is a fool, Achilles is a fool, Thersites is a fool, and as aforesaid Patroclus is a fool. ACHILLES Derive this. Come. THERSITES Agamemnon is a fool to offer to command Achilles; Achilles is a fool to be commanded of Agamemnon; Thersites is a fool to serve such a fool; and Patroclus is a fool positive. PATROCLUS Why am I a fool? THERSITES Make that demand to the Creator. It suffices me thou art. Look you, who comes here?
55
60
65
Enter Agamemnon, Ulysses, Nestor, Diomedes, Ajax, and Calchas ACHILLES Patroclus, I’ll speak with nobody. — Come in
with me, Thersites.
Exit
THERSITES Here is such patchery, such juggling and such
knavery. All the argument is a whore and a cuckold. A good quarrel to draw emulous factions and bleed to death upon. Now the dry serpigo on the subject, and war and lechery confound all. Exit 75
71. A whore and a cuckold: l’ed. Oxford segue Q, mentre F inverte (Cuckold and a Whore). 334
Shakespeare IV.indb 334
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
TERSITE
Declinerò per intero il problema: Agamennone comanda Achille; Achille è il mio signore; io sono colui che conosce Patroclo; e Patroclo è un matto. PATROCLO
Canaglia. TERSITE
Calma, matto, non ho ancora finito. ACHILLE (a Patroclo)
Quest’uomo ha il privilegio della parola83. Vai avanti, Tersite. TERSITE
Agamennone è un matto; Achille è un matto; Tersite è un matto e Patroclo, ripeto, è matto. ACHILLE
Dimostralo, avanti. TERSITE
Agamennone è un matto a voler comandare Achille; Achille è un matto a farsi comandare da Agamennone; Tersite è un matto a fare il servo a questo matto qui, e Patroclo è un matto completo. PATROCLO
E perché sarei un matto? TERSITE
Domandalo a Domineddio! A me basta che tu lo sia. Ehi, guarda, chi è che arriva? Entrano Agamennone, Ulisse, Nestore, Diomede, Aiace e Calcante ACHILLE
Patroclo, non parlerò con nessuno. Vieni dentro con me, Tersite. Esce TERSITE
Qui c’è proprio un bel casino, belle truffe, bella furfanteria! E tutta la questione per un cornuto e una puttana: proprio un buon motivo per trascinare ambiziose fazioni a dissanguarsi fino alla morte. Che gli venga la serpigine secca! E che la lussuria confonda tutto quanto84. Esce 335
Shakespeare IV.indb 335
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
AGAMEMNON (to Patroclus) Where is Achilles? PATROCLUS
Within his tent; but ill-disposed, my lord. AGAMEMNON
Let it be known to him that we are here. He faced our messengers, and we lay by Our appertainments, visiting of him. Let him be told so, lest perchance he think We dare not move the question of our place, Or know not what we are. PATROCLUS I shall so say to him.
80
[Exit]
ULYSSES
We saw him at the opening of his tent. He is not sick. AJAX Yes, lion-sick: sick of proud heart. You may call it ‘melancholy’ if you will favour the man, but by my head ’tis pride. But why? Why? Let him show us the cause. [To Agamemnon] A word, my lord.
84
[Ajax and Agamemnon talk apart] NESTOR What moves Ajax thus to bay at him? ULYSSES Achilles hath inveigled his fool from him.
90
NESTOR Who? Thersites? ULYSSES He. NESTOR Then will Ajax lack matter, if he have lost his
argument. ULYSSES No, you see, he is his argument that has his
argument: Achilles.
96
NESTOR All the better — their fraction is more our wish
than their faction. But it was a strong council that a fool could disunite. 78. Faced: emend. Oxford con il significato di faced down = “insolentì”. Altro emend. corregge con shent, con analogo significato. In Q sate = “ignorato”; in F sent = “mandato via”. 80. So: così in Q, in F of, che non cambia il significato; l’ed. Oxford congettura of it. 82. So say: così in F, che l’ed. Oxford preferisce a say so di Q, per ragioni metriche. 336
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
AGAMENNONE (a Patroclo)
Dov’è Achille? PATROCLO
Nella sua tenda. Ma è indisposto, mio signore. AGAMENNONE
Ditegli che siamo qui. Ha insolentito i nostri messaggeri. E ora noi mettiamo da parte le nostre alte cariche per fargli visita. Ditegli proprio questo. Che non arrivi a pensare che non abbiamo il coraggio di far valere la nostra posizione, oppure non sa chi siamo. PATROCLO
Vado a riferirglielo. [Esce] ULISSE
L’abbiamo visto sulla soglia della sua tenda. Non è malato. AIACE
Ma sì, ha la malattia del leone, la malattia del cuore superbo. Chiamatela ‘malinconia’, se volete essere indulgente con lui. A parer mio, però, questo è orgoglio. Ma perché? Perché? Fate in modo che ci dica la ragione. [Ad Agamennone] Una parola, mio signore. [Aiace e Agamennone parlano da parte] NESTORE
Cos’è che muove Aiace a latrargli così contro? ULISSE
Achille gli ha fottuto il suo matto. NESTORE
Chi, Tersite? ULISSE
Proprio lui. NESTORE
Allora ad Aiace mancherà la sostanza, senza il suo oggetto. ULISSE
No, vedi, è il suo soggetto che ha il suo oggetto, Achille85. NESTORE
Meglio così. La loro rottura è più consona ai nostri interessi che la loro amicizia. Ma era proprio un bel sodalizio, se è bastato un matto a romperlo! 337
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
ULYSSES The amity that wisdom knits not, folly may easily
untie.
101
Enter Patroclus Here comes Patroclus. NESTOR No Achilles with him. ULYSSES The elephant hath joints, but none for courtesy:
his legs are legs for necessity, not for flexure. PATROCLUS (to Agamemnon) Achilles bids me say he is much sorry If anything more than your sport and pleasure Did move your greatness and this noble state To call upon him. He hopes it is no other But for your health and your digestion’s sake: An after-dinner’s breath. AGAMEMNON Hear you, Patroclus. We are too well acquainted with these answers. But his evasion, winged thus swift with scorn, Cannot outfly our apprehensions. Much attribute he hath, and much the reason Why we ascribe it to him. Yet all his virtues, Not virtuously on his own part beheld, Do in our eyes begin to lose their gloss, Yea, and like fair fruit in an unwholesome dish Are like to rot untasted. Go and tell him We come to speak with him — and you shall not sin If you do say we think him over-proud And under-honest, in self-assumption greater Than in the note of judgement. And worthier than himself Here tend the savage strangeness he puts on, Disguise the holy strength of their command, And underwrite in an observing kind His humorous predominance — yea, watch His pettish lunes, his ebbs, his flows, as if
105
110
115
120
125
129-130. His pettish… action: così in F; in Q his course, and time, his ebbs and flows, as [and] if / The passage, and whole stream of his commencement 338
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
ULISSE
L’amicizia che non sia unita da saggezza può facilmente essere disunita dalla follia. Entra Patroclo Ecco, arriva Patroclo. NESTORE
E non c’è Achille con lui. ULISSE
L’elefante ha le giunture, ma non per fare inchini di cortesia. Le sue gambe sono gambe per il necessario, non per inchinarsi. PATROCLO (ad Agamennone) Achille mi ha pregato di dirvi che è molto dispiaciuto, se qualsiasi altra cosa che valga di più di divertimento e piacere ha mosso la vostra maestà e nobiltà a venire a chiamarlo. Spera che sia soltanto una passeggiata salutare per digerire, una boccata d’aria dopo mangiato. AGAMENNONE
Ascoltate, Patroclo: siamo anche troppo abituati a questo tipo di risposte. Ma la sua evasione, con le ali rapide dello sdegno, non può sempre sfuggire ai nostri inviti86. Egli ha molto valore, ed è solida la ragione per cui glielo attribuiamo. Ma tutte queste qualità, non virtuosamente coltivate da parte sua, cominciano a perdere lustro ai nostri occhi. E come splendida frutta su un piatto sporco, rischiano di marcire senza essere gustate. Andate a dirglielo: siamo venuti per parlare con lui. Non farete peccato a dirgli che lo reputiamo oltremodo superbo e poco onesto, uno che ha una considerazione di sé maggiore di quanto non sia per giudizio altrui. Persone più importanti di lui, qui, sono alla mercé di quell’atteggiamento di stramba selvatichezza che ha assunto, persone che hanno deposto la sacra insegna del divino potere e assecondano con tolleranza la sua umorale prepotenza; che stanno a guardare le sue lune infantili, i suoi alti e bassi, i suoi sbalzi d’umore, come se l’andamento e
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
The passage and whole carriage of this action Rode on his tide. Go tell him this, and add That if he overbold his price so much We’ll none of him, but let him, like an engine Not portable, lie under this report: ‘Bring action hither, this cannot go to war.’ A stirring dwarf we do allowance give Before a sleeping giant. Tell him so.
130
135
PATROCLUS
I shall, and bring his answer presently. AGAMEMNON
In second voice we’ll not be satisfied; We come to speak with him. — Ulysses, enter you.
140
Exit Ulysses [with Patroclus] AJAX What is he more than another? AGAMEMNON No more than what he thinks he is. AJAX Is he so much? Do you not think he thinks himself
a better man than I am? AGAMEMNON No question. AJAX Will you subscribe his thought, and say he is? AGAMEMNON No, noble Ajax. You are as strong, as valiant, as wise, no less noble, much more gentle, and altogether more tractable. AJAX Why should a man be proud? How doth pride grow? I know not what it is. AGAMEMNON Your mind is the clearer, Ajax, and your virtues the fairer. He that is proud eats up himself. Pride is his own glass, his own trumpet, his own chronicle — and whatever praises itself but in the deed devours the deed in the praise.
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Enter Ulysses
= “il suo comportamento, e tempo, e maree e correnti, come se il passare e l’intero flusso del suo mettersi in moto…”. Lunes: emend. tardo; in F lines, “atteggiamenti”, “capricci”; in Q time. 340
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
tutto il corso di questa impresa dipendessero dalle sue maree. Andate a dirglielo e aggiungete che se alzerà così tanto il suo prezzo, faremo a meno di lui. Ma lasciate pure che, come un macchinario intrasportabile, se ne stia lì con il suo bel cartello: ‘In riparazione; non può andare in guerra’. Teniamo più in considerazione un nano attivo di un gigante addormentato. Ditegli così. PATROCLO
Sarà fatto. E tra poco vi porterò la sua risposta. AGAMENNONE
Non ci basta un portavoce. Siamo venuti per parlare con lui. Ulisse, entra tu. Esce Ulisse [con Patroclo] AIACE
Cos’è lui più di un altro? AGAMENNONE
Non più di quel che pensa di essere87. AIACE
Così tanto? Non pensate che egli creda di essere meglio di quanto non sia io? AGAMENNONE
Indubbiamente. AIACE
Sottoscrivete questo pensiero? Dite che lo è? AGAMENNONE
No, nobile Aiace. Voi siete altrettanto forte, coraggioso, saggio, e non meno nobile, e molto più educato e soprattutto più trattabile. AIACE
Perché un uomo dovrebbe essere superbo? Come cresce la superbia? Io non so che cosa sia. AGAMENNONE
E perciò la vostra mente è più lucida, Aiace, e le vostre virtù più splendenti. Il superbo divora se stesso. L’orgoglio gli fa da specchio, da tromba, da commento. E qualunque lode che pur trovi conferma nei fatti distrugge, lodandolo, il fatto stesso. Entra Ulisse
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
AJAX I do hate a proud man as I hate the engendering
of toads. NESTOR (aside) Yet he loves himself. Is’t not strange? ULYSSES
Achilles will not to the field tomorrow.
160
AGAMEMNON
What’s his excuse? ULYSSES He doth rely on none, But carries on the stream of his dispose Without observance or respect of any, In will peculiar and in self-admission. AGAMEMNON
Why, will he not, upon our fair request, Untent his person and share the air with us?
165
ULYSSES
Things small as nothing, for request’s sake only, He makes important. Possessed he is with greatness, And speaks not to himself but with a pride That quarrels at self-breath. Imagined worth Holds in his blood such swoll’n and hot discourse That ’twixt his mental and his active parts Kingdomed Achilles in commotion rages And batters ’gainst himself. What should I say? He is so plaguy proud that the death tokens of it Cry ‘No recovery’. AGAMEMNON Let Ajax go to him. (To Ajax) Dear lord, go you and greet him in his tent. ’Tis said he holds you well and will be led, At your request, a little from himself.
170
175
ULYSSES
O Agamemnon, let it not be so. We’ll consecrate the steps that Ajax makes When they go from Achilles. Shall the proud lord That bastes his arrogance with his own seam And never suffers matter of the world Enter his thoughts, save such as do revolve And ruminate himself — shall he be worshipped
180
185
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Shakespeare IV.indb 342
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
AIACE
Odio l’uomo superbo, come odio il riprodursi dei rospi. NESTORE (a parte)
Eppure, costui si ama88. Non è strano questo? ULISSE
Achille non andrà in campo domani. AGAMENNONE
Con quale scusa? ULISSE
Non adduce scuse, ma segue il flusso dei suoi umori senza badare a nessuno, senza rispetto, fuorché per la sua personale volontà e soddisfazione. AGAMENNONE
E perché di fronte alla nostra cordiale richiesta non cava fuori la sua persona89 e non viene a respirare con noi? ULISSE
Piccole cose, cose da nulla. Che soltanto perché gli vengono richieste, diventano enormi. Posseduto da manie di grandezza, persino quando parla con se stesso lo fa con una superbia che gli toglie il respiro. Il valore che immagina di avere gli instilla nel sangue parole così enfatiche e roventi che nel regno di Achille mente e corpo girano dissociati in collere e sussulti e lui finisce per distruggersi. Che dire? È superbo in modo così fastidioso che i sintomi di morte lo proclamano ‘Inguaribile’. AGAMENNONE
Aiace vada da lui. (ad Aiace) Caro signore, andate a salutarlo alla sua tenda. Si dice che vi tiene in gran considerazione, e magari su vostra richiesta esce un poco da se stesso. ULISSE
Agamennone, non si faccia così. Dobbiamo benedire i passi che allontanano Aiace da Achille!90 Dovrà il superbo signore che unge la propria arroganza con il proprio stesso s-ego91, e non permette che i fatti del mondo entrino nei suoi pensieri ad eccezione di ciò che macina e rumina lui stesso, dovrà forse essere idolatrato da
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
Of that we hold an idol more than he? No, this thrice-worthy and right valiant lord Must not so stale his palm, nobly acquired, Nor by my will assubjugate his merit, As amply titled as Achilles’ is, By going to Achilles — That were to enlard his fat-already pride And add more coals to Cancer when he burns With entertaining great Hyperion. This lord go to him? Jupiter forbid, And say in thunder ‘Achilles, go to him’. NESTOR (aside to Diomedes) O this is well. He rubs the vein of him. DIOMEDES (aside to Nestor) And how his silence drinks up this applause.
190
195
AJAX
If I go to him, with my armèd fist I’ll pash him o’er the face. AGAMEMNON O no, you shall not go.
200
AJAX
An a be proud with me, I’ll feeze his pride. Let me go to him. ULYSSES
Not for the worth that hangs upon our quarrel. AJAX A paltry insolent fellow.
205
NESTOR (aside) How he describes himself! AJAX Can he not be sociable? ULYSSES (aside) The raven chides blackness. AJAX I’ll let his humour’s blood.
209
AGAMEMNON (aside) He will be the physician that should
be the patient. AJAX An all men were o’ my mind —
202. Qui e passim: An a = if he (non più segnalato). 344
Shakespeare IV.indb 344
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
colui che noi riteniamo un idolo superiore a lui? No, questo signore tre volte nobile e valorosissimo non deve guastare i suoi allori, così nobilmente conquistati. Né, per compiacere me, abbassare la sua reputazione, non meno ampiamente titolata di quella di Achille, andando da lui. Ciò vorrebbe dire ingrassare il suo orgoglio già abbastanza grasso e aggiungere fuoco al segno del Cancro quando accoglie avvampando il grande Iperione92. Deve forse andare da lui questo gran signore? Giove lo proibisca, e dica tonante ‘Vada Achille da Aiace’! NESTORE (a parte, a Diomede) Bene così: gli sta facendo ribollire il sangue. DIOMEDE (a parte, a Nestore) E come si beve il plauso in silenzio! AIACE
Se vado da lui, con il mio pugno di ferro gli appiattisco il muso. AGAMENNONE
No, non ci andrai. AIACE
Provi a fare il superbo con me, lo sistemo io il suo orgoglio. Lascia che ci vada. ULISSE
No, neanche per il prestigio che deriva da questo nostro conflitto. AIACE
Un individuo spregevole, una canaglia! NESTORE (a parte)
Come descrive bene se stesso! AIACE
Non conosce la buona educazione? ULISSE (a parte)
Il corvo che disprezza il nero! AIACE
Gli farò un salasso di quel sangue impazzito. AGAMENNONE (a parte)
Vuol essere il medico, mentre dovrebbe essere il paziente. AIACE
Se tutti gli uomini fossero della mia opinione…
345
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
ULYSSES (aside) Wit would be out of fashion. AJAX A should not bear it so. A should eat swords first.
Shall pride carry it? NESTOR (aside) An’t would, you’d carry half. [AJAX] A would have ten shares. [ULYSSES] (aside) I will knead him; I’ll make him supple. He’s not yet through warm. NESTOR (aside) Farce him with praises. Pour in, pour in! His ambition is dry. ULYSSES (to Agamemnon) My lord, you feed too much on this dislike. NESTOR (to Agamemnon) Our noble general, do not do so. DIOMEDES (to Agamemnon) You must prepare to fight without Achilles.
215
221
ULYSSES
Why, ’tis this naming of him does him harm. Here is a man — but ’tis before his face. I will be silent. NESTOR Wherefore should you so? He is not emulous, as Achilles is.
225
ULYSSES
Know the whole world he is as valiant — AJAX A whoreson dog, that shall palter thus with us — would he were a Trojan!
231
NESTOR
What a vice were it in Ajax now — ULYSSES
If he were proud — Or covetous of praise —
DIOMEDES
216-218. [AJAX] e [ULYSSES]: Q assegna questa battute ad Aiace, mentre F (diremmo più sensatamente) inverte Ulisse con Aiace. 346
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
ULISSE (a parte)
L’intelligenza passerebbe di moda. AIACE
… non potrebbe andare avanti così: per prima cosa gli farei mangiare la spada. Deve sempre prevalere la superbia? NESTORE (a parte) Se lo facesse, per metà sarebbe la tua. [AIACE]
Lui vuole i dieci decimi93. [ULISSE] (a parte) Lo impasto per bene e lo faccio lievitare. Non è ancora del tutto riscaldato. NESTORE (a parte) Rimpinzatelo di lodi. Versate, versate! La sua ambizione ha la gola secca. ULISSE (ad Agamennone) Mio signore, state alimentando troppo questi capricci. NESTORE (ad Agamennone) Nostro nobile generale, non andate avanti così. DIOMEDE (ad Agamennone) Dovete prepararvi a combattere senza Achille. ULISSE
Perché è questo invocarlo continuamente che gli nuoce. Qui c’è un uomo… Ma è qui di fronte a noi. Devo tacere. NESTORE
E perché dovreste? Non è ambizioso come Achille. ULISSE
Ma il mondo sappia che è altrettanto valoroso. AIACE
Cane figlio di puttana, prenderci per il culo così! Ah, se fosse un Troiano! NESTORE
Che bel guaio, se Aiace adesso… ULISSE
Fosse superbo… DIOMEDE
Oppure avido di lodi… 347
Shakespeare IV.indb 347
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 2 SCENE 3
ULYSSES
Ay, or surly borne — Or strange, or self-affected. ULYSSES (to Ajax) Thank the heavens, lord, thou art of sweet composure. Praise him that got thee, she that gave thee suck. Famed be thy tutor, and thy parts of nature Thrice famed beyond, beyond all erudition. But he that disciplined thine arms to fight — Let Mars divide eternity in twain, And give him half. And for thy vigour, Bull-bearing Milo his addition yield To sinewy Ajax. I will not praise thy wisdom, Which like a bourn, a pale, a shore confines Thy spacious and dilated parts. Here’s Nestor, Instructed by the antiquary times: He must, he is, he cannot but be, wise. But pardon, father Nestor: were your days As green as Ajax’, and your brain so tempered, You should not have the eminence of him, But be as Ajax. AJAX Shall I call you father? DIOMEDES
236
240
245
250
ULYSSES
Ay, my good son. Be ruled by him, Lord Ajax. ULYSSES (to Agamemnon) There is no tarrying here: the hart Achilles Keeps thicket. Please it our great general To call together all his state of war. Fresh kings are come today to Troy; tomorrow We must with all our main of power stand fast. And here’s a lord, come knights from east to west And cull their flower, Ajax shall cope the best. DIOMEDES
255
256. To day to Troy: così in ed. Oxford, che amplifica to Troy (in Q e F) per ragioni metriche. 348
Shakespeare IV.indb 348
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TROILO E CRESSIDA, ATTO II SCENA 3
ULISSE
Sì, oppure insolente di natura… DIOMEDE
Oppure stambo, o vanesio! ULISSE (ad Aiace)
Grazie al cielo, signore, voi siete di buon pasta. Sia lodato chi vi ha generato e colei che vi allattò. Onori al vostro educatore e tre volte onorato ogni aspetto della vostra natura, al di là di qualsiasi educazione. Ma per colui che ha addestrato le vostre braccia alla battaglia, Marte divida l’eternità in due e gliene dia la metà. In nome del vostro vigore, Milone sollevatore di tori94 ceda il suo titolo al nerboruto Aiace. Non loderò la vostra saggezza che, come un ruscello, uno steccato, una costa, traccia i confini delle vostre grandi ed esuberanti membra. Qui c’è Nestore, la cui vetustà gli è maestra: egli deve, egli è, egli non può che essere saggio. Pardon, padre Nestore, se i vostri anni fossero verdi come quelli di Aiace e il vostro cervello così maturato, non potreste essere superiore a lui, ma suo pari. AIACE
Posso chiamarvi padre? NESTORE
Sì, figlio caro. DIOMEDE
Fatevi guidare da lui, Signor Aiace. ULISSE (ad Agamennone)
Basta indugi qui. Il cervo Achille continua a darsi alla macchia. Voglia il nostro gran generale richiamare tutti in consiglio di guerra. Oggi nuovi re hanno raggiunto Troia. Domani dobbiamo resistere compatti con tutte le nostre forze. E qui c’è un campione: vengano pure cavalieri da est a ovest, si scelga il fior fiore, Aiace terrà testa al migliore.
349
Shakespeare IV.indb 349
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
AGAMEMNON
Go we to counsel. Let Achilles sleep. Light boats sail swift, though greater hulks draw deep. Exeunt 3.1
260
Music sounds within. Enter Pandarus [at one door] and a Servant [at another door]
PANDARUS Friend? You. Pray you, a word. Do not you
follow the young Lord Paris? SERVANT Ay, sir, when he goes before me. PANDARUS You depend upon him, I mean. SERVANT Sir, I do depend upon the Lord.
5
PANDARUS You depend upon a notable gentleman; I must
needs praise him. SERVANT The Lord be praised! PANDARUS You know me — do you not? SERVANT Faith, sir, superficially. PANDARUS Friend,
10
know me better. I am the Lord
Pandarus. SERVANT I hope I shall know your honour better. PANDARUS I do desire it. SERVANT You are in the state of grace? PANDARUS Grace? Not so, friend. ‘Honour’ and ‘lordship’ are my titles. What music is this?
15
261. Hulks: così in Q; in F bulks = “masse”, “volumi”. 6. Notable: così in Q; in F noble = “nobile”. 350
Shakespeare IV.indb 350
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
AGAMENNONE
Andiamo al consiglio. Lasciamo che Achille dorma. Navi leggere veleggiano veloci, anche se i grandi scafi pescano a fondo95. Escono III, 1
Musica all’interno. Entrano Pandaro [da una porta] e un Servitore [da un’altra porta]96
PANDARO
Ehi, amico? Sì, dico a voi. Ascoltate: non siete al seguito del giovane signor Paride?97 SERVITORE
Certo, signore, quando mi cammina davanti. PANDARO
Se siete alle sue dipendenze, intendo. SERVITORE
Sì, sono alle dipendenze del Signore. PANDARO
Siete alle dipendenze di un gentiluomo. Non posso che lodarlo. SERVITORE
Il Signore sempre sia lodato! PANDARO
Mi conoscete, non è vero? SERVITORE
In verità, signore, superficialmente. PANDARO
Amico, conoscetemi meglio. Sono Messer Pandaro. SERVITORE
Spero di conoscere meglio il vostro onore. PANDARO
È ciò che desidero. SERVITORE
Siete in uno stato di grazia? PANDARO
Grazia! No, amico, ma potete chiamarmi con i titoli di ‘vostro onore’ e ‘vossignoria’. Che musica è questa?
351
Shakespeare IV.indb 351
30/11/2018 09:31:56
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
SERVANT I do but partly know, sir. It is music in parts. PANDARUS Know you the musicians? SERVANT Wholly, sir.
20
PANDARUS Who play they to? SERVANT To the hearers, sir. PANDARUS At whose pleasure, friend? SERVANT At mine, sir, and theirs that love music. PANDARUS ‘Command’ I mean, friend.
25
SERVANT Who shall I command, sir? PANDARUS Friend, we understand not one another. I am
too courtly and thou too cunning. At whose request do these men play? SERVANT That’s to’t indeed, sir. Marry, sir, at the request of Paris my lord, who’s there in person; with him, the mortal Venus, the heart-blood of beauty, love’s visible soul — PANDARUS Who, my cousin Cressida? SERVANT No, sir, Helen. Could not you find out that by her attributes? PANDARUS It should seem, fellow, that thou hast not seen the Lady Cressid. I come to speak with Paris from the Prince Troilus. I will make a complimental assault upon him, for my business seethes. SERVANT Sodden business! There’s a stewed phrase, indeed.
34
40
18. In parts: ambiguo, può significare “parzialmente” come anche, in termini musicali, “in contrappunto”. 32. Visible: emend. tardo; in Q e F invisible. Rispetto a invisible inteso come qualità della Bellezza ideale, sottolinea maggiormente l’aspetto terreno dell’amore e, in generale, l’ironia della battuta. 352
Shakespeare IV.indb 352
30/11/2018 09:31:56
TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
SERVITORE
Non la conosco che in parte. Suonano in contrappunto98. PANDARO
Conoscete i musicanti? SERVITORE
Quelli li conosco tutti. PANDARO
Per chi suonano? SERVITORE
Per chi li ascolta, Signore99. PANDARO
Per il piacere di chi, amico? SERVITORE
Per il mio, signore, e per quello di coloro che amano la musica. PANDARO
E chi la paga, amico? SERVITORE
E chi dovrei pagare, signore? PANDARO
Amico, proprio non ci comprendiamo. Io sono troppo cortese e tu sei troppo astuto. Su richiesta di chi suonano costoro? SERVITORE
Così è chiaro, certo. Bene, messere, su richiesta di Paride mio signore, che è là, in persona. Con lui c’è la Venere terrena, cuore pulsante di bellezza, anima visibile dell’amore… PANDARO
Chi, mia nipote Cressida? SERVITORE
No, signore, Elena. Non l’avete riconosciuta dai miei epiteti? PANDARO
Pare proprio, ragazzo, che tu non abbia mai visto Lady Cressida. Vengo a parlare con Paride da parte del principe Troilo. Lo aggredirò di complimenti: roba che scotta! SERVITORE
Roba scotta, semmai!100 E grandi guasti in vista!
353
Shakespeare IV.indb 353
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
Enter Paris and Helen, attended [by musicians] PANDARUS Fair be to you, my lord, and to all this fair
company. Fair desires in all fair measure fairly guide them — especially to you, fair Queen. Fair thoughts be your fair pillow. HELEN Dear lord, you are full of fair words. PANDARUS You speak your fair pleasure, sweet Queen. (To Paris) Fair prince, here is good broken music. PARIS You have broke it, cousin, and by my life you shall make it whole again. You shall piece it out with a piece of your performance. — Nell, he is full of harmony. PANDARUS Truly, lady, no. HELEN O sir.
46
52
[She tickles him] PANDARUS Rude, in sooth, in good sooth very rude.
55
PARIS Well said, my lord. Will you say so in fits? PANDARUS I have business to my lord, dear Queen. — My
lord, will you vouchsafe me a word? HELEN Nay, this shall not hedge us out. We’ll hear you
sing, certainly. sweet Queen, you are pleasant with me. — But marry, thus, my lord: my dear lord and most esteemed friend, your brother Troilus — HELEN My lord Pandarus, honey-sweet lord.
60
PANDARUS Well,
354
Shakespeare IV.indb 354
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
Entrano Paride ed Elena, con seguito [di musicanti] PANDARO
Buone cose a voi, signore, e a tutta questa bella compagnia. Buoni desideri, ben misurati, vi guidino nel modo migliore – specialmente voi, buonissima regina! Bei pensieri siano il vostro cuscino101. ELENA
Caro signore, voi siete ricco di belle parole. PANDARO
È il vostro bellissimo garbo che vi fa parlare così. (a Paride) Caro principe, ecco un bello stacco musicale. PARIDE
La musica ce l’hai staccata tu, cugino102. E, sulla mia vita, come l’hai interrotta ti conviene farla ripartire. Facci un bel pezzo del tuo repertorio. – Lella103, costui ha del talento musicale. PANDARO
Davvero, signora, non è così. ELENA
O, signore… [Lo solletica] PANDARO
Giuro, sono incapace. In tutta verità, proprio incapace. PARIDE
Ben detto, signore. Ora ditelo in sol-la-si104. PANDARO
Ho cose importanti da dire al mio signore, cara regina. Signore, mi degnate di una parola? ELENA
No, no, non ci deluderete così. Vi ascolteremo cantare, sicuro. PANDARO
Bene, dolce regina. Voi siete sempre simpatica con me. Ma veniamo al dunque, signore: il mio caro e stimato amico, vostro fratello Troilo… ELENA
Signor Pandaro, tesoro, dolce signore…
355
Shakespeare IV.indb 355
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
PANDARUS Go to, sweet Queen, go to! — commends himself
most affectionately to you.
66
HELEN You shall not bob us out of our melody. If you do,
our melancholy upon your head. PANDARUS Sweet Queen, sweet Queen, that’s a sweet
Queen. Ay, faith —
70
HELEN And to make a sweet lady sad is a sour offence. PANDARUS Nay, that shall not serve your turn; that shall
it not, in truth, la. Nay, I care not for such words. No, no. — And, my lord, he desires you that, if the King call for him at supper, you will make his excuse. HELEN My lord Pandarus. PANDARUS What says my sweet Queen, my very very sweet Queen? PARIS What exploit’s in hand? Where sups he tonight? HELEN Nay, but my lord — PANDARUS What says my sweet Queen? My cousin will fall out with you. HELEN (to Paris) You must not know where he sups. PARIS I’ll lay my life, with my dispenser Cressida. PANDARUS No, no! No such matter. You are wide. Come, your dispenser is sick. PARIS Well, I’ll make ’s excuse. PANDARUS Ay, good my lord. Why should you say Cressida? No, your poor dispenser’s sick.
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84. Dispenser: emend. Oxford; in F e Q disposer. Dispenser è termine polisenso, per cui Cressida può “dispensare” cure agli ammalati d’amore, “provvedere” la cena, “concedere” favori sessuali, “giustificare” l’assenza di Troilo. 356
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
PANDARO
Ovvìa, cara regina, ovvìa! … Si raccomanda affettuosamente a voi. ELENA
Non ci priverete dalla musica. Se lo farete, la malinconia ricada sul vostro capo. PANDARO
Dolce regina, dolce regina! Questa sì che è una dolcissima regina, per la… ELENA
E rattristare una dolce signora è una sgradevole offesa. PANDARO
E no, però, questo non vi conviene. No, no, proprio no, ecco. Non baderò a queste lusinghe. No, no… Ecco, signore, lui vi prega che, se il re a cena chiedesse di lui, voi gli porgiate le sue scuse. ELENA
Caro signor Pandaro. PANDARO
Che cosa dice la mia dolce regina, la mia dolcissima regina? PARIDE
Quale affare ha per le mani? E dove cena stasera? ELENA
Ecco, mio signore… PANDARO
Cosa dice la mia dolce regina? Mia nipote vi terrà il muso105. ELENA
(a Paride) Non dovete sapere dove cena Troilo. PARIDE
Ci gioco la testa: con Cressida, la nostra dispensiera106. PANDARO
No, no, non è proprio questo il fatto. Risposta sbagliata. La dispensiera è costipata. PARIDE
Bene, porgerò le scuse di Troilo. PANDARO
Ottimo, signore. Ma perché pensare a Cressida? La povera dispensiera sta male.
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Shakespeare IV.indb 357
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
PARIS ‘I spy.’ PANDARUS You spy? What do you spy? — [To a musician]
Come, give me an instrument. — Now, sweet Queen. HELEN Why, this is kindly done! PANDARUS My niece is horrible in love with a thing you have, sweet Queen. HELEN She shall have it, my lord — if it be not my lord Paris. PANDARUS He? No, she’ll none of him. They two are twain. HELEN Falling in, after falling out, may make them three. PANDARUS Come, come, I’ll hear no more of this. I’ll sing you a song now. HELEN Ay, ay, prithee. Now by my troth, sweet lord, thou hast a fine forehead.
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[She strokes his forehead] PANDARUS Ay, you may, you may.
105
HELEN Let thy song be love. ‘This love will undo us all.’
O Cupid, Cupid, Cupid! PANDARUS Love? Ay, that it shall, i’faith. PARIS Ay, good now, ‘Love, love, nothing but love’. PANDARUS In good truth, it begins so.
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(Sings) Love, love, nothing but love, still love, still more! For O love’s bow
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Shakespeare IV.indb 358
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
PARIDE
‘Vedo’107. PANDARO
Voi vedete! E cosa vedete? [a un musicante] Avanti, datemi uno strumento. Eccomi, dolce regina. ELENA
Oh! finalmente un gesto gentile. PANDARO
Mia nipote è follemente innamorata di una cosa di vostra proprietà, dolce regina. ELENA
L’avrà, signore, purché non sia il mio Paride. PANDARO
Lui! Macché. Le è uscito di testa. Ora sono estranei l’uno all’altra. ELENA
Entra oggi, esce domani, finisce che si ritrovano in tre. PANDARO
Avanti, avanti, basta così. Ora vi canterò una canzone. ELENA
Oh sì, vi prego. Lo sai, dolce signore, che hai proprio una bella fronte108. [Gli accarezza la fronte] PANDARO
Sì, brava, così. ELENA
Che sia una canzone d’amore. ‘Amore che tutto vince’109. Cupido, Cupido, Cupido! PANDARO
Vuoi l’amore? E che amore sia, per davvero! PARIDE
Sì, amore, subito per piacere, ‘amore, nient’altro che amore’! PANDARO
Ebbene, comincia così. (Canta) Amore, amore, nient’altro che amore, ancora di più! Dell’arco d’amore la freccia 359
Shakespeare IV.indb 359
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 1
Shoots buck and doe. The shaft confounds Not that it wounds, But tickles still the sore. These lovers cry ‘O! O!’, they die. Yet that which seems the wound to kill Doth turn ‘O! O!’ to ‘ha ha he!’ So dying love lives still. ‘O! O!’ a while, but ‘ha ha ha!’ ‘O! O!’ groans out for ‘ha ha ha!’ — Heigh-ho. HELEN In love — ay, faith, to the very tip of the nose. PARIS He eats nothing but doves, love, and that breeds hot blood, and hot blood begets hot thoughts, and hot thoughts beget hot deeds, and hot deeds is love. PANDARUS Is this the generation of love: hot blood, hot thoughts, and hot deeds? Why, they are vipers. Is love a generation of vipers?
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[Alarum] Sweet lord, who’s afield today? PARIS Hector, Deiphobus, Helenus, Antenor, and all the
gallantry of Troy. I would fain have armed today, but my Nell would not have it so. How chance my brother Troilus went not? HELEN He hangs the lip at something. You know all, Lord Pandarus. PANDARUS Not I, honey-sweet Queen. I long to hear how they sped today. — You’ll remember your brother’s excuse? PARIS To a hair. PANDARUS Farewell, sweet Queen.
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Shakespeare IV.indb 360
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 1
il cervo e la daina colpisce, stupisce, ferisce ma no! – è appena un bruciore appena un pizzico al cuore una breccia. Ahi, all’amore piangendo – oh, sì! e fino alla morte godendo – ah! Mentre ah diventa oh, oh, uh, ah l’amore morendo rivive: oh, oh – no, un momento! – è ah, ah, oh, oh – gemono – ah, uh, ah! Su su su!110 ELENA
Innamoratissimi! Fino alla punta del naso. PARIDE
Non si alimenta che di colombe l’amore, e ciò è il nutrimento del sangue caldo, e il sangue caldo genera caldi pensieri, e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono a-mo-re! PANDARO
È questa la genesi dell’amore? Caldo sangue, caldi pensieri, calde azioni? Ma sono vipere! Genera vipere l’amore?111 [Allarme] Dolce signore, chi scende in campo oggi? PARIDE
Ettore, Deifobo, Eleno, Antenore, tutto il fior fiore di Troia. Avrei preso volentieri le armi anch’io, quest’oggi, ma la mia Lellina non me l’ha permesso. Per quale motivo il caro Troilo non è andato? ELENA
È sulle spine112… Voi lo sapete bene, signor Pandaro… PANDARO
Non so nulla, dolce regina. Ora voglio sentire il bollettino di guerra. Voi vi ricorderete di scusare vostro fratello? PARIDE
Fino all’ultima sillaba. PANDARO
Addio, dolce regina. 361
Shakespeare IV.indb 361
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
HELEN Commend me to your niece. PANDARUS I will, sweet Queen.
Exit
Sound a retreat PARIS
They’re come from field. Let us to Priam’s hall To greet the warriors. Sweet Helen, I must woo you To help unarm our Hector. His stubborn buckles, With these your white enchanting fingers touched, Shall more obey than to the edge of steel Or force of Greekish sinews. You shall do more Than all the island kings: disarm great Hector.
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HELEN
’Twill make us proud to be his servant, Paris; Yea, what he shall receive of us in duty Gives us more palm in beauty than we have — Yea, overshines ourself. PARIS Sweet above thought, I love thee! Exeunt 3.2
Enter Pandarus [at one door] and Troilus’ man [at another door]
PANDARUS How now, where’s thy master? At my cousin
Cressida’s? MAN No, sir, he stays for you to conduct him thither.
Enter Troilus PANDARUS O here he comes. — How now, how now? TROILUS Sirrah, walk off.
Exit Man
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Shakespeare IV.indb 362
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
ELENA
Ossequi alla nipotina. PANDARO
Non mancherò, dolce regina. Esce Suona la ritirata PARIDE
Tornano dal campo. Andiamo alla loggia di Priamo, a rendere omaggio ai guerrieri. Dolce Elena, devo corteggiarti un po’ perché mi aiuti a disarmare Ettore: le sue fibbie tenaci, toccate da queste bianche, incantevoli dita, obbediranno più ad esse che alle lame d’acciaio o alla forza dei muscoli greci. Farai qualcosa di più importante di tutti i re delle isole: disarma il grande Ettore. ELENA
Ciò mi renderà orgogliosa di essere sua schiava, Paride. Certo il servizio che lui riceverà da noi farà ulteriore onore a quella bellezza che già abbiamo, e ci darà un lustro enorme. PARIDE
Mia dolcissima, ti amo! Escono III, 2
Entrano Pandaro [da una porta] e l’attendente di Troilo [da un’altra porta]113
PANDARO
Allora, dov’è il tuo padrone? Da mia nipote Cressida? ATTENDENTE
No, signore, aspetta che lo accompagnate voi. Entra Troilo PANDARO
Oh, eccolo che viene. Allora, come va? TROILO
Esci pure, ragazzo. Esce l’attendente
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Shakespeare IV.indb 363
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
PANDARUS Have you seen my cousin?
6
TROILUS
No, Pandarus, I stalk about her door Like a strange soul upon the Stygian banks Staying for waftage. O be thou my Charon, And give me swift transportance to those fields Where I may wallow in the lily beds Proposed for the deserver. O gentle Pandar, From Cupid’s shoulder pluck his painted wings And fly with me to Cressid. PANDARUS Walk here i’th’ orchard. I’ll bring her straight.
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Exit TROILUS
I am giddy. Expectation whirls me round. Th’imaginary relish is so sweet That it enchants my sense. What will it be When that the wat’ry palates taste indeed Love’s thrice-repurèd nectar? Death, I fear me, Swooning destruction, or some joy too fine, Too subtle-potent, tuned too sharp in sweetness For the capacity of my ruder powers. I fear it much, and I do fear besides That I shall lose distinction in my joys, As doth a battle when they charge on heaps The enemy flying.
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Enter Pandarus PANDARUS She’s making her ready. She’ll come straight.
You must be witty now. She does so blush, and fetches her wind so short as if she were frayed with a spirit. I’ll fetch her. It is the prettiest villain! She fetches her breath as short as a new-ta’en sparrow. Exit
12. Pandar: l’abbreviazione del nome Pandarus ne rivela la storia: pander è passato nella lingua moderna col significato di “ruffiano”. 364
Shakespeare IV.indb 364
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
PANDARO
Avete visto mia nipote? TROILO
No, Pandaro. Vado avanti e indietro sulla sua porta, come un’anima straniera presso le rive della Palude Stigia in attesa di essere traghettata114. Fossi tu il mio Caronte, e potessi darmi un rapido passaggio a quei Campi Elisi dove rotolarmi nei letti di gigli promessi ai meritevoli! Gentile Pandaro, cogli dalle spalle di Cupido le sue ali dipinte e vola con me da Cressida! PANDARO
Fai due passi qui nel giardino. Te la porterò subito. Esce TROILO
Sono stordito. L’attesa mi fa girare la testa. L’assaggio che nell’immaginazione mi pregusto è così dolce da incantarmi i sensi. Ma che accadrà, quando il palato, già affamato, avrà assaggiato davvero il nettare tre volte distillato dell’amore? Sarà la morte, temo, uno svanire di tutti i sensi, oppure qualche gioia troppo pura, troppo sottile e potente insieme, accordata per essere eccessivamente pungente nella sua dolcezza per la portata della mia rozza sensibilità. Lo temo molto. E temo anche di perdere la capacità di distinguere tra tutti questi piaceri, come in battaglia, quando si carica in massa il nemico che fugge115. Entra Pandaro PANDARO
Si sta preparando. Arriva subito. Ora devi essere accorto. Arrossisce così tanto e ha il respiro così corto, come se l’avesse spaventata un fantasma. Vado a prenderla. È la più graziosa mascanzoncella che ci sia! Neanche un passerotto appena catturato respira così affannosamente116. Esce
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
TROILUS
Even such a passion doth embrace my bosom. My heart beats thicker than a feverous pulse, And all my powers do their bestowing lose, Like vassalage at unawares encount’ring The eye of majesty.
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Enter Pandarus, with Cressida [veiled] PANDARUS (to Cressida) Come, come, what need you blush?
Shame’s a baby. (To Troilus) Here she is now. Swear the oaths now to her that you have sworn to me. (To Cressida) What, are you gone again? You must be watched ere you be made tame, must you? Come your ways, come your ways. An you draw backward, we’ll put you i’th’ thills. (To Troilus) Why do you not speak to her? (To Cressida) Come, draw this curtain, and let’s see your picture. [He unveils her] Alas the day! How loath you are to offend daylight! An’t were dark, you’d close sooner. So, so. (To Troilus) Rub on, and kiss the mistress. (They kiss) How now, a kiss in fee farm! Build there, carpenter, the air is sweet. Nay, you shall fight your hearts out ere I part you. The falcon as the tercel, for all the ducks i’th’ river. Go to, go to. TROILUS You have bereft me of all words, lady. PANDARUS Words pay no debts; give her deeds. But she’ll bereave you o’th’ deeds too, if she call your activity in question. (They kiss) What, billing again? Here’s ‘in witness whereof the parties interchangeably’. Come in, come in. I’ll go get a fire. Exit CRESSIDA Will you walk in, my lord? TROILUS O Cressida, how often have I wished me thus. CRESSIDA Wished, my lord? The gods grant — O, my lord!
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
TROILO
Un’uguale passione mi stringe il petto. Il cuore mi batte più forte che per la febbre. Tutte le mie facoltà perdono forza, come i vassalli quando all’improvviso incontrano l’occhio del signore. Entra Pandaro, con Cressida [velata] PANDARO
(a Cressida) Avanti, avanti, che bisogno c’è di arrossire? La vergogna è bambina. (A Troilo) Eccola qui, finalmente. Ora rivolgi anche a lei i giuramenti che hai pronunciato con me. (A Cressida) Come, te ne vai ancora? Dobbiamo sorvegliarti finché non sarai domata117, non è così? Avanti, avanti! E se ti tiri indietro, ti metteremo le stanghe!118 (A Troilo) Perché non le parli? (A Cressida) Su, scosta la frangia e lasciaci vedere questo bel dipinto [Le toglie il velo]119. Maledetto il giorno, come sei restia a offendere la sua luce! Se fosse scuro, però, faresti più presto a farti accanto... Così, così (a Troilo). Sponda e tocco al boccino. (Si baciano). Allora, un bel bacio in libero usufrutto! Costruisci qui, falegname, l’aria è pulita120. Ecco, ora farete combattere i vostri cuori prima che io vi separi. Maschio o femmina che sia, il falcone darà del fi lo da torcere a tutte le oche del fiume! Avanti, su!121 TROILO
Mi avete lasciato senza parole, signora. PANDARO
Le parole non pagano i debiti. Dalle dei fatti. Altrimenti questa qui ti priva pure dei fatti, se decide di mettere alla prova la tua forza d’azione. (Si baciano) Che, ancora lì a tubare? Qui si legge ‘In testimonianza di ciò che le due parti reciprocamente…’122. Andate avanti voi, ché io vado a cercare del fuoco. Esce CRESSIDA
Volete entrare, mio signore? TROILO
Cressida, quante volte l’ho desiderato! CRESSIDA
Desiderato, signore! Gli dèi concedano… – mio signore!123 367
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
TROILUS What should they grant? What makes this pretty
abruption? What too-curious dreg espies my sweet lady in the fountain of our love? CRESSIDA More dregs than water, if my fears have eyes. TROILUS Fears make devils of cherubims; they never see truly. CRESSIDA Blind fear, that seeing reason leads, finds safer footing than blind reason, stumbling without fear. To fear the worst oft cures the worse. TROILUS O let my lady apprehend no fear. In all Cupid’s pageant there is presented no monster. CRESSIDA Nor nothing monstrous neither? TROILUS Nothing but our undertakings, when we vow to weep seas, live in fire, eat rocks, tame tigers, thinking it harder for our mistress to devise imposition enough than for us to undergo any difficulty imposed. This is the monstruosity in love, lady — that the will is infinite and the execution confined; that the desire is boundless and the act a slave to limit. CRESSIDA They say all lovers swear more performance than they are able, and yet reserve an ability that they never perform: vowing more than the perfection of ten, and discharging less than the tenth part of one. They that have the voice of lions and the act of hares, are they not monsters? TROILUS Are there such? Such are not we. Praise us as we are tasted; allow us as we prove. Our head shall go bare till merit crown it. No perfection in reversion shall have a praise in present. We will not name desert before his birth, and being born his addition shall be
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65. Fears: così in F3; in Q e F tears = “lacrime”. 368
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
TROILO
Che cosa dovrebbero concedere? A che cosa si deve questa graziosa interruzione? Quale strana feccia intravvede la mia dolce signora nella fontana del nostro amore? CRESSIDA
Più feccia che acqua, se le mie paure ci vedono bene. TROILO
Le paure fanno diavoli i cherubini. Non vedono mai la verità. CRESSIDA
Una paura cieca, condotta da una ragione vigile, procede più sicura di una ragione cieca che inciampa senza paura. Temere il peggio spesso previene il peggio. TROILO
La mia signora non deve temere nulla: non ci sono mostri nei cortei di Cupido124. CRESSIDA
Né alcunché di mostruoso? TROILO
Nulla. Ad eccezione delle nostre promesse. Quando giuriamo di prosciugare mari, vivere nel fuoco, trangugiare rocce, domare tigri; e pensiamo che sia più difficile per la nostra donna escogitare prove abbastanza dure per noi piuttosto che sottoporre noi stessi a qualsiasi difficoltà. Signora, la mostruosità dell’amore è questa: che il volere è infinito, mentre l’adempimento ha dei confini; che il desiderio è illimitato, mentre l’atto è schiavo del limite125. CRESSIDA
Si dice che tutti gli innamorati giurino di fare più di quanto non siano capaci. E posseggono un’abilità che non riescono mai a mettere in pratica: promettono di fare più di un dieci perfetto e rendono poi meno della decima parte di uno. Costoro che hanno voce di leoni e agiscono come leprotti non sono forse dei mostri? TROILO
Ammesso che loro lo siano, noi non lo siamo. Lodateci soltanto dopo averci provati e, una volta provati, approvateci. Andremo a capo scoperto finché il merito non l’avrà insignito della corona. Garanzie ereditate non fanno la lode del presente. Non parleremo di merito prima che esso non sia sorto; una volta nato, esso avrà 369
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
humble. Few words to fair faith. Troilus shall be such to Cressid as what envy can say worst shall be a mock for his truth; and what truth can speak truest, not truer than Troilus. CRESSIDA Will you walk in, my lord?
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Enter Pandarus PANDARUS What,
blushing still? Have you not done talking yet? CRESSIDA Well, uncle, what folly I commit I dedicate to you. PANDARUS I thank you for that. If my lord get a boy of you, you’ll give him me. Be true to my lord. If he flinch, chide me for it. TROILUS (to Cressida) You know now your hostages: your uncle’s word and my firm faith. PANDARUS Nay, I’ll give my word for her too. Our kindred, though they be long ere they are wooed, they are constant being won. They are burrs, I can tell you: they’ll stick where they are thrown.
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CRESSIDA
Boldness comes to me now, and brings me heart, Prince Troilus, I have loved you night and day For many weary months.
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TROILUS
Why was my Cressid then so hard to win? CRESSIDA
Hard to seem won; but I was won, my lord, With the first glance that ever — pardon me: If I confess much, you will play the tyrant. I love you now, but till now not so much But I might master it. In faith, I lie: My thoughts were like unbridled children, grown Too headstrong for their mother. See, we fools!
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117. Till now not: così in Q (enfasi su till); in F not till now. 370
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
umile fama. Una solare sincerità richiede poche parole. Troilo con Cressida si comporterà in modo tale che quanto l’invidia potrà dire di peggio non sarà che uno scherno per la sua fedeltà, e quanto la verità potrà dire di vero non sarà più sincera di Troilo. CRESSIDA
Volete entrare, signore? Entra Pandaro PANDARO
Che, ancora rossori? Non avete ancora finito di cianciare? CRESSIDA
Dunque, zio, la follia che sto per commettere la dedicherò a te. PANDARO
Te ne sono grato. E se il mio signore avrà un bambino da voi, lo affiderete a me. Siate fedele al mio signore. E se lui fa cilecca, prendetevela pure con me. TROILO (a Cressida) Ora conoscete i vostri ostaggi: la parola di vostro zio e la mia solida fedeltà. PANDARO
Anzi, darò la mia parola anche per lei: le nostre donne, benché ci voglia un po’ di tempo per sedurle, si lasciano poi eternamente conquistare. Sono come lappole, te lo assicuro. Dove si posano, stanno126. CRESSIDA
Ora torna l’audacia a darmi un po’ di coraggio. Principe Troilo, vi ho amato notte e giorno per molti, interminabili, mesi. TROILO
E perché allora la mia Cressida era così difficile da vincere? CRESSIDA
Difficile da sembrare vinta. Ma fui vinta, mio signore, fin dal primo sguardo… Perdonatemi, più io confesso, e più voi siete autorizzato a fare la parte del tiranno. Vi amo, ora. Ma fino ad ora non così tanto da non riuscire a governarmi. No, non è vero: i miei pensieri erano piuttosto come bimbi disobbedienti, venuti su con la testa troppo dura per le loro madri. Ecco, matte che siamo! Perché ho 371
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
Why have I blabbed? Who shall be true to us, When we are so unsecret to ourselves? But though I loved you well, I wooed you not — And yet, good faith, I wished myself a man, Or that we women had men’s privilege Of speaking first. Sweet, bid me hold my tongue, For in this rapture I shall surely speak The thing I shall repent. See, see, your silence, Cunning in dumbness, in my weakness draws My soul of counsel from me. Stop my mouth.
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TROILUS
And shall, albeit sweet music issues thence. He kisses her PANDARUS Pretty, i’ faith. CRESSIDA (to Troilus)
My lord, I do beseech you pardon me. ’Twas not my purpose thus to beg a kiss. I am ashamed. O heavens, what have I done? For this time will I take my leave, my lord. TROILUS Your leave, sweet Cressid? PANDARUS Leave? An you take leave till tomorrow morning —
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CRESSIDA
Pray you, content you. TROILUS
What offends you, lady?
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CRESSIDA Sir, mine own company. TROILUS You cannot shun yourself. CRESSIDA Let me go and try.
I have a kind of self resides with you — But an unkind self, that itself will leave To be another’s fool. Where is my wit? I would be gone. I speak I know not what.
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129. Cunning: emend. tardo, a sottolineare quella che sarebbe l’astuta strategia del silenzio adottata da Troilo. In Q e F coming in dumbness = “che si fa mutismo”; In my weakness: emend. Oxford; In Q e F from my weakness. 372
Shakespeare IV.indb 372
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
parlato a vanvera? Chi potrà mai esserci fedele, se siamo così sventate con noi stesse? Benché vi amassi, però, non vi ho corteggiato. Eppure, lo giuro, avrei voluto essere un uomo, o che noi donne avessimo il privilegio maschile di parlare per prime. Tesoro, chiedimi di tenere a freno la lingua, perché in questa estasi di gioia sicuramente dirò cose di cui pentirmi. Vedete, il vostro silenzio – voi sì che siete astuto a tacere – ruba alla mia debolezza il pensiero più profondo. Chiudetemi la bocca! TROILO
Lo farò, benché ne esca un dolce suono. La bacia PANDARO
Carini davvero. CRESSIDA (a Troilo)
Mio signore, vi prego, perdonatemi. Non volevo supplicare un bacio. Sono desolata. Cielo, che ho fatto? Per questa volta mi congederò, mio signore. TROILO
Ve ne andate, dolce Cressida? PANDARO
Andarvene? Se ve ne andrete, di qui a domattina…127 CRESSIDA
Vi prego, accontentatevi. TROILO
Che cosa vi infastidisce, signora? CRESSIDA
Signore, la compagnia di me stessa. TROILO
Non potete fuggire da voi stessa128. CRESSIDA
Lasciatemi andare e ci proverò. Una parte di me resta con voi. Ma è una parte di me ineducata, che finirà per lasciare me stessa alla berlina di un altro. Avrei dovuto andarmene. Ma dove ho la testa? Non so che mi dico.
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Shakespeare IV.indb 373
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 2
TROILUS
Well know they what they speak that speak so wisely. CRESSIDA
Perchance, my lord, I show more craft than love, And fell so roundly to a large confession To angle for your thoughts. But you are wise, Or else you love not — for to be wise and love Exceeds man’s might: that dwells with gods above.
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TROILUS
O that I thought it could be in a woman — As, if it can, I will presume in you — To feed for aye her lamp and flames of love, To keep her constancy in plight and youth, Outliving beauty’s outward, with a mind That doth renew swifter than blood decays; Or that persuasion could but thus convince me That my integrity and truth to you Might be affronted with the match and weight Of such a winnowed purity in love. How were I then uplifted! But alas, I am as true as truth’s simplicity, And simpler than the infancy of truth.
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160
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CRESSIDA
In that I’ll war with you. O virtuous fight, When right with right wars who shall be most right. True swains in love shall in the world to come Approve their truth by Troilus. When their rhymes, Full of protest, of oath and big compare, Wants similes, truth tired with iteration — ‘As true as steel, as plantage to the moon, As sun to day, as turtle to her mate, As iron to adamant, as earth to th’ centre’ — Yet, after all comparisons of truth, As truth’s authentic author to be cited, ‘As true as Troilus’ shall crown up the verse And sanctify the numbers.
TROILUS
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Shakespeare IV.indb 374
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
TROILO
Sanno bene di che parlano coloro che parlano così saggiamente. CRESSIDA
Forse credete, mio signore, che sfoggi più astuzia che amore. E che mi sia lasciata andare così liberamente a un’ampia confessione per cercare di catturare i vostri pensieri. Ma voi siete saggio. Oppure non amate. Perché essere saggi e innamorati insieme supera ogni umana possibilità. È cosa che appartiene solo agli dèi lassù129. TROILO
Se solo pensassi che esista in una donna – come, ammesso che ciò sia possibile, sostengo che ci sia in te – la capacità di alimentare per sempre la fiamma crescente dell’amore; e di mantenere stabili costanza e giovinezza in modo che sopravvivano alla bellezza esteriore grazie a una mente capace di rinnovarsi più rapidamente del corpo che decade; oppure se mi persuadessi soltanto che la mia integrità e la sincerità verso di te potessero essere ricambiate dalla forza di un’altrettanta, completa purezza d’amore: mi sentirei al settimo cielo! Ma ahimè: sono sincero come la verità più semplice, e più semplice della verità in fasce. CRESSIDA
In questo possiamo competere. TROILO
Lotta virtuosa, quando il giusto combatte contro il giusto per chi lo sia di più. Tutti gli innamorati fedeli al mondo prendano Troilo come pietra di paragone della loro fedeltà. Quando le loro rime, piene di proteste, di giuramenti e di grandiosi paragoni, andranno in cerca di similitudini, e la fedeltà sarà ormai stanca di ripetere: ‘fedele come l’acciaio, come il campo alla luna130, come il sole al giorno, come la tortora al compagno, come il ferro alla calamita, come la terra al suo centro’; ecco, finiti tutti i paragoni di fedeltà, sulla fedeltà si citerà l’unico autentico autore: ‘fedele come Troilo’ incoronerà la rima e santificherà ogni verso.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT III SCENE 2
Prophet may you be! If I be false, or swerve a hair from truth, When time is old and hath forgot itself, When water drops have worn the stones of Troy And blind oblivion swallowed cities up, And mighty states characterless are grated To dusty nothing, yet let memory From false to false among false maids in love Upbraid my falsehood. When they’ve said, ‘as false As air, as water, wind or sandy earth, As fox to lamb, or wolf to heifer’s calf, Pard to the hind, or stepdame to her son’, Yea, let them say, to stick the heart of falsehood, ‘As false as Cressid’. PANDARUS Go to, a bargain made. Seal it, seal it. I’ll be the witness. Here I hold your hand; here, ray cousin’s. If ever you prove false one to another, since I have taken such pain to bring you together, let all pitiful goers-between be called to the world’s end after my name: call them all panders. Let all constant men be Troiluses, all false women Cressids, and all brokersbetween panders. Say ‘Amen’. TROILUS Amen. CRESSIDA Amen. PANDARUS Amen. Whereupon I will show you a chamber with a bed — which bed, because it shall not speak of your pretty encounters, press it to death. Away! CRESSIDA
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Exeunt Troilus and Cressida And Cupid grant all tongue-tied maidens here Bed, chamber, pander to provide this gear.
Exit
204. With a bed: emend. tardo; assente in Q e F. 376
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 2
CRESSIDA
Che tu possa essere profeta! E se io sarò infedele, oppure devierò di un capello dalla verità, quando il tempo invecchierà e avrà dimenticato se stesso, quando le gocce di pioggia avranno consumato le pietre di Troia, e un cieco oblio avrà divorato le città, e i potenti regni senza più anime saranno rasi al suolo fino alla polvere, che resti allora la memoria, da infedele a infedele, tra le mendaci ragazze innamorate, a gridare la mia falsità. Quando avranno detto infedele come l’aria, come l’acqua, come il vento o la terra sabbiosa, come la volpe con l’agnello, e il lupo con il cucciolo di vitello, come il leopardo con il cerbiatto, e la matrigna al figliastro, ‘sì’, – dicano pure, per colpire il centro dell’infedeltà – ‘infedele come Cressida’. PANDARO
Avanti, affare fatto131: Metteteci i sigilli, suggellatelo. Sarò il testimone. Qui prendo la tua mano, e quella di mia nipote. Se mai uno dei due sarà infedele all’altro, dopo che mi sono dato tanto da fare per mettervi insieme, facciamo che tutti i tristi ruffiani, fino alla fine del mondo, siano chiamati con il mio nome. Chiamiamoli tutti Pandaro. E che tutti gli uomini fedeli siano dei Troili, tutte le donne infedeli delle Cresside e tutti i mediatori dei pandari!132 Dite ‘Amen’. TROILO
Amen. CRESSIDA
Amen. PANDARO
Amen. E dunque vi mostrerò una camera da letto. E quel letto, perché non vada a chiacchierare dei vostri schietti incontri, schiacciatelo a morte! Via! Escono Troilo e Cressida E che Cupido conceda a tutte le vergini capaci di tenere a freno la parlantina letto, camera, e un pandaro per provvedere a tutto l’affare!133 Esce
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
3.3
Flourish. Enter Ulysses, Diomedes, Nestor, Agamemnon, Menelaus, Ajax, and Calchas
CALCHAS
Now, princes, for the service I have done you, Th’advantage of the time prompts me aloud To call for recompense. Appear it to your mind That through the sight I bear in things to come I have abandoned Troy, left my profession, Incurred a traitor’s name, exposed myself From certain and possessed conveniences To doubtful fortunes, sequest’ring from me all That time, acquaintance, custom, and condition Made tame and most familiar to my nature, And here to do you service am become As new into the world, strange, unacquainted. I do beseech you, as in way of taste, To give me now a little benefit Out of those many registered in promise Which you say live to come in my behalf.
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AGAMEMNON
What wouldst thou of us, Trojan? Make demand. CALCHAS
You have a Trojan prisoner called Antenor, Yesterday took. Troy holds him very dear. Oft have you — often have you thanks therefor — Desired my Cressid in right great exchange, Whom Troy hath still denied. But this Antenor I know is such a wrest in their affairs That their negotiations all must slack, Wanting his manage, and they will almost Give us a prince of blood, a son of Priam,
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1. Now...: F non presenta tracce di tradizione manoscritta; Q diventa il testoguida fino al verso 94. 5. Profession: emend. Oxford; in Q e F possession = “possedimenti”, “ciò che possedevo”. 23. Wrest: lett. “pirolo” o “bischero”, la chiave attorno alla quale sono attorcigliate le corde di uno strumento. 378
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
III, 3
Squilli di tromba. Entrano Ulisse. Diomede, Nestore, Agamennone, Menelao, Aiace e Calcante134
CALCANTE
Ora, principi, per il servizio che vi ho prestato, l’occasione mi spinge a chiedervi una ricompensa. Ricordate bene che, grazie alla mia capacità di prevedere le cose a venire135, ho abbandonato Troia, lasciato il mio lavoro, assunto la nomea di traditore; mi sono esposto a una dubbia sorte, fuori dai privilegi acquisiti e sicuri che avevo; ho buttato alle spalle tutto ciò che il tempo, la consuetudine, il costume e le circostanze avevano reso rassicurante e familiare alla mia indole, ed eccomi qui, al vostro servizio, come se fossi diventato inesperto del mondo, incerto, straniero. E ora, vi prego, fatemi soltanto un piccolo favore, come prova, tra i molti promessi, di quanto secondo voi mi spetterebbe. AGAMENNONE
Che cosa vorresti da noi, troiano? Domanda pure. CALCANTE
Voi avete un prigioniero troiano, chiamato Antenore, catturato ieri. Troia l’ha molto a cuore. E molte volte voi – e altrettanto spesso vi ho ringraziato per questo – avete voluto per legittimo scambio ‘alla pari’ la mia Cressida, che Troia vi nega ancora. Perché questo Antenore, lo so bene, è una tale potenza in economia che i loro affari si indebolirebbero tutti senza la sua direzione. Ed essi sarebbero quasi pronti a darci un principe di sangue, un figlio di Priamo, in
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
In change of him. Let him be sent, great princes, And he shall buy my daughter, and her presence Shall quite strike off all service I have done In most accepted pain. AGAMEMNON Let Diomedes bear him, And bring us Cressid hither; Calchas shall have What he requests of us. Good Diomed, Furnish you fairly for this interchange; Withal bring word if Hector will tomorrow Be answered in his challenge. Ajax is ready.
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DIOMEDES
This shall I undertake, and ’tis a burden Which I am proud to bear. Exit with Calchas Enter Achilles and Patroclus in their tent ULYSSES
Achilles stands i’th’ entrance of his tent. Please it our general pass strangely by him, As if he were forgot; and, princes all, Lay negligent and loose regard upon him. I will come last. ’Tis like he’ll question me Why such unplausive eyes are bent, why turned on him. If so, I have derision medicinable To use between your strangeness and his pride, Which his own will shall have desire to drink. It may do good. Pride hath no other glass To show itself but pride; for supple knees Feed arrogance and are the proud man’s fees.
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AGAMEMNON
We’ll execute your purpose and put on A form of strangeness as we pass along. So do each lord, and either greet him not Or else disdainfully, which shall shake him more Than if not looked on. I will lead the way.
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They pass by the tent, in turn
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
cambio di costui. Dunque mandiamoglielo, grandi principi, e così potrà ricomprarsi mia figlia. La sua presenza ricambierà tutto il servizio che vi ho reso nelle maggiori difficoltà. AGAMENNONE
Diomede lo riconsegnerà e ci riporterà indietro Cressida. Calcante avrà quanto ci chiede. Caro Diomede, organizza tutto bene per questo scambio. E intanto riportaci anche la parola di Ettore, se domani risponderà alla sfida. Aiace è pronto. DIOMEDE
Non mancherò. È un carico che sono orgogliosissimo di portare. Esce con Calcante Entrano Achille e Patroclo nella loro tenda ULISSE
Achille sta all’ingresso della sua tenda. Voglia il nostro generale passare con indifferenza dinanzi a lui, come se l’avesse dimenticato136. E voi, principi, non consideratelo e non degnatelo di alcun rispetto. Io arriverò per ultimo. Se, come è probabile, mi domanderà perché questi sguardi così poco calorosi sono calati su di lui, non avrò che da usare il farmaco dell’ironia, dosando la vostra indifferenza contro il suo orgoglio. Lui non potrà trattenersi dal berlo quel farmaco, e ciò potrà giovargli. La boria non ha altro specchio in cui riflettersi che la boria stessa, mentre gli inchini dei devoti alimentano l’arroganza e sono i proventi del superbo. AGAMENNONE
Eseguiremo il vostro progetto e simuleremo una sorta di distrazione quando gli passeremo accanto. Così farà ciascuno di noi. E non lo saluteremo nemmeno, se non con atteggiamento sdegnoso. Ciò lo colpirà più ancora che se non lo guardassimo. Faccio strada io. Passano lunga la tenda, uno dopo l’altro
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
ACHILLES
What, comes the general to speak with me? You know my mind: I’ll fight no more ’gainst Troy. AGAMEMNON (to Nestor) What says Achilles? Would he aught with us? NESTOR (to Achilles) Would you, my lord, aught with the general? ACHILLES No. NESTOR (to Agamemnon) Nothing, my lord. AGAMEMNON The better.
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[Exeunt Agamemnon and Nestor] ACHILLES [to Menelaus]
Good day, good day.
MENELAUS How do you? How do you?
[Exit]
ACHILLES (to Patroclus) AJAX
What, does the cuckold scorn me? How now, Patroclus?
ACHILLES
Good morrow, Ajax. AJAX Ha? ACHILLES Good morrow. AJAX Ay, and good next day too. Exit ACHILLES (to Patroclus) What mean these fellows? Know they not Achilles?
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
ACHILLE
Cosa? Il generale viene a parlare con me? Sapete come la penso: non combatterò più contro Troia. AGAMENNONE (a Nestore) Che dice Achille? Cosa vuole da noi? NESTORE (ad Achille) Volete qualcosa dal generale, signore? ACHILLE
No. NESTORE (ad Agamennone)
Niente, signore. AGAMENNONE
Meglio così. [Escono Agamennone e Nestore] ACHILLE [a Menelao]
Buon giorno. Salve. MENELAO
Come va? Come va? [Esce] ACHILLE (a Patroclo)
Allora? Il cornuto si permette di sfottermi? AIACE
Come va, Patroclo? ACHILLE
Buongiorno, Aiace. AIACE
Eh? ACHILLE
Buongiorno. AIACE
Sì, e anche buon domani. Esce ACHILLE (a Patroclo)
Che cosa passa per la testa di questi signori? Non sanno chi è Achille?
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
PATROCLUS
They pass by strangely. They were used to bend, To send their smiles before them to Achilles, To come as humbly as they use to creep To holy altars. ACHILLES What, am I poor of late? ’Tis certain, greatness once fall’n out with fortune Must fall out with men too. What the declined is He shall as soon read in the eyes of others As feel in his own fall; for men, like butterflies, Show not their mealy wings but to the summer, And not a man, for being simply man, Hath any honour, but honour for those honours That are without him — as place, riches, and favour: Prizes of accident as oft as merit; Which, when they fall, as being slippery slanders — The love that leaned on them, as slippery too — Doth one pluck down another, and together Die in the fall. But ’tis not so with me. Fortune and I are friends. I do enjoy At ample point all that I did possess, Save these men’s looks — who do methinks find out Something not worth in me such rich beholding As they have often given. Here is Ulysses; I’ll interrupt his reading. How now, Ulysses? ULYSSES Now, great Thetis’ son. ACHILLES What are you reading? ULYSSES A strange fellow here Writes me that man, how dearly ever parted, How much in having, or without or in, Cannot make boast to have that which he hath, Nor feels not what he owes, but by reflection — As when his virtues, shining upon others, Heat them, and they retort that heat again To the first givers. ACHILLES This is not strange, Ulysses. The beauty that is borne here in the face
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
PATROCLO
Passano con indifferenza. Erano abituati a inchinarsi, e i loro sorrisi arrivavano ad Achille prima di loro. Avanzavano umilmente, come erano soliti, strisciando dinanzi ai sacri altari. ACHILLE
E allora, sono diventato un derelitto tutto d’un colpo? Certo la grandezza, una volta che ha litigato con la fortuna, deve litigare anche con l’uomo137. La propria rovina la si legge negli occhi degli altri prima ancora che ci si accorga della caduta. Perché gli uomini, come farfalle, mostrano le loro ali impolverate soltanto all’estate, e non c’è uomo che riceva onore per essere semplicemente un uomo. L’onore viene da onori che non dipendono dall’onore: posizione, ricchezza, favore, acquisizioni del caso e del merito. E quando questi beni precipitano come su un terreno scivoloso, e come se il sentimento che gli si aggrappa fosse scivoloso anch’esso, cadono tutti uno dopo l’altro e periscono insieme nella caduta. No, ma questo non vale per me: la fortuna ed io siamo amici. E io non ho perso proprio nulla di ciò che mi è dovuto ed ho sempre avuto, salvo gli sguardi di questi signori. Evidentemente ora trovano in me qualcosa che non merita più quell’omaggio ossequioso che spesso mi rivolgevano. Ecco Ulisse. Interromperò la sua lettura. Come va, Ulisse? ULISSE
Bene, bene, grande figlio di Teti. ACHILLE
Che cosa leggi? ULISSE
Un tipo strano qui mi scrive che ‘l’uomo, pur dotato che sia per natura, tutti i doni che possiede, interiori o esteriori, non può vantare di possederli né avvertirli come propri, se non per riflesso. Ovvero le sue virtù, risplendendo sugli altri, li scaldano, ed essi a loro volta rimandano indietro il calore al primo donatore’138. ACHILLE
Questo non è strano, Ulisse. La bellezza che nasce qui, su questo volto, chi la porta nemmeno la conosce, ma la affida agli occhi de-
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
The bearer knows not, but commends itself To others’ eyes. Nor doth the eye itself, That most pure spirit of sense, behold itself, Not going from itself; but eye to eye opposed Salutes each other with each other’s form. For speculation turns not to itself Till it hath travelled and is mirrored there Where it may see itself. This is not strange at all.
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ULYSSES
I do not strain at the position — It is familiar — but at the author’s drift; Who in his circumstance expressly proves That no man is the lord of anything, Though in and of him there be much consisting, Till he communicate his parts to others. Nor doth he of himself know them for aught Till he behold them formèd in th’applause Where they’re extended — who, like an arch, reverb’rate The voice again; or, like a gate of steel Fronting the sun, receives and renders back His figure and his heat. I was much rapt in this, And apprehended here immediately The unknown Ajax. Heavens, what a man is there! A very horse, That has he knows not what. Nature, what things there are, Most abject in regard and dear in use. What things again, most dear in the esteem And poor in worth. Now shall we see tomorrow An act that very chance doth throw upon him. Ajax renowned? O heavens, what some men do, While some men leave to do. How some men creep in skittish Fortune’s hall
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105. Mirrored: emend. tardo, più logico di married (in Q e F) = “si sposa”, “si accoppia”. 111. Be: così in Q; in F is. 386
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
gli altri. E neanche l’occhio, il senso dotato di maggiore purezza di percezione, vede se stesso, se non fuori da sé. Ma gli occhi opposti si salutano reciprocamente con la forma l’uno dell’altro. Perché la vista non si rivolge a sé finché non ha vagato un po’ e non si è specchiata là dove può vedersi. E questo non è affatto strano. ULISSE
Non mi interessa tale tesi per sé – è risaputa, – quanto per l’obiettivo che si prefigge il suo autore. Con queste argomentazioni prova espressamente che nessun uomo è padrone di nulla, per quanto stia in lui e ne faccia parte, finché non comunica queste qualità agli altri. E che non le può neanche conoscere da sé, finché non le ha viste manifestarsi in forma di applauso. Esso, come una volta, riverbera la voce; o, come una porta d’acciaio di fronte al sole, riceve e rimanda indietro la sua sagoma e il suo ardore. Sono molto conquistato da questa tesi, e ne ho fatto cenno ad Aiace, all’ignoto Aiace. Cieli, che uomo abbiamo qui! Un vero purosangue, le cui qualità lui non sa di avere. O natura, quali cose abiette allo sguardo diventano preziose all’uso! E quante cose, valutate pregevolissime, si rivelano di poco valore! Domani noi vedremo – in un’impresa che il caso stesso gli ha precipitato addosso – Aiace famoso? Cielo, quali cose fanno certi uomini, che altri non vogliono fare! Quanti si intrufolano nella camera della Fortuna capricciosa, mentre altri,
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
Whiles others play the idiots in her eyes; How one man eats into another’s pride While pride is fasting in his wantonness. To see these Grecian lords! Why, even already They clap the lubber Ajax on the shoulder, As if his foot were on brave Hector’s breast And great Troy shrinking. ACHILLES I do believe it, For they passed by me as misers do by beggars, Neither gave to me good word nor look. What, are my deeds forgot? ULYSSES Time hath, my lord, A wallet at his back, wherein he puts Alms for oblivion, a great-sized monster Of ingratitudes. Those scraps are good deeds past, Which are devoured as fast as they are made, Forgot as soon as done. Perseverance, dear my lord, Keeps honour bright. To have done is to hang Quite out of fashion, like a rusty mail In monumental mock’ry. Take the instant way, For honour travels in a strait so narrow, Where one but goes abreast. Keep then the path, For emulation hath a thousand sons That one by one pursue: if you give way, Or hedge aside from the direct forthright, Like to an entered tide they all rush by And leave you hindmost; Or, like a gallant horse fall’n in first rank, Lie there for pavement to the abject rear, O’errun and trampled on. Then what they do in present, Though less than yours in past, must o’ertop yours. For Time is like a fashionable host, That slightly shakes his parting guest by th’ hand And, with his arms outstretched as he would fly, Grasps in the comer. Welcome ever smiles,
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132. Fasting: così in Q; in F feasting, incongruo. 388
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
scioccamente, non fanno nulla per farsi notare! Uno si nutre del vanto di un altro, mentre quel vanto resta digiuno per la superbia di costui! Guardiamoli questi principi greci, che danno pacche sulle spalle di quello stupido di Aiace come se il suo piede fosse già sul petto del valoroso Ettore, e come se la grande Troia fosse già in preda al terrore. ACHILLE
Lo credo. Perché costoro mi passano vicino come gli avari al mendicante, senza degnarmi di una parola né di uno sguardo. Hanno forse dimenticato le mie imprese? ULISSE
Signore, il tempo tiene sulla schiena una bisaccia, dove ripone le elemosine per affidarle all’oblio, grandioso mostro di ingratitudine. Questi scarti sono le buone azioni del passato, divorate con altrettanta rapidità con cui sono compiute. È la perseveranza, caro signore, che mantiene brillante l’onore. L’azione passata resta lì appesa, e diventa subito fuori moda, come un’armatura arrugginita, monumentale e ridicola. Cogli la strada giusta all’istante. Perché l’onore viaggia su una via così stretta dove non si passa che uno per volta. Tieni il sentiero, perché l’emulazione ha migliaia di figli, e l’uno rincorre l’altro. Se cedi il passo, o ti ritiri come la bassa marea dalla giusta direzione, tutti si precipitano e ti lasciano ultimo. Oppure, come il prode cavallo caduto nella prima fila, finisci a terra, calpestato dalla vile retroguardia, superato e travolto. Così le azioni di chi agisce nel presente, benché meno importanti di chi ha agito in passato, inevitabilmente le superano. Perché il tempo è un padrone di casa vanesio, che stringe con leggerezza la mano all’ospite in partenza, mentre già le sue braccia si aprono, come spiccando il volo, ad abbracciare il nuovo arrivato. Benvenuti e sorrisi; addii e sospiri.
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
And Farewell goes out sighing. O let not virtue seek Remuneration for the thing it was; For beauty, wit, High birth, vigour of bone, desert in service, Love, friendship, charity, are subjects all To envious and calumniating time. One touch of nature makes the whole world kin — That all with one consent praise new-born gauds, Though they are made and moulded of things past, And give to dust that is a little gilt More laud than gilt o’er-dusted. The present eye praises the present object. Then marvel not, thou great and complete man, That all the Greeks begin to worship Ajax, Since things in motion sooner catch the eye Than what not stirs. The cry went once on thee, And still it might, and yet it may again, If thou wouldst not entomb thyself alive And case thy reputation in thy tent, Whose glorious deeds but in these fields of late Made emulous missions ’mongst the gods themselves, And drove great Mars to faction. ACHILLES Of this my privacy I have strong reasons. ULYSSES But ’gainst your privacy The reasons are more potent and heroical. ’Tis known, Achilles, that you are in love With one of Priam’s daughters. ACHILLES Ha? Known? ULYSSES Is that a wonder? The providence that’s in a watchful state Knows almost every grain of Pluto’s gold, Finds bottom in th’uncomprehensive deeps, Keeps place with aught, and almost like the gods
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177. Sooner: così in Q; in F begin to, contaminazione da III, 3, 176. 192. Aught: emend. Oxford; in Q e F thought = “pensiero”. 390
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
Fate in modo che la virtù non si aspetti compensi per ciò che era. Perché la bellezza, l’intelligenza, la nobiltà di nascita, la forza fisica, il merito conquistato con il lavoro, l’affetto, l’amicizia, la carità sono tutti soggetti al tempo invidioso e calunniatore. Un legge naturale apparenta il mondo intero: tutti vanno matti per le bazzecole di nuova fabbricazione, anche se sono costruite e mischiate di cose già viste, e lodano la polvere con uno spruzzo di doratura più dell’oro impolverato. L’occhio presente valuta l’oggetto presente139. Non c’è da meravigliarsi, quindi, uomo grande e ricco di qualità, che tutti i Greci comincino ad adorare Aiace. Perché ciò che si muove fa più presto a catturare lo sguardo di ciò che se ne sta immobile. C’era un tempo in cui le grida erano tutte per te, e possono essere ancora per te, oggi e sempre, se non ti sotterri vivo in questa tenda con la tua fama, con quelle gloriose azioni che ancora di recente, sul campo, hanno suscitato ambiziose imprese anche tra gli dèi stessi, e hanno indotto il grande Marte a prendervi parte. ACHILLE
Per questo mio ritiro ho delle forti ragioni. ULISSE
Ma ragioni più potenti e più eroiche si oppongono al tuo ritiro. Si sa, Achille, che sei innamorato di una delle figlie di Priamo. ACHILLE
Davvero? Sanno questo? ULISSE
Te ne meravigli? Uno Stato previdente e vigile sa contare quasi ogni grano dell’oro di Pluto140, attinge alle profondità più inaccessibili, si aggiorna in tutto e, come fanno gli dèi, svela i pensieri più
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
Do infant thoughts unveil in their dumb cradles. There is a mystery, with whom relation Durst never meddle, in the soul of state, Which hath an operation more divine Than breath or pen can give expressure to. All the commerce that you have had with Troy As perfectly is ours as yours, my lord; And better would it fit Achilles much To throw down Hector than Polyxena. But it must grieve young Pyrrhus now at home, When fame shall in his island sound her trump And all the Greekish girls shall tripping sing, ‘Great Hector’s sister did Achilles win, But our great Ajax bravely beat down him’. Farewell, my lord. I as your lover speak. The fool slides o’er the ice that you should break.
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Exit
PATROCLUS
To this effect, Achilles, have I moved you. A woman impudent and mannish grown Is not more loathed than an effeminate man In time of action. I stand condemned for this. They think my little stomach to the war And your great love to me restrains you thus. Sweet, rouse yourself, and the weak wanton Cupid Shall from your neck unloose his amorous fold And like a dew-drop from the lion’s mane Be shook to air. ACHILLES Shall Ajax fight with Hector?
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PATROCLUS
Ay, and perhaps receive much honour by him. ACHILLES
I see my reputation is at stake. My fame is shrewdly gored.
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193. Infant thoughts: emend. tardo, assente in Q e F; molti gli emend. proposti invece per cradles, respinti dall’ed. Oxford. 203. His island: emend. tardo; in F her island, in Q our islands. 392
Shakespeare IV.indb 392
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
inesprimibili fin dal momento stesso in cui vengono concepiti. C’è un mistero nell’anima dello Stato in cui nessuno ha mai osato profondersi. Che opera più divinamente di quanto mai voce o penna abbiano saputo esprimere. Tutti i rapporti che avete avuto con Troia sono esattamente nostri come vostri, mio signore. E ad Achille converrebbe molto di più stendere a terra Ettore piuttosto che Polissena. Ora Pirro sarà afflitto, in patria, quando la fama tra le nostre isole risuonerà a suono di tromba e ragazzotte greche canteranno a lesto passo di danza: ‘La sorella del grande Ettore ha vinto l’Achille, ma il nostro grande Aiace gliel’ha suonate per mille!’. Addio, mio signore. Parlo come uno che vi vuole bene. Gli sciocchi scivolano sul ghiaccio che voi dovreste rompere. Esce PATROCLO
A queste conseguenze, Achille, ti ho spinto io141. Una donna sfacciata e mascolina è detestata meno di un uomo effeminato, quando si tratta di agire. E mi prendo tutto il biasimo per questo. Pensano che sia la mia scarsa inclinazione per la guerra e il tuo grande amore per me a ridurti così. Tesoro, tirati su. E che il debole, lascivo Cupido abbandoni l’amorosa presa del tuo collo e si scrolli nell’aria come una goccia di rugiada dalla criniera del leone. ACHILLE
Aiace combatterà contro Ettore? PATROCLO
Sì, e probabilmente ne ricaverà molto onore. ACHILLE
Vedo la mia reputazione in pericolo. La mia fama severamente ferita.
393
Shakespeare IV.indb 393
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
O then beware: Those wounds heal ill that men do give themselves. Omission to do what is necessary Seals a commission to a blank of danger, And danger like an ague subtly taints Even then when we sit idly in the sun.
PATROCLUS
225
ACHILLES
Go call Thersites hither, sweet Patroclus. I’ll send the fool to Ajax, and desire him T’invite the Trojan lords after the combat To see us here unarmed. I have a woman’s longing, An appetite that I am sick withal, To see great Hector in his weeds of peace,
231
Enter Thersites To talk with him and to behold his visage Even to my full of view. — A labour saved. THERSITES A wonder! ACHILLES What? THERSITES Ajax goes up and down the field, as asking for himself. ACHILLES How so? THERSITES He must fight singly tomorrow with Hector, and is so prophetically proud of an heroical cudgelling that he raves in saying nothing. ACHILLES How can that be? THERSITES Why, a stalks up and down like a peacock — a stride and a stand; ruminates like an hostess that hath no arithmetic but her brain to set down her reckoning; bites his lip with a politic regard, as who should say ‘There were wit in this head, an’t would out’ — and so there is; but it lies as coldly in him as fire in a flint, which will not show without knocking. The man’s undone for ever, for if Hector break not his neck i’th’
235
242
237. As: emend. Oxford, assente in Q e F. La frase guadagna in significato. 394
Shakespeare IV.indb 394
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
PATROCLO
Attento, allora. Sono ferite morbose quelle che gli uomini si procurano da sé. Trascurare quanto è necessario è come emettere una cambiale di pericolo in bianco. E il pericolo, come una febbre ricorrente, infetta in modo sottile persino quando ci si riposa pigramente al sole. ACHILLE
Va’ a chiamare qui Tersite, dolce Patroclo. Manderò quel buffone da Aiace a pregarlo di invitare i signori troiani dopo il combattimento a visitarci qui, disarmati. Ho una voglia da donna gravida, un desiderio da stare male, quello di vedere il grande Ettore disarmato142, Entra Tersite di parlare con lui e di guardarlo bene in faccia fino a saziarmi. – Fatica sprecata!143 TERSITE
Una meraviglia! ACHILLE
Cosa? TERSITE
Aiace se ne va avanti e indietro per il campo, in cerca di se stesso144. ACHILLE
E perché? TERSITE
Domattina deve combattere in singolar tenzone con Ettore, e va così profeticamente orgoglioso di suonargli tante eroiche randellate che vaneggia senza dire niente. ACHILLE
Come è possibile? TERSITE
E come no? Va avanti e indietro impettito come un pavone – una falcata e una sosta – e intanto rumina come un’ostessa che l’aritmetica del suo cervello la usa solo per mettere giù il conto145. Si morde le labbra con lo sguardo da politicone, come se volesse dire: ‘Ce n’è di materia grigia in questa testa, e verrà fuori!’ E ce n’è, certo, ma in lui è inerte, fredda come il fuoco della pietra focaia, che non si fa vedere se non la batti. Quest’uomo è rovinato per sempre. Perché se Ettore non gli spacca il collo in battaglia, se lo spacca da solo 395
Shakespeare IV.indb 395
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
combat he’ll break’t himself in vainglory. He knows not me. I said, ‘Good morrow, Ajax’, and he replies, ‘Thanks, Agamemnon’. What think you of this man that takes me for the General? He’s grown a very landfish, languageless, a monster. A plague of opinion! A man may wear it on both sides like a leather jerkin. ACHILLES Thou must be my ambassador to him, Thersites. THERSITES Who, I? Why, he’ll answer nobody. He professes not answering. Speaking is for beggars. He wears his tongue in’s arms. I will put on his presence. Let Patroclus make demands to me. You shall see the pageant of Ajax. ACHILLES To him, Patroclus. Tell him I humbly desire the valiant Ajax to invite the most valorous Hector to come unarmed to my tent, and to procure safe-conduct for his person of the magnanimous and most illustrious six-or-seven-times-honoured captain-general of the Grecian army, Agamemnon; et cetera. Do this. PATROCLUS (to Thersites) Jove bless great Ajax! THERSITES H’m. PATROCLUS I come from the worthy Achilles — THERSITES Ha? PATROCLUS Who most humbly desires you to invite Hector to his tent — THERSITES H’m! PATROCLUS And to procure safe-conduct from Agamemnon. THERSITES Agamemnon? PATROCLUS Ay, my lord.
263
270
275
280
396
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
per la vanagloria. Non mi riconosce neanche. Gli dico ‘Buongiorno, Aiace’, e lui risponde ‘Grazie, Agamennone’. Cosa si può pensare di uno che scambia me per il generale? È diventato una specie di anfibio. Gli manca la parola, è un mostro. Che disgrazia la fama! Uno se la porta addosso al diritto e al rovescio, come un giacchino di cuoio. ACHILLE
Devi essere mio ambasciatore presso di lui, Tersite. TERSITE
Chi, io? Ma lui non risponde a nessuno. Si rifiuta di rispondere. Parlargli è come chiedergli l’elemosina. La lingua, lui ce l’ha nei muscoli. Ora cerco di dartene un’idea146. Patroclo mi faccia delle domande, e sta a vedere come ti imito Aiace e la sua sicumera. ACHILLE
Patroclo, va’ da lui e digli che umilmente desidero che il valoroso Aiace inviti l’ancor più valoroso Ettore a presentarsi disarmato alla mia tenda, e che si procuri un salvacondotto per la sua persona dal magnanimo, illustrissimo, sei-o-sette-volte-onorato, capitano nonché generale dell’esercito greco, Agamennone. Eccetera eccetera. Avanti. PATROCLO (a Tersite) Giove benedica il grande Aiace! TERSITE
Uhm! PATROCLO
Vengo da parte del nobile Achille… TERSITE
Eh? PATROCLO
Che assai umilmente vi prega di invitare Ettore ad andare alla sua tenda… TERSITE
Uhm! PATROCLO
E che si procuri un salvacondotto da parte di Agamennone. TERSITE
Agamennone? PATROCLO
Sì, mio signore. 397
Shakespeare IV.indb 397
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 3 SCENE 3
THERSITES Ha! PATROCLUS What say you to’t? THERSITES God b’wi’ you, with all my heart. PATROCLUS Your answer, sir?
284
THERSITES If tomorrow be a fair day, by eleven o’clock it
will go one way or other. Howsoever, he shall pay for me ere he has me. PATROCLUS Your answer, sir? THERSITES Fare ye well, with all my heart. ACHILLES Why, but he is not in this tune, is he? THERSITES No, but he’s out o’ tune thus. What music will be in him when Hector has knocked out his brains, I know not. But I am feared none, unless the fiddler Apollo get his sinews to make catlings on.
290
ACHILLES
Come, thou shalt bear a letter to him straight.
295
THERSITES Let me carry another to his horse, for that’s
the more capable creature. ACHILLES
My mind is troubled like a fountain stirred, And I myself see not the bottom of it. Exit with Patroclus THERSITES Would the fountain of your mind were clear
again, that I might water an ass at it. I had rather be a tick in a sheep than such a valiant ignorance. Exit
293. I am feared: emend. Oxford; in Q e F I am sure = “sono sicuro”. 398
Shakespeare IV.indb 398
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TROILO E CRESSIDA, ATTO III SCENA 3
TERSITE
Ah! PATROCLO
Che ne dite? TERSITE
Cordialmente: andate con Dio. PATROCLO
Vorrei la vostra risposta, signore. TERSITE
Se domani fa bello, entro le undici la situazione sarà in un modo, oppure in un altro. E comunque sia, dovrà pagarmi per avermi. PATROCLO
È la vostra risposta, signore? TERSITE
Cordialmente: sparite! ACHILLE
Beh, è proprio stonato, non è vero? TERSITE
Non proprio, diciamo un po’ scordato. Pensa che musica risuonerà da lui quando Ettore gli avrà fatto schizzare fuori le cervella. Temo proprio nessuna, a meno che Apollo violinista non gli prenda i tendini per farne corde di violino. ACHILLE
Andiamo, gli porterai subito la mia lettera. TERSITE
Ne porterò una anche al suo cavallo. Che forse ci capisce qualcosa di più. ACHILLE
La mia mente è sconvolta, una fontana agitata. E io stesso non ne vedo il fondo. Esce con Patroclo TERSITE
Speriamo che la fontana della tua testa si faccia presto limpida, così posso portarci a bere il mio asino. Preferirei essere una zecca sul pelo di una pecora che un ignorante tanto superbo. Esce 399
Shakespeare IV.indb 399
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 1
4.1
Enter at one door Aeneas with a torch; at another Paris, Deiphobus, Antenor, and Diomedes the Grecian, with torch-bearers
PARIS See, ho! Who is that there? DEIPHOBUS It is the Lord Aeneas. AENEAS Is the Prince there in person?
Had I so good occasion to lie long As you, Prince Paris, nothing but heavenly business Should rob my bed-mate of my company.
5
DIOMEDES
That’s my mind too. Good morrow, Lord Aeneas. PARIS
A valiant Greek, Aeneas, take his hand. Witness the process of your speech, wherein You told how Diomed e’en a whole week by days Did haunt you in the field. AENEAS (to Diomedes) Health to you, valiant sir, During all question of the gentle truce. But when I meet you armed, as black defiance As heart can think or courage execute.
10
DIOMEDES
The one and other Diomed embraces. Our bloods are now in calm; and so long, health. But when contention and occasion meet, By Jove I’ll play the hunter for thy life With all my force, pursuit, and policy.
15
AENEAS
And thou shalt hunt a lion thai will fly With his face backward. In humane gentleness, Welcome to Troy. Now by Anchises’ life, Welcome indeed! By Venus’ hand I swear No man alive can love in such a sort The thing he means to kill more excellently.
20
25
400
Shakespeare IV.indb 400
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 1
IV, 1
Da una porta entra Enea con una torcia; dall’altra Paride, Deifobo, Antenore, il greco Diomede e altri, con torce147
PARIDE
Ehi, guarda, chi va là? DEIFOBO
È Enea. ENEA
Il principe in persona è qui? Avessi io una così buona occasione per starmene a letto come avete voi, principe Paride, nulla fuorché la volontà del Cielo ruberebbe la mia presenza alla mia compagna. DIOMEDE
Sono dello stesso parere. Buon giorno, Enea. PARIDE
Un greco valoroso, Enea. Stringetegli la mano. Ne è testimone il vostro resoconto, in cui avete detto di come Diomede, per un intera settimana, vi abbia dato la caccia sul campo di battaglia148. ENEA (a Diomede) Salute a voi, valoroso signore, nel corso di tutte le trattative di questa tregua leale. Ma quando vi incontrerò armato, che la sfida sia nera come soltanto il cuore può concepire o il coraggio eseguire. DIOMEDE
Diomede accoglie l’una e l’altra. Il nostro sangue ora è calmo. Quindi, salute, fi nché dura! Ma quando lotta e occasione si incontreranno149, per Giove, io farò la parte di quello che vi darà una caccia mortale, con tutta la forza, la tenacia, la strategia che possiedo. ENEA
Darai la caccia a un leone che arretra col muso in avanti!150 Per l’umana cortesia, benvenuto a Troia! E ora, sulla vita di Anchise, benvenuto davvero! Giuro sulla mano di Venere151 che nessun uomo al mondo potrebbe amare in modo più sublime ciò che vuole uccidere152.
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Shakespeare IV.indb 401
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 1
DIOMEDES
We sympathize. Jove, let Aeneas live — If to my sword his fate be not the glory — A thousand complete courses of the sun; But, in mine emulous honour, let him die Wilh every joint a wound — and that, tomorrow. AENEAS We know each other well.
30
DIOMEDES
We do, and long to know each other worse. PARIS
This is the most despitefull’st gentle greeting, The noblest hateful love, that e’er I heard of. What business, lord, so early?
35
AENEAS
I was sent for to the King; but why, I know not. PARIS
His purpose meets you: ’twas to bring this Greek To Calchas’ house, and there to render him, For the enfreed Antenor, the fair Cressid. Let’s have your company, or if you please Haste there before us. [Aside] I constantly do think — Or rather, call my thought a certain knowledge — My brother Troilus lodges there tonight. Rouse him and give him note of our approach, With the whole quality wherefore. I fear We shall be much unwelcome. AENEAS [aside] That I assure you. Troilus had rather Troy were borne to Greece Than Cressid borne from Troy. PARIS [aside] There is no help. The bitter disposition of the lime Will have it so. [Aloud] On, lord, we’ll follow you. AENEAS Good morrow all. Exit
40
45
50
45. Wherefore: così in Q; in F whereof, cui si avvicina la traduzione. 402
Shakespeare IV.indb 402
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 1
DIOMEDE
Un sentimento reciproco. Giove, che Enea viva se il destino non vuole che sia gloria per la mia spada. Viva per mille rotazioni del sole, ma se così il mio onore dovesse accrescersi, che muoia, su ogni arto una ferita. E che sia domani! ENEA
Noi due ci conosciamo bene. DIOMEDE
Bene davvero. E desideriamo di conoscerci anche peggio. PARIDE
Sono stati il saluto più brutalmente cortese e la dichiarazione d’amore più piena d’odio che abbia mai sentito. Quale affare, signore, vi porta qui così presto? ENEA
Sono stato chiamato da parte del re. Per quale motivo, lo ignoro. PARIDE
Ecco qui, le sue ragioni153. Si doveva portare questo greco alla casa di Calcante, e restituirgli, in cambio della libertà di Antenore, la bella Cressida. Unitevi a noi o, se preferite, precedeteci. [A parte] Continuo a pensare – ma sarebbe meglio chiamare certezza il mio pensiero – che mio fratello Troilo stia trascorrendo da lei la notte. Svegliatelo e informatelo del nostro arrivo, con tutti i perché del caso. Temo che non saremo i benvenuti. ENEA [a parte] Questo è sicuro. Troilo preferirebbe che Troia fosse portata in Grecia piuttosto che Cressida portata via da Troia154. PARIDE [a parte] Non c’è rimedio. È l’amara circostanza dei tempi a volerlo. [Ad alta voce] Avanti, signore, vi seguiremo. ENEA
Buongiorno a tutti. Esce
403
Shakespeare IV.indb 403
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 1
PARIS
And tell me, noble Diomed — faith, tell me true, Even in the soul of sound good-fellowship — Who in your thoughts merits fair Helen most, Myself or Menelaus? DIOMEDES Both alike. He merits well to have her that doth seek her, Not making any scruple of her soilure, Wilh such a hell of pain and world of charge; And you as well to keep her that defend her, Not palating the taste of her dishonour, With such a costly loss of wealth and friends. He like a puling cuckold would drink up The lees and dregs of a flat ’tamèd piece; You like a lecher out of whorish loins Are pleased to breed out your inheritors. Both merits poised, each weighs nor less nor more, But he as he: which heavier for a whore?
55
60
65
PARIS
You are too bitter to your countrywoman. DIOMEDES
She’s bitter to her country. Hear me, Paris. For every false drop in her bawdy veins A Grecian’s life hath sunk; for every scruple Of her contaminated carrion weight A Trojan hath been slain. Since she could speak She hath not given so many good words breath As, for her, Greeks and Trojans suffered death.
70
75
67. Nor less: così in Q; in F no less. 68. As he: così in Q e F; he as thee secondo un emend. tardo, respinto nell’ed. Oxford perché Diomede si rivolge a Paride con il più cerimonioso you, non con il familiare thee (accusativo di thou, forma arcaica della seconda persona singolare). 404
Shakespeare IV.indb 404
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 1
PARIDE
Ditemi, nobile Diomede, ditemi la verità sinceramente. Parlate dal profondo del cuore, come un amico. Chi, secondo voi, merita di più la bella Elena, io o Menelao? DIOMEDE
Entrambi. Lui merita senz’altro di averla per essere venuto a cercarla senza farsi scrupolo che si fosse sporcata, con un inferno di dolore e un’enormità di costi155; e voi pure di tenervela, perché la difendete, senza sentire sulla lingua il gusto amaro del disonore, con un sacrificio tanto dispendioso di ricchezza e di amici. Lui, quel cornuto piagnone, sarebbe capace di scolarsi il fondo e la feccia di una damigiana evaporata156. Voi, da puttaniere quale siete, vi compiacete nel generare eredi dai lombi di una vacca. Soppesati i meriti, ciascuno pesa né più né meno dell’altro. Entrambi, voi e lui: chi è più appesantito per una puttana? PARIDE
Siete troppo amaro con una compatriota. DIOMEDE
È lei che è amara con la sua patria. Ascoltatemi, Paride, in ogni goccia bugiarda di quelle sue vene sconce è affondata la vita di un greco; per ogni piccolo pezzetto della sua carcassa marcia è stato ucciso un troiano. Da quando è capace di parlare, non ha mai pronunciato tante buone parole quanti i greci e troiani che sono morti per lei.
405
Shakespeare IV.indb 405
30/11/2018 09:32:01
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 2
PARIS
Fair Diomed, you do as chapmen do: Dispraise the thing that you desire to buy. But we in silence hold this virtue well: We’ll but commend what we intend to sell. — Here lies our way. 4.2
80 Exeunt
Enter Troilus and Cressida
TROILUS
Dear, trouble not yourself. The morn is cold. CRESSIDA
Then, sweet my lord, I’ll call mine uncle down. He shall unbolt the gates. TROILUS Trouble him not. To bed, to bed! Sleep lull those pretty eyes And give as soft attachment to thy senses As to infants empty of all thought. CRESSIDA Good morrow, then. TROILUS I prithee now, to bed. CRESSIDA Are you aweary of me?
5
TROILUS
O Cressida! But that the busy day, Waked by the lark, hath roused the ribald crows, And dreaming night will hide our joys no longer, I would not from thee. CRESSIDA Night hath been too brief.
10
TROILUS
Beshrew the witch! With venomous wights she stays As hideously as hell, but flies the grasps of love
15
80. But: emend. tardo; assente in Q e F, ma necessario secondo l’ed. Oxford per dare un senso compiuto. 4. Lull: emend. tardo; in Q e F kill (uccida, qui nel senso di “chiuda”, “domini su”), termine evidentemente più violento e ambiguo, come l’immagine delle ribald crows (v. 11). 6. As to: emend. tardo; in Q e F as. 12. Joys: così in Q; in F eyes = “occhi”. 406
Shakespeare IV.indb 406
30/11/2018 09:32:01
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 2
PARIDE
Caro Diomede, voi fate come il mercante157: disprezzate la merce che desiderate comprare. Invece la nostra virtù è il silenzio: noi lodiamo solo ciò che intendiamo vendere. La strada è di qua. Escono IV, 2
Entrano Troilo e Cressida158
TROILO
Cara, non ti disturbare. Il mattino è freddo. CRESSIDA
Dolce mio signore, devo richiamare giù lo zio. Aprirà lui le porte. TROILO
Non scomodarlo. A letto, torna a letto. Il sonno culli i tuoi begli occhi e ti si apprenda dolcemente ai sensi come a un bimbo senza pensieri. CRESSIDA
Buongiorno, allora. TROILO
Ti prego, torna a letto. CRESSIDA
Sei già stanco di me? TROILO
Cressida, ma è che questo fitto giorno, risvegliato dall’allodola, ha destato le rissose cornacchie, e la notte sognante non nasconde più le nostre gioie… Altrimenti non me ne sarei andato da te159. CRESSIDA
La notte è stata troppo breve. TROILO
Maledetta strega!160 Su chi è avvelenato dall’inquietudine pesa odiosa come l’inferno, ma vola via dagli abbracci degli innamorati
407
Shakespeare IV.indb 407
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 2
With wings more momentary-swift than thought. You will catch cold and curse me. CRESSIDA Prithee, tarry. You men will never tarry. O foolish Cressid! I might have still held off, And then you would have tarried. — Hark, there’s one up.
20
[She veils herself] PANDARUS (within) What’s all the doors open here? TROILUS It is your uncle. CRESSIDA
A pestilence on him! Now will he be mocking. I shall have such a life. [Enter Pandarus] PANDARUS How now, how now, how go maidenheads?
(To Cressida) Here, you, maid! Where’s my cousin Cressid? CRESSIDA [unveiling] Go hang yourself. You naughty, mocking uncle! You bring me to do — and then you flout me too. PANDARUS To do what? To do what? — Let her say what — What have I brought you to do?
27
31
CRESSIDA
Come, come, beshrew your heart. You’ll ne’er be good, Nor suffer others. PANDARUS Ha ha! Alas, poor wretch. Ah, poor capocchia, hast not slept tonight? Would he not — a naughty man — let it sleep? A bugbear take him. CRESSIDA (to Troilus) Did not I tell you? Would he were knocked i’th’ head.
36
[One knocks within]
20. [She veils herself]: la didascalia non compare in Q né in F, ma l’aggiunta di questa edizione si deve al fatto che più avanti (IV, 2, 26-27) Pandaro non riconosce Cressida, o finge di non riconoscerla per via del suo mutato stato virginale. 26. Here: così in Q; in F hear = “ascolta”. 408
Shakespeare IV.indb 408
30/11/2018 09:32:01
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 2
con ali più improvvise e rapide del pensiero. Ora ti raffreddi, e te la prenderai con me. CRESSIDA
Ti prego, resta. Voi uomini non volete mai restare. Sciocca Cressida! Avrei dovuto tenere duro161, e ora tu resteresti. Ehi! C’è qualcuno. [Si copre] PANDARO
(da dentro) Beh, sono tutte aperte le porte qui?162 TROILO
C’è tuo zio. CRESSIDA
Che gli venga la peste! Ora si metterà a sfottere. E mi farà fare una di quelle vite! [Entra Pandaro] PANDARO
Allora, allora! Come vanno queste vergini? (a Cressida) Hei, ragazza, dov’è mia nipote Cressida? CRESSIDA [scoprendosi] Vai a impiccarti, zio sconcio e impertinente! Mi spingi a fare e poi mi manchi di rispetto! PANDARO
A fare? A fare che? Lo dica pure: cosa ti avrei spinta a fare? CRESSIDA
Avanti, sia maledetto il tuo cuore! Tu non sarai mai buono, né permetterai agli altri di esserlo. PANDARO
Ah, ah! Oh, povera capocchia!163 Non hai dormito stanotte? Non ti ha fatto dormire, questo sporcaccione? Il babau se lo venga a prendere! CRESSIDA (a Troilo) Non te l’avevo detto? Bisognerebbe dargli una lezione! [Bussano da dentro]
409
Shakespeare IV.indb 409
30/11/2018 09:32:01
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 2
Who’s that at door? — Good uncle, go and see. — My lord, come you again into my chamber. You smile and mock me, as if I meant naughtily. TROILUS Ha ha!
40
CRESSIDA
Come, you are deceived, I think of no such thing. One knocks within How earnestly they knock! Pray you come in. I would not for half Troy have you seen here. Exeunt [Troilus and Cressida] PANDARUS Who’s there? What’s the matter? Will you
beat down the door?
46
He opens the door. [Enter Aeneas] How now, what’s the matter? AENEAS Good morrow, lord, good morrow. PANDARUS
Who’s there? My Lord Aeneas? By my troth, I knew you not. What news with you so early?
50
AENEAS
Is not Prince Troilus here? Here? What should he do here?
PANDARUS AENEAS
Come, he is here, my lord. Do not deny him. It doth import him much to speak with me. PANDARUS Is he here, say you? It’s more than I know, I’ll be sworn. For my own part, I came in late. What should he do here?
56
AENEAS
Whoa! Nay, then. Come, come, you’ll do him wrong Ere you are ware. You’ll be so true to him To be false to him. Do not you know of him, But yet go fetch him hither. Go. [Exit Pandarus]
410
Shakespeare IV.indb 410
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 2
Chi c’è alla porta? Zio, vai a vedere. Mio signore, torna ancora nella mia stanza. Ma tu ridi e mi prendi in giro, come se io avessi in mente qualcosa di sconcio. TROILO
Eh, eh! CRESSIDA
Entra, ma ti inganni. Non sto pensando a certe cose. Bussano da dentro Senti come bussano! Ti prego, entra: non vorrei che ti vedessero qui neanche per mezza città di Troia. Escono [Troilo e Cressida] PANDARO
Chi c’è? Che succede? Volete buttare giù la porta? Apre la porta. [Entra Enea] Ehi, ehi! Che succede? ENEA
Buon giorno, signore, buongiorno. PANDARO
Chi c’è? Il signor Enea! In fede, non vi riconoscevo. Quali notizie così di buon’ora? ENEA
Non è qui il principe Troilo? PANDARO
Qui? E che ci dovrebbe fare qui? ENEA
Avanti, è qui, signore. Non cercate di negarlo. Ha tutto l’interesse a parlare con me. PANDARO
Voi dite che è qui? Allora ne sapete più di me, lo giuro. Per quanto mi riguarda, ho fatto tardi. Ma che cosa ci dovrebbe fare qui? ENEA
Ehi, avanti! Su, così gli farete del male senza volerlo. Dovrete essere così sincero con lui al punto di mentirgli. Non sapete nulla di lui, però adesso andate dentro a prendermelo. Avanti. [Esce Pandaro] 411
Shakespeare IV.indb 411
30/11/2018 09:32:01
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 3
Enter Troilus TROILUS How now, what’s the matter?
61
AENEAS
My lord, I scarce have leisure to salute you, My matter is so rash. There is at hand Paris your brother and Deiphobus, The Grecian Diomed, and our Antenor Delivered to us — and for him forthwith, Ere the first sacrifice, within this hour, We must give up to Diomedes’ hand The Lady Cressida. TROILUS Is it so concluded?
65
AENEAS
By Priam and the general state of Troy. They are at hand, and ready to effect it. TROILUS How my achievements mock me. I will go meet them — and, my Lord Aeneas, We met by chance: you did not find me here.
70
AENEAS
Good, good, my lord: the secrecies of nature Have not more gift in taciturnity. 4.3
75 Exeunt
Enter Pandarus and Cressida
PANDARUS Is’t possible? No sooner got but lost. The devil
take Antenor! The young prince will go mad. A plague upon Antenor! I would they had broke ’s neck. CRESSIDA How now? What’s the matter? Who was here? PANDARUS Ah, ah! CRESSIDA Why sigh you so profoundly? Where’s my lord? Gone? Tell me, sweet uncle, what’s the matter? PANDARUS Would I were as deep under the earth as I am above.
5
75. Secrecies: emend. tardo; in Q e F secrets. 412
Shakespeare IV.indb 412
30/11/2018 09:32:01
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 3
Entra Troilo TROILO
Allora, cosa succede? ENEA
Mio signore, non vi saluto degnamente, ma la questione è tanto urgente. C’è qui vostro fratello Paride, e Deifobo, con il greco Diomede e il nostro Antenore che ci viene consegnato. In cambio di lui, come primo sacrificio, entro un’ora, dobbiamo lasciare nelle mani di Diomede la signora Cressida. TROILO
Così è stato deciso? ENEA
Da Priamo e dal consiglio generale di Troia. Sono qui e pronti a farlo. TROILO
Come il successo mi irride. Andrò loro incontro. E con voi, signor Enea, ci siamo incontrati per caso. Non mi avete trovato qui. ENEA
Bene, signore, bene. I segreti della natura non sono più taciturni di quanto non lo sarò io. Escono IV, 3
Entrano Pandaro e Cressida
PANDARO
È mai possibile? Appena conquistata già perduta. Che il diavolo si prenda Antenore! Il giovane principe impazzirà. Che gli venga la peste, ad Antenore! Perché non gli hanno rotto l’osso del collo? CRESSIDA
Allora, cosa succede? Chi c’era qui? PANDARO
Aaaaah! Aaaaaah! CRESSIDA
Perché questi sospiri così profondi? Dov’è il mio signore? Andato? Ditemi, caro zio, che cosa sta succedendo? PANDARO
Vorrei affondare, giù giù, sotto la terra dove pesto. 413
Shakespeare IV.indb 413
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT IV SCENE 3
CRESSIDA O the gods! What’s the matter?
10
PANDARUS Pray thee, get thee in. Would thou hadst ne’er
been born. I knew thou wouldst be his death. O poor gentleman! A plague upon Antenor! CRESSIDA Good uncle, I beseech you on my knees; I beseech you, what’s the matter? PANDARUS Thou must be gone, wench, thou must be gone. Thou art changed for Antenor. Thou must to thy father, and be gone from Troilus. ’Twill be his death. ’Twill be his bane. He cannot bear it.
15
CRESSIDA
O you immortal gods! I will not go.
20
PANDARUS Thou must. CRESSIDA
I will not, uncle. I have forgot my father. I know no touch of consanguinity, No kin, no love, no blood, no soul, so near me As the sweet Troilus. O you gods divine, Make Cressid’s name the very crown of falsehood If ever she leave Troilus. Time, force, and death Do to this body what extremity you can, But the strong base and building of my love Is as the very centre of the earth, Drawing all things to it. I’ll go in and weep — PANDARUS Do, do.
25
30
CRESSIDA
Tear my bright hair, and scratch my praisèd cheeks, Crack my clear voice with sobs, and break my heart With sounding ‘Troilus’. I will not go from Troy.
35
Exeunt
28. Extremity: così in F; in Q extremes. 414
Shakespeare IV.indb 414
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 3
CRESSIDA
O dèi! Che succede? PANDARO
Ti prego, vai dentro. Che tu non fossi mai nata. Sapevo che saresti stata la sua morte. Povero gentiluomo! Peste su Antenore! CRESSIDA
Caro zio, ti supplico, in ginocchio. Ti supplico, che succede? PANDARO
Devi andartene, ragazza, devi andartene. Sei stata scambiata con Antenore. Tornare da tuo padre, andartene via da Troilo. Ne morirà. Sarà la sua rovina. Non lo sopporterà. CRESSIDA
Dèi immortali! Non me ne andrò! PANDARO
Devi. CRESSIDA
No, zio. Ho dimenticato mio padre. Non conosco vincolo di consanguineità, nessuna parentela, nessun amore, nessun’anima mi è così vicina come il dolce Troilo. Dèi del cielo, fate del nome di Cressida l’emblema della falsità, se mai lei lascerà Troilo. Il tempo, la violenza, la morte, facciano del mio corpo tutto ciò che possono, fino alla fine164. Ma la solida base e l’edificio del mio amore sono il centro stesso della terra dove ogni cosa converge. Vado dentro a piangere. PANDARO
Vai, piangi. CRESSIDA
Vado a strapparmi i capelli lucenti e a graffiarmi le guance tanto ammirate, a rompere la voce chiara di singhiozzi e a spezzarmi il cuore chiamando Troilo. Non me ne andrò da Troia. Escono
415
Shakespeare IV.indb 415
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
4.4
Enter Paris, Troilus, Aeneas, Deiphobus, Antenor, and Diomedes
PARIS
It is great morning, and the hour prefixed Of her delivery to this valiant Greek Comes fast upon us. Good my brother Troilus, Tell you the lady what she is to do, And haste her to the purpose. TROILUS Walk into her house. I’ll bring her to the Grecian presently — And to his hand when I deliver her, Think it an altar, and thy brother Troilus A priest, there off’ring to it his own heart. PARIS I know what ’tis to love, And would, as I shall pity, I could help. — Please you walk in, my lords? [Exeunt] 4.5
5
10
Enter Pandarus and Cressida
PANDARUS Be moderate, be moderate. CRESSIDA
Why tell you me of moderation? The grief is fine, full, perfect that I taste, And violenteth in a sense as strong As that which causeth it. How can I moderate it? If I could temporize with my affection Or brew it to a weak and colder palate, The like allayment could I give my grief. My love admits no qualifying dross; No more my grief, in such a precious loss.
5
10
Enter Troilus
3. Us: emend. tardo; assente in Q e F. 9. Own: così in Q; assente in F. 12. You: emend. Oxford; assente in Q e F. 4. Violenteth: così in Q; in F no less = “non meno”. 9. Dross: così in Q; in F cross = “croce”, “pena”. 416
Shakespeare IV.indb 416
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
Entrano Paride, Troilo, Enea, Deifobo, Antenore, e Diomede165
IV, 4 PARIDE
È mattino inoltrato e l’ora prefissata per consegnarla al possente greco si avvicina166. Caro fratello Troilo, dite voi alla signora quel che deve fare, e fatele premura per ciò a cui è destinata. TROILO
Entrate in casa sua. La consegnerò al greco immediatamente. E nell’affidarla a quelle mani, immaginale come un altare, e tuo fratello Troilo come un sacerdote che là immola il suo stesso cuore167. PARIDE
So bene cosa voglia dire amare. E vorrei potervi aiutare, invece che provarne pena. Vi prego, andate avanti, signori. [Escono] IV, 5
Entrano Pandaro e Cressida168
PANDARO
Mòderati, sii moderata. CRESSIDA
Perché mi parli di moderazione? Il dolore che avverto è sottile, pieno, perfetto, e mi fa violenza con la stessa forza che l’ha causato. Come potrei moderarlo? Se fossi capace di temporeggiare con ciò che provo, o di ridurlo a un sapore debole o più freddo, potrei anche dare un certo sollievo al mio dolore. Il mio amore non ammette alcun genere di impurità, e nemmeno il mio dolore, con una perdita tanto preziosa169. Entra Troilo
417
Shakespeare IV.indb 417
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
PANDARUS Here, here, here he comes. Ah, sweet ducks! CRESSIDA (embracing him) O Troilus, Troilus! PANDARUS What a pair of spectacles is here! Let me
embrace you too. ‘O heart’, as the goodly saying is, ‘O heart, heavy heart, Why sigh’st thou without breaking?’ where he answers again ‘Because thou canst not ease thy smart By friendship nor by speaking.’ There was never a truer rhyme. Let us cast away nothing, for we may live to have need of such a verse. We see it, we see it. How now, lambs?
15
22
TROILUS
Cressid, I love thee in so strained a purity That the blest gods, as angry with my fancy — More bright in zeal than the devotion which Cold lips blow to their deities — take thee from me. CRESSIDA Have the gods envy? PANDARUS Ay, ay, ay, ay, ’tis too plain a case.
25
CRESSIDA
And is it true that I must go from Troy? TROILUS
A hateful truth. CRESSIDA What, and from Troilus too?
30
TROILUS
From Troy and Troilus. CRESSIDA
Is’t possible?
TROILUS
And suddenly — where injury of chance Puts back leave-taking, jostles roughly by All time of pause, rudely beguiles our lips Of all rejoindure, forcibly prevents Our locked embrasures, strangles our dear vows
35
23. Strained: così in Q; in F strange. La lezione di Q è più difficile e sofisticata: allude alla tensione legata alla purezza assoluta dell’amore. 418
Shakespeare IV.indb 418
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
PANDARO
Ecco, eccolo che arriva. Ah, paperotti dolcissimi! CRESSIDA (abbracciandolo)
Oh Troilo, Troilo! PANDARO
Che spettacolo qui, due spettacoli! Lasciate che vi abbracci anch’io. ‘Cuore’ – come recita bene il detto – ‘Cuore, cuore pesante, perché singhiozzi ma non ti spezzi?’ E lui risponde: ‘Perché non puoi alleggerire il tuo dolore né con l’amicizia né con le parole’. Mai ci fu rima più vera. Non buttiamo mai via niente, perché nella vita possiamo avere bisogno anche di versi come questi. Lo vediamo proprio. Allora, agnellini? TROILO
Cressida, io ti amo di una purezza così assoluta che i sacri dèi, invidiosi del mio desiderio e di uno zelo più luminoso della devozione che fredde labbra soffiano alle loro maestà, ti portano via da me. CRESSIDA
Sono invidiosi gli dèi? PANDARO
Sì, sì, sì. Un caso anche troppo palese. CRESSIDA
È vero che devo andarmene da Troia? TROILO
Odiosa verità. CRESSIDA
Come? E anche da Troilo? TROILO
Da Troia e da Troilo. CRESSIDA
Possibile? TROILO
Sì, e all’improvviso – perché l’offesa del caso170 impedisce i commiati, respinge crudelmente ogni indugio, e sgarbatamente defrauda le nostre labbra di ogni altro contatto, a forza ci trattiene
419
Shakespeare IV.indb 419
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
Even in the birth of our own labouring breath. We two, that with so many thousand sighs Did buy each other, must poorly sell ourselves With the rude brevity and discharge of one. Injurious Time now with a robber’s haste Crams his rich thiev’ry up, he knows not how. As many farewells as be stars in heaven, With distinct breath and consigned kisses to them, He fumbles up into a loose adieu And scants us with a single famished kiss, Distasted with the salt of broken tears.
40
45
Enter Aeneas AENEAS My lord, is the lady ready? TROILUS (to Cressida)
Hark, you are called. Some say the genius so Cries ‘Come!’ to him that instantly must die. [To Pandarus] Bid them have patience. She shall come anon. PANDARUS Where are my tears? Rain, to lay this wind, or my heart will be blown up by the root.
50
[Exit with Aeneas] CRESSIDA
I must then to the Grecians. No remedy.
TROILUS
CRESSIDA
A woeful Cressid ’mongst the merry Greeks! When shall we see again?
55
TROILUS
Hear me, my love: be thou but true of heart — CRESSIDA
I true? How now! What wicked deem is this? TROILUS
Nay, we must use expostulation kindly, For it is parting from us. I speak not ‘Be thou true’ as fearing thee — For I will throw my glove to Death himself
60
420
Shakespeare IV.indb 420
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
dall’abbracciarci stretti, e soffoca le care promesse non appena esse nascono dai nostri respiri affannati. E noi, che con migliaia di sospiri ci comprammo l’un l’altra, emettendone uno solo dobbiamo svenderci miseramente nella volgare brevità di un attimo. Il tempo ingiurioso, ora, ha la fretta del ladro che ammassa la ricca refurtiva alla rinfusa. Tanti addii quante sono le stelle in cielo, e distinti respiri e baci ad essi affidati, lui li stipa maldestramente in uno spicciolo adieu, e a noi non lascia che un bacio famelico, guastato dal sale delle lacrime profuse. Entra Enea ENEA
Principe, la signora è pronta? TROILO (a Cressida)
Senti! Ti stanno chiamando. Dicono che il demone gridi ‘vieni’ a chi deve morire all’improvviso. [a Pandaro] Pregali di avere pazienza. Verrà subito. PANDARO
Dove sono finite le mie lacrime? Che la pioggia allontani questo vento, o il mio cuore esploderà dalle radici. [Esce con Enea] CRESSIDA
Allora devo andare dai Greci. TROILO
Non c’è rimedio171. CRESSIDA
Una Cressida dolente tra i greci allegri! Quando ci rivedremo? TROILO
Ascoltami, amore mio: basta solo che tu sia fedele in cuor tuo… CRESSIDA
Fedele, io? Ma come! Che pensiero crudele è mai questo?172 TROILO
No, le nostre rimostranze devono essere caute, perché l’occasione ci sfugge. Non pronuncerò ‘sii fedele’ dubitando di te, perché sono pronto a gettare il guanto alla Morte stessa, che non c’è ombra nel
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Shakespeare IV.indb 421
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
That there’s no maculation in thy heart — But ‘Be thou true’ say I, to fashion in My sequent protestation: ‘Be thou true, And I will see thee’.
65
CRESSIDA
O you shall be exposed, my lord, to dangers As infinite as imminent. But I’ll be true. TROILUS
And I’ll grow friend with danger. Wear this sleeve. CRESSIDA
And you this glove. When shall I see you?
70
TROILUS
I will corrupt the Grecian sentinels To give thee nightly visitation. But yet, be true. CRESSIDA O heavens! ‘Be true’ again! TROILUS Hear why I speak it, love. The Grecian youths are full of quality, Their loving well composed, with gifts of nature flowing, And swelling o’er with arts and exercise. How novelty may move, and parts with person, Alas, a kind of godly jealousy — Which I beseech you call a virtuous sin — Makes me afeard. CRESSIDA O heavens, you love me not! TROILUS Die I a villain then! In this I do not call your faith in question So mainly as my merit. I cannot sing, Nor heel the high lavolt, nor sweeten talk, Nor play at subtle games — fair virtues all, To which the Grecians are most prompt and pregnant. But I can tell that in each grace of these There lurks a still and dumb-discoursive devil That tempts most cunningly. But be not tempted. CRESSIDA Do you think I will?
75
80
85
90
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Shakespeare IV.indb 422
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
tuo cuore. ‘Sii fedele’ non è che il preambolo a ciò che viene dopo: sii fedele, e io ti rivedrò. CRESSIDA
Tu ti esporrai, mio signore, a pericoli tanto infiniti quanto vicini. Ma sarò fedele. TROILO
E io mi farò amico il pericolo. Indossa questo bracciale173. CRESSIDA
E tu questo guanto. Quando ti rivedrò? TROILO
Corromperò le sentinelle dei greci. Ti farò visita di notte. Ma tu sii fedele! CRESSIDA
Cieli! Ancora ‘sii fedele’! TROILO
Ascolta il perché, amore. I giovani greci sono ricchi di qualità, amano come si deve, e abbondano di doni naturali, di tecniche e pratiche di seduzione di cui vanno fieri. Come possano impressionarti la novità e la loro avvenenza mi preoccupa – ah, ma questa è una sacrosanta gelosia: ti prego, chiamala virtuoso peccato. CRESSIDA
Dèi del cielo, tu non mi ami! TROILO
Che muoia da farabutto, allora! Io non metto in discussione la tua fedeltà, ma prima di tutto i miei meriti. Non so cantare, né ballare né volteggiare, non ho il miele sulla lingua e non sono un gran che a fare giochetti – tutte virtù, queste, nelle quali i greci sono prontissimi e ricchissimi. Posso dirti, però, che in ognuna di queste seduzioni serpeggia un diavolo quatto e muto sebbene eloquente, che tenta con la massima astuzia174. Ma tu non lasciarti tentare. CRESSIDA
Pensi che lo farò?
423
Shakespeare IV.indb 423
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
TROILUS
No, but something may be done that we will not, And sometimes we are devils to ourselves, When we will tempt the frailty of our powers, Presuming on their changeful potency. AENEAS (within) Nay, good my lord! TROILUS Come, kiss, and let us part. PARIS [at the door] Brother Troilus? TROILUS Good brother, come you hither, And bring Aeneas and the Grecian with you.
95
100
[Exit Paris] CRESSIDA My lord, will you be true? TROILUS
Who, I? Alas, it is my vice, my fault. Whiles others fish with craft for great opinion, I with great truth catch mere simplicity; Whilst some with cunning gild their copper crowns, With truth and plainness I do wear mine bare.
106
Enter Paris, Aeneas, Antenor, Deiphobus, and Diomedes Fear not my truth. The moral of my wit Is ‘plain and true!’; there’s all the reach of it. — Welcome, Sir Diomed. Here is the lady Which for Antenor we deliver you. At the port, lord, I’ll give her to thy hand, And by the way possess thee what she is. Entreat her fair, and by my soul, fair Greek, If e’er thou stand at mercy of my sword, Name Cressid, and thy life shall be as safe As Priam is in Ilium. DIOMEDES Fair Lady Cressid, So please you, save the thanks this prince expects. The lustre in your eye, heaven in your cheek,
110
115
424
Shakespeare IV.indb 424
30/11/2018 09:32:02
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
TROILO
No. Ma può anche accadere qualcosa contro la nostra volontà. Talvolta siamo noi i diavoli di noi stessi, quando mettiamo alla prova la fragilità delle nostre forze, confidando troppo sul loro mutevole potere. ENEA
(da dentro) Ebbene, mio caro principe… TROILO
Avanti, un bacio. E separiamoci. PARIDE
[alla porta]. Fratello Troilo? TROILO
Bene, fratello, vieni avanti. E porta Enea e il greco con te. [Esce Paride] CRESSIDA
Mio signore, e tu sarai fedele? TROILO
Fedele, io? Povero me, è questo il mio vizio, la mia colpa. Gli altri, con l’astuzia, vanno a caccia di grandi riconoscimenti, mentre io, con la mia sincerità, mi procuro soltanto la nomea di sempliciotto. C’è di quelli che con scaltrezza indorano le loro monete di rame, mentre io, con ordinaria sincerità, le mantengo grezze. Entrano Paride, Enea, Antenore, Deifobo, e Diomede Non temere per la mia fedeltà. La mia massima è ‘semplicità e sincerità’175. È tutto ciò a cui arriva… Benvenuto, messer Diomede. Qui c’è la signora che vi consegniamo in cambio di Antenore. Alla porta, messere, l’affiderò nelle vostre mani, e intanto vi illustrerò chi è. Trattatela bene e, sulla mia anima, bel greco, se mai vi troverete alla mercè della mia spada, pronunciate soltanto il nome di Cressida e la vostra vita sarà salva come Priamo è a Troia. DIOMEDE
Bella Lady Cressida, vi prego, non avrete bisogno di ringraziare questo principe come lui si aspetta. Lo splendore degli occhi e il
425
Shakespeare IV.indb 425
30/11/2018 09:32:03
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 5
Pleads your fair usage; and to Diomed You shall be mistress, and command him wholly.
120
TROILUS
Grecian, thou dost not use me courteously, To shame the zeal of my petition towards thee In praising her. I tell thee, lord of Greece, She is as far high-soaring o’er thy praises As thou unworthy to be called her servant. I charge thee use her well, even for my charge; For, by the dreadful Pluto, if thou dost not, Though the great bulk Achilles be thy guard I’ll cut thy throat. DIOMEDES O be not moved, Prince Troilus. Let me be privileged by my place and message To be a speaker free. When I am hence I’ll answer to my lust. And know you, lord, I’ll nothing do on charge. To her own worth She shall be prized; but that you say ‘Be’t so’, I’ll speak it in my spirit and honour ‘No!’
125
130
135
TROILUS
Come, to the port. — I’ll tell thee, Diomed, This brave shall oft make thee to hide thy head. — Lady, give me your hand, and as we walk To our own selves bend we our needful talk. Exeunt Troilus, Cressida, and Diomedes A trumpet sounds PARIS
Hark, Hector’s trumpet. How have we spent this morning? The Prince must think me tardy and remiss, That swore to ride before him in the field.
AENEAS
141
119. Pleads your fair usage: così in Q; in F pleads your fair visage: “invoca il vostro bel viso”. 122. Zeal: emend. tardo; in Q e F seal = “sigillo”. 132. You: così in Q; in F my. 426
Shakespeare IV.indb 426
30/11/2018 09:32:03
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 5
paradiso delle vostre guance impongono che vi si tratti bene. E di Diomede voi sarete padrona, e lo comanderete in tutto. TROILO
Greco, non vi state comportando cortesemente con me: lodando così lei umiliate la spontaneità della mia offerta. Ma io vi dico, greco signore, che lei si innalza tanto sopra le vostre lodi quanto voi siete indegno di chiamarvi suo servo. Vi ordino di trattarla bene perché io lo chiedo. Se non lo fate, in nome di Plutone terribile, ci fosse anche il grande e possente Achille a farvi da guardia, vi taglierò la gola. DIOMEDE
Non vi scaldate, principe Troilo. Per il mio ruolo e per l’incarico ricevuto, rivendico il privilegio della libertà di parola. Quando sarò fuori di qui, farò solo quel che mi va. E sappiate ancora, signore, che non faccio nulla per obbligo. Lei sarà apprezzata per quanto vale. Ma se voi dite ‘così si faccia’, io, sul mio coraggio e sul mio onore, io dico ‘no!’. TROILO
Avanti, alle porte! – Ti dico solo questo, Diomede, che questa impudenza ti farà vergognare di te stesso. Signora, datemi la mano, e strada facendo rivolgeremo solo a noi stessi quelle parole di cui abbiamo bisogno. Escono Troilo, Cressida e Diomede Suono di tromba PARIDE
Senti! La tromba di Ettore. ENEA
Come abbiamo passato questa mattinata? Il principe penserà che sono lento e svogliato, io che avevo promesso di condurlo a cavallo sul campo.
427
Shakespeare IV.indb 427
30/11/2018 09:32:03
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
PARIS
’Tis Troilus’ fault. Come, come to field with him. DEIPHOBUS Let us make ready straight. AENEAS
Yea, with a bridegroom’s fresh alacrity Let us address to tend on Hector’s heels. The glory of our Troy doth this day lie On his fair worth and single chivalry. 4.6
145
Exeunt
Enter Ajax armed, Achilles, Patroclus, Agamemnon, Menelaus, Ulysses, Nestor, a trumpeter, and others
AGAMEMNON
Here art thou in appointment fresh and fair, Anticipating time with starting courage. Give with thy trumpet a loud note to Troy, Thou dreadful Ajax, that the appallèd air May pierce the head of the great combatant And hale him hither. AJAX Thou trumpet, there’s my purse.
5
He gives him money Now crack thy lungs and split thy brazen pipe. Blow, villain, till thy spherèd bias cheek Outswell the colic of puffed Aquilon. Come, stretch thy chest and let thy eyes spout blood; Thou blow’st for Hector.
10
[The trumpet sounds] ULYSSES No trumpet answers. ACHILLES ’Tis but early days.
144. Let us make ready straight: Q attribuisce questa battuta a Deifobo, mentre F a Diomede. Altri ipotizzano che nel manoscritto la battuta fosse stata tagliata. 0-64. Enter … game: in questa parte F non sembra seguire il manoscritto, e ripete errori di Q, quindi si ritiene una semplice ristampa. 2. Time with starting courage: emend. tardo per time. With starting courage / Give… (in Q e F). 428
Shakespeare IV.indb 428
30/11/2018 09:32:03
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
PARIDE
È colpa di Troilo. Avanti, su, scendiamo in campo con lui. DEIFOBO
Prepariamoci subito. ENEA
Sì, mettiamoci alle calcagna di Ettore freschi e solleciti come uno sposo. Poiché la gloria della nostra città, Troia, in questo giorno è riposta sul suo magnifico valore e sul suo eccezionale carattere di cavaliere. Escono IV, 6
Entrano Aiace, armato, Achille, Patroclo, Agamennone, Menelao, Ulisse, Nestore, un trombettiere, e altri176
AGAMENNONE
Eccoti qui, in armi, riposato e splendente, in anticipo sul tempo, con lo scatto del coraggioso. Dai al trombettiere comando di levare un sonoro squillo verso Troia, terribile Aiace. Che, atterrita, l’aria punga il cuore del grande combattente e lo trascini qui. AIACE
Ehi, trombettiere, ecco la mia borsa. Gli dà del denaro Ora spàccati i polmoni, e squarcia quella canna d’ottone. Soffia, ragazzo, finché quelle guance gonfie e rotonde non supereranno il ventre del tronfio Aquilone. Avanti, solleva quel petto e fatti uscire il sangue dagli occhi! Stai suonando per Ettore!177 [Suona la tromba] ULISSE
Nessuna risposta. ACHILLE
È ancora presto.
429
Shakespeare IV.indb 429
30/11/2018 09:32:03
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
AGAMEMNON
Is not yond Diomed with Calchas’ daughter? ULYSSES
’Tis he. I ken the manner of his gait. He rises on the toe: that spirit of his In aspiration lifts him from the earth. Enter Diomedes and Cressida AGAMEMNON (to Diomedes) Is this the Lady Cressid? DIOMEDES Even she.
15
AGAMEMNON
Most dearly welcome to the Greeks, sweet lady. He kisses her NESTOR (to Cressida) Our General doth salute you with a kiss.
20
ULYSSES
Yet is the kindness but particular; ’Twere better she were kissed in general. NESTOR
And very courtly counsel. I’ll begin. He kisses her So much for Nestor. ACHILLES
I’ll take that winter from your lips, fair lady. He kisses her Achilles bids you welcome. MENELAUS (to Cressida) I had good argument for kissing once.
25
PATROCLUS
But that’s no argument for kissing now; For thus [stepping between them] popped Paris in his hardiment, And parted thus you and your argument. He kisses her
30
30. And parted … argument: così in Q; assente in F. 430
Shakespeare IV.indb 430
30/11/2018 09:32:03
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
AGAMENNONE
Là non c’è Diomede, con la figlia di Calcante? ULISSE
È lui, lo riconosco dal passo. Incede sulle punte. È il suo spirito ambizioso che lo solleva da terra. Entrano Diomede e Cressida AGAMENNONE (a Diomede)
È questa la signora Cressida?178 DIOMEDE
Proprio così. AGAMENNONE
Il mio più cordiale benvenuto tra i Greci, graziosa signora. La bacia NESTORE (a Cressida)
Il nostro generale vi saluta con un bacio. ULISSE
Che gentilezza riservata. Non faremmo meglio a baciarla con un bacio generale? NESTORE
Consiglio molto cortese. Comincio io. La bacia Questo da parte di Nestore. ACHILLE
Vi ruberò quell’inverno dalle labbra, splendida signora. La bacia Achille vi dà il benvenuto. MENELAO (a Cressida) Avevo un valido motivo per baciare, una volta. PATROCLO
Non è un buon motivo per baciare ora. Perché proprio così [mettendosi tra di loro]: Paride è venuto con tutto il suo ardimento, e ha fatto saltare voi e il vostro giuramento179. La bacia
431
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
ULYSSES [aside]
O deadly gall, and theme of all our scorns! For which we lose our heads to gild his horns. PATROCLUS (to Cressida) The first was Menelaus’ kiss; this, mine. Patroclus kisses you. He kisses her again MENELAUS
O this is trim.
PATROCLUS (to Cressida)
Paris and I kiss evermore for him.
35
MENELAUS
I’ll have my kiss, sir. — Lady, by your leave. CRESSIDA
In kissing do you render or receive? [MENELAUS]
Both take and give. I’ll make my match to live, The kiss you take is better than you give. Therefore no kiss.
CRESSIDA
40
MENELAUS
I’ll give you boot: I’ll give you three for one. CRESSIDA
You are an odd man: give even or give none. MENELAUS
An odd man, lady? Every man is odd. CRESSIDA
No, Paris is not — for you know ’tis true That you are odd, and he is even with you.
45
MENELAUS
You fillip me o’th’ head. CRESSIDA No, I’ll be sworn.
38. [MENELAUS]: Q e F attribuiscono la battuta a Patroclo. L’ed. Oxford e altre precedenti correggono inserendo più logicamente Menelao. 432
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
ULISSE [a parte]
Battuta amara, tema di tutti i nostri scorni, perché perdiamo la vita per indorar suoi corni! PATROCLO (a Cressida) Il primo bacio era di Menelao. Questo è il mio. È Patroclo che vi bacia. La bacia ancora MENELAO
Questo sì che è forte. PATROCLO (a Cressida)
Paride ed io baciamo sempre anche per lui. MENELAO
Avrò il mio bacio, signore. Madame, permettete? CRESSIDA
Nel baciare siete uno che dà o che riceve? [MENELAO]
Entrambi. Do e ricevo. CRESSIDA
Ci scommetterei sulla mia vita che il bacio migliore è quello che ricevete, e non quello che date. Perciò niente bacio. MENELAO
Aumenterò la posta. Ve ne darò tre per uno. CRESSIDA
Siete un uomo singolo. Date alla pari o non date nulla. MENELAO
Un uomo singolare, signora? Ciascun uomo è unico. CRESSIDA
No, Paride non lo è. Riconoscete che questo è vero, che siete singolo, mentre lui è accompagnato180. MENELAO
Bella botta in testa. CRESSIDA
No, lo giuro.
433
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
ULYSSES
It were no match, your nail against his horn. May I, sweet lady, beg a kiss of you? CRESSIDA
You may. ULYSSES
I do desire it.
CRESSIDA
Why, beg too.
ULYSSES
Why then, for Venus’ sake, give me a kiss, When Helen is a maid again, and his —
50
CRESSIDA
I am your debtor; claim it when ’tis due. ULYSSES
Never’s my day, and then a kiss of you. DIOMEDES
Lady, a word. I’ll bring you to your father. [They talk apart] NESTOR
A woman of quick sense. Fie, fie upon her! There’s language in her eye, her cheek, her lip; Nay, her foot speaks. Her wanton spirits look out At every joint and motive of her body. O these encounterers so glib of tongue, That give accosting welcome ere it comes, And wide unclasp the tables of their thoughts To every ticklish reader, set them down For sluttish spoils of opportunity And daughters of the game.
ULYSSES
55
60
[Exeunt Diomedes and Cressida] Flourish ALL The Trojans’ trumpet.
65
49. Too: emend. tardo; in Q e F then = “allora”. 434
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
ULISSE
Scontro impari: le vostre unghie contro le sue corna. Potrò mai, dolce signora, implorarvi un bacio? CRESSIDA
Potete. ULISSE
Come lo desidero. CRESSIDA
Allora, chiedetelo, dunque. ULISSE
In nome di Venere, datemi un bacio quando Elena tornerà vergine, e sua. CRESSIDA
Sono vostra debitrice. Reclamatelo quando sarà dovuto. ULISSE
Mai è il mio giorno. Allora mi bacerete. DIOMEDE
Signora, ascoltate. Vi porto da vostro padre. [parlano da parte] NESTORE
Donna di spirito. ULISSE
Vergogna, vergogna su di lei! Ha una specie di linguaggio negli occhi, sulle guance, sulle labbra. Ecco, persino i suoi piedi parlano. Quei modi lascivi le fanno capolino da ogni giuntura e da ogni mossa del corpo. Ah queste sciantose, così svelte di lingua, che incoraggiano le avances prima ancora che arrivino, e che spalancano le pagine dei loro pensieri a ogni lettore che le solletichi! Registratele pure come sudice spoglie di ogni buona occasione, figlie del bordello. [Escono Diomede e Cressida] Squillo di tromba TUTTI
La tromba dei troiani!181
435
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
Enter all of Troy: Hector [armed], Paris, Aeneas, Helenus, and attendants, among them Troilus AGAMEMNON Yonder comes the troop. AENEAS [coming forward]
Hail, all you state of Greece! What shall be done To him that victory commands? Or do you purpose A victor shall be known? Will you the knights Shall to the edge of all extremity Pursue each other, or shall they be divided By any voice or order of the field? Hector bade ask. AGAMEMNON Which way would Hector have it?
70
AENEAS
He cares not; he’ll obey conditions. [ACHILLES]
’Tis done like Hector — but securely done, A little proudly, and great deal disprising The knight opposed. AENEAS If not Achilles, sir, What is your name? ACHILLES If not Achilles, nothing.
75
AENEAS
Therefore Achilles. But whate’er, know this: In the extremity of great and little, Valour and pride excel themselves in Hector, The one almost as infinite as all, The other blank as nothing. Weigh him well, And that which looks like pride is courtesy. This Ajax is half made of Hector’s blood, In love whereof half Hector stays at home. Half heart, half hand, half Hector comes to seek This blended knight, half Trojan and half Greek.
80
85
ACHILLES
A maiden battle, then? O I perceive you. 75. [ACHILLES]: emend. tardo; Q e F attribuiscono ad Agamennone la prima parte della battuta, ’Tis done like Hector. 436
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
Entrano tutti quelli di Troia: Ettore [armato], Paride, Enea, Eleno, con attendenti; tra di loro, Troilo AGAMENNONE
Arriva la truppa. ENEA [venendo avanti]
Salve a tutta l’assemblea dei Greci. Quali onori riceverà chi otterrà la vittoria? O intendete fare conoscere soltanto il nome del vincitore? Desiderate che i cavalieri arrivino fino al punto estremo del reciproco scontro, o che siano divisi da una voce o da un ordine sul campo?182 Ettore mi prega di domandarvelo. AGAMENNONE
Cosa preferirebbe Ettore? ENEA
Non gliene importa. Si rimette alle vostre condizioni. [ACHILLE]
Tipico del fare di Ettore – ma sarà sicuramente fatto. Uno che confida troppo in se stesso, un tantino superbo, e che disprezza non poco il cavaliere avversario. ENEA
Se non è Achille, signore, qual è il vostro nome? ACHILLE
Se non Achille, nessuno. ENEA
Che sia Achille, allora. Ma chiunque voi siate, sappiate questo: negli estremi del grande e del piccolo, valore e superbia sono assolutamente eccellenti in Ettore. L’uno pressoché infinito quanto il tutto, l’altra vuota come il nulla. Soppesatelo bene, perché ciò che sembra superbia in lui è cortesia. Questo Aiace qui ha la metà del sangue di Ettore. E per amore di lui, mezzo Ettore se ne sta a casa: mezzo cuore, mezza mano, mezzo Ettore parte all’inseguimento di questo cavaliere misto, mezzo troiano e mezzo greco183. ACHILLE
Una battaglia da donne, allora? Ora vi comprendo.
437
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 6
Enter Diomedes AGAMEMNON
Here is Sir Diomed. — Go, gentle knight, Stand by our Ajax. As you and Lord Aeneas Consent upon the order of their fight, So be it: either to the uttermost Or else a breath.
90
[Exeunt Ajax, Diomedes, Hector, and Aeneas] The combatants being kin Half stints their strife before their strokes begin. ULYSSES They are opposed already.
95
AGAMEMNON
What Trojan is that same that looks so heavy? ULYSSES
The youngest son of Priam, a true knight: They call him Troilus. Not yet mature, yet matchless-firm of word, Speaking in deeds and deedless in his tongue; Not soon provoked, nor being provoked soon calmed; His heart and hand both open and both free. For what he has he gives; what thinks, he shows; Yet gives he not till judgement guide his bounty, Nor dignifies an impare thought with breath. Manly as Hector but more dangerous, For Hector in his blaze of wrath subscribes To tender objects, but he in heat of action Is more vindicative than jealous love. They call him Troilus, and on him erect A second hope as fairly built as Hector. Thus says Aeneas, one that knows the youth Even to his inches, and with private soul Did in great Ilium thus translate him to me.
100
105
110
115
Alarum 94. Breath: così in Q; in F breach = “rottura” (del patto). 99. They call him Troilus: così in F, assente in Q. 438
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 6
Entra Diomede AGAMENNONE
Qui c’è il Signor Diomede. Avanti, gentile cavaliere, fate da padrino al nostro Aiace. Voi e il signor Enea accordatevi sulle procedure del loro scontro, e così sia: fino all’ultimo respiro, o con interruzioni per riprender fiato. [Escono Aiace, Diomede, Ettore, e Enea] Il fatto che i combattenti siano parenti sminuisce la loro lotta già prima che comincino a sferrare i colpi. ULISSE
Sono già l’uno contro l’altro. AGAMENNONE
Chi è quel troiano con l’aria così triste?184 ULISSE
È il più giovane figlio di Priamo, un vero cavaliere: lo chiamano Troilo. Non ancora maturo eppure serio di parola come nessuno, è uno che parla con i fatti e di essi non si vanta nelle chiacchiere. Non si lascia provocare facilmente, né calmare una volta provocato. Di cuore e di mano aperto e generoso. Espone ciò che possiede, e dice apertamente ciò che pensa. Non dà senza che il giudizio guidi la sua generosità. E non degna di un respiro alcun pensiero impuro. Virile come Ettore, ma più temibile. Perché Ettore, anche quando s’accende di collera, tende maggiormente a intenerirsi, mentre lui al culmine dell’azione è più vendicativo dell’amore geloso. Lo chiamano Troilo185, e su di lui ripongono una seconda speranza, ben fondata come quella di Ettore. Così dice Enea, uno che conosce il giovane in ogni dettaglio: me l’ha descritto durante un colloquio privato nella grande Ilio. Allarme
439
Shakespeare IV.indb 439
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
AGAMEMNON They are in action. NESTOR Now, Ajax, hold thine own! TROILUS Hector, thou sleep’st! Awake thee! AGAMEMNON
His blows are well disposed. There, Ajax! 4.7
[Exeunt]
[Enter Hector and Ajax fighting, and Aeneas and Diomedes interposing.] Trumpets cease
DIOMEDES
You must no more. Princes, enough, so please you.
AENEAS AJAX
I am not warm yet. Let us fight again. DIOMEDES
As Hector pleases. Why then will I no more. — Thou art, great lord, my father’s sister’s son, A cousin-german to great Priam’s seed. The obligation of our blood forbids A gory emulation ’twixt us twain. Were thy commixtion Greek and Trojan so That thou couldst say ‘This hand is Grecian all, And this is Trojan; the sinews of this leg All Greek, and this all Troy; my mother’s blood Runs on the dexter cheek, and this sinister Bounds in my father’s,’ by Jove multipotent Thou shouldst not bear from me a Greekish member Wherein my sword had not impressure made Of our rank feud. But the just gods gainsay That any drop thou borrowed’st from thy mother, My sacred aunt, should by my mortal sword
HECTOR
5
10
15
119. [Exeunt]: emend. Oxford, assente in Q e F. Molte, soprattutto da questo punto, le varianti relative alle direttive e alle stesse suddivisioni delle scene, rese necessarie da ambiguità e lacune nei testi originali. Si riportano qui le risistemazioni Oxford ignorando le complicazioni (salvo quando utili alla messinscena; cfr. V, 2-9). 440
Shakespeare IV.indb 440
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
AGAMENNONE
Eccoli in azione. NESTORE
Forza, Aiace, tieni duro! TROILO
Ettore, non dormire! Svegliati! AGAMENNONE
Ben piazzàti questi colpi. Vai Aiace! [Escono] IV, 7
[Entrano Ettore e Aiace combattendo, e Enea e Diomede si mettono in mezzo.] Cessano gli squilli di tromba
DIOMEDE
Fermatevi. ENEA
Principi, basta, per favore. AIACE
Non mi sono nemmeno scaldato. Lasciateci combattere ancora. DIOMEDE
Come vuole Ettore. ETTORE
Ebbene, allora non combatterò più. Tu, nobile signore, sei il figlio della sorella di mio padre, cugino primo della stirpe del grande Priamo. Il legame di sangue impedisce che ci sia una contesa cruenta tra noi due186. Se l’incrocio tra Greco e Troiano fosse tale che tu potessi dire ‘Questa mano è tutta greca, e questa troiana; i legamenti di questa gamba tutti greci, e questi tutti di Troia; il sangue di mia madre scorre sulla guancia destra, e qui, sulla sinistra, pulsa quello di mio padre’, per Giove onnipotente, non ti porteresti via neanche un brandello di quel tuo corpo greco prima che la mia spada non vi avesse impresso il sigillo della nostra vigorosa sfida. Ma gli dèi giusti proibiscono che una sola goccia del tuo sangue materno, che è quello della mia sacra zia, sia versato dalla
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
Be drained. Let me embrace thee, Ajax. By him that thunders, thou hast lusty arms. Hector would have them fall upon him thus. Cousin, all honour to thee. AJAX I thank thee, Hector. Thou art too gentle and too free a man. I came to kill thee, cousin, and bear hence A great addition earnèd in thy death.
20
25
HECTOR
Not Neoptolemus so mirable, On whose bright crest Fame with her loud’st oyez Cries ‘This is he!’, could promise to himself A thought of added honour torn from Hector. AENEAS
There is expectance here from both the sides What further you will do. HECTOR We’ll answer it: The issue is embracement. — Ajax, farewell.
30
AJAX
If I might in entreaties find success, As seld I have the chance, I would desire My famous cousin to our Grecian tents.
35
DIOMEDES
’Tis Agamemnon’s wish — and great Achilles Doth long to see unarmed the valiant Hector. HECTOR
Aeneas, call my brother Troilus to me, And signify this loving interview To the expecters of our Trojan part. Desire them home. [Exit Aeneas] Give me thy hand, my cousin. I will go eat with thee, and see your knights. Enter Agamemnon and the rest: Aeneas, Ulysses, Menelaus, Nestor, Achilles, Patroclus, Troilus, and others
40
AJAX
Great Agamemnon comes to meet us here. 442
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
mia spada ferale. Lascia che ti abbracci, Aiace: per Giove tonante, hai muscoli potenti. Ettore vorrebbe sentirseli piombare addosso. Cugino, a te ogni onore! AIACE
Ti ringrazio, Ettore. Sei un uomo troppo gentile, troppo magnanimo. Ero venuto per ucciderti, cugino, e per guadagnarmi un gran bell’onore dalla tua morte. ETTORE
Nemmeno il tanto ammirevole Pelide187, sul cui fulgido elmo la Fama – con il suo sonante udite, udite! grida ‘È lui!’ – avrebbe potuto sperare di strappare a Ettore un simile onore. ENEA
C’è attesa da entrambe le parti188: che farete? ETTORE
Vi risponderemo. Abbracciamoci. E addio. AIACE
Se potessi avere successo con le suppliche – come raramente mi è capitato – vorrei invitare il mio famoso cugino nelle nostre tende greche. DIOMEDE
Questo è il desiderio di Agamennone, e il grande Achille brama di vedere disarmato il valoroso Ettore. ETTORE
Enea, chiama mio fratello Troilo, e comunica questo amichevole dialogo ai troiani in sospeso. Che tornino a casa. [Esce Enea] Dammi la mano, cugino. Mangerò con te e vedrò i tuoi cavalieri. Entrano Agamennone e il resto: Enea, Ulisse, Menelao, Nestore, Achille, Patroclo, Troilo, e altri AIACE
Il grande Agamennone viene a incontrarci.
443
Shakespeare IV.indb 443
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
HECTOR (to Aeneas)
The worthiest of them, tell me name by name. But for Achilles, mine own searching eyes Shall find him by his large and portly size. AGAMEMNON (embracing him) Worthy of arms, as welcome as to one That would be rid of such an enemy. But that’s no welcome. Understand more clear: What’s past and what’s to come is strewed with husks And formless ruin of oblivion, But in this extant moment faith and troth, Strained purely from all hollow bias-drawing, Bids thee with most divine integrity From heart of very heart, ‘Great Hector, welcome!’
45
51
55
HECTOR
I thank thee, most imperious Agamemnon. AGAMEMNON [to Troilus]
My well-famed lord of Troy, no less to you. MENELAUS
Let me confirm my princely brother’s greeting. You brace of warlike brothers, welcome hither. [He embraces Hector and Troilus] HECTOR (to Aeneas)
Who must we answer? The noble Menelaus.
AENEAS
60
HECTOR
O, you, my lord! By Mars his gauntlet, thanks. Mock not that I affect th’untraded oath. Your quondam wife swears still by Venus’ glove. She’s well, but bade me not commend her to you. MENELAUS
Name her not now, sir. She’s a deadly theme.
65
HECTOR O, pardon. I offend. NESTOR
I have, thou gallant Trojan, seen thee oft, Labouring for destiny, make cruel way 444
Shakespeare IV.indb 444
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
ETTORE (a Enea)
Indicami per nome i migliori di loro, fuorché Achille: i miei occhi lo cercheranno e lo riconosceranno dalla sua alta e imponente figura. AGAMENNONE (lo abbraccia) Degnissimo guerriero, benvenuto a me come a chi vorrebbe sbarazzarsi subito di un tale nemico. Ma non è un benvenuto. Comprendimi meglio: il tempo passato e quello a venire sono cosparsi dalle vuote e informi rovine dell’oblio189. In questo preciso momento, però, fede e lealtà, accuratamente depurate da ogni superficiale e insincera devianza, con la più sacrosanta integrità, e dalle profondità stesse del cuore, ti pregano ‘Grande Ettore, benvenuto’. ETTORE
Ti ringrazio, Agamennone sovrano. AGAMENNONE [a Troilo]
Mio principe di Troia dalla buona fama, altrettanto a voi. MENELAO
Permettetemi di unirmi al saluto del mio nobile fratello. Benvenuti qui a voi due, fratelli guerrieri. [abbraccia Ettore e Troilo] ETTORE (a Enea)
A chi rispondiamo? ENEA
Al nobile Menelao. ETTORE
Oh, voi, mio signore! Per il guanto di Marte, grazie! Non ridete di me se uso una formula non più in voga. La vostra precedente moglie giura sempre sul guanto di Venere190. È in forma, ma mi ha pregato di non portarvi saluti da parte sua. MENELAO
Non la nominate, ora, signore. Il suo tema è la morte. ETTORE
Perdono. Vi ho offeso. NESTORE
Spesso, valente troiano, ti ho visto compiere l’opera del destino facendoti strada crudele tra le schiere di giovani greci; e ti ho vi445
Shakespeare IV.indb 445
30/11/2018 09:32:04
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
Through ranks of Greekish youth, and I have seen thee As hot as Perseus spur thy Phrygian steed, And seen thee scorning forfeits and subduements, When thou hast hung th’advancèd sword i’th’ air, Not letting it decline on the declined, That I have said unto my standers-by, ‘Lo, Jupiter is yonder, dealing life’. And I have seen thee pause and take thy breath, When that a ring of Greeks have hemmed thee in, Like an Olympian, wrestling. This have I seen; But this thy countenance, still locked in steel, I never saw till now. I knew thy grandsire And once fought with him. He was a soldier good, But — by great Mars, the captain of us all — Never like thee. Let an old man embrace thee; And, worthy warrior, welcome to our tents.
70
75
80
He embraces Hector AENEAS (to Hector) ’Tis the old Nestor.
85
HECTOR
Let me embrace thee, good old chronicle, That hast so long walked hand in hand with time. Most reverend Nestor, I am glad to clasp thee. NESTOR
I would my arms could match thee in contention As they contend with thee in courtesy. HECTOR I would they could.
90
NESTOR
Ha! By this white beard I’d fight with thee tomorrow. Well, welcome, welcome! I have seen the time. ULYSSES
I wonder now how yonder city stands When we have here her base and pillar by us?
95
72. Th’: così in Q; in F thy, generalmente seguito. 77. Hemmed: così in F; in Q shrupd [shrapd]= forma dialettale per “prendere”, “intrappolare”. 446
Shakespeare IV.indb 446
30/11/2018 09:32:04
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
sto, rovente come Perseo, spronare il cavallo frigio, sprezzante di infierire sugli sconfitti e sui caduti, tenere la spada in alto come ad appenderla al vento, senza lasciarla cadere su chi era a terra, e così dicevo a qualcuno che mi era accanto: ‘Vedi, là è Giove che dispensa la vita’. E ho ti visto fermarti e riprendere fiato, circondato da un anello di greci, come un lottatore alle Olimpiadi. Questo ho visto. Ma il tuo volto, sempre serrato nell’acciaio, fino ad ora non l’avevo visto mai. Conoscevo tuo nonno191 e una volta ho combattuto contro di lui. Era un buon soldato. Eppure, per il grande Marte che tutti ci comanda, niente a che vedere con te. Accogli l’abbraccio di un vecchio. E benvenuto alle nostre tende, nobile soldato. Abbraccia Ettore ENEA (a Ettore)
Questo è il vecchio Nestore. ETTORE
Lascia che ti abbracci, cronaca del buon tempo antico, che così a lungo hai camminato a braccetto con il tempo. Reverendissimo Nestore, sono felice di stringerti. NESTORE
Vorrei che le mie braccia potessero lottare contro le tue, come competono con te in cortesia. ETTORE
Lo vorrei anch’io. NESTORE
Ah! Per questa barba bianca, combatterò contro di te domani. Ebbene, benvenuto. Benvenuto! Ho già visto quel tempo. ULISSE
Mi domando ora come quella città là stia in piedi, dal momento che abbiamo qua, presso di noi, le sue fondamenta e i pilastri.
447
Shakespeare IV.indb 447
30/11/2018 09:32:05
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
HECTOR
I know your favour, Lord Ulysses, well. Ah, sir, there’s many a Greek and Trojan dead Since first I saw yourself and Diomed In Ilium on your Greekish embassy. ULYSSES
Sir, I foretold you then what would ensue. My prophecy is but half his journey yet; For yonder walls that pertly front your town, Yon towers whose wanton tops do buss the clouds, Must kiss their own feet. HECTOR I must not believe you. There they stand yet, and modestly I think The fall of every Phrygian stone will cost A drop of Grecian blood. The end crowns all, And that old common arbitrator Time Will one day end it. ULYSSES So to him we leave it. Most gentle and most valiant Hector, welcome.
100
105
110
[He embraces him] After the General, I beseech you next To feast with me and see me at my tent. ACHILLES
I shall forestall thee, Lord Ulysses. [To Hector] Thou! Now, Hector, I have fed mine eyes on thee. I have with exact view perused thee, Hector, And quoted joint by joint. HECTOR Is this Achilles? ACHILLES I am Achilles.
115
HECTOR
Stand fair, I pray thee, let me look on thee. ACHILLES
Behold thy fill. HECTOR
Nay, I have done already.
120
448
Shakespeare IV.indb 448
30/11/2018 09:32:05
TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
ETTORE
Conosco bene il vostro volto, Ulisse. Oh, signore, abbiamo un mucchio di greci e di troiani morti da quando vidi voi e Diomede per la prima volta, a Troia, come ambasciatori dei Greci. ULISSE
Signore, allora vi predissi ciò che sarebbe seguito, e la mia profezia non è che a metà del suo viaggio192. Quelle mura là, che fronteggiano impudenti la vostra città, e quelle torri, le cui ambiziose sommità baciano le nuvole, dovranno baciare i loro stessi piedi. ETTORE
Non posso credervi. Ora là si ergono e, secondo il mio modesto parere, il crollo di ogni pietra frigia costerà una goccia di sangue greco. La fine tutto incorona, e sarà quel vecchio arbitro universale, il Tempo, un giorno, a finire. ULISSE
Allora lasciamo fare a lui. Gentilissimo e valorosissimo Ettore, benvenuto. [Lo abbraccia] Dopo il generale, vi prego di venire a farmi visita e a festeggiare nella mia tenda. ACHILLE
Voglio precedervi, Ulisse. [a Ettore] Tu! Bene, Ettore, ho nutrito di te i miei occhi. Ti ho guardato e riguardato con la vista più attenta, Ettore, e ti ho analizzato in ogni giuntura. ETTORE
Costui è Achille? ACHILLE
Sono Achille. ETTORE
Ti prego, stai fermo in piedi. Lascia che ti guardi. ACHILLE
Riempiti gli occhi. ETTORE
Già fatto.
449
Shakespeare IV.indb 449
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
ACHILLES
Thou art too brief. I will the second time, As I would buy thee, view thee limb by limb. HECTOR
O, like a book of sport thou’lt read me o’er. But there’s more in me than thou understand’st. Why dost thou so oppress me with thine eye?
125
ACHILLES
Tell me, you heavens, in which part of his body Shall I destroy him — whether there, or there, or there — That I may give the local wound a name, And make distinct the very breach whereout Hector’s great spirit flew? Answer me, heavens.
130
HECTOR
It would discredit the blest gods, proud man, To answer such a question. Stand again. Think’st thou to catch my life so pleasantly As to prenominate in nice conjecture Where thou wilt hit me dead? ACHILLES I tell thee, yea.
135
HECTOR
Wert thou the oracle to tell me so, I’d not believe thee. Henceforth guard thee well. For I’ll not kill thee there, nor there, nor there, But, by the forge that stithied Mars his helm, I’ll kill thee everywhere, yea, o’er and o’er. — You wisest Grecians, pardon me this brag: His insolence draws folly from my lips. But I’ll endeavour deeds to match these words, Or may I never — AJAX Do not chafe thee, cousin. — And you, Achilles, let these threats alone, Till accident or purpose bring you to’t. You may have every day enough of Hector, If you have stomach. The general state, I fear, Can scarce entreat you to be odd with him.
140
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Shakespeare IV.indb 450
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
ACHILLE
Sei troppo veloce. Io lo farò una seconda volta, come se volessi comprarti, guardandoti pezzo per pezzo. ETTORE
Mi leggerai a fondo come un manuale di caccia. Ma in me c’è più di quanto tu non comprenda. Perché mi opprimi tanto con quegli occhi? ACHILLE
Ditemi, Cieli, in quale punto distruggerò questo corpo? Là, lì, o lì? Come posso dare a ciascuna precisa ferita un nome e distinguere la breccia esatta da cui volerà via il grande spirito di Ettore? Rispondetemi, Cieli!193 ETTORE
Screditerebbe gli dèi beati, uomo superbo, rispondere a una tale domanda. Rimettiti di nuovo in piedi. Pensi che prenderti la mia vita sia così semplice da permetterti di annotare in anticipo, con precisa congettura, il punto dove mi colpirai a morte? ACHILLE
Sì, ti dico. ETTORE
Fossi anche un oracolo nel dirmelo, non ti crederei. Tu, piuttosto, guardati bene. Perché non ti ucciderò lì, né lì, né là. Per il fuoco che forgiò l’elmo di Marte, ti ucciderò ovunque, sì, dappertutto. E voi, i più saggi tra i Greci, perdonatemi questa sfrontatezza: la sua insolenza trae parole folli dalle mie labbra. Ma compirò azioni che siano all’altezza di queste parole, o altrimenti che mai… AIACE
Non irritarti, cugino. E voi, Achille, fatela finita con queste minacce, finché il caso o la scelta non vi conduca a ciò. Potete avere ogni giorno Ettore a sazietà, se avrete del fegato. Tutto il comando, temo, non brama altro che di vedervi combattere.
451
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 4 SCENE 7
HECTOR (to Achilles)
I pray you, let us see you in the field. We have had pelting wars since you refused The Grecians’ cause. ACHILLES Dost thou entreat me, Hector? Tomorrow do I meet thee, fell as death; Tonight, all friends. HECTOR Thy hand upon that match.
150
AGAMEMNON
First, all you peers of Greece, go to my tent. There in the full convive you. Afterwards, As Hector’s leisure and your bounties shall Concur together, severally entreat him. Beat loud the taborins, let the trumpets blow, That this great soldier may his welcome know.
155
160
Flourish. Exeunt all but Troilus and Ulysses TROILUS
My Lord Ulysses, tell me, I beseech you, In what place of the field doth Calchas keep? ULYSSES
At Menelaus’ tent, most princely Troilus. There Diomed doth feast with him tonight — Who neither looks on heaven nor on earth, But gives all gaze and bent of amorous view On the fair Cressid.
165
TROILUS
Shall I, sweet lord, be bound to you so much, After we part from Agamemnon’s tent, To bring me thither? ULYSSES You shall command me, sir. As gentle tell me, of what honour was This Cressida in Troy? Had she no lover there That wails her absence?
170
168. You: così in Q; in F thee (v. nota a IV, 1, 68). 452
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TROILO E CRESSIDA, ATTO IV SCENA 7
ETTORE (ad Achille)
Vi prego, incontriamoci in campo. Abbiamo avuto una misera guerra, dacché avete abbandonato la causa della Grecia. ACHILLE
Tu mi preghi, Ettore? Domani ti incontrerò, fiero come la morte. Ma stanotte tutti amici. ETTORE
Qua la mano per l’incontro. AGAMENNONE
Per prima cosa, voi tutti compagni greci, andate alla mia tenda. Là mangeremo assieme in allegria. Dopo, se il piacere di Ettore e la vostra generosità si accorderanno, lo inviterete singolarmente. Si battano i tamburi, si dia fiato alle trombe: che questo grande soldato riceva il suo benvenuto. Fanfara. Escono tutti eccetto Troilo e Ulisse TROILO
Mio signore, Ulisse, ditemi, vi prego, in quale zona del campo si trova Calcante? ULISSE
Presso la tenda di Menelao, nobilissimo Troilo. Là stanotte gozzoviglia assieme a lui Diomede – che non ha più occhi né per il cielo né per la terra, ma rivolge lo sguardo innamorato alla bella Cressida soltanto. TROILO
Caro signore, vi sarei molto obbligato se, di ritorno dalla tenda di Agamennone, mi accompagnaste là. ULISSE
Al vostro servizio, principe. E voi cortesemente potreste dirmi di quale reputazione godeva questa Cressida a Troia? Non aveva un amante, là, che ora piange la sua assenza?
453
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 1
TROILUS
O sir, to such as boasting show their scars A mock is due. Will you walk on, my lord? She was beloved, she loved; she is, and doth. But still sweet love is food for fortune’s tooth. 5.1
175 Exeunt
Enter Achilles and Patroclus
ACHILLES
I’ll heat his blood with Greekish wine tonight, Which with my scimitar I’ll cool tomorrow. Patroclus, let us feast him to the height. PATROCLUS
Here comes Thersites. Enter Thersites How now, thou core of envy, Thou crusty botch of nature, what’s the news? THERSITES Why, thou picture of what thou seemest, and idol of idiot-worshippers, here’s a letter for thee. ACHILLES From whence, fragment? THERSITES Why, thou full dish of fool, from Troy. ACHILLES
5
Achilles reads the letter PATROCLUS Who keeps the tent now?
10
THERSITES The surgeon’s box or the patient’s wound. PATROCLUS Well said, adversity. And what need these
tricks? THERSITES Prithee be silent, boy. I profit not by thy talk.
Thou art thought to be Achilles’ male varlet.
15
PATROCLUS ‘Male varlet’, you rogue? What’s that?
5. Botch: emend. tardo; in Q e F batch, “impasto da lievitare”. 454
Shakespeare IV.indb 454
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 1
TROILO
Signore, è chi mette in bella mostra le sue ferite a essere degno di scherno. Vogliamo andare? Lei era amata, e amava. Lo è, e ama a sua volta. Ma sempre il dolce amore è cibo per il dente della sorte. Escono V, 1
Entrano Achille e Patroclo194
ACHILLE
Gli accenderò il sangue con vino greco, stanotte, e lo raffredderò domani con la mia scimitarra. Patroclo, facciamogli una bella festa, decisiva195. PATROCLO
Ecco che arriva Tersite. Entra Tersite ACHILLE
Ehilà, concentrato di invidia! Crostosa escrescenza naturale, novità? TERSITE
Cosa? Tu, piuttosto, ritratto della tua ombra, idolo degli adoratoridi-idioti… Qui c’è una lettera per te. ACHILLE
E da chi, rumenta? TERSITE
Eh? Da Troia, bella cremina pasticcera per i matti. Achille legge la lettera PATROCLO
Chi c’è nelle tende, ora?196 TERSITE
La borsetta del chirurgo. O la ferita del paziente. PATROCLO
Buona questa, calamità! Ma a che pro questi giochetti? TERSITE
Zitto, signorino. Le tue parole non mi servono. Lo sanno tutti che sei il maschietto di Achille. PATROCLO
Il maschietto, cafone! E cos’è? 455
Shakespeare IV.indb 455
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 1
THERSITES Why, his masculine whore. Now the rotten
diseases of the south, guts-griping, ruptures, catarrhs, loads o’ gravel i’th’ back, lethargies, cold palsies, and the like, take and take again such preposterous discoveries! PATROCLUS Why, thou damnable box of envy thou, what mean’st thou to curse thus? THERSITES Do I curse thee? PATROCLUS Why, no, you ruinous butt, you whoreson indistinguishable cur, no. THERSITES No? Why art thou then exasperate? Thou idle immaterial skein of sleave-silk, thou green sarsenet flap for a sore eye, thou tassel of a prodigal’s purse, thou! Ah, how the poor world is pestered with such waterflies! Diminutives of nature. PATROCLUS Out, gall! THERSITES Finch egg!
21
26
31
ACHILLES
My sweet Patroclus, I am thwarted quite From my great purpose in tomorrow’s battle. Here is a letter from Queen Hecuba, A token from her daughter, my fair love, Both taxing me, and gaging me to keep An oath that I have sworn. I will not break it. Fall, Greeks; fail, fame; honour, or go or stay. My major vow lies here; this I’ll obey. — Come, come, Thersites, help to trim my tent. This night in banqueting must all be spent. — Away, Patroclus. Exeunt Achilles and Patroclus THERSITES With too much blood and too little brain these two may run mad, but if with too much brain and too little blood they do, I’ll be a curer of madmen. Here’s Agamemnon: an honest fellow enough, and one that
35
40
17-21. Per un elenco più ampio di malattie e disagi fisici v. le “Aggiunte al testo”. 456
Shakespeare IV.indb 456
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 1
TERSITE
Come? La sua puttana maschio. E ora, che vi prendano le fetide piaghe del sud, le coliche, le ernie, gli scatarramenti, i calcoli renali, le letargie, le paralisi fredde, e simili – che tutte queste perverse manifestazioni vi colpiscano!197 PATROCLO
Ehi, tu, dannato ricettacolo d’invidia, a chi ti riferisci con questi anatemi? TERSITE
Forse è te che maledico? PATROCLO
No, barile sfondato, no, cane figlio di puttana da quattro soldi, no. TERSITE
No? E allora perché sei tanto alterato? Tu, inutile, inconsistente matassina di seta, straccetto di verdino taffetà per occhietti malaticci, toppa penzolante di una patta generosa, proprio tu? Ah, povero mondo, infestato da questi moscerini!198 Insignificanti creaturine della natura! PATROCLO
Fuori, concentrato di fiele! TERSITE
Uovo di passerotto! ACHILLE
Mio dolce Patroclo, sono ormai vani i miei grandi progetti per la battaglia di domani. Ecco una lettera da parte della regina Ecuba, un ricordo della figlia, mio grande amore199: entrambe mi impongono e mi impegnano a rispettare il mio giuramento. Non lo romperò: cadano pure i Greci, venga meno la mia fama, l’onore può esserci o non esserci, ma questo è il mio voto più importante, e lo rispetterò. Avanti, su, Tersite, aiutalo ad allestire la mia tenda. Passeremo tutta la notte a banchettare. Andiamo, Patroclo. Escono Achille e Patroclo TERSITE
Per troppo sangue e troppo poco cervello questi due vengono matti. Ma se mai lo diventeranno per troppo cervello e troppo poco sangue, io sarò il medico dei pazzi. Prendete Agamennone: è un 457
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 1
loves quails, but he has not so much brain as ear-wax. And the goodly transformation of Jupiter there, his brother the bull, the primitive statue and oblique memorial of cuckolds, a thrifty shoeing-horn in a chain, hanging at his brother’s leg: to what form but that he is should wit larded with malice and malice farced with wit turn him to? To an ass were nothing: he is both ass and ox. To an ox were nothing: he is both ox and ass. To be a dog, a mule, a cat, a fitchew, a toad, a lizard, an owl, a puttock, or a herring without a roe, I would not care; but to be Menelaus! — I would conspire against destiny. Ask me not what I would be if I were not Thersites, for I care not to be the louse of a lazar, so I were not Menelaus. — Hey-day, sprites and fires.
63
Enter Hector, Ajax, Agamemnon, Ulysses, Nestor, Menelaus, Troilus, and Diomedes, with lights AGAMEMNON
We go wrong, we go wrong. No, yonder ’tis: There, where we see the light. HECTOR I trouble you. AJAX
65
AJAX
No, not a whit. Enter Achilles ULYSSES
Here comes himself to guide you.
ACHILLES
Welcome, brave Hector. Welcome, princes all. AGAMEMNON (to Hector) So now, fair prince of Troy, I bid good night. Ajax commands the guard to tend on you. HECTOR
Thanks and good night to the Greeks’ general.
70
MENELAUS
Good night, my lord.
458
Shakespeare IV.indb 458
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 1
tipo abbastanza onesto, uno che gli piacciono le passere, ma ha meno cervello che cerume alle orecchie. E quell’altro, suo fratello? La metamorfosi di Giove in toro – l’icona primigenia e la memoria simbolica di tutti i cornuti, l’amuleto da quattro soldi appeso alla gamba del fratello. Quale forma, se non la sua, potrebbe assumere l’astuzia imburrata di malizia e la malizia farcita di astuzia? Un asino sarebbe niente. Ma lui è asino e bue. Un bue sarebbe niente. Lui è bue e asino. Essere un cane, un mulo, un gatto, una puzzola, un rospo, una lucertola, un gufo, un nibbio, un’aringa senza manco un uovo, non me ne importerebbe. Ma essere Menelao! Eh no, piuttosto mi ammazzerei. Non chiedetemi cosa vorrei essere, se non fossi Tersite. Preferirei essere la pulce di un lebbroso, piuttosto che Menelao. Ehilà, i fuochi fatui!200 Entrano Ettore, Aiace, Agamennone, Ulisse, Nestore, Menelao, Troilo e Diomede, con le torce AGAMENNONE
Sbagliamo strada, sbagliamo201. AIACE
No, invece, guarda là, dove c’è la luce. ETTORE
Vi disturbo. AIACE
No, niente affatto. Entra Achille ULISSE
Ecco che viene a guidarvi. ACHILLE
Benvenuto, coraggioso Ettore. Benvenuti, principi tutti. AGAMENNONE (a Ettore) Ora, bel principe troiano, vi auguro la buona notte. Aiace comanda la scorta alla vostra tenda. ETTORE
Grazie e buona notte al generale dei Greci. MENELAO
Buona notte, mio signore.
459
Shakespeare IV.indb 459
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 1
Good night, sweet Lord Menelaus. THERSITES (aside) Sweet draught! ‘Sweet’, quoth a? Sweet sink, sweet sewer. HECTOR
ACHILLES
Good night and welcome both at once, to those That go or tarry. AGAMEMNON Good night.
75
Exeunt Agamemnon and Menelaus ACHILLES
Old Nestor tarries, and you too, Diomed. Keep Hector company an hour or two. DIOMEDES
I cannot, lord. I have important business The tide whereof is now. — Good night, great Hector. HECTOR Give me your hand. ULYSSES (aside to Troilus) Follow his torch, he goes to Calchas’ tent. I’ll keep you company. TROILUS (aside) Sweet sir, you honour me. HECTOR (to Diomedes) And so good night. ACHILLES Come, come, enter my tent.
81
84
Exeunt Diomedes, followed by Ulysses and Troilus, at one door; and Achilles, Hector, Ajax, and Nestor at another door THERSITES That same Diomed’s a false-hearted rogue, a
most unjust knave. I will no more trust him when he leers than I will a serpent when he hisses. He will spend his mouth and promise like Brabbler the hound, but when he performs astronomers foretell it: that is prodigious, there will come some change. The sun borrows of the moon when Diomed keeps his word. I will rather leave to see Hector than not to dog him. They say he keeps a Trojan drab, and uses the traitor
460
Shakespeare IV.indb 460
30/11/2018 09:32:06
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 1
ETTORE
Buona notte, dolce signor Menelao. TERSITE (a parte)
Dolce cesso! ‘Dolce’, dice lui, ah! Dolce chiavica, dolce fogna! ACHILLE
Buona notte e benvenuti, insieme, a chi va e a chi resta. AGAMENNONE
Buona notte. Escono Agamennone e Menelao ACHILLE
Il vecchio Nestore resta. E anche voi, Diomede, tenete compagnia a Ettore per qualche ora. DIOMEDE
Non posso, signore. Ho un affare importante da sbrigare202: ora o mai più. Buona notte, grande Ettore. ETTORE
Datemi la mano. ULISSE (a parte, a Troilo)
Seguite quella torcia: va alla tenda di Calcante. Vi farò compagnia. TROILO (a parte) Dolce signore, che onore. ETTORE (a Diomede) Buona notte, dunque. ACHILLE
Avanti, avanti, entrate nella mia tenda. Escono Diomede, seguito da Ulisse e Troilo, da una porta; e Achille, Ettore, Aiace, e Nestore da un’altra porta TERSITE
Questo Diomede qui è un tipaccio dal cuore falso, la canaglia più immorale che ci sia. Mi fido di lui quando ammicca meno che di un serpente quando sibila. Non risparmia le parole e le promesse, come Baubaubau-il-cane-da-caccia-che-non-ne-piglia-mai-una 203. Quando fa qualcosa, possono predirlo gli astronomi. Un prodigio, grandi cambiamenti, il sole che prende la luce dalla luna, se Diomede mantiene le promesse. Preferisco perdermi Ettore che abbandonare la sua pista. Si tiene una puttana greca, dicono, e sfrutta la tenda 461
Shakespeare IV.indb 461
30/11/2018 09:32:06
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
Calchas his tent. I’ll after. — Nothing but lechery! All incontinent varlets! Exit 5.2
Enter Diomedes
DIOMEDES What, are you up here? Ho! Speak! CALCHAS [at the door] Who calls? DIOMEDES Diomed.
Calchas,
I
think.
Where’s
your
daughter? CALCHAS [at the door] She comes to you.
5
Enter Troilus and Ulysses, unseen ULYSSES (aside)
Stand where the torch may not discover us. TROILUS (aside)
Cressid comes forth to him. Enter Cressida DIOMEDES
How now, my charge?
CRESSIDA
Now, my sweet guardian. Hark, a word with you. She whispers to him. [Enter Thersites, unseen] TROILUS (aside) Yea, so familiar? ULYSSES (aside) She will sing any man at first sight.
10
THERSITES (aside) And any man may sing her, if he can
take her clef. She’s noted. DIOMEDES Will you remember? CRESSIDA Remember? Yes.
10. She will sing: così in Q; in F she will find = “troverà”. 12. Clef: così in Q (con doppio senso osceno); in F life = “vita”. 14. CRESSIDA: così in F2; Q e F assegnano la battuta a Calcante. 462
Shakespeare IV.indb 462
30/11/2018 09:32:06
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
di quel traditore di Calcante. Lo terrò d’occhio. Nient’altro che lussuria! Tutti puttanieri incontinenti! Esce V, 2
Entra Diomede204
DIOMEDE
Allora, siete svegli qui? Parlate. CALCANTE [alla porta]
Chi c’è? DIOMEDE
Diomede. Calcante, no? Dov’è vostra figlia? CALCANTE [alla porta]
Arriva subito da voi205. Entrano Troilo e Ulisse, non visti206 ULISSE (a parte)
Stiamo qui, dove la torcia non ci faccia scoprire. TROILO (a parte)
Cressida va verso di lui. Entra Cressida DIOMEDE
Siete qui, mia pupilla? CRESSIDA
Eccomi, mia dolce guardia del corpo. Sentite, devo dirvi una cosa. Sussurra a lui. [Entra Tersite, non visto] TROILO (a parte)
Già così in confidenza? ULISSE (a parte) Ma quella la canta ad ogni uomo fin dalla prima volta che lo vede. TERSITE (a parte) E ogni uomo se la suona, se le trova la sua chiave. Lei è straintonata. DIOMEDE
Vi ricordate? CRESSIDA
Se mi ricordo? Ma sì. 463
Shakespeare IV.indb 463
30/11/2018 09:32:06
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
DIOMEDES Nay, but do then,
15
And let your mind be coupled with your words. TROILUS (aside) What should she remember? ULYSSES (aside) List! CRESSIDA
Sweet honey Greek, tempt me no more to folly. THERSITES (aside) Roguery.
20
DIOMEDES Nay, then! CRESSIDA I’ll tell you what — DIOMEDES
Fo, fo! Come, tell a pin. You are forsworn. CRESSIDA
In faith, I cannot. What would you have me do? THERSITES (aside) A juggling trick: to be secretly open.
25
DIOMEDES
What did you swear you would bestow on me? CRESSIDA
I prithee, do not hold me to mine oath. Bid me do anything but that, sweet Greek. DIOMEDES Good night. TROILUS (aside) Hold, patience! ULYSSES (aside) How now, Trojan? CRESSIDA Diomed.
30
DIOMEDES
No, no, good night. I’ll be your fool no more.
464
Shakespeare IV.indb 464
30/11/2018 09:32:06
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
DIOMEDE
Allora, su, avanti. Le vostre intenzioni devono accoppiarsi con le parole. TROILO (a parte) Cosa dovrebbe ricordarsi? ULISSE (a parte) Ascolta! CRESSIDA
Mio dolce Greco, tesoro, non tentatemi a fare una follia! TERSITE (a parte) Canaglie. DIOMEDE
No? Beh, allora… CRESSIDA
Vi voglio dire che… DIOMEDE
Puah, che noia, avanti, non dite nulla. Siete una bugiarda. CRESSIDA
Vi giuro, non posso. Ma cosa vorreste farmi fare? TERSITE (a parte)
Un bel giochetto di prestigio: aprirti senza che nessuno se ne accorga 207. DIOMEDE
Cosa avete giurato di concedermi? CRESSIDA
Vi prego, non vincolatemi al mio giuramento. Chiedetemi di fare qualunque cosa, ma non quello, dolce Greco. DIOMEDE
Buona notte. TROILO (a parte) Resisti, pazienza!208 ULISSE (a parte) Allora, Troiano? CRESSIDA
Diomede. DIOMEDE
No, no, buona notte. Non sarò più il vostro zimbello. 465
Shakespeare IV.indb 465
30/11/2018 09:32:06
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
TROILUS (aside) Thy better must. CRESSIDA Hark, one word in your ear.
She whispers to him TROILUS (aside) O plague and madness! ULYSSES (aside)
You are movèd, Prince. Let us depart, I pray you, Lest your displeasure should enlarge itself To wrathful terms. This place is dangerous, The time right deadly. I beseech you go. TROILUS (aside) Behold, I pray you. ULYSSES (aside) Nay, good my lord, go off. You flow to great distraction. Come, my lord. TROILUS (aside) I prithee, stay. ULYSSES (aside) You have not patience. Come. TROILUS (aside) I pray you, stay. By hell and all hell’s torments, I will not speak a word. DIOMEDES And so good night.
35
40
CRESSIDA
Nay, but you part in anger. TROILUS (aside) Doth that grieve thee? O withered truth! ULYSSES (aside) Why, how now, lord? TROILUS (aside) By Jove, I will be patient.
45
[Diomedes starts to go] CRESSIDA Guardian! Why, Greek!
466
Shakespeare IV.indb 466
30/11/2018 09:32:06
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
TROILO (a parte)
Lo è uno migliore di te! CRESSIDA
Ascoltate, una parola all’orecchio. Gli sussurra all’orecchio TROILO (a parte)
Peste e follia! ULISSE (a parte) Siete sconvolto, principe. Vi prego, andiamocene, prima che il vostro dolore cresca tanto da diventare collera. Il posto è pericoloso, il tempo mortale. Vi supplico, andiamo. TROILO (a parte) Guardate, vi prego! ULISSE (a parte) Basta, mio buon amico. State precipitando in uno stato di grande turbamento. Andiamo, signore. TROILO (a parte) Vi prego, restiamo. ULISSE (a parte) Voi non avete pazienza: venite via. TROILO (a parte) Vi prego, restiamo. Per l’inferno e per tutti i suoi tormenti, non pronuncerò più una parola. DIOMEDE
E così buona notte. CRESSIDA
Ma ve ne andate arrabbiato. TROILO (a parte) E questo ti dispiace? Fedeltà sfiorita! ULISSE (a parte) Avanti, signor mio! TROILO (a parte) Per Giove, sarò paziente. [Diomede fa per andare] CRESSIDA
Mio custode! Insomma, greco… 467
Shakespeare IV.indb 467
30/11/2018 09:32:06
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
DIOMEDES Fo, fo! Adieu. You palter. CRESSIDA
In faith, I do not. Come hither once again. ULYSSES (aside)
You shake, my lord, at something. Will you go? You will break out. TROILUS (aside) She strokes his cheek. ULYSSES (aside) Come, come. TROILUS (aside) Nay, stay. By Jove, I will not speak a word. There is between my will and all offences A guard of patience. Stay a little while. THERSITES (aside) How the devil Luxury with his fat rump and potato finger tickles these together! Fry, lechery, fry. DIOMEDES But will you then?
50
57
CRESSIDA
In faith, I will, la. Never trust me else. DIOMEDES
Give me some token for the surety of it. CRESSIDA I’ll fetch you one.
60 Exit
ULYSSES (aside) You have sworn patience. TROILUS (aside) Fear me not, sweet lord.
I will not be myself, nor have cognition Of what I feel. I am all patience.
65
Enter Cressida with Troilus’ sleeve THERSITES (aside) Now the pledge! Now, now, now. CRESSIDA Here Diomed, keep this sleeve.
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Shakespeare IV.indb 468
30/11/2018 09:32:06
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
DIOMEDE
Via, via, adieu. Menate il can per l’aia. CRESSIDA
In fede, no. Tornate ancora per un attimo. ULISSE (a parte)
Ma voi tremate, signore. Andiamo? Siete a pezzi. TROILO (a parte)
Gli accarezza la guancia! ULISSE (a parte)
Avanti, andiamo. TROILO (a parte)
No, stiamo. Per Giove, non dirò più una parola. Tra il mio desiderio e le offese ricevute fa la guardia la pazienza. Stiamo ancora un poco. TERSITE (a parte) Guarda come il demone Lussuria, con il suo grasso culo e il dito di patata, li stuzzica entrambi insieme! Friggi, lussuria, brucia!209 DIOMEDE
Allora lo farai? CRESSIDA
Davvero, lo giuro. Altrimenti non fidatevi mai più. DIOMEDE
Dammi un pegno in garanzia. CRESSIDA
Vado a prenderlo. Esce ULISSE (a parte)
Avete giurato pazienza. TROILO (a parte)
Non temete, signore. Non sarò più me stesso, né presterò attenzione a ciò che sento: ora sono tutto pazienza. Entra Cressida con il guanto di Troilo TERSITE (a parte)
E ora il pegno. Dai, dai, dai! CRESSIDA
Ecco, Diomede, prendete questo bracciale210. 469
Shakespeare IV.indb 469
30/11/2018 09:32:07
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
TROILUS (aside) O beauty, where is thy faith? ULYSSES (aside) My lord. TROILUS (aside)
I will be patient; outwardly I will.
70
CRESSIDA
You look upon that sleeve. Behold it well. He loved me — O false wench! — give’t me again. She takes it back DIOMEDES Whose was’t? CRESSIDA
It is no matter, now I ha’t again. I will not meet with you tomorrow night. I prithee, Diomed, visit me no more. THERSITES (aside) Now she sharpens. Well said, whetstone. DIOMEDES I shall have it. CRESSIDA What, this? DIOMEDES Ay, that.
75
80
CRESSIDA
O all you gods! O pretty pretty pledge! Thy master now lies thinking on his bed Of thee and me, and sighs, and takes my glove And gives memorial dainty kisses to it — [DIOMEDES]
As I kiss thee. [He snatches the sleeve] [CRESSIDA] Nay, do not snatch it from me. He that takes that doth take my heart withal.
85
DIOMEDES
I had your heart before; this follows it.
85-86. Diomed As … Cressida. Nay, … He: emend. Oxford; Q e F assegnano a Cressida la battuta as I kiss thee, a Diomede la battuta nay, do not snatch it from me, e a Cressida l’ultima parte, he that takes that doth take (così in Q; in F rakes = “scortica”) my heart withal. 470
Shakespeare IV.indb 470
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
TROILO (a parte)
O bellezza! Dov’è la tua fede? ULISSE (a parte)
Signore! TROILO (a parte)
Sarò paziente. Lo sarò, almeno esternamente. CRESSIDA
Voi osservate il bracciale. Ma guardatelo bene. Lui mi amava… Ragazzaccia bugiarda che sono! Datemelo indietro. Lo riprende indietro DIOMEDE
Di chi era? CRESSIDA
Non ha importanza. Ora è di nuovo mio. Non ci incontreremo più domani notte. Vi prego, Diomede, non venite più a farmi visita. TERSITE (a parte) Gli fa la punta per benino. Ben detto, bel temperino. DIOMEDE
Lo avrò. CRESSIDA
Cosa, questo? DIOMEDE
Proprio così. CRESSIDA
O dèi tutti! Dono tanto, tanto grazioso! Chi lo possedeva ora è a letto e pensa a te e a me, e sospira, e tocca il mio guanto e gli dà preziosi baci pieni di ricordi… [DIOMEDE] Come io bacio te. [Le strappa il bracciale] [CRESSIDA] No, non strappatemelo: chi me lo prende si porta via anche il mio cuore. DIOMEDE
Ho già avuto il vostro cuore. Questo viene dopo.
471
Shakespeare IV.indb 471
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
TROILUS (aside) I did swear patience. CRESSIDA
You shall not have it, Diomed. Faith, you shall not. I’ll give you something else. DIOMEDES I will have this. Whose was it? CRESSIDA
It is no matter. DIOMEDES
Come, tell me whose it was?
91
CRESSIDA
’Twas one’s that loved me better than you will. But now you have it, take it. DIOMEDES Whose was it? CRESSIDA
By all Diana’s waiting-women yond, And by herself, I will not tell you whose.
95
DIOMEDES
Tomorrow will I wear it on my helm, And grieve his spirit that dares, not challenge it. TROILUS (aside) Wert thou the devil and wor’st it on thy horn, It should be challenged. CRESSIDA
Well, well, ’tis done, ’tis past — and yet it is not. I will not keep my word. DIOMEDES Why then, farewell. Thou never shalt mock Diomed again.
100
CRESSIDA
You shall not go. One cannot speak a word But it straight starts you. DIOMEDES I do not like this fooling.
472
Shakespeare IV.indb 472
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
TROILO (a parte)
Ho giurato pazienza. CRESSIDA
Non lo avrete, Diomede. In fede mia, non lo avrete. Vi darò qualcos’altro. DIOMEDE
Lo avrò. Di chi era?211 CRESSIDA
Non importa. DIOMEDE
Avanti, dimmi di chi era. CRESSIDA
Era di uno che mi amava più di quanto mai mi amerai tu. Ma ora che ce l’hai, prendetelo. DIOMEDE
Di chi era? CRESSIDA
Per tutte le stelle ancelle di Diana che sono lassù in cielo, e per la Luna stessa 212, non vi dirò di chi era. DIOMEDE
Domani lo porterò sull’elmo per torturare quello che non ha neanche il coraggio di rivendicarlo. TROILO (a parte) Fossi tu il Diavolo in persona e lo portassi sulle corna, sarebbe rivendicato. CRESSIDA
Bene, bene, questo è fatto, acqua passata. Eppure no. Non manterrò la parola. DIOMEDE
In tal caso, addio! Diomede non lo prendi in giro due volte. CRESSIDA
Non ve ne andrete. Uno non può dire una parola che voi subito partite. DIOMEDE
Non mi piacciono queste prese in giro.
473
Shakespeare IV.indb 473
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
[TROILUS] (aside)
Nor I, by Pluto — but that that likes not you Pleases me best. DIOMEDES What, shall I come? The hour —
105
CRESSIDA
Ay, come. O Jove, do come. I shall be plagued. DIOMEDES
Farewell till then. Good night. I prithee, come.
CRESSIDA
Exit Diomedes Troilus, farewell. One eye yet looks on thee, But with my heart the other eye doth see. Ah, poor our sex! This fault in us I find: The error of our eye directs our mind. What error leads must err. O then conclude: Minds swayed by eyes are full of turpitude. THERSITES (aside) A proof of strength she could not publish more Unless she said, ‘My mind is now turned whore’.
110
Exit 115
ULYSSES
All’s done, my lord. TROILUS ULYSSES
It is. Why stay we then?
TROILUS
To make a recordation to my soul Of every syllable that here was spoke. But if I tell how these two did co-act, Shall I not lie in publishing a truth? Sith yet there is a credence in my heart, An esperance so obstinately strong, That doth invert th’attest of eyes and ears, As if those organs had deceptious functions Created only to calumniate. Was Cressid here?
120
125
105. Nor I…: emend. tardo; F e Q assegnano la battuta a Tersite. 474
Shakespeare IV.indb 474
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
[TROILO] (a parte)
Nemmeno a me, per Plutone! Ma il fatto che non garba a te, a me piace tantissimo. DIOMEDE
Allora, verrò? A che ora? CRESSIDA
Ahimè, vieni. Vieni, per Giove. Ma ne soffrirò. DIOMEDE
Addio fino ad allora. CRESSIDA
Buona notte. E vieni, ti prego. Esce Diomede Troilo, addio! Un occhio guarda ancora te, ma l’altro occhio vede con il mio cuore213. Povero nostro sesso! Abbiamo questo difetto, che l’errare del nostro occhio ci guida la mente. E ciò a cui conduce l’errore non può che essere sbagliato. In conclusione, le menti sviate dagli occhi sono piene di peccato. Esce TERSITE
Non poteva dare migliore prova di coraggio, a meno di proclamare ‘La mia anima si è fatta puttana’. ULISSE
È tutto finito, mio signore. TROILO
Sì. ULISSE
Perché restiamo, allora? TROILO
Perché io possa registrare sulla mia anima ogni sillaba qui pronunciata. Ma se racconto il dialogo recitato da questi due214, non mentirò pur proclamando la verità? Eppure nel mio cuore c’è una fede, una speranza così ostinata e forte da rovesciare anche la testimonianza della vista e dell’udito, come se questi organi avessero delle funzioni ingannevoli create apposta per calunniare. C’era proprio Cressida qui?
475
Shakespeare IV.indb 475
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
ULYSSES
I cannot conjure, Trojan.
TROILUS
She was not, sure. ULYSSES
Most sure, she was.
TROILUS
Why, my negation hath no taste of madness. ULYSSES
Nor mine, my lord. Cressid was here but now.
130
TROILUS
Let it not be believed, for womanhood. Think: we had mothers. Do not give advantage To stubborn critics, apt without a theme For depravation to square the general sex By Cressid’s rule. Rather, think this not Cressid.
135
ULYSSES
What hath she done, Prince, that can soil our mothers? TROILUS
Nothing at all, unless that this were she. THERSITES (aside) Will a swagger himself out on’s own
eyes? TROILUS
This, she? No, this is Diomed’s Cressida. If beauty have a soul, this is not she. If souls guide vows, if vows be sanctimonies, If sanctimony be the gods’ delight, If there be rule in unity itself, This is not she. O madness of discourse, That cause sets up with and against thyself! Bifold authority, where reason can revolt Without perdition, and loss assume all reason Without revolt! This is and is not Cressid. Within my soul there doth conduce a fight Of this strange nature, that a thing inseparate Divides more wider than the sky and earth, And yet the spacious breadth of this division Admits no orifex for a point as subtle As Ariachne’s broken woof to enter.
140
145
150
155
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Shakespeare IV.indb 476
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
ULISSE
Non sono in grado di fare incantesimi, Troiano. TROILO
Non era lei di sicuro. ULISSE
Sicurissimo che fosse lei. TROILO
Eppure la mia negazione non sa certo di pazzia. ULISSE
Neanche la mia, signore. Cressida era qui non più di un attimo fa. TROILO
Per amore di tutto il genere femminile, che nessuno ci creda! Pensa, abbiamo delle madri. Non diamo ad inveterati criticoni pretesto più adatto, senza un vero motivo ma soltanto per calunnia, per misurare tutto il sesso femminile sull’esempio di Cressida. Meglio pensare che non fosse Cressida. ULISSE
Che avrebbe fatto, principe, per infangare le nostre madri? TROILO
Assolutamente niente, a meno che non fosse proprio lei. TERSITE (a parte)
Questo qui, con le sue fregnacce, vorrebbe negare ciò che abbiamo visto con i nostri occhi? TROILO
Questa è lei? No, questa è la Cressida di Diomede. Se la bellezza ha un’anima, questa non è lei. Se le anime ispirano i giuramenti, se i giuramenti sono sacri, se il sacro è caro agli dèi, se c’è un fondamento nell’unità stessa, questa non è lei215. O discorso folle, che discute a favore e contro se stesso! Autorità contraddittoria! Dove la ragione può ribellarsi senza perdersi, e la follia può diventare ragione senza smentirsi. Questa è, e non è, Cressida! Nella mia anima si conduce una battaglia di una strana natura, tale per cui ciò che è indivisibile crea divisioni più ampie della distanza tra il cielo e la terra. Eppure l’enorme spazio di questa distanza non ammette neanche un’apertura così piccola da fare entrare il filo rotto di Aracne216. Una prova, voglio una prova! Forte come
477
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 2
Instance, O instance, strong as Pluto’s gates: Cressid is mine, tied with the bonds of heaven. Instance, O instance, strong as heaven itself: The bonds of heaven are slipped, dissolved, and loosed, And with another knot, five-finger-tied, The fractions of her faith, orts of her love, The fragments, scraps, the bits and greasy relics Of her o’er-eaten faith, are bound to Diomed.
160
ULYSSES
May worthy Troilus e’en be half attached With that which here his passion doth express?
165
TROILUS
Ay, Greek, and that shall be divulgèd well In characters as red as Mars his heart Inflamed with Venus. Never did young man fancy With so eternal and so fixed a soul. Hark, Greek: as much as I do Cressid love, So much by weight hate I her Diomed. That sleeve is mine that he’ll bear in his helm. Were it a casque composed by Vulcan’s skill, My sword should bite it. Not the dreadful spout Which shipmen do the hurricane call, Constringed in mass by the almighty sun, Shall dizzy with more clamour Neptune’s ear In his descent, than shall my prompted sword Falling on Diomed. THERSITES (aside) He’ll tickle it for his concupy.
170
175
180
TROILUS
O Cressid, O false Cressid! False, false, false. Let all untruths stand by thy stainèd name, And they’ll seem glorious. ULYSSES O contain yourself. Your passion draws ears hither.
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Shakespeare IV.indb 478
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 2
le porte di Plutone! Cressida è mia, unita a me con i legami del Cielo. Una prova, una prova forte come il Cielo stesso! I rapporti col cielo sono sciolti, dissolti, allentati. E con un altro nodo, stretto alle cinque dita, i cocci della sua fedeltà, i resti del suo amore, i frammenti, gli avanzi, i morsi, i resti unti della sua fede rimasticata sono legati a Diomede! ULISSE
Può un uomo valoroso come Troilo essere preda anche solo per metà di ciò che qui gli detta la passione?217 TROILO
Sì, Greco. E ciò sarà divulgato in caratteri rossi come il cuore di Marte infiammato da Venere. Mai giovane uomo ha desiderato con animo tanto immutabile e fermo. Ascolta, Greco: tanto amo Cressida quanto odio quel suo Diomede. Quel bracciale che porterà sul capo è mio. E se anche fosse un elmo forgiato dall’arte di Vulcano, la mia spada vi pianterebbe i denti. E nemmeno il terribile rovescio d’acqua che i marinai chiamano uragano, concentrato dalla potenza del sole, nel suo precipitare sciaborderà con più frastuono all’orecchio di Nettuno di quanto non farà la mia spada scendendo su Diomede!218 TERSITE (a parte) Non farà che titillargli la voglia! TROILO
Oh Cressida! Falsa Cressida! Falsa, falsa, falsa! Che tutti gli infedeli, paragonati al tuo nome insozzato, brillino di gloria! ULISSE
Controllatevi. La vostra passione ha attirato qui degli uditori.
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Shakespeare IV.indb 479
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 3
Enter Aeneas AENEAS (to Troilus)
I have been seeking you this hour, my lord. Hector by this is arming him in Troy. Ajax your guard stays to conduct you home.
185
TROILUS
Have with you, Prince. — My courteous lord, adieu. — Farewell, revolted fair; and Diomed, Stand fast and wear a castle on thy head.
190
ULYSSES
I’ll bring you to the gates. Accept distracted thanks.
TROILUS
Exeunt Troilus, Aeneas, and Ulysses THERSITES Would I could meet that rogue Diomed! I would
croak like a raven. I would bode, I would bode. Patroclus will give me anything for the intelligence of this whore. The parrot will not do more for an almond than he for a commodious drab. Lechery, lechery, still wars and lechery! Nothing else holds fashion. A burning devil take them! Exit 5.3
Enter Hector armed, and Andromache
ANDROMACHE
When was my lord so much ungently tempered To stop his ears against admonishment? Unarm, unarm, and do not fight today. HECTOR
You train me to offend you. Get you in. By all the everlasting gods, I’ll go.
5
ANDROMACHE
My dreams will sure prove ominous to the day. HECTOR
No more, I say.
4. In: così in Q; in F gone. 480
Shakespeare IV.indb 480
30/11/2018 09:32:07
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 3
Entra Enea ENEA (a Troilo)
È un’ora che vi cerco, principe. Ettore si sta armando proprio adesso a Troia. E Aiace, la vostra scorta, aspetta per condurvi a casa. TROILO
Sono con voi, principe. Cortese signore, addio. E addio, bella traditrice. Diomede, stai bene in guardia, ed edifica una fortezza sul tuo capo. ULISSE
Vi condurrò alle porte. TROILO
Accettate i miei confusi ringraziamenti. Escono Troilo, Enea e Ulisse TERSITE
Vorrei proprio incontrare quella canaglia di Diomede! Gracchierei come una cornacchia. Gli porterei sciagure; sciagure gli porterei! Patroclo mi darebbe qualsiasi cosa per qualche dritta su questa puttana 219. Si agita meno un pappagallo per una mandorla che questo qui per una zoccoletta disponibile. Lussuria, lussuria! Ancora guerre e lussuria! Nient’altro va tanto di moda. Il diavolo dell’Inferno se le pigli! Esce V, 3
Entrano Ettore, armato, e Andromaca220
ANDROMACA
Da quando il mio signore è diventato così intrattabile da chiudere le orecchie a ogni ammonimento? Togli le armi, posale, e non combattere oggi221. ETTORE
Non costringermi ad offenderti. Rientra. Per tutti gli dèi eterni, ci andrò. ANDROMACA
I miei sogni provano con sicurezza che questo giorno sarà funesto. ETTORE
Basta, ho detto. 481
Shakespeare IV.indb 481
30/11/2018 09:32:08
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 3
Enter Cassandra CASSANDRA
Where is my brother Hector?
ANDROMACHE
Here, sister, armed and bloody in intent. Consort with me in loud and dear petition, Pursue we him on knees — for I have dreamed Of bloody turbulence, and this whole night Hath nothing been but shapes and forms of slaughter.
10
CASSANDRA
O ’tis true. Ho! Bid my trumpet sound.
HECTOR
CASSANDRA
No notes of sally, for the heavens, sweet brother. HECTOR
Begone, I say. The gods have heard me swear.
15
CASSANDRA
The gods are deaf to hot and peevish vows. They are polluted off’rings, more abhorred Than spotted livers in the sacrifice. ANDROMACHE (to Hector) O, be persuaded. Do not count it holy To hurt by being just. It is as lawful, For we would give much, to use violent thefts, And rob in the behalf of charity.
20
CASSANDRA
It is the purpose that makes strong the vow, But vows to every purpose must not hold. Unarm, sweet Hector. HECTOR Hold you still, I say. Mine honour keeps the weather of my fate. Life every man holds dear, but the dear man Holds honour far more precious-dear than life.
25
Enter Troilus, armed How now, young man, mean’st thou to fight today?
482
Shakespeare IV.indb 482
30/11/2018 09:32:08
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 3
Entra Cassandra CASSANDRA
Dov’è mio fratello Ettore? ANDROMACA
Eccolo, sorella, armato e assetato di sangue. Unisciti a me in una supplica forte e accorata. Preghiamolo in ginocchio – poiché ho sognato sanguinosi tumulti e tutta la notte non ho visto che scene e figure di uccisioni. CASSANDRA
Ah, è la verità. ETTORE
Ehi lassù, voglio sentire il suono della tromba! CASSANDRA
Per i cieli, che non siano segnali di sortita, caro fratello. ETTORE
Andatevene, vi dico. Gli dèi mi hanno sentito giurare222. CASSANDRA
Gli dèi sono sordi ai voti impulsivi e sciocchi. Sono doni impuri, e li disprezzano più dei fegati marci offerti in sacrificio. ANDROMACA (a Ettore) Lasciati convincere! Non considerare cosa sacra fare del male per una giusta causa 223. È legittimo come lo sarebbe, per voler essere magnanimi, compiere furti violenti e rubare in nome della carità. CASSANDRA
È il proposito che dà forza al voto. Ma non devono essere rispettati i voti legati a qualsiasi proposito. Posa le armi, dolce Ettore. ETTORE
Silenzio, vi dico. L’onore ha la precedenza sul mio destino. A ogni uomo è cara la vita. Ma l’uomo coraggioso stima l’onore più prezioso e caro della vita stessa. Entra Troilo, armato Salve, giovanotto! Hai intenzione di combattere oggi?
483
Shakespeare IV.indb 483
30/11/2018 09:32:08
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 3
ANDROMACHE [aside]
Cassandra, call my father to persuade.
Exit Cassandra
HECTOR
No, faith, young Troilus. Doff thy harness, youth. I am today i’th’ vein of chivalry. Let grow thy sinews till their knots be strong, And tempt not yet the brushes of the war. Unarm thee, go — and doubt thou not, brave boy, I’ll stand today for thee and me and Troy.
31
35
TROILUS
Brother, you have a vice of mercy in you, Which better fits a lion than a man. HECTOR
What vice is that? Good Troilus, chide me for it. TROILUS
When many times the captive Grecian falls Even in the fan and wind of your fair sword, You bid them rise and live. HECTOR O ’tis fair play. TROILUS Fool’s play, by heaven, Hector. HECTOR How now! How now! TROILUS For th’ love of all the gods, Let’s leave the hermit pity with our mother And, when we have our armours buckled on, The venomed vengeance ride upon our swords, Spur them to ruthful work, rein them from ruth.
40
45
50
HECTOR
Fie, savage, fie! Hector, then ’tis wars.
TROILUS HECTOR
Troilus, I would not have you fight today.
30. [Aside]: emend. Oxford, non in Q e F, per la verosimile contrarietà di Ettore. 484
Shakespeare IV.indb 484
30/11/2018 09:32:08
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 3
ANDROMACA [a parte]
Cassandra, chiama mio padre perché lo convinca. Esce Cassandra ETTORE
No davvero, giovane Troilo224. Togliti le armi, ragazzo. Oggi sono in vena di battermi da vero cavaliere. Lascia che i muscoli, crescendo, ti si scolpiscano compatti e forti, e non sfidare ancora i cimenti di guerra. Deponi le armi, vai, e non dubitare, valoroso ragazzo: in questo giorno difenderò te e me, e Troia. TROILO
Fratello, voi avete il vizio della pietà, che si addice meglio a un leone che a un uomo. ETTORE
Che vizio è mai questo, caro Troilo? Rimproverami pure. TROILO
Spesso, quando i Greci si arrendevano, anche sotto le sferze del vento della vostra spada luminosa, voi gli dicevate di alzarsi, e di vivere225. ETTORE
Ma questo è fair play. TROILO
Gioco folle, Ettore, per il cielo! ETTORE
Come, come? TROILO
Per amore degli dèi tutti, lasciamo alle madri questa pietà da eremiti e, quando abbiamo allacciato le fibbie delle armature, che la vendetta avvelenata cavalchi le nostre spade! E le sproni a un’opera spietata, liberandole dalla pietà. ETTORE
Vergogna, selvaggio, vergogna! TROILO
Ettore, questa è la guerra. ETTORE
Troilo, non voglio che tu oggi combatta.
485
Shakespeare IV.indb 485
30/11/2018 09:32:08
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 3
TROILUS Who should withhold me?
Not fate, obedience, nor the hand of Mars Beck’ning with fiery truncheon my retire, Not Priamus and Hecuba on knees, Their eyes o’er-gallèd with recourse of tears, Nor you, my brother, with your true sword drawn Opposed to hinder me, should stop my way But by my ruin.
55
60
Enter Priam and Cassandra CASSANDRA
Lay hold upon him, Priam, hold him fast. He is thy crutch: now if thou loose thy stay, Thou on him leaning and all Troy on thee, Fall all together. PRIAM Come, Hector, come. Go back. Thy wife hath dreamt, thy mother hath had visions, Cassandra doth foresee, and I myself Am like a prophet suddenly enrapt To tell thee that this day is ominous. Therefore come back. HECTOR Aeneas is afield, And I do stand engaged to many Greeks, Even in the faith of valour, to appear This morning to them. PRIAM Ay, but thou shalt not go. HECTOR [kneeling] I must not break my faith. You know me dutiful; therefore, dear sire, Let me not shame respect, but give me leave To take that course, by your consent and voice, Which you do here forbid me, royal Priam.
66
70
75
CASSANDRA
O Priam, yield not to him. ANDROMACHE
Do not, dear father.
486
Shakespeare IV.indb 486
30/11/2018 09:32:08
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 3
TROILO
Chi potrebbe trattenermi? Né il Fato, né l’obbedienza, e nemmeno la mano di Marte, quand’anche con il suo fiero scettro mi invitasse alla ritirata. Né Priamo, né le suppliche di Ecuba, i suoi occhi consumati da lacrime incessanti. E neanche voi, fratello mio, con la vostra bella spada sguainata posta ad ostacolo, potreste bloccarmi la strada, se non dandomi la morte226. Entrano Cassandra e Priamo CASSANDRA
Stringiti a lui, Priamo, tienilo stretto. È la tua gruccia. E se perdi il sostegno, tu che ti appoggi a lui, e tutta Troia che si appoggia a te, cadrete insieme. PRIAMO
Su, Ettore, torna indietro. Tua moglie ha fatto dei brutti sogni, tua madre ha avuto dei presagi. E Cassandra ha previsto il futuro. Io stesso sono come un profeta, preso da improvviso rapimento, e ti dico che questo giorno è nefasto. Perciò torna indietro. ETTORE
Enea è in campo. E mi sono impegnato con molti Greci, parola d’onore, a presentarmi in campo questa mattina. PRIAMO
Sì, ma non ci andrai. ETTORE [inginocchiandosi]
Non posso rompere il giuramento. Sapete bene che sono sempre stato rispettoso. Perciò, caro signore, non costringetemi a violare questo dovere, ma concedetemi, con l’assenso e la parola, il permesso di prendere quella strada che ora mi vietate, re Priamo. CASSANDRA
Priamo, non cedete. ANDROMACA
No, padre caro.
487
Shakespeare IV.indb 487
30/11/2018 09:32:08
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 3
HECTOR
Andromache, I am offended with you. Upon the love you bear me, get you in.
80 Exit Andromache
TROILUS
This foolish, dreaming, superstitious girl Makes all these bodements. CASSANDRA O farewell, dear Hector. Look how thou diest; look how thy eye turns pale; Look how thy wounds do bleed at many vents. Hark how Troy roars, how Hecuba cries out, How poor Andromache shrills her dolours forth. Behold: distraction, frenzy, and amazement Like witless antics one another meet, And all cry ‘Hector, Hector’s dead, O Hector!’ TROILUS Away, away!
85
90
CASSANDRA
Farewell. Yet soft: Hector, I take my leave. Thou dost thyself and all our Troy deceive. HECTOR (to Priam) You are amazed, my liege, at her exclaim. Go in and cheer the town. We’ll forth and fight, Do deeds of praise, and tell you them at night.
Exit
95
PRIAM
Farewell. The gods with safety stand about thee. Exeunt Priam and Hector severally. Alarum TROILUS
They are at it, hark! Proud Diomed, believe I come to lose my arm or win my sleeve. Enter Pandarus PANDARUS Do you hear, my lord, do you hear?
100
TROILUS What now?
88. Distraction, Frenzy, Amazement: in F hanno iniziali maiuscole, come sentimenti personificati (secondo l’uso del teatro medievale). 488
Shakespeare IV.indb 488
30/11/2018 09:32:08
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 3
ETTORE
Andromaca, sono adirato con te. Per l’amore che provi per me, torna dentro. Esce Andromaca TROILO
Questa ragazza sciocca, visionaria, superstiziosa, dalle previsioni vaneggianti!227 CASSANDRA
Addio, caro Ettore. Guarda, tu vai a morire228. Guarda come gli occhi ti diventano chiari; guarda come il sangue ti esce dalle ferite inferte ovunque; senti come Troia ruggisce, come Ecuba si dispera, come la povera Andromaca emette terribili grida di dolore. Guarda: follia, frenesia, terrore, come vecchi personaggi insensati 229, si incontrano, e gridano insieme ‘Ettore! Ettore è morto! Oh Ettore!’ TROILO
Via, fuori! CASSANDRA
Addio. No, aspetta. Ettore! Io me ne vado, ma tu tradisci te stesso e tutta Troia. Esce ETTORE (a Priamo)
Le sue grida vi terrorizzano, mio signore. Rientrate e rallegrate la città: noi andremo e combatteremo, e compiremo gesta degne di gloria da raccontarvi stanotte. PRIAMO
Addio: gli dèi ti stiano intorno e ti proteggano!230 Escono Priamo ed Ettore separatamente. Allarme TROILO
Eccoli che arrivano, senti! Superbo Diomede, credici, vengo a perdere il braccio o a ricuperare il bracciale. Entra Pandaro PANDARO
Sentite, mio signore, sentite. TROILO
Cosa c’è? 489
Shakespeare IV.indb 489
30/11/2018 09:32:08
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 4
PANDARUS Here’s a letter come from yon poor girl. TROILUS Let me read.
Troilus reads the letter PANDARUS A
whoreson phthisic, a whoreson rascally phthisic so troubles me, and the foolish fortune of this girl, and what one thing, what another, that I shall leave you one o’ these days. And I have a rheum in mine eyes too, and such an ache in my bones that unless a man were cursed I cannot tell what to think on’t. — What says she there? TROILUS (tearing the letter) Words, words, mere words, no matter from the heart. Th’effect doth operate another way. Go, wind, to wind: there turn and change together. My love with words and errors still she feeds, But edifies another with her deeds. PANDARUS Why, but hear you —
110
115
TROILUS
Hence, broker-lackey! Ignomy and shame Pursue thy life, and live aye with thy name. Exeunt severally 5.4
Alarum. Enter Thersites [in] excursions
THERSITES Now they are clapper-clawing one another. I’ll
go look on. That dissembling abominable varlet Diomed has got that same scurvy doting foolish young knave’s sleeve of Troy there in his helm. I would fain see them meet, that that same young Trojan ass that loves the whore there might send that Greekish whoremasterly villain with the sleeve back to the dissembling luxurious drab of a sleeveless errand. O’th’ t’other side, the policy
117. Broker: così in Q e F; in F 1 e F 2 brother; in F3 brothel = “bordello”. 490
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 4
PANDARO
C’è qui una lettera da quella povera ragazza di là. TROILO
Fammela leggere. Troilo legge la lettera PANDARO
Una fottuta tosse marcia. Sono guai con questa figlia di puttana di una fottutissima tosse, e con le sciagurate storie di questa ragazza. Una cosa oggi, un’altra domani, e va a finire che me ne andrò presto: ho catarro negli occhi, e dei dolori sifilitici alle ossa che, se qualcuno non mi ha fatto il malocchio, non saprei proprio cosa pensare231. – Che dice? TROILO [strappando la lettera] Parole, parole, parole vuote, niente di concreto che venga dal cuore. I fatti agiscono in un’altra direzione. Volate al vento, parole di vento, volteggiate e vagate assieme. Il mio amore, lei continua a nutrirlo di parole e di vaghezza. Ma con i fatti ne sta costruendo un altro. PANDARO
Ascolta! Ascolta! TROILO
Via di qui, pandaro ruffiano. Disonore e vergogna ti perseguitino per tutta la vita, e accompagnino per sempre il tuo nome. Escono separatamente V, 4
Allarme. Entra Tersite. Sortite232
TERSITE
Eccoli come si agitano l’un con l’altro, a suon di botte e artigliate!233 Vado a godermi lo spettacolo. Quel furfante di Diomede, l’abominevole dissimulatore, si è ficcato sull’elmo il bracciale di quello spregevole e stupido pivello troiano infatuato! Mi piacerebbe da morire vedere il loro incontro! E che il bell’asinello troiano, innamorato di quella zoccola là, rimandasse il volgare puttaniere greco con quel braccialetto dritto dritto indietro da quell’ipocrita sudiciona vogliosa, sbracciato e sguantato!
491
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 4
of those crafty swearing rascals — that stale old mouse-eaten dry cheese Nestor and that same dog-fox Ulysses — is proved not worth a blackberry. They set me up in policy that mongrel cur Ajax against that dog of as bad a kind Achilles. And now is the cur Ajax prouder than the cur Achilles, and will not arm today — whereupon the Grecians began to proclaim barbarism, and policy grows into an ill opinion.
16
Enter Diomedes, followed by Troilus Soft, here comes sleeve and t’other. TROILUS (to Diomedes) Fly not, for shouldst thou take the river Styx I would swim after. DIOMEDES Thou dost miscall retire. I do not fly, but advantageous care Withdrew me from the odds of multitude. Have at thee!
20
They fight THERSITES Hold thy whore, Grecian! Now for thy whore,
Trojan! Now the sleeve, now the sleeve! Exit Diomedes [driving in] Troilus Enter Hector [behind] HECTOR
What art thou, Greek? Art thou for Hector’s match? Art thou of blood and honour? THERSITES No, no, I am a rascal, a scurvy railing knave, a very filthy rogue. HECTOR I do believe thee: live. THERSITES God-a-mercy, that thou wilt believe me —
25
[Exit Hector] but a plague break thy neck for frighting me. What’s become of the wenching rogues? I think they have
15. Began: così in Q e F; per emend. tardo begin, che si segue nella traduzione. 492
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 4
Dall’altra parte, poi, la strategia politica di quegli scaltri furfanti spergiuri – quel Nestore, vecchia crosta secca e ammuffita di formaggio da topi, e quell’altra volpaccia di Ulisse – si sa già che non vale una sorba. Mi vanno a mettere, per politica, quel cane bastardo di Aiace contro un altro cagnaccio di razza simile, Achille. E adesso il cane Aiace si è fatto più superbo del cane Achille, e non prende mica le armi oggi. Al che i Greci cominciano a emulare la barbarie, e la politica cresce sulle teste malate. Entra Diomede, seguito da Troilo Ma calma! Ecco che arriva Braccialetto, e quell’altro. TROILO (a Diomede) Non scappare. Dovessi anche passare lo Stige234, ti nuoterei appresso. DIOMEDE
Sbagli a chiamarla fuga. Non fuggo, ma con la mia premura cerco di evitare la calca. Prendi questo! Combattono TERSITE
Per la tua puttana, Greco! E tu per la tua, Troiano! E ora il braccialetto, dai, dai, il braccialetto! Esce Diomede, [incalzando] Troilo Entra Ettore [dietro] ETTORE
Chi sei, Greco? Sei qui per combattere con Ettore? Sei tu un uomo di coraggio e d’onore? TERSITE
No, no, io sono un vigliacco, un bastardo immondo e scurrile, una disgustosissima canaglia. ETTORE
Ti credo. Vivi! TERSITE
Deo gratias che mi hai creduto! – [Esce Ettore] Ma un canchero ti spacchi il collo per avermi fatto tanta paura! Che ne è di quei due fottuti puttanieri? Penso che si siano ingoiati 493
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 5
swallowed one another. I would laugh at that miracle — yet in a sort lechery eats itself. I’ll seek them. Exit 5.5
Enter Diomedes and Servants
DIOMEDES
Go, go, my servant, take thou Troilus’ horse. Present the fair steed to my Lady Cressid. Fellow, commend my service to her beauty. Tell her I have chastised the amorous Trojan, And am her knight by proof. SERVANT I go, my lord.
Exit
Enter Agamemnon AGAMEMNON
Renew, renew! The fierce Polydamas Hath beat down Menon; bastard Margareton Hath Doreus prisoner, And stands colossus-wise waving his beam Upon the pashèd corpses of the kings Epistropus and Cedius; Polixenes is slain, Amphimacus and Thoas deadly hurt, Patroclus ta’en or slain, and Palamedes Sore hurt and bruised; the dreadful sagittary Appals our numbers. Haste we, Diomed, To reinforcement, or we perish all.
6
10
15
Enter Nestor [with Patroclus’ body] NESTOR
Go, bear Patroclus’ body to Achilles, And bid the snail-paced Ajax arm for shame. [Exit one or more with the body] There is a thousand Hectors in the field. Now here he fights on Galathe his horse,
20
7. Margareton: emend. Oxford; in Q e in F Margaleon; i curatori successivi, in linea con il nome così com’è riportato ad esempio in Lydgate e in Caxton, correggono con questa grafia. Il personaggio entrerà più avanti in scena come Bastardo (cfr. V, 8, 5 sgg.). 494
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 5
a vicenda. Che miracolo, e che risate: è la lussuria che mangia se stessa!235 Li vado a cercare. Esce V, 5
Entra Diomede con servitori
DIOMEDE
Avanti, avanti, attendente, prendi il cavallo di Troilo. Regala questo bel destriero alla mia signora Cressida. Ragazzo, offri il mio servizio alla sua bellezza. Dille che ho castigato l’innamorato Troiano. E questa è la prova che sono il suo cavaliere236. SERVO
Vado, mio signore. Esce Entra Agamennone AGAMENNONE
Ricominciare, su, riprendere! Il feroce Polidamante ha battuto Menone. Margaretone, il bastardo, ha fatto prigioniero Dòreo e se ne sta come un colosso a gambe aperte, brandisce la sua grossa lancia sui cadaveri straziati dei re Epitrofo e Cedio. Polisseno è ucciso, Anfimaco e Toante feriti mortalmente, Patroclo prigioniero o ucciso, e Palamede ferito grave, tutto un livido. Il terribile sagittario237 semina spavento tra le truppe. Sbrighiamoci, Diomede, corriamo ai rinforzi, o moriremo tutti. Entra Nestore [con il corpo di Patroclo] NESTORE
Avanti, portate il cadavere di Patroclo ad Achille238. E fate vergognare quella lumaca di Aiace: che si armi! [Escono uno o più con il cadavere] Ci sono migliaia di Ettori in campo: ora è qui che combatte su Galate, il suo cavallo, ora là gli manca il da fare; ora è qui, a piedi, per
495
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 5
And there lacks work; anon he’s there afoot, And there they fly or die, like scalèd schools Before the belching whale. Then is he yonder, And there the strawy Greeks, ripe for his edge, Fall down before him like the mower’s swath. Here, there, and everywhere he leaves and takes, Dexterity so obeying appetite That what he will he does, and does so much That proof is called impossibility.
25
Enter Ulysses ULYSSES
O courage, courage, princes! Great Achilles Is arming, weeping, cursing, vowing vengeance. Patroclus’ wounds have roused his drowsy blood, Together with his mangled Myrmidons, That noseless, handless, hacked and chipped come to him Crying on Hector. Ajax hath lost a friend And foams at mouth, and he is armed and at it, Roaring for Troilus — who hath done today Mad and fantastic execution, Engaging and redeeming of himself With such a careless force and forceless care As if that luck, in very spite of cunning, Bade him win all.
30
35
40
Enter Ajax AJAX Troilus, thou coward Troilus! DIOMEDES Ay, there, there! NESTOR So, so, we draw together.
Exit [Exit] 45
24. Strawy: così in Q; in F straying = “smarriti”. 496
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 5
cui non ci resta che fuggire o morire, come branchi di pesci sparpagliati dal soffio della balena; ora è là, e i Greci, grano maturo per la sua lama, gli cadono davanti, come le spighe tranciate dalla falce239. Qui, là, dappertutto, lascia e prende, con un’abilità che obbedisce al suo desiderio: ciò che vuole fa, e fa così tanto che la prova ha il nome di impossibile. Entra Ulisse ULISSE
Coraggio, coraggio, principi! Il grande Achille si arma, piange, impreca, giura vendetta. Le ferite di Patroclo gli hanno risvegliato il sangue assopito, con l’arrivo dei suoi Mirmidoni, mutilati, senza naso, senza mani, a pezzi e ridotti a schegge, che maledicono Ettore240. Aiace ha perduto un amico e ha la schiuma alla bocca, si è armato ed è sceso in campo; ruggisce contro Troilo, che oggi ha compiuto azioni folli e incredibili, ha impegnato e riscattato se stesso con tale violenza incosciente e impavida coscienza che la fortuna, a dispetto della più scaltra tattica, lo rende vittorioso su tutti. Entra Aiace AIACE
Troilo! Codardo di un Troilo! Esce DIOMEDE
È là, laggiù. [Esce] NESTORE
Avanti, tutti assieme!
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 6
Enter Achilles ACHILLES Where is this Hector?
Come, come, thou brave boy-queller, show thy face. Know what it is to meet Achilles angry. Hector! Where’s Hector? I will none but Hector. [Exeunt] 5.6
Enter Ajax
AJAX
Troilus, thou coward Troilus! Show thy head! Enter Diomedes DIOMEDES
Troilus, I say! Where’s Troilus? What wouldst thou? DIOMEDES I would correct him. AJAX AJAX
Were I the general, thou shouldst have my office Ere that correction. — Troilus, I say! What, Troilus!
5
Enter Troilus TROILUS
O traitor Diomed! Turn thy false face, thou traitor, And pay the life thou ow’st me for my horse. DIOMEDES Ha, art thou there? AJAX
I’ll fight with him alone. Stand, Diomed. DIOMEDES
He is my prize; I will not look upon.
10
TROILUS
Come, both you cogging Greeks, have at you both! They fight.
47. Brave: emend. Oxford, per ragioni metriche; assente in Q e F. 498
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 6
Entra Achille ACHILLE
Dov’è questo Ettore? Avanti, avanti a viso aperto, vile assassino di ragazzi! Voglio che tu sappia cosa significa incontrare l’ira di Achille. Ettore! Dov’è Ettore? Non voglio altri che Ettore. [Escono] V, 6
Entra Aiace
AIACE
Troilo, codardo di un Troilo, mostrami il capo! Entra Diomede DIOMEDE
Troilo, dico! Dov’è Troilo? AIACE
Che vuoi? DIOMEDE
Voglio sistemarlo. AIACE
Fossi io il generale, preferirei cederti il mio rango piuttosto che lasciare a te il piacere di sistemarlo. Troilo, dico! Allora, Troilo! Entra Troilo TROILO
Diomede traditore! Vòlta quella faccia ipocrita, tu, traditore, e paga con la vita di avermi preso il cavallo! DIOMEDE
Ah, sei qui? AIACE
Lo combatterò da solo. Ferma, Diomede. DIOMEDE
Questo è il mio trofeo. Non starò a guardare. TROILO
Avanti tutti e due, Greci imbroglioni, vi voglio entrambi! Combattono
499
Shakespeare IV.indb 499
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 6
Enter Hector HECTOR
Yea, Troilus? O well fought, my youngest brother! Exit Troilus [driving Diomedes and Ajax in] Enter Achilles [behind] ACHILLES
Now do I see thee. — Ha! Have at thee, Hector. They fight. [Achilles is bested] HECTOR Pause, if thou wilt. ACHILLES
I do disdain thy courtesy, proud Trojan. Be happy that my arms are out of use. My rest and negligence befriends thee now; But thou anon shalt here of me again. Till when, go seek thy fortune. HECTOR Fare thee well. I would have been much more a fresher man Had I expected thee.
15
Exit 20
Enter Troilus [in haste] How now, my brother? TROILUS
Ajax hath ta’en Aeneas. Shall it be? No, by the flame of yonder glorious heaven, He shall not carry him. I’ll be ta’en too, Or bring him off. Fate, hear me what I say: I reck not though thou end my life today.
25 Exit
Enter one in sumptuous armour HECTOR
Stand, stand, thou Greek! Thou art a goodly mark. No? Wilt thou not? I like thy armour well. I’ll frush it and unlock the rivets all, But I’ll be master of it. [Exit one in armour] 13. [Achilles is bested]: emend. Oxford, una delle tante alternative a significare la supremazia di Ettore. 500
Shakespeare IV.indb 500
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 6
Entra Ettore ETTORE
Troilo? Bel colpo, il mio fratello più piccolo! Esce Troilo [incalzando Diomede e Aiace] Entra Achille [dietro] ACHILLE
Ora ti vedo, ah! Eccoti, Ettore! Combattono [Achille ha la peggio] ETTORE
Ferma, se vuoi. ACHILLE
Disprezzo la tua cortesia, orgoglioso Troiano. Rallegrati che le mie braccia sono fuori allenamento. Il ritiro e l’incuranza da parte mia ora giocano a tuo favore. Ma sentirai presto parlare di me. Fino ad allora, cerca altrove la tua sorte241. Esce ETTORE
Addio. Sarei stato più riposato, se avessi previsto di incontrarti. Entra Troilo [di corsa] Allora, fratello? TROILO
Aiace ha fatto prigioniero Enea. Così sia? No, per l’astro fiammeggiante del glorioso cielo di lassù, non lo prenderà. Mi farò catturare anch’io, o lo riporterò indietro. Destino, ascolta quel che ho da dire: non me ne importa niente se oggi mi togli la vita! Esce Entra uno in armatura sontuosa ETTORE
Fermati, fermati, Greco. Sei un bel bersaglio. No? Non vuoi? Mi piace proprio la tua armatura. La schianterò e ne sgancerò tutti i chiodi, ma la farò mia. [Esce uno in armi]
501
Shakespeare IV.indb 501
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 8
Wilt thou not, beast, abide? Why then, fly on; I’ll hunt thee for thy hide. 5.7
Exit
Enter Achilles with Myrmidons
ACHILLES
Come here about me, you my Myrmidons. Mark what I say. Attend me where I wheel; Strike not a stroke, but keep yourselves in breath, And when I have the bloody Hector found, Empale him with your weapons round about. In fellest manner execute your arms. Follow me, sirs, and my proceedings eye. It is decreed Hector the great must die. Exeunt 5.8
5
Enter Menelaus and Paris, fighting, [then] Thersites
THERSITES The cuckold and the cuckold-maker are at it. —
Now, bull! Now, dog! ’Loo, Paris, ’loo! Now, my double-horned Spartan! ’Loo, Paris, ’loo! The bull has the game. Ware horns, ho! Exit Menelaus [driving in] Paris Enter Bastard [behind] BASTARD Turn, slave, and fight. THERSITES What art thou? BASTARD A bastard son of Priam’s. THERSITES I am a bastard, too. I love bastards. I am
5
bastard begot, bastard instructed, bastard in mind, bastard in valour, in everything illegitimate. One bear will not bite another, and wherefore should one bastard? Take heed: the quarrel’s most ominous to us. If the son of a whore fight for a whore, he tempts judgement. Farewell, bastard. [Exit] 2. Loo: era l’incitamento della folla nei combattimenti fra cani e tori che si tenevano nelle arene vicine al teatro Globe. È chiaro inoltre il gioco di parole che allude a una di queste, il Paris Garden. 3. Horned: emend. tardo; in Q e F henned = lett. “ridotto a gallina”, metaf. “effeminato”; Spartan: così in Q; in F sparrow = “passero”. 502
Shakespeare IV.indb 502
30/11/2018 09:32:10
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 8
Ti arrendi, bestia? Fuggi, allora. Ti darò la caccia per la tua armatura 242. Exit V, 7
Entra Achille con i Mirmidoni
ACHILLE
Venite a me, miei Mirmidoni. Ricordatevi ciò che vi ordino. Seguitemi ovunque io giri 243. Non sferrate neanche un colpo, ma state all’erta. E quando avrò trovato quel maledetto Ettore, circondatelo serrandolo con le armi. Agite nella maniera più feroce. Seguitemi, signori, e tenete d’occhio i miei movimenti. Il grande Ettore deve morire. Così è deciso. Escono V, 8
Entrano Menelao e Paride, combattendo. [Segue] Tersite
TERSITE
Il cornuto e il cornificatore sono arrivati al dunque. Avanti, toro! Forza, cane! Dàgli, Paride, dàgli addosso! Avanti, Spartano, doppio cornuto! Dàgli, Paride, dàgli! Vince il toro! Attento alle corna, oh! Esce Menelao [incalzando]244 Paride Entra Bastardo [dietro] BASTARDO
Voltati, schiavo, e combatti. TERSITE
E tu chi sei? BASTARDO
Un figlio bastardo di Priamo. TERSITE
Anch’io sono un bastardo. E mi piacciono i bastardi. Sono nato bastardo, allevato bastardo, bastardo di testa, bastardo nel valore, sempre e comunque illegittimo. Se orso non morde orso, perché dovrebbero farlo i bastardi? Attento, la guerra è funesta soprattutto per noi. Se il figlio di una puttana combatte per una puttana, sfida il Giudizio divino. Addio, bastardo245. [Esce] 503
Shakespeare IV.indb 503
30/11/2018 09:32:10
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 9
BASTARD The devil take thee, coward.
5.9
Exit
Enter Hector [dragging] the one in sumptuous armour
HECTOR [taking off the helmet]
Most putrefièd core, so fair without, Thy goodly armour thus hath cost thy life. Now is my day’s work done. I’ll take good breath. Rest, sword: thou hast thy fill of blood and death. He disarms. Enter Achilles and his Myrmidons, surrounding Hector ACHILLES
Look, Hector, how the sun begins to set, How ugly night comes breathing at his heels. Even with the veil and dark’ning of the sun To close the day up, Hector’s life is done.
5
HECTOR
I am unarmed. Forgo this vantage, Greek. ACHILLES
Strike, fellows, strike! This is the man I seek.
10
[The Myrmidons] kill Hector So, Ilium, fall thou. Now, Troy, sink down. Here lies thy heart, thy sinews, and thy bone. — On, Myrmidons, and cry you all amain, ‘Achilles hath the mighty Hector slain!’ A retreat is sounded Hark, a retire upon our Grecian part.
15
[Another retreat is sounded] A MYRMIDON
The Trojan trumpets sound the like, my lord. 1. [Taking off the helmet]: non in Q né in F. 11. [The Myrmidons] kill Hector: non in Q né in F. 15. Retire: così in Q; in F retreat, con lo stesso significato. 504
Shakespeare IV.indb 504
30/11/2018 09:32:10
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 9
BASTARDO
Che il diavolo ti porti, codardo! Esce V, 9
Entra Ettore [trascinando uno] con una sontuosa armatura
ETTORE [togliendosi l’elmo]
Materia in decomposizione, così bella fuori, la tua sontuosa armatura ti è costata la vita 246. Il mio dovere quotidiano è assolto. Riprenderò fiato. Riposa, spada: hai già avuto la tua dose di sangue e di morte. Si disarma. Entrano Achille e i Mirmidoni, circondando Ettore ACHILLE
Guarda, Ettore, come il sole comincia a tramontare, come la tetra notte gli ansima alle calcagna. E quando il sole sarà sceso e oscurato, la vita di Ettore sarà finita. ETTORE
Sono disarmato. Non approfittare di questo vantaggio, Greco. ACHILLE
Colpite, compagni, colpite! È questo l’uomo che cerco. [I Mirmidoni] uccidono Ettore E ora, Ilio, cadrai tu. Ora, Troia, sprofonda! Qui giacciono il tuo cuore, i tuoi muscoli, le tue ossa. Avanti, Mirmidoni, gridate tutti a gran voce: ‘Achille ha ucciso il potente Ettore’! Suona la ritirata Ascoltate! Suona la ritirata da parte greca. [Suona un’altra ritirata] UN MIRMIDONE
Anche da parte troiana suonano le trombe, mio signore.
505
Shakespeare IV.indb 505
30/11/2018 09:32:10
TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 11
ACHILLES
The dragon wing of night o’erspreads the earth And, stickler-like, the armies separates. My half-supped sword, that frankly would have fed, Pleased with this dainty bait, thus goes to bed.
20
He sheathes his sword Come, tie his body to my horse’s tail. Along the field I will the Trojan trail. Exeunt, dragging the bodies 5.10
A retreat is sounded. Enter Agamemnon, Ajax, Menelaus, Nestor, Diomedes, and the rest, marching. [A shout within]
AGAMEMNON
Hark, hark! What shout is that? Peace, drums. MYRMIDONS (within) Achilles! Achilles! Hector’s slain! Achilles! NESTOR
DIOMEDES
The bruit is: Hector’s slain, and by Achilles. AJAX
If it be so, yet bragless let it be. Great Hector was a man as good as he.
5
AGAMEMNON
March patiently along. Let one be sent To pray Achilles see us at our tent. If in his death the gods have us befriended, Great Troy is ours, and our sharp wars are ended. Exeunt [marching] 5.11
Enter Aeneas, Paris, Antenor, and Deiphobus
AENEAS
Stand, ho! Yet are we masters of the field. Never go home; here starve we out the night.
506
Shakespeare IV.indb 506
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TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 11
ACHILLE
L’ala di drago della notte calando si estende sulla terra e, come un arbitro, separa gli eserciti. La mia spada, sazia solo per metà, smaniosa di nutrimento fino in fondo, si gode questo delizioso antipasto, e se ne va a letto. Rinfodera la spada. Avanti, legate il suo corpo alla coda del mio cavallo. Voglio che trasciniate il Troiano per il campo!247 Escono, trascinando il corpo V, 10
Suona la ritirata. Entrano Agamennone, Aiace, Menelao, Nestore, Diomede, e gli altri, marciando [Un grido da dentro]
AGAMENNONE
Ascoltate! Ascoltate! Cosa gridano? NESTORE
Silenzio, tamburi! MIRMIDONI (all’interno)
Achille! Achille! Ettore è ucciso! Achille! DIOMEDE
Corre voce che Ettore è stato ucciso, e da Achille. AIACE
Se è così, non c’è da vantarsi. Il grande Ettore era un uomo valoroso quanto lui. AGAMENNONE
Pazienza. Si proceda. Qualcuno vada a pregare Achille di venire alla nostra tenda. Se gli dèi ci hanno favorito nella morte di Ettore, Troia la grande è nostra, e questa dura guerra è finita. Escono [marciando] V, 11
Entrano Enea, Paride, Antenore, e Deifobo
ENEA
Fermi! Ormai siamo padroni del campo. Non si va a casa. Pernotteremo fuori.
507
Shakespeare IV.indb 507
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TROILUS AND CRESSIDA, ACT 5 SCENE 11
Enter Troilus TROILUS
Hector is slain. ALL THE OTHERS Hector? The gods forbid. TROILUS
He’s dead, and at the murderer’s horse’s tail In beastly sort dragged through the shameful field. Frown on, you heavens; effect your rage with speed; Sit, gods, upon your thrones, and smite at Troy. I say, at once: let your brief plagues be mercy, And linger not our sure destructions on.
5
AENEAS
My lord, you do discomfort all the host.
10
TROILUS
You understand me not that tell me so. I do not speak of flight, of fear of death, But dare all imminence that gods and men Address their dangers in. Hector is gone. Who shall tell Priam so, or Hecuba? Let him that will a screech-owl aye be called Go into Troy and say their Hector’s dead. There is a word will Priam turn to stone, Make wells and Niobes of the maids and wives, Cold statues of the youth, and in a word Scare Troy out of itself. But march away. Hector is dead; there is no more to say. Stay yet. — You vile abominable tents Thus proudly pitched upon our Phrygian plains, Let Titan rise as early as he dare, I’ll through and through you! And thou great-sized coward, No space of earth shall sunder our two hates. I’ll haunt thee like a wicked conscience still, That mouldeth goblins swift as frenzy’s thoughts.
15
20
25
7. Smite: emend. tardo; in Q e F smile = “sorridete”. 508
Shakespeare IV.indb 508
30/11/2018 09:32:10
TROILO E CRESSIDA, ATTO V SCENA 11
Entra Troilo TROILO
Ettore è stato ucciso. TUTTI GLI ALTRI
Ettore? Gli dèi non vogliano! TROILO
È morto. Trascinato vergognosamente per il campo, in maniera brutale, legato alla coda del cavallo del suo assassino. Oscuratevi, cieli. Adesso dimostrate la vostra ira. Sedete, dèi, sui vostri troni, e abbattete Troia. Subito, vi dico: fateci la grazia di una rapida catastrofe, e non protraete ancora a lungo la nostra distruzione sicura! ENEA
Mio signore, state scoraggiando le truppe. TROILO
Voi non mi capite se dite questo. Non sto parlando di fuga, di terrore, di morte; la mia è una sfida a tutti gli imminenti pericoli cui dèi e uomini ci mettono di fronte. Ettore se n’è andato. Chi lo dirà a Priamo, o a Ecuba? Chi vuole essere chiamato per sempre uccellodel-malaugurio vada a Troia, e lo dica: Ettore è morto. Una parola che trasformerà Priamo in pietra, le vergini e le vedove in Niobi fontane di lacrime, i giovani in statue di ghiaccio, in breve che lascerà Troia fuori di sé dal terrore248. Ritirata! Ettore è morto. Non c’è più nulla da dire. No, fermi. Voi, vili, abominevoli tende così superbamente piantate sulle nostre pianure frigie, nell’alba in cui il Titano oserà ancora sorgere, io vi attraverserò da cima a fondo! E tu, grandissimo vigliacco249, nessuno spazio della terra potrà dividere il nostro reciproco odio. Ti darò la caccia perennemente, come la cattiva coscienza, che plasma immagini diaboliche, fugaci come i pensieri degli ossessi.
509
Shakespeare IV.indb 509
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TROILUS AND CRESSIDA, ADDITIONAL PASSAGES
Strike a free march! To Troy with comfort go: Hope of revenge shall hide our inward woe.
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[Exeunt marching]
ADDITIONAL PASSAGES A. The Quarto (below) gives a more elaborate version of Thersites’ speech at 5.1.17-21. THERSITES Why, his masculine whore. Now the rotten
diseases of the south, the guts-griping, ruptures, loads o’ gravel in the back, lethargies, cold palsies, raw eyes, dirt-rotten livers, wheezing lungs, bladders full of impostume, sciaticas, lime-kilns i’th’ palm, incurable bone-ache, and the rivelled fee-simple of the tetter, take and take again such preposterous discoveries.
B. The Quarto gives a different ending to the play (which the Folio inadvertently repeats). Enter Pandarus PANDARUS But hear you, hear you. TROILUS
Hence, broker-lackey. [Strikes him] Ignomy and shame Pursue thy life, and live aye with thy name. Exeunt all but Pandarus PANDARUS A goodly medicine for my aching bones. O
world, world, world! — thus is the poor agent despised. O traitors and bawds, how earnestly are you set a work, and how ill requited! Why should our endeavour be so desired and the performance so loathed? What verse for it? What instance for it? Let me see,
32. [Exeunt marching]: non in Q né in F. 510
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TROILO E CRESSIDA, AGGIUNTE AL TESTO
Risuoni una marcetta per Troia! Avanti con un unico conforto: che speranza di vendetta nasconda il nostro profondo dolore. [Escono marciando]
AGGIUNTE AL TESTO A. Il Quarto (sotto) offre un versione più elaborata del discorso di Tersite dopo V, 1, 17-21: TERSITE
Come? La sua puttana maschio. E ora, che vi prendano le fetide piaghe del sud: le coliche, le ernie, i calcoli renali, le letargie, le paralisi fredde, gli occhi cisposi, i fegati marci, i polmoni asmatici, i favi pieni di ascessi, le sciatiche, le psoriasi infuocate sulle mani, le incurabili sifilidi, l’impetigine cronica della serpigine e simili – che tutte queste perverse manifestazioni vi colpiscano!
B. Il Quarto dà un diverso finale al dramma (che il Folio non intenzionalmente ripete) Entra Pandaro PANDARO
Ma stai, stammi a sentire! TROILO
Via di qui, pandaro ruffiano. [Lo colpisce] Disonore e vergogna ti perseguitino per tutta la vita, e accompagnino per sempre il tuo nome. Escono tutti fuorché Pandaro PANDARO
Una bella cura per le mie ossa dolenti. O mondo, mondo, mondo! Così è disprezzato un povero intermediario! Traditori e ruffiani, come vi date onestamente da fare, e come vi ricompensano male! Perché la nostra attività è tanto agognata se poi si prova tanto disgusto per il suo compimento? Quali versi in suo onore? Quale evidenza? Vediamo… 511
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TROILUS AND CRESSIDA, ADDITIONAL PASSAGES
Full merrily the humble-bee doth sing Till he hath lost his honey and his sting, And being once subdued in armèd tail, Sweet honey and sweet notes together fail. Good traders in the flesh, set this in your painted cloths: As many as be here of Pandar’s hall, Your eyes, half out, weep out at Pandar’s fall. Or if you cannot weep, yet give some groans, Though not for me, yet for your aching bones. Brethren and sisters of the hold-door trade, Some two months hence my will shall here be made. It should be now, but that my fear is this: Some gallèd goose of Winchester would hiss. Till then I’ll sweat and seek about for eases, And at that time bequeath you my diseases. Exit
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TROILO E CRESSIDA, AGGIUNTE AL TESTO
Tanto allegramente canta ronzando l’apina finché non perde il miele e la spina, e una volta privata della coda pungente dolce miele e dolce nota insieme cade silente. Bravi trafficanti di carne, ricamatelo sui vostri tendaggi colorati: Se c’è qualcuno qui della cricca di Pandaro, per la sua caduta pianga con tutti i suoi occhi cisposi250. O se nemmanco riuscite a piangere, cacciate almeno qualche mugugno; ma no, non per me: per le vostre ossa sifilitiche. Confratelli e sorelle che fate il palo alle porte, ancora due mesi e il mio testamento sarà qui dettato251. Vorrei farlo adesso, ma ho paura: che qualche ochetta tignosa dei bordelli di Winchester si metta a fischiare!252 Prima d’allora mi darò ai bagni di calore, e cercherò qualche cura; ma poi, giunta la mia ora, qui vi trasmetterò tutta la mia lordura. Esce
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Measure for Measure Misura per misura Testo inglese a cura di JOHN JOWETT Nota introduttiva, traduzione e note di CATERINA R ICCIARDI
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Nota introduttiva
Ultimo intermezzo ‘comico’, e il più cupo, tra Amleto e le grandi tragedie della fase maggiore, Misura per misura (1604) è il primo dramma scritto da Shakespeare nell’era di Giacomo I, e ne porta i segni. Consapevole delle conflittualità politiche, istituzionali e religiose che si riversano sulle incognite dell’avvento di un nuovo secolo e di un nuovo regno, esso sembra nascere anche da una conseguente crisi intellettuale dello stesso Shakespeare, un’ipotesi che ha permesso la sua classificazione, assieme a Tutto è bene ciò che finisce bene e Troilo e Cressida, sotto la discussa etichetta di “drammi problematici”, fra i quali si include anche Amleto (F. S. Boas, 1896). Questi sono testi che pongono e non risolvono problemi, costruzioni “dialettiche” tanto inquietanti quanto coriacee ai fini di un assetto interpretativo e incerte nel raggiungimento di una chiara espressione artistica. Shakespeare pare riflettere sul vuoto di potere implicito nella successione a Elisabetta, rigovernare la sua filosofia e i suoi strumenti, e ripensare il materiale ereditato (il mythos), interrogandone la complessità etica di fronte a una teologia politica e un’episteme che si rinnovano. Nonostante il titolo ironicamente equilibrante, nel caso specifico di Misura per misura una lettura conciliativa delle congenite antinomie, tuttora irrisolte, è stata complicata nel tempo dal peso dell’“‘intrattabile’ materia” (T. S. Eliot, Amleto e i suoi problemi, 1919), solitamente cassata sulle scene fino alla rappresentazione di Peter Brook (1950). E per “materia” si deve intendere una tematica scomoda, ciò che – con le incoerenze strutturali – aveva preoccupato i lettori precedenti, soprattutto Coleridge e i vittoriani: un uso insistito del registro osceno, lo scottante 517
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MISURA PER MISURA
co-protagonismo di commercio sessuale per un verso e di libidine (la carne in Amleto) per un altro, riscontrabili nel degrado degli strati bassi del mondo descritto e nelle trasgressioni dei potenti. Insomma, l’attenzione si volge su un raggio di riferimento che sposta la spia del disagio dei tempi dall’individuo dotato di temperamento eccezionale (Amleto) alla pura natura umana e quindi (al di là del regno dei bordelli) al corpo sociale, mosso, di contro alla severità dei riformisti puritani, da ciò che Walter Pater volle rivalutare come i “geniali e fruttuosi poteri della natura” (Appreciations, 1889). C’è qualcosa di venereo e letale e, al contempo, di vitalistico e produttivo nella città di Vienna, una duplicità di eccessi, una dismisura fra surfeit e forfeit (Fusini), che solo la commedia ‘amara’, o tragicommedia – quale Misura per misura è in effetti –, potrebbe meccanicisticamente sanare. E così sarebbe, se il ricorso estremo e ‘autoritario’ alla simmetria dell’ordine e dello scambio matrimoniale (sottolineato nell’esodo da un chiasmo) non paia eludere la pressione di sostanze inquiete, che di recente si sono volute ricondurre all’emergere di una “biopolitica” moderna; o, per altri percorsi più contestuali, a un’“ansia salutare” (Greenblatt), una tensione fra salvezza e perdizione, lealtà e sovversione, indotta dal potere (ecclesiastico e politico), di cui il drammaturgo per lo spettatore fa esperienza ludica ed estetica. La crepa fra sfera della vita e potere sovrano, fra anomia e autorità, è avvertibile all’origine. Nel segnare una rottura del patto sociale – da parte del popolo che ha infranto il suo rapporto con la legge e da parte del duca di Vienna che ha permesso che fosse infranto e poi delega ‘teatralmente’ le sue responsabilità nel porre rimedio –, Misura per misura ripropone (di qui il suo successo nel secondo Novecento) una riflessione sull’amministrazione del potere, sulla natura della legge e della giustizia, e dunque sulla ricerca delle misure adeguate a regolamentare la vita di una comunità, inclusa la vita delle passioni: la sessualità. Per converso, e convergendo sugli anfratti della natura umana, il fuoco si posa sugli abusi che da quel potere possono derivare. Lo dice il duca al frate che lo accoglie in monastero quando spiega, non spiegando tutto, le ragioni del suo esperimento sull’arte del governare, che in sua assenza ha affidato al rispettabilissimo Angelo: “vedremo se il potere cambia il proposito, o ciò che c’è sotto le apparenze” (I, 3, 54). Semplice, prolettico, e di estrema attualità, si configura il teorema del dramma se si limita e si risolve, come infatti si risolve parzialmente – gra518
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NOTA INTRODUTTIVA
zie allo sdoppiamento ‘diurno/notturno’ del duca – in questo “vedere” (dal basso: “da angoli oscuri”), e poi giudicare (dall’alto), superfici e profondità del fibrillante panorama umano, in cui le punte del lecito e dell’illecito, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, si avviluppano senza chiare distinzioni morali. Ma il paradigma suona, appunto, troppo semplicistico, se non si lasciassero irrisolte le tante domande (altrettanto attuali) che il testo pone nelle sue aporie drammaturgiche e testuali, le sue reversibilità di senso, le loquacità e reticenze, le sostanze e apparenze, che dalla fabula travasano nella retorica del testo. È vero che, pur di fronte all’incognita degli sviluppi, il duca pare lucidissimo all’inizio nell’applicazione del suo audace disegno, ponendo sul tappeto, e dandone per condivisa la conoscenza (“Mi sembrerebbe di ostentare parole e discorsi se spiegassi…”), i principali termini in discussione: “le proprietà del governo”, “la natura della nostra gente, le istituzioni civiche e le norme della giustizia” (I, 1, 9-11), una materia – costituente i fondamenti di uno statuto civico moderno – in cui almeno Escalo, l’immediato interlocutore della scena d’esordio, sembrerebbe edotto, ma che forse, in ragione del discorso ellittico del duca, è tutta da ricercare per deduzioni ermeneutiche nell’azione che da questo nodo taciuto prende avvio. La scena si costituisce dunque come spazio agonico per tutti i convocati, per i quali si apre il percorso di un’esperienza soggettiva e intersoggettiva, di confronto con se stessi e con gli altri e, su diverso versante, con il potere che li sovrasta o che, nel caso del duca (e di Angelo), si amministra. Ma si ascolti intanto la lettera iniziale del testo. È soprattutto la “natura”, “dea parsimoniosa”, dice il duca, perché affida all’uomo solo una parte della sua “eccellenza” (I, 1, 36-38), a sovrintendere la scena proiettata in questo filosofare politico dall’apparenza laico ma che al tempo di Shakespeare il sovrano cristiano amministrava per delega divina: “Governando, Giudicando e Punendo al posto di Dio, e così rendendosi degno del nome di Dio qui sulla terra”, recitava il vescovo Bilson all’incoronazione di Giacomo I nel 1604. Eppure, è solo la “natura”, la “dea”, la coscienza (o l’impronta, la tempra, il “metallo”) individuale, che si elegge quando il duca consegna a Angelo anche il potere di decidere fra “morte e misericordia”, con l’invito a calibrarne le misure “come l’animo vi suggerisce” (I, 1, 43-66). Ovvero, fra le righe, secondo le linee di un giudizio fondato sull’anima razionale (soul), l’equità e la via media, la legge “morale”: lo 519
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MISURA PER MISURA
proponevano nel passato – e i drammaturghi elisabettiani lo sapevano – Cicerone (De officiis) e Seneca (De clementia); lo confermava re Giacomo nel suo manuale di sapienza politica Basilikon Doron (1604); ne studiava le convergenze con la teologia cristiana l’anglicano Richard Hooker in Of the Laws of Ecclesiastical Politie (1594-1597). Di contro a tale premessa (“come l’animo vi suggerisce”), è “la legge, non io, a condannare vostro fratello” (II, 2, 82), sentenzia il puritano Angelo, il quale nel negare il proprio “io” lo afferma sovranamente nel serrato dibattimento con Isabella che intercede per Claudio, colpevole di un peccato grave (la fornicazione), attenuato nel suo caso da un contratto prenuziale consentito per legge, un peccato umano, ‘naturale’, frutto del desiderio e produttivo, paragonato com’è dal fantasioso Lucio: “alla stagione fiorente che con la semenza porta il nudo solco a un ricco raccolto” (I, 4, 40-42). Legge e natura costituiscono forse l’ossatura antinomica di fondo da cui decrescono tutti gli altri ostinati contrasti del dramma (giustizia e misericordia, o clemenza, castità e sessualità, celibato e matrimonio, virtù e peccato, verità e ipocrisia, vita e morte, grazia e perversione), e su cui è inevitabile che si innesti il codice religioso, fino a convergere – per compromesso ‘comico’ – sulla “misura” del titolo che, unita al perdono, non sarà veterotestamentaria (“occhio per occhio”) ma “evangelica”: “Non giudicate per non essere giudicati, perché secondo il giudizio col quale giudicate, sarete giudicati; e colla misura con la quale misurate, sarà rimisurato a voi” (Matteo, 7, 1-3). La legge sarebbe dura e “mordente” a Vienna se, ammette il duca, da “pigro leone”, egli stesso non l’avesse ridotta a “lettera morta” (I, 3, 1931), permettendo a costumi licenziosi di scorrazzare, gli fa eco Lucio, “come topolini attorno al leone” (I, 4, 22-23). La legge non è uno “spaventapasseri” per uccelli da preda ma “figura di terrore” (II, 1, 1-4), sottolinea Angelo. La legge è “iniqua”, confessa Giulietta, gravida di un figlio concepito nel bene e condannata, con la condanna di Claudio, a un “infinito funesto orrore” (II, 3, 42-44). Ricordando Paolo (Romani, 9, 1416) sull’uso imperscrutabile della misericordia divina, Claudio a sua volta contesta l’“Autorità”, una “semidea”, che “fa pagare a peso i diritti del cielo per le nostre colpe. Si vuole a chi si vuole, e non si vuole a chi non si vuole” (I, 2, 112-115). E se la prostituzione è fuori legge a Vienna è solo perché è la legge (non la natura) a vietarla, afferma il ruffiano Pompeo, che di devastante prostituzione vive e campa sbeffeggiando con comicità 520
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NOTA INTRODUTTIVA
sovversiva legge e autorità. Persino la novizia Isabella sfida la legge codificata (“giusta ma severa”), quando ricorda a Angelo la generosità divina nel rendere possibile la Redenzione con un atto di misericordia (II, 2, 75-81); e nel fervore della perorazione osa andare oltre il Verbo quando, rispondendo ancora a Angelo che paragona l’assassinio al concepimento illegittimo, ella distingue con audacia: “Così è stabilito in cielo, ma non in terra” (II, 4, 50). Il quadro dei punti di vista sullo statuto della legge e dell’autorità è, come si vede, variegato e variamente oscillante fra l’univocità del peso della “dea” natura (physis), da cui il soggetto riceve il suo “stampo”, e la sua conciliazione con la parola della “Scriptura” o – più laicamente – della convenzione ‘semidivina’ del nomos. Si cerca una convergenza fra sfere (naturale o universale, religiosa, secolare, vetero e neotestamentaria), su cui deve bilanciarsi una giustizia “positiva”, la cui misura, privata di altri interventi, pare problematica quanto la libbra di sola carne richiesta da Shylock. Data e trasmissione del testo Fra i testi più corrotti del canone shakespeariano, Misura per misura appare per la prima volta a stampa nell’in-folio del 1623, quarta nel gruppo delle “Commedie”. Si sa per certo che fu rappresenta a corte il 26 dicembre del 1604. Allusioni topiche portano a stabilirne la stesura tra il maggio e l’agosto di quell’anno, dopo la riapertura dei teatri, chiusi per la peste dal maggio del 1603 all’aprile del 1604. Nonostante una diversa ipotesi formulata da John Dover Wilson, l’accenno a una pace da negoziare con il re di Ungheria (I, 2, 1-5) non può che riferirsi al lungo conflitto con la Spagna, conclusosi con il trattato di Londra del 19 agosto del 1604. Nella stessa scena (vv. 85-96) si ha notizia dell’emanazione di un decreto sulla demolizione dei postriboli nei sobborghi di Vienna, ovvero – fuori finzione e censura – di Londra. Il proclama del re del 16 settembre 1603 riguardava l’abbattimento delle sole case infettate dalla peste, una precauzione che includeva anche (o soprattutto) i bordelli ma che in realtà mirava a un maggiore controllo della città al fine di risanarne gli abusi e frenare conseguenti focolai di sedizioni e malattie. Su quelle veneree si scherza in modo fin troppo arguto nella Vienna di questa seconda scena ‘carnevalesca’ così funzionale all’impianto moralistico del dramma. Infine, nella ritrosia del duca a concedersi a pubbliche manife521
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MISURA PER MISURA
stazioni di benevolenza (I, 1, 67-72) si può riconoscere un ammiccamento a Giacomo I (con un’eco in II, 4, 24-29), notoriamente restio al contatto con i suoi sudditi e, come il duca, sensibile alla calunnia, l’infrazione più penalizzata nella finale resa dei conti. Il passo può leggersi come un gesto di omaggio al nuovo re, al cui stile di governo pare ispirarsi anche l’iniziale discorso di delega del duca. A Ralph Crane, che preparò la trascrizione da un copione riadattato dopo la morte di Shakespeare, si attribuiscono la divisione in atti e scene, le scarne didascalie e l’elenco dei personaggi, il solo luogo in cui si indica il nome del duca “Vincentio”. Quanto alla trascrizione, Crane, per altro scriba scrupoloso, si distingue fra i copisti che lavorarono all’infolio per specifiche idiosincrasie ortografiche e riaggiustamenti grammaticali, sebbene le contaminazioni più rilevanti si debbano ai tre compositori che intervennero nel processo di stampa. Almeno due di loro agirono con minore accuratezza, saltando o equivocando parole (per lo più omofonie), ridistribuendo l’allineamento dei versi a spese del metro e confondendo passi in prosa e passi in versi, di cui serbano traccia i cosiddetti verse fossils. Le numerose anomalie strutturali e testuali – la presenza di personaggi superflui o quasi superflui (Giulietta, Francesca, il Giudice, Varrio), incongruenze temporali (si contano 26 “domani”) e passi fi lologicamente guasti o di bassa qualità stilistica – inducono a dedurre che la commedia sia stata sottoposta a più revisioni (forse dello stesso Shakespeare, congettura Dover Wilson) e a riadattamenti postshakespeariani di varia mano e consistenza. Secondo John Jowett, curatore dell’edizione Oxford alla quale ci atteniamo, parte della versione finale si deve all’adattamento di Thomas Middleton. L’ipotesi è confermata da Terri Bourus, la curatrice del testo nel New Oxford Shakespeare (2016-2017), la quale alle interpolazioni individuate da Jowett aggiunge brevi passi in II, 1 e II, 2, e il soliloquio di apertura in IV, 3. Inoltre, sulla base di un più attento esame di evidenze testuali riferibili ai primi anni Venti del Seicento (la presenza di milizie inglesi nel Palatinato, gli atti di pirateria del 1621, la depressione economica in Inghilterra del 1619-1624, i fatti che coinvolgono Austria, Ungheria e altri stati sovrani nella prima fase della Guerra dei trent’anni), Bourus sostiene che Middleton mise mano all’adattamento tra il 1621 e il 1622, spostando la scena da una città italiana (forse Ferrara: come confermerebbe il nome del protagonista, Vincentio, di una perduta “Comedy of the Duke of Ferrara” [1598]), a 522
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NOTA INTRODUTTIVA
Vienna. Si avrebbero così (ipoteticamente) due distinte versioni del play: quella originaria di ambientazione “italiana” di Shakespeare e quella “viennese” di Middleton, entrambe messe in scena a Indianapolis nel 2014 (cfr. Bourus e Taylor, 2014). Le fonti e i loro generi La storia del “magistrato corrotto”, e del ricatto di natura sessuale proposto alla moglie di un condannato, circolava in più versioni nell’Europa del Cinquecento, prima di essere raccolta da Giovan Battista Giraldi Cinzio, che ne fece oggetto della quinta novella dell’ottava “decade” degli Hecatommithi (1565), allora disponibile in francese nella traduzione di Gabriel Chappuys (1584), e fonte del contemporaneo Otello. Per lo più patrimonio del folklore e dell’aneddotica storica (si potrebbe risalire anche ai romani Appio e Virginia, popolari sulle scene inglesi), la storia riaffiora a metà secolo in un’epistola (1547) di Joseph Macarius, studente ungherese a Vienna, il quale riporta un fatto di cronaca avvenuto in una cittadina vicino a Milano, risolto dal viceré Ferdinando Gonzaga con lo “Iustum iudicium” della pena capitale per il giudice corrotto, eseguita solo dopo il matrimonio con la donna da lui oltraggiata e poi resa vedova. Ma prima del racconto di Macarius, il quale ne attesta la popolarità con varianti (“Varie narratur iam haec historia”), e prima di imporsi a livello letterario (iniziando dalla Francia con una tragedia di Claude Roullet del 1556), la vicenda pare aver fortuna anche in un altro canale di interesse. Infatti, sin dagli inizi del secolo, il problema della commistione di legge e sessualità attrae il pensiero di teologi e riformisti, i quali ne fanno spunto per un apologo didascalico e dottrinale sulla pratica della pena da applicare ai peccati di turpe natura. Fu nota a Melantone e a Lutero, anche tramite Agostino (De sermone Domini in monte). Lutero ne fa il nodo conclusivo del pamphlet Sull’autorità secolare (1523), prendendo a esempio il Duca di Borgogna, lodato per aver gestito con un equilibrato esercizio di giustizia “secolare” le rivendicazioni di una donna sottoposta a un baratto disonorevole per salvare il marito. Il riformista Thomas Lupton riprenderà le linee di questo modello strutturale e concettuale in Siuqilia. Too Good to be True (1581), un’utopia puritana. Sull’altro versante della comunicazione culturale, Cinzio imprime alla storia piena dignità letteraria e nuovo slancio grazie alla modifica di alcuni particolari: non è più la moglie del colpevole, Vico, a subire il ricat523
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to ma la sorella Epitia, una studentessa di filosofia; il magistrato (Juriste), delegato dall’imperatore Massimiano a governare la città di Innsbruck, viene condannato per aver giustiziato Vico, e quindi obbligato a nozze riparatrici, per essere poi salvato dal perdono congiunto di Epizia e dell’imperatore. Nel dramma postumo Epitia (1583) Cinzio giustificherà meglio il ricorso al perdono con il motivo dello ‘scambio di teste’, uno stratagemma che risparmia la vita di Vico e garantisce un esito interamente felice alla vicenda. Sulla scia di questo materiale (ma non poteva conoscere l’Epitia) l’inglese George Whetstone ricava il dramma in due parti Promos and Cassandra (1578) e un racconto inserito nel Heptameron of Civill Discourses (1582), entrambi ambientati nella città ungherese di Julio, governata dal re Corvino. Con la trasgressione di Promos, l’anziano giudice, innamorato e seduttore di Cassandra, si segue essenzialmente il tracciato di Cinzio, salvo la presenza di alcuni personaggi di dubbia morale e di un carceriere, il bargello di Shakespeare, che provvede alla sostituzione della testa di Andrugio, il fratello di Cassandra, con quella di un altro detenuto. In tutte e quattro le opere è comunque la sorella a soddisfare la libidine del magistrato. Le novità di Shakespeare sono significative: uno scavo molto più sottile nell’interiorità di alcuni personaggi, in special modo di Angelo e Isabella, le due personalità psicologicamente più complesse; lo sfondo costituito dal mondo della prostituzione; l’apertura sulla sfera religiosa attraverso le figure speculari del frate e della novizia; il rifiuto di Isabella a concedersi al vicario; il ricorso a un’altra donna che possa sostituirla senza grande disonore nel letto infamante (il bed-trick); il motivo del “sovrano travestito” che, scostandosi dal modello del romano Alessandro Severo cui si ispira, si fa egli stesso attore (e non solo osservatore e poi giudice), deciso a incidere con peso sulla catena degli eventi. La vicenda Costretto ad assentarsi, Vincenzo, il duca di Vienna, affida il governo dello stato all’integerrimo Angelo con l’assistenza del saggio dignitario Escalo. In realtà, egli non si allontana molto. Con abito da frate, intende circolare “tra principe e popolo” (I, 3, 45), osservandone in incognito i comportamenti. Il vicario instaura una severa applicazione della legge per colpire la vita sregolata dei bassifondi, un mondo di prostitute e lenoni – il ruffiano Pompeo, la tenutaria di bordello Madama Sfonda524
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NOTA INTRODUTTIVA
ta, i loro clienti –, al cui commercio partecipano rappresentanti della classe media, come Lucio, lo strategico tramite fra sfere sociali diverse. La prima vittima del nuovo regime è Claudio, condannato a morte per aver ingravidato Giulietta, la donna che ama. Claudio incarica Lucio di rivolgersi a sua sorella Isabella, novizia dell’ordine di Santa Chiara, perché convinca il vicario a concedergli il perdono. L’eloquenza e la virtù di Isabella hanno forte presa su Angelo, il quale tuttavia si fa scuotere non, come si vorrebbe, dalla pietà ma dal desiderio sessuale e, contravvenendo egli stesso alla legge, propone il ricatto che Isabella non accetta. Rifiutando, ella nega la vita al fratello, il quale, in nome della vita, la incoraggia a prostituirsi, e, paradossalmente, nega anche quel principio della caritas cristiana a cui si era appellata nella sua supplica a Angelo. Qui, al terzo atto, sul punto in cui il dramma va declinando verso la tragedia, si inserisce l’opera macchinosa e imperiosa del frate-duca. Egli chiede a Mariana di sostituirsi a Isabella nel letto di Angelo, il quale non è altri che il fidanzato che l’ha abbandonata anni prima, e che, cadendo ora nel tranello, sarà costretto a riparare al vecchio torto. Goduti i favori di Mariana che crede Isabella, Angelo conferma l’ordine di morte per Claudio. La tensione precipita di nuovo e – nello spazio della prigione – rischia di sfuggire alla regia del frate-duca: bisogna in poche ore trovare una testa decapitata da consegnare al vicario al posto della testa di Claudio. La scelta cade su quella del criminale Bernardino, il quale, però, rifiuta di farsi giustiziare. Solo la morte naturale e provvidenziale di un altro condannato porta a buon fine il piano di scambi e sostituzioni (un perfido gioco fra eros e thanatos) architettato dal duca. Nel masque collettivo del V atto, aperto dal solenne ingresso del duca a Vienna, un serrato incatenarsi di colpi di scena conduce allo smascheramento del vicario e al ristabilimento dell’ordine. Nel trionfo, anche retorico, dell’affermazione di una giusta “misura” di contrappasso, temperata dal perdono, quattro coppie matrimoniali (remedium concupiscentiae), variamente classificate nella gerarchia sociale (il calunniatore Lucio è costretto a sposare la prostituta che ha reso madre), saneranno le disarmonie, ma non le aporie, del dramma. Prospettive critiche: le “figure” del testo C’è “qualcosa di sbagliato nel dramma”, concludeva Dover Wilson nel 1922, riassumendo le obiezioni a Misura per misura, sino ad allora de525
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classato come “locus classicus del lubrico shakespeariano”, e riavviando la discussione attorno a precisi nodi estetico-strutturali su cui la critica continuerà a insistere (cfr. Geckle): debolezze di intreccio e del sub-plot ruotante su Mariana; repentino scollamento tra genere tragico e genere comico nel terzo atto; artificiosità del finale; cadute stilistiche; contraddittorietà di alcuni personaggi: di Pompeo che, da fuorilegge, si piega al servizio della legge; del duca, ambiguo e machiavellico, oppure “provvidenziale” e, alla resa dei conti, fin troppo clemente; e di Isabella, sdoppiata in comportamenti estremi: loquacemente combattiva e poi passiva, cattolica e puritana, santa e perversa, crudele nel confronto in prigione con il fratello, incoerente nel prestarsi al sacrificio della verginità di Mariana, troppo silenziosa nell’accogliere la proposta matrimoniale del duca (ma Isabella, si ricorderà, ha un suo ossimorico “speechless dialect” [I, 2, 171]). A un’altra tradizione più interessata alle “idee” (morali, religiose, cristiane) e alle simbologie dà avvio nel 1930 George Wilson Knight, per il quale il play “è un’opera attentamente costruita”, se la si legge come una parabola neotestamentaria della Redenzione, in cui il duca è figura della misericordia divina e Isabella della castità. Questa linea, che allarga la sfera delle identificazioni allegoriche (il duca è Cristo, la Provvidenza; Isabella è la Sposa di Cristo), sarà seguita da R. W. Chambers (1937), H. Ulrici (1946), R. W. Battenhouse (1946) e altri fino agli anni ‘70. Parallelamente, L. C. Knights nel 1942 mette a fuoco risvolti tematici sino ad allora considerati secondari: legge, giustizia e l’arte del governo. Sarà questo il terreno su cui si dibatterà nel futuro. Al di là del doppio binario di idee, nello stesso 1942 il riscatto incondizionato arriva da F. R. Leavis, il primo a riconoscere la “grandezza” di Misura per misura. Assestamenti storico-critici si devono a Lascelles, Miles e Eccles. Sulla questione del “genere” si pronuncia, fra gli altri, N. Frye, per il quale il dramma non avrebbe nulla a che vedere con la “filosofia del governare” né con il “problema sociale della prostituzione” ma con la “relazione di tali problematiche alla struttura della commedia”, uno spunto diversamente rielaborato da Tennenhouse e Dodd in rapporto alla ridefinizione giacomiana dei rituali politico e religioso. Fanno seguito letture semiotico-formali (Empson, Perosa, Serpieri, Melchiori), femministe (McLuskie, Baines, Adelman), metateatrali (Lombardo), antropologico-politiche (Shell), e freudiano-psicoanalitiche, riassumibili 526
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con una battuta di Bloom: la “Vienna di Shakespeare è una beffa prefreudiana ai danni di Freud” e alla sua convinzione che il Bardo avesse rubato le sue trame al Conte di Oxford. Con il neostoricismo si aprono nuovi profili di indagine lungo le linee del “panopticon” di Foucault e del materialismo culturale (Dollimore, Ryan, Wilson), della teologia politica (Shuger, Lupton), del rapporto fra cattolicesimo e protestantesimo (Gless, Asquith), del nodo legge-politica-potere (Tempera, Gill, Hansom, Condren). Insomma, negli ultimi decenni del Novecento il dramma ha goduto di un’ampia rivalutazione su rinnovati fronti di indagine, producendo letture che sostanzialmente ne spostano il fuoco dall’allegoria evangelica a un’‘allegoria’ politica valida ieri come oggi. Tant’è che si può concludere con Bloom: Misura per Misura è una commedia “nichilista” che “distrugge la commedia”, consegnandosi infine al solo Bernardino, “l’assassino dissoluto, che, non lasciandosi convincere a morire, ci regala una tenue speranza per l’uomo contro lo Stato”. E dunque: il peccato, la misericordia, il potere, la legge, la giustizia e, non si dimentichi, la vita, e la parola, che della vita è manifestazione: “Non una parola in più” (IV, 3, 59), dice Bernardino, se si parla di morte. Misura per misura è anche, come dimostra il fermo “no” al potere di Bernardino, un grande poema sulla vita. E la lezione in questo caso è il duca a impararla (o a impartirla?), proprio lui che si fa grande – molto più grande di quando, con santità e severità, impugna iconicamente “la spada del cielo” (III, 1, 517-538) – nel sermone propinato a Claudio (o alla Vita), consigliandogli di tenersi pronto per la morte, l’unica realtà, perché la vita, e non la morte, è negazione: non è nobile, non è impavida, non è felice, non è costante e, più subdolamente, nei confini di questa sprezzatura, non è “se stessa”. E se nella vita “si celano più di mille morti”, è anche perché è solo la morte “che noi temiamo” (III, 1, 5-41), ammette il duca, usando infine il plurale, per includersi nel pathos della non-vita, del suo silenzio. Vacillamenti insinuati dalla modernità, dalla frattura barocca, e dall’amaro dell’esistenza. L’uso della negazione in Shakespeare (di solito non accentata nella recita), ci ricorda William Empson, è “quasi sempre leggero e casuale: egli ha troppo interesse per le parole per convincersi che non ci sono e che si deve pensare all’opposto del loro significato principale” (Sette tipi di ambiguità, 1965 [1930]). Se nel caso in questione, per ipotesi, la negazione fosse strumentale (“casuale”), essa non è “leggera”, perché è reiterata, 527
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insistita per accrescimento, amplificatio. Viene il sospetto che il duca – al quale sono in tanti ad attribuire ambiguità, menzogna e intrallazzo – qui sia trascinato a recitare invece la sua parte più schietta, quella di un uomo che si sforza “di conoscere se stesso” (III, 1, 491), porgendo ad altri (e a se stesso) una verità ‘angosciosa’ in cui è lui il primo a non voler credere. In questo soliloquio, riconosciuto come uno dei vertici della scrittura lirica di Shakespeare, la chiave retorica non è l’alternativa “o/o”, il dubbio di Amleto, ma la forza dura della denegazione, sotto cui è possibile che striscino le paure del rimosso, la “polvere”, il rifiuto del nulla, o, come intese T. S. Eliot in Gerontion, il rimpianto per una vita non vissuta (piuttosto che non degna di essere vissuta), quale potrebbe essere stata quella di Vincenzo, a dispetto dei suoi “angoli oscuri” (IV, 3, 153). Riducendo la vita alla vitalità di un “soffio” e affermandone l’esistenza apofatica, egli l’accoglie e, dimenticando Claudio, le parla, esorcizzandone la morte, e la morte della parola. Lo prova l’esito che il suo determinismo stoico sortisce nello stesso Claudio, il quale, pur accettandone il consiglio – condensato in un chiasmo che la dice tutta sul suo desiderio di vita non nell’altro mondo: “Implorando per la vita, vedo che cerco la morte, e cercando la morte trovo la vita” (III, 1, 42-43) –, di lì a poco smaschererà quella recita che il duca presta al frate. “Sì, ma morire, e andare non si sa dove”: la vita, anche la più misera, riformula Claudio (e il duca lo ascolta, origliando), è “un paradiso in confronto a ciò che temiamo dalla morte” (III, 1, 118-132). La catabasi infernale che con Claudio attraversiamo in soli quindici versi costituisce l’ultimo passo di alta poesia. Il duca esce sconfitto (e rinnovato) nel suo tentativo di rendere grande la morte: la tregua sarà breve, siamo sulla soglia delle tragedie. Intanto, ora la prosa si impossessa del play, che diventa “commedia”. Lo spostamento determinato da questi due soliloqui, a loro modo ‘catartici’, richiama gli altri sommovimenti più strumentali del dramma: le sostituzioni, gli scambi di ruoli, di identità, di teste. E non solo. Nella densa climax che segue il “Sii pronto per la morte” si consolida il generale sistema retorico di geminazione linguistica e concettuale, di impregnamento delle parole che si riproducono (a partire dal titolo) in duplicazioni, equivalenze, espansioni, o, per altro verso, in contrasti e opposizioni. Aperto da due reticenti “unfold” (spiegare, svelare) contigui e anaforicamente speculari (I, 1, 1 e 29), il testo genera linguaggio dal suo stesso duplice ventre e dissemina figure della sinonimia e dell’antite528
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si, che convergono in simmetrie di stratificata referenzialità (lo stampo, il conio, il metallo; il peso, l’equilibrio, la misura …) e in antinomie inconciliabili, ruotanti sugli assi dell’eccesso e della pena (surfeit/forfeit), della libertà e restrizione, libidine e repressione, essenza e apparenza, vero e falso. Introdotto da un “Desidera vedervi”, il dibattimento fra Angelo e Isabella è ininterrotta produzione di “senso” (e per Angelo “fecondazione” di “sensi”), fomentata dall’antifrasi: l’uno contro l’altro, essi ribaltano, o riorientano, il senso delle parole dell’altro, ne invertono l’ordine per logica perversione, ne fanno sillogismo, paradosso (la carità è peccato? e la svendita della castità è carità?), motto di spirito (il “senso” e i “sensi”), e si aggrappano al lapsus delle “gemme” preziose o delle pulsioni del “piacere vostro” che, da parte di Angelo, trovano sublimazione nel primo soliloquio. È lui, il rigoroso (“precise”) moralista, che dà licenza ora a una brutale estetica del “desiderio”. La parola gli torna sulle labbra tre volte e in modalità profananti: com’è possibile che “con tutto il terreno disponibile si desideri radere al suolo il santuario per piantarci le nostre latrine?” (II, 2, 174-176). Difficile decidere quale delle due metafore sia più dissacrante nella dissonanza. “Sangue, tu sei sangue”, sangue torbido (per epanalessi), insiste Angelo nel secondo deragliante soliloquio, consapevole ormai del baratro letale che c’è in lui, e nel suo nome, fra sostanza e apparenza (II, 4, 15). Lucio, il miles, a cui molti lettori attribuiscono una patente di verità nella calunnia, ha torto sul vicario nel dire che, “quando fa acqua, la sua orina è ghiaccio congelato” (III, 1, 374), e che il suo sangue, per converso, “è sciacquatura di neve” (I, 4, 56-57): due delle sue “iperboli a tre strati” (il conio è di Keir Elam in Shakespeare’s Universe of Discourse, 1984), three piled, come l’abito di velluto che Lucio indossa per camuffare i segni della sifi lide (I, 2, 32). Essere e apparire, corpo e paramento, parola e referente: il giuoco gira in tondo, e Lucio, non volendo, con le sue freddure funamboliche coglie la profanazione del “santuario”. “Ma sono rigorosi [“precise”] furfanti, di questo son sicuro, e privi di quella profanazione del mondo che un buon cristiano dovrebbe avere” (II, 1, 52-53), pasticcia Gomito, il gendarme, con un grano di anaforico ammiccamento, nel processo-farsa allestito contro Pompeo e Schiuma, accusati di aver indotto in tentazione “cardinale” sua moglie incinta, della quale lui, il marito, “detesta” (attesta) l’innocenza. C’è senso, sebbe529
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ne con i significanti opposti del malapropismo, nell’apparente anarchia linguistica in cui si ingrovigliano le classi basse in quella stessa Corte di giustizia dove poco dopo si confronteranno su “sensi” consonanti i due forbiti e repressi Angelo e Isabella. Il processo a Schiuma e alle sue prugne curative è l’intermezzo lasciato alla risata pseudo-liberatoria (in fondo i malfattori sono “benefattori”), gestita con altra filosofia nella dialettica girovagante e astutamente accerchiante di Pompeo, il mescitore, colui che mescola, imbastardendolo, vino “bianco e rosso” (III, 1, 273). Ma lui è il Clown, del quale, nel mondo di Shakespeare, conosciamo la rispettabilità: “delle due usure, la più allegra è stata abolita e la peggiore autorizzata dalla legge a portare indumenti di pelliccia per tenersi calda” (III, 1, 275-277), egli dirà proprio al duca, perché da frate, o governante, intenda. A Pompeo si dà l’onore dell’ultimo rocambolesco soliloquio (IV, 3, 1-18): la prigione è la più grande casa di malaffare ‘linguistico’ di Vienna, in cui lui, il mezzano, ha trovato un altro modo per vivere: ora fa l’aiutante del boia. Il boia è Abhorson, figura portmanteau (e il carnefice, in effetti, ereditava i panni dei giustiziati), composta com’è da tre strati di parole: un “aborto figlio di puttana”, questo è chi dà morte a Vienna, sotto la scure della legge. Dobbiamo ancora credere al duca – come forse, tutto sommato, saremmo pure tentati – e al suo travagliato soliloquio? No, gli conferma Bernardino (anche per il bene della “commedia”). Meglio credergli, per placebo, quando si esibisce in circonlocuzioni combacianti, mirate a una più armoniosa estetica del desiderio: “La mano che vi ha fatto bella vi ha fatto buona. La bontà povera di bellezza rende la bellezza povera di bontà; ma la grazia, che è l’anima della vostra persona, ne conserverà sempre bello il corpo” (III, 1, 182-185). Così il duca-frate, con un giro di imperfette figure a chiasmo che, per il tramite del bene e della bellezza, approdano all’“anima” e al “corpo”, calma (e seduce?) l’isterica Isabella – “Concedetemi una parola, giovane sorella, solo una parola” (III, 1, 155) –, che non ha voluto scambiare (incestuosamente, dice lei, la sorella) castità con carità. Siamo di fronte a uno di quei “fossili lirici” trasmessi dalla vulgata del testo. Quanto alla “figura” aulica, quella impressa su fine metallo (la “virtù”, l’essenza), evocata nel prologo dal duca ma non mostrata, anzi delegata a Angelo, perché gli faccia da “torcia”, essa è dotata, come la medaglia o la moneta che ne porta lo stampo, di un verso e di un recto. Il recto è 530
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di solito emblematico e più nascosto, dunque tutto da interpretare. Ma a tal fine ci sarà tempo. Dopo il “quel che è mio è tuo, quel che è tuo è mio” della chiusa, in cui sul nomos vince l’eros (lo suggerisce per altre vie Frye), si va a palazzo dove “mostreremo”, conclude il reticente duca, “cos’altro c’è ancora per voi da sapere” (V, 1, 536-538). La commedia non è finita, ha ancora qualcosa da raccontarci, ma nelle pieghe delle sue infinite molteplicità. La fortuna sulle scene I due discutibili riadattamenti seicenteschi di William Davenant e Charles Gildon, inaugurano il destino amaro a cui, sul versante dei tagli e delle manipolazioni, la struttura polifonica e intimamente intrecciata di Misura per misura sarà soggetta nel corso di quattro secoli. L’unica gloria va riconosciuta a Sarah Siddons, la grande “musa tragica” che, nel ruolo verginale di Isabella, calcherà le scene per trent’anni, spesso a fianco del fratello J. P. Kemble (il duca) e altrettanto spesso incinta (sono le ironie freudiane del teatro!), fino al 1812, quando al Covent Garden, ormai anziana, faticava a rialzarsi dalla posizione inginocchiata richiestale nella scena finale. Con l’uscita di “Mrs. Siddons” e l’avvento dell’Ottocento vittoriano cade il sipario sul più moralmente contestato testo di Shakespeare, che in Europa sollecita invece le simpatie di Puškin nel poemetto Angelo (1833) e di Wagner nell’opera Das Liebesverbot (“Il divieto di amare”, 1836). Per la cronaca delle scene inglesi, se ne riparlerà a livello alto solo nel 1933, all’Old Vic, con una produzione di Tyrone Guthrie, in cui Charles Laughton interpreta un Angelo dai contorni sinistri, “un mostro astuto e untuoso”, un “libidinoso pipistrello nero”, concupente corpo e anima di Isabella (Flora Robson). Se la sessualità repressa inizia a farsi connubio più scenografico di gesto e parola, quella meno repressa si legittima in spettacolo con Peter Brook a Stratford nel 1950: il dramma ora pretende “rozzezza e lerciume assoluti”. Brook riscopre la coerenza del disegno bifronte del testo (il “Sacro” e il “Rozzo”), rivalutando la funzionalità del mondo basso (il peccato universale), da lui trasformato in un teatro infero per mendicanti, storpi, degenerati e grotteschi alla Bosch. Lo spazio del “sacro” resta di pertinenza di un duca (Harry Andrews) molto ridimensionato rispetto al protagonismo di Angelo, al quale John Gielgud conferisce una “contorta nobiltà”. Nell’estenuante pausa di silenzio im531
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posta a Isabella (Barbara Jefford), incerta sulla perorazione del perdono per Angelo, si concentra il clou della tensione drammatica. È solo qui, nel finale, che “la nozione astratta della misericordia”, afferma Brook, “diventa concreta”. La priorità di Angelo, e dei suoi problemi sessuali, a spese di un duca sentito come psicologicamente meno interessante, è anche riflesso dell’indirizzo culturale dei tempi. Solo dal 1970 si inciderà con una doppia sterzatura sull’asse semantico e ideologico del testo. Nella produzione di John Barton per la Royal Shakespeare Company è il duca (Sebastian Shaw), che medita su potere e autorità, e non Angelo (Ian Richardson), ad appropriarsi della scena; Isabella (Estelle Kohler) chiude da sola lo spettacolo, ponderando dubbiosa l’offerta matrimoniale ricevuta. Senza dimenticare troppo Freud e il rifacimento di segno anti-nazista di Brecht in Teste tonde e teste a punta (1932), questa è la linea che si affermerà in seguito in letture di più spiccata inclinazione ideologico-politica (totalitarie, femministe, marxiste), inclusi il pesante riadattamento di Charles Marowitz (1975), le ormai numerose produzioni per la RSC e le più letterali, recenti proposte televisive. Gli sfondi alternano scenografie grandiose e opacità da teatro povero, i costumi spesso si adeguano alla moda dei nostri giorni, subentra la tecnologia di potenti effetti sonori e proiezioni visive. In Italia la fortuna di Misura per misura si lega essenzialmente a tre nomi: Luigi Squarzina, Luca Ronconi e Gabriele Lavia. A Squarzina, e alla sua traduzione, va il merito della prima messa in scena in assoluto (Stabile di Genova, 1957) e del primo riconosciuto successo di pubblico con le riproposte del 1976 e 1980 (Teatro di Roma). Anche Ronconi torna su quest’opera due volte a Torino: nel 1967 ai Giardini Reali e, più in sintonia con i nuovi tempi (“non è un dramma sulla moralità, come si pensa, ma sulla legalità”), nel 1992 al Carignano, dove si avvale di eleganti effetti nell’abyme del palcoscenico all’interno del semicerchio dei palchi di un teatro. Nel 1998 Carlo Cecchi lo ripropone a Palermo nell’ambito di una trilogia shakespeariana. Lavia, già Angelo nella produzione del 1976, è il duca nella sua regia del 2007 (Teatro di Roma), incline a cogliere la “risonanza di triste, angosciosa e comica attualità” anche con sfumature da “Rocky Horror Picture Show”. Le ultime riproposte si devono a Marco Sciaccaluga (Stabile di Genova, 2010) e Massimo Giordano (Teatro Pubblico Pugliese, 2014). 532
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Nel ruolo del duca si sono cimentati, fra gli altri, R. Ricci, L. Vannucchi, M. Foschi, M. Girotti, E. Pagni; di Angelo: E. M. Salerno, R. Herlitzska, S. Fantoni, L. Lavia; di Isabella: V. Valeri, O. Piccolo, I. Occhini, V. Fortunato, F. Di Martino, G. Ranzi. Mario Scaccia è uno straordinario Lucio nella produzione del 1976. CATERINA R ICCIARDI
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MEASURE FOR MEASURE THE PERSONS OF THE PLAY
Vincentio, the DUKE of Vienna ANGELO, appointed his deputy ESCALUS, an old lord, appointed Angelo’s secondary CLAUDIO, a young gentleman JULIET, betrothed to Claudio ISABELLA, Claudio’s sister, novice to a sisterhood of nuns LUCIO, ‘a fantastic’ Two other such GENTLEMEN FROTH, a foolish gentleman MISTRESS OVERDONE, a bawd POMPEY, her clownish servant
A PROVOST ELBOW, a simple constable A JUSTICE ABHORSON, an executioner BARNARDINE, a dissolute condemned prisoner MARIANA, betrothed to Angelo A BOY, attendant on Mariana FRIAR PETER FRANCESCA, a nun VARRIUS, a lord, friend to the Duke Lords, officers, citizens, servants
SIGLE: F: l’in-folio (1623); F2: secondo in-folio (1632); F3: terzo in-folio (1663). Il testo-guida di questa edizione è F, che registra la prima pubblicazione del dramma; i principali testi di confronto sono F2 e più raramente F3 e F4, ristampe con lievi emendamenti di F. Tracce testuali fanno pensare che F riproduca la versione preparata per la messinscena dopo la morte di Shakespeare, con l’inclusione di adattamenti per mano di altri, la divisione in atti e scene, e censure dell’eloquio blasfemo in seguito alla legge del 1606 (Profanity Act), che proibiva di pronunciare il nome di Dio sul palcoscenico. Per John Jowett, curatore del testo nell’edizione Oxford, F rappresenta l’unico testo autorevole, anche se frutto di una revisione dell’originale manoscritto imperfetto. Segnaliamo qui varianti di diversa tipologia, per lo più quelle con significati alternativi, non le didascalie di regia, comunque più volte rivedute.
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MISURA PER MISURA PERSONAGGI
VINCENZO, duca di Vienna ANGELO, il vicario ESCALO, un vecchio nobile, vice di Angelo CLAUDIO, un giovane gentiluomo GIULIETTA, promessa sposa di Claudio ISABELLA, sorella di Claudio e novizia in un convento LUCIO, uno stravagante Altri due GENTILUOMINI simili a lui SCHIUMA, sciocco gentiluomo MADAMA SFONDATA, una mezzana POMPEO, clown e suo servo
Un BARGELLO GOMITO, un gendarme semplicione Un GIUDICE ABHORSON, il boia BERNARDINO, un carcerato dissoluto e condannato MARIANA, promessa sposa di Angelo Un RAGAZZO, un servo di Mariana FRATE PIETRO FRANCESCA, una suora VARRIO, un nobile, amico del duca Nobili, gendarmi, cittadini, servitori
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter the Duke, Escalus, and other lords
DUKE Escalus. ESCALUS My lord. DUKE
Of government the properties to unfold Would seem in me t’affect speech and discourse, Since I am put to know that your own science Exceeds in that the lists of all advice My strength can give you. Then no more remains But this: to your sufficiency, as your worth is able, a And let them work. The nature of our people, Our city’s institutions and the terms For common justice, you’re as pregnant in As art and practice hath enrichèd any That we remember.
5
10
He gives Escalus papers There is our commission, From which we would not have you warp. (To a lord) Call hither, I say bid come before us, Angelo. Exit lord (To Escalus) What figure of us think you he will bear? — For you must know we have with special soul Elected him our absence to supply, Lent him our terror, dressed him with our love, And given his deputation all the organs Of our own power. What think you of it?
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ESCALUS
If any in Vienna be of worth To undergo such ample grace and honour, It is Lord Angelo. Enter Angelo DUKE
Look where he comes.
8. But this = “che questo”, emend. Oxford; in F but that = “che quello”. 538
Shakespeare IV.indb 538
30/11/2018 09:32:12
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 1
Entrano il duca, Escalo e altri nobili 1
I, 1 DUCA
Escalo. ESCALO
Mio signore. DUCA
Mi sembrerebbe di ostentare parole e discorsi se spiegassi le proprietà del governo, sapendo come la vostra dottrina in materia superi ogni consiglio frutto della mia autorevolezza 2. Non resta altro che questo3 a sostenervi: le capacità le avete, quindi applicatele. Conoscete4 la natura del nostro popolo, le istituzioni civiche e le norme della giustizia, meglio di qualsiasi altro esperto di pratica e teoria che noi ricordiamo. Porge a Escalo dei documenti Ecco il mandato, dal quale non vorremmo che deviaste. (A un nobile) Chiamate, che Angelo sia convocato. Esce uno del seguito (A Escalo) Come, secondo voi, saprà rappresentarci? In quale figura?5 Sappiate che con animo6 speciale lo abbiamo scelto a supplire la nostra assenza, prestandogli il terrore, investendolo del nostro amore, conferendo alla delega tutti gli organi del potere. Cosa ne pensate? ESCALO
Se c’è qualcuno a Vienna degno di sostenere tanta grazia e onore, questi è lord Angelo. Entra Angelo DUCA
Eccolo.
539
Shakespeare IV.indb 539
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 1
ANGELO
Always obedient to your grace’s will, I come to know your pleasure. DUKE Angelo, There is a kind of character in thy life That to th’observer doth thy history Fully unfold. Thyself and thy belongings Are not thine own so proper as to waste Thyself upon thy virtues, they on thee. Heaven doth with us as we with torches do, Not light them for themselves; for if our virtues Did not go forth of us, ’twere all alike As if we had them not. Spirits are not finely touched But to fine issues; nor nature never lends The smallest scruple of her excellence But, like a thrifty goddess, she determines Herself the glory of a creditor, Both thanks and use. But I do bend my speech To one that can my part in him advertise. Hold therefore, Angelo. In our remove be thou at full ourself. Mortality and mercy in Vienna Live in thy tongue and heart. Old Escalus, Though first in question, is thy secondary. Take thy commission. ANGELO Now good my lord, Let there be some more test made of my metal b Before so noble and so great a figure Be stamped upon it. DUKE No more evasion. We have with leavened and preparèd choice Proceeded to you; therefore take your honours.
25
30
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[Angelo takes his commission]
48. Metal: emend. tardo; mettle in F, una variante ortografica. 540
Shakespeare IV.indb 540
30/11/2018 09:32:13
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 1
ANGELO
Sempre obbediente alla volontà di vostra grazia, vengo per conoscere il vostro piacere. DUCA
Angelo, c’è una certa impronta7 nella tua vita che a chi osserva svela in pieno8 la tua storia. Tu e le tue doti non ti appartengono solo perché tu ti esprima nelle tue virtù ed esse in te. Il cielo fa con noi come noi con le torce, non le accendiamo per se stesse. Se di quelle virtù non facciamo nostra irradiazione, è come non le avessimo9. Ci sono animi di raffinato conio per esiti altrettanto fini; né la natura presta l’oncia più minuta della sua eccellenza se, da dea parsimoniosa, non concedesse lei stessa la gloria a un creditore, con ringraziamenti e interessi10. Ma io sto parlando a uno che può mostrare bene quella mia parte: prendi, Angelo11. In nostra assenza, sii noi in pieno. Morte e misericordia12 a Vienna vivano nelle tue parole e nel tuo cuore. Il vecchio Escalo, benché primo in considerazione, ti è secondo. Assumiti il mandato. ANGELO
Mio buon signore, saggiate ancora il mio metallo, prima di imprimervi una figura così nobile e grande13. DUCA
Non perdiamo altro tempo. Con scelta ponderata e meditata ci siamo orientati su di voi, prendete le credenziali. [Angelo prende le credenziali]
541
Shakespeare IV.indb 541
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 1
Our haste from hence is of so quick condition That it prefers itself, and leaves unquestioned Matters of needful value. We shall write to you As time and our concernings shall importune, How it goes with us; and do look to know What doth befall you here. So fare you well. To th’ hopeful execution do I leave you Of your commissions. ANGELO Yet give leave, my lord, That we may bring you something on the way. DUKE My haste may not admit it; Nor need you, on mine honour, have to do With any scruple. Your scope is as mine own, So to enforce or qualify the laws As to your soul seems good. Give me your hand. I’ll privily away. I love the people, But do not like to stage me to their eyes. Though it do well, I do not relish well Their loud applause and aves vehement; Nor do I think the man of safe discretion That does affect it. Once more, fare you well.
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70
ANGELO
The heavens give safety to your purposes! ESCALUS
Lead forth and bring you back in happiness! DUKE I thank you. Fare you well.
Exit
ESCALUS
I shall desire you, sir, to give me leave To have free speech with you; and it concerns me To look into the bottom of my place. A power I have, but of what strength and nature I am not yet instructed.
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ANGELO
’Tis so with me. Let us withdraw together, And we may soon our satisfaction have Touching that point. ESCALUS I’ll wait upon your honour. Exeunt 542
Shakespeare IV.indb 542
30/11/2018 09:32:13
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 1
La fretta che abbiamo di partire è tale che ascolta solo se stessa, e lascia inevase questioni non lievi. Vi scriveremo di noi, a tempo e condizioni debite, e chiederemo come vanno qui le cose. Quindi, addio. Vi lascio, confidando nell’esecuzione dei doveri. ANGELO
Mio signore, concedetemi almeno di accompagnarvi per un pezzo di strada. DUCA
La fretta non me lo consente, né, sul mio onore, occorre avere scrupoli. Avete potestà14 pari alla mia nell’applicare o calibrare la legge come l’animo vi suggerisce. Qua la mano. Parto in segreto: amo il mio popolo, ma non mi piace fare pubblica scena; per quanto piacevoli, non gradisco applausi fragorosi e grida di saluto, né considero persona di saggio giudizio chi ne è incline15. Di nuovo, addio. ANGELO
Il cielo assista i vostri propositi! ESCALO
Vi guidi e vi riporti a casa felice! DUCA
Grazie. Addio. Esce ESCALO
Vorrei, signore, che mi concedeste un libero scambio di parole. Mi preme considerare a fondo la mia posizione. Ho dei poteri, ma non ne conosco ancora l’autorevolezza e la natura. ANGELO
Anch’io. Appartiamoci, e potremo subito chiarirci su questo punto. ESCALO
Vi seguo, vostro onore. Escono
543
Shakespeare IV.indb 543
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
1.2
Enter Lucio, and two other Gentlemen
LUCIO If the Duke with the other dukes come not to
composition with the King of Hungary, why then, all the dukes fall upon the King. FIRST GENTLEMAN Heaven grant us its peace, but not the King of Hungary’s! SECOND GENTLEMAN Amen. LUCIO Thou concludest like the sanctimonious pirate, that went to sea with the Ten Commandments, but scraped one out of the table. SECOND GENTLEMAN ‘Thou shalt not steal’? LUCIO Ay, that he razed. FIRST GENTLEMAN Why, ’twas a commandment to command the captain and all the rest from their functions: they put forth to steal. There’s not a soldier of us all that in the thanksgiving before meat do relish the petition well that prays for peace. SECOND GENTLEMAN I never heard any soldier dislike it. LUCIO I believe thee, for I think thou never wast where grace was said. SECOND GENTLEMAN No? A dozen times at least. FIRST GENTLEMAN What, in metre? LUCIO In any proportion, or in any language. FIRST GENTLEMAN I think, or in any religion. LUCIO Ay, why not? Grace is grace despite of all controversy; as for example, thou thyself art a wicked villain despite of all grace. FIRST GENTLEMAN Well, there went but a pair of shears between us.
c
5
10
16
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4. Heaven … its: così in F. Si tratta di emend. di espressione blasfema: “la sua (his, di Dio) pace”. 544
Shakespeare IV.indb 544
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MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
Entrano Lucio e due gentiluomini16
I, 2 LUCIO
Se il duca e gli altri duchi non giungono a un accordo con il re d’Ungheria, allora tutti i duchi daranno addosso al re17. PRIMO GENTILUOMO
Il cielo ci dia la pace, ma non quella da fame del re d’Ungheria!18 SECONDO GENTILUOMO
Amen. LUCIO
Fai conclusioni del tipo di quelle del pirata santarello, che s’imbarcò con i Dieci Comandamenti, togliendone uno dalle tavole. SECONDO GENTILUOMO
“Non rubare”? LUCIO
Sì, proprio quello sfregò via. PRIMO GENTILUOMO
Beh, era un comandamento che comandava al capitano e a tutti gli altri di esimersi dalle loro funzioni. Fecero vela per rubare. Non c’è un soldato fra di noi che, al ringraziamento prima del rancio, gradisca l’invocazione per la pace. SECONDO GENTILUOMO
Non ho mai visto un soldato a cui non piacesse. LUCIO
Ti credo, perché penso che non sei mai stato là dove si ringrazia. SECONDO GENTILUOMO
No? Una dozzina di volte, almeno. PRIMO GENTILUOMO
E come l’hai fatto? In versi metrici? LUCIO
In ogni lingua o misura. PRIMO GENTILUOMO
O in qualsiasi religione, immagino. LUCIO
Giusto. E perché no? La grazia è grazia, a dispetto delle controversie19; per esempio, tu sei un bel mascalzone, a dispetto d’ogni grazia. PRIMO GENTILUOMO
Bene, siamo stati tagliati dalla stessa stoffa. 545
Shakespeare IV.indb 545
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
LUCIO I grant — as there may between the lists and the
velvet. Thou art the list.
30
FIRST GENTLEMAN And thou the velvet. Thou art good
velvet, thou’rt a three-piled piece, I warrant thee. I had as lief be a list of an English kersey as be piled as thou art pilled, for a French velvet. Do I speak feelingly now? LUCIO I think thou dost, and indeed with most painful feeling of thy speech. I will out of thine own confession learn to begin thy health, but whilst I live forget to drink after thee. FIRST GENTLEMAN I think I have done myself wrong, have I not? SECOND GENTLEMAN Yes, that thou hast, whether thou art tainted or free.
d
40
Enter Mistress Overdone LUCIO Behold, behold, where Madam Mitigation comes! I
have purchased as many diseases under her roof as come to — SECOND GENTLEMAN To what, I pray? LUCIO Judge. SECOND GENTLEMAN To three thousand dolours a year? e FIRST GENTLEMAN Ay, and more. LUCIO A French crown more. FIRST GENTLEMAN Thou art always figuring diseases in me, but thou art full of error — I am sound. LUCIO Nay not, as one would say, healthy, but so sound as things that are hollow — thy bones are hollow, impiety has made a feast of thee. FIRST GENTLEMAN (to Mistress Overdone) How now, which of your hips has the most profound sciatica?
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50
55
33-34. Piled … pilled: emend. tardo; in F pil’d … pil’d: ortografia ellittica. 48. Dolours: emend. tardo; in F dollours = “dollari”. 546
Shakespeare IV.indb 546
30/11/2018 09:32:13
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
LUCIO
Sono d’accordo: come l’orlo e il velluto. Tu sei l’orlo. PRIMO GENTILUOMO
E tu il velluto; sei un buon velluto, a tre strati, te lo assicuro. Preferirei essere un pezzo d’orlo di ruvido panno inglese20 piuttosto che perdere il pelo come te nel tuo spelacchiato velluto francese21. Fa senso quel che dico? LUCIO
Eccome! E con un tocco molto doloroso22. Questa confessione mi insegnerà a bere alla tua salute, ma, fi nché vivo, non berrò dopo di te. PRIMO GENTILUOMO
Credo che mi son messo nei pasticci. Vero? LUCIO
Sì. Sia che tu ti sia presa l’infezione o no. Entra Madama Sfondata23 LUCIO
Guarda, guarda, chi arriva: madama Mitigazione!24 Mi sono beccato tante di quelle malattie sotto il suo tetto per un ammontare di – SECONDO GENTILUOMO
Di quanto, prego? LUCIO
Indovina. SECONDO GENTILUOMO
Tremila dolori – per non dire dollari – l’anno25. PRIMO GENTILUOMO
E pure di più. LUCIO
E aggiungici una corona francese. PRIMO GENTILUOMO
Non fai che contare le mie malattie, ma sei in errore. Io sono sano. LUCIO
No, non sano, piuttosto, come si dice, suonato26, al pari di tutte le cose vuote. Le tue ossa sono vuote. Il vizio ha fatto festa su di te. PRIMO GENTILUOMO (a Madama Sfondata) Dimmi. A quale natica soffri di più di sciatica?27 547
Shakespeare IV.indb 547
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
MISTRESS OVERDONE Well,
well! There’s one yonder arrested and carried to prison was worth five thousand of you all. SECOND GENTLEMAN Who’s that, I pray thee? MISTRESS OVERDONE Marry sir, that’s Claudio, Signor Claudio. FIRST GENTLEMAN Claudio to prison? ’Tis not so. MISTRESS OVERDONE Nay, but I know ’tis so. I saw him arrested, saw him carried away; and, which is more, within these three days his head to be chopped off. LUCIO But after all this fooling, I would not have it so. Art thou sure of this? MISTRESS OVERDONE I am too sure of it, and it is for getting Madame Julietta with child. f LUCIO Believe me, this may be. He promised to meet me two hours since and he was ever precise in promisekeeping. SECOND GENTLEMAN Besides, you know, it draws something near to the speech we had to such a purpose. FIRST GENTLEMAN But most of all agreeing with the proclamation. LUCIO Away; let’s go learn the truth of it.
60
64
69
74
79
Exeunt Lucio and Gentlemen MISTRESS OVERDONE Thus, what with the war, what with
the sweat, what with the gallows, and what with poverty, I am custom-shrunk. Enter Pompey How now, what’s the news with you? g POMPEY You have not heard of the proclamation, have you? MISTRESS OVERDONE What proclamation, man?
85
71. Julietta: emend. tardo; in F Iulietta. 83. A questo punto F aggiunge un passo di circa sette righe. Si vedano le “Aggiunte al testo”. 548
Shakespeare IV.indb 548
30/11/2018 09:32:13
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
MADAMA SFONDATA
Ma bene, bene! Lì c’è uno, arrestato e portato in prigione, che ne valeva cinquemila di voi. SECONDO GENTILUOMO
E chi è? Ti prego. MADAMA SFONDATA
Diamine, è Claudio, il signor Claudio. PRIMO GENTILUOMO
Claudio in prigione? Non è possibile! MADAMA SFONDATA
No, ma è così. Ho visto che lo arrestavano e lo portavano via. Peggio ancora: fra tre giorni gli danno una bella mozzata alla testa. LUCIO
Non riesco a crederci, dopo tutte le scempiaggini che abbiamo detto. Sei sicura? MADAMA SFONDATA
Eccome! Ha messo incinta madamigella Giulietta. LUCIO
Può anche essere, credetemi. Aveva appuntamento con me due ore fa. Ed è stato sempre di parola. SECONDO GENTILUOMO
E poi, vedete, questo quasi combacia con i discorsi che facevamo. PRIMO GENTILUOMO
Ma soprattutto con il proclama28. LUCIO
Andiamo. Cerchiamo di sapere che c’è di vero. Escono Lucio e i gentiluomini MADAMA SFONDATA
E così, con la guerra, la peste, la forca e la miseria, resto a corto di clienti 29. Entra Pompeo Ehilà! Che novità ci sono?30 POMPEO
Non avete sentito il proclama? MADAMA SFONDATA
Quale proclama, amico? 549
Shakespeare IV.indb 549
30/11/2018 09:32:13
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
POMPEY All houses in the suburbs of Vienna must be
plucked down. MISTRESS OVERDONE And what shall become of those in
the city?
90
POMPEY They shall stand for seed. They had gone down
too, but that a wise burgher put in for them. MISTRESS OVERDONE But shall all our houses of resort in
the suburbs be pulled down? POMPEY To the ground, mistress.
95
MISTRESS OVERDONE Why, here’s a change indeed in the
commonwealth. What shall become of me? POMPEY Come, fear not you. Good counsellors lack no clients. Though you change your place, you need not change your trade. I’ll be your tapster still. Courage, there will be pity taken on you. You that have worn your eyes almost out in the service, you will be considered. [A noise within] MISTRESS OVERDONE What’s to do here, Thomas Tapster?
Let’s withdraw!
105
Enter the Provost, Claudio, Juliet, and officers; Lucio and the two Gentlemen POMPEY Here comes Signor Claudio, led by the Provost to
prison; and there’s Madame Juliet. h Exeunt Mistress Overdone and Pompey CLAUDIO (to the Provost)
Fellow, why dost thou show me thus to th’ world? Bear me to prison, where I am committed. PROVOST
I do it not in evil disposition, But from Lord Angelo by special charge.
110
107. Qui in F Scena Tertia, ripartizione emendata da N. Rowe (1709). 550
Shakespeare IV.indb 550
30/11/2018 09:32:13
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
POMPEO
Tutte le case nei sobborghi di Vienna devono essere demolite. MADAMA SFONDATA
E di quelle in città cosa succede? POMPEO
Restano a far semenza. Sarebbero state demolite pure loro se un saggio cittadino non si fosse mosso a sostenerle. MADAMA SFONDATA
Ma proprio tutte le nostre case di piacere nei sobborghi demolite? POMPEO
Rase al suolo, padrona. MADAMA SFONDATA
Beh, c’è un bel cambiamento nello stato. Che ne sarà di me? POMPEO
Via, non temete. A buoni azzeccagarbugli non mancano i clienti. Cambiare quartiere non significa cambiare mestiere. E io sarò sempre il vostro mescitore. Coraggio, avranno pietà di voi, di voi che vi siete quasi consumata gli occhi a furia di servire31. Avranno considerazione. [Rumore da dentro] MADAMA SFONDATA
Cosa facciamo ancora qui, signor mescitore? Andiamocene! Entrano il bargello, Claudio, Giulietta, gendarmi; Lucio e i due gentiluomini POMPEO
Ecco il signor Claudio che il bargello porta in prigione. Ed ecco madamigella Giulietta. Escono Madama Sfondata e Pompeo CLAUDIO (al bargello)
Amico, perché mostrarmi a tutti? Portami in prigione, dove sono destinato. BARGELLO
Non lo faccio per cattiveria. È un ordine di lord Angelo.
551
Shakespeare IV.indb 551
30/11/2018 09:32:14
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
CLAUDIO
Thus can the demigod Authority Make us pay down for our offence, by weight, The bonds of heaven. On whom it will, it will; i On whom it will not, so; yet still ’tis just.
115
LUCIO
Why, how now, Claudio? Whence comes this restraint? CLAUDIO
From too much liberty, my Lucio, liberty. As surfeit is the father of much fast, So every scope, by the immoderate use, Turns to restraint. Our natures do pursue, Like rats that raven down their proper bane, A thirsty evil; and when we drink, we die. LUCIO If I could speak so wisely under an arrest, I would send for certain of my creditors. And yet, to say the truth, I had as lief have the foppery of freedom as the morality of imprisonment. What’s thy offence, Claudio? j
120
CLAUDIO
What but to speak of would offend again.
127
LUCIO
What, is’t murder? CLAUDIO
No.
Lechery? CLAUDIO Call it so. PROVOST Away, sir; you must go. LUCIO
CLAUDIO
One word, good friend. [The Provost shows assent] Lucio, a word with you.
130
114. Bonds: emend. tardo; in F words = “parole”. 126. Morality: emend. tardo; in F mortality = “mortalità”. 552
Shakespeare IV.indb 552
30/11/2018 09:32:14
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
CLAUDIO
Può dunque l’Autorità, questa semidea, farci pagare a peso i diritti del cielo per le nostre colpe. Si vuole a chi si vuole, e non si vuole a chi non si vuole, ed è sempre giusto32. LUCIO
Claudio? Da dove viene questa restrizione?33 CLAUDIO
Da troppa libertà, caro Lucio, libertà. Come l’eccesso34 è padre di digiuni, così ogni licenza perseguita senza freni si muta in restrizione. La nostra natura, simile a topi che ingollano il proprio veleno, è assetata di male e, quando beviamo, moriamo35. LUCIO
Se sotto arresto potessi parlare così bene, manderei a chiamare certi miei creditori. Ma, a dire il vero, preferisco le follie della libertà alla morale della prigione. Qual è la tua colpa, Claudio? CLAUDIO
Una che a parlarne sarebbe un’altra colpa. LUCIO
Un assassinio? CLAUDIO
No. LUCIO
Fornicazione? CLAUDIO
Chiamala così. BARGELLO
Avanti, signore, dovete andare. CLAUDIO
Una parola, buon amico. [Il bargello acconsente] Lucio, ancora una parola.
553
Shakespeare IV.indb 553
30/11/2018 09:32:14
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 2
LUCIO A hundred, if they’ll do you any good.
[Claudio and Lucio speak apart] Is lechery so looked after? CLAUDIO
Thus stands it with me. Upon a true contract, I got possession of Julietta’s bed. You know the lady; she is fast my wife, Save that we do the denunciation lack Of outward order. This we came not to Only for propagation of a dower k Remaining in the coffer of her friends, From whom we thought it meet to hide our love Till time had made them for us. But it chances The stealth of our most mutual entertainment With character too gross is writ on Juliet.
135
140
LUCIO
With child, perhaps? Unhapp’ly even so. And the new deputy now for the Duke — Whether it be the fault and glimpse of newness, Or whether that the body public be A horse whereon the governor doth ride, Who, newly in the seat, that it may know He can command, lets it straight feel the spur — Whether the tyranny be in his place, Or in his eminence that fills it up — I stagger in. But this new governor Awakes me all the enrollèd penalties Which have, like unsecured armour, hung by th’ wall So long that fourteen zodiacs have gone round, l And none of them been worn; and, for a name, Now puts the drowsy and neglected act Freshly on me. ’Tis surely for a name.
CLAUDIO
145
150
156
138. Propagation: emend. tardo; in F propogation: variante ortografica. 156. Fourteen: emend. tardo per coerenza con I, 2, 21; in F nineteen = “diciannove”. 554
Shakespeare IV.indb 554
30/11/2018 09:32:14
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 2
LUCIO
Anche cento, se ti aiutano. [Claudio e Lucio parlano appartati] La fornicazione è così perseguita? CLAUDIO
Così è nel mio caso. Un contratto legale mi ha dato possesso del letto di Giulietta36. Conosci la signora. Di fatto è mia moglie, solo che manca la pubblicazione ufficiale. A questo non siamo giunti, per via dell’erogazione37 della dote, ancora nei forzieri dei suoi tutori, ai quali abbiamo tenuto nascosto il nostro amore in attesa che ci fossero favorevoli. Ma succede che il segreto del nostro reciproco piacere è scritto a grosse lettere su Giulietta. LUCIO
Un bambino? CLAUDIO
Purtroppo sì. E il vicario del duca – se sia cascato in un abbaglio perché nuovo in carica, o se lo stato sia un cavallo con in groppa il governante che, nuovo in sella, dà di sperone perché si sappia chi comanda; o se la tirannia sia insita nel suo ruolo, o stia nel senso di superiorità di chi lo ricopre, non ci capisco nulla – il punto è che il neo-governatore va a tirar fuori tutte le sanzioni codificate, appese al muro come armature arrugginite perché mai usate da diciannove anni38, e per farsi un nome ora applica fresco fresco a me un decreto quiescente. Certamente, per farsi un nome.
555
Shakespeare IV.indb 555
30/11/2018 09:32:14
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 3
LUCIO I warrant it is; and thy head stands so tickle on
thy shoulders that a milkmaid, if she be in love, may sigh it off. Send after the Duke, and appeal to him. CLAUDIO
I have done so, but he’s not to be found. I prithee, Lucio, do me this kind service. This day my sister should the cloister enter, And there receive her approbation. Acquaint her with the danger of my state. Implore her in my voice that she make friends To the strict deputy. Bid herself assay him. I have great hope in that, for in her youth There is a prone and speechless dialect Such as move men; beside, she hath prosperous art When she will play with reason and discourse, And well she can persuade. LUCIO I pray she may — as well for the encouragement of thy like, which else would stand under grievous imposition, as for the enjoying of thy life, who I would be sorry should be thus foolishly lost at a game of tick-tack. I’ll to her. CLAUDIO I thank you, good friend Lucio. LUCIO Within two hours. CLAUDIO Come, officer; away.
165
170
m
180
Exeunt [Lucio and gentlemen at one door; Claudio, Juliet, Provost, and officers at another] Enter the Duke and a Friar n
1.3 DUKE
No, holy father, throw away that thought. Believe not that the dribbling dart of love
176. Thy: emend. Oxford; in F the = “la”. 0.1. Enter … and Friar: emend. Oxford; in F Enter … Friar Thomas: inconsistente con il successivo Friar Peter, difficile pensare all’impiego di due frati distinti. 556
Shakespeare IV.indb 556
30/11/2018 09:32:14
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 3
LUCIO
Di sicuro, e la testa ti sta così in bilico sulle spalle che può cadere al sospiro di una lattaia innamorata. Manda a chiamare il duca e appellati a lui. CLAUDIO
È quello che ho fatto, ma non lo si trova. Ti prego, Lucio, fammi questo favore: oggi mia sorella deve entrare in convento per il noviziato. Informala del pericolo in cui mi trovo, implorala, a mio nome, di farsi amico il severo vicario, di saggiarne l’animo. Ripongo molta speranza in questo, perché in lei, pur così giovane, c’è un linguaggio muto e suadente che muove gli uomini. E poi, ha un’arte feconda nell’argomentare i suoi ragionamenti. Sa bene come persuadere. LUCIO
Mi auguro che ci riesca, sia per risollevare l’animo dei tuoi simili, che altrimenti starebbero soggetti a gravi penalizzazioni, sia perché tu possa goderti la vita. Mi dispiacerebbe che tu la perdessi così scioccamente per una partita a tric-trac39. Andrò da lei. CLAUDIO
Grazie, caro amico Lucio. LUCIO
Fra un paio d’ore. CLAUDIO
Gendarme, andiamo. Escono [Lucio e i gentiluomini da una parte; Claudio, Giulietta, il bargello e i gendarmi dall’altra] Entrano il duca e un frate40
I, 3 DUCA
No, reverendo padre, abbandona quel pensiero. Non credere che il debole dardo dell’amore possa penetrare un petto ben munito. La
557
Shakespeare IV.indb 557
30/11/2018 09:32:14
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 3
Can pierce a complete bosom. Why I desire thee To give me secret harbour hath a purpose More grave and wrinkled than the aims and ends Of burning youth. FRIAR May your grace speak of it?
5
DUKE
My holy sir, none better knows than you How I have ever loved the life removed, And held in idle price to haunt assemblies Where youth and cost a witless bravery keeps. I have delivered to Lord Angelo — A man of stricture and firm abstinence — My absolute power and place here in Vienna; And he supposes me travelled to Poland — For so I have strewed it in the common ear, And so it is received. Now, pious sir, You will demand of me why I do this. FRIAR Gladly, my lord.
10
15
DUKE
We have strict statutes and most biting laws, The needful bits and curbs to headstrong weeds, o Which for this fourteen years we have let slip; Even like an o’ergrown lion in a cave That goes not out to prey. Now, as fond fathers, Having bound up the threat’ning twigs of birch Only to stick it in their children’s sight For terror, not to use, in time the rod More mocked becomes than feared: so our decrees, p Dead to infliction, to themselves are dead; And Liberty plucks Justice by the nose, The baby beats the nurse, and quite athwart Goes all decorum.
20
25
30
20. Weeds: così convincentemente in F; per uniformità con il nodo semantico-figurativo del passo, in emend. successivi steeds = “destrieri” o jades = “ronzini”. 27. More mocked becomes: emend. Oxford; more mock’d in F. L’aggiunta (o reintegrazione) di becomes è metricamente più adeguata. 558
Shakespeare IV.indb 558
30/11/2018 09:32:14
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 3
ragione per cui desidero che tu mi dia segreto asilo ha uno scopo più grave e ponderato41 delle mire e dei fini della focosa gioventù. FRATE
Vostra grazia può parlarne? DUCA
Sant’uomo, nessuno sa meglio di voi quanto io abbia sempre amato vita ritirata, tenendo in poco conto luoghi in cui lusso e gioventù si danno a scriteriate stravaganze. Ho lasciato a lord Angelo, uomo rigoroso e di severa astinenza, tutto il mio potere e il mio ruolo, qui a Vienna. Mi crede in viaggio per la Polonia, perché così ho sventolato in giro. E così si crede. Ora, pio signore, mi chiederete perché lo faccio. FRATE
Infatti, mio signore. DUCA
Abbiamo statuti severi e leggi mordenti, morsi e briglie per malerba ostinata, che per quattordici anni abbiamo lasciato prosperare, come un vecchio leone nella sua tana, troppo pigro per andare a caccia. E come padri indulgenti, che intrecciano la minacciosa verga di betulla e la mostrano ai figli solo per incutere loro terrore e non per usarla, sicché col tempo la frusta più che temuta è schernita, così i nostri decreti, se non applicati, restano lettera morta, e la Licenza mena per il naso la Giustizia: il bambino picchia la nutrice e ogni decoro se ne va per traverso.
559
Shakespeare IV.indb 559
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 4
It rested in your grace To unloose this tied-up Justice when you pleased, And it in you more dreadful would have seemed Than in Lord Angelo. DUKE I do fear, too dreadful. Sith ’twas my fault to give the people scope, ’Twould be my tyranny to strike and gall them For what I bid them do — for we bid this be done When evil deeds have their permissive pass, And not the punishment. Therefore indeed, my father, I have on Angelo imposed the office, Who may in th’ambush of my name strike home, And yet my nature never in the fight T’allow in slander. And to behold his sway, q I will as ’twere a brother of your order Visit both prince and people. Therefore, I prithee, Supply me with the habit, and instruct me How I may formally in person bear Like a true friar. More reasons for this action At our more leisure shall I render you. Only this one: Lord Angelo is precise, Stands at a guard with envy, scarce confesses That his blood flows, or that his appetite Is more to bread than stone. Hence shall we see If power change purpose, what our seemers be. Exeunt FRIAR
1.4
35
40
45
50
Enter Isabella, and Francesca, a nun
ISABELLA
And have you nuns no farther privileges? FRANCESCA Are not these large enough? ISABELLA
Yes, truly. I speak not as desiring more, But rather wishing a more strict restraint Upon the sisterhood, the votarists of Saint Clare.
5
43. T’allow in: emend. Oxford; in F: To do in = “agire”. 560
Shakespeare IV.indb 560
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MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 4
FRATE
Spettava a vostra grazia sciogliere questa Giustizia imbrigliata quando voleva, e nelle vostre mani sarebbe apparsa più terribile che in quelle di lord Angelo. DUCA
Temo troppo terribile. Perché è stata colpa mia aver dato corda al popolo, sarebbe tirannia menar di frusta e ferire per ciò che io stesso ho lasciato correre: perché si lascia correre quando si permettono le cattive azioni senza punirle. Per questo, caro padre, ho conferito la delega a Angelo, il quale, coperto dal mio titolo, può colpire il segno senza che la mia persona sia esposta a diffamazione42. E per osservare i suoi modi di governo, travestito da frate del vostro ordine, mi muoverò fra principe43 e popolo. Perciò, vi prego, datemi un abito e istruitemi su come devo comportarmi per sembrare un vero frate. Col tempo vi spiegherò meglio le ragioni di questa decisione. Intanto, vi dico: lord Angelo è rigoroso44, sta in guardia contro la Malizia45, mostra appena che il sangue gli scorre dentro, o che il suo appetito corre dietro al pane più che alle pietre46. Quindi, vedremo se il potere cambia il proposito, o ciò che c’è sotto le apparenze. Escono I, 4
Entrano Isabella e Francesca, una suora47
ISABELLA
E voi, suore, non avete altri privilegi? FRANCESCA
E questi non sono abbastanza? ISABELLA
Oh, sì, non lo dico perché ne desidero altri, ma perché vorrei restrizioni più severe48 per le suore votate a Santa Chiara.
561
Shakespeare IV.indb 561
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 4
LUCIO (within)
Ho, peace be in this place! ISABELLA [to Francesca]
Who’s that which calls?
FRANCESCA
It is a man’s voice. Gentle Isabella. Turn you the key, and know his business of him. You may, I may not; you are yet unsworn. When you have vowed, you must not speak with men But in the presence of the prioress. Then if you speak, you must not show your face; Or if you show your face, you must not speak.
11
Lucio calls within He calls again. I pray you answer him. [She stands aside] ISABELLA
Peace and prosperity! Who is’t that calls?
15
She opens the door. Enter Lucio LUCIO
Hail, virgin, if you be — as, those cheek-roses Proclaim you are no less. Can you so stead me As bring me to the sight of Isabella, A novice of this place, and the fair sister To her unhappy brother Claudio?
20
ISABELLA
Why her unhappy brother? Let me ask, The rather for I now must make you know I am that Isabella, and his sister. LUCIO
Gentle and fair, your brother kindly greets you. Not to be weary with you, he’s in prison. ISABELLA Woe me! For what?
25
562
Shakespeare IV.indb 562
30/11/2018 09:32:14
MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 4
LUCIO (da dentro)
Ehilà! Pace a questo luogo. ISABELLA [a Francesca]
Chi chiama? FRANCESCA
È la voce di un uomo. Gentile Isabella, girate voi la chiave e chiedete cosa vuole. Voi potete farlo, io no; non avete ancora preso i voti. Quando li prenderete, non potrete parlare con uomini, se non in presenza della priora; allora, se lo fate, non dovrete mostrare il volto, o se lo mostrate, non dovrete parlare. Lucio chiama da dentro Chiama di nuovo. Vi prego, rispondete. [Si apparta] ISABELLA
Pace e bene! Chi è che chiama? Apre la porta Entra Lucio LUCIO
Salute, vergine, se lo siete, come, di certo, proclamano quelle guance di rosa. Volete usarmi la cortesia di condurmi alla presenza di Isabella, una novizia qui, nonché leggiadra sorella del suo infelice fratello Claudio? ISABELLA
Perché infelice fratello. Ve lo chiedo perché, dovete sapere, sono io quella Isabella, sua sorella. LUCIO
Gentile e leggiadra, vostro fratello vi manda cari saluti. Beh, insomma, non voglio tediarvi. Ecco: è in prigione. ISABELLA
Che sventura! E per quale ragione?
563
Shakespeare IV.indb 563
30/11/2018 09:32:15
MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 4
LUCIO
For that which, if myself might be his judge, He should receive his punishment in thanks. He hath got his friend with child. ISABELLA Sir, make me not your story. LUCIO
’Tis true. I would not — though ’tis my familiar sin With maids to seem the lapwing, and to jest Tongue far from heart — play with all virgins so. I hold you as a thing enskied and sainted By your renouncement, an immortal spirit, And to be talked with in sincerity As with a saint.
30
35
ISABELLA
You do blaspheme the good in mocking me. LUCIO
Do not believe it. Fewness and truth, ’tis thus: Your brother and his lover have embraced. As those that feed grow full, as blossoming time That from the seedness the bare fallow brings To teeming foison, even so her plenteous womb Expresseth his full tilth and husbandry.
40
ISABELLA
Someone with child by him? My cousin Juliet? LUCIO Is she your cousin?
45
ISABELLA
Adoptedly, as schoolmaids change their names By vain though apt affection. LUCIO She it is. ISABELLA
O, let him marry her! This is the point. The Duke is very strangely gone from hence; Bore many gentlemen — myself being one — In hand and hope of action; but we do learn, By those that know the very nerves of state,
LUCIO
50
564
Shakespeare IV.indb 564
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MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 4
LUCIO
Per una che, se fossi io il suo giudice, si meriterebbe una punizione di ringraziamenti: ha messo incinta la sua amica. ISABELLA
Signore, non fatevi gioco di me. LUCIO
È vero. È il mio solito vizio menare per il naso49 le ragazze, e con la lingua lontana dal cuore. Ma non vorrei giocare così con tutte le vergini. Per me voi siete creatura celestiale50 e santificata dalla rinuncia, uno spirito immortale, una alla quale parlare con sincerità, come a una santa. ISABELLA
Voi bestemmiate il bene, burlandovi di me. LUCIO
No. Non pensatela così. Ecco la verità in poche parole: vostro fratello e la sua innamorata si sono abbracciati, e come chi mangia s’ingrossa al pari della stagione fiorente che con la semenza porta il nudo solco a un ricco raccolto, così il grembo prospero di lei dice che lui l’ha arata e seminata51. ISABELLA
Qualcuna messa incinta da lui? Mia cugina52 Giulietta? LUCIO
È vostra cugina? ISABELLA
D’adozione, come fra scolare ci si scambia il nome per puerile ma sincero affetto. LUCIO
È lei. ISABELLA
Oh, che si sposino! LUCIO
Questo è il punto. Il duca è partito misteriosamente, deludendo molti gentiluomini – me incluso – che speravano in operazioni di guerra53; ma ora apprendiamo, da chi conosce i gangli dello stato,
565
Shakespeare IV.indb 565
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 1 SCENE 4
His giving out were of an infinite distance r From his true-meant design. Upon his place, And with full line of his authority, Governs Lord Angelo — a man whose blood Is very snow-broth; one who never feels The wanton stings and motions of the sense, But doth rebate and blunt his natural edge With profits of the mind, study, and fast. He, to give fear to use and liberty, Which have for long run by the hideous law As mice by lions, hath picked out an act Under whose heavy sense your brother’s life Falls into forfeit. He arrests him on it, And follows close the rigour of the statute To make him an example. All hope is gone, Unless you have the grace by your fair prayer To soften Angelo. And that’s my pith Of business ’twixt you and your poor brother.
55
60
65
70
ISABELLA
Doth he so seek his life? Has censured him already, And, as I hear, the Provost hath a warrant For’s execution. ISABELLA Alas, what poor Ability’s in me to do him good? LUCIO Assay the power you have. ISABELLA My power? Alas, I doubt. LUCIO Our doubts are traitors, And makes us lose the good we oft might win, By fearing to attempt. Go to Lord Angelo; And let him learn to know, when maidens sue, Men give like gods, but when they weep and kneel, All their petitions are as freely theirs As they themselves would owe them. LUCIO
75
80
53. Giving out: emend. tardo; giving-out in F; in emend. successivi givings out. 566
Shakespeare IV.indb 566
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MISURA PER MISURA, ATTO I SCENA 4
che le sue dichiarazioni erano ben lontane dai suoi veri intenti. Al suo posto, e con piena autorità, governa lord Angelo, uno il cui sangue è sciacquatura di neve, uno che non sente i moti e i voluttuosi pungoli dei sensi, ma ne smorza e smussa lo stimolo naturale con profitti per la mente, lo studio e il digiuno. E per intimorire i costumi licenziosi, che sotto l’odiosa legge hanno scorrazzato a lungo come topolini attorno al leone54, ha riesumato un decreto, il cui senso condanna vostro fratello a pagare con la vita; in base a quello lo fa arrestare e segue alla lettera il rigore dello statuto per far di lui un esempio. Non c’è speranza, a meno che a voi non riesca, con la grazia e le preghiere, di intenerire Angelo. Ed ecco il dunque55 che mi porta qui per conto di vostro fratello. ISABELLA
Vuole davvero la sua vita? LUCIO
Lo ha già condannato e, a quel che sento, il bargello ha un mandato di esecuzione. ISABELLA
Ahimè, ho ben poche capacità per aiutarlo. LUCIO
Mettete a prova il potere che avete. ISABELLA
Il mio potere? Ne dubito. LUCIO
I dubbi sono traditori e la paura di tentare può farci perdere il bene che ne può venire. Andate da lord Angelo e che apprenda che quando le fanciulle perorano, gli uomini concedono come dei; ma quando piangono in ginocchio, ciò che chiedono diviene loro, come se lo avessero sempre posseduto.
567
Shakespeare IV.indb 567
30/11/2018 09:32:15
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
I’ll see what I can do.
ISABELLA LUCIO
But speedily. I will about it straight, No longer staying but to give the Mother Notice of my affair. I humbly thank you. Commend me to my brother. Soon at night I’ll send him certain word of my success.
ISABELLA
85
LUCIO
I take my leave of you. ISABELLA
Good sir, adieu. Exeunt [Isabella and Francesca at one door, Lucio at another door]
2.1
Enter Angelo, Escalus, and servants; a Justice
ANGELO
We must not make a scarecrow of the law, Setting it up to fear the birds of prey, And let it keep one shape till custom make it Their perch, and not their terror. ESCALUS Ay, but yet Let us be keen, and rather cut a little Than fall and bruise to death. Alas, this gentleman Whom I would save had a most noble father. Let but your honour know — Whom I believe to be most strait in virtue — That in the working of your own affections, Had time cohered with place, or place with wishing, Or that the resolute acting of your blood s Could have attained th’effect of your own purpose — Whether you had not sometime in your life Erred in this point which now you censure him, And pulled the law upon you.
5
10
15
12. Your: emend. tardo; in F our = “nostro”. 568
Shakespeare IV.indb 568
30/11/2018 09:32:15
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ISABELLA
Vedrò cosa posso fare. LUCIO
Ma in fretta. ISABELLA
Lo faccio subito, giusto il tempo di informare la madre superiora della cosa. Umilmente vi ringrazio. Salutatemi mio fratello. Presto, stasera, saprà l’esito. LUCIO
Mi congedo da voi. ISABELLA
Addio, buon signore. Escono [Isabella e Francesca da una porta; Lucio da un’altra] II, 1
Entrano Angelo, Escalo e servi; un giudice56
ANGELO
Non dobbiamo fare della legge uno spaventapasseri, messo lì per intimorire gli uccelli da preda, immobile e sempre uguale, sicché essi si abituano e ne fanno posatoio e non figura di terrore. ESCALO
Sì. È bene essere lame affilate ma non troppo taglienti da infierire e colpire a morte. Ora, questo gentiluomo che vorrei salvare è figlio di padre nobilissimo. Vostro onore – che ritengo uomo di indiscutibile virtù – consideri solo se, nel moto dei vostri 57 desideri, il tempo avesse congiurato con il luogo e il luogo con il desiderio, o se l’impetuosità della passione avesse trovato sfogo – insomma se nella vita non vi fosse capitato di sbagliare su quanto ora in lui condannate, e a voi stesso non sia successo di tirarvi addosso il rigore della legge58.
569
Shakespeare IV.indb 569
30/11/2018 09:32:15
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ANGELO
’Tis one thing to be tempted, Escalus, Another thing to fall. I not deny The jury passing on the prisoner’s life May in the sworn twelve have a thief or two Guiltier than him they try. What knows the law t u That thieves do pass on thieves? What’s open made to justice, That justice seizes. ’Tis very pregnant: The jewel that we find, we stoop and take’t Because we see it, but what we do not see We tread upon and never think of it. You may not so extenuate his offence For I have had such faults; but rather tell me, When I that censure him do so offend, Let mine own judgement pattern out my death, And nothing come in partial. Sir, he must die.
20
25
30
ESCALUS
Be it as your wisdom will. ANGELO
Where is the Provost?
Enter Provost PROVOST
Here, if it like your honour. See that Claudio Be execute by nine tomorrow morning. v Bring him his confessor, let him be prepared, For that’s the utmost of his pilgrimage. Exit Provost
ANGELO
35
21-23. What knows … seizes?: emend. Oxford; riadatta i versi con maggiore consequenzialità di discorso e minori irregolarità metriche. In F What’s open made to justice, / That justice seizes. What knows the laws / That thieves do pass on thieves. 21. Law: emend. tardo; in F laws. 34. Execute: emend. Oxford; in F executed. 570
Shakespeare IV.indb 570
30/11/2018 09:32:15
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ANGELO
Una cosa è essere tentati, Escalo, un’altra è cadere. Non lo nego, la giuria che delibera sulla vita di un prigioniero può, fra dodici giurati, contare un ladro o due più colpevoli di colui che processano. Cosa ne sa la legge che i ladri giudicano i ladri? Ciò che le si palesa la giustizia colpisce. È chiaro: la gemma che troviamo ci pieghiamo a raccoglierla perché la vediamo; ma ciò che non vediamo lo calpestiamo senza pensarci su. Non si può sminuire la sua colpa solo perché potrei averla commessa anch’io. Piuttosto, se io che lo condanno me ne fossi macchiato, il mio giudizio si conformi alla mia morte, e senza parzialità: signore, deve morire. ESCALO
Sia come vuole la vostra saggezza. ANGELO
Dov’è il bargello? Entra il bargello BARGELLO
Sono qui, vostro onore. ANGELO
Che Claudio sia giustiziato domani mattina alle nove. Che vada da lui il suo confessore, che venga preparato, perché è alla fine del suo pellegrinaggio. Esce il bargello
571
Shakespeare IV.indb 571
30/11/2018 09:32:15
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ESCALUS
Well, heaven forgive him, and forgive us all! Some rise by sin, and some by virtue fall. w Some run from brakes of vice, and answer none; x And some condemnèd for a fault alone.
40
Enter Elbow, Froth, Pompey, and officers ELBOW Come, bring them away. If these be good people
in a commonweal, that do nothing but use their abuses in common houses, I know no law. Bring them away. ANGELO
How now, sir? What’s your name? And what’s the matter? ELBOW If it please your honour, I am the poor Duke’s constable, and my name is Elbow. I do lean upon justice, sir; and do bring in here before your good honour two notorious benefactors. ANGELO
Benefactors? Well! What benefactors are they? Are they not malefactors? ELBOW If it please your honour, I know not well what they are; but precise villains they are, that I am sure of, and void of all profanation in the world that good Christians ought to have. ESCALUS (to Angelo) This comes off well; here’s a wise officer! ANGELO Go to, what quality are they of? Elbow is your name? Why dost thou not speak, Elbow? POMPEY He cannot, sir; he’s out at elbow. ANGELO What are you, sir? ELBOW He, sir? A tapster, sir, parcel bawd; one that serves a bad woman whose house, sir, was, as they say, plucked down in the suburbs; and now she
50
55
59
38. Some … fall: in F in corsivo a indicare una sententia. 39. Vice: emend. tardo; in F ice = “ghiaccio”; in altro emend. tardo justice = “giustizia”. L’ambiguità è favorita dall’omofonia. 572
Shakespeare IV.indb 572
30/11/2018 09:32:15
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ESCALO
Che il cielo lo perdoni, e ci perdoni tutti. C’è chi col peccato sale, chi con la virtù cade59. Chi sfugge ai freni del vizio60 e non ne risponde, e chi è condannato per una sola colpa. Entrano Gomito, Schiuma, Pompeo e gendarmi GOMITO
Avanti, portateli via. Se questa è brava gente di uno stato, questa che sa solo fare uso di case chiuse per i suoi abusi, vuol dire che io non conosco più la legge. Portateli via! ANGELO
Cosa c’è, compare, come vi chiamate? E di che si tratta? GOMITO
Con licenza di vostro onore, sono il conestabile del povero duca e mi chiamo Gomito. Mi appoggio61 alla giustizia, signore, e porto qui al cospetto di voi, vostro onore, due noti benefattori62. ANGELO
Benefattori? E che tipo di benefattori? Non sono malfattori? GOMITO
Con licenza di vostro onore, non so bene cosa sono. Ma sono rigorosi63 furfanti, di questo son sicuro, e privi di quella profanazione del mondo che un buon cristiano dovrebbe avere. ESCALO (a Angelo) Ben detto. Ecco un funzionario assennato. ANGELO
Suvvia! Che mestiere fanno? Hai detto che ti chiami Gomito? Perché non parli, Gomito? POMPEO
Non può, signore: è fuori di testa64. ANGELO
E voi chi siete? GOMITO
Lui, signore? È un mescitore, signore; e mezzano a mezzo servizio, uno che serve una donnaccia, la cui casa nei sobborghi, si dice, è
573
Shakespeare IV.indb 573
30/11/2018 09:32:15
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
professes a hot-house, which I think is a very ill house too. ESCALUS How know you that? ELBOW My wife, sir, whom I detest before heaven and your honour — ESCALUS How, thy wife? ELBOW Ay, sir, whom I thank heaven is an honest woman — ESCALUS Dost thou detest her therefor? ELBOW I say, sir, I will detest myself also, as well as she, that this house, if it be not a bawd’s house, it is pity of her life, for it is a naughty house. ESCALUS How dost thou know that, constable? ELBOW Marry, sir, by my wife, who, if she had been a woman cardinally given, might have been accused in fornication, adultery, and all uncleanliness there. ESCALUS By the woman’s means? ELBOW Ay, sir, by Mistress Overdone’s means. But as she spit in his face, so she defied him. POMPEY (to Escalus) Sir, if it please your honour, this is not so. ELBOW Prove it before these varlets here, thou honourable man, prove it. ESCALUS (to Angelo) Do you hear how he misplaces?
65
70
75
81
85
574
Shakespeare IV.indb 574
30/11/2018 09:32:15
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
stata demolita, e ora ne professa una di bagni turchi65 che, credo, è casa di malaffare. ESCALO
Come lo sai? GOMITO
Da mia moglie, signore, la quale io detesto66 davanti al cielo e a vostro onore… ESCALO
Come, tua moglie? GOMITO
Sì, signore, che, grazie al cielo, è una donna onesta… ESCALO
E per questo la detesti? GOMITO
Sì, signore. E anch’io, come lei, detesto che questa casa, se non è il bordello di una mezzana, è un peccato che lei viva, perché quella è casa di malaffare. ESCALO
E come lo sai, gendarme? GOMITO
Diamine, signore, da mia moglie che, se avesse avuto vocazioni cardinali67, poteva essere accusata di fornicazione, adulterio, e altre sudicerie in quella casa. ESCALO
Per colpa dei mezzi della donna? GOMITO
Sì, signore, proprio di uno dei suoi mezzi, il mezzano di Madama Sfondata; ma siccome gli ha sputato in faccia a quello là, lei lo ha sfidato. POMPEO (a Escalo) Signore, con licenza di vostro onore, non è mica così. GOMITO
E provalo davanti a questi mascalzoni qui, tu uomo d’onore, provalo! ESCALO (a Angelo) Sentite che strafalcioni!
575
Shakespeare IV.indb 575
30/11/2018 09:32:16
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
POMPEY Sir, she came in great with child, and longing —
saving your honour’s reverence — for stewed prunes. Sir, we had but two in the house, which at that very distant time stood, as it were, in a fruit dish — a dish of some threepence; your honours have seen such dishes; they are not china dishes, but very good dishes. ESCALUS Go to, go to, no matter for the dish, sir. POMPEY No, indeed, sir, not of a pin; you are therein in the right. But to the point. As I say, this Mistress Elbow, being, as I say, with child, and being great-bellied, and longing, as I said, for prunes; and having but two in the dish, as I said, Master Froth here, this very man, having eaten the rest, as I said, and, as I say, paying for them very honestly; for, as you know, Master Froth, I could not give you threepence again. FROTH No, indeed. POMPEY Very well. You being, then, if you be remembered, cracking the stones of the foresaid prunes — FROTH Ay, so I did indeed. POMPEY Why, very well. — I telling you then, if you be remembered, that such a one and such a one were past cure of the thing you wot of, unless they kept very good diet, as I told you — FROTH All this is true. POMPEY Why, very well then — ESCALUS Come, you are a tedious fool. To the purpose. What was done to Elbow’s wife that he hath cause to complain of? Come me to what was done to her. POMPEY Sir, your honour cannot come to that yet.
93
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Shakespeare IV.indb 576
30/11/2018 09:32:16
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
POMPEO
Signore, lei entrò con una gran pancia e, col rispetto di vostro onore, con la voglia di prugne cotte68. Signore, ne avevamo solo due in casa che proprio in quel distante69 momento, erano in una fruttiera da pochi soldi. I vostri onori avranno visto questi vassoi, non sono di porcellana ma non sono affatto male70. ESCALO
Ma andiamo, il vassoio non ha nessuna importanza. POMPEO
È vero, nessuna, è roba da niente, avete ragione. Ma vengo al punto. Come dicevo, questa signora Gomito, essendo, come dicevo, incinta, e con il pancione, e con la voglia, come dicevo, di prugne, e avendone solo due nel piatto, dicevo, perché questo mastro Schiuma, sì proprio lui, se l’era mangiate tutte, come dicevo, e, come dico, pagandole onestamente, perché, è vero mastro Schiuma? io non avevo i tre soldi di resto. SCHIUMA
No, infatti. POMPEO
Bene! Vi dico allora che voi, se ricordate bene, stavate schiacciando il nocciolo delle suddette prugne… SCHIUMA
Sì. È davvero così. POMPEO
Benissimo: vi dico allora, se ricordate, che il tale e il talaltro non si liberavano di quella cosa là senza una buona dieta, e ve l’ho detto… SCHIUMA
È tutto vero. POMPEO
Benissimo, allora… ESCALO
Ma sei un noioso buffone! Veniamo alla questione. Cosa avete fatto alla moglie di Gomito per cui, lui, ha motivo di dar querela? Vorrei arrivarci anch’io. POMPEO
Signore, vostro onore, non può. Non ancora.
577
Shakespeare IV.indb 577
30/11/2018 09:32:16
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ESCALUS No, sir, nor I mean it not. POMPEY Sir, but you shall come to it, by your honour’s
leave. And I beseech you, look into Master Froth here, sir, a man of fourscore pound a year, whose father died at Hallowmas — was’t not at Hallowmas, Master Froth? FROTH All Hallow Eve. y POMPEY Why, very well. I hope here be truths. He, sir, sitting, as I say, in a lower chair, sir — ’twas in the Bunch of Grapes, where indeed you have a delight to sit, have you not? FROTH I have so, because it is an open room, and good for winter. POMPEY Why, very well then. I hope here be truths.
121
125
ANGELO
This will last out a night in Russia, When nights are longest there. (To Escalus) I’ll take my leave, And leave you to the hearing of the cause, Hoping you’ll find good cause to whip them all.
130
ESCALUS
I think no less. Good morrow to your lordship. Exit Angelo Now, sir, come on, what was done to Elbow’s wife, once more? POMPEY Once, sir? There was nothing done to her once. ELBOW I beseech you, sir, ask him what this man did to my wife. POMPEY I beseech your honour, ask me. ESCALUS Well, sir, what did this gentleman to her?
135
140
121. All Hallow Eve: in F Allhallond-Eve. 578
Shakespeare IV.indb 578
30/11/2018 09:32:16
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ESCALO
Nossignore, e non ci penso proprio71. POMPEO
Signore ci arriverete, con vostra licenza. E, vi prego, guardate questo mastro Schiuma qui, signore, un uomo da ottanta sterline l’anno. Il padre è morto il giorno di Ognissanti. Non è stato a Ognissanti, mastro Schiuma? SCHIUMA
La vigilia. POMPEO
Benissimo: ecco la verità, spero. Lui, signore, se ne stava seduto, come dicevo, su una sedia speciale72, signore, era nella saletta Grappolo d’uva73, dove, in verità, vi piace stare, non è vero? SCHIUMA
Sì, perché è una stanza pubblica e buona per l’inverno74. POMPEO
Allora molto bene. Spero che questa sia la verità. ANGELO
Durerà quanto una notte in Russia, dove le notti sono lunghe. (A Escalo) Vado via, e lascio a voi la causa, sperando che troviate una buona causa75 per frustarli tutti. ESCALO
Lo spero anch’io. A domani, vostra signoria. Esce Angelo A noi, compare. Allora, di nuovo, cosa è stato fatto alla moglie di Gomito? POMPEO
Allora? Nulla le è stato fatto, allora76. GOMITO
Vi supplico, signore, chiedetegli cosa quest’uomo ha fatto a mia moglie. POMPEO
Supplico vostro onore, chiedetelo a me. ESCALO
Ebbene, signore, cosa le ha fatto questo gentiluomo?
579
Shakespeare IV.indb 579
30/11/2018 09:32:16
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
POMPEY I beseech you, sir, look in this gentleman’s face.
Good Master Froth, look upon his honour. ’Tis for a good purpose. Doth your honour mark his face? ESCALUS Ay, sir, very well. POMPEY Nay, I beseech you, mark it well. ESCALUS Well, I do so. POMPEY Doth your honour see any harm in his face? ESCALUS Why, no. POMPEY I’ll be supposed upon a book his face is the worst thing about him. Good, then — if his face be the worst thing about him, how could Master Froth do the constable’s wife any harm? I would know that of your honour. ESCALUS He’s in the right, constable; what say you to it? ELBOW First, an it like you, the house is a respected house; next, this is a respected fellow; and his mistress is a respected woman. POMPEY (to Escalus) By this hand, sir, his wife is a more respected person than any of us all. ELBOW Varlet, thou liest; thou liest, wicked varlet. The time is yet to come that she was ever respected with man, woman, or child. POMPEY Sir, she was respected with him before he married with her. ESCALUS Which is the wiser here, justice or iniquity? (To Elbow) Is this true? ELBOW (to Pompey) O thou caitiff, O thou varlet, O thou wicked Hannibal! I respected with her before I was married to her? (To Escalus) If ever I was respected
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Shakespeare IV.indb 580
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
POMPEO
Vi supplico, signore, guardate in faccia questo gentiluomo. Buon mastro Schiuma, guardate suo onore; è per una buona ragione. Vostro onore, vede la sua faccia? ESCALO
Sì compare, molto bene. POMPEO
Vi supplico, guardatela bene. ESCALO
È quello che sto facendo. POMPEO
Vedete qualcosa di male nella sua faccia? ESCALO
Ebbene, no. POMPEO
Suppongo su un certo libro77 che la faccia è la sua cosa peggiore. E allora: se la faccia è la cosa peggiore che ha, come poteva mastro Schiuma far qualcosa di male alla moglie del gendarme? Vorrei saperlo da voi, vostro onore. ESCALO
Ha ragione. Gendarme, cosa rispondete su questo? GOMITO
Primo, se vi compiacete, la casa è una casa rispettosa78; e poi, questo è un tipo rispettoso, e la sua padrona è una donna rispettosa. POMPEO (a Escalo) Che mi caschi la mano, signore, sua moglie è più rispettosa di tutti noi. GOMITO
Furfante. Menti, menti, brutto furfante. Ha da venire l’ora che lei sia rispettosa con uomo, donna o bambino. POMPEO
Signore, rispettosa, sì, con lui, prima che lui la sposasse. ESCALO
Chi è più saggio qui, Giustizia o Iniquità?79 (A Gomito) È vero? GOMITO (a Pompeo) Tu, fi libustiere, furfante, tu malnato Annibale!80 Io rispettoso con lei prima di sposarla? (A Escalo) Se io o lei siamo rispettosi di 581
Shakespeare IV.indb 581
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
with her, or she with me, let not your worship think me the poor Duke’s officer. (To Pompey) Prove this, thou wicked Hannibal, or I’ll have mine action of battery on thee. ESCALUS If he took you a box o’th’ ear you might have your action of slander too. ELBOW Marry, I thank your good worship for it. What is’t your worship’s pleasure I shall do with this wicked caitiff? ESCALUS Truly, officer, because he hath some offences in him that thou wouldst discover if thou couldst, let him continue in his courses till thou knowest what they are. ELBOW Marry, I thank your worship for it. — Thou seest, thou wicked varlet now, what’s come upon thee. Thou art to continue now, thou varlet, thou art to continue. ESCALUS (to Froth) Where were you born, friend? FROTH Here in Vienna, sir. ESCALUS Are you of fourscore pounds a year? FROTH Yes, an’t please you, sir. ESCALUS So. (To Pompey) What trade are you of, sir? POMPEY A tapster, a poor widow’s tapster. ESCALUS Your mistress’s name? POMPEY Mistress Overdone. ESCALUS Hath she had any more than one husband? POMPEY Nine, sir — Overdone by the last.
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Shakespeare IV.indb 582
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
questa cosa qui, vossignoria non mi consideri il conestabile del povero duca. (A Pompeo) Provalo, malnato Annibale, e ti farò causa per aggressione. ESCALO
E se vi desse una sberla, potreste anche fargli causa per calunnia. GOMITO
Diamine, ringrazio vostra gentile eccellenza. Cosa vossignoria vuole che io faccia con questo filibustiere malnato? ESCALO
In verità, gendarme, poiché è colpevole di cattive azioni che tu, se potessi, scopriresti volentieri, direi che continui il suo andazzo finché non le scopri. GOMITO
Diamine, ringrazio vossignoria. – Tu, tu, malnato filibustiere, vedi ora cosa ti è capitato. Devi continuare ora, filibustiere, devi continuare. ESCALO (a Schiuma) Dove siete nato, amico? SCHIUMA
Qui a Vienna, signore. ESCALO
È vero che guadagnate ottanta sterline l’anno? SCHIUMA
Sì, con vostra licenza, signore. ESCALO (a Pompeo)
E voi. A quale corporazione appartenete? POMPEO
Sono mescitore, il mescitore di una povera vedova. ESCALO
Il nome della tua padrona? POMPEO
Madama Sfondata. ESCALO
Ha avuto più di un marito? POMPEO
Nove, signore. – Sfondata dall’ultimo.
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Shakespeare IV.indb 583
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ESCALUS Nine? — Come hither to me, Master Froth. Master
Froth, I would not have you acquainted with tapsters. They will draw you, Master Froth, and you will hang them. Get you gone, and let me hear no more of you. FROTH I thank your worship. For mine own part, I never come into any room in a tap-house but I am drawn in. ESCALUS Well, no more of it, Master Froth. Farewell.
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Exit Froth Come you hither to me, Master Tapster. What’s your name, Master Tapster? POMPEY Pompey. ESCALUS What else? POMPEY Bum, sir. ESCALUS Troth, and your bum is the greatest thing about you; so that, in the beastliest sense, you are Pompey the Great. Pompey, you are partly a bawd, Pompey, howsoever you colour it in being a tapster, are you not? Come, tell me true; it shall be the better for you. POMPEY Truly, sir, I am a poor fellow that would live. ESCALUS How would you live, Pompey? By being a bawd? What do you think of the trade, Pompey? Is it a lawful trade? POMPEY If the law would allow it, sir. ESCALUS But the law will not allow it, Pompey; nor it shall not be allowed in Vienna. POMPEY Does your worship mean to geld and spay all the youth of the city?
205
216
z
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220. Spay: in F splay, un’alterazione di spay. 584
Shakespeare IV.indb 584
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ESCALO
Nove? – Venite qui, mastro Schiuma. Mastro Schiuma, non vorrei che vi immischiaste con i mescitori. Vi sbudelleranno, mastro Schiuma, e voi li farete impiccare81. Andate, e che non senta più parlare di voi. SCHIUMA
Grazie, vostra eccellenza. Per parte mia, non entro mai in una mescita a meno che non ci venga imbottigliato. ESCALO
Bene, basta così, mastro Schiuma. Addio. Esce Schiuma Venite qui, mastro mescitore. Qual è il vostro nome, mastro mescitore? POMPEO
Pompeo. ESCALO
E poi? POMPEO
Chiappa, signore. ESCALO
È vero, e dato che le chiappe sono la cosa più grossa che avete, allora tu sei, nel senso più bestiale, Pompeo Magno. Pompeo, per quanto tu voglia passare per mescitore, tu sei un mezzo mezzano, Pompeo, non è così? Su, dimmi la verità. Sarà meglio per te. POMPEO
Davvero, signore, sono un poveraccio che cerca di campare. ESCALO
E come intendi campare, Pompeo? Facendo il mezzano? Che ne pensi del tuo mestiere, Pompeo? Pensi che sia un mestiere legale? POMPEO
Se la legge lo permettesse, signore. ESCALO
Ma la legge non lo permette, Pompeo, e né lo si permetterà a Vienna. POMPEO
Vossignoria intende castrare e sterilizzare tutti i giovani in città?
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Shakespeare IV.indb 585
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ESCALUS No, Pompey. POMPEY Truly, sir, in my poor opinion they will to’t then.
If your worship will take order for the drabs and the knaves, you need not to fear the bawds. ESCALUS There is pretty orders beginning, I can tell you. It is but heading and hanging. POMPEY If you head and hang all that offend that way but for ten year together, you’ll be glad to give out a commission for more heads. If this law hold in Vienna ten year, I’ll rent the fairest house in it after threepence a bay. If you live to see this come to pass, say Pompey told you so. ESCALUS Thank you, good Pompey; and in requital of your prophecy, hark you. I advise you, let me not find you before me again upon any complaint whatsoever; no, not for dwelling where you do. If I do, Pompey, I shall beat you to your tent, and prove a shrewd Caesar to you; in plain dealing, Pompey, I shall have you whipped. So for this time, Pompey, fare you well. POMPEY I thank your worship for your good counsel; [aside] but I shall follow it as the flesh and fortune shall better determine. Whip me? No, no; let carman whip his jade. The valiant heart’s not whipped out of his trade. Exit ESCALUS Come hither to me, Master Elbow; come hither, Master Constable. How long have you been in this place of constable? ELBOW Seven year and a half, sir. ESCALUS I thought, by the readiness in the office, you had continued in it some time. You say seven years together?
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Shakespeare IV.indb 586
30/11/2018 09:32:16
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
ESCALO
No, Pompeo. POMPEO
E allora, signore, secondo la mia modesta opinione, ci daranno dentro. Se vossignoria prenderà provvedimenti contro puttane e furfanti, non avrà bisogno di temere i mezzani. ESCALO
Ci saranno presto provvedimenti che non sono niente male, ve lo dico. Decapitazione e impiccagione82. POMPEO
Se decapitate e impiccate per dieci anni tutti quelli che commettono quella colpa, vi converrà commissionare nuove teste. Se questa legge resta in vigore a Vienna per dieci anni, affitterò la casa più bella per tre soldi a vano. Se vivrete tanto da vederlo, dite che Pompeo ve l’aveva detto. ESCALO
Grazie, buon Pompeo, e, in cambio della tua profezia, ascolta: ti consiglio di non ricomparire davanti a me di nuovo per nessun motivo; no, nemmeno perché abiti dove abiti. Se ti rivedo, Pompeo, ti batterò in ritirata nella tua tenda, proprio come quello spietato di Cesare83. In parole povere, Pompeo, sarai frustato. Così, per questa volta, Pompeo, addio. POMPEO
Grazie, vossignoria, per i consigli. (A parte) Ma io li seguirò come meglio decideranno la carne84 e la fortuna. Frustare me? No, che il carrettiere frusti il suo ronzino. Un cuore audace non cambia mestiere a suon di frustate. Esce ESCALO
Venite qui, mastro Gomito. Venite mastro gendarme. Da quanto tempo siete il conestabile? GOMITO
Da sette anni e mezzo, signore. ESCALO
Vista la vostra efficienza, pensavo che lo eravate da tempo. Sette anni, avete detto? 587
Shakespeare IV.indb 587
30/11/2018 09:32:17
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 1
ELBOW And a half, sir. ESCALUS Alas, it hath been great pains to you. They do
you wrong to put you so oft upon’t. Are there not men in your ward sufficient to serve it? ELBOW Faith, sir, few of any wit in such matters. As they are chosen, they are glad to choose me for them. I do it for some piece of money, and go through with all. ESCALUS Look you bring me in the names of some six or seven, the most sufficient of your parish. ELBOW To your worship’s house, sir? ESCALUS To my house. Fare you well.
256
261
Exit Elbow with officers What’s o’clock, think you? JUSTICE Eleven, sir.
265
ESCALUS I pray you home to dinner with me. JUSTICE I humbly thank you. ESCALUS
It grieves me for the death of Claudio, But there’s no remedy. JUSTICE Lord Angelo is severe. ESCALUS It is but needful. Mercy is not itself that oft looks so. Pardon is still the nurse of second woe. But yet, poor Claudio! There is no remedy. Come, sir.
270
Exeunt
588
Shakespeare IV.indb 588
30/11/2018 09:32:17
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 1
GOMITO
E mezzo, signore. ESCALO
Ahimè, deve avervi dato non pochi problemi; sbagliano a farvi lavorare tanto. E non ci sono altri nel distretto capaci di farlo? GOMITO
A dire il vero, signore, sono pochi quelli che hanno il cervello per queste cose. Quando li eleggono, quelli eleggono me al posto loro. Io lo faccio per qualche soldo in più, e mi carico di tutto. ESCALO
Ascoltate, portatemi sei o sette nomi, ma dei migliori della tua parrocchia. GOMITO
A casa di vossignoria, signore? ESCALO
Sì, a casa. Addio. Escono Gomito e gendarmi Che ora sarà? GIUDICE
Le undici, signore. ESCALO
Vi prego, venite a cena a casa mia. GIUDICE
Vi ringrazio umilmente. ESCALO
Mi addolora la morte di Claudio, ma non c’è rimedio. GIUDICE
Lord Angelo è severo. ESCALO
È necessario. Non è più clemenza, quella che si esibisce troppo; il perdono nutre sempre un secondo male85. Eppure! Il povero Claudio. Non c’è rimedio. Andiamo, signore. Escono
589
Shakespeare IV.indb 589
30/11/2018 09:32:17
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
2.2
Enter the Provost and a Servant
SERVANT
He’s hearing of a cause; he will come straight. I’ll tell him of you. PROVOST Pray you do. Exit Servant I’ll know His pleasure; maybe he will relent. Alas, He hath but as offended in a dream. All sects, all ages, smack of this vice; and he To die for’t!
5
Enter Angelo ANGELO
Now, what’s the matter, Provost?
PROVOST
Is it your will Claudio shall die tomorrow? ANGELO
Did not I tell thee yea? Hadst thou not order? Why dost thou ask again? PROVOST Lest I might be too rash. Under your good correction, I have seen When after execution judgement hath Repented o’er his doom. ANGELO Go to; let that be mine. Do you your office, or give up your place, And you shall well be spared. PROVOST I crave your honour’s pardon. What shall be done, sir, with the groaning Juliet? She’s very near her hour. ANGELO Dispose of her To some more fitter place, and that with speed.
10
15
Enter Servant SERVANT
Here is the sister of the man condemned Desires access to you. ANGELO Hath he a sister?
590
Shakespeare IV.indb 590
30/11/2018 09:32:17
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
Entrano il bargello e un servo86
II, 2 SERVO
È in udienza. Verrà subito. Gli dirò che ci siete voi. BARGELLO
Vi prego, fatelo. Esce il servo Così saprò cosa ha deciso; magari si smuove. Lui ha trasgredito come in sogno. Tutti i ceti e tutte le età puzzano di quel vizio, e lui deve morirne. Entra Angelo ANGELO
Allora, cosa c’è, bargello? BARGELLO
È vostra volontà che Claudio muoia domani? ANGELO
Non ti ho detto di sì? Non avevi l’ordine? Perché chiederlo di nuovo? BARGELLO
Per non essere troppo precipitoso: correggetemi pure, ma ho visto che a volte la giustizia si è pentita dopo l’esecuzione. ANGELO
Per niente. È affar mio. Fate il vostro dovere o lasciate il posto, si farà a meno di voi. BARGELLO
Chiedo perdono a vostro onore. Cosa faccio, signore, con Giulietta che ha le doglie? Si avvicina il tempo. ANGELO
Mandatela in un posto più adeguato, e di fretta. Entra un servo SERVO
C’è la sorella dell’uomo condannato. Desidera vedervi. ANGELO
Ha una sorella?
591
Shakespeare IV.indb 591
30/11/2018 09:32:17
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
PROVOST
Ay, my good lord; a very virtuous maid, And to be shortly of a sisterhood, If not already. ANGELO Well, let her be admitted. See you the fornicatress be removed. Let her have needful but not lavish means. There shall be order for’t.
20
Exit Servant
Enter Lucio and Isabella PROVOST
God save your honour. aa
25
ANGELO
Stay a little while. (To Isabella) You’re welcome. What’s your will? ISABELLA
I am a woeful suitor to your honour. Please but your honour hear me. ANGELO Well, what’s your suit? ISABELLA
There is a vice that most I do abhor, And most desire should meet the blow of justice, For which I would not plead, but that I must; For which I must not plead, but that I am At war ’twixt will and will not. ANGELO Well, the matter?
30
ISABELLA
I have a brother is condemned to die. I do beseech you, let it be his fault, And not my brother. PROVOST (aside) Heaven give thee moving graces!
35
ANGELO
Condemn the fault, and not the actor of it? Why, every fault’s condemned ere it be done. Mine were the very cipher of a function,
25. God save: in F ’Save ; come in II, 2, 167, l’apostrofo suggerisce la censura sul nome di Dio a scapito del metro. 592
Shakespeare IV.indb 592
30/11/2018 09:32:17
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
BARGELLO
Sì, mio buon signore, una giovane molto virtuosa, che presto si farà suora, se non lo è già. ANGELO
Fatela entrare. Esce il servo Che la fornicatrice sia allontanata, abbia assistenza, ma non molto di più. Avrete gli ordini. Entrano Lucio e Isabella BARGELLO
Dio87 salvi vostro onore. ANGELO
Fermatevi ancora. (A Isabella) Siete benvenuta: cosa desiderate? ISABELLA
Vengo addolorata a supplicare vostro onore, vi prego, vostro onore, ascoltatemi. ANGELO
Ebbene, qual è la vostra supplica? ISABELLA
C’è un vizio che più degli altri io aborro, e di più desidero veder colpito dalla giustizia, e per il quale non vorrei intercedere, ma devo; per il quale non dovrei intercedere, se non fossi in guerra fra volere e non volere. ANGELO
Allora: il punto? ISABELLA
Ho un fratello condannato a morte, vi supplico, si condanni la sua colpa e non mio fratello88. BARGELLO (a parte) Che il cielo ti dia la grazia per smuoverlo! ANGELO
Condannare la colpa e non chi l’ha commessa! Ma ogni colpa è condannata prima che sia commessa: sarebbe una funzione inutile
593
Shakespeare IV.indb 593
30/11/2018 09:32:17
MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
To fine the faults whose fine stands in record, And let go by the actor. ISABELLA O just but severe law! I had a brother, then. Heaven keep your honour. LUCIO (aside to Isabella) Give’t not o’er so. To him again; entreat him. Kneel down before him; hang upon his gown. You are too cold. If you should need a pin, You could not with more tame a tongue desire it. To him, I say! ISABELLA (to Angelo) Must he needs die? ANGELO Maiden, no remedy.
40
45
ISABELLA
Yes, I do think that you might pardon him, And neither heaven nor man grieve at the mercy.
50
ANGELO
I will not do’t. ISABELLA
But can you if you would?
ANGELO
Look what I will not, that I cannot do. ISABELLA
But might you do’t, and do the world no wrong, If so your heart were touched with that remorse As mine is to him? ANGELO He’s sentenced; ’tis too late. LUCIO (aside to Isabella) You are too cold.
55
ISABELLA
Too late? Why, no; I that do speak a word May call it again. Well, believe this, ab No ceremony that to great ones ’longs, Not the king’s crown, nor the deputed sword, The marshal’s truncheon, nor the judge’s robe, Become them with one half so good a grace As mercy does. If he had been as you and you as he,
60
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60. It again: così in F; in F1 più convincentemente: it back again. 594
Shakespeare IV.indb 594
30/11/2018 09:32:17
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
la mia, se punissi la colpa, che è già sanzionata, e rilasciassi il colpevole. ISABELLA
Oh, legge giusta ma severa! Non ho più un fratello, allora. Il cielo protegga vostro onore. LUCIO (a parte a Isabella) Non arrendetevi: di nuovo, imploratelo, inginocchiatevi, aggrappatevi alla sua toga. Siete troppo fredda: se fosse solo uno spillo ciò che desiderate, non lo chiedereste con voce tanto dimessa. Di nuovo, su, da lui. ISABELLA (a Angelo) Deve proprio morire? ANGELO
Fanciulla, non c’è rimedio. ISABELLA
Sì, credo davvero che voi potete perdonarlo, e né il cielo né gli uomini si dorrebbero della vostra clemenza. ANGELO
Non lo farò. ISABELLA
Ma, volendo, potreste? ANGELO
Ascoltate: ciò che non voglio, non posso farlo. ISABELLA
Ma potreste farlo senza far torto al mondo, se il vostro cuore fosse mosso da compassione, com’è il mio? ANGELO
È stato condannato, è troppo tardi. LUCIO (a parte a Isabella)
Troppo fredda. ISABELLA
Troppo tardi? Ma no: detta una parola, posso ritirarla89. Ebbene, crediate: non c’è emblema che sia attributo dei potenti, né la corona di un re, né la spada del suo delegato, la mazza del maresciallo o la toga del giudice, che più doni loro anche solo una parte della grazia elargita dalla misericordia. Se lui fosse stato al vostro posto
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Shakespeare IV.indb 595
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
You would have slipped like him, but he, like you, Would not have been so stern. ANGELO Pray you be gone. ISABELLA
I would to heaven I had your potency, And you were Isabel! Should it then be thus? No; I would tell what ’twere to be a judge, And what a prisoner. LUCIO (aside to Isabella) Ay, touch him; there’s the vein.
70
ANGELO
Your brother is a forfeit of the law, And you but waste your words. ISABELLA Alas, alas! Why, all the souls that were were forfeit once, And He that might the vantage best have took Found out the remedy. How would you be If He which is the top of judgement should But judge you as you are? O, think on that, And mercy then will breathe within your lips, Like man new made. ANGELO Be you content, fair maid. It is the law, not I, condemn your brother. Were he my kinsman, brother, or my son, It should be thus with him. He must die tomorrow.
75
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ISABELLA
Tomorrow? O, that’s sudden! Spare him, spare him! He’s not prepared for death. Even for our kitchens We kill the fowl of season. Shall we serve heaven With less respect than we do minister To our gross selves? Good good my lord, bethink you: Who is it that hath died for this offence? There’s many have committed it. LUCIO (aside) Ay, well said.
86
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ANGELO
The law hath not been dead, though it hath slept. Those many had not dared to do that evil If the first that did th’edict infringe 596
Shakespeare IV.indb 596
30/11/2018 09:32:17
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
e voi al suo, avreste sbagliato come lui, ma lui non sarebbe stato severo come voi90. ANGELO
Vi prego di andare. ISABELLA
Oh, che il cielo mi avesse dato il vostro potere e voi foste Isabella! Le cose andrebbero forse così? No: io saprei mostrare cos’è un giudice e cosa un prigioniero91. LUCIO (a parte a Isabella) Sì, toccatelo così. È la vena giusta. ANGELO
Vostro fratello è colpevole per legge, voi sprecate il fiato. ISABELLA
Ahimè! Ma tutte le anime, un tempo, erano colpevoli, e Colui che poteva trarne vantaggio seppe trovare il rimedio: che sarebbe di voi se Lui, il giudice supremo, vi giudicasse per quello che siete? Pensateci un attimo, e allora la misericordia vi aliterà sulle labbra come a uomo appena ricreato92. ANGELO
Rassegnatevi, bella fanciulla. È la legge, non io, a condannare vostro fratello. Fosse lui mio parente, fratello, figlio, sarebbe lo stesso: deve morire domani. ISABELLA
Domani? Ma è troppo presto. Risparmiatelo, risparmiatelo! Non è pronto a morire. Anche per le nostre cucine uccidiamo la selvaggina quando è stagione. Dovremmo servire il cielo con minor rispetto di quello che usiamo per le nostre grossolane persone? Mio buon signore, pensateci: chi è morto per questa colpa? Sono in tanti ad averla commessa. LUCIO (a parte) Ben detto. ANGELO
La legge non è morta ma ha dormito. Quei tanti non avrebbero osato commettere quel male, se il primo a infrangere il decreto avesse
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Shakespeare IV.indb 597
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
Had answered for his deed. Now ’tis awake, Takes note of what is done, and, like a prophet, Looks in a glass that shows what future evils, Either raw, or by remissness new conceived ac And so in progress to be hatched and born, Are now to have no successive degrees, But ere they live, to end. ad ISABELLA Yet show some pity.
95
100
ANGELO
I show it most of all when I show justice, For then I pity those I do not know Which a dismissed offence would after gall, And do him right that, answering one foul wrong, Lives not to act another. Be satisfied. Your brother dies tomorrow. Be content.
105
ISABELLA
So you must be the first that gives this sentence, And he that suffers. O, it is excellent To have a giant’s strength, but it is tyrannous To use it like a giant. LUCIO (aside to Isabella) That’s well said. ISABELLA Could great men thunder As Jove himself does, Jove would never be quiet, For every pelting petty officer Would use his heaven for thunder, nothing but thunder. Merciful heaven, Thou rather with thy sharp and sulphurous bolt Split’st the unwedgeable and gnarlèd oak Than the soft myrtle. But man, proud man, Dressed in a little brief authority, Most ignorant of what he’s most assured, His glassy essence, like an angry ape
110
115
120
98. Raw: emend. Oxford; in F now = ora. Raw nel significato obsoleto di “non maturo, acerbo” è più coerente con il senso del discorso. 101. Ere = “prima”, emend. tardo; in F here = “qui”. 598
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
risposto del suo atto. Ora è sveglia, prende nota di come si agisce e, simile a un profeta, scruta in una sfera di cristallo quali mali futuri, ancora acerbi, o da poco concepiti grazie all’indulgenza, e quindi pronti a schiudersi dal guscio e venire alla luce, debbano essere adesso soffocati nello sviluppo, e fatti morire prima di nascere93. ISABELLA
Tuttavia, mostrate un po’ di pietà. ANGELO
C’è la pietà, soprattutto quando io mostro giustizia. Allora mostro pietà per chi non conosco e che una colpa impunita contaminerebbe, e rendo giustizia a chi, rispondendo di un’infamia, non viva per ripeterla. Vi basti questo. Vostro fratello muore domani. Rassegnatevi. ISABELLA
Così sarete il primo a emettere la sentenza, e il primo, lui, a subirla. Oh, è bello avere la forza di un gigante, ma è tirannia usarla da gigante. LUCIO (a parte a Isabella) Ben detto. ISABELLA
Se i grandi potessero tuonare come Giove, Giove non avrebbe quiete, perché ogni piccolo, insulso funzionario userebbe il suo cielo per tuonare. Null’altro che tuono94. Cielo misericordioso, tu, con la tua acuminata saetta sulfurea, schianti la salda quercia nodosa e non il tenero mirto. Ma il superbo, investito di limitata ed effimera autorità, ignaro proprio di ciò di cui è più sicuro – cioè della sua vitrea essenza95 –, come scimmia bizzosa se la spassa sotto
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
Plays such fantastic tricks before high heaven As makes the angels weep, who, with our spleens, Would all themselves laugh mortal. LUCIO (aside to Isabella) O, to him, to him, wench! He will relent. He’s coming; I perceive’t. PROVOST (aside) Pray heaven she win him!
125
ISABELLA
We cannot weigh our brother with ourself. Great men may jest with saints; ’tis wit in them, But in the less, foul profanation. LUCIO (aside to Isabella) Thou’rt i’th’ right, girl. More o’ that.
130
ISABELLA
That in the captain’s but a choleric word, Which in the soldier is flat blasphemy. LUCIO (aside to Isabella) Art advised o’ that? More on’t.
135
ANGELO
Why do you put these sayings upon me? ISABELLA
Because authority, though it err like others, Hath yet a kind of medicine in itself That skins the vice o’th’ top. Go to your bosom; Knock there, and ask your heart what it doth know That’s like my brother’s fault. If it confess A natural guiltiness, such as is his, Let it not sound a thought upon your tongue Against my brother’s life. ANGELO (aside) She speaks, and ’tis such sense That my sense breeds with it. (To Isabella) Fare you well. ISABELLA Gentle my lord, turn back.
140
146
ANGELO
I will bethink me. Come again tomorrow. ISABELLA
Hark how I’ll bribe you; good my lord, turn back. ANGELO How, bribe me?
150
600
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
gli occhi del cielo con le sue arlecchinate, facendo piangere gli angeli, i quali, se avessero la nostra milza96, morirebbero dal ridere. LUCIO (a parte a Isabella) Dagli addosso, ragazza, dagli. Si smuoverà, sta per mollare, lo sento. BARGELLO (a parte) Voglia il cielo che la spunti. ISABELLA
Non possiamo pesare gli altri sulla nostra stessa bilancia. I grandi possono scherzare con i santi: è arguzia in loro quella che in chi sta più in basso diventa turpe profanazione. LUCIO (a parte a Isabella) Vai bene, ragazza, un altro po’. ISABELLA
È collera nel capitano, ciò che nel soldato è solo bestemmia. LUCIO (a parte a Isabella)
Sai anche questo? E allora ancora. ANGELO
Perché mi ritorcete contro tutte queste massime? ISABELLA
Perché, pur sbagliando come gli altri, l’autorità è dotata di una sorta di palliativo che cicatrizza il vizio in superficie. Andate al vostro petto, bussate, e chiedete al cuore cosa sa d’una colpa simile a quella di mio fratello. Se confessa la stessa connaturata colpevolezza, non pronunci parola contro la sua vita. ANGELO (a parte) Lei parla con tal senso da fecondare i miei sensi97. (A Isabella) Addio. ISABELLA
Mio gentile signore, restate. ANGELO
Ci penserò su. Tornate domani. ISABELLA
Ascoltate. Vi corromperò, mio buon signore, restate. ANGELO
Come? Corrompermi?
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 2
ISABELLA
Ay, with such gifts that heaven shall share with you. LUCIO (aside to Isabella) You had marred all else. ISABELLA
Not with fond shekels of the tested gold, ae Or stones, whose rate are either rich or poor As fancy values them; but with true prayers, That shall be up at heaven and enter there Ere sunrise, prayers from preservèd souls, From fasting maids whose minds are dedicate To nothing temporal. ANGELO Well, come to me tomorrow. LUCIO (aside to Isabella) Go to; ’tis well; away. ISABELLA Heaven keep your honour safe. ANGELO (aside) Amen; For I am that way going to temptation, Where prayer is crossed. af ISABELLA At what hour tomorrow Shall I attend your lordship? ANGELO At any time fore noon.
155
160
165
ISABELLA
God save your honour. ANGELO (aside)
From thee; even from thy virtue. Exeunt Isabella, Lucio, and Provost
What’s this? What’s this? Is this her fault or mine? The tempter or the tempted, who sins most, ha? Not she; nor doth she tempt; but it is I That, lying by the violet in the sun, Do, as the carrion does, not as the flower, Corrupt with virtuous season. Can it be That modesty may more betray our sense Than woman’s lightness? Having waste ground enough,
170
153. Shekels: emend. Oxford; in F sickles; in emend. successivi sicles. Varianti ortografiche. 165. Prayer is crossed: emend. Oxford; in F: prayers crosse; in emend. successivi prayer’s crossed. 602
Shakespeare IV.indb 602
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 2
ISABELLA
Sì, con doni che il cielo vorrà condividere con voi. LUCIO (a parte a Isabella)
Stavate per rovinare tutto. ISABELLA
Non con stupide monetine d’oro fino98, o gemme il cui valore è grande o piccolo a seconda di come vuole il capriccio, ma con preghiere sincere, che saliranno al cielo e vi entreranno prima dell’alba: preghiere di anime pure, di vergini digiunanti, il cui spirito è estraneo a tutto ciò che è mondano. ANGELO
Bene, tornate da me domani. LUCIO (a parte a Isabella)
Fatto. Andiamo. ISABELLA
Il cielo protegga vostro onore. ANGELO (a parte)
Amen. Perché sono sulla via della tentazione, dove si cancella la preghiera99. ISABELLA
A che ora devo venire domani per presentarmi a vostra signoria? ANGELO
Quando volete, prima di mezzogiorno100. ISABELLA
Dio protegga vostro onore. ANGELO (a parte) Da te e anche dalla tua virtù. Escono Isabella, Lucio e il bargello Cos’è? Cos’è? È colpa sua o mia?101 È la tentatrice o il tentato che pecca di più? Eh? Non lei. Né mi sta tentando. Sono io che, steso al sole accanto alla violetta, faccio come la carogna e non come il fiore, corrompendomi con la stagione virtuosa102. Come può essere che la modestia di una donna lusinghi i nostri sensi più della sua leggerezza? E che con tutto il terreno disponibile si desideri radere
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 3
Shall we desire to raze the sanctuary, And pitch our evils there? O, fie, fie, fie! What dost thou, or what art thou, Angelo? Dost thou desire her foully for those things That make her good? O, let her brother live! Thieves for their robbery have authority, When judges steal themselves. What, do I love her, That I desire to hear her speak again, And feast upon her eyes? What is’t I dream on? O cunning enemy, that, to catch a saint, With saints dost bait thy hook! Most dangerous Is that temptation that doth goad us on To sin in loving virtue. Never could the strumpet, With all her double vigour — art and nature — Once stir my temper; but this virtuous maid Subdues me quite. Ever till now When men were fond, I smiled, and wondered how.
176
180
185
190
Exit 2.3
Enter [at one door] the Duke, disguised as a friar, and [at another door] the Provost
DUKE
Hail to you, Provost! — so I think you are. PROVOST
I am the Provost. What’s your will, good friar? DUKE
Bound by my charity and my blest order, I come to visit the afflicted spirits Here in the prison. Do me the common right To let me see them, and to make me know The nature of their crimes, that I may minister To them accordingly.
5
PROVOST
I would do more than that, if more were needful. Enter Juliet
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 3
al suolo il santuario per piantarci le nostre latrine?103 Vergogna, vergogna! Cosa fai, o cosa sei, tu, Angelo? La desideri laidamente proprio per ciò che la fa onesta? Oh, lascia vivere suo fratello! I ladri hanno diritto di rubare se a rubare sono anche i giudici. Ma forse l’amo, se desidero sentirne la voce e godere dei suoi occhi? Ma cosa sto sognando? Oh, astuto nemico che per prendere un santo metti i santi come esca sul tuo amo!104 Pericolosissima tentazione è quella che ci induce a peccare perché della virtù ci innamoriamo. Mai una prostituta, con la sua doppia arma di arte e natura, ha saputo scuotere la mia tempra. Ma questa virtuosa mi soggioga. Fino ad ora sorridevo di chi perdeva la testa per amore, e mi chiedevo come mai. Esce II, 3
Entrano [da una porta] il duca travestito da frate e [dall’altra] il bargello105
DUCA
Salute a te, bargello. Siete il bargello, vero? BARGELLO
Sono il bargello. Cosa desiderate, buon frate? DUCA
Mosso dalla mia carità e dal mio sacro ordine, vengo a visitare le anime afflitte qui in prigione. Concedetemi il diritto clericale di vederle e di conoscere la natura dei loro crimini, così che possa assisterli come si conviene. BARGELLO
Sono pronto a fare di più, se è necessario. Entra Giulietta
605
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 3
Look, here comes one, a gentlewoman of mine, Who, falling in the flaws of her own youth, ag Hath blistered her report. She is with child, And he that got it, sentenced — a young man More fit to do another such offence Than die for this. DUKE When must he die? PROVOST As I do think, tomorrow. (To Juliet) I have provided for you. Stay a while, And you shall be conducted.
10
15
DUKE
Repent you, fair one, of the sin you carry?
20
JULIET
I do, and bear the shame most patiently. DUKE
I’ll teach you how you shall arraign your conscience, And try your penitence if it be sound Or hollowly put on. JULIET I’ll gladly learn. DUKE Love you the man that wronged you?
25
JULIET
Yes, as I love the woman that wronged him. DUKE
So then it seems your most offenceful act Was mutually committed? JULIET Mutually. DUKE
Then was your sin of heavier kind than his.
30
JULIET
I do confess it and repent it, father. DUKE
’Tis meet so, daughter. But lest you do repent As that the sin hath brought you to this shame — Which sorrow is always toward ourselves, not heaven,
11. Flaws: così in F; emend. tardo flames = “fiamme”. 606
Shakespeare IV.indb 606
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 3
Eccone una: una gentildonna che, travolta dalle sventatezze106 della sua giovinezza, ha macchiato la sua reputazione. È incinta, e colui che ce l’ha messa è condannato a morte: un giovane più idoneo a ricadere nella stessa colpa che a morirne. DUCA
Quando deve morire? BARGELLO
Credo domani. (A Giulietta) Ho provveduto a voi. Ancora un po’ e vi sarete condotta. DUCA
Vi pentite, bella giovane, del peccato che portate? GIULIETTA
Sì, e ne sopporto la vergogna con pazienza. DUCA
Vi insegnerò a fare un esame di coscienza e saggerò il vostro pentimento, vedrò se è sincero o simulato. GIULIETTA
Ne sarò contenta. DUCA
Amate l’uomo che vi ha fatto torto? GIULIETTA
Sì, come amo la donna che ha fatto torto a lui. DUCA
Quindi, mi sembra di capire, il vostro atto riprovevole fu condiviso. GIULIETTA
Condiviso. DUCA
Allora il vostro peccato è più grave del suo107. GIULIETTA
Lo confesso e mi pento, padre. DUCA
Questo è bene. A meno che, figliola, voi non vi siate pentita perché il peccato vi ha condotta alla vergogna. È un rimorso che riguarda
607
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
Showing we would not spare heaven as we love it, But as we stand in fear —
35
JULIET
I do repent me as it is an evil, And take the shame with joy. There rest. Your partner, as I hear, must die tomorrow, And I am going with instruction to him.
DUKE
Grace go with you. Benedicite!
40 Exit
JULIET
Must die tomorrow? O injurious law, ah That respites me a life whose very comfort Is still a dying horror! PROVOST ’Tis pity of him. 2.4
Exeunt
Enter Angelo
ANGELO
When I would pray and think, I think and pray To several subjects: heaven hath my empty words, Whilst my invention, hearing not my tongue, Anchors on Isabel; God in my mouth, ai As if I did but only chew his name, And in my heart the strong and swelling evil Of my conception. The state whereon I studied Is like a good thing, being often read, Grown seared and tedious. Yea, my gravity, aj Wherein — let no man hear me — I take pride, Could I with boot change for an idle plume Which the air beats in vain. O place, O form, ak How often dost thou with thy case, thy habit, Wrench awe from fools, and tie the wiser souls
5
10
42. Law: emend. tardo; in F love = “amore”. 4. God: emend. Oxford; in F heaven = “cielo”. 9. Seared: emend. tardo; in F feared = “temuto”; in emend. successivi frayed = “logorato”. 12. In vain: emend. Oxford; in F for vain, stesso significato. 608
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
solo noi, e non il cielo. Esso mostra che non rispettiamo il cielo perché lo amiamo ma perché ne abbiamo timore – GIULIETTA
Mi pento, perché ho commesso il male e ne accetto la vergogna con gioia. DUCA
Mantenete questo proposito. Il vostro complice, mi dicono, deve morire domani. Vado ad assisterlo. Andate in grazia. Il cielo vi benedica! Esce GIULIETTA
Deve morire domani? Oh, legge108 iniqua, che mi risparmi la vita col solo conforto di un infinito funesto orrore! BARGELLO
Lui fa pena. Escono II, 4
Entra Angelo109
ANGELO
Quando mi accingo a pregare e pensare, penso e prego in direzioni disparate110: il cielo riceve parole vuote, mentre la mia fantasia, sorda a quel che dico, cerca l’àncora di Isabella. Di Dio sulla mia bocca resta solo un nome masticato, e nel mio cuore c’è il male tenace e turgido che ho concepito. Gli affari di stato che ho perseguito sono diventati sterili e tediosi, come un buon libro letto troppe volte. Sì, la mia condotta austera, di cui – e che nessuno mi ascolti – mi inorgoglisco, potrei scambiarla vantaggiosamente con una frivola piuma che vanitosa batte a vuoto l’aria. Ah, ruolo e pompa! Quante volte con vesti e paramenti avete estorto timore agli sciocchi e costretto i
609
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
To thy false seeming! Blood, thou art blood. Let’s write ‘good angel’ on the devil’s horn — ’Tis now the devil’s crest. al
15
Enter Servant How now? Who’s there? SERVANT One Isabel, a sister, desires access to you.
ANGELO
Teach her the way.
Exit Servant
O heavens, Why does my blood thus muster to my heart, Making both it unable for itself, And dispossessing all my other parts Of necessary fitness? So play the foolish throngs with one that swoons — Come all to help him, and so stop the air By which he should revive — and even so The general subject to a well-wished king Quit their own part and, in obsequious fondness, Crowd to his presence, where their untaught love Must needs appear offence.
20
25
Enter Isabella How now, fair maid? ISABELLA I am come to know your pleasure. ANGELO (aside) That you might know it would much better please me Than to demand what ’tis. (To Isabella) Your brother cannot live. ISABELLA Even so. Heaven keep your honour.
30
ANGELO
Yet may he live a while, and it may be As long as you or I. Yet he must die. ISABELLA Under your sentence?
35
17. ’Tis now the: emend. Oxford; in F: ‘Tis not the = “Non è il”. 610
Shakespeare IV.indb 610
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
più saggi a false apparenze? Sangue, tu sei sangue. Si scriva “Angelo buono” sulle corna del diavolo. Ora è questo il suo cimiero111. Entra un servo Ma chi c’è? SERVO
Una certa Isabella, una suora, desidera un’udienza. ANGELO
Mostrale la strada. Esce il servo Oh, cielo! Perché il sangue mi affluisce al cuore, paralizzandolo e spossessando tutti gli altri organi delle capacità necessarie? Così fa la stupida folla con chi sviene, si accalca per aiutarlo, privandolo dell’aria che potrebbe rianimarlo. E così i sudditi di un re benvoluto abbandonano le loro occupazioni e in ossequioso affetto fanno tale ressa attorno alla sua presenza che il loro amore sfrenato finisce con l’apparire molesto112. Entra Isabella Ebbene, bella fanciulla. ISABELLA
Vengo per conoscere il piacer vostro. ANGELO (a parte)
Mi piacerebbe di più che lo sapeste senza chiederlo113. (A Isabella) Vostro fratello non vivrà. ISABELLA
Ah, è così. Il cielo protegga vostro onore. ANGELO
Eppure, potrebbe vivere per un poco, magari quanto voi, o me. E tuttavia, deve morire. ISABELLA
Per la vostra sentenza?
611
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
ANGELO Yea. ISABELLA
When, I beseech you? — that in his reprieve, Longer or shorter, he may be so fitted That his soul sicken not.
40
ANGELO
Ha, fie, these filthy vices! It were as good To pardon him that hath from nature stolen A man already made, as to remit Their saucy sweetness that do coin God’s image am In stamps that are forbid. ’Tis all as easy Falsely to take away a life true made As to put metal in restrainèd moulds, an To make a false one.
45
ISABELLA
’Tis set down so in heaven, but not in earth.
50
ANGELO
Say you so? Then I shall pose you quickly. Which had you rather: that the most just law Now took your brother’s life, or, to redeem him, ao Give up your body to such sweet uncleanness As she that he hath stained? ISABELLA Sir, believe this. I had rather give my body than my soul.
55
ANGELO
I talk not of your soul. Our compelled sins Stand more for number than for account. ap ISABELLA How say you?
45 God’s: emend. Oxford; in F: heaven’s = “del cielo”. 48. Moulds: emend. Oxford, più rispondente all’isotopia del conio e della procreazione; in F means = “strumenti”; in emend. successivi mints = “zecche”. 53. Or: emend. tardo; in F and = “e”. 58. Than: emend. tardo; in F then = “poi”: possibile trascrizione errata per omofonia. 612
Shakespeare IV.indb 612
30/11/2018 09:32:19
MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
ANGELO
Sì. ISABELLA
E, vi supplico, quando? Che nell’attesa, lunga o breve che sia, possa prepararsi bene in modo che la sua anima non ne soffra. ANGELO
Che vergogna, questi sordidi vizi! Perdonare chi alla natura ruba un uomo già formato vale tanto quanto condonare l’impudente lascivia che conia l’immagine di Dio in stampi proibiti. È altrettanto facile sopprimere illegalmente una vita legittima quanto il fondere metallo in forme proibite per farne dei falsi114. ISABELLA
Così è stabilito in cielo, ma non in terra. ANGELO
Dite? Allora, ecco subito una domanda: cosa preferireste, una legge giusta che ora si prende la vita di vostro fratello, o il condono concedendo il vostro corpo alle stesse lascive impurità di colei che lui ha macchiato? ISABELLA
Credetemi signore, rinuncerei al corpo piuttosto che all’anima. ANGELO
Non parlo della vostra anima. I peccati cui siamo costretti fanno numero ma non contano115. ISABELLA
Cosa dite?
613
Shakespeare IV.indb 613
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
ANGELO
Nay, I’ll not warrant that, for I can speak Against the thing I say. Answer to this. I now, the voice of the recorded law, Pronounce a sentence on your brother’s life. Might there not be a charity in sin To save this brother’s life? ISABELLA Please you to do’t, I’ll take it as a peril to my soul aq It is no sin at all, but charity.
60
65
ANGELO
Pleased you to do’t at peril of your soul Were equal poise of sin and charity. ISABELLA
That I do beg his life, if it be sin, Heaven let me bear it. You granting of my suit, If that be sin, I’ll make it my morn prayer To have it added to the faults of mine, And nothing of your answer. ANGELO Nay, but hear me. Your sense pursues not mine. Either you are ignorant, Or seem so craftily, and that’s not good. ar
70
75
ISABELLA
Let me be ignorant, and in nothing good But graciously to know I am no better. ANGELO
Thus wisdom wishes to appear most bright When it doth tax itself: as these black masks Proclaim an enshield beauty ten times louder as Than beauty could, displayed. But mark me. To be receivèd plain, I’ll speak more gross. Your brother is to die.
80
65. Soul: emend. tardo; in F soul,. 75. Craftily: emend. tardo; in F: crafty. 80. Enshield: tardo emend.; in F: en-shield; in emend. successivi enshielded, enshell’d = “incapsulata”, enceil’d = “incielata”, tentativi volti a rendere un participio passato. 614
Shakespeare IV.indb 614
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
ANGELO
No, non lo garantisco, perché potrei disdire quel che ho detto. Rispondete a questo: io, portavoce della legge scritta, pronuncio una sentenza sulla vita di vostro fratello. Non può esserci, allora, carità nel peccato commesso per salvare la vita di questo fratello? ISABELLA
Se vi piacerà farlo, io ne prendo il rischio sulla mia anima: è carità, non peccato. ANGELO
Piaccia a voi, a rischio della vostra anima. Stesso peso: peccato e carità. ISABELLA
Se è peccato implorare per la sua vita, il cielo me lo addebiti. Se è peccato per voi accogliere la mia supplica, pregherò che sia aggiunto alle mie colpe, e che voi non ne rispondiate. ANGELO
No, ascoltate, il senso che voi intendete non segue il mio. O ne siete ignara o lo ignorate astutamente116. E questo non va bene. ISABELLA
Che sia pure ignorante e una buona in nulla. Ma che io seguiti a sapere che, per grazia del cielo, non valgo di più. ANGELO
O certo, la saggezza vuole brillare proprio quando si censura. Come quelle mascherine nere che fanno ombra a una bellezza molto più bella della bellezza esposta117. Ma ascoltatemi, perché vi sia chiaro lo dirò in modo molto più chiaro: vostro fratello deve morire.
615
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
ISABELLA So. ANGELO
And his offence is so, as it appears, Accountant to the law upon that pain. ISABELLA True.
85
ANGELO
Admit no other way to save his life — As I subscribe not that nor any other — at But, in the loss of question, that you his sister, Finding yourself desired of such a person Whose credit with the judge, or own great place, Could fetch your brother from the manacles Of the all-binding law, and that there were au No earthly mean to save him, but that either You must lay down the treasures of your body To this supposed, or else to let him suffer — What would you do?
90
95
ISABELLA
As much for my poor brother as myself. That is, were I under the terms of death, Th’impression of keen whips I’d wear as rubies, And strip myself to death as to a bed That longing have been sick for, ere I’d yield My body up to shame. ANGELO Then must your brother die. ISABELLA And ’twere the cheaper way. Better it were a brother died at once Than that a sister, by redeeming him, Should die for ever.
100
105
ANGELO
Were not you then as cruel as the sentence That you have slandered so?
110
89-90. Not that nor any other – / But, in the loss of question,: emend. Oxford; in F But in the loss of question – è incluso nell’inciso. 94. All-binding law: emend. tardo; in F all-building-Law = “che tutto costruisce”; in emend. successivi all-bridling = “che tutto imbriglia”. 616
Shakespeare IV.indb 616
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
ISABELLA
E sia così. ANGELO
La sua colpa è tale, a quanto sembra, da richiedere per legge quella pena. ISABELLA
È vero. ANGELO
Supponiamo che non ci sia altro modo di salvarlo – e io non sottoscrivo né quello né altri –, se non, in ultima analisi, che voi, sua sorella, nel caso foste desiderata da qualcuno che abbia credito presso il giudice, o sia egli stesso di alto rango, e quindi in grado di liberare vostro fratello dai ceppi di una legge vincolante; e, supponiamo ancora, che non ci siano mezzi terreni per salvarlo, se non che voi cediate i tesori del vostro corpo a questa presupposta persona, o in caso contrario non resta che la morte, cosa fareste?118 ISABELLA
Farei per me quello che farei per il mio povero fratello. Ovvero: fossi io condannata a morte, i segni di aspre fustigazioni li porterei come rubini e, come per andare a un letto desiderato da tempo, mi scarnificherei fino a morirne, prima che io ceda il mio corpo alla vergogna119. ANGELO
Allora vostro fratello deve morire. ISABELLA
Sarebbe la cosa migliore. Meglio che un fratello muoia una sola volta che sua sorella, per riscattarlo, muoia per sempre. ANGELO
E allora, non sareste voi crudele quanto la sentenza che avete denigrato?
617
Shakespeare IV.indb 617
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
ISABELLA
Ignominy in ransom and free pardon av Are of two houses; lawful mercy Is nothing kin to foul redemption. ANGELO
You seemed of late to make the law a tyrant, And rather proved the sliding of your brother A merriment than a vice.
115
ISABELLA
O pardon me, my lord. It oft falls out To have what we would have, we speak not what we mean. I something do excuse the thing I hate For his advantage that I dearly love.
120
ANGELO
We are all frail. Else let my brother die — If not a federy, but only he, aw Owe and succeed thy weakness. ax ANGELO Nay, women are frail too. ISABELLA
ISABELLA
Ay, as the glasses where they view themselves, Which are as easy broke as they make forms. Women? Help, heaven! Men their creation mar In profiting by them. Nay, call us ten times frail, For we are soft as our complexions are, And credulous to false prints. ANGELO I think it well, And from this testimony of your own sex, Since I suppose we are made to be no stronger Than faults may shake our frames, let me be bold. I do arrest your words. Be that you are;
125
130
112. Ignominy: così in F2; Ignomy in F: variazione ortografica con metro diverso. 123. Federy: così in F; feodary in F2. 124. Thy: così in F; in emend. successivi this = “questa”. 618
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
ISABELLA
L’ignominia nel riscatto e il libero perdono vivono in due case distinte: non c’è parentela fra una clemenza legittima e una turpe redenzione. ANGELO
Poco fa sembrava che faceste della legge una tiranna, come se lo scivolone di vostro fratello non fosse un vizio ma il frutto di uno svago. ISABELLA
Perdonatemi signore, spesso per ottenere ciò che vorremmo, non diciamo quel che intendiamo. Cerco di giustificare ciò che detesto a vantaggio di chi amo molto. ANGELO
Siamo tutti fragili. ISABELLA
Allora, che mio fratello muoia, se non ha complici ed il solo erede di questa debolezza. ANGELO
No, anche le donne sono fragili. ISABELLA
Sì, come gli specchi in cui si guardano. Essi si rompono con la stessa facilità con cui creano forme. Le donne? Il cielo le aiuti. Approfittandosi di loro, gli uomini rovinano la natura con cui furono creati. No, dieci volte fragili siamo, perché siamo tenere, come la nostra pelle, e crediamo in false impressioni120. ANGELO
Giusto. E visto che avete testimoniato così sul vostro sesso – poiché suppongo che noi non siamo più forti dei difetti che ci possono scuotere – mi faccio più ardito, e vi prendo in parola. Siate quel che
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Shakespeare IV.indb 619
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 2 SCENE 4
That is, a woman. If you be more, you’re none. If you be one, as you are well expressed By all external warrants, show it now, By putting on the destined livery.
135
ISABELLA
I have no tongue but one. Gentle my lord, Let me entreat you speak the former language. ANGELO Plainly conceive, I love you.
140
ISABELLA
My brother did love Juliet, And you tell me that he shall die for it. ANGELO
He shall not, Isabel, if you give me love. ISABELLA
I know your virtue hath a licence in’t, Which seems a little fouler than it is, To pluck on others. ANGELO Believe me, on mine honour, My words express my purpose.
145
ISABELLA
Ha, little honour to be much believed, And most pernicious purpose! Seeming, seeming! I will proclaim thee, Angelo; look for’t. Sign me a present pardon for my brother, Or with an outstretched throat I’ll tell the world aloud What man thou art. ANGELO Who will believe thee, Isabel? My unsoiled name, th’austereness of my life, My vouch against you, and my place i’th’ state, Will so your accusation overweigh That you shall stifle in your own report, And smell of calumny. I have begun, And now I give my sensual race the rein. Fit thy consent to my sharp appetite. Lay by all nicety and prolixious blushes That banish what they sue for. Redeem thy brother By yielding up thy body to my will,
150
155
160
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MISURA PER MISURA, ATTO II SCENA 4
siete, ossia una donna. Se siete qualcosa di più, non siete più tale. Se lo siete – come ben esprimono i vostri attributi esteriori – mostratelo ora, indossando la livrea che vi è destinata. ISABELLA
Ho una sola lingua121. Gentile signore, vi supplico, parlate come prima. ANGELO
Che vi sia chiaro: vi amo. ISABELLA
Mio fratello amava Giulietta, e voi mi dite che per questo deve morire. ANGELO
No, Isabella, se mi darete il vostro amore. ISABELLA
So che la vostra virtù122 si avvale di una licenza che appare più turpe di quella che è: mettere in difficoltà gli altri. ANGELO
Credetemi sul mio onore, le mie parole esprimono il mio intento. ISABELLA
Eh? Poco onore, per crederci, e un intento molto pernicioso: ipocrita, ipocrita! Ti denuncerò, Angelo, attento. Firmami subito la grazia per mio fratello, o a gola spiegata lo dirò al mondo che razza d’uomo sei. ANGELO
Chi ti crederà, Isabella? Il mio nome immacolato, una vita austera, la mia testimonianza contro la tua e la mia posizione nello stato, schiacceranno la tua accusa, e tu soffocherai nella tua denuncia e odorerai di calunnia. Ho cominciato, e ora allenterò le redini dei miei sensi. Acconsenti al mio acceso appetito, spogliati d’ogni pudore e dei rossori prolissi che mettono al bando proprio ciò che vorrebbero123. Salva tuo fratello, concedendo il tuo corpo alle mie
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
Or else he must not only die the death, But thy unkindness shall his death draw out To ling’ring sufferance. Answer me tomorrow, Or by the affection that now guides me most, I’ll prove a tyrant to him. As for you, Say what you can, my false o’erweighs your true.
165
170 Exit
ISABELLA
To whom should I complain? Did I tell this, Who would believe me? O perilous mouths, That bear in them one and the selfsame tongue Either of condemnation or approof, Bidding the law make curtsy to their will, Hooking both right and wrong to th’appetite, To follow as it draws! I’ll to my brother. Though he hath fall’n by prompture of the blood, Yet hath he in him such a mind of honour That had he twenty heads to tender down On twenty bloody blocks, he’d yield them up Before his sister should her body stoop To such abhorred pollution. Then Isabel live chaste, and brother die: More than our brother is our chastity. ay I’ll tell him yet of Angelo’s request, And fit his mind to death, for his soul’s rest. 3.1
175
180
185 Exit
Enter the Duke, disguised as a friar, Claudio, and the Provost
DUKE
So then you hope of pardon from Lord Angelo? CLAUDIO
The miserable have no other medicine But only hope. I’ve hope to live, and am prepared to die. 185. More: emend. tardo; in F “More: fra virgolette come sententia. 622
Shakespeare IV.indb 622
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
voglie, altrimenti non solo egli dovrà morire, ma subirà una lunga agonia a causa della tua insensibilità124. A domani una risposta oppure, in nome di quella passione che ora più mi domina, con lui diventerò un tiranno. Quanto a te, di’ quel che vuoi: la mia menzogna ha più peso della tua verità. Esce ISABELLA
A chi mi appellerò? Se lo raccontassi, chi mi crederebbe? O bocche pericolose che hanno una sola lingua per condannare o approvare, costringendo la legge a inchinarsi alle loro voglie, arraffando per appetito il giusto e l’ingiusto, e poi seguirlo lì dove trascina! Andrò da mio fratello. Nonostante sia caduto spinto dalla passione, egli ha un tale senso dell’onore che, se avesse venti teste da posare su venti ceppi insanguinati, le poserebbe tutte, prima di lasciare che sua sorella pieghi il corpo a così abietta polluzione. Viva dunque casta Isabella, e il fratello muoia. La castità vale più del fratello. Gli dirò della richiesta di Angelo, è lo preparerò a morire, sì che la sua anima non muoia. Esce III, 1
Entrano il duca, travestito da frate, Claudio e il bargello125
DUCA
Così sperate in un perdono di lord Angelo? CLAUDIO
Non c’è altro medicamento per gli afflitti: solo la speranza. Ho speranza di vivere, e sono pronto a morire.
623
Shakespeare IV.indb 623
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
DUKE
Be absolute for death. Either death or life Shall thereby be the sweeter. Reason thus with life. If I do lose thee, I do lose a thing That none but fools would keep. A breath thou art, Servile to all the skyey influences That dost this habitation where thou keep’st Hourly afflict. Merely thou art death’s fool, For him thou labour’st by thy flight to shun, And yet runn’st toward him still. Thou art not noble, For all th’accommodations that thou bear’st Are nursed by baseness. Thou’rt by no means valiant, For thou dost fear the soft and tender fork Of a poor worm. Thy best of rest is sleep, And that thou oft provok’st, yet grossly fear’st Thy death, which is no more. Thou art not thyself, For thou exist’st on many a thousand grains That issue out of dust. Happy thou art not, For what thou hast not, still thou striv’st to get, And what thou hast, forget’st. Thou art not certain, For thy complexion shifts to strange effects After the moon. If thou art rich, thou’rt poor, For like an ass whose back with ingots bows, Thou bear’st thy heavy riches but a journey, And death unloads thee. Friend hast thou none, For thine own bowels, which do call thee sire, The mere effusion of thy proper loins, Do curse the gout, serpigo, and the rheum, az For ending thee no sooner. Thou hast nor youth nor age, But as it were an after-dinner’s sleep Dreaming on both; for all thy blessèd youth Becomes as agèd, and doth beg the alms Of palsied eld; and when thou art old and rich, Thou hast neither heat, affection, limb, nor beauty,
5
10
16
20
25
30
35
31. Serpigo: emend. tardo; in F sapego. 624
Shakespeare IV.indb 624
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
DUCA
Sii pronto per la morte. Morte e vita saranno più dolci. Ragiona così con la vita126: se ti perdo, perdo qualcosa che solo gli stolti tendono a conservare. Un soffio sei, soggetto agli influssi del cielo che, di ora in ora, affliggono questo rifugio in cui dimori. Sei solo lo zimbello della morte, per lei ti consumi provando a sfuggirle, eppure le corri sempre incontro. Non sei nobile, perché i vantaggi che porti sono nutriti di bassezze. Non sei impavida, vita, perché temi la tenera bocca biforcuta di un misero verme. Il tuo miglior riposo è il sonno, e quello spesso te lo procuri, ma grossolanamente temi la morte che non è niente di più. Non sei te stessa, perché esisti in virtù delle migliaia di granelli che vengono dalla polvere127. Non sei felice, perché ti batti per ottenere ciò che non hai, e ciò che hai lo dimentichi. Non sei costante perché il tuo umore muta al mutar della luna con strani effetti. Se sei ricca, sei povera, perché, come un asino curvo sotto il carico d’oro, porti il tuo peso di ricchezze per un solo viaggio, e poi la morte te ne libera. Amici non ne hai, perché i tuoi stessi figli128 che, come pura effusione del tuo grembo, ti chiamano madre129, maledicono la gotta, la serpigine e il catarro che tardano a finirti. Non hai giovinezza né vecchiaia ma come in un sonno pomeridiano sogni di entrambe, perché tutta la tua beata giovinezza si fa vecchia mendicando alla stregua di vecchi paralitici130. E quando sei vecchia e ricca non hai calore, passione, energia, né bellezza,
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
To make thy riches pleasant. What’s in this ba That bears the name of life? Yet in this life Lie hid more thousand deaths; yet death we fear That makes these odds all even. CLAUDIO I humbly thank you. To sue to live, I find I seek to die, And seeking death, find life. Let it come on. ISABELLA (within) What ho! Peace here, grace, and good company!
40
PROVOST
Who’s there? Come in; the wish deserves a welcome. DUKE (to Claudio) Dear sir, ere long I’ll visit you again. CLAUDIO Most holy sir, I thank you.
46
Enter Isabella ISABELLA
My business is a word or two with Claudio. PROVOST
And very welcome. Look, signor, here’s your sister. DUKE
Provost, a word with you. PROVOST
As many as you please.
50
The Duke and Provost draw aside DUKE
Bring me to hear them speak where I may be bb concealed. They conceal themselves CLAUDIO Now sister, what’s the comfort? ISABELLA
Why, as all comforts are: most good, most good indeed. 38. What’s in = “cosa c’è”: emend. tardo; preferibile la lezione di F What’s yet in, nonostante la ripetizione di tre “yet” in tre versi consecutivi. 51. Bring me …them speak: tardo emend.; in F con poco senso: Bring them … me speak = “Portateli così che io possa ascoltarli”. 626
Shakespeare IV.indb 626
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
per goderti i tuoi beni. Cosa c’è allora in te che si può chiamare vita? In essa si celano più di mille morti. Ma è la morte che noi temiamo, la morte che queste disparità livella. CLAUDIO
Umilmente vi ringrazio. Implorando per la vita, vedo che cerco la morte, e cercando la morte trovo la vita. Che venga pure! ISABELLA (da dentro) Ehi voi! Pace, grazia e buona compagnia. BARGELLO
Chi è? Entrate. L’augurio merita un benvenuto. DUCA (a Claudio)
Caro giovane, verrò presto a trovarvi di nuovo. CLAUDIO
Grazie, reverendissimo padre. Entra Isabella ISABELLA
Vorrei rivolgere due parole a Claudio. BARGELLO
Siete benvenuta. Signore, c’è vostra sorella. DUCA
Bargello, una parola. BARGELLO
Quante ne volete. Il duca e il bargello si ritirano DUCA
Vorrei ascoltarli. Portatemi dove posso nascondermi. Si nascondono CLAUDIO
Sorella, ebbene? Quale conforto rechi? ISABELLA
Conforto? Come tutti i conforti: buono, davvero buono. Avendo
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Shakespeare IV.indb 627
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
Lord Angelo, having affairs to heaven, Intends you for his swift ambassador, Where you shall be an everlasting leiger. Therefore your best appointment make with speed. Tomorrow you set on. CLAUDIO Is there no remedy?
55
ISABELLA
None but such remedy as, to save a head, To cleave a heart in twain. CLAUDIO But is there any? ISABELLA Yes, brother, you may live. There is a devilish mercy in the judge, If you’ll implore it, that will free your life, But fetter you till death. CLAUDIO Perpetual durance?
60
65
ISABELLA
Ay, just, perpetual durance; a restraint, Though all the world’s vastidity you had, bc To a determined scope. CLAUDIO But in what nature? ISABELLA
In such a one as you consenting to’t Would bark your honour from that trunk you bear, And leave you naked. CLAUDIO Let me know the point.
71
ISABELLA
O, I do fear thee, Claudio, and I quake Lest thou a feverous life shouldst entertain, And six or seven winters more respect Than a perpetual honour. Dar’st thou die? The sense of death is most in apprehension, And the poor beetle that we tread upon In corporal sufferance finds a pang as great As when a giant dies.
75
67. Though: emend. tardo; in F Through = “attraverso”. 628
Shakespeare IV.indb 628
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
lord Angelo affari in cielo, intende inviarti subito come ambasciatore. Lassù sarai eterno delegato. Perciò, affrettati nei preparativi, domani ti metti in viaggio. CLAUDIO
Non c’è rimedio? ISABELLA
Nessuno. Se non quello che per salvare una testa, bisogna spezzare un cuore in due. CLAUDIO
Ma uno c’è? ISABELLA
Sì. Fratello, potresti anche vivere. C’è una diabolica clemenza nel giudice. Se la implori, ti renderà libera la vita, ma t’incatenerà fino alla morte. CLAUDIO
Prigione perpetua? ISABELLA
Proprio così, prigione perpetua, una restrizione che, col vasto mondo a tua portata, ti costringerebbe a un confine. CLAUDIO
Ma di quale natura? ISABELLA
Di tal natura, che se vi acconsentissi, ti strapperebbe la scorza dell’onore di dosso, e ti lascerebbe nudo131. CLAUDIO
Fammi capire. ISABELLA
Temo per te Claudio, e tremo al pensiero che tu possa darti a una vita febbrile e stimare sei o sette inverni più dell’onore perpetuo. Hai il coraggio di morire? Il senso della morte viene solo pensandoci, e il povero scarafaggio che calpestiamo prova, nella sofferenza fisica, lo stesso spasimo di un gigante che muore.
629
Shakespeare IV.indb 629
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
Why give you me this shame? Think you I can a resolution fetch From flow’ry tenderness? If I must die, I will encounter darkness as a bride, And hug it in mine arms.
CLAUDIO
80
ISABELLA
There spake my brother; there my father’s grave Did utter forth a voice. Yes, thou must die. Thou art too noble to conserve a life In base appliances. This outward-sainted deputy, Whose settled visage and deliberate word Nips youth i’th’ head and follies doth enew bd As falcon doth the fowl, is yet a devil. His fi lth within being cast, he would appear A pond as deep as hell. CLAUDIO The precise Angelo? be
85
90
ISABELLA
O, ’tis the cunning livery of hell The damnedest body to invest and cover In precise guards! Dost thou think, Claudio: If I would yield him my virginity, Thou might’st be freed! CLAUDIO O heavens, it cannot be!
95
ISABELLA
Yes, he would give’t thee, from this rank offence, So to offend him still. This night’s the time That I should do what I abhor to name, Or else thou diest tomorrow. CLAUDIO Thou shalt not do’t. ISABELLA O, were it but my life, I’d throw it down for your deliverance As frankly as a pin. CLAUDIO Thanks, dear Isabel.
100
105
89. Ennew: emend. tardo; in F emmew: possibile errore tipografico. 92. Precise: emend. tardo; in F prenzie (?); in F2 princely = “principesco”; in emend. successivi priestly = “pretesco”. Si veda anche III, 1, 95. 630
Shakespeare IV.indb 630
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
CLAUDIO
Perché mi imponi questa vergogna? Pensi forse che io possa trovare il coraggio in tenerezze infiorettate? Se devo morire, andrò incontro alla tenebra come a una sposa: per abbracciarla132. ISABELLA
Ora parla mio fratello. Ora si sente la voce della tomba di mio padre. Sì, devi morire. Sei troppo nobile per conservare la vita con vili rimedi. Questo presunto sant’uomo di un vicario, con volto deciso e parole mirate afferra i giovani alla nuca e mette al guado le loro follie come un falco la sua preda133. Eppure, è un demonio. Drenata la feccia che ha dentro, sembra una cloaca fonda come l’inferno. CLAUDIO
Proprio Angelo, il rigoroso puritano? ISABELLA
È l’astuta livrea134 dell’inferno che riveste e copre di pretenziosi paludamenti il corpo più dannato. Lo crederesti, Claudio, che, se io gli cedessi la mia verginità, tu saresti libero? CLAUDIO
Santo cielo, non può essere! ISABELLA
Sì, a prezzo di una colpa così oscena, ti darebbe la libertà di continuare a compierla. Stanotte dovrei fare ciò che mi ripugna nominare, o tu muori domani. CLAUDIO
Non devi farlo. ISABELLA
Fosse la mia vita, per la tua salvezza la butterei via come farei con uno spillo. CLAUDIO
Grazie, cara Isabella.
631
Shakespeare IV.indb 631
30/11/2018 09:32:20
MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
ISABELLA
Be ready, Claudio, for your death tomorrow. CLAUDIO
Yes. Has he affections in him That thus can make him bite the law by th’ nose When he would force it? Sure it is no sin, Or of the deadly seven it is the least. ISABELLA Which is the least?
110
CLAUDIO
If it were damnable, he being so wise, Why would he for the momentary trick Be perdurably fined? O Isabel! ISABELLA What says my brother? CLAUDIO Death is a fearful thing. ISABELLA And shamèd life a hateful.
115
CLAUDIO
Ay, but to die, and go we know not where; To lie in cold obstruction, and to rot; This sensible warm motion to become A kneaded clod, and the dilated spirit bf To bathe in fiery floods, or to reside In thrilling region of thick-ribbèd ice; To be imprisoned in the viewless winds, And blown with restless violence round about The pendent world; or to be worse than worst Of those that lawless and incertain thought Imagine howling — ’tis too horrible! The weariest and most loathèd worldly life That age, ache, penury, and imprisonment bg Can lay on nature is a paradise To what we fear of death. ISABELLA Alas, alas!
120
125
130
121. Dilated = “dilatato”, emend. tardo; in F più convincentemente delighted. 130. Penury: così in F2; in F periury (?). 632
Shakespeare IV.indb 632
30/11/2018 09:32:20
MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
ISABELLA
Sii pronto, Claudio, a morire domani. CLAUDIO
Sì. Egli ha, dunque, tali passioni da fargli menar per il naso la legge che vuole imporre? Certo non è peccato, o dei sette capitali è il minore135. ISABELLA
Qual è il minore? CLAUDIO
Se portasse alla dannazione, perché lui, saggio com’è, dovrebbe pagare in eterno per un piacere momentaneo? Oh, Isabella! ISABELLA
Cosa dice mio fratello? CLAUDIO
La morte fa paura. ISABELLA
E una vita disonorata è odiosa136. CLAUDIO
Sì, ma morire, e andare non si sa dove137; giacere in fredda costrizione, e marcire; lasciare che il caldo palpito dei sensi si muti in un grumo d’argilla, e che lo spirito gioviale si bagni in flutti di fuoco, o che dimori in gelide regioni scavate dal ghiaccio; essere prigionieri di venti invisibili, scagliati con furia implacabile attorno al mondo pendulo; o finire ancora peggio di coloro che il pensiero incerto e sregolato138 immagina urlanti – è troppo orribile! La vita terrena, la più greve e ripugnante che vecchiaia, sofferenza, penuria e prigionia possono infliggere alla natura, è un paradiso in confronto a ciò che temiamo dalla morte. ISABELLA
Santo cielo!
633
Shakespeare IV.indb 633
30/11/2018 09:32:20
MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
CLAUDIO Sweet sister, let me live.
What sin you do to save a brother’s life, Nature dispenses with the deed so far That it becomes a virtue. ISABELLA O, you beast! O faithless coward, O dishonest wretch, Wilt thou be made a man out of my vice? Is’t not a kind of incest to take life From thine own sister’s shame? What should I think? Heaven shield my mother played my father fair, For such a warpèd slip of wilderness Ne’er issued from his blood. Take my defiance, Die, perish! Might but my bending down Reprieve thee from thy fate, it should proceed. I’ll pray a thousand prayers for thy death, No word to save thee. CLAUDIO Nay, hear me, Isabel. ISABELLA O fie,fie, fie! Thy sin’s not accidental, but a trade. Mercy to thee would prove itself a bawd. ’Tis best that thou diest quickly.
135
140
145
150
[She parts from Claudio] CLAUDIO O hear me, Isabella. DUKE (coming forward to Isabella)
Vouchsafe a word, young sister, but one word.
155
ISABELLA What is your will? DUKE Might you dispense with your leisure, I would by
and by have some speech with you. The satisfaction I would require is likewise your own benefit. ISABELLA I have no superfluous leisure; my stay must be stolen out of other affairs; but I will attend you a while. DUKE [standing aside with Claudio] Son, I have overheard what hath passed between you and your sister. Angelo had never the purpose to corrupt her; only he hath made an assay of her virtue, to practise his judgement with the disposition of natures. She, having the truth 634
Shakespeare IV.indb 634
30/11/2018 09:32:21
MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
CLAUDIO
Cara sorella, fammi vivere. Il peccato che commetti salvando la vita di un fratello, la natura lo condona fino a farne una virtù. ISABELLA
Bestia! Vigliacco senza fede, miserabile disonesto, vuoi rifarti uomo grazie al mio peccato? Non è forse una specie di incesto trarre vita dal disonore di tua sorella? Cosa dovrei pensare? Voglia il cielo che mia madre non abbia ingannato mio padre, perché mai pollone così ritorto usci dal suo sangue139. Questo ti dico: muori, perisci! Se il mio umiliarmi può sottrarti al tuo destino, ebbene che il destino si compia. Dirò mille preghiere per la tua morte, non una parola per salvarti. CLAUDIO
No, ascoltami, Isabella. ISABELLA
Vergogna, è vergogna! Il tuo peccato non è accidentale, è una pratica. Ruffiana è la misericordia che ti soccorre. Meglio che tu muoia subito. (Si allontana da Claudio) CLAUDIO
Ascoltami, Isabella. DUCA (facendosi avanti verso Isabella)
Concedetemi una parola, giovane sorella, solo una parola. ISABELLA
Che cosa desiderate? DUCA
Se avete un po’ di tempo, vorrei parlarvi fra un momento. Esaudirmi è anche a vostro bene. ISABELLA
Non ho molto tempo. Restare significa sottrarmi ad altri doveri. Ma vi aspetterò per un poco. DUCA (appartato con Claudio) Figliolo, ho ascoltato quanto vi siete detti voi e vostra sorella. Angelo non ha mai avuto l’intento di corromperla. Ha solo voluto mettere a prova la sua virtù, impratichirsi nel giudizio sulle inclinazioni della natura umana. Ella, dotata di un onore impec635
Shakespeare IV.indb 635
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
of honour in her, hath made him that gracious denial which he is most glad to receive. I am confessor to Angelo, and I know this to be true. Therefore prepare yourself to death. Do not falsify your resolution with hopes that are fallible. Tomorrow you must die. Go to your knees and make ready. CLAUDIO Let me ask my sister pardon. I am so out of love with life that I will sue to be rid of it. DUKE Hold you there. Farewell.
bh
172
175
[Claudio joins Isabella] Provost, a word with you. PROVOST (coming forward) What’s your will, father? DUKE That now you are come, you will be gone. Leave
me a while with the maid. My mind promises with my habit no loss shall touch her by my company. PROVOST In good time. Exit [with Claudio] DUKE The hand that hath made you fair hath made you good. The goodness that is cheap in beauty makes beauty brief in goodness; but grace, being the soul of your complexion, shall keep the body of it ever fair. The assault that Angelo hath made to you fortune hath conveyed to my understanding; and but that frailty hath examples for his falling, I should wonder at Angelo. How will you do to content this substitute, and to save your brother? ISABELLA I am now going to resolve him. I had rather my brother die by the law than my son should be unlawfully born. But O, how much is the good Duke deceived in Angelol If ever he return and I can speak to him, I will open my lips in vain, or discover his government.
180
190
196
170. Falsify: emend. tardo; in F satisfy = “soddisfare”. 636
Shakespeare IV.indb 636
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
cabile, con la grazia gli ha reso quel rifiuto che lui è stato felice di ricevere. Sono il confessore di Angelo, e so che questo è vero. Perciò, preparatevi alla morte. Non nutrite la vostra risoluzione di speranze fallaci. Domani dovete morire. Inginocchiatevi e preparatevi. CLAUDIO
Vorrei chiedere perdono a mia sorella. Sono così disamorato della vita che implorerò di esserne liberato. DUCA
Persevera così. Addio. (Claudio va da Isabella) Bargello, una parola. BARGELLO (facendosi avanti)
Cosa desiderate, padre? DUCA
Che ora che siete venuto ve ne andiate. Lasciatemi per un po’ solo con la giovane. Il mio intento e l’abito che porto garantiscono che nulla di male le verrà dalla mia compagnia. BARGELLO
Va bene. Esce [con Claudio] DUCA
La mano che vi ha fatto bella vi ha fatto buona. La bontà povera di bellezza rende la bellezza povera di bontà; ma la grazia140, che è l’anima della vostra persona, ne conserverà sempre bello il corpo. L’affronto che vi ha fatto Angelo è giunto per fortuna a mia conoscenza; e se non fosse che la fragilità umana ha già dato esempi di quella caduta141, dovrei stupirmi di Angelo. Come farete a soddisfare il vicario e a salvare vostro fratello? ISABELLA
Vado a dargli la risposta. Preferisco che mio fratello muoia per mano della legge piuttosto che mio figlio sia generato fuori della legge. Ma, ahimè, quanto s’inganna il buon duca su Angelo! Se mai ritorna e potrò parlargli, smaschererò la sua condotta142 o le mie labbra si apriranno invano.
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
DUKE That shall not be much amiss. Yet as the matter
now stands, he will avoid your accusation: he made trial of you only. Therefore fasten your ear on my advisings. To the love I have in doing good, a remedy presents itself. I do make myself believe that you may most uprighteously do a poor wronged lady a merited benefit, redeem your brother from the angry law, do no stain to your own gracious person, and much please the absent Duke, if peradventure he shall ever return to have hearing of this business. ISABELLA Let me hear you speak farther. I have spirit to do anything that appears not foul in the truth of my spirit. DUKE Virtue is bold, and goodness never fearful. Have you not heard speak of Mariana, the sister of Frederick, the great soldier who miscarried at sea? ISABELLA I have heard of the lady, and good words went with her name. DUKE She should this Angelo have married, was affianced to her oath, and the nuptial appointed; between which time of the contract and limit of the solemnity, her brother Frederick was wrecked at sea, having in that perished vessel the dowry of his sister. But mark how heavily this befell to the poor gentlewoman. There she lost a noble and renowned brother, in his love toward her ever most kind and natural; with him, the portion and sinew of her fortune, her marriage dowry; with both, her combinate husband, this well-seeming Angelo. ISABELLA Can this be so? Did Angelo so leave her? DUKE Left her in her tears, and dried not one of them with his comfort; swallowed his vows whole, pretending in her discoveries of dishonour; in few, bestowed her on her own lamentation, which she yet
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200. Advisings. To … good,: emend. tardo; in F advisings, to … good. 638
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
DUCA
Non sarà male. E tuttavia, così come stanno le cose ora, egli confuterà le accuse, dirà che vi ha solo messo alla prova. Pertanto, ascoltate i miei consigli. All’amore che mi conduce a fare il bene si offre un rimedio. Mi sono persuaso che, in tutta correttezza, voi possiate rendere un meritato favore a una povera signora cui è stato fatto un torto, riscattare vostro fratello dalla collera della legge, non macchiare la vostra persona piena di grazia, e compiacere molto il duca assente, se il caso vuole che ritorni e venga a conoscenza di questa storia. ISABELLA
Continuate, vi ascolto. Ho animo di fare qualsiasi cosa che non appaia contraria alla mia rettitudine. DUCA
La virtù è ardita e la bontà non ha paura. Avete mai sentito parlare di Mariana, la sorella di Federico, il valoroso soldato naufragato in mare? ISABELLA
Sì ho sentito di lei, e se ne dice un gran bene. DUCA
Avrebbe dovuto sposare questo Angelo, erano fidanzati con patto giurato143, e le nozze fissate. Fra il tempo del contratto e la data della cerimonia, il fratello Federico fece naufragio, e con il suo vascello naufragò la dote della sorella. Che disgrazia fu per la povera gentildonna. Perse un fratello nobile e illustre, sempre buono e generoso nel suo affetto per lei, e con lui svanirono la sua parte e il nerbo della sua fortuna, cioè la sua dote matrimoniale. Con entrambi svanì lo sposo designato, questo Angelo dalle buone apparenze. ISABELLA
Ma è possibile? Angelo l’ha lasciata? DUCA
L’ha lasciata in lacrime, e non ne ha asciugata una sola con un po’ di conforto. Si rimangiò tutti i giuramenti con la pretesa di averla còlta nel disonore. In poche parole, la lasciò al suo dolore, di cui
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wears for his sake; and he, a marble to her tears, is washed with them, but relents not. ISABELLA What a merit were it in death to take this poor maid from the world! What corruption in this life, that it will let this man live! But how out of this can she avail? DUKE It is a rupture that you may easily heal, and the cure of it not only saves your brother, but keeps you from dishonour in doing it. ISABELLA Show me how, good father. DUKE This forenamed maid hath yet in her the continuance of her first affection. His unjust unkindness, that in all reason should have quenched her love, hath, like an impediment in the current, made it more violent and unruly. Go you to Angelo, answer his requiring with a plausible obedience, agree with his demands to the point; only refer yourself to this advantage: first, that your stay with him may not be long; that the time may have all shadow and silence in it; and the place answer to convenience. This being granted in course, and now follows all. We shall advise this wronged maid to stead up your appointment, go in your place. If the encounter acknowledge itself hereafter, it may compel him to her recompense; and hear, by this is your brother saved, your honour untainted, the poor Mariana advantaged, and the corrupt deputy scaled. The maid will I frame and make fit for his attempt. If you think well to carry this, as you may, the doubleness of the benefit defends the deceit from reproof. What think you of it? ISABELLA The image of it gives me content already, and I trust it will grow to a most prosperous perfection. DUKE It lies much in your holding up. Haste you speedily to Angelo. If for this night he entreat you to his bed,
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249-250. Time … place: così in F.; in emend. successivi place … time. 255. Hear,: emend. tardo; in F here = “qui”. 640
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ella ancora soffre per amor suo. E lui è un uomo di marmo di fronte alle sue lacrime, ne è bagnato ma non s’intenerisce. ISABELLA
Che grande merito avrebbe la morte se portasse via dal mondo quella povera giovane! E quant’è corrotta la vita che lascia vivere quell’uomo! Ma come può giovarsi lei di questa storia? DUCA
È una ferita che voi potete sanare facilmente, e la cura non solo salva vostro fratello ma salva voi dal disonore. ISABELLA
Mostratemi come, buon padre. DUCA
La giovane di cui ho parlato continua ad amarlo come il primo giorno. L’ingiusto affronto di lui, che con buone ragioni avrebbe dovuto spegnere quell’amore, lo ha reso, invece, più impetuoso e violento, come un masso che agita la corrente. Andate da Angelo, accogliete la sua richiesta con plausibile consenso, prendete accordi. Che vi si conceda però: primo, che l’incontro non si protragga a lungo, l’ora sia notturna e silenziosa, il luogo convenientemente scelto. Ciò stabilito, viene il resto. Consiglieremo alla giovane oltraggiata di andare lei all’appuntamento e prendere il vostro posto. Se dell’incontro si verrà a sapere, egli potrà essere costretto a riparare i torti. E, ascoltate, in questo modo, si salva vostro fratello, il vostro onore resta immacolato, la povera Mariana ne trae il suo vantaggio, e il corrotto vicario sarà pesato con la sua stessa bilancia. Istruirò io la giovane su come agire. Se credete di farcela, il doppio beneficio assolverà l’inganno da ogni biasimo. Cosa ne pensate? ISABELLA
La sola idea mi fa contenta, e confido che giungerà a felice soluzione. DUCA
Dipende molto dalla vostra abilità. Affrettatevi da Angelo. Se vi invita nel suo letto per stanotte, dategli soddisfazione. Io vado su-
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give him promise of satisfaction. I will presently to Saint Luke’s; there at the moated grange resides this dejected Mariana. At that place call upon me; and dispatch with Angelo, that it may be quickly. ISABELLA I thank you for this comfort. Fare you well, good father. Exit bl
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Enter Elbow, Clown, and officers ELBOW Nay, if there be no remedy for it but that you will
needs buy and sell men and women like beasts, we shall have all the world drink brown and white bastard. DUKE O heavens, what stuff is here? POMPEY ’Twas never merry world since, of two usuries, the merriest was put down, and the worser allowed by order of law, a furred gown to keep him warm — and bm furred with fox on lambskins too, to signify that craft, bn being richer than innocency, stands for the facing. ELBOW Come your way, sir. — Bless you, good father friar. DUKE And you, good brother father. What offence hath this man made you, sir? ELBOW Marry, sir, he hath offended the law; and, sir, we take him to be a thief, too, sir, for we have found upon him, sir, a strange picklock, which we have sent to the deputy. DUKE (to Pompey) Fie, sirrah, a bawd, a wicked bawd! The evil that thou causest to be done, That is thy means to live. Do thou but think What ’tis to cram a maw or clothe a back From such a filthy vice. Say to thyself, ‘From their abominable and beastly touches I drink, I eat, array myself, and live’. bo
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270. Qui, con il Duca che resta in scena, tutti i curatori seguono l’emend. di Edward Capell (1768) aprendo una nuova scena. 277. Of law, emend. tardo; in F of law;. 278. Furred: emend. tardo; in F contratto in furd. 293. Eat, array: emend. tardo; in F eat away = “me la spasso mangiando”. 642
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bito alla chiesa di San Luca dove, in una casa cinta da fossati, si è ritirata la sfortunata Mariana. Cercatemi là, e liberatevi presto di Angelo. ISABELLA
Vi ringrazio del conforto che mi date. Addio, buon padre. Esce144 Entrano Gomito, il clown e gendarmi GOMITO
Ebbene, se non c’è rimedio e si continuerà a comprare e vendere uomini e donne come bestie, vedremo il mondo intero bere vino bastardo bianco e rosso145. DUCA
Santo cielo! Che roba è questa? POMPEO
È finita l’allegria del mondo da quando delle due usure146 la più allegra è stata abolita e la peggiore autorizzata dalla legge a portare indumenti di pelliccia per tenersi calda, e pure di pelle di volpe e agnellino, a significare che la frode, essendo più ricca dell’innocenza, ne mostra gli ornamenti. GOMITO
Avanti, andiamo. – Il cielo vi benedica, buon padre frate. DUCA
Benedica anche voi, buon fratello padre. Che colpa ha commesso, signore? GOMITO
Diamine, signore, ha offeso la legge. E, signore, pensiamo che sia anche un ladro, signore, perché gli abbiamo trovato addosso, signore, uno strano grimaldello147 che abbiamo mandato al vicario. DUCA (a Pompeo) Vergogna, bel tomo di un ruffiano, un turpe ruffiano! Il male che aiuti a compiere ti dà da vivere. Pensa solo a cosa significa rimpinzarsi la pancia o ricoprirsi le terga con quel sudicio vizio. Devi dire a te stesso: “Con i loro amplessi abominevoli e bestiali, io bevo, mangio,
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
Canst thou believe thy living is a life, So stinkingly depending? Go mend, go mend. POMPEY Indeed it does stink in some sort, sir. But yet, sir, I would prove —
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DUKE
Nay, if the devil have given thee proofs for sin, Thou wilt prove his. — Take him to prison, officer. Correction and instruction must both work Ere this rude beast will profit. ELBOW He must before the deputy, sir; he has given him warning. The deputy cannot abide a whoremaster. If he be a whoremonger and comes before him, he were as good go a mile on his errand.
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DUKE
That we were all as some would seem to be — Free from our faults, or faults from seeming free. bp ELBOW His neck will come to your waist: a cord, sir. Enter Lucio POMPEY I spy comfort, I cry bail. Here’s a gentleman, and
a friend of mine.
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LUCIO How now, noble Pompey? What, at the wheels of
Caesar? Art thou led in triumph? What, is there none of Pygmalion’s images newly made woman to be had now, for putting the hand in the pocket and extracting clutched? What reply, ha? What sayst thou to this tune, matter, and method? Is’t not drowned i’th’ last rain, ha? What sayst thou, trot? Is the world as it was, man? Which is the way? Is it sad and few words? Or how? The trick of it? DUKE Still thus and thus; still worse! LUCIO How doth my dear morsel thy mistress? Procures she still, ha?
bq
320
307. Free from our: così in F2 che ricostituisce il chiasmo con la ripetizione di Free; in F: From our. 314. extracting: così in F; in emend. successivi extracting it. 644
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mi vesto e campo”. E credi tu che la tua sia una vita, se dipende da tanto lerciume? Ravvediti, ravvediti. POMPEO
In effetti, puzza un po’, signore. Eppure, signore, potrei provare… DUCA
Se il diavolo ti avesse dato prove del peccato, tu saresti la prova che sei sua creatura. – Portatelo in prigione, gendarme. Ci vuole una buona dose di correzione e istruzione prima che questa brutta bestia se ne giovi. GOMITO
Deve comparire davanti al vicario, signore. Lo ha ammonito. Il vicario non tollera i puttanieri. Se è un mezzano, gli conviene starsene alla larga, piuttosto che presentarsi. DUCA
Fossimo tutti, come per qualcuno pare che sia, liberi da colpe o le colpe libere da apparenze!148 GOMITO
Il collo gli scenderà fino alla cintola, un cordiglio, signore. Entra Lucio POMPEO
Vedo un rimedio, chiedo cauzione. Ecco che viene un gentiluomo, mio amico. LUCIO
Che succede, nobile Pompeo? Ma come? Legato al carro di Cesare? Ti portano in trionfo? Ma non c’è una statua di Pigmalione, una donna appena fatta, subito disponibile se s’infi la la mano in tasca e la si estrae chiusa?149 Cosa rispondi, eh? Cosa dici di questa sviolinata, di questa storia, del metodo? Tutto annegato nell’ultima pioggia, eh?150 Cosa dici, bella bagascia? Il mondo è quello di prima, compare? E com’è? È triste e di poche parole? Oppure? Oppure, qual è la moda? DUCA
Sempre così e colà. Sempre peggio! LUCIO
Come se la passa il mio bel bocconcino, la tua padrona? Fa sempre la mezzana, eh? 645
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POMPEY Troth, sir, she hath eaten up all her beef, and
she is herself in the tub.
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LUCIO Why, ’tis good, it is the right of it, it must be so.
Ever your fresh whore and your powdered bawd; an unshunned consequence, it must be so. Art going to prison, Pompey? POMPEY Yes, faith, sir. LUCIO Why ’tis not amiss, Pompey. Farewell. Go; say I sent thee thither. For debt, Pompey, or how? ELBOW For being a bawd, for being a bawd. LUCIO Well then, imprison him. If imprisonment be the due of a bawd, why, ’tis his right. Bawd is he doubtless, and of antiquity too — bawd born. Farewell, good Pompey. Commend me to the prison, Pompey. You will turn good husband now, Pompey; you will keep the house. POMPEY I hope, sir, your good worship will be my bail? LUCIO No, indeed, will I not, Pompey; it is not the wear. I will pray, Pompey, to increase your bondage. If you take it not patiently, why, your mettle is the more. Adieu, trusty Pompey. — Bless you, friar. DUKE And you. LUCIO Does Bridget paint still, Pompey, ha? ELBOW (to Pompey) Come your ways, sir, come. POMPEY (to Lucio) You will not bail me then, sir? LUCIO Then, Pompey, nor now. — What news abroad, friar, what news?
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
POMPEO
A dire il vero, signore, s’è mangiata tutto l’arrosto, e nel barile151 adesso ci sta lei. LUCIO
Buona cosa, la cosa giusta. Così deve essere. Fresca puttana e mezzana speziata, un’inevitabile conseguenza. Deve essere così. Vai in prigione, Pompeo? POMPEO
Purtroppo, sì. LUCIO
Beh, niente di male, Pompeo. Addio. Vai. Di’ pure che ti ci ho mandato io. Per debiti, Pompeo, o cosa? GOMITO
Perché è un mezzano, un mezzano. LUCIO
Bene, allora in prigione. Se è la prigione quel che spetta a un mezzano, allora è suo buon diritto. Non c’è dubbio che è un mezzano, e di carriera – mezzano nato. Addio, buon Pompeo. I miei rispetti alla prigione, Pompeo. Diventerai un buon padrone di casa ora, Pompeo, starai in casa. POMPEO
Spero, signore, vostra eccellenza, che pagherete la mia cauzione. LUCIO
Proprio no, non lo farò, Pompeo. Non è di moda. Pregherò, Pompeo, perché ti aumentino la pena. Se non porti pazienza, beh, il metallo ti peserà di più152. Addio, fedele Pompeo. – Il cielo vi benedica, frate. DUCA
Benedica anche voi. LUCIO
E Brigida, Pompeo, si imbelletta ancora, eh? GOMITO (a Pompeo)
Andiamo, compare, andiamo. POMPEO (a Lucio) Non pagherete la cauzione, allora, signore? LUCIO
Né allora né ora, Pompeo. – Che notizie da fuori, frate, che notizie? 647
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
ELBOW (to Pompey) Come your ways, sir, come.
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LUCIO Go to kennel, Pompey, go.
Exeunt Elbow, Pompey, and officers What news, friar, of the Duke? DUKE I know none. Can you tell me of any? LUCIO Some say he is with the Emperor of Russia; other
some, he is in Rome. But where is he, think you?
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DUKE I know not where; but wheresoever, I wish him
well. LUCIO It was a mad, fantastical trick of him to steal from
the state, and usurp the beggary he was never born to. Lord Angelo dukes it well in his absence; he puts transgression to’t. DUKE He does well in’t. LUCIO A little more lenity to lechery would do no harm in him. Something too crabbed that way, friar. DUKE It is too general a vice, and severity must cure it. LUCIO Yes, in good sooth, the vice is of a great kindred, it is well allied. But it is impossible to extirp it quite, friar, till eating and drinking be put down. They say this Angelo was not made by man and woman, after this downright way of creation. Is it true, think you? DUKE How should he be made, then? LUCIO Some report a sea-maid spawned him, some that he was begot between two stockfishes. But it is certain
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
GOMITO (a Pompeo)
Andiamo, su, andiamo. LUCIO
Va al canile, Pompeo, vai. Escono Gomito, Pompeo e i gendarmi Che notizie, frate, del duca? DUCA
Io non ne ho. E voi, che mi dite? LUCIO
C’è chi dice che è dall’Imperatore di Russia, altri dicono che è a Roma. Ma dov’è, secondo voi? DUCA
Non lo so, ma ovunque sia, gli auguro ogni bene. LUCIO
Bello scherzo ci ha fatto, una folle stravaganza, squagliarsela dallo stato e usurpare una mendicanza che per nascita non gli appartiene. Lord Angelo riesce bene a fare il duca in sua assenza. Ci dà dentro con la trasgressione. DUCA
Fa bene. LUCIO
Un po’ più di indulgenza per la fornicazione non gli farebbe male. Un po’ troppo rigido, frate. DUCA
È un vizio troppo diffuso, la severità deve curarlo. LUCIO
Sì, è vero, il vizio ha una grande famiglia e buone parentele. Ma non è possibile estirparlo del tutto, frate, finché mangiare e bere non sono proibiti. Si dice che questo Angelo non sia stato fatto da uomo e da donna, che è la via retta della creazione. Pensate che sia vero? DUCA
E come è stato fatto allora? LUCIO
C’è chi dice che a figliarlo è stata una sirena e chi lo vuole generato da due stoccafissi. Ma è certo che, quando fa acqua, la sua orina è 649
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
that when he makes water his urine is congealed ice; that I know to be true. And he is a motion ungenerative; br that’s infallible. DUKE You are pleasant, sir, and speak apace. LUCIO Why, what a ruthless thing is this in him, for the rebellion of a codpiece to take away the life of a man! Would the Duke that is absent have done this? Ere he would have hanged a man for the getting a hundred bastards, he would have paid for the nursing a thousand. He had some feeling of the sport, he knew the service, and that instructed him to mercy. DUKE I never heard the absent Duke much detected for women; he was not inclined that way. LUCIO O sir, you are deceived. DUKE ’Tis not possible. LUCIO Who, not the Duke? Yes, your beggar of fifty; and his use was to put a ducat in her clack-dish. The Duke had crochets in him. He would be drunk too, that let me inform you. DUKE You do him wrong, surely. LUCIO Sir, I was an inward of his. A shy fellow was the Duke, and I believe I know the cause of his withdrawing. DUKE What, I prithee, might be the cause? LUCIO No, pardon, ’tis a secret must be locked within the teeth and the lips. But this I can let you understand. The greater fi le of the subject held the Duke to be wise. DUKE Wise? Why, no question but he was. LUCIO A very superficial, ignorant, unweighing fellow.
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375. Is a motion ungenerative: così in F; in emend. successivi has no motion generative = “non ha moti generativi”. 650
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
ghiaccio congelato. Questo so che è vero. Ed è un fantoccio impotente. Su questo non si sbaglia. DUCA
Siete divertente, signore, e parlate troppo. LUCIO
Davvero crudele questa cosa di prendersela con i sussulti di un paio di brachette e togliere la vita a un uomo! L’avrebbe fatto il duca assente? Prima di far impiccare uno per aver figliato cento bastardi, avrebbe pagato una balia per allattarne mille. Ne sapeva qualcosa di quel passatempo, conosceva quel servizietto, e questo gli insegnava a usare clemenza. DUCA
Non ho mai sentito dire che il duca assente fosse un cacciatore di donne. Non era il tipo. LUCIO
O, signore, v’ingannate. DUCA
Non è possibile. LUCIO
Ma chi? Il duca? E allora quell’accattona di cinquant’anni, e la sua abitudine di metterle un ducato nella ciotola! Il duca aveva le sue fisime. Si ubriacava anche, ve lo dico io. DUCA
Gli fate torto, questo è certo. LUCIO
Signore, ero suo intimo. Era un tipo schivo153, il duca, e credo di sapere la ragione per cui si è allontanato. DUCA
E ditemi, vi prego, quale può essere? LUCIO
No, scusatemi. È un segreto da tener serrato fra denti e labbra. Ma questo ve lo posso sussurrare: la maggior parte dei sudditi lo riteneva saggio. DUCA
Saggio? Beh, non c’è dubbio che lo fosse. LUCIO
Un personaggio molto superficiale, ignorante, uno sconsiderato. 651
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
DUKE Either this is envy in you, folly, or mistaking. The
very stream of his life, and the business he hath helmed, must, upon a warranted need, give him a better proclamation. Let him be but testimonied in his own bringings-forth, and he shall appear to the envious a scholar, a statesman, and a soldier. Therefore you speak unskilfully, or, if your knowledge be more, it is much darkened in your malice. LUCIO Sir, I know him and I love him. DUKE Love talks with better knowledge, and knowledge with dearer love. LUCIO Come, sir, I know what I know. DUKE I can hardly believe that, since you know not what you speak. But if ever the Duke return, as our prayers are he may, let me desire you to make your answer before him. If it be honest you have spoke, you have courage to maintain it. I am bound to call upon you; and I pray you, your name? LUCIO Sir, my name is Lucio, well known to the Duke. DUKE He shall know you better, sir, if I may live to report you. LUCIO I fear you not. DUKE O, you hope the Duke will return no more, or you imagine me too unhurtful an opposite. But indeed I can do you little harm; you’ll forswear this again. LUCIO I’ll be hanged first. Thou art deceived in me, friar. But no more of this. Canst thou tell if Claudio die tomorrow or no? DUKE Why should he die, sir? LUCIO Why? For fi lling a bottle with a tundish. I would the Duke we talk of were returned again; this
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DUCA
Il vostro è malanimo, follia o errore. La sua condotta di vita e il governo degli affari gli danno merito, se ce ne fosse bisogno, di riconoscimenti migliori. Basti la testimonianza dei suoi atti per rivelare ai malevoli il dotto, lo statista e il soldato. Pertanto, voi parlate con insipienza, oppure, se anche ne sapeste di più, quel che sapete è molto obnubilato da malizia. LUCIO
Signore, lo conosco e lo amo. DUCA
L’amore parla con miglior conoscenza, e la conoscenza con più devoto amore. LUCIO
Andiamo, signore, so quel che so. DUCA
Difficile crederlo, perché non sapete quel che dite. Ma se mai il duca tornasse, come chiediamo nelle nostre preghiere, vorrei che ne rispondiate davanti a lui. Se avete parlato con onestà, avrete il coraggio di farlo. Sarò costretto a citarvi. Il vostro nome, prego? LUCIO
Lucio, signore, ben noto al duca. DUCA
E lo sarà ancora meglio, signore, se vivrò per riferirglielo. LUCIO
Non vi temo. DUCA
Voi sperate che il duca non torni più, o mi ritenete un avversario troppo innocuo. Ma in verità, posso farvi poco danno. Voi rinnegherete tutto. LUCIO
Piuttosto mi faccio impiccare. Ti inganni su di me, frate. Ora basta. Sai dirmi se Claudio morirà domani? DUCA
Perché dovrebbe morire, signore? LUCIO
Perché? Per aver messo un sifone in una bottiglia. Vorrei che il duca, di cui parliamo, fosse tornato. Se va avanti a continenza, que653
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
ungenitured agent will unpeople the province with continency. Sparrows must not build in his house-eaves, because they are lecherous. The Duke yet would have dark deeds darkly answered: he would never bring them to light. Would he were returned. Marry, this Claudio is condemned for untrussing. Farewell, good friar. I prithee pray for me. The Duke, I say to thee again, would eat mutton on Fridays. He’s not past it yet, and, I say to thee, he would mouth with a beggar, though she smelt brown bread and garlic. Say that I said so. Farewell. Exit DUKE
No might nor greatness in mortality Can censure scape; back-wounding calumny The whitest virtue strikes. What king so strong Can tie the gall up in the slanderous tongue?
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Enter Escalus, the Provost, and Mistress Overdone But who comes here? ESCALUS (to the Provost) Go, away with her to prison. MISTRESS OVERDONE Good my lord, be good to me. Your honour is accounted a merciful man, good my lord. ESCALUS Double and treble admonition, and still forfeit in the same kind! This would make mercy swear and play the tyrant. PROVOST A bawd of eleven years’ continuance, may it please your honour. MISTRESS OVERDONE My lord, this is one Lucio’s information against me. Mistress Kate Keepdown was with child by him in the Duke’s time; he promised her marriage. His child is a year and a quarter old come Philip and Jacob. I have kept it myself; and see how he goes about to abuse me. ESCALUS That fellow is a fellow of much licence. Let him be called before us. Away with her to prison. Go to, no more words. Provost, my brother Angelo will not be
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
sto delegato senza genitali spopolerà tutta la provincia. I passeri non devono nidificare nelle gronde di casa sua, perché sono lussuriosi. Il duca invece avrebbe giudicato al buio ciò che nel buio si compie, senza portarlo alla luce. Vorrei che fosse tornato. Diamine, questo Claudio è condannato per essersi aperto i pantaloni. Addio, buon padre. Ti prego, prega per me. Il duca, ti dico, mangiava carne di montone il venerdì154. Non gli è passata155 e, ti dico, farebbe lingua in bocca con una mendicante, anche se puzza di aglio e pane scuro. Di’ pure che l’ho detto io. Addio. Esce DUCA
Non c’è potere o grandezza in questo mondo che sfugga alla censura; la calunnia pugnala alle spalle la virtù più pura. Quale re dispone della forza che ci vuole per frenare il fiele nella lingua della diffamazione?156 Entrano Escalo, il bargello e Madama Sfondata Ma chi viene? ESCALO (al bargello)
Andate! Mettetela in prigione. MADAMA SFONDATA
Mio buon signore, siate buono con me. Vostro onore è ritenuto uomo misericordioso, mio buon signore. ESCALO
Ammonita due, tre, volte, e ancora ci ricasca nella solita storia! Persino la misericordia bestemmierebbe e si farebbe tiranna. BARGELLO
Una mezzana con undici anni di carriera, con licenza di vostro onore. MADAMA SFONDATA
Mio buon signore, questa è una soffiata di Lucio. Aveva messo incinta madama Kate Strafatta al tempo del duca. Aveva promesso di sposarla. Suo figlio avrà un anno e tre mesi a San Filippo e Giacomo. L’ho tenuto io, e vedete come ora mi sputtana. ESCALO
Quel tipo è un gran dissoluto. Convochiamolo. Portatela in prigione. Andate, non una parola in più. Bargello, il mio collega Angelo 655
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
altered; Claudio must die tomorrow. Let him be furnished with divines, and have all charitable preparation. If my brother wrought by my pity, it should not be so with him. PROVOST So please you, this friar hath been with him and advised him for th’entertainment of death.
469
[Exeunt Provost and Mistress Overdone] ESCALUS Good even, good father. DUKE Bliss and goodness on you. ESCALUS Of whence are you? DUKE
Not of this country, though my chance is now To use it for my time. I am a brother Of gracious order, late come from the See In special business from his Holiness. ESCALUS What news abroad i’th’ world? DUKE None, but that there is so great a fever on goodness that the dissolution of it must cure it. Novelty is only in request, and it is as dangerous to be aged in any kind of course as it is virtuous to be inconstant in any undertaking. There is scarce truth enough alive to make societies secure, but security enough to make fellowships accursed. Much upon this riddle runs the wisdom of the world. This news is old enough, yet it is every day’s news. I pray you, sir, of what disposition was the Duke? ESCALUS One that, above all other strifes, contended especially to know himself. DUKE What pleasure was he given to? ESCALUS Rather rejoicing to see another merry than merry at anything which professed to make him rejoice; a gentleman of all temperance. But leave we him to his
475
bs
489
482-483. It is as … inconstant: emend. tardo; in F: as it is as … constant. Sul piano della logica confusa del passo nessuna delle due lezioni è convincente. 656
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
non si smuoverà, Claudio deve morire domani. Mandiamogli dei preti e sia preparato con carità cristiana. Se il mio collega fosse mosso dalla mia pietà, non andrebbe così. BARGELLO
Con vostra licenza, questo frate è già stato da lui e lo ha preparato ad affrontare la morte. [Escono il bargello e Madama Sfondata] ESCALO
Buonasera, buon padre. DUCA
Pace e bene. ESCALO
Di dove siete? DUCA
Non di questo paese, anche se caso vuole ora che impieghi qui il mio tempo. Sono confratello di un ordine pio, giunto di recente dalla Santa Sede su speciale incarico di Sua Santità. ESCALO
Che novità dal mondo? DUCA
Nessuna, se non che il bene è malato e solo la sua estinzione può curarlo. Si chiede solo il nuovo: c’è pericolo nell’uso di vecchie pratiche e virtù come appare virtuoso essere incostanti in qualsiasi azione. C’è poca verità per rendere sicure le società, ma troppa sicurezza per rendere le consorterie esecrabili157. Più o meno su questo paradosso gira la saggezza del mondo. È una notizia vecchia, ma è la notizia di ogni giorno. Ditemi, signore, vi prego, di quale disposizione era il duca? ESCALO
Era uno che, al di sopra di tutto, poneva lo sforzo di conoscere se stesso158. DUCA
A quali piaceri si dava? ESCALO
Godeva più della felicità degli altri che di ciò che a lui dava piacere: un gentiluomo di temperanza. Ma lasciamolo ai suoi affari, 657
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 3 SCENE 1
events, with a prayer they may prove prosperous, and let me desire to know how you find Claudio prepared. I am made to understand that you have lent him visitation. DUKE He professes to have received no sinister measure from his judge, but most willingly humbles himself to the determination of justice. Yet had he framed to himself, by the instruction of his frailty, many deceiving promises of life, which I, by my good leisure, have discredited to him; and now is he resolved to die. ESCALUS You have paid the heavens your function, and the prisoner the very debt of your calling. I have laboured for the poor gentleman to the extremest shore of my modesty, but my brother-justice have I found so severe that he hath forced me to tell him he is indeed Justice. DUKE If his own life answer the straitness of his proceeding, it shall become him well; wherein if he chance to fail, he hath sentenced himself. ESCALUS I am going to visit the prisoner. Fare you well. DUKE Peace be with you. Exit Escalus He who the sword of heaven will bear bt Should be as holy as severe, Pattern in himself to know, Grace to stand, and virtue go, More nor less to others paying Than by self-offences weighing. Shame to him whose cruel striking Kills for faults of his own liking! Twice treble shame on Angelo, To weed my vice, and let his grow! O, what may man within him hide, Though angel on the outward side! How may likeness made in crimes
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505
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517-538. Sui problemi testuali posti da questo soliloquio si vedano le “Aggiunte al testo”. 658
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MISURA PER MISURA, ATTO III SCENA 1
con la preghiera che siano prosperi. Vorrei sapere come avete trovato Claudio. È preparato? Mi dicono che gli avete fatto visita. DUCA
Dichiara di non aver subìto misure ingiuste, e umilmente si sottomette alle decisioni della giustizia. Tuttavia, la sua fragilità gli aveva creato fallaci speranze di vita che io, con pazienza, gli ho screditato, e ora è rassegnato a morire. ESCALO
Avete reso al cielo il debito per le vostre funzioni e al prigioniero quello della vostra missione. Io ho fatto tutto quel che ho potuto per il povero gentiluomo fino ai limiti consentiti, ma ho trovato così severo il mio collega giudice da essere stato da lui costretto a dirgli che lui è la Giustizia personificata. DUCA
Se la sua vita corrisponde al rigore delle sue azioni, questo va a suo onore. Ma se per caso incorresse egli stesso in manchevolezze, si è emesso da sé la sentenza. ESCALO
Vado a trovare il prigioniero. Addio. Esce Escalo DUCA
La pace sia con voi. Colui che impugna la spada del cielo deve essere santo quanto è severo, scoprire in sé il modello della grazia nella fermezza, e della virtù nell’azione, punendo gli altri con il peso con cui pesa se stesso. Infame è chi con crudeltà uccide per colpe che anch’egli corteggia! E tre volte infame è Angelo, che estirpa il mio vizio e nutre il suo! Ahimè, cosa può celarsi dentro un uomo che angelo appare! E come può l’apparenza fatta di misfatti raggirare
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 1
Make my practice on the times bu To draw with idle spiders’ strings Most ponderous and substantial things? Craft against vice I must apply. With Angelo tonight shall lie His old betrothèd but despisèd. So disguise shall, by th’ disguisèd, Pay with falsehood false exacting, And perform an old contracting.
530
535
Exit
Mariana [discovered] with a Boy singing bv
4.1 BOY
Take, O take those lips away That so sweetly were forsworn, And those eyes, the break of day Lights that do mislead the morn; But my kisses bring again, bring again, bw Seals of love, though sealed in vain, sealed in vain.
5
Enter the Duke, disguised as a friar MARIANA
Break off thy song, and haste thee quick away. Here comes a man of comfort, whose advice Hath often stilled my brawling discontent. Exit Boy I cry you mercy, sir, and well could wish You had not found me here so musical. Let me excuse me, and believe me so: My mirth it much displeased, but pleased my woe.
10
DUKE
’Tis good; though music oft hath such a charm To make bad good, and good provoke to harm. I pray you tell me, hath anybody enquired for me here
15
530. Make my: emend. Oxford; in F Making. 0.1. Boy: emend. tardo; in F Song = “canzone”. 5-6. Bring again, bring again, / … sealed in vain, sealed in vain: così in F, F2 e F3. Nessun’altra versione della canzone registra le ripetizioni, probabilmente inserite nel testo ai fini della rappresentazione. 660
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 1
i tempi e imbrigliare con fili di ragnatele entità di più ponderosa consistenza?159 Astuzia contro il vizio devo usare. Con Angelo, stanotte, sarà la fidanzata ripudiata a giacere. Così l’inganno sarà dall’ingannata ripagato: frode contro fraudolenta esazione, e a un vecchio contratto sarà data soddisfazione160. Esce Mariana con un ragazzo che canta161
IV, 1
RAGAZZO
Scosta, scosta quelle labbra, dolci e spergiure, e quegli occhi, luci dell’alba, e lumi mendaci del mattino; ma ridammi i miei baci, tutti i miei baci, pegni d’amore invano suggellati162. Entra il duca, travestito da frate MARIANA
Smetti di cantare e vai via. Ecco un uomo che reca conforto. Con i suoi consigli egli ha spesso quietato il mio smanioso scontento. Esce il ragazzo Vi chiedo perdono, signore, e avrei desiderato che non mi aveste trovata intenta alla musica. Mi scuso, e credetemi. Molto dispiaciuta è la mia allegria, ma piacevole il dolore. DUCA
È un bene. Anche se la musica ha spesso la magia di mutare il male in bene, e portare il bene a far del male. Vi prego, ditemi,
661
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 1
today? Much upon this time have I promised here to meet. MARIANA You have not been enquired after; I have sat here all day.
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Enter Isabella DUKE I do constantly believe you; the time is come even
now. I shall crave your forbearance a little. Maybe I will call upon you anon, for some advantage to yourself. MARIANA I am always bound to you. Exit DUKE Very well met, and welcome. What is the news from this good deputy?
25
ISABELLA
He hath a garden circummured with brick, Whose western side is with a vineyard backed; And to that vineyard is a plankèd gate, That makes his opening with this bigger key. This other doth command a little door Which from the vineyard to the garden leads. There have I made my promise bx Upon the heavy middle of the night To call upon him.
30
35
DUKE
But shall you on your knowledge find this way? ISABELLA
I have ta’en a due and wary note upon’t. With whispering and most guilty diligence, In action all of precept, he did show me The way twice o’er. DUKE Are there no other tokens Between you ’greed concerning her observance?
40
33-35. There … promise / … night / … him: emend. tardo; in F There … promise, upon the / … night, … him: due e non tre versi. 662
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 1
qualcuno ha chiesto di me oggi? Ho fissato un incontro più o meno a quest’ora. MARIANA
Non è venuto nessuno, e sono stata qui tutto il giorno. Entra Isabella DUCA
Vi credo come sempre. L’ora è appena giunta. Vi pregherei di assentarvi per un poco. È probabile che vi chiami fra non molto per qualcosa che è a vostro bene. MARIANA
Vi sono sempre obbligata. Esce DUCA
Bentrovata e benvenuta. Quali novità da questo buon vicario? ISABELLA
Ha un giardino recintato da un muro, chiuso a ponente da una vigna a cui s’accede da un cancello di legno che si apre con questa chiave più grande. Quest’altra apre invece una porticina che dalla vigna immette nel giardino. Lì ho promesso di incontralo nel cuore della notte. DUCA
Ma sapete come arrivarci? ISABELLA
Ne ho preso debita nota. Bisbigliando con diligenza e senso di colpa, a gesti e a parole, egli mi ha mostrato due volte la strada. DUCA
E non avete preso altri accordi sulle misure da osservare?
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Shakespeare IV.indb 663
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 1
ISABELLA
No, none, but only a repair i’th’ dark, And that I have possessed him my most stay Can be but brief, for I have made him know I have a servant comes with me along That stays upon me, whose persuasion is I come about my brother. DUKE ’Tis well borne up. I have not yet made known to Mariana A word of this. — What ho, within! Come forth! Enter Mariana (To Mariana) I pray you be acquainted with this maid. She comes to do you good. ISABELLA I do desire the like. DUKE (to Mariana) Do you persuade yourself that I respect you?
45
51
MARIANA
Good friar, I know you do, and so have found it. by DUKE
Take then this your companion by the hand, Who hath a story ready for your ear. I shall attend your leisure; but make haste, The vaporous night approaches. MARIANA (to Isabella) Will’t please you walk aside? [Exeunt Mariana and Isabella]
55
DUKE
O place and greatness, millions of false eyes bz Are stuck upon thee; volumes of report Run with their false and most contrarious quest ca Upon thy doings; thousand escapes of wit Make thee the father of their idle dream, And rack thee in their fancies.
60
53. And so have found: così in F; in emend. successivi and so I have found: si inserisce il soggetto, I. 58-63. O… fancies: su questo soliloquio si vedano le “Aggiunte al testo”. 60. Their: emend. Oxford; these … quest: così in F; in F2 quests; in emend. successivi their … quests. 664
Shakespeare IV.indb 664
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 1
ISABELLA
No, nessun altro, solo un incontro al buio, e che la mia permanenza sia breve, perché, gli ho detto, ci sarà una fantesca ad aspettarmi, convinta che io mi rechi lì per mio fratello. DUCA
Ben architettato. Non ho ancora informato Mariana di tutto questo. È dentro. Venite pure fuori! Entra Mariana (A Mariana) Voglio che conosciate questa giovane, è qui per il vostro bene. ISABELLA
È quel che desidero anch’io. DUCA (a Mariana)
Siete persuasa che ho a cuore il vostro interesse? MARIANA
Buon frate, ne sono convinta, e ne ho prove. DUCA
Prendete allora per mano questa vostra amica, ha una storia da raccontarvi. Vi aspetterò, ma fate presto, la notte, con i suoi vapori, si avvicina. MARIANA (a Isabella) Venite, vi prego, accompagnatemi. [Escono Mariana e Isabella] DUCA
Grandezza del rango! Milioni di occhi infidi ti guardano, cumuli di dicerie scatenano una canizza mendace e ostile sulle tue azioni; migliaia di ingegnose trovate ti fanno padre dei loro vani sogni e ti disfigurano con le loro fantasie163.
665
Shakespeare IV.indb 665
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
[Enter Mariana and Isabella] Welcome. How agreed? ISABELLA
She’ll take the enterprise upon her, father, If you advise it. DUKE It is not my consent, But my entreaty too. ISABELLA (to Mariana) Little have you to say When you depart from him but, soft and low, ‘Remember now my brother’. MARIANA Fear me not.
65
DUKE
Nor, gentle daughter, fear you not at all. He is your husband on a pre-contract. To bring you thus together ’tis no sin, Sith that the justice of your title to him Doth flourish the deceit. Come, let us go. Our corn’s to reap, for yet our tilth’s to sow. cb 4.2
70
Exeunt
Enter the Provost and Pompey
PROVOST Come hither, sirrah. Can you cut off a man’s
head? POMPEY If the man be a bachelor, sir, I can; but if he be a married man, he’s his wife’s head, and I can never cut off a woman’s head. PROVOST Come, sir, leave me your snatches, and yield me a direct answer. Tomorrow morning are to die Claudio and Barnardine. Here is in our prison a common executioner, who in his office lacks a helper. If you will take it on you to assist him, it shall redeem you from your gyves; if not, you shall have your full time of imprisonment, and your deliverance with an unpitied whipping; for you have been a notorious bawd.
5
13
74. Tilth’s: emend. tardo; in F tithes. 666
Shakespeare IV.indb 666
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
Entrano Mariana e Isabella Bentornate. Vi siete messe d’accordo? ISABELLA
Si assume lei il compito di agire, padre, se voi lo consigliate. DUCA
Non solo lo consiglio, ma lo chiedo caldamente. ISABELLA (a Mariana)
Non dovete dirgli molto quando lo lascerete, se non, sussurrando, “Ora ricordati di mio fratello”. MARIANA
Non temete. DUCA
No, cara figliola, non c’è nulla da temere. Egli è vostro marito per precontratto. Congiungervi così non è peccato, il giusto titolo che avete164 dà decoro all’inganno. Avanti, andiamo. Dobbiamo seminare la nostra dècima, per mietere il raccolto. Escono IV, 2
Entrano il bargello e Pompeo165
BARGELLO
Venite qui, compare. Sapete tagliare la testa a un uomo? POMPEO
Se l’uomo è scapolo, signore, sì, ma se è sposato, egli è il capo di sua moglie166, e non potrei mai tagliare la testa a una donna. BARGELLO
Andiamo, compare, lasciate perdere le facezie e datemi una risposta precisa. Domani mattina devono morire Claudio e Bernardino. In prigione abbiamo un boia titolare, ma ha bisogno di un aiutante. Se vi prestate a dargli assistenza, sarete liberato dai ceppi, altrimenti passerete il tempo in prigione e ne uscirete con una bella fustigata, perché siete stato un notorio mezzano.
667
Shakespeare IV.indb 667
30/11/2018 09:32:23
MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
POMPEY Sir, I have been an unlawful bawd time out of
mind, but yet I will be content to be a lawful hangman. I would be glad to receive some instruction from my fellow partner. PROVOST What ho, Abhorson! Where’s Abhorson there? Enter Abhorson ABHORSON Do you call, sir?
19
PROVOST Sirrah, here’s a fellow will help you tomorrow
in your execution. If you think it meet, compound with him by the year, and let him abide here with you; if not, use him for the present, and dismiss him. He cannot plead his estimation with you; he hath been a bawd. ABHORSON A bawd, sir? Fie upon him, he will discredit our mystery. PROVOST Go to, sir, you weigh equally; a feather will turn the scale. Exit POMPEY Pray, sir, by your good favour — for surely, sir, a good favour you have, but that you have a hanging look — do you call, sir, your occupation a mystery? ABHORSON Ay, sir, a mystery. POMPEY Painting, sir, I have heard say is a mystery; and your whores, sir, being members of my occupation, using painting, do prove my occupation a mystery. But what mystery there should be in hanging, if I should be hanged I cannot imagine. ABHORSON Sir, it is a mystery. POMPEY Proof.
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32
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Shakespeare IV.indb 668
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
POMPEO
Signore, sono stato un mezzano fuorilegge da tempo immemorabile, ma ora m’accontento di essere un boia per la legge. Ben felice che il mio collega mi istruisca. BARGELLO
Ehi! Abhorson!167 Dov’è Abhorson? Entra Abhorson ABHORSON
Mi avete chiamato, signore? BARGELLO
Ecco qui uno che domani vi aiuterà nell’esecuzione. Se vi convince, mettetevi d’accordo con lui su base annua, e che stia con voi, altrimenti servitevene questa volta, e poi mollatelo. Non può avanzare pretese, è stato un mezzano. ABHORSON
Un mezzano, signore? E no, è una vergogna, screditerà la nostra arte168. BARGELLO
Andiamo, siete dello stesso calibro. Basta una piuma a far pendere la bilancia. Esce POMPEO
Scusate, signore, col vostro favore169 – perché certamente, signore, avete un bel faccione, anche se da forcaiolo – ma voi, signore, chiamate il vostro mestiere un’arte? ABHORSON
Sì, signore, un’arte. POMPEO
La pittura, signore, ho sentito dire, è un’arte; e le puttane, signore, che sono parte del mio mestiere, e usano pitturarsi, provano che il mio mestiere è un’arte. Ma che arte c’è nell’impiccagione, non riuscirei a immaginarlo neanche se m’impiccassero. ABHORSON
Signore, è un’arte. POMPEO
Qua la prova. 669
Shakespeare IV.indb 669
30/11/2018 09:32:23
MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
ABHORSON Every true man’s apparel fits your thief — POMPEY If it be too little for your thief, your true man
thinks it big enough. If it be too big for your thief, your thief thinks it little enough. So every true man’s apparel fits your thief.
45
Enter Provost PROVOST Are you agreed? POMPEY Sir, I will serve him, for I do find your hangman
is a more penitent trade than your bawd — he doth oftener ask forgiveness. PROVOST (to Abhorson) You, sirrah, provide your block and your axe tomorrow, four o’clock. ABHORSON (to Pompey) Come on, bawd, I will instruct thee in my trade. Follow. POMPEY I do desire to learn, sir, and I hope, if you have occasion to use me for your own turn, you shall find me yare. For truly, sir, for your kindness I owe you a good turn.
51
cc
57
PROVOST
Call hither Barnardine and Claudio. Exeunt Abhorson and Pompey Th’one has my pity; not a jot the other, Being a murderer, though he were my brother.
60
Enter Claudio Look, here’s the warrant, Claudio, for thy death. ’Tis now dead midnight, and by eight tomorrow Thou must be made immortal. Where’s Barnardine? CLAUDIO
As fast locked up in sleep as guiltless labour When it lies starkly in the travailer’s bones. cd He will not wake.
65
56. Yare: così in F = y’are: variazione ortografica. 65. Travailer’s: emend. tardo; in F: travellers = “viandanti”. 670
Shakespeare IV.indb 670
30/11/2018 09:32:24
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
ABHORSON
L’abito dell’uomo onesto s’adatta al ladro… POMPEO
Se è troppo stretto per il ladro, al vostro uomo onesto sembrerà invece largo. Se è troppo largo per il ladro, il ladro pensa che è stretto. Così l’abito di ogni uomo onesto s’adatta al vostro ladro170. Entra il bargello BARGELLO
Vi siete accordati? POMPEO
Signore, lo servirò, perché trovo che nel fare il boia c’è più penitenza che nel mestiere di mezzano. Il boia chiede più spesso perdono171. BARGELLO (a Abhorson) Orsù, preparate ceppo e mannaia per domani. Alle quattro. ABHORSON (a Pompeo) Andiamo, mezzano. Ti istruirò sul mio mestiere. Seguimi. POMPEO
Desidero imparare, signore, e spero, se ne avrete l’occasione, di servirmi di me, quando sarà la vostra volta, mi troverete preparato. Perché, davvero, signore, per la vostra gentilezza, vi devo una buona svolta172. BARGELLO
Fate venire Bernardino e Claudio. Escono Abhorson e Pompeo Uno mi fa pena, l’altro per nulla, un assassino, fosse pure mio fratello. Entra Claudio Guarda, Claudio, ecco l’ordine per l’esecuzione. Ora è mezzanotte e domani per le otto sarai fatto immortale173. Dov’è Bernardino? CLAUDIO
Sigillato nel sonno come la fatica innocente quando s’addensa nelle ossa del lavoratore174. Non si sveglierà.
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Shakespeare IV.indb 671
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
Who can do good on him? Well, go prepare yourself.
PROVOST
Knocking within But hark, what noise? Heaven give your spirits comfort! Exit Claudio [Knocking again] By and by! I hope it is some pardon or reprieve For the most gentle Claudio. Enter the Duke, disguised as a friar Welcome, father.
70
DUKE
The best and wholesom’st spirits of the night Envelop you, good Provost! Who called here of late? PROVOST None since the curfew rung. DUKE Not Isabel? PROVOST No. DUKE They will then, ere’t be long. PROVOST What comfort is for Claudio? DUKE There’s some in hope. PROVOST It is a bitter deputy.
75
DUKE
Not so, not so; his life is paralleled Even with the stroke and line of his great justice. He doth with holy abstinence subdue That in himself which he spurs on his power To qualify in others. Were he mealed with that Which he corrects, then were he tyrannous; But this being so, he’s just.
80
85
Knocking within Now are they come. [The Provost goes to a door]
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Shakespeare IV.indb 672
30/11/2018 09:32:24
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
BARGELLO
Chi può ravvederlo? Andate, preparatevi. Bussano alla porta da dentro Ma attenti, cos’è questo battere? Che il cielo vi ispiri! Esce Claudio [Bussano ancora] Eccomi! Speriamo in un perdono o un rinvio per il nobile Claudio. Entra il duca, travestito da frate Benvenuto padre. DUCA
Che gli spiriti più benigni della notte, i più sani, vi stiano a fianco, buon bargello! È venuto qualcuno stasera? BARGELLO
Nessuno da quando è scattato il coprifuoco. DUCA
Nemmeno Isabella? BARGELLO
No. DUCA
Allora, saranno presto qui. BARGELLO
Qualche conforto per Claudio? DUCA
C’è nella speranza. BARGELLO
Il vicario è severo. DUCA
No, no. La sua vita corre a fi lo e in parallelo lungo le linee e i segni della sua grande giustizia175. Con santa astinenza mortifica in se stesso ciò che sprona il suo potere a redimere negli altri. Se invece ne portasse anche lui la macchia, sarebbe un tiranno. Ma così come è, egli è giusto. Bussano da dentro Eccoli. [Il bargello va alla porta] 673
Shakespeare IV.indb 673
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
This is a gentle Provost. Seldom when The steelèd jailer is the friend of men. Knocking within (To Provost) How now, what noise? That spirit’s possessed with haste That wounds th’unlisting postern with these strokes. ce PROVOST
There he must stay until the officer Arise to let him in. He is called up.
91
DUKE
Have you no countermand for Claudio yet, But he must die tomorrow? PROVOST None, sir, none. DUKE
As near the dawning, Provost, as it is, You shall hear more ere morning. PROVOST Happily You something know, yet I believe there comes No countermand. No such example have we; Besides, upon the very siege of justice Lord Angelo hath to the public ear Professed the contrary.
95
100
Enter a Messenger This is his lordship’s man. cf [DUKE] And here comes Claudio’s pardon. cg MESSENGER (giving a paper to Provost) My lord hath sent you this note, and by me this further charge: that you swerve not from the smallest article of it, neither in time, matter, or other circumstance. Good morrow; for, as I take it, it is almost day. PROVOST I shall obey him. Exit Messenger 90. Unlisting: emend. tardo; in F unsisting (?); in emend. successivi unshifting = “che non oscilla”. 102. Lordship’s: emend. tardo; in F abbreviato in lords. 103. [DUKE]: emend. Oxford; in F la battuta And here comes è attribuita al Bargello non al Duca. 674
Shakespeare IV.indb 674
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
È un buon bargello. Rara è la solidarietà umana in un incallito carceriere. Bussano da dentro (Al bargello) Cosa c’è, chi bussa? È uno spirito posseduto dalla fretta quello che infierisce sulla solida posterla con questi colpi. BARGELLO
E lì resta, fino a quando non arriva il gendarme che gli apre. È stato chiamato. DUCA
Non avete avuto contrordini per Claudio? Deve morire domani? BARGELLO
Nessun contrordine, signore, nessuno. DUCA
Anche se è quasi l’alba, bargello, prima del mattino ne saprete di più. BARGELLO
Forse voi sapete qualcosa, ma non credo che arrivi un contrordine. Non ci sono precedenti. E poi, dal seggio della giustizia, lord Angelo ha pubblicamente dichiarato il contrario. Entra un messo È il messo di sua signoria. [DUCA] Ecco la grazia per Claudio. MESSO (consegna un documento al bargello) Il mio signore vi manda questa missiva e, per mio tramite, ulteriori istruzioni: che non vi discostiate dal più piccolo dettaglio qui contenuto, riguardo all’ora, alla sostanza, o altro. Buon giorno, perché, a quanto pare, è quasi giorno. BARGELLO
Obbedirò. Esce il messo
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
DUKE (aside)
This is his pardon, purchased by such sin For which the pardoner himself is in. Hence hath offence his quick celerity, When it is borne in high authority. When vice makes mercy, mercy’s so extended That for the fault’s love is th’offender friended. — Now sir, what news? PROVOST I told you: Lord Angelo, belike thinking me remiss in mine office, awakens me with this unwonted putting-on; methinks strangely, for he hath not used it before. DUKE Pray you let’s hear. [PROVOST] (reading the letter) ‘Whatsoever you may hear to the contrary, let Claudio be executed by four of the clock, and in the afternoon Barnardine. For my better satisfaction, let me have Claudio’s head sent me by five. Let this be duly performed, with a thought that more depends on it than we must yet deliver. Thus fail not to do your office, as you will answer it at your peril.’ What say you to this, sir? DUKE What is that Barnardine, who is to be executed in th’afternoon? PROVOST A Bohemian born, but here nursed up and bred; one that is a prisoner nine years old. DUKE How came it that the absent Duke had not either delivered him to his liberty or executed him? I have heard it was ever his manner to do so. PROVOST His friends still wrought reprieves for him; and indeed his fact, till now in the government of Lord Angelo, came not to an undoubtful proof. DUKE It is now apparent? PROVOST Most manifest, and not denied by himself.
110
115
120 ch
129
136
140
122. [Provost reading the letter]: emend. tardo; in F: The Letter su rigo a sé stante. 676
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
DUCA (a parte)
Questa è la sua grazia, comperata con un peccato di cui colui che perdona è responsabile. Perciò si fa presto quando la colpa nasce in alto. Il vizio che offre clemenza ne estende la portata e, fraternizzando con l’amore per il peccato, il colpevole ne esce graziato176. Che notizie, signore? BARGELLO
Ve l’avevo detto. Forse lord Angelo mi ritiene inadempiente nel mio lavoro. Mi sollecita con questo insolito richiamo. È strano, perché non l’ha mai fatto prima. DUCA
Vi prego, sentiamo. BARGELLO (leggendo la lettera)
“Qualsiasi cosa udiate sul contrario, Claudio va giustiziato alle quattro in punto, e Bernardino nel pomeriggio. E per mia maggiore assicurazione, fatemi mandare la testa di Claudio alle cinque. Che tutto sia eseguito a dovere, considerando che da ciò dipende molto di più di quanto possiamo comunicare ora. Dunque, non mancate nel vostro dovere o ne risponderete di persona”. Che ne dite, signore? DUCA
Chi è questo Bernardino che deve essere giustiziato nel pomeriggio? BARGELLO
Un boemo di nascita, ma cresciuto qui. È in prigione da nove anni. DUCA
Come mai il duca assente non lo ha rimesso in libertà né fatto giustiziare? Ho sentito dire che di solito questo era il suo costume. BARGELLO
I suoi amici hanno sempre ottenuto rinvii e, in verità, il suo misfatto, sino ad ora, con l’amministrazione di Angelo, non è mai stato provato con certezza. DUCA
Ed è provato ora? BARGELLO
Chiarissimo, e lui non nega.
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
DUKE Hath he borne himself penitently in prison? How
seems he to be touched? PROVOST A man that apprehends death no more dreadfully
but as a drunken sleep; careless, reckless, and fearless of what’s past, present, or to come; insensible of mortality, and desperately mortal. DUKE He wants advice. PROVOST He will hear none. He hath evermore had the liberty of the prison. Give him leave to escape hence, he would not. Drunk many times a day, if not many days entirely drunk. We have very oft awaked him as if to carry him to execution, and showed him a seeming warrant for it; it hath not moved him at all. DUKE More of him anon. There is written in your brow, Provost, honesty and constancy. If I read it not truly, my ancient skill beguiles me. But in the boldness of my cunning, I will lay myself in hazard. Claudio, whom here you have warrant to execute, is no greater forfeit to the law than Angelo who hath sentenced him. To make you understand this in a manifested effect, I crave but four days’ respite, for the which you are to do me both a present and a dangerous courtesy. PROVOST Pray sir, in what? DUKE In the delaying death. PROVOST Alack, how may I do it, having the hour limited, and an express command under penalty to deliver his head in the view of Angelo? I may make my case as Claudio’s to cross this in the smallest. DUKE By the vow of mine order, I warrant you, if my instructions may be your guide, let this Barnardine be this morning executed, and his head borne to Angelo. PROVOST Angelo hath seen them both, and will discover the favour.
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154
165
174
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
DUCA
Ha mostrato d’essersi pentito in prigione? Si è contrito? BARGELLO
È un uomo che non pensa alla morte come a qualcosa di spaventoso ma come al sonno di un ubriaco. È indifferente e incurante: il passato, il presente e il futuro non gli fanno paura. È estraneo all’idea della morte tanto quanto ne è disperata preda. DUCA
Ha bisogno di consigli. BARGELLO
Non li ascolta. Ha sempre avuto libertà di movimenti in prigione. Se gli si apre la porta per fuggire, non se ne serve. È ubriaco più volte al giorno, se non completamente per più giorni di seguito. Spesso lo abbiamo svegliato, fingendo di portarlo al patibolo con un ordine di esecuzione ben in mostra, ma la cosa non lo ha scosso affatto. DUCA
Ne riparliamo. Bargello, avete scritte in fronte onestà e coerenza. Se leggo male, m’inganna l’esperienza. Ma, confidando nella mia perspicacia, rischio. Claudio, per il quale avete un ordine di esecuzione, non ha trasgredito la legge più di Angelo che lo ha condannato. Perché possiate constatarlo meglio, chiedo quattro giorni di tempo e una cortesia immediata e rischiosa. BARGELLO
E quale, signore? DUCA
Procrastinare la morte. BARGELLO
Ahimè, come posso farlo, con le ore fissate e un ordine preciso di mandare bene in vista la testa a Angelo? Per di più sotto minaccia di pena. Cadrei nella situazione di Claudio se sgarrassi anche di poco. DUCA
Sui voti del mio ordine, garantisco io, se seguite le mie istruzioni. Fate giustiziare Bernardino stamattina e mandate la sua testa a Angelo. BARGELLO
Angelo li ha visti entrambi e riconoscerà la faccia. 679
Shakespeare IV.indb 679
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 2
DUKE O, death’s a great disguiser, and you may add to
it. Shave the head and tie the beard, and say it was the desire of the penitent to be so bared before his death; you know the course is common. If anything fall to you upon this more than thanks and good fortune, by the saint whom I profess, I will plead against it with my life. PROVOST Pardon me, good father, it is against my oath. DUKE Were you sworn to the Duke or to the deputy? PROVOST To him and to his substitutes. DUKE You will think you have made no offence if the Duke avouch the justice of your dealing? PROVOST But what likelihood is in that? DUKE Not a resemblance, but a certainty. Yet since I see you fearful, that neither my coat, integrity, nor persuasion can with ease attempt you, I will go further than I meant, to pluck all fears out of you. (Showing a letter) Look you, sir, here is the hand and seal of the Duke. You know the character, I doubt not, and the signet is not strange to you? PROVOST I know them both. DUKE The contents of this is the return of the Duke. You shall anon over-read it at your pleasure, where you shall find within these two days he will be here. This is a thing that Angelo knows not, for he this very day receives letters of strange tenor, perchance of the Duke’s death, perchance entering into some monastery; but by chance nothing of what is writ. Look, th’unfolding star calls up the shepherd. Put not yourself into amazement how these things should be. All difficulties are but easy when they are known. Call your executioner, and off with Barnardine’s head. I will give
181
186
195
ci
202. Writ: così in F; in emend. successivi here writ = “qui scritto”, right = “giusto”. 680
Shakespeare IV.indb 680
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 2
DUCA
Oh, la morte è una grande trasformatrice, e voi potete darle una mano. Rasategli il capo e legategli177 la barba, e dite che fu desiderio del penitente essere così tonsurato prima di morire. È un’usanza comune, lo sapete. Se per questo vi capitasse qualcosa di diverso da un grazie e arrivederci, per il santo a cui mi sono votato, vi difenderò con la mia vita. BARGELLO
Chiedo venia, buon padre, ma è contro il giuramento che ho prestato. DUCA
Avete giurato al duca o al vicario? BARGELLO
A lui e ai suoi sostituti. DUCA
Penserete di non aver trasgredito se il duca confermerà che avete agito in modo giusto? BARGELLO
Ma che probabilità c’è? DUCA
Non una probabilità ma una certezza. Tuttavia, poiché vi vedo timoroso al punto che né il mio abito né la mia integrità né l’opera di persuasione riescono facilmente a tentarvi, al fine di togliervi ogni timore, andrò oltre le mie intenzioni. (Mostra una lettera) Guardate qui, signore, ecco la scrittura e il sigillo del duca. Conoscete la calligrafia, non ho dubbi, e il suo sigillo non vi è nuovo. BARGELLO
Li conosco entrambi. DUCA
Vi è scritto del ritorno del duca. Potete leggerla con calma, e scoprirete che entro due giorni il duca sarà qui. Angelo non lo sa, perché oggi stesso riceverà lettere di strano tenore, nelle quali si dice che forse il duca è morto, o che forse si sta ritirando in un monastero. Nulla di tutto ciò. Guardate, la stella del mattino chiama il pastore. Non fatevi confondere dal perché e per come di queste cose, tutte le difficoltà si superano quando le riconosciamo per tali. Chiamate il boia e fate mozzare la testa a Bernardino. Vado subito 681
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
him a present shrift, and advise him for a better place. Yet you are amazed; but this shall absolutely resolve you. Come away, it is almost clear dawn. Exeunt 4.3
Enter Pompey
POMPEY I am as well acquainted here as I was in our
house of profession. One would think it were Mistress Overdone’s own house, for here be many of her old customers. First, here’s young Master Rash; he’s in for a commodity of brown paper and old ginger, nine score and seventeen pounds, of which he made five marks ready money. Marry, then ginger was not much in request, for the old women were all dead. Then is there here one Master Caper, at the suit of Master Threepile the mercer, for some four suits of peach-coloured satin, which now peaches him a beggar. Then have we here young Dizzy, and young Master Deepvow, and Master Copperspur and Master Starve-lackey the rapier and dagger man, and young Drop-hair that killed lusty Pudding, and Master Forthright the tilter, and brave Master Shoe-tie the great traveller, and wild Half-can that stabbed Pots, and I think forty more, all great doers in our trade, and are now ‘for the Lord’s sake’.
cj ck
Enter Abhorson ABHORSON Sirrah, bring Barnardine hither.
19
POMPEY Master Barnardine! You must rise and be hanged,
Master Barnardine! ABHORSON What ho, Barnardine! BARNARDINE (within) A pox o’ your throats! Who makes
that noise there? What are you?
24
POMPEY Your friends, sir; the hangman. You must be so
good, sir, to rise and be put to death.
14. Drop-hair: emend. Oxford; in F Drop-heir = “Taglia-eredi”. 15. Forthright: emend. tardo; in F Forthlight (?). 682
Shakespeare IV.indb 682
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
a confessarlo e a preparalo per un posto migliore. Ma siete ancora confuso: questa vi convincerà in pieno. Andiamo, è quasi l’alba. Escono IV, 3
Entra Pompeo178
POMPEO
Questo posto mi è familiare come una casa della nostra professione179. Qui mi ritrovo come da Madama Sfondata, perché ne vedo parecchi dei suoi vecchi clienti. Anzitutto, il giovane mastro Scapato. È dentro per una partita di carta scadente e zenzero ammuffito, valutata centonovantasette sterline, da cui ha ricavato cinque marchi in contanti180. Diamine, all’epoca non c’era richiesta di zenzero, forse perché le donne anziane se n’erano andate all’altro mondo181. Poi c’è mastro Piroetta, su denuncia di mastro Trevelluti, il merciaio, per quattro vestiti di satin color pesca, che ora gli fanno pescar miseria. E poi c’è il giovane Svampito, e il giovane mastro Votidamore, e mastro Spronidoro, e mastro Affamalacchè con daga e stiletto, e il giovane Tagliapelo che ha ammazzato Ciccione l’ingordo, e mastro Sonpronto, quello dei tornei, e il fantasioso mastro Uncinetto, il grande viaggiatore, e lo sfrenato Mezzapinta che diede una pugnalata a Boccale, e ce n’è almeno altri quaranta, tutti grandi imprenditori nel nostro commercio, e ora ridotti all’elemosina “per misericordia”182. Entra Abhorson ABHORSON
Bando alle chiacchiere, portate qui Bernardino, compare. POMPEO
Mastro Bernardino! Dovete alzarvi e farvi impiccare, mastro Bernardino. ABHORSON
Ehi, Bernardino! BERNARDINO (da dentro)
Che vi prenda la peste in gola! Chi è che fa questo casino? Chi siete? POMPEO
Amici vostri, signore, il boia. Dovete essere così gentile, signore, da alzarvi e farvi mettere a morte. 683
Shakespeare IV.indb 683
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
BARNARDINE Away, you rogue, away! I am sleepy. ABHORSON Tell him he must awake, and that quickly too. POMPEY Pray,
Master Barnardine, awake till you are executed, and sleep afterwards. ABHORSON Go in to him and fetch him out. POMPEY He is coming, sir, he is coming. I hear his straw rustle. ABHORSON Is the axe upon the block, sirrah? POMPEY Very ready, sir.
30
35
Enter Barnardine BARNARDINE How now, Abhorson, what’s the news with
you? ABHORSON Truly, sir, I would desire you to clap into your
prayers, for, look you, the warrant’s come. BARNARDINE You rogue, I have been drinking all night. I am not fitted for’t. POMPEY O, the better, sir; for he that drinks all night, and is hanged betimes in the morning, may sleep the sounder all the next day.
41
Enter the Duke, disguised as a friar ABHORSON (to Barnardine) Look you, sir, here comes your
ghostly father. Do we jest now, think you?
46
DUKE (to Barnardine) Sir, induced by my charity, and
hearing how hastily you are to depart, I am come to advise you, comfort you, and pray with you.
684
Shakespeare IV.indb 684
30/11/2018 09:32:25
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
BERNARDINO
Vattene brutta canaglia, vattene! Ho sonno. ABHORSON
Digli che si deve svegliare, e anche di corsa. POMPEO
Vi prego, mastro Bernardino, state sveglio fino all’esecuzione, poi dormirete. ABHORSON
Andate dentro e portatelo qui. POMPEO
Arriva, signore, arriva. Sento il fruscio del pagliericcio. ABHORSON
La mannaia è sul ceppo, compare? POMPEO
Pronta, signore. Entra Bernardino BENARDINO
E allora, Abhorson, che nuove mi racconti? ABHORSON
Ebbene, signore, vorrei che vi raccoglieste in preghiera perché, vedete, l’ordine è qui. BERNARDINO
Bella canaglia, ho bevuto tutta la notte, non sono pronto183. POMPEO
Oh, è meglio, signore, perché chi ha bevuto tutta la notte ed è impiccato presto al mattino dorme sodo fino al giorno dopo. Entra il duca travestito da frate ABHORSON (a Bernardino)
Guardate, signore, ecco il vostro padre spirituale. Stiamo scherzando, che ne dite? DUCA (a Bernardino) Signore, mosso dalla mia carità, avendo sentito della vostra imminente dipartita, sono venuto a darvi consiglio, conforto, e a pregare con voi.
685
Shakespeare IV.indb 685
30/11/2018 09:32:25
MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
BARNARDINE Friar, not I. I have been drinking hard all
night, and I will have more time to prepare me, or they shall beat out my brains with billets. I will not consent to die this day, that’s certain. DUKE
O sir, you must; and therefore, I beseech you, Look forward on the journey you shall go. BARNARDINE I swear I will not die today, for any man’s persuasion. DUKE But hear you — BARNARDINE Not a word. If you have anything to say to me, come to my ward, for thence will not I today.
55
60
Exit DUKE
Unfit to live or die. O gravel heart! After him, fellows; bring him to the block. Exeunt Abhorson and Pompey Enter Provost PROVOST
Now, sir, how do you find the prisoner? DUKE
A creature unprepared, unmeet for death; And to transport him in the mind he is Were damnable. PROVOST Here in the prison, father, There died this morning of a cruel fever One Ragusine, a most notorious pirate, cl A man of Claudio’s years, his beard and head Just of his colour. What if we do omit This reprobate till he were well inclined, And satisfy the deputy with the visage Of Ragusine, more like to Claudio?
65
70
68. Ragusine: emend. Oxford; in F Ragozine. Nome (nell’emend. più chiaramente “di Ragusa”) e mestiere potrebbero essere stati cambiati in corso di revisione. 686
Shakespeare IV.indb 686
30/11/2018 09:32:25
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
BERNARDINO
Io no, frate. Ho bevuto duro tutta la notte, e ho bisogno di più tempo per preparami, o dovranno farmi schizzare le cervella a suon di bastonate. Non acconsentirò a morire oggi. Questo è sicuro. DUCA
Signore, dovete. E pertanto, vi supplico, pensate al viaggio che vi aspetta. BERNARDINO
Giuro che non muoio oggi. Non c’è persuasione che tenga. DUCA
Ma ascoltate… BERNARDINO
Non una parola di più. Se avete qualcosa da dirmi, venite dalle mie parti, perché da lì io oggi non mi muovo. Esce DUCA
Inadatto a vivere e a morire. Un cuore di pietra! Prendetelo e portatelo al ceppo184. Escono Abhorson e Pompeo Entra il bargello BARGELLO
Ebbene, signore, come avete trovato il carcerato? DUCA
Una creatura impreparata, inadatta alla morte, e portarcelo in queste condizioni, è cosa esecranda. BARGELLO
Qui in prigione, padre, è morto stamattina di febbre perniciosa un certo Ragusino185, un noto pirata, ha l’età di Claudio, barba e capelli del suo colore. Perché non lasciamo perdere questo reprobo fino a che non sia meglio disposto, e diamo soddisfazione al vicario con la testa di Ragusino, più simile a quella di Claudio?
687
Shakespeare IV.indb 687
30/11/2018 09:32:25
MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
DUKE
O, ’tis an accident that heaven provides. Dispatch it presently; the hour draws on Prefixed by Angelo. See this be done, And sent according to command, whiles I Persuade this rude wretch willingly to die.
75
PROVOST
This shall be done, good father, presently. But Barnardine must die this afternoon; And how shall we continue Claudio, To save me from the danger that might come If he were known alive? DUKE Let this be done: Put them in secret holds, both Barnardine and Claudio. Ere twice the sun hath made his journal greeting To yonder generation, you shall find cm Your safety manifested. PROVOST I am your free dependant.
80
85
DUKE
Quick, dispatch, and send the head to Angelo. Exit Provost cn
Now will I write letters to Angelo — The Provost, he shall bear them — whose contents Shall witness to him I am near at home, And that by great injunctions I am bound To enter publicly. Him I’ll desire To meet me at the consecrated fount A league below the city, and from thence, By cold gradation and well-balanced form, co We shall proceed with Angelo.
90
95
Enter the Provost, with Ragusine’s head
86. Yonder: emend. tardo; in F: yond. 89. Angelo: così in F; Varrius: emend. tardo. 96. Well-balanced: emend. tardo; in F weale-balanc’d; in emend. successivi weal-balanced = “equilibrata secondo il bene comune (weal)”. 688
Shakespeare IV.indb 688
30/11/2018 09:32:25
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
DUCA
Oh, è un caso voluto dal cielo. Su, presto, s’avvicina l’ora fissata da Angelo. Procedete, mandategli la testa come ha ordinato, mentre io persuado questo sciagurato a morire. BARGELLO
Sarà fatto, buon padre, subito. Ma Bernardino deve morire questo pomeriggio. E come facciamo con Claudio? Se si scopre che è vivo, io come scampo al pericolo? DUCA
Facciamo così: metteteli entrambi in celle segrete, Bernardino e Claudio. Prima che nel suo viaggio giornaliero il sole abbia salutato due volte chi vive agli antipodi186, la vostra salvezza sarà manifesta. BARGELLO
Sono a vostra disposizione. DUCA
Presto, eseguite, mandate la testa a Angelo. Esce il bargello Ora scriverò le lettere a Angelo – gliele porterà il bargello – gli diranno che sto rientrando e che, per motivi importanti, sono obbligato a ingresso ufficiale. Gli chiederò che mi incontri alla fonte consacrata, una lega fuori porta, e da lì, avanzando a passo lento e nel rispetto della forma, procederemo con Angelo. Entra il bargello con la testa di Ragusino
689
Shakespeare IV.indb 689
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
PROVOST
Here is the head; I’ll carry it myself. DUKE
Convenient is it. Make a swift return, For I would commune with you of such things That want no ear but yours. PROVOST I’ll make all speed. ISABELLA (within) Peace, ho, be here!
100 Exit
DUKE
The tongue of Isabel. She’s come to know If yet her brother’s pardon be come hither; But I will keep her ignorant of her good, To make her heavenly comforts of despair When it is least expected. ISABELLA [within] Ho, by your leave!
105
[Enter Isabella] DUKE
Good morning to you, fair and gracious daughter. ISABELLA
The better, given me by so holy a man. Hath yet the deputy sent my brother’s pardon?
110
DUKE
He hath released him, Isabel, from the world. His head is off and sent to Angelo. ISABELLA
Nay, but it is not so. It is no other. Show your wisdom, daughter, in your close patience.
DUKE
ISABELLA
O, I will to him and pluck out his eyes!
116
DUKE
You shall not be admitted to his sight. ISABELLA (weeping)
Unhappy Claudio! Wretched Isabel! Injurious world! Most damnèd Angelo!
690
Shakespeare IV.indb 690
30/11/2018 09:32:25
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
BARGELLO
Ecco la testa, la porto io stesso. DUCA
Bene. Tornate di corsa, perché devo parlarvi di cose destinate solo al vostro orecchio. BARGELLO
Farò presto. Esce ISABELLA (da dentro)
Ehi, la pace sia con voi! DUCA
La voce di Isabella. È venuta per sapere se è arrivata la grazia per suo fratello. Ma la terrò all’oscuro dei buoni esiti per poter mutare la sua disperazione in conforto celestiale quando ella meno se l’aspetta. ISABELLA (da dentro) Col vostro permesso! [Entra Isabella] DUCA
Buongiorno a voi, bella e graziosa figliola. ISABELLA
Più che buono se a darmelo è un uomo così santo. Il vicario ha concesso la grazia a mio fratello? DUCA
Lo ha, Isabella, liberato dal mondo. La sua testa è caduta ed è ora da Angelo. ISABELLA
No, non può essere. DUCA
È così. Mostrate saggezza, figliola, sopportando in silenzio. ISABELLA
Oh, andrò da lui e gli caverò gli occhi! DUCA
Non sarete ammessa alla sua presenza. ISABELLA (piangendo) Infelice Claudio! Misera Isabella! Mondo iniquo! Maledetto Angelo! 691
Shakespeare IV.indb 691
30/11/2018 09:32:25
MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
DUKE
This nor hurts him, nor profits you a jot. Forbear it, therefore; give your cause to heaven. Mark what I say, which you shall find By every syllable a faithful verity. The Duke comes home tomorrow — nay, dry your eyes — One of our convent, and his confessor, Gives me this instance. Already he hath carried Notice to Escalus and Angelo, Who do prepare to meet him at the gates, There to give up their power. If you can pace your wisdom In that good path that I would wish it go, And you shall have your bosom on this wretch, Grace of the Duke, revenges to your heart, And general honour. ISABELLA I am directed by you.
120
125
130
DUKE
This letter, then, to Friar Peter give. ’Tis that he sent me of the Duke’s return. Say by this token I desire his company At Mariana’s house tonight. Her cause and yours I’ll perfect him withal, and he shall bring you Before the Duke, and to the head of Angelo Accuse him home and home. For my poor self, I am combinèd by a sacred vow, And shall be absent. (Giving the letter) Wend you with this letter. Command these fretting waters from your eyes With a light heart. Trust not my holy order If I pervert your course.
135
140
Enter Lucio Who’s here? LUCIO
Good even.
145
Friar, where’s the Provost? 692
Shakespeare IV.indb 692
30/11/2018 09:32:25
MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
DUCA
Questo non nuoce a lui e non giova a voi. Sopportate, dunque, e affidatevi al cielo. Ascoltate quel che dico, in ogni sillaba troverete schietta verità. Il duca torna domani – su, asciugatevi gli occhi –, me ne dà prova un frate del convento, suo confessore. Ha già informato Escalo e Angelo, che si preparano a riceverlo alle porte della città per rimettergli i loro poteri. Se rivolgete la vostra saggezza al buon sentiero che io consiglio, otterrete quanto desiderate a riguardo di questo sciagurato, avrete la buona grazia del duca, la vendetta che vi sta a cuore e onore da tutti. ISABELLA
Mi faccio guidare da voi. DUCA
Date allora questa lettera a Frate Pietro, è quella che mi ha mandato sul ritorno del duca. Ditegli con questo che desidero vederlo da Mariana stasera. Lo informerò sulla causa vostra e di Mariana. Egli vi porterà davanti al duca e voi, in faccia a Angelo, accusatelo punto per punto. Quanto a me, pover’uomo, sono tenuto a un sacro voto, e dovrò essere assente. (Le dà la lettera) Andate con la lettera. Con cuore più leggero scacciate via quelle rovinose lacrime dagli occhi. Non fidatevi più del mio santo ordine, se vi porto fuori strada. Entra Lucio Chi è? LUCIO
Buonasera. Frate, dov’è il bargello?
693
Shakespeare IV.indb 693
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 3
DUKE
Not within, sir.
LUCIO O pretty Isabella, I am pale at mine heart to see
thine eyes so red. Thou must be patient. I am fain to dine and sup with water and bran; I dare not for my head fill my belly; one fruitful meal would set me to’t. But they say the Duke will be here tomorrow. By my troth, Isabel, I loved thy brother. If the old fantastical Duke of dark corners had been at home, he had lived. [Exit Isabella] DUKE Sir, the Duke is marvellous little beholden to your
reports; but the best is, he lives not in them.
155
LUCIO Friar, thou knowest not the Duke so well as I do.
He’s a better woodman than thou tak’st him for. DUKE Well, you’ll answer this one day. Fare ye well. LUCIO Nay, tarry, I’ll go along with thee. I can tell thee
pretty tales of the Duke.
160
DUKE You have told me too many of him already, sir, if
they be true; if not true, none were enough. LUCIO I was once before him for getting a wench with child. DUKE Did you such a thing? LUCIO Yes, marry, did I; but I was fain to forswear it. They would else have married me to the rotten medlar. DUKE Sir, your company is fairer than honest. Rest you well.
165
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Shakespeare IV.indb 694
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 3
DUCA
Non è qui, signore. LUCIO
O graziosa Isabella, mi si scolora il cuore nel vederti con gli occhi così arrossati. Devi portare pazienza. Dovrò pranzare e cenare a pane e acqua; ci tengo alla testa, perciò non oso riempirmi la pancia. Un pasto abbondante mi metterebbe in fregola. Ma si dice che il duca sarà qui domani. Davvero, Isabella, io amavo tuo fratello. Se quel vecchio stravagante del duca, che se ne va per angoli oscuri187, fosse rimasto qui, sarebbe vivo. [Esce Isabella] DUCA
Signore, il duca vi è infinitamente poco obbligato per le dicerie che spargete su di lui. E il bello è che non lo rispecchiano. LUCIO
Frate, tu non conosci il duca come lo conosco io molto bene. È un cacciatore migliore di quello che sembra a te. DUCA
Bene, un giorno ne risponderete. Addio. LUCIO
No, aspetta, verrò con te. Posso raccontarti delizie sul duca. DUCA
Me ne avete già raccontate troppe, signore, se sono vere, se non lo sono, meglio non avermene raccontata nessuna. LUCIO
Una volta sono comparso davanti a lui per aver messo incinta una ragazza. DUCA
Avete fatto una cosa del genere? LUCIO
Diamine, sì, ma ho dovuto negarlo, altrimenti mi avrebbero fatto sposare quella nespola marcia188. DUCA
Signore, la vostra compagnia è più divertente che raccomandabile. Statevi bene.
695
Shakespeare IV.indb 695
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 4
LUCIO By my troth, I’ll go with thee to the lane’s end. If
bawdy talk offend you, we’ll have very little of it. Nay, friar, I am a kind of burr; I shall stick. Exeunt 4.4
Enter Angelo and Escalus
ESCALUS Every letter he hath writ hath disvouched other. ANGELO In most uneven and distracted manner. His
actions show much like to madness. Pray heaven his wisdom be not tainted. And why meet him at the gates, and redeliver our authorities there? cp ESCALUS I guess not. ANGELO And why should we proclaim it in an hour before his entering, that if any crave redress of injustice, they should exhibit their petitions in the street? ESCALUS He shows his reason for that — to have a dispatch of complaints, and to deliver us from devices hereafter, which shall then have no power to stand against us.
5
9
ANGELO
Well, I beseech you let it be proclaimed. Betimes i’th’ morn I’ll call you at your house. Give notice to such men of sort and suit As are to meet him. ESCALUS I shall, sir. Fare you well. ANGELO Good night. Exit Escalus This deed unshapes me quite, makes me unpregnant And dull to all proceedings. A deflowered maid, And by an eminent body that enforced The law against it! But that her tender shame
15
20
5. Redeliver: emend. tardo; in F re-liver = “reintegrare”, dato l’“a capo” in F, è possibile la caduta di una sillaba nel processo di composizione; in F2 deliver. 696
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 4
LUCIO
Suvvia, ti accompagno fino alla fine della strada. Se un linguaggio da taverna ti offende, ne faremo quasi a meno. Vedi, frate, io sono come le lappole, mi attacco. Escono IV, 4
Entrano Angelo e Escalo189
ESCALO
Ogni lettera che ha scritto ha smentito l’altra. ANGELO
In modo assolutamente incoerente e vaneggiante. Le sue azioni rasentano la follia. Voglia il cielo che il suo senno non sia compromesso. E perché andargli incontro alle porte, e rimettergli lì il nostro mandato? ESCALO
Non capisco. ANGELO
E perché un’ora prima del suo ingresso dovremmo proclamare che chi chiede giustizia per un torto subìto deve presentare la sua petizione per strada? ESCALO
Di questo dà le sue ragioni: liberarsi dai reclami, e sgravarci da garbugli successivi, che così non saranno a nostro carico. ANGELO
Bene. Vi prego di provvedere al proclama190. Domani mattina di buon’ora passo a prendervi. Avvisate notabili e nobiluomini perché vengano ad accoglierlo. ESCALO
Sarà fatto, signore. Addio. ANGELO
Buona notte. Esce Escalo Questa storia mi sconvolge, mi rende incapace e insensibile a ogni altra faccenda191. Una fanciulla deflorata, e da un corpo eminente che ha imposto la legge che punisce quel misfatto! Ammesso 697
Shakespeare IV.indb 697
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 4 SCENE 5
Will not proclaim against her maiden loss, How might she tongue me! Yet reason dares her no, For my authority bears off a credent bulk, cq That no particular scandal once can touch But it confounds the breather. He should have lived, Save that his riotous youth, with dangerous sense, Might in the times to come have ta’en revenge By so receiving a dishonoured life With ransom of such shame. Would yet he had lived. Alack, when once our grace we have forgot, Nothing goes right; we would, and we would not. Exit 4.5
25
30
Enter the Duke, in his own habit, and Friar Peter
DUKE
These letters at fit time deliver me. The Provost knows our purpose and our plot. The matter being afoot, keep your instruction, And hold you ever to our special drift, Though sometimes you do blench from this to that As cause doth minister. Go call at Flavio’s house, cr And tell him where I stay. Give the like notice To Valentinus, Rowland, and to Crassus, cs And bid them bring the trumpets to the gate. But send me Flavius first. FRIAR It shall be speeded well. Exit
5
Enter Varrius DUKE
I thank thee, Varrius; thou hast made good haste. Come, we will walk. There’s other of our friends Will greet us here anon. My gentle Varrius! Exeunt
25. Bears off a: così in F4; in F bears of a; in emend. successivi bears so. 6. Flavio’s: emend. tardo; in F Flavia’s; in emend. successivi Flavius’s. 8. Valentinus: emend. Oxford; in F Valencius, metricamente dissonante; in emend. successivi Valentius. 698
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MISURA PER MISURA, ATTO IV SCENA 5
che per tenero pudore non sveli la perdita della verginità, ella può svergognarmi! Ma la ragione la sconsiglia. L’autorità mi dà tale credito che nessuno scandalo può toccare la mia persona se non a scapito di chi lo denuncia. Lui avrebbe dovuto vivere. Tuttavia, la sua giovinezza turbolenta, con la sua pericolosa passionalità192, avrebbe potuto puntare a vendette future per aver ricevuto una vita disonorata a prezzo di tanta vergogna. Eppure, vorrei che fosse vivo. Ahimè, alienata la grazia, nulla va nel verso giusto. Avremmo voluto e non voluto193. Esce Entrano il duca e frate Pietro194
IV, 5
DUCA195
Consegnate queste lettere a tempo debito. Il bargello conosce il piano e i nostri intenti. Avviata l’azione, attenetevi alle istruzioni, e seguite sempre il nostro fine speciale, nonostante dovrete adattarvi a una varietà di situazioni. Andate da Flavio, e ditegli dove mi trovo. Informate anche Valentino, Rolando e Crasso, e che ci siano i trombettieri alle porte. Ma prima mandatemi Flavio. FRATE
Sarà eseguito speditamente. Esce Entra Varrio DUCA
Grazie Varrio. Hai fatto presto. Vieni, passeggiamo. Altri amici ci raggiungeranno fra breve. Caro Varrio! Escono
699
Shakespeare IV.indb 699
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
4.6
Enter Isabella and Mariana
ISABELLA
To speak so indirectly I am loath — I would say the truth, but to accuse him so, That is your part — yet I am advised to do it, He says, to veil full purpose. MARIANA Be ruled by him. ISABELLA
Besides, he tells me that if peradventure He speak against me on the adverse side, I should not think it strange, for ’tis a physic That’s bitter to sweet end.
5
Enter Friar Peter MARIANA I would Friar Peter — ISABELLA O, peace; the friar is come.
10
FRIAR PETER
Come, I have found you out a stand most fit, Where you may have such vantage on the Duke He shall not pass you. Twice have the trumpets sounded. The generous and gravest citizens Have hent the gates, and very near upon The Duke is ent’ring; therefore hence, away. 5.1
15 Exeunt
Enter [at one door] the Duke, Varrius, and lords, [at another door] Angelo, Escalus, Lucio, citizens, [and officers]
DUKE (to Angelo)
My very worthy cousin, fairly met. (To Escalus) Our old and faithful friend, we are glad to see you. ANGELO and ESCALUS Happy return be to your royal grace.
700
Shakespeare IV.indb 700
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
IV, 6
Entrano Isabella e Mariana196
ISABELLA
Mi ripugna parlare in modo così indiretto – vorrei dire la verità, ma accusarlo spetta a voi. Eppure mi consiglia di fare così, per non rivelare tutto il disegno, dice. MARIANA
Fatevi guidare da lui. ISABELLA
Inoltre, dice che se per caso egli dovesse esprimersi contro di me, favorendo l’altra parte, non dovrò stupirmi, è una medicina amara per un dolce fine. Entra frate Pietro MARIANA
Vorrei che frate Pietro… ISABELLA
Zitta. Ecco il frate. FRATE PIETRO
Andiamo, vi ho trovato un buon posto, dove il duca passando non può non vedervi. Le trombe hanno suonato due volte. Nobili e notabili affollano le porte, e presto il duca farà il suo ingresso. Quindi, su, andiamo. Escono V, 1
Entrano [da una porta] il duca, Varrio e nobili [dall’altra] Angelo, Escalo, Lucio, cittadini, [e gendarmi]197
DUCA (a Angelo)
Degnissimo cugino, ben trovato. (A Escalo) Vecchio e fedele amico, siamo contenti di vedervi. ANGELO e ESCALO Felice ritorno a voi, grazia regale!
701
Shakespeare IV.indb 701
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
Many and hearty thankings to you both. We have made enquiry of you, and we hear Such goodness of your justice that our soul Cannot but yield you forth to public thanks, Forerunning more requital. ANGELO You make my bonds still greater.
5
DUKE
O, your desert speaks loud, and I should wrong it To lock it in the wards of covert bosom, When it deserves with characters of brass A forted residence ’gainst the tooth of time And razure of oblivion. Give me your hand, ct And let the subject see, to make them know That outward courtesies would fain proclaim Favours that keep within. Come, Escalus, You must walk by us on our other hand, And good supporters are you.
10
15
[They walk forward.] Enter Friar Peter and Isabella FRIAR PETER
Now is your time. Speak loud, and kneel before him. ISABELLA (kneeling)
Justice, O royal Duke! Vail your regard Upon a wronged — I would fain have said, a maid. O worthy prince, dishonour not your eye By throwing it on any other object, Till you have heard me in my true complaint, And given me justice, justice, justice, justice!
20
25
DUKE
Relate your wrongs. In what? By whom? Be brief. Here is Lord Angelo shall give you justice. Reveal yourself to him.
13. Me your: così in F3; in F we your; in emend. successivi we our. 702
Shakespeare IV.indb 702
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Un grazie di cuore a entrambi. Abbiamo chiesto di voi e sentito dire un tal bene della vostra amministrazione della giustizia che al nostro animo pare giusto esprimere un pubblico ringraziamento, in attesa di altre ricompense. ANGELO
Accrescete i miei obblighi verso di voi. DUCA
Oh, i vostri meriti sono preclari, e farei loro torto se li tenessi chiusi nei recessi del cuore, quando gli si deve una roccaforte con incise lettere di bronzo contro l’usura del tempo e le cancellazioni dell’oblio198. Datemi la mano, e che i sudditi vedano e capiscano che le cortesie esteriori sono evidenze di favori che nutriamo dentro. Venite, Escalo, ecco l’altra mano. Dovete procedere con noi, e che buoni sostegni siete. [Procedono] Entrano frate Pietro e Isabella FRATE PIETRO
Ecco, tocca a voi. Parlate forte e inginocchiatevi davanti a lui. ISABELLA (in ginocchio) Giustizia, duca regale! Volgete lo sguardo su un’oltraggiata – una vergine, avrei voluto dire. Degno principe, non disonorate i vostri occhi posandoli su altri oggetti, prima di dare ascolto al mio giusto reclamo e avermi reso giustizia. Sì, giustizia, giustizia, giustizia! DUCA
Riferite i torti subìti. In cosa? Da parte di chi? Siate breve. Lord Angelo è qui, vi renderà giustizia. Spiegatevi con lui.
703
Shakespeare IV.indb 703
30/11/2018 09:32:26
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
O worthy Duke, You bid me seek redemption of the devil. Hear me yourself, for that which I must speak Must either punish me, not being believed, Or wring redress from you. Hear me, O hear me, hear! cu
ISABELLA
30
ANGELO
My lord, her wits, I fear me, are not firm. She hath been a suitor to me for her brother, Cut off by course of justice. ISABELLA [standing] By course of justice!
35
ANGELO
And she will speak most bitterly and strange. ISABELLA
Most strange, but yet most truly, will I speak. That Angelo’s forsworn, is it not strange? That Angelo’s a murderer, is’t not strange? That Angelo is an adulterous thief, An hypocrite, a virgin-violator, Is it not strange, and strange? DUKE Nay, it is ten times strange!
40
ISABELLA
It is not truer he is Angelo Than this is all as true as it is strange. Nay, it is ten times true, for truth is truth To th’end of reck’ning. DUKE Away with her. Poor soul, She speaks this in th’infirmity of sense.
45
ISABELLA
O prince, I conjure thee, as thou believ’st There is another comfort than this world, That thou neglect me not with that opinion That I am touched with madness. Make not impossible That which but seems unlike. ’Tis not impossible
50
32. You. Hear me, … hear!: emend. Oxford; in F you. / Hear me, … heere! (heere inteso anche come here = “qui”); lievi varianti in emend. successivi. 704
Shakespeare IV.indb 704
30/11/2018 09:32:27
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ISABELLA
Degno duca, mi chiedete di cercare redenzione dal demonio. Ascoltatemi voi, perché quel che ho da dire dovrà o farmi punire, se non sarò creduta, o ottenere riparazione da voi. Ascoltatemi, ascoltatemi! ANGELO
Mio signore, la sua mente, temo, vacilla. È venuta a supplicarmi per suo fratello, soppresso secondo giustizia. ISABELLA (alzandosi in piedi) Secondo giustizia! ANGELO
E dirà cose gravi e strane. ISABELLA
Molto strane, e molto vere. Che Angelo sia spergiuro, non è strano? Che Angelo sia un assassino, non è strano? Che Angelo sia un ladro adultero, un ipocrita, uno stupratore di vergini, non è strano? Strano? DUCA
Sì, dieci volte strano! ISABELLA
Come è vero che lui è Angelo, tutto è tanto vero quanto è strano. Anzi è dieci volte vero, la verità è verità fino alla fine dei tempi199. DUCA
Portatela via, povera creatura, parla da dissennata. ISABELLA
Oh, principe, ti scongiuro, poiché tu credi nei conforti di un altro mondo, non liberarti di me pensando che io sia pazza. Non credere che sia impossibile ciò che sembra solo improbabile. Non è
705
Shakespeare IV.indb 705
30/11/2018 09:32:27
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
But one, the wicked’st caitiff on the ground, May seem as shy, as grave, as just, as absolute, As Angelo; even so may Angelo, In all his dressings, characts, titles, forms, Be an arch-villain. Believe it, royal prince, If he be less, he’s nothing; but he’s more, Had I more name for badness. DUKE By mine honesty, If she be mad, as I believe no other, Her madness hath the oddest frame of sense, Such a dependency of thing on thing As e’er I heard in madness. ISABELLA O gracious Duke, Harp not on that, nor do not banish reason For inequality; but let your reason serve To make the truth appear where it seems hid, And hide the false seems true. DUKE Many that are not mad Have sure more lack of reason. What would you say?
55
60
65
ISABELLA
I am the sister of one Claudio, Condemned upon the act of fornication To lose his head, condemned by Angelo. I, in probation of a sisterhood, Was sent to by my brother, one Lucio As then the messenger. LUCIO That’s I, an’t like your grace. I came to her from Claudio, and desired her To try her gracious fortune with Lord Angelo For her poor brother’s pardon. ISABELLA That’s he indeed. DUKE (to Lucio) You were not bid to speak. LUCIO No, my good lord, Nor wished to hold my peace.
70
75
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Shakespeare IV.indb 706
30/11/2018 09:32:27
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
impossibile che una persona, il peggior furfante sulla terra, possa apparire schivo, posato, giusto, perfetto, come Angelo. Anche così, Angelo, con le sue decorazioni, i blasoni, i titoli e il cerimoniale, può essere un arci-furfante. Credilo, principe regale: se è meno che questo, non è nulla200; ma è di più, se solo avessi ancora altre parole per definire il male. DUCA
Sul mio onore, se è pazza, come credo, la sua pazzia è curiosamente dotata di senso, con consequenzialità di idea e idea come non si è mai vista nella pazzia 201. ISABELLA
Grazioso duca, non insistete su questo, e non bandite la ragione solo perché nega la norma. Che la vostra ragione s’adoperi per far sì che la verità appaia dove sembra che si nasconda e nasconda il falso che sembra vero202. DUCA
Molti, che non son pazzi, sono di sicuro meno sensati. Cosa avete da dire? ISABELLA
Sono la sorella di un certo Claudio, condannato per fornicazione al taglio della testa, condannato da Angelo. Io, novizia in un convento, fui chiamata da mio fratello. Un certo Lucio fu il messaggero. LUCIO
Sono io, con licenza di vostra grazia. Mi recai da lei su preghiera di Claudio, per invogliarla a tentare le sue doti fortunate con lord Angelo e ottenerne il perdono. ISABELLA
Sì, è lui. DUCA (a Lucio)
Non vi è stato chiesto di parlare. LUCIO
No, mio buon signore. Ma nemmeno di tacere.
707
Shakespeare IV.indb 707
30/11/2018 09:32:27
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
I wish you now, then. Pray you take note of it; And when you have a business for yourself, Pray heaven you then be perfect. LUCIO I warrant your honour.
80
DUKE
The warrant’s for yourself; take heed to’t. ISABELLA
This gentleman told somewhat of my tale — LUCIO Right.
85
DUKE
It may be right, but you are i’the wrong To speak before your time. (To Isabella) Proceed. I went
ISABELLA
To this pernicious caitiff deputy — DUKE
That’s somewhat madly spoken. ISABELLA
Pardon it;
The phrase is to the matter. DUKE
Mended again.
90
The matter; proceed. ISABELLA
In brief, to set the needless process by, How I persuaded, how I prayed and kneeled, How he refelled me, and how I replied — For this was of much length — the vile conclusion I now begin with grief and shame to utter. He would not, but by gift of my chaste body To his concupiscible intemperate lust, Release my brother; and after much debatement, My sisterly remorse confutes mine honour, And I did yield to him. But the next morn betimes, His purpose surfeiting, he sends a warrant For my poor brother’s head. DUKE This is most likely!
95
100
ISABELLA
O, that it were as like as it is true! 708
Shakespeare IV.indb 708
30/11/2018 09:32:27
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Ve lo chiedo adesso, allora. E prendete nota. E se avete un vostro problema, voglia il cielo che siate senza pecca. LUCIO
Lo garantisco, vostro onore. DUCA
La garanzia serve a voi, badate. ISABELLA
Questo gentiluomo ha raccontato un po’ della mia storia… LUCIO
Giusto. DUCA
Può essere giusto, ma voi sbagliate a parlare prima del vostro turno. (A Isabella) Continuate. ISABELLA
Andai da questo infame furfante del vicario… DUCA
È un po’ folle quel che dite. ISABELLA
Perdonate, ma corrisponde ai fatti. DUCA
Ben centrato, ancora una volta. I fatti, continuate. ISABELLA
In breve, sorvolando sull’inutile sequela – come ho implorato, pregandolo in ginocchio, come lui rifiutava e io replicavo: è stata una cosa lunga –, vengo ora, afflitta e con vergogna, alla vile conclusione. Solo donando il mio casto corpo alla sua smodata, concupiscente, lussuria, lo avrebbe liberato. Mi sono molto dibattuta: il rimorso di una sorella ne ha sconfitto l’onore, e ho ceduto. Ma il mattino dopo, soddisfatta la sua voglia, egli manda di buon’ora l’ordine di tagliare la testa al mio povero fratello. DUCA
Questo è proprio verosimile! ISABELLA
Oh, che fosse verosimile quanto è vero!
709
Shakespeare IV.indb 709
30/11/2018 09:32:27
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
By heaven, fond wretch, thou know’st not what thou speak’st, Or else thou art suborned against his honour In hateful practice. First, his integrity Stands without blemish. Next, it imports no reason That with such vehemency he should pursue Faults proper to himself. If he had so offended, He would have weighed thy brother by himself, And not have cut him off. Someone hath set you on. Confess the truth, and say by whose advice Thou cam’st here to complain. ISABELLA And is this all? Then, O you blessèd ministers above, Keep me in patience, and with ripened time Unfold the evil which is here wrapped up In countenance! Heaven shield your grace from woe, As I, thus wronged, hence unbelievèd go.
105
110
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DUKE
I know you’d fain be gone. An officer! To prison with her.
120
An officer guards Isabella Shall we thus permit A blasting and a scandalous breath to fall On him so near us? This needs must be a practice. Who knew of your intent and coming hither? ISABELLA
One that I would were here, Friar Lodowick.
125
[Exit, guarded] DUKE
A ghostly father, belike. Who knows that Lodowick? LUCIO
My lord, I know him. ’Tis a meddling friar; I do not like the man. Had he been lay, my lord, For certain words he spake against your grace In your retirement, I had swinged him soundly.
130
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Shakespeare IV.indb 710
30/11/2018 09:32:27
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Per il cielo! Povera sciagurata, non sai quel che dici, oppure sei istigata da un complotto odioso contro il suo onore. Primo, la sua integrità è ineccepibile; e poi, non fa senso che con tanta veemenza egli abbia perseguito colpe che gli appartengono. Se avesse così peccato, egli avrebbe pesato tuo fratello con se stesso e non lo avrebbe giustiziato. Qualcuno ti ha istigata. Confessa la verità, e di’ chi ti ha consigliato di presentarti qui con questo reclamo. ISABELLA
E questo è tutto? Allora voi, benedetti angeli del cielo, datemi pazienza e, a tempo giusto, dischiudete il male che qui si avviluppa nel volto dell’autorità!203 Il cielo protegga vostra grazia dalla sventura, e io me ne vado oltraggiata e non creduta. DUCA
Lo so che vorreste andare. Un gendarme! Portatela in prigione. Un gendarme arresta Isabella Dovremmo permettere che una voce diffamante e scandalosa colpisca uno a noi così vicino? Deve esserci un complotto. Chi era a conoscenza della vostra venuta e dei vostri intenti? ISABELLA
Uno che vorrei fosse qui: frate Lodovico. Esce sotto scorta DUCA
Un padre spirituale204, si direbbe. Chi conosce questo Lodovico? LUCIO
Mio signore, io lo conosco. È un frate che intrallazza, non mi piace. Fosse stato un laico, mio signore, per certe parole che ha usato contro vostra grazia durante la vostra assenza, gliene avrei date di brutte.
711
Shakespeare IV.indb 711
30/11/2018 09:32:27
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
Words against me? This’ a good friar, belike! And to set on this wretched woman here Against our substitute! Let this friar be found. [Exit one or more] LUCIO
But yesternight, my lord, she and that friar, I saw them at the prison. A saucy friar, A very scurvy fellow. FRIAR PETER Blessed be your royal grace! I have stood by, my lord, and I have heard Your royal ear abused. First hath this woman Most wrongfully accused your substitute, Who is as free from touch or soil with her As she from one ungot. DUKE We did believe no less. Know you that Friar Lodowick that she speaks of?
135
140
FRIAR PETER
I know him for a man divine and holy, Not scurvy, nor a temporary meddler, As he’s reported by this gentleman; And, on my trust, a man that never yet Did, as he vouches, misreport your grace. LUCIO My lord, most villainously; believe it.
145
FRIAR PETER
Well, he in time may come to clear himself; But at this instant he is sick, my lord, Of a strange fever. Upon his mere request, Being come to knowledge that there was complaint Intended ’gainst Lord Angelo, came I hither To speak, as from his mouth, what he doth know Is true and false, and what he with his oath And all probation will make up full clear Whensoever he’s convented. First, for this woman: To justify this worthy nobleman, So vulgarly and personally accused,
150
155
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Shakespeare IV.indb 712
30/11/2018 09:32:27
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Parole contro di me? È un buon frate, si direbbe! E istigare questa sciagurata qui contro il nostro sostituto! Cerchiamo questo frate. [Esce qualcuno] LUCIO
Proprio ieri sera, mio signore, li ho visti in prigione, lei e il frate. Lui, un tipo subdolo, un tipaccio. FRATE PIETRO
Sia benedetta vostra grazia regale! Ero qui, mio signore, e ho sentito come si portava offesa alle vostre orecchie. Per prima cosa, questa donna ha fatto grave torto al vostro sostituto, il quale è immune da macchie e da contatti con lei quanto lei da uno che ha da nascere205. DUCA
È ciò che pensavamo. Conoscete questo frate Lodovico di cui lei parla? FRATE PIETRO
Lo conosco per un uomo santo e dotto, non certo un tipaccio, né intrallazzatore, come riferisce questo gentiluomo. Sulla mia parola, è uno che non ha mai, a quanto costui sostiene, diffamato vostra grazia. LUCIO
Mio signore, in modo spregevole, credetemi. FRATE PIETRO
Beh, verrà a discolparsi appena potrà. Al momento è malato, mio signore, di una febbre strana. Avendo inteso di accuse concertate contro Angelo, su sua richiesta, sono qui a dire per suo conto ciò che a lui risulta vero e falso, e che sotto giuramento, e con prove, renderà chiaro quando sarà convocato. Anzitutto, quanto a quest’altra donna206: per rendere giustizia a un così degno no-
713
Shakespeare IV.indb 713
30/11/2018 09:32:27
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
Her shall you hear disprovèd to her eyes, Till she herself confess it. DUKE Good friar, let’s hear it.
160
[Exit Friar Peter] Do you not smile at this, Lord Angelo? O heaven, the vanity of wretched fools! Give us some seats. [Seats are brought in] Come, cousin Angelo, In this I’ll be impartial; be you judge Of your own cause.
165
The Duke and Angelo sit. Enter [Friar Peter, and] Mariana, veiled Is this the witness, friar? First let her show her face, and after speak. cv MARIANA
Pardon, my lord, I will not show my face Until my husband bid me. DUKE What, are you married? MARIANA No, my lord. DUKE Are you a maid? MARIANA No, my lord. DUKE A widow then? MARIANA Neither, my lord. DUKE Why, you are nothing then; neither maid, widow, nor wife! LUCIO My lord, she may be a punk, for many of them are neither maid, widow, nor wife. DUKE Silence that fellow. I would he had some cause to prattle for himself.
170
175
181
167. Her face: così in F2; in F your face. 714
Shakespeare IV.indb 714
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
biluomo, accusato pubblicamente a livello personale, la sentirete smentire la prima ai suoi stessi occhi, al punto che confesserà. DUCA
Buon frate, ascoltiamo. [Esce frate Pietro] Non sorridete, lord Angelo? Oh cielo, la vanità di sciocchi scellerati! Fateci sedere. [Portano dei seggi] Venite, cugino Angelo, io sarò neutrale. Siate voi il giudice della vostra stessa causa 207. Il duca e Angelo si siedono Entrano [frate Pietro, e] Mariana, velata È questa la teste, frate? Che mostri prima il volto, e poi parli. MARIANA
Perdonate, mio signore, non mostrerò il volto finché non me lo ordina mio marito. DUCA
Cosa, siete sposata? MARIANA
No, mio signore. DUCA
Siete vergine? MARIANA
No, mio signore. DUCA
Allora, vedova? MARIANA
Neppure, mio signore. DUCA
Allora, non siete nulla. Non siete vergine, né vedova, né moglie! LUCIO
Mio signore, sarà una puttana, perché ce n’è che non sono né vergini, né vedove, né mogli. DUCA
Fate tacere quel tizio. Vorrei che avesse una causa sua così può cianciare per se stesso. 715
Shakespeare IV.indb 715
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
LUCIO Well, my lord. MARIANA
My lord, I do confess I ne’er was married, And I confess besides, I am no maid. I have known my husband, yet my husband Knows not that ever he knew me. LUCIO He was drunk then, my lord, it can be no better. DUKE For the benefit of silence, would thou wert so too. LUCIO Well, my lord.
185
DUKE
This is no witness for Lord Angelo. MARIANA Now I come to’t, my lord. She that accuses him of fornication In self-same manner doth accuse my husband, And charges him, my lord, with such a time When I’ll depose I had him in mine arms With all th’effect of love. ANGELO Charges she more than me?
190
195
MARIANA
Not that I know. DUKE
No? You say your husband.
MARIANA
Why just, my lord, and that is Angelo, Who thinks he knows that he ne’er knew my body, But knows, he thinks, that he knows Isabel’s.
200
ANGELO
This is a strange abuse. Let’s see thy face. MARIANA (unveiling) My husband bids me; now I will unmask. This is that face, thou cruel Angelo, Which once thou swor’st was worth the looking on. This is the hand which, with a vowed contract, Was fast belocked in thine. This is the body That took away the match from Isabel, And did supply thee at thy garden-house In her imagined person.
205
716
Shakespeare IV.indb 716
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
LUCIO
Sissignore. MARIANA
Mio signore, confesso di non essere mai stata sposata, e confesso, inoltre, di non essere vergine. Ho conosciuto mio marito, ma mio marito non sa di avermi mai conosciuta. LUCIO
Era ubriaco allora, mio signore, non può essere diversamente. DUCA
Pur di aver silenzio, vorrei che lo fossi pure tu! LUCIO
Sissignore. DUCA
Ma questa non è una teste a favore di lord Angelo. MARIANA
Vengo al punto, mio signore. Colei che lo accusa di fornicazione, accusa in questo modo mio marito e gli addebita, mio signore, di averla fatta sua in un momento in cui, come deporrò, egli era invece fra le mia braccia nella piena consumazione dell’amore. ANGELO
Accusa altri oltre me? MARIANA
No, che io sappia. DUCA
No? Avete detto vostro marito. MARIANA
Sì. Giusto, mio signore, e questi è Angelo, che crede di non aver mai conosciuto il mio corpo, e sa, o così pensa, di conoscere quello di Isabella. ANGELO
Questo è uno strano inganno. Mostra il volto. MARIANA (svelandosi)
Me lo ordina mio marito, e io mi svelo. Ecco quel volto che, tu, crudele Angelo, un tempo giurasti era degno d’esser guardato. Ecco la mano che, con i voti di un contratto, fu ben stretta alla tua. Ecco il corpo che prese il posto di quello di Isabella e, nel capanno del tuo giardino, ti soddisfece della sua presunta persona. 717
Shakespeare IV.indb 717
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE (to Angelo) Know you this woman?
210
LUCIO Carnally, she says. DUKE Sirrah, no more! LUCIO Enough, my lord. ANGELO
My lord, I must confess I know this woman; And five years since there was some speech of marriage Betwixt myself and her, which was broke off, Partly for that her promisèd proportions Came short of composition, but in chief For that her reputation was disvalued In levity; since which time of five years I never spake with her, saw her, nor heard from her, Upon my faith and honour. MARIANA [kneeling before the Duke] Noble prince, As there comes light from heaven, and words from breath, As there is sense in truth, and truth in virtue, I am affianced this man’s wife, as strongly As words could make up vows. And, my good lord, But Tuesday night last gone, in’s garden-house, He knew me as a wife. As this is true, Let me in safety raise me from my knees, Or else forever be confixèd here, A marble monument. ANGELO I did but smile till now. Now, good my lord, give me the scope of justice. My patience here is touched. I do perceive These poor informal women are no more But instruments of some more mightier member That sets them on. Let me have way, my lord, To find this practice out.
215
220
225
230
235
718
Shakespeare IV.indb 718
30/11/2018 09:32:28
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA (a Angelo)
Conoscete questa donna? LUCIO
Intende carnalmente. DUCA
Basta, dico! LUCIO
Sì, basta, signore. ANGELO
Mio signore, devo confessare che la conosco. Cinque anni fa si parlò, fra noi, di matrimonio, ma non se ne fece nulla, in parte perché la dote promessa risultò inferiore, ma soprattutto perché la sua reputazione fu tacciata di leggerezza 208. In fede e sul mio onore, non parlo con lei da cinque anni, non l’ho più vista, né avuto sue notizie. MARIANA [s’inginocchia davanti al duca] Nobile principe, come la luce viene dal cielo e la parola dal soffio vitale, e v’è senso nella verità e verità nella virtù, io sono moglie di quest’uomo, a lui promessa col vincolo di parole che si fanno voti. Lo scorso martedì notte, mio buon signore, nel suo capanno, egli mi ha conosciuta come moglie. Tutto questo è vero, lasciate, quindi, che mi rialzi impune, o altrimenti che io resti per sempre qui confitta: un monumento di marmo. ANGELO
Ho sorriso sino ad ora. Signore, concedetemi la potestà della giustizia. La mia pazienza soffre. Vedo che queste povere dissennate sono solo strumenti di un complice più alto che le istiga. Signore, lasciatemi scoprire il complotto.
719
Shakespeare IV.indb 719
30/11/2018 09:32:28
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE (standing)
Ay, with my heart, And punish them even to your height of pleasure. — cw Thou foolish friar, and thou pernicious woman Compact with her that’s gone, think’st thou thy oaths, Though they would swear down each particular saint, Were testimonies against his worth and credit That’s sealed in approbation? You, Lord Escalus, Sit with my cousin; lend him your kind pains To find out this abuse, whence ’tis derived. There is another friar that set them on. Let him be sent for.
239
245
Escalus sits FRIAR PETER
Would he were here, my lord, for he indeed Hath set the women on to this complaint. Your Provost knows the place where he abides, And he may fetch him. DUKE (to one or more) Go, do it instantly.
250
Exit one or more (To Angelo) And you, my noble and well-warranted cousin, Whom it concerns to hear this matter forth, Do with your injuries as seems you best In any chastisement. I for a while will leave you, But stir not you till you have well determined Upon these slanderers. ESCALUS My lord, we’ll do it throughly.
255
Exit Duke Signor Lucio, did not you say you knew that Friar Lodowick to be a dishonest person? LUCIO Cucullus non facit monachum: honest in nothing but in his clothes; and one that hath spoke most villainous speeches of the Duke.
259
238. Even to: emend. tardo; in F to. 720
Shakespeare IV.indb 720
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA (si alza in piedi)
Sì, con tutto il cuore, e puniteli con la massima severità a vostro piacere. – Tu, sciocco frate, e tu, perniciosa donna, d’accordo con l’altra che se n’è andata, pensi che i tuoi giuramenti, anche se giurati su tutta la litania dei santi, possano smentire il credito e la dignità sigillati in una piena approvazione? Voi, lord Escalo, sedete con mio cugino, e gentilmente assistetelo nello sbroglio di questa impostura, la sua provenienza. C’è un altro frate che le ha istigate. Cerchiamolo. Escalo si siede FRATE PIETRO
Vorrei che fosse qui, mio signore, perché è lui che ha istigato le due donne alla denuncia. Il bargello sa dove risiede, e può andare a prenderlo. DUCA (agli altri) Andate subito. Esce qualcuno [A Angelo] E voi, mio nobile e stimato cugino, questa faccenda è di vostra competenza, punite, come meglio ritenete, il torto subìto. Io vi lascio per un po’, ma non muovetevi prima di aver deliberato sui calunniatori. ESCALO
Mio signore, andremo fino in fondo. Esce il duca Signor Lucio, non avete detto che quel frate Lodovico vi è parso persona disonesta? LUCIO
Cucullus non facit monachum: onesto solo nell’abito, e per di più ha detto cose spregevoli del duca.
721
Shakespeare IV.indb 721
30/11/2018 09:32:28
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
ESCALUS We shall entreat you to abide here till he come,
and enforce them against him. We shall find this friar a notable fellow. LUCIO As any in Vienna, on my word. ESCALUS Call that same Isabel here once again; I would speak with her. Exit one or more (To Angelo) Pray you, my lord, give me leave to question. You shall see how I’ll handle her. LUCIO Not better than he, by her own report. ESCALUS Say you? LUCIO Marry, sir, I think if you handled her privately, she would sooner confess; perchance publicly she’ll be ashamed. ESCALUS I will go darkly to work with her. LUCIO That’s the way, for women are light at midnight.
265
270
275
Enter Isabella, guarded ESCALUS (to Isabella) Come on, mistress, here’s a gentlewoman
denies all that you have said. Enter the Duke, disguised as a friar, hooded, and the Provost LUCIO My lord, here comes the rascal I spoke of, here
with the Provost.
281
ESCALUS In very good time. Speak not you to him till we
call upon you. LUCIO Mum.
722
Shakespeare IV.indb 722
30/11/2018 09:32:28
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ESCALO
Vi preghiamo di restare fino al suo arrivo e di testimoniare. Scopriremo che questo frate è un bel tipo. LUCIO
Come nessun altro a Vienna, parola mia. ESCALO
Chiamate di nuovo quella Isabella, vorrei parlarle. Esce qualcuno (A Angelo) Vi prego, signore, concedetemi di interrogarla. Vedrete come me la maneggio. LUCIO
Non meglio di lui, a sentir lei. ESCALO
Cosa dite? LUCIO
Diamine, signore, credo che se ve la maneggiate in privato, confesserà subito. Forse in pubblico si vergogna. ESCALO
Saprò lavorarmela per le segrete vie. LUCIO
Quelle sono le vie, perché le donne s’accendono nell’oscurità 209. Entra Isabella sotto scorta ESCALO (a Isabella)
Venite, signora, c’è una gentildonna che nega quanto avete affermato. Entrano il duca, travestito da frate e incappucciato, e il bargello LUCIO
Mio signore, ecco il farabutto di cui ho parlato, eccolo con il bargello. ESCALO
Al momento giusto. Non parlategli finché non siete interpellato. LUCIO
Acqua in bocca.
723
Shakespeare IV.indb 723
30/11/2018 09:32:28
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
ESCALUS (to the Duke) Come, sir, did you set these women
on to slander Lord Angelo? They have confessed you did. DUKE ’Tis false. ESCALUS How! Know you where you are?
287
DUKE
Respect to your great place, and let the devil Be sometime honoured fore his burning throne. cx Where is the Duke? ’Tis he should hear me speak.
290
ESCALUS
The Duke’s in us, and we will hear you speak. Look you speak justly. DUKE Boldly at least. (To Isabella and Mariana) But O, poor souls, Come you to seek the lamb here of the fox, Good night to your redress! Is the Duke gone? Then is your cause gone too. The Duke’s unjust Thus to retort your manifest appeal, And put your trial in the villain’s mouth Which here you come to accuse.
295
300
LUCIO
This is the rascal, this is he I spoke of. ESCALUS
Why, thou unreverend and unhallowed friar, Is’t not enough thou hast suborned these women To accuse this worthy man but, in foul mouth, And in the witness of his proper ear, To call him villain, and then to glance from him To th’ Duke himself, to tax him with injustice? Take him hence; to th’ rack with him. We’ll touse you cy Joint by joint — but we will know his purpose. What, ‘unjust’?
305
291. Fore: emend. Oxford; in F for. 308. Touse you: così in F; in emend. successivi touse him = “lo faremo a pezzi”. 724
Shakespeare IV.indb 724
30/11/2018 09:32:28
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ESCALO (al duca)
Avanti, signore, avete istigato voi queste due donne a calunniare lord Angelo? Loro hanno confessato in questo senso. DUCA
È falso. ESCALO
Ebbene! Sapete dove siete? DUCA
I miei rispetti al vostro nobile luogo. E che qualche volta si onori il diavolo davanti al suo trono ardente210. Dov’è il duca? È lui che deve ascoltarmi. ESCALO
Il duca è in noi, e noi vi ascolteremo. Badate di parlare in modo giusto. DUCA
E con audacia, almeno. (A Isabella e Mariana) Ma povere creature, siete venute qui a cercare l’agnello a casa della volpe?211 E allora addio alle vostre rivendicazioni! Il duca se n’è andato? Allora se n’è andata anche la vostra causa. Il duca è ingiusto a ritorcervi contro il vostro esplicito appello, rimettendo il processo in bocca alla canaglia che siete venute ad accusare. LUCIO
Questo è il farabutto di cui ho parlato. ESCALO
Ebbene, frate né reverendo né santo, non ti basta aver sobillato queste donne ad accusare un uomo degno, devi, sboccatamente e alla portata del suo orecchio, chiamarlo canaglia, e poi da lui volgere la stoccata al duca e tacciarlo di ingiustizia? Portatelo via, alla tortura. Ti faremo a pezzi – ma scopriremo il suo scopo212. Cosa? “Ingiusto” il duca?
725
Shakespeare IV.indb 725
30/11/2018 09:32:28
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
Be not so hot. The Duke Dare no more stretch this finger of mine than he Dare rack his own. His subject am I not, Nor here provincial. My business in this state Made me a looker-on here in Vienna, Where I have seen corruption boil and bubble Till it o’errun the stew; laws for all faults, But faults so countenanced that the strong statutes Stand like the forfeits in a barber’s shop, As much in mock as mark. ESCALUS Slander to th’ state! Away with him to prison. DUKE
310
315
320
ANGELO
What can you vouch against him, Signor Lucio? Is this the man that you did tell us of? LUCIO ’Tis he, my lord. — Come hither, goodman Baldpate. Do you know me? DUKE I remember you, sir, by the sound of your voice. I met you at the prison, in the absence of the Duke. LUCIO O, did you so? And do you remember what you said of the Duke? DUKE Most notedly, sir. LUCIO Do you so, sir? And was the Duke a fleshmonger, a fool, and a coward, as you then reported him to be? DUKE You must, sir, change persons with me ere you make that my report. You indeed spoke so of him, and much more, much worse. LUCIO O, thou damnable fellow! Did not I pluck thee by the nose for thy speeches? DUKE I protest I love the Duke as I love myself. ANGELO Hark how the villain would close now, after his treasonable abuses.
325
330
335
340
726
Shakespeare IV.indb 726
30/11/2018 09:32:28
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Non riscaldatevi tanto. Il duca non oserebbe torcermi un dito più di quanto non osi torturare il suo. Non sono suo suddito, né di questa giurisdizione. La mia missione in questo stato ha fatto di me un osservatore di Vienna, dove ho visto ribollire la corruzione fino al traboccare della broda 213. Leggi per tutte le colpe ma colpe così tollerate che i severi statuti stanno come le liste di penali esposte dai barbieri, più per sberleffo che per monito214. ESCALO
Vilipendio dello stato. Portatelo in prigione. ANGELO
Cosa potete testimoniare contro lui, signor Lucio? È questo l’uomo di cui ci avete parlato? LUCIO
È lui, mio signore. – Venite qui messer Zuccapelata 215. Mi riconoscete? DUCA
Vi riconosco, signore, dalla voce. Vi ho incontrato in prigione, quando il duca era assente. LUCIO
Davvero? E ricordate cosa avete detto del duca? DUCA
Molto bene, signore. LUCIO
Davvero, signore? E il duca non è forse un puttaniere, uno stolto e un codardo? È questo che avete detto. DUCA
Dovete scambiare la vostra persona con la mia, signore, per attribuirmi quelle parole. Foste voi, invece, a pronunciarle, e altre ancora, e peggiori. LUCIO
Oh, dannatissimo! Non ti ho forse tirato il naso per i tuoi discorsi? DUCA
Dichiaro che amo il duca come me stesso. ANGELO
Sentite come questa canaglia vorrebbe rimediare le cose dopo le sue offese da traditore. 727
Shakespeare IV.indb 727
30/11/2018 09:32:28
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
ESCALUS Such a fellow is not to be talked withal. Away
with him to prison. Where is the Provost? Away with him to prison. Lay bolts enough upon him. Let him speak no more. Away with those giglets too, and with the other confederate companion.
345
[Mariana is raised to her feet, and is guarded.] The Provost makes to seize the Duke DUKE Stay, sir, stay a while. ANGELO What, resists he? Help him, Lucio. LUCIO (to the Duke) Come, sir; come, sir; come, sir! Foh,
sir! Why, you bald-pated lying rascal, you must be hooded, must you? Show your knave’s visage, with a pox to you! Show your sheep-biting face, and be hanged an hour! Will’t not off?
352
He pulls off the friar’s hood, and discovers the Duke. [Angelo and Escalus rise] DUKE
Thou art the first knave that e’er madest a duke. First, Provost, let me bail these gentle three. (To Lucio) Sneak not away, sir, for the friar and you Must have a word anon. (To one or more) Lay hold on him. LUCIO This may prove worse than hanging. DUKE (to Escalus) What you have spoke, I pardon. Sit you down. We’ll borrow place of him.
356
[Escalus sits] (To Angelo)
Sir, by your leave.
[He takes Angelo’s seat] Hast thou or word or wit or impudence That yet can do thee office? If thou hast, Rely upon it till my tale be heard, And hold no longer out.
360
728
Shakespeare IV.indb 728
30/11/2018 09:32:28
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ESCALO
Con un tipo così non vale la pena di parlare, portatelo in prigione. Dov’è il bargello? Portatelo in prigione. Caricatelo di ceppi. Che non parli più. In prigione anche queste sgualdrinelle e il loro accolito. [Mariana sotto scorta si alza.] Il bargello fa l’atto di mettere le mani sul duca DUCA
Fermo, signore, state fermo un momento. ANGELO
Cosa? Fa resistenza? Aiutatelo Lucio. LUCIO (al duca)
Andiamo, andiamo, signore, andiamo! Sì, bel signore! Perché mai tu, farabutto, tu, bugiardo Zuccapelata, devi startene col cappuccio? Eh, perché? Mostra la tua faccia da furfante, e che ti prenda la peste! Mostra quel viso da cane ringhioso che hai e fatti impiccare per tutta un’ora!216 Non ti va di scoprirti? Scappuccia il frate e rivela il duca [Angelo e Escalo si alzano] DUCA
Tu sei il primo furfante che abbia mai eletto un duca 217. Anzitutto, bargello, garantiamo per queste tre brave persone. (A Lucio) Non svignatevela, signore, dovete scambiare qualche parola con il frate. (Agli altri) Fermatelo. LUCIO
Qui finisce peggio di un’impiccagione. DUCA (a Escalo) Vi perdono per quel che avete detto. Sedete. Sarà a lui che chiederemo il seggio. [Escalo si siede] (A Angelo) Col vostro permesso, signore. [Si siede sul suo seggio] Hai parole, ingegno o impudenza che ti possano servire?218 Se è così, fanne uso prima che io racconti la mia storia, e non tergiversare.
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Shakespeare IV.indb 729
30/11/2018 09:32:29
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
O my dread lord, I should be guiltier than my guiltiness To think I can be undiscernible, When I perceive your grace, like power divine, Hath looked upon my passes. Then, good prince, No longer session hold upon my shame, But let my trial be mine own confession. Immediate sentence then, and sequent death, Is all the grace I beg. DUKE Come hither, Mariana. (To Angelo) Say, wast thou e’er contracted to this woman? ANGELO I was, my lord. ANGELO
365
370
DUKE
Go, take her hence and marry her instantly. Do you the office, friar; which consummate, Return him here again. Go with him, Provost.
375
Exeunt Angelo, Mariana, Friar Peter, and the Provost ESCALUS
My lord, I am more amazed at his dishonour Than at the strangeness of it. DUKE Come hither, Isabel. Your friar is now your prince. As I was then Advertising and holy to your business, Not changing heart with habit I am still Attorneyed at your service. ISABELLA O, give me pardon, That I, your vassal, have employed and pained Your unknown sovereignty. DUKE You are pardoned, Isabel. And now, dear maid, be you as free to us. Your brother’s death I know sits at your heart, And you may marvel why I obscured myself, Labouring to save his life, and would not rather Make rash remonstrance of my hidden power
380
385
730
Shakespeare IV.indb 730
30/11/2018 09:32:29
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ANGELO
Mio temuto signore, sarei più colpevole della mia colpevolezza se pensassi di non essere smascherabile219, vedendo che vostra grazia, come il divino potere, ha osservato le mie malefatte. Quindi, buon principe, non prolungate la seduta sulla mia vergogna: che il mio processo sia nella mia confessione. Sentenza immediata, allora, e subito la morte, è tutta la grazia che chiedo. DUCA
Venite qui, Mariana. (A Angelo) Dicci: sei stato promesso a questa donna? ANGELO
Sì, mio signore. DUCA
Va, prendila, e sposala all’istante. Frate, officiate voi, e celebrato il rito, riportatelo qui. Bargello, accompagnatelo. Escono Angelo, Mariana, frate Pietro e il bargello ESCALO
Mio signore, sono più stupito dal suo disonore che dalla stranezza del tutto. DUCA
Venite qui, Isabella. Il vostro frate è ora il vostro principe. E come allora portai consiglio e conforto alla vostra causa, non avendo mutato con l’abito il mio cuore, resto ancora al vostro servizio. ISABELLA
Oh, perdonatemi! Io, ignara vassalla, mi sono servita, abusandone, della vostra sovranità. DUCA
Siete perdonata, Isabella. E ora, cara fanciulla, siate voi altrettanto generosa con noi. La morte di vostro fratello, lo so, vi pesa sul cuore, e forse vi chiedete perché io, in incognito, mentre mi adoperavo per salvarlo, non abbia invece manifestato subito i miei poteri,
731
Shakespeare IV.indb 731
30/11/2018 09:32:29
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
Than let him so be lost. O most kind maid, It was the swift celerity of his death, Which I did think with slower foot came on, That brained my purpose. But peace be with him! That life is better life, past fearing death, Than that which lives to fear. Make it your comfort, So happy is your brother. ISABELLA I do, my lord.
390
396
Enter Angelo, Mariana, Friar Peter, and the Provost DUKE
For this new-married man approaching here, Whose salt imagination yet hath wronged Your well-defended honour, you must pardon For Mariana’s sake; but as he adjudged your brother — Being criminal in double violation Of sacred chastity and of promise-breach, Thereon dependent, for your brother’s life — The very mercy of the law cries out Most audible, even from his proper tongue, ‘An Angelo for Claudio, death for death’. Haste still pays haste, and leisure answers leisure; Like doth quit like, and measure still for measure. cz Then, Angelo, thy fault’s thus manifested, Which, though thou wouldst deny, denies thee vantage. We do condemn thee to the very block Where Claudio stooped to death, and with like haste. Away with him. MARIANA O my most gracious lord, I hope you will not mock me with a husband!
400
405
410
408. measure still for measure: emend. Oxford; in F Measure … Measure, il maiuscolo fu forse aggiunto dal copista. 732
Shakespeare IV.indb 732
30/11/2018 09:32:29
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
causando così la sua perdita. Gentile fanciulla, fu la frettolosità dell’esecuzione, cui attribuivo passi più lenti, a rovinare il mio proposito. Ma riposi in pace! La vita che non teme più la morte è una vita migliore di quella che l’attende. Consolatevi, vostro fratello è felice. ISABELLA
Sì, mio signore. Entrano Angelo, Mariana, frate Pietro, il bargello DUCA
Quanto al novello sposo che qui s’avvicina, la cui licenziosa fantasia ha insidiato il vostro ben difeso onore, dovete perdonarlo per amore di Mariana. Ma ai fini della condanna di vostro fratello – lui, due volte criminale, in quanto ha violato la sacra castità e ha rotto la promessa da cui dipendeva la vita di vostro fratello – è la clemenza stessa della legge a proclamare, forte e con la sua stessa voce, “un Angelo per Claudio, morte per morte”220. Fretta paga per la fretta, indugio per indugio, pari per pari, e misura ancora per misura 221. Quindi, Angelo, la tua colpa è così manifesta che, se volessi negarla, essa ti nega il beneficio di farlo. Ti condanniamo allo stesso ceppo su cui si chinò Claudio, e con la stessa fretta. Portatelo via. MARIANA
Graziosissimo signore, spero che non mi abbiate dato un marito per burla!
733
Shakespeare IV.indb 733
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MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
It is your husband mocked you with a husband. Consenting to the safeguard of your honour, I thought your marriage fit; else imputation, For that he knew you, might reproach your life, And choke your good to come. For his possessions, Although by confiscation they are ours, da We do enstate and widow you with all, To buy you a better husband. MARIANA O my dear lord, I crave no other, nor no better man.
415
420
DUKE
Never crave him; we are definitive. MARIANA
Gentle my liege — You do but lose your labour. — Away with him to death. (To Lucio) Now, sir, to you. MARIANA (kneeling) O my good lord! — Sweet Isabel, take my part; Lend me your knees, and all my life to come I’ll lend you all my life to do you service. DUKE
425
DUKE
Against all sense you do importune her. Should she kneel down in mercy of this fact, Her brother’s ghost his pavèd bed would break, And take her hence in horror. MARIANA Isabel, Sweet Isabel, do yet but kneel by me. Hold up your hands; say nothing; I’ll speak all. They say best men are moulded out of faults, And, for the most, become much more the better For being a little bad. So may my husband. O Isabel, will you not lend a knee?
430
435
DUKE
He dies for Claudio’s death. 420. Confiscation: così in F2; in F confutation. 734
Shakespeare IV.indb 734
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
È vostro marito che vi ha dato un marito per burla. Per la salvaguardia del vostro onore, ho ritenuto giusto il matrimonio, altrimenti l’accusa che cadrebbe sulla vostra consumazione vi avrebbe segnata per la vita, impedendo un bene futuro. I suoi averi, nostri per confisca, li intitolo a voi. Sono la dote di una vedova per comprare un marito migliore. MARIANA
Mio caro signore, non voglio nessun altro né un uomo migliore. DUCA
Smettete di volerlo. Abbiamo deciso. MARIANA
Nobile sovrano… DUCA
È fatica sprecata. – Portatelo via: a morte. (A Lucio) Ora, signore, a voi. MARIANA (s’inginocchia) Mio buon signore! – Dolce Isabella, sostenetemi, prestatemi le vostre ginocchia, e per tutta la vita la mia sarà prestata al vostro servizio. DUCA
È insensato importunarla. Se s’inginocchiasse per chiedere misericordia, lo spettro di suo fratello infrangerebbe la sua lapide e se la porterebbe via con orrore222. MARIANA
Isabella, dolce Isabella, vi prego inginocchiatevi. Alzate le mani senza dire nulla, parlerò io. Si dice che gli uomini migliori sono forgiati dalle loro colpe e che i più migliorano proprio per essere stati un po’ cattivi. E così sia per mio marito. Isabella mi concederete le vostre ginocchia? DUCA
Lui muore per la morte di Claudio.
735
Shakespeare IV.indb 735
30/11/2018 09:32:29
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
ISABELLA (kneeling)
Most bounteous sir, Look, if it please you, on this man condemned As if my brother lived. I partly think A due sincerity governed his deeds, Till he did look on me. Since it is so, Let him not die. My brother had but justice, In that he did the thing for which he died. For Angelo, His act did not o’ertake his bad intent, And must be buried but as an intent That perished by the way. Thoughts are no subjects, Intents but merely thoughts. MARIANA Merely, my lord.
440
445
451
DUKE
Your suit’s unprofitable. Stand up, I say. [Mariana and Isabella stand] I have bethought me of another fault. Provost, how came it Claudio was beheaded At an unusual hour? PROVOST It was commanded so.
455
DUKE
Had you a special warrant for the deed? PROVOST
No, my good lord, it was by private message. DUKE
For which I do discharge you of your office. Give up your keys. PROVOST Pardon me, noble lord. I thought it was a fault, but knew it not, Yet did repent me after more advice; For testimony whereof one in the prison That should by private order else have died I have reserved alive. DUKE What’s he? PROVOST His name is Barnardine.
460
465
736
Shakespeare IV.indb 736
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
ISABELLA (s’inginocchia)
Generoso signore, vogliate guardare a questo condannato come se mio fratello fosse vivo. Sono propensa a credere che con vera sincerità governasse le sue azioni, finché non posò gli occhi su di me. Poiché così deve essere, che non muoia. Mio fratello ebbe solo giustizia: aveva commesso ciò per cui è morto. Quanto ad Angelo, l’atto compiuto non realizzò il suo cattivo intento, e deve essere sepolto come un intento, morto per la via. I pensieri non sono soggetti 223 alla legge e gli intenti sono solo pensieri. MARIANA
Solo pensieri, mio signore. DUCA
La vostra supplica è inutile. Alzatevi! [Mariana e Isabella si alzano] Mi sono ricordato di un’altra colpa. Bargello, come mai Claudio fu giustiziato a un’ora così insolita? BARGELLO
Così mi fu ordinato. DUCA
Riceveste un ordine ufficiale per farlo? BARGELLO
No, mio buon signore, era un messaggio privato. DUCA
E per questo vi sollevo dall’incarico. Restituite le chiavi. BARGELLO
Perdonatemi, nobile signore. Mi parve una manchevolezza, ma non ne ero certo, e me ne son pentito, ripensandoci. Lo prova un tale in prigione che, con lo stesso ordine, avrebbe dovuto morire e ho invece mantenuto in vita. DUCA
Chi è? BARGELLO
Si chiama Bernardino.
737
Shakespeare IV.indb 737
30/11/2018 09:32:29
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
I would thou hadst done so by Claudio. Go fetch him hither. Let me look upon him. Exit Provost ESCALUS
I am sorry one so learned and so wise As you, Lord Angelo, have still appeared, Should slip so grossly, both in the heat of blood And lack of tempered judgement afterward.
470
ANGELO
I am sorry that such sorrow I procure, And so deep sticks it in my penitent heart That I crave death more willingly than mercy. ’Tis my deserving, and I do entreat it.
475
Enter Barnardine and the Provost; Claudio, muffled, and Juliet DUKE
Which is that Barnardine? This, my lord.
PROVOST DUKE
There was a friar told me of this man. (To Barnardine) Sirrah, thou art said to have a stubborn soul That apprehends no further than this world, And squar’st thy life according. Thou’rt condemned; But, for those earthly faults, I quit them all, And pray thee take this mercy to provide For better times to come. — Friar, advise him. I leave him to your hand. (To Provost) What muffled fellow’s that?
480
485
PROVOST
This is another prisoner that I saved, Who should have died when Claudio lost his head, As like almost to Claudio as himself. He unmuffles Claudio
738
Shakespeare IV.indb 738
30/11/2018 09:32:29
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Vorrei che lo aveste fatto con Claudio. Andate, portatelo qui. Che io lo veda. Esce il bargello ESCALO
Mi duole che un uomo dotto e saggio quale voi, lord Angelo, siete sempre apparso, sia caduto in modo così grossolano, perdendo il controllo dei sensi, prima, e poi quello di un ponderato giudizio. ANGELO
A me duole procurare tale dispiacere, che pesa sul mio cuore di penitente: desidero la morte piuttosto che la clemenza. Me la merito e la imploro. Entrano Bernardino e il bargello; Claudio, incappucciato, e Giulietta DUCA
Chi è Bernardino? BARGELLO
Questo qui, mio signore. DUCA
Un frate mi ha parlato di quest’uomo. (A Bernardino) Amico, mi si dice che sei ostinato, che non vai oltre le cose di questo mondo e a quelle conformi la tua vita. Sei condannato, ma le colpe terrene te le condono. Vorrei che tu traessi profitto dalla mia clemenza per il bene del tuo futuro. – Frate, consigliatelo voi. Lo affido alle vostre mani. (Al bargello). Chi è quello incappucciato? BARGELLO
È un altro carcerato che ho salvato. Avrebbe dovuto morire quando Claudio fu decapitato, gli somiglia, come fosse Claudio in persona. Toglie il cappuccio a Claudio
739
Shakespeare IV.indb 739
30/11/2018 09:32:29
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE (to Isabella)
If he be like your brother, for his sake Is he pardoned; and for your lovely sake Give me your hand, and say you will be mine. He is my brother too. But fitter time for that. By this Lord Angelo perceives he’s safe. Methinks I see a quick’ning in his eye. Well, Angelo, your evil quits you well. Look that you love your wife, her worth worth yours. I find an apt remission in myself; And yet here’s one in place I cannot pardon. (To Lucio) You, sirrah, that knew me for a fool, a coward, One all of luxury, an ass, a madman, Wherein have I so deserved of you That you extol me thus? LUCIO Faith, my lord, I spoke it but according to the trick. If you will hang me for it, you may; but I had rather it would please you I might be whipped. DUKE Whipped first, sir, and hanged after. Proclaim it, Provost, round about the city, If any woman wronged by this lewd fellow, db As I have heard him swear himself there’s one Whom he begot with child, let her appear, And he shall marry her. The nuptial finished, Let him be whipped and hanged. LUCIO I beseech your highness, do not marry me to a whore. Your highness said even now I made you a duke; good my lord, do not recompense me in making me a cuckold.
490
495
500
505
510
516
508. If any woman: così in F; in emend. successivi If any woman’s. 740
Shakespeare IV.indb 740
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MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA (a Isabella)
Se assomiglia a vostro fratello, per amor suo lo perdono, e per amore della vostra leggiadria datemi la mano, e dite che sarete mia. Egli è anche mio fratello. Ma questo a miglior tempo. Ora lord Angelo si rende conto che è salvo. Mi par di vedere un guizzo nei suoi occhi. Angelo, siete ripagato col bene per il male compiuto. Amate vostra moglie, è degna quanto voi. Sono in vena di indulgenza ma c’è qualcuno qui che non riesco a perdonare. (A Lucio) Quanto a voi, signorino. Per voi sono uno stolto, un codardo, lussurioso, pazzo e somaro. Come ho meritato tanta lode? LUCIO
In fede mia, mio signore, erano facezie che son di moda. Se volete impiccarmi, fatelo pure, ma preferirei che vi compiaceste di una frustatina. DUCA
Frustato prima e impiccato poi, signore. Emettete un proclama, bargello, per tutta la città: se c’è una donna oltraggiata da questo lussurioso, come lui mi ha riferito giurando, una che ha messo incinta, ebbene, si presenti e lui la sposerà. Celebrate le nozze, frustatelo e impiccatelo. LUCIO
Vi supplico vostra altezza: non fatemi sposare una puttana. Proprio ora vostra altezza ha affermato che io vi ho reso duca. Mio buon signore, non ricambiatemi facendo di me un cornuto.
741
Shakespeare IV.indb 741
30/11/2018 09:32:30
MEASURE FOR MEASURE, ACT 5 SCENE 1
DUKE
Upon mine honour, thou shalt marry her. Thy slanders I forgive, and therewithal Remit thy other forfeits. — Take him to prison, And see our pleasure herein executed. LUCIO Marrying a punk, my lord, is pressing to death, whipping, and hanging. DUKE Slandering a prince deserves it.
520
[Exit Lucio guarded] She, Claudio, that you wronged, look you restore, Joy to you, Mariana. Love her, Angelo. I have confessed her, and I know her virtue. Thanks, good friend Escalus, for thy much goodness. There’s more behind that is more gratulate. Thanks, Provost, for thy care and secrecy. We shall employ thee in a worthier place. Forgive him, Angelo, that brought you home The head of Ragusine for Claudio’s. Th’offence pardons itself. Dear Isabel, I have a motion much imports your good, Whereto, if you’ll a willing ear incline, What’s mine is yours, and what is yours is mine. (To all) So bring us to our palace, where we’ll show What’s yet behind that’s meet you all should know.
525
530
535
Exeunt
742
Shakespeare IV.indb 742
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, ATTO V SCENA 1
DUCA
Sul mio onore, tu la sposerai. Perdono le calunnie, e con esse condono altre pene. – Portatelo in prigione, ed eseguite il mio volere. LUCIO
Sposare una baldracca, mio signore, è come essere torturato a morte, frustato e impiccato. DUCA
Il vilipendio di un principe lo merita. [Esce Lucio sotto scorta] Claudio, provvedete a colei che avete violato. Felicità a voi, Mariana. Amatela, Angelo. Io l’ho confessata e conosco le sue virtù. Grazie per la tua onestà, buon amico Escalo. Altre gratificazioni ti aspettano. Grazie, bargello, per il rigore e la discrezione. Ti affideremo un incarico più degno. Perdonatelo, Angelo, per avervi consegnato la testa di Ragusino e non quella di Claudio. La colpa si assolve da sé. Cara Isabella, ho una proposta che riguarda il vostro bene, se l’accogliete con piacere, quel che è mio è tuo, e quel che è tuo è mio224. (A tutti) Andiamo al palazzo, dove mostreremo cos’altro c’è ancora per voi da sapere. Escono
743
Shakespeare IV.indb 743
30/11/2018 09:32:30
MEASURE FOR MEASURE, ADDITIONAL PASSAGES
ADDITIONAL PASSAGES The text of Measure for Measure given in this edition is probably that of an adapted version made for Shakespeare’s company after his death. Adaptation seems to have affected two passages, printed below as we believe Shakespeare to have written them. A. 1.2.0.1-116 A.2-9 (‘…by him’) are lines which the adapter (whom we believe to be Thomas Middleton) evidently intended to be replaced by 1.2.56-79 of the play as we print it. The adapter must have contributed all of 1.2.0.1-83, which in the earliest and subsequent printed texts precede the discussion between the Clown (Pompey) and the Bawd (Mistress Overdone) about Claudio’s arrest. Lucio’s entry alone at 1.40.1 below, some eleven lines after his re-entry with the two Gentlemen and the Provost’s party in the adapted text, probably represents Shakespeare’s original intention. In his version, Juliet, present but silent in the adapted text both in 1.2 and 5.1, probably did not appear in either scene; accordingly, the words ‘and there’s Madam Juliet’ (1.2.107) must also be the reviser’s work, and do not appear below. Enter Pompey and Mistress Overdone, [meeting] MISTRESS OVERDONE How now, what’s the news with you? POMPEY Yonder man is carried to prison. MISTRESS OVERDONE Well! What has he done? POMPEY A woman. MISTRESS OVERDONE But what’s his offence?
5
POMPEY Groping for trouts in a peculiar river.
744
Shakespeare IV.indb 744
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, AGGIUNTE AL TESTO
AGGIUNTE AL TESTO Il testo di Misura per misura di questa edizione Oxford (Jowett) è probabilmente una versione riadattata dopo la morte di Shakespeare. Gli interventi sembrano aver influito in particolare su due passi (I, 2, 1-116 e III, 1, 515-IV, 1, 65), riportati qui di seguito nella versione che si suppone più rispecchiante il testo originale di Shakespeare. A – I, 2, 1-116 Evidentemente, l’autore del riadattamento (quasi certamente Thomas Middleton) intendeva sostituire i versi 2-9 qui di seguito riportati (“… verginella”) con i versi 56-79 della versione presentata in questa edizione. A lui si dovrebbe l’intero passo (vv. 1-83) che, in tutte le versioni stampate, precede la discussione fra Pompeo e Madama Sfondata sull’arresto di Claudio. È probabile che l’originale shakespeariano prevedesse l’entrata del solo Lucio, al v. 40 (qui sotto), più o meno undici versi dopo il suo rientro con i due gentiluomini e il gruppo del bargello con Claudio della versione riadattata. È altrettanto probabile che nell’originale Giulietta, presente ma in silenzio in due diverse situazioni (I, 2 e V, 1) dell’adattamento, non comparisse sulla scena, e che la battuta “Ed ecco madamigella Giulietta” (I, 2, 107), assente nel passo che segue, sia da ritenersi per mano dell’adattatore. Entrano [incontrandosi] Pompeo e Madama Sfondata MADAMA SFONDATA
Ehilà! Che novità ci sono? POMPEO
Quello lì, laggiù, lo portano in galera. MADAMA SFONDATA
E cosa ha fatto? POMPEO
Una donna, s’è fatto. MADAMA SFONDATA
Ma qual è la sua colpa? POMPEO
È andato per trote in un ruscello riservato. 745
Shakespeare IV.indb 745
30/11/2018 09:32:30
MEASURE FOR MEASURE, ADDITIONAL PASSAGES
MISTRESS OVERDONE What, is there a maid with child by
him? POMPEY No, but there’s a woman with maid by him: you
have not heard of the proclamation, have you?
10
MISTRESS OVERDONE What proclamation, man? POMPEY All houses in the suburbs of Vienna must be
plucked down. MISTRESS OVERDONE And what shall become of those in
the city?
15
POMPEY They shall stand for seed. They had gone down
too, but that a wise burgher put in for them. MISTRESS OVERDONE But shall all our houses of resort in the suburbs be pulled down? POMPEY To the ground, mistress. MISTRESS OVERDONE Why, here’s a change indeed in the commonwealth. What shall become of me? POMPEY Come, fear not you. Good counsellors lack no clients. Though you change your place, you need not change your trade. I’ll be your tapster still. Courage, there will be pity taken on you. You that have worn your eyes almost out in the service, you will be considered.
20
[A noise within] MISTRESS OVERDONE What’s to do here, Thomas Tapster?
Let’s withdraw!
30
Enter the Provost and Claudio POMPEY Here comes Signor Claudio, led by the Provost to
prison.
Exeunt Mistress Overdone and Pompey
CLAUDIO
Fellow, why dost thou show me thus to th’ world? Bear me to prison, where I am committed.
746
Shakespeare IV.indb 746
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, AGGIUNTE AL TESTO
MADAMA SFONDATA
Cosa? Ha messo incinta una verginella? POMPEO
No, ha messo una donna incinta di una verginella 225. Ma non avete sentito il proclama. MADAMA SFONDATA
Quale proclama, amico? POMPEO
Tutte le case nei sobborghi di Vienna devono essere demolite. MADAMA SFONDATA
E di quelle in città cosa succede? POMPEO
Restano a far semenza. Sarebbero state demolite pure loro se un saggio cittadino non si fosse mosso a sostenerle. MADAMA SFONDATA
Ma proprio tutte le nostre case di piacere nei sobborghi demolite? POMPEO
Rase al suolo, padrona. MADAMA SFONDATA
Beh, c’è un bel cambiamento nello stato. Che ne sarà di me? POMPEO
Via, non temete. A buoni azzeccagarbugli non mancano i clienti. Cambiare quartiere non significa cambiare mestiere. E io sarò sempre il vostro mescitore. Coraggio, avranno pietà di voi, di voi che vi siete quasi consumata gli occhi a furia di servire. Avranno considerazione. [Rumore da dentro] MADAMA SFONDATA
Cosa facciamo ancora qui, signor mescitore. Andiamocene. Entrano il bargello e Claudio POMPEO
Ecco il signor Claudio che il bargello porta in prigione. Escono Madama Sfondata e Pompeo CLAUDIO
Amico, perché mostrarmi a tutti? Portami in prigione, dove sono destinato. 747
Shakespeare IV.indb 747
30/11/2018 09:32:30
MEASURE FOR MEASURE, ADDITIONAL PASSAGES
PROVOST
I do it not in evil disposition, But from Lord Angelo by special charge.
35
CLAUDIO
Thus can the demigod Authority Make us pay down for our offence, by weight, The bonds of heaven. On whom it will, it will; On whom it will not, so; yet still ’tis just.
40
[Enter Lucio] LUCIO
Why, how now, Claudio? Whence comes this restraint? B. 3.1.515-4.1.65 Before revision there would have been no act-break and no song; the lines immediately following the song would also have been absent. The Duke’s soliloquies ‘He who the sword of heaven will bear’ and ‘O place and greatness’ have evidently been transposed in revision; in the original, the end of ‘O place and greatness’ would have led straight on to the Duke’s meeting with Isabella and then Mariana. ESCALUS I am going to visit the prisoner. Fare you well. DUKE Peace be with you.
Exit Escalus O place and greatness, millions of false eyes Are stuck upon thee; volumes of report Run with their false and most contrarious quest Upon thy doings; thousand escapes of wit Make thee the father of their idle dream, And rack thee in their fancies.
5
Enter Isabella Very well met. dc What is the news from this good deputy? ISABELLA
He hath a garden circummured with brick, Whose western side is with a vineyard backed;
10
B.8. Well met: emend. Oxford; in F well met, and well come. 748
Shakespeare IV.indb 748
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, AGGIUNTE AL TESTO
BARGELLO
Non lo faccio per cattiveria. È un ordine di lord Angelo. CLAUDIO
Può dunque l’Autorità, questa semidea, farci pagare a peso i vincoli del cielo per le nostre colpe. Si vuole a chi si vuole, e non si vuole a chi non si vuole, ed è sempre giusto. [Entra Lucio] LUCIO
Claudio? Da dove viene questa restrizione? B – III, 1, 515-IV, 1, 65 È probabile che prima della revisione non fossero previste la chiusura del III Atto, la canzone e il successivo dialogo fra il duca e Mariana nel IV atto. Inoltre, i soliloqui del duca “Colui che impugna la spada” e “Grandezza del rango!” sarebbero stati scambiati nella loro collocazione. Nell’originale, “Grandezza del rango” doveva precedere “Colui che impugna la spada” e condurre direttamente all’incontro del duca prima con Isabella e poi con Mariana. A quel punto seguiva il soliloquio “Colui che impugna la spada”. ESCALO
Vado a trovare il carcerato. Addio. DUCA
La pace sia con voi. Esce Escalo Grandezza del rango! Milioni di occhi infidi ti guardano, cumuli di dicerie scatenano una canizza mendace e ostile sulle tue azioni; migliaia di ingegnose trovate ti fanno padre dei loro vani sogni e ti disfigurano con le loro fantasie. Entra Isabella Bentrovata. Quali novità da questo buon vicario? ISABELLA
Ha un giardino recintato da un muro, chiuso a ponente da una vigna a cui s’accede da un cancello di legno che si apre con questa
749
Shakespeare IV.indb 749
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MEASURE FOR MEASURE, ADDITIONAL PASSAGES
And to that vineyard is a planckèd gate, That makes his opening with this bigger key. This other doth command a little door Which from the vineyard to the garden leads. There have I made my promise Upon the heavy middle of the night To call upon him.
15
DUKE
But shall you on your knowledge find this way? ISABELLA
I have ta’en a due and wary note upon’t. With whispering and most guilty diligence, In action all of precept, he did show me The way twice o’er. DUKE Are there no other tokens Between you ’greed concerning her observance?
20
ISABELLA
No, none, but only a repair i’th’ dark, And that I have possessed him my most stay Can be but brief, for I have made him know I have a servant comes with me along That stays upon me, whose persuasion is I come about my brother. DUKE ’Tis well borne up. I have not yet made known to Mariana A word of this. — What ho, within! Come forth!
25
30
Enter Mariana (To Mariana) I pray you be acquainted with this maid. She comes to do you good. ISABELLA I do desire the like. DUKE (to Mariana) Do you persuade yourself that I respect you?
35
MARIANA
Good friar, I know you do, and so have found it.
750
Shakespeare IV.indb 750
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, AGGIUNTE AL TESTO
chiave più grande. Quest’altra apre invece una porticina che dalla vigna immette nel giardino. Lì ho promesso di incontralo nel cuore della notte. DUCA
Ma sapete come arrivarci? ISABELLA
Ne ho preso debita nota. Bisbigliando con diligenza e senso di colpa, a gesti e a parole, egli mi ha mostrato due volte la strada. DUCA
E non avete preso altri accordi sulle misure da osservare? ISABELLA
No, nessun altro, solo un incontro al buio, e che la mia permanenza sia breve, perché, gli ho detto, ci sarà una fantesca ad aspettarmi, convinta che io mi rechi lì per mio fratello. DUCA
Ben architettato. Non ho ancora informato Mariana di tutto questo. È dentro. Venite pure fuori! Entra Mariana (A Mariana) Voglio che conosciate questa giovane, è qui per il vostro bene. ISABELLA
È quel che desidero anch’io. DUCA (a Mariana) Siete persuasa che ho a cuore il vostro interesse? MARIANA
Buon frate, ne sono convinta, e ne ho prove.
751
Shakespeare IV.indb 751
30/11/2018 09:32:30
MEASURE FOR MEASURE, ADDITIONAL PASSAGES
DUKE
Take then this your companion by the hand, Who hath a story ready for your ear. I shall attend your leisure; but make haste, The vaporous night approaches. MARIANA Will’t please you walk aside. [Exeunt Mariana and Isabella] DUKE
He who the sword of heaven will bear Should be as holy as severe, Pattern in himself to know, Grace to stand, and virtue go, More nor less to others paying Than by self-offences weighing. Shame to him whose cruel striking Kills for faults of his own liking! Twice treble shame on Angelo, To weed my vice, and let his grow! O, what may man within him hide, Though angel on the outward side! How may likeness made in crimes Make my practice on the times To draw with idle spiders’ strings Most ponderous and substantial things? Craft against vice I must apply. With Angelo tonight shall lie His old betrothed but despisèd. So disguise shall, by th’ disguisèd, Pay with falsehood false exacting, And perform an old contracting.
41
45
50
55
60
[Enter Mariana and Isabella] Welcome. How agreed? ISABELLA
She’ll take the enterprise upon her, father, If you advise it.
65
752
Shakespeare IV.indb 752
30/11/2018 09:32:30
MISURA PER MISURA, AGGIUNTE AL TESTO
DUCA
Prendete allora per mano questa vostra amica, ha una storia da raccontarvi. Vi aspetterò, ma fate presto, la notte, con i suoi vapori, si avvicina. MARIANA (a Isabella) Venite, vi prego, accompagnatemi. [Escono Mariana e Isabella] DUCA
Colui che impugna la spada del cielo deve essere santo quanto è severo, scoprire in sé il modello della grazia nella fermezza e della virtù nell’azione, punendo gli altri con il peso con cui pesa se stesso. Infame è chi con crudeltà uccide per colpe che anch’egli corteggia! E tre volte infame è Angelo, che estirpa il mio vizio e nutre il suo! Ahimè, cosa può celarsi dentro un uomo che angelo appare! E come può l’apparenza fatta di misfatti raggirare i tempi e imbrigliare con fili di ragnatele entità di più ponderosa consistenza? Astuzia contro il vizio devo usare. Con Angelo, stanotte, sarà la fidanzata ripudiata a giacere. Così l’inganno sarà dall’ingannata ripagato: frode contro fraudolenta esazione, e a un vecchio contratto sarà data soddisfazione. Entrano Mariana e Isabella Bentornate. Vi siete messe d’accordo? ISABELLA
Si assume lei il compito di agire, padre, se voi lo consigliate.
753
Shakespeare IV.indb 753
30/11/2018 09:32:30
Shakespeare IV.indb 754
30/11/2018 09:32:31
All’s Well That Ends Well Tutto è bene ciò che finisce bene Testo inglese a cura di GARY TAYLOR Nota introduttiva, traduzione e note di CHIARA LOMBARDI
Shakespeare IV.indb 755
30/11/2018 09:32:31
Shakespeare IV.indb 756
30/11/2018 09:32:31
Nota introduttiva
Là dove si era impressa l’immagine attraverso gli occhi, il disprezzo mi prestò la sua lente deformante che distorse il profi lo di ogni altro volto, imbrattò un bel colorito o lo ritenne rubato, allungò o restrinse tutte le proporzioni riducendole a un oggetto detestabile. Da ciò avvenne che colei che tutti gli uomini lodavano, e che io stesso ho amato dopo avere perduto, fosse per me come fastidiosa polvere negli occhi (V, 3, 48-56).
Con queste parole Bertram, il giovane conte di Rossiglione, spiega al re di Francia il motivo del suo rifiuto per Elena, la donna che lo amava e che il sovrano gli aveva dato in moglie, ora creduta morta. Quel che interessa al di là dell’intreccio, però, è che il personaggio sta dipingendo un ritratto dalla prospettiva deformata e dai contorni distorti. Attraverso la visione soggettiva di Bertram, che ha disprezzato ciò che non ha ritenuto all’altezza della propria nobiltà di sangue, la fisionomia della bella Elena diventa emblema di bruttezza, “oggetto detestabile”, come il teschio che si staglia obliquo nel quadro di Hans Holbein intitolato Ambasciatori (1533), uno dei primi esempi di anamorfosi in pittura, ovvero di deformazione prospettica di un’immagine che però può tornare a vedersi nella giusta proposizione da un particolare punto di vista diverso da quello centrale. In Tutto è bene ciò che finisce bene il relativismo e la costruzione di un soggetto complesso capace di incidere sulla rappresentazione della realtà e dell’altro – due aspetti che nell’opera shakespeariana si sviluppano in forme molto varie, articolate e moderne – trovano nuova collocazione e sperimentazione all’interno di un particolare contesto e intreccio. La 757
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storia è tratta con ogni probabilità dalla novella III, 9 del Decameron di Boccaccio, tradotta in francese da Antoine le Maçon e in inglese nel trentottesimo racconto di The Palace of Pleasure di William Painter. In Boccaccio, la giornata è dedicata all’industria, ossia alla capacità di tradurre in atto un pensiero vincente; la proposta è di parlare “sopra uno de’ molti fatti della fortuna” e, precisamente, “di chi alcuna cosa molto disiderata con industria acquistasse o la perduta recuperasse” (Dec., II, “Conclusioni”, 8-9). L’industria coincide perciò con l’ingegno, con l’inventiva e l’intelligenza teorica e pratica: è la capacità di trovare sempre nuove soluzioni agli ostacoli che si frappongono alla conquista di ciò che si desidera. Nella novella III, 9 questa virtù, insieme all’arte medica appresa dal padre Gerardo di Narbona, costituisce il più fruttuoso patrimonio di Giletta, la protagonista femminile che corrisponde all’Elena shakespeariana, capace di guarire il re di Francia come Cristo cura i lebbrosi (Lc, 17, 11-19), e di conquistare due volte un marito, con la virtù e con l’inganno. Sono queste le coordinate su cui Shakespeare sviluppa il suo dramma, smorzando l’entusiasmo di Boccaccio fin dal titolo, tanto appropriato quanto amaro e ironico, moltiplicando i personaggi, le contraddizioni e le prospettive e, soprattutto, collocando la storia in un contesto che contribuisce ad accentuare la problematicità della rappresentazione: la corte. È qui che la drammaturgia shakespeariana, nell’ambientazione di una storia diramata su più centri – Rossiglione, Parigi, Firenze – dialoga con altri due grandi autori non solo italiani, ma di vasta circolazione in Europa: Baldassarre Castiglione, autore del Cortegiano (1528), tradotto in inglese da Thomas Hoby nel 1561, e Niccolò Machiavelli. Il riferimento alla corte, e a un modello di uomo e di donna che in quel contesto si sviluppa, è una costante (e un’importante chiave di lettura) in tutto il dramma: nei discorsi del re e della contessa di Rossiglione, ma anche negli interventi dei personaggi bassi inventati da Shakespeare come Paroles, fool e guerriero impostore, che assorbe le qualità del Falstaff e innova il miles gloriosus plautino, e il clown Lavatch, entrambi provocatoriamente presentati come perfetti cortigiani. La corte rappresenta la società in una particolare dimensione storica, ma è anche simbolicamente il palcoscenico ideale dove pubblico e privato si incontrano e si plasmano reciprocamente, defi nendo i tratti di un nuovo soggetto. Corte e teatro hanno molto in comune, con la differenza che la corte 758
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tende a mettere in scena le ipocrisie e le apparenze, mentre il teatro le discute cercando la sostanza dietro la maschera. Nel momento in cui ragiona sulla grandezza e sui limiti dell’azione di successo o, meglio, dell’industria di Elena, infatti, Shakespeare fa riflettere anche sulla consistenza di una serie di valori sempre più in bilico tra l’essere e l’apparire: l’onore e la verginità (che spesso, nel dramma, diventano sinonimi), il coraggio, la nobiltà, e persino la moda, che va dalla misurata sprezzatura del cortigiano e del soldato all’esuberanza ostentata da Paroles. Non è un caso che la parola honour, in sé e in diversi sviluppi della radice latina, trovi nel Tutto è bene ciò che finisce bene e in Misura per misura il maggior numero di occorrenze, in una grande varietà di accezioni; e che il più importante discorso sulla nobiltà di sangue e d’animo – un motivo già molto diffuso nel Decameron – sia affidato al re di Francia il quale, basandosi sull’idea che il sangue, di qualsiasi colore sia, possa mescolarsi perdendo ogni distinzione, esalta la nobiltà dell’agire contro ogni discriminazione sociale e razziale: È strano che esistano differenze tanto forti dal momento che, se il sangue di ciascuno di noi si mescolasse tutto insieme, si confonderebbe senza distinzioni di colore, di peso o temperatura. Se lei ha ogni virtù tranne ciò che non ti piace – la figlia di un povero medico, – è per il suo nome che disprezzi la virtù. Ma che così non sia! Quando dalle più basse sfere provengono azioni virtuose, quel rango è nobilitato dall’atto di chi lo compie. Quando si gonfia di grande superbia, ma senza virtù, l’onore è idropico. Il bene in sé è bene aldilà di ogni nome, e così il male. La qualità naturale è tale in sé, non per il titolo. Lei è giovane, intelligente, bella. Queste qualità le ha ereditate direttamente dalla natura, e sono quelle che alimentano l’onore. Ma dell’onore è spregio chi si vanta di esserne figlio, senza esserne il padre. Prosperano gli onori ricavati più dalle nostre azioni che dai nostri antenati. La semplice parola onore è servile, si perverte su ogni tomba, su ogni sepolcro è un trofeo ipocrita, mentre spesso tace quando la polvere e la dannazione dell’oblio sono la tomba di ossa davvero onorevoli (II, 3, 119-141).
Sono principalmente le qualità di corte – quelle stesse che nel dialogotrattato di Castiglione animavano l’indagine sulla cortegiania – ad essere poste al vaglio di questa commedia problematica dove si affronta lo stretto legame, da verificare all’interno dell’intreccio e della rappresentazione, tra virtù sociali e virtù etiche, tra psicologia, filosofia e politica. Se 759
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infatti è vero che l’intreccio e il titolo muovono in un contesto di amara frivolezza, tuttavia il proverbio popolano tutto è bene ciò che finisce bene nasconde una domanda più profonda ed enigmatica: che cos’è il bene? In questo senso Shakespeare si colloca tra l’etica di Aristotele, il pessimismo ‘diabolico’ di Machiavelli sulla natura umana e lo scetticismo di Montaigne. Ed è proprio Elena il perno di questo crocevia di posizioni filosofiche e di interrogativi etici. Dapprima interprete di un amore contemplativo e, a grandi linee, platonico, e poi di quell’industria boccacciana che ne esalta l’intelligenza e le doti quasi magiche, Elena finisce per essere interprete magistrale del pensiero di Machiavelli, fin da quando impugna le proprie forze contro il destino: “Quei rimedi che noi attribuiamo al cielo spesso risiedono in noi. Le volontà celesti ci danno campo libero e, se ritardano i nostri incerti disegni, è perché siamo noi a essere tardi” (I, 1, 212-215). Nel XXV capitolo del Principe, intitolato Quantum fortuna in rebus humanis possit…, Machiavelli sostiene che la fortuna sia “arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi”; inoltre “essa dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle”. Di conseguenza l’idea di bene, per Machiavelli, non orienta più un’azione immutabile, come in Platone, ma assume un valore relativo perché il comportamento, per avere successo, deve adattarsi a ciò che le circostanze richiedono: “Da questo ancora depende la variazione del bene, perché, se uno che si governa con respetti e pazienzia, e tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando; ma se li tempi e le cose si mutano, e’ rovina perché non muta modo di procedere” (ibid.). In questo senso il ragionamento di Machiavelli diventa interprete e, al tempo stesso, fondamento della moderna razionalità strumentale anche in ambito economico, sintetizzato banalmente e diffuso nel detto il fine giustifica i mezzi. Ed è a un’attenta valutazione dei rapporti tra mezzi e fini che si orienta il comportamento di Elena, come è lei stessa a dichiarare: “Ebbene, questa notte mettiamo in atto il nostro piano” – dice alla fine del III atto nel presentare il suo progetto di sostituirsi nel letto di Diana – “e se riesce, sarà una cattiva intenzione in un atto legittimo, e un legittimo intento in una cattiva azione; per entrambi, benché peccaminoso, non sarà peccato” (III, 6, 43-47); e ancora: “Tutto è bene ciò che finisce bene. Coronamento è fine. Qualunque sia il percorso, la fine è quel che conta” (IV, 4, 35-36); un refrain che diventa quasi 760
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ossessivo e implicitamente ironico, tanto più a un passo dalla conquista finale: “Tutto è bene ciò che finisce bene, tuttavia, benché il tempo sia sfavorevole e i mezzi inadatti” (IV, 5, 27-29). In una commedia dove la Fortuna puzza di sterco e viene evocata tra scorfani ed escrementi (V, 2), torniamo a domandarci che cosa siano il bene, il bello, l’amore. Come in Troilo e Cressida sulle ceneri del tradimento, qui l’anamorfosi distorce le prospettive e le virtù platoniche si sbriciolano in macerie; e come in Macbeth, il bello e il brutto, il bene e il male rischiano pericolosamente di incontrarsi, e di scongiurare la felicità nonostante il successo. Perciò non solo la prospettiva, ma anche l’etica deve trovare un diverso punto di vista; deve, nello specifico, essere continuamente ridefinita in relazione alla psicologia umana e alla Storia con i suoi spazi, con i suoi protagonisti e le sue catastrofi, mentre il teatro – di pari passo con la fi losofia – sta già avviando un nuovo modo di interrogare e di rappresentare l’individuo. Data e trasmissione del testo Tutto è bene ciò che finisce bene è pubblicato per la prima volta nell’infolio (F) del 1623, che rimane l’unica edizione autorevole del testo originale, sulla quale tuttavia sono stati effettuati molti emendamenti moderni. Assente nella Palladis Tamia di Francis Meres, che annovera quasi tutte le opere di Shakespeare, è stato ipotizzato che il dramma coincidesse con la commedia perduta Pene d’amore conquistate (Love’s Labour’s Won, 1598), come si potrebbe dedurre dall’intreccio, che ruota intorno alle fatiche di Elena per conquistare Bertram, e dalla battuta finale della giovane donna allo sposo finalmente conquistato: Will you be mine now you are doubly won? (“Sarete mio, adesso che siete stato doppiamente vinto”, V, 3, 316). Oggi, però, la critica considera debole questa ipotesi, a vantaggio di una più evidente somiglianza della commedia con i drammi seicenteschi e, soprattutto, con quelle opere che segnano il trapasso tra il regno di Elisabetta I e quello di Giacomo I. Nonostante manchino le edizioni autorizzate in-quarto, infatti, con ogni probabilità il dramma viene scritto e rappresentato nel 1605, anche se le ipotesi di rappresentazione variano tra il 1603 e il 1607. Gli ultimi studi (Taylor; Nance; Loughnane), inoltre, hanno dimostrato che il dramma è frutto della collaborazione tra Shakespeare e Thomas Middlleton, come si evince da alcuni importanti aspetti linguistici e me761
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trici, da piccoli ma significativi marker formali e da alcuni passi specifici come il dialogo sulla verginità tra Elena e Paroles, e il discorso del re alla scena III dell’atto II, ai quali Middleton avrebbe aggiunto materiale dopo la morte di Shakespeare. Le fonti Abbiamo già anticipato come l’intreccio essenziale e i personaggi principali della commedia ricalchino la novella III, 9 del Decameron, che circolava in Europa tra Quattrocento e Cinqucento attraverso le traduzioni francesi e inglesi. La trama di Boccaccio che passa per Painter resta infatti la traccia più evidente dello sviluppo drammaturgico di Shakespeare. Nel Decameron Giletta, presa da “infi nito amore” per Bertramo di Rossiglione, “bellissimo e piacevole”, e figlio unico (III, 9, 5) – un elemento che non deve essere sfuggito al ritratto di immaturità costruito intorno al giovane da entrambi gli autori – segue l’amato a Parigi con il proposito di curare la malattia che affligge il re di Francia, una “fistola” che i “maggior medici del mondo” non sono riusciti a debellare (III, 9, 7). Da sola, Giletta monta a cavallo e va a Parigi per curare il re e per prendersi Bertramo come marito. È la sua avvenenza, in primo luogo, a colpire il re, ma sono soprattutto il coraggio della sua sfida e la riuscita miracolosa della cura a rendere la ragazza eccezionale agli occhi del sovrano (“Forse m’è costei mandata da Dio”, III, 9, 13). Per questo il re la premia invitandola a scegliersi un marito, che lei indica in Bertramo di Rossiglione. Questi, però, nonostante Giletta sia “bella”, “savia” e lo ami molto, la disprezza perché la considera inferiore socialmente: “Monsignore, dunque mi volete voi dar medica per mogliere?” (III, 9, 22). E, obbligato a sposarla, il giorno stesso Bertramo fugge a Firenze per combattere a fianco dei senesi contro i fiorentini, guardandosi dal consumare il matrimonio. Giletta torna a Rossiglione, trova il contado dissestato e ristabilisce la pace, “sì come savia donna con gran diligenzia e sollecitudine” (III, 9, 29). Dimostra, perciò, anche doti politiche e diplomatiche notevoli. Ma Bertramo continua a non volerne sapere e le manda a dire che tornerà a Rossiglione soltanto quando “questo anello avrà in dito e in braccio figliolo di me acquistato” (III, 9, 30). Le condizioni sono obiettivamente impossibili, ma Giletta non si dà per vinta e lo segue anche a Firenze. Ed è qui che Boccaccio mette in atto un espediente molto diffuso nella letteratura orientale e occiden762
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tale, quello della sostituzione della donna nel letto dell’amato. Quando viene a sapere che Bertramo è innamorato di una donna del popolo e la vuole sedurre, Giletta chiede a costei di promettere al giovane le proprie grazie in cambio dell’anello. Poi, una volta fissato l’incontro, si accorda per farsi trovare tra le braccia di Bertramo al suo posto. La donna sarà compensata con una lauta dote, mentre Giletta conquisterà definitivamente il legittimo sposo, che pure la crede un’altra, regalandogli non solo grande piacere, ma anche due figli maschi concepiti nelle appassionati notti fiorentine. Su questa fonte, che già di per sé ridefinisce la concezione classica di fortuna opponendo ad essa il miracolo cristiano o la magia dell’intelligenza e dell’azione, Shakespeare innesta le sue principali novità concettuali e drammaturgiche: cambia il nome di Giletta in Elena, la donna più bella e più controversa della mitologia antica, responsabile del primo conflitto tra civiltà, e chiama la giovane fiorentina Diana, dea della castità, la cui verginità viene risparmiata ma scambiata come merce. Aggiunge, inoltre, dei personaggi nuovi come la contessa, madre di Bertram, il gentiluomo Lafeu e i due signori Dumaine, interpreti dell’immagine superficiale e un po’ affettata della società cortigiana, e il clown Lavatch e Paroles, che ne rappresentano invece il più sfacciato e irriverente controcanto. Anche il male del re, ricondotto sia da Boccaccio sia da Painter a un fistola cresciuta da un ascesso al petto (in Painter leggiamo a swelling upon his breast: in Bullough), nel dramma shakespeariano non è esplicitamente localizzata. Sicché non sembra assurdo pensare a una fistola anale (cfr. Gil Harris; Waller, pp. 194 sgg.), tanto più che nel 1588, a Londra, John Arderne scriveva e pubblicava i Treatises on Fistula in Ano. Un male tanto più sgradevole perché collocato in uno spazio per così dire proibito, a cui Elena accede per guarirlo. Contrariamente a quanto accade in Boccaccio e in Painter, infatti, in Tutto è bene ciò che finisce bene sono molti i tabù violati da questo personaggio femminile, gli spazi conquistati, e non tutti leciti, e non tutti nemmeno realmente appaganti. Elena diventa non solo un’eroina dall’intelligenza svelta e dall’azione riuscita, ma si rivela anche dotata di poteri magici legati all’uso di motivi e oggetti simbolici necessari a superare condizioni impossibili. In questo senso sia il Decameron sia il dramma shakespeariano si confrontano con altre fonti, che appartengono alla cultura popolare e al folclore. Non è la prima volta che Shakespeare attualizza archetipi e simboli antichissimi diffusi in molte 763
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culture: in Il mercante di Venezia, ad esempio, troviamo contemporaneamente il motivo degli scrigni, della libbra di carne e dell’anello in un cortocircuito che raffigura i personaggi nelle loro costanti antropologiche per metterli alla prova della contemporaneità, della logica del mercato e del primo capitalismo, dei conflitti religiosi, dei rapporti tra leggi scritte e naturali. Qui, invece, sono in gioco i motivi popolari che definiscono i cosiddetti tales of impossibilities, i racconti dell’impossibile, quelli che mettono alla prova l’acume o la pazienza di un personaggio oltre i limiti della realtà, come nella storia di Griselda o in alcuni Indian Fairy Tales (cfr. W. W. Lawrence). La sostituzione di una donna nel letto, o bed-trick, che Shakespeare impiega anche in Misura per misura, costituisce a sua volta un motivo molto antico e di ampia significazione, che fa dell’equivoco, e dello scambio di identità – che la performance teatrale ovviamente enfatizza con particolare effetto – un modo non solo per risolvere l’intreccio, ma anche per fare incontrare i personaggi in condizioni che altrimenti non si sarebbero verificate, o in un intreccio imprevedibile di destini. Già nel Genesi (29, 1-30), Giacobbe si unisce a Lia, la fanciulla “dagli occhi smorti”, invece che all’amata Rachele (“bella di forma e di aspetto”), attesa da sette anni, per volere dello zio Labano. E per averla come seconda moglie dovrà aspettare altri sette anni. Tuttavia, Lia si rivela fertile, mentre Rachele è sterile. E se nel mito classico è Zeus, talvolta, a sostituirsi al legittimo sposo, come quando occupa il letto di Anfitrione e concepisce Eracle da Alcmena, per mostrare le diverse forme e gli esiti del contatto apparentemente impossibile tra uomo e dio, il modello più vicino al testo shakespeariano è costituito dalla commedia latina e italiana, da opere di Machiavelli come Mandragola e Clizia, dove è presente il medesimo espediente della sostituzione nel letto con la funzione di mettere in discussione il rapporto tra strutture sociali e istituzioni matrimoniali e per rappresentare, in un nuovo assetto, i rapporti di forza che collegano sfera pubblica e privata, amore e potere. Infine, perché l’inganno del letto funzioni deve restare una prova, una testimonianza, un oggetto concreto: tale è l’anello, in questo dramma come nel Mercante di Venezia e in I due gentiluomini di Verona. Simbolo di eternità, di rango sociale, ma anche chiaro correlativo sessuale, l’anello si trova al centro di un significativo gioco di scambi: Bertram giura che non tornerà a casa fino a che la moglie non indosserà il proprio anello, 764
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ed Elena riesce a ottenerlo tramite Diana, mentre l’anello donato dal re a Elena viene dato a Bertram durante il loro incontro d’amore e diventa fondamentale nello sciogliersi dell’intreccio e nel riconoscimento dei personaggi. Uniti dagli anelli e dal loro intricato scambio, il re, Bertram, Elena, e Diana si muovono su linee che si intrecciano e si sovrappongono senza districare, volutamente, fino alla fine, questo intrico di eros, di equivoci e di sottile ambiguità. Non sappiamo quali siano i confini a cui ci ha portato l’ambitious love di Elena ma, come in Il mercante di Venezia, anche qui il cerchio simboleggiato dall’anello non si chiude perfettamente, almeno finché questa storia non sarà raccontata da capo, e chiarita ancora, come Elena alla fine promette a Bertram, questa volta mettendo in palio mortale divorzio: BERTRAM (al re)
Mio sovrano, se saprà chiarire tutto, l’amerò caramente, sempre, sempre caramente. ELENA
Se non sembrerà chiaro, o si proverà falso, mortale divorzio si frapponga tra me e voi (V, 3, 317-320).
La vicenda Come si è anticipato, il dramma è ambientato in tre importanti corti europee: Rossiglione, Parigi, Firenze. La prima scena dell’atto primo si apre a Rossiglione, piccolo centro nella regione dei Pirenei: la contessa di Rossiglione piange la partenza del suo unico figlio, Bertram, per Parigi. Ma più di lei lo piange Elena, la figlia del medico Gérard de Narbonne, allevata insieme al giovane. L’amore non ha misura, ci dice Shakespeare in molti suoi drammi, e il desiderio collega distanze siderali, spesso senza farle combaciare. In questo caso, la distanza è prima di tutto sociale, perché Bertram è nobile e Elena è soltanto la figlia di un medico. Ma il suo, come già si diceva, è un amore ambizioso e ciò che ora la tormenta la aiuterà nel raggiungere e nel conquistare la sua bright star (I, 1, 85). È Paroles a metterla sulla strada giusta, in un dialogo sulla verginità che manifesta tutta la comicità innovativa del personaggio. La scena si sposta a Parigi (I, 2), dove il re di Francia parla della guerra tra senesi e fiorentini. L’incontro tra il re e Bertram è occasione per ricordare il padre del giovane conte, ritratto 765
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come “vero cortigiano” (I, 2, 36). Ma il re è stanco del mondo e annuncia la sua malattia, la cui natura si è rivelata refrattaria a ogni cura. Intanto a Rossiglione la contessa scherza con il clown Lavatch, che gioca con le parole per affermare il primato del corpo e dell’umano su un’idea astratta dell’onore. Inoltre Rinaldo, il maggiordomo, rivela alla contessa che Elena è innamorata di Bertram. Dopo qualche resistenza, la giovane ammette di amarlo senza speranze, come chi adora il sole, o come chi si ostina a versare acqua in un setaccio permeabile; ciononostante è decisa a partire per Parigi, dove intende provare a guarire il re con un rimedio lasciato dal padre, e la contessa le accorda il permesso (I, 3). L’atto secondo si apre a Parigi, dove il re congeda i giovani in partenza per Firenze e Lafeu, gentiluomo francese, introduce Elena: è il Doctor She (II, 1, 78), la donna che osa non solo esercitare un mestiere al tempo proibito al suo sesso, ma anche sfidare tutti quei luminari che non erano riusciti nel loro operato. Elena entra in scena sotto il segno della meraviglia e dello stupore generale, per quello che è e per la sfida che conduce. A garanzia dell’efficacia della sua cura, mette il gioco la vita e il suo nome di vergine. Il re, inizialmente riluttante, si lascia convincere: “Per azzardare tutto questo”, ammette, “necessariamente devi avere in te un’abilità infinita o una mostruosa disperazione” (II, 1, 184). In cambio, come nel Decameron, Elena chiede di potersi scegliere un marito (II, 1). L’intermezzo comico sposta nuovamente la scena a Rossiglione, dove i lazzi tra la contessa e Lavatch prendono di mira la corte con le sue maniere e i suoi riti esteriori (II, 2). Intanto a Parigi, poco tempo dopo, entra in scena il re perfettamente guarito danzando con Elena, che può finalmente indicare il marito desiderato tra alcuni giovani di corte. Tuttavia, accolta da tutti con freddezza per il suo rango non nobile, Elena è respinta anche da Bertram, che pure è obbligato dal re a prenderla in moglie. Mentre Paroles è impegnato in uno dei suoi scherzi con Lafeu, Bertram si precipita da lui e lo informa della sua decisione di partire per Firenze subito dopo la cerimonia nuziale, senza consumare le nozze (II, 3). Sarà Paroles a informare Elena della sua partenza (III, 4). Intanto Lafeu mette il conte di Rossiglione in guardia su Paroles, che fa il gradasso e si finge esperto in corti e battaglie. Bertram si congeda da Elena e parte per Parigi (III, 5). L’atto terzo è ambientato a Firenze, presso il palazzo del duca che si appresta ad accogliere i giovani soldati in arrivo dalla Francia (III, 1). 766
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A Rossiglione la contessa e Lavatch, di ritorno dalla breve ambasceria a Parigi, riflettono sulla malinconia di Bertram. Arriva anche Elena, con le lettere di Bertram indirizzate alla madre e a lei, che dettano le condizioni impossibili per ricongiungersi alla sua sposa: “Quando riuscirai a prenderti l’anello dal mio dito, che mai mi tolgo, e mi mostrerai un figlio nato dal tuo corpo di cui io sia padre, allora mi chiamerai marito. Ma in quell’‘allora’ io scrivo ‘mai’” (III, 2, 58-61). La sentenza è “mortale”, ma anche in questo caso Elena non si dà per vinta: il monologo finale è un capolavoro di ambiguità, che afferma la volontà della donna di sparire proprio quando sta per profi larsi il suo nuovo piano di conquista (III, 2). A Firenze, Bertram si consacra alla guerra e dichiara di odiare l’amore (III, 3). A Rossiglione la contessa riceve dal maggiordomo una lettera di Elena che annuncia il suo intento di partire in pellegrinaggio per Santiago di Compostela, a pregare per Bertram, e a lasciarsi morire (III, 4). Ma anche questa mossa fa parte della sua strategia: in abito di pellegrina, infatti, Elena è già a Firenze, dove il caso le fa incontrare una vedova e la figlia Diana, che Bertram sta corteggiando con la complicità di Paroles, entrambi presentati come abili e pericolosi seduttori. Da lontano le donne vedono i due personaggi sfilare con le truppe e notano Paroles per il suo abbigliamento stravagante e perché è amareggiato per la perdita del tamburo (III, 5). La riconquista del tamburo, “strumento d’onore”, rappresenta un episodio centrale nello sviluppo comico e simbolico del dramma, perché i due signori Dumaine, convinti che Paroles sia un vigliacco e un impostore – come in realtà è –, propongono a Bertram di tendergli un agguato mentre cerca di riprendersi lo strumento, fingendo di portarlo in campo nemico per interrogarlo sui suoi uomini (III, 6). Intanto Elena mette al corrente la vedova e Diana del proprio piano e le convince a eseguirlo (III, 7). L’atto quarto si apre con l’imboscata tesa a Paroles dai signori Dumaine con la complicità di un interprete, istruito a parlare un impasto di lingue e dialetti parzialmente incomprensibile per ingannare Paroles (IV, 1). Bertram, intanto, corteggia Diana e si lascia convincere a darle l’anello, “onore” della sua casata (IV, 2). Prima di interrogare Paroles, i signori Dumaine dialogano sulla morte di Elena e sulla seduzione della giovane fiorentina da parte di Bertram. Poi, incappucciato e catturato, Paroles è portato in scena e smascherato come impostore e codardo, ma la sua ‘confessione’ manifesta un effetto disvelante sia su se stesso, sia su Ber767
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tram e quelli della sua parte, che figurano al cospetto di loro stessi e degli spettatori per quello che realmente sono: l’uno “un ragazzetto sciocco e perdigiorno”, “pericoloso e lascivo, una balena avida di vergini” (IV, 3, 224-226); gli altri due viziosi e corrotti. Alla fine della scena, a Paroles si leva la benda dagli occhi e il personaggio si ritrova con grande sorpresa davanti a tutti coloro che ha tradito. Perduti i suoi titoli militari, gli resta quel che ha di più caro, la vita (IV, 3). Elena ringrazia la vedova e Diana: ora però dovranno seguirla ancora al cospetto del re di Francia prima di portare a compimento il suo piano e ricevere il compenso promesso (IV, 4). A Rossiglione il clown Lavatch scherza con la contessa e con Lafeu sulla grazia di Dio e poi si dichiara al servizio del principe del mondo, come i testi biblici indicano il diavolo, e il suo linguaggio ricorda alcuni personaggi del Dottor Faustus di Marlowe; a Bertram si vuole offrire in sposa la figlia di Lafeu (IV, 5). Marsiglia è lo scorcio su cui si apre il quinto atto: Elena, che viaggia con Diana e la madre, manca per poco di incontrare il re di Francia, e incarica un falconiere reale di portargli un messaggio (V, 1). A Rossiglione l’arrivo del re è preceduto da uno scambio di battute e di doppi sensi tra il clown Lavatch e Paroles, che dibattono e dissacrano la Fortuna, motivo centrale nel tragico antico e importante simbolo in questo dramma tragicomico tra il magico e l’assurdo (V, 2). L’intreccio si scioglie: mentre il re incontra Bertram, gli accorda il suo perdono e gli dà il consenso a sposare la figlia di Lafeu, vede che indossa l’anello da lui stesso donato a Elena; l’oggetto provoca l’indagine del re, che coinvolge le due fiorentine, Paroles e infine Elena, che torna viva a meravigliare chi la credeva morta. L’interrogatorio è lungo, intricato, equivoco e a tratti paradossale, poi quasi miracolosamente (e irrealisticamente, come molte azioni del dramma) si risolve: Elena è incinta di Bertram e possiede il suo anello, dunque le condizioni impossibili si sono realizzate e il dramma può concludersi (V, 3). Tutto è bene ciò che finisce bene, e tutto è bene quel che piace al pubblico, come recita l’Epilogo. Quando la verginità diventa ‘capitale’. Prospettive critiche Come per Troilo e Cressida, Il mercante di Venezia e Misura per misura, uno degli aspetti su cui la critica si è soffermata maggiormente per Tutto è bene ciò che finisce bene è la sua densa problematicità, anche in relazione al genere di non facile attribuzione. La mancata composizione di 768
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problemi morali, sociali e fi losofici nel corso dell’opera e nel finale, che giustifica la sottile ironia del titolo, impedisce infatti di considerare il dramma come una commedia nel senso classico del termine. La nozione di problem play, su cui si sono concentrati i lavori di studiosi come Boas, Tillyard, Toole, Thomas, Jamieson, fino ai più recenti saggi di Barker, Clark, Margolies, Yachnin etc., ha messo in luce la compresenza di molte questioni aperte, talvolta anche sgradevoli e amare, o contraddittorie, ma comunque di attualità, come quelle che George Bernard Shaw individuava confrontando il dramma con l’opera di Ibsen: il rapporto tra sesso e matrimonio, amore e seduzione; l’apparente interscambiabilità della donna come oggetto sessuale e la superficialità maschile; la prostituzione e la malattia; la centralità e la molteplice gamma di significati legati al concetto di onore, esaltato e svuotato al tempo stesso nei contesti più diversi; la controversa razionalità strumentale nel calcolo dei rapporti tra mezzi e fini. Proprio in virtù di questa alta densità di sollecitazioni, tuttavia, possiamo parlare, per questo come per gli altri, di drammi di grande “esuberanza artistica”, tra “le più radicali sperimentazioni” della drammaturgia shakespeariana, forse le più rappresentative secondo Paul Yachnin. Gli studi su Tutto è bene ciò che finisce bene considerano gli sviluppi drammaturgici e simbolici della commedia a partire dalle fonti, da Boccaccio soprattutto (Cole, Marrapodi), per riportare i motivi e gli intrecci, come anche gli archetipi, di ampia matrice antropologica e folclorica, dall’antichità al tempo di Shakespeare e alla nostra contemporaneità. E a questa continua complicazione delle premesse e attualizzazione dei motivi dobbiamo anche noi ricondurre il dramma per valorizzarlo pienamente, senza cadere nel rischio di vedere nella sua amarezza e intima contraddittorietà un elemento fallimentare (come per certi aspetti lo ha considerato Tillyard), di debolezza o di scarsa godibilità, come dimostrano le rare rappresentazioni del dramma e la sua pressoché totale scomparsa in età vittoriana (Snyder 1993). Piuttosto, credo che sia da ritrovare in tutto questo l’intuizione, che Shakespeare presenta anche in tragedie come Amleto o Macbeth, che qualcosa di assurdo e inspiegabile domini l’agire umano riscrivendo il senso antico del destino, qualcosa di magico che investe il piano simbolico (Das-Davies), e di irrealistico a livello dell’intreccio, che può stupire gli spettatori, ma anche portarli a una riflessione sull’umano e sul rapporto tra casualità e destino. 769
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Il contesto sociale si è rivelato, poi, fondamentale nella comprensione del dramma, in se stesso e nella sua portata simbolica: dietro la corte rinascimentale, di cui si è messa in evidenza soprattutto la distanza tra l’apparenza e la sostanza dei valori, si viene introdotti in tutte quelle società, compresa la nostra, dove la civiltà tende a maturare e a degenerare nella corruzione (Boas). Essa è rappresentata, qui come nel Troilo e Cressida, come malattia e contaminazione (Howard Traister). In questo senso è centrale la rappresentazione dell’ipocrisia come costume morale e attitudine sociale, anche nelle sue radici religiose, specialmente puritane. E l’ipocrisia risulta descritta e intaccata, qui come in Misura per Misura, dagli strumenti stessi del teatro. Pensiamo al ruolo di Paroles e di Lavatch, che indossano e esasperano l’abito (l’habitus ma anche il costume) e il linguaggio del cortigiano per mostrarne gli aspetti più inconsistenti e ridicoli, puntando invece l’attenzione, senza mezzi termini, sui bisogni reali dell’uomo e su problemi filosofici di particolare modernità. Benché Robert Goldsmith, in Wise Fools of Shakespeare, neghi al personaggio di Lavatch una significativa corrispondenza con il significato generale del dramma e un apporto di rilievo, infatti, il personaggio contribuisce a interpretare mirabilmente, dal basso, la parodia del cortigiano e dei suoi linguaggi e delle sue contraddizioni, a partire dall’invenzione geniale della formula che a tutto si adatta: O Lord, Sir! (II, 2, 31 sgg.), perfetta interpretazione dell’ipocrisia di chi non vuole impegnarsi né ad affermare né a smentire le posizioni altrui (a cui fa eco la risposta di Paroles nella scena successiva: II, 3, 11 sgg.). Abbiamo visto come il dramma voglia mettere in evidenza, ad esempio nei discorsi del re di Francia – uomo magnanimo, sapiente e illuminato benché sia vecchio e malato, e affetto da una malattia sgradevole come la fistola – quali siano le virtù più solide dell’uomo di corte, cioè in generale dell’uomo pubblico, inserito in un contesto politico e suo naturale interprete. E questa riflessione – come ha sottolineato Gary Taylor – rientra nella costante attenzione di Shakespeare per il problema della regalità e delle sue funzioni, tanto più sotto Giacomo I. Ma l’analisi delle qualità politiche e umane che si manifestano nel contesto aristocratico o cortese, talvolta concretate in una vasta gamma di metafore corporali (Paster, Maus, Gil Harris), ha richiesto non soltanto una particolare attenzione alle “tecniche di caratterizzazione interiore” (Yachnin), ma anche al grande problema, che ha impegnato la critica di impostazione 770
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neostoricista e i cultural studies negli ultimi anni (Dollimore, Bruster, Reynolds-West, Grady, Gil Harris, Rizzoli etc.), dell’influsso del pensiero economico sulle forme culturali e letterarie e, nello specifico, sul commercio dei valori umani e del loro uso, molto attuale nella società mercantile pre-capitalistica di Shakespeare e, tanto più, oggi. In questo dramma, infatti, gli spettatori entrano ormai definitivamente nell’“ethos del mercato”, di cui il teatro è impegnato a rispecchiare, ma implicitamente anche a criticare, l’ideologia, le dinamiche psicologiche, il linguaggio (Yachnin; Dawson-Yachnin). Nel dramma il motivo economico ruota intorno alla vicenda di Elena e, in particolare, all’investimento della verginità, definita spesso nei termini ambivalenti di onore. Considerata un bene che, se speso al momento giusto, può dare ottimi frutti e interessi, la verginità diventa a tutti gli effetti un capitale. Non può la donna limitarsi a considerarla come un baluardo da difendere, sostiene in termini comici Paroles, perché “non è politico, nell’impero (commonwealth) della Natura, preservare la verginità”. Al contrario, “la perdita della verginità comporta un ragionevole incremento”: perdendola, “si moltiplica altre dieci volte” (I, 1, 121 sgg.). Ed è su questo principio che si muove il piano di Elena, la quale fa il migliore uso del corpo e dell’eros – esasperando e rendendo paradossale la politica dell’increase che si afferma già nei Sonetti – e si rivela perfetta interprete di quella razionalità strumentale che si è andata via via affermando dal primo capitalismo a oggi, di pari passo con la secolarizzazione. Alla fine il matrimonio è salvo, ma l’unione tra Elena e Bertram resta a tutti gli effetti “non ortodossa” (Howard Traister) e malinconica, come lo è il finale del Mercante di Venezia, perché si rischia di confondere il valore con il successo. Sposa detestata, Elena si sostituisce nel letto di Diana, la donna corteggiata da Bertram, e riesce nell’impresa impossibile di conquistare l’anello e il cuore del conte, assieme a un figlio. Vince, quindi, con il sesso e con l’inganno. Il suo capitale frutta, ma lei vince davvero? E quale amore conquista? All’ironia suscitata dal significato del titolo, All’s Well That Ends Well, che in italiano da sempre traduciamo con Tutto è bene ciò che finisce bene, in un recente articolo (2006) Jonathan Gil Harris aggiunge il divertente gioco di parole basato sulla pronuncia inglese: All Swell that End Swell che, tradotto in italiano suona come Tutto gonfia quello che finisce 771
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gonfio o, con un’ulteriore modifica, Tutto è bene ciò che finisce gonfio, e simili. Si tratta di una sfumatura che senz’altro non doveva sfuggire al pubblico elisabettiano, e che ancora oggi ci fa riflettere su come nel dramma convivano la frivolezza e la favola da una parte e, dall’altra, quella che abbiamo visto come una profonda, di non facile soluzione, interrogazione di valori etici. A questo contribuisce un’evidente e diffusa ambiguità linguistica, che assume una funzione particolarmente importante nel rendere molti significati doppi e reversibili, come nel grande gioco di specchi del finale che inganna e illude gli spettatori. Un dramma indecente? Fortuna (e sfortuna) sulle scene e sullo schermo Tutto è bene ciò che finisce bene non gode di una grande fortuna sulle scene. Non abbiamo notizia di rappresentazioni prima del 1741, quando la commedia è allestita al Goodman’s Fields da Henry Giffard, che recita anche nel ruolo di Bertram. Come leggiamo nel saggio di Price, The Unfortunate Comedy, il dramma viene presentato come “scritto da Shakespeare e mai rappresentato fi no a quel momento”. In questa messa in scena Paroles – considerato il personaggio di maggiore spicco da re Carlo I a Nicholas Rowe, autore di uno dei primi commenti al testo, nel 1709 – è interpretato con successo da un attore minore, Joseph Peterson. Negli anni successivi abbiamo una rappresentazione del testo a Covent Garden nel 1746, seguita da un adattamento che prevede diversi tagli alle scene, con la regia di David Garrick, a Drury Lane una decina d’anni dopo. Anche qui si distingue l’attore che recita nel ruolo di Paroles, Harry Woodward, che continua a rappresentare il personaggio fi no alla fi ne degli anni settanta del Settecento, e altrettanto avviene nella versione successiva, a Haymarket nel 1785, con John Bannister nel medesimo ruolo. Con il Romanticismo è riportata al centro del dramma Elena, in particolare a partire dalla versione di John Philip Kemble del 1794. Ma la versione, edulcorata e “desessualizzata” (Fraser), prevede tagli che compromettono il valore del copione: viene ridimensionato il dialogo sulla verginità e si impone discrezione all’inganno della sostituzione a letto e della gravidanza. Del resto, una versione operistica del testo, messa in scena a Convent Garden nel 1832, attira le ostilità del pubblico per la sua presunta indecenza. E così anche la regia di un autore affermato come Samuel Phelps del 1852, al Sadler’s Wells, che pure ha molto successo 772
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per la sua interpretazione di Paroles, riceve le medesime critiche sulla sua sconvenienza. Per questo motivo per quasi un centinaio di anni le rappresentazioni tornano a diradarsi, tant’è che Tillyard, nel 1950, sosteneva di non avere mai visto il dramma sulla scena. Interrompe il silenzio Michael Benthall nel 1953, rappresentando all’Old Vic un testo molto trasformato e improntato a una sorta di irrealtà tra la fiaba e la farsa, con la scenografia di Osbert Lancaster e Claire Bloom nel ruolo di Elena, che però figura come una creatura da facili lacrime e sorrisi all’inizio, e da atteggiamenti ieratici e solenni nel finale, come raccontano Roger Wood e Mary Clarke (Shakespeare at Old Vic, I vol., 1954). Nel 1955, invece, Noel Willman tratta il dramma come una vera e propria dark comedy, con costumi tardo seicenteschi e cupe scenografie, e con una Elena interpretata da Joyce Redman nei panni di una signorina vittoriana abbastanza affettata e sgradevole (Styan). È invece, quasi contemporaneamente, in America che il dramma comincia a rivivere. A Stratford, in Ontario, lo Shakespeare Festival si apre con la rappresentazione di Riccardo III e Tutto è bene ciò che finisce bene, per la regia di Tyrone Guthrie, che è anche direttore della rassegna. Gli attori sono vestiti in abiti moderni ed eleganti, e ricostruiscono un dramma che ha l’eleganza e la grazia di Jean Anouilh, il senso umoristico e paradossale di George Bernard Shaw e il colore poetico di Christopher Fry, come ha scritto Martin Hunter. Guthrie ripropone la regia del dramma nel 1959 in Inghilterra, allo Shakespeare Memorial Theatre, sempre in abiti moderni e in una Rossiglione all’inizio malinconica e autunnale e poi rinata alla vita, riscuotendo un altrettanto grande successo. Nel 1967 il dramma torna a Stratford-Upon-Avon, con la regia di John Barton, che restituisce l’ambientazione al Seicento, ma senza dimenticare lo humor, come quando fa cadere una pioggia di coriandoli su Bertram appena sposato. A Stratford, in Ontario, invece, il dramma viene riproposto nel 1977 con la regia di David Jones. Negli anni ottanta si collocano altre due produzioni molto importanti, accolte con entusiasmo dalla critica: l’una è la versione televisiva della BBC, diretta da Elijah Mojinsky, in cui rivivono le atmosfere di pittori come Vermeer e Rembrandt, e il carattere dei personaggi si misura in più momenti con il simbolo delle specchio (ad esempio quando entra in scena Paroles o Elena danza con il re); l’altra è la produzione della 773
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Royal Shakespeare Company, del 1981, per la regia di Trevor Nunn, con realistiche e crude scene di guerra negli spazi del conflitto tra senesi e fiorentini, e una Rossiglione fiabesca e romantica, nostalgica e cechoviana (Styan), e con un finale meno esplicitamente amaro. Non altrettanto calorosamente è accolta la versione del 1989, sempre per la Royal Shakespeare Company, con la regia di Barry Kyle. Tra le più recenti produzioni del dramma si possono ricordare quella di Peter Hall del 1992 per la Royal Shakespeare Company, di Richard Monette ancora in Ontario, a Stratford – l’una più cupa, l’altra più romantica, – di Richard Jones al New York Shakespeare Festival nel 1993, e di Gregory Doran (2003) ancora per la Royal Shakespeare Company, con Judy Dench, e di Marianne Elliott al National Theatre nel 2009. Tutto è bene ciò che finisce bene non ha avuto una grande fortuna neanche al cinema, perché la commedia non è stata trasposta in una versione filmica di rilievo. È però stata trasmessa al cinema l’apprezzata rappresentazione del 2011 al Globe, con la regia di John Dove, e Sam Crane nei panni di Bertram. In Italia si ricordano la rappresentazione del 1964, con la regia di Beppe Menegatti, per il teatro Stabile di Firenze e, tra gli attori, Paola Borboni, e quella del 1986, diretta da Aldo Trionfo per il Teatro Romano di Verona, con Valeria Moriconi nel ruolo di Elena. Più frequenti le produzioni del dramma negli ultimi anni, con la reinterpretazione della commedia nel segno della varietà di messaggi e di registri: la dirige Enrico Petronio nella stagione 2001-2002 al Piccolo di Milano, Roberto Bonaventura al Palermo Teatro Festival nel 2007, Daniela Ardini nel 2010 a Genova, Alessandro Marinuzzi nel 2012 al Politeama Rossetti di Trieste, con un adattamento particolare del testo. CHIARA LOMBARDI
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL THE PERSONS OF THE PLAY
The Dowager COUNTESS of Roussillon BERTRAM, Count of Roussillon, her son HELEN, an orphan, attending on the Countess LAVATCH, a Clown, the Countess’s servant REYNALDO, the Countess’s steward PAROLES, Bertram’s companion The KING of France LAFEU, an old lord
}
FIRST LORD DUMAINE brothers SECOND LORD DUMAINE INTERPRETER, a French soldier An AUSTRINGER The DUKE of Florence WIDOW Capilet DIANA, her daughter MARIANA, a friend of the Widow Lords, attendants, soldiers, citizens
SIGLE F: edizione in-folio (F1: 1623), rappresenta l’unica edizione autorevole del dramma ed è perciò il testo-guida di questa traduzione. Saranno tuttavia segnalate anche alcune varianti proposte dalle edizioni successive del dramma (F2: 1632; F3: 1663) e dai commentatori moderni.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE PERSONAGGI
La CONTESSA di Rossiglione, vedova BERTRAM, conte di Rossiglione, suo figlio ELENA, un’orfana affidata alla tutela della contessa LAVATCH, clown, al servizio della contessa RINALDO, maggiordomo della contessa PAROLES, al servizio di Bertram Il RE di Francia LAFEU, vecchio gentiluomo
}
PRIMO SIGNORE DUMAINE fratelli SECONDO SIGNORE DUMAINE INTERPRETE, soldato francese Un falconiere reale Il DUCA di Firenze La VEDOVA Capuleti DIANA, sua figlia MARIANA, un’amica della vedova Signori, servitori, soldati, cittadini
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter young Bertram Count of Roussillon, his mother the Countess, Helen, and Lard Lafeu, all in a black
COUNTESS In delivering my son from me I bury a second
husband. BERTRAM And I in going, madam, weep o’er my father’s death anew; but I must attend his majesty’s command, to whom I am now in ward, evermore in subjection. LAFEU You shall fi nd of the King a husband, madam; you, sir, a father. He that so generally is at all times good must of necessity hold his virtue to you, whose worthiness would stir it up where it wanted rather than lack it where there is such abundance. COUNTESS What hope is there of his majesty’s amendment? LAFEU He hath abandoned his physicians, madam, under whose practices he hath persecuted time with hope, and finds no other advantage in the process but only the losing of hope by time. COUNTESS This young gentlewoman had a father — O that ‘had’: how sad a passage ’tis! — whose skill was almost as great as his honesty; had it stretched so far, would have made nature immortal, and death should have play for lack of work. Would for the King’s sake he were living. I think it would be the death of the King’s disease. LAFEU How called you the man you speak of, madam? COUNTESS He was famous, sir, in his profession, and it was his great right to be so: Gérard de Narbonne. b LAFEU He was excellent indeed, madam. The King very lately spoke of him, admiringly and mourningly. He was skilful enough to have lived still, if knowledge could be set up against mortality.
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0.2. Helen: in F Helena. Il nome cambia spesso nel corso del testo: si alternano le forme bisillabica (Helen) e trisillabica (Helena). 25. Gérard de Narbonne: la grafia francese è emend. Oxford. Gli altri editori in genere seguono F e lasciano Gerard de Narbon o of Narbon. 782
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
I, 1
Entrano il giovane Bertram conte di Rossiglione, la contessa sua madre, Elena e Lord Lafeu, tutti in lutto1
CONTESSA
Lasciare partire mio figlio da me è come seppellire un’altra volta mio marito. BERTRAM
E nell’andarmene, signora, io rinnovo le lacrime per la morte di mio padre; ma devo obbedire all’ordine di sua maestà: sono sotto la sua tutela 2, oltre che sempre suo suddito. LAFEU
Voi, madame, nel re ritroverete vostro marito e voi, signore, un padre. Lui, che è sempre così buono con tutti, non potrà che mantenere questa virtù anche verso di voi: il vostro valore susciterebbe bontà anche laddove non ci fosse, e certo non la riduce3 laddove vi è in tale abbondanza. CONTESSA
Che speranza c’è che sua maestà si riprenda? LAFEU
Ha congedato tutti i medici, madame, alle cui cure aveva affidato tempo e speranze, e con il tempo non ne ha ricavato altro vantaggio che smettere di sperare. CONTESSA
Questa giovane gentildonna aveva un padre… – oh, quell’aveva! Che verbo triste! – la cui abilità era grande quasi quanto la sua onestà. Se fossero state pari, avrebbero reso la sua natura immortale e la morte avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro. Fosse ancora vivo, per il bene del re! Penso che sarebbe stata la fine della sua malattia. LAFEU
Come si chiavava l’uomo di cui parlate, madame? CONTESSA
Era rinomato, signore, nella sua professione, e a buon diritto: era Gérard de Narbonne. LAFEU
Era davvero eccellente, madame. Recentemente il re parlava di lui con ammirazione e rimpianto. Era così capace che sarebbe ancora vivo, se la sapienza avesse la meglio sulla morte. 783
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
BERTRAM What is it, my good lord, the King languishes
of?
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LAFEU A fistula, my lord. BERTRAM I heard not of it before. LAFEU I would it were not notorious. — Was this gentlewoman
the daughter of Gérard de Narbonne?
35
COUNTESS His sole child, my lord, and bequeathed to my
overlooking. I have those hopes of her good that her education promises; her dispositions she inherits, which c makes fair gifts fairer — for where an unclean mind carries virtuous qualities, there commendations go with pity: they are virtues and traitors too. In her they are the better for their simpleness. She derives her honesty and achieves her goodness. LAFEU Your commendations, madam, get from her tears. COUNTESS ’Tis the best brine a maiden can season her praise in. The remembrance of her father never approaches her heart but the tyranny of her sorrows takes all livelihood from her cheek. — No more of this, Helen. Go to, no more, lest it be rather thought you affect a sorrow than to have — HELEN I do affect a sorrow indeed, but I have it too. LAFEU Moderate lamentation is the right of the dead, excessive grief the enemy to the living. COUNTESS If the living be not enemy to the grief, the excess d makes it soon mortal. BERTRAM (kneeling) Madam, I desire your holy wishes. LAFEU How understand we that?
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38. Promises: come in altri casi, la punteggiatura di F non aiuta a comprendere questo passo dalla sintassi complessa. Rowe suggerisce il punto e virgola dopo promises, che l’edizione Oxford e la presente traduzione seguono. 54. Be not enemy: emend. di Theobald, che l’edizione Oxford mantiene; in F be enemy = “è nemico”. 784
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
BERTRAM
Nobile signore, di che male soffre il re? LAFEU
Una fistola, signore. BERTRAM
Mai sentito prima. LAFEU
Magari nessuno la conoscesse… Questa gentildonna è la figlia di Gérard de Narbonne? CONTESSA
La sua unica figlia, signore, affidata alla mia tutela. Per la sua naturale virtù nutro quelle grandi speranze che la sua educazione conferma; e ciò rende quelle disposizioni ereditate doni ancora più preziosi. Perché quando buone qualità si accompagnano a una mente malvagia, non c’è lode senza rammarico: sono virtù, ma infide. In lei diventano migliori per la sua semplicità. Ha ereditato l’onestà, ma le qualità personali se l’è conquistate. LAFEU
Le vostre lodi, madame, la fanno piangere. CONTESSA
Per una ragazza le lacrime sono il miglior liquido per conservare le lodi ricevute4. Non appena il ricordo del padre le sfiora il cuore, il dolore tirannico le sottrae colore alle guance. Basta, Elena. Avanti, basta così, altrimenti si può pensare che l’ostentazione superi il dolore… ELENA
È ostentazione, ma è dolore. LAFEU
Un dolore moderato è rispetto per i morti; un dolore eccessivo manca di rispetto alla vita5. CONTESSA
Se il vivere non è nemico del dolore, l’eccesso di dolore è nemico del vivere. BERTRAM (inginocchiandosi) Madame, vorrei i vostri santi auguri. LAFEU
Che significa questo?6 785
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
COUNTESS
Be thou blessed, Bertram, and succeed thy father In manners as in shape. Thy blood and virtue Contend for empire in thee, and thy goodness Share with thy birthright. Love all, trust a few, Do wrong to none. Be able for thine enemy Rather in power than use, and keep thy friend Under thy own life’s key. Be checked for silence But never taxed for speech. What heaven more will That thee may furnish and my prayers pluck down, Fall on thy head. Farewell. (To Lafeu) My lord, ’Tis an unseasoned courtier. Good my lord, Advise him. LAFEU He cannot want the best That shall attend his love. COUNTESS Heaven bless him! — Farewell, Bertram. BERTRAM (rising) The best wishes that can be forged in your thoughts be servants to you. [Exit Countess] (To Helen) Be comfortable to my mother, your mistress, and make much of her. LAFEU Farewell, pretty lady. You must hold the credit of your father. Exeunt Bertram and Lafeu
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HELEN
O were that all! I think not on my father, And these great tears grace his remembrance more Than those I shed for him. What was he like? I have forgot him. My imagination Carries no favour in’t but Bertram’s. I am undone. There is no living, none, If Bertram be away. ’Twere all one That I should love a bright particular star And think to wed it, he is so above me. In his bright radiance and collateral light Must I be comforted, not in his sphere. Th’ambition in my love thus plagues itself. The hind that would be mated by the lion Must die for love. ’Twas pretty, though a plague,
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
CONTESSA
Che tu sia benedetto, Bertram, e che tu possa essere simile a tuo padre nel comportamento, oltre che nell’aspetto. In te sangue e virtù possano contendersi il primato, e la bontà competere con la nobiltà7. Ama tutti, credi a pochi, non offendere nessuno. Mostra la tua abilità al nemico più in potenza che in atto, e difendi l’amico con la tua stessa vita. Fatti biasimare per il tuo silenzio più che per le tue parole. E ciò che il Cielo in più vorrà darti, e io, con le mie preghiere, riuscirò a ottenere, possa scendere sul tuo capo. Addio. (A Lafeu) Signore, è ancora acerbo come cortigiano8. Voi, buon signore, abbiate cura di lui. LAFEU
Non potrà che volere il meglio chi ha cura del suo amore. CONTESSA
Dio lo benedica! Addio, Bertram. BERTRAM (alzandosi)
Gli auguri migliori che forgi nei tuoi pensieri possano realizzarsi. [Esce la contessa] (a Elena) Sii di conforto a mia madre, tua signora, e prenditi cura di lei. LAFEU
Addio, graziosa fanciulla, e fate onore alla memoria di vostro padre. Escono Bertram e Lafeu ELENA
Oh, se questo fosse tutto! Non sto pensando a mio padre, ma queste lacrime pesanti onorano il suo ricordo più di quelle che ho versate per lui. Com’era fatto? L’ho dimenticato. La mia mente non accoglie altra immagine che non sia quella di Bertram. Sono fi nita. Non c’è motivo di vivere, nessuno, se Bertram se ne va. È come se mi fossi innamorata di una stella di speciale splendore e volessi sposarla, tanto lui è al sopra di me. Solo di quel bagliore diffuso e riflesso devo accontentarmi, senza appartenere alla sua orbita9. Questo mio amore ambizioso guasta se stesso10. La cerva che voglia unirsi al leone per amore deve morire. Era bello, benché mi ferisse, vederlo ogni ora, sedergli accanto e disegnare la 787
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
To see him every hour, to sit and draw His archèd brows, his hawking eye, his curls, In our heart’s table — heart too capable Of every line and trick of his sweet favour. But now he’s gone, and my idolatrous fancy Must sanctify his relics. Who comes here?
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Enter Paroles e One that goes with him. I love him for his sake — And yet I know him a notorious liar, Think him a great way fool, solely a coward. Yet these fixed evils sit so fit in him That they take place when virtue’s steely bones Looks bleak i’th’ cold wind. Withal, full oft we see Cold wisdom waiting on superfluous folly. PAROLES Save you, fair queen. HELEN And you, monarch. PAROLES No. HELEN And no. PAROLES Are you meditating on virginity? HELEN Ay. You have some stain of soldier in you, let me ask you a question. Man is enemy to virginity: how may we barricado it against him? PAROLES Keep him out. HELEN But he assails, and our virginity, though valiant in the defence, yet is weak. Unfold to us some warlike resistance. PAROLES There is none. Man, setting down before you, will undermine you and blow you up.
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97.1. Paroles: l’ed. Oxford e la presente traduzione presentano la grafia Paroles, più vicina al francese, mentre nelle altre edizioni, anche italiane, è prevalsa la forma Parolles. 114-115. Though valiant in the defence, yet is weak: è emend. di Reed. F presenta la virgola: though valiant, in the defence is weak = “benché valorosa, nella difesa è debole”, ma il costrutto rischia di essere contraddittorio con il “yet” e con tutto il senso della battuta. 788
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
curva delle sue sopracciglia, gli occhi di falco, i ricci, sul foglio del mio cuore… cuore troppo suscettibile a ogni linea e segno del suo dolce aspetto. E ora è andato, e la mia fantasia idolatra11 deve celebrare le sue reliquie12. Ma chi arriva? Entra Paroles Uno che parte con lui, perciò gli voglio bene. Eppure, lo so, è un noto bugiardo, un matto totale e nient’altro che un codardo. Eppure questi vizi gli si adattano tanto bene da fare bella figura, mentre il solido impianto della virtù al vento gelido impallidisce13. Del resto, vediamo spesso la fredda saggezza cedere alla ridondante follia. PAROLES
Buongiorno, bella regina! ELENA
A voi, re! PAROLES
No, io no. ELENA
E nemmeno io! PAROLES
State meditando sulla verginità? ELENA
Sì. E voi che avete un certo stampo di soldato, lasciate che vi domandi: se l’uomo è nemico della verginità, come facciamo a barricarci contro di lui? PAROLES
Tienilo fuori14. ELENA
Ma ci dà l’assalto. E la nostra verginità, benché nella difesa sia valorosa, tuttavia è debole. Rivelaci qualche tecnica di resistenza bellica. PAROLES
Nessuna. L’uomo si piazza lì davanti, vi sgrotta e ve la fa saltare15.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
HELEN Bless our poor virginity from underminers and
blowers-up. Is there no military policy how virgins might blow up men? PAROLES Virginity being blown down, man will quicklier be blown up. Marry, in blowing him down again, with the breach yourselves made you lose your city. It is not politic in the commonwealth of nature to preserve virginity. Loss of virginity is rational increase, and there was never virgin got till virginity was first lost. That you were made of is mettle to make virgins. Virginity by being once lost may be ten times found; by being ever kept it is ever lost. ’Tis too cold a companion, away with’t. HELEN I will stand for’t a little, though therefore I die a virgin. PAROLES There’s little can be said in’t. ’Tis against the rule of nature. To speak on the part of virginity is to accuse your mothers, which is most infallible disobedience. He that hangs himself is a virgin: virginity murders itself, and should be buried in highways, out of all sanctified limit, as a desperate offendress against nature. Virginity breeds mites, much like a cheese; consumes itself to the very paring, and so dies with feeding his own stomach. Besides, virginity is peevish, proud, idle, made of self-love — which is the most inhibited sin in the canon. Keep it not, you cannot choose but lose by’t. Out with’t! Within t’one year it will make itself two, which is a goodly increase, and the principal itself not much the worse. Away with’t. HELEN How might one do, sir, to lose it to her own liking? PAROLES Let me see. Marry, ill, to like him that ne’er it likes. ’Tis a commodity will lose the gloss with lying: the longer kept, the less worth. Off with’t while ’tis vendible. Answer the time of request. Virginity like an
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145. T’one year: Oxford segue l’emend. di Riverside; in F è ten year = “in dieci anni”. 790
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
ELENA
Dio protegga la nostra povera verginità da minatori e bombardieri. Se non c’è neanche una tattica militare, come fanno le vergini a far esplodere gli uomini? PAROLES
Abbattuta la verginità, esplode rapidamente anche l’uomo16. Ma per la miseria17, una volta esploso, con quella breccia lì che vi ha aperto, avete già perduto la città assediata. Non è politico, nell’impero della Natura, preservare la verginità. La perdita della verginità comporta un ragionevole incremento18, e non ci fu mai vergine prima che verginità fosse vinta. Voi stessa siete fatta dello stesso conio che produce vergini. Una volta perduta, la verginità si moltiplica altre dieci volte: sempre conservata, si è sempre perdute. È una compagnia troppo fredda. Via, via! ELENA
La difenderò ancora un po’, anche se dovessi morire vergine. PAROLES
C’è poco da dire a sua difesa. È contro la legge di natura. Parlare a favore della verginità è accusare le vostre madri, ed è la più imperdonabile disobbedienza. La verginità si impicca: la verginità è suicida e andrebbe seppellita in terra di nessuno, fuori dai confini consacrati, come con chi è reo di un peccato irredimibile contro natura19. La verginità genera vermi, come certi formaggi; consuma fino alla crosta, e così muore divorando il suo stesso stomaco. E poi, la verginità è stizzosa, altezzosa, abulica, fatta di egoismo20, che è il peccato più peccaminoso di tutto il canone. Non conservatela: non avrete che da perderci. Via, via! In un anno il suo valore raddoppia, che è un interesse niente male, e non intaccherete il capitale! Via, via! ELENA
E come si fa, signore, a perderla per il proprio piacere? PAROLES
Fammi pensare. Ma per la miseria, intanto cominciamo male se vi piacerà uno che non l’apprezza. È una merce, questa, che a star lì perde smalto. Più la tenete, meno vale. Sbarazzatevene finché riuscite a venderla. Approfittatene ora che c’è domanda. La verginità,
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
old courtier wears her cap out of fashion, richly suited but unsuitable, just like the brooch and the toothpick, which wear not now. Your date is better in your pie and your porridge than in your cheek, and your virginity, your old virginity, is like one of our French withered pears: it looks ill, it eats drily, marry, ’tis a withered pear — it was formerly better, marry, yet ’tis a withered pear. Will you anything with it? HELEN Not my virginity, yet… h There shall your master have a thousand loves, A mother and a mistress and a friend, A phoenix, captain, and an enemy, A guide, a goddess, and a sovereign, A counsellor, a traitress, and a dear: His humble ambition, proud humility, His jarring concord and his discord dulcet, His faith, his sweet disaster, with a world Of pretty fond adoptious christendoms That blinking Cupid gossips. Now shall he — I know not what he shall. God send him well. The court’s a learning place, and he is one — PAROLES What one, i’faith? HELEN That I wish well. ’Tis pity. PAROLES What’s pity?
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HELEN
That wishing well had not a body in’t Which might be felt, that we, the poorer born, Whose baser stars do shut us up in wishes, Might with effects of them follow our friends And show what we alone must think, which never Returns us thanks.
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161. Not my virginity, yet: in F Not my virginity yet. 792
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
come un vecchio cortigiano21, indossa un cappello fuori moda, è sontuosamente abbigliata di orpelli importabili come spilloni e stuzzicadenti che non si usano più. Meglio il dattero maturo nella torta e nel budino che sul vostro bel visino!22 E la vostra verginità, la vostra vecchia verginità, sarà come una di quelle pere vizze francesi: smunta a vedersi, secca a mangiarsi, per la miseria, proprio una pera vizza! Prima sarà stata anche migliore ma adesso, per la miseria, è proprio una pera vizza. Che volete farci? ELENA
Non la mia verginità! Lì il vostro padrone troverà mille amori, una madre, un’amante, un’amica, una fenice, un capitano e un nemico, una guida, una dea e una sovrana, un consigliere, un traditore e un compagno: sua ambizione umile e umiltà superba, sua concordia discordante e dolce stonatura, sua fede, suo adorabile disastro, con un mondo di graziosi, appassionati nomignoli battezzati dal cieco Cupido23. E lui allora… non so lui allora che farà. Che Dio lo protegga! La corte è una scuola, e lui è uno… PAROLES
Allora, è uno…. ELENA
Uno a cui auguro tutto il bene. Ed è un peccato… PAROLES
Cos’è peccato? ELENA
Che l’augurio di bene non abbia un corpo, da poter essere sentito, e che noi, nati poveri, costretti da meno nobili astri ai soli augùri, non possiamo rendere più efficace quel bene ai nostri amici, né comunicare i nostri pensieri concepiti in solitudine, che non riceveranno mai alcun segno di gratitudine. Entra un paggio
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 1
PAGE
Monsieur Paroles, my lord calls for you. [Exit] i PAROLES Little Helen, farewell. If I can remember thee I will think of thee at court. HELEN Monsieur Paroles, you were born under a charitable star. PAROLES Under Mars, I. HELEN I especially think under Mars. PAROLES Why ‘under Mars’? HELEN The wars hath so kept you under that you must needs be born under Mars. PAROLES When he was predominant. HELEN When he was retrograde, I think rather. PAROLES Why think you so? HELEN You go so much backward when you fight. PAROLES That’s for advantage. HELEN So is running away, when fear proposes the safety. But the composition that your valour and fear makes in you is a virtue of a good wing, and I like the wear well. PAROLES I am so full of businesses I cannot answer thee acutely. I will return perfect courtier, in the which my instruction shall serve to naturalize thee, so thou wilt be capable of a courtier’s counsel and understand what advice shall thrust upon thee; else thou diest in thine
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183.0. [Exit]. La didascalia non è in F. 794
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 1
PAGGIO
Monsieur Paroles, il mio signore vi chiama. [Esce] PAROLES
Elenuccia, addio. Un volta a corte, se mi viene il pensiero, mi ricorderò di te. ELENA
Monsieur Paroles, siete nato sotto una stella caritatevole. PAROLES
Sotto Marte, io. ELENA
Proprio così penso, sotto Marte. PAROLES
E perché sotto Marte? ELENA
Le guerre vi hanno tenuto così sotto che per forza dovete essere nato sotto Marte. PAROLES
Marte ascendente. ELENA
Marte calante, piuttosto. PAROLES
Che cosa ve lo fa pensare? ELENA
Perché quando combattete calate le brache24. PAROLES
Per ragioni strategiche. ELENA
Per correre più forte, quando la paura vi suggerisce come mettervi al sicuro. Ma quell’insieme di valore e timore in voi è una sorta di virtù alata, e vi sta bene, mi piace25. PAROLES
Sono talmente indaffarato che non posso rispondervi per le rime. Tornerò che sarò un perfetto cortigiano26, e intanto spero che i miei consigli ti siano serviti a renderti meno acida, capace di apprezzare un uomo di corte e di capire con quali stoccate ti può infilzare. 795
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 2
unthankfulness, and thine ignorance makes thee away. Farewell. When thou hast leisure say thy prayers; when thou hast none remember thy friends. Get thee a good husband and use him as he uses thee. So farewell. Exit HELEN
Our remedies oft in ourselves do lie Which we ascribe to heaven. The fated sky Gives us free scope, only doth backward pull Our slow designs when we ourselves are dull. What power is it which mounts my love so high, That makes me see and cannot feed mine eye? The mightiest space in fortune nature brings To join like likes and kiss like native things. Impossible be strange attempts to those That weigh their pains in sense and do suppose What hath been cannot be. Who ever strove To show her merit that did miss her love? The King’s disease — my project may deceive me, But my intents are fixed and will not leave me. 1.2
212
215
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Exit
A flourish of Cornetts. Enter the King of France wilh letters, the two Lords Dumaine, [and divers j attendants]
KING
The Florentines and Sienese are by th’ears, k Have fought with equal fortune, and continue A braving war. FIRST LORD DUMAINE So ’tis reported, sir. KING
Nay, ’tis most credible: we here receive it A certainty vouched from our cousin Austria,
5
0.2-3. [And divers attendant]. La didascalia è solo in F, ma non è precisato il numero degli attendenti. 1. Sienese: la grafia, dittongata in “ie”, si trova anche nei Supposes di Gascoigne (1566). 796
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 2
Altrimenti, che tu muoia nell’ingratitudine, che la tua ignoranza ti rovini! Arrivederci. Quando hai tempo, di’ qualche preghiera; quando non ne hai, basta che ti ricordi degli amici. Pigliati un marito come si deve e trattalo come lui tratta te27. Dunque arrivederci! Esce ELENA
Quei rimedi che noi attribuiamo al cielo spesso risiedono in noi 28. Le volontà celesti ci danno campo libero, e se ritardano i nostri incerti disegni è perché siamo noi a essere tardi. Qual è questo potere che spinge tanto in alto il mio amore da farmi vedere ciò di cui i miei occhi non riescono a nutrirsi? Le più grandi distanze volute dalla sorte, la natura le riunisce, le affratella e le fa combaciare. Impossibili risulterebbero certe imprese straordinarie a chi le soppesasse in base alla fatica o si convincesse che ciò che è stato non potrà mai più essere. Ha mai perduto l’amore quella donna che ha lottato per mostrare il proprio merito? La malattia del re… Il mio progetto mi può ingannare, ma i miei intenti sono stabiliti e non mi abbandoneranno. Esce I, 2
Fanfara di corni. Entra il re di Francia, con lettere, i due signori Dumaine [e diversi attendenti]29.
RE
Fiorentini e senesi si stanno accapigliando30. Hanno combattuto con uguale fortuna, e ora continuano la guerra a colpi di sfide. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Così riferiscono, maestà. RE
Sì, è molto credibile: ne riceviamo notizia garantita dal nostro congiunto il duca d’Austria, con l’avviso che i fiorentini premeranno
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Shakespeare IV.indb 797
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 2
With caution that the Florentine will move us For speedy aid — wherein our dearest friend Prejudicates the business, and would seem To have us make denial. FIRST LORD DUMAINE His love and wisdom Approved so to your majesty may plead For amplest credence. KING He hath armed our answer, And Florence is denied before he comes. Yet for our gentlemen that mean to see The Tuscan service, freely have they leave To stand on either part. SECOND LORD DUMAINE It well may serve A nursery to our gentry, who are sick For breathing and exploit. KING What’s he comes here?
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Enter Bertram, Lafeu, and Paroles FIRST LORD DUMAINE
It is the Count Roussillon, my good lord, l Young Bertram. KING (to Bertram) Youth, thou bear’st thy father’s face. Frank nature, rather curious than in haste, Hath well composed thee. Thy father’s moral parts Mayst thou inherit, too. Welcome to Paris.
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BERTRAM
My thanks and duty are your majesty’s. KING
I would I had that corporal soundness now As when thy father and myself in friendship First tried our soldiership. He did look far Into the service of the time, and was Discipled of the bravest. He lasted long, But on us both did haggish age steal on, And wore us out of act. It much repairs me
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18. Roussilon: in F1 e F2 con grafie leggermente diverse. 798
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 2
per ottenere un rapido aiuto. Ma il nostro carissimo amico è contrario all’accordo e sembrerebbe esigere il nostro rifiuto. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Il suo affetto e la sua saggezza, con il suggello di vostra maestà, garantiscono la massima fiducia. RE
Lui ha blindato la nostra risposta31, e il duca di Firenze riceve un immediato rifiuto. Ciononostante, i nostri gentiluomini che vogliono rendere servizio alla Toscana hanno il permesso di schierarsi liberamente per l’una o per l’altra parte. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Potrà servire ad addestrare i nostri nobili giovani, ansiosi di imprese strepitose. RE
Ma chi arriva? Entrano Bertram, Lafeu e Paroles PRIMO SIGNORE DUMAINE
È il Conte di Rossiglione, mio caro signore, il giovane Bertram. RE (a Bertram) Giovane, porti il volto di tuo padre. La schietta natura, in modo più accurato che frettoloso, ti ha plasmato bene. Possa tu avere ereditato anche le sue qualità morali. Benvenuto a Parigi. BERTRAM
Ringraziamenti ed ossequi a vostra maestà. RE
Se solo avessi ancora quel vigore corporale di quando tuo padre ed io, in amicizia, tentavamo i nostri primi cimenti militari. Egli si esercitò a fondo nelle armi e fu addestrato dai più valorosi. Andò avanti molto, ma quella strega32 della vecchiaia ci ha messo le mani addosso e ha sottratto entrambi all’azione. Mi conforta parlare di
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 2
To talk of your good father. In his youth He had the wit which I can well observe Today in our young lords, but they may jest Till their own scorn return to them unnoted Ere they can hide their levity in honour. So like a courtier, contempt nor bitterness Were in his pride or sharpness; if they were His equal had awaked them, and his honour — Clock to itself — knew the true minute when Exception bid him speak, and at this time His tongue obeyed his hand. Who were below him He used as creatures of another place, And bowed his eminent top to their low ranks, Making them proud of his humility, In their poor praise he humbled. Such a man Might be a copy to these younger times, Which followed well would demonstrate them now But goers-backward. BERTRAM His good remembrance, sir, Lies richer in your thoughts than on his tomb. So in approof lives not his epitaph As in your royal speech.
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KING
Would I were with him! He would always say — Methinks I hear him now; his plausive words He scattered not in ears, but grafted them To grow there and to bear. ‘Let me not live’ — This his good melancholy oft began m On the catastrophe and heel of pastime, When it was out — ‘Let me not live’, quoth he, ‘After my flame lacks oil, to be the snuff Of younger spirits, whose apprehensive senses All but new things disdain, whose judgements are Mere fathers of their garments, whose constancies Elxpire before their fashions.’ This he wished.
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56. This: così in F. Pope corregge Thus. 800
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tuo padre. Da ragazzo possedeva quello spirito che oggi osservo nei nostri giovani signori, ma loro possono andare avanti a scherzare fino a farsi disprezzare senza neanche accorgersene, prima che riescano a nascondere la leggerezza con l’onore. Da vero cortigiano33, invece, il suo orgoglio non ammetteva disprezzo, né acredine né offesa. Se li provava, erano i suoi pari a suscitarli, e il suo onore, regolato da sé come un orologio, conosceva l’istante esatto in cui l’eccezione gli chiedeva di parlare, e allora la sua lingua segnava il tempo. Trattava coloro che stavano sotto di lui come persone appartenenti a un altro rango, e dalla sua eminente posizione si inchinava al loro basso stato, rendendo costoro fieri in virtù della sua umiltà, e umilmente accoglieva i loro semplici elogi. Un uomo così dovrebbe essere un modello per i nostri tempi; a seguirlo bene, dimostrerebbe loro che farebbero bene a tornare indietro. BERTRAM
Un bel ricordo di lui, signore, che si arricchisce nei vostri pensieri più che sulla sua tomba. Così il suo epitaffio non vive più degnamente che nel vostro regale discorso. RE
Fossi ancora con lui! Diceva sempre… Mi sembra di udirlo ora. Le sue parole d’elogio non le disperdeva nelle orecchie altrui, ma le seminava perché lì crescessero e attecchissero…34 Non voglio più vivere… – Così spesso attaccava la sua dolce malinconia, al culmine e al seguito di uno svago, quando tutto era finito – ‘Non voglio più vivere’, diceva, ‘quando la mia fiamma avrà finito il suo olio, per fare da lumicino a giovani spiriti i cui sensi sono così incostanti35 da disdegnare tutto ciò che non sia nuovo, i cui giudizi non riguardano altro che i loro vestiti, e non sono più costanti delle loro mode’. Questo era il suo desiderio.
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I after him do after him wish too, Since I nor wax nor honey can bring home, I quickly were dissolvèd from my hive To give some labourers room. SECOND LORD DUMAINE You’re lovèd, sir. They that least lend it you shall lack you first.
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KING
I fill a place, I know’t. — How long is’t, Count, Since the physician at your father’s died? He was much famed. BERTRAM Some six months since, my lord.
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KING
If he were living I would try him yet. — Lend me an arm. — The rest have worn me out With several applications. Nature and sickness Debate it at their leisure. Welcome, Count. My son’s no dearer. BERTRAM Thank your majesty.
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[Flourish.] Exeunt n 1.3
Enter the Countess, Reynaldo her steward, and [behind] Lavatch her clown o
COUNTESS I will now hear. What say you of this gentlewoman? REYNALDO Madam, the care I have had to even your
content I wish might be found in the calendar of my past endeavours, for then we wound our modesty and make foul the clearness of our deservings, when of ourselves we publish them. COUNTESS What does this knave here? (To Lavatch) Get you gone, sirrah. The complaints I have heard of you I do not all believe. ’Tis my slowness that I do not, for
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76.1. [Flourish]: gli editori hanno dibattuto a lungo sull’uso non sempre coerente delle didascalie che indicano, anche a sproposito, la fanfara. 0.2. [Behind]. Non in F. 802
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E anche io, dopo di lui, desidero lo stesso, poiché non posso più portare a casa né cera né miele: allontanarmi subito dall’alveare36, per dare spazio ad altre api operaie! SECONDO SIGNORE DUMAINE
Voi siete amato, signore. E quelli che meno lo dimostrano saranno i primi a sentire la vostra mancanza. RE
Occupo un posto, lo so. Da quand’è, conte, che è morto il medico di vostro padre? Era molto famoso. BERTRAM
Da circa sei mesi, signore. RE
Se vivesse ancora, vorrei provarlo. Datemi il braccio. Gli altri mi hanno stancato con i loro rimedi. Natura e malattia dibattono il mio caso a loro piacimento. Benvenuto, conte. Mio figlio non mi è più caro. BERTRAM
Vostra maestà, vi ringrazio. [Fanfara.] Escono. I, 3
Entra la contessa, Rinaldo il maggiordomo, e [dietro] Lavatch, il suo clown37
CONTESSA
Sentiamo. Che pensate di questa gentildonna?38 RINALDO
Madame, la premura che ho sempre usato nel servirvi vorrei che si ritrovasse negli annali dei miei passati cimenti, perché si ferisce la modestia e si sporca il candore dei nostri meriti, se siamo noi stessi a farne sfoggio. CONTESSA
Che ci fa, qui, questa canaglia? (A Lavatch) Vattene, ragazzo! Non credo a tutte le lamentele che ho sentito sul tuo conto, ma solo per
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
I know you lack not folly to commit them and have ability enough to make such knaveries yours. LAVATCH ’Tis not unknown to you, madam, I am a poor fellow. COUNTESS Well, sir? LAVATCH No, madam, ’tis not so well that I am poor, though many of the rich are damned. But if I may have your ladyship’s good will to go to the world, Isbel the woman and I will do as we may. COUNTESS Wilt thou needs be a beggar? LAVATCH I do beg your good will in this case. COUNTESS In what case? LAVATCH In Isbel’s case and mine own. Service is no heritage, and I think I shall never have the blessing of God till I have issue o’ my body, for they say bairns are blessings. COUNTESS Tell me thy reason why thou wilt marry. LAVATCH My poor body, madam, requires it. I am driven on by the flesh, and he must needs go that the devil drives. COUNTESS Is this all your worship’s reason? LAVATCH Faith, madam, I have other holy reasons, such as they are. COUNTESS May the world know them? LAVATCH I have been, madam, a wicked creature, as you — and all flesh and blood — are, and indeed I do marry that I may repent.
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pigrizia. Perché so bene che non ti manca la follia di pensarle, tali diavolerie, e hai anche l’abilità di compierle39. LAVATCH
Madame, lo sapete che sono un poveraccio. CONTESSA
Ebbene, signore? LAVATCH
No, madame, non va niente bene40 che sono un poveraccio, quand’anche molti ricconi vanno all’inferno. Ma se vossignoria mi dà il consenso a maritarmi, Isbel la cameriera ed io faremo un po’ quel che potremo. CONTESSA
Farete il mendicante? LAVATCH
Mendico41 soltanto il vostro assenso per quest’affare. CONTESSA
Quale affare? LAVATCH
L’affare di Isbel42, che è pure il mio affare. Essere servitori non lascia eredità43, e penso che non avrò mai la benedizione di Dio fi nché non avrò figliato. Dicono che i bambini sono una benedizione. CONTESSA
Dimmi la ragione per cui vuoi sposarti. LAVATCH
È il mio povero corpo, madame, che lo vuole. Mi trascina la carne; e bisogna andare dove ci porta il diavolo. CONTESSA
Tutta qui la ragione di vossignoria? LAVATCH
A dire il vero, madame, di cose sacrosante ne ho altrettante, per quel valgono. CONTESSA
Il mondo può conoscerle? LAVATCH
Madame, sono stato un peccatore, come lo siete voi e tutte le creature di carne e sangue. Mi sposo per potermi pentire44. 805
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
COUNTESS Thy marriage sooner than thy wickedness. LAVATCH I am out o’ friends, madam, and I hope to have
friends for my wife’s sake. COUNTESS Such friends are thine enemies, knave. LAVATCH You’re shallow, madam — in great friends, for the knaves come to do that for me which I am aweary of. He that ears my land spares my team, and gives me leave to in the crop. If I be his cuckold, he’s my drudge. He that comforts my wife is the cherisher of my flesh and blood; he that cherishes my flesh and blood loves my flesh and blood; he that loves my flesh and blood is my friend; ergo, he that kisses my wife is my friend. If men could be contented to be what they are, there were no fear in marriage. For young Chairbonne the puritan and old Poisson the papist, howsome’er their hearts are severed in religion, their heads are both one: they may jowl horns together like any deer i’th’ herd. COUNTESS Wilt thou ever be a foul-mouthed and calumnious knave? LAVATCH A prophet? Ay, madam, and I speak the truth the next way. [He sings] q For I the ballad will repeat, Which men full true shall find: Your marriage comes by destiny, Your cuckoo sings by kind. COUNTESS Get you gone, sir. I’ll talk with you more anon. REYNALDO May it please you, madam, that he bid Helen come to you? Of her I am to speak. 66 COUNTESS (to Lavatch) Sirrah, tell my gentlewoman I would speak with her. Helen, I mean.
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42. Madam: non in F. 59.1 e 69.0. [Sings]: non in F. 806
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CONTESSA
Del matrimonio prima che dei tuoi peccati. LAVATCH
Non ho amici, madame, e spero di farmene per amor di mia moglie45. CONTESSA
Quegli amici saranno tuoi nemici, canaglia! LAVATCH
Madame, valutate superficialmente i grandi amici, perché quei furfanti lì faranno al mio posto ciò che io sarò ormai stanco di fare. Quello che mi ara la terra mi risparmia le bestie e mi lascia il raccolto. E mi faccia pure becco, ché intanto io lo farò sgobbare. Chi si prende cura di mia moglie fa del bene alla mia carne e al mio sangue. E colui che fa del bene alla mia carne e al mio sangue ama la mia carne e sangue. E chi ama la mia carne e il mio sangue è amico mio. Ergo, chi fa l’amore con mia moglie è mio amico46. Se gli uomini si contentassero di ciò che sono, non avrebbero paura a sposarsi. Sicché del giovane Chairbonne, puritano, e del vecchio Poisson, papista, anche se per religione i loro cuori sono divisi47, le teste potrebbero diventare una cosa sola: potrebbero incrociare le corna come cervi nel branco. CONTESSA
E tu? Sarai sempre una canaglia scurrile e un calunniatore? LAVATCH
Un profeta? Sì, madame, e dico subito la verità. [Canta] vado ripetendo la ballata che ogni uomo vera avrà trovata: per destino il tuo matrimonio verrà per natura il tuo cuculo canterà. CONTESSA
Andatevene, signore. Vi parlerò più tardi. RINALDO
Per piacere, signora, mandatelo a chiamare Elena. È di lei che devo parlarvi. CONTESSA (a Lavatch) Ragazzo, di’ alla mia dama che vorrei parlarle. Intendo Elena. 807
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
LAVATCH [sings]
‘Was this fair face the cause’, quoth she, ‘Why the Grecians sackèd Troy? Fond done, done fond. Was this King Priam’s joy?’ With that she sighèd as she stood, With that she sighèd as she stood, And gave this sentence then: ‘Among nine bad if one be good, Among nine bad if one be good, There’s yet one good in ten.’ COUNTESS What, ‘one good in ten’? You corrupt the song, sirrah. LAVATCH One good woman in ten, madam, which is a purifying o’th’ song. Would God would serve the world so all the year! We’d find no fault with the tithewoman if I were the parson. One in ten, quoth a? An we might have a good woman born but ere every blazing star, or at an earthquake, ’twould mend the lottery well. A man may draw his heart out ere a pluck one. COUNTESS You’ll be gone, sir knave, and do as I command you. LAVATCH That man should be at woman’s command, and yet no hurt done! Though honesty be no puritan, yet it will do no hurt; it will wear the surplice of humility over the black gown of a big heart. I am going, forsooth. The business is for Helen to come hither. Exit COUNTESS Well now. REYNALDO I know, madam, you love your gentlewoman entirely. COUNTESS Faith, I do. Her father bequeathed her to me, and she herself without other advantage may lawfully make title to as much love as she finds. There is more
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r s
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83. A: he (qui e di seguito, non più segnalato). An = if (qui e di seguito, non più segnalato). 84. Ere = before. 808
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
LAVATCH [canta]
‘Era il suo bel viso la causa’, disse lei, ‘per cui i Greci saccheggiarono Troia? Foia e follia! Follia e foia! Era del re Priamo la gioia? Che così si fermò e sospirò Che così sospirò e si fermò E la sentenza pronunciò: ‘tra nove cattive se ce n’è una buona tra nove cattive se ce n’è una sana una su dieci è quella buona’48. CONTESSA
Cosa? Una buona su dieci? Furfante, hai corrotto la canzone! LAVATCH
Una donna onesta su dieci, signora, certo, e così la canzone io la purifico. Volesse Iddio che al mondo andasse così tutto l’anno! Se fossi il parroco non troverei nulla di male che nella mia decima ci fosse una donna buona su dieci!49. Una su dieci, dice? Se nascesse una donna buona ad ogni cometa, ad ogni terremoto, avremmo fatto tombola! Un uomo ci rimette il cuore, prima di pescarne una così. CONTESSA
Vai via, bel tipo, e fai quel che ti ordino. LAVATCH
Un uomo si mette al servizio di una donna e non fa neanche tanto danno! L’onestà non è puritana, ma male non ne fa. Indosserà una veste di umiltà sopra la nera sottana di un cuore superbo50. Vado, vado, certo! È Elena che deve venire. CONTESSA
Bene, allora? RINALDO
So bene, madame, che amate enormemente la vostra dama. CONTESSA
Sì, è vero. Suo padre l’ha affidata alla mia tutela e lei stessa, senz’altro profitto, può a buon diritto fregiarsi del titolo dell’amore che
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
owing her than is paid, and more shall be paid her than she’ll demand. REYNALDO Madam, I was very late more near her than I think she wished me. Alone she was, and did communicate to herself, her own words to her own ears; she thought, I dare vow for her, they touched not any stranger sense. Her matter was, she loved your son. Fortune, she said, was no goddess, that had put such difference betwixt their two estates; Love no god, that would not extend his might only where qualities were level; Dian no queen of virgins, that would suffer her poor knight surprised without rescue in the first assault or ransom afterward. This she delivered in the most bitter touch of sorrow that e’er I heard virgin exclaim in; which I held my duty speedily to acquaint you withal, sithence in the loss that may happen it concerns you something to know it. COUNTESS You have discharged this honestly. Keep it to yourself. Many likelihoods informed me of this before, which hung so tott’ring in the balance that I could neither believe nor misdoubt. Pray you, leave me. Stall this in your bosom, and I thank you for your honest care. I will speak with you further anon.
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Exit Steward Enter Helen COUNTESS (aside)
Even so it was with me when I was young. If ever we are nature’s, these are ours: this thorn Doth to our rose of youth rightly belong. Our blood to us, this to our blood is born; It is the show and seal of nature’s truth, Where love’s strong passion is impressed in youth.
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111. Dian: non in F. Emend. di Theobald per rendere più chiaro il testo. La grafia Dian è probabilmente scelta per distinguere la dea dal personaggio di Diana. 810
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
riceve da me. Le spetta più di quanto non le venga retribuito e sarà ripagata più di quanto non chieda. RINALDO
Madame, poco tempo fa mi trovai più vicino a lei di quanto, penso, avrebbe voluto. Era sola, e comunicava a se medesima, alle proprie orecchie, le proprie parole. Pensava – oso giurarlo per lei – che non arrivassero all’udito di alcun estraneo. Ama vostro figlio: l’argomento era quello. Diceva che non è una dea la Fortuna, perché ha posto tanta differenza tra le loro due condizioni sociali; né è un dio l’Amore, perché può estendere il suo potere soltanto su persone di pari livello; né Diana è regina delle vergini, se sopporta che una sua povera vestale51 sia fatta prigioniera a tradimento senza potersi difendere dopo il primo assalto, o riscattarsi dopo. Questo confessava con il tono di dolore più struggente che abbia mai sentito pronunciare da una vergine; perciò ho ritenuto mio dovere informarvi subito, perché, per il pericolo che potrebbe derivarne, è necessario che lo sappiate. CONTESSA
Lo avete detto con onestà. Ma tenetevelo per voi. Ne ero stata già avvisata da altri segni simili, che però si controbilanciavano così tanto che non potevo crederci né non crederci. Vi prego, lasciatemi. Tenetevelo nel cuore, e vi sarò grata per questa onesta premura. Ne parleremo ancora. Esce il maggiordomo Entra Elena CONTESSA (a parte)
Capitava anche a me, quando ero giovane. Se noi apparteniamo alla natura, queste cose appartengono a noi: la spina giustamente si accompagna alla rosa della nostra giovinezza. È nel nostro sangue, lì vi nasce. Ed è segno e sigillo della verità della natura, dove la forte passione d’amore si imprime nella giovinezza. Nel
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
By our remembrances of days foregone, Such were our faults — or then we thought them none. Her eye is sick on’t. I observe her now. u
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HELEN
What is your pleasure, madam? You know, Helen, I am a mother to you.
COUNTESS HELEN
Mine honourable mistress. Nay, a mother. Why not a mother? When I said ‘a mother’, Methought you saw a serpent. What’s in ‘mother’ That you start at it? I say I am your mother, And put you in the catalogue of those That were enwombèd mine. ’Tis often seen Adoption strives with nature, and choice breeds A native slip to us from foreign seeds. You ne’er oppressed me with a mother’s groan, Yet I express to you a mother’s care. God’s mercy, maiden! Does it curd thy blood To say I am thy mother? What’s the matter, That this distempered messenger of wet, The many-coloured Iris, rounds thine eye? Why, that you are my daughter? HELEN That I am not. COUNTESS
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COUNTESS
I say I am your mother. Pardon, madam. The Count Roussillon cannot be my brother. I am from humble, he from honoured name; No note upon my parents, his all noble. My master, my dear lord he is, and I His servant live and will his vassal die. He must not be my brother.
HELEN
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
ricordo dei giorni passati, erano quelle le nostre colpe, ma noi non le ritenevamo tali. Il suo occhio è malato d’amore: ora la osservo bene. ELENA
Che desiderate, madame? CONTESSA
Sai bene, Elena, che per te sono una madre. ELENA
Siete la mia onorevole signora. CONTESSA
No, una madre. Perché non una madre? Quando ho detto una madre, mi è parso che tu vedessi un serpente. Che c’è nella parola madre che ti fa trasalire? Se dico che sono tua madre, ti pongo nel novero di coloro che ho portato nel ventre. È così che spesso l’adozione gareggia con la natura, e che la scelta nutre come nostro ciò che è prodotto da semi estranei. Tu non mi hai fatto patire il travaglio, eppure io ti esprimo l’amore di una madre. Per amor di Dio, ragazza! Ti si caglia il sangue, se ti dico che sono tua madre? Che accade? Iride dai molti colori, intemperante, umida messaggera, ti inonda gli occhi?52 Perché? Perché sei mia figlia? ELENA
Perché non lo sono! CONTESSA
Ti dico che sono tua madre. ELENA
Perdonatemi, madame. Il conte di Rossiglione non può essere mio fratello. Di umili origini sono io, lui di stirpe onorata. Non illustri i miei genitori, nobilissimi i suoi. Mio padrone, mio caro signore è lui; io vivo sua serva, e morirò sua vassalla53. Non può essere mio fratello.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
COUNTESS
Nor I your mother?
HELEN
You are my mother, madam. Would you were — So that my lord your son were not my brother — Indeed my mother! Or were you both our mothers I care no more for than I do for heaven, So I were not his sister. Can ’t no other But, I your daughter, he must be my brother?
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COUNTESS
Yes, Helen, you might be my daughter-in-law. God shield you mean it not! ‘Daughter’ and ‘mother’ So strive upon your pulse. What, pale again? My fear hath catched your fondness. Now I see The myst’ry of your loneliness, and find Your salt tears’ head. Now to all sense ’tis gross: You love my son. Invention is ashamed Against the proclamation of thy passion To say thou dost not. Therefore tell me true, But tell me then ’tis so — for look, thy cheeks Confess it t’one to th’other, and thine eyes See it so grossly shown in thy behaviours That in their kind they speak it. Only sin And hellish obstinacy tie thy tongue, That truth should be suspected. Speak, is’t so? If it be so you have wound a goodly clew; If it be not, forswear’t. Howe’er, I charge thee, As heaven shall work in me for thine avail, To tell me truly. HELEN Good madam, pardon me.
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COUNTESS
Do you love my son? HELEN
Your pardon, noble mistress.
COUNTESS
Love you my son? Do not you love him, madam?
HELEN
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Shakespeare IV.indb 814
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
CONTESSA
Né io tua madre? ELENA
Ma voi siete mia madre, madame… Magari lo foste… Ma di modo che il mio signore vostro figlio non fosse mio fratello… Voi mia madre, davvero! Oh, se voi foste madre di entrambi, non chiederei altro al cielo, purché non fossi sua sorella. Ma non c’è rimedio: se sono figlia vostra, lui sarebbe mio fratello! CONTESSA
Sì, Elena, potresti essere mia nuora. Dio ti distolga dal negarlo! Le parole ‘figlia’ e ‘madre’ ti accelerano il polso. Come, ancora impallidisci? Il mio timore scopre la tua passione. Ora capisco il mistero della tua solitudine, trovo la causa di tante lacrime salate. Ora è del tutto evidente: ami mio figlio. Mentire ti provoca vergogna di fronte all’evidenza della tua passione, se dici di no. Perciò dimmi la verità. Ma dimmi, allora, è così… Perché, guarda: le guance lo confessano, l’una all’altra, e gli occhi rivelano con tanta evidenza le tue intenzioni che in un certo senso è come se parlassero. Solo peccato e diabolica ostinazione ti legano la lingua, e fanno sospettare la verità. Parla, non è così? Se è così, hai ingarbugliato un bel gomitolo. Se non è così, giuralo. E comunque, ti scongiuro, perché il cielo possa servirsi di me a tuo vantaggio, dimmi la verità. ELENA
Cara signora, perdonatemi. CONTESSA
Ami mio figlio? ELENA
Perdonatemi, nobile signora. CONTESSA
Ami mio figlio? ELENA
Voi non lo amate, signora?
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Shakespeare IV.indb 815
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
COUNTESS
Go not about. My love hath in’t a bond Whereof the world takes note. Come, come, disclose The state of your affection, for your passions Have to the full appeached. HELEN Then I confess, Here on my knee, before high heaven and you, That before you and next unto high heaven I love your son. My friends were poor but honest; so’s my love. Be not offended, for it hurts not him That he is loved of me. I follow him not By any token of presumptuous suit, Nor would I have him till I do deserve him, Yet never know how that desert should be. I know I love in vain, strive against hope; Yet in this captious and intenable sieve v I still pour in the waters of my love And lack not to lose still. Thus, Indian-like, Religious in mine error, I adore The sun that looks upon his worshipper But knows of him no more. My dearest madam, Let not your hate encounter with my love For loving where you do; but if yourself, Whose agèd honour cites a virtuous youth, Did ever in so true a flame of liking Wish chastely and love dearly, that your Dian Was both herself and Love, O then give pity To her whose state is such that cannot choose But lend and give where she is sure to lose, That seeks to find not that her search implies, w But riddle-like lives sweetly where she dies.
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198. Intenable: in F è intemible = forse “impermeabile”? (non in OED). 212. To find not: in F è non to find. 816
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
CONTESSA
Non prendermi in giro. Il mio amore ha in esso un legame riconosciuto dal mondo. Avanti, su, rivela la natura del tuo affetto, perché le passioni che nutri lo hanno già completamente tradito. ELENA
Allora lo confesso, qui in ginocchio, davanti al cielo e davanti a voi, che al vostro cospetto e alla santità del cielo amo vostro figlio. Poveri ma onesti i miei cari, e tale il mio amore. Ma non preoccupatevi: non gli fa del male l’amore che provo per lui. Non lo perseguiterò con pegni di presuntuoso corteggiamento e non lo vorrei prima di averlo meritato, anche se non so per quale merito54. So che lo amo invano, che lotto contro ogni speranza. Eppure, in questo ingannevole e permeabile setaccio, continuo a versare l’acqua del mio amore, e non ne resta una goccia55. Così, come un indiano, persevero nel mio sacro errore, adoro quel sole che dall’alto guarda chi lo venera ma di lui non sa nulla. Mia carissima signora, fate che il mio amore non incontri il vostro odio per il sentimento che porto verso colui che voi stessa amate. Ma se voi, la cui dignitosa età evoca la virtù della vostra giovinezza, avete mai amato d’una passione altrettanto autentica, desiderando castamente e intensamente insieme, tanto che Diana era Diana e anche Amore, allora abbiate pietà di costei, la cui condizione56 è tale da non potere scegliere né di dare né di ricevere perché è sicura di perdere, che non può mettersi in cerca di ciò che le sfugge, ma come in un enigma vive dolcemente là dove muore57.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 1 SCENE 3
COUNTESS
Had you not lately an intent — speak truly — To go to Paris? HELEN Madam, I had. COUNTESS Wherefore? Tell true.
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HELEN
I will tell truth, by grace itself I swear. You know my father left me some prescriptions Of rare and proved effects, such as his reading And manifest experience had collected For general sovereignty, and that he willed me In heedfull’st reservation to bestow them, As notes whose faculties inclusive were More than they were in note. Amongst the rest There is a remedy, approved, set down, To cure the desperate languishings whereof The King is rendered lost. COUNTESS This was your motive For Paris, was it? Speak.
220
225
HELEN
My lord your son made me to think of this, Else Paris and the medicine and the King Had from the conversation of my thoughts Haply been absent then. COUNTESS But think you, Helen, If you should tender your supposèd aid, He would receive it? He and his physicians Are of a mind: he, that they cannot help him; They, that they cannot help. How shall they credit A poor unlearnèd virgin, when the schools, Embowelled of their doctrine, have left off The danger to itself? HELEN There’s something in’t More than my father’s skill, which was the great’st Of his profession, that his good receipt Shall for my legacy be sanctified
230
235
240
818
Shakespeare IV.indb 818
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO I SCENA 3
CONTESSA
Non avevi di recente l’intento – sii sincera – di andare a Parigi? ELENA
Sì, signora. CONTESSA
E per quale motivo? Di’ la verità. ELENA
Vi dirò la verità, per la grazia di Dio, lo giuro. Sapete che mio padre mi lasciò talune rare ricette di testato effetto che i suoi studi e l’esperienza maturata hanno prodotto come universale panacea; e desiderava che io ne facessi uso con la massima riservatezza, come prescrizioni i cui poteri in esse concentrati erano superiori a quelli descritti. Tra le altre cose, c’è un rimedio, testato, fatto apposta per curare i mali senza speranza per i quali il re è considerato perduto. CONTESSA
Era questo il motivo per andare a Parigi? Parla. ELENA
Il mio signore vostro figlio mi ci ha fatto pensare. Altrimenti Parigi, la cura e il re e sarebbero stati del tutto estranei al flusso dei miei pensieri. CONTESSA
Ma tu credi, Elena, che se gli offrissi il tuo presunto rimedio, lui lo accetterebbe? Lui e i suoi medici sono di uno stesso parere: lui pensa che loro non possano aiutarlo, e loro di non poterlo aiutare. Come potrebbero credere a una povera ragazza non istruita, quando le scuole, svuotate della loro dottrina, hanno ormai lasciato che il male faccia il suo corso? ELENA
C’è qualcosa in ciò, al di là dell’abilità di mio padre, eccelsa nella sua professione, qualcosa che fa sì che le sue buone prescrizioni, lasciatemi in eredità, siano santificate dalle più fortunate stelle del
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
By th’ luckiest stars in heaven, and would your honour But give me leave to try success, I’d venture The well-lost life of mine on his grace’s cure By such a day, an hour. COUNTESS Dost thou believe’t? HELEN Ay, madam, knowingly.
245
COUNTESS
Why, Helen, thou shalt have my leave and love, Means and attendants, and my loving greetings To those of mine in court. I’ll stay at home And pray God’s blessing into thy attempt. Be gone tomorrow, and be sure of this: What I can help thee to, thou shalt not miss. 2.1
250
Exeunt
Flourish of cornetts. Enter the King [carried in a chair], with the two Lords Dumaine, divers young lords taking leave for the Florentine war, and Bertram and Paroles
KING
Farewell, young lords. These warlike principles Do not throw from you. And you, my lords, farewell. Share the advice betwixt you; if both gain all, x The gift doth stretch itself as ’tis received, And is enough for both. FIRST LORD DUMAINE ’Tis our hope, sir, After well-entered soldiers, to return And find your grace in health.
5
KING
No, no, it cannot be — and yet my heart Will not confess he owes the malady That doth my life besiege. Farewell, young lords. Whether I live or die, be you the sons
10
3. Gain all: è emend. tardo; in F c’è una virgola che cambia leggermente il senso (gain, all). 820
Shakespeare IV.indb 820
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
cielo, e se l’onore vostro vorrà darmi il permesso di provarne a farcela, metterò in gioco la mia vita – che sarebbe perduta bene, – per curare sua maestà entro un giorno e un’ora definiti. CONTESSA
Ci credi davvero? ELENA
Sì, signora, e a ragione. CONTESSA
Ebbene, Elena, avrai il mio benestare, i mezzi e gli attendenti, e porterai i più affettuosi saluti ai miei che sono a corte. Io starò a casa, e pregherò che Dio benedica la tua impresa. Partirete domani. E stai certa di questo, che tutto ciò che posso fare per aiutarti non ti mancherà. Escono II, 1
Fanfara di corni. Entra il re [trasportato su una sedia], con i due signori Dumaine, svariati giovani in partenza per la guerra a Firenze, Bertram e Paroles58
RE
Addio, giovani signori. Non rinnegate mai questi vostri princìpi militari. E a voi, signori, addio. Condividete sempre il mio buon consiglio59. Se per tutte e due le parti ne farete tesoro, nell’essere ricevuto il mio dono si estenderà, e sarà sufficiente per entrambe. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Questa è la nostra speranza, sire: tornare esperti soldati e trovare vostra maestà in salute. RE
No, questo non è possibile, anche se il cuore non vuole cedere alla malattia che mi assedia. Addio, giovani signori. Che io viva
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Shakespeare IV.indb 821
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
Of worthy Frenchmen; let higher Italy — Those bated that inherit but the fall Of the last monarchy — see that you come Not to woo honour but to wed it. When The bravest questant shrinks, find what you seek, That fame may cry you loud. I say farewell.
15
FIRST LORD DUMAINE
Health at your bidding serve your majesty. KING
Those girls of Italy, take heed of them. They say our French lack language to deny If they demand. Beware of being captives Before you serve. BOTH LORDS DUMAINE Our hearts receive your warnings. KING Farewell. — Come hither to me.
20
[Some lords stand aside with the King] y FIRST LORD DUMAINE (to Bertram)
O my sweet lord, that you will stay behind us. PAROLES
’Tis not his fault, the spark. SECOND LORD DUMAINE
O ’tis brave wars.
25
PAROLES
Most admirable! I have seen fhose wars. BERTRAM
I am commanded here, and kept a coil with ‘Too young’ and ‘the next year’ and ‘’tis too early’. PAROLES
An thy mind stand to’t, boy, steal away bravely. BERTRAM
I shall stay here the forehorse to a smock, Creaking my shoes on the plain masonry, Till honour be bought up, and no sword worn But one to dance with. By heaven, I’ll steal away.
30
24.1. [Some lords stand aside with the King]: la didascalia non si trova in F. 822
Shakespeare IV.indb 822
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
o muoia, siate degni figli dei francesi. E fate sì che la nobile Italia – eccetto gli sconfitti eredi del declino imperiale60 – si accorga che siete andati non a corteggiare, ma a sposare l’onore. E quand’anche il suo più ambizioso seguace si sgonfi61, possiate trovare ciò che perseguite, e che la fama lo proclami a gran voce. Io vi dico addio. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Che la salute accompagni sua maestà, ad ogni suo cenno! RE
Queste ragazze italiane: guardatevene! Dicono che a noi francesi mancano i termini per negarci, quando esse chiedono. Attenti a non essere presi nei loro lacci, prima di entrare nel servizio. ENTRAMBI I SIGNORI DUMAINE
I nostri cuori accolgono i vostri consigli. RE
Addio. Venite qui da me. [Alcuni signori si intrattengono con il re] PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram)
Mio caro signore, peccato che voi non possiate venire! PAROLES
Non è colpa sua, il damerino! SECONDO SIGNORE DUMAINE
Che guerre coraggiose! PAROLES
Straordinarie. Ne ho viste, io, di guerre così62. BERTRAM
Mi ordinano di restare, con la scusa del ‘troppo giovane’, ‘il prossimo anno’, ‘è troppo presto’. PAROLES
Se il tuo animo è risoluto, ragazzo, taglia clamorosamente la corda!63 BERTRAM
Dovrei stare qui al traino di una sottana64, a consumarmi le scarpe sul parquet65, mentre l’onore se lo conquistano gli altri e non mi lasciano neanche una spada, se non per danzare! Mio Dio, me ne vado di nascosto.
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Shakespeare IV.indb 823
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
FIRST LORD DUMAINE
There’s honour in the theft. PAROLES
Commit it, Count.
SECOND LORD DUMAINE
I am your accessary. And so, farewell. BERTRAM I grow to you, And our parting is a tortured body.
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FIRST LORD DUMAINE
Farewell, captain. SECOND LORD DUMAINE Sweet Monsieur Paroles. PAROLES Noble heroes, my sword and yours are kin. Good
sparks and lustrous, a word, good mettles. You shall find in the regiment of the Spinii one Captain Spurio, with his cicatrice, an emblem of war, here on his sinister cheek. It was this very sword entrenched it. Say to him I live, and observe his reports for me. FIRST LORD DUMAINE We shall, noble captain. PAROLES Mars dote on you for his novices.
45
Exeunt both Lords Dumaine (To Bertram) What will ye do? BERTRAM Stay the King. z PAROLES Use a more spacious ceremony to the noble lords.
You have restrained yourself within the list of too cold an adieu. Be more expressive to them, for they wear themselves in the cap of the time, there do muster true gait; eat, speak, and move under the influence of the most received star — and though the devil lead the measure, such are to be followed. After them, and take a more dilated farewell. BERTRAM And I will do so.
56
48. Stay the King: così in F1; F2 corregge Stay: the King, intendendo l’espressione come I will stay, because of the King = “Mi fermo per la presenza del Re”, o come invito di Bertram a tacere dinanzi al Re. 824
Shakespeare IV.indb 824
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
PRIMO SIGNORE DUMAINE
C’è dell’onore nella fuga. PAROLES
Conte, fatelo! SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sarò vostro complice. Addio. BERTRAM
Mi sto attaccando troppo a voi, e la partenza è una tortura. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Addio, capitano. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Caro Monsieur Paroles! PAROLES
Nobili eroi, la mia spada e la vostra sono parenti. Scintillanti e lustre, in una parola ottimo metallo. Troverete nel reggimento degli Spinii un certo Capitan Fasullo, con la sua cicatrice, emblema di guerra, sulla guancia sinistra. È stata proprio questa spada a scavargliela. Diteglielo che vivo, e attenti a quel che dice di me! PRIMO SIGNORE DUMAINE
Lo faremo, nobile capitano. PAROLES
Marte vi adori come suoi novizi. Escono entrambi i signori Dumaine. (A Bertram) Che fate? BERTRAM
Aspetto il re. PAROLES
Usate maggiore cortesia verso questi nobiluomini. Vi siete limitato a un addio troppo freddo66. Siate più cerimonioso con loro: vestono all’ultima moda, ostentano un’andatura impeccabile; mangiano, parlano, si muovono sotto l’influsso della stella del successo; e benché sia il diavolo a segnare il passo, bisogna assecondarli. State loro dietro, e congedatevi con un addio più ampolloso67. BERTRAM
Farò così.
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Shakespeare IV.indb 825
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
PAROLES Worthy fellows, and like to prove most sinewy
sword-men.
Exeunt [Bertram and Paroles]
Enter Lafeu to the King LAFEU (kneeling)
Pardon, my lord, for me and for my tidings.
60
KING I’ll fee thee to stand up. LAFEU (rising)
Then here’s a man stands that has bought his pardon. aa I would you had kneeled, my lord, to ask me mercy, And that at my bidding you could so stand up. KING
I would I had, so I had broke thy pate And asked thee mercy for’t. LAFEU Good faith, across! But my good lord, ’tis thus: will you be cured Of your infirmity? KING No. LAFEU O will you eat No grapes, my royal fox? Yes, but you will, My noble grapes, an if my royal fox Could reach them. I have seen a medicine That’s able to breathe life into a stone, Quicken a rock, and make you dance canary With sprightly fire and motion; whose simple touch Is powerful to araise King Pépin, nay, To give great Charlemagne a pen in’s hand, And write to her a love-line. KING What ‘her’ is this?
65
70
75
LAFEU
Why, Doctor She. My lord, there’s one arrived, If you will see her. Now by my faith and honour, If seriously I may convey my thoughts
80
62. Bought: emend. tardo, pone il significato in continuità con fee del v. 61; in F è brought, più difficile da comprendersi se non come costruzione ellittica di brought (news that will ensure) pardon = “porto notizie che si meriteranno il perdono”, in riferimento alla proposta di Elena. 826
Shakespeare IV.indb 826
30/11/2018 09:32:36
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
PAROLES
Personaggi di tutto rispetto, sì, esperti e nerboruti spadaccini. Escono [Bertram e Paroles] Entra Lafeu presso il re LAFEU (inginocchiandosi)
Pardon, mio signore, per me e per le notizie che porto. RE
Devo pagarvi per farvi stare in piedi? LAFEU (alzandosi)
Ecco un uomo che si è comprato il suo perdono stando in piedi. Vorrei che vi foste inginocchiato voi, signore, per chiedermi la grazia, e che alla mia preghiera vi sollevaste. RE
Vorrei averlo fatto: avervi rotto la testa68, e poi chiedere la grazia. LAFEU
Un bel tiro di sponda! Ebbene, caro signore, è così. Volete essere curato della vostra malattia? RE
No. LAFEU
Non mangerete l’uva, mia volpe regale?69 Ma sì che la vuole la mia nobile uva, se la volpe regale riesce a raggiungerla. Ho visto una medicina70 che sarebbe capace di infondere vita in una pietra, di risvegliare una roccia, di farvi danzare un flamenco71 infuocato e sfrenato; il cui semplice tocco ha il potere di risollevare il re Pipino, certo, e di rimettere una penna in mano al nobile Carlo Magno72, perché scriva a lei qualche verso d’amore. RE
Chi è questa lei? LAFEU
Be’, è il Dottor Lei. Mio signore, è arrivata, se volete vederla. E ora, sulla mia fede e sul mio onore, se posso esprimere i miei pensieri seriamente benché con scherzosa leggerezza, ho parlato con una
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Shakespeare IV.indb 827
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
In this my light deliverance, I have spoke With one that in her sex, her years, profession, Wisdom and constancy, hath amazed me more Than I dare blame my weakness. Will you see her — For that is her demand — and know her business? That done, laugh well at me. KING Now, good Lafeu, Bring in the admiration, that we with thee May spend our wonder too, or take off thine By wond’ring how thou took’st it. LAFEU Nay, I’ll fit you, And not be all day neither.
85
90
[He goes to the door] KING
Thus he his special nothing ever prologues. LAFEU (to Helen, within) Nay, come your ways.
Enter Helen [disguised] ab KING This haste hath wings indeed. LAFEU (to Helen) Nay, come your ways.
This is his majesty. Say your mind to him. A traitor you do look like, but such traitors His majesty seldom fears. I am Cressid’s uncle, That dare leave two together. Fare you well.
95
Exeunt [all but the King and Helen] KING
Now, fair one, does your business follow us? HELEN
Ay, my good lord. Gérard de Narbonne was my father; In what he did profess, well found. KING I knew him.
101
92.1. [Disguised]: la didascalia non si trova in F, ma è stata aggiunta per giustificare il fatto che successivamente, nel dialogo con Paroles, Lafeu non riconosce, o finge di non riconoscere, Elena (cfr. II, 3, 45). 828
Shakespeare IV.indb 828
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
persona che, per il sesso, per l’età e la professione, per la saggezza e la costanza, mi ha stupito più di quanto sia consentito alla mia vecchiaia. Avete intenzione di vederla come ella chiede, e di sapere quel che vuole? Fatto questo, poi potrete ridere di me. RE
Allora, buon Lafeu, introduci questo prodigio, affinché possiamo condividere con te la meraviglia, o altrimenti sottrartela, meravigliandoci di come ti sia fatto tanto abbindolare!73 LAFEU
Sì, vi accontenterò, e non sarà per nulla. [Va alla porta] RE
Eccolo che annuncia una delle sue baggianate. LAFEU (a Elena, dentro)
Sì, venite avanti. Entra Elena [travestita] RE
La sollecitudine mette le ali! LAFEU (a Elena)
Venite avanti! Ecco sua maestà. Comunicategli la vostra intenzione. Sembrate un congiurato, ma di tali congiure sua maestà non ha paura. Io faccio la parte dello zio di Cressida, e ora lascio soli questi due74. Addio. Escono [tutti fuorché il Re e Elena] RE
Dunque, bella fanciulla, avete affari che ci riguardano? ELENA
Sì, caro signore. Gérard de Narbonne era mio padre; nella sua professione era stimatissimo. RE
Lo conoscevo.
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Shakespeare IV.indb 829
30/11/2018 09:32:37
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
HELEN
The rather will I spare my praises towards him; Knowing him is enough. On’s bed of death Many receipts he gave me, chiefly one Which, as the dearest issue of his practice, And of his old experience th’only darling, He bade me store up as a triple eye Safer than mine own two, more dear. I have so, And hearing your high majesty is touched With that malignant cause wherein the honour Of my dear father’s gift stands chief in power, I come to tender it and my appliance With all bound humbleness. KING We thank you, maiden, But may not be so credulous of cure, When our most learnèd doctors leave us, and The congregated College have concluded That labouring art can never ransom nature From her inaidable estate. I say we must not So stain our judgement or corrupt our hope, To prostitute our past-cure malady To empirics, or to dissever so Our great self and our credit, to esteem A senseless help, when help past sense we deem.
105
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115
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HELEN
My duty then shall pay me for my pains. I will no more enforce mine office on you, Humbly entreating from your royal thoughts A modest one to bear me back again.
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KING
I cannot give thee less, to be called grateful. Thou thought’st to help me, and such thanks I give As one near death to those that wish him live. But what at full I know, thou know’st no part; I knowing all my peril, thou no art.
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Shakespeare IV.indb 830
30/11/2018 09:32:37
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
ELENA
Così mi farete risparmiare le sue lodi. Averlo conosciuto è sufficiente. Sul suo letto di morte mi diede molte ricette mediche, e principalmente una che mi ordinò di conservare come il più prezioso frutto della sua pratica, il prediletto della sua lunga esperienza, quasi fosse un terzo occhio75, più al sicuro dei miei due, più caro. Così ho fatto, ma sentendo che la vostra somma maestà è afflitta da quell’affezione maligna per la quale la ricetta medica donata dal mio amato padre spicca per la sua efficacia, vengo per offrirvi il rimedio e la mia competenza, con la dovuta umiltà. RE
Vi ringraziamo, ragazza, ma non possiamo essere così fiduciosi nella cura, dal momento che i nostri medici più dotti hanno abbandonato la speranza e il Real Collegio dei dottori ha concluso che ogni azione della loro arte non può riscattare la natura da una condizione insanabile. Dico che non possiamo offendere la nostra intelligenza, né corrompere la nostra speranza fino ad assoggettare una malattia incurabile a cure empiriche, né compromettere la dignità della nostra persona e la nostra integrità per dare credito a un rimedio irrazionale, una volta che ogni ragionevole cura è stata considerata vana. ELENA
Fare il mio dovere mi ripagherà delle mie fatiche. Ma non insisterò per imporvi i miei servigi, bensì umilmente vi chiedo, tra i vostri regali pensieri, una cosa modesta, da riportare con me. RE
Non posso darti di meno, per la dovuta gratitudine. Hai inteso aiutarmi, e tali sono i ringraziamenti di chi è prossimo alla morte a chi gli augura di vivere. Ma ciò che io conosco molto bene, tu non lo conosci affatto. Io so tutto il mio male, e tu non conosci arte.
831
Shakespeare IV.indb 831
30/11/2018 09:32:37
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
HELEN
What I can do can do no hurt to try, Since you set up your rest ’gainst remedy. He that of greatest works is finisher Oft does them by the weakest minister. So holy writ in babes hath judgement shown When judges have been babes; great floods have flow’n From simple sources, and great seas have dried. When miracles have by th’ great’st been denied ac [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .] Oft expectation fails, and most oft there Where most it promises, and oft it hits Where hope is coldest and despair most fits. ad
135
140
KING
I must not hear thee. Fare thee well, kind maid. Thy pains, not used, must by thyself be paid: Proffers not took reap thanks for their reward.
145
HELEN
Inspirèd merit so by breath is barred. It is not so with him that all things knows As ’tis with us that square our guess by shows; But most it is presumption in us when The help of heaven we count the act of men. Dear sir, to my endeavours give consent. Of heaven, not me, make an experiment. I am not an impostor, that proclaim ae Myself against the level of mine aim, But know I think, and think I know most sure, My art is not past power, nor you past cure.
150
155
140-141. Denied [………….…]: assente in F, la lacuna è congettura di Johnson per la mancanza di rima con il there del verso successivo. 144. Fits: è emend. tardo (come sits); in F è shifts = “è mutevole”, “varia”. 155. Impostor: in F è impostrue; alcuni commentatori moderni correggono imposture. 832
Shakespeare IV.indb 832
30/11/2018 09:32:37
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
ELENA
Provare ciò che posso fare non può fare alcun male, poiché avete scommesso qualunque cosa contro ogni rimedio. L’artefice di opere eccelse spesso le fa eseguire dal più debole: così le sacre scritture dimostrano che c’è saggezza nei bambini, mentre sono stati bambini i giudici. Grandi corsi d’acqua sono sgorgati da piccole fonti, e grandi mari si sono prosciugati, mentre i sapienti negavano l’esistenza dei miracoli76. [. . . . . . . . . . .] Spesso le attese crollano, e più spesso laddove sono più promettenti, mentre vanno a buon fine quando più fredda è la speranza e più opportuna la disperazione. RE
Non devo ascoltarti. Addio, gentile fanciulla. Il tuo disturbo, non praticato, te lo devi pagare da te: le offerte non accolte non ricevono che un grazie come ricompensa. ELENA
Le parole umane ostacolano il merito ispirato dal Cielo. Per Colui che conosce tutte le cose non è come per noi che costruiamo le nostre congetture sulle apparenze. Ma è grande presunzione, in noi, rapportare l’aiuto del Cielo all’azione dell’uomo. Caro signore, acconsentite ai miei tentativi. Il Cielo, non me, mettete alla prova. Non sono un impostore che si proclama al di sopra del livello che può raggiungere, ma so di credere, e sono certa di sapere che la mia arte è potente e la vostra malattia non è incurabile.
833
Shakespeare IV.indb 833
30/11/2018 09:32:37
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
KING
Art thou so confident? Within what space Hop’st thou my cure? HELEN The great’st grace lending grace, Ere twice the horses of the sun shall bring Their fiery coacher his diurnal ring, af Ere twice in murk and occidental damp Moist Hesperus hath quenched her sleepy lamp, ag Or four-and-twenty times the pilot’s glass Hath told the thievish minutes how they pass, What is infirm from your sound parts shall fly, Health shall live free, and sickness freely die.
161
165
KING
Upon thy certainty and confidence What dar’st thou venture? HELEN Tax of impudence, A strumpet’s boldness, a divulgèd shame; ah Traduced by odious ballads, my maiden’s name Seared otherwise, nay — worse of worst — extended ai With vilest torture, let my life be ended.
170
KING
Methinks in thee some blessèd spirit doth speak, aj His powerful sound within an organ weak; And what impossibility would slay In common sense, sense saves another way. Thy life is dear, for all that life can rate
175
162. Coacher: in F è toarcher = “torcière”. 164. Her: così in F; alcuni commentatori moderni sostituiscono con his. 171. Shame: anche in questo caso, F presenta problemi di punteggiatura in quanto non prevede il punto e virgola, che si rivela invece utile, come vogliono alcuni commentatori moderni e la presente edizione, ad accentuare il pathos del discorso di Elena basandolo sulla simmetria delle prime tre espressioni. 173. Nay: correzione moderna; in F è ne, che nega invece di affermare, smorzando il culmine della sfida di Elena. 175. Speak,: la virgola non c’è in F, dove perciò speak è usato transitivamente e regge his powerful sound = “in te qualche spirito divino comunichi la sua parola potente”. 834
Shakespeare IV.indb 834
30/11/2018 09:32:37
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
RE
Hai così tanta fiducia? In quanto tempo speri di curarmi? ELENA
Se la grazia di Dio mi farà grazia, prima che due volte i cavalli del sole avranno fatto percorrere al loro fiero cocchiere il diuturno anello, prima che due volte l’umido Espero avrà estinto la sua lampada nel buio rugiadoso dell’Occidente77, o che ventiquattro volte la clessidra del timoniere abbia decretato il passare di minuti furtivi, quel male fuggirà lasciando le vostre parti sane, e spontaneamente la salute avrà la meglio sulla malattia, la vita sulla morte. RE
Cos’è quel che osi mettere in gioco a sostegno di tante sicurezze? ELENA
L’accusa di impudenza, la sfacciataggine da sgualdrina, la vergogna divulgata; trasmesso in sconce ballate, che il mio nome di vergine sia disonorato in ogni modo78, sì, ancora peggio del peggio, peggio che porre fine alla mia vita dopo le più orrende torture. RE
Credo che in te parli qualche spirito divino, e diffonda la sua parola potente attraverso un organo debole; ciò che il senso comune rifiuta come impossibile trova significato in altro modo. La tua vita
835
Shakespeare IV.indb 835
30/11/2018 09:32:37
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 1
Worth name of life in thee hath estimate: Youth, beauty, wisdom, courage, all ak That happiness and prime can happy call. Thou this to hazard needs must intimate Skill infinite, or monstrous desperate. Sweet practiser, thy physic I will try, That ministers thine own death if I die.
180
185
HELEN
If I break time, or flinch in property Of what I spoke, unpitied let me die, And well deserved. Not helping, death’s my fee. But if I help, what do you promise me?
190
KING
Make thy demand. HELEN
But will you make it even?
KING
Ay, by my sceptre and my hopes of heaven. al HELEN
Then shalt thou give me with thy kingly hand What husband in thy power I will command. Exempted be from me the arrogance To choose from forth the royal blood of France, My low and humble name to propagate With any branch or image of thy state; But such a one, thy vassal, whom I know Is free for me to ask, thee to bestow.
195
200
KING
Here is my hand. The premises observed, Thy will by my performance shall be served. So make the choice of thy own time, for I, Thy resolved patient, on thee still rely. More should I question thee, and more I must, Though more to know could not be more to trust:
205
181. All: così in F; per ragioni metriche, alcuni commentatori aggiungono health = “salute”, prima di all. 192. Heaven: in F è helpe = “aiuto”. 836
Shakespeare IV.indb 836
30/11/2018 09:32:37
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 1
è preziosa, perché tutto ciò che la vita può considerare degno del nome di vita in te acquista valore: giovinezza, bellezza, saggezza, coraggio, tutto ciò che la felicità e il periodo migliore della giovinezza possono dire beato. Per azzardare79 tutto questo necessariamente devi avere in te un’abilità infinita o una mostruosa disperazione. Dolce dottore, proverò la tua cura, esecutrice della tua stessa morte, se io muoio. ELENA
Se non rispetto il tempo, o manco nel mantenere la parola data, fatemi morire senza pietà, ché lo merito. Se la mia cura fallisce, pagherò con la morte. Ma se è efficace, che cosa mi promettete? RE
Fai la tua richiesta. ELENA
Voi la esaudirete? RE
Sì, sul mio scettro e sulle mie speranze celesti. ELENA
Allora tu mi darai, con la tua mano regale e con il potere di cui disponi, quel marito che io chiederò. Lungi da me la presunzione di scegliere tra il sangue nobile di Francia, di sovrapporre il mio basso e umile nome a qualsivoglia ramo o immagine del tuo stato80; ma sceglierò un tuo vassallo, quello che so di potere chiedere e che tu puoi concedere. RE
Eccoti la mia mano. Mantenute le condizioni dell’accordo, porterò a compimento la tua volontà. Scegli tu, allora, il tempo, poiché io, ormai risoluto ad essere tuo paziente, conterò soltanto su di te. Ma più ti dovrei, ti devo domandare, benché sapere di più non voglia
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 2
From whence thou cam’st, how tended on — but rest Unquestioned welcome, and undoubted blessed. — Give me some help here, ho! If thou proceed As high as word, my deed shall match thy deed.
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Flourish. Exeunt the King, [carried], and Helen 2.2
Enter the Countess and Lavatch the clown
COUNTESS Come on, sir. I shall now put you to the height
of your breeding. LAVATCH I will show myself highly fed and lowly taught. I know my business is but to the court. am COUNTESS ‘To the court’? Why, what place make you special, when you put off that with such contempt? ‘But to the court’! LAVATCH Truly, madam, if God have lent a man any manners he may easily put it off at court. He that cannot make a leg, put off’s cap, kiss his hand, and say nothing, has neither leg, hands, lip, nor cap, and indeed such a fellow, to say precisely, were not for the court. But for me, I have an answer will serve all men. COUNTESS Marry, that’s a bountiful answer that fits all questions. LAVATCH It is like a barber’s chair that fits all buttocks: the pin-buttock, the quatch-buttock, the brawn-buttock, or any buttock. COUNTESS Will your answer serve fit to all questions? LAVATCH As fit as ten groats is for the hand of an attorney, as your French crown for your taffeta punk, as Tib’s rush for Tom’s forefinger, as a pancake for Shrove Tuesday, a morris for May Day, as the nail to his hole, the cuckold to his horn, as a scolding quean to a
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4. But: in F manca. 838
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 2
dire avere più fiducia: da dove tu venga, chi ti accompagna… Ma che tu sia benvenuta anche senza domande, e benedetta oltre ogni dubbio. Voi, aiutatemi! E se la tua azione sarà all’altezza delle tue parole, i miei atti corrisponderanno ai tuoi. Fanfara. Escono il re, [trasportato], e Elena II, 2
Entrano la contessa e Lavatch il clown81
CONTESSA
Avanti, signore. Ora voglio sondare sin dove arriva la vostra educazione82. LAVATCH
Mi dimostrerò ipernutrito e poco coltivato. Lo so, la mia mansione non è che a corte. CONTESSA
‘A corte’? Allora quale posto considerate degno, se liquidate questo con tanto disprezzo? ‘La mia mansione non è che a corte’! LAVATCH
Certo, madame, colui al quale Dio ha prestato un po’ di buone maniere può facilmente sfoggiarle a corte. Quello che non sa fare inchini, levarsi il cappello, baciare la mano, e parlare di nulla, vuol dire che non ha gambe, mani, labbra, e nemmeno un cappello, insomma costui, per essere precisi, non va bene a corte. In quanto a me, ho una risposta che va bene per tutti. CONTESSA
Per la miseria, dev’essere una risposta generosa, se soddisfa tutti83. LAVATCH
È come la sedia del barbiere, che si adatta a ogni sedere: culo stretto, culo piatto84, culo tornito, culo qualunque. CONTESSA
E la tua risposta si confà a ogni domanda? LAVATCH
Si confà come si confanno dieci soldi alla mano di un leguleio, come la corona francese al male della mignotta vestita di taffetà85, come l’anellino di latta della Gina al dito del Gino86, come le frittelle al martedì grasso, come la danza moresca87 al primo maggio, come il chiodo al buco, come il cornuto al corno, come una puttanella 839
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 2
wrangling knave, as the nun’s lip to the friar’s mouth, nay as the pudding to his skin. COUNTESS Have you, I say, an answer of such fitness for all questions? LAVATCH From beyond your duke to beneath your constable, it will fit any question. COUNTESS It must be an answer of most monstrous size that must fit all demands. LAVATCH But a trifle neither, in good faith, if the learned should speak truth of it. Here it is, and all that belongs to’t. Ask me if I am a courtier. It shall do you no harm to learn. COUNTESS To be young again, if we could! I will be a fool in question, hoping to be the wiser by your answer. I pray you, sir, are you a courtier? LAVATCH O Lord, sir! — There’s a simple putting off. More, more, a hundred of them. COUNTESS Sir, I am a poor friend of yours that loves you. LAVATCH O Lord, sir! — Thick, thick, spare not me. COUNTESS I think, sir, you can eat none of this homely meat. LAVATCH O Lord, sir! — Nay, put me to’t, I warrant you. COUNTESS You were lately whipped, sir, as I think. LAVATCH O Lord, sir! — Spare not me. COUNTESS Do you cry ‘O Lord, sir!’ at your whipping, and ‘spare not me’? Indeed, your ‘O Lord, sir!’ is very
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an
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29. Beyond: in F è below = “sotto”. 840
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 2
bisbetica a una litigiosa canaglia, come il labbro della monaca alla bocca del frate, ebbene sì, come la salsiccia al suo rivestimento88. CONTESSA
Hai dunque, dico io, una risposta per tutti i tipi di domande? LAVATCH
Da chi sta sopra al duca a chi sta dietro alla guardia89: si adatta a ogni problema. CONTESSA
Dev’essere una risposta di proporzioni mostruose per coprire tutte le esigenze. LAVATCH
Macché, è una sciocchezza, in realtà, se le persone istruite volessero dire il vero. Eccola qui, con quel che segue. Chiedetemi se sono un cortigiano. Non vi farà male impararla. CONTESSA
Se potesse farmi tornare giovane! Farò le domande dello scemo, sperando di diventare furba grazie alle tue risposte. Ditemi per favore, signore, siete un cortigiano? LAVATCH
Oh par bleu, signore!90 Questo è un semplice farla franca. Ancora, ancora, almeno un centinaio. CONTESSA
Signore, sono un vostro umile amico che vi vuole bene. LAVATCH
Oh par bleu, signore! Veloce, veloce, non risparmiatemi. CONTESSA
Io credo, signore, che non possiate mangiare questo cibo così semplice. LAVATCH
Oh par bleu, signore! Ancora, mettetemi alla prova, vi dico. CONTESSA
Credo proprio, signore, che siate appena stato frustato. LAVATCH
Oh par bleu, signore! Non risparmiatemi. CONTESSA
Ah, voi gridate Oh par bleu, signore! e Non risparmiatemi, quando vi frustano? Davvero, il vostro Oh par bleu, signore! è molto 841
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
sequent to your whipping. You would answer very well to a whipping, if you were but bound to’t. LAVATCH I ne’er had worse luck in my life in my ‘O Lord, sir!’ I see things may serve long, but not serve ever. COUNTESS I play the noble housewife with the time, to entertain it so merrily with a fool. LAVATCH O Lord, sir! — Why, there’t serves well again.
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COUNTESS
An end, sir! To your business: give Helen this, She gives him a letter And urge her to a present answer back. Commend me to my kinsmen and my son. This is not much. LAVATCH Not much commendation to them? COUNTESS Not much employment for you. You understand me. LAVATCH Most fruitfully. I am there before my legs. COUNTESS Haste you again. Exeunt severally 2.3
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Enter Bertram, Lafeu [with a ballad], and Paroles
LAFEU They say miracles are past, and we have our
philosophical persons to make modern and familiar things supernatural and causeless. Hence is it that we make trifles of terrors, ensconcing ourselves into seeming knowledge when we should submit ourselves to an unknown fear.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
coerente con le frustate. Rispondereste bene alla frusta, se ci foste obbligato91. LAVATCH
Non ho mai più avuto sfortuna nella vita da quando uso il mio Oh par bleu, signore! Ma vedo che le cose possono servire a lungo, non per sempre. CONTESSA
Sto interpretando la nobile padrona di casa, dato che perdo tempo intrattenendomi allegramente con un matto. LAVATCH
Oh par bleu, signore! Ecco, qui funziona ancora proprio bene. CONTESSA
Ora basta, signore! Il vostro dovere: date questo ad Elena. Gli dà una lettera E pregatela di darvi una risposta immediata. Salutatemi tanto i miei congiunti e mio figlio. Non è troppo. LAVATCH
Non sono troppi i saluti? CONTESSA
Non tanto lavoro per voi. Ma ce la fate a comprendermi? LAVATCH
Ma sì che ce la faccio a prendervi! Sono tutto ritto. Ritto in piedi, prima io e poi le mie gambe92. CONTESSA
Avanti, veloce! Escono separatamente Entrano Bertram, Lafeu [con una ballata] e Paroles93
II, 3 LAFEU
Dicono che i miracoli appartengono al passato, e abbiamo i nostri uomini di scienza a renderci comune e familiare ciò che è soprannaturale e inspiegabile. È per questo che i terrori li riduciamo a cosucce, facendoci forza su una conoscenza apparente, quando invece dovremmo arrenderci alla paura dell’ignoto.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
PAROLES Why, ’tis the rarest argument of wonder that
hath shot out in our latter times. BERTRAM And so ’tis. LAFEU To be relinquished of the artists —
10
PAROLES So I say — both of Galen and Paracelsus. LAFEU Of all the learned and authentic Fellows — PAROLES Right, so I say. LAFEU That gave him out incurable — PAROLES Why, there ’tis, so say I too.
15
LAFEU Not to be helped. PAROLES Right, as ’twere a man assured of a — LAFEU Uncertain life and sure death. PAROLES Just, you say well, so would I have said. LAFEU I may truly say it is a novelty to the world.
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PAROLES It is indeed. If you will have it in showing, you
shall read it in [pointing to the ballad] what-do-ye-call there. LAFEU [reads] ‘A showing of a heavenly effect in an earthly actor.’ PAROLES That’s it, I would have said the very same. LAFEU Why, your dolphin is not lustier. Fore me, I speak in respect —
25 ao
27. Fore me = before me; qui e più avanti (non più segnalato) l’espressione corrisponde al giuramento a Fore God, “davanti a Dio” o upon my soul, “sulla mia anima”. 844
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
PAROLES
Be’, è il più straordinario oggetto di meraviglia dei nostri ultimi tempi. BERTRAM
Proprio così. LAFEU
Perché anche gli specialisti94 non ci credevano più… PAROLES
È questo che dico anch’io… Sia quelli di Galeno che di Paracelso. LAFEU
I più dotti ed esperti dell’Ordine95… PAROLES
Giusto, lo dico anch’io. LAFEU
Lo davano per incurabile. PAROLES
E be’, sì, è così che dico io96. LAFEU
Senza rimedio. PAROLES
Esatto, come se fosse ormai destinato a… LAFEU
Vita incerta e morte sicura. PAROLES
Giusto, dite bene, volevo proprio dirlo io. LAFEU
Posso senz’altro affermare che è un evento straordinario al mondo. PAROLES
Assolutamente sì. E se proprio lo volete vedere vergato, potete leggerlo su quella [puntando il dito alla ballata97] come si chiama, lì. LAFEU
[legge] ‘Un visibile effetto celeste su un agente terreno’. PAROLES
Ecco, volevo dire proprio lo stesso. LAFEU
Be’, il vostro delfino non è più allegro98. Davanti a Dio, con tutto rispetto… 845
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
PAROLES Nay, ’tis strange, ’tis very strange, that is the
brief and the tedious of it, and he’s of a most facinorous spirit that will not acknowledge it to be the — LAFEU Very hand of heaven. PAROLES Ay, so I say. LAFEU In a most weak — PAROLES And debile minister great power, great transcendence, which should indeed give us a further use to be made than alone the recov’ry of the king, as to be — LAFEU Generally thankful.
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Enter the King, Helen, and attendants PAROLES I would have said it, you say well. Here comes
the King. LAFEU Lustig, as the Dutchman says. I’ll like a maid the better whilst I have a tooth in my head. [The King and Helen dance] Why, he’s able to lead her a coranto. PAROLES Mart du vinaigre, is not this Helen?
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LAFEU Fore God, I think so. KING
Go call before me all the lords in court. Exit one or more Sit, my preserver, by thy patient’s side, [The King and Helen sit] And with this healthful hand whose banished sense Thou hast repealed, a second time receive The confirmation of my promised gift, Which but attends thy naming.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
PAROLES
Sì, è strano, molto strano, di riffa o di raffa99, ma solo uno spirito facinorosissimo non riconoscerebbe la la… LAFEU
La mano stessa del cielo. PAROLES
Certo, è così che dico io. LAFEU
Per tramite di un’umilissima… PAROLES
E debole esecutrice c’è un così grande potere, grande trascendenza, da darci un’ulteriore prova, oltre alla guarigione del re, capace di renderci… LAFEU
Universalmente riconoscenti. Entrano il re, Elena e servitori. PAROLES
Volevo proprio dire io, ma voi dite bene. Ecco che viene il re. LAFEU
Lustig100, come dicono i tedeschi. Finché avrò un dente in bocca amerò sempre più le fanciulle. [il re ed Elena ballano] Allora, riesce pure a farle ballare la courante101. PAROLES
Mort du vinaigre102, ma quella non è Elena? LAFEU
Davanti a Dio, penso di sì. RE
Chiamate al mio cospetto tutti i nobili di corte. Esce uno o più Siedi, mia salvatrice, accanto al tuo paziente. [Il re ed Elena si siedono] E con questa mano risanata, a cui hai restituito la sensibilità perduta103, ricevi per la seconda volta conferma del dono promesso: non attende che il nome. 847
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
Enter four Lords Fair maid, send forth thine eye. This youthful parcel Of noble bachelors stand at my bestowing, O’er whom both sovereign power and father’s voice I have to use. Thy frank election make. Thou hast power to choose, and they none to forsake.
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HELEN
To each of you one fair and virtuous mistress Fall when love please. Marry, to each but one. LAFEU (aside) I’d give bay Curtal and his furniture My mouth no more were broken than these boys’, And writ as little beard. KING (to Helen) Peruse them well. Not one of these but had a noble father. HELEN Gentlemen, Heaven hath through me restored the King to health.
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[ALL BUT HELEN]
We understand it, and thank heaven for you.
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HELEN
I am a simple maid, and therein wealthiest That I protest I simply am a maid. — Please it your majesty, I have done already. The blushes in my cheeks thus whisper me: ‘We blush that thou shouldst choose; but, be refused, Let the white death sit on thy cheek for ever, We’ll ne’er come there again.’ KING Make choice and see. Who shuns thy love shuns all his love in me. HELEN (rising) Now, Dian, from thy altar do I fly, And to imperial Love, that god most high, Do my sighs stream.
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[She addresses her to a Lord] Sir, will you hear my suit?
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
Entrano quattro signori Bella fanciulla, guardati bene intorno. Questa giovane porzione di nobili scapoli è affidata a me, su di loro esercito potere sovrano e autorità paterna. Fai la tua libera scelta. Ti sia concesso di decidere, e loro non potranno rifiutare. ELENA
A ognuno di voi possa toccare una bella e virtuosa vergine, quando l’amore voglia. Caspita, a tutti tranne che a uno! LAFEU (a parte) Darei il mio cavallo, un bel baio con tutti i suoi paludamenti, se la mia bocca avesse ancora tutti i denti come questi ragazzi, e se mi chiamassero sbarbatello104. RE (a Elena) Osservali bene. Non ce n’è uno che non abbia un padre nobile. ELENA
Signori, il Cielo ha per mio tramite curato il re. [TUTTI TRANNE ELENA]
Lo sappiamo, e ringraziamo il cielo per avervi mandata. ELENA
Sono una semplice vergine, ma tanto più ricca perché posso confessare di essere semplicemente ciò che sono, una vergine105. Con permesso di vostra maestà, ho finito. I rossori delle mie guance mi dicono sussurrando: ‘arrossiamo perché devi scegliere; ma, se sarai rifiutata, che il bianco della morte dimori sulla tua guancia per sempre. Noi mai più torneremo’. RE
Scegli e vedi: chi rifiuta il tuo amore rifiuta tutto il suo amore per me. ELENA (sollevandosi) Ora, Diana, dal tuo altare ora io fuggo, e i miei sospiri si levano verso Amore imperiale, l’altissimo. [Si rivolge a un nobile] Signore, ascolterete la mia richiesta?
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
FIRST LORD
And grant it. Thanks, sir. All the rest is mute. LAFEU (aside) I had rather be in this choice than throw ambs-ace for my life. HELEN (to another Lord) The honour, sir, that flames in your fair eyes, Before I speak, too threat’ningly replies. Love make your fortunes twenty times above Her that so wishes, and her humble love. HELEN
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SECOND LORD
No better, if you please. My wish receive, Which great Love grant. And so I take my leave. LAFEU (aside) Do all they deny her? An they were sons of mine I’d have them whipped, or I would send them to th’ Turk to make eunuchs of. HELEN (to another Lord) Be not afraid that I your hand should take; I’ll never do you wrong for your own sake. Blessing upon your vows, and in your bed Find fairer fortune, if you ever wed. LAFEU (aside) These boys are boys of ice, they’ll none have her. Sure they are bastards to the English, the French ne’er got ’em. HELEN (to another Lord) You are too young, too happy, and too good To make yourself a son out of my blood. FOURTH LORD Fair one, I think not so. LAFEU (aside) There’s one grape yet. I am sure thy father drunk wine, but if thou beest not an ass I am a youth of fourteen. I have known thee already. HELEN
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
PRIMO SIGNORE
E la esaudirò. ELENA
Grazie, Signore. Non ho altro da aggiungere. LAFEU (a parte)
Se solo potessi essere uno di loro in questa scelta, mi giocherei la vita con un tiro di dadi106. ELENA (a un altro signore) L’onore che vi fiammeggia negli occhi, signore, mentre vi parlo, mi risponde troppo minaccioso. Che Amore vi conceda fortune venti volte superiori a colei che ve lo augura, al suo umile amore! SECONDO SIGNORE
Con il vostro permesso, non chiedo di meglio. ELENA
Accogliete il mio augurio, e il grande Amore lo avveri. Così vi lascio. LAFEU (a parte) Tutti la respingono? Se fossero figli miei, li farei frustare, oppure li manderei dal Gran Turco che ne facesse degli eunuchi. ELENA (a un altro signore) Non preoccupatevi, non è alla vostra mano che ambisco. Non vi farei mai del male, volendovi bene. Che Dio benedica i vostri voti, e che vi faccia trovare nel letto una più splendente fortuna, se mai vi sposerete. LAFEU (a parte) Ma sono di ghiaccio questi giovani, nessuno la vuole. Di certo sono bastardi, figli di inglesi. Di francesi non sono. ELENA (a un altro signore) Voi siete troppo giovane, troppo felice, troppo buono per generare un figlio dal mio sangue. QUARTO SIGNORE
Bella fanciulla, questo non lo credo. LAFEU (a parte)
Ma c’è ancora un acino d’uva da spremere. E sono certo che tuo padre di vino ne beveva. Ma se tu non sei un asinaccio, io sono un ragazzino di quattordici anni. Ti conosco mascherina!
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
HELEN (to Bertram)
I dare not say I take you, but I give Me and my service ever whilst I live Into your guiding power. — This is the man.
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KING
Why then, young Bertram, take her, she’s thy wife. BERTRAM
My wife, my liege? I shall beseech your highness, In such a business give me leave to use The help of mine own eyes. KING Know’st thou not, Bertram, What she has done for me? BERTRAM Yes, my good lord, But never hope to know why I should marry her.
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KING
Thou know’st she has raised me from my sickly bed. BERTRAM
But follows it, my lord, to bring me down Must answer for your raising? I know her well: She had her breeding at my father’s charge. A poor physician’s daughter, my wife? Disdain Rather corrupt me ever.
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KING
’Tis only title thou disdain’st in her, the which I can build up. Strange is it that our bloods, Of colour, weight, and heat, poured all together, Would quite confound distinction, yet stands off In differences so mighty. If she be All that is virtuous, save what thou dislik’st — ‘A poor physician’s daughter’ — thou dislik’st Of virtue for the name. But do not so. From lowest place when virtuous things proceed, The place is dignified by th’ doer’s deed. Where great additions swell’s, and virtue none, It is a dropsied honour. Good alone Is good without a name, vileness is so:
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
ELENA (a Bertram)
Non oso dire che vi prendo, ma che rimetto me stessa e i miei servigi107, finché vivrò, alla vostra guida e al vostro potere. Questo è l’uomo. RE
Ebbene, giovane Bertram, prendila, è tua moglie. BERTRAM
Mia moglie, maestà?108 Imploro vostra altezza che in questa faccenda mi conceda liceità di avvalermi dei miei occhi. RE
Lo sai, Bertram, ciò che ha fatto per me? BERTRAM
Sì, mio signore, ma presumo di non sapere perché io la debba sposare. RE
Tu lo sai che mi ha sollevato dal mio letto di dolore. BERTRAM
Il fatto che lei abbia sollevato voi, signore, è forse un buon motivo per cui debba abbassare me?109 La conosco bene: è stata allevata a spese di mio padre. La figlia di un povero medico mia moglie? Preferisco il ripudio e la mia rovina per sempre. RE
Se la disdegni per l’unico titolo di cui manca110, io posso fornirglielo. È strano che esistano differenze tanto forti dal momento che, se il sangue di ciascuno di noi si mescolasse tutto insieme, si confonderebbe senza distinzioni di colore, di peso o temperatura. Se lei ha ogni virtù tranne ciò che non ti piace – ‘la figlia di un povero medico’, – è per un mero nome che disprezzi la virtù111. Ma così non sia! Quando dalle più basse sfere provengono azioni virtuose, quel rango è nobilitato dall’atto di chi lo compie. Quando si gonfia di grande superbia, ma senza virtù, l’onore è idropico. Il bene in sé è bene aldilà di ogni nome, e così il male. La qualità naturale è
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
The property by what it is should go, Not by the title. She is young, wise, fair. In these to nature she’s immediate heir, And these breed honour. That is honour’s scorn Which challenges itself as honour’s born And is not like the sire; honours thrive When rather from our acts we them derive Than our foregoers. The mere word’s a slave, Debauched on every tomb, on every grave A lying trophy, and as oft is dumb Where dust and dammed oblivion is the tomb Of honoured bones indeed. What should be said? If thou canst like this creature as a maid, I can create the rest. Virtue and she Is her own dower; honour and wealth from me.
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BERTRAM
I cannot love her, nor will strive to do’t. KING
Thou wrong’st thyself. If thou shouldst strive to ap choose — HELEN
That you are well restored, my lord, I’m glad. Let the rest go. KING
My honour’s at the stake, which to defeat I must produce my power. Here, take her hand, Proud, scornful boy, unworthy this good gift, That dost in vile misprision shackle up My love and her desert; that canst not dream We, poising us in her defective scale, Shall weigh thee to the beam; that wilt not know It is in us to plant thine honour where We please to have it grow. Check thy contempt; Obey our
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147. Thyself. If thou … choose: quest’edizione suggerisce un segno di interpunzione netto. In F le due frasi sono collegate dalla virgola: thyself, if thou … choose = “ti inganni, se pretendo una libera scelta”. 854
Shakespeare IV.indb 854
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
tale in sé, non per il titolo che ha. Lei è giovane, intelligente, bella. Queste qualità le ha ereditate direttamente dalla natura, e sono quelle che alimentano l’onore. Ma spregia l’onore chi si vanta di esserne figlio, senza esserne il padre. Prosperano gli onori ricavati più dalle nostre azioni che dai nostri antenati. La semplice parola onore è servile, si perverte su ogni tomba, su ogni sepolcro è un trofeo ipocrita, mentre spesso tace quando la polvere e la dannazione dell’oblio sono la tomba di ossa davvero onorevoli. Che dire? Se puoi amare di lei la fanciulla, io posso creare il resto112. La virtù e lei stessa sono la sua dote: onore e ricchezza verranno da me. BERTRAM
Non posso amarla, né mi costringerò a farlo. RE
Ti inganni. Se tu dovessi essere costretto a scegliere… ELENA
Sono felice, mio signore, che siate guarito. Lasciate perdere il resto. RE
Ne va del mio onore, e per difenderlo devo esercitare il mio potere. Ecco, prendi la sua mano, ragazzo superbo e sprezzante, indegno di questo dono, che incateni il mio affetto e il suo merito al tuo vile disprezzo; e non ti immagini neanche che noi113, quando ci pesassimo sul più leggero piatto della bilancia dove sta lei, potremmo far balzare il tuo per aria fino al soffitto; e non sai che è in noi di piantare il tuo onore dove ci piaccia che cresca. Mitiga il tuo di-
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
will, which travails in thy good; Believe not thy disdain, but presently Do thine own fortunes that obedient right Which both thy duty owes and our power claims, Or I will throw thee from my care for ever Into the staggers and the careless lapse Of youth and ignorance, both my revenge and hate Loosing upon thee in the name of justice Without all terms of pity. Speak. Thine answer. BERTRAM (kneeling) Pardon, my gracious lord, for I submit My fancy to your eyes. When I consider What great creation and what dole of honour Flies where you bid it, I find that she, which late Was in my nobler thoughts most base, is now The praisèd of the King; who, so ennobled, Is as ’twere born so. KING Take her by the hand And tell her she is thine; to whom I promise A counterpoise, if not to thy estate A balance more replete. BERTRAM (rising) I take her hand.
160
166
170
175
KING
Good fortune and the favour of the King Smile upon this contract, whose ceremony Shall seem expedient on the now-born brief, And be performed tonight. The solemn feast Shall more attend upon the coming space, Expecting absent friends. As thou lov’st her Thy love’s to me religious; else, does err.
180
[Flourish.] Exeunt all but Paroles and Lafeu, who stay behind, commenting on this wedding LAFEU Do you hear, monsieur? A word with you.
185
PAROLES Your pleasure, sir. LAFEU Your
lord and master did well to make his recantation.
856
Shakespeare IV.indb 856
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
sprezzo; obbedisci al nostro volere che opera per il tuo bene; non fidarti del tuo sdegno, ma rendi immediatamente alle tue sorti quel diritto all’obbedienza che è tuo, e che il nostro potere rivendica, altrimenti ti escluderò dalla mia tutela per sempre, precipitandoti nei vertiginosi e solitari abissi della giovinezza e dell’ignoranza, e la mia vendetta e il mio odio ti rovineranno, in nome di una giustizia senza alcuna mediazione di pietà. Parla. La tua risposta? BERTRAM (inginocchiandosi) Perdono, mio caro signore, assoggetto il mio capriccio ai vostri occhi. Quando considero il vostro grande potere di creare e di conferire onore ovunque lo vogliate114, trovo che costei, che solo recentemente era dai miei nobili pensieri ritenuta abietta, è ora la favorita del re. Così nobilitata, è ora a me pari di nascita. RE
Prendile la mano e dille che è tua. A lei prometto titoli di uguale peso, sulla bilancia dei tuoi, se non maggiori115. BERTRAM (alzandosi) Prendo la sua mano. RE
La buona fortuna e il favore del re sorridano a questo contratto, a cui segua rapida la cerimonia nuziale con rito eccezionale116. Sia celebrata stasera. Per il banchetto solenne dovrà passare un tempo più lungo, per potere attendere gli amici assenti. Se tu la ami, il tuo amore per me è sacro. Altrimenti, è un falso. [Fanfara] Escono tutti fuorché Paroles e Lafeu, che stanno indietro, commentando le nozze LAFEU
Monsieur, avete sentito? Devo dirvi una parola. PAROLES
Con piacere, signore. LAFEU
Il vostro signore e padrone ha fatto bene a pentirsi117.
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Shakespeare IV.indb 857
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
PAROLES Recantation? My lord? My master? LAFEU Ay. Is it not a language I speak?
190
PAROLES A most harsh one, and not to be understood
without bloody succeeding. My master? LAFEU Are you companion to the Count Roussillon? PAROLES To any count, to all counts, to what is man. LAFEU To what is count’s man; count’s master is of
another style.
196
PAROLES You are too old, sir. Let it satisfy you, you are
too old. LAFEU I must tell thee, sirrah, I write ‘Man’, to which
title age cannot bring thee.
200
PAROLES What I dare too well do I dare not do. LAFEU I did think thee for two ordinaries to be a pretty
wise fellow. Thou didst make tolerable vent of thy travel; it might pass. Yet the scarves and the bannerets about thee did manifoldly dissuade me from believing thee a vessel of too great a burden. I have now found thee; when I lose thee again I care not. Yet art thou good for nothing but taking up, and that thou’rt scarce worth. PAROLES Hadst thou not the privilege of antiquity upon thee — LAFEU Do not plunge thyself too far in anger, lest thou hasten thy trial, which if — Lord have mercy on thee for a hen! So, my good window of lattice, fare thee well. Thy casement I need not open, for I look through thee. Give me thy hand. PAROLES My lord, you give me most egregious indignity.
209
216
858
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
PAROLES
Pentito? Il mio signore? Il mio padrone? LAFEU
Sì. E che lingua parlo? PAROLES
Una lingua sgradevolissima, che non si intende senza conseguenze sanguinose. Il mio padrone? LAFEU
Non vi accompagnate118 al conte di Rossiglione? PAROLES
Ad ogni conte, a ogni buon conto, a chi sia uomo. LAFEU
A chi sia uomo del conte. Ma altra cosa è il padrone del conte119. PAROLES
Siete troppo vecchio, signore. Accontentatevi di questo, siete troppo vecchio. LAFEU
Devo dirti, ragazzo120, che mi chiamo ‘Uomo’, un titolo che a te neanche gli anni attribuiranno. PAROLES
Ciò che saprei fare molto bene non oso farlo. LAFEU
Quando eravamo a tavola ti avevo creduto un tipetto assennato. Raccontasti aneddoti di viaggio abbastanza passabili. Anche se le varie sciarpe e bandierine variegate che portavi mi avevano già dissuaso dal crederti proprio un galeone da grosso carico121. Adesso t’ho trovato. E se ti riperdo, poco mi importa. Non sei buono che ad attaccare briga, ma la tua briga vale proprio niente. PAROLES
Se non aveste il privilegio della vetustà… LAFEU
Non lasciarti trasportare troppo dalla collera, se non vuoi essere messo alla prova. Che se… Ma il Signore abbia pietà di te, gallinaccio! Dunque addio, mia bella verandina122. Non ho bisogno di aprire le tue finestre, per guardarti dentro. Datemi la mano. PAROLES
Signore, voi mi riservate le più clamorose indecenze. 859
Shakespeare IV.indb 859
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
LAFEU Ay, with all my heart, and thou art worthy of it. PAROLES I have not, my lord, deserved it. LAFEU Yes, good faith, every dram of it, and I will not
bate thee a scruple.
221
PAROLES Well, I shall be wiser. LAFEU E’en as soon as thou canst, for thou hast to pull
at a smack o’th’ contrary. If ever thou beest bound in thy scarf and beaten thou shall find what it is to be proud of thy bondage. I have a desire to hold my acquaintance with thee, or rather my knowledge, that I may say in the default, ‘He is a man I know’. PAROLES My lord, you do me most insupportable vexation. LAFEU I would it were hell-pains for thy sake, and my poor doing eternal; for doing I am past, as I will by thee, in what motion age will give me leave. Exit PAROLES Well, thou hast a son shall take this disgrace off me. Scurvy, old, filthy, scurvy lord. Well, I must be patient. There is no fettering of authority. I’ll beat him, by my life, if I can meet him with any convenience, an he were double and double a lord. I’ll have no more pity of his age than I would have of — I’ll beat him, an if I could but meet him again.
228
239
Enter Lafeu LAFEU Sirrah, your lord and master’s married. There’s
news for you: you have a new mistress. PAROLES I most unfeignedly beseech your lordship to make
some reservation of your wrongs. He is my good lord; whom I serve above is my master.
860
Shakespeare IV.indb 860
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
LAFEU
Sì, con tutto il cuore. Ne siete degno. PAROLES
Non le merito, signore. LAFEU
A dire il vero sì, ogni grammo, e non vi risparmierò nemmeno una briciola!123 PAROLES
Bene, mi farò furbo. LAFEU
E fallo presto, perché ne hai di bocconi amari da trangugiare. Se ti annodassero con quella sciarpetta e ti battessero per bene, vedresti come andar fiero delle tue relazioni. Desidero proprio fare la tua conoscenza, o piuttosto la mia conoscenza, sicché quando sarai nei guai possa dire, ‘Io quest’uomo lo conosco’. PAROLES
Mio signore, mi state infliggendo intollerabili vessazioni. LAFEU
Ti meriteresti le pene dell’inferno, e vorrei infliggertele in eterno. Ma non ce la faccio più a fare queste cose, e perciò ti giro intorno con quel poco di movimento che la mia età ancora mi permette. Esce PAROLES
Bene, ma hai un figlio che pagherà per quest’offesa, vecchio, vilissimo sporcaccione! Allora, devo essere paziente. Non si possono mica mettere i ceppi all’autorità. Lo batterò, giuro sulla mia vita, se mi capita l’occasione giusta, quand’anche fosse due volte il doppio nobile. Non avrò più pietà per la sua vecchiaia di quanto l’avrei per… Sì, lo batterò, se solo potesse ricapitarmi. Entra Lafeu LAFEU
Ragazzo! Il vostro signore e padrone si è maritato. Novità anche per voi: avete una nuova padrona. PAROLES
Prego sinceramente vossignoria di moderare le insolenze. Ecco il mio buon signore; ma il mio Signore è chi servo lassù. 861
Shakespeare IV.indb 861
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
LAFEU Who? God?
245
PAROLES Ay, sir. LAFEU The devil it is that’s thy master. Why dost thou
garter up thy arms o’ this fashion? Dost make hose of thy sleeves? Do other servants so? Thou wert best set thy lower part where thy nose stands. By mine honour, if I were but two hours younger I’d beat thee. Methink’st thou art a general offence and every man should beat thee. I think thou wast created for men to breathe themselves upon thee. PAROLES This is hard and undeserved measure, my lord. LAFEU Go to, sir. You were beaten in Italy for picking a kernel out of a pomegranate, you are a vagabond and no true traveller, you are more saucy with lords and honourable personages than the commission of your birth and virtue gives you heraldry. You are not worth another word, else I’d call you knave. I leave you.
254
261
Exit PAROLES Good, very good, it is so then. Good, very good,
let it be concealed awhile. [Enter Bertram] BERTRAM
Undone and forfeited to cares for ever. PAROLES What’s the matter, sweetheart?
265
BERTRAM
Although before the solemn priest I have sworn, I will not bed her. PAROLES What, what, sweetheart?
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Shakespeare IV.indb 862
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
LAFEU
Chi? Dio? PAROLES
Sì, signore. LAFEU
Il diavolo è il tuo padrone. Ma perché ti agghindi le braccia di giarrettiere? Forse porti le calzette al posto delle maniche? Si vestono così gli altri servi? Staresti ancora meglio se mettessi al posto del naso quello che hai nelle parti basse. Sul mio onore, se solo fossi più giovane di due ore, non la passeresti liscia. Penso che tu sia un’offesa al genere umano, e che chiunque dovrebbe suonartele. E credo che tu sia stato creato perché gli uomini si facciano i muscoli su di te. PAROLES
Un trattamento crudele e immeritato, signore. LAFEU
Avanti, signore. In Italia siete stato picchiato per avere rubato un chicco da una melagrana, siete un vagabondo e non un vero viaggiatore, con i nobili e gli uomini d’alto lignaggio siete più impertinente di quanto la vostra nascita e il vostro valore non vi darebbero titolo. Ma non valete un’altra parola che non sia canaglia. Vi saluto. Esce PAROLES
Bene, molto bene. È così, allora. Bene, benissimo. Mettiamocelo da parte per un po’. [Entra Bertram] BERTRAM
Rovinato, condannato alle pene eterne. PAROLES
Che succede, tesoro? BERTRAM
Benché abbia giurato alla solenne presenza del prete, a letto non la porto. PAROLES
Cosa cosa, dolcezza?
863
Shakespeare IV.indb 863
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 3
BERTRAM
O my Paroles, they have married me. I’ll to the Tuscan wars and never bed her.
270
PAROLES
France is a dog-hole, and it no more merits The tread of a man’s foot. To th’ wars! BERTRAM
There’s letters from my mother. What th’import is I know not yet. PAROLES
Ay, that would be known. To th’ wars, my boy, to th’ wars! He wears his honour in a box unseen That hugs his kicky-wicky here at home, Spending his manly marrow in her arms, Which should sustain the bound and high curvet Of Mars’s fiery steed. To other regions! France is a stable, we that dwell in’t jades. Therefore to th’ war.
275
280
BERTRAM
It shall be so. I’ll send her to my house, Acquaint my mother with my hate to her, And wherefore I am fled, write to the King That which I durst not speak. His present gift Shall furnish me to those Italian fields Where noble fellows strike. Wars is no strife To the dark house and the detested wife. aq
285
PAROLES
Will this capriccio hold in thee? Art sure? ar
290
BERTRAM
Go with me to my chamber and advise me. I’ll send her straight away. Tomorrow I’ll to the wars, she to her single sorrow.
289. Detested: questa edizione corregge detected (in F), che non avrebbe senso. 290. Capriccio: prima occorrenza di questo termine italiano (con variazione della grafia a seconda dell’edizione). 864
Shakespeare IV.indb 864
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 3
BERTRAM
Mio caro Paroles, mi hanno fatto sposare. In Toscana me ne vado a fare la guerra, e con quella a letto mai! PAROLES
La Francia è una tana di cani e non merita che piede umano calchi il suolo. Alla guerra! BERTRAM
Ecco una lettera di mia madre124: non ne conosco ancora il contenuto. PAROLES
Be’, presto lo saprai. Alla guerra, ragazzo mio, alla guerra! L’onore lo tiene nascosto in una scatola quello che se ne sta a casa a sbaciucchiarsi la sua vispa fringuella, sprecando tra le sue braccia la maschia forza che dovrebbe invece sostenere l’ardito slancio e il balzo del fiero destriero di Marte. Verso altri luoghi! La Francia è una stalla, quelli che ci vivono sono dei brocchi!125 Alla guerra! BERTRAM
Ebbene sì! E quella la rimando a casa126, informo mia madre del mio odio per lei, e del perché me ne vado, scrivo al re quanto non ho osato dirgli a voce. Il suo bel dono mi ha costretto a equipaggiarmi per la guerra sul campo italiano, dove si battono i giovani nobili. È meglio battersi in guerra che stare in una casa buia con una moglie detestata127. PAROLES
Sei proprio sicuro che durerai in questo capriccio?128 Sicuro? BERTRAM
Vieni con me nella mia stanza e stai a vedere. La manderò via immediatamente. E domani io sarò alla guerra. E a lei la sua pena solitaria!
865
Shakespeare IV.indb 865
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 4
PAROLES
Why, these balls bound, there’s noise in it. ’Tis hard: A young man married is a man that’s marred. Therefore away, and leave her bravely. Go. The King has done you wrong, but hush ’tis so.
295
Exeunt 2.4
Enter Helen reading a letter, and Lavatch the clown
HELEN
My mother greets me kindly. Is she well? LAVATCH She is not well, but yet she has her health. She’s very merry, but yet she is not well. But thanks be given she’s very well and wants nothing i’th’ world. But yet she is not well.
5
HELEN
If she be very well, what does she ail That she’s not very well? LAVATCH Truly, she’s very well indeed, but for two things. HELEN What two things? LAVATCH One, that she’s not in heaven, whither God send her quickly. The other, that she’s in earth, from whence God send her quickly.
12
Enter Paroles PAROLES Bless you, my fortunate lady. HELEN
I hope, sir, I have your good will to have Mine own good fortunes. as PAROLES You had my prayers to lead them on, and to keep them on have them still. — O my knave, how does my old lady? LAVATCH So that you had her wrinkles and I her money, I would she did as you say.
15
20
15. Fortunes: in F è fortune = “fortuna”. 866
Shakespeare IV.indb 866
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 4
PAROLES
Bene, queste palle rimbalzano, c’hanno qualcosa dentro. Che duro! Uomo sposato uomo devastato!129 Dunque via, lasciala con spirito, va’! Il re ti ha fatto torto? Scct! Silenzio! Escono Entra Elena, leggendo una lettera, con Lavatch il clown130
II, 4 ELENA
Mia madre mi saluta caramente. Sta bene? LAVATCH
Non sta bene: è in salute. È allegrissima, ma non sta bene. Ma ringraziando Dio sta a meraviglia e non le manca nulla al mondo. Però non sta bene131. ELENA
Se sta a meraviglia, che cos’è che la affligge e non la fa stare bene? LAVATCH
Ma davvero, sta a meraviglia, eccetto per due cose. ELENA
E quali? LAVATCH
Una è che non è in cielo, e che Dio ve la mandi presto! L’altra è che è in terra, e che Dio ve la tolga presto! Entra Paroles PAROLES
Dio vi benedica, mia fortunata signora! ELENA
Spero, signore, di avere il vostro augurio per le mie buone sorti. PAROLES
Avete avuto le mie preghiere per farle crescere, le vostre buone sorti, e le avete ancora perché le manteniate. Ehi, canaglia, come va la mia vecchietta? LAVATCH
Aveste voi le sue rughe e io il suo denaro, vorrei che stesse come dite voi.
867
Shakespeare IV.indb 867
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 4
PAROLES Why, I say nothing. LAVATCH Marry, you are the wiser man, for many a
man’s tongue shakes out his master’s undoing. To say nothing, to do nothing, to know nothing, and to have nothing, is to be a great part of your title, which is within a very little of nothing. PAROLES Away, thou’rt a knave. LAVATCH You should have said, sir, ‘Before a knave, thou’rt a knave’ — that’s ‘Before me, thou’rt a knave’. This had been truth, sir. PAROLES Go to, thou art a witty fool. I have found thee. LAVATCH Did you find me in yourself, sir, or were you taught to find me? [PAROLES] In myself, knave. at LAVATCH The search, sir, was profitable, and much fool may you find in you, even to the world’s pleasure and the increase of laughter. PAROLES (to Helen) A good knave, i’faith, and well fed. Madam, my lord will go away tonight. A very serious business calls on him. The great prerogative and rite of love, Which as your due time claims, he does acknowledge, But puts it off to a compelled restraint: Whose want and whose delay is strewed with sweets, Which they distil now in the curbèd time, To make the coming hour o’erflow with joy, And pleasure drown the brim. HELEN What’s his will else?
26
30
37
40
45
PAROLES
That you will take your instant leave o’th’ King, And make this haste as your own good proceeding, Strengthened with what apology you think May make it probable need.
50
34. [PAROLES]: la didascalia non è in F. 868
Shakespeare IV.indb 868
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 4
PAROLES
Ma io non dico niente. LAVATCH
Per la miseria, allora siete saggio! Molti padroni sono stati rovinati dalla linguaccia dei loro uomini132. Dire niente, fare niente, sapere niente, avere niente è da considerare gran parte del vostro titolo, che vale poco meno di nulla. PAROLES
Vattene, canaglia! LAVATCH
Avreste dovuto dire, signore, ‘giuro su una canaglia: siete una canaglia’: cioè: ‘giuro su di me, siete una canaglia’133. Questo sì che sarebbe stato vero, signore. PAROLES
Avanti, sei un matto spiritoso. Ti ho trovato134. LAVATCH
Mi avete trovato da voi135, signore? O qualcuno vi ha insegnato a trovarmi? [PAROLES]
Da me stesso, canaglia. LAVATCH
La ricerca, signore, ha fruttato: quel gran matto che trovate in voi arricchisce il divertimento del mondo e incrementa le risate. PAROLES (a Elena) Proprio un’autentica canaglia, e pure ben pasciuta. Signora, il mio padrone se ne va questa notte. Un affare serissimo lo chiama. L’assoluta priorità del rituale dell’amore che a voi è dovuto e che il tempo invoca, lui lo riconosce, ma lo deve rimandare forzosamente. Il suo desiderio e il suo ritardo, però, così pregni di dolcezze, distillandosi ora nella morsa del tempo136, faranno sì che quel momento arrivi traboccando di gioia e di piacere fino all’orlo. ELENA
Che altro desidera? PAROLES
Che voi prendiate immediato congedo dal re e giustifichiate questa fretta come se venisse da voi stessa, motivando tale decisione con la scusa che vi sembri più plausibile. 869
Shakespeare IV.indb 869
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 5
What more commands he?
HELEN PAROLES
That having this obtained, you presently Attend his further pleasure. HELEN In everything I wait upon his will. PAROLES I shall report it so. HELEN I pray you. [Exit Paroles at one door] Come, sirrah. Exeunt [at another door] 2.5
Enter Lafeu and Bertram
LAFEU But I hope your lordship thinks not him a soldier. BERTRAM Yes, my lord, and of very valiant approof. LAFEU You have it from his own deliverance. BERTRAM And by other warranted testimony. LAFEU Then my dial goes not true. I took this lark for a
bunting.
6
BERTRAM I do assure you, my lord, he is very great in
knowledge, and accordingly valiant. LAFEU I have then sinned against his experience and transgressed against his valour — and my state that way is dangerous, since I cannot yet find in my heart to repent. Here he comes. I pray you make us friends. I will pursue the amity. Enter Paroles
870
Shakespeare IV.indb 870
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 5
ELENA
Comanda altro? PAROLES
Che, ottenuto questo, voi restiate subito pronta alla sua prossima richiesta. ELENA
In qualsiasi cosa sto al suo desiderio. PAROLES
Così riferirò. ELENA
Ve ne prego. [Esce Paroles da una porta] Avanti, ragazzo. Escono [da un’altra porta] Entrano Lafeu e Bertram137
II, 5 LAFEU
Voglio sperare che vossignoria non lo consideri un soldato. BERTRAM
Ma certo, mio caro signore, e di provato valore. LAFEU
Provato dalla sola sua parola. BERTRAM
E da altre fidate testimonianze. LAFEU
Allora ho proprio perduto la bussola: ho preso fischi per fiaschi138. BERTRAM
Ve lo assicuro, signore, ha notevole competenza e altrettanto valore. LAFEU
Allora ho peccato contro la sua esperienza e trasgredito contro il suo valore. E ora è la mia anima ad essere in pericolo, poiché non ho cuore di pentirmi139. Eccolo che viene: vi prego, fateci amici; voglio la sua amicizia. Entra Paroles 871
Shakespeare IV.indb 871
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 5
PAROLES (to Bertram) These things shall be done, sir. LAFEU (to Bertram) Pray you, sir, who’s his tailor?
15
PAROLES Sir! LAFEU O, I know him well. Ay, ‘Sir’, he; ‘Sir’ ’s a good
workman, a very good tailor. BERTRAM (aside to Paroles) Is she gone to the King? PAROLES She is.
20
BERTRAM Will she away tonight? PAROLES As you’ll have her. BERTRAM
I have writ my letters, casketed my treasure, Given order for our horses, and tonight, When I should take possession of the bride, End ere I do begin. au LAFEU (aside) A good traveller is something at the latter end of a dinner, but one that lies three-thirds and uses a known truth to pass a thousand nothings with, should be once heard and thrice beaten. (To Paroles) God save you, captain. BERTRAM (to Paroles) Is there any unkindness between my lord and you, monsieur? PAROLES I know not how I have deserved to run into my lord’s displeasure. LAFEU You have made shift to run into’t, boots and spurs and all, like him that leaped into the custard, and out of it you’ll run again, rather than suffer question for your residence.
25
31
35
26. End: in F è And, che però tutti i commentatori sono concordi nel correggere. And si può giustificare con la caduta di alcuni versi. 872
Shakespeare IV.indb 872
30/11/2018 09:32:40
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 5
PAROLES (a Bertram)
Tutto sistemato, signore140. LAFEU (a Bertram) Per cortesia, signore, chi è il vostro sarto? PAROLES
Signore! LAFEU
Lo conosco bene. Signore è lui! un onesto lavoratore, un ottimo sarto141. BERTRAM (a parte, a Paroles) È andata dal re? PAROLES
Sì. BERTRAM
Partirà questa sera? PAROLES
Come le avete ingiunto. BERTRAM
Ho scritto la lettera, fatto i bagagli, dato ordini per i cavalli e questa sera, mentre dovrei prendere possesso della sposa, finirò ancora prima di cominciare. LAFEU (a parte) Ascoltare un buon viaggiatore è un piacere alla fine di un pranzo, ma uno che per due terzi del tempo racconta frottole e usa una verità risaputa per fare credere a un migliaio di sciocchezze dovrebbe essere ascoltato una volta sola e battuto tre volte. (a Paroles) Dio vi salvi, capitano! BERTRAM (a Paroles) C’è qualche antipatia tra il mio signore e voi, monsieur? PAROLES
Non mi spiego come abbia meritato di incorrere nello sfavore di questo signore. LAFEU
Avete escogitato un bel modo per incorrervi, con tanto di stivali e speroni, come fa il buffone quando salta fuori dalla torta nella crema142; e vedete di uscirne di corsa, piuttosto che farvi chiedere perché ci siate dentro. 873
Shakespeare IV.indb 873
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 5
BERTRAM It may be you have mistaken him, my lord.
40
LAFEU And shall do so ever, though I took him at’s
prayers. Fare you well, my lord, and believe this of me: there can be no kernel in this light nut. The soul of this man is his clothes. Trust him not in matter of heavy consequence. I have kept of them tame, and know their natures. — Farewell, monsieur. I have spoken better of you than you have wit or will to deserve at my hand, but we must do good against evil.
av
Exit PAROLES An idle lord, I swear. BERTRAM I think not so. aw
50
PAROLES Why, do you not know him? BERTRAM
Yes, I do know him well, and common speech Gives him a worthy pass. Here comes my clog. Enter Helen, [attended] ax HELEN
I have, sir, as I was commanded from you, Spoke with the King, and have procured his leave For present parting; only he desires Some private speech with you. BERTRAM I shall obey his will. You must not marvel, Helen, at my course, Which holds not colour with the time, nor does The ministration and requirèd office On my particular. Prepared I was not For such a business, therefore am I found So much unsettled. This drives me to entreat you That presently you take your way for home,
55
60
47. Wit: è congettura tarda; manca in F (have or will), dove si presuppone una costruzione ellittica dove manca il passato. Il nesso wit or will si trova invece in The Two Gentlemen of Verona, II, 6, 12; Twelfth Night, I, 5, 29; Lucrece, I, 229. 50: Not: così per emendamento moderno; in F manca. 53.1. [Attended]: la didascalia non in F. 874
Shakespeare IV.indb 874
30/11/2018 09:32:40
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 5
BERTRAM
Può essere che lo abbiate preso per un altro, signore. LAFEU
E sempre lo prenderò, quand’anche lo dovessi sorprendere in preghiera143. Addio, signore, e credete a me: non c’è gheriglio in questa noce. L’anima di quest’uomo sono i suoi abiti. Non fidatevi di lui in questioni di un certo peso. Ne ho tenuta al guinzaglio di gente così e ne conosco l’indole. Addio, monsieur. Ho parlato di te meglio di quello che hai fatto tu e di quel che meriteresti, ma dobbiamo ricambiare il male con il bene144. Esce PAROLES
Un mattoide, ci potrei giurare. BERTRAM
Non credo. PAROLES
Perché? Non lo conoscete? BERTRAM
Sì, lo conosco bene, e l’opinione comune lo considera uomo di buona reputazione. Ecco che arriva la mia palla al piede. Entra Elena [col seguito] ELENA
Come voi mi avete ordinato, signore, ho parlato con il re e gli ho chiesto il permesso per l’imminente partenza. Desidera soltanto conferire in privato con voi. BERTRAM
Devo obbedire al suo volere. E voi, Elena, non dovete meravigliarvi per il mio comportamento, che non è conforme a questo giorno, né alla funzione e all’impegno che competono al mio ruolo. Non ero preparato per questa faccenda e perciò sono in grande agitazione. Ciò mi induce a supplicarvi di partire immediatamente per
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 2 SCENE 5
And rather muse than ask why I entreat you, For my respects are better than they seem, And my appointments have in them a need Greater than shows itself at the first view To you that know them not. This to my mother.
65
He gives her a letter ’Twill be two days ere I shall see you, so I leave you to your wisdom. HELEN Sir, I can nothing say But that I am your most obedient servant.
70
BERTRAM
Come, come, no more of that. And ever shall With true observance seek to eke out that Wherein toward me my homely stars have failed To equal my great fortune. BERTRAM Let that go. My haste is very great. Farewell. Hie home. HELEN
75
HELEN
Pray sir, your pardon. Well, what would you say?
BERTRAM HELEN
I am not worthy of the wealth I owe, Nor dare I say ’tis mine — and yet it is — But like a timorous thief most fain would steal What law does vouch mine own. BERTRAM What would you have?
80
HELEN
Something, and scarce so much: nothing indeed. I would not tell you what I would, my lord. Faith, yes: Strangers and foes do sunder and not kiss.
85
BERTRAM
I pray you, stay not, but in haste to horse.
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Shakespeare IV.indb 876
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO II SCENA 5
casa nostra, senza meravigliarvi né domandarmi le ragioni di questa mia richiesta, perché i miei motivi sono migliori di quanto non sembrino e i miei affari145 sono più urgenti di quanto non appaiano a prima vista a voi che non li conoscete. Ecco, questa è per mia madre. Le dà una lettera Ci vorranno due giorni prima che vi riveda, e così confido sulla vostra accortezza. ELENA
Signore, non posso dire altro, se non che sono vostra serva ubbidientissima. BERTRAM
Avanti, su, basta così. ELENA
E sempre con sincera obbedienza cercherò di supplire a quella nobiltà che le stelle mi hanno negato per pareggiare questa mia grande fortuna146. BERTRAM
Devo andare. Ho molta fretta. Addio. E voi sbrigatevi, a casa. ELENA
Perdono, mio signore. BERTRAM
Ebbene, che avete ancora da dire? ELENA
Non sono degna della fortuna che possiedo, non oso dire che è mia, eppure lo è… Ma come un ladro pauroso, come vorrei147 rubare a man bassa ciò che la legge garantisce essere mio. BERTRAM
Che vorreste? ELENA
Qualcosa che dire scarso è troppo: nulla, in realtà. Vorrei non dirvi ciò che vorrei, mio signore. E invece sì. Stranieri e nemici si separano senza baciarsi. BERTRAM
Non indugiate, vi prego, ma presto, a cavallo!
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 1
HELEN
I shall not break your bidding, good my lord. — Where are my other men? — Monsieur, farewell. ay Exeunt Helen [and attendants at one door] BERTRAM
Go thou toward home, where I will never come Whilst I can shake my sword or hear the drum. — Away, and for our flight. PAROLES Bravely. Coraggio!
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Exeunt [at another door] 3.1
Flourish of trumpets. Enter the Duke of Florence and the two Lords Dumaine, with a troop of soldiers
DUKE
So that from point to point now have you heard The fundamental reasons of this war, Whose great decision hath much blood let forth, And more thirsts after. FIRST LORD DUMAINE Holy seems the quarrel Upon your grace’s part; black and fearful On the opposer.
5
DUKE
Therefore we marvel much our cousin France Would in so just a business shut his bosom Against our borrowing prayers. SECOND LORD DUMAINE Good my lord, The reasons of our state I cannot yield But like a common and an outward man That the great figure of a council frames By self-unable motion; therefore dare not Say what I think of it, since I have found
10
88. Where … farewell: così in F. È proposta moderna (Theobald) attribuire questa battuta a Bertram. 878
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 1
ELENA
Non disobbedirò ai vostri ordini, mio caro signore. Dove sono gli altri servitori? Signore, addio. Escono Elena [e servitori da una porta] BERTRAM
Vai pure a casa, dove io non tornerò fino a che potrò muovere la spada e sentire il tamburo!148 Avanti, fuggiamo! PAROLES
Così, coraggio! Escono [da un’altra porta] III, 1
Fanfara di trombe. Entrano il duca di Firenze e i due signori Dumaine, con una truppa di soldati149
DUCA
Ora, punto per punto, avete udito le ragioni fondamentali di questa guerra: la grave decisione di intraprenderla ha fatto versare già molto sangue, e di altro ancora ha sete. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Sacrosanta sembra la ragione del conflitto dalla parte di vostra grazia; oscura e inquietante da parte nemica150. DUCA
Per questo ci meravigliamo molto che il nostro cugino di Francia, in una causa così giusta, abbia manifestato un cuore così impenetrabile alle nostre richieste d’aiuto. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Mio caro signore, non posso fornire le ragioni ufficiali del nostro Stato se non da uomo comune che per inadeguate congetture, e da estraneo ai grandi disegni del governo151, non osa dire quello che
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 2
Myself in my incertain grounds to fail As often as I guessed. DUKE Be it his pleasure.
15
FIRST LORD DUMAINE
But I am sure the younger of our nation, az That surfeit on their ease, will day by day Come here for physic. DUKE Welcome shall they be, And all the honours that can fly from us Shall on them settle. You know your places well; When better fall, for your avails they fell. Tomorrow to the field. Flourish. Exeunt 3.2
20
Enter the Countess with a letter, and Lavatch
COUNTESS It hath happened all as I would have had it,
save that he comes not along with her. LAVATCH By my troth, I take my young lord to be a very
melancholy man. COUNTESS By what observance, I pray you?
5
LAVATCH Why, he will look upon his boot and sing, mend
the ruff and sing, ask questions and sing, pick his teeth and sing. I know a man that had this trick of melancholy sold a goodly manor for a song. COUNTESS Let me see what he writes, and when he means to come.
11
She opens the letter and reads LAVATCH (aside) I have no mind to Isbel since I was at
court. Our old lings and our Isbels o’th’ country are nothing like your old ling and your Isbels o’th’ court.
17. Nation: così per emend. tardo; in F nature, “inclinazione”. 880
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 2
pensa. Su un terreno così incerto, le volte che provavo a fare ipotesi mi sono sempre ritrovato nell’errore. DUCA
Come crede. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Ma sono certo che i giovani della nostra nazione, che si ammalano per l’ozio, qui di giorno in giorno ne avranno un giovamento. DUCA
Saranno i benvenuti e riceveranno tutti gli onori che potremo loro conferire. Conoscete bene i vostri gradi. Quando ne saranno vacanti di migliori, toccheranno ai vostri meriti152. A domani, in battaglia! Fanfara. Escono. III, 2
Entrano la contessa, con una lettera, e Lavatch153
CONTESSA
È andata come mi auguravo, salvo il fatto che non ritorna con lei. LAVATCH
A dire la verità, considero il mio giovane signore un uomo molto malinconico. CONTESSA
Vi prego, sulla base di quale osservazione? LAVATCH
Beh, si guarda lo stivale e canterella, si aggiusta la gorgiera e canterella, fa domande e intanto canterella, si stuzzica i denti e canterella. Conosco un tale con questo vizietto della malinconia che si è venduto un palazzo per un nonnulla154. CONTESSA
Vediamo cosa scrive e quando intende tornare. Apre la lettera e la legge LAVATCH (a parte)
Da quando sono a corte, a Isbel non penso più. I nostri vecchi stoccafissi155 e le nostre Isbel di campagna non sono nulla rispetto ai vostri vecchi stoccafissi e alle vostre Isbel di corte. Le meningi
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 2
The brains of my Cupid’s knocked out, and I begin to love as an old man loves money: with no stomach. COUNTESS What have we here? LAVATCH E’en that you have there. Exit COUNTESS (reads the letter aloud) ‘I have sent you a daughter-in-law. She hath recovered the King and undone me. I have wedded her, not bedded her, and sworn to make the “not” eternal. You shall hear I am run away; know it before the report come. If there be breadth enough in the world I will hold a long distance. My duty to you. Your unfortunate son, Bertram.’ This is not well, rash and unbridled boy, To fly the favours of so good a King, To pluck his indignation on thy head By the misprizing of a maid too virtuous For the contempt of empire.
17
25
30
Enter Lavatch LAVATCH O
madam, yonder is heavy news within, between two soldiers and my young lady. COUNTESS What is the matter? LAVATCH Nay, there is some comfort in the news, some comfort. Your son will not be killed so soon as I thought he would. COUNTESS Why should he be killed? LAVATCH So say I, madam — if he run away, as I hear he does. The danger is in standing to’t; that’s the loss of men, though it be the getting of children. Here they come will tell you more. For my part, I only heard your son was run away. [Exit]
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 2
del mio Cupido son saltate via, e io comincio ad amare come un vecchio ama i danari: senza appetito. CONTESSA
Che vuol dire con questo? LAVATCH
Proprio quel che c’è là156. Esce CONTESSA (legge la lettera ad alta voce)
‘Vi restituisco una nuora. Lei ha curato il re e distrutto me. L’ho sposata, non l’ho posseduta e ho giurato che quel “non”157 fosse per sempre. Verrete a sapere che sono fuggito. Sappiatelo prima che vi arrivi la notizia. Se c’è abbastanza spazio al mondo, mi terrò molto a distanza. Ossequi. Il vostro sfortunato figlio, Bertram’. Questo non è bene, ragazzo precipitoso e sfrenato, fuggire i favori di un re così buono, attirarsi la sua indignazione, sottovalutando una ragazza anche troppo virtuosa, che nemmeno un imperatore disdegnerebbe. Entra Lavatch LAVATCH
Madame, là abbiamo tristi notizie, tra due soldati e la mia giovane signora. CONTESSA
Che succede? LAVATCH
Ecco, c’è anche qualche notizia confortante, qualche buona notizia. Vostro figlio non sarà ucciso così presto come pensavo. CONTESSA
E perché dovrebbe essere ucciso? LAVATCH
È quel che dico io, madame – se è vero che, come dicono, è scappato. Il pericolo sta nel tenere duro. È così che gli uomini si rovinano; ed è così che nascono i bambini. Ecco che arrivano: vi diranno di più. Da parte mia, ho solo sentito dire che vostro figlio se l’è data a gambe. [Esce] 883
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 2
Enter Helen with a letter, and the two Lords Dumaine SECOND LORD DUMAINE (to the Countess)
Save you, good madam.
45
HELEN
Madam, my lord is gone, for ever gone. FIRST LORD DUMAINE Do not say so. COUNTESS (to Helen)
Think upon patience. — Pray you, gentlemen, I have felt so many quirks of joy and grief That the first face of neither on the start Can woman me unto’t. Where is my son, I pray you?
50
FIRST LORD DUMAINE
Madam, he’s gone to serve the Duke of Florence. We met him thitherward, for thence we came, And, after some dispatch in hand at court, Thither we bend again.
55
HELEN
Look on his letter, madam: here’s my passport. ba [She] reads aloud ‘When thou canst get the ring upon my finger, which never shall come off, and show me a child begotten of thy body that I am father to, then call me husband; but in such a “then” I write a “never”.’ This is a dreadful sentence.
60
COUNTESS
Brought you this letter, gentlemen? FIRST LORD DUMAINE Ay, madam, And for the contents’ sake are sorry for our pains.
56.1. [She] reads aloud: la didascalia non è in F. 884
Shakespeare IV.indb 884
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 2
Entra Elena con una lettera e i due signori Dumaine SECONDO SIGNORE DUMAINE (alla contessa)
Salve, cara signora. ELENA
Signora, mio marito se n’è andato, andato per sempre. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Non dite così. CONTESSA (a Elena)
Abbiate pazienza. Vi prego, signori, ho provato tanti di quegli accessi158 di dolore e di gioia che né l’uno né l’altra, ormai, quando cominciano, mi fanno piangere come una donnetta. Per favore, ditemi, dov’è mio figlio? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Madame, si è messo al servizio del duca di Firenze. Lo abbiamo incontrato là, perché è di là che veniamo ed è là che torneremo, dopo avere sbrigato un affare urgente a corte. ELENA
Guardate questa lettera, signora: ecco il mio passaporto159. Legge ad alta voce ‘Quando riuscirai a prenderti l’anello dal mio dito, che mai mi tolgo, e mi mostrerai un figlio nato dal tuo corpo di cui io sia padre, allora mi chiamerai marito. Ma in quell’“allora” io scrivo “mai”’. Sentenza mortale. CONTESSA
Avete portato voi questa lettera, signori? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Sì, signora, e in virtù del suo contenuto ci dispiace per averlo fatto.
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Shakespeare IV.indb 885
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 2
COUNTESS
I prithee, lady, have a better cheer. If thou engrossest all the griefs are thine Thou robb’st me of a moiety. He was my son, But I do wash his name out of my blood, And thou art all my child. — Towards Florence is he?
65
FIRST LORD DUMAINE
Ay, madam. COUNTESS
And to be a soldier?
FIRST LORD DUMAINE
Such is his noble purpose, and — believe’t — The Duke will lay upon him all the honour That good convenience claims. COUNTESS Return you thither?
70
SECOND LORD DUMAINE
Ay, madam, with the swiftest wing of speed. HELEN ‘Till I have no wife, I have nothing in France.’
’Tis bitter.
75
COUNTESS Find you that there? HELEN Ay, madam. SECOND LORD DUMAINE
’Tis but the boldness of his hand, Haply, which his heart was not consenting to. COUNTESS
Nothing in France until he have no wife? There’s nothing here that is too good for him But only she, and she deserves a lord That twenty such rude boys might tend upon And call her, hourly, mistress. Who was with him?
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SECOND LORD DUMAINE
A servant only, and a gentleman Which I have sometime known. COUNTESS Paroles, was it not? SECOND LORD DUMAINE Ay, my good lady, he.
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Shakespeare IV.indb 886
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 2
CONTESSA
Ti prego, ragazza, rincuorati. Se ti impossessi di tutto il dolore, me ne rubi la metà. Era mio figlio, ma cancello il suo nome dal mio sangue, e tu sola mi sei figlia. È andato a Firenze? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Sì, signora. CONTESSA
Come soldato? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Tale è il suo nobile proposito, e – credetemi – il duca gli attribuirà tutti gli onori che gli si confanno. CONTESSA
Ritornate di lì? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sì, signora, con alata celerità. ELENA
‘Finché non avrò più moglie, nulla avrò in Francia’. Che amarezza. CONTESSA
Sta scritto là? ELENA
Sì, signora. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Non è che l’audacia della sua mano a cui, forse, il suo cuore non risponde. CONTESSA
Nulla avrà in Francia finché non avrà più moglie? Non c’è niente qui che sia troppo buono per lui, se non lei, e lei merita un gentiluomo che una ventina di ragazzi dappoco come lui dovrebbero servire, e che la chiami signora ad ogni ora. Chi era con lui? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Un servitore soltanto, e un gentiluomo di cui ho sentito talvolta parlare. CONTESSA
Paroles? O no? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sì, madame, proprio lui.
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Shakespeare IV.indb 887
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 2
COUNTESS
A very tainted fellow, and full of wickedness. My son corrupts a well-derivèd nature With his inducement. SECOND LORD DUMAINE Indeed, good lady, The fellow has a deal of that too much, Which holds him much to have. COUNTESS You’re welcome, gentlemen. I will entreat you when you see my son To tell him that his sword can never win The honour that he loses. More I’ll entreat you Written to bear along. FIRST LORD DUMAINE We serve you, madam, In that and all your worthiest affairs.
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95
COUNTESS
Not so, but as we change our courtesies. Will you draw near? Exeunt all but Helen HELEN ‘Till I have no wife I have nothing in France.’ Nothing in France until he has no wife. Thou shalt have none, Roussillon, none in France; Then hast thou all again. Poor lord, is’t I That chase thee from thy country and expose Those tender limbs of thine to the event Of the none-sparing war? And is it I That drive thee from the sportive court, where thou Wast shot at with fair eyes, to be the mark Of smoky muskets? O you leaden messengers That ride upon the violent speed of fire, Fly with false aim, cleave the still-piecing air bb That sings with piercing, do not touch my lord. Whoever shoots at him, I set him there. Whoever charges on his forward breast,
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112. Cleave: è emend. tardo, più coerente rispetto al senso; in F è move, “muovete”; still-piecing: in F è still-peering, “che appare tranquilla”; tra le altre correzioni moderne c’è anche still-piercing, che anticipa il medesimo verbo usato al verso successivo (piercing, v. 113). 888
Shakespeare IV.indb 888
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 2
CONTESSA
Un uomo corrotto, pieno di turpitudini. Sotto la sua influenza mio figlio guasta la buona natura che ha ricevuto in dono160. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Invero, cara signora, di influenze161 quel tale è pieno e le usa tutte a suo vantaggio. CONTESSA
Siate benvenuti, signori. Vi prego, quando vedrete mio figlio, di dirgli che la sua spada non riscatterà mai l’onore perduto. Inoltre vi chiedo di portargli dell’altro che scriverò. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Siamo al vostro servizio, madame, per questo e per altri più importanti affari. CONTESSA
Soltanto se potremo scambiarci le cortesie. Volete seguirmi? Escono tutti tranne Elena ELENA
‘Finché non avrò più moglie, nulla avrò in Francia’. Nulla avrà in Francia fi nché non avrà moglie. E tu non l’avrai, Rossiglione, non avrai nessuna moglie in Francia; e così riavrai tutto. Povero signore, sono io a scacciarti dal tuo paese e a esporre queste tue tenere membra all’evento della guerra che nessuno risparmia? E sono io che ti porto lontano dai passatempi di corte, dov’eri preso di mira da bellissimi occhi, per essere bersaglio di moschetti fumanti? O voi, messaggeri di piombo che cavalcate il rapido impeto del fuoco, che volate su una falsa traiettoria, che fendete l’aria che si richiude mentre ancora risuona del sibilo dei proiettili, non toccate il mio signore. Chiunque gli spari, sono io ad averlo collocato lì. Chiunque si scagli contro il suo petto, sono io l’abietta162
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Shakespeare IV.indb 889
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 3
I am the caitiff that do hold him to’t, And though I kill him not, I am the cause His death was so effected. Better ’twere I met the ravin lion when he roared With sharp constraint of hunger; better ’twere That all the miseries which nature owes Were mine at once. No, come thou home, Roussillon, Whence honour but of danger wins a scar, As oft it loses all. I will be gone; My being here it is that holds thee hence. Shall I stay here to do’t? No, no, although The air of paradise did fan the house And angels offlced all. I will be gone, That pitiful rumour may report my flight To consolate thine ear. Come night, end day; For with the dark, poor thief, I’ll steal away. Exit 3.3
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Flourish of trumpets. Enter the Duke of Florence, Bertram, a drummer and trumpeters, soldiers, and Paroles
DUKE (to Bertram)
The general of our horse thou art, and we, Great in our hope, lay our best love and credence Upon thy promising fortune. BERTRAM Sir, it is A charge too heavy for my strength, but yet We’ll strive to bear it for your worthy sake To th’extreme edge of hazard. DUKE Then go thou forth, And Fortune play upon thy prosperous helm As thy auspicious mistress. BERTRAM This very day, Great Mars, I put myself into thy file. Make me but like my thoughts, and I shall prove A lover of thy drum, hater of love. Exeunt
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Shakespeare IV.indb 890
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 3
che lì lo trattiene; e benché non sia io ad ucciderlo, sono io la causa che l’ha portato alla morte. Meglio sarebbe stato che avessi incontrato il leone famelico163, mentre ruggiva per il pungente stimolo della fame; meglio sarebbe che tutte le miserie che la natura possiede diventassero subito mie. No, vieni a casa, Rossiglione, dal luogo dove l’onore non vince il pericolo che con una cicatrice, e spesso perde tutto. Me ne andrò. È il mio rimanere qui che ti trattiene là. Dovrei forse restare? No, no, neanche se in casa spirasse la brezza del paradiso, soffiata dagli angeli. Me ne andrò, e che voci pietose possano riferiti la mia fuga a consolazione del tuo orecchio. Vieni, notte; finisci, giorno164. E con il buio, povera ladra165, scivolerò via. Esce III, 3
Fanfara di trombe. Entrano il duca di Firenze, Bertram, un tamburo e trombettieri, soldati e Paroles166
DUCA (a Bertram)
Sei generale della nostra cavalleria, e noi, pieni di grande speranza, riponiamo tutto il nostro affetto e la nostra fiducia nel tuo promettente destino. BERTRAM
Signore, è un carico troppo pesante per le mie forze, e tuttavia per voi farò il possibile per sopportarlo fino al limite estremo dell’azzardo. DUCA
Vai avanti, allora, e che la fortuna adorni il tuo prospero elmo come un’amante benevola. BERTRAM
In questo stesso giorno, grande Marte, entro nei tuoi ranghi. Portami almeno all’altezza dei miei pensieri, e ti dimostrerò di amare il tamburo e di odiare l’amore. Escono
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Shakespeare IV.indb 891
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 4
3.4
Enter the Countess and Reynaldo her steward, with a letter
COUNTESS
Alas! And would you take the letter of her? Might you not know she would do as she has done, By sending me a letter? Read it again. REYNALDO (reads the letter) ‘I am Saint Jaques’ pilgrim, thither gone. Ambitious love hath so in me offended That barefoot plod I the cold ground upon With sainted vow my faults to have amended. Write, write, that from the bloody course of war My dearest master, your dear son, may hie. Bless him at home in peace, whilst I from far His name with zealous fervour sanctify. His taken labours bid him me forgive; I, his despiteful Juno, sent him forth From courtly friends, with camping foes to live, Where death and danger dogs the heels of worth. He is too good and fair for death and me; Whom I myself embrace to set him free.’
5
10
16
COUNTESS
Ah, what sharp stings are in her mildest words! Reynaldo, you did never lack advice so much As letting her pass so. Had I spoke with her, I could have well diverted her intents, Which thus she hath prevented. REYNALDO Pardon me, madam. If I had given you this at over-night She might have been o’erta’en — and yet she writes Pursuit would be but vain. COUNTESS What angel shall Bless this unworthy husband? He cannot thrive Unless her prayers, whom heaven delights to hear And loves to grant, reprieve him from the wrath Of greatest justice. Write, write, Reynaldo, To this unworthy husband of his wife.
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Shakespeare IV.indb 892
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 4
III, 4
Entra la contessa con il suo maggiordomo Rinaldo, che porta una lettera167
CONTESSA
Ahimè! E avete preso la sua lettera? Non potevate capire che avrebbe compiuto ciò che ha fatto, se mi mandava una lettera? Leggetela ancora. RINALDO (legge la lettera) ‘Sono pellegrina di Santiago168, là diretta. L’amore in me troppo ha offeso per ambizione, e perciò ora mi incammino a piedi su questa terra fredda con il sacro voto di fare ammenda delle mie colpe. Scrivete, scrivete al mio carissimo signore, al vostro amato figlio, perché dalla sanguinosa guerra possa affrettarsi a tornare. E a casa, in pace, che sia benedetto, mentre io da lontano benedirò il suo nome con assiduo zelo. Chiedetegli di perdonarmi per le fatiche intraprese. Io, sua dispettosa Giunone169, l’ho allontanato dagli amici di corte, l’ho mandato a vivere sul campo di battaglia, tra i nemici, dove morte e pericolo azzannano alle calcagna il valore. È troppo buono e bello sia per me sia per la morte, che io abbraccio per poterlo liberare.’ CONTESSA
Come feriscono anche le sue più miti parole! Rinaldo, mai avete mancato così tanto al vostro dovere come nel lasciarla andare così. Se avessi parlato io con lei, certamente avrei potuto distoglierla dai suoi intenti, ma così me l’ha impedito. RINALDO
Perdonatemi, madame. Se ieri sera vi avessi dato questa lettera, si sarebbe potuto raggiungerla. Scrive, tuttavia, che inseguirla sarebbe stato vano. CONTESSA
Quale angelo potrebbe mai benedire questo marito indegno? Non potrà prosperare, a meno che le preghiere di lei, che il Cielo esulta nell’udire e ama esaudire, non lo sollevino dalla collera della giustizia somma. Scrivi, Rinaldo, scrivi, a questo marito indegno di sua
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Shakespeare IV.indb 893
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 5
Let every word weigh heavy of her worth, That he does weigh too light; my greatest grief, Though little he do feel it, set down sharply. Dispatch the most convenient messenger. When haply he shall hear that she is gone, He will return, and hope I may that she, Hearing so much, will speed her foot again, Led hither by pure love. Which of them both Is dearest to me I have no skill in sense To make distinction. Provide this messenger. My heart is heavy and mine age is weak; Grief would have tears, and sorrow bids me speak.
35
40
Exeunt 3.5
A tucket afar off. Enter an old Widow, her daughter Diana, and Mariana, with other Florentine citizens
WIDOW Nay, come, for if they do approach the city we
shall lose all the sight. say the French Count has done most honourable service. WIDOW It is reported that he has taken their greatest commander, and that with his own hand he slew the Duke’s brother. (Tucket) We have lost our labour; they are gone a contrary way. Hark. You may know by their trumpets. MARIANA Come, let’s return again, and suffice ourselves with the report of it. — Well, Diana, take heed of this French earl. The honour of a maid is her name, and no legacy is so rich as honesty. WIDOW (to Diana) I have told my neighbour how you have been solicited by a gentleman, his companion. MARIANA I know that knave, hang him! One Paroles. A filthy officer he is in those suggestions for the young earl. Beware of them, Diana; their promises, enticements, oaths, tokens, and all their engines of lust, are not the things they go under. Many a maid hath DIANA They
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moglie. Ogni parola abbia peso pari al valore di lei, che lui valuta con tanta leggerezza. Il mio enorme dolore lo avvertirà poco, ma esponilo in maniera tagliente. Manda il primo messaggero disponibile. E forse lui, quando saprà che se n’è andata, farà ritorno, e lei, spero, nel sentirlo rapida tornerà indietro, guidata solo da amore puro. Chi dei due mi sia più caro, la mia sensibilità non è più capace di distinguerlo. Prepara il messaggero. Il cuore è pesante e l’età debole. Il dolore vorrebbe lacrime, ma l’apprensione mi chiede di parlare. Escono III, 5
Suono di tromba in lontananza. Entra una vecchia vedova, sua figlia Diana e Mariana, con altri cittadini fiorentini170
VEDOVA
Avanti, su! Se sono in arrivo in città ci perdiamo lo spettacolo. DIANA
Dicono che il conte francese si è fatto molto onore. VEDOVA
Riferiscono che ha preso prigioniero il comandante supremo e che ha ucciso di sua mano il fratello del duca. (Squillo di tromba) Fatica sprecata: prendono la direzione opposta. Sentite. Si capisce dal suono delle trombe. MARIANA
Venite, torniamo indietro. Ci basterà il resoconto. Allora, Diana, fai attenzione a questo conte francese. L’onore di una vergine è la sua reputazione, e non c’è dote più ricca della castità171. VEDOVA (a Diana) Ho detto alla mia vicina di casa che sei stata avvicinata da un gentiluomo che l’accompagna. MARIANA
Conosco quella canaglia. Lo impiccassero! Un certo Paroles. Uno spregevole esecutore di tali approcci172 per conto del giovane conte. Attenta a loro, Diana. Le promesse, le attrattive, i giuramenti, i regali di costoro, e ogni altra invenzione173 della sensualità, sono ben diversi da ciò che sembrano. Molte ragazze sono state sedotte da
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been seduced by them; and the misery is, example, that so terrible shows in the wreck of maidenhood, cannot for all that dissuade succession, but that they are limed with the twigs that threatens them. I hope I need not to advise you further, but I hope your own grace will keep you where you are, though there were no further danger known but the modesty which is so lost. DIANA You shall not need to fear me.
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Enter Helen dressed as a pilgrim WIDOW I hope so. Look, here comes a pilgrim. I know she
will lie at my house; thither they send one another. I’ll question her. God save you, pilgrim. Whither are you bound? HELEN To Saint Jaques le Grand. Where do the palmers lodge, I do beseech you?
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WIDOW
At the ‘Saint Francis’ here beside the port. HELEN
Is this the way? WIDOW
Ay, marry, is’t. Sound of a march, far off
Hark you, they come this way. If you will tarry, Holy pilgrim, but till the troops come by, I will conduct you where you shall be lodged, The rather for I think I know your hostess As ample as myself. HELEN Is it yourself? WIDOW If you shall please so, pilgrim.
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HELEN
I thank you, and will stay upon your leisure.
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WIDOW
You came, I think, from France? HELEN
I did so.
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loro; e il peggio è che l’esempio, pur così terribile, che la rovina della verginità dimostra non le dissuade affatto dal continuare, anzi, si fanno catturare proprio dall’esca che le minaccia174. Spero di non dovervi fare ulteriori raccomandazioni, e spero che la vostra stessa grazia vi salvaguardi, quand’anche non fosse altro che la perdita del pudore l’ulteriore pericolo evidente. DIANA
Non dovete temere per me. Entra Elena vestita da pellegrina VEDOVA
Lo spero. Guardate, arriva una pellegrina. So che starà a casa mia. Si mandano l’un l’altro. Glielo domando. Dio vi benedica, pellegrina. Dove siete diretta? ELENA
A Saint Jacques le Grand175. Vi prego, ditemi, dove alloggiano i pellegrini? VEDOVA
Al ‘San Francesco’176, qui vicino alla porta. ELENA
Si passa di qui? VEDOVA
Ma sì, certo, perbacco! Suono di fanfara in lontananza Ascoltate, vengono da questa parte. Se aspetterete, santa pellegrina, che siano passate le truppe, vi condurrò dove alloggerete, tanto più perché penso di conoscere chi vi ospita bene almeno quanto me stessa. ELENA
Siete voi? VEDOVA
Se così vi piace, pellegrina. ELENA
Vi ringrazio, e starò a vostro comodo. VEDOVA
Arrivate dalla Francia, credo. ELENA
È così. 897
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WIDOW
Here you shall see a countryman of yours That has done worthy service. HELEN His name, I pray you? DIANA
The Count Roussillon. Know you such a one? HELEN
But by the ear, that hears most nobly of him; His face I know not. DIANA Whatsome’er he is, He’s bravely taken here. He stole from France, As ’tis reported; for the King had married him Against his liking. Think you it is so?
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HELEN
Ay, surely, mere the truth. I know his lady.
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DIANA
There is a gentleman that serves the Count Reports but coarsely of her. HELEN What’s his name? DIANA
Monsieur Paroles. O, I believe with him: In argument of praise, or to the worth Of the great Count himself, she is too mean To have her name repeated. All her deserving Is a reservèd honesty, and that I have not heard examined. DIANA Alas, poor lady. ’Tis a hard bondage to become the wife Of a detesting lord. HELEN
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WIDOW
I warr’nt, good creature, wheresoe’er she is Her heart weighs sadly. This young maid might do her A shrewd turn if she pleased. HELEN How do you mean? Maybe the amorous Count solicits her In the unlawful purpose. 898
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VEDOVA
Qui vedrete un vostro connazionale che ha reso un valoroso servizio. ELENA
Vi prego, qual è suo nome? DIANA
Conte di Rossiglione. Lo conoscete? ELENA
L’ho sentito nominare, e ho udito cose molto nobili sul suo conto. Ma di persona non lo conosco. DIANA
Chiunque sia, è un uomo stimatissimo. È fuggito dalla Francia – hanno riferito – perché il re l’ha costretto a sposarsi contro la sua volontà. Pensate che sia così? ELENA
Sì, è la pura verità. Conosco sua moglie. DIANA
C’è un gentiluomo al servizio del conte che parla male di lei177. ELENA
Qual è il suo nome? DIANA
Monsieur Paroles. ELENA
Oh, sono d’accordo con lui. In confronto alla lode e al valore del nobile conte in persona, lei è di origine troppo umile perché risuoni il suo nome. Il suo unico merito le viene da una preservata onestà, che non ho mai sentito mettere in dubbio. DIANA
Ahi, povera signora. È una dura schiavitù essere moglie di un uomo che ti detesta. VEDOVA
Sono certa che, ovunque sia questa povera creatura, il suo cuore pesa di tristezza. Questa mia ragazza potrebbe ripagarla astutamente, se volesse. ELENA
Che volete dire? Forse il conte è innamorato e la sollecita con proposte illegittime. 899
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He does indeed, And brokes with all that can in such a suit Corrupt the tender honour of a maid. But she is armed for him, and keeps her guard In honestest defence. MARIANA The gods forbid else. WIDOW
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[Enter, with drummer and colours, Bertram, Paroles, and the whole army] WIDOW So, now they come.
That is Antonio, the Duke’s eldest son; That, Escalus. HELEN Which is the Frenchman? DIANA He — That with the plume. ’Tis a most gallant fellow. I would he loved his wife. If he were honester He were much goodlier. Is’t not A handsome gentleman? HELEN I like him well. DIANA ’Tis pity he is not honest. Yond’s that same knave that leads him to those places. Were I his lady, I would poison That vile rascal. HELEN Which is he? DIANA That jackanapes With scarves. Why is he melancholy? HELEN Perchance he’s hurt i’th’ battle. PAROLES (aside) Lose our drum? Well. MARIANA He’s shrewdly vexed at something. Look, he has spied us. WIDOW (to Paroles) Marry, hang you!
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VEDOVA
È proprio così: si dà da fare in tutti i modi per cercare di corrompere il tenero onore di una vergine. Ma lei è armata contro di lui e si tiene in guardia con la difesa più onesta178. MARIANA
Gli dèi non vogliano! [Entrano, con tamburo e bandiere, Bertram, Paroles e tutto l’esercito] VEDOVA
Eccoli, arrivano. Quello è Antonio, il figlio maggiore del duca. Quello è Escalo179. ELENA
Qual è il francese? DIANA
Quello con il pennacchio. È molto valoroso. Vorrei che amasse sua moglie. Se fosse più onesto, sarebbe anche migliore. Non è un gran bell’uomo? ELENA
Mi piace molto. DIANA
Peccato che non sia onesto. E là c’è quella canaglia che lo porta su cattive strade. Fossi io sua moglie, lo avvelenerei questo vile furfante. ELENA
Chi è? DIANA
Quello scimmiotto con le sciarpe180. Perché sembra tanto giù di corda?181 ELENA
Forse è stato ferito in battaglia. PAROLES (a parte)
Il tamburo è perduto? Bene. MARIANA
È estremamente contrariato per qualcosa. Guarda, ci ha visto. VEDOVA (a Paroles)
Impiccati, per la miseria! 901
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 6
MARIANA (to Paroles)
And your courtesy, for a ring-carrier. Exeunt Bertram, Paroles, and the army WIDOW
The troop is past. Come, pilgrim, I will bring you Where you shall host. Of enjoined penitents There’s four or five to great Saint Jaques bound Already at my house. HELEN I humbly thank you. Please it this matron and this gentle maid To eat with us tonight, the charge and thanking Shall be for me. And to requite you further, I will bestow some precepts of this virgin Worthy the note. WIDOW and MARIANA We’ll take your offer kindly. Exeunt 3.6
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Enter Bertram and the two Captains Dumaine
SECOND LORD DUMAINE (to Bertram) Nay, good my lord,
put him to’t. Let him have his way. FIRST LORD DUMAINE (to Bertram) If your lordship fi nd him
not a hilding, hold me no more in your respect. SECOND LORD DUMAINE (to Bertram) On my life, my lord, a bubble. BERTRAM Do you think I am so far deceived in him? SECOND LORD DUMAINE Believe it, my lord. In mine own direct knowledge — without any malice, but to speak of him as my kinsman — he’s a most notable coward, an infinite and endless liar, an hourly promise-breaker, the owner of no one good quality worthy your lordship’s entertainment.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 6
MARIANA (a Paroles)
Te e i tuoi vezzi da ruffiano! Escono Bertram, Paroles e l’esercito VEDOVA
L’esercito è passato. Venite, pellegrina, vi porterò dove sarete alloggiata. Di pellegrini votati ad andare a Saint Jacques le Grand ce ne sono già quattro o cinque, a casa mia. ELENA
Vi sono umilmente grata. Piaccia a questa signora e alla sua figlia gentile di mangiare con noi questa sera, a mie spese e con gratitudine. E per ricompensarvi ulteriormente, fornirò a questa vergine alcuni consigli degni di nota. VEDOVA e MARIANA Accettiamo volentieri il vostro invito. Escono III, 6
Entrano Bertram e i due capitani Dumaine182
SECONDO SIGNORE DUMAINE (a Bertram)
Mio buon signore, mettiamolo alla prova183. Lasciamolo fare a suo modo. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Se vostra signoria non scopre in lui un codardo184, non mi tenga più in alcuna considerazione. SECONDO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Sulla mia vita, signore, è un pallone gonfiato. BERTRAM
Credete che mi sia tanto ingannato sul suo conto? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Credeteci, mio signore. Per mia diretta esperienza – senza malizia, ma per parlarvi come foste uno di famiglia – costui è un eminentissimo codardo, un bugiardo infinito e inarginabile, uno che rompe le promesse a ogni momento e non possiede nemmeno una buona qualità degna della considerazione di vostra signoria.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 6
FIRST LORD DUMAINE (to Bertram) It were fit you knew
him, lest reposing too far in his virtue, which he hath not, he might at some great and trusty business, in a main danger, fail you. BERTRAM I would I knew in what particular action to try him. FIRST LORD DUMAINE None better than to let him fetch off his drum, which you hear him so confidently undertake to do. SECOND LORD DUMAINE (to Bertram) I, with a troop of Florentines, will suddenly surprise him. Such I will have whom I am sure he knows not from the enemy; we will bind and hoodwink him so, that he shall suppose no other but that he is carried into the laager of the adversary’s when we bring him to our own tents. Be but your lordship present at his examination: if he do not, for the promise of his life and in the highest compulsion of base fear, offer to betray you, and deliver all the intelligence in his power against you, and that with the divine forfeit of his soul upon oath, never trust my judgement in anything. FIRST LORD DUMAINE (to Bertram) O, for the love of laughter, let him fetch his drum. He says he has a stratagem for’t. When your lordship sees the bottom of his success bc in’t, and to what metal this counterfeit lump of ore bd will be melted, if you give him not John Drum’s entertainment, your inclining cannot be removed. Here he comes.
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Enter Paroles SECOND LORD DUMAINE O [aside] for the love of laughter
[aloud] hinder not the honour of his design; let him fetch off his drum in any hand. 37. For’t = for it (è uno degli indicatori degli interventi di Thomas Middleton sul testo, in collaborazione con Shakespeare). 38. In’t = in it (altro indicatore dei probabili interventi di Thomas Middleton sul testo). 904
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 6
PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram)
Sarebbe opportuno che lo conosceste bene, altrimenti, fidandovi troppo di una virtù che non possiede, potrebbe tradirvi in qualche affare di grande fiducia o nell’estremo pericolo. BERTRAM
Vorrei sapere in quale particolare azione metterlo alla prova. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Niente di meglio che fargli recuperare il suo tamburo: l’avete sentito, era così convinto di riuscire nell’impresa! SECONDO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Lo catturerò di sorpresa con una truppa di fiorentini. Sceglierò quelli che sono certo non distinguerà dai nemici. Lo legheremo e gli benderemo gli occhi, in modo tale che non dubiterà di essere stato trasportato nel campo avversario, mentre invece lo porteremo alle nostre tende. Vostra signoria, però, non potrà esimersi dall’essere presente all’interrogatorio: e se quello, in cambio della vita risparmiata e sotto il massimo impulso della vile paura, non offre di tradirvi, e non rivolge ogni strategica informazione in suo potere contro di voi, tutto ciò giurando sul sacro pegno della sua anima, non fidatevi mai più del mio giudizio su alcunché. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Ma c’è da morire dal ridere che vada a prendersi il tamburo! Dice che ha uno stratagemma apposta. Quando vostra signoria vedrà in che modo finirà questa sua impresa, e di che lega è fatto quella montagna di metallo fasullo, se allora voi non darete il benservito a quel trombone185, il vostro debole per lui sarà irremovibile. Eccolo che viene. Entra Paroles SECONDO SIGNORE DUMAINE
Oh [a parte], c’è da crepare dal ridere [ad alta voce], non privatelo dell’onore del suo piano! Che vada a prendersi il tamburo a tutti i costi!
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 6
BERTRAM (to Paroles) How now, monsieur? This drum
sticks sorely in your disposition.
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FIRST LORD DUMAINE A pox on’t, let it go. ’Tis but a drum. PAROLES But a drum? Is’t but a drum? A drum so lost!
There was excellent command: to charge in with our horse upon our own wings and to rend our own soldiers! FIRST LORD DUMAINE That was not to be blamed in the command of the service. It was a disaster of war that Caesar himself could not have prevented, if he had been there to command. BERTRAM Well, we cannot greatly condemn our success. Some dishonour we had in the loss of that drum, but it is not to be recovered. PAROLES It might have been recovered. BERTRAM It might, but it is not now. PAROLES It is to be recovered. But that the merit of service is seldom attributed to the true and exact performer, I would have that drum or another, or ‘hic iacet’. BERTRAM Why, if you have a stomach, to’t, monsieur. If you think your mystery in stratagem can bring this instrument of honour again into his native quarter, be magnanimous in the enterprise and go on. I will grace the attempt for a worthy exploit. If you speed well in it, the Duke shall both speak of it and extend to you what further becomes his greatness, even to the utmost syllable of your worthiness. PAROLES By the hand of a soldier, I will undertake it. BERTRAM But you must not now slumber in it.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 6
BERTRAM (a Paroles)
Allora, monsieur? Questo tamburo non vi va proprio giù! PRIMO SIGNORE DUMAINE
Che la peste se lo prenda186, lasciate perdere. Non è che un tamburo. PAROLES
Non è che un tamburo. Non è che un tamburo? Un tamburo così, perduto! Proprio un eccellente comando: caricare a cavallo le nostre ali e dividere così le nostre truppe!187 PRIMO SIGNORE DUMAINE
La colpa non va imputata ai comandi militari. È stato un disastro bellico che nemmeno Cesare in persona, se fosse stato il comandante, avrebbe potuto scongiurare. BERTRAM
Beh, non possiamo condannare del tutto il nostro operato. Un certo disonore l’abbiamo avuto nella perdita del tamburo, ma non sarà recuperato. PAROLES
Si sarebbe potuto recuperare! BERTRAM
Si sarebbe potuto, ma non più ora. PAROLES
Deve essere recuperato! Non fosse che raramente il merito di un’azione è attribuito a chi ne dà esatta e vera esecuzione, mi riprenderei quel tamburo o un altro, o altrimenti hic iacet188. BERTRAM
Dunque, avanti, se avete fegato, monsieur! E se pensate che le vostre capacità strategiche189 possano restituire questo strumento d’onore al suo nativo distretto, siate magnanimo e procedete nell’impresa. Sosterrò il vostro tentativo di un’azione degna. Se avrete successo, il duca ne parlerà ed estenderà a voi quanto si confà alla sua grandezza, fino all’ultima sillaba190 del vostro valore. PAROLES
Sulla mia mano di soldato, lo farò. BERTRAM
Ma non dovete dormirci sopra.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 6
PAROLES I’ll about it this evening, and I will presently
pen down my dilemmas, encourage myself in my certainty, put myself into my mortal preparation; and by midnight look to hear further from me. BERTRAM May I be bold to acquaint his grace you are gone about it? PAROLES I know not what the success will be, my lord, but the attempt I vow. BERTRAM I know thou’rt valiant, and to the possibility of thy soldiership will subscribe for thee. Farewell. PAROLES I love not many words. Exit SECOND LORD DUMAINE No more than a fish loves water. (To Bertram) Is not this a strange fellow, my lord, that so confidently seems to undertake this business, which he knows is not to be done? Damns himself to do, and dares better be damned than to do’t. FIRST LORD DUMAINE (to Bertram) You do not know him, my lord, as we do. Certain it is that he will steal himself into a man’s favour, and for a week escape a great deal of discoveries, but when you find him out, you have him ever after. BERTRAM Why, do you think he will make no deed at all of this that so seriously he does address himself unto? SECOND LORD DUMAINE None in the world, but return with an invention, and clap upon you two or three probable lies. But we have almost embosked him. You shall see his fall tonight; for indeed he is not for your lordship’s respect. FIRST LORD DUMAINE (to Bertram) We’ll make you some sport with the fox ere we case him. He was first smoked by the old Lord Lafeu. When his disguise and he is
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 6
PAROLES
Mi ci dedicherò questa sera: circoscriverò immediatamente i miei dilemmi, mi farò forte delle certezze e mi preparerò all’impresa mortale191. Entro mezzanotte avrete mie notizie. BERTRAM
Posso osare informare sua grazia dell’azione a cui vi accingete? PAROLES
Non so quale sarà l’esito, signore, ma giuro che proverò. BERTRAM
Sei valoroso, lo so; in quanto alle tue capacità militari, garantirò io per te. Addio. PAROLES
Parole, parole: non mi piacciono. Esce SECONDO SIGNORE DUMAINE
Non più di quanto al pesce piaccia l’acqua! (A Bertram) Ma non è uno strano tipo costui, mio signore, che ha l’aria di intraprendere con tanta sicurezza un’impresa che sa bene di non poter compiere? Giura e spergiura che la farà, quando preferirebbe essere dannato che compierla. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Non lo conoscete, signore, come lo conosciamo noi. Certo è che sa infi larsi nei favori di qualcuno e per una settimana riesce a farla franca in molte cose senza farsi scoprire, ma, una volta sbugiardato, lo avete conosciuto per sempre. BERTRAM
Ebbene, pensate che non compirà proprio nulla di tutto ciò che si è impegnato così seriamente a fare? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Per niente al mondo, ma farà ritorno con una trovata, e vi affibbierà un paio di storielle plausibili. Però l’abbiamo già quasi imboscato192. Questa notte lo vedrete cadere. Ché invero non è persona degna del rispetto di vostra signoria. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a Bertram) Vi faremo divertire per un po’ con la volpe prima di levarle la pelliccia. Il primo a fiutarlo è stato il vecchio signor Lafeu. Quando gli 909
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 7
parted, tell me what a sprat you shall find him, which you shall see this very night.
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SECOND LORD DUMAINE
I must go look my twigs. He shall be caught. BERTRAM
Your brother, he shall go along with me. [SECOND] LORD DUMAINE As’t please your lordship. I’ll leave
you.
be
Exit
BERTRAM
Now will I lead you to the house, and show you The lass I spoke of. [FIRST] LORD DUMAINE But you say she’s honest.
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BERTRAM
That’s all the fault. I spoke with her but once And found her wondrous cold, but I sent to her By this same coxcomb that we have i’th’ wind Tokens and letters, which she did re-send, And this is all I have done. She’s a fair creature. Will you go see her? [FIRST] LORD DUMAINE With all my heart, my lord.
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Exeunt 3.7
Enter Helen and the Widow
HELEN
If you misdoubt me that I am not she, I know not how I shall assure you further But I shall lose the grounds I work upon. WIDOW
Though my estate be fall’n, I was well born, Nothing acquainted with these businesses, And would not put my reputation now In any staining act.
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110. [SECOND] LORD DUMAINE: in questi ultimi versi l’attribuzione delle battute al Primo o al secondo Lord Dumaine è controversa. 910
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 7
sarà sfilato il pelo di cui si traveste, mi direte che creaturina193 siete andato a pescare! Lo vedrete questa notte stessa. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Devo andare a controllare le mie trappole. Lo cattureremo. BERTRAM
Vostro fratello verrà con me. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Come piace a Vostra Signoria. Vi lascio. Esce. BERTRAM
Ora vi condurrò a casa e vi mostrerò la signorina di cui vi ho parlato194. [PRIMO] SIGNORE DUMAINE
Ma dite che è onesta. BERTRAM
Ecco il guaio. Le ho parlato una volta e l’ho trovata straordinariamente fredda. Ma le ho mandato, tramite questo matto di cui stiamo andando a caccia195, pegni e lettere che ha sempre respinto. È tutto ciò che ho fatto. È una creatura meravigliosa. Volete venire a vederla? [PRIMO] SIGNORE DUMAINE
Mio signore, con tutto il cuore. Escono Entrano Elena e la vedova196
III, 7 ELENA
Se dubitate che io sia proprio lei197, non so come darvi ulteriori prove senza mandare all’aria tutto il mio piano. VEDOVA
Benché le mie fortune siano decadute, sono di buona famiglia, e non ho mai avuto confidenza con affari di questo genere, e non vorrei ora compromettere la mia reputazione con qualche azione infamante.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 3 SCENE 7
Nor would I wish you. First give me trust the Count he is my husband, And what to your sworn counsel I have spoken Is so from word to word, and then you cannot, By the good aid that I of you shall borrow, Err in bestowing it. WIDOW I should believe you, For you have showed me that which well approves You’re great in fortune. HELEN Take this purse of gold, And let me buy your friendly help thus far, Which I will over-pay, and pay again When I have found it. The Count he woos your daughter, Lays down his wanton siege before her beauty, Resolved to carry her. Let her in fine consent, As we’ll direct her how ’tis best to bear it. Now his important blood will naught deny That she’ll demand. A ring the County wears, That downward hath succeeded in his house From son to son some four or five descents Since the first father wore it. This ring he holds In most rich choice; yet in his idle fire To buy his will it would not seem too dear, Howe’er repented after. HELEN
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WIDOW
Now I see the bottom of your purpose. HELEN
You see it lawful then. It is no more But that your daughter ere she seems as won Desires this ring; appoints him an encounter; In fine, delivers me to fill the time, Herself most chastely absent. After, To marry her I’ll add three thousand crowns To what is passed already. WIDOW I have yielded. Instruct my daughter how she shall persever,
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Shakespeare IV.indb 912
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO III SCENA 7
ELENA
Non lo vorrei neanch’io. Primo, dovete credere che il conte è mio marito e che quanto vi ho dichiarato in segreto, sotto giuramento, è tutto vero, parola per parola. Dunque non potete, riguardo al giusto aiuto che vi chiedo di prestarmi, sbagliare nel concedermelo. VEDOVA
Devo credervi, poiché mi avete dato buone prove di essere molto ricca. ELENA
Prendete questa borsa d’oro e lasciate che compri il vostro amichevole aiuto: sarà due volte ricompensato, una volta che l’avrò ricevuto. Il conte fa la corte a vostra figlia, voluttuosamente assedia la sua bellezza, risoluto ad espugnarla. Lasciate infine che ceda, e noi la istruiremo per agire nella maniera migliore. Ora la sua passione ardente non negherà alcunché di quanto lei domanderà. Il conte indossa un anello, trasmesso di padre in figlio per quattro o cinque generazioni nella sua famiglia, da quando il capostipite lo indossò. Questo anello lo tiene con enorme riguardo, e tuttavia, nel fuoco della lussuria, nulla stimerà troppo caro per comprare ciò che brama, anche se dopo si pentirà. VEDOVA
Ora vedo il fine del vostro piano. ELENA
Comprendete, dunque, che è legittimo. Vostra figlia non avrà altro da fare che chiedere l’anello, prima di fingersi sedotta; fissare un incontro con lui; infine, lasciare che sia io a occupare quel tempo, mentre lei sarà assente, in assoluta castità. Dopo, per la sua dote aggiungerò tremila corone a quanto già dato. VEDOVA
Mi arrendo. Istruite mia figlia su come dovrà comportarsi, su come
913
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 1
That time and place with this deceit so lawful May prove coherent. Every night he comes With musics of all sorts, and songs composed To her unworthiness. It nothing steads us To chide him from our eaves, for he persists As if his life lay on’t. bf HELEN Why then tonight Let us essay our plot, which if it speed Is wicked meaning in a lawful deed And lawful meaning in a wicked act, bg Where both not sin, and yet a sinful fact. But let’s about it. 4.1
40
45
Exeunt
Enter [Second Lord Dumaine], with five or six other bh soldiers, in ambush
[SECOND] LORD DUMAINE He can come no other way but
by this hedge corner. When you sally upon him, speak what terrible language you will. Though you understand it not yourselves, no matter, for we must not seem to understand him, unless some one among us, whom we must produce for an interpreter. INTERPRETER Good captain, let me be th’interpreter. [SECOND] LORD DUMAINE Art not acquainted with him? Knows he not thy voice? INTERPRETER No, sir, I warrant you. [SECOND] LORD DUMAINE But what linsey-woolsey hast thou to speak to us again? INTERPRETER E’en such as you speak to me.
6
10
43. On’t = on it (altro indicatore dei probabili interventi di Thomas Middleton sul testo). 46. Wicked act: è emend. tardo; in F è, al contrario, lawfull act = “atto legittimo”. Seguire la correzione moderna significa mantenere la simmetria del verso precedente e propendere per una maggiore problematicità del senso (e del dramma). 0.1. Enter [Second Lord Dumaine]: emend. Oxford; in questa prima didascalia e nelle battute successive F indica Lord E. 914
Shakespeare IV.indb 914
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 1
tempo e luogo si possano adattare a questo legittimo inganno. Ogni sera lui viene con musiche di ogni genere e canzoni composte per lei, che non le merita. A nulla serve scacciarlo giù dalle nostre grondaie, perché insiste come se si trattasse della sua vita. ELENA
Ebbene, questa notte mettiamo in atto il nostro piano: e se riesce, sarà una cattiva intenzione in un atto legittimo, e un legittimo intento in una cattiva azione; per entrambi, benché peccaminoso, non sarà peccato198. Ma ora, avanti, diamoci da fare. Escono IV, 1
Entra [il secondo signore Dumaine], con cinque o sei soldati, in imboscata199
[SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Non può sbucare che da quest’angolo di siepe. Quando gli saltate addosso, usate un linguaggio spaventoso, qualunque esso sia. Anche se tra voi non vi comprendete, non importa, perché non dobbiamo dare l’impressione di capirlo, ad eccezione di uno di noi, che faremo passare per interprete. INTERPRETE
Buon capitano, lasciate che faccia io da interprete. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Non lo conosci? E lui non riconosce la tua voce? INTERPRETE
No, signore, ve lo garantisco. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Ma quale miscuglio di linguaggi 200 userai per rivolgerti a noi? INTERPRETE
Quello che voi adotterete per parlare a me.
915
Shakespeare IV.indb 915
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 1
[SECOND] LORD DUMAINE He must think us some band of
strangers i’th’ adversary’s entertainment. Now he hath a smack of all neighbouring languages, therefore we must every one be a man of his own fancy. Not to know what we speak one to another, so we seem to know, is to know straight our purpose: choughs’ language, gabble enough and good enough. As for you, interpreter, you must seem very politic. But couch, ho! Here he comes, to beguile two hours in a sleep, and then to return and swear the lies he forges.
23
They hide. Enter Paroles. [Clock strikes] PAROLES Ten o’clock. Within these three hours ’twill be
time enough to go home. What shall I say I have done? It must be a very plausive invention that carries it. They begin to smoke me, and disgraces have of late knocked too often at my door. I find my tongue is too foolhardy, but my heart hath the fear of Mars before it, and of his creatures, not daring the reports of my tongue. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) This is the first truth that e’er thine own tongue was guilty of. PAROLES What the devil should move me to undertake the recovery of this drum, being not ignorant of the impossibility, and knowing I had no such purpose? I must give myself some hurts, and say I got them in exploit. Yet slight ones will not carry it. They will say, ‘Came you off with so little?’ And great ones I dare not give. Wherefore, what’s the instance? Tongue, I must put you into a butter-woman’s mouth, and buy myself another of Bajazet’s mute, if you prattle me into these perils. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) Is it possible he should know what he is, and be that he is?
31
bi
45
42. Mute: emend. Warburton; in F è mule = “mulo”. 916
Shakespeare IV.indb 916
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 1
[SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Deve crederci una banda di mercenari al servizio degli stranieri. Ora usa un’infarinatura di tutti i dialetti del circondario, e perciò bisogna che ognuno di noi parli a proprio estro. Non dobbiamo comprendere quel che ci diciamo l’un l’altro, ma fare finta di capirci, perché quel che dobbiamo comprendere è il nostro proposito: lingua da cornacchie, un buon balbettio sarà sufficiente201. Per quanto riguarda voi, interprete, dovrete sembrare molto diplomatico. Ma a terra, ehi! Eccolo che viene, a ingannare un paio d’ore con un sonnellino, e poi torna e va raccontare tutte le fandonie che s’inventa. Si nascondono. Entra Paroles [batte l’ora] PAROLES
Le dieci. In queste tre ore ci sarà tempo sufficiente per tornare a casa. Che dirò di avere fatto? Devo inventarmi una storia molto plausibile a supporto202. Cominciano a fiutarmi e negli ultimi tempi le disgrazie hanno bussato anche troppo spesso alla mia porta. Riconosco che la mia lingua è troppo sbrigliata, ma il mio cuore ha paura di Marte e delle sue creature e non osa fare quel che la lingua vanta! [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte) Questa è la prima verità di cui la tua lingua si sia mai resa colpevole. PAROLES
Cosa diavolo mi ha indotto a intraprendere la riconquista di questo tamburo, sapendo bene che era impossibile e che non ne avevo alcuna intenzione? Bisogna che mi procuri qualche ferita, e dica che me le sono inferte durante l’impresa. Però quelle leggere non funzionano. Diranno: ‘Te la sei cavata con così poco?’. E quelle grosse non oso infliggermele. Dunque, quale prova? Lingua, ti devo mettere in bocca a una pettegolaccia 203, e io me ne compro un’altra da un muto di Bajazeth204, se a forza di chiacchiere mi metti nei pasticci. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte) Ma è possibile? Questo qui sa chi è, ed è quel che è!
917
Shakespeare IV.indb 917
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 1
PAROLES I would the cutting of my garments would serve
the turn, or the breaking of my Spanish sword. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) We cannot afford you so. PAROLES Or the baring of my beard, and to say it was in
stratagem. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) ’Twould not do.
51
PAROLES Or to drown my clothes, and say I was stripped. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) Hardly serve. PAROLES Though I swore I leapt from the window of the
citadel?
55
[SECOND] LORD DUMAINE (aside) How deep? PAROLES Thirty fathom. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) Three great oaths would
scarce make that be believed.
59
PAROLES I would I had any drum of the enemy’s. I would
swear I recovered it. [SECOND] LORD DUMAINE (aside) You shall hear one anon. PAROLES A drum now of the enemy’s —
Alarum within. [The ambush rushes forth] [SECOND] LORD DUMAINE Throca movousus, cargo, cargo,
cargo.
65
[SOLDIERS] (severally) Cargo, cargo, cargo, villianda par corbo,
cargo. [They seize and blindfold him] PAROLES
O ransom, ransom, do not hide mine eyes.
918
Shakespeare IV.indb 918
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 1
PAROLES
Bastasse tagliarmi i vestiti, oppure rompere la mia spada spagnola! [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte)
Non puoi cavartela così. PAROLES
Oppure mi sbarbo, e dico che è uno stratagemma. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte)
Non funzionerebbe. PAROLES
Oppure affogo i miei vestiti, e dico che mi hanno spogliato. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte)
Difficile che serva. PAROLES
E se giurassi che mi sono lanciato giù dalla finestra della cittadella? [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte)
Che altezza? PAROLES
Trenta tese205. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte)
Tre solenni giuramenti lo farebbero a stento credere. PAROLES
Potessi avere un tamburo dal nemico. Giurerei di averlo riconquistato. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte) Ne sentirai presto uno! PAROLES
Ecco, un tamburo nemico… Allarme da dentro. [Le truppe in imboscata si precipitano avanti] [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Fraus, levt, movt, anda anda anda. [SOLDATI] (uno alla volta)
Anda anda, cra cra, chiapp ’l bisch erà, anda. [afferrano Paroles e gli bendano gli occhi] PAROLES
Riscatto! Riscatto! Non mi coprite gli occhi!
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Shakespeare IV.indb 919
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 1
INTERPRETER Boskos thromuldo boskos. PAROLES
I know you are the Moscows regiment, And I shall lose my life for want of language. If there be here German or Dane, Low Dutch, Italian, or French, let him speak to me, I’ll discover that which shall undo the Florentine. INTERPRETER Boskos vauvado. — I understand thee, and can speak thy tongue. — Kerelybonto. — Sir, Betake thee to thy faith, for seventeen poniards Are at thy bosom. PAROLES O! INTERPRETER O pray, pray, pray! — Manka revania dulche?
70
75
80
[SECOND] LORD DUMAINE
Oscorbidulchos volivorco. INTERPRETER
The general is content to spare thee yet, And, hoodwinked as thou art, will lead thee on To gather from thee. Haply thou mayst inform Something to save thy life. PAROLES O let me live, And all the secrets of our camp I’ll show, Their force, their purposes; nay, I’ll speak that Which you will wonder at. INTERPRETER But wilt thou faithfully?
85
PAROLES
If I do not, damn me. Acordo linta. — Come on, thou art granted space.
INTERPRETER
90
Exeunt all but [Second] Lord Dumaine and a Soldier A short alarum within
920
Shakespeare IV.indb 920
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 1
INTERPRETE
Posko troikul mosko. PAROLES
Capisco che siete del reggimento moscovita e che, non conoscendo la lingua, perderò la vita. Ma se qui c’è un tedesco o un danese, un olandese, un italiano o un francese, fatelo parlare con me: gli rivelerò cose che manderanno in rovina i fiorentini. INTERPRETE
Mosko bucaiado… Ti comprendo, so parlare la tua lingua… Agrullàn…206 Signore, affidati alle tue preghiere: hai diciassette pugnali al petto. PAROLES
Oh! INTERPRETE
Prega! Prega! Prega! Soc tossic dulce. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Dulcesalop favazigot. INTERPRETE
Al generale piace risparmiarti. E così bendato come sei207, vuole portarti via e interrogarti. Forse puoi dare informazioni per salvarti la vita. PAROLES
Oh, fatemi vivere e vi mostrerò tutti i segreti del nostro campo, le loro forze, i loro piani; sì, vi dirò cose che vi meraviglieranno. INTERPRETE
Ma sarai sincero? PAROLES
Che io sia dannato, se non lo sarò. INTERPRETE
Accordaffàr genau. Avanti, ti è accordato un rinvio. Escono tutti fuorché il [secondo] signore Dumaine e un soldato Breve allarme all’interno 921
Shakespeare IV.indb 921
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 2
[SECOND] LORD DUMAINE
Go tell the Count Roussillon and my brother We have caught the woodcock, and will keep him muffled Till we do hear from them. SOLDIER Captain, I will. [SECOND] LORD DUMAINE
A will betray us all unto ourselves. Inform on that. SOLDIER So I will, sir.
95
[SECOND] LORD DUMAINE
Till then I’ll keep him dark and safely locked. Exeunt severally 4.2
Enter Bertram and the maid called Diana
BERTRAM
They told me that your name was Fontibel. DIANA
No, my good lord, Diana. Titled goddess, And worth it, with addition. But, fair soul, In your fine frame hath love no quality? If the quick fire of youth light not your mind, You are no maiden but a monument. When you are dead you should be such a one As you are now, for you are cold and stern, And now you should be as your mother was When your sweet self was got. DIANA She then was honest. BERTRAM So should you be. DIANA No. My mother did but duty; such, my lord, As you owe to your wife. BERTRAM
5
10
922
Shakespeare IV.indb 922
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 2
[SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Andate a dire al conte di Rossiglione e a mio fratello che abbiamo catturato l’allocco e lo terremo avviluppato finché non ci mandano a dire qualcosa. SOLDATO
Sì, capitano. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Ci vuole tradire a noi stessi: informatelo. SOLDATO
Sissignore. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Intanto lo tengo al buio e sotto chiave. Escono uno per volta Entrano Bertram e la vergine di nome Diana208
IV, 2
BERTRAM
Mi hanno detto che vi chiamate Fontibel 209. DIANA
No, caro signore, Diana. BERTRAM
Nome di dea: ne siete degna, e di più. Anima splendida, non s’apprende l’amore alla vostra bella persona? Se il vivo fuoco delle giovinezza non vi accende l’animo, non siete una ragazza, ma un monumento. Quando sarete morta dovrete essere così come siete ora, fredda e rigida, mentre adesso dovreste essere come vostra madre fu quando concepì la dolce vostra essenza. DIANA
Lei allora fu onesta. BERTRAM
E così anche voi. DIANA
No. Mia madre non lo fece che per dovere. Quello, mio signore, di cui siete debitore a vostra moglie.
923
Shakespeare IV.indb 923
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 2
No more o’ that. I prithee do not strive against my vows. I was compelled to her, but I love thee By love’s own sweet constraint, and will for ever Do thee all rights of service. DIANA Ay, so you serve us Till we serve you. But when you have our roses, You barely leave our thorns to prick ourselves, And mock us with our bareness. BERTRAM How have I sworn! BERTRAM
15
20
DIANA
’Tis not the many oaths that makes the truth, But the plain single vow that is vowed true. What is not holy, that we swear not by, But take the high’st to witness; then pray you, tell me, If I should swear by Jove’s great attributes I loved you dearly, would you believe my oaths bj When I did love you ill? This has no holding, To swear by him whom I protest to love That I will work against him. Therefore your oaths Are words and poor conditions but unsealed, At least in my opinion. BERTRAM Change it, change it. Be not so holy-cruel. Love is holy, And my integrity ne’er knew the crafts That you do charge men with. Stand no more off, But give thyself unto my sick desires, Who then recovers. Say thou art mine, and ever My love as it begins shall so persever.
26
30
35
27. Jove’s: così in F; nell’ed. Cambridge è God’s, che non rispetterebbe il veto del 1606; Love’s è emendamento Johnson, ma sarebbe grammaticalmente incoerente con l’uso di him al verso 30 e meno comprensibile sul piano logico, tanto più che il giuramento su Giove non è infrequente nell’opera shakespeariana. 924
Shakespeare IV.indb 924
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 2
BERTRAM
Basta così. Vi prego di non contrastare le intenzioni a cui mi sono votato. A lei mi hanno costretto, ma è te che amo per la dolce coercizione dell’amore, e di te per sempre sarò servitore. DIANA
Sì, ci servite finché noi vi serviamo. Quando avete le nostre rose, non ci lasciate che le nude spine per pungerci e per deridere la nostra nudità. BERTRAM
Ma ho giurato! DIANA
Non sono i molti giuramenti a fare la verità, ma il semplice, unico voto pronunciato con sincerità. Su ciò che non è sacro non dobbiamo giurare, ma chiamare a testimone l’Altissimo. Allora vi prego, ditemi, se pure giurassi sul grande potere di Giove210 di amarvi molto, credereste ai miei giuramenti quand’anche il mio amore fosse corrotto? Non vale nulla giurare su chi affermo solennemente di amare, se agisco contro di lui. Perciò i tuoi giuramenti sono parole e povere clausole, non suggellate. Almeno, questa è la mia opinione. BERTRAM
Cambiala, cambiala. Non essere così santa e crudele. Santo è l’amore. E la mia integrità mai ha conosciuto quelle astuzie di cui tu accusi gli uomini. Non opporre più resistenza, ma concediti ai miei desideri malinconici 211, e così mi guarirai. Di’ che sei mia, e il mio amore persevererà sempre così come è cominciato.
925
Shakespeare IV.indb 925
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 2
DIANA
I see that men make toys e’en such a surance bk That we’ll forsake ourselves. Give me that ring.
40
BERTRAM
I’ll lend it thee, my dear, but have no power To give it from me. DIANA Will you not, my lord? BERTRAM
It is an honour ’longing to our house, Bequeathèd down from many ancestors, Which were the greatest obloquy i’th’ world In me to lose. DIANA Mine honour’s such a ring. My chastity’s the jewel of our house, Bequeathèd down from many ancestors, Which were the greatest obloquy i’th’ world In me to lose. Thus your own proper wisdom Brings in the champion Honour on my part Against your vain assault. BERTRAM Here, take my ring. My house, mine honour, yea my life be thine, And I’ll be bid by thee.
45
50
DIANA
When midnight comes, knock at my chamber window. I’ll order take my mother shall not hear. Now will I charge you in the bond of truth, When you have conquered my yet maiden bed, Remain there but an hour, nor speak to me — My reasons are most strong, and you shall know them When back again this ring shall be delivered — And on your finger in the night I’ll put Another ring that, what in time proceeds,
56
61
39. Make toys e’en such a surance: emend. Taylor; in F è make rope’s in such a scarre = “ci prendono a tradimento” (?) Questa è comunque una delle più evidenti cruces del dramma, un passo che potrebbe essere corrotto o comunque difficilmente emandabile perché poco congruo con il contesto. 926
Shakespeare IV.indb 926
30/11/2018 09:32:45
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 2
DIANA
Vedo che gli uomini si baloccano perfino di quella garanzia sulla quale noi ci concediamo. Datemi quell’anello. BERTRAM
Te lo impresterò, mia cara, ma non posso separarmene. DIANA
Non me lo darete, mio signore? BERTRAM
È l’onore della nostra casata, lasciato in eredità da molti antenati, e sarebbe la più grande infamia del mondo per me perderlo. DIANA
Il mio onore è tale quale questo anello. La mia castità è il gioiello della nostra casata, lasciato in eredità dalla molte antenate, e sarebbe la più grande infamia del mondo per me perderla. Così è la vostra stessa saggezza a fare di Onore il campione dalla mia parte contro il vostro vano assalto212. BERTRAM
Ecco, prendi il mio anello. La mia casa, il mio onore, sì, e anche la mia vita saranno tuoi. Farò quel che mi comanderai. DIANA
Quando viene la mezzanotte, bussate alla finestra della mia camera. Farò in modo che mia madre non senta. Ora vi impongo un vincolo di sincerità: quando avrete conquistato il mio letto già verginale, non restate che un’ora e non rivolgetemi la parola. Serissime sono le mie ragioni e le conoscerete quando vi sarà restituito questo anello. Al vostro dito, di notte, metterò un altro anello che, qualsiasi cosa avvenga nel tempo, rappresenti per il futuro il pegno
927
Shakespeare IV.indb 927
30/11/2018 09:32:45
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
May token to the future our past deeds. Adieu till then; then, fail not. You have won A wife of me, though there my hope be done.
65
BERTRAM
A heaven on earth I have won by wooing thee. DIANA
For which live long to thank both heaven and me. You may so in the end. [Exit Bertram] bl My mother told me just how he would woo, As if she sat in’s heart. She says all men Have the like oaths. He had sworn to marry me When his wife’s dead; therefore I’ll lie with him When I am buried. Since Frenchmen are so braid, Marry that will; I live and die a maid. Only, in this disguise I think’t no sin To cozen him that would unjustly win. Exit 4.3
70
75
Enter the two Captains Dumaine and some two or three soldiers
FIRST LORD DUMAINE You have not given him his mother’s
letter? SECOND LORD DUMAINE I have delivered it an hour since.
There is something in’t that stings his nature, for on the reading it he changed almost into another man. FIRST LORD DUMAINE He has much worthy blame laid upon him for shaking off so good a wife and so sweet a lady. SECOND LORD DUMAINE Especially he hath incurred the everlasting displeasure of the King, who had even tuned his bounty to sing happiness to him. I will tell you a thing, but you shall let it dwell darkly with you. FIRST LORD DUMAINE When you have spoken it ’tis dead, and I am the grave of it.
8
14
69. [Exit Bertram]: non in F. 928
Shakespeare IV.indb 928
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
delle nostre azioni passate213. Fino ad allora, addio. Dunque non mancate. Vi siete guadagnato una moglie con me, benché in ciò la mia speranza sia fallita. BERTRAM
Un cielo in terra ho conquistato, conquistando te. DIANA
Perciò vivi a lungo per ringraziare il cielo e me. E così fi nirà. [Esce Bertram] Mia madre mi aveva detto esattamente come mi avrebbe corteggiata, come se fossi al centro del suo cuore. Dice che tutti gli uomini fanno gli stessi giuramenti. Ha giurato di sposarmi alla morte della moglie: dunque giacerò con lui nella tomba. Poiché i francesi sono così bugiardi, si sposi chi vuole. Io vivrò e morirò vergine. Soltanto, in questa messinscena penso che non vi sia colpa nell’ingannare chi con la frode avrebbe vinto214. Esce IV, 3
Entrano i due capitani Dumaine e due o tre soldati215
PRIMO SIGNORE DUMAINE
Non gli avete dato la lettera di sua madre? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Gliel’ho consegnata un’ora fa. C’è qualcosa, in essa, che ha punto il suo animo, perché nel leggerla è diventato un altro uomo. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Merita di essere molto biasimato per avere ripudiato una moglie così buona e una signora così dolce. SECONDO SIGNORE DUMAINE
E soprattutto è incorso nel perpetuo sfavore del re, che ha accordato ogni propria munificenza alla sua felicità. Vi dirò una cosa, ma dovrete tenerla per voi, segreta. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Quando me l’avrete detta sarà morta, e io sarò la sua tomba.
929
Shakespeare IV.indb 929
30/11/2018 09:32:45
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
SECOND LORD DUMAINE He hath perverted a young gentlewoman
here in Florence of a most chaste renown, and this night he fleshes his will in the spoil of her honour. He hath given her his monumental ring, and thinks himself made in the unchaste composition. FIRST LORD DUMAINE Now God delay our rebellion! As we are ourselves, what things are we. SECOND LORD DUMAINE Merely our own traitors. And as in the common course of all treasons we still see them reveal themselves till they attain to their abhorred ends, so he that in this action contrives against his own nobility, in his proper stream o’erflows himself. FIRST LORD DUMAINE Is it not meant damnable in us to be trumpeters of our unlawful intents? We shall not then have his company tonight? SECOND LORD DUMAINE Not till after midnight, for he is dieted to his hour. FIRST LORD DUMAINE That approaches apace. I would gladly have him see his company anatomized, that he might take a measure of his own judgements, wherein so curiously he had set this counterfeit. SECOND LORD DUMAINE We will not meddle with him till he come, for his presence must be the whip of the other. FIRST LORD DUMAINE In the mean time, what hear you of these wars? SECOND LORD DUMAINE I hear there is an overture of peace. FIRST LORD DUMAINE Nay, I assure you, a peace concluded. SECOND LORD DUMAINE What will Count Roussillon do then? Will he travel higher, or return again into France? FIRST LORD DUMAINE I perceive by this demand you are not altogether of his council.
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Shakespeare IV.indb 930
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
SECONDO SIGNORE DUMAINE
Ha sedotto una giovane gentildonna, qui a Firenze, nota per essere castissima, e questa notte attizzerà la sua voglia per depredarne l’onore. Le ha dato il suo anello di famiglia, e si ritiene sistemato in virtù di questo sconcio contratto. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Che Dio scongiuri in noi tali appetiti ribelli!216 Che cosa non siamo, quando siamo lasciati a noi stessi! SECONDO SIGNORE DUMAINE
Semplicemente traditori di noi stessi. E come di consueto nel corso di tutti i tradimenti vediamo i traditori svelarsi nel raggiungere i loro ripugnanti scopi, così lui, che in questa azione tradisce la propria nobiltà, sarà travolto dalla piena della sua stessa corrente. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Non è esecrabile che ci si faccia araldi dei propri intenti illegittimi? Allora stasera non saremo in sua compagnia? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Non prima di mezzanotte, perché gli è stato razionato il tempo. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Si sta avvicinando. Mi piacerebbe che vedesse il suo compagno fatto a pezzi, per potere misurare il suo giudizio, dove con tanta cura 217 ha incastonato questa pietra falsa218. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Non ci occuperemo di loro finché non saranno insieme, così la presenza dell’uno sarà la sferza dell’altro. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Nel frattempo, che notizie avete di queste guerre? SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sento che c’è una prospettiva di pace. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Altroché. Vi assicuro, la pace è conclusa. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Che farà, allora, il conte di Rossiglione? Viaggerà ancora o tornerà in Francia? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Mi pare di intendere, da questa domanda, che non siate molto informato dei suoi progetti. 931
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
SECOND LORD DUMAINE Let it be forbid, sir; so should I be
a great deal of his act. FIRST LORD DUMAINE Sir, his wife some two months since
fled from his house. Her pretence is a pilgrimage to Saint Jaques le Grand, which holy undertaking with most austere sanctimony she accomplished, and there residing, the tenderness of her nature became as a prey to her grief: in fine, made a groan of her last breath, and now she sings in heaven. SECOND LORD DUMAINE How is this justified? FIRST LORD DUMAINE The stronger part of it by her own letters, which makes her story true even to the point of her death. Her death itself, which could not be her office to say is come, was faithfully confirmed by the rector of the place. SECOND LORD DUMAINE Hath the Count all this intelligence? FIRST LORD DUMAINE Ay, and the particular confirmations, point from point, to the full arming of the verity. SECOND LORD DUMAINE I am heartily sorry that he’ll be glad of this. FIRST LORD DUMAINE How mightily sometimes we make us comforts of our losses. SECOND LORD DUMAINE And how mightily some other times we drown our gain in tears. The great dignity that his valour hath here acquired for him shall at home be encountered with a shame as ample. FIRST LORD DUMAINE The web of our life is of a mingled yarn, good and ill together. Our virtues would be proud if our faults whipped them not, and our crimes would despair if they were not cherished by our virtues.
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Enter a Servant How now? Where’s your master?
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
SECONDO SIGNORE DUMAINE
Dio non voglia, signore. Vorrebbe dire che sono complice delle sue azioni. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Signore, sua moglie due mesi fa se n’è andata di casa, allo scopo di recarsi in pellegrinaggio a Saint Jacques le Grand, santa impresa che compì con la più austera sacralità. Mentre era là, la sua tenera natura divenne preda del dolore: insomma, esalò in lamento il suo ultimo respiro, e ora canta in Cielo. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Come lo si può dimostrare? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Per la maggior parte dalle sue lettere, che attestano la verità della storia fino al momento della morte. E la morte stessa, che non poteva essere compito suo annunciare, fu in fede confermata dal rettore del luogo. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Il conte ha avuto queste informazioni? PRIMO SIGNORE DUMAINE
Certo, ed ebbe le specifiche conferme, punto per punto, a rafforzare completamente la verità. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sono desolato, di cuore, che ne sia felice. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Con quanto vigore, talvolta, ricaviamo conforto dalle nostre perdite! SECONDO SIGNORE DUMAINE
E con quanto vigore, altre volte, anneghiamo il nostro bene tra le lacrime! Al grande onore che il suo valore, gli ha qui procurato, corrisponderà in patria altrettanta vergogna. PRIMO SIGNORE DUMAINE
La trama della nostra vita è di tessuto misto, buono e cattivo insieme. Le nostre virtù ci porterebbero alla superbia, se i nostri difetti non le schernissero; i nostri delitti ci condurrebbero alla disperazione, se le virtù non li confortassero. Entra un servitore Allora? Dov’è il tuo padrone? 933
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
SERVANT He met the Duke in the street, sir, of whom he
hath taken a solemn leave. His lordship will next morning for France. The Duke hath offered him letters of commendations to the King. SECOND LORD DUMAINE They shall be no more than needful there, if they were more than they can commend.
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Enter Bertram [FIRST LORD DUMAINE] They cannot be too sweet for the
King’s tartness. Here’s his lordship now. How now, my lord, is’t not after midnight? BERTRAM I have tonight dispatched sixteen businesses, a month’s length apiece. By an abstract of success: I have congéd with the Duke, done my adieu with his nearest, buried a wife, mourned for her, writ to my lady mother I am returning, entertained my convoy, and between these main parcels of dispatch affected many nicer needs. The last was the greatest, but that I have not ended yet. SECOND LORD DUMAINE If the business be of any difficulty, and this morning your departure hence, it requires haste of your lordship. BERTRAM I mean the business is not ended, as fearing to hear of it hereafter. But shall we have this dialogue between the Fool and the Soldier? Come, bring forth this counterfeit model, has deceived me like a doublemeaning prophesier. SECOND LORD DUMAINE Bring him forth. Exit one or more He’s sat i’th’ stocks all night, poor gallant knave. BERTRAM No matter, his heels have deserved it in usurping his spurs so long. How does he carry himself?
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93. Affected: così in F1 e nell’ed. Oxford; in F3 è effected = “portare a termine”, accolto dalla maggior parte degli editori e delle traduzioni italiane. L’ed. Oxford spiega la preferenza per affected in relazione a needs dando al verbo il senso di seek the attainment of = “cercare il conseguimento di”, e nel doppio senso di taint, infect = “contaminare”, giustificato dall’allusione alla conquista di Diana. 934
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
SERVITORE
Ha incontrato il duca per strada, signore, e si è congedato da lui ufficialmente. Sua signoria partirà domani per la Francia. Il duca gli ha offerto lettere di raccomandazione per il re. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Saranno più che utili, là, se lo raccomanderanno più di quanto non meriti 219. Entra Bertram [PRIMO SIGNORE DUMAINE]
Non saranno mai abbastanza dolci per l’amarezza del re. Ecco sua signoria. Allora, signore? Non è passata mezzanotte? BERTRAM
Questa notte ho sistemato sedici affari, faccende da un mese l’una. Le mie imprese per sommi capi: mi sono congedato dal duca e dato l’addio ai suoi parenti prossimi, ho seppellito una moglie e l’ho compianta, ho scritto alla signora mia madre che sarei tornato, ho provveduto alla mia scorta e, in mezzo a queste attività principali, ho portato a termine altre cosucce più delicate. L’ultima è stata la più importante, ma non è ancora finita 220. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Se si tratta di un affare di una certa serietà e questa mattina volete partire, bisognerà che vossignoria faccia in fretta. BERTRAM
Intendo che l’affare non è finito perché temo di sentirne parlare ancora in futuro. Ma non vogliamo ascoltare questo dialogo tra il Matto e il Soldato? Avanti, fate entrare questo impostore modello, che mi ha ingannato come un oracolo infido. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Portatelo qui. Escono uno o due È stato in ceppi tutta la notte, povera prode canaglia. BERTRAM
Che importa? I suoi calcagni se lo sono meritato per avere usurpato gli speroni così a lungo221. Come si porta?222
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
SECOND LORD DUMAINE I have told your lordship already,
the stocks carry him. But to answer you as you would be understood, he weeps like a wench that had shed her milk. He hath confessed himself to Morgan, whom he supposes to be a friar, from the time of his remembrance to this very instant disaster of his setting i’th’ stocks. And what think you he hath confessed? BERTRAM Nothing of me, has a? SECOND LORD DUMAINE His confession is taken, and it shall be read to his face. If your lordship be in’t, as I believe you are, you must have the patience to hear it.
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Enter Paroles [guarded and] blindfolded, with the Interpreter BERTRAM A
plague upon him! Muffled! He can say nothing of me. [FIRST LORD DUMAINE] (aside to Bertram) Hush, hush. [SECOND] LORD DUMAINE (aside to Bertram) Hoodman comes. (Aloud) Porto tartarossa. bn INTERPRETER (to Paroles) He calls for the tortures. What will you say without ’em? PAROLES I will confess what I know without constraint. If ye pinch me like a pasty I can say no more. INTERPRETER Bosko chimurcho. [SECOND] LORD DUMAINE Boblibindo chicurmurco. INTERPRETER You are a merciful general. — Our general bids you answer to what I shall ask you out of a note. PAROLES And truly, as I hope to live.
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123. Porto tartarossa: in F è portotartarossa. La scelta Oxford deriva dalla necessità di rendere più chiaro il significato allusivo al Tartato. 936
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
SECONDO SIGNORE DUMAINE
Sono i ceppi a portarlo, l’ho già detto a vossignoria. Ma per rispondere a ciò che intendevate, si comporta come una fanciulla che ha versato il latte. Si è confessato a Morgan, che crede un frate, raccontando a cominciare dal tempo a cui risale la sua memoria fino all’attuale disgrazia dei ceppi. E che cosa pensate che abbia confessato? BERTRAM
Niente che mi riguardi, no? SECONDO SIGNORE DUMAINE
La confessione è rilasciata, e sarà riletta al vostro cospetto. Se vossignoria vi è menzionata, come credo che sia, dovete avere la pazienza di ascoltarla. Entra Paroles [sorvegliato e] bendato con l’interprete BERTRAM
Peste lo colga! Bendato! Di me non può dire nulla. [PRIMO SIGNORE DUMAINE] (a parte, a Bertram) Ssst! Silenzio! [SECONDO] SIGNORE DUMAINE (a parte, a Bertram) Arriva l’incappucciato. (A voce alta). Porto tartarossa. INTERPRETE (a Paroles) Annuncia le torture. Che avete da dire prima che arrivino? PAROLES
Confesserò quel che so senza violenza. Se mi pizzicherete come un tortello, non dirò più nulla. INTERPRETE
Mosko chimurgo. [SECONDO] SIGNORE DUMAINE
Babalindo curcumurco. INTERPRETE
Siete un generale clemente. Il nostro generale vi ordina di rispondere a una lista di domande scritte. PAROLES
E dirò il vero, siccome spero di vivere. 937
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
INTERPRETER [reads] ‘First demand of him how many horse
the Duke is strong.’ — What say you to that? or six thousand, but very weak and unserviceable. The troops are all scattered and the commanders very poor rogues, upon my reputation and credit, and as I hope to live. INTERPRETER Shall I set down your answer so? PAROLES Do. I’ll take the sacrament on’t, how and which way you will. [FIRST LORD DUMAINE] (aside) All’s one to him. bo BERTRAM (aside) What a past-saving slave is this! FIRST LORD DUMAINE (aside) You’re deceived, my lord. This is Monsieur Paroles, the ‘gallant militarist’ — that was his own phrase — that had the whole theoric of war in the knot of his scarf, and the practice in the chape of his dagger. SECOND LORD DUMAINE (aside) I will never trust a man again for keeping his sword clean, nor believe he can have everything in him by wearing his apparel neatly. INTERPRETER (to Paroles) Well, that’s set down. PAROLES ‘Five or six thousand horse,’ I said — I will say true — ‘or thereabouts’ set down, for I’ll speak truth. FIRST LORD DUMAINE (aside) He’s very near the truth in this. BERTRAM (aside) But I con him no thanks for’t in the nature he delivers it. PAROLES ‘Poor rogues’, I pray you say. INTERPRETER Well, that’s set down. PAROLES Five
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142. [FIRST LORD DUMAINE]: attribuzione dell’ed. Oxford; non in F. 157. For’t = for it. 938
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
INTERPRETE [legge]
‘Primo: domandategli di quanti cavalieri disponga il duca’. Che rispondete? PAROLES
Cinque o seimila, ma molto deboli e inutilizzabili. Le truppe sono tutte disperse e i comandanti dei poveri diavolacci. Giuro sul mio credito e sulla mia reputazione, siccome spero di vivere. INTERPRETE
Posso trascrivere la vostra risposta? PAROLES
Sì. Giuro sul sacramento, come e quale vogliate. [PRIMO SIGNORE DUMAINE] (a parte) Per lui è tutto uguale! BERTRAM (a parte) Ma che farabutto irrecuperabile è costui! PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) Vi sbagliate, mio signore! Questo è Monsieur Paroles, il ‘valoroso stratega’223 – l’espressione è la sua – quello che aveva tutta la teoria bellica nel nodo della sciarpa, e tutta la pratica nel fodero del pugnale. SECONDO SIGNORE DUMAINE (a parte) Non mi fiderò mai più di un uomo perché ha la spada lucidata, né darò credito a qualcuno perché è tutto agghindato. INTERPRETE (a Paroles) Bene, questo l’ho scritto. PAROLES
‘Cinque o seimila cavalli’, ho detto. Ma a essere precisi, scrivete ‘o circa’, siccome voglio dir la verità. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) In questo è quasi sincero. BERTRAM (a parte) Ma non c’è da ringraziarlo, per la natura di chi parla. PAROLES
‘Povere canaglie!’: vi prego di riferirlo. INTERPRETE
Sì, già scritto.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
PAROLES I humbly thank you, sir. A truth’s a truth. The
rogues are marvellous poor. INTERPRETER [reads] ‘Demand of him of what strength they
are a-foot.’ — What say you to that? PAROLES By my troth, sir, if I were to die this present
hour, I will tell true. Let me see, Spurio a hundred and fifty; Sebastian so many; Corambus so many; Jaques so many; Guillaume, Cosmo, Lodowick, and Gratii, two hundred fifty each; mine own company, Chitopher, Vaumond, Bentii, two hundred fifty each. So that the muster file, rotten and sound, upon my life amounts not to fifteen thousand poll, half of the which dare not shake the snow from off their cassocks lest they shake themselves to pieces. BERTRAM (aside) What shall be done to him? FIRST LORD DUMAINE (aside) Nothing, but let him have thanks. (To Interpreter) Demand of him my condition, and what credit I have with the Duke. INTERPRETER (to Paroles) Well, that’s set down. [Reads] ‘You shall demand of him, whether one Captain Dumaine be i’th’ camp, a Frenchman; what his reputation is with the Duke; what his valour, honesty, and expertness in wars; or whether he thinks it were not possible with well-weighing sums of gold to corrupt him to a revolt.’ — What say you to this? What do you know of it? PAROLES I beseech you let me answer to the particular of the inter’gatories. Demand them singly. INTERPRETER Do you know this Captain Dumaine? PAROLES I know him. A was a botcher’s prentice in Paris, from whence he was whipped for getting the sheriff’s fool with child — a dumb innocent that could not say him nay.
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165. Die: in F è live = “vivere”. 940
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
PAROLES
Vi ringrazio umilmente, signore. Quel che è vero è vero: quelle canaglie sono straordinariamente povere. INTERPRETE [legge] ‘Domandategli la forza della loro fanteria’. Che dici su questo? PAROLES
In fede, signore, se dovessi morire in questo momento, vi direi la verità. Vediamo: Spurio centocinquanta; Sebastiano altrettanti; Corambo altrettanti; Jaques altrettanti; Guillaume, Cosmo, Lodovico e Grazi duecentocinquanta ciascuno; la mia compagnia, Citofer, Vaumond, Benzi, duecentocinquanta ciascuno. Sicché la stima totale, tra sani e malati, giuro sulla mia vita che non arriva al numero di quindicimila teste, metà delle quali non osano neanche scrollarsi la neve dalle loro divise, per paura di crollare essi stessi a pezzettini. BERTRAM (a parte) Che si fa di costui? PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) Niente, ma gli diciamo grazie. (All’interprete) Chiedigli del mio ruolo224, e di quale credito godo presso il duca. INTERPRETE (a Paroles) Sì, questo l’ho scritto. [Legge] ‘Domandategli se un certo capitano Dumaine, un francese, è nel loro campo; di quale reputazione goda presso il duca; quale siano il suo valore, l’onestà, la pratica di guerra; e se pensa che sia possibile corromperlo, con consistenti somme di denaro, perché si ribelli’. Che ne dite? Cosa sapete a tale proposito? PAROLES
Vi prego, consentitemi di rispondere a ogni singola domanda. Ponetemi una domanda per volta. INTERPRETE
Conoscete questo capitano Dumaine? PAROLES
Certo che lo conosco. Era apprendista di un rattoppatore225 a Parigi, da dove fu scacciato per avere messo incinta una scemotta che lo sceriffo aveva posto sotto la sua tutela – una povera mutina innocente che non poteva dirgli di no. 941
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
BERTRAM (aside to First Lord Dumaine) Nay, by your leave,
hold your hands, though I know his brains are forfeit to the next tile that falls. INTERPRETER Well, is this captain in the Duke of Florence’s camp? PAROLES Upon my knowledge he is, and lousy. FIRST LORD DUMAINE (aside) Nay, look not so upon me: we shall hear of your lordship anon. INTERPRETER What is his reputation with the Duke? PAROLES The Duke knows him for no other but a poor officer of mine, and writ to me this other day to turn him out o’th’ band. I think I have his letter in my pocket. INTERPRETER Marry, we’ll search. PAROLES In good sadness, I do not know. Either it is there, or it is upon a file with the Duke’s other letters in my tent. INTERPRETER Here ’tis, here’s a paper. Shall I read it to you? PAROLES I do not know if it be it or no. BERTRAM (aside) Our interpreter does it well. FIRST LORD DUMAINE (aside) Excellently. INTERPRETER (reads the letter) ‘Dian, the Count’s a fool, and full of gold.’ PAROLES That is not the Duke’s letter, sir. That is an advertisement to a proper maid in Florence, one Diana, to take heed of the allurement of one Count Roussillon, a foolish idle boy, but for all that very ruttish. I pray you, sir, put it up again. INTERPRETER Nay, I’ll read it first, by your favour.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
BERTRAM (a parte, al primo signore Dumaine)
No no, per favore, fermatevi, la tegola gli sta per arrivare in testa. INTERPRETE
Bene. E questo capitano è tra le truppe del duca di Firenze? PAROLES
Per quel che ne so, sì, ed è pulcioso. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte)
No, non guardatemi così: presto sentiremo anche di voi. INTERPRETE
Qual è la sua reputazione presso il duca? PAROLES
Il duca non lo considera altrimenti che un mio povero subordinato. L’altro giorno mi ha scritto di farlo fuori dalla compagnia. Penso di avere la sua lettera in tasca. INTERPRETE
Per la miseria, allora la cercheremo. PAROLES
In tutta serietà, non so dov’è. O è lì, o è in un archivio con le altre lettere del duca nella mia tenda. INTERPRETE
Eccola, c’è una carta. Devo leggervela? PAROLES
Non so se sia quella o no. BERTRAM (a parte) Il nostro interprete sta facendo un buon lavoro. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) Eccellente. INTERPRETE (legge la lettera) ‘Diana, il conte è un matto, ed è pieno d’oro’. PAROLES
Questa non è la lettera del duca, signore. È un avvertimento a una brava ragazza di Firenze, una certa Diana, ché si guardi dalle lusinghe di un certo conte di Rossiglione, un ragazzetto sciocco e perdigiorno, sempre in calore. Signore, vi prego, mettetela via. INTERPRETE
Con il vostro permesso, prima la leggerò.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
PAROLES My meaning in’t, I protest, was very honest in
the behalf of the maid, for I knew the young Count to be a dangerous and lascivious boy, who is a whale to virginity, and devours up all the fry it finds. BERTRAM (aside) Damnable both-sides rogue. INTERPRETER (reads) ‘When he swears oaths, bid him drop gold, and take it. After he scores he never pays the score. Half-won is match well made; match, and well make it. He ne’er pays after-debts, take it before. And say a soldier, Dian, told thee this: Men are to mell with, boys are not to kiss. For count of this, the Count’s a fool, I know it, Who pays before, but not when he does owe it. Thine, as he vowed to thee in thine ear, Paroles.’ BERTRAM (aside) He shall be whipped through the army with this rhyme in’s forehead. SECOND LORD DUMAINE (aside) This is your devoted friend, sir, the manifold linguist and the armipotent soldier. BERTRAM (aside) I could endure anything before but a cat, and now he’s a cat to me. INTERPRETER I perceive, sir, by the general’s looks, we shall be fain to hang you. PAROLES My life, sir, in any case! Not that I am afraid to die, but that, my offences being many, I would repent out the remainder of nature. Let me live, sir, in a dungeon, i’th’ stocks, or anywhere, so I may live.
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
PAROLES
La mia intenzione nei confronti della ragazza, protesto, era onestissima, perché sapevo che il conte è un giovane pericoloso e lascivo, una balena avida di vergini, che divora tutti i pescetti che trova. BERTRAM (a parte) Canaglia! Dannato doppiogiochista! INTERPRETE (legge) ‘Quando giura giuramenti, chiedigli oro sonante e prendi il contante. Una volta appagato, non paga il dovuto. Hai già vinto se vinci a metà: ti è andata bene. Pretendi l’anticipo: i debiti mai li pagherà. E digli, Diana, che un soldato questo ti ha detto: con gli uomini mischiarsi, coi ragazzetti neanche baciarsi. E il conte, tieni conto226, non è che un matto, lo so ben io, che paga prima, non come i debiti suoi! Tuo, come ti ha giurato all’orecchio, Paroles’. BERTRAM (a parte) Sarà frustato davanti a tutto l’esercito, con la sua bella cantilena in fronte227. SECONDO SIGNORE DUMAINE (a parte) Ecco qui il vostro amico devoto, signore, linguista poliglotta e soldato armipotente. BERTRAM (a parte) Se c’è un animale che non sopporto è il gatto; e ora lui per me è un gatto. INTERPRETE
Signore, dalle occhiate del nostro generale, mi pare di capire che ci toccherà impiccarvi. PAROLES
La mia vita, signore, purchessia! Non che abbia paura di morire, ma tante sono le mie colpe e il tempo che la natura mi concede ancora vorrei passarlo a pentirmi. Fatemi vivere, signore, in prigione, ai ceppi, dove volete, purché io possa vivere!228
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
INTERPRETER We’ll see what may be done, so you confess
freely. Therefore once more to this Captain Dumaine. You have answered to his reputation with the Duke, and to his valour. What is his honesty? PAROLES He will steal, sir, an egg out of a cloister. For rapes and ravishments he parallels Nessus. He professes not keeping of oaths; in breaking ’em he is stronger than Hercules. He will lie, sir, with such volubility that you would think truth were a fool. Drunkenness is his best virtue, for he will be swine-drunk, and in his sleep he does little harm, save to his bedclothes; but they about him know his conditions, and lay him in straw. I have but little more to say, sir, of his honesty. He has everything that an honest man should not have; what an honest man should have, he has nothing. FIRST LORD DUMAINE (aside) I begin to love him for this. BERTRAM (aside) For this description of thine honesty? A pox upon him! For me, he’s more and more a cat. INTERPRETER What say you to his expertness in war? PAROLES Faith, sir, he’s led the drum before the English tragedians. To belie him I will not, and more of his soldiership I know not, except in that country he had the honour to be the officer at a place there called Mile End, to instruct for the doubling of files. I would do the man what honour I can, but of this I am not certain. FIRST LORD DUMAINE (aside) He hath out-villained villainy so far that the rarity redeems him. BERTRAM (aside) A pox on him! He’s a cat still. INTERPRETER His qualities being at this poor price, I need not to ask you if gold will corrupt him to revolt.
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260. Bedclothes; but they about him: in F è bedclothes about him:, ma questa edizione (seguendo l’emend. di Watkiss Lyod) considera about him ridondante e lo elimina. 946
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
INTERPRETE
Vedremo quel che potremo fare, purché confessiate tutto. Dunque torniamo al capitano Dumaine. Avete risposto sulla sua reputazione presso il duca, e sul suo valore. E sulla sua onestà? PAROLES
Signore, sarebbe capace di rubare un uovo in un convento. Per stupri e violenze sta al pari a Nesso229. Si vanta di non mantenere i giuramenti. Nel romperli è più forte di Ercole. È così volubile nel mentire da fare passare la verità per follia. La sua migliore virtù è quella di ubriacarsi: si ubriaca come un porco, ma mentre dorme non fa danno, fuorché alle lenzuola. Però tutti lo sanno e lo fanno dormire sulla paglia. Mi resta poco da dire, signore, sulla sua onestà. Ha tutto ciò che un uomo onesto non dovrebbe avere; e non ha nulla di ciò che un uomo onesto dovrebbe avere. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) Comincio ad amarlo. BERTRAM (a parte) Per questa descrizione della tua onestà? Che gli venga la sifilide! Per me è sempre più un gatto. INTERPRETE
Che ne dite della sua esperienza in guerra? PAROLES
A dire il vero, signore, il tamburo l’ha portato davanti agli attori tragici inglesi 230. Ma non voglio fargli torto, e altro non conosco della sua arte bellica, eccetto che ebbe l’onore di fare l’ufficiale in quel paese chiamato Mile End 231, dove istruiva a mettersi in fila per due. Vorrei rendere tutto l’onore possibile a quest’uomo, ma neppure di ciò sono proprio certo. PRIMO SIGNORE DUMAINE (a parte) Ha raggiunto un tale grado di malignità che l’originalità lo riscatta. BERTRAM (a parte) Che gli venga la sifi lide! Un gatto resta. INTERPRETE
Le sue qualità costano poco. Non ho bisogno di chiedervi se l’oro non ne corrompe la lealtà.
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Shakespeare IV.indb 947
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
PAROLES Sir, for a quart d’écu he will sell the fee-simple of
his salvation, the inheritance of it, and cut th’entail from all remainders, and a perpetual succession for it perpetually. INTERPRETER What’s his brother, the other Captain Dumaine? SECOND LORD DUMAINE (aside) Why does he ask him of me? INTERPRETER What’s he? PAROLES E’en a crow o’th’ same nest. Not altogether so great as the first in goodness, but greater a great deal in evil. He excels his brother for a coward, yet his brother is reputed one of the best that is. In a retreat he outruns any lackey; marry, in coming on he has the cramp. INTERPRETER If your life be saved will you undertake to betray the Florentine? PAROLES Ay, and the captain of his horse, Count Roussillon. INTERPRETER I’ll whisper with the general and know his pleasure. PAROLES I’ll no more drumming. A plague of all drums! Only to seem to deserve well, and to beguile the supposition of that lascivious young boy, the Count, have I run into this danger. Yet who would have suspected an ambush where I was taken? INTERPRETER There is no remedy, sir, but you must die. The general says you that have so traitorously discovered the secrets of your army, and made such pestiferous reports of men very nobly held, can serve the world for no honest use; therefore you must die. — Come, headsman, off with his head. PAROLES O Lord, sir! — Let me live, or let me see my death!
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
PAROLES
Signore, per un quart d’écu venderebbe la garanzia della propria salvezza e quella dei suoi eredi, e farebbe fuori ogni clausola di usufrutto per tutti i secoli dei secoli. INTERPRETE
E com’è suo fratello, l’altro capitano Dumaine? SECONDO SIGNORE DUMAINE (a parte)
Perché gli chiede di me? INTERPRETE
Com’è? PAROLES
Un corvo della stessa nidiata. Non grande come il primo nel bene, ma di gran lunga più grande nel male. Rispetto al fratello eccelle in codardia, benché suo fratello in viltà sia considerato tra i più avanzati. Nel correre in ritirata supera ogni lacché, ma, per la miseria, nel marciare gli vengono i crampi. INTERPRETE
Se avrete salva la vita, vi impegnate a tradire i fiorentini? PAROLES
Certo, e anche il capitano della loro cavalleria, il conte di Rossiglione. INTERPRETE
Una parola all’orecchio del generale, per conoscere il suo piacere. PAROLES
Mai più suonerò il tamburo. Che gli venga la peste a tutti i tamburi! Solo per fare bella figura con quel ragazzetto infoiato del conte, per ingraziarmi i suoi favori, ho corso questo pericolo. Ma chi avrebbe potuto sospettare un’imboscata là dove sono stato preso? INTERPRETE
Non c’è rimedio, signore, dovete morire. Il generale dice che avete proditoriamente tradito i segreti del suo esercito, fornito pericolosi resoconti di uomini stimati nobilissimi, e che non servite per alcun uso onesto al mondo. Perciò dovete morire. Avanti, boia, decapitalo! PAROLES
O Dio, signore! Lasciatemi vivere, o lasciatemi vedere la morte in faccia! 949
Shakespeare IV.indb 949
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 3
INTERPRETER That shall you, and take your leave of all
your friends. He unmuffles Paroles So, look about you. Know you any here? BERTRAM Good morrow, noble captain.
315
SECOND LORD DUMAINE God bless you, Captain Paroles. FIRST LORD DUMAINE God save you, noble captain. SECOND LORD DUMAINE Captain, what greeting will you to
my Lord Lafeu? I am for France. Good captain, will you give me a copy of the sonnet you writ to Diana in behalf of the Count Roussillon? An I were not a very coward I’d compel it of you. But fare you well.
FIRST LORD DUMAINE
Exeunt all but Paroles and Interpreter INTERPRETER You are undone, captain — all but your scarf;
that has a knot on’t yet.
325
PAROLES Who cannot be crushed with a plot? INTERPRETER If you could fi nd out a country where but
women were that had received so much shame, you might begin an impudent nation. Fare ye well, sir. I am for France too. We shall speak of you there. Exit PAROLES
Yet am I thankful. If my heart were great ’Twould burst at this. Captain I’ll be no more, But I will eat and drink and sleep as soft As captain shall. Simply the thing I am Shall make me live. Who knows himself a braggart, Let him fear this, for it will come to pass That every braggart shall be found an ass. Rust, sword; cool, blushes; and Paroles live Safest in shame; being fooled, by fool’ry thrive.
331
336
950
Shakespeare IV.indb 950
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 3
INTERPRETE
Ora la vedrai. E potrete congedarvi dai vostri amici. Toglie la benda dagli occhi di Paroles Ecco, guardatevi intorno. Riconoscete qualcuno? BERTRAM
Buon giorno, nobile capitano. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Dio la benedica, capitano Paroles. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Dio vi salvi, nobile capitano. SECONDO SIGNORE DUMAINE
Capitano, desiderate mandare i vostri saluti a monsieur Lafeu? Parto per la Francia. PRIMO SIGNORE DUMAINE
Buon capitano, volete darmi una copia del sonetto che avete scritto a Diana da parte del conte di Rossiglione? Se non fossi un autentico codardo vi obbligherei. Ma addio. Escono tutti tranne Paroles e l’interprete INTERPRETE
Vi hanno disfatto, capitano – tutto quanto, fuorché la vostra sciarpa. Quella ha ancora il nodo. PAROLES
E chi non sarebbe distrutto da un complotto? INTERPRETE
Se trovate un paese dove le donne sono svergognate quanto voi, potete fondare la nazione della Sfacciataggine. Addio, signore. Parto anch’io per la Francia. Si parlerà di voi laggiù. PAROLES
Eppure sono grato. Se avessi un cuore grande, mi sarebbe scoppiato. Non sarò più capitano, ma mangerò, berrò, dormirò bene come un capitano. Sarà semplicemente la cosa che sono a farmi vivere. Chi sa di essere un fanfarone cominci a temere: prima o poi capiterà che ogni fanfarone si riveli un coglione. Arrugginisci, spada; raffreddatevi, ardori. E tu, Paroles, vivi sicuro nella vergogna. Beffato, ti nutrirai di beffe.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 4
There’s place and means for every man alive. I’ll after them. 4.4
340 Exit
Enter Helen, the Widow, and Diana
HELEN
That you may well perceive I have not wronged you, One of the greatest in the Christian world Shall be my surety; fore whose throne ’tis needful, Ere I can perfect mine intents, to kneel. Time was, I did him a desirèd office Dear almost as his life; which gratitude Through flinty Tartar’s bosom would peep forth And answer ‘Thanks’. I duly am informed His grace is at Marseilles, to which place We have convenient convoy. You must know I am supposèd dead. The army breaking, My husband hies him home, where, heaven aiding, And by the leave of my good lord the King, We’ll be before our welcome. WIDOW Gentle madam, You never had a servant to whose trust Your business was more welcome. HELEN Nor you, mistress, Ever a friend whose thoughts more truly labour To recompense your love. Doubt not but heaven Hath brought me up to be your daughter’s dower, As it hath fated her to be my motive And helper to a husband. But O, strange men, That can such sweet use make of what they hate, When saucy trusting of the cozened thoughts Defiles the pitchy night; so lust doth play With what it loathes, for that which is away. But more of this hereafter. You, Diana, Under my poor instructions yet must suffer Something in my behalf.
5
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 4
C’è un posto al mondo e dei mezzi per ogni uomo vivo. Li seguirò. Esce Entrano Elena, la vedova e Diana232
IV, 4 ELENA
Affinché vi persuadiate che non vi è stato fatto un torto, garantirà per me un uomo dei più potenti del mondo cristiano, davanti al cui trono occorrerà inginocchiarsi, prima che i miei scopi possano realizzarsi perfettamente. Tempo fa gli resi un servizio prezioso quasi quanto la vita, ricevendo una gratitudine tale che farebbe sgorgare un grazie dal cuore arido di un Tartaro233. Sono stata puntualmente informata che sua grazia è a Marsiglia, alla cui volta partiamo con mezzi adeguati. Voi sappiate che mi credono morta. Sciolto l’esercito, mio marito va a casa, dove, se il Cielo vorrà, e con il permesso del mio caro signore, il re, giungeremo prima del tempo. VEDOVA
Gentile signora, mai aveste un servo a cui fosse tanto cara la vostra fiducia. ELENA
E nemmeno voi, signora, aveste mai un amico i cui pensieri fossero tanto impegnati a ricompensare il vostro affetto. Il Cielo, non dubitate, ha destinato me a lasciare la dote a vostra figlia, e lei ad aiutarmi a riavere un marito. Che strani, però, gli uomini, nel fare così dolce uso di ciò che odiano quando, abbandonandosi senza pudore alle loro sconce fantasie, fanno la notte di pece ancora più nera! E così la lussuria si trastulla con chi odia, al posto di chi non c’è. Ma di questo dopo. E voi, Diana, dovete soffrire ancora un poco alle mie umili istruzioni.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 5
Let death and honesty Go with your impositions, I am yours, Upon your will to suffer. HELEN Yet, I pray you. — But with that word the time will bring on summer, When briers shall have leaves as well as thorns And be as sweet as sharp. We must away, Our wagon is prepared, and time revives us. All’s well that ends well; still the fine’s the crown. Whate’er the course, the end is the renown. Exeunt DIANA
4.5
30
35
Enter Lavatch, the old Countess, and Lafeu
LAFEU No, no, no, your son was misled with a snipped-taffeta
fellow there, whose villainous saffron would have made all the unbaked and doughy youth of a nation in his colour. Else, your daughter-in-law had been alive at this hour, and your son here at home, more advanced by the King than by that red-tailed humble-bee I speak of. COUNTESS I would a had not known him. It was the death of the most virtuous gentlewoman that ever nature had praise for creating. If she had partaken of my flesh and cost me the dearest groans of a mother I could not have owed her a more rooted love. LAFEU ’Twas a good lady, ’twas a good lady. We may pick a thousand salads ere we light on such another herb. LAVATCH Indeed, sir, she was the sweet marjoram of the salad, or rather the herb of grace. LAFEU They are not grass, you knave, they are noseherbs. bs LAVATCH I am no great Nebuchadnezzar, sir, I have not much skill in grace.
7
12
15
21
18. Grass: congett. Hook; in F è herbs “erba da insalata”. La scelta di accogliere grass si deve anche al gioco di parole con il termine grace del verso successivo. 954
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 5
DIANA
Purché ai vostri comandi seguano l’onestà o la morte, mi rimetto a voi, e sono pronta a soffrire. ELENA
Ancora un po’, vi prego…, ma con il detto arriverà l’estate, allora la rosa selvatica avrà i petali oltre che le spine, e sarà profumata oltre che pungente. Dobbiamo andare: la nostra carrozza è pronta, il tempo ci sollecita. Tutto è bene ciò che finisce bene. Coronamento è il fine. Qualunque sia il percorso, la fine è quel che conta234. Escono Entrano Lavatch, la vecchia contessa e Lafeu235
IV, 5 LAFEU
No, no, no, vostro figlio è stato traviato da quel tipo là tutto frange e taffetà, che sarebbe capace di tingere di sfacciato color zafferano tutta la gioventù poco cotta e amorfa di questo paese236. Non solo, ma vostra nuora a quest’ora sarebbe ancora viva, e vostro figlio qui a casa, rispettato dal re piuttosto che da quel calabrone dalla coda rossa di cui dicevo. CONTESSA
Non l’avessi mai conosciuto! Ha causato la morte della più virtuosa gentildonna della cui nascita la natura ebbe lode. Fosse stata carne della mia carne e mi fosse costata i più amorosi travagli di una madre, non avrei potuto volerle un bene più radicato. LAFEU
Era una brava dama, brava davvero. Possiamo raccogliere quintali di insalata prima di scorgere un’altra erba così preziosa. LAVATCH
Certo, signore, lei era la dolce maggiorana nell’insalata, o piuttosto ruta, erba della grazia 237. LAFEU
Non è erba, quella, furfante, sono aromi. LAVATCH
Mica sono il grande Nabucodonosor, signore, non mi intendo di grazie.
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Shakespeare IV.indb 955
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 5
LAFEU Whether dost thou profess thyself, a knave or a
fool? LAVATCH A fool, sir, at a woman’s service, and a knave
at a man’s.
25
LAFEU Your distinction? LAVATCH I would cozen the man of his wife and do his
service. LAFEU So you were a knave at his service indeed. LAVATCH And I would give his wife my bauble, sir, to do
her service.
31
LAFEU I will subscribe for thee, thou art both knave and
fool. LAVATCH At your service. LAFEU No, no, no.
35
LAVATCH Why, sir, if I cannot serve you I can serve as
great a prince as you are. LAFEU Who’s that? A Frenchman? LAVATCH Faith, sir, a has an English name, but his
phys’namy is more hotter in France than there.
bu
bt
40
LAFEU What prince is that? LAVATCH The
Black Prince, sir, alias the prince of darkness, alias the devil. LAFEU Hold thee, there’s my purse. I give thee not this to suggest thee from thy master thou talk’st of; serve him still. LAVATCH I am a woodland fellow, sir, that always loved a great fire, and the master I speak of ever keeps a
46
39. Name: emend. di Rowe. In F è maine = “aria”, “atteggiamento”. 40. Phys’namy: così scritto per favorire il gioco di parole con name (v. 39). 956
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 5
LAFEU
E come ti professi, allora, furfante o matto? LAVATCH
Matto, signore, a uso della donna, e furfante per l’uomo. LAFEU
E qual è la distinzione? LAVATCH
Soffierei la moglie all’uomo e farei il suo servizio. LAFEU
E così saresti proprio un furfante al suo servizio! LAVATCH
Alla moglie offrirei il mio bel gingillo, per servirla!238 LAFEU
Lo garantisco, sei entrambe le cose: furfante e matto. LAVATCH
Per servirvi!239 LAFEU
No, no! LAVATCH
Perché, signore, se non posso servire voi, posso servire un principe grande come voi? LAFEU
E chi sarebbe? Un francese? LAVATCH
In verità, signore, ha un nome inglese, ma la sua fisionomia brucia più in Francia che qui 240. LAFEU
Quale principe? LAVATCH
Il Principe Nero, signore, alias il principe delle tenebre, alias il diavolo. LAFEU
Ecco, prenditi il mio borsello. Non te lo do per tentarti a lasciare quel padrone di cui parli; continua pure a servirlo. LAVATCH
Sono un uomo dei boschi, signore, e mi è sempre piaciuto un gran fuoco, e il padrone di cui parlo tiene sempre un bel fuoco acceso. 957
Shakespeare IV.indb 957
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 5
good fire. But since he is the prince of the world, let the nobility remain in’s court; I am for the house with the narrow gate, which I take to be too little for pomp to enter. Some that humble themselves may, but the many will be too chill and tender, and they’ll be for the flow’ry way that leads to the broad gate and the great fire LAFEU Go thy ways. I begin to be aweary of thee, and I tell thee so before, because I would not fall out with thee. Go thy ways. Let my horses be well looked to, without any tricks. LAVATCH If I put any tricks upon ’em, sir, they shall be jades’ tricks, which are their own right by the law of nature. Exit LAFEU A shrewd knave and an unhappy. COUNTESS So a is. My lord that’s gone made himself much sport out of him; by his authority he remains here, which he thinks is a patent for his sauciness, and indeed he has no pace, but runs where he will. LAFEU I like him well, ’tis not amiss. And I was about to tell you, since I heard of the good lady’s death and that my lord your son was upon his return home, I moved the King my master to speak in the behalf of my daughter; which, in the minority of them both, his majesty out of a self-gracious remembrance did first propose. His highness hath promised me to do it; and to stop up the displeasure he hath conceived against your son, there is no fitter matter. How does your ladyship like it? COUNTESS With very much content, my lord, and I wish it happily effected.
bv
55
59
63
77
49. Since: emend. Hanmer. In F è sure. L’emendamento, accolto dall’edizione Oxford, ha senso se si collegano le due frasi con la virgola, e in questo modo diventano logicamente consequenziali. 958
Shakespeare IV.indb 958
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 5
Ma dacché è il principe del mondo, i nobili restino pure alla sua corte. Io sono per la casa con la porta stretta: è troppo piccola perché ci passi il fasto. Magari quelli che si umiliano sì, ma i più sono troppo freddi e deboli: vanno per il sentiero fiorito che conduce alla porta larga e al grande fuoco241. LAFEU
Vai per tuo conto! Comincio a essere stanco di te. Te lo dico prima, perché non ho voglia di litigare. Vai per tuo conto. E niente trucchi con i miei cavalli242, stacci bene attento. LAVATCH
Se faccio trucchi, son trucchi da brocchi 243: gli spettano per natura. Esce LAFEU
Una canaglia dalla battuta pungente e infelice. CONTESSA
Così è. Il mio povero marito se l’è spassata molto con lui. È per questo che se ne sta ancora qui, ma lo prende come licenza per la sua sfacciataggine, e va a briglia sciolta. LAFEU
A me piace, è innocuo. Allora, stavo per dirvi che, dopo avere sentito della morte della cara signora, e del ritorno del mio signore, vostro figlio, ho fatto delle pressioni sul re, mio padrone, affinché gli parli a favore di mia figlia; che, quando entrambi erano ancora minorenni, sua maestà ha ricordato di avere proposto egli stesso per primo, per suo spontaneo, gentile pensiero. Sua altezza mi ha promesso di farlo. Per porre fine al disappunto concepito nei confronti di vostro figlio, non c’era idea più adatta. Come pare a vossignoria? CONTESSA
Ne sono molto contenta, mio signore, e desidero che si concluda felicemente.
959
Shakespeare IV.indb 959
30/11/2018 09:32:47
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 4 SCENE 5
LAFEU His highness comes post from Marseilles, of as able
body as when he numbered thirty. A will be here tomorrow, or I am deceived by him that in such intelligence hath seldom failed. COUNTESS It rejoices me that I hope I shall see him ere I die. I have letters that my son will be here tonight. I shall beseech your lordship to remain with me till they meet together. LAFEU Madam, I was thinking with what manners I might safely be admitted. COUNTESS You need but plead your honourable privilege. LAFEU Lady, of that I have made a bold charter, but, I thank my God, it holds yet.
83
89
Enter Lavatch LAVATCH O madam, yonder’s my lord your son with a
patch of velvet on’s face. Whether there be a scar under’t or no, the velvet knows; but ’tis a goodly patch of velvet. His left cheek is a cheek of two pile and a half, but his right cheek is worn bare. LAFEU A scar nobly got, or a noble scar, is a good liv’ry of honour. So belike is that. LAVATCH But it is your carbonadoed face. LAFEU (to the Countess) Let us go see your son, I pray you. I long to talk with the young noble soldier. LAVATCH Faith, there’s a dozen of ’em, with delicate fi ne hats, and most courteous feathers, which bow the head and nod at every man. Exeunt
97
100
960
Shakespeare IV.indb 960
30/11/2018 09:32:48
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO IV SCENA 5
LAFEU
Sua altezza arriva presto da Marsiglia, fisicamente prestante come quando aveva trent’anni. Sarà qui domani, se non mi ha ingannato chi in questo genere di notizie raramente si sbaglia 244. CONTESSA
Mi conforta sperare di vederlo prima di morire. Dalle lettere che ho ricevuto, mio figlio sarà qui questa sera. Devo pregarvi di restare fino a che non si saranno incontrati. LAFEU
Madame, stavo pensando in quali modi potere essere degnamente ammesso. CONTESSA
Non avete bisogno di supplicare altro; basta l’onore della vostra persona. LAFEU
Madame, questo l’ho già impresso a lettere capitali. Grazie a Dio, è ancora valido. Entra Lavatch LAVATCH
Madame, là c’è il mio signore vostro figlio con una benda di velluto sulla faccia. Se ci sia una ferita o meno, lì sotto, lo sa il velluto245; ma è proprio un bella benda di velluto. La guancia sinistra ha un doppio strato felpato, mentre la guancia destra è tutta nuda. LAFEU
Una cicatrice nobilmente conquistata, o una nobile ferita, è una bella medaglia d’onore. Probabilmente è quello. LAVATCH
A meno che non vi sia la vostra faccia tutta pustolosa. LAFEU (alla contessa)
Andiamo incontro a vostro figlio, vi prego. Desidero parlare con questo giovane, nobile soldato. LAVATCH
In realtà, c’è n’è una dozzina così, con bei cappelli leggeri e cortesissime piume, che si prodigano in inchini e ammiccamenti. Escono
961
Shakespeare IV.indb 961
30/11/2018 09:32:48
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 1
5.1
Enter Helen, the Widow, and Diana, with two attendants
HELEN
But this exceeding posting day and night Must wear your spirits low. We cannot help it. But since you have made the days and nights as one To wear your gentle limbs in my affairs, Be bold you do so grow in my requital As nothing can unroot you.
5
Enter a Gentleman Austringer In happy time! This man may help me to his majesty’s ear, If he would spend his power. — God save you, sir. GENTLEMAN And you. HELEN
Sir, I have seen you in the court of France.
10
GENTLEMAN I have been sometimes there. HELEN
I do presume, sir, that you are not fall’n From the report that goes upon your goodness, And therefore, goaded with most sharp occasions Which lay nice manners by, I put you to The use of your own virtues, for the which I shall continue thankful. GENTLEMAN What’s your will? HELEN That it will please you To give this poor petition to the King, And aid me with that store of power you have To come into his presence. GENTLEMAN The King’s not here. HELEN Not here, sir? GENTLEMAN Not indeed. He hence removed last night, and with more haste Than is his use.
15
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25
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Shakespeare IV.indb 962
30/11/2018 09:32:48
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 1
V, 1
Entrano Elena, la vedova, e Diana, con due servitori246
ELENA
Questa fretta nel viaggiare giorno e notte deve abbattervi. Non possiamo evitarlo. Ma visto che dei giorni e delle notti avete fatto un tempo unico, e avete fiaccato le vostre membra gentili per i miei interessi, siate certe che il dovere di gratitudine verso di voi è cresciuto così tanto che nulla potrà sradicarlo. Entra un gentiluomo, falconiere reale Perfetta coincidenza! Quest’uomo, se vorrà servirsi del suo potere, potrà aiutarmi ad avere udienza presso il re. Dio vi salvi, signore! GENTILUOMO
Altrettanto a voi! ELENA
Signore, vi ho visto alla corte di Francia. GENTILUOMO
Sì, sono stato alla corte di Francia. ELENA
Sono certa, signore, che non è mutata la reputazione sulla vostra bontà e perciò, pungolata da urgentissime necessità che fanno dimenticare le buone maniere, mi appello all’uso delle vostre virtù, per le quali vi sarò sempre grata. GENTILUOMO
Che volete? ELENA
Per piacere, vogliate porgere al re questa semplice richiesta e, con il potere di cui disponete, aiutarmi a conferire con lui. GENTILUOMO
Il re non è qui. ELENA
Non è qui, signore? GENTILUOMO
Certamente no. Se n’è andato da qui ieri notte, più rapidamente del consueto.
963
Shakespeare IV.indb 963
30/11/2018 09:32:48
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 2
WIDOW Lord, how we lose our pains. HELEN All’s well that ends well yet,
Though time seem so adverse, and means unfit. — I do beseech you, whither is he gone? GENTLEMAN
Marry, as I take it, to Roussillon, Whither I am going. HELEN I do beseech you, sir, Since you are like to see the King before me, Commend the paper to his gracious hand, Which I presume shall render you no blame, But rather make you thank your pains for it. I will come after you with what good speed Our means will make us means. GENTLEMAN (taking the paper) This I’ll do for you.
30
35
HELEN
And you shall find yourself to be well thanked, Whate’er falls more. We must to horse again. — Go, go, provide. Exeunt severally 5.2
Enter Lavatch and Paroles, with a letter
PAROLES Good Master Lavatch, give my Lord Lafeu this
letter. I have ere now, sir, been better known to you, when I have held familiarity with fresher clothes. But I am now, sir, muddied in Fortune’s mood, and smell somewhat strong of her strong displeasure.
bw
bx
5
LAVATCH Truly, Fortune’s displeasure is but sluttish if it
smell so strongly as thou speakest of. I will henceforth eat no fish of Fortune’s butt’ring. Prithee allow the wind.
1. Master: in F è Mr, che può indicare sia Master sia Monsieur; in quest’ultimo caso si tratterebbe di una deferenza ironica. 4. Mood: così in F. Theobald corregge con moat = “fosso”. L’originale consente il gioco di parole con mud, “fango”, che si pronuncia allo stesso modo. 964
Shakespeare IV.indb 964
30/11/2018 09:32:48
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 2
VEDOVA
Santiddio, ecco le nostre fatiche sprecate! ELENA
Tutto è bene ciò che finisce bene, tuttavia, benché il tempo sia sfavorevole e i mezzi inadatti 247. Per piacere, dov’è andato? GENTILUOMO
Da quel che ne so a Rossiglione, dove son diretto anch’io. ELENA
Vi supplico, signore, poiché è verosimile che vediate il re prima di me, di consegnare questa missiva direttamente nelle sue mani gentili. Sono certa che ciò non vi recherà alcun biasimo, ma farà sì che mi ringrazierete per le vostre fatiche. Io vi seguirò ben rapida, come i miei mezzi mi permettono. GENTILUOMO (prendendo il foglio) Lo farò per voi. ELENA
E voi vi ritroverete ben ricompensato, comunque vada. Torniamo a cavallo! Avanti, avanti, si provveda! Escono uno per volta V, 2
Entrano Lavatch e Paroles, con una lettera248
PAROLES
Buon monsieur Lavatch, date questa lettera al mio signore Lafeu. Godevo di migliore fama presso di voi, signore, prima d’ora, quando avevo maggiore intimità con gli abiti puliti. Ma ora, signore, mi sono impantanato negli umori della Fortuna, e alle volte olezzo più forte del suo peggior lezzo249. LAVATCH
Allora lo sfavore della Fortuna dev’essere proprio una porcheria se olezza forte come dici tu. D’ora innanzi non mangerò più pesce imburrato dalla Fortuna. Aria, aria, ti prego.
965
Shakespeare IV.indb 965
30/11/2018 09:32:48
ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 2
PAROLES Nay, you need not to stop your nose, sir, I spake
but by a metaphor.
11
LAVATCH Indeed, sir, if your metaphor stink I will stop
my nose, or against any man’s metaphor. Prithee get thee further. PAROLES Pray you, sir, deliver me this paper. LAVATCH Foh, prithee stand away. A paper from Fortune’s close-stool to give to a nobleman! Look, here he comes himself.
15
Enter Lafeu Here is a pur of Fortune’s, sir, or of Fortune’s cat — but not a musk-cat — that has fallen into the unclean fishpond of her displeasure and, as he says, is muddied withal. Pray you, sir, use the carp as you may, for he looks like a poor, decayed, ingenious, foolish, rascally knave. I do pity his distress in my similes of comfort, and leave him to your lordship. Exit PAROLES My lord, I am a man whom Fortune hath cruelly scratched. LAFEU And what would you have me to do? ’Tis too late to pare her nails now. Wherein have you played the knave with Fortune that she should scratch you, who of herself is a good lady and would not have knaves thrive long under her? There’s a quart d’écu for you. Let the justices make you and Fortune friends; I am for other business. PAROLES I beseech your honour to hear me one single word — LAFEU You beg a single penny more. Come, you shall ha’t. Save your word. ca
by bz
27
34
23. Ingenious: così in F, ma sembra stridere con gli altri aggettivi, tutti negativi. Si può intendere che sia usato in senso ironico, oppure come in-genious = “sciocco”. La traduzione sceglie di avvicinarsi all’originale, intendendo “scaltro”. 24. Similes: emend. Theobald. In F è smiles, che la presente traduzione segue. 38. Ha’t: have it. 966
Shakespeare IV.indb 966
30/11/2018 09:32:48
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 2
PAROLES
No, non dovete tapparvi il naso, signore, facevo una metafora. LAVATCH
Già, signore, ma se la vostra metafora puzza, io mi tappo il naso, che sia una metafora vostra o di chiunque altri. Per piacere, allontanatevi. PAROLES
Vi prego, signore, consegnatemi questo foglio. LAVATCH
Eh, allora, scansati! Un foglio da cesso della Fortuna! Darlo a un gentiluomo! Eccolo che arriva. Entra Lafeu Qui c’è il Jack della Fortuna, signore, cacca di gatto della Fortuna 250, ma non un gatto profumato di muschio, uno che è caduto nel lurido stagno della malasorte e ci si è insozzato. Vi prego, signore, trattate questo scorfano251 come potete, giacché pare proprio una povera canaglia decaduta, scaltra, matta e imbrogliona. Mostro pietà della sua disgrazia con sorrisi di circostanza, e ora lo lascio a vostra signoria. Esce PAROLES
Mio signore, sono un uomo graffiato crudelmente dalla Fortuna. LAFEU
E che ci posso fare io? Ora è troppo tardi per tagliarle le unghie. E perché avete giocato a fare la canaglia con la Fortuna, sapendo che poteva graffiarvi? È una signora per bene e non vuole che le canaglie si prendano troppo gioco di lei. Ecco per voi un quart d’écu252. Lasciate che sia la Legge a rendervi amici con la Fortuna. Io sono qui per altri affari. PAROLES
Supplico vostro onore di volere ascoltare soltanto una parola… LAFEU
Se chiedete ancora un penny, eccolo. Avanti, prendetelo. Ma risparmiatemi la parola.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
PAROLES My name, my good lord, is Paroles.
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LAFEU You beg more than one word then. Cox my cb
passion! Give me your hand. How does your drum? PAROLES O my good lord, you were the first that found me. LAFEU Was I, in sooth? And I was the first that lost thee. PAROLES It lies in you, my lord, to bring me in some grace, for you did bring me out. LAFEU Out upon thee, knave! Dost thou put upon me at once both the office of God and the devil? One brings thee in grace, and the other brings thee out.
46
Trumpets sound The King’s coming; I know by his trumpets. Sirrah, enquire further after me. I had talk of you last night. Though you are a fool and a knave, you shall eat. Go to, follow. PAROLES I praise God for you. [Exeunt] 5.3
53
Flourish of trumpets. Enter the King, the old Countess, Lafeu, and attendants
KING
We lost a jewel of her, and our esteem Was made much poorer by it. But your son, As mad in folly, lacked the sense to know Her estimation home. COUNTESS ’Tis past, my liege, And I beseech your majesty to make it Natural rebellion done i’th’ blade of youth, When oil and fire, too strong for reason’s force, O’erbears it and burns on.
5
40. One: in F3, non in F. 968
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
PAROLES
Il mio nome, caro signore, è Paroles. LAFEU
Allora è più di una parola che chiedete! Mon dieu253, datemi la mano. E il tamburo? PAROLES
Oh, il mio buon signore! Voi foste il primo a scoprirmi! LAFEU
Sono stato io? Ma davvero? E il primo a perderti. PAROLES
Sta a lei, signore, riportarmi in grazia, visto che mi ci avete tolto254. LAFEU
Vattene, canaglia! Mi fai fare insieme la mansione di Dio e del diavolo! Uno ti mette in grazia e l’altro ti toglie! Squillo di tromba Sta arrivando il re. Lo capisco da questi squilli di tromba. Ragazzo, cercami più tardi. Ho parlato di voi ieri sera. Benché tu sia un matto e un furfante, avrai da mangiare. Avanti, seguitemi. PAROLES
Sia lodato Dio per voi. [Escono] V, 3
Fanfara di trombe. Entrano il re, la vecchia contessa, Lafeu e servitori255
RE
Con lei abbiamo perduto un gioiello. E per questo il nostro patrimonio si è impoverito di molto. Ma vostro figlio, da quel matto completo che è, non ha avuto la sensibilità di fare la giusta stima del suo valore. CONTESSA
Ciò è passato, mio signore, e supplico vossignoria di considerarlo una ribellione naturale, un colpo di testa della giovinezza, quando fuoco e olio, troppo tenaci per essere vinti dalla forza della ragione, la sovrastano e divampano.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
My honoured lady, I have forgiven and forgotten all, Though my revenges were high bent upon him And watched the time to shoot. LAFEU This I must say — But first I beg my pardon — the young lord Did to his majesty, his mother, and his lady Offence of mighty note, but to himself The greatest wrong of all. He lost a wife Whose beauty did astonish the survey Of richest eyes, whose words all ears took captive, Whose dear perfection hearts that scorned to serve Humbly called mistress. KING Praising what is lost Makes the remembrance dear. Well, call him hither. We are reconciled, and the first view shall kill All repetition. Let him not ask our pardon. The nature of his great offence is dead, And deeper than oblivion we do bury Th’incensing relics of it. Let him approach A stranger, no offender; and inform him So ’tis our will he should. ATTENDANT I shall, my liege. Exit KING (to Lafeu) What says he to your daughter? Have you spoke? KING
10
15
21
25
LAFEU
All that he is hath reference to your highness. KING
Then shall we have a match. I have letters sent me That sets him high in fame.
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Enter Bertram [with a patch of velvet on his left cheek, and kneels] LAFEU He looks well on’t. cc
32. On’t = on it. 970
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
RE
Onorata signora, ho perdonato e dimenticato tutto, benché il mio castigo pendesse su di lui e non aspettasse altro che il momento di colpire. LAFEU
Questo lo devo dire, ma non prima di essermi scusato: il giovane signore ha gravemente offeso sua maestà, sua madre e sua moglie, ma è a se stesso che ha recato la più grande offesa. Ha perduto una moglie la cui bellezza lasciava stupefatti gli sguardi più esperti, le cui parole catturavano tutti all’ascolto, la cui amabile perfezione cuori riluttanti a servire umilmente chiamavano madonna. RE
Lodare ciò che è perduto rende caro il ricordo. Bene, chiamatelo qui. Siamo riconciliati, e il primo sguardo cancellerà ogni rancore. Fate in modo che non ci chieda il perdono256. La natura della sua grande offesa è morta, e più profonde dell’oblio noi seppelliremo le sue reliquie incandescenti. Che si presenti come uno straniero, non come un colpevole. Informatelo. Questa è la nostra volontà. SERVITORE
Sarà fatto, mio sovrano. Esce RE (a Lafeu)
Che dice lui di vostra figlia? Le avete parlato? LAFEU
Rimette tutto a disposizione di vostra altezza. RE
Allora avremo le nozze. Ho ricevuto comunicazioni che ne esaltano la reputazione257. Entra Bertram [con un cerotto di velluto sulla guancia sinistra, e si inginocchia] LAFEU
Dopo la sua recente esperienza.
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
KING (to Bertram) I am not a day of season,
For thou mayst see a sunshine and a hail In me at once. But to the brightest beams Distracted clouds give way; so stand thou forth. The time is fair again. BERTRAM My high-repented blames, Dear sovereign, pardon to me. KING All is whole. Not one word more of the consumèd time. Let’s take the instant by the forward top, For we are old, and on our quick’st decrees Th’inaudible and noiseless foot of time Steals ere we can effect them. You remember The daughter of this lord?
35
40
BERTRAM
Admiringly, my liege. At first I stuck my choice upon her, ere my heart Durst make too bold a herald of my tongue; Where, the impression of mine eye enfixing, Contempt his scornful perspective did lend me, Which warped the line of every other favour, Stained a fair colour or expressed it stolen, cd Extended or contracted all proportions To a most hideous object. Thence it came That she whom all men praised and whom myself, Since I have lost, have loved, was in mine eye The dust that did offend it. KING Well excused. That thou didst love her strikes some scores away From the great count. But love that comes too late, Like a remorseful pardon slowly carried, To the grace-sender turns a sour offence, ce Crying, ‘That’s good that’s gone.’ Our rash faults
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51. Stained: in F è scorned = “spregiò”, che non si adatta molto al suo c. ogg. (a fair colour); probabilmente risente del termine contempt (v. 49). 60. Grace: in F è great. 972
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
RE (a Bertram)
Non sono come il tempo di una sola stagione: puoi vedere simultaneamente in me splendere il sole e la grandine. Ma le nuvole, frangendosi, hanno lasciato spazio ai raggi più brillanti. Venite avanti, allora. Il tempo è tornato bello. BERTRAM
Perdonate, caro sovrano, le mie colpe, di cui profondamente mi pento. RE
Completamente. Non dite una parola di più sul tempo passato. Cogliamo l’attimo per la punta dei capelli 258: siamo vecchi, e i nostri più urgenti decreti deruba con passo felpato il piede del tempo, prima che si possano attuare. Ricordate la figlia di questo signore? BERTRAM
Con ammirazione, mio sovrano. Subito la mia scelta si era fissata su di lei, prima che il mio cuore osasse fare della lingua un araldo troppo sfacciato; là 259 dove si era impressa l’immagine attraverso gli occhi, il disprezzo mi prestò la sua lente deformante che distorse il profi lo di ogni altro volto, imbrattò un bel colorito o lo ritenne rubato, allungò o restrinse tutte le proporzioni riducendole a un oggetto detestabile260. Da ciò avvenne che colei che tutti gli uomini lodavano, e che io stesso ho amato dopo avere perduto, fosse per me come fastidiosa polvere negli occhi. RE
Vi siete degnamente scusato. Che l’abbiate amata cancella parte del vostro debito dal conto esoso. Ma l’amore che viene troppo tardi, come un perdono gravato da un rimorso accusato con lentezza, si volge in amara offesa per chi concede la grazia, come un pianto che dica ‘Ciò che c’era di buono è perduto’261. La nostra impulsività
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
Make trivial price of serious things we have, Not knowing them until we know their grave. Oft our displeasures, to ourselves unjust, Destroy our friends and after weep their dust. Our own love waking cries to see what’s done, While shameful hate sleeps out the afternoon. Be this sweet Helen’s knell, and now forget her. Send forth your amorous token for fair Maudlin. The main consents are had, and here we’ll stay To see our widower’s second marriage day.
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70
[COUNTESS]
Which better than the first, O dear heaven, bless! Or ere they meet, in me, O nature, cease. LAFEU (to Bertram) Come on, my son, in whom my house’s name Must be digested, give a favour from you To sparkle in the spirits of my daughter, That she may quickly come.
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Bertram gives Lafeu a ring By my old beard And ev’ry hair that’s on’t, Helen that’s dead Was a sweet creature. Such a ring as this, The last that ere I took her leave at court, I saw upon her finger. BERTRAM Hers it was not.
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KING
Now pray you let me see it; for mine eye, While I was speaking, oft was fastened to’t. Lafeu gives him the ring This ring was mine, and when I gave it Helen I bade her, if her fortunes ever stood Necessitied to help, that by this token I would relieve her. Had you that craft to reave her Of what should stead her most?
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svaluta le cose di valore che possediamo, e non ce le fa conoscere finché non le abbiamo seppellite. Spesso la nostra insoddisfazione, a noi stessi dannosa, distrugge i nostri amici, di cui dopo piangiamo la polvere. E il nostro amore, al risveglio, piange nel vedere ciò che ha fatto, mentre l’odio vergognoso si gode un lungo riposo. Sia questo il compianto della dolce Elena, e ora dimenticala. Manda i tuoi pegni d’amore alla bella Maudlin262. Gli accordi principali sono presi, e staremo qui per assistere al secondo matrimonio del nostro vedovo. [CONTESSA]
Che vada meglio del primo, e il Cielo lo benedica! Altrimenti, prima di questa unione, o natura, portami alla fine! LAFEU (a Bertram) Avanti, figliolo. In voi dovrà essere assorbito263 il nome della mia casata. Offrite un pegno d’amore che accenda l’anima di mia figlia, per indurla ad arrivare. Bertram dà a Lafeu un anello Per la mia vecchia barba e ogni suo pelo! Elena è morta ed era una dolce creatura! Questo anello, l’ultima volta che mi sono congedato da lei a corte, gliel’ho visto al dito. BERTRAM
Non era suo. RE
Ora vi prego di mostrarmelo. Perché il mio occhio, mentre parlavo, si è posato più volte su di esso. Lafeu gli dà l’anello Questo anello era mio. Quando lo diedi a Elena, le ordinai che, nel caso le sue sorti fossero state bisognose di aiuto, con questo pegno l’avrei soccorsa. Avete avuto l’astuzia di sottrarle ciò che più d’ogni altra cosa le avrebbe giovato?
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
My gracious sovereign, Howe’er it pleases you to take it so, The ring was never hers. COUNTESS Son, on my life I have seen her wear it, and she reckoned it At her life’s rate. LAFEU I am sure I saw her wear it. BERTRAM
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BERTRAM
You are deceived, my lord, she never saw it. In Florence was it from a casement thrown me, Wrapped in a paper which contained the name Of her that threw it. Noble she was, and thought I stood ingaged. But when I had subscribed To mine own fortune, and informed her fully I could not answer in that course of honour As she had made the overture, she ceased In heavy satisfaction, and would never Receive the ring again. KING Plutus himself, That knows the tinct and multiplying med’cine, Hath not in nature’s mystery more science Than I have in this ring. ’Twas mine, ’twas Helen’s, Whoever gave it you. Then if you know That you are well acquainted with yourself, Confess ’twas hers, and by what rough enforcement You got it from her. She called the saints to surety That she would never put it from her finger Unless she gave it to yourself in bed, Where you have never come, or sent it us Upon her great disaster. BERTRAM She never saw it.
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KING
Thou speak’st it falsely, as I love mine honour, And mak’st conjectural fears to come into me Which I would fain shut out. If it should prove That thou art so inhuman — ’twill not prove so. And yet I know not. Thou didst hate her deadly,
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
BERTRAM
Mio gentile sovrano, comunque vogliate considerarlo, l’anello non fu mai suo. CONTESSA
Figlio, sulla mia vita giuro di avere visto che lo indossava, e lo stimava caro quanto la sua vita. LEFEU
Sono sicuro di averglielo veduto al dito. BERTRAM
Vi ingannate, mio signore, lei non lo vide mai. A Firenze mi è stato gettato dalla finestra, avvolto in un foglio che conteneva il nome di chi lo aveva lanciato. Era una nobildonna, e credeva di potermi legare a sé264. Ma quando le diedi conto della mia condizione, e la informai estesamente che non potevo ricambiare il medesimo onore che lei mi rivolgeva, inappagata si ritrasse e non rivolle indietro l’anello. RE
Pluto in persona, che sa di tinture e pozioni capaci di moltiplicare le ricchezze265, conosce i misteri della natura non meglio di quanto io conosca questo anello. Apparteneva a me, apparteneva a Elena, chiunque sia chi te lo diede. Allora quant’è vero che conosci te stesso266, confessa che era suo, e con quanta brutalità glielo hai sottratto. Chiamò a testimoni i santi che non se lo sarebbe mai tolto dal dito, a meno che non lo avesse dato a te nel letto, dove non è mai arrivata, o rimandato a noi, in caso di grande disastro. BERTRAM
Lei non lo vide mai. RE
Tu dici il falso, quanto io amo il mio onore, e mi fai venire seri dubbi e timori che preferirei escludere. Se questa fosse la prova che sei così disumano… Ma non si proverà. Eppure non ne sono così certo. Tu la odiavi a morte, e lei è morta. E nulla potrebbe portar-
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And she is dead, which nothing but to close Her eyes myself could win me to believe, More than to see this ring. — Take him away. My fore-past proofs, howe’er the matter fall, Shall tax my fears of little vanity, Having vainly feared too little. Away with him. We’ll sift this matter further. BERTRAM If you shall prove This ring was ever hers, you shall as easy Prove that I husbanded her bed in Florence, Where yet she never was. Exit guarded
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Enter the Gentleman Austringer with a paper KING I am wrapped in dismal thinkings. GENTLEMAN Gracious sovereign,
Whether I have been to blame or no, I know not. Here’s a petition from a Florentine Who hath for four or five removes come short To tender it herself. I undertook it, Vanquished thereto by the fair grace and speech Of the poor suppliant, who by this I know Is here attending. Her business looks in her With an importing visage, and she told me In a sweet verbal brief it did concern Your highness with herself. [KING] (reads a letter) ‘Upon his many protestations to marry me when his wife was dead, I blush to say it, he won me. Now is the Count Roussillon a widower, his vows are forfeited to me, and my honour’s paid to him. He stole from Florence, taking no leave, and I follow him to his country for justice. Grant it me, O King! In you it best lies; otherwise a seducer flourishes and a poor maid is undone. Diana Capilet.’ LAFEU I will buy me a son-in-law in a fair, and toll for this. I’ll none of him.
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mi a crederlo di più, oltre ad averle chiuso gli occhi io stesso, che vedere questo anello. Portatelo via. La prova che ho appena avuto, qualunque cosa succeda, basterà a dimostrare che le mie paure non erano sciocche, ma è sciocco avere avuto troppo poco timore. Portatelo via! Esamineremo il caso più avanti. BERTRAM
Se proverete che l’anello era suo, potrete anche facilmente provare che l’ho portata a letto a Firenze, dove lei non è mai stata267. Esce scortato dalle guardie Entra il gentiluomo falconiere268 , con un foglio RE
Pensieri cupi mi avvolgono. GENTILUOMO
Mio caro sovrano, se sono da biasimare, non lo so. Qui c’è una richiesta di una fiorentina che ha fatto quattro o cinque tentativi di consegnarvela personalmente. Me ne sono incaricato io, vinto dalla grazia e dalla parola della povera supplice, che so essere ora qui in attesa. Quanto ciò sia importante per lei lo mostra il suo volto. Nel resoconto che mi fece con voce soave disse che riguardava vostra altezza e lei stessa. [RE] (legge la lettera) ‘Mi diede molte assicurazioni che mi avrebbe sposata quando sua moglie fosse morta, e per questo motivo, mi vergogno a dirlo, fui vinta. Ora che il conte di Rossiglione è vedovo, le sue promesse lo indebitano a me, come il mio onore è creditore nei suoi confronti. Se ne andò da Firenze senza prendere congedo, e lo inseguo in questo paese per avere giustizia. Concedetemela, re! Essa dipende interamente da voi. Altrimenti un seduttore trionfa e una povera vergine è distrutta. Diana Capuleti’. LAFEU
Andrò a comprarmi un genero al mercato, e questo lo svendo269. Non ne voglio più sapere.
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KING
The heavens have thought well on thee, Lafeu, To bring forth this discov’ry. — Seek these suitors. Go speedily and bring again the Count. Exit one or more I am afeard the life of Helen, lady, Was foully snatched.
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[Enter Bertram guarded] COUNTESS
Now justice on the doers!
KING (to Bertram)
I wonder, sir, since wives are monsters to you, And that you fly them as you swear them lordship, Yet you desire to marry. Enter the Widow and Diana What woman’s that? DIANA
I am, my lord, a wretched Florentine, Derivèd from the ancient Capilet. My suit, as I do understand, you know, And therefore know how far I may be pitied. WIDOW (to the King) I am her mother, sir, whose age and honour Both suffer under this complaint we bring, And both shall cease without your remedy.
160
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KING
Come hither, Count. Do you know these women? BERTRAM
My lord, I neither can nor will deny But that I know them. Do they charge me further? DIANA
Why do you look so strange upon your wife?
170
BERTRAM (to the King)
She’s none of mine, my lord. If you shall marry You give away this hand, and that is mine; You give away heaven’s vows, and those are mine;
DIANA
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RE
Il Cielo ti ha voluto bene, Lafeu, nel farti scoprire ciò. Cercate queste supplici. Fate in fretta e riportate indietro il conte. Esce uno o più Temo, signora, che Elena ci abbia rimesso proditoriamente la vita. [Entra Bertram scortato dalle guardie] CONTESSA
Ora giustizia ai colpevoli! RE (a Bertram)
Poiché le mogli per voi sono mostri, e le abbandonate dopo che vi siete promesso, mi stupisce, signore, che desideriate sposarvi. Entrano la vedova e Diana Chi è questa donna? DIANA
Sono, signore, una povera fiorentina, discendente dagli antichi Capuleti. Già conoscete, come so bene, la mia supplica e mi rendo conto di quanta pietà io possa suscitare. VEDOVA (al re) Sono sua madre, signore. La mia età e l’onore soffrono per la supplica che vi rivolgiamo, e l’una e l’altro potrebbero soccombere, senza il vostro aiuto. RE
Venite avanti, conte. Conoscete queste donne? BERTRAM
Mio signore, non posso né voglio negare. Le conosco. Di che altro mi accusano? DIANA
Perché guardate così strano vostra moglie? BERTRAM (al re) Non è mia moglie, signore. DIANA
Se vi sposate, voi rinunciate a questa, che è la mia mano; tradite i voti fatti al cielo, che sono miei; rinnegate me stessa, mia per gene-
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
You give away myself, which is known mine, For I by vow am so embodied yours That she which marries you must marry me, Either both or none. LAFEU (to Bertram) Your reputation comes too short for my daughter, you are no husband for her. BERTRAM (to the King) My lord, this is a fond and desp’rate creature Whom sometime I have laughed with. Let your highness Lay a more noble thought upon mine honour Than for to think that I would sink it here.
175
180
KING
Sir, for my thoughts, you have them ill to friend Till your deeds gain them. Fairer prove your honour cf Than in my thought it lies. DIANA Good my lord, Ask him upon his oath if he does think He had not my virginity. KING What sayst thou to her? BERTRAM She’s impudent, my lord, And was a common gamester to the camp. DIANA (to the King) He does me wrong, my lord. If I were so He might have bought me at a common price. Do not believe him. O behold this ring, Whose high respect and rich validity Did lack a parallel; yet for all that He gave it to a commoner o’th’ camp, If I be one.
186
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184. Them. Fairer: emend. Theobald: in F è them fairer = [finché i fatti non] “li abbelliranno”. 982
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
rale consenso. Per quel voto il mio e il vostro corpo sono una cosa sola, e colei che sposerà voi dovrà sposare me: entrambi o nessuno. LAFEU (a Bertram) La vostra reputazione non è proprio all’altezza di mia figlia. Non siete il marito giusto per lei. BERTRAM (al re) Mio signore, è una creatura folle e disperata. Mi ci sono divertito qualche volta. Vostra altezza dovrebbe riservare al mio onore un pensiero più nobile di quello che mi sprofonda nel fango. RE
Signore, riguardo ai miei pensieri, non li avrete amici finché non ve li riguadagnerete con i fatti. Date prova più brillante del vostro onore di quanto non sia nei miei pensieri. DIANA
Mio buon signore, chiedetegli di giurare se non pensa di aver carpito la mia verginità. RE
Che hai da dirle? BERTRAM
È una poco di buono, mio signore, era il trastullo di tutto l’accampamento. DIANA (al re) Mi fa torto, mio signore. Se fosse stato così, mi avrebbe avuta a buon prezzo. Non credetegli. Considerate questo anello: il suo enorme valore e la sua ricchezza non hanno pari. E tutto ciò lo avrebbe dato a una donna che se la spassava con tutto l’accampamento, se quella sono io?
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
He blushes and ’tis hit. Of six preceding ancestors, that gem; Conferred by testament to th’ sequent issue Hath it been owed and worn. This is his wife. That ring’s a thousand proofs. KING (to Diana) Methought you said You saw one here in court could witness it. COUNTESS
200
DIANA
I did, my lord, but loath am to produce So bad an instrument. His name’s Paroles.
205
LAFEU
I saw the man today, if man he be. KING
Find him and bring him hither. Exit one What of him? He’s quoted for a most perfidious slave With all the spots o’th’ world taxed and debauched, Whose nature sickens but to speak a truth. Am I or that or this for what he’ll utter, That will speak anything? KING She hath that ring of yours. BERTRAM
210
BERTRAM
I think she has. Certain it is I liked her And boarded her i’th’ wanton way of youth. She knew her distance and did angle for me, Madding my eagerness with her restraint, As all impediments in fancy’s course Are motives of more fancy; and in fine Her inf’nite cunning with her modern grace Subdued me to her rate. She got the ring And I had that which my inferior might cg At market price have bought. DIANA I must be patient. You that have turned off a first so noble wife May justly diet me. I pray you yet —
215
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221. My: in F è any. 984
Shakespeare IV.indb 984
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
CONTESSA
Arrossisce. Colpito. Da sei antenati è stata posseduta quella gemma. Passata per testamento all’erede seguente, ricevuta e indossata. Costei è sua moglie. Questo anello vale mille prove. RE (a Diana) Mi risulta che abbiate detto di avere visto qui a corte uno che può testimoniarlo. DIANA
Sì, signore, ma mi disgusta offrire uno strumento così malvagio. Il suo nome è Paroles. LAFEU
Ho visto oggi quell’uomo, se uomo è. RE
Trovatelo e portatelo qui. Esce un servitore BERTRAM
E che ve ne fate? È ritenuto un servo dei più perfidi, tacciato dei peggiori vizi del mondo, un depravato, per sua natura si sente male piuttosto che dire la verità. E io sarei così o cosà a seconda di quel che afferma uno che ne dice di tutti i colori? RE
Lei ha il tuo anello. BERTRAM
Ebbene sì. Certamente mi piaceva e l’ho abbordata con l’irruenza della giovinezza. Si teneva a distanza per attirarmi, attizzando con la ritrosia la mia voglia, poiché tutti gli ostacoli al corso del desiderio amoroso non fanno che accrescerlo. Infi ne, la sua sconfi nata astuzia, assieme a quella grazia così popolare, mi hanno convinto a darle il compenso richiesto. Lei ebbe l’anello, e io ebbi ciò che un mio subalterno avrebbe potuto acquistare a prezzo di mercato. DIANA
Devo essere paziente. Voi che avete respinto una prima moglie tanto nobile giustamente rifiutate me. Vi prego soltanto, visto che la
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
Since you lack virtue I will lose a husband — Send for your ring, I will return it home, And give me mine again. BERTRAM I have it not. KING (to Diana) What ring was yours, I pray you?
225
DIANA
Sir, much like the same upon your finger
230
KING
Know you this ring? This ring was his of late. DIANA
And this was it I gave him being abed. KING
The story then goes false you threw it him Out of a casement? DIANA I have spoke the truth. Enter Paroles BERTRAM (to the King)
My lord, I do confess the ring was hers.
235
KING
You boggle shrewdly; every feather starts you. — Is this the man you speak of? DIANA Ay, my lord. KING (to Paroles) Tell me, sirrah — but tell me true, I charge you, Not fearing the displeasure of your master, Which on your just proceeding I’ll keep off — By him and by this woman here what know you? PAROLES So please your majesty, my master hath been an honourable gentleman. Tricks he hath had in him which gentlemen have.
240
KING
Come, come, to th’ purpose. Did he love this woman? PAROLES Faith, sir, he did love her, but how?
246
986
Shakespeare IV.indb 986
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
virtù vi manca e io perderò un marito, di riprendervi l’anello: io ve lo restituisco e voi mi darete indietro il mio. BERTRAM
Non ce l’ho. RE (a Diana)
Ma per favore, di quale anello stiamo parlando? DIANA
Signore, di un anello molto simile a quello che portate voi al dito. RE
Conoscete questo anello? Prima questo anello lo portava lui! DIANA
È quello che gli ho dato a letto. RE
Allora la storia che glielo avete gettato dalla finestra è falsa! DIANA
Io ho detto la verità. Entra Paroles BERTRAM (al re)
Mio signore, confesso che l’anello era suo. RE
Vi imbizzarrite facilmente. Anche una piuma basta a turbarvi. È questo l’uomo di cui parli? DIANA
Sì, mio signore. RE (a Paroles)
Dimmi, ragazzo – ma dimmi la verità, te lo ordino, senza timore di dispiacere al tuo padrone, ché se vi comportate come si deve me la vedrò io con lui; che cosa sai di lui e di questa donna qui presente? PAROLES
Piaccia a vossignoria che il mio padrone si è sempre comportato da onesto gentiluomo. Qualche scherzetto l’ha fatto anche lui, come tutti i gentiluomini. RE
Avanti, avanti, veniamo al punto. Amava questa donna? PAROLES
Sicuro, signore, che l’amava. Ma come l’amava? 987
Shakespeare IV.indb 987
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
KING How, I pray you? PAROLES He did love her, sir, as a gentleman loves a
woman. KING How is that? PAROLES He loved her, sir, and loved her not. KING As thou art a knave and no knave. What an equivocal companion is this! PAROLES I am a poor man, and at your majesty’s command. LAFEU (to the King) He’s a good drum, my lord, but a naughty orator. DIANA (to Paroles) Do you know he promised me marriage? PAROLES Faith, I know more than I’ll speak. KING But wilt thou not speak all thou know’st? PAROLES Yes, so please your majesty. I did go between them, as I said; but more than that, he loved her, for indeed he was mad for her and talked of Satan and of limbo and of Furies and I know not what. Yet I was in that credit with them at that time that I knew of their going to bed and of other motions, as promising her marriage and things which would derive me ill will to speak of. Therefore I will not speak what I know. KING Thou hast spoken all already, unless thou canst say they are married. But thou art too fine in thy evidence, therefore stand aside. — This ring you say was yours. DIANA Ay, my good lord.
250
255
260
271
KING
Where did you buy it? Or who gave it you?
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
RE
Appunto, come? – ti chiedo. PAROLES
L’amava, signore, come un gentiluomo ama una donna. RE
E come? PAROLES
L’amava, signore, e non l’amava. RE
Come te, che sei un briccone e non sei un briccone. Ma che personaggio ambiguo è mai questo? PAROLES
Sono un poveraccio. Al servizio di vossignoria. LAFEU (al re) È un buon tamburino, signore, ma un impiastro come oratore. DIANA (a Paroles) Tu sapevi che aveva promesso di sposarmi? PAROLES
Per la verità, io so più di quanto non dico. RE
Allora non vuoi dire tutto ciò che sai? PAROLES
Sì, e così piaccia a vostra maestà. Come ho detto, io tra loro ero mezzano; ma oltre a questo, il fatto è che lui l’amava, era pazzo di lei e parlava di Satana e del Limbo, e delle Furie, e non so che d’altro. E comunque allora ero così stimato presso di loro che sapevo che andavano a letto, e di altri progetti, come di sposarla e altre cose che mi metterebbero nei guai se ne parlassi; e perciò non parlerò di ciò che so. RE
Hai già detto tutto, a meno che tu non arrivi a dire che si sono sposati. Ma sei troppo astuto nella tua testimonianza. Perciò fatti da parte. Questo anello, dite, era vostro. DIANA
Sì, mio signore. RE
Dove l’avete comprato? Chi ve l’ha dato? 989
Shakespeare IV.indb 989
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
DIANA
It was not given me, nor I did not buy it. KING
Who lent it you? It was not lent me neither.
DIANA
275
KING
Where did you find it then? DIANA
I found it not.
KING
If it were yours by none of all these ways, How could you give it him? DIANA I never gave it him. LAFEU (to the King) This woman’s an easy glove, my lord, she goes off and on at pleasure. KING (to Diana) This ring was mine. I gave it his first wife.
280
DIANA
It might be yours or hers for aught I know. KING (to attendants)
Take her away, I do not like her now. To prison with her. And away with him. — Unless thou tell’st me where thou hadst this ring Thou diest within this hour. DIANA I’ll never tell you. KING (to attendants) Take her away. DIANA I’ll put in bail, my liege.
285
KING
I think thee now some common customer. DIANA
By Jove, if ever I knew man ’twas you. KING
Wherefore hast thou accused him all this while?
290
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Shakespeare IV.indb 990
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
DIANA
Non mi fu dato, né lo comprai. RE
Chi ve l’ha prestato? DIANA
Non mi è stato nemmeno prestato. RE
E allora dove lo trovaste? DIANA
Non l’ho trovato. RE
Se non fu vostro in nessuno di questi modi, come avete potuto darlo a lui? DIANA
Mai dato a lui. LAFEU (al re)
Questa donna è un guanto. Lo indossi e lo togli come vuoi. RE (A Diana) Questo anello era mio. Lo diedi io alla sua prima moglie. DIANA
Per quel che ne so io, può essere vostro o suo. RE (ai servitori) Portatela via. Ora mi ha seccato. In prigione. Fuori! Con lei270. Se non mi direte dove avete avuto l’anello, entro un’ora sarete morta. DIANA
Non ve lo dirò mai. RE (ai servitori)
Portatela via! DIANA
Pagherò la cauzione, mio signore. RE
Ora ti considero davvero una puttana. DIANA
Per Giove, se mai ho conosciuto un uomo, siete voi. RE
Perché lo avete accusato fino ad ora?
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, ACT 5 SCENE 3
DIANA
Because he’s guilty, and he is not guilty. He knows I am no maid, and he’ll swear to’t; I’ll swear I am a maid, and he knows not. Great King, I am no strumpet; by my life, I am either maid or else this old man’s wife.
295
KING (to attendants)
She does abuse our ears. To prison with her. DIANA
Good mother, fetch my bail. Exit Widow Stay, royal sir. The jeweller that owes the ring is sent for, And he shall surety me. But for this lord, Who hath abused me as he knows himself, Though yet he never harmed me, here I quit him. He knows himself my bed he hath defi led, And at that time he got his wife with child. Dead though she be she feels her young one kick. So there’s my riddle; one that’s dead is quick. And now behold the meaning.
300
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Enter Helen and the Widow Is there no exorcist Beguiles the truer office of mine eyes? Is’t real that I see? HELEN No, my good lord, ’Tis but the shadow of a wife you see, The name and not the thing. BERTRAM Both, both. O, pardon! KING
HELEN
O, my good lord, when I was like this maid I found you wondrous kind. There is your ring. And, look you, here’s your letter. This it says: ‘When from my finger you can get this ring, And are by me with child,’ et cetera. This is done. Will you be mine now you are doubly won?
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, ATTO V SCENA 3
DIANA
Perché è colpevole e non è colpevole. È convinto che non sono vergine, ed è pronto a giurarlo. E io giuro di essere vergine, ma lui non lo sa. Grande re, non sono una sgualdrina. Giuro sulla mia vita, o sono vergine, o credetemi la moglie di questo vecchio271. RE (ai servitori) Sta insultando le nostre orecchie. Conducetela in prigione. DIANA
Madre cara, andate a prendere la mia cauzione. Esce la vedova Aspettate, maestà. Ho convocato il gioielliere dell’anello, e mi farà da garante. Ma questo nobiluomo che ha abusato di me e lo sa, anche se non mi ha mai davvero danneggiata, io lo ripago. Lui sa di aver lordato il mio letto, e al tempo stesso è sua moglie che ha messo incinta. Benché morta, sente il suo piccolo scalciare. Perciò ecco il mio indovinello: colei che è morta vive272. E ora trovate la soluzione. Entrano Elena e la vedova RE
C’è un esorcista che inganna la vera funzione dei miei occhi? È reale ciò che vedo? ELENA
No, mio caro signore. Non è che l’ombra di una moglie ciò che vedete, il nome e non la cosa. BERTRAM
Entrambe. Entrambe. Perdono! ELENA
Mio buon signore, quando mi credevate questa ragazza, vi ho trovato straordinariamente gentile. Qui c’è il vostro anello. Guardate: ecco la vostra lettera. Dice: ‘Quando toglierete questo anello dal mio dito, e avrete un figlio da me…’ Ecco fatto. Sarete mio, adesso che siete stato doppiamente vinto?
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Shakespeare IV.indb 993
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ALL’S WELL THAT ENDS WELL, EPILOGUE
BERTRAM (to the King)
If she, my liege, can make me know this clearly I’ll love her dearly, ever ever dearly. HELEN
If it appear not plain and prove untrue, Deadly divorce step between me and you. — O my dear mother, do I see you living?
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LAFEU
Mine eyes smell onions, I shall weep anon. (To Paroles) Good Tom Drum, lend me a handkerchief. So, I thank thee. Wait on me home, I’ll make sport with thee. Let thy curtsies alone, they are scurvy ones. KING (to Helen) Let us from point to point this story know To make the even truth in pleasure flow. (To Diana) If thou be’st yet a fresh uncroppèd flower, Choose thou thy husband and I’ll pay thy dower. For I can guess that by thy honest aid Thou kept’st a wife herself, thyself a maid. Of that and all the progress more and less Resolvèdly more leisure shall express. All yet seems well; and if it end so meet, The bitter past, more welcome is the sweet.
326
330
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Flourish of trumpets Epilogue The King’s a beggar now the play is done. All is well ended if this suit be won: That you express content, which we will pay With strife to please you, day exceeding day. Ours be your patience then, and yours our parts: Your gentle hands lend us, and take our hearts.
5 Exeunt
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Shakespeare IV.indb 994
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TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE, EPILOGO
BERTRAM (al re)
Mio sovrano, se mi saprà chiarire tutto, l’amerò caramente, sempre, sempre caramente. ELENA
Se non sembrerà chiaro, o si proverà falso, mortale divorzio si frapponga tra me e voi. Cara madre, vi vedo viva? LAFEU
I miei occhi sentono odore di cipolla. Mi sa che ora piangerò. (a Paroles) Buon tamburino, prestami un fazzoletto. Accompagnami a casa. Mi voglio divertire un po’ con te. E lascia perdere le moine273, sono volgari. RE (a Elena) Raccontaci la storia, punto per punto, lascia che la verità esatta sgorghi in piacere. (a Diana) E se tu sei ancora un fiore fresco e non reciso, scegliti un marito e io ti fornirò la dote. Perché posso indovinare che, con il tuo onesto aiuto, hai mantenuto lei moglie e te ragazza. Da questi fatti e da quel che sarà, più o meno dettagliatamente, il loro sciogliersi si riceverà ancora più piacere. Ma tutto sembra bene e, se finisce così, passata l’amarezza, benvenuta è la dolcezza. Fanfara di trombe Epilogo Finita la storia, il re in ginocchio chiede che la sua supplica esaudiate274: se soddisfatti vi mostrerete, noi a ripagarvi siamo pronti con svaghi di giorno in giorno architettati; starà allora a noi mostrar pazienza, a voi lasciando attiva rispondenza. Batteteci le mani gentilmente, e i nostri cuori voi guadagnerete. Escono
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Shakespeare IV.indb 995
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Drammi romanzeschi
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Shakespeare IV.indb 998
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Pericles, Prince of Tyre Pericle, principe di Tiro Testo inglese a cura di GARY TAYLOR Nota introduttiva, traduzione e note di ANTONIO CASTORE
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Shakespeare IV.indb 1000
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Nota introduttiva
Per lungo tempo assente dal canone shakespeariano – entrerà a farne parte stabilmente solo nel tardo Settecento – Pericle occupa in realtà una posizione chiave nello sviluppo della produzione del drammaturgo: scritto in collaborazione con George Wilkins intorno al 1608, esso inaugura infatti l’ultima stagione del suo teatro, quella dei cosiddetti “drammi romanzeschi”. Opera per molti aspetti sperimentale e ricca di contraddizioni, dopo lo straordinario successo iniziale Pericle ha faticato – e in parte fatica tutt’oggi – a emergere nel suo pieno valore, soprattutto a causa della pessima qualità del testo a noi pervenuto. Tuttavia, pur da questa riproduzione infedele e impoverita dell’originale perduto, traluce a tratti lo splendore dei versi, la potenza drammatica di uno Shakespeare maturo, approdato, dopo la stagione delle grandi tragedie, ad una fase nuova per temi e per toni, per linguaggio, per modalità di rappresentazione. Due passi su tutti hanno colpito anche i più radicali detrattori del dramma: l’incipit della scena della tempesta (scena 11) in cui Pericle perde l’amata moglie Taisa, sopraffatta dai dolori del parto dal quale, proprio nel mezzo della furia degli elementi, vedrà la luce Marina, “povero bruscolo di natura” (poor inch of nature) dal nome parlante, altamente simbolico; e la scena 21 che, quasi a chiusura del dramma e dopo molte vicissitudini, vedrà riconoscersi e infi ne riunirsi Pericle e la stessa Marina, una scena che T. S. Eliot, tra gli altri, salutò come capolavoro assoluto, “esempio di ultra-drammatico”. Quella di Pericle è una storia antica, già nota al pubblico contemporaneo di Shakespeare in almeno una delle versioni, quella in prosa di Lawrence Twine, ripubblicata negli stessi anni della composizione del 1001
Shakespeare IV.indb 1001
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
dramma; arcaico è il modello – dell’eroe positivo che tutto sopporta – e di moda è il genere avventuroso cui si richiama, con le molte prove a cui è sottoposto il protagonista, l’alterna fortuna, i viaggi e i naufragi, la rottura dell’unità familiare e la provvidenziale ricomposizione finale. Rappresenta invece una novità la trasposizione teatrale di una materia in apparenza non adatta alla scena, per lo meno nella sua concezione classica. Per Shakespeare è l’occasione per inventare un nuovo “linguaggio”, per evocare tutta una storia, letteraria e teatrale, e al tempo stesso per distanziarsi da essa con ironia, per giocare con i generi e riflettere, ancora una volta, sulla propria arte. I piani si sovrappongono di continuo: il passato irrompe nel presente, il racconto si alterna all’azione, la vicenda al suo commento, il pubblico è guidato a muoversi alternativamente dentro e fuori la rappresentazione. Ad orchestrare i giochi è Gower l’“antico” (ancient Gower), il poeta medievale redivivo, tornato a cantare nuovamente quel canto – che canta la vicenda di Pericle – cui la scena intende dar vita, per il diletto e l’ammaestramento del pubblico. Nelle sue parole, arcaiche per lessico e andamento, c’è già ad un tempo il richiamo al passato come repertorio di sapienza e il distacco ironico da esso: così se da un lato egli cita in latino il detto secondo cui “ciò che è buono più è antico e meglio è” (et bonum quo antiquius eo melius) dall’altro si presenta come un “vecchio” di fronte a un pubblico nato in “tempi tardi, di più maturo ingegno”, del quale cerca la benevolenza chiedendo venia per i suoi versi dai “piedi zoppi” (the lame feet of my rhyme, 15, 48). Eppure sarà Gower a tenere le fi la del racconto, ad “insegnare” (to teach you, 18, 5), a condurre lo sguardo e l’immaginazione del pubblico nei diversi luoghi e tempi in cui le vicende hanno corso; lo farà da consumato capocomico, sopraintendendo ai movimenti dei personaggi, richiamando luoghi esotici, evocando mari e venti e, talvolta, reduplicando la rappresentazione stessa e i suoi protagonisti alla maniera del teatro antico, in brevi scene mute, o pantomime, a illustrazione delle proprie parole. Come una favola, Pericle si apre con un enigma da sciogliere, la prova da superare per conquistare il cuore della bella principessa, e si chiude, dopo molte traversie e avendo saggiato il sapore amaro della separazione e della morte, con un lieto fine e la ritrovata gioia. Dopo gli appelli inascoltati di Lear agli dei, la parabola positiva di Pericle ha fatto parlare dell’inizio di una stagione nuova e di un nuovo sguardo di Shakespeare 1002
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NOTA INTRODUTTIVA
sugli eventi umani, su cui vigilerebbe una giustizia superiore, forse in accordo con la natura o con un ordine provvidenziale. Altri vi hanno visto un’utopia regressiva, volta a distogliere gli occhi dalla realtà. Certo è che la storia del principe di Tiro si mostra come “emblematica” e si articola come ricognizione attorno ai temi della “pazienza” (non solo in Pericle ma anche, e forse più, in Marina) e della “gloria”, un termine che sottilmente punteggia tutto il corso del dramma. Non si tratta solo della ricerca di fama, giacché in inglese il termine glory con i suoi derivati dice di un’affi nità con la “luce” e con il “numinoso”. Ma ciò significa anche che si può incorrere nell’inganno dei sensi e del desiderio (“puro cristallo di luce … brillante scrigno … stipato di male”, Fair glass of light … glorious casket stored with ill, 1, 120), nella falsa apparenza, nella vana gloria dei monumenti terreni (“gli erigono una statua a sua futura gloria”, His statue build to make him glorious, 5, 14). Data e trasmissione del testo Se in apertura il poeta Gower, tornato dai morti, annuncia se stesso, il proprio canto e l’intero dramma come “reincarnazione”, va detto sin da subito che la storia del testo di Pericle ha molto da condividere con le storie di fantasmi, in cui accanto a dati certi e fatti documentati si muovono personaggi oscuri, presenze evanescenti, e, soprattutto, assenti illustri e loro doppi. Come Philip Edwards ebbe modo di riassumere, “quando parliamo del Pericle come fu rappresentato dalla compagnia di Shakespeare … parliamo di un dramma nascosto, a noi celato da un testo pieno di una tale confusione e di un linguaggio così povero e maldestro da non aver pari nel canone shakespeariano”. Lo spettro per antonomasia è qui senza dubbio quello del testo “originale”, sempre sfuggente, continuamente evocato e surrogato, visibile solo attraverso le sue tracce. La prima e più importante tra queste risale al 20 maggio 1608, data in cui l’editore-stampatore Edward Blount iscrive presso lo Stationers’ Register un “libro” (book), così defi nito in quanto presumibilmente derivante da un “copione di scena” (prompt book), “chiamato il libro di Pericle, principe di Tiro”: com’era d’uso allora, Blount intendeva assicurarsi così i diritti di pubblicazione e prevenire eventuali – ai tempi assai frequenti – riproduzioni pirata. L’opera era stata scritta per la compagnia di Shakespeare, i King’s Men, gli Uomini del re, plausibilmente tra il 1607 1003
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
e i primi mesi del 1608: del 1607 è infatti la ristampa di The Patterne of Painefull Adventures, di Lawrence Twine, che trattando la medesima materia del Pericle ne fu probabile fonte d’ispirazione; mentre si sa per certo che nei primi mesi del 1608 il dramma era già sulle scene, giacché l’ambasciatore veneziano in visita a Londra ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione non più tardi di allora. I documenti del tempo ci dicono che l’opera incontrò sin da subito un’ottima accoglienza da parte del pubblico; ma questo successo si rivelò per altro verso assai dannoso per le sorti del testo e per la nostra conoscenza di esso. A dispetto di ogni regola e delle stesse precauzioni prese da Edward Blount, infatti si assistette in breve alla proliferazione non controllata dei testi, ognuno pronto a reclamare per sé l’esclusiva autenticità. Così, nello stesso 1608, vede le stampe un testo in prosa a firma di George Wilkins, The Painfulle Adventures of Pericles, Prince of Tyre (“Le dolorose avventure di Pericle” ecc.) che già nel titolo si propone come autorevole sostituto di un testo “originale” che, al contrario, non verrà mai pubblicato. Dichiara infatti di essere “la vera storia (History) del dramma Pericle, come recentemente (lately) presentata dall’antico e illustre poeta John Gower”. In realtà, l’operazione di Wilkins, volta com’era a sfruttare economicamente il momento, era affrettata e di alterno valore: accanto a passi che riproducono fedelmente il linguaggio, la trama verbale e persino le cadenze metriche dell’originale mancante, in più punti il suo testo si mostra approssimativo o ripreso, quasi alla lettera, dal precedente di Twine. Wilkins infatti, che pure, come vedremo, aveva collaborato alla scrittura di alcune parti del Pericle, non ne possedeva l’intero copione. L’anno successivo, il 1609, è la volta della prima pubblicazione in-quarto del dramma; non si tratta neanche qui però del testo in mano ad Edward Blount, né di altro copione fedelmente restituito: l’editore è Henry Gosson, non particolarmente accurato e non specializzato nella pubblicazione di testi drammatici; il manoscritto, lacunoso e impreciso, è con tutta probabilità compilato a più mani, sulla base di annotazioni prese durante le rappresentazioni, di lacerti di copione e di ricostruzioni mnemoniche. Sul frontespizio è nuovamente presente il riferimento ad un dramma di grande e recente successo (The Late and Much Admired Play), moltissime volte rappresentato al Globe; Shakespeare è citato come autore. Al successo di pubblico nei teatri, fa seguito quello dei 1004
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NOTA INTRODUTTIVA
lettori, tanto che il dramma viene stampato una seconda volta già nel 1609 dallo stesso Gosson e due anni dopo da uno stampatore anonimo. Nel 1619 esce la quarta edizione in quarto ad opera di William Jaggard per conto di Thomas Pavier. Questa data è importante, perché ci permette di fare il punto su un doppio canale di circolazione del testo: da un lato, il testo a stampa, che continua a riprodurre, pur con un primo tentativo di rettifica, le molte incongruenze di un manoscritto ampiamente imperfetto; dall’altro, il copione di scena originale, che in quell’anno è lecito supporre (Melchiori) si trovi ancora nelle mani della compagnia, attivo e “agito”, giacché proprio del 1619 è la testimonianza di una rappresentazione del Pericle a corte da parte degli “Uomini del re”. Da allora in poi, se del testo a stampa si avranno altre due pubblicazioni in-quarto, senza sostanziali modifiche, del copione teatrale, che non sarà mai stampato, si perderà traccia. Ne è prova indiretta, secondo alcuni, il fatto che Pericle non venga incluso nella prima raccolta in folio dei drammi di Shakespeare, pubblicata nel 1623 da Blount e Jaggard. Si è molto discusso sulle ragioni di tale esclusione, ma una delle ipotesi più accreditate è che gli editori non disponessero del copione della compagnia, né di un testo altrimenti affidabile, non ritenendo evidentemente tale quello in possesso di Jaggard e da lui stesso già pubblicato in quarto. Altre ipotesi, ma ce ne occuperemo più in là, riguardano la paternità dell’opera, non interamente in capo a Shakespeare. Si dovrà aspettare fi no al 1664 per l’inclusione del Pericle nel canone shakespeariano e ancora una volta per via obliqua e surrettizia: verrà cioè pubblicato come aggiunta alla ristampa del terzo in-folio, insieme ad altri sei drammi falsamente attribuiti a Shakespeare. Né si tratterà di una consacrazione definitiva: nuovamente estromesso da Rowe e Pope nel Settecento, riammesso con riserva da Steevens e Malone, Pericle continuerà, a fasi alterne, ad essere ripudiato, in toto o in parte, vuoi per lo stato corrotto del testo pervenuto, vuoi perché alcune scene, come quelle ambientate nel bordello o ad Antiochia con riferimento all’incesto, urtavano la morale e non erano considerate all’altezza del genio di Shakespeare. Ogni edizione moderna è posta di fronte all’alternativa: limitarsi a riprodurre, con gli opportuni emendamenti, il testo infelice dell’in-quarto o appoggiarsi alle fonti (Gower e Twine) e alla versione in prosa di 1005
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
Wilkins per “ricostruire”, per via congetturale, un testo più compiuto e plausibilmente più prossimo all’originale mancante. Il testo qui presentato, che segue l’edizione Oxford delle opere complete del 2005, sceglie questa seconda strada e, corroborata anche dalla pratica teatrale, attinge in misura massiccia dalle Painful Adventures. Il testo di Wilkins è utilizzato come costante termine di confronto e verifica dell’in-quarto, per chiarire singole espressioni o passi oscuri, determinare la successione degli eventi, ampliare alcuni passaggi. In due casi, seguendo Wilkins, la nostra edizione si discosta in modo significativo dall’in-quarto. Nel primo il confronto con le Painful Adventures porta all’inserimento di un’intera, seppur breve, scena inedita (8a): al termine della giornata di giochi e festeggiamenti a Pentapoli (scena 7), Pericle si ritira nelle sue stanze e, accompagnandosi al liuto, intona una canzone per fuggire la malinconia, dando così prova di essere l’immagine del perfetto principe e gentiluomo, abile tanto nelle armi quanto nelle arti. La nostra edizione segue poi Wilkins in alcuni passi cruciali delle scene nel bordello a Mitilene, che pongono in diversa luce la figura di Lisimaco: non più, come nell’in-quarto, irreprensibile governatore, giunto nella casa di piacere senza cattive intenzioni (with no ill intent) ma abituale frequentatore del bordello, “venuto qui con pensieri impuri” che solo “le … parole [di Marina] hanno mutato”. In questo caso, secondo i curatori del testo inglese Warren e Taylor, l’in-quarto potrebbe essere stato soggetto a censura. Rispetto alla versione di aperta e innovativa rottura proposta da Warren e da noi riprodotta, la nuova edizione Oxford, NOS, seguirà una via più cauta, non limitandosi alla riproduzione del testo emendato dell’inquarto, ma utilizzando il testo di Wilkins con maggiore parsimonia. Le fonti Nell’inaugurare la fase dei drammi romanzeschi, l’ultima della produzione shakespeariana, Pericle abbandona defi nitivamente ogni idea di realismo e mette in scena la strutturazione stessa del testo, il meccanismo della finzione, il gioco dei generi. In questo quadro va visto anche il discorso sulle fonti. La vicenda narrata si denuncia infatti, sin dall’apertura, come derivata, e in particolare ripresa da una storia di lunga tradizione. A song that old was sung: è un “canto che in antico fu cantato”, quello che “il vecchio Gower” si appresta a ricantare o, se preferiamo, a 1006
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presentare. Per altro, nel presentare la vicenda, Gower presenta anche se stesso, non solo “cantore” o narratore, ma egli stesso autore, fonte e ad un tempo mediatore di fonti ancor più antiche (“a voi dico quanto dicono i miei autori”). La finzione, qui senza infi ngimenti, rimanda infatti alla figura storica del poeta medievale inglese John Gower (1330-1408) autore di quella Confessio Amantis che costituisce di fatto, con il suo libro ottavo, il riferimento principale per il tema, la trama, i personaggi e molti dettagli del Pericle, ma che Shakespeare aveva già tenuto presente nella costruzione di alcuni elementi della Commedia degli errori. Altra fonte importante del Pericle è un’opera a firma di Lawrence Twine, intitolata The Pattern of Painful Adventures, pubblicata nel 1576 e ristampata nel 1594 e nel 1607. Sia l’opera di Gower che quella di Twine narrano le avventure e le alterne fortune di Apollonio di Tiro; cambiano però i generi (un lungo poema la Confessio amantis, un testo in prosa il Pattern di Twine) e le rispettive genealogie. La leggenda di Apollonio, infatti, risalente al romanzo greco del V secolo, attraversa i secoli e le nazioni in una varietà di lingue, di forme e di modalità di fruizione sorprendente, come d’altra parte non manca di rilevare lo stesso narratore nel Prologo (“L’hanno cantato nelle celebrazioni, a vigilia dei digiuni e alle sagre dei patroni; l’hanno letto dame e nobili signori”, 1, 5-7). E dunque, mentre Twine si limita a tradurre, forse con la mediazione di una versione francese, la storia così come è narrata nella raccolta latina delle Gesta Romanorum del XIII secolo, Gower attinge dalla versione latina in rima che ne dà Goffredo da Viterbo nel suo Pantheon (1187-90). Le versioni quindi differiscono in parte e se da un lato Pericle segue in generale – e molto da vicino – Gower, a Twine si appoggia per espandere alcune scene, prime tra tutte quelle del bordello. L’episodio, che in Gower è trattato sbrigativamente, in Twine acquista spazio e respiro, e pone in nuova luce la figura del governatore Lisimaco: se in Gower Lisimaco non frequenta il bordello, Twine si sofferma sulla sua visita e sull’incontro con Marina, e dà vita a un personaggio complesso. Rispetto alle fonti, nel Pericle cambiano i nomi dei personaggi principali: nella sua Confessio amantis, Gower chiama Taisa non la moglie ma la figlia di Pericle. La figlia di Simonide non ha nome in Gower, mentre Twine la chiama Lucina, nome che veniva anche usato per indicare Diana, nella veste di dea protettrice dei parti e dei nascituri. Shakespeare manterrà, sviluppandolo, il legame tra la dea Diana e i suoi personaggi 1007
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femminili, Taisa in primo luogo. Il nome Marina, preziosa invenzione shakespeariana, non è presente nelle due fonti principali, così come il nome del protagonista. Quanto a quest’ultimo, è stata avanzata l’ipotesi di un riferimento allo statista greco, immagine di pazienza secondo il ritratto che ne forniscono le Vite di Plutarco tradotte nel 1598 da Thomas North. Tuttavia, sembra più probabile che Pericle sia in questo debitore ad un’opera contemporanea di grande successo e diffusione, l’’Arcadia (1590; 1593) di Philip Sidney, di cui riprenderebbe con diversa dizione il nome di uno dei due eroi, Pyrocles. Memorie dell’Arcadia, d’altra parte, si intravedono anche nella costruzione di alcune scene, come quella del torneo a Pentapoli con la presentazione di tutti i cavalieri, e in alcune immagini, come la metafora dell’uomo quale palla da tennis alla mercé di forze a lui superiori (Arcadia, 5, 5): “Un uomo, con cui tanto le acque quanto i venti hanno giocato come fosse una pallina al loro uso in un enorme campo da tennis” (Pericle, 5). Le collaborazioni Benché sul frontespizio della prima edizione a stampa, conosciuta come primo in-quarto, William Shakespeare compaia come unico autore di Pericle, la critica è ormai pressoché concorde nel ritenere il dramma frutto di una collaborazione tra questi e George Wilkins, nome legato, come abbiamo visto, a quel Painful Adventures che, pubblicato nel 1608, prima ancora dell’in-quarto, reclamava d’essere la “vera storia” di Pericle, principe di Tiro, così come era stata “di recente” rappresentata. Il problema dell’attribuzione dell’opera, strettamente intrecciato alle questioni testuali, ne ha in verità segnato la ricezione sin dall’inizio. C’è ragione di ipotizzare, ad esempio, che l’esclusione dalla raccolta delle opere del drammaturgo pubblicata in-folio del 1623 sia legata in qualche misura al nodo della paternità spuria del dramma. Scomparsi i protagonisti del tempo, gli attori della compagnia, i primi editori-stampatori e in generale coloro che potevano serbare memoria diretta della sua genesi, a risollevare di volta in volta l’attenzione sull’attribuzione del Pericle sono stati commentatori intenti a dare ragione delle forti discrepanze interne del testo, in particolare quelle inerenti alle differenze di stile – poetico e drammatico – tra i primi due atti e i restanti tre (o, in base alla suddivisione adottata dalla nostra edizione, tra le prime nove e le ultime dodici scene). 1008
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Se la scena della tempesta (scena 11) segna a detta di tutti i commentatori una frattura netta, da cui emerge, inatteso e folgorante, un linguaggio incomparabile con quello della prima parte e caratterizzato dagli stilemi tipici del tardo Shakespeare, tuttavia l’ipotesi della collaborazione di più autori non è la sola ad aver tenuto campo. Benché minoritaria, la tesi che il Pericle sia interamente ascrivibile a Shakespeare ha continuato ad avere i suoi sostenitori. Tra questi, a giustificazione degli squilibri del testo, si sono imposte due principali linee di pensiero: quella che riconduce le differenze interne a deliberata scelta poetica e quella che le spiega con ragioni di tipo testuale. Secondo la prima ipotesi, per tutta la prima parte del dramma Shakespeare avrebbe volutamente adeguato il linguaggio alla materia oggetto di rappresentazione, arcaica e rozza per stessa ammissione del suo presentatore in scena, il poeta-narratore Gower. Secondo l’ipotesi testuale (Edwards), le discrepanze sarebbero da imputare alla modalità attraverso cui il testo dell’in-quarto fu prima assemblato e poi stampato. Frutto del lavoro di stampa di molte mani (due stampatori e – probabilmente – tre diversi compositori) il testo pubblicato non farebbe che riprodurre la differenza di stile introdotta nel manoscritto in fase di compilazione. Due, secondo Edwards, i soggetti responsabili e due, e diverse, le modalità con cui essi, a partire da note stenografate e tracce mnemoniche, operarono nel trascrivere e nel ricostruire il testo del dramma rappresentato: l’uno, più attento alle sequenze drammatiche, avrebbe reso le prime nove scene in modo piuttosto fedele ma in versi maldestri di propria fattura; l’altro, al contrario, avrebbe avuto maggior cura nel riprodurre il linguaggio dell’originale. Per quanto importante sotto il profi lo dell’analisi testuale, l’ipotesi di Edwards non riscontrerà grande consenso. Verrà in parte ripresa da coloro che, come i curatori dell’edizione New Cambridge Del Vecchio e Hammond (1998), liquidano l’intera questione della paternità dell’opera come irrilevante ai fini del lavoro fi lologico ed ermeneutico, o della pratica teatrale di messinscena e interpretazione. Se d’altro canto la questione riveste un indubbio interesse storico e documentario è pur vero che l’acrimonia che ha alimentato nei secoli il dibattito tradisce, almeno in parte, uno sguardo “altro” rispetto alla prassi di creazione e fruizione del tempo, in cui i casi di collaborazione non erano affatto rari e il teatro nel suo complesso era percepito come 1009
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pratica collaborativa. A cambiare le cose sarà il consolidarsi di una nuova idea di “autore”, che vede nel creatore del testo un’individualità singola e autonoma, pronta a rivestirsi dei caratteri di “genialità”, “unicità” e “purezza”. Questo nuovo sguardo accenderà i riflettori e armerà lo scandaglio alla ricerca della figura responsabile dei passi non attribuibili a Shakespeare. Analisi stilistiche sempre più raffi nate, il confronto con altre opere contemporanee, lo studio comparato delle occorrenze di parole rare, di determinati usi sintattici o di versificazione, hanno portato a fare i nomi di John Day, William Rowley, Thomas Heywood e George Wilkins. A favore di quest’ultimo una parola pressoché defi nitiva ha detto lo studio di McDonald P. Jackson (2003), intitolato significativamente Defining Shakespeare: ‘Pericles’ as Test Case. Personaggio violento e dalla dubbia reputazione, George Wilkins (1575-1618) ha lasciato ampia traccia di sé nelle cronache giudiziarie, in più di un caso per violenze su donne, una volta per aver preso a calci una donna incinta. Proprietario di una locanda che non solo alloggiava prostitute ma che si sospetta fosse essa stessa un bordello di cui egli era tenutario, si sa che Wilkins rientrava tra le conoscenze di Shakespeare, per motivi sia personali che professionali. Era stato autore di alcuni drammi perlopiù in collaborazione con altri drammaturghi, come The Travels of Three English Brothers (1607), scritto con Rowley e Day, e di una tragicommedia di ambientazione domestica, The Miseries of Enforced Marriage. Pubblicata nel 1607, The Miseries è una commedia “non priva di meriti” e “costruita secondo un impianto ambizioso” (Warren) e fu probabilmente rappresentata poco prima dagli Uomini del re, ottenendo un ottimo successo di pubblico. È possibile dunque che, sulla scia del consenso appena ottenuto, Wilkins abbia proposto a Shakespeare e alla sua compagnia un “soggetto” per una nuova rappresentazione, uno schema di trama, un abbozzo o forse una prima stesura del dramma. Shakespeare sarebbe dunque intervenuto o per rivedere un testo già interamente scritto da Wilkins o per completarne uno sviluppato da questi solo in parte. L’ipotesi più probabile, secondo Roger Warren, è che l’accordo tra Wilkins e la compagnia prevedesse una divisione del lavoro – e delle scene da sviluppare – in due parti quasi simmetriche tra lui e Shakespeare. Il che spiegherebbe la netta differenza di stile tra la prima metà (scene 1-9) e la seconda (scene 1010
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11-22) e non escluderebbe alcuni mirati interventi di entrambi nella parte di competenza dell’altro. La mano di Shakespeare è stata infatti rilevata da alcuni commentatori nella prima parte del dramma, mentre si pensa che Wilkins possa aver contribuito alla stesura delle scene del bordello. Questa ipotesi spiegherebbe infine anche alcune particolarità delle Painful Adventures di Wilkins e perché quest’opera possa essere ritenuta affidabile solo in parte nel ricostruire il testo originale del dramma rappresentato. Wilkins con tutta probabilità non disponeva dell’intero copione, i cui “diritti” spettavano alla compagnia: forse non era nemmeno in possesso di una copia della parte di propria competenza, di cui tuttavia, come è ovvio, serbava migliore memoria e forse alcuni stralci, insieme a note ed appunti. Era dunque dovuto ricorrere alle fonti, in primis a Twine – che saccheggerà senza troppi riguardi, copiandone apertamente interi passi –, per colmare le lacune dei propri ricordi e ampliare scene, qua e là, al fine di dare respiro al racconto e chiarezza agli eventi. Ne consegue un testo che, specie nella prima metà, lascia intravedere, sebbene in prosa, una trama verbale con riconoscibili vestigia di versi e che, più in generale, può valere a ricostruire passi che nella lezione dell’in-quarto risultano incerti od oscuri. Ma si tratta pur sempre di un testo ricostruito e che mostra un’alterna aderenza all’originale. Secondo l’ipotesi di Warren sarebbe ad ogni modo da attribuire a Wilkins la struttura generale del Pericle, con le sue interne simmetrie e corrispondenze: ogni metà chiusa da una morte apparente e da un ritorno alla vita (Taisa, seppellita in mare e risuscitata da Cerimone nella prima parte, scene 11-12; Pericle ormai spiritualmente morto, “sordo” ad ogni stimolo e restituito alla vita da Marina, scena 21), l’alternanza dei luoghi scena della “mostruosa lussuria” (Antiochia nella prima parte, Mitilene nella seconda) e di quelli di redenzione (Efeso, scene 12 e 22), ecc. La “firma” di Wilkins, secondo quanto già notato nell’Ottocento (Delius) e confermato successivamente, sarebbe da leggere nello stile gnomico, sentenzioso e moraleggiante, oltre che in determinate cadenze sintattiche (l’omissione del relativo which) e tipologie di rima, frequenti, appunto, nella prima metà del dramma. Suoi anche i primi cori di Gower (scena 1 e 5), seppure con qualche ritocco di Shakespeare, e parte di quello della scena 10, vera cerniera – scena di transizione e passaggio di consegne – tra la prima e la seconda parte. 1011
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La vicenda Pericle si apre con l’ingresso in scena del “vecchio Gower” che, in veste di Prologo e di narratore, si incarica di presentare la materia del suo canto. Introducendo la vicenda, egli conduce il pubblico ad Antiochia, dove il re Antioco, per tenere nascosta l’incestuosa relazione che intrattiene con la giovane e bellissima figlia, inscena un macabro rituale con “chiunque voglia chiederla per moglie”: questi “deve sciogliere [un] enigma o è messo a morte”. Pericle, giovane principe di Tiro, si sottopone alla prova (scena 1). Con orrore, nel messaggio cifrato dell’indovinello scorge la peccaminosa verità che si cela sotto la splendido aspetto della fanciulla, “brillante scrigno … stipato di male”. Per timore di ritorsioni, però, decide di non rivelare quanto intuito e di fuggire. Il re Antioco, capendo che il proprio indicibile segreto è stato scoperto, incarica il fedele Taliardo di uccidere Pericle. La scena si sposta quindi a Tiro (sc. 2), presso la corte di Pericle, dove questi si è rifugiato. In preda a forte turbamento per il timore la che vendetta di Antioco possa abbattersi sul proprio popolo innocente, Pericle accetta il suggerimento del fidato consigliere Elicano, gli affida il governo del regno e si accinge ad allontanarsi per qualche tempo. Intanto (sc. 3), Taliardo arriva a Tiro e scopre che Pericle è partito. Fingendosi ambasciatore di Antiochia, viene ricevuto con tutti gli onori da Elicano e dagli altri nobili di Tiro. Pericle giunge a Tarso (sc. 4), città un tempo ricca e prospera e ora immiserita da una terribile carestia. Porta grano e chiede in cambio accoglienza e rifugio. Il re Cleone e la moglie Dionisa lo accolgono come un salvatore. Ma, come racconta Gower (sc. 5), le notizie che giungono da Tiro spingono Pericle a cambiare dimora nuovamente. Si rimette in mare ma, vittima di naufragio, si ritrova derelitto, solo superstite e senza più alcunché, sulle coste di Pentapoli. Qui, ascoltando i discorsi e le facezie di tre saggi pescatori, viene a sapere dei giochi che l’indomani si sarebbero tenuti in onore di Taisa, la figlia di Simonide, l’amato re del luogo. Aiutato dalla sorte, che gli restituisce, seppur arrugginita e provata dal mare, la corazza del padre, Pericle decide di parteciparvi. Ultimo a presentarsi e il meno attrezzato tra tutti i cavalieri in lizza (sc. 6), tuttavia egli primeggia nei giochi. Al banchetto che ne segue (sc. 7), Pericle si mostra malinconico e si ritrae dalle danze e dai festeggiamenti, nonostante gli inviti di Simonide e di Taisa, conquistata dal suo valore. A Tiro, intanto (sc. 8), non conoscendo le vere ra1012
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gioni dell’assenza di Pericle e temendolo morto, i nobili ne chiedono conto ad Elicano e decidono di partire alla sua ricerca. Finita la festa nel palazzo del re, Pericle si ritira per la notte nelle sue stanze (sc. 8a) e, per fuggire la malinconia, intona una canzone accompagnandosi al liuto. Il mattino seguente (sc. 9), il re Simonide annuncia a tutti i cavalieri, pretendenti di Taisa e giunti alla sua reggia per i giochi, una lettera in cui la figlia, dichiarando di non volersi sposare per i seguenti dodici mesi, li congeda. Nella lettera, in realtà, Taisa rivela il proprio amore per il principe di Tiro; il quale dapprima teme si tratti di una nuova trama ai suoi danni, poi, vinto dalle virtù di Taisa e dall’astuzia benevola di Simonide, fi nisce per unirsi a lei in matrimonio. Rientra dunque in scena Gower (sc. 10) e nei suoi versi, con l’aiuto di una pantomima, condensa gli eventi dei mesi che immediatamente seguono: il concepimento della prima figlia, l’arrivo di lettere da Tiro che inducono Pericle a ritornare verso casa, la tempesta che lo coglie in mare, insieme alla moglie in attesa e alla nutrice Licorida, a metà viaggio. Mentre Pericle lotta contro gli elementi avversi (sc. 11), Taisa “per la paura entra in travaglio”: dà alla luce una bambina e, sopraffatta dal dolore, viene creduta morta. Non resta a Pericle che trovare una cassa di fortuna, riporvi il corpo della donna insieme a dei gioielli e a un foglio da lui vergato, e gettarla in mare. Decide quindi di cambiare rotta e dirigersi verso Tarso, per non sottoporre la figlia neonata al troppo lungo viaggio verso Tiro. Intanto ad Efeso (sc. 12), alcuni uomini del luogo fanno visita al saggio guaritore Cerimone e gli recano notizia della violenta mareggiata che si è abbattuta sulle loro coste. Poco dopo si annuncia il ritrovamento di una cassa molto pesante, dentro la quale giace Taisa. Letto il messaggio di Pericle e resosi conto che la donna non è ancora del tutto priva di vita, Cerimone si adopera per risvegliarla, con le sue arti curative e l’aiuto della musica. Giunto a Tarso (sc. 13) e dovendo proseguire il proprio viaggio verso Tiro, Pericle lascia la piccola Marina, così chiamata “perché fu partorita in mare”, insieme alla nutrice Licorida presso la corte di Cleone e Dionisa; i quali, ancora grati per l’aiuto ricevuto da Pericle durante la carestia, danno loro sollecita accoglienza. Recuperata intanto a piena vita, Taisa (sc. 14) racconta i propri casi a Cerimone e decide di far voto di castità. Cerimone le prospetta la possibilità di ritirarsi presso il vicino tempio di Diana. A questo punto entra nuovamente in scena Gower (sc. 15), per condurre avanti “il tem1013
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po alato” sui “piedi zoppi” dei suoi versi: sono passati infatti quattordici anni, Marina è cresciuta e divenuta, per bellezza grazia e perfezione in tutte le arti liberali, il centro di ogni lode e “dello stupore generale”. Ciò le procura l’invidia di Dionisa che, vedendo in lei una rivale della figlia Filotene, assolda Leonino per ucciderla. Il piano però non si compie, per i troppi indugi di Leonino e per l’arrivo provvidenziale di un gruppo di pirati, che rapiscono Marina e la portano via con sé. A Mitilene la vendono ai tenutari di un bordello (sc. 16), che vedono in lei, in quanto vergine, una fonte sicura di grandi guadagni. Mentre il lenone Boult cerca clienti in giro per il mercato a Mitilene, la ruffiana tenta di “istruire” alle arti della prostituzione Marina che, di contro, giura fedeltà alla casta dea Diana. A Tarso (sc. 17), Dionisa sprona Cleone a fi ngersi in lutto per la perdita di Marina e insieme, come racconta Gower e mostra un’altra pantomima (sc. 18), inscenano alla presenza Pericle il loro dolore presso la tomba eretta per la fanciulla. Pericle infatti era tornato da loro, insieme ad Elicano, per recuperare la figlia e riportarla con sé a Tiro. Sopraffatto dalla disperazione, Pericle si veste di un sacco di iuta e decide di non tagliare più né barba né capelli. Intanto, nel bordello di Mitilene (sc. 19), Marina mantiene intatta la propria virtù e anzi induce molti clienti a ravvedersi. Tra questi c’è Lisimaco, governatore di tutta la provincia, che, da lei redento, nel lasciarla le dona dell’oro e le promette futuro aiuto. Anche Boult, incaricato dai tenutari di sverginarla, è indotto dalle sue parole a miglior consiglio: la lascerà libera di guadagnare presso famiglie oneste quanto dovuto alla ruffiana. “Così Marina sfugge al bordello”, mentre a Gower tocca riportare l’attenzione su Pericle (sc. 20), il quale di viaggio in viaggio è giunto nelle acque antistanti Mitilene, dove “si tiene la festa annuale per il dio Nettuno”. Lisimaco, avvistata la sua imbarcazione, vi si dirige in segno di saluto (sc. 21). Lì trova Elicano, che gli racconta come le sciagure patite abbiano portato Pericle a richiudersi in se stesso, ormai sordo a qualsiasi stimolo da oltre tre mesi. Su suggerimento di Elicano, viene condotta a bordo Marina, nella speranza che con la sua grazia e le sue arti possa risvegliarlo al mondo. Così avviene che Pericle, dopo aver sentito una sua canzone e il racconto delle sue vicende, la riconosce come sua figlia. Si fa portare dunque nuove vesti, come ridestato a nuova vita; estasiato, sente la “musica delle sfere” celesti. Sconvolto dalla gioia e spossato dall’emozione, cade preda del sonno; durante il qua1014
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le, gli compare in sogno la dea Diana, che gli ordina di recarsi presso il suo tempio a Efeso e di farle un’offerta davanti alle sue vestali e a tutto il popolo. Gower guida il pubblico nell’ultimo viaggio a Efeso (sc. 22), dove ha luogo il ricongiungimento fi nale: Taisa riconosce Pericle dalle sue parole e sviene come morta; Cerimone spiega a Pericle chi ella sia e come sia giunta presso il tempio; Pericle la stringe a sé non appena si riprende e le presenta Marina. A Gower spetta infi ne il compito di tirare le fi la della vicenda, distillarne la morale e congedarsi dal pubblico. Prospettive critiche Pericle può bene essere defi nito un’opera cardine all’interno della produzione shakespeariana, e non solo nell’ottica ristretta della nuda cronologia. Primo tra i drammi romanzeschi, anticipa alcune delle caratteristiche principali che si ritroveranno, con straordinaria coerenza, in tutte le ultime opere del drammaturgo inglese: un nuovo sperimentalismo formale accompagnato dalla ripresa di modelli teatrali e narrativi arcaici o archetipici, il superamento del realismo psicologico nella costruzione dei personaggi, il valore allegorico della trama, costellata di eventi spesso inverosimili e “meravigliosi”, la centralità del rapporto padre-figlia e delle figure simboliche della “musica”, del “mare” e della “tempesta” come motori d’azione e di cambiamento. In quanto opera inaugurale – o di svolta – Pericle presenta tuttavia alcuni caratteri propri e problematici, che ne hanno condizionato la ricezione, secondo traiettorie contorte e inconsuete. Secondo David Skeele, “in termini di ricezione, Pericle è forse il più paradossale dei drammi di Shakespeare”, l’unico ad avere “oscillato in maniera così erratica, così violenta, tra il polo dell’obbrobrio e quello dell’adorazione”. Un variare di giudizio che, mi sembra, non può che essere sintomatico di una contraddittorietà essenziale, da indagare. Ancor più se, come sottolinea Skeele, questa alternanza – e questo scontro – di posizioni inconciliabili non si limita a seguire i mutamenti di gusto della scena culturale, ma attraversa in maniera trasversale le singole epoche e talvolta persino le singole esistenze, inducendo a eclatanti “conversioni” e radicali revisioni di giudizio. Tra le ragioni che si possono individuare, ve ne sono di interne e di esterne al testo, così come mi pare si debba distinguere tra l’immediata ricezione e quella più tarda, viziata dalle vicende “editoriali” che in parte abbiamo già visto, dalla perdita del copione originale e 1015
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da quelli che vorrei chiamare i “due fantasmi” del testo e dell’autore. Nell’una e nell’altra fase, poi, c’è da rilevare come la pratica teatrale abbia svolto un ruolo cruciale nella valutazione, e ri-valutazione, del dramma, talvolta in contrasto con la critica, talvolta anticipandola. Un primo aspetto problematico, che da subito investe il pubblico e diviene oggetto di opposte letture, è la “novità” del genere. Estraneo alla triade classica delle Comedies, Histories and Tragedies in cui si articolava sino a quel momento il corpus principale delle opere di Shakespeare poi canonizzato dal primo in-folio nel 1623, il dramma romanzesco rappresenta, al tempo, una forma nuova, capace da un lato di intercettare il mutamento di gusto e di composizione del pubblico dei teatri, e dall’altro di rispondere a nuove condizioni di gestione delle compagnie. Ad essere nuovo non è il “romanzesco” in sé, che anzi con i suoi viaggi, le sue peripezie per mare, i naufragi, i rapimenti e le alterne fortune dei personaggi risale almeno alla letteratura ellenistica e arriva, con la mediazione delle riprese medievali, sino ai poemi contemporanei e ai grandi affreschi in prosa che tanto successo andavano riscuotendo, come l’Arcadia di Sir Philip Sidney, del 1590. La novità consiste semmai nella trasposizione di quella formula narrativa in testo per la scena, un’operazione affatto banale, che comporta anzi una forte revisione delle strutture drammatiche tradizionali, a cominciare da quella regola dell’unità di spazio, di luogo e di azione che – per quanto da Shakespeare già più volte violata – continuava ad essere fermo punto di riferimento teorico. Shakespeare stesso si era già affacciato al tema “romanzesco”, tra l’altro in un suo dramma di molti anni prima, la Commedia degli errori del 1594, che attingeva dalla medesima fonte del Pericle, la storia di Apollonio di Tiro così come era stata narrata dal poeta medievale Gower. Ma mentre lì l’elemento romanzesco – il viaggio in mare, il naufragio che causa la rottura dell’unità familiare, l’arrivo dei pirati, le nuove peregrinazioni del padre alla ricerca di moglie e figli – rimaneva relegato alla “cornice” della vicenda, costituendone l’antefatto, e al “racconto” che Egeon ne faceva in apertura della prima scena, in Pericle lo stesso elemento costituisce la materia prima dell’intreccio ed è posto al centro della “rappresentazione” scenica; e soprattutto, mentre nella Commedia degli errori esso non altera di fatto l’unità dell’azione, che si svolge tutta ad Efeso, nell’arco di una sola giornata, dal mattino al tramonto, in Pericle la centralità dell’elemento 1016
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romanzesco comporta non solo un continuo cambiamento di ambientazione, ma anche inusitati salti temporali e, in ultimo, una riconfigurazione del rapporto tra la parola e l’azione, tra il tempo variabile del racconto e il costante presente della scena, tra l’arte teatrale e le altre arti. Nata da esigenze contingenti, la sperimentazione del nuovo genere diviene, in mano a Shakespeare, radicale riflessione sui limiti e i poteri della rappresentazione, e pone le basi per l’esplorazione, attraverso una nuova forma, di temi in parte nuovi in parte già affrontati. Il pubblico, difficile dire con quale grado di consapevolezza, mostrerà da subito di apprezzare questo amalgama di vecchio e di nuovo, sancendo l’immediato – e straordinario – successo del dramma. Le fonti contemporanee ne danno ampia testimonianza, ma se da un lato esse, pressoché all’unisono, dicono di un Pericle emblema di popolarità, dall’altro si leva alta la voce di Ben Jonson, per il quale quella stessa popolarità non è che l’indice del cattivo gusto del pubblico che, simile a quello del maiale (their palate’s with the swine), preferisce la “feccia” (lees) al buon vino (lusty wine). L’invettiva che Jonson nel 1629 affida all’Ode (to Himself) però va oltre l’aristocratico disprezzo per il pubblico popolare dei teatri e si appunta, mi sembra, proprio sulla presunta “novità” del dramma e del suo genere. Un “racconto ammuffito” (mouldy tale) è il Pericle secondo il suo ormai famoso, sprezzante giudizio; e ancora: un insieme “stantio” (stale) e “nauseante” (nasty) di “resti presi da ogni piatto” (scraps out of every dish). Certo nel 1629 il dramma è già sulle scene da vent’anni, forse replicato in modo stanco e convenzionale e probabilmente sulla base di un testo spurio, che dell’originale conserva solo una pallida traccia. Ma resta il fatto che si stia giocando ormai un’altra partita, che altro sia il genere di teatro propugnato da Jonson e che la portata innovativa del Pericle non sia più percepita. Da questo punto in avanti, e per molto tempo, sul dramma cadrà un lungo e pesante oblio. Una delle ragioni più spesso additata è la qualità scadente del testo in circolazione, versione, come abbiamo visto, apocrifa e “contraffatta”, lacunosa ed imprecisa, del testo di scena. Inutile dire che la perdita, irrimediabile, del copione originale influenzerà ogni discorso a venire sul Pericle. In chiosa all’introduzione del dramma per l’editore Oxford, nel 2005 Stanley Wells invita i lettori a non lasciarsi condizionare dallo stato controverso del testo a noi pervenuto, per concentrarsi invece sulle poten1017
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zialità e sui pregi drammatici del Pericle. Giacché, egli aggiunge, “se fosse sopravvissuto l’originale”, saremmo di fronte a un’opera di valore paragonabile al Racconto d’inverno o alla Tempesta. Difficile, se non impossibile, districare del tutto il valore drammatico dalla sua matrice testuale (Warren), ma questa avvertenza è significativa, perché dice di una lunga traiettoria nella storia della ricezione del dramma e si pone come invito a oltrepassare le secche in cui la critica si è a lungo dibattuta e talvolta incagliata. È indubbio infatti che la questione testuale, insieme a quella, ad essa strettamente intrecciata, dell’attribuzione dell’opera abbia pressoché monopolizzato il discorso critico a partire dal Settecento, lungo tutto l’Ottocento, per arrivare fi no ai giorni nostri. Sono questi i due fantasmi che si aggirano attorno al Pericle, quello del testo “vero” – mai presente, sempre evocato, irraggiungibile se non nelle sue evanescenti e ingannevoli manifestazioni – e quello dell’autore, anch’egli incerto, probabilmente doppio. Interpreti e commentatori faranno i conti con questi due fantasmi, ognuno a suo modo, ma difficilmente riusciranno a liberarsene. Sintomatico è che lo stesso Wells, un attimo dopo aver invitato il lettore a dimenticare i problemi testuali, evochi – in un’ipotesi irreale – il fantasma dell’originale (“se fosse sopravvissuto…”) e quello dell’Autore per antonomasia (l’autore del Racconto d’inverno e della Tempesta), unico per defi nizione, fi nalmente libero dalle sue ombre e dai suoi doppi. Il testo solleva due ordini di problemi: uno più propriamente fi lologico, l’altro per lo più stilistico. Le due prospettive si intrecciano in più punti, ma è quest’ultima a catalizzare inizialmente il dibattito. Le forti discrepanze stilistiche che vengono percepite nel testo, in particolare tra la prima e la seconda metà ma anche all’interno di ognuna di esse, fanno pensare ad un lavoro scritto a più mani. Si apre così la questione dell’attribuzione che, oltre a condizionare il giudizio di valore, pone il problema dell’inclusione o meno dell’opera nel canone shakespeariano e quello dell’individuazione dell’eventuale collaboratore. Le posizioni sono le più diverse: per Dryden Pericle è parto giovanile della “musa di Shakespeare”, e così la pensano, sulla sua scia, i critici della Restaurazione; Nicholas Rowe nel 1709 lo esclude dalla sua edizione delle opere complete reputando minimali gli interventi di Shakespeare; Pope lo ignora. Tolto chi lo rifiuta o lo accetta in blocco come opera di Shakespeare, Pericle è sottoposto ad uno sguardo nuovo da chi sostiene sia 1018
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frutto di collaborazione. Si tratta di uno sguardo ravvicinato, per certi versi chirurgico, attento alle differenze e intento a separare il buono – di Shakespeare – dal mediocre – del co-autore – “i fiori” dall’“erbaccia” (Steevens), l’“oro” dal “metallo vile” (Lillo) cui è irrimediabilmente mescolato. Esemplari al riguardo sono gli adattamenti, come quello del drammaturgo George Lillo, intitolato Marina (1738) o quello del critico F. G. Fleay, che si concentreranno sulle travagliate vicende di Marina, espungendo tutto il resto. E significativo è anche il tentativo dello stesso Fleay, in epoca vittoriana e in piena congerie positivista, di sottoporre il testo ad analisi metrico-statistiche per individuare le diverse mani che concorsero alla sua composizione. Il testo è smembrato, perde l’unità originaria ma, a partire dall’edizione di Steevens (1766), viene restituito al canone. Il resto è storia recente, con la ormai pressoché defi nitiva attribuzione dell’opera a Shakespeare in collaborazione con George Wilkins da un lato e, dall’altro, con l’inesausto lavoro fi lologico, vera croce di ogni nuova edizione di Pericle, di ricostruzione e restituzione, in assenza dell’originale, di un testo accettabile che tenga in conto, spieghi e possibilmente emendi le tante imprecisioni, le ripetizioni, le lacune, i passi corrotti e le eclatanti incongruenze e discrepanze interne. Al di là delle singole tappe, due mi paiono i lasciti più importanti e duraturi di questo lungo “commercio con i fantasmi” del testo e dell’autore. Sul fronte dell’analisi testuale, l’ipotesi, cui abbiamo già accennato, secondo cui molte delle imperfezioni del testo a noi pervenuto deriverebbero dall’essere, questo, frutto di ricostruzione mnemonica da parte di due distinti trascrittori (reporter); ipotesi avanzata da Edwards e integrata da Taylor, che li identificherebbe in due attori. Al contempo, è da segnalare la rivalutazione delle Painful Adventures, la versione in prosa di Wilkins, come utile complemento alle lacune e criticità dell’inquarto. Il dibattito sull’attribuzione dell’opera invece mi pare abbia contribuito ad affinare l’analisi stilistica, che mostra i suoi risultati più importanti non tanto quando, inseguendo il fantasma dell’identità, presume di poter “definire” un autore dal proprio stile, ma quando utilizza lo stile come chiave d’accesso ai significati dell’opera. Ne emerge uno stile fortemente “idiosincratico” dell’ultimo Shakespeare: “distillato” nell’espressione, dominato da frequenti “ellissi”, metafore articolate solo in parte in rapida successione, sintassi spesso intricata e complessa, un blank verse “aggressivamente irregolare”, ricco di “enjambement … 1019
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cambi improvvisi di direzione, frequenti cesure e altre minacce all’integrità del verso” (McDonald). Si tratta di un linguaggio che però, più che a motivazioni psicologiche o a crisi personali, come pure si è sostenuto, sarebbe intimamente collegato al passaggio dalla tragedia al dramma romanzesco. La sintassi cioè riprodurrebbe nella lingua quella tensione, quel doppio movimento che informa intimamente il dramma, il suo essere a un tempo progressivo e digressivo, progressivo nello “stimolo al procedere”, al fluire lineare del discorso verso il suo compimento ultimo, digressivo nell’ingorgarsi del linguaggio, nelle continue parentesi – le lettere, i cambi di scena e luogo –, nel “desiderio della chiusura” del significato nella singola unità, scena o frase che sia. Si delinea qui una dialettica più ampia e altrettanto fondativa: la dialettica tra l’unità del tutto – già sempre precaria, da ricercare – e il frammento in cui tanto la trama quanto il discorso sembrano scomporsi di continuo. Tanto al fi lologo, alle prese con le lacune e lo stato deteriorato del testo, quanto al lettore/spettatore del dramma è richiesto uno sforzo immaginativo – e ricostruttivo – insolito. Ma si tratta, a ben vedere, non tanto di una contingenza esterna, quanto del nuovo linguaggio del dramma romanzesco, ovvero del tentativo, ancora tutto sperimentale, di dare forma teatrale ad una materia eminentemente narrativa, discorsiva. Ne è prova la consapevolezza con cui il tema del rapporto tra racconto e messinscena è affrontato all’interno del dramma stesso, consapevolezza che si incarna nel personaggio di Gower, vera invenzione del Pericle. Con i suoi otto interventi (incipit, excipit e scene 5, 10, 15, 18, 20, 22), il “vecchio Gower”, reincarnazione in scena dell’omonimo poeta medievale, è il personaggio con maggior spazio di parola dopo il protagonista Pericle e svolge una doppia funzione, essenziale: in quanto narratore è il vero collante della storia, il garante dell’unitarietà del racconto, ma al tempo stesso è colui che ne evidenzia le fratture e che mostra l’artificiosità – e i limiti – della rappresentazione. Così, se da un lato egli si presenta come colui dal quale “apprendere … il procedere della storia” ciò gli è possibile in quanto “abita gli spazi [gaps] tra una scena e l’altra” (15). Suo è pure l’appello al ruolo attivo del pubblico (e del lettore), chiamato a quello sforzo immaginativo e ricostruttivo di cui si diceva, per ovviare ai limiti reciproci della parola e dell’azione: ora dilatando i tempi ristretti della scena, come nel caso 1020
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della gestazione di Marina (“questo tempo, che qui scorre così breve, completate abilmente con la vostra fantasia”, 10, 13), ora condensandoli, come nell’ultimo viaggio verso Efeso (“non curatevi di ciò che accade nel frattempo”, 22, 14) o accelerandoli (“io mi limito a portare avanti in fretta il tempo alato sui piedi zoppi dei miei versi, né mai avrei potuto farlo viaggiare così lesto se non mi foste venuti incontro col pensiero”, 15, 47-50); oppure ricreando i luoghi e le scene non rappresentabili (scene 18, 3-4; 22, 5-6 e 19-20). I vuoti del racconto, i salti temporali, i cambi d’ambientazione sono tutti esposti da Gower, così come esposta è la fi nzione, l’interno meccanismo della rappresentazione. Ogni principio di realismo è defi nitivamente accantonato e al pubblico è affidato un nuovo ruolo: non più credere all’illusione come totalità precostituita del mondo, ma contribuire a crearla. Il teatro mette a nudo i suoi strumenti più essenziali e si denuncia come prodotto dello “sguardo”, del “desiderio” e dell’“immaginazione”. È ancora Gower a spiegarlo, in apertura della scena 15: basta il “desiderio” a trasformare “gusci fragili” di conchiglie (cockles) in navi capaci di solcare i mari, o ad accorciare tanto i tempi quanto le “lunghe distanze” (long leagues), in breve: a fare viaggiare l’immaginazione (“di confi ne in confi ne, di nazione in nazione”); ma l’immaginazione è alimentata dallo sguardo (“aiutate con lo sguardo l’immaginazione”, 20, 21), dal gesto in scena, qui significativamente depurato di ogni orpello, persino della parola, e ricondotto alla sua essenza più pura, quella del dumb show, lo “spettacolo muto”, la pantomima. La frammentarietà appartiene dunque al Pericle in modo essenziale e non accidentale, ne caratterizza deliberatamente la trama, ne informa la struttura, tanto in superficie quanto in profondità (almeno da un certo punto in avanti, infatti, la stessa vicenda di Pericle, separato dalla moglie, dalla figlia e da se stesso, si configura come ricerca dell’unità perduta). L’unità andrà ricercata su altri piani che non quelli della triade aristotelica, non nell’uniformità del luogo, nella compattezza del tempo rappresentato o nella continuità dell’azione. Non nella “concatenazione degli eventi esterni ma [nei] collegamenti delle loro proiezioni metaforiche” (Melchiori). Proverà a farlo la critica del Novecento, a partire da Wilson Knight e T. S. Eliot passando per gli studi strutturalisti e psicoanalitici. Non vi riuscirono i commentato1021
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ri del Sette e Ottocento, per i quali – prendo per tutti il giudizio di Steevens – Pericle rimaneva “poco più di una sequenza di avventure [a string of adventures] ammassate insieme” senz’arte. Bisognerà adottare un nuovo sguardo, muoversi su “un altro piano” per tenere insieme le membra sparse del testo: il Modernismo e la critica dei primi decenni del Novecento lo faranno per lo più ricorrendo ad un’interpretazione di tipo “trascendentale”, teologica o mitica. Per T. S. Eliot quel grande dramma (that very great play) che è Pericle va letto alla maniera di un palinsesto, facendovi emergere la “trama misteriosa e nascosta della realtà”, suo vero oggetto, che si cela sotto la superficie. Ancora una volta è la scena del “ricongiungimento” tra Pericle e Marina ad attirare l’attenzione del critico, ma non più in opposizione al resto del dramma, quanto come chiave di lettura complessiva: esempio perfetto di “ultradrammatico”, in essa Shakespeare dà vita a “un’azione drammatica di esseri più che umani … visti in una luce che va oltre la luce del giorno”; al centro della scena non è lo scontro realistico delle passioni, ma un mondo visto in chiave trascendente, “dal quale le emozioni sono state purificate/purgate, così che altre, di norma invisibili, possono essere fatte apparire”. Fondamentali per una lettura unitaria di Pericle saranno però gli studi di G. Wilson Knight, per il quale la coerenza interna del testo è di tipo “poetico” e simbolico, e la sua “trama nascosta” data da una serie di echi, rimandi, variazioni, di immagini e simboli ricorrenti: articolata intorno alle opposizioni primarie di “apparenza” e “realtà” da un lato e, dall’altro, della tempesta e della musica come principi di distruzione e rinascita, la vicenda di Pericle è vista come un percorso mitico-allegorico che, di stazione in stazione, attraverso il passaggio duro della morte apparente, conduce alla vita eterna. Se l’interpretazione metafisica troverà presto i suoi oppositori, di indubbia importanza resta la nuova modalità d’analisi di Knight. Studi di ispirazione strutturalista metteranno in evidenza anch’essi come il testo sia organizzato sulla base di interne corrispondenze, variazioni e contrapposizioni, ma ricorreranno a spiegazioni di tipo etnografico o folklorico per farne emergere i significati latenti. Al mito dell’immortalità si sostituiscono quelli della regalità persa e ritrovata, o quelli naturalistici legati ai cicli stagionali di sterilità, morte e rinascita. Si nota l’importanza della dea Diana nell’economia simbolica e strutturale del testo e si evidenzia la multiforme natura della sua devozione, all’incrocio tra 1022
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mitologie arcaiche, pagane e cristiane: ad un tempo dea della verginità e patrona delle nascite, di una femminilità indomita, legata alla natura, alla luna e alla caccia, ad essa non solo si votano Taisa e Marina, e lo stesso Pericle, ma si deve lo scioglimento fi nale. Phyllis Gorfain, richiamandosi alla tradizione folklorica, pone l’accento sull’indovinello iniziale cui Pericle è sottoposto da Antioco, e vede nel rebus, nell’“enigma” (riddle), un principio fondamentale per l’organizzazione del testo. La forma opaca e ambigua, la logica contorta in attesa dello scioglimento fi nale ne fanno un correlativo, in miniatura, della struttura generale del dramma. In esso, come nel dramma, secondo Gorfain, è in gioco da un lato il giusto ruolo nelle relazioni, in particolare all’interno dell’ordine familiare e statuale, e dall’altro l’incerto confi ne tra realtà e finzione. Al rebus iniziale, che cela – e rivela – l’incesto tra padre e figlia e l’innaturale sostituzione di questa a sua madre, ne seguono altri, meno evidenti, ma non meno significativi, che pongono al centro Marina e fanno di lei una figura perfettamente speculare alla “viziosa principessa” figlia di Antioco. Così laddove questa, seppur in chiave cifrata, paragonandosi a una vipera può dire di sé “mi nutro della materna carne da cui son nata” (2, 107-108), nella scena del ricongiungimento tra padre e figlia Marina è così definita da Pericle: “Tu che dai vita a colui che ti diede vita” (21, 183) o colei “che affama le orecchie che nutre, e ancor più le rende desiderose quanto più dona loro parole” (21, 101-104). Alla critica del Novecento, libera dalle interdizioni del moralismo vittoriano, spetta il merito di avere articolato un nuovo discorso sulle scene dell’incesto, ricollocandole nelle economie più ampie del testo e delle relazioni sociali e parentali, e di avere posto in nuova luce le figure femminili. Ma è la riconsiderazione, all’interno del dramma, del Femminile nel suo complesso a suggerire le prospettive più interessanti. Ne risulta coinvolto anche il personaggio di Pericle, che solo in parte risponde ai ritratti, che di lui sono stati tracciati, di romantico viandante dei mari, di novello Odisseo, o di esemplare eroe di pazienza, come il biblico Giobbe o lo statista suo omonimo greco. Spesso stigmatizzato per la “passività” con cui va incontro al suo fato, dalla critica di genere egli è visto, in positivo, come colui che, per sanare la ferita dell’incesto, simbolo di una legge patriarcale volta in tirannide, abdica alle prerogative del maschile, spogliandosi di ogni volontà di potere. 1023
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La fortuna sulle scene e sullo schermo Se ad uno sguardo generale la storia delle rappresentazioni del Pericle sembra ricalcare quella della sua ricezione critica, per altro verso essa lascia emergere alcune caratteristiche del testo che il dibattito critico aveva trascurato o relegato ai margini della propria attenzione. Le grandi scansioni di questa storia sono quelle che abbiamo già enunciato: uno straordinario successo iniziale, l’onore di riaprire la stagione dopo la chiusura dei teatri, la rappresentazione a corte del 1619, le numerose repliche, anche da parte di compagnie girovaghe, per almeno altri dieci anni, poi il lungo silenzio, l’assenza dai registri ufficiali che dura, con poche – ma a loro modo significative – eccezioni, fino alla fine della seconda guerra mondiale. Lungo tutto il XVIII secolo l’unica rappresentazione di cui ci è giunta notizia è la messinscena della già citata riscrittura del drammaturgo George Lillo, intitolata Marina (1738) e incentrata sulle traversie di questa nel bordello, a testimoniare da un lato l’interesse che da sempre ha circondato la figura della figlia di Pericle e dall’altro la tendenza, lunga a morire, a risolvere i problemi testuali eliminando le parti ritenute spurie, meno riuscite o non all’altezza del genio di Shakespeare dal punto di vista poetico e drammatico. L’Ottocento, altrettanto povero di produzioni memorabili, ci dice però delle potenzialità spettacolari del dramma. A giudicare da quanto riportato da alcune fonti (Masefield), presso gli impresari dei teatri minori pare che Pericle fosse considerato come una pièce di sicuro impatto sul pubblico, talismano contro lo spettro del fallimento: “Quando la rovina ti guarda dritto negli occhi, metti su Pericle, ti salverà”. Riletto in quest’ottica, il testo si mostra ricco di spunti per una resa che miri a colpire l’immaginario attraverso la sollecitazione dei sensi: il tono favolistico, i molti cambi di scena, le ambientazioni esotiche e remote (le corti di Antiochia, Tarso, l’antro “magico” di Cerimone, il tempio di Efeso), le scene di gruppo, i cortei e le danze (a Pentapoli), l’ampio uso della musica (da parte di Cerimone per ridestare Taisa, o la canzone di Marina per fare breccia nei sensi assopiti di Pericle, o la stessa canzone di Pericle, solo accennata nell’in-quarto ma di cui Wilkins dice più distesamente, e ancora la “musica delle sfere” celesti), o del teatro nel teatro (le tre pantomime), gli effetti speciali (i “tuoni e lampi” della tempesta della scena 11, la “discesa” di Diana). Non è un caso che il successo di una delle pochissime messinscena di cui si ha notizia certa nel XIX secolo, quella di Samuel Phelps del 1854 presso il 1024
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Sadler’s Wells di Londra (così come quella di Ernst Possart a Monaco nel 1882), sarà legato in primo luogo, secondo le recensioni del tempo, alla scenografia sontuosa e all’aspetto spettacolare. Nella prima metà del Novecento Pericle è ancora ospite sporadico dei palcoscenici e tuttavia si registrano alcune prove interessanti, indicative di un cambio di approccio e di nuove letture. Del 1921 è la prima produzione da più di due secoli a portare in scena il testo nella sua integrità, senza l’amputazione delle scene dell’incesto o del bordello, che anzi vengono apprezzate da critica e pubblico. Il teatro è l’Old Vic di Londra, il regista è Robert Atkins, che prenderà una via opposta a quella di Phelps, puntando su una scena sobria e priva di orpelli. È questa una delle due opposte tendenze: nella nudità della scena, lasciare ampio spazio, come da invito dello stesso Gower, al lavoro immaginativo del pubblico. L’altra tendenza è quella di marcare l’artificiosità della rappresentazione attraverso un’accentuazione dei suoi aspetti più stravaganti e dei suoi molti “linguaggi”: lo stesso Atkins, nel 1939, si cimenterà in questo senso, con una produzione, quella presso il Regent’s Park, ricca di balletti non previsti dal testo. Del 1947 è l’eccellente prova d’attore di Paul Scofield nel ruolo di Pericle, sotto la direzione di Nugent Monk, prova di cui si conservano registrazioni audio, oggigiorno facili da reperire anche grazie alla rete. Si registrano anche, a partire di qui, i primi tentativi di restituire coerenza al testo: Monk, per lo Shakespeare Memorial Theatre di Stratford-upon-Avon, omettendo interamente le prime quattro scene, evidentemente non scritte da Shakespeare; Douglas Seale, per il Birmingham Memorial Theatre, nel 1954, incorporando per la prima volta passi dalle Painful Adventures di Wilkins relativi al dialogo tra Lisimaco e Marina nel bordello, aprendo così una strada che seguiranno in molti, sia in fase di allestimento del testo per l’editoria che per la scena. Tra questi, Terry Hands si spingerà ancora oltre, utilizzando i prestiti da Wilkins in modo estensivo anche per le scene ambientate a Pentapolis, poco sviluppate nell’in-quarto ma essenziali per dar corpo al rapporto di Pericle con Taisa. Il suo Pericle, allestito per il Royal Shakespeare Theatre nel 1969, rivoluzionerà le modalità di rappresentazione del dramma anche sotto il profi lo scenografico: gli attori si muovono in un quadro di “nudità ritualizzata”, sulla scena spoglia di una camera vuota, sovrastata da un dodecaedro e addobbata solo con un drappo raffigurante l’uomo vitruviano di Leonardo, in cui un ruolo importante gioca la sapiente alternanza della parola, della musi1025
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ca e dei silenzi – come durante il ballo tra Pericle e Taisa. Da questo allestimento in avanti emerge chiaro il tentativo di sopperire alle mancanze della prima parte del dramma, sia attraverso il lavoro sul testo sia con espedienti scenici, in modo da “preparare” in modo adeguato le due scene topiche del ricongiungimento con Marina (scena 21) e con Taisa (scena 22). In un serrato dialogo tra lavoro di scena e lavoro filologico, il testo di riferimento della presente edizione – “ricostruito” da Taylor e Jackson con ampi correttivi e innesti da Wilkins – ha avuto modo di essere messo alla prova nella sua prima edizione nel 1986 (al Canadian Shakespeare Festival a Stratford, Ontario, con la regia di Richard Ouzounian) e nel 1989 (allo Swan Theatre di Stratford-upon-Avon, regia di David Thucker), nella seconda, riveduta, edizione nell’allestimento di Adrian Noble per la Royal Shakespeare Company nel 2002. Nuova enfasi è data al rapporto di Pericle e Taisa, e in generale alla ricerca di un maggiore equilibrio – da un lato tra questo e quello di Pericle e Marina, dall’altro tra le scene di gruppo, più dinamiche e spettacolari, e quelle più intime e di maggiore intensità emotiva. Nel 2006 Suzanne Gossett, ricapitolando le esperienze degli ultimi decenni di rappresentazioni di Pericle, intravedeva tre principali tendenze interpretative: quella “romanzesca”; quella “decostruttiva”, volta ad enfatizzare la frammentarietà e le interne disomogeneità del testo; quella “politica” (in senso lato), all’interno della quale ella annovera ad esempio l’allestimento di Toby Robertson degli anni Settanta, ambientato dapprima in un bordello transgender poi in un istituto psichiatrico, o quello di Joe Banno del 1998, in cui il viaggio di Pericle “dall’innocenza attraverso la disillusione” diviene specchio dell’America post-sessantottina. Negli ultimi anni Pericle, pur restando un dramma di difficile resa, sembra essersi affrancato dal suo stato di marginalità. Gli allestimenti si sono moltiplicati, non solo nei Paesi anglofoni ma in tutto il mondo, spesso con ottimi riscontri di critica e pubblico. In Italia la ripresa di questo testo è cosa per lo più recente, benché si segnalino, già nel 1976, l’adattamento di Giorgio Albertazzi con traduzione del testo dello stesso Albertazzi, poi rivista da Giorgio Melchiori, e nel 1982 quella di Alfredo Giuliani per il Teatro di Genova, con introduzione di Franco Marenco. Del 1984 invece è la versione televisiva prodotta dalla BBC. ANTONIO CASTORE 1026
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NOTA INTRODUTTIVA
with Medieval Sources or Settings, Jefferson NC, McFarland, 2009, pp. 215-231; A. ZURCHER SANDY, “Untimely Monuments: Stoicism, History, and the Problem of Utility in The Winter’s Tale and Pericles”, in ELH, LXX, 4, 2003, pp. 903-927.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE A RECONSTRUCTED TEXT THE PERSONS OF THE PLAY a John GOWER, the Presenter ANTIOCHUS, King of Antioch His DAUGHTER THALIART, a villain PERICLES, Prince of Tyre two grave counsellors HELICANUS of Tyre AESCHINES
}
MARINA, Pericles’ daughter CLEON, Governor of Tarsus DIONIZA, his wife LEONINE, a murderer KING SIMONIDES, of Pentapolis THAISA, his daughter Three FISHERMEN, his subjects
Five PRINCES, suitors of Thaisa A MARSHAL LYCHORIDA, Thaisa’s nurse CERIMON, a physician of Ephesus PHILEMON, his servant LYSIMACHUS, Governor of Mytilene A BAWD A PANDER BOULT, a leno DIANA, goddess of chastity Lords, ladies, pages, messengers, sailors, gentlemen
SIGLE Q1: il primo in-quarto (1609); Q2: il secondo in-quarto, ristampa di Q1 (1609); Q3: il terzo in-quarto, testo ripreso da Q2; senza l’indicazione dell’editore sul frontespizio (1611); Q4: il quarto in-quarto, testo ricavato da Q3 con lievi modifiche; frontespizio modificato (1619); Q5: il quinto in-quarto, testo e intestazione ripresi da Q4 (1630); Q6: il sesto in-quarto, testo ripresto da Q4 (1635); F3: ristampa del terzo in-folio delle opere di Shakespeare con l’aggiunta di “sette drammi mai stampati precedentemente in-folio”, tra cui Pericle, testo ripreso da Q6 (1664); F4: quarto in-folio (1685); P.A.: The Painfull Aduentures of Pericles Prince of Tyre. Being The true History of the Play Pericles, as it was lately presented by the worthy and ancient Poet Iohn Gower (di George Wilkins: 1608); Malone: Supplement to the Edition of Shakespeare’s Plays Published in 1778 (1780); Steevens: The Plays of William Shakespeare in Ten Volumes (1785).
THE NAMES … chastitie: così in P.A.; assente in Q. I personaggi sono elencati in ordine di apparizione, criterio seguito anche in questa edizione con qualche aggiunta. THE PERSONS … PLAY: così in questa edizione; in P.A.: Personages mentioned. 1030
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TESTO RICOSTRUITO DI PERICLE, PRINCIPE DI TIRO PERSONAGGI
John GOWER, presentatore ANTIOCO, re di Antiochia Sua FIGLIA TALIARDO, un mascalzone PERICLE, principe di Tiro ELICANO Due consiglieri di Tiro ESCHINO MARINA, figlia di Pericle
}
CLEONE, governatore di Tarso DIONISA, sua moglie LEONINO, un assassino SIMONIDE, re di Pentapoli TAISA, sua figlia Tre PESCATORI, suoi sudditi
Cinque PRINCIPI, pretendenti di Taisa Un MAESTRO DI CERIMONIA LICORIDA, nutrice di Taisa CERIMONE, un guaritore di Efeso FILEMONE, suo servo LISIMACO, governatore di Mitilene Una RUFFIANA Un LENONE BOULT, un lenone DIANA, dea della castità Nobiluomini, nobildonne, paggi, messaggeri, marinai, signori
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
Sc. 1
Enter Gower as Prologue b
GOWER
To sing a song that old was sung From ashes ancient Gower is come, Assuming man’s infirmities To glad your ear and please your eyes. It hath been sung at festivals, On ember-eves and holy-ales, c And lords and ladies in their lives Have read it for restoratives. The purchase is to make men glorious, Et bonum quo antiquius eo melius. If you, born in these latter times d When wit’s more ripe, accept my rhymes, And that to hear an old man sing May to your wishes pleasure bring, I life would wish, and that I might Waste it for you like taper-light. This’ Antioch, then; Antiochus the Great Built up this city for his chiefest seat, The fairest in all Syria. I tell you what mine authors say. This king unto him took a fere e Who died, and left a female heir So buxom, blithe, and full of face As heav’n had lent her all his grace, With whom the father liking took, And her to incest did provoke. Bad child, worse father, to entice his own To evil should be done by none. By custom what they did begin f
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Sc. 1: così in questa edizione; in F3 Actus Primus. Scena Prima. 6. Holyales: così in Malone; in Q Holydays = “giorni di festa”, “festività”. 11. These: così in Q2; in Q1 those = “quei”. 21. Pheere: così in Malone; in Q Peere = “pari”. 29. By: così in Malone; in Q but = “ma”. 1032
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
Scena 11 GOWER
Entra Gower in veste di Prologo
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A cantare un canto che in antico fu cantato, dalle ceneri è tornato il vecchio Gower, assumendo su di sé l’umana infermità3 per rallegrare i vostri orecchi, per dilettarvi gli occhi. L’hanno cantato nelle celebrazioni, a vigilia dei digiuni e alle sagre dei patroni4; l’hanno letto dame e nobili signori 5 trovandovi ristoro nella vita. Negli animi istilla fame di gloria6, et bonum quo antiquius eo melius 7. Se voi, nati in questi tempi tardi, di più maturo ingegno, accettate le mie rime, e ritenete che sentir cantare un vecchio possa recare gioia ai vostri desideri, io mi augurerei d’avere vita per poterla consumare per voi come luce di candela8. Questa è Antiochia, dunque, città che Antioco il Grande fece costruire, la più bella in tutta Siria, per farne la sua sede principale. A voi dico quanto dicono i miei autori9. Questo re prese con sé una sposa che morendo lasciò erede una fanciulla, così florida, spensierata e bella che il cielo pareva averle dato in dono ogni sua grazia. Del suo piacere iniziò quindi ad essere preso il padre, che la indusse ad incestuoso amore. Cattiva figlia, padre ancor peggiore, ché nessuno mai dovrebbe indurre il proprio sangue al male. Ciò a cui essi diedero l’avvio, con il tempo e l’abitudine non fu ascritto più
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
Was with long use account’ no sin. The beauty of this sinful dame Made many princes thither frame To seek her as a bedfellow, In marriage pleasures playfellow, Which to prevent he made a law To keep her still, and men in awe, g That whoso asked her for his wife, His riddle told not, lost his life. So for her many a wight did die,
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[A row of heads is revealed] h As yon grim looks do testify. What now ensues, to th’ judgement of your eye I give, my cause who best can justify.
40 Exit
[Sennet.] Enter King Antiochus, Prince Pericles, and i [lords and peers in their richest ornaments] ANTIOCHUS
Young Prince of Tyre, you have at large received The danger of the task you undertake. PERICLES
I have, Antiochus, and with a soul Emboldened with the glory of her praise Think death no hazard in this enterprise. ANTIOCHUS Music!
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Music sounds
36. Still qui con valore avverbiale, indica il permanere in certo stato, “sempre”, “continuamente”. 39.1. A row of heads is revealed: così in questa edizione; assente in Q. In molte edizioni moderne le teste sono visibili sin dall’inizio, ma il riferimento ad esse nelle parole di Gower potrebbe plausibilmente introdurne l’ingresso in scena a questo punto. 42.1. Sennet.: così in questa edizione; assente in Q. Q contiene poche indicazioni di scena riguardanti effetti sonori e musica, ma cortei regali e cerimonie raramente erano introdotte senza accompagnamento di fanfare o squilli di tromba. 1034
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
a peccato10. Molti principi accorsero laggiù, mossi dalla bellezza della peccaminosa principessa, per averla compagna a letto o nei giochi dei piaceri coniugali. Ad evitare la qual cosa, il re fece una legge, per tenere lei sempre con sé e intimorire gli altri uomini: chiunque volesse chiederla per moglie, doveva sciogliere l’enigma o sarebbe stato messo a morte. In molti già perirono per lei [Viene mostrata un fila di teste] i vostri sguardi macabri ne sono testimoni. Quel che ne segue ora rimetto ai vostri occhi: saranno loro i giudici migliori di ciò che mi sta a cuore. Esce [Squilli di tromba.] Entrano il re Antioco, il Principe Pericle, e [i signori della corte e i pari nei loro abiti più sfarzosi] ANTIOCO
Giovane Principe di Tiro, vi è stato ampiamente mostrato qual pericolo comporti l’impresa cui vi sottoponete. PERICLE
Sì, ho bene inteso, Antioco, ma con l’animo reso audace dalla fama splendente e gloriosa11 di vostra figlia non reputo un azzardo il rischio della morte. ANTIOCO
Musica! Si sente musica
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
Bring in our daughter, clothèd like a bride Fit for th’embracements ev’n of Jove himself, j At whose conception, till Lucina reigned, Nature this dowry gave to glad her presence: The senate-house of planets all did sit, In her their best perfections to knit.
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Enter Antiochus’ Daughter PERICLES
See where she comes, apparelled like the spring, Graces her subjects, and her thoughts the king Of ev’ry virtue gives renown to men; Her face the book of praises, where is read Nothing but curious pleasures, as from thence Sorrow were ever razed and testy wrath Could never be her mild companion. You gods that made me man, and sway in love, That have inflamed desire in my breast To taste the fruit of yon celestial tree Or die in the adventure, be my helps, As I am son and servant to your will, To compass such a boundless happiness. ANTIOCHUS Prince Pericles —
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PERICLES
That would be son to great Antiochus. ANTIOCHUS
Before thee stands this fair Hesperides, With golden fruit, but dang’rous to be touched,
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[He gestures towards the heads] For death-like dragons here affright thee hard. [He gestures towards his daughter] Her heav’n-like face enticeth thee to view Her countless glory, which desert must gain; And which without desert, because thine eye
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50. Fit for the: così in questa edizione; in Q For = “per”. 1036
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
Fate entrare nostra figlia, vestita in abiti nuziali, degna degli abbracci dello stesso Giove. Quando fu concepita, sotto il regno di Lucina12, Natura le diede questo in dote, per adornare con più lustro la sua persona: radunò i pianeti tutti in assemblea, perché la vestissero di ogni loro perfezione13. Entra la figlia di Antioco PERICLE
Guardate come incede, ornata come la primavera stessa, le Grazie al suo servizio, i suoi pensieri come re alla guida delle virtù che danno onore agli uomini. E il suo volto? Il libro delle lodi, nelle cui pagine non si legge che di piaceri singolari, quasi che il dolore ne sia stato da sempre cancellato e la stizzosa rabbia non sia mai stata in sua dolce compagnia. Voi, dei, che mi avete fatto uomo succube al soffio dell’amore, che avete acceso nel mio petto il desiderio di assaggiare il frutto di quel celeste albero o di cadere altrimenti nell’impresa, siate miei alleati, così come io sono figlio e servo del volere vostro. Fate che io possa abbracciare una tale sconfinata felicità. ANTIOCO
Principe Pericle… PERICLE
…Che vorrebbe essere figlio del grande Antioco. ANTIOCO
Di fronte a te sta questa bella Esperide14, dai frutti d’oro, e tuttavia pericolosi da toccare, [Fa un cenno in direzione delle teste] Giacché a loro guardia stanno terrificanti draghi dal mortifero aspetto. [Fa un cenno in direzione della figlia] Il suo volto pari al cielo ti spinge a guardare a quella gloria sterminata, che il merito deve guadagnare. Ma chi, privo di merito, pre-
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
Presumes to reach, all the whole heap must die. Yon sometimes famous princes, like thyself Drawn by report, advent’rous by desire, Tell thee with speechless tongues and semblants bloodless That without covering save yon field of stars Here they stand, martyrs slain in Cupid’s wars, And with dead cheeks advise thee to desist From going on death’s net, whom none resist. k
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PERICLES
Antiochus, I thank thee, who hath taught My frail mortality to know itself, And by those fearful objects to prepare This body, like to them, to what I must; For death remembered should be like a mirror Who tells us life’s but breath, to trust it error. I’ll make my will then, and, as sick men do, Who know the world, see heav’n, but feeling woe Grip not at earthly joys as erst they did, So I bequeath a happy peace to you And all good men, as ev’ry prince should do; My riches to the earth from whence they came, (To the Daughter) But my unspotted fire of love to you. (To Antiochus) Thus ready for the way of life or death, I wait the sharpest blow, Antiochus.
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ANTIOCHUS
Scorning advice, read the conclusion then, [He angrily throws down the riddle] Which read and not expounded, ’tis decreed, As these before thee, thou thyself shalt bleed. DAUGHTER (to Pericles) Of all ’sayed yet, mayst thou prove prosperous; Of all ’sayed yet, I wish thee happiness.
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83. From: così in Malone; in Q For. 1038
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
sume di accostarvi i propri occhi, con tutto il corpo dovrà morire. Quei prìncipi, un tempo famosi, come te condotti qui dalle voci su di lei, dal desiderio mossi all’avventura, ti dicono con lingue mute e sguardi esangui che ora, senz’altro tetto che quel campo di stelle, se ne stanno qui, martiri trucidati nelle guerre di Cupido, e con le loro guance smorte ti ammoniscono a non entrare nella rete della morte, cui nessuno resiste. PERICLE
Antioco, ti ringrazio, perché hai insegnato alla mia fragile natura mortale a conoscere se stessa e, mostrandomi questo orrendo spettacolo, a preparare questo mio corpo, simile a quelli, ad affrontare il mio dovere. Perché la morte, così rievocata, dovrebbe essere per noi come uno specchio che dice: la vita non è che un soffio e confidare in lei è errore. Farò dunque testamento così come fa chi è malato, che ha conosciuto il mondo e ora vede il cielo, e tuttavia, in preda al dolore, non si aggrappa alle gioie terrene come prima usava fare. Nello stesso modo io, come ogni principe dovrebbe, a voi e a tutti gli uomini buoni lascio in eredità una prospera pace; alla terra da cui provengono, le mie ricchezze; (alla figlia) ma a voi l’incontaminato fuoco del mio amore. (Ad Antioco) Così, Antioco, pronto a camminar la via che conduce a vita o a morte, attendo il colpo più duro. ANTIOCO
Disdegnate le avvertenze, non ti resta che leggere le conclusioni [Getta rabbiosamente l’enigma] E dopo averle lette, se non le saprai spiegare, è decretato che anche tu, come costoro prima di te, versi il tuo sangue. FIGLIA (a Pericle) Tra tutti coloro che hanno già tentato, possa tu dimostrarti amico della fortuna; tra tutti coloro che hanno già tentato, a te auguro felicità.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
PERICLES
Like a bold champion I assume the lists, Nor ask advice of any other thought But faithfulness and courage.
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[He takes up and] reads aloud the riddle I am no viper, yet I feed On mother’s flesh which did me breed. I sought a husband, in which labour I found that kindness in a father. l He’s father, son, and husband mild; I mother, wife, and yet his child. How this may be and yet in two, m As you will live resolve it you. Sharp physic is the last. [Aside] But O, you powers That gives heav’n countless eyes to view men’s acts, Why cloud they not their sights perpetually If this be true which makes me pale to read it?
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[He gazes on the Daughter] Fair glass of light, I loved you, and could still, Were not this glorious casket stored with ill. But I must tell you now my thoughts revolt, For he’s no man on whom perfections wait That, knowing sin within, will touch the gate. You’re a fair viol, and your sense the strings Who, fingered to make man his lawful music, Would draw heav’n down and all the gods to hearken, But, being played upon before your time, Hell only danceth at so harsh a chime. Good sooth, I care not for you.
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ANTIOCHUS
Prince Pericles, touch not, upon thy life, For that’s an article within our law
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110. In: così in Q; in P.A. from = “da”. 113. This: così in P.A.; in Q they = “essi”. 1040
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
PERICLE
Come spavaldo campione scendo nell’arena15 e non chiedo consiglio ad altri pensieri se non a lealtà e coraggio. [Solleva il rotolo e] legge l’enigma ad alta voce Non sono vipera eppur mi nutro della materna carne da cui son nata. In cerca di uno sposo, in quel cercare pari tenerezza trovai in un padre. Lui è padre, figlio e sposo benigno, io madre, sposa e ancor sua figlia. Come ciò sia seppur per due Se viver vuoi, di’ con parole tue. Amara medicina è quest’ultima16. [A parte] Ma voi, potenze, che date al cielo innumerevoli occhi per scrutare le azioni umane, perché non ne oscurate la vista definitivamente, se è vero quel che – a leggerlo – mi fa sbiancare in volto? [Volge lo sguardo alla figlia] Oh puro cristallo di luce, vi ho amata e potrei amarvi ancora, se solo questo brillante scrigno non fosse stipato di male. Ma devo dirvi che i miei pensieri sono ora in rivolta, perché non c’è virtù a servizio di quell’uomo che, pur sapendo del peccato che vi è dentro, mette mano alla porta da cui entrare. Voi siete una viola deliziosa, e i vostri sensi corde che, pizzicate per dare all’uomo giusta melodia17, richiamerebbero giù dal cielo gli dei tutti ad ascoltare; suonate fuori tempo, però, esse producono suoni tanto stridenti che solo l’inferno vi danza su. Perdio! Davvero non nutro più interesse per voi. ANTIOCO
Principe Pericle, non toccarla, ne va della tua vita: così vuole un articolo della nostra legge, pericoloso quanto il resto. Il vostro tem-
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
As dang’rous as the rest. Your time’s expired. Either expound now, or receive your sentence. PERICLES Great King, Few love to hear the sins they love to act. ’Twould braid yourself too near for me to tell it. Who has a book of all that monarchs do, He’s more secure to keep it shut than shown, For vice repeated, like the wand’ring wind, Blows dust in others’ eyes to spread itself; And yet the end of all is bought thus dear, The breath is gone, and the sore eyes see clear To stop the air would hurt them. The blind mole casts Copped hills towards heav’n to tell the earth is thronged By man’s oppression, and the poor worm doth die for’t. Kings are earth’s gods; in vice their law’s their will, And if Jove stray, who dares say Jove doth ill? It is enough you know, and it is fit, What being more known grows worse, to smother it. All love the womb that their first being bred; Then give my tongue like leave to love my head. ANTIOCHUS (aside) Heav’n, that I had thy head! He’s found the meaning. But I will gloze with him. — Young Prince of Tyre, Though by the tenor of our strict edict, n Your exposition misinterpreting, We might proceed to cancel of your days, Yet hope, succeeding from so fair a tree As your fair self, doth tune us otherwise. Forty days longer we do respite you, If by which time our secret be undone, This mercy shows we’ll joy in such a son.
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154. Our: così in F3; in Q your = “vostro”. 1042
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
po è esaurito. Date la vostra spiegazione adesso, o preparatevi alla sentenza. PERICLE
Grande re, pochi amano sentirsi dire i peccati che pure amano praticare. La mia risposta sarebbe per voi un rimprovero, per me un pericolo, ché vi sono troppo vicino. Chi possedesse un registro degli atti dei monarchi sarebbe più al sicuro a tenerlo chiuso che a mostrarlo. Perché il vizio, ridetto e replicato, come il vento vagabondo, diffondendosi per l’aria getta polvere negli occhi. Ma ciò che si acquista ha in fine un caro prezzo: cessato il primo soffio, gli occhi irritati vedono chiaro e vogliono fermare l’aria che li fa soffrire18. La cieca talpa alza ardite collinette contro il cielo, a dire che la terra è schiacciata dall’oppressione dell’uomo e che il povero animale per questo muore19. I re sono gli dei della terra; e nel vizio, il loro volere è legge. Ma se è Giove a errare, chi oserà dire che Giove fa male? È sufficiente che sappiate; ed è opportuno soffocare ciò che, se divulgato, non può che diventar peggiore. Tutti amano il grembo in cui il loro essere trovò primo accudimento; lasciate dunque, in ugual modo, che la mia lingua ami la mia testa. ANTIOCO
(a parte) O cielo, avessi la tua testa! Ha scoperto il senso. Ma fingerò con lui: — Giovane Principe di Tiro, noi potremmo, secondo lo spirito del nostro rigido proclama, non avendo voi interpretato correttamente, procedere a cancellare i vostri giorni; tuttavia, la speranza che promana da così bell’albero quale è la vostra bella persona, ci accorda diversamente. Ancora quaranta giorni vi concediamo e se in questo tempo riuscirete a svelare il nostro segreto, ci rallegreremo per un così degno figlio: ne sia prova questa nostra
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
And until then your entertain shall be As doth befit your worth and our degree. o [Flourish.] Exeunt all but Pericles p PERICLES
How courtesy would seem to cover sin When what is done is like an hypocrite, The which is good in nothing but in sight. If it be true that I interpret false, Then were it certain you were not so bad As with foul incest to abuse your soul, Where now you’re both a father and a son q By your uncomely claspings with your child — r Which pleasures fits a husband, not a father — And she, an eater of her mother’s flesh, By the defiling of her parents’ bed, And both like serpents are, who though they feed On sweetest flowers, yet they poison breed. Antioch, farewell, for wisdom sees those men Blush not in actions blacker than the night Will ’schew no course to keep them from the light. s One sin, I know, another doth provoke. Murder’s as near to lust as flame to smoke. Poison and treason are the hands of sin, Ay, and the targets to put off the shame. Then, lest my life be cropped to keep you clear, By flight I’ll shun the danger which I fear. Exit
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163. Your worth and our degree: così in questa edizione; in Q our honour and your worth (“il nostro onore e il vostro valore”); in Steevens, congetturale, our honour, your degree (“il nostro onore, il vostro rango”). 163.1. Flourish: così in questa edizione; assente in Q. Vedi nota a 1, 42. 170. You’re: così in F3; in Q you = “voi”. 171. Uncomely: così in emendamenti moderni; in Q untimely = “intempestivi”. 179. ’Schew: così in emendamenti moderni; in Q shew. 1044
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
clemenza. Fino ad allora, riceverete l’ospitalità che si addice alla vostra dignità e al nostro rango. [Fanfara.] Escono tutti tranne Pericle PERICLE
Ah come vorrebbe, la cortesia, nascondere il peccato, quando in ciò che si è commesso, come nell’ipocrita, nulla c’è di buono se non l’aspetto. Se fosse vero che sbaglio a interpretare, allora certo non sareste malvagio al punto da sconciare la vostra anima con l’incesto ripugnante. Mentre ora, con il vostro turpe avvinghiarvi alla vostra bambina – piacere che si addice a un marito, non a un padre –, siete a un tempo padre e figlio; e lei, nel profanare il letto nuziale dei suoi genitori, è come chi si nutre delle carni di sua madre; e voi due siete entrambi simili a serpenti che, pur cresciuti tra i più dolci fiori, allevano veleno. Addio, Antiochia, saggezza dice che chi non arrossisce per azioni nere più della notte non tralascerà alcuna via per evitare che esse vengano alla luce20. So che peccato chiama peccato. L’assassinio è tanto prossimo alla lussuria quanto la fiamma al fumo. Veleno e tradimento sono il braccio destro e sinistro del peccato e scudo – ahimè – della vergogna. Scanserò quindi fuggendo il pericolo temuto, o a essere recisa21, per tener mondo il vostro giardino, sarà la mia vita. Esce
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 1
Enter Antiochus ANTIOCHUS
He hath found the meaning, for the which we mean To have his head. He must not live To trumpet forth my infamy, nor tell the world Antiochus doth sin in such a loathèd manner, And therefore instantly this prince must die, For by his fall my honour must keep high. Who attends us there?
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Enter Thaliart THALIART
Doth your highness call?
ANTIOCHUS
Thaliart, you are of our chamber, Thaliart, And to your secrecy our mind partakes Her private actions. For your faithfulness We will advance you, Thaliart. Behold, Here’s poison, and here’s gold. We hate the Prince of Tyre, and thou must kill him. It fits thee not to ask the reason. Why? Because we bid it. Say, is it done? THALIART My lord, ’tis done. ANTIOCHUS Enough.
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Enter a Messenger hastily t Let your breath cool yourself, telling your haste. MESSENGER
Your majesty, Prince Pericles is fled u ANTIOCHUS (to Thaliart) As thou wilt live, fly after; like an arrow Shot from a well-experienced archer hits The mark his eye doth level at, so thou Never return unless it be to say ‘Your majesty, Prince Pericles is dead.’
[Exit] 205
202.1. Hastily: così in P.A.; assente in Q. 204. Your Majesty: così in questa edizione; in Q My Lord = “mio Signore”. Q, così come in generale tutti i testi trascritti a partire da tracce mnemoniche, è particolarmente inaffidabile nel riportare titoli e vocativi. 1046
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 1
Entra Antioco ANTIOCO
Ha inteso il senso e per questo noi intendiamo avere la sua testa. Non vivrà per andare a strombazzare in giro la mia infamia o dire al mondo che Antioco pecca in tale sudicia maniera. Perciò, questo principe deve morire, all’istante. Perché, caduto lui, resti alto il mio onore. Chi viene a servirci? Entra Taliardo TALIARDO
Vostra altezza ha chiamato? ANTIOCO
Taliardo, voi fate parte della nostra camera di consiglio, Taliardo, e alla vostra riservatezza la nostra mente affida confidente le sue azioni più riposte. Per la vostra fedeltà, Taliardo, sarete promosso. Guarda: qui c’è veleno, e qui c’è oro. Noi odiamo il principe di Tiro e tu devi ucciderlo. Ti si addice il non chiederne ragione. Perché? Perché noi lo ordiniamo. Dimmi, è cosa fatta? TALIARDO
Mio signore, è cosa fatta. ANTIOCO
Basta così. Entra un messaggero in fretta e furia Respira e sbollisci e intanto racconta le ragioni di tanta furia. MESSAGGERO
Vostra maestà, il principe Pericle è fuggito. [Esce] ANTIOCO
(a Taliardo) Se vuoi vivere, inseguilo. Come la freccia, scagliata da arciere esperto, coglie il segno cui gli occhi hanno mirato22, così tu non far ritorno se non per dire: “Vostra maestà, il principe Pericle è morto”.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 2
THALIART
If I can get him in my pistol’s length I’ll make him sure enough. Farewell, your highness.
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ANTIOCHUS
Thaliart, adieu. [Exit Thaliart] Till Pericles be dead My heart can lend no succour to my head. Exit. [The heads are concealed] Sc. 2
Enter Pericles, distempered, with his lords v
PERICLES
Let none disturb us. Exeunt lords Why should this change of thoughts, The sad companion, dull-eyed melancholy, Be my so used a guest as not an hour w In the day’s glorious walk or peaceful night, The tomb where grief should sleep, can breed me quiet? Here pleasures court mine eyes, and mine eyes shun them, And danger, which I feared, ’s at Antioch, Whose arm seems far too short to hit me here. Yet neither pleasure’s art can joy my spirits, Nor yet care’s author’s distance comfort me. Then it is thus: the passions of the mind, That have their first conception by misdread, Have after-nourishment and life by care, And what was first but fear what might be done Grows elder now, and cares it be not done. And so with me. The great Antiochus, ’Gainst whom I am too little to contend,
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Sc. 2: così in Malone; assente in Q. 0.1. Distempered: così in questa edizione; assente in Q. Da P.A. (his Princes distemperature). 3. Be my: così in emendamenti moderni; in Q by me = “presso di me”. 1048
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 2
TALIARDO
Se l’avrò a tiro con la mia pistola, lo sistemerò per bene. Addio, vostra altezza. ANTIOCO
Addio, Taliardo. [Taliardo esce] Finché Pericle non sarà morto, il mio cuore non potrà prestar soccorso alla mia testa. Esce. [Vengono nascoste le teste]23 Scena 224
Entra Pericle, in subbuglio, con i nobili della sua corte
PERICLE
Che nessuno ci disturbi. Escono i nobili Perché questo mutare d’animo, questa mia triste compagna, la malinconia dagli occhi spenti, deve essere per me un’ospite tanto abituale da non lasciarmi ora che mi rechi pace: non di giorno, nel suo luminoso cammino, né nella pacifica notte, la tomba in cui il dolore dovrebbe dormire? Qui, i piaceri corteggiano i miei occhi; e i miei occhi li evitano; e il pericolo che temevo è ad Antiochia, e troppo corte sembrano le sue braccia per potermi colpire quaggiù. Eppure, l’arte del piacere non dona gioia al mio spirito, né mi conforta sapere distante la fonte delle mie apprensioni. Dunque è così: le passioni della mente, che sono concepite nel timore del male, trovano poi vita e nutrimento nella preoccupazione: così, ciò che nasceva come paura per quel che sarebbe potuto avvenire, cresce e si fa grande e si preoccupa affi nché ciò non avvenga 25. Così è per me. Il grande Antioco, contro il quale io, troppo piccolo, non posso contendere – poiché, nella sua
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 2
Since he’s so great can make his will his act, Will think me speaking though I swear to silence, Nor boots it me to say I honour him If he suspect I may dishonour him. And what may make him blush in being known, He’ll stop the course by which it might be known. With hostile forces he’ll o’erspread the land, And with th’ostent of war will look so huge Amazement shall drive courage from the state, Our men be vanquished ere they do resist, And.subjects punished that ne’er thought offence, Which care of them, not pity of myself, Who am no more but as the tops of trees x Which fence the roots they grow by and defend them, Makes both my body pine and soul to languish, And punish that before that he would punish.
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25
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Enter all the Lords, among them old Helicanus, to Pericles FIRST LORD
Joy and all comfort in your sacred breast! SECOND LORD
And keep your mind peaceful and comfortable.
35
HELICANUS
Peace, peace, and give experience tongue. (To Pericles) You do not well so to abuse yourself, y To waste your body here with pining sorrow, Upon whose safety doth depend the lives And the prosperity of a whole kingdom. ’Tis ill in you to do it, and no less Ill in your council not to contradict it. They do abuse the King that flatter him, For flatt’ry is the bellows blows up sin; The thing the which is flattered, but a spark,
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45
30. Am: così in Malone; in Q once = “una volta”; in altro emendamento moderno care = “mi prendo cura”, “mi preoccupo”. 37-42. You … contradict it.: così in questa edizione; assente in Q. Da P.A. 1050
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 2
grandezza, egli può porre in atto ogni suo volere – penserà che io parli anche se mi voto al silenzio, né mi aiuta dichiarare che gli porto onore, se sospetta che potrei disonorarlo. E se c’è cosa che, risaputa, lo farebbe arrossire, lui fermerà la corsa di chi potrebbe renderla nota. Ricoprirà la terra con armate ostili e recando segni di guerra parrà così smisurato che lo sgomento drenerà il coraggio dal nostro stato e i nostri uomini saranno sterminati prima ancora d’apprestarsi a resistere, e ad esser puniti saranno i nostri sudditi, che mai concepirono offesa. È l’apprensione per loro, non la pietà per me stesso – che sono come le fronde dell’albero, che proteggono e difendono le radici su cui crescono26 – a far languire il mio corpo e struggersi la mia anima, e che mi fa punire me stesso prima che sia lui a punire me. Entrano tutti i nobili, tra i quali il vecchio Elicano, rivolti a Pericle PRIMO NOBILE
Ogni gioia e conforto abitino il vostro sacro petto. SECONDO NOBILE
E pace e serenità la vostra mente. ELICANO
Quieti, quieti. Lasciate parlare l’esperienza. (A Pericle) Non è bene che rechiate offesa a voi stesso in questo modo, lasciandovi deperire in preda alla struggente tristezza: sulla salute di questo vostro corpo poggia la vita dei vostri uomini e la prosperità dell’intero regno. È male che vi comportiate così; e male non minore è che i vostri consiglieri non osino contraddirvi. Recano offesa al re coloro che lo adulano, perché l’adulazione è un mantice che soffia sul peccato: non è che una scintilla, la cosa adulata, cui quel soffio
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 2
To which that wind gives heat and stronger glowing; z aa Whereas reproof, obedient and in order, Fits kings as they are men, for they may err. When Signor Sooth here does proclaim a peace He flatters you, makes war upon your life.
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[He kneels] Prince, pardon me, or strike me if you please. I cannot be much lower than my knees. PERICLES
All leave us else; but let your cares o’erlook What shipping and what lading’s in our haven, And then return to us. Exeunt Lords Helicane, thou ab Hast movèd us. What seest thou in our looks? HELICANUS An angry brow, dread lord.
55
PERICLES
If there be such a dart in princes’ frowns, How durst thy tongue move anger to our brows? HELICANUS
How dares the plants look up to heav’n from whence ac They have their nourishment?
61
PERICLES
Thou knowest I have pow’r to take thy life from thee. HELICANUS
I have ground the axe myself; do you but strike the blow. PERICLES [lifting him up] Rise, prithee, rise. Sit down. Thou art no flatterer, I thank thee for it, and the heav’ns forbid That kings should let their ears hear their faults hid,
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46-47. To … order: così in Q4; in Q1 stronger = “più forte”. 46. Wind: così in emendamenti moderni; in Q sparke = “scintilla”. 55-56. And … lookes: così in Malone; in Q hast = “ha”. 60-1. How … nourishment: così in Malone; in Q heaven = “cielo”. 1052
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 2
dà calore e maggior ardore. Al contrario, il rimprovero, devoto e appropriato, si addice ai re, giacché essi sono uomini e possono errare. Quando qui Signor Lusinga reclama a gran voce la pace, vi adula, reca guerra alla vita vostra. [Si inginocchia] Principe, perdonatemi, o colpitemi, se preferite. Mi inginocchio, oltre non posso abbassarmi. PERICLE
Tutti gli altri si allontanino. Ma vigilate sui movimenti e gli sbarchi delle navi giù al porto, poi tornate a riferire. Escono i nobili Elicano, le tue parole ci hanno turbato: cosa vedi nel nostro aspetto? ELICANO
Una fronte adirata, temuto signore. PERICLE
Se nel cipiglio dei principi c’è un tale dardo, come osa la tua lingua muovere all’ira la nostra fronte? ELICANO
Come osano le piante volgere lo sguardo in alto, al cielo da cui traggono nutrimento? PERICLE
Tu sai che ho il potere di toglierti la vita. ELICANO
Ho affilato l’ascia io stesso; non avete che da sferrare il colpo. PERICLE [tirandolo su] Alzati, ti prego, alzati. Siedi. Non sei un adulatore, di questo ti ringrazio, e non voglia il cielo che i re prestino orecchio a parole che coprono le loro mancanze. Consigliere degno di un principe e
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 2
Fit counsellor and servant for a prince, Who by thy wisdom mak’st a prince thy servant, What wouldst thou have me do? HELICANUS To bear with patience Such griefs as you do lay upon yourself.
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PERICLES
Thou speak’st like a physician, Helicanus, That ministers a potion unto me That thou wouldst tremble to receive thyself. Attend me, then. I went to Antioch, Where, as thou know’st, against the face of death I sought the purchase of a glorious beauty From whence an issue I might propagate, As children are heav’n’s blessings: to parents, objects; Are arms to princes, and bring joys to subjects. Her face was to mine eye beyond all wonder, The rest — hark in thine ear — as black as incest, Which by my knowledge found, the sinful father Seemed not to strike, but smooth. But thou know’st this, ’Tis time to fear when tyrants seems to kiss; Which fear so grew in me I hither fled Under the covering of careful night, Who seemed my good protector, and being here Bethought me what was past, what might succeed. ad I knew him tyrannous, and tyrants’ fears Decrease not, but grow faster than the years. And should he doubt — as doubt no doubt he doth — That I should open to the list’ning air How many worthy princes’ bloods were shed To keep his bed of blackness unlaid ope, To lop that doubt he’ll fill this land with arms, And make pretence of wrong that I have done him,
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88. Me: così in emendamenti moderni; assente in Q. 1054
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 2
servitore che per la tua saggezza rendi il principe stesso tuo servo; cosa vorresti che faccia? ELICANO
Che sopportiate con pazienza queste sofferenze che voi stesso vi infliggete. PERICLE
Parli come un medico, Elicano, che somministra un rimedio che lui stesso accetterebbe con tremore. Seguimi, dunque. Andai ad Antiochia dove, come sai, fronteggiando la morte cercai di conquistare una splendida bellezza da cui potesse avere origine la mia discendenza, giacché i figli sono benedizioni del cielo: oggetto d’amore per i genitori, braccia per i principi, gioia per i sudditi. Il suo viso era ai miei occhi al di là d’ogni meraviglia; il resto – ascoltino bene le tue orecchie – nero come l’incesto. E quando il mio intendimento lo scoprì, il padre corrotto parve non colpire, ma blandire. Ma tu lo sai: c’è da temere quando i tiranni fanno mostra di voler baciare. E quel timore montò in me al punto che, coperto dalla notte giudiziosa, che si fece mia benigna protettrice, fuggii di là, e qui giunto cominciai a riflettere su ciò che era accaduto e su quel che poteva seguirne. Conoscevo la sua indole tirannica e so che i timori dei tiranni non si placano, ma crescono, più rapidi degli anni. E se dubitasse – e che dubiti non c’è dubbio – che io possa svelare ai venti in ascolto quanto sangue di valorosi principi è stato versato perché lui potesse mantenere sfatto e aperto il suo letto di nefandezza, per sfrondare quel dubbio egli colmerebbe questa terra di armigeri, e fingerebbe d’aver patito torti a causa mia e per il
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 2
When all for mine — if I may call — offence Must feel war’s blow, who spares not innocence; Which love to all, of which thyself art one, Who now reproved’st me for’t — HELICANUS Alas, sir.
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PERICLES
Drew sleep out of mine eyes, blood from my cheeks, Musings into my mind, with thousand doubts, How I might stop this tempest ere it came, And, finding little comfort to relieve them, I thought it princely charity to grieve them.
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HELICANUS
Well, my lord, since you have giv’n me leave to speak, Freely will I speak. Antiochus you fear, And justly too, I think, you fear the tyrant, Who either by public war or private treason Will take away your life. Therefore, my lord, go travel for a while, Till that his rage and anger be forgot, Or destinies do cut his thread of life. Your rule direct to any; if to me, Day serves not light more faithful than I’ll be. PERICLES I do not doubt thy faith, But should he in my absence wrong thy liberties?
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HELICANUS
We’ll mingle our bloods together in the earth From whence we had our being and our birth. PERICLES
Tyre, I now look from thee then, and to Tarsus Intend my travel, where I’ll hear from thee, And by whose letters I’ll dispose myself. The care I had and have of subjects’ good On thee I lay, whose wisdom’s strength can bear it. I’ll take thy word for faith, not ask thine oath; Who shuns not to break one will sure crack both. But in our orbs we’ll live so round and safe
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 2
mio affronto – se così posso chiamarlo – tutti soffrirebbero i colpi della guerra, che non risparmia gli innocenti. Ed è l’amore che ho per tutti – incluso te, che per questo ora mi rimproveravi – che… ELICANO
Oh, mio signore… PERICLE
…che ha portato via il sonno dai miei occhi e il sangue dalle mie guance, e instillato pensieri nella mente, e migliaia di dubbi, su come io possa fermare questa tempesta prima che arrivi: e non trovando di che confortare i miei sudditi, ho pensato che fosse carità di principe il soffrirne. ELICANO
Bene, signore, giacché mi avete concesso di parlare, parlerò liberamente. Temete Antioco e, giustamente pure, penso, temete il tiranno: con pubblica guerra o tradimento privato egli vorrà togliervi la vita. Perciò, mio signore, mettetevi in viaggio per un po’, sino a che questa sua collera e rabbia non siano dimenticate, o il destino non abbia reciso il fi lo della sua vita. Il governo affidatelo a qualcuno; fosse a me, il giorno non sarà più fedele nel dispensare luce di quanto sarò io nel servirvi. PERICLE
Non dubito della tua fedeltà, ma se egli violasse in mia assenza le tue prerogative? ELICANO
Il sangue si mescolerà al sangue e tornerà alla terra da cui ricevemmo essere e nascita. PERICLE
Tiro, dunque adesso volgerò da te il mio sguardo; verso Tarso dirigerò il mio viaggio, lì attenderò tue notizie e in base al tenore delle tue lettere disporrò il mio animo. La cura per il bene dei miei sudditi, quella stessa che io ho avuto ed ho, l’affido a te, che forte della tua saggezza puoi sostenerne il peso. Terrò la tua parola come segno della tua fedeltà, non ti chiedo di fare giuramento. Chi non teme di rompere l’una, spezzerà entrambi. Ma nelle nostre orbite saremo così sani e salvi che il tempo non avrà mai ragione di queste
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Shakespeare IV.indb 1057
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 3
That time of both this truth shall ne’er convince: Thou showed’st a subject’s shine, I a true prince. Exeunt Sc. 3
Enter Thaliart ae
THALIART So this is Tyre, and this the court. Here must
I kill King Pericles, and if I do it and am caught I am like to be hanged abroad, but if I do it not, I am sure to be hanged at home. ’Tis dangerous. Well, I perceive he was a wise fellow and had good discretion that, being bid to ask what he would of the King, desired he might know none of his secrets. Now do I see he had some reason for’t, for if a king bid a man be a villain, he’s bound by the indenture of his oath to be one. Hush, here comes the lords of Tyre.
af
10
Enter Helicanus and Aeschines, with other lords HELICANUS
You shall not need, my fellow peers of Tyre, Further to question of your King’s departure. His sealed commission left in trust with me Does speak sufficiently he’s gone to travel. THALIART (aside) How? The King gone?
15
HELICANUS
If further yet you will be satisfied Why, as it were unlicensed of your loves, He would depart, I’ll give some light unto you. Being at Antioch — THALIART (aside) What from Antioch? HELICANUS
Royal Antiochus, on what cause I know not, Took some displeasure at him — at least he judged so — And doubting lest that he had erred or sinned,
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Sc. 3: così in Malone; assente in Q. 2-3. And am … but if I do it: così in questa edizione; assente in Q. 1058
Shakespeare IV.indb 1058
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 3
due verità: tu avrai mostrato lo splendore del suddito, io del vero principe27. Escono Scena 328 Entra Taliardo TALIARDO
Dunque questa è Tiro, e questa la corte. Ed è qui che devo uccidere il re Pericle: e se ci riesco e mi beccano, facile che io finisca impiccato, qui, lontano da casa; se non ci riesco, finisco di certo impiccato in patria. È pericoloso. Be’, mi rendo conto che era un tipo saggio e dotato di giudizio quel tale che, potendo chiedere qualsiasi cosa al re, espresse il desiderio di non conoscere nessuno dei suoi segreti 29. Ben vedo ora che aveva qualche buona ragione per farlo, ché se un re ti ordina d’esser farabutto, sei poi obbligato a esser tale dal contratto cui ti vincola il giuramento30. Ma, silenzio, ecco arrivare i nobili di Tiro. Entrano Elicano ed Eschino, con altri nobili ELICANO
Non avrete più bisogno, miei pari nobili di Tiro, di interrogarvi sulla partenza del vostro re. Le sue volontà, sigillate e affidate a me, dicono a sufficienza: egli è partito per un viaggio. TALIARDO (a parte) Come, il re è partito? ELICANO
Se non trovate soddisfazione e ulteriormente chiedete perché sia partito senza aver preso congedo dal vostro affetto, vi darò qualche lume. Quando era ad Antiochia… TALIARDO (a parte) Parla di Antiochia? ELICANO
Il regale Antioco, non so per quale ragione, lo prese a malvolere – o almeno così egli ha valutato – e temendo di avere errato o peccato,
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Shakespeare IV.indb 1059
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 4
To show his sorrow he’d correct himself; So puts himself unto the ship-man’s toil, With whom each minute threatens life or death. THALIART (aside) Well, I perceive I shall not be hanged now, Although I would. But since he’s gone, the King’s ears it must please He scaped the land to perish on the seas. I’ll present myself. — Peace to the lords of Tyre. Lord Thaliart am I, of Antioch.ag [HELICANUS] Lord Thaliart of Antioch is welcome.
25
30
THALIART
From King Antiochus I come ah With message unto princely Pericles, But since my landing I have understood Your lord’s betook himself to unknown travels. Now my message must return from whence it came.
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HELICANUS
We have no reason to enquire it, ai Commended to our master, not to us. Yet ere you shall depart, this we desire: As friends to Antioch, we may feast in Tyre. Sc. 4
40 Exeunt
Enter Cleon, the Governor of Tarsus, with Dionyza aj his wife, and others
CLEON
My Dionyza, shall we rest us here And, by relating tales of others’ griefs, See if ’twill teach us to forget our own?
31. Lord Thailart am I, of Antioch.: così in questa edizione; assente in Q. 33. King Antiochus: così in questa edizione; assente in Q. 38. Enquire: così in questa edizione; in Q desire. Sc. 4: così in Malone; assente in Q. 1060
Shakespeare IV.indb 1060
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 4
decise di correggersi da sé, a mostra del proprio pentimento. Perciò si è sottoposto alle fatiche del mare, che ogni minuto mettono la vita a rischio di morte31. TALIARDO (a parte) Be’, sento che non sarò impiccato adesso, anche se dovrei. Ma dal momento che è partito, alle orecchie del re piacerà sentire che è fuggito dalla terra per morire in mare. Adesso mi presento: – Pace a voi, nobili di Tiro. Sono il nobile Taliardo di Antiochia. [ELICANO]
Il nobile Taliardo è il benvenuto. TALIARDO
Dal re Antioco giungo con un messaggio per il principe Pericle, ma sin dal mio arrivo ho appreso che il vostro signore si è messo in viaggio verso ignote destinazioni. Il mio messaggio dunque tornerà ora là da dove era partito. ELICANO
Non abbiamo ragioni per indagarne il contenuto, giacché è indirizzato al nostro signore, non a noi. Tuttavia, prima che ripartiate, in quanto amici di Antioco, è nostro desiderio far festa con voi qui a Tiro. Escono Scena 432 Entrano Cleone, governatore di Tarso, con Dionisa, sua moglie, e altri CLEONE
Mia Dionisa, vogliamo riposarci qui e vedere se, narrando storie di altrui dolori, impareremo a dimenticare i nostri?
1061
Shakespeare IV.indb 1061
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 4
DIONYZA
That were to blow at fire in hope to quench it, For who digs hills because they do aspire Throws down one mountain to cast up a higher. O my distressèd lord, e’en such our griefs are; Here they’re but felt and seen with midges’ eyes, ak But like to groves, being topped they higher rise. CLEON O Dionyza, Who wanteth food and will not say he wants it, Or can conceal his hunger till he famish? Our tongues our sorrows dictate to sound deep al Our woes into the air, our eyes to weep Till lungs fetch breath that may proclaim them louder, am That, if heav’n slumber while their creatures want, They may awake their helps to comfort them. an I’ll then discourse our woes, felt sev’ral years, And, wanting breath to speak, help me with tears. DIONYZA As you think best, sir. ao
5
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16
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CLEON
This Tarsus o’er which I have the government, A city o’er whom plenty held full hand, For riches strewed herself ev’n in the streets, Whose tow’rs bore heads so high they kissed the clouds, And strangers ne’er beheld but wondered at, Whose men and dames so jetted and adorned Like one another’s glass to trim them by; Their tables were stored full to glad the sight, And not so much to feed on as delight.
25
8. Midges’: così in questa edizione; in Q mischief ’s = “della sventura”. Molti gli emendam. proposti nelle edizioni moderne: mistful, mistie, misery’s, weakness. 13. Our sorrows dictate: così in questa edizione; in Q and sorrows. 15. Loungs: così in Steevens; in Q toungs = “lingue”. 17. Helps: così in questa edizione; assente in Q helpers = “aiutanti”. 20. As you think: così in questa edizione; in Q I’ll do my = “farò del mio [meglio]”. 1062
Shakespeare IV.indb 1062
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 4
DIONISA
Sarebbe come soffiare sul fuoco sperando di estinguerlo33. Chi sterra un colle perché non svetti ambizioso, butta giù una montagna per innalzarne una più alta34. O mio stremato signore, tali sono pure i nostri dolori. Così li percepiamo e vediamo, con lo sguardo di un moscerino: ma a paragonarli agli alberi, proprio come questi, essi crescono ancor più quando li si vuol sfrondare35. CLEONE
Oh Dionisa, chi è che, mancandogli il cibo, non dirà di averne bisogno36, chi mai può tenere segreta la fame sino a morirne? È il dolore a dettare alla nostra lingua di far risuonare cupe le nostre pene nell’aria e ad ordinare agli occhi di piangere, finché i nostri polmoni non abbiano preso tutto il fiato necessario a proclamarle più forte e a far sì che i cieli, se mai si assopirono lasciando le loro creature nel bisogno, possano ridestarsi all’aiuto e confortarle. E allora voglio parlare delle pene che per lunghi anni abbiamo patito e, quando dovesse mancarmi il fiato per dire, chiamerò in aiuto le lacrime. DIONISA
Come meglio credete, signore. CLEONE
Questa è Tarso, città su cui governo, e su cui l’abbondanza si riversava a piene mani, al punto che la ricchezza arrivava sin nelle strade; una città le cui torri alzavano il capo così in alto da baciare le nuvole, e che gli stranieri non potevano che guardare con meraviglia; i cui uomini e donne procedevano così impettiti ed eleganti che gli uni parevano far da specchio alle altre in atto d’agghindarsi. Le loro mense erano provviste d’ogni cosa sì da allietare lo sguardo, e da deliziare più che saziare. Ogni sorta di povertà era
1063
Shakespeare IV.indb 1063
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 4
All poverty was scorned, and pride so great The name of help grew odious to repeat. DIONYZA O, ’tis too true.
30
CLEON
But see what heav’n can do by this our change. Those mouths who but of late earth, sea, and air Were all too little to content and please, Although they gave their creatures in abundance, As houses are defiled for want of use, They are now starved for want of exercise. Those palates who, not yet two summers younger, Must have inventions to delight the taste Would now be glad of bread and beg for it. Those mothers who to nuzzle up their babes Thought naught too curious are ready now To eat those little darlings whom they loved. So sharp are hunger’s teeth that man and wife Draw lots who first shall die to lengthen life. Here weeping stands a lord, there lies a lady dying, ap Here many sink, yet those which see them fall Have scarce strength left to give them burial. Is not this true?
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DIONYZA
Our cheeks and hollow eyes do witness it. CLEON
O, let those cities that of plenty’s cup And her prosperities so largely taste With their superfluous riots, heed these tears! The misery of Tarsus may be theirs.
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Enter a [fainting] Lord of Tarsus [slowly] LORD Where’s the Lord Governor?
47. Weeping: così in questa edizione, da P.A.; assente in Q. 47. There lies: così in questa edizione; in Q and there. 47. Dying: così in questa edizione; in Q weeping. In Q il verso per intero recita: Here stands a lord and a lady weeping. 1064
Shakespeare IV.indb 1064
30/11/2018 09:32:56
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 4
disprezzata e tale era l’orgoglio che pronunciare la parola ‘aiuto’ divenne cosa odiosa. DIONISA
Oh, quanto è vero. CLEONE
Ma in questo nostro mutare di fortuna ben vedi cosa può il cielo. Quelle bocche per le quali sino a poco fa terra, mare e aria, pur dando in abbondanza alle loro creature, non bastavano a dare loro soddisfazione o diletto, adesso, nello stesso modo in cui le case cadono in rovina per mancanza d’uso, muoiono di fame per mancanza d’esercizio. Quei palati, che nemmeno due estati fa richiedevano continue novità per deliziarsi, oggi sarebbero lieti di avere del pane e supplicano per averlo. Quelle madri, che pensavano non ci fosse cibo troppo ricercato per crescere i loro bambini, sono ora pronte a nutrirsi di quei piccoli cari che tanto amavano. Sono così affilati i denti della fame che marito e moglie fanno a sorte per chi debba morire prima per allungare la vita all’altro. Qui sta un nobile che piange, là una nobildonna giace in agonia, qui molti crollano, mentre a chi li vede cadere mancano le forze per dare loro sepoltura. Non è vero tutto ciò? DIONISA
Le nostre guance e i nostri sguardi spenti ne sono testimoni. CLEONE
Oh, fa che quelle città, che così largamente saggiano della coppa dell’abbondanza e della prosperità con la loro ostentata dissolutezza, abbiano riguardo di queste lacrime! La miseria di Tarso potrebbe essere la loro. Entra un nobile di Tarso [sul punto di svenire, a passo lento] NOBILE
Dov’è il Signor Governatore?
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Shakespeare IV.indb 1065
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 4
CLEON
Here. Speak out thy sorrows which thou bring’st in haste, For comfort is too far for us t’expect. LORD
We have descried upon our neighbouring shore A portly sail of ships make hitherward. CLEON I thought as much. One sorrow never comes but brings an heir That may succeed as his inheritor, And so in ours. Some neighbour nation, Taking advantage of our misery, Hath stuffed these hollow vessels with their power To beat us down, the which are down already, And make a conquest of unhappy men, Whereas no glory’s got to overcome.
60
65
LORD
That’s the least fear, for by the semblance Of their white flags displayed they bring us peace, And come to us as favourers, not foes.
70
CLEON
Thou speak’st like him’s untutored to repeat; Who makes the fairest show means most deceit. But bring they what they will and what they can, What need we fear? Our grave’s the low’st, and we are half-way there. aq Go tell their gen’ral we attend him here To know for what he comes, and whence he comes. LORD I go, my lord. Exit
75
CLEON
Welcome is peace, if he on peace consist; If wars, we are unable to resist.
81
77. Our grave’s: così in questa edizione; in Q1 our ground’s = “il nostro suolo”, “la nostra terra”; Q4 the ground’s; in emend. moderni On ground’s = “al suolo”, “sul terreno”. 1066
Shakespeare IV.indb 1066
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 4
CLEONE
Qui. Parla, di’ in fretta quali pene porti, ché non ci attendiamo conforto, ci è ormai troppo lontano. NOBILE
Abbiamo avvistato all’altezza dell’approdo più prossimo un’imponente flotta fare rotta verso di noi. CLEONE
Pensavo sarebbe successo qualcosa di simile. Non c’è dolore che giunga senza portare con sé un erede che gli succeda37, e così è per noi. Una delle nazioni a noi vicine, approfittando del nostro stato di prostrazione, ha imbottito questi vascelli di tutta la sua potenza per abbatterci, noi che già siamo a terra, e avere così ragione di uomini derelitti, sconfiggere i quali non porta gloria alcuna. NOBILE
Questa è l’ultima delle paure, perché a giudicare dalle bandiere bianche che issano portano pace, e vengono in nostro soccorso, non da nemici. CLEONE
Parli come chi non ha mai imparato a recitare; sotto l’apparenza più benevola è l’intenzione più ingannevole38. Ma portino pure ciò che vogliono e possono, di cosa dobbiamo avere paura? La nostra tomba è la più profonda e noi ci siamo già dentro a metà39. Va’ a dire al loro comandante che lo aspettiamo qui per conoscere quali sono le ragioni della sua venuta e quale la sua provenienza. NOBILE
Vado, mio signore. Esce CLEONE
Benvenuta sia la pace, se è pace ciò che egli porta. Se è guerra, non potremo opporre resistenza.
1067
Shakespeare IV.indb 1067
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 4
Enter [the Lord again conducting] Pericles with attendants PERICLES (to Cleon)
Lord Governor, for so we hear you are, Let not our ships and number of our men Be like a beacon fixed t’amaze your eyes. We have heard your miseries as far as Tyre, Since entering your unshut gates have witnessed ar The widowed desolation of your streets; Nor come we to add sorrow to your hearts, as But to relieve them of their heavy load; And these our ships, you happily may think Are like the Trojan horse was fraught within With bloody veins importing overthrow, Are stored with corn to make your needy bread, And give them life whom hunger starved half dead. ALL OF TARSUS [falling on their knees and weeping] The gods of Greece protect you, and we’ll pray for you! PERICLES Arise, I pray you, rise. We do not look for reverence but for love, And harbourage for me, my ships and men.
85
90
95
CLEON
The which when any shall not gratify, Or pay you with unthankfulness in thought, Be it our wives, our children, or ourselves, The curse of heav’n and men succeed their evils! Till when — the which I hope shall ne’er be seen — Your grace is welcome to our town and us.
100
105
PERICLES
Which welcome we’ll accept, feast here a while, Until our stars that frown lend us a smile.
Exeunt
87. Since entering your unshut gates have witnessed / the widowed: così in questa edizione; in Q and seen the = “e visto la”. La lezione di Q risulta illogica senza un’integrazione: Pericle non può aver “visto … sin da Tiro”. Questa edizione ricostruisce la frase mancante sulla base di P.A. 89. Hearts: così in emend. moderni; in Q tears = “lacrime”. 1068
Shakespeare IV.indb 1068
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 4
Entra [nuovamente il Nobile, conducendo con sé] Pericle e il suo seguito PERICLE (a Cleone)
Signor Governatore – tale è il vostro ruolo, a quel che abbiamo sentito – le nostre navi e i nostri molti uomini non appaiano ai vostri occhi come insegne di terrore. Sin da Tiro ci è giunta voce della miseria che vi flagella e da quando abbiamo varcato le vostre porte non custodite abbiamo constatato la desolazione vedovile delle vostre strade. Non veniamo ad aggiungere pena ai vostri cuori, ma a sollevarli dal loro pesante carico. E queste nostre navi, che ben potreste pensare simili al cavallo di Troia, che porta in seno arterie di sangue e sopraffazione, sono stipate di grano per fare il pane di cui avete bisogno e dare vita a coloro che la fame ha già mezzo uccisi. TUTTI DI TARSO [lasciandosi cadere sulle ginocchia e piangendo] Gli dei della Grecia vi proteggano, noi pregheremo per voi! PERICLE
Alzatevi, vi prego, alzatevi. Non cerchiamo venerazione, ma amicizia. E riparo per me, per le mie navi e per i miei uomini. CLEONE
La qual cosa non vi sarà negata; e se mai vi sarà chi non onorerà questo impegno40, o chi vi ripagherà con ingratitudine anche solo nel pensiero, siano pure le nostre mogli, i nostri figli, o noi stessi, sopravvenga a quel torto la maledizione del cielo e degli uomini! E sino a quel momento – che spero non s’abbia a vedere – Vostra Grazia è benvenuto nella nostra città e tra noi tutti. PERICLE
È un benvenuto che accogliamo, sia fatta festa finché le stelle accigliate ci regalino un sorriso. Escono
1069
Shakespeare IV.indb 1069
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
Sc. 5
Enter Gower at
GOWER
Here have you seen a mighty king His child, iwis, to incest bring; au A better prince and benign lord Prove awe-full both in deed and word. av Be quiet then, as men should be, Till he hath passed necessity. I’ll show you those in trouble’s reign, Losing a mite, a mountain gain. The good in conversation, To whom I give my benison, Is still at Tarsus where each man aw Thinks all is writ he speken can, ax And to remember what he does His statue build to make him glorious. But tidings to the contrary Are brought your eyes. What need speak I?
5
10
15
Dumb show. Enter at one door Pericles talking with Cleon, all the train with them. Enter at another door a gentleman with a letter to Pericles. Pericles shows the letter to Cleon. Pericles gives the messenger a reward, and knights him. Exeunt with their trains Pericles at one door and Cleon at another Good Helicane that stayed at home, Not to eat honey like a drone From others’ labours, for that he strive ay To killen bad, keep good alive, az
20
Sc. 5: così in questa edizione; assente in Q; in F3 Actus secundus; in emend. moderni Act II scene I. 2. Iwis: arcaismo, da gewis (= “davvero”, “per certo”), termine Old English. 4. Prove: così in emend. moderni; in Q That Will prove. 11. Tharsus: così in Q4; in Q1 Thartill. 12. Speken: arcaismo, così in emend. moderni; in Q spoken. 19. For that: così in questa edizione; in Q for though = “poiché sebbene”. 20. Killen: arcaismo per kill. 1070
Shakespeare IV.indb 1070
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
Scena 541 Entra Gower42 GOWER
Qui avete visto un re potente portare all’incesto la creatura sua; e un principe migliore e buon signore dare prova di maestà43 tanto nelle imprese quanto in parole. Pazientate, dunque, come è giusto fare, fintanto che lui non passi tutte le sue prove amare44. Vi mostrerò che nel regno del travaglio45 chi perde un grano può acquistare una montagna. Ora il buono di cui vado discorrendo46, e al quale do la mia benedizione47, è ancora a Tarso, dove ognuno prende per vangelo48 tutto quanto egli possa dire e dove, per commemorare ciò che fa, gli erigono una statua a sua futura gloria. Ma notizie di tenore opposto sono portate innanzi ai vostri occhi. A che serve che io parli? Pantomima49 Entra Pericle da una porta, parlando con Cleone, tutto il corteo con loro. Da un’altra porta entra un gentiluomo con una lettera per Pericle. Pericle mostra la lettera a Cleone. Pericle dà una ricompensa al messaggero e lo nomina cavaliere50. Escono con il corteo Pericle da una porta e Cleone da un’altra. Il buon Elicano, che si è trattenuto in patria, non già a mangiare miele come un fuco51 alle spalle del lavoro altrui ma adoperandosi ad eliminare il male, tenere il buono in vita e adempiere ai desi-
1071
Shakespeare IV.indb 1071
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
And to fulfil his prince’ desire Sent word of all that haps in Tyre; ba How Thaliart came full bent with sin And hid intent to murdren him, bb And that in Tarsus was not best Longer for him to make his rest. He deeming so put forth to seas, bc Where when men been there’s seldom ease, For now the wind begins to blow; Thunder above and deeps below Makes such unquiet that the ship Should house him safe is wrecked and split, And he, good prince, having all lost, By waves from coast to coast is tossed. All perishen of man, of pelf, Ne aught escapend but himself, bd Till fortune, tired with doing bad, Threw him ashore to give him glad.
25
30
35
[Enter Pericles wet and half-naked] And here he comes. What shall be next Pardon old Gower; this ’longs the text.
Exit
be
[Thunder and lightning] PERICLES bf
Yet cease your ire, you angry stars of heaven! Wind, rain, and thunder, remember earthly man Is but a substance that must yield to you,
41
22. Sent word: così in questa edizione; in Q Sav’d one (= “salvò uno”, “una cosa”); in emend. moderni Sends words (= “invia parole”). 24. Hid: così in Qa; in Qb had = “aveva”. 24. Intent: così in Qb; in Qa in Tent. 24. Murdren: arcaismo per murden, così in questa edizione; in Qa murdred = “assassinato”; in Qb murder = “assassino”. 27. Deeming: così in questa edizione; in Q doing = “facendo”. 36. Aught: così in questa edizione; in Q ought = “dovrebbe”. 40.1. Thunder and lightning: così in questa edizione; assente in Q. 41. PERICLES: questa edizione, a differenza delle edizioni moderne da Malone in poi, non segna qui alcuna interruzione di scena. 1072
Shakespeare IV.indb 1072
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
deri del suo principe, gli scrive di tutto ciò che accade a Tiro; di come Taliardo sia venuto, risoluto nel peccato e col celato intento di assassinarlo, e che non sia per lui più cosa buona restare ancora a Tarso. In tal guisa valutando, egli si mette in mare52, dove raramente l’uomo può trovare agio, tant’è che ora i venti cominciano a soffiare; in alto i tuoni, giù le profondità del mare fanno un tumulto tale che la nave, che dovrebbe offrirgli un ricovero sicuro, si spezza e va a naufragare; tutto è perduto, e lui, principe buono, è sbattuto dalle onde di costa in costa. Periti tutti gli uomini, perso ogni possesso, non ebbe scampo nulla se non lui stesso; finché la sorte, stanca di far male, lo gettò a riva per dargli pace. [Entra Pericle, bagnato e mezzo nudo] Ed eccolo che viene. E per il resto, scusate il vecchio Gower, ma c’è il testo. Esce [Tuoni e lampi] PERICLE
Placate la vostra furia, o voi, adirate stelle del cielo! Vento, pioggia e tuono ricordano all’uomo mortale che la sua sostanza è tale che a voi deve la resa, ed io, come si addice alla mia natura, a voi
1073
Shakespeare IV.indb 1073
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
And I, as fits my nature, do obey you. Alas, the seas hath cast me on the rocks, Washed me from shore to shore, and left my breath Nothing to think on but ensuing death. Let it suffice the greatness of your powers To have bereft a prince of all his fortunes, And, having thrown him from your wat’ry grave, Here to have death in peace is all he’ll crave.
45
50
[He sits.] Enter two poor Fishermen: one the Master, the bg other his man MASTER [calling] What ho, Pilch! SECOND FISHERMAN [calling] Ha, come and bring away the
nets. MASTER [calling] What, Patchbreech, I say!
55
[Enter a Third rough Fisherman with a hood upon his head and a filthy leathern pelt upon his back, unseemly clad, and homely to behold. He brings nets bh to dry and repair] THIRD FISHERMAN What say you, master? MASTER Look how thou stirrest now. Come away, or I’ll
fetch th’ with a wanion. THIRD FISHERMAN Faith, master, I am thinking of the poor
men that were cast away before us even now. MASTER Alas, poor souls, it grieved my heart to hear what pitiful cries they made to us to help them when, well-a-day, we could carce help ourselves. THIRD FISHERMAN Nay, master, said not I as much when I saw the porpoise how he bounced and tumbled? They say they’re half fish, half flesh. A plague on them, they
60
51.2. Poor: così in questa edizione; assente in Q. 55.3-4. He … repair: così in questa edizione; assente in Q. Il particolare è tratto da P.A. 1074
Shakespeare IV.indb 1074
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
obbedisco. Perdio, le onde mi hanno gettato sulle rocce, sballottato di costa in costa, e non mi hanno lasciato fiato se non per pensare all’imminente morte. Basti alle possenti vostre forze d’avere privato un principe di ogni sua fortuna e che sbalzato dal vostro sepolcro d’acque, altro non chieda che di morire in pace qui. [Si siede] Entrano due poveri pescatori, uno è il Padrone, l’altro il suo uomo PADRONE [chiamando]
E allora, Pelliccia!53 SECONDO PESCATORE [chiamando] Ohè, vieni qui e porta le reti. PADRONE [chiamando] Allora, Pezzalculo, è a te che dico! [Entra un Terzo rozzo Pescatore con un cappuccio sulla testa e una pellaccia sudicia sulla schiena, vestito in modo indecente e sgraziato alla vista. Porta reti ad asciugare e riparare] TERZO PESCATORE
E che dite, padrone? PADRONE
Vedi di muoverti, adesso. Datti una mossa, o vengo a prenderti, pestilenza!54 TERZO PESCATORE
In verità, signore, sto pensando a quei poveracci che abbiamo visto cadere in mare proprio ora, davanti ai nostri occhi. PADRONE
Ah, povere anime, mi straziava il cuore sentire le pietose grida con cui ci chiedevano aiuto, ohimè, a noi che a stento riuscivamo ad aiutare noi stessi. TERZO PESCATORE
Ahi, padrone, non lo avevo detto, forse, io, che avevo visto la focena saltare e rivoltarsi?55 Dicono che sono metà pesci, metà carne.
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Shakespeare IV.indb 1075
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
ne’er come but I look to be washed. Master, I marvel how the fishes live in the sea. MASTER Why, as men do a-land — the great ones eat up the little ones. I can compare our rich misers to nothing so fitly as to a whale: a plays and tumbles, driving the poor fry before him, and at last devours them all at a mouthful. Such whales have I heard on o’th’ land, who never leave gaping till they swallowed the whole parish: church, steeple, bells, and all. PERICLES (aside) A pretty moral. THIRD FISHERMAN But, master, if I had been the sexton, I would have been that day in the belfry. SECOND FISHERMAN Why, man? THIRD FISHERMAN Because he should have swallowed me, too, and when I had been in his belly I would have kept such a jangling of the bells that he should never have left till he cast bells, steeple, church, and parish up again. But if the good King Simonides were of my mind — PERICLES (aside) Simonides? THIRD FISHERMAN We would purge the land of these drones that rob the bee of her honey. PERICLES (aside) How from the finny subject of the sea These fishers tell th’infirmities of men, And from their wat’ry empire recollect All that may men approve or men detect! [Coming forward] Peace be at your labour, honest fishermen.
68
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
La peste se li porti, non una volta che vengono e che non debbo aspettarmi di finire a mollo. Padrone, mi meraviglio di come fanno, i pesci, a vivere in mare. PADRONE
Beh, perché, fanno come gli uomini a terra: i grandi si pappano i piccoli. Non trovo miglior cosa di una balena cui paragonare i nostri ricchi spilorci: si sollazza e si ruzzola, e fa in modo che i poveri pescetti le vengano davanti… e alla fine li divora tutti in un boccone. Di queste balene ho sentito parlare fin sulla terra ferma: se ne stanno a bocca aperta e non la chiudono fintanto che non si son trangugiate tutta la parrocchia, per intero: chiesa, campanile, campane e tutto. PERICLE (a parte) Dritta e chiara, la morale. TERZO PESCATORE
Beh, signore, fossi stato il sacrestano io quel giorno sarei rimasto nella torre campanaria. PADRONE
E perché? TERZO PESCATORE
Perché avrebbe dovuto trangugiare pure me, e una volta nella sua pancia avrei iniziato con un tale dindondàn delle campane che non si sarebbe mossa di là senza prima rigettare campane, campanile, chiesa e parrocchia, tutto fuori un’altra volta. Ma se solo il buon re Simonide la pensasse come me… PERICLE (a parte) Simonide? TERZO PESCATORE
Purgheremmo la terra di questi fuchi che derubano l’ape regina del suo miele. PERICLE (a parte) Questi pescatori, guarda come raccontano delle debolezze umane a partire da squamosi soggetti marini, e come dal loro impero d’acque riescono a dedurre tutto ciò che è da lodare o da biasimare nell’uomo! [Facendosi avanti] Pace al vostro lavoro, onesti pescatori.
1077
Shakespeare IV.indb 1077
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
SECOND FISHERMAN Honest, good fellow? What’s that? If
it be a day fits you, scratch’t out of the calendar, and nobody look after it.
96
PERICLES
May see the sea hath cast upon your coast — SECOND FISHERMAN What a drunken knave was the sea
to cast thee in our way! PERICLES
A man, whom both the waters and the wind In that vast tennis-court hath made the ball For them to play upon, entreats you pity him. He asks of you that never used to beg. MASTER No, friend, cannot you beg? Here’s them in our country of Greece gets more with begging than we can do with working. SECOND FISHERMAN Canst thou catch any fishes, then? PERICLES I never practised it. SECOND FISHERMAN Nay, then thou wilt starve, sure; for here’s nothing to be got nowadays unless thou canst fish for’t.
100
106
111
PERICLES
What I have been, I have forgot to know, But what I am, want teaches me to think on: A man thronged up with cold; my veins are chill, And have no more of life than may suffice To give my tongue that heat to crave your help, Which if you shall refuse, when I am dead, For that I am a man, pray see me burièd.
115
[He falls down] MASTER Die, quotha? Now, gods forbid’t an I have a gown
here! [To Pericles, lifting him up from the ground] Come, put it on, keep thee warm. Now, afore me, a handsome fellow! Come, thou shalt go home, and we’ll have flesh
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Shakespeare IV.indb 1078
30/11/2018 09:32:57
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
SECONDO PESCATORE
Onesti, buon uomo? E chi è questo? Se c’è un giorno che ti si addice, raschialo via dal calendario, e nessuno lo cercherà56. PERICLE
Come potete vedere il mare ha gettato sulla vostra costa… SECONDO PESCATORE
Che razza di ubriacone farabutto, il mare, a gettar te sulla nostra via! PERICLE
Un uomo, con cui tanto le acque quanto i venti hanno giocato come fosse una pallina al loro uso in quell’immenso campo da tennis, quell’uomo vi supplica di avere compassione. Ve lo chiede uno che mai ha mendicato. PADRONE
No, amico, non sai mendicare? Ce n’è, nella nostra terra di Grecia, che tirano su più soldi a mendicare che non noi col nostro lavoro. SECONDO PESCATORE
Sai prenderli, i pesci? PERICLE
Non ho nessuna pratica. SECONDO PESCATORE
Beh, allora morirai di fame, stanne certo. Qui, oggigiorno, non ti arriva un bel niente se non sai come prenderlo all’amo57. PERICLE
Ciò che sono stato, non credo più di saperlo. Ma ciò che sono, imparo a conoscerlo dal bisogno: un uomo sopraffatto dal freddo; le mie vene sono ormai ghiacce, e non ho più vita in corpo di quel che mi basta a dare calore alla lingua, affinché implori il vostro aiuto. E se me lo rifiuterete, vi prego di darmi sepoltura, una volta morto, giacché sono un uomo. [Cade a terra] PADRONE
Morto, ha detto? Dio non voglia. Ho una mantella, qui [A Pericle, sollevandolo da terra] Su, metti questa, sta’ al caldo. Sulla mia parola, sei un bel figliolo! Su, verrai a casa, e vedrai, abbiamo carne per
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Shakespeare IV.indb 1079
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
for holidays, fish for fasting-days, and moreo’er puddings and flapjacks, and thou shalt be welcome. PERICLES I thank you, sir. SECOND FISHERMAN Hark you, my friend, you said you could not beg? PERICLES I did but crave. SECOND FISHERMAN But crave? Then I’ll turn craver too, an so I shall scape whipping. PERICLES Why, are all your beggars whipped, then? SECOND FISHERMAN O, not all, my friend, not all; for if all your beggars were whipped I would wish no better office than to be beadle. MASTER Thine office, knave — SECOND FISHERMAN Is to draw up the other nets. I’ll go.
bi
125
130
135
Exit with Third Fisherman PERICLES (aside)
How well this honest mirth becomes their labour! MASTER [seating himself by Pericles] Hark you, sir, do you
know where ye are? PERICLES Not well.
140
MASTER Why, I’ll tell you. This is called Pentapolis, and
our king the good Simonides. PERICLES
‘The good Simonides’ do you call him? MASTER Ay, sir, and he deserves so to be called for his
peaceable reign and good government.
145
123. Holidays: così in Malone; in Q all day = “tutto il giorno”. 1080
Shakespeare IV.indb 1080
30/11/2018 09:32:57
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
le feste, pesce per le vigilie, e poi sanguinaccio e frittelle58, e sarai il benvenuto. PERICLE
Vi ringrazio, signore. SECONDO PESCATORE
Ehi, sentite, voi! Amico mio, non avete detto che non sapete mendicare? PERICLE
Ho supplicato. SECONDO PESCATORE
Supplicato? Allora anch’io mi farò supplicatore. E così mi scampo le frustate. PERICLE
Perché, da voi, tutti i mendicanti son fatti frustare? SECONDO PESCATORE
Oh, non tutti, amico, non tutti. Se tutti i mendicanti venissero frustati, non desidererei di meglio che fare il sacrestano fustigatore. PADRONE
Furfante, il tuo lavoro… SECONDO PESCATORE
…È ritirare le altre reti. Vado. Esce insieme al Terzo Pescatore PERICLE (a parte)
Ah come si addice, questo scherzare schietto, al loro lavoro! PADRONE [sedendosi accanto a Pericle]
Sentite, sapete dove vi trovate? PERICLE
Non bene. PADRONE
Bene, ve lo dirò io. Questa è Pentapoli e il nostro re è Simonide. PERICLE
Il buon Simonide. È così che lo chiamate? PADRONE
E già, signore, e merita d’essere chiamato così: per il suo regno pacifico e per il buon governo.
1081
Shakespeare IV.indb 1081
30/11/2018 09:32:57
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
PERICLES
He is a happy king, since from his subjects He gains the name of good by his government. How far is his court distant from this shore? MASTER Marry, sir, some half a day’s journey. And I’ll tell you, he hath a fair daughter, and tomorrow is her birthday, and there are princes and knights come from all parts of the world to joust and tourney for her love. PERICLES
Were but my fortunes answerable To my desires I could wish to make one there. MASTER O, sir, things must be as they may, and what a man cannot get himself, he may lawfully deal for with his wife’s soul.
154 bj
Enter the other two Fishermen drawing up a net SECOND FISHERMAN Help, master, help! Here’s a fish hangs
in the net like a poor man’s right in the law; ’twill hardly come out.
160
[Before help comes, up comes their prize] Ha, bots on’t, ’tis come at last, and ’tis turned to a rusty armour. PERICLES
An armour, friends? I pray you let me see it. (Aside) Thanks, fortune, yet that after all thy crosses bk Thou giv’st me somewhat to repair my losses, bl And though it was mine own, part of my heritage Which my dead father did bequeath to me With this strict charge ev’n as he left his life: ‘Keep it, my Pericles; it hath been a shield ’Twixt me and death,’ and pointed to this brace, ‘For that it saved me, keep it. In like necessity,
165
170
156. For with: così in questa edizione; in Q for. L’aggiunta della preposizione with consente il bisticcio verbale con to deal, che acquista anche valore di sinonimo di to trade = “scambiare”, “barattare”, “negoziare”. 164. Thy: così in questa edizione; assente in Q. 165. Losses: così in questa edizione (conget.); in Q selfe = “[me] stesso”. 1082
Shakespeare IV.indb 1082
30/11/2018 09:32:58
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
PERICLE
È un re fortunato, se in virtù di come governa si è guadagnato il nome di ‘buono’ presso i sudditi. Quanto dista la sua corte da questa spiaggia? PADRONE
Maria Vergine, una buona mezza giornata di viaggio, signore. E, vi dirò, egli ha un’amabile figlia, che domani compie gli anni, e ci sono principi e cavalieri che arrivano da ogni parte del mondo per contendersi il suo amore nelle giostre e nei tornei. PERICLE
Se solo chi regge le mie sorti desse ascolto ai miei desideri, potrei augurarmi di prendere parte ad uno di questi. PADRONE
Oh, signore, le cose hanno a essere come possono, e quel che un uomo non può procurarsi da solo, può a buon diritto averlo in cambio dell’anima di sua moglie59. Entrano gli altri due pescatori, tirando su una rete SECONDO PESCATORE
Aiutateci, padrone, aiuto! C’è un pesce impiccato nella rete come un pover’uomo nelle maglie della legge; l’avrà dura a uscirne! [Prima che arrivi aiuto, la preda salta fuori] Ohè, gli venga un colpo, se ne è uscito alla fine, e si è trasformato in un’armatura arrugginita. PERICLE
Un’armatura, amici? Vi prego di farmela vedere. (A parte) Grazie, fortuna, ecco che dopo tante croci mi dài adesso qualcosa per rimediare a ciò che ho perduto, seppur qualcosa che già era mio, parte dell’eredità che mio padre mi lasciò in punto di morte, con questo ammonimento severo: “Tienila, Pericle mio, è stata scudo tra me e la morte”, e ha poi indicato questa corazza60, “giacché mi ha salvato, prendila tu. Se dovessi trovarti, gli dei non vogliano, in
1083
Shakespeare IV.indb 1083
30/11/2018 09:32:58
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 5
The which the Gods forfend, the same may defend thee.’ bm It kept where I kept, I so dearly loved it, Till the rough seas that spares not any man Took it in rage, though calmed have giv’n’t again. I thank thee for’t. My shipwreck now’s no ill, Since I have here my father gave in ’s will. MASTER What mean you, sir?
176
PERICLES
To beg of you, kind friends, this coat of worth, For it was sometime target to a king. I know it by this mark. He loved me dearly, And for his sake I wish the having of it, And that you’d guide me to your sov’reign’s court, Where with’t I may appear a gentleman. And if that ever my low fortune’s better, I’ll pay your bounties, till then rest your debtor. MASTER Why, wilt thou tourney for the lady?
180
185
PERICLES
I’ll show the virtue I have learned in arms. bn MASTER Why, d’ye take it, and the gods give thee good on’t! SECOND FISHERMAN Ay, but hark you, my friend, ’twas we that made up this garment through the rough seams of the waters. There are certain condolements, certain vails. I hope, sir, if you thrive, you’ll remember from whence you had this. bo PERICLES Believe’t, I will. By your furtherance I’m clothed in steel, And spite of all the rapture of the sea This jewel holds his building on my arm. Unto thy value I will mount myself
190
195
200
172. Forfend = “prevenire”: così in questa edizione; in Q protect. 172. The same may: così in questa edizione; in Q thee, Fame may. 188. Learned = “addestrato”: così in questa edizione; in Q borne = “nato”. 195. This: così in questa edizione; in Q them = “loro”. 1084
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 5
simili avversità, possa ugualmente difendere te”. È stata ovunque dove io sia stato, tanto cara l’avevo, finché i ruvidi mari, che nessuno risparmiano, me la portarono via con rabbia, benché adesso che si sono placati me la rendano di nuovo. Ti ringrazio per questo. Ora il naufragio non è più un male per me, giacché ho qui con me ciò che mio padre mi ha lasciato con le ultime sue volontà. PADRONE
Cosa intendete, signore? PERICLE
Chiedervi, gentili amici, di darmi questa pregiata cotta di maglia, che un tempo fece scudo a un re. La riconosco da questo segno. Egli mi amava caramente e per amor suo desidero riaverla. E vorrei che mi portaste alla corte del vostro sovrano, dove potrò, con essa, presentarmi da gentiluomo. E se mai la avversa mia sorte volgerà al meglio, vi ripagherò della vostra generosità. Fino ad allora resto vostro debitore. PADRONE
Intendete forse gareggiare per la fanciulla? PERICLE
Voglio mostrare il mio valore nell’uso delle armi. PADRONE
Bene, prendetela voi; e che gli dei vi portino bene. SECONDO PESCATORE
Ehi, ma sentite, amico mio, questo indumento siamo noi che l’abbiamo acconciato tra le ruvide cuciture del mare. Ci sono delle condoglianze, e delle elargizioni61. E se avrete fortuna, signore, spero proprio che vi ricordiate di dov’è che questo vi arriva. PERICLE
Credetemi, me ne ricorderò. È grazie al vostro aiuto se sono vestito d’acciaio, e a dispetto di tutte le rapine del mare questo gioiello trova ancora posto sul mio braccio; il suo valore62 mi consentirà di
1085
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 6
Upon a courser whose delightsome steps bp Shall make the gazer joy to see him tread. Only, my friends, I yet am unprovided Of a pair of bases. SECOND FISHERMAN We’ll sure provide. Thou shalt have my best gown to make thee a pair, and I’ll bring thee to the court myself.
204
PERICLES
Then honour be but equal to my will, bq This day I’ll rise, or else add ill to ill.
209
Exeunt with nets and armour Sc. 6
[Sennet] Enter King Simonides and Thaisa, with Lords in attendance, [and sit on two thrones] br
KING SIMONIDES
Are the knights ready to begin the triumph? FIRST LORD They are, my liege,
And stay your coming to present themselves. KING SIMONIDES
Return them we are ready; and our daughter, In honour of whose birth these triumphs are, Sits here like beauty’s child, whom nature gat For men to see and, seeing, wonder at. [Exit one]
5
THAISA
It pleaseth you, my father, to express My commendations great, whose merit’s less. KING SIMONIDES
It’s fit it should be so, for princes are A model which heav’n makes like to itself. As jewels lose their glory if neglected,
10
201. Delightsome: così in questa edizione; in Q delight = “piacere”. La sostituzione del sostantivo con la forma aggettivale equivalente è richiesta dalla sintassi stessa della frase. 208. Equal: così in emendam. moderni; in Q a Goal = “un obiettivo”. Sc. 6: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT II] SCENE II. 1086
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 6
montare un destriero dal passo così elegante che sarà delizia e gioia di chi guarda. Solo, amici miei, sono ancora sprovvisto di faldali. SECONDO PESCATORE
Te li procureremo di certo. Ne faremo un paio dalla mia veste migliore, e io stesso ti accompagnerò a corte. PERICLE
Possa io, allora, farmi onore in misura pari almeno alla mia volontà; questo è il giorno in cui mi rialzo, o aggiungo male a male. Escono con reti e armatura Scena 663 [Squilli di tromba.] Entrano il re Simonide e Taisa64 , con il seguito di nobili, [e siedono su due troni] RE SIMONIDE
I cavalieri sono pronti a cominciare il torneo? PRIMO NOBILE
Lo sono, mio sovrano, e attendono il vostro arrivo per presentarsi. RE SIMONIDE
Annunciate loro che siamo pronti; e che nostra figlia, in onore della cui nascita si tengono questi giochi, siede qui, degna figlia della bellezza, che la natura ha generato perché gli uomini possano contemplarla e, contemplandola, restarne meravigliati. [Esce uno dei nobili] TAISA
Padre mio, vi piace farmi grandi encomi, quando poco è il mio merito. RE SIMONIDE
È quanto si addice ai principi, perché essi sono un modello, fatto dal cielo a propria immagine. Così come i gioielli perdono il loro splendore65 se non sono trattati con riguardo, così i principi perdo-
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 6
So princes their renown, if not respected. ’Tis now your office, daughter, to entertain bs The labour of each knight in his device.
15
THAISA
Which, to preserve mine honour, I’ll perform. [Flourish.] The first knight passes by [richly armed, bt and his page before him, bearing his device on his shield, delivers it to the Lady Thaisa] KING SIMONIDES
Who is the first that doth prefer himself? THAISA
A knight of Sparta, my renownèd father, And the device he bears upon his shield Is a black Ethiop reaching at the sun. The word, Lux tua vita mihi.
20
[She presents it to the King] KING SIMONIDES
He loves you well that holds his life of you. [He returns it to the page, who exits with the first knight.] [Flourish] The second knight passes by [richly armed, and his page before him, bearing his device on his shield, delivers it to the Lady Thaisa] Who is the second that presents himself?
14. Office = “compito”: così in questa edizione (conget.); in Q honor = “onore”. 16.1. Richly armed … Thaisa: così in questa edizione; assente in Q. In questa scena le didascalie, soprattutto nella parte di presentazione dei cavalieri, sono integrate da descrizioni tratte da P.A. 1088
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 6
no l’onore, se non sono rispettati. Adesso è vostro compito, figlia, ricevere da ogni cavaliere il suo emblema, con le sue fatiche. TAISA
Farò come dite, per preservare il mio onore. [Fanfara] Sfila il primo cavaliere [con ricche armi e, davanti al lui, il suo paggio, che porta l’emblema sullo scudo e lo consegna a Taisa] RE SIMONIDE
Chi è il primo a presentarsi? TAISA
Un cavaliere di Sparta, mio onorato padre, e l’emblema che porta sullo scudo è un nero Etiope che stende le mani verso il sole. Il motto: Lux tua vita mihi. [Lo mostra al re] RE SIMONIDE
Vi ama al punto che dice di ricevere da voi la vita. [Lo restituisce al paggio, che esce insieme al primo cavaliere] [Fanfare.] Sfila il secondo cavaliere [con ricche armi e, davanti al lui, il suo paggio, che porta l’emblema sullo scudo e lo consegna a Taisa] Chi è il secondo a presentarsi?
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 6
THAISA
A prince of Macedon, my royal father, And the device he bears upon his shield An armèd knight that’s conquered by a lady. The motto thus: Piùe per dolcezza che per forza. bu
25
[She presents it to the King] KING SIMONIDES
You win him more by lenity than force. bv [He returns it to the page, who exits with the second knight] [Flourish] The third knight passes by [richly armed, and his page before him, bearing his device on his shield, delivers it to the Lady Thaisa] And what’s the third? The third of Antioch, And his device a wreath of chivalry. The word, Me pompae provexit apex.
THAISA
30
[She presents it to the King] KING SIMONIDES
Desire of renown he doth devise, bw The which hath drawn him to this enterprise. [He returns it to the page, who exits with the third knight] [Flourish] The fourth knight passes by [richly armed, and his page before him, bearing his device on his shield, delivers it to the Lady Thaisa] What is the fourth? 27. Thus: così in questa edizione; in Q thus in Spanish. La frase in Spanish, non presente in P.A., è probabilmente frutto della confusione del copista (vedi nota seguente). 27. Piùe per … forza: così in questa edizione; in Q Pue Per doleera kee per forsa. Probabilmente frutto di confusione da parte del copista, la versione di Q vorrebbe richiamare lo spagnolo, senza riuscirvi. L’emendamento la volge in italiano. 28. You … force: così in questa edizione (ricostruito da P.A.); assente in Q. 31-32. Desire … enterprise.: così in questa edizione; assente in Q. 1090
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 6
TAISA
Un principe di Macedonia, mio regale padre, e l’emblema che porta sullo scudo un cavaliere armato conquistato da una damigella. Questo il motto: Più per dolcezza che per forza66. [Lo mostra al re] RE SIMONIDE
Voi lo conquistate con la dolcezza, più che con la forza. [Lo restituisce al paggio, che esce insieme al secondo cavaliere] [Fanfare.] Sfila il terzo cavaliere [con ricche armi, preceduto dal suo paggio, che porta l’emblema sullo scudo e lo consegna a Taisa] E chi è il terzo? TAISA
Il terzo è di Antiochia, e il suo emblema una ghirlanda di cavalleria. Reca il motto: Me pompae provexit apex. [Lo mostra al re] RE SIMONIDE
Desiderio di alta fama lo conduce a questa impresa. [Lo restituisce al paggio, che esce insieme al terzo cavaliere] [Fanfare.] Sfila il quarto cavaliere [con ricche armi, preceduto dal suo paggio, che porta l’emblema sullo scudo e lo consegna a Taisa] E chi è il quarto?
1091
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 6
A knight of Athens bearing bx A burning torch that’s turnèd upside down. The word, Qui me alit me extinguit.
THAISA
35
[She presents it to the King] KING SIMONIDES
Which shows that beauty hath this power and will, Which can as well inflame as it can kill. [He returns it to the page, who exits with the fourth knight.] [Flourish.] The fifth Knight passes by [richly armed, and his page before him, bearing his device on his shield, delivers it to the Lady Thaisa] And who the fifth? by THAISA The fifth, a prince of Corinth, bz Presents an hand environèd with clouds, Holding out gold that’s by the touchstone tried. The motto thus: Sic spectanda fides.
40
[She presents it to the King] KING SIMONIDES
So faith is to be looked into. [He returns it to the page, who exits with the fifth knight.] [Flourish.] The sixth knight, Pericles, in a rusty armour, who, having neither page to deliver his shield nor shield to deliver, presents his device unto the Lady Thaisa And what’s the sixth and last, the which the knight himself With such a graceful courtesy delivereth?
45
34. A knight of Athens bearing: così in questa edizione; assente in Q. 39. And the fift?: così in questa edizione; assente in Q. 39-40. A prince o Corinth, / Presents: così in questa edizione; assente in Q. 1092
Shakespeare IV.indb 1092
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 6
TAISA
Un cavaliere di Atene, che porta una torcia ardente capovolta. Con le parole: Qui me alit me extinquit67. [Lo mostra al re] RE SIMONIDE
Il quale mostra qual è il potere e la virtù della bellezza: essa infatti può infiammare il cuore, ma può allo stesso modo portare a morte un uomo. [Lo restituisce al paggio, che esce insieme al quarto cavaliere] [Fanfare.] Sfila il quinto cavaliere [con ricche armi e, davanti al lui, il suo paggio, che porta l’emblema sullo scudo e lo consegna a Taisa] E chi è il quinto? TAISA
Il quinto, un principe di Corinto, mostra una mano circondata da nuvole nell’atto di offrire dell’oro che viene saggiato su una pietra di paragone68. Il motto recita: Sic spectanda fides. [Lo mostra al re] RE SIMONIDE
Così deve essere messa alla prova la fede. [Lo restituisce al paggio, che esce insieme al quinto cavaliere] [Fanfare.] Il sesto cavaliere, Pericle, in un’armatura arrugginita, non avendo né paggio che gli porti lo scudo né scudo da portare, consegna egli stesso il suo emblema a Taisa E che cos’è il sesto e ultimo, che con tanta grazia e cortesia viene portato dal cavaliere stesso?
1093
Shakespeare IV.indb 1093
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
THAISA
He seems to be a stranger, but his present is A withered branch that’s only green at top. The motto, In hac spe vivo. KING SIMONIDES
From the dejected state wherein he is He hopes by you his fortunes yet may flour
50
FIRST LORD
He had need mean better than his outward show Can any way speak in his just commend, For by his rusty outside he appears T’have practised more the whipstock than the lance. SECOND LORD
He well may be a stranger, for he comes Unto an honoured triumph strangely furnished.
55
THIRD LORD
And on set purpose let his armour rust Until this day, to scour it in the dust. KING SIMONIDES
Opinion’s but a fool, that makes us scan The outward habit for the inward man.
60
[Cornetts] But stay, the knights are coming. We will withdraw Into the gallery. [Exeunt] [Cornetts and] great shouts [within], and all cry ‘The mean knight!’ Sc. 7 [A stately banquet is brought in.] Enter King ca Simonides, Thaisa [and their train at one door], and [at another door] a Marshal [conducting] Pericles and the other knights from tilting
Sc. 7: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT II] SCENE III. 1094
Shakespeare IV.indb 1094
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
TAISA
Sembra straniero, ma il suo dono è un ramo secco, verde soltanto in cima. Il motto dice: In hac spe vivo69. RE SIMONIDE
Dallo stato derelitto in cui si trova, egli spera, grazie a voi, che le sue sorti tornino a fiorire. PRIMO NOBILE
Ciò che intende ha da esser certo meglio di ciò che mostra, perché si possa in qualche modo parlare in suo favore; ché dal suo guscio arrugginito lo si direbbe pratico più di frustino per calessi che di lancia. SECONDO NOBILE
Deve essere davvero uno straniero, se con così strana attrezzatura si presenta a un torneo importante. TERZO NOBILE
E se di proposito ha lasciato arrugginire l’armatura fino ad oggi, per strofinarla ora nella polvere70. RE SIMONIDE
Sciocca è l’opinione, se ci porta a giudicare quel che un uomo è interiormente da ciò che fuori appare. [Suono di corni] Ma ecco, arrivano i cavalieri. Ci ritireremo in galleria. [Escono] [Suono di corni e] forti grida [da dentro], e tutti acclamano ‘Il cavaliere povero!’ Scena 771 [Viene allestito un suntuoso banchetto.] Entrano il re Simonide, Taisa [e il suo seguito da una porta], e [dall’altra porta] un Maestro di cerimonia che conduce in scena Pericle e gli altri cavalieri reduci dalla giostra
1095
Shakespeare IV.indb 1095
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
KING SIMONIDES (to the knights)
To say you’re welcome were superfluous. To place upon the volume of your deeds As in a title page your worth in arms Were more than you expect, or more than’s fit, Since every worth in show commends itself. Prepare for mirth, for mirth becomes a feast. You’re princes, and my guests. THAISA (to Pericles) But you, my knight and guest; To whom this wreath of victory I give, And crown you king of this day’s happiness.
5
PERICLES
’Tis more by fortune, lady, than my merit.
10
KING SIMONIDES
Call it by what you will, the day is yours, And here I hope is none that envies it. In framing artists art hath thus decreed, To make some good, but others to exceed. You are her laboured scholar. (To Thaisa) Come, queen o’th’ feast — For, daughter, so you are — here take your place. (To Marshal) Marshal the rest as they deserve their grace.
15
KNIGHTS
We are honoured much by good Simonides. KING SIMONIDES
Your presence glads our days; honour we love, For who hates honour hates the gods above. MARSHAL (to Pericles) Sir, yonder is your place. PERICLES Some other is more fit.
20
FIRST KNIGHT
Contend not, sir, for we are gentlemen Have neither in our hearts nor outward eyes Envied the great, nor shall the low despise. PERICLES
You are right courteous knights. 1096
Shakespeare IV.indb 1096
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
RE SIMONIDE (ai cavalieri)
Sarebbe superfluo dirvi che siete i benvenuti. E più di quel che vi aspettate, o di quel che è opportuno, sarebbe scrivere a mo’ di frontespizio, sul volume delle vostre imprese, quanto valete nell’uso delle armi, dal momento che il valore fa da sé il proprio encomio nel mostrarsi. Disponetevi all’allegria, perché è l’allegria che fa la festa. Voi siete principi e sarete ospiti miei. TAISA (a Pericle) Tranne voi, mio cavaliere e ospite; a cui consegno questa ghirlanda in segno di vittoria e che incorono re di questo prospero giorno. PERICLE
Più per buona sorte, signora, che per mio merito. RE SIMONIDE
Chiamatelo come volete, ma questo è il vostro giorno, e spero non ci sia nessuno qui che vi porti invidia. Nel forgiar gli artisti l’arte ha decretato che di alcuni è l’essere buoni, ma di altri è l’essere eccellenti. Voi siete il suo pupillo, lei vi ha plasmato. (A Taisa) Su, regina della festa – giacché, figlia, tale siete – prendete posto qui. (Al maestro di cerimonia) A ognuno assegnate posto secondo il proprio merito. CAVALIERI
Molto ci onora, il buon Simonide. RE SIMONIDE
La vostra presenza rallegra i nostri giorni; chi è degno d’onore riceve il nostro amore, perché chi ha in odio l’onore odia gli dei superni. MAESTRO DI CERIMONIE (a Pericle) Signore, lassù è il vostro posto. PERICLE
Ad altri si addice maggiormente. PRIMO CAVALIERE
Non discutete, signore, perché siamo gentiluomini: nel nostro cuore non c’è invidia per il grande, né ce n’è nel nostro sguardo; né disprezzeremo colui che è in basso. PERICLE
Voi siete veri cavalieri cortesi.
1097
Shakespeare IV.indb 1097
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
KING SIMONIDES
Sit, sir, sit.
25
[Pericles sits directly over against the King and Thaisa. The guests feed apace. Pericles sits still andcb eats nothing] [Aside] By Jove I wonder, that is king of thoughts, These cates distaste me, he but thought upon. cc THAISA [aside] By Juno, that is queen of marriage, I am amazed all viands that I eat cd Do seem unsavoury, wishing him my meat. [To the King] Sure he’s a gallant gentleman.
30
KING SIMONIDES
He’s but a country gentleman. He’s done no more than other knights have done. He’s broke a staff or so, so let it pass. THAISA [aside] To me he seems like diamond to glass. PERICLES [aside] Yon king’s to me like to my father’s picture, Which tells me in what glory once he was — Had princes sit like stars about his throne, And he the sun for them to reverence. None that beheld him but like lesser lights Did vail their crowns to his supremacy; Where now his son’s a glow-worm in the night, The which hath fire in darkness, none in light; Whereby I see that time’s the king of men; He’s both their parent and he is their grave, And gives them what he will, not what they crave. KING SIMONIDES What, are you merry, knights?
35
40
45
25.2-3. The guests … nothing: così in questa edizione; assente in Q. Il particolare tratto da Twine, presente anche in Gower. 27. Distaste: così in questa edizione; in Q resist. 27. But: così in questa edizione; assente in Q. 29. I am amazed: così in questa edizione; assente in Q. 1098
Shakespeare IV.indb 1098
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
RE SIMONIDE
Sedete, signore, sedete. [Pericle siede di fronte al re e a Taisa. Gli ospiti mangiano di buona lena. Pericle siede in silenzio, senza mangiare nulla] [A parte] Per Giove, dio di ogni pensiero, mi stupisco ma queste squisitezze non mi attirano, la mia mente è presa da costui. TAISA [a parte] Per Giunone, dea dei matrimoni, mi sorprende che tutto ciò che mangio mi sembri insipido, mentre vorrei che fosse lui mio nutrimento. [Al re] Di certo, costui è un valente gentiluomo. RE SIMONIDE
Non è che un gentiluomo di campagna. Non ha fatto più di altri cavalieri. Ha spezzato un’asta o poco più, lascia stare. TAISA [a parte] A me sembra come diamante a confronto con il vetro. PERICLE [a parte] Questo re sembra il ritratto di mio padre, che racconta la gloria di cui egli una volta risplendeva72: principi sedevano come stelle attorno al suo trono e lui era per loro come sole da venerare. Al suo cospetto, come astri di minor fulgore, tutti chinavano il capo alla sua supremazia. Ed ecco che suo figlio ora è una lucciola nella notte, il cui fuoco brilla al buio ma non è nulla nella luce. Da ciò ben vedo come il Tempo è sovrano degli uomini, è loro genitore e loro tomba, e dà loro ciò che vuole, non quel che loro chiedono. RE SIMONIDE
Allora, siete allegri, cavalieri?
1099
Shakespeare IV.indb 1099
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
[THE OTHER KNIGHTS]
Who can be other in this royal presence? KING SIMONIDES
Here with a cup that’s stored unto the brim, As you do love, full to your mistress’ lips, ce We drink this health to you. [THE OTHER KNIGHTS] We thank your grace.
50
KING SIMONIDES
Yet pause a while. Yon knight doth sit too melancholy, As if the entertainment in our court Had not a show might countervail his worth. Note it not you, Thaisa? THAISA What is’t to me, my father? KING SIMONIDES
O, attend, my daughter. Princes in this Should live like gods above, who freely give To everyone that come to honour them. And princes not so doing are like gnats Which make a sound but, killed, are wondered at. Therefore to make his entertain more sweet, Here bear this standing-bowl of wine to him. cf
56
60
THAISA
Alas, my father, it befits not me Unto a stranger knight to be so bold. He may my proffer take for an offence, Since men take women’s gifts for impudence.
65
KING SIMONIDES
How? Do as I bid you, or you’ll move me else. THAISA (aside)
Now, by the gods, he could not please me better.
50. Full: così in questa edizione; in Q fill = “riempite”, imperat. 62. Bear: così in questa edizione; in Q say we drink = “digli che beviamo”, “brindiamo”. 1100
Shakespeare IV.indb 1100
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
[GLI ALTRI CAVALIERI]
Come non esserlo, alla regale vostra presenza? RE SIMONIDE
Qui, con un calice pieno sino all’orlo, poiché voi amate, ricolmo fino alle labbra di colei che è vostra signora73, brindiamo alla salute vostra. [GLI ALTRI CAVALIERI]
E noi vi ringraziamo, vostra grazia. RE SIMONIDE
Ma aspettate un momento. Questo cavaliere siede troppo melanconico, come se nulla dei nostri intrattenimenti a corte fosse in grado di uguagliare il suo valore. Non l’avete notato, Taisa? TAISA
Cosa dovrei fare, padre mio? RE SIMONIDE
Figlia mia, badate. I principi, in questo, devono vivere come gli dei superni, che elargiscono liberamente ad ognuno di quelli che vengono a rendere loro omaggio. E i principi che così non fanno sono come i moscerini che fanno un gran ronzio ma se li uccidi ti sorprendono74. Perciò, per rendergli più dolce il suo tempo qui, porgigli questa coppa di vino. TAISA
Oh padre mio, non si addice a me essere così sfrontata con uno straniero, potrebbe prendere per offesa l’offerta che gli faccio, poiché gli uomini prendono per impudenza i doni delle donne. RE SIMONIDE
Ma come! Fate come vi ho detto, o mi farete innervosire. TAISA (a parte)
Non potrebbe farmi cosa più gradita, per tutti gli dei.
1101
Shakespeare IV.indb 1101
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
KING SIMONIDES
Furthermore, tell him we desire to know Of whence he is, his name and parentage.
70
[Thaisa bears the cup to Pericles] THAISA
The King my father, sir, has drunk to you, Wishing it so much blood unto your life. PERICLES
I thank both him and you, and pledge him freely. He pledges the King THAISA
And further he desires to know of you Of whence you are, your name and parentage.
75
PERICLES
A gentleman of Tyre, my name Pericles, My education been in arts and arms, Who, looking for adventures in the world, Was by the rough unconstant seas bereft cg Unfortunately both of ships and men, And after shipwreck driven upon this shore.
80
[Thaisa returns to the King] THAISA
He thanks your grace, names himself Pericles, A gentleman of Tyre, who, seeking adventures, ch Was solely by misfortune of the seas ci Bereft of ships and men, cast on this shore.
85
KING SIMONIDES
Now by the gods I pity his mishaps, And will awake him from his melancholy. 79. Unconstant: così in questa edizione; assente in Q; in P.A. and unconstant. 83-84. Seeking adventures / was: così in questa edizione; assente in Q. In questo passo Q è difettoso sia sul piano metrico che su quello sintattico. 84. Solely: così in questa edizione; in Q onely = “unicamente”? Il termine usato da Q non avrebbe precedenti registrati. L’emendam. proposto ipotizza invece un fraintendimento uditivo, e conseguentemente di trascrizione, da parte dei compilatori del manoscritto. 1102
Shakespeare IV.indb 1102
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
RE SIMONIDE
E, inoltre, ditegli che desideriamo sapere da dove viene e quali sono il suo nome e la sua casata. [Taisa porge la coppa a Pericle] TAISA
Il re mio padre ha bevuto alla vostra salute, signore, e si augura che ciò vi faccia buon sangue75. PERICLE
Ringrazio sia lui che voi e a lui brindo. Brinda al re TAISA
E inoltre desidera sapere di voi, di dove siete, come vi chiamate e quale sia la vostra casata. PERICLE
Sono un gentiluomo di Tiro, di nome Pericle, istruito nelle arti e nelle armi, che partito in cerca di avventure per il mondo è stato derubato dai ruvidi e incostanti mari sia delle proprie navi che degli uomini e dopo il naufragio è approdato infine su queste sponde. [Taisa ritorna dal re] TAISA
Ringrazia sua maestà, dice di essere Pericle, gentiluomo di Tiro che, in cerca di avventure, è stato derubato, unicamente dalla cattiva sorte in mare, dei suoi uomini e delle navi e gettato su questa costa. RE SIMONIDE
Ora, per gli dei cielo, provo compassione per le sue sventure e voglio ridestarlo dalla sua melanconia.
1103
Shakespeare IV.indb 1103
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 7
[Simonides, rising from his state, goes forthwith and embraces Pericles] Be cheered, for what misfortune hath impaired you of, Fortune by my help can repair to you. My self and country both shall be your friends, And presently a goodly milk-white steed And golden spurs I first bestow upon you, The prizes due your merit, and ordained For this day’s enterprise.
90
PERICLES
Your kingly courtesy I thankfully accept.
95
KING SIMONIDES
Come, gentlemen, we sit too long on trifles, And waste the time which looks for other revels. Ev’n in your armours, as you are addressed, Your limbs will well become a soldier’s dance. I will not have excuse with saying this, ‘Loud music is too harsh for ladies’ heads’, Since they love men in arms as well as beds.
100
The knights dance So this was well asked, ’twas so well performed. Come, here’s a lady that wants breathing too. (To Pericles) And I have heard, sir, that the knights of Tyre Are excellent in making ladies trip, And that their measures are as excellent.
105
PERICLES
In those that practise them they are, my lord. KING SIMONIDES
O, that’s as much as you would be denied Of your fair courtesy. Unclasp, unclasp.
110
They dance Thanks, gentlemen, to all. All have done well, (To Pericles) But you the best. — Lights, pages, to conduct
1104
Shakespeare IV.indb 1104
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 7
[Simonide, alzandosi dal trono, si avvicina a Pericle e lo abbraccia] State allegro, ché quanto la sventura vi ha sottratto, vi renderà con il mio aiuto la fortuna. Io e la mia terra vi saremo amici, e io per prima cosa vi conferisco in dono un destriero bianco-latte e degli speroni d’oro, il premio dovuto ai vostri meriti e previsto per la sfida odierna. PERICLE
Grato accetto la vostra regale offerta. RE SIMONIDE
Su, gentiluomini, troppo siamo stati seduti qui a cianciare, e abbiamo perduto tempo che invece è in cerca di baldoria. Nelle armature che portate ancora indosso le vostre membra potranno ben ballare una danza da soldati. Non accetterò scuse di chi dice: “la musica forte è troppo rude, fa venire il mal di testa alle signore”, perché loro amano gli uomini che abbracciano le armi non men che i letti76. I cavalieri danzano Tanto è stata buona la mia proposta quanto lo è la vostra esecuzione. Su, qui c’è una signora che desidera fare un po’ di moto. (A Pericle) E ho sentito, signore, che i cavalieri di Tiro eccellono nel dare il giro alle signore e che sono assai dotati77. PERICLE
Lo sono, quelli tra loro che vi si applicano. RE SIMONIDE
Oh, dite questo perché non vi si scelga, ma è per cortesia. Su, scioglietevi, scioglietevi. Danzano Grazie a tutti, gentiluomini. Avete tutti dato buona prova, (a Pericle) ma voi siete stato il migliore. – Fate luce, su, paggi, accom-
1105
Shakespeare IV.indb 1105
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 8
These knights unto their sev’ral lodgings. — Yours, sir, We have giv’n order should be next our own. PERICLES I am at your grace’s pleasure.
115
KING SIMONIDES
Princes, it is too late to talk of love, And that’s the mark I know you level at. Therefore each one betake him to his rest; Tomorrow all for speeding do their best. Exeunt [severally] Sc. 8
Enter Helicanus and Aeschines cj
HELICANUS
No, Aeschines, know this of me: Antiochus from incest lived not free, For which the most high gods, not minding longer ck To hold the vengeance that they had in store Due to this heinous capital offence, Even in the height and pride of all his glory, When he was seated in a chariot cl Of an inestimable value, and His daughter with him, both apparelled all in jewels, A fire from heaven came and shrivelled up cm Their bodies e’en to loathing, for they so stunk cn That all those eyes adored them ere their fall Scorn now their hands should give them burial. co
5
10
AESCHINES
’Twas very strange.
Sc. 8: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT II] SCENE IV. 3-6. For … glory: così in Malone; in Q minding / that / heyneous / pride. 7-9. When … him: così in Malone 2; in Q in / daughter. 10-11. A … stunk: così in Malone; in Q il verso termina su shrivelled. 11. Their: così in Steveens; in Q those = “quelli”. 13. Hands: così in questa edizione; in Q hands. Il plurale sembra il giusto corrispettivo di eyes. 1106
Shakespeare IV.indb 1106
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 8
pagnate questi cavalieri ai loro appartamenti. – Il vostro, signore, abbiamo dato ordine che sia preparato accanto al nostro. PERICLE
Come più aggrada alla vostra eccellenza. RE SIMONIDE
Principi, è troppo tardi adesso per parlare d’amore, e so che questo è ciò a cui mirate. Perciò ognuno trovi il suo riposo e domani faccia del proprio meglio per riuscire. Escono [separatamente] Scena 878
Entrano Elicano ed Eschino
ELICANO
No, Eschino, sappi questo: la vita di Antioco era macchiata dall’incesto. Per questo i sommi dei, non volendo più trattenere la vendetta che tenevano in serbo per il suo odioso e capitale oltraggio, pur essendo lui all’apice del suo orgoglio e di tutta la sua gloria, quando era seduto in una carrozza di inestimabile valore, e con lui sua figlia, entrambi adornati di gioielli, un fuoco79 venne giù dal cielo e ne bruciò i corpi in modo ripugnante, e il puzzo che da essi proveniva era tale che tutti quegli occhi, che prima della loro caduta li adoravano, adesso li sdegnano e così le mani che dovrebbero dar loro sepoltura. ESCHINO
Davvero strana, questa fine.
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Shakespeare IV.indb 1107
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 8
And yet but justice, for though cp This king were great, his greatness was no guard To bar heav’n’s shaft, but sin had his reward. AESCHINES ’Tis very true. HELICANUS
15
Enter three Lords, and stand aside FIRST LORD
See, not a man in private conference Or council has respect with him but he. SECOND LORD
It shall no longer grieve without reproof.
20
THIRD LORD
And cursed be he that will not second it. FIRST LORD
Follow me, then. — Lord Helicane, a word. HELICANUS
With me? And welcome. Happy day, my lords. FIRST LORD
Know that our griefs are risen to the top, And now at length they overflow their banks.
25
HELICANUS
Your griefs? For what? Wrong not your prince you love. FIRST LORD
Wrong not yourself, then, noble Helicane, But if the prince do live, let us salute him Or know what ground’s made happy by his step, cq And be resolved he lives to govern us, Or dead, give ’s cause to mourn his funeral And leave us to our free election.
30
SECOND LORD
Whose death indeed’s the strongest in our censure, And knowing this — kingdoms without a head, Like goodly buildings left without a roof,
35
14-16. And … reward: così in Malone; in Q great shaft = “grande lancia”, “dardo”, “strale”. 29. Step: così in questa edizione; in Q breath = “respiro”. 1108
Shakespeare IV.indb 1108
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 8
ELICANO
Eppure secondo giustizia, poiché per quanto egli fosse un gran re, la sua grandezza non gli è valsa a protezione contro il dardo scagliatogli dal cielo, e il peccato ha avuto così la sua ricompensa. ESCHINO
È molto vero quel che dici. Entrano tre nobili restando in disparte PRIMO NOBILE
Guarda, nessuno a cui dia ascolto se non a lui, tanto in privato quanto nelle assemblee. SECONDO NOBILE
Non sopporteremo a lungo senza rimostrare. TERZO NOBILE
E sia dannato chi non è con noi. PRIMO NOBILE
Seguitemi, allora. – Nobile Elicano, una parola. ELICANO
A me? Prego. E buona giornata a voi, nobili signori. PRIMO NOBILE
Sappiate che il nostro malcontento è giunto all’apice e presto tracimerà dagli argini. ELICANO
Malcontento, per cosa? Non fate torto al principe che amate. PRIMO NOBILE
Non fategli torto voi, allora, nobile Elicano; e se il principe è vivo, lasciate che gli portiamo i nostri saluti o che sappiamo quale terra ha reso fertile con il suo passo, così da garantirci che egli vive e può governarci; o, se è morto, dateci modo di celebrare il suo funerale e restituiteci alle nostre libere elezioni. SECONDO NOBILE
Invero, è nostro forte convincimento che egli sia morto. E ben sapendo che i regni, se privati del capo, sono come sontuosi edifici senza più tetto, in breve cadono in completa rovina, a voi, nobile
1109
Shakespeare IV.indb 1109
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 8
Soon fall to utter ruin — your noble self, That best know how to rule and how to reign, We thus submit unto as sovereign. ALL [kneeling] Live, noble Helicane! HELICANUS
By honour’s cause, forbear your suffrages. If that you love Prince Pericles, forbear.
40
[The lords rise] Take I your wish I leap into the seas Where’s hourly trouble for a minute’s ease, But if I cannot win you to this love, cr A twelvemonth longer then let me entreat you Further to bear the absence of your king; If in which time expired he not return, I shall with agèd patience bear your yoke. Go, seek your noble prince like noble subjects, cs And in your search spend your adventurous worth, Whom if you find and win unto return, You shall like diamonds sit about his crown.
45
51
FIRST LORD
To wisdom he’s a fool that will not yield, And since Lord Helicane enjoineth us, We with our travels will endeavour us. If in the world he live we’ll seek him out; ct If in his grave he rest, we’ll find him there.
55
HELICANUS
Then you love us, we you, and we’ll clasp hands. When peers thus knit, a kingdom ever stands. Exeunt
44. But … love: così in questa edizione; in Q dopo 8, 48. 49. Your noble prince: così in questa edizione; in Q like nobles = “come nobili”. 56-57. If in the … there: così in questa edizione; in Q dopo 8, 29. 1110
Shakespeare IV.indb 1110
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 8
cuore, che meglio di chiunque altro sapete come si governa e regna, ci sottomettiamo come ad un sovrano. TUTTI [inginocchiandosi] Viva il nobile Elicano! ELICANO
Sul mio onore, astenetevi dall’acclamarmi. Se è vero che amate il principe Pericle, astenetevi. [I nobili si alzano] Accettare sarebbe per me come lanciarmi d’un balzo in mare, dove per un minuto d’agio trovi ore di travaglio, ma se non posso convincervi di questo lasciate che vi implori di sopportare per dodici mesi ancora l’assenza del vostro re; passati i quali, se egli non sarà tornato, porterò con pazienza più matura il vostro giogo. Andate, cercate il vostro nobile principe come si addice a nobili sudditi, e nell’avventurosa ricerca di lui date fondo a tutto il vostro valore. Se lo troverete, convincendolo a tornare, come diamanti siederete attorno alla sua corona. PRIMO NOBILE
È sciocco chi non si arrende alla saggezza e, siccome il nobile Elicano si unisce a noi, ci metteremo in viaggio e proveremo. Se egli vive, ovunque nel mondo lo raggiungeremo. Se è in una tomba che riposa, lì lo troveremo. ELICANO
Voi ci amate, dunque, e noi amiamo voi, stringiamoci la mano. Quando i suoi pari sono così uniti, un regno regge in eterno. Escono
1111
Shakespeare IV.indb 1111
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
Enter Pericles with Gentlemen with lights cu
Sc. 8a
FIRST GENTLEMAN
Here is your lodging, sir. Pray leave me private. Only for instant solace pleasure me With some delightful instrument, with which, And with my former practice, I intend To pass away the tediousness of night, Though slumbers were more fitting. FIRST GENTLEMAN Presently. PERICLES
5
Exit First Gentleman SECOND GENTLEMAN
Your will’s obeyed in all things, for our master Commanded you be disobeyed in nothing. Enter First Gentleman with a stringed instrument PERICLES
I thank you. Now betake you to your pillows, And to the nourishment of quiet sleep.
10
Exeunt Gentlemen Pericles plays and sings Day — that hath still that sovereignty to draw back The empire of the night, though for a while In darkness she usurp — brings morning on. I will go give his grace that salutation Morning requires of me. Exit with instrument Sc. 9
Enter King Simonides at one door reading of a cv letter, the Knights enter [at another door] and meet him
FIRST KNIGHT
Good morrow to the good Simonides. Sc. 8a: così in questa edizione; assente in Q. Questa breve scena, del tutto assente in Q, è ricostruita sulla base di P.A. Sc. 9: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT II] SCENE V. 1112
Shakespeare IV.indb 1112
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
Scena 8a80 Entra Pericle con gentiluomini e torce PRIMO GENTILUOMO
Questi sono i vostri appartamenti, signore. PERICLE
Vi prego di lasciarmi solo. In cerca solo di un istante di conforto, mi concederò il piacere di uno di questi strumenti deliziosi, grazie ai quali, avendone in passato appreso l’arte, voglio allontanare il tedio della notte. Per quanto, sarebbe forse meglio se mi assopissi un poco. PRIMO GENTILUOMO
Subito. Esce il primo gentiluomo SECONDO GENTILUOMO
Obbediamo ai vostri desideri in ogni cosa, ché il nostro signore ci ha ordinato di non disobbedirvi in nulla. Entra il primo gentiluomo con uno strumento a corda PERICLE
Vi ringrazio. Adesso andate ai vostri guanciali e al ristoro del quieto sonno. Escono i gentiluomini Pericle suona e canta Il giorno – che ancora conserva l’autorità per respingere l’impero della notte, sebbene per un tratto nell’oscurità l’usurpatrice l’avesse spodestato – fa avanzare81 il mattino. Andrò a dare a sua maestà il saluto che il mattino impone. Esce con lo strumento Scena 982 Entra il re Simonide da una porta leggendo una lettera, i cavalieri entrano [da un’altra porta] e si imbattono in lui PRIMO CAVALIERE
Buona giornata al buon Simonide. 1113
Shakespeare IV.indb 1113
30/11/2018 09:33:00
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
KING SIMONIDES
Knights, from my daughter this I let you know: That for this twelvemonth she’ll not undertake A married life. Her reason to herself Is only known, which from her none can get. cw
5
SECOND KNIGHT
May we not have access to her, my lord? KING SIMONIDES
Faith, by no means. It is impossible, She hath so strictly tied her to her chamber. One twelve moons more she’ll wear Diana’s liv’ry. This by the eye of Cynthia hath she vowed, And on her virgin honour will not break it.
10
THIRD KNIGHT
Loath to bid farewell, we take our leaves. Exeunt Knights KING SIMONIDES
So, they are well dispatched. Now to my daughter’s letter. She tells me here she’ll wed the stranger knight, Or never more to view nor day nor light. I like that well. Nay, how absolute she’s in’t, Not minding whether I dislike or no! Mistress, ’tis well, I do commend your choice, And will no longer have it be delayed.
15
Enter Pericles Soft, here he comes. I must dissemble that cx In show, I have determined on in heart.
20
PERICLES
All fortune to the good Simonides.
5. None can = “nessuno può”: così in questa edizione; in Q by no means can I = “in alcun modo posso io”. 20-21. That / In show, I have determined in my heart: così in questa edizione (ricostruito da P.A.); in Q it. 1114
Shakespeare IV.indb 1114
30/11/2018 09:33:00
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
RE SIMONIDE
Cavalieri, per conto di mia figlia vi rendo noto quanto segue: per i prossimi dodici mesi ella non intende intrattenere vita coniugale. Le ragioni sono note a lei sola, e a nessuno è dato domandargliene. SECONDO CAVALIERE
Non possiamo avvicinarla, mio signore? RE SIMONIDE
In fede, no, in nessun modo. È impossibile, si è confinata nella sua stanza. Per dodici lune ancora ella vestirà la livrea di Diana83. Per gli occhi di Cinzia84 ha preso questo voto e per rispetto della dea vergine non lo romperà. TERZO CAVALIERE
Benché riluttanti, prendiamo commiato. Escono i cavalieri RE SIMONIDE
Così questi sono sistemati. E ora, la lettera di mia figlia. Mi dice che sposerà lo straniero, o che non vorrà più vedere giorno né luce alcuna. Ciò mi piace. Però, che risolutezza, senza neppure preoccuparsi se a me dispiaccia oppure no! Signora, ben fatto, approvo la vostra scelta, e farò sì che essa non sia più procrastinata. Entra Pericle Ma piano, eccolo che arriva. Dovrò dissimulare esteriormente ciò che in cuore ho stabilito. PERICLE
Ogni fortuna al buon Simonide.
1115
Shakespeare IV.indb 1115
30/11/2018 09:33:00
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
KING SIMONIDES
To you as much, sir. I am beholden to you For your sweet music this last night. My ears, I do protest, were never better fed With such delightful pleasing harmony.
25
PERICLES
It is your grace’s pleasure to commend, Not my desert. KING SIMONIDES Sir, you are music’s master. PERICLES
The worst of all her scholars, my good lord. KING SIMONIDES
Let me ask you one thing. What think you of my daughter?
30
PERICLES
A most virtuous princess. And fair, too, is she not?
KING SIMONIDES PERICLES
As a fair day in summer; wondrous fair. KING SIMONIDES
My daughter, sir, thinks very well of you; So well indeed that you must be her master And she will be your scholar; therefore look to it.
35
PERICLES
I am unworthy for her schoolmaster. KING SIMONIDES
She thinks not so. Peruse this writing else. He gives the letter to Pericles, who reads PERICLES (aside)
What’s here? — a letter that she loves the knight of Tyre? ’Tis the King’s subtlety to have my life. [He prostrates himself at the King’s feef] O, seek not to entrap me, gracious lord, A stranger and distressèd gentleman That never aimed so high to love your daughter,
40
1116
Shakespeare IV.indb 1116
30/11/2018 09:33:01
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
RE SIMONIDE
Altrettanto a voi, signore. Vi sono debitore per la dolce musica che avete suonato questa notte. Le mie orecchie, lo dichiaro, mai prima d’ora si erano nutrite di tanto piacevole e deliziosa armonia. PERICLE
A voi fa piacere tessere lodi, maestà, ma non le merito. RE SIMONIDE
Signore, voi siete un maestro della musica. PERICLE
Sono il peggiore dei suoi scolari, mio buon signore. RE SIMONIDE
Lasciate che vi chieda una cosa. Che pensate di mia figlia? PERICLE
Una principessa assai virtuosa. RE SIMONIDE
E non è anche bella? PERICLE
Come un bel giorno d’estate; meravigliosamente bella. RE SIMONIDE
Mia figlia, signore, pensa di voi ogni bene. Così bene invero che vuole siate suo maestro, lei sarà vostra allieva. Perciò, guardate qui. PERICLE
Non sono degno di farle da maestro. RE SIMONIDE
Mia figlia non la pensa così. Se non credete, leggete questo scritto. Dà la lettera a Pericle, che legge PERICLE (a parte)
Che cos’è questa? Una lettera in cui lei dice di amare il Principe di Tiro? Questa è un’astuzia del re per avere la mia vita. [Si prostra ai piedi del re] Oh, non cercate, nobile sovrano, di mettere in trappola un gentiluomo straniero e afflitto, che mai ha mirato così in alto da cercare l’amore di vostra figlia ma che pure si è adoperato in ogni modo per
1117
Shakespeare IV.indb 1117
30/11/2018 09:33:01
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
But bent all offices to honour her. Never did thought of mine levy offence, Nor never did my actions yet commence A deed might gain her love or your displeasure.
45
KING SIMONIDES
Thou liest like a traitor. cy PERICLES Traitor? KING SIMONIDES Ay, traitor, That thus disguised art stol’n into my court With witchcraft of thy actions to bewitch The yielding spirit of my tender child. PERICLES [rising] Who calls me traitor, unless it be the King, Ev’n in his bosom I will write the lie. cz KING SIMONIDES (aside) Now, by the gods, I do applaud his courage.
50
PERICLES
My actions are as noble as my blood, da That never relished of a base descent. I came unto your court in search of honour, And not to be a rebel to your state; And he that otherwise accounts of me, This sword shall prove he’s honour’s enemy.
55
KING SIMONIDES
I shall prove otherwise, since both your practice And her consent therein is evident There, by my daughter’s hand, as she can witness.
60
Enter Thaisa
47. Thou liest like a traitor: così in questa edizione, da P.A.; in Q Traitor, thou liest = “Traditore, tu menti”. 52. Will write = “scriverò”: così in questa edizione, da P.A.; in Q return = “riporterò”. 54. Blood: così in questa edizione, da P.A.; in Q thoughts = “pensieri”. 1118
Shakespeare IV.indb 1118
30/11/2018 09:33:01
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
portarle onore. Mai ho intrapreso azioni volte a conquistare il suo amore o la vostra disapprovazione. RE SIMONIDE
Tu menti come un traditore. PERICLE
Traditore? RE SIMONIDE
Ahi, traditore, che sotto questa maschera ti sei introdotto nella mia corte per ammaliare con ammalianti imprese lo spirito malleabile della mia tenera bambina. PERICLE [alzandosi] A chi mi chiama traditore inciderò nel petto questa sua menzogna. Purché non sia il re. RE SIMONIDE (a parte) Ora, per tutti gli dei, plaudo al suo coraggio. PERICLE
Le mie azioni sono nobili come il mio sangue, nel quale non c’è traccia di basso lignaggio. Sono venuto alla vostra corte in cerca di onore e non per nuocere al vostro stato; e chi di me dice diversamente è nemico dell’onore, e questa spada lo dimostrerà. RE SIMONIDE
Io dimostrerò che le cose stanno diversamente, giacché il vostro comportamento parla chiaro, così come la benevolenza di mia figlia. Ecco qui, scritto di suo pugno, come lei stessa può testimoniare. Entra Taisa
1119
Shakespeare IV.indb 1119
30/11/2018 09:33:01
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
PERICLES (to Thaisa)
Then as you are as virtuous as fair, By what you hope of heaven or desire db By your best wishes here i’th’ world fulfilled, Resolve your angry father if my tongue Did e’er solicit, or my hand subscribe To any syllable made love to you. THAISA Why, sir, say if you had, Who takes offence at that would make me glad?
65
70
KING SIMONIDES
How, minion, are you so peremptory? (Aside) I am glad on’t — Is this a fit match for you? dc A straggling Theseus, born we know not where, One that hath neither blood nor merit For thee to hope for, or himself to challenge Of thy perfections e’en the least allowance. THAISA (kneeling) Suppose his birth were base, when that his life Shows that he is not so, yet he hath virtue, The very ground of all nobility, Enough to make him noble. I entreat you To remember that I am in love, The power of which love cannot be confined By th’ power of your will. Most royal father, What with my pen I have in secret written With my tongue now I openly confirm, Which is I have no life but in his love, Nor any being but in joying of his worth.
75
80
85
KING SIMONIDES
Equals to equals, good to good is joined. This not being so, the bavin of your mind In rashness kindled must again be quenched,
90
64-65. By what … fulfilled: così in questa edizione, ricostruito sulla base di P.A.; assente in Q. 72-96. On’t, — Is … only child: assente in Q. Questa edizione espande notevolmente questo dialogo, seguendo P.A. 1120
Shakespeare IV.indb 1120
30/11/2018 09:33:01
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
PERICLE (a Taisa)
Dunque, poiché siete virtuosa non meno che bella, per ciò che chiedete al cielo o che desiderate, e che vorreste vedere realizzato in questo mondo, assicurate il vostro adirato padre che mai io ho pronunciato, o sottoscritto di mia mano, una sola parola che volesse sollecitar da voi amore. TAISA
Perché mai, signore, dire se l’avete fatto85; chi mai potrebbe trarre danno da ciò che renderebbe me felice? RE SIMONIDE
Ragazzina, cos’è questo tono così perentorio? (A parte) Mi piace che sia così. – Vi pare che faccia per voi, costui? Un Teseo vagabondo, nato non si sa dove, uno che né per sangue né per meriti dovrebbe interessarvi, o aspirare a condividere anche la minore tra le vostre perfezioni. TAISA (inginocchiandosi) Supponiamo che egli sia umile di nascita, anche se la sua vita mostra che così non è; tuttavia ha dato prova del suo valore, vera base di ogni nobiltà, e ciò basta per fare di lui un nobiluomo. Vi supplico di ricordare che sono innamorata, e il potere dell’amore non può essere limitato dal potere della vostra volontà. Mio sommo e regale padre, ciò che ho scritto con la mia penna nel segreto adesso apertamente confermo con la mia lingua, cioè che non ho vita se non nel suo amore, né potrei esistere senza gioire del suo valore. RE SIMONIDE86
Il pari sia unito al pari, e il buono al buono. Ma se così non è, farete in modo da estinguere quel fuoco che in tanta avventatezza ha infiammato la vostra mente, o in cambio riceverete il nostro mal-
1121
Shakespeare IV.indb 1121
30/11/2018 09:33:01
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 9
Or purchase our displeasure. — And for you, sir, First learn to know I banish you my court, And yet I scorn our rage should stoop so low. For your ambition, sir, I’ll have your life. THAISA (to Pericles) For every drop of blood he sheds of yours He’ll draw another from his only child.
95
KING SIMONIDES
I’ll tame you, yea, I’ll bring you in subjection. Will you not having my consent Bestow your love and your affections Upon a stranger? — (aside) who for aught I know May be, nor can I think the contrary, As great in blood as I myself.
100
[He catches Thaisa rashly by the hand] dd Therefore hear you, mistress: either frame your will to mine — [He catches Pericles rashly by the hand] And you, sir, hear you: either be ruled by me — Or I shall make you [He claps their hands together] man and wife. Nay, come, your hands and lips must seal it too,
105
Pericles and Thaisa kiss And being joined, I’ll thus your hopes destroy, [He parts them] And for your further grief, God give you joy. What, are you pleased? THAISA Yes, (to Pericles) if you love me, sir. PERICLES
Ev’n as my life my blood that fosters it.
110
102.1. He catches … hand: così in questa edizione; assente in Q. Questa didascalia, come le restanti della scena, è ricostruita sulla base della più lunga descrizione di P.A. 1122
Shakespeare IV.indb 1122
30/11/2018 09:33:01
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 9
contento. – E voi, signore, sappiate già da ora che sarete bandito dalla mia corte, per quanto io disdegni che la rabbia ci abbassi a tanto. Pagherete l’ambizione, signore, con la vita. TAISA (a Pericle) Per ogni goccia del tuo sangue che egli verserà, dovrà spillarne un’altra dalla sua unica figlia. RE SIMONIDE
Vi domerò, oh sì, vi ricondurrò all’obbedienza. Davvero intendete, senza il mio consenso, donare il vostro amore e il vostro affetto a uno straniero? (A parte) Il quale, per quel che so, potrebbe ben essere – e non riesco a credere altrimenti – di sangue nobile quanto il mio. [Prende d’improvviso Taisa per mano] Perciò, signora, ascoltatemi bene: o conformerete il vostro volere al mio, [Prende d’improvviso Pericle per mano] E voi, signore, – ascoltatemi bene – o vi lascerete guidare da me, oppure io farò di voi… [Fa stringere loro la mano] …marito e moglie! Allora, su, manca ancora il sigillo delle vostre mani e delle vostre labbra, Pericle bacia Taisa E una volta uniti, in questo modo intendo uccidere le vostre speranze, [Li separa] E per ripagarvi di questo ulteriore dolore, voglia Iddio donarvi gioia! Allora, siete contenti? TAISA
Sì, (a Pericle) se voi mi amate, signore. PERICLE
Come la mia vita ama il sangue che la nutre.
1123
Shakespeare IV.indb 1123
30/11/2018 09:33:01
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 10
KING SIMONIDES
What, are you both agreed? Yes, if’t please your majesty.
PERICLES and THAISA KING SIMONIDES
It pleaseth me so well that I will see you wed, Then with what haste you can, get you to bed. Sc. 10
Exeunt
Enter Gower de
GOWER
Now sleep y-slackèd hath the rout, No din but snores the house about, Made louder by the o’erfed breast Of this most pompous marriage feast. The cat with eyne of burning coal Now couches fore the mouse’s hole, And crickets sing at th’oven’s mouth As the blither for their drouth. Hymen hath brought the bride to bed, Where by the loss of maidenhead A babe is moulded. Be attent, And time that is so briefly spent With your fine fancies quaintly eche. What’s dumb in show, I’ll plain with speech.
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10
Dumb show. Enter Pericles and Simonides at one door with attendants. A messenger comes [hastily] in to them, kneels, and gives Pericles a letter. Pericles shows it Simonides; the lords kneel to him. Then enter Thaisa with child, with Lychorida, a nurse. The King shows her the letter. She rejoices. She and Pericles take leave of her father and depart with Lychorida at one door; Simonides [and attendants] depart at another
Sc. 10: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT III]. 1124
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 10
RE SIMONIDE
Dunque, entrambi acconsentite? PERICLE e TAISA
Sì, se ciò piace alla maestà vostra. RE SIMONIDE
Mi piace al punto che voglio vedervi sposati. Andate, presto quanto potete, il talamo vi aspetta. Escono Scena 1087
Entra Gower
GOWER
Adesso il sonno ha intorpidito la brigata88, non v’è baccano nella casa, solo il ronfo ben sonoro perché satollo è il ventre89 di questa festa di nozze assai sontuosa. Il gatto, con l’occhio di carbone acceso, ora sta acquattato innanzi alla tana del topo, e i grilli cantano davanti alla bocca del forno, resi più vivaci dall’asciutto loco. Imeneo90 ha condotto al talamo la sposa e, lì persa la verginità91, in lei un bambino prende forma. State attenti, e questo tempo, che qui scorre così breve, completate abilmente con la vostra fantasia. Ciò che in scena è muto92 spiegherò a parole mie. Pantomima Entrano Pericle e Simonide con il seguito da una porta. Un servo [in tutta fretta] entra e va da loro, si inginocchia, e porge una lettera a Pericle. Pericle la mostra a Simonide; i nobili si inginocchiano. Quindi entra Taisa, incinta, e con lei Licorida, la nutrice. Il re le mostra la lettera. Lei ne gioisce. Lei e Pericle prendono commiato dal padre e si allontanano con Licorida verso una porta. Simonide [e il seguito] si allontanano verso l’altra
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 10
By many a dern and painful perch Of Pericles the care-full search, By the four opposing coigns Which the world together joins, Is made with all due diligence That horse and sail and high expense Can stead the quest. At last from Tyre Fame answering the most strange enquire, To th’ court of King Simonides Are letters brought, the tenor these: Antiochus and his daughter dead, The men of Tyrus on the head Of Helicanus would set on The crown of Tyre, but he will none. The mutiny there he hastes t’appease, Says to ’em if King Pericles Come not home in twice six moons He, obedient to their dooms, Will take the crown. The sum of this Brought hither to Pentapolis Y-ravishèd the regions round, And everyone with claps can sound ‘Our heir-apparent is a king! Who dreamt, who thought of such a thing?’ Brief he must hence depart to Tyre; His queen with child makes her desire — Which who shall cross? — along to go. Omit we all their dole and woe. Lychorida her nurse she takes, And so to sea. Their vessel shakes On Neptune’s billow. Half the flood Hath their keel cut, but fortune’s mood Varies again. The grizzled north Disgorges such a tempest forth That as a duck for life that dives, So up and down the poor ship drives. The lady shrieks, and well-a-near
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 10
Per molte leghe aspre e travagliate, ai quattro opposti angoli93 che il mondo tiene uniti, la ricerca di Pericle procede scrupolosa provvedendo a che cavalli e navi e spese ingenti concorrano all’impresa. La Fama94 infine risponde a un’inchiesta tanto singolare, ed ecco giungere da Tiro delle lettere alla corte di Simonide, il cui tenore è questo: poiché Antioco e sua figlia sono morti, gli uomini di Tiro vogliono porre la corona sul capo di Elicano, ma lui non vuole. Egli si affretta a sedare la rivolta, e dice loro che, ove il re Pericle non torni nel giro di dodici lune95, obbediente a quanto da loro decretato, accetterà la corona. Giunta voce di questo giù a Pentapoli, le regioni attorno sono rapite dalla gioia e ovunque si comincia ad applaudire e ad acclamare: “Il nostro erede96 dunque è un re! Chi poteva sognare, o pensare mai una simile cosa?” Egli deve in breve ripartire97 verso Tiro; la sua regina, il bimbo in grembo, esprime il desiderio – e chi si opporrà? – di accompagnarlo in viaggio. Non diciamo qui di tutti i patemi e delle pene loro. Lei prende con sé Licorida, la sua nutrice, e vanno così in mare. Ma il loro vascello è scosso dalle onde di Nettuno. Quando la chiglia ha già solcato i flutti per metà di nuovo cambia umore la fortuna. E il grigio vento del nord98 rovescia una bufera tale che come l’anatra si tuffa per restare in vita così va in giù e in su la loro povera nave. La donna grida e, ahimè, per la paura entra in travaglio. Ciò che se-
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 11
Does fall in travail with her fear, And what ensues in this fell storm Shall for itself itself perform; I nill relate; action may Conveniently the rest convey, Which might not what by me is told. In your imagination hold This stage the ship, upon whose deck The sea-tossed Pericles appears to speke. Sc. 11
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Exit
[Thunder and lightning.] Enter Pericles a-shipboard df
PERICLES
The god of this great vast rebuke these surges Which wash both heav’n and hell; and thou that hast Upon the winds command, bind them in brass, Having called them from the deep. O still Thy deaf’ning dreadful thunders, gently quench Thy nimble sulph’rous flashes. — O, ho, Lychorida! How does my queen? — Thou stormest venomously. dg Wilt thou spit all thyself? The seaman’s whistle Is as a whisper in the ears of death, Unheard. — Lychorida! — Lucina, O! Divinest patroness, and midwife gentle To those that cry by night, convey thy deity Aboard our dancing boat, make swift the pangs Of my queen’s travails! — Now, Lychorida.
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Enter Lychorida with an infant LYCHORIDA
Here is a thing too young for such a place, Who, if it had conceit, would die, as I Am like to do. Take in your arms this piece Of your dead queen. PERICLES How, how, Lychorida?
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Sc. 11: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT III.] SCENE I. 7. Stormest: così in questa edizione; in Q storm = “tempesta”. 1128
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 11
gue in questa terribile bufera andrà da sé a rappresentarsi in scena. Io più non dico, ché l’azione può illustrare il resto come conviene, ma non quanto vi ho appena raccontato. Ora figuratevi con l’immaginazione che questo palco sia il ponte della nave su cui Pericle, dal mare sballottato, compare e va a parlare. Esce Scena 1199 [Tuoni e lampi] Entra Pericle sulla tolda di una nave PERICLE
Il dio di quest’immensità richiami questi flutti che inondano cielo e inferno; e tu che hai imperio sopra i venti, e che li hai suscitati dal profondo, rinserrali in vincoli di rame100. Oh, zittisci i tuoi tuoni orribili e assordanti, acquieta dolcemente i tuoi agili e sulfurei lampi. – Licorida! Oh, oh! Come sta la mia regina? – E allora tu, astioso uragano, vuoi forse sputar fuori tutto te stesso? Il fischio del marinaio è un sussurro, inascoltato, all’orecchio della morte101. – Licorida! – oh Lucina102, divina protettrice e dolce levatrice di coloro che piangono nella notte, invia su questa barca il tuo divino influsso e fa sì che rapide a passare siano le doglie della mia regina. – Allora, Licorida! Entra Licorida con un neonato LICORIDA
Ecco un essere troppo piccolo per un simile luogo; che, se potesse giudicare, desidererebbe, come anch’io desidero, morire. Prendete tra le braccia il parto103 della regina vostra, che ora è morta. PERICLE
Ma come, Licorida, oh no!
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 11
LYCHORIDA
Patience, good sir, do not assist the storm. Here’s all that is left living of your queen, A little daughter. For the sake of it Be manly, and take comfort. PERICLES O you gods! Why do you make us love your goodly gifts, And snatch them straight away? We here below Recall not what we give, and therein may Use honour with you. LYCHORIDA Patience, good sir, E’en for this charge.
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She gives him the infant. [Pericles, looking mournfully upon it, shakes his head, and weeps] Now mild may be thy life, For a more blust’rous birth had never babe; Quiet and gentle thy conditions, for Thou art the rudeliest welcome to this world That e’er was prince’s child; happy what follows. Thou hast as chiding a nativity As fire, air, water, earth, and heav’n can make To herald thee from th’ womb. Poor inch of nature, dh Ev’n at the first thy loss is more than can Thy partage quit with all thou canst find here. di Now the good gods throw their best eyes upon’t.
PERICLES
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Enter [the Master] and a Sailor dj [MASTER] What, courage, sir! God save you.
34. Poor inch of Nature: così in emend. moderni, da P.A.; assente in Q. 36. Partage: così in questa edizione; in Q portage (quota di spazio – o peso – concessa a ciascun marinaio per il trasporto delle proprie cose o merci). 37. [the Master] and a Sailor: così in questa edizione; in Q two Sailors; in P.A. solo il comandante della nave, Master, è menzionato. La battuta che segue suggerisce la presenza del comandante e non di un semplice marinaio. 1130
Shakespeare IV.indb 1130
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 11
LICORIDA
Calma, buon signore, non assecondate la tempesta. Questa piccolina è quanto ancora vive della vostra regina. Per amor suo siate uomo, trovare in lei conforto. PERICLE
Oh, dei! Voi, perché ci portate ad amare i vostri preziosi doni e subito ce li strappate via? Quaggiù noi non riprendiamo indietro quel che diamo; e in questo meritiamo onore. LICORIDA
Pazientate, buon signore, e ancor più ora, con questa responsabilità. Gli dà la neonata [Pericle, guardandola con sguardo addolorato, scuote il capo e piange] PERICLE
Possa la tua vita d’ora in poi essere mite, ché mai ebbe un pargolo nascita tanto tumultuosa; e ti circondino serenità e dolcezza, giacché hai ricevuto il più rude benvenuto, quale il mondo non diede mai ad alcun figlio di principe; ti attendano in futuro cose liete. In un trambusto tale hai avuto i tuoi natali104, che pare che fuoco, aria, acqua, terra e cielo volessero annunciarti dal grembo di tua madre. Povero bruscolo di natura105, già ai tuoi inizi hai perso più di quanto potrà mai renderti la vita106, con tutto ciò che qui potrai trovare. E ora gli dei benigni gettino il loro sguardo più benevolo su questa creatura. Entra [il comandante della nave] con un marinaio [COMANDANTE DELLA NAVE]
Su, coraggio, signore! Dio vi salvi.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 11
PERICLES
Courage enough, I do not fear the flaw; It hath done to me its worst. Yet for the love dk Of this poor infant, this fresh new seafarer, I would it would be quiet. [MASTER] (calling) Slack the bow-lines, there. — Thou wilt not, wilt thou? Blow, and split thyself. SAILOR But searoom, an the brine and cloudy billow kiss the moon, I care not. [MASTER] (to Pericles) Sir, your queen must overboard. The sea works high, the wind is loud, and will not lie till the ship be cleared of the dead.
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PERICLES
That’s but your superstition.
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[MASTER] Pardon us, sir; with us at sea it hath been still
observed, and we are strong in custom. Therefore briefly yield ’er, for she must overboard straight. PERICLES
As you think meet. Most wretched queen! Here she lies, sir.
LYCHORIDA
She [draws the curtains and discovers] the body of Thaisa in a [bed. Pericles gives Lychorida the infant] PERICLES (to Thaisa)
A terrible childbed hast thou had, my dear, No light, no fire. Th’unfriendly elements Forgot thee utterly, nor have I time To give thee hallowed to thy grave, but straight Must cast thee, scarcely coffined, in the ooze, dl Where, for a monument upon thy bones And aye-remaining lamps, the belching whale And humming water must o’erwhelm thy corpse, Lying with simple shells. — O Lychorida, Bid Nestor bring me spices, ink, and paper,
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40. Its worst: così in questa edizione; in Q the worst = “il peggio”. 59. Ooze: così in questa edizione; in Q oare = “remo”. 1132
Shakespeare IV.indb 1132
30/11/2018 09:33:02
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 11
PERICLE
Coraggio ne ho a sufficienza, non temo la burrasca: mi ha già fatto il peggior male. Eppure vorrei che si placasse, per amore di questa piccola, che ha appena cominciato a navigare i mari. [COMANDANTE DELLA NAVE] (gridando) Mollare le boline, laggiù – Non vuoi mollare, tu, no?107 Soffia, e spezzati! MARINAIO
Purché si riesca a tenere la rotta, non mi importa se le onde salse e gonfie arrivano a baciar la luna. [COMANDANTE DELLA NAVE] (a Pericle) Signore, la regina vostra moglie deve essere seppellita in mare. Le onde ingrossano, il vento urla e non poserà fintanto che ci sarà un morto a bordo. PERICLE
È solo una superstizione. [COMANDANTE DELLA NAVE]
Perdonate, signore, ma in mare noi l’abbiamo sempre constatato; e siamo molto legati alle nostre usanze. Perciò, datele in fretta la vostra benedizione, perché deve essere subito gettata fuoribordo. PERICLE
Come credete. Mia sventurata regina! LICORIDA
È qui distesa, signore. [Scosta la tenda e scopre] il corpo di Taisa su [un letto. Pericle dà la neonata a Licorida] PERICLE (a Taisa)
Un terribile travaglio è stato, il tuo, mia adorata, senza luce, senza un fuoco. Gli elementi insensibili ti hanno completamente trascurata, e io senza nemmeno il tempo di benedire la tua tomba già devo gettarti sui fondali melmosi, in una bara di fortuna. Lì, sopra le tue ossa, invece di un monumento e di torce perpetue, avrai la balena zampillante e le acque roboanti a sovrastare il tuo corpo senza vita, disteso tra semplici conchiglie. – Oh Licorida, di’ a Nestore di portarmi spezie, inchiostro e carta, il mio scrigno e i 1133
Shakespeare IV.indb 1133
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
My casket and my jewels, and bid Nicander Bring me the satin coffer. Lay the babe Upon the pillow. Hie thee whiles I say A priestly farewell to her. Suddenly, woman.
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Exit Lychorida [SAILOR] Sir, we have a chest beneath the hatches caulked
and bitumed ready.
70
PERICLES
I thank thee. [To the Master] Mariner, say, what coast is this? [MASTER]
We are near Tarsus. Thither, gentle mariner, Alter thy course from Tyre. When canst thou reach it?
PERICLES
[MASTER]
By break of day, if the wind cease. Make for Tarsus. There will I visit Cleon, for the babe Cannot hold out to Tyrus. There I’ll leave it At careful nursing. Go thy ways, good mariner. I’ll bring the body presently.
PERICLES
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[Exit Master at one door and Sailor beneath the hatches. Exit Pericles to Thaisa, closing the curtains] Sc. 12
Enter Lord Cerimon with a [poor man and a] dm servant
CERIMON
Philemon, ho! Enter Philemon PHILEMON
Doth my lord call?
Sc. 12: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT III.] SCENE II. 1134
Shakespeare IV.indb 1134
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
miei gioielli, e a Nicandro che mi porti la cassa di raso. Sistema la bambina sul cuscino. Su, vai, mentre io do a lei un ultimo saluto religioso. In fretta, donna. Esce Licorida [MARINAIO]
Signore, in coperta abbiamo una cassa già sigillata e bitumata. PERICLE
Ti ringrazio. [Al comandante della nave] Marinaio, dite, che costa è questa? [COMANDANTE DELLA NAVE]
Siamo vicini a Tarso. PERICLE
Cambia rotta, gentile marinaio, invece che verso Tiro dirigiamoci là. Quando puoi raggiungerla? [COMANDANTE DELLA NAVE]
All’alba, se cessa il vento. PERICLE
Fa’ rotta su Tarso. Lì farò visita a Cleone, la bambina non può resistere fino a Tiro. La affiderò alle cure di una balia. Va’, buon marinaio, fa come sai. Vado a prendere il corpo. [Il comandante della nave esce da una porta e il marinaio scende in coperta. Pericle esce per andare da Taisa, e chiude le tende] Scena 12108 Entrano il nobile Cerimone con un [povero e un] servo CERIMONE
Filemone, su! Entra Filemone FILEMONE
Il mio signore ha chiamato?
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Shakespeare IV.indb 1135
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
CERIMON
Get fire and meat for those poor men. [Exit Philemon] ’T’as been a turbulent and stormy night. SERVANT
I have seen many, but such a night as this dn Till now I ne’er endured.
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CERIMON
Your master will be dead ere you return. There’s nothing can be ministered in nature do That can recover him. [To poor man] Give this to th’ pothecary And tell me how it works. [Exeunt poor man and servant] Enter two Gentlemen FIRST GENTLEMAN
Good morrow.
SECOND GENTLEMAN
Good morrow to your lordship. Gentlemen, Why do you stir so early? FIRST GENTLEMAN Sir, Our lodgings, standing bleak upon the sea, Shook as the earth did quake. The very principals did seem to rend And all to topple. Pure surprise and fear Made me to quit the house. CERIMON
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SECOND GENTLEMAN
That is the cause we trouble you so early; ’Tis not our husbandry. CERIMON O, you say well. FIRST GENTLEMAN
But I much marvel that your lordship should, Having rich tire about you, at this hour
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4. Seen: così in questa edizione; in Q been in = “stato in”. 7. In: così in questa edizione; in Q to = “alla”. 1136
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
CERIMONE
Procura del fuoco e della carme per quei poveri uomini. [Esce Filemone] Una nottata di turbini e tempesta. SERVO
Ne ho viste tante, ma mai una come questa. CERIMONE
Prima che ritorni, il tuo padrone sarà morto. Non c’è rimedio in natura che possa guarirlo. [Al povero] Porta questo al farmacista e fammi sapere come va. [Escono il povero e il servo] Entrano due gentiluomini PRIMO GENTILUOMO
Buon giorno. SECONDO GENTILUOMO
Buon giorno alla signoria vostra. CERIMONE
Signori, cosa vi agita di così buon mattino? PRIMO GENTILUOMO
Signore, le nostre abitazioni, che si ergono a picco sul mare, sono state scosse come da un terremoto. Pareva che le travi maestre stessero per cedere, e che dovesse venir giù tutto. Sorpresa allo stato puro, e paura, mi hanno spinto a scappare fuori di casa. SECONDO GENTILUOMO
Per questo siamo venuti a importunarvi tanto presto. Non è nostra abitudine. CERIMONE
Oh, dite bene. PRIMO GENTILUOMO
Ma mi stupisce molto vedere che la signoria vostra, disponendo di così ricchi mezzi, si sia dovuta scuotere di dosso, ad una simile ora,
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Shakespeare IV.indb 1137
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
Shake off the golden slumber of repose. ’Tis most strange, Nature to be so conversant with pain, dp Being thereto not compelled. CERIMON I held it ever Virtue and cunning were endowments greater Than nobleness and riches. Careless heirs May the two latter darken and dispend, dq But immortality attends the former, Making a man a god. ’Tis known I ever Have studied physic, through which secret art, By turning o’er authorities, I have, Together with my practice, made familiar To me and to my aid the blest infusions That dwells in vegetives, in metals, stones, And so can speak of the disturbances That nature works, and of her cures, which doth give me A more content and cause of true delight Than to be thirsty after tott’ring honour, Or tie my pleasure up in silken bags To glad the fool and death. SECOND GENTLEMAN Your honour has Through Ephesus poured forth your charity, And hundreds call themselves your creatures who by you Have been restored. And not alone your knowledge, Your personal pain, but e’en your purse still open Hath built Lord Cerimon such strong renown As time shall never —
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Enter [Philemon and one or] two with a chest [PHILEMON] So, lift there. CERIMON What’s that?
22. to: così in questa edizione; in Q should = “dovrebbe”. 26. Dispend: così in questa edizione; in Q expend = “spendere”. 1138
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
il torpore dorato del riposo. È assai strano, una natura che si accompagna in questo modo alla fatica, pur non essendovi costretta. CERIMONE
Ho sempre ritenuto virtù e ingegno doni più grandi di titoli e ricchezze. Eredi incauti possono oscurare e dilapidare queste, ma ai primi spetta l’immortalità, sono quelli a fare dell’uomo un dio. È noto che studio da sempre la medicina e che dalla sua segreta arte, attraverso lo studio dei sapienti accompagnato dalla mia pratica, ho appreso per me e per i miei rimedi quali virtù benefiche risiedono nei vegetali, nei metalli e nelle pietre, e lo stesso posso dire dei disordini operati dalla natura, e delle cure che da essa provengono, la qual cosa mi procura maggior soddisfazione e più puro diletto che non correr dietro alla fama vacillante, o relegare il mio piacere entro borse di seta109, e dare così diletto ai buffoni e alla morte110. SECONDO GENTILUOMO
Vostro onore ha riversato per tutta Efeso la sua carità, e a centinaia dicono d’essere vostre creature, perché voi li avete riportati in vita. E non solo la vostra sapienza, il vostro adoperarvi, ma anche la vostra borsa, sempre aperta, hanno reso al nobile Cerimone una notorietà che il tempo mai… Entrano [Filemone e uno o] due con una cassa [FILEMONE]
Allora, poggiatela lì. CERIMONE
Che cos’è?
1139
Shakespeare IV.indb 1139
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
[PHILEMON] Sir, even now
The sea tossed up upon our shore this chest. ’Tis off some wreck. CERIMON Set’t down. Let’s look upon’t.
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SECOND GENTLEMAN
’Tis like a coffin, sir. Whate’er it be, ’Tis wondrous heavy. — Did the sea cast it up? dr
CERIMON
[PHILEMON]
I never saw so huge a billow, sir, Or a more eager. ds CERIMON Wrench it open straight. The others start to work dt If the sea’s stomach be o’ercharged with gold ’Tis by a good constraint of queasy fortune du It belches upon us. SECOND GENTLEMAN ’Tis so, my lord.
55
CERIMON
How close ’tis caulked and bitumed! [They force the lid] Soft, it smells Most sweetly in my sense. SECOND GENTLEMAN A delicate odour. CERIMON
As ever hit my nostril. So, up with it.
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They take the lid off O you most potent gods! What’s here — a corpse? SECOND GENTLEMAN
Most strange. 52-53. Did … sir,: così in questa edizione; in Q questa domanda e risposta sono posizionate dopo bitumed a 12, 58. 54. Or a more eager: così in questa edizione, da P.A.; in Q as tossed it upon shore. Q ripete qui la frase di 12, 49. 54.1. The … work: così in questa edizione; assente in Q. 56. By: così in questa edizione; assente in Q. 56. Queasy: così in questa edizione; assente in Q. 1140
Shakespeare IV.indb 1140
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
[FILEMONE]
Signore, proprio ora il mare ha gettato sulla nostra costa questa cassa. È il resto di un qualche naufragio. CERIMONE
Mettetela giù. Esaminiamola. SECONDO GENTILUOMO
Sembra una bara, signore. CERIMONE
Qualunque cosa sia, è straordinariamente pesante. – L’ha rigettata il mare? [FILEMONE]
Non ho mai visto un’onda così gigante né così ingorda, signore. CERIMONE
Forzatela, apritela subito. Gli altri cominciano a lavorare Se di troppo oro si era appesantito lo stomaco del mare, è andata bene che la nausea abbia costretto la fortuna a rigettarlo qui da noi. SECONDO GENTILUOMO
Proprio così, mio signore. CERIMONE
È proprio ben sigillata e bitumata! [Forzano il coperchio] Ha un odore così dolce. SECONDO GENTILUOMO
E delicato. CERIMONE
Come mai hanno provato le mie narici. Così, sollevatelo. Tolgono il coperchio O dei potenti! Cos’è questo, un cadavere? SECONDO GENTILUOMO
Davvero strano.
1141
Shakespeare IV.indb 1141
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
Shrouded in cloth of state, and crowned, dv Balmed and entreasured with full bags of spices. A passport, too!
CERIMON
He takes a paper from the chest Apollo perfect me i’th’ characters. ‘Here I give to understand, If e’er this coffin drives a-land, I, King Pericles, have lost This queen worth all our mundane cost. Who finds her, give her burying; She was the daughter of a king. Besides this treasure for a fee, The gods requite his charity.’ If thou liv’st, Pericles, thou hast a heart That even cracks for woe. This chanced tonight. dw
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SECOND GENTLEMAN
Most likely, sir. Nay, certainly tonight, For look how fresh she looks. They were too rash dx That threw her in the sea. Make a fire within. Fetch hither all my boxes in my closet. [Exit Philemon] Death may usurp on nature many hours, And yet the fire of life kindle again The o’erpressed spirits. I have heard Of an Egyptian nine hours dead Who was by good appliances recovered.
CERIMON
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Enter [Philemon] with napkins and fire Well said, well said, the fire and cloths. The still and woeful music that we have, Cause it to sound, beseech you.
85
Music
62. And crowned,: così in questa edizione; assente in Q. 75. Even: così in Q4 e confermato in P.A.; in Q ever = “per sempre”. 77. Rash: così in questa edizione; in Q rough = “rudi”. 1142
Shakespeare IV.indb 1142
30/11/2018 09:33:03
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
CERIMONE
Avvolto in un drappo regale, e con la corona in capo, cosparso di balsamo e impreziosito con sacchetti pieni di spezie. E anche un lasciapassare! Prende un foglio dalla cassa Apollo chiarisci per me questi caratteri111. ‘Con la presente intendo informare se questa bara tocchi mai riva che io, re Pericle, ho perduto la mia regina, che ha più valore d’ogni ricchezza mondana. Chi la trovi, possa darle sepoltura: di un re fu figlia. Abbia oltre al tesoro che qui trova, in ricompensa del suo gesto, il ben del cielo’. O Pericle, certo se sei vivo avrai il cuore spezzato dal dolore. E questo è accaduto stanotte. SECONDO GENTILUOMO
Molto probabilmente, signore. CERIMONE
Oh no, sicuramente stanotte: guarda com’è fresco il suo aspetto. Troppo sbrigativi sono stati a buttarla in mare. Accendi un fuoco. Vai a prendere tutte le custodie che trovi nel mio armadietto. (Esce Filemone) La morte può carpire diverse ore alla natura, e tuttavia il fuoco della vita tornare ad infiammare i vinti spiriti. Ho sentito dire che in Egitto un uomo morto da nove ore, con i giusti trattamenti, è tornato in vita. Entra Filemone con fuoco e panni Ben fatto, ben fatto. Il fuoco e le vesti. E che risuoni la nostra musica, pacata e triste. Musica
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Shakespeare IV.indb 1143
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 12
The vial once more. How thou stirr’st, thou block! The music there! I pray you give her air. Gentlemen, This queen will live. Nature awakes, a warmth Breathes out of her. She hath not been entranced Above five hours. See how she ’gins to blow Into life’s flow’r again. FIRST GENTLEMAN The heavens Through you increase our wonder, and set up Your fame for ever. CERIMON She is alive. Behold, Her eyelids, cases to those heav’nly jewels Which Pericles hath lost, Begin to part their fringes of bright gold. The diamonds of a most praisèd water Doth appear to make the world twice rich. — Live, And make us weep to hear your fate, fair creature, Rare as you seem to be.
90
95
100
She moves O dear Diana, Where am I? Where’s my lord? What world is this? dy
THAISA
SECOND GENTLEMAN
Is not this strange? Most rare.
FIRST GENTLEMAN
Hush, gentle neighbours. Lend me your hands. To the next chamber bear her. Get linen. Now this matter must be looked to, For her relapse is mortal. Come, come, And Aesculapius guide us. They carry her away. Exeunt
CERIMON
106
102-3. O … this: così in Malone; in Q Lord = “Signore”. 1144
Shakespeare IV.indb 1144
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 12
Un’altra fiala112, ancora una. Come ti agiti, tu che eri marmo! Su con la musica! Vi prego di lasciarla respirare. Signori, questa regina tonerà a vivere. La natura si risveglia, un soffio caldo spira da lei. Non è durato più di cinque ore il suo stato d’assenza. Guardate come il fiore della vita comincia di nuovo a sbocciare in lei. PRIMO GENTILUOMO
Attraverso di voi, il cielo accresce la nostra meraviglia, e rende il vostro nome eterno. CERIMONE
È viva. Guardate: le sue palpebre, custodie di quei gioielli celesti che Pericle ha perduto, cominciano a separare le ciglia d’oro brillante. Diamanti della più ricercata lucentezza, si mostrano a duplicare la bellezza del mondo. —Vivi, dolce creatura, lasciaci piangere ascoltando il racconto dei tuoi casi e della tua sorte, straordinaria come tu stessa appari. Si muove TAISA
Oh cara Diana, dove sono? Dov’è il mio signore? Che mondo è questo? SECONDO GENTILUOMO
Non è strano? PRIMO GENTILUOMO
Davvero straordinario. CERIMONE
Silenzio, cortesi amici. Prestatemi le vostre braccia. Portiamola nella camera accanto. Prendete delle lenzuola. Adesso dobbiamo stare attenti, una ricaduta le sarebbe fatale. Andiamo, su, e che Esculapio113 ci guidi. La portano via. Escono
1145
Shakespeare IV.indb 1145
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 13
Sc. 13 Enter Pericles at Tarsus, with Cleon and Dionyza,dz and Lychorida with a babe PERICLES
Most honoured Cleon, I must needs be gone. My twelve months are expired, and Tyrus stands In a litigious peace. You and your lady Take from my heart all thankfulness. The gods Make up the rest upon you! CLEON Your strokes of fortune, ea Though they hurt you mortally, yet glance eb Full woundingly on us. ec DIONYZA O your sweet queen! That the strict fates had pleased you’d brought her hither T’have blessed mine eyes with her! PERICLES We cannot but obey The pow’rs above us. Should I rage and roar As doth the sea she lies in, yet the end Must be as ’tis. My gentle babe Marina, Whom for she was born at sea I have named so, Here I charge your charity withal, and leave her The infant of your care, beseeching you To give her princely training, that she may be Mannered as she is born. CLEON Fear not, my lord, but think Your grace, that fed my country with your corn — For which the people’s pray’rs still fall upon you — Must in your child be thought on. If neglection Should therein make me vile, the common body By you relieved would force me to my duty.
5
10
15
20
Sc. 13: così in questa edizione; assente in Q; in F3 Actus Tertius; in Malone [ACT III.] SCENE III. 5. Strokes: così in emend. moderni; in Q shakes = “scosse”; in Steveens shafts = “dardi”. 6. Hurt: così in Steveens; in Q hant = have not. 7. Woundingly: così in emend. moderni; in Q wonderingly, variante di wanderingly = “vagando”, “erraticamente”. 1146
Shakespeare IV.indb 1146
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 13
Scena 13114
Entra Pericle a Tarso, con Cleone e Dionisa, e Licorida con un’infante
PERICLE
Onoratissimo Cleone, è necessario che io parta. I miei dodici mesi sono scaduti, e Tiro si trova in una pace litigiosa. Accettate dal mio cuore, voi e la vostra signora, tutta la mia riconoscenza. Al resto, provvedano gli dei! CLEONE
Se la fortuna a voi ha inflitto colpi mortali, indirettamente115 ha colpito e ferito anche noi. DIONISA
Oh, la vostra dolce regina! Se solo il fato severo vi avesse concesso di portarla sin qui, sarebbe stata una benedizione per i miei occhi! PERICLE
Non possiamo che obbedire alle forze lassù. Se pure infuriassi e ruggissi come il mare in cui lei ora è sepolta, la conclusione sarebbe la stessa. Alla vostra carità affido questa mia tenera piccola, Marina, che così ho chiamato perché fu partorita per mare, e la lascio figlia della vostra cura amorevole, chiedendovi di educarla come si addice ai suoi natali. CLEONE
Non temete, signore, pensate piuttosto che in vostra figlia si rivedrà la vostra benevolenza – di quando, con il vostro grano, sfamaste la mia gente, che per questo ancora oggi prega per voi. Il popolo che voi avete rialzato, se mi macchiassi d’indegnità per negligenza, mi riporterebbe di forza ai miei doveri. E tuttavia, se la mia indole
1147
Shakespeare IV.indb 1147
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 13
But if to that my nature need a spur, The gods revenge it upon me and mine To th’ end of generation. PERICLES I believe you. Your honour and your goodness teach me to’t Without your vows. — Till she be married, madam, By bright Diana, whom we honour all, Unscissored shall this hair of mine remain, ed Though I show ill in’t. So I take my leave. ee Good madam, make me blessèd in your care In bringing up my child. DIONYZA I have one myself, Who shall not be more dear to my respect Than yours, my lord. PERICLES Madam, my thanks and prayers.
25
30
CLEON
We’ll bring your grace e’en to the edge o’th’ shore, Then give you up to th’ masted Neptune and ef The gentlest winds of heaven.
35
PERICLES
I will embrace your offer. — Come, dear’st madam. — O, no tears, Lychorida, no tears. Look to your little mistress, on whose grace You may depend hereafter. — Come, my lord. Exeunt
40
29. Unscissored: così in questa edizione; in Q unsistered = “senza sorelle”. 29. Hair: così in questa edizione; in Q heir = “erede”. 30. Show ill: così in questa edizione; in Q shew ill = “sembravo malato”, “davo cattiva mostra”. 36. The masted: così in questa edizione; in Q the masked = “il mascherato”, “camuffato”, ovvero, secondo l’interpretazione di alcuni commentatori, “l’ingannevolmente calmo”; molti gli emend. proposti nelle diverse edizioni: the vast = “il vasto”; the moist = “l’umido”; the mighty = “il possente”; the calmest = “il più calmo”. 1148
Shakespeare IV.indb 1148
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 13
necessitasse d’essere spronata per farlo, gli dei si vendichino su di me e su ciò che è mio, sino all’ultima generazione. PERICLE
Vi credo. Il vostro nome e la vostra bontà me lo dicono senza bisogno che giuriate. —Sino a che non si sposerà, signora, sul nome della lucente Diana che noi tutti veneriamo, io non taglierò più questi miei capelli, per quanto così dia cattiva mostra di me. Così prendo congedo. Mia buona signora, poter affidare alle vostre cure l’educazione della mia bambina è per me una benedizione. DIONISA
Anch’io ho una figlia, e non sarà più cara ai miei occhi della vostra, mio signore. PERICLE
Mia signora, avete la mia gratitudine e le mie preghiere. CLEONE
Accompagneremo vostra grazia sino al limite del litorale, poi vi affideremo al plurialberato Nettuno116 e ai più dolci venti del cielo. PERICLE
Accolgo la vostra offerta. – Venite, signora mia, carissima. – Oh, non piangete, Licorida, non piangete. Abbiate cura di colei che sarà la vostra piccola signora. Dalla sua grazia dipenderete, d’ora in poi. – Venite, mio signore. Escono
1149
Shakespeare IV.indb 1149
30/11/2018 09:33:03
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
Sc. 14
Enter Cerimon and Thaisa eg
CERIMON
Madam, this letter and some certain jewels Lay with you in your coffer, which are all At your command. Know you the character? THAISA
It is my lord’s. That I was shipped at sea I well remember, ev’n on my eaning time, eh But whether there delivered, by th’ holy gods I cannot rightly say. But since King Pericles, My wedded lord, I ne’er shall see again, A vestal liv’ry will I take me to, And never more have joy.
5
10
CERIMON
Madam, if this you purpose as ye speak, Diana’s temple is not distant far, Where till your date expire you may abide. Moreover, if you please a niece of mine Shall there attend you.
15
THAISA
My recompense is thanks, that’s all, Yet my good will is great, though the gift small. Sc. 15
Exeunt
Enter Gower ei
GOWER
Imagine Pericles arrived at Tyre, Welcomed and settled to his own desire. His woeful queen we leave at Ephesus, Unto Diana there ’s a votaress. Now to Marina bend your mind, Whom our fast-growing scene must find At Tarsus, and by Cleon trained In music, letters; who hath gained
5
Sc. 14: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT III.] SCENE IV. 5. Eaning: così in F3; in Q learning = “apprendimento”. Sc. 15: così in questa edizione; assente in Q; in Malone ACT IV. 1150
Shakespeare IV.indb 1150
30/11/2018 09:33:03
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
Scena 14117
Entrano Cerimone e Taisa
CERIMONE
Signora, questa lettera si trovava con voi, nella vostra stessa cassa, insieme ad alcuni gioielli che sono tutti a vostra disposizione. Riconoscete la scrittura? TAISA
È del mio signore. Che mi fossi imbarcata e fossi per mare lo ricordo bene. Ed ero in dolce attesa. Ma se poi abbia partorito lì, per gli dei del cielo, non saprei dire con certezza. Siccome però non vedrò mai più il re Pericle, mio signore e sposo, intendo d’ora in poi indossare l’abito vestale e mai più concedermi letizia. CERIMONE
Signora, se questo che ora dite è il vostro intendimento, il tempio di Diana non dista molto: potrete dimorare lì, fin quando non giungerà la vostra ora. Inoltre, se ciò vi fa piacere, una mia nipote potrebbe occuparsi di voi lassù. TAISA
Ed in risposta io non ho che ringraziarvi; questo è quanto: piccolo è il dono, ma l’intenzione è grande. Escono Scena 15118 Entra Gower GOWER119
Immaginate Pericle approdato a Tiro, accolto e reinsediato secondo il suo desio. Lasciamo invece ad Efeso la dolente sua regina, dove ella si è votata alla dea Diana. E ora con la mente rivolgetevi a Marina: la nostra scena cresce in fretta e la ritrova a Tarso, istruita da Cleone in musica ed in lettere;
1151
Shakespeare IV.indb 1151
30/11/2018 09:33:04
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
Of education all the grace, Which makes her both the heart and place Of gen’ral wonder. But, alack, That monster envy, oft the wrack Of earnèd praise, Marina’s life Seeks to take off by treason’s knife, And in this kind our Cleon has One daughter, and a full-grown lass E’en ripe for marriage-rite. This maid ej Hight Philoten, and it is said For certain in our story she Would ever with Marina be, Be’t when they weaved the sleided silk With fingers long, small, white as milk; Or when she would with sharp nee’le wound The cambric which she made more sound By hurting it, or when to th’ lute She sung, and made the night bird mute, ek That still records with moan; or when She would with rich and constant pen Vail to her mistress Dian. Still This Philoten contends in skill With absolute Marina; so With dove of Paphos might the crow el Vie feathers white. Marina gets All praises which are paid as debts, And not as given. This so darks In Philoten all graceful marks That Cleon’s wife with envy rare A present murder does prepare em For good Marina, that her daughter Might stand peerless by this slaughter.
10
15
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25
30
35
40
17. Ripe: così in Q2; in Q1 right = “giusta”. 26. Bird: così in Malone; in Q bed = “letto”. 32. With dove: così in emend. moderni; in Q The Dove = “la colomba”. 32. Might: così in Steveens; in Q might with = “potrebbe con”. 38. Murder: così in questa edizione; in Q murderer = “assassino”. 1152
Shakespeare IV.indb 1152
30/11/2018 09:33:04
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
educazione da cui ella trae tutta la grazia che fa di lei il cuore, e il centro, dello stupore generale. Ma ahimè il mostro dell’invidia, spesso rovina di ogni lode meritata, adesso mira alla vita di Marina con lama traditrice. Ed è così che il nostro Cleone ha una figlia già cresciuta e in età da matrimonio; Filotene si chiama la fanciulla, e di lei, come di cosa certa, la nostra storia dice che vuol stare sempre con Marina, ovunque ella si trovi: sia quando intreccia fili di seta con lunghe, fini, bianco-latte dita, o quando con il puntuto ago ferisce il lino che, così ferito, ne viene rinforzato; oppure quando, cantando al liuto, fa tacere l’usignolo, che sempre piange le sue pene120; o quando la sua penna verga copiose e fedeli lodi a Diana, sua patrona. In ogni cosa vuole competere Filotene col talento di Marina, che è perfetta; ma è come per il corvo volere gareggiare per candore con la colomba bianca di Pafo121. Sono per Marina tutte le lodi, e le sono tributate come debiti, non elargite come doni. Questo pone così in ombra i pregi di Filotene che la moglie di Cleone, animata da un’invidia rara, prepara imminente l’assassinio di Marina buona, in modo che sua figlia, morta lei, possa rimanere senza rivali.
1153
Shakespeare IV.indb 1153
30/11/2018 09:33:04
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
The sooner her vile thoughts to stead Lychorida, our nurse, is dead, [A tomb is revealed] en And cursèd Dionyza hath The pregnant instrument of wrath Pressed for this blow. Th’unborn event I do commend to your content, Only I carry wingèd Time Post on the lame feet of my rhyme, Which never could I so convey Unless your thoughts went on my way.
45
50
[Enter Dionyza with Leonine] Dionyza does appear, With Leonine, a murderer.
Exit eo
DIONYZA
Thy oath remember. Thou hast sworn to do’t. ’Tis but a blow, which never shall be known. Thou canst not do a thing i’th’ world so soon To yield thee so much profit. Let not conscience, Which is but cold, or fanning love thy bosom ep eq Unflame too nicely, nor let pity, which er E’en women have cast off, melt thee; but be A soldier to thy purpose.
55
42.1. A tomb is revealed: così in questa edizione; assente in Q. La tomba di Licorida, centrale nel resconto di P.A. e richiesta dal proseguo dell’azione, è introdotta dalle parole di Gower. 52.0. Exit: così in Q; le edizioni moderne, da Malone in avanti, segnano a questo punto un cambio di scena, in verità non necessario, vista la continuità tra le parole di Gower e l’azione in corso (vedi nota a 15. 42). 57-58. Or … Unflame: così in questa edizione; in Q in flaming, thy love bosom, enflame. La ripetizione in Q desta sospetto e induce a varie ipotesi di emendamento. 57. Fanning: così in questa edizione; in Q flaming = “nell’infiammare”. A supporto di questo emend. si noti che in vari casi, da Macbeth a Coriolano, Shakespeare usa il verbo fan associato all’idea del freddo e dello stemperarsi di passione e coraggio. 57. Love thy: così in questa edizione; in Q thy love. 58. Unflame: così in questa edizione; in Q enflame = “infiammare”. 1154
Shakespeare IV.indb 1154
30/11/2018 09:33:04
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
A favorire e rendere più pronti i suoi pensieri vili interviene la morte di Licorida, la nostra nutrice; [Viene mostrata una tomba] Dionisa dannata ha il suo strumento, gravido d’ira, già pronto al colpo. L’evento non nato lascio al vostro godimento, io mi limito a portare avanti in fretta il tempo alato sui piedi zoppi dei miei versi, né mai avrei potuto farlo viaggiare così lesto se non mi foste venuti incontro col pensiero. [Entrano Dionisa con Leonino] Ed ecco che Dionisa compare con Leonino, assassino, suo compare. DIONISA
Ricorda la parola data. Hai giurato che l’avresti fatto. Non devi che sferrare un colpo, nessuno lo verrà a sapere. Non c’è cosa che potresti fare al mondo che ti costi così poco e ti dia così gran profitto. Non lasciare che la fredda coscienza o il soffio dell’amore122 estinguano la fiamma del tuo cuore, e non farti nemmeno intenerire dalla compassione, che persino le donne hanno rigettato; ma va dritto al tuo obiettivo, da soldato.
1155
Shakespeare IV.indb 1155
30/11/2018 09:33:04
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
I will do’t; But yet she is a goodly creature.
LEONINE
60
DIONYZA
The fitter then the gods should have her. Enter Marina [to the tomb] with a basket of flowers Here she comes, weeping her only nurse’s death. es Thou art resolved. LEONINE I am resolved. MARINA
No, I will rob Tellus of her weed To strew thy grave with flow’rs. The yellows, blues, et The purple violets and marigolds Shall as a carpet hang upon thy tomb While summer days doth last. Ay me, poor maid, Born in a tempest when my mother died, This world to me is but a ceaseless storm eu Whirring me from my friends.
65
70
DIONYZA
How now, Marina, why do you keep alone? How chance my daughter is not with you? Do not consume your blood with sorrowing. Have you a nurse of me. Lord, how your favour Is changed with this unprofitable woe! Give me your flowers. Come, o’er the sea margin ev Walk with Leonine. The air is piercing there, And quick; it sharps the stomach. Come, Leonine, ew Take her by th’ arm. Walk with her. MARINA No, I pray you, I’ll not bereave you of your servant.
75
80
63. Nurse’s: così in questa edizione; in Q mistress = “padrona”. 66. Grave: così in questa edizione; in Q green = “verde”, in figura “erba”. 71. Ceaseless: così in questa edizione; in Q lasting = “duratura”. 78. O’er: così in questa edizione; in Q ere = “prima che”. 78. Margin: così in questa edizione; in Q marre it = “lo impedisca”. 80. And quick: così in questa edizione; in Q And it perces = “e punge”. Irregolare sotto il profi lo metrico, la frase pierce the stomach è anomala anche sotto il profi lo del senso. 1156
Shakespeare IV.indb 1156
30/11/2018 09:33:04
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
LEONINO
È quello che farò. E tuttavia lei è una adorabile creatura. DIONISA
Ancor più giusto allora che gli dei l’abbiano con sé. Entra Marina [verso la tomba] con un canestro di fiori Eccola che arriva, viene a piangere la morte della sua nutrice. Sii risoluto. LEONINO
Lo sono. MARINA
Non temere123, sottrarrò alla dea Tellus124 il suo manto per cospargere di fiori la tua tomba. Le violette purpuree, e le blu e le gialle e le calendule, staranno sulla tua tomba come un tappeto fin quando durano i giorni d’estate. Ahi povera me, nata nella bufera allorché morì mia madre; questo mondo è per me solo tempesta, incessante, che mi strappa di continuo a chi mi è amico. DIONISA
Cosa succede mai, Marina, che ve ne state sola? Come mai non è con voi mia figlia? Non consumatevi il sangue in pianto e nel dolore125. Lasciate che mi prenda io cura di voi. Signore iddio, perché avete rivolto altrove il vostro favore, perché questa inutile sofferenza! Date a me i fiori, su, e fate due passi con Leonino in riva al mare. L’aria è pungente e sottile, lì, e stimola l’appetito. Su, Leonino, dalle il braccio, e va con lei. MARINA
Oh no, vi prego, non voglio privarvi del vostro servitore.
1157
Shakespeare IV.indb 1157
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
Come, come, I love the King your father and yourself With more than foreign heart. We ev’ry day Expect him here. When he shall come and find Our paragon to all reports thus blasted, He will repent the breadth of his great voyage, Blame both my lord and me, that we have taken No care to your best courses. Go, I pray you, Walk and be cheerful once again; resume That excellent complexion which did steal The eyes of young and old. Care not for me. I can go home alone. MARINA Well, I will go, But truly I have no desire to it. DIONYZA
85
90
DIONYZA
Nay, I know ’tis good for you. Walk half an hour, Leonine, at the least; remember What I have said. LEONINE I warr’nt you, madam. DIONYZA (to Marina) I’ll leave you, my sweet lady, for a while. Pray you walk softly, do not heat your blood. What, I must have care of you! MARINA My thanks, sweet madam.
95
Exit Dionyza Is this wind westerly that blows? LEONINE
South-west.
101
MARINA
When I was born the wind was north. Was’t so?
LEONINE MARINA
My father, as nurse says, did never fear, But cried ‘Good seamen’ to the mariners, Galling his kingly hands with haling ropes, And, clasping to the mast, endured a sea That almost burst the deck.
105
1158
Shakespeare IV.indb 1158
30/11/2018 09:33:04
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
DIONISA
Su, su, l’amore che porto nel cuore per voi e per vostro padre il re non è quello di un estraneo. Ogni giorno attendiamo il suo ritorno. Se dovesse arrivare e trovare così appassito il fiore di ogni paragone, si pentirebbe di aver intrapreso un così gran viaggio, e incolperebbe me e il mio signore, rimproverandoci di non esserci occupati di voi nel miglior modo. Andate, vi prego, passeggiate e tornate a essere allegra; recuperate quell’eccezionale complessione126 che rapiva lo sguardo di giovani e di adulti. Non preoccupatevi per me: posso andare a casa da sola. MARINA
Va bene, andrò, ma davvero non ne ho desiderio. DIONISA
Suvvia, so che vi farà bene. Leonino, camminate per una mezz’ora almeno. Ricorda ciò che ho detto. LEONINO
Avete la mia parola. DIONISA (a Marina) Vi lascio per un po’, mia dolce fanciulla. Vi prego di passeggiare con calma, senza scaldarvi troppo il sangue. Mi prenderò io cura di voi! MARINA
Molte grazie, mia dolce signora. Esce Dionisa Viene da ovest questo vento? LEONINO
Sud-ovest. MARINA
Quando sono nata, soffiava il vento del nord. LEONINO
Davvero? MARINA
Mio padre, come diceva la nutrice, non aveva paura, ma incitava gli uomini a bordo: “Marinai, su, così!”, e si scorticava le mani regali alle cime battute dal vento, e afferrandosi stretto all’albero, teneva testa a un mare che pareva squassare il ponte. 1159
Shakespeare IV.indb 1159
30/11/2018 09:33:04
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 15
LEONINE When was this? MARINA When I was born.
Never was waves nor wind more violent. Once from the ladder tackle washes off ex A canvas-climber. ‘Ha!’ says one, ‘wolt out?’ And with a dropping industry they skip From stem to stern. The boatswain whistles, and The master calls and trebles their confusion. LEONINE Come, say your prayers. MARINA What mean you?
110
115
LEONINE
If you require a little space for prayer I grant it. Pray, but be not tedious. The gods are quick of ear, and I am sworn To do my work with haste. MARINA Why would you kill me?
120
LEONINE
To satisfy my lady. Why would she have me killed? Now, as I can remember, by my troth I never did her hurt in all my life. I never spake bad word, nor did ill turn To any living creature. Believe me, la. I never killed a mouse nor hurt a fly. I trod once on a worm against my will, But I wept for it. How have I offended Wherein my death might yield her any profit Or my life imply her danger? LEONINE My commission Is not to reason of the deed, but do’t. MARINA
125
130
MARINA
You will not do’t for all the world, I hope. You are well favoured, and your looks foreshow You have a gentle heart. I saw you lately When you caught hurt in parting two that fought.
135
111. Once: così in questa edizione; in Q And = “E”. 1160
Shakespeare IV.indb 1160
30/11/2018 09:33:04
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 15
LEONINO
E quand’era? MARINA
Quando sono nata. Mai s’erano viste onde, né raffiche di vento così violente. Una ha persino tirato giù dal sartiame un marinaio. “Ohi”, grida uno, “te ne vuoi andar sotto?”, e tutti quanti, mentre fradici s’industriano, son sbalzati da un capo all’altro della nave. Il nostromo fischia, e il comandante chiama e moltiplica la confusione. LEONINO
Bene, e adesso recitate le vostre preghiere. MARINA
Cosa intendete? LEONINO
Se avete bisogno di appartarvi un po’ per le vostre preghiere, ve lo concedo. Pregate, ma non siate petulante. Gli dei sono svelti d’orecchio e io ho giurato che avrei compiuto in fretta il mio lavoro. MARINA
Perché volete uccidermi? LEONINO
Per compiacere la mia signora. MARINA
Perché vuole che io sia uccisa? Per quel che posso ricordare, io, in fede, non l’ho mai contrariata, in tutta la mia vita. Non ho mai proferito parole offensive né ho fatto male ad essere vivente. Credetemi. Nemmeno un topolino ho mai ucciso, né una mosca. Una volta, senza volerlo, ho calpestato un verme, ma ne ho pianto. Cosa le ho fatto da indurla a credere che la mia morte possa portarle alcun vantaggio, o che la mia vita rappresenti un pericolo per lei? LEONINO
Non è mio compito discutere delle azioni, ma farle. MARINA
Non lo fareste per nulla al mondo, spero. Avete un bell’aspetto, e il vostro sguardo rivela che siete nobile di cuore. Di recente vi ho visto dividere due che si azzuffavano e restarne ferito. Oh cielo, si
1161
Shakespeare IV.indb 1161
30/11/2018 09:33:04
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
Good sooth, it showed well in you. Do so now. Your lady seeks my life. Come you between, And save poor me, the weaker. LEONINE [drawing out his sword] I am sworn, And will dispatch.
140
Enter Pirates [running] FIRST PIRATE Hold, villain.
Leonine runs away [and hides behind the tomb] SECOND PIRATE A prize, a prize. THIRD PIRATE Half-part, mates, half-part. Come, let’s have
her aboard suddenly. Exeunt Pirates [carrying] Marina Leonine [steals back] LEONINE
These roguing thieves serve the great pirate Valdes. An they have seized Marina, let her go. ey There’s no hope she’ll return. I’ll swear she’s dead And thrown into the sea; but I’ll see further. Perhaps they will but please themselves upon her, Not carry her aboard. If she remain, Whom they have ravished must by me be slain.
146
150
Exit. [The tomb is concealed] Sc. 16
[A brothel sign.] Enter the Pander, his wife the ez fa Bawd, and their man Boult
PANDER Boult. BOULT Sir. PANDER Search the market narrowly. Mytilene is full of
gallants. We lose too much money this mart by being wenchless.
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146. An = “if”: così in questa edizione; in Q And. Sc. 16: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT IV.] SCENE III. 0.1. A brothel sign.: così in questa edizione; assente in Q . 1162
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
vede che c’è del buono in voi. Fate lo stesso ora. La vostra signora vuole la mia vita. Venite voi, ora, ponetevi in mezzo, e salvate me che sono la più debole. LEONINO [estraendo la spada] Ho giurato, e lo farò. Entrano Pirati [di corsa] PRIMO PIRATA
Fermo, fellone. Leonino corre via [e si nasconde dietro la tomba] SECONDO PIRATA
Una preda, una preda. TERZO PIRATA
A ognuno la sua parte, compagni, a ognuno la sua parte. Su, portiamola subito a bordo. Escono i pirati [portando via] Marina Leonino [guardandosi attorno] LEONINO
Questi pirati vagabondi sono al servizio del grande pirata Valdes127. Si sono presi Marina? Che vada. Non c’è pericolo che torni. Giurerò che è morta e che l’ho gettata in mare. Ma devo guardare lontano. Forse non vogliono altro che approfittare di lei, senza portarla via con sé. Se ne resta qualcosa, dopo che loro l’avranno stuprata, a me toccherà ucciderla. Esce. [La tomba viene nascosta]128 Scena 16129 [Insegna di un bordello.] Entrano il Lenone, sua moglie la Ruffiana, e Boult130 , il loro uomo LENONE
Boult. BOULT
Signore. LENONE
Batti il mercato palmo a palmo. Mitilene è piena di giovanotti. Troppi soldi abbiamo perso, all’ultima fiera, non avendo più ragazze. 1163
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
BAWD We were never so much out of creatures. We have
but poor three, and they can do no more than they can do, and they with continual action are even as good as rotten. PANDER Therefore let’s have fresh ones, whate’er we pay for them. If there be not a conscience to be used in every trade, we shall never prosper. BAWD Thou sayst true. ’Tis not our bringing up of poor bastards — as I think I have brought up some eleven — BOULT Ay, to eleven, and brought them down again. But shall I search the market? BAWD What else, man? The stuff we have, a strong wind will blow it to pieces, they are so pitifully sodden. PANDER Thou sayst true. They’re too unwholesome, o’ conscience. The poor Transylvanian is dead that lay with the little baggage. BOULT Ay, she quickly pooped him, she made him roast meat for worms. But I’ll go search the market. Exit PANDER Three or four thousand chequins were as pretty a proportion to live quietly, and so give over. BAWD Why to give over, I pray you? Is it a shame to get when we are old? PANDER O, our credit comes not in like the commodity, nor the commodity wages not with the danger. Therefore if in our youths we could pick up some pretty estate, ’twere not amiss to keep our door hatched. Besides, the sore terms we stand upon with the gods will be strong with us for giving o’er.
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19. They’re too: così in questa edizione; in Q they’re two = “sono due”. 1164
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
RUFFIANA
Mai stati tanto a corto di creature. Ne abbiamo solo tre, poverette, e più di quello che fanno non possono certo fare, ché a furia di fare sono fatte belle e marce. LENONE
Perciò, procuriamocene di fresche, costi quel che costi. Se non si mette coscienza nel far le cose, in ogni professione, non ce la si può certo passare bene. RUFFIANA
Dici bene. Come quando noi tiriamo su dei poveri bastardi – e io di bastardelle ne avrò tirate su forse una undicina… BOULT
Oh sì, fino a undici – anni – e poi le avete ritirate giù… e messe al lavoro131. Ma devo setacciarmi il mercato? RUFFIANA
E che altro, se no? La roba che abbiamo, pietosamente bollita132 com’è, un vento un po’ più forte ce la disfa tutta. LENONE
Dici bene. In coscienza, sono troppo malate. Quel poveraccio dalla Transilvania è morto, dopo essere stato con la piccoletta. BOULT
Oh sì, ben fottuto133, e fatto arrosto, pronto per i vermi. Ma adesso vado al mercato. Esce LENONE
Tre o quattro mila zecchini sarebbero la giusta somma per vivere sereni, e poter smettere. RUFFIANA
Smettere? E perché mai, ma ti prego! È forse un peccato guadagnare da vecchi? LENONE
Oh, la reputazione non l’accumuliamo mica come il denaro, e il denaro che accumuliamo non vale il rischio. Perciò, se in gioventù riusciamo a tirar su una bella fortuna, non sarebbe male chiudere bottega134. E poi, siamo in così cattivi termini con gli dei, che faremmo decisamente bene a smettere. 1165
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
BAWD Come, other sorts offend as well as we.
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PANDER As well as we? Ay, and better too; we offend
worse. Neither is our profession any mystery, it’s no calling. But here comes Boult.
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Enter Boult with the Pirates and Marina BOULT [to the Pirates’] Come your ways, my masters, you
say she’s a virgin? A PIRATE O sir, we doubt it not.
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BOULT (to Pander) Master, I have gone through for this
piece you see. If you like her, so; if not, I have lost my earnest. BAWD Boult, has she any qualities? BOULT She has a good face, speaks well, and has excellent good clothes. There’s no farther necessity of qualities can make her be refused. BAWD What’s her price, Boult? BOULT I cannot be bated one doit of a hundred sesterces. fd PANDER (to Pirates) Well, follow me, my masters. You shall have your money presently. (To Bawd) Wife, take her in, instruct her what she has to do, that she may not be raw in her entertainment.
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Exeunt Pander and Pirates BAWD Boult, take you the marks of her, the colour of her
hair, complexion, height, her age, with warrant of her virginity, and cry ‘He that will give most shall have her first.’ Such a maidenhead were no cheap thing if men were as they have been. Get this done as I command you.
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36. Mistery: così in questa edizione; in Q trade = “professione”. Shakespeare usa spesso mistery ironicamente per riferirsi al mestiere del tenutario di bordelli. La parola ha inoltre connotazioni religiose e si presta a un ampio spettro di bisticci verbali. 49. Hundred Sestercies: così in questa edizione, ripreso da P.A. e dalle altre fonti, che in questo concordano; in Q thousand pieces = “mille pezzi”. L’espressione usata in Q è chiaramente più generica. 1166
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
RUFFIANA
Ma dai, c’è gente che a offendere gli dei è buona quanto noi. LENONE
Buona quanto noi? Anche meglio, se è per questo: è che noi li offendiamo peggio. La nostra professione non è neanche un mestiere vero e proprio135, non è una vocazione. Ma ecco che arriva Boult. Entra Boult con i pirati e con Marina BOULT [ai pirati]
Andate avanti, signori miei, voi dite che costei è vergine? PIRATI
Oh signore, non c’è dubbio. BOULT (al lenone) Signore, ho fatto del mio meglio per questo bocconcino. Se vi piace, bene; se no, ho perso la mia caparra. RUFFIANA
Boult, è roba di qualità? BOULT
Ha un bel viso, parla bene, e indossa abiti molto ben fatti. Quel che è necessario c’è, ed è di qualità: non si può rifiutare. RUFFIANA
Qual è il prezzo, Boult? BOULT
Non ho potuto strappare un soldo in meno di cento sesterzi. LENONE (ai pirati) Bene, seguitemi, signori miei. Avrete subito il vostro denaro. (Alla ruffiana) Moglie, tu portala dentro, spiegale bene ciò che deve fare, in modo che non appaia inesperta con i clienti. Escono il lenone e i pirati RUFFIANA
Boult, prendi nota dei suoi tratti distintivi, il colore dei capelli, la carnagione, l’altezza, l’età e che c’è la garanzia della sua verginità136, e strilla: “Chi offre di più, potrà prenderla per primo!” Un tal pezzo di verginella137 non è cosa da pochi soldi, se ci sono ancora gli uomini di una volta. Fa’ subito come ti ho detto.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
BOULT Performance shall follow.
Exit
MARINA
Alack that Leonine was so slack, so slow. He should have struck, not spoke; or that these pirates, Not enough barbarous, had but o’erboard thrown me To seek my mother. BAWD Why lament you, pretty one? MARINA That I am pretty. BAWD Come, the gods have done their part in you. MARINA I accuse them not. BAWD You are light into my hands, where you are like to live. MARINA The more my fault To scape his hands where I was like to die. BAWD Ay, and you shall live in pleasure. MARINA No. BAWD Yes, indeed shall you, and taste gentlemen of all fashions. You shall fare well. You shall have the difference of all complexions. What, do you stop your ears? MARINA Are you a woman? BAWD What would you have me be an I be not a woman?
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MARINA
An honest woman, or not a woman.
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
BOULT
Vedrete che prestazione. Esce MARINA
Ahimè, quel Leonino, troppo indeciso, troppo lento. Avrebbe dovuto colpire, non parlare; o almeno questi pirati, troppo poco brutali, mi avessero gettata in mare a raggiungere mia madre. RUFFIANA
Perché vi lamentate, bellezza? MARINA
Per la mia bellezza. RUFFIANA
Oh, via! Con voi gli dei sono stati generosi. MARINA
Non loro, accuso. RUFFIANA
Siete caduta nelle mie mani, dove probabilmente continuerete a vivere. MARINA
Ancor più mia la colpa, dunque, ad essere sfuggita a lui, giacché tra le sue mani sarei probabilmente morta. RUFFIANA
Vivrete, suvvia, e con piacere. MARINA
No. RUFFIANA
Oh sì, invece lo farete, e proverete uomini di ogni sorta. Ve la passerete bene. E imparerete le differenze tra i vari tipi di pelle e di colore. Ma che fate, vi turate le orecchie? MARINA
Siete donna, voi? RUFFIANA
Cosa volete che sia se non una donna? MARINA
Una donna onesta, o nient’affatto donna.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
BAWD Marry, whip the gosling! I think I shall have
something to do with you. Come, you’re a young foolish sapling, and must be bowed as I would have you. MARINA The gods defend me! BAWD If it please the gods to defend you by men, then men must comfort you, men must feed you, men must stir you up.
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Enter Boult Now, sir, hast thou cried her through the market? BOULT I have cried her almost to the number of her hairs.
I have drawn her picture with my voice.
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BAWD And I prithee tell me, how dost thou find the
inclination of the people, especially of the younger sort? BOULT Faith, they listened to me as they would have
hearkened to their fathers’ testament. There was a Spaniard’s mouth watered as he went to bed to her very description. BAWD We shall have him here tomorrow with his best ruff on. BOULT Tonight, tonight. But mistress, do you know the French knight that cowers i’ the hams? BAWD Who, Monsieur Veroles? BOULT Ay, he. He offered to cut a caper at the proclamation, but he made a groan at it, and swore he would see her tomorrow. BAWD Well, well, as for him, he brought his disease hither. Here he does but repair it. I know he will come in our shadow to scatter his crowns of the sun.
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96. Watered, as: così in questa edizione; in Q watered and. 1170
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
RUFFIANA
O bella questa, ci vuole una strigliata, per la puttanella! Penso che mi darete un bel daffare. Su, venite, non siete che una giovincella, un giunco138 fresco e testardo, e da piegare, se vi voglio avere. MARINA
Gli dei mi proteggano! RUFFIANA
Se piacerà agli dei che tu sia protetta dagli uomini, gli uomini dovranno darti conforto, e nutrimento, e tirarti su139. Entra Boult Allora, signore, l’hai gridata a sufficienza al mercato? BOULT
L’ho decantata quasi capello per capello. Le ho fatto un ritratto con la mia voce. RUFFIANA
E ti prego, dimmi, come ti pareva disposta la gente, soprattutto i più giovani? BOULT
In fede, mi stavano a sentire come se gli stessi leggendo il testamento del loro babbo. C’era uno spagnolo che sbavava come se ci fosse andato a letto, alla sola descrizione. RUFFIANA
Ce lo vedremo arrivare domani, con indosso la sua miglior gorgiera. BOULT
Stasera stessa, vedrete. Ma, padrona, conoscete il cavaliere francese tutto sciancato?140 RUFFIANA
Chi, Monsieur Siphiles?141 BOULT
Proprio lui. Al mio annuncio s’è lanciato in una piroetta, ma il tutto è finito in un gemito; al che ha giurato che verrà per lei domani. RUFFIANA
Bene, bene. Quanto a lui, ci ha portato la sua malattia e adesso fa bene a rimediare. So che verrà a distribuir corone all’ombra del nostro tetto142. 1171
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 16
BOULT Well, if we had of every nation a traveller, we
should lodge them all with this sign.
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BAWD (to Marina) Pray you, come hither a while. You
have fortunes coming upon you. Mark me, you must seem to do that fearfully which you commit willingly, to despise profit where you have most gain. To weep that you live as ye do makes pity in your lovers. Seldom but that pity begets you a good opinion, and that opinion a mere profit. MARINA I understand you not. BOULT (to Bawd) O, take her home, mistress, take her home. These blushes of hers must be quenched with some present practice. BAWD Thou sayst true, i’faith, so they must, for your bride goes to that with shame which is her way to go with warrant. BOULT Faith, some do and some do not. But mistress, if I have bargained for the joint — BAWD Thou mayst cut a morsel off the spit. BOULT I may so. BAWD Who should deny it? (To Marina) Come, young one, I like the manner of your garments well. BOULT Ay, by my faith, they shall not be changed yet. BAWD (giving him money) Boult, spend thou that in the town. Report what a sojourner we have. You’ll lose nothing by custom. When nature framed this piece she meant thee a good turn. Therefore say what a paragon she is, and thou reapest the harvest out of thine own setting forth.
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 16
BOULT
Bene. Sotto questo segno143 alloggeremo tutti, arrivasse pure un viandante da ogni nazione. RUFFIANA (a Marina) Venite un poco qui, vi prego. Presto ve ne verrà una bella fortuna. Ascoltatemi bene: dovete dare l’impressione di fare con mille timori ciò che farete di buon grado, di disprezzare il denaro laddove c’è da cavarne di più. Dite tra le lacrime che vivete come vivete: susciterà pietà nei vostri amanti. E quella pietà a volte vi procura una buona reputazione e la buona reputazione uno splendido guadagno. MARINA
Non capisco cosa dite. BOULT (alla ruffiana)
Fatela entrare, signora, fatela entrare. Questi suoi rossori, quest’avvampare, hanno bisogno di essere domati immediatamente con un po’ di pratica. RUFFIANA
Dici bene, in fede, perché la vostra sposina va con vergogna verso ciò che le tocca di diritto. BOULT
In fede, per alcune è così, per altre no. Ma signora, se ho fatto un buon affare per il bocconcino… RUFFIANA
Te ne puoi prendere un morso direttamente dallo spiedo. BOULT
Dunque posso. RUFFIANA
Chi può negartelo? (A Marina) Su, ragazzina, vieni qui, mi piace molto la fattura dei tuoi abiti. BOULT
Beh, per tutti i santi, non li dovrà cambiare. Non ancora. RUFFIANA (dandogli del denaro)
Boult, spendi questi soldi giù in città. Racconta in giro della nostra nuova ospite. Non ci perderai. Quando la natura ha forgiato questo suo pezzo, intendeva farti un bel favore144. Perciò, esprimi quanto ella sia modello di perfezione e mieti il raccolto del tuo stesso lavoro. 1173
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 17
BOULT I warrant you, mistress, thunder shall not so awake
the beds of eels as my giving out her beauty stirs up the lewdly inclined. I’ll bring home some tonight.
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[Exit] BAWD Come your ways, follow me. MARINA
If fires be hot, knives sharp, or waters deep, Untied I still my virgin knot will keep. Diana aid my purpose. BAWD What have we to do with Diana? Pray you, will you go with me? Exeunt. [The sign is removed] ff Sc. 17 Enter [in mourning garments] Cleon and Dionyza fg DIONYZA
Why, are you foolish? Can it be undone? CLEON
O Dionyza, such a piece of slaughter The sun and moon ne’er looked upon. DIONYZA
I think you’ll turn a child again. CLEON
Were I chief lord of all this spacious world I’d give it to undo the deed. A lady Much less in blood than virtue, yet a princess To equal any single crown o’th’ earth I’th’ justice of compare. O villain Leonine, Whom thou hast poisoned too, If thou hadst drunk to him ’t’ad been a kindness Becoming well thy fact. What canst thou say fh When noble Pericles demands his child?
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146.0. The sign is removed: così in questa edizione; assente in Q. Sc. 17: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT IV.] SCENE IV. 12. Fact: così in questa edizione; in Q face = “faccia”. Chi tra i commentatori difende la lezione di Q interpreta il passo come “degno della tua (doppia) faccia”, della tua ipocrisia, viltà. 1174
Shakespeare IV.indb 1174
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 17
BOULT
Vi garantisco, signora, non sarà tanto capace il tuono di risvegliare i banchi di anguille, quanto le mie parole l’istinto degli inclini alla lascivia. Qualcuno ve lo porto già stasera. [Esce] RUFFIANA
Vieni, seguimi. MARINA
Quanto è vero che il fuoco è caldo, i pugnali son taglienti, e profondi i mari, io manterrò intatto il nodo della mia verginità. Diana, sostieni il mio proposito. RUFFIANA
E che c’entriamo noi con Diana? Vi prego, su, volete venire con me? Escono. [Viene rimossa l’insegna] Scena 17145 Entrano Cleone e Dionisa [vestiti a lutto] DIONISA
Sei forse matto? Si può forse disfare ciò che è stato fatto? CLEONE
Oh Dionisa, mai sotto lo sguardo del sole e della luna è accaduto un crimine così orribile. DIONISA
Credo che tu stia tornando bambino. CLEONE
Se fossi io signore di questo vasto mondo, ordinerei di disfare ciò che è stato fatto. Una creatura nobile, per virtù ancor prima che per sangue, una principessa in grado di eguagliare, se il giudizio è equo, qualsiasi regina sulla terra. E quel vile Leonino, che pure hai ucciso, con lo stesso veleno avresti potuto brindare alla sua salute: sarebbe stata una gentilezza degna del tuo misfatto. Che cosa dirai al nobile Pericle quando chiederà della sua figliola?
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 17
DIONYZA
That she is dead. Nurses are not the fates. To foster is not ever to preserve. She died at night. I’ll say so. Who can cross it, Unless you play the pious innocent fi And, for an honest attribute, cry out ‘She died by foul play.’ CLEON O, go to. Well, well, Of all the faults beneath the heav’ns the gods Do like this worst. DIONYZA Be one of those that thinks The petty wrens of Tarsus will fly hence And open this to Pericles. I do shame To think of what a noble strain you are, And of how cowed a spirit. fj CLEON To such proceeding Whoever but his approbation added, Though not his prime consent, he did not flow fk From honourable sources. DIONYZA Be it so, then. Yet none does know but you how she came dead, Nor none can know, Leonine being gone. She did distain my child, and stood between fl Her and her fortunes. None would look on her, But cast their gazes on Marina’s face Whilst ours was blurted at, and held a malkin Not worth the time of day. It pierced me through, And though you call my course unnatural, You not your child well loving, yet I find
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17. Pious: così in questa edizione; in Q1 impious = “empio”; assente in Q4. Confermato da P.A. 25. Cow’d: così in Steveens; in Q coward = “codardo”. La lezione di Q è sospetta perché incompatibile con la misura del verso e coward concetto troppo comune. L’emendamento in cowed trova supporto in un uso simile della parola in Macbeth 5.10,18 e altrove in Shakespeare. Prime: così in questa edizione; in Q prince = “[di] principe”. Distain: così in questa edizione; in Q disdain = “disdegnare”. 1176
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 17
DIONISA
Che è morta. Far da nutrice non è tessere i destini. Accudire non vuol dire preservare da ogni male. È morta di notte. Dirò così. Chi può mai contestarlo? A patto che voi non facciate il pio innocente e, per guadagnarvi fama di onest’uomo, non vi mettiate a gridare “è morta per una trama malvagia”. CLEONE
Oh, via, andiamo. Bene, bene: di tutte le colpe sotto il cielo, questa è la peggiore per gli dei. DIONISA
Non crederete anche voi che gli scriccioli di Tarso, quegli uccellini146, si alzeranno a volo e riveleranno tutto a Pericle. Provo vergogna al pensiero di quanto nobile sia la vostra schiatta e quanto bovino il vostro spirito147. CLEONE
Tradisce ogni nobile origine colui che, pur non approvando da principio, acconsente poi a che un simile proposito faccia il suo corso. DIONISA
E sia, allora. Tuttavia, solo voi sapete come è morta, né altri possono saperlo, non essendoci più Leonino. Non faceva che offuscare la mia bambina, si frapponeva tra lei e la sua fortuna. Nessuno la guardava, gli occhi erano tutti rivolti al volto di Marina, mentre la nostra piccola veniva derisa e considerata alla stregua di una sguattera, non degna di giorno nemmeno di un saluto148. Mi ha trafitto da parte a parte, e sebbene voi chiamiate il corso delle mie azioni innaturale, ma non così la vostra bambina beneamata, io saluto
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Shakespeare IV.indb 1177
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 18
It greets me as an enterprise of kindness Performed to your sole daughter. CLEON Heavens forgive it. DIONYZA And as for Pericles, What should he say? We wept after her hearse, And yet we mourn. Her monument Is almost finished, and her epitaphs In glitt’ring golden characters express A gen’ral praise to her and care in us, At whose expense ’tis done. CLEON Thou art like the harpy, Which, to betray, dost, with thine angel face, Seize in thine eagle talons.
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DIONYZA
Ye’re like one that superstitiously Do swear to th’ gods that winter kills the flies, But yet I know you’ll do as I advise. Sc. 18
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Enter Gower fm
GOWER
Thus time we waste, and long leagues make we short, Sail seas in cockles, have and wish but for’t, Making to take imagination From bourn to bourn, region to region. By you being pardoned, we commit no crime To use one language in each sev’ral clime Where our scene seems to live. I do beseech you To learn of me, who stand i’th’ gaps to teach you The stages of our story: Pericles Is now again thwarting the wayward seas, Attended on by many a lord and knight, To see his daughter, all his life’s delight. Old Helicanus goes along. Behind
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Sc. 18: così in questa edizione; assente in Q; in F3 Actus Quartus; in Malone [ACT IV.] SCENE IV. 1178
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30/11/2018 09:33:06
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 18
quel che ho intrapreso come un atto di amore per la vostra unica figlia. CLEONE
Perdoni il cielo tutto ciò. DIONISA
E quanto a Pericle, cosa dovrebbe dire? Abbiamo pianto dietro il suo feretro e ancora portiamo il lutto. Il suo monumento è quasi finito e il suo epitaffio, scintillante nei suoi caratteri d’oro, esprime la lode generale e l’affetto nostro – e tutto ciò a nostre spese. CLEONE
Sei come l’arpia149, che inganna con la sua faccia d’angelo e afferra nei suoi artigli d’aquila. DIONISA
Voi siete come quei superstiziosi che giurano agli dei che l’inverno uccide le mosche150. E tuttavia io so che farete secondo il mio consiglio. Escono Scena 18151 Entra Gower GOWER
Così bruciamo i tempi e rendiamo brevi lunghe distanze, solchiamo i mari in gusci fragili col solo desiderio che possa correre l’immaginazione di confine in confine, di regione in regione. Se ci perdonate, non commettiamo un crimine a praticare un solo idioma in ogni diverso clima dove la scena nostra sembra prender vita. Vi prego d’apprendere da me il procedere della nostra storia, da me che abito gli spazi tra una scena e l’altra per poi ridirne a voi: Pericle affronta nuovamente i capricciosi mari, si reca, con molti nobili e cavalieri al seguito, a trovare sua figlia, sola delizia di tutta la sua vita. Il vecchio Elicano va con lui. È lasciato invece a governare, se
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Shakespeare IV.indb 1179
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 18
Is left to govern, if you bear in mind, Old Aeschines, whom Helicanus late Advanced in Tyre to great and high estate. fn Well sailing ships and bounteous winds have brought This king to Tarsus — think his pilot thought; So with his steerage shall your thoughts go on — To fetch his daughter home, who first is gone. Like motes and shadows see them move a while; Your ears unto your eyes I’ll reconcile.
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Dumb show. Enter Pericles at one door with all his train, Cleon and Dionyza [in mourning garments] at the other. Cleon [draws the curtain and] shows Pericles the tomb, whereat Pericles makes lamentation, puts on sack-cloth, and in a mighty passion departs, followed by his train. Cleon and Dionyza depart at the other door See how belief may suffer by foul show. This borrowed passion stands for true-owed woe, And Pericles, in sorrow all devoured, With sighs shot through, and biggest tears o’ershow’red, Leaves Tarsus, and again embarks. He swears Never to wash his face nor cut his hairs. He puts on sack-cloth, and to sea. He bears A tempest which his mortal vessel tears, And yet he rides it out. Now please you wit The epitaph is for Marina writ By wicked Dionyza.
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He reads Marina’s epitaph on the tomb ‘The fairest, sweetest, best lies here, Who withered in her spring of year.
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16. Tyre: così in questa edizione; in Q time = “tempo”. 1180
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 18
di lui vi ricordate, il vecchio Eschino, in ultimo promosso a Tiro da Elicano ad alto rango e a grandi onori. Navi ben condotte e venti favorevoli conducono questo re a Tarso – voi, seguendo col pensiero i pensieri del pilota, avrete come guida la sua rotta. Egli vuole riprendere con sé sua figlia, da dove lei però è già scomparsa. Come nebbie, come ombre li vedrete agitarsi per un po’, con le mie parole i vostri orecchi ai vostri occhi riconcilierò. Pantomima Entrano Pericle da una porta con tutto il seguito, Cleone e Dionisa [in abiti luttuosi] dall’altra. Cleone [scosta la tenda e] mostra a Pericle la tomba, sulla quale Pericle si batte il petto e piange, e dopo aver indossato una tunica di iuta si allontana, in preda a una violenta emozione, con dietro il seguito. Cleone e Dionisa si allontanano verso l’altra porta Vedete come la buona fede può soffrire di fronte a un’orrenda messinscena. D’accatto è lo struggimento loro, che dovrebbero provare vera pena, e Pericle, tutto divorato dal dolore, sconvolto dai singhiozzi, inondato dalle più abbonanti lacrime, lascia Tarso e si imbarca nuovamente. Giura che mai più si laverà il volto né si taglierà i capelli. Indossa un saio, e si mette in mare. Lo investe una tempesta che strazia il vascello suo mortale152, e ne esce vivo tuttavia. Ora, vi prego, intendete: questo è l’epitaffio scritto per Marina da Dionisa malvagia: Legge l’epitaffio sulla tomba di Marina ‘La più bella e dolce, la migliore giace qui che a primavera dei suoi anni vi appassì.
1181
Shakespeare IV.indb 1181
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
In nature’s garden, though by growth a bud, fo She was the chiefest flower: she was good.’ No visor does become black villainy So well as soft and tender flattery. Let Pericles believe his daughter’s dead And bear his courses to be orderèd By Lady Fortune, while our scene must play His daughter’s woe and heavy well-a-day In her unholy service. Patience then, And think you now are all in Mytilene. Sc. 19
40
Exit
[A brothel sign.] Enter two Gentlemen fp fq
FIRST GENTLEMAN Did you ever hear the like? SECOND GENTLEMAN No, nor never shall do in such a place
as this, she being once gone. FIRST GENTLEMAN But to have divinity preached there — did you ever dream of such a thing? 5 SECOND GENTLEMAN No, no. Come, I am for no more bawdy houses. Shall ’s go hear the vestals sing? FIRST GENTLEMAN I’ll do anything now that is virtuous, but I am out of the road of rutting for ever. Exeunt Enter Pander, Bawd, and Boult PANDER Well, I had rather than twice the worth of her
she had ne’er come here.
11
36. In … good: così in P.A.; in Q l’epitaffio, riportato qui nei “passi aggiuntivi”, è più lungo ma è ritenuto dai commentatori poeticamente e drammaticamente inferiore. Si ipotizza che il testo confluito in P.A. riproduca una versione riveduta, forse dallo stesso Shakespeare o dal collaboratore Wilkins, mentre Q rappresenterebbe una versione precedente. Sc. 19: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT IV.] SCENE V. 0.1. A brothel sign: così in questa edizione; assente in Q. 1182
Shakespeare IV.indb 1182
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
Nel giardino di Natura, pur bocciolo, era il più bel fiore: ed era buona.’153 Nessuna maschera si addice alla perfidia nera tanto quanto la dolce tenera lusinga. Lasciamo Pericle pensare sua figlia morta e affidiamo a madama Sorte i suoi casi da ordinare, mentre la nostra scena deve ora presentare il tormento di sua figlia per l’empio suo servizio. Ora con pazienza pensate di trovarvi a Mitilene. Scena 19154 [L’insegna di un bordello] Entrano due nobiluomini PRIMO NOBILUOMO
Avete mai sentito nulla di simile? SECONDO NOBILUOMO
No, e nemmeno più ne sentiremo, in un posto come questo, quando lei se ne sarà andata. PRIMO NOBILUOMO
E sentirsi far la predica, qui… Avreste mai potuto immaginare una cosa simile? SECONDO NOBILUOMO
No, no. Su, andiamo. Ho chiuso con le case di piacere. Perché non andiamo a sentir cantare le vestali? PRIMO NOBILUOMO
Qualsiasi cosa, d’ora in avanti, purché sia virtuosa. Lascio questa strada da infoiati155. Escono Entrano il lenone, la ruffiana, e Boult LENONE
Ah, avrei già guadagnato il doppio di quanto ho speso per lei, se non fosse mai venuta qui.
1183
Shakespeare IV.indb 1183
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
BAWD Fie, fie upon her, she’s able to freeze the god
Priapus and undo the whole of generation. We must either get her ravished or be rid of her. When she should do for clients her fitment and do me the kindness of our profession, she has me her quirks, her reasons, her master reasons, her prayers, her knees, that she would make a puritan of the devil if he should cheapen a kiss of her. BOULT Faith, I must ravish her, or she’ll disfurnish us of all our cavalleria and make our swearers priests. PANDER Now, the pox upon her green-sickness for me. BAWD Faith, there’s no way to be rid on’t but by the way to the pox.
fr
19
Enter Lysimachus, disguised Here comes the Lord Lysimachus, disguised.
25
BOULT We should have both lord and loon if the peevish
baggage would but give way to custom.fs LYSIMACHUS How now, how a dozen of virginities? BAWD Now, the gods to-bless your honour! BOULT I am glad to see your honour in good health. LYSIMACHUS You may so. ’Tis the better for you that your resorters stand upon sound legs. How now, wholesome iniquity have you, that a man may deal withal and defy the surgeon? BAWD We have here one, sir, if she would — but there never came her like in Mytilene.
30
34
13. The whole of: così in questa edizione; in Q a whole = “un’intera”. Mantenendo la lezione di Q, generation andrebbe a significare “generazione” nel senso di gruppo di individui nati in un medesimo determinato periodo, accezione, questa, non presente altrove in Shakespeare. L’emendamento proposto legge invece il termine come iperbole, a significare lo stesso fatto del “procreare”. 27. Custom: così in questa edizione; in Q customers = “clienti”. 1184
Shakespeare IV.indb 1184
30/11/2018 09:33:06
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
RUFFIANA
Accidenti a lei, accidenti! Sarebbe in grado di far passare i bollori a Priapo156 e di disfare l’intero ciclo delle generazioni. Bisogna farla sverginare o, se no, dobbiamo sbarazzarcene. Quando ai clienti ha da fare quel che deve e a me la gentilezza di onorar la professione, mi incomincia con le sue fisime, le sue ragioni, le sue ragion maestre e le preghiere e gli inginocchiamenti, che farebbe del diavolo un perfetto puritano se quello tentasse di comprare anche solo uno dei suoi baci. BOULT
In fede, devo sverginarla, o quella ci smobilita tutta la baracca compresa la cavalleria157 e ci trasforma i nostri fedeli in preti. LENONE
Per quel che mi riguarda, se la porti la sifilide quella sua faccina anemica. RUFFIANA
In fede, non c’è miglior rimedio della sifilide158 per fargliela passare. Entra Lisimaco, mascherato Ecco che arriva il nobile Lisimaco, mascherato. BOULT
Avremmo tanto il nobile quanto il bifolco se la stizzosa puttanella si concedesse all’uso159. LISIMACO
E allora, allora: quanto per una dozzina di verginelle? RUFFIANA
Allora, gli dei benedicano vostro onore! BOULT
Lieto di vedervi in buona salute, vostro onore. LISIMACO
Potete ben dirlo. È meglio per voi che i vostri ospiti siano più che in gamba160. E allora, non avete qui nessun sano peccatuccio con cui intrattenersi senza finire dal chirurgo? RUFFIANA
Ne abbiamo una, signore, se solo volesse… (ma una così non s’era mai vista, a Mitilene). 1185
Shakespeare IV.indb 1185
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
LYSIMACHUS If she’d do the deed of darkness, thou wouldst
say.
38
BAWD Your honour knows what ’tis to say well enough. LYSIMACHUS Well, call forth, call forth.
[Exit Pander]
BOULT For flesh and blood, sir, white and red, you shall
see a rose. And she were a rose indeed, if she had but — LYSIMACHUS What, prithee? BOULT O sir, I can be modest. LYSIMACHUS That dignifies the renown of a bawd no less
44 ft
than it gives a good report to a noble to be chaste. fu [Enter Pander with Marina] BAWD Here comes that which grows to the stalk, never
plucked yet, I can assure you. Is she not a fair creature? LYSIMACHUS Faith, she would serve after a long voyage
at sea. Well, there’s for you. Leave us.
50
[He pays the Bawd] BAWD I beseech your honour give me leave: a word, and
I’ll have done presently. LYSIMACHUS I beseech you, do. BAWD (aside to Marina) First, I would have you note this
is an honourable man. MARINA I desire to fi nd him so, that I may honourably
55 fv
know him.
45. Dignifies: così in in Q4; in Q1 dignities. 46. A noble: così in questa edizione; in Q a number = “un numero”, cioè “molti”; molti gli emend. proposti nelle diverse edizioni. Qui si suppone che Lisimaco ironizzi sulla propria ipocrisia, oltre che su quella di Boult. 56-57. Honorably know: così in questa edizione; in Q note = “notare”. 1186
Shakespeare IV.indb 1186
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
LISIMACO
Se solo volesse… assecondare l’azione delle tenebre, volete dire. RUFFIANA
Vostro onore sa bene come si dicono le cose. LISIMACO
Bene, chiamatela, chiamatela. [Esce il lenone] BOULT
Per la pelle e il colorito, signore, vedrete in lei una rosa, bianca e rossa. E lo sarebbe, una rosa, se soltanto avesse… LISIMACO
Che cosa? BOULT
So anche essere modesto. LISIMACO
Il che dà lustro alla vostra professione non meno di quanto accresca il buon nome di un nobiluomo l’esser casto. [Entra il lenone con Marina] RUFFIANA
Ecco che arriva il nostro bocciolo, ancora gemma sullo stelo, che nessuno ha ancora colto; lo posso assicurare. Non è una bella creatura? LISIMACO
In fede, quel che ci vuole dopo un lungo viaggio in mare. Bene. Questi sono per voi. Lasciateci soli. [Paga la ruffiana] RUFFIANA
Prego vostro onore di concedermi un momento: solo una parola, faccio in un attimo. LISIMACO
Vi prego, fate pure. RUFFIANA (a parte, a Marina)
Primo: vorrei farvi notare che si tratta di un onorevole signore. MARINA
Vorrei davvero trovarlo tale e che onorevole sia far la sua conoscenza161. 1187
Shakespeare IV.indb 1187
30/11/2018 09:33:07
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
BAWD Next, he’s the governor of this country, and a man
whom I am bound to.
59
MARINA If he govern the country you are bound to him
indeed, but how honourable he is in that, I know not. BAWD Pray you, without any more virginal fencing, will
you use him kindly? He will line your apron with gold. MARINA What he will do graciously I will thankfully
receive.
65
LYSIMACHUS (to Bawd) Ha’ you done? BAWD My lord, she’s not paced yet. You must take some
pains to work her to your manege. (To Boult and Pander) Come, we will leave his honour and hers together. Go thy ways. Exeunt Pander, Bawd, and Boult LYSIMACHUS
Fair one, how long have you been at this trade? MARINA What trade, sir?
71
LYSIMACHUS
I cannot name it but I shall offend. MARINA
I cannot be offended with my trade. Please you to name it. LYSIMACHUS How long have you been Of this profession? MARINA E’er since I can remember.
75
LYSIMACHUS
Did you go to’t so young? Were you a gamester At five, or seven? MARINA Earlier too, sir, If now I be one.
1188
Shakespeare IV.indb 1188
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
RUFFIANA
Inoltre: egli è il governatore di questa regione, ed è uomo al quale io sono legata. MARINA
Gli siete legata eccome, se davvero è governatore della regione162. Se però lui sia onorevole, nel far ciò, non saprei. RUFFIANA
Ah, via, vi prego: metterete da parte tutte queste schermaglie da verginella e sarete cortese con lui? Vi riempirà d’oro il grembiule163. MARINA
Tutto quel che farà con grazia, accetterò con gratitudine. LISIMACO (alla ruffiana)
Avete fatto? RUFFIANA
Mio signore, non è ancora del tutto addomesticata. Avrete da faticare un po’ per condurla al maneggio. (A Boult e al lenone). Su lasciamoli soli. Andate. Escono il lenone, la ruffiana e Boult LISIMACO
Bella, da quanto tempo sei in questo giro? MARINA
Quale giro, signore? LISIMACO
Non posso nominarlo senza recarvi offesa. MARINA
Non può recarmi offesa se è il mio giro. Vi prego di nominarlo. LISIMACO
Da quanto tempo fate questo lavoro? MARINA
Da che ho memoria. LISIMACO
Tanto giovane avete iniziato? Eravate una ragazza… allegra già a cinque, o forse a sette anni? MARINA
Anche prima, se lo sono adesso.
1189
Shakespeare IV.indb 1189
30/11/2018 09:33:07
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
Why, the house you dwell in Proclaimeth you a creature of sale.
LYSIMACHUS
80
MARINA
And do you know this house to be a place Of such resort and will come into it? I hear say you’re of honourable blood, fw And are the governor of this whole province. fx LYSIMACHUS
What, hath your principal informed you who I am? MARINA
Who is my principal? LYSIMACHUS Why, your herb-woman; She that sets seeds of shame, roots of iniquity.
86
[Marina weeps] O, you’ve heard something of my pow’r, and so Stand off aloof for a more serious wooing. fy But I protest to thee, Pretty one, my authority can wink At blemishes, or can on faults look friendly; Or my displeasure punish at my pleasure, From which displeasure, not thy beauty shall Privilege thee, nor my affection, which Hath drawn me here, abate with further ling’ring. Come bring me to some private place. Come, come.
90
95
83. Blood: così in questa edizione; in Q parts = “qualità”, OED 15. Qui come in altri passi riguardanti Lisimaco, Q potrebbe essere stato sottoposto a censura: la presenza, ritenuta di per sé politicamente imbarazzante, di un uomo di potere e di governo in un bordello viene resa meno scandalosa evitando ogni riferimento alle sue origini nobiliari. 84. Whole province: così in questa edizione; in Q fair town = “bella cittadina”. Probabile, anche qui, l’intervento della censura (vedi nota a 19, 83) nell’attenuare l’importanza e circoscrivere il ruolo di Lisimaco. 89. Aloof: così in questa edizione; in Q aloft = “in alto”. 89. A: così in questa edizione; assente in Q. 1190
Shakespeare IV.indb 1190
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
LISIMACO
Mah, la casa in cui vi trovate dice di voi che siete una creatura in vendita. MARINA
E voi, pur sapendo che questa casa è un posto di tale sorta, ci venite? Ho sentito che siete di sangue nobile e che siete il governatore dell’intera provincia. LISIMACO
Cosa? La vostra padrona vi ha detto chi sono? MARINA
Chi sarebbe la mia padrona? LISIMACO
La vostra erborista, colei che getta i semi della vergogna e interra radici di iniquità. [Marina piange] Oh, avete sentito che ho un certo potere, e così fate la ritrosa per indurmi a corteggiarvi più seriamente. Ma sappiate, bellina, che l’autorità che rivesto mi consente di chiudere un occhio su certi vizi e guardare a certe colpe con benevolenza. Ma anche di punire a piacimento chi mi arreca dispiacere; dal quale dispiacere non sarà sufficiente a dispensarti la tua bellezza; così come non potrai spegnere il desiderio che mi ha condotto qui, continuando a prender tempo. Su portami in qualche posto più appartato. Avanti, avanti.
1191
Shakespeare IV.indb 1191
30/11/2018 09:33:07
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
MARINA
Let not authority, which teaches you fz To govern others, be the means to make you ga Misgovern much yourself. gb If you were born to honour, show it now; If put upon you, make the judgement good That thought you worthy of it. What reason’s in gc Your justice, who hath power over all, To undo any? If you take from me Mine honour, you’re like him that makes a gap Into forbidden ground, whom after Too many enter, and of all their evils Yourself are guilty. My life is yet unspotted; My chastity unstainèd ev’n in thought. Then if your violence deface this building, The workmanship of heav’n, you do kill your honour, Abuse your justice, and impoverish me. My yet good lord, if there be fire before me, Must I straight fly and burn myself? Suppose this house — Which too too many feel such houses are — Should be the doctor’s patrimony, and The surgeon’s feeding; follows it, that I Must needs infect myself to give them maint’nance?
100
105
110
115
LYSIMACHUS
How’s this, how’s this? Some more. Be sage. MARINA [kneeling]
For me That am a maid, though most ungentle fortune Have franked me in this sty, where since I came gd Diseases have been sold dearer than physic-
121
98. Not: così in questa edizione; assente in Q. 98. Teaches: così in questa edizione; assente in Q. 99. Govern: così in questa edizione; assente in Q. 100. Much: così in questa edizione; assente in Q. 103-113. What … impoverish me: così in questa edizione, adattato da P.A.; assente in Q. 122. Franked: così in questa edizione; in Q placed = “posto”, “piazzato”. 1192
Shakespeare IV.indb 1192
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
MARINA
Non lasciate che l’autorità, che vi insegna a governare le vite altrui, sia un tale strumento di malgoverno della vostra. Se siete nato all’onore, datene prova adesso. Se vi è stato conferito, non date torto a chi ve ne giudicò degno. Qual ragione muove la giustizia vostra, che ha potere su tutti, a rovinare qualcuno? Se mi portate via l’onore siete come quel che apre un varco per un terreno proibito e lascia che molti entrino dietro di lui; su voi ricadrà la colpa di tutti. La mia vita è tuttora senza macchia; la mia castità intatta persino nel pensiero. Perciò, se la vostra prepotenza arriva a sfigurare questo edificio, che è opera del cielo, voi uccidete il vostro onore, fate violenza alla vostra stessa giustizia e immiserite me. Mio pur buon signore, se ci fosse fuoco innanzi a me, dovrei d’un balzo saltare dentro alle sue fiamme? Supponete che questa casa – di cui molti, troppi, conoscono il tenore – costituisca il patrimonio del dottore, e il nutrimento del chirurgo; ne consegue che per far prosperare loro devo infettare me stessa? LISIMACO
Cos’è ciò che sento, cos’è? Dite ancora. Siate saggia. MARINA [inginocchiandosi] Per me che sono ancora vergine, anche se un’assai rude fortuna mi ha rinchiuso in questo porcile, dove ho visto malattie vendute a più caro prezzo che non le medicine… volessero gli dei liberarmi
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Shakespeare IV.indb 1193
30/11/2018 09:33:07
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
That the gods would set me free from this unhallowed place, Though they did change me to the meanest bird That flies i’th’ purer air! LYSIMACHUS [moved] I did not think ge Thou couldst have spoke so well, ne’er dreamt thou couldst.
125
[He lifts her up with his hands] Though I brought hither a corrupted mind, gf Thy speech hath altered it, gg [He wipes the wet from her eyes] and my foul thoughts gh Thy tears so well hath laved that they’re now white. gi I came here meaning but to pay the price, A piece of gold for thy virginity; Here’s twenty to relieve thine honesty. Persever still in that clear way thou goest, And the gods strengthen thee. MARINA The good gods preserve you!
131
LYSIMACHUS
The very doors and windows savour vilely. gj Fare thee well. Thou art a piece of virtue,
136
126.0. Moved: così in questa edizione; assente in Q. 128. Though: così in questa edizione; in Q Had = “[Se] avessi”. 129. Hath: così in questa edizione; in Q had = “avrebbe”. Questo emendamento, insieme a quello a 19, 128, sulla scia di P.A. rendono assertiva la frase che in Q è posta in forma ipotetica (“[se] avessi portato qui pensieri lascivi ecc.”), probabilmente a fornire un ritratto edulcorato e più “presentabile” di Lisimaco (vedi note a 19, 83 e 19, 84). 129. And my foul thoughts: così in questa edizione, seguendo P.A.; assente in Q. 130. Thy … white: così in questa edizione, ricostruito sulla base di P.A.; assente in Q. 136. The: così in questa edizione; in Q For me, be you thoughten, that I came with no ill intent, for to me (forma inusuale e probabilmente corrotta, il cui senso dovrebbe essere “Per me, credetemi, che non sono venuto con cattive intenzioni, poiché per me”). Anche qui, secondo l’ipotesi avanzata in questa edizione, saremmo di fronte ad una versione censurata del testo. 1194
Shakespeare IV.indb 1194
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
da questo luogo sconsacrato, fosse anche per trasformarmi nel più umile uccello che vola libero nell’aria! LISIMACO [commosso] Non pensavo sapeste parlare così bene, neppure in sogno avrei potuto figurarmelo. [Le porge le mani affinché si rialzi] Sebbene io sia venuto qui con pensieri impuri, le tue parole li hanno mutati, [asciuga gli occhi umidi di Marina] e lavandoli con le tue lacrime li hai resi bianchi immacolati. Sono venuto qui intendendo pagare il prezzo pattuito, un pezzo d’oro per la tua verginità; eccone qui venti per sostenere la tua onestà. Persevera per quella strada luminosa sulla quale vai, e gli dei ti donino forza. MARINA
Gli dei preservino voi!164 LISIMACO
Persino le porte e le finestre qui emanano un puzzo disgustoso. Addio. Tu sei un modello di virtù, la miglior opera che natura ab-
1195
Shakespeare IV.indb 1195
30/11/2018 09:33:07
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
The best wrought up that ever nature made, And I doubt not thy training hath been noble. A curse upon him, die he like a thief, That robs thee of thy honour. Hold, here’s more gold. If thou dost hear from me, it shall be for thy good.
140
[Enter Boult standing ready at the door, making his obeisance unto him as Lysimachus should go out] BOULT I beseech your honour, one piece for me. LYSIMACHUS
Avaunt, thou damnèd door-keeper! Your house, but for this virgin that doth prop it, Would sink and overwhelm you. Away. Exit BOULT How’s this? We must take another course with you. If your peevish chastity, which is not worth a breakfast in the cheapest country under the cope, shall undo a whole household, let me be gelded like a spaniel. Come your ways. MARINA Whither would you have me? BOULT I must have your maidenhead taken off, or the common executioner shall do it. We’ll have no more gentlemen driven away. Come your ways, I say. Enter Bawd and Pander
145
151
gk
155
gl
BAWD How now, what’s the matter? BOULT Worse and worse, mistress, she has here spoken
holy words to the Lord Lysimachus. BAWD O, abominable! BOULT She makes our profession as it were to stink afore
the face of the gods.
gm
161
154. Executioner shall do: così in questa edizione; in Q hangman shall execute. La differenza tra executioner e hangman sta nel fatto che il primo, contemplando l’ipotesi della decapitazione – e non solo dell’impiccagione (hang) –, consente il gioco di parola di Boult, a sfondo sessuale, con maiden-head = “verginità”, “imene”, composto da maiden, “vergine”, e head “testa”. 155.1. Bawd and Pandar: così in questa edizione; in Q1 Bawdes. 160. She: così in emend. moderni; in Q He = “lui”. 1196
Shakespeare IV.indb 1196
30/11/2018 09:33:07
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
bia mai forgiato e quella che hai ricevuto è senza dubbio un’educazione nobile. Sia maledetto, e muoia come un ladro, colui che ti ruberà l’onore. Tieni, qui c’è dell’altro oro. E se sentirai ancora parlare di me, sarà a tuo vantaggio. [Entra Boult, all’erta nei pressi della porta, si inchina verso Lisimaco che vuole uscire] BOULT
Vi supplico, vostro onore, un pezzo anche a me! LISIMACO
Va via, maledetto guardaporte! Se non fosse per questa vergine che la puntella, questa casa sprofonderebbe e ti schiaccerebbe completamente. Via! Esce BOULT
Ma che roba è mai questa? Con te s’hanno da usare altre misure. Se la tua castità stizzosa, che non vale una merenda nella più economica delle regioni, deve rovinare una casa intera, piuttosto mi si castri come uno spaniel165. Su, vieni da questa parte. MARINA
Dove vuoi portarmi? BOULT
Ve la porterò via io la verginità, o sarà il ladro comune a farlo166. Non ho intenzione di stare a guardare altri gentiluomini andare via così. Venite, ho detto. Entrano la ruffiana e il lenone RUFFIANA
E adesso, cosa succede? BOULT
Qui va sempre peggio, signora, questa ha appena recitato le sue sante orazioni al signor Lisimaco. RUFFIANA
Ma è abominevole! BOULT
A sentir lei, la nostra professione è un tale schifo che il suo puzzo arriva dritto in faccia agli dei.
1197
Shakespeare IV.indb 1197
30/11/2018 09:33:08
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
BAWD Marry hang her up for ever! BOULT The nobleman would have dealt with her like a
nobleman, and she sent him away as cold as a snowball, saying his prayers, too. [PANDER] Boult, take her away. Use her at thy pleasure. Crack the ice of her virginity, and make the rest malleable. BOULT An if she were a thornier piece of ground than she is, she shall be ploughed. MARINA Hark, hark, you gods! BAWD She conjures. Away with her! Would she had never come within my doors. — Marry, hang you! — She’s born to undo us. — Will you not go the way of womenkind? Marry, come up, my dish of chastity with rosemary and bays. Exeunt Bawd and Pander BOULT [catching her rashly by the hand] Come, mistress, come your way with me. MARINA Whither wilt thou have me? BOULT To take from you the jewel you hold so dear. MARINA Prithee, tell me one thing first. BOULT Come, now, your one thing.
165 gn go
170
180
MARINA
What canst thou wish thine enemy to be? BOULT Why, I could wish him to be my master, or rather my mistress.
185
166. PANDER: così in questa edizione; in Q Bawd = “Mezzana”. 167. Ice: così in questa edizione; in Q glass = “vetro”. A supporto dell’emendamento qui proposto si veda l’espressione semi proverbiale Break ice in one place, it will crack in more (= Rompi il ghiaccio in un punto e si romperà in molti altri). 1198
Shakespeare IV.indb 1198
30/11/2018 09:33:08
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
RUFFIANA
Mariavergine167, da impiccarla! BOULT
Quel nobiluomo l’avrebbe trattata come si conviene a un nobiluomo; e lei, invece, l’ha fatto andare via freddo come una palla di neve e per di più con le preghiere in bocca. [LENONE]
Boult, portala via. Usala a tuo piacere. Rompi il ghiaccio della sua verginità168 e fa che si ammorbidisca un po’. BOULT
Fosse più spinoso ancora di quanto già non è, il suo terreno, lo arerò per bene. MARINA
Sentite, o dei, sentite! RUFFIANA
È una strega, evoca gli spiriti: portatela via di qui! Non avesse mai messo piede sotto questo tetto. Per la madonna, ti s’impicchi! Questa è nata per rovinarci. Non vuoi fare così come fan tutte? Per la madonna, tu guarda, che bel piatto: castità, tra foglie di alloro e rosmarino169. Escono la ruffiana e il lenone BOULT [prendendola bruscamente per mano]
Avanti, signorina, venite da questa parte con me. MARINA
Dove mi vuoi portare? BOULT
A prendermi quel tuo gioiello che custodisci tanto caro. MARINA
Ti prego, prima dimmi una cosa, una sola. BOULT
Su, questa tua cosa; e questa sola. MARINA
Cosa vorresti che fosse il tuo nemico? BOULT
Gli augurerei d’essere il mio padrone, o – peggio – la mia padrona.
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Shakespeare IV.indb 1199
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 19
MARINA
Neither of these can be so bad as thou art, Since they do better thee in their command. Thou hold’st a place the painèd’st fiend of hell Would not in reputation change with thee, Thou damnèd doorkeeper to ev’ry coistrel That comes enquiring for his Tib. To th’ choleric fisting of ev’ry rogue Thy ear is liable. Thy food is such As hath been belched on by infected lungs. BOULT What would you have me do? Go to the wars, would you, where a man may serve seven years for the loss of a leg, and have not money enough in the end to buy him a wooden one?
190
194
MARINA
Do anything but this thou dost. Empty Old receptacles or common sew’rs of filth, Serve by indenture to the public hangman — Any of these are yet better than this. For what thou professest a baboon, could he speak, Would own a name too dear. Here’s gold for thee. gp If that thy master would make gain by me, Proclaim that I can sing, weave, sew, and dance, With other virtues which I’ll keep from boast, And I will undertake all these to teach. I doubt not but this populous city will Yield many scholars. BOULT But can you teach all this you speak of?
200
205
210
MARINA
Prove that I cannot, take me home again And prostitute me to the basest groom That doth frequent your house.
204. Dear: così in questa edizione; in Q dear, that the gods would safely deliver me from this place: (“prezioso, ah volessero gli dei portarmi via da questo luogo”). Q ripete sostanzialmente la stessa esclamazione di 19, 124. Questa edizione ritiene la ripetizione frutto d’errore e la omette. 1200
Shakespeare IV.indb 1200
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 19
MARINA
Né l’uno né l’altra starebbero peggio di te, giacché loro comunque ti comandano. Tu qui occupi un posto che, per la reputazione che ti dà, nemmeno il più disgraziato tra tutti i diavoli dell’inferno scambierebbe con il suo. Tu, dannato guardaporta, condannato a servire ogni farabutto che viene a chiederti la sua sgualdrina!170 Il tuo orecchio è a disposizione della collera del primo vagabondo, e dei suoi pugni. Su quel che mangi, ci han ruttato polmoni infetti. BOULT
E cosa dovrei fare, secondo voi? Andare in guerra, dovrei? A prestar servizio per sette anni per poi tornarmene, per tutta ricompensa, con una gamba in meno e nemmeno i soldi per comprarne una di legno? MARINA
Fa’ qualsiasi cosa, ma non quel che fai adesso. Svuota vecchi bidoni o anche i canali delle fogne, proponiti come apprendista al boia – sono tutti lavori migliori di questo. Ché ci fosse pure un babbuino capace di parlare, si rifiuterebbe di pronunciare il nome della tua professione. Tieni queste monete d’oro. Se il tuo padrone vuole guadagnare su di me, digli che so cantare, tessere, cucire e danzare e che ho molte altre virtù di cui non dico per modestia e che posso anche insegnare. Non ho dubbi che troverei molti alunni, in una città popolosa come questa. BOULT
E voi sapreste insegnare tutte queste cose? MARINA
Dimostrate che così non è e potrete riportarmi indietro e farmi prostituire con il più spregevole stalliere che frequenta questa casa.
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Shakespeare IV.indb 1201
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 20
BOULT Well, I will see what I can do for thee. If I can
place thee, I will.
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MARINA But amongst honest women. BOULT Faith, my acquaintance lies little amongst them;
but since my master and mistress hath bought you, there’s no going but by their consent. Therefore I will make them acquainted with your purpose, and I doubt not but I shall find them tractable enough. Come, I’ll do for thee what I can. Come your ways.
223
Exeunt. [The sign is removed] Sc. 20
Enter Gower gq
GOWER
Marina thus the brothel scapes, and chances Into an honest house, our story says. She sings like one immortal, and she dances As goddess-like to her admirèd lays. Deep clerks she dumbs, and with her nee’le composes Nature’s own shape, of bud, bird, branch, or berry, That e’en her art sisters the natural roses. Her inkle, silk, twin with the rubied cherry; That pupils lacks she none of noble race, Who pour their bounty on her, and her gain She gives the cursèd Bawd. Here, we her place, And to her father turn our thoughts again. We left him on the sea. Waves there him tossed, gr Whence, driven tofore the winds, he is arrived gs Here where his daughter dwells, and on this coast Suppose him now at anchor. The city strived God Neptune’s annual feast to keep, from whence Lysimachus our Tyrian ship espies,
7
10
15
Sc. 20: così in questa edizione; assente in Q; in Malone ACT V. 13. Waves there him lost: così in questa edizione; in Q we there him left (“lì lo abbiamo lasciato”). 14. Whence: così in Steveens; in Q Where = “dove”. 14. Tofore: così in questa edizione; in Q before = “davanti a”. 1202
Shakespeare IV.indb 1202
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 20
BOULT
Bene, vedrò cosa posso fare per te. Se posso sistemarti, lo farò. MARINA
Purché sia tra donne oneste. BOULT
In fede mia, non ne frequento molte. Ma siccome il mio padrone e la mia padrona vi hanno comperata, senza il loro consenso non se ne fa nulla. Perciò li metterò a parte della vostra proposta e non dubito che li troverò abbastanza trattabili. Su, farò per te quello che posso. Vai per la tua strada. Escono. [Viene rimossa l’insegna] Scena 20171 Entra Gower GOWER172
Così Marina sfugge al bordello e capita in una casa onesta, dice la nostra storia. Canta come una creatura immortale e danza come una dea sulle sue ammirate melodie173. Zittisce i sapienti chierici e compone col suo ago le stesse forme di Natura, bocciolo uccello ramo o bacca, al punto che l’arte sua eguaglia le rose naturali. Ciliegie che lei intesse, rosso rubino, in seta, in lino, sono gemelle a quelle vere; tant’è che non le mancano le allieve di nobile casata, le quali riversano su lei ricompense generose, guadagno che lei dà alla dannata tenutaria174. Qui lasciamo lei e rivolgiamo l’attenzione a suo padre nuovamente. Lo lasciammo in mare. Sbattuto dalle onde, sospinto dai venti, è arrivato qui, nel luogo in cui sua figlia vive; presso queste sponde dovete ora immaginare che ha gettato l’ancora. La città è in fermento, si tiene la festa annuale per il dio Nettuno175. Da lì scorge Lisimaco la nave di Tiro, dal vessillo scuro, decorato con
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
His banners sable, trimmed with rich expense; And to him in his barge with fervour hies. gt In your supposing once more put your sight; Of heavy Pericles think this the barque, gu Where what is done in action, more if might, Shall be discovered. Please you sit and hark. Sc. 21
20
Exit
Enter Helicanus [above; below, enter] to him at gv the first door two Sailors, [one of Tyre, the other of Mytilene]
SAILOR OF TYRE (to Sailor of Mytilene)
Lord Helicanus can resolve you, sir. (To Helicanus) There is a barge put off from Mytilene. In it, Lysimachus, the governor, Who craves to come aboard. What is your will? HELICANUS
That he have his.
[Exit Sailor of Mytilene at first door] Call up some gentlemen.
5
[Exit Helicanus above] [SAILOR OF TYRE]
Ho, my lord calls! Enter [from below the stage] two or three Gentlemen; [to them, enter Helicanus] FIRST GENTLEMAN
What is your lordship’s pleasure?
HELICANUS
Gentlemen, some of worth would come aboard. I pray you, greet him fairly. Enter Lysimachus [at first door, with the Sailor and Lords of Mytilene] [SAILOR OF MYTILENE] (to Lysimachus)
This is the man that can in aught resolve you.
20. Fervour: così in Qb; in Qa former. 22. The: così in Malone; assente in Q his = “sua”. Sc. 21: così in questa edizione; assente in Q; in Malone [ACT V.] SCENE I. 1204
Shakespeare IV.indb 1204
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
preziosi fi nimenti; e si affretta con fervore verso l’imbarcazione. Ancora una volta aiutate con lo sguardo l’immaginazione: pensate che dell’afflitto Pericle questo palco sia la nave, dove nell’azione scopriremo ciò che è stato – e se possibile di più. Ora, prego, sedete ed ascoltate. Esce Scena 21176
Entra Elicano [in alto; sotto entrano] dalla prima porta due Marinai [uno di Tiro, l’altro di Mitilene]
MARINAIO DI TIRO (al marinaio di Mitilene)
Il nobile Elicano potrà darvi una risposta, signore. (Ad Elicano) Ci ha accostato un’imbarcazione salpata da Mitilene, con a bordo il governatore Lisimaco, che chiede di essere ricevuto a bordo. Qual è il vostro desiderio al riguardo? ELICANO
Che sia esaudito il suo. [Esce il marinaio di Mitilene dalla prima porta] Radunate alcuni gentiluomini. [Esce Elicano da sopra] [MARINAIO DI TIRO]
Oh! Il mio signore chiama! Entrano [da sotto a palco] due o tre gentiluomini; [entra Elicano e procede verso di loro] PRIMO GENTILUOMO
Cosa desidera la signoria vostra? ELICANO
Nobili signori, sta salendo a bordo una persona di alto rango. Vi prego di dargli giusta accoglienza. Entra Lisimaco [dalla prima porta, con il marinaio e i nobili di Mitilene] [MARINAIO DI MITILENE] (a Lisimaco)
Questo è l’uomo che può rispondere a tutte le vostre domande.
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Shakespeare IV.indb 1205
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
LYSIMACHUS (to Helicanus)
Hail, reverend sir; the gods preserve you!
10
HELICANUS
And you, sir, to outlive the age I am, And die as I would do. LYSIMACHUS You wish me well. I am the governor of Mytilene; gw Being on shore, honouring of Neptune’s triumphs, Seeing this goodly vessel ride before us, I made to it to know of whence you are.
15
HELICANUS
Our vessel is of Tyre, in it our king, A man who for this three months hath not spoken To anyone, nor taken sustenance But to prorogue his grief.
20
LYSIMACHUS
Upon what ground grew his distemp’rature? gx HELICANUS
’Twould be too tedious to tell it over, But the main grief springs from the precious loss Of a belovèd daughter and a wife. LYSIMACHUS
May we not see him? HELICANUS See him, sir, you may, But bootless is your sight. He will not speak To any. LYSIMACHUS Let me yet obtain my wish.
25
HELICANUS
Behold him. [Helicanus draws a curtain, revealing Pericles lying upon a couch with a long overgrown beard, diffused
13. I … Mytilene: così in questa edizione; in Q un simile scambio, in cui Lisimaco si presenta, è posto, in modo innaturale e sospetto, dopo 21, 16: Hell. First what is your place? Ly. I am the Governor of this place you lie before. 21. Grew: così in questa edizione; in Q is = “è”. Frequente è in Shakespeare l’uso del verbo grow in relazione all’evolversi di stati mentali o emotivi. 1206
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
LISIMACO (ad Elicano)
Salve, venerando signore; gli dei vi preservino. ELICANO
E concedano a voi, signore, di superare in anni la mia età e di morire della morte che io desidero per me. LISIMACO
Un buon augurio è il vostro. Io sono il governatore di Mitilene. Ero sulla spiaggia, per i festeggiamenti in onore del dio Nettuno, quando ho visto fare rotta verso di noi il vostro elegante veliero e mi sono diretto qui per sapere da dove provenite. ELICANO
Viene da Tiro il nostro vascello, e a bordo porta il nostro re, un uomo che da tre mesi ormai non parla con nessuno, né più si sostenta, se non per quel poco che vale a prolungare il suo dolore. LISIMACO
Da dove nasce questo suo interno turbamento?177 ELICANO
Sarebbe lungo raccontare e non vorrei tediarvi, ma la sua pena più grande affonda le radici178 nella perdita preziosa dell’amata figlia e della moglie. LISIMACO
Non ci è concesso di vederlo? ELICANO
Vederlo, signore, vi è concesso, ma resterà vano il vostro sguardo. Lui non intende parlare con nessuno. LISIMACO
Esaudite lo stesso il mio desiderio. ELICANO
Guardatelo. [Elicano tira una tenda e mostra Pericle disteso su un giaciglio, la lunga barba incolta, i capelli
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Shakespeare IV.indb 1207
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
hair, undecent nails on his fingers, and attired in sack-cloth] This was a goodly person Till the disaster of one mortal night gy Drove him to this. LYSIMACHUS (to Pericles) Sir, King, all hail. Hail, royal sir. gz
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[Pericles shrinks himself down upon his pillow] HELICANUS
It is in vain. He will not speak to you. LORD OF MYTILENE
Sir, we have a maid in Mytilene I durst wager Would win some words of him. LYSIMACHUS ’Tis well bethought. She questionless, with her sweet harmony And other choice attractions, would alarum ha And make a batt’ry through his deafened ports, hb Which now are midway stopped. She in all happy, hc As the fair’st of all, among her fellow maids hd Dwells now i’th’ leafy shelter that abuts Against the island’s side. Go fetch her hither. he
35
40
[Exit Lord] HELICANUS
Sure, all effectless; yet nothing we’ll omit That bears recov’ry’s name. But since your kindness We have stretched thus far, let us beseech you
29. of: così in questa edizione; in Q that = “che”. 29. night: così in Malone; in Q = “creatura”. 31. All hail: così in questa edizione; in Q all hail, the Gods preserve you = “ogni salute, gli dei vi preservino”. Q ripete qui 21, 10. 36. Alarum: così in questa edizione; in Q allure = “attrazione”. 37. Ports: così in emend. moderni; in Q parts = “parti”. 38. In all: così in questa edizione; in Q is all = “è tutto”. 39. Among: così in questa edizione; in Q and = “e”. 41. Go fetch her hither.: così in questa edizione; assente in Q. 1208
Shakespeare IV.indb 1208
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
sciolti e sparsi, le unghie trascurate, e vestito con un saio di iuta] Quest’uomo aveva una bella figura, poi il disastro di una notte, una sola mortale notte, l’ha condotto sino a questo punto. LISIMACO (a Pericle) Signore, e re, a voi ogni salute. Salute, regale signore. [Pericle si raggomitola sul suo cuscino] ELICANO
È inutile. Non vi risponderà. NOBILE DI MITILENE
Signore, abbiamo una fanciulla a Mitilene che, oserei scommettere, sarebbe in grado di strappargli qualche parola. LISIMACO
È un’ottima idea. Senza dubbio lei, con la sua dolce musica e le sue arti scelte, saprebbe allertare e far breccia in quelle crepe dei sensi ormai sorde e per metà già chiuse. Dotata in tutto, di tutte la più graziosa tra le sue giovani compagne, dimora in quel rifugio ombroso che poggia sulla costa dell’isola. Andate lì e conducetela da noi. [Esce il nobile] ELICANO
Di sicuro non servirà; tuttavia, non tralasceremo nulla che abbia nome di rimedio. Ma siccome la vostra gentilezza verso di noi si è già spinta avanti, permetteteci ancora di chiedervi, in cambio del
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
That for our gold we may provision have, Wherein we are not destitute for want, But weary for the staleness. LYSIMACHUS O sir, a courtesy Which if we should deny, the most just gods For every graft would send a caterpillar, And so inflict our province. Yet once more Let me entreat to know at large the cause Of your king’s sorrow. HELICANUS Sit, sir. I will recount it.
45
50
[Enter Lord with Marina and another maid] But see, I am prevented. LYSIMACHUS
O, here’s the lady that I sent for. — Welcome, fair one. — Is’t not a goodly presence? HELICANUS She’s a gallant lady.
55
LYSIMACHUS
She’s such a one that, were I well assured Came of gentle kind or noble stock, I’d wish No better choice to think me rarely wed. — Fair one, all goodness that consists in bounty Expect e’en here, where is a kingly patient; If that thy prosperous and artificial feat Can draw him but to answer thee in aught, Thy sacred physic shall receive such pay As thy desires can wish. MARINA Sir, I will use My utmost skill in his recure, provided hf That none but I and my companion maid Be suffered to come near him.
60
65
66. Recure: così in emend. moderno; in Q recovery. Il termine solleva alcuni problemi: mentre la dizione di Q, recovery, porta ad un verso metricamente irregolare la variante recure, preferita da questa edizione, anticiperebbe un uso sostantivale del termine non registrato prima del 1626 dall’OED. Shakespeare, come nota Maxwell, usa invece recure come verbo in tre occasioni, in cui, come qui, è sinonimo di recover ma più appropriato dal punto di vista metrico. 1210
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
nostro oro, rifornimento di viveri: non ne siamo del tutto sprovvisti, ma quel che abbiamo è ormai stantio. LISIMACO
Oh signore, è una cortesia, questa, che se vi negassimo, indurremmo gli dei giusti a punirci mandando sulla nostra provincia tante locuste quante sono le nostre piante. Ma lasciate che vi chieda ancora una volta e più diffusamente quale sia la causa delle pene del vostro re. ELICANO
Sedete, signore. Ve lo racconterò. [Entra un nobile con Marina e un’altra giovane] Ma ecco, guardate, mi hanno preceduto. LISIMACO
Oh, ecco la donna che avevo mandato a chiamare – benvenuta, dolce creatura. – Non è di bell’aspetto? ELICANO
Una donna molto fine. LISIMACO
Lo è al punto che, avessi garanzia che ella appartiene a stirpe gentilizia o nobiliare, non mi augurerei miglior scelta, e più preziosa, cui pensarmi unito in matrimonio. – Dolce creatura, aspettati pur qui, dove regale è il paziente, tutto il bene che può derivare da magnanimità. Se i tuoi benèfici mezzi e artifici sapranno trarre da lui risposta alcuna, la tua sacra arte medica179 riceverà ricompensa pari solo al tuo desiderio. MARINA
Signor mio, userò all’estremo ogni mia capacità per guarirlo, purché a nessun altro se non a me e alla mia compagna sia concesso avvicinarlo.
1211
Shakespeare IV.indb 1211
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
LYSIMACHUS (to the others)
And the gods prosper her.
Let us leave her, [The men stand aside]
The Song LYSIMACHUS [coming forward] Marked he your music? [MAID]
No, nor looked on us. LYSIMACHUS (to the others) See, she will speak to him. MARINA (to Pericles) Hail, sir; my lord, lend ear. PERICLES Hmh, ha! [He roughly repulses her] hg MARINA I am a maid, My lord, that ne’er before invited eyes, But have been gazed on like a comet. She speaks, My lord, that maybe hath endured a grief Might equal yours, if both were justly weighed. Though wayward fortune did malign my state, My derivation was from ancestors Who stood equivalent with mighty kings, But time hath rooted out my parentage. And to the world and awkward casualties Bound me in servitude. (Aside) I will desist. But there is something glows upon my cheek, And whispers in mine ear ‘Stay till he speak.’
70
75
80
85
PERICLES
My fortunes, parentage, good parentage, To equal mine? Was it not thus? What say you? MARINA
I said if you did know my parentage, My lord, you would not do me violence.
72.0. He roughly repulses her: così in questa edizione; assente in Q. Seguendo le fonti, molti commentatori segnalano l’esigenza di una brusca reazione di Pericle, che troverebbe conferma nel dialogo che segue (vedi 21, 116). 1212
Shakespeare IV.indb 1212
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
LISIMACO (agli altri)
Lasciamola, e che gli dei le siano propizi. [Gli uomini si dispongono a lato] La canzone180 LISIMACO [facendosi avanti]
Ha dato segno di far caso alla vostra musica? [ANCELLA]
No. Né ci ha rivolto lo sguardo. LISIMACO (agli altri) Guardate. Prova a parlargli. MARINA (a Pericle) Salute, sire. Mio signore, prestatemi orecchio. PERICLE
Hmh, ha!181 [La respinge bruscamente] MARINA
Sono una fanciulla, mio signore, che mai prima d’ora invitò lo sguardo altrui, ma che pure ha avuto occhi su di sé puntati come una cometa. Parla chi, mio signore, potrebbe avere sopportato un dolore pari al vostro, se fossero entrambi equamente soppesati. Sebbene l’avversa fortuna abbia avuto a dispetto la mia condizione, le mie origini sono di antenati di rango equivalente a quello di potenti re; il tempo ha però sradicato il mio casato, e mi ha reso schiava del mondo e degli eventi ostili. (A parte) Vorrei desistere. Ma c’è qualcosa che mi avvampa le guance182 e che mi sussurra all’orecchio ‘Resta sinché non parla’. PERICLE
Le mie fortune, le origini, un buon casato, da far pari ai miei? Non era così? È questo che dite? MARINA
Dicevo che se conosceste quali sono le mie origini, mio signore, non sareste così violento con me.
1213
Shakespeare IV.indb 1213
30/11/2018 09:33:09
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
PERICLES
I do think so. Pray you, turn your eyes upon me. You’re like something that — what countrywoman? hh Here of these shores? MARINA No, nor of any shores, Yet I was mortally brought forth, and am No other than I seem. PERICLES [aside] I am great with woe, and shall deliver weeping. My dearest wife was like this maid, and such My daughter might have been. My queen’s square brows, Her stature to an inch, as wand-like straight, As silver-voiced, her eyes as jewel-like, And cased as richly, in pace another Juno, Who starves the ears she feeds, and makes them hungry The more she gives them speech. — Where do you live?
90
95
100
MARINA
Where I am but a stranger. From the deck You may discern the place. PERICLES Where were you bred, And how achieved you these endowments which You make more rich to owe? MARINA If I should tell My history, it would seem like lies Disdained in the reporting. PERICLES Prithee speak. Falseness cannot come from thee, for thou look’st Modest as justice, and thou seem’st a palace hi For the crowned truth to dwell in. I will believe thee, And make my senses credit thy relation hj To points that seem impossible. Thou show’st
105
110
91. Countrywoman: così in Q6; in Q women = “donne”. 110. Palace: così in questa edizione; in Q Pallas = “Pallade [Atena]”. 112. Make my senses: così in Q4; in Q make senses = “farò [sì che] i sensi”. 1214
Shakespeare IV.indb 1214
30/11/2018 09:33:09
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
PERICLE
Lo penso anch’io. Vi prego, volgete su di me il vostro sguardo. C’è qualcosa in voi come… Di quale terra siete? Di qui, di questi lidi? MARINA
No, né di altri lidi. Eppure sono stata partorita da creatura mortale. E non sono altro da quel che sembro. PERICLE [a parte] Sono gravido di dolore e vorrei liberarmi in pianto. La mia carissima moglie era come questa fanciulla, e tale avrebbe potuto essere mia figlia. La stessa fronte alta della mia regina, la sua statura al centimetro, altrettanto dritta come un giunco, la stessa argentea voce, i suoi occhi di gemma, e così preziosamente incastonati, il suo portamento di novella Giunone, lei che affama le orecchie che nutre, e ancor più le rende desiderose quanto più dona loro parole. – Dove vivete? MARINA
Lì dove non sono che straniera. Dal ponte potete individuare il luogo. PERICLE
Dove siete stata cresciuta e dove avete appreso queste doti che voi rendete più preziose per il solo fatto di possederle? MARINA
Se dovessi dirla, la mia storia parrebbe menzogna e verrebbe sbeffeggiata a raccontarla. PERICLE
Parla, ti prego. Da te non può venire falsità, ché sei d’aspetto modesta come la Giustizia183 e della Verità sovrana184 sembri la dimora. Io ti crederò, e ordinerò ai miei sensi di prestar fede al tuo resoconto anche là dove pare impossibile. Tu davvero assomigli a una per-
1215
Shakespeare IV.indb 1215
30/11/2018 09:33:09
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
Like one I loved indeed. What were thy friends? Didst thou not say, when I did push thee back — hk Which was when I perceived thee — that thou cam’st From good descending? MARINA So indeed I did.
115
PERICLES
Report thy parentage. I think thou said’st Thou hadst been tossed from wrong to injury, And that thou thought’st thy griefs might equal mine, If both were opened. MARINA Some such thing I said, And said no more but what my circumstance hl Did warrant me was likely. PERICLES Tell thy story. If thine considered prove the thousandth part Of my endurance, thou art a man, and I Have suffered like a girl. Yet thou dost look Like patience gazing on kings’ graves, and smiling Extremity out of act. What were thy friends? How lost thou them? Thy name, my most kind virgin? hm Recount, I do beseech thee. Come, sit by me.
121
125
130
She sits MARINA
My name, sir, is Marina. O, I am mocked, And thou by some incensèd god sent hither To make the world to laugh at me. MARINA Patience, good sir, Or here I’ll cease. PERICLES Nay, I’ll be patient. Thou little know’st how thou dost startle me To call thyself Marina. PERICLES
135
115. Say: così in questa edizione; in Q stay = “rimasta”. 122. Circumstance: così in questa edizione, da P.A.; in Q thoughts = “pensieri”. 129. Them?: così in Malone; assente in Q. 1216
Shakespeare IV.indb 1216
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
sona che amavo. Chi erano i tuoi cari? Non hai forse detto, quando ti ho spinto via da me – che è poi il momento in cui ho percepito la tua presenza185 – che discendi da nobili antenati? MARINA
Così ho detto, infatti. PERICLE
Parlami del tuo casato. Tu hai detto, credo, di essere stata sbattuta di torto in oltraggio186, e che pensi che le tue pene potrebbero uguagliare le mie, se fossero rivelate entrambe. MARINA
Qualcosa di simile ho detto, e ho detto non più di quanto i miei casi mi garantiscono essere possibile. PERICLE
Racconta la tua storia. Se, considerato ciò che hai patito, questo si dimostrerà la millesima parte di quel che ho sopportato io, sarai tu un uomo, e io avrò sofferto come una fanciulla. Ma tu davvero sembri la Pazienza che posa lo sguardo sulle tombe dei re e col sorriso sottrae all’agire ogni estrema conseguenza187. Chi erano i tuoi cari? Come li hai perduti? Qual è il tuo nome, dolcissima fanciulla? Racconta, ti supplico. Vieni, siediti accanto a me. Marina si siede MARINA
Il mio nome, signore, è Marina. PERICLE
Oh, ci si prende gioco di me, e tu sei stata inviata qua giù da qualche dio iracondo per far sì che il mondo rida di me. MARINA
Pazientate, buon signore, o mi fermerò qui. PERICLE
No, pazienterò. Tu non sai quale sussulto mi hai provocato a dire che ti chiami Marina.
1217
Shakespeare IV.indb 1217
30/11/2018 09:33:09
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
The name Was given me by one that had some power: My father, and a king. PERICLES How, a king’s daughter, And called Marina? MARINA You said you would believe me, But not to be a troubler of your peace I will end here. PERICLES But are you flesh and blood? Have you a working pulse and are no fairy? Motion as well? Speak on. Where were you born, And wherefore called Marina? MARINA Called Marina For I was born at sea. PERICLES At sea? What mother? MARINA
140
145
MARINA
My mother was the daughter of a king, Who died when I was born, as my good nurse Lychorida hath oft recounted weeping. PERICLES
O, stop there a little! [Aside] This is the rarest dream hn That e’er dulled sleep did mock sad fools withal. This cannot be my daughter, buried. Well. (To Marina) Where were you bred? I’ll hear you more to th’ bottom Of your story, and never interrupt you.
150
MARINA
You will scarce believe me. ’Twere best I did give o’er.ho PERICLES
I will believe you by the syllable Of what you shall deliver. Yet give me leave. How came you in these parts? Where were you bred?
155
149. Aside: così in Malone; assente in Q. 154. Scarce, believe me: così in Malone; in Q scorn, believe me = “ti prendi gioco di me”. 1218
Shakespeare IV.indb 1218
30/11/2018 09:33:09
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
MARINA
Il nome mi fu dato da uno che aveva potere: era mio padre, ed era re. PERICLE
Come, figlia di re, e di nome Marina? MARINA
Avete detto che mi avreste creduto, ma non voglio turbare la vostra quiete. Smetto qui. PERICLE
Ma siete fatta di carne e sangue? Il vostro polso, batte? Non siete uno spirito, vero? Siete pure dotata di movimento? Dite, su. Dove siete nata, e da dove il nome Marina? MARINA
Fui chiamata Marina in quanto nata in mare. PERICLE
In mare? Da che madre? MARINA
Mia madre era figlia di re, e morì alla mia nascita, come la mia buona nutrice Licoride mi ha più volte raccontato tra le lacrime. PERICLE
Oh, fermati un attimo! [A parte] Questo è il più singolare dei sogni con cui l’ottuso sonno si sia mai preso gioco di un triste folle. Costei non può essere mia figlia, che fu sepolta. Bene. (A Marina) Dove siete stata cresciuta? Vi ascolterò ancora, fino alla fine della vostra storia, e non vi interromperò più. MARINA
Difficilmente mi credereste. Meglio sarebbe che io rinunciassi. PERICLE
Vi crederò alla lettera in tutto ciò che vorrete raccontare. Ma concedetemi di chiedere, come siete giunta da queste parti? Dove siete stata cresciuta?
1219
Shakespeare IV.indb 1219
30/11/2018 09:33:10
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
MARINA
The King my father did in Tarsus leave me, Till cruel Cleon, with his wicked wife, Did seek to murder me, and wooed a villain To attempt the deed; who having drawn to do’t, A crew of pirates came and rescued me. To Mytilene they brought me. But, good sir, What will you of me? Why do you weep? It may be You think me an impostor. No, good faith, I am the daughter to King Pericles, If good King Pericles be. PERICLES [rising] Ho, Helicanus! HELICANUS (coming forward) Calls my lord?
160
hp
165
PERICLES
Thou art a grave and noble counsellor, Most wise in gen’ral. Tell me if thou canst What this maid is, or what is like to be, That thus hath made me weep. HELICANUS I know not. But here’s the regent, sir, of Mytilene Speaks nobly of her. LYSIMACHUS She would never tell Her parentage. Being demanded that, She would sit still and weep.
170
175
PERICLES
O Helicanus, strike me, honoured sir, Give me a gash, put me to present pain, Lest this great sea of joys rushing upon me O’erbear the shores of my mortality And drown me with their sweetness! (To Marina) O, come hither,
180
[Marina stands] Thou that begett’st him that did thee beget, Thou that wast born at sea, buried at Tarsus, 164. What will you of me: così in questa edizione; in Q whither will you have me = “dove volete portarmi”. Q ripete la battuta di Marina in 19, 152. 1220
Shakespeare IV.indb 1220
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
MARINA
Il re mio padre mi lasciò a Tarso, fino a quando il crudele Cleone, insieme alla sua perfida moglie, cercò di assassinarmi. Convinse a farlo un farabutto, e questi aveva già sguainata la spada, quando giunse un gruppo di pirati, e mi salvò. Mi portarono a Mitilene. Ma, buon signore, che cosa volete da me? Perché piangete? Forse pensate che io voglia ingannarvi. Ma no, in fede, io sono la figlia del re Pericle – se solo vivesse il buon re Pericle! PERICLE [tirandosi su] Oh, Elicano! ELICANO (venendo avanti) Il mio signore sta chiamando? PERICLE
Tu sei un consigliere nobile e austero, in ogni cosa assai saggio. Dimmi tu se sai chi sia, o chi mai potrebbe essere, questa fanciulla che mi ha portato a piangere. ELICANO
Io non lo so, signore. Ma c’è qui il governatore di Mitilene che ha per lei nobili parole. LISIMACO
Non ha mai voluto parlare della sua famiglia. Se le si domandava, sedeva in silenzio e cominciava a piangere. PERICLE
Oh Elicano, colpiscimi, mio onorato signore, feriscimi, procurami un dolore concreto o questo mare impetuoso di gioia che si sta riversando su di me tracimerà le rive del mio essere mortale e mi trascinerà a fondo con la sua dolcezza. (A Marina) Oh, vieni qui [Marina si alza] Tu che dai vita a colui che ti diede vita, tu che fosti partorita in mare, seppellita a Tarso e ritrovata ancora in mare! – Oh Elicano,
1221
Shakespeare IV.indb 1221
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
And found at sea again! — O Helicanus, Down on thy knees, thank the holy gods as loud As thunder threatens us, this is Marina! (To Marina) What was thy mother’s name? Tell me but that, For truth can never be confirmed enough, Though doubts did ever sleep. MARINA First, sir, I pray, What is your title? PERICLES I am Pericles Of Tyre. But tell me now my drowned queen’s name. As in the rest thou hast been godlike perfect, So prove but true in that, thou art my daughter, hq The heir of kingdoms, and another life hr To Pericles thy father. MARINA [kneeling] Is it no more To be your daughter than to say my mother’s name? Thaisa was my mother, who did end The minute I began.
185
190
195
PERICLES
Now blessing on thee! Rise. Thou art my child. [Marina stands. He kisses her]
200
hs
[To attendants] Give me fresh garments. — Mine own, Helicanus! Not dead at Tarsus, as she should have been By savage Cleon. She shall tell thee all, When thou shalt kneel and justify in knowledge She is thy very princess. Who is this?
205
194. So prove but true in that, thou art my daughter,: così in questa edizione; assente in Q. 195. Life: così in Steveens; in Q like = “simile a”. 200.1. He kisses her: così in questa edizione; assente in Q. Le fonti concordano nel presentare a questo punto un momento di contatto e intimità tra Pericle e Thaisa. In P.A. e in Twine Pericle bacia Thaisa, in Gower la prende tra le braccia. 1222
Shakespeare IV.indb 1222
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
inginocchiati, rendi grazie ai sacri dei con la stessa forza del tuono che ci minaccia, questa è Marina! (A Marina) Qual è il nome di tua madre? Dimmi solo più questo, ché per quanto si possa dar riposo ai dubbi non si hanno mai sufficienti conferme della verità. MARINA
Ma prima, signore, vi prego, qual è il vostro titolo? PERICLE
Io sono Pericle di Tiro. Dimmi però adesso il nome della mia regina, morta annegata. Nello stesso modo in cui nel resto sei stata perfetta come una dea, da’ prova d’esser veritiera in questo, e sarai mia figlia, erede di regni, e nuova vita per Pericle tuo padre. MARINA [inginocchiandosi] Non altro che dire il nome di mia madre serve per essere vostra figlia? Taisa era il nome di mia madre, che finì nello stesso momento in cui ebbi inizio io. PERICLE
E ora, che tu sia benedetta! Alzati. Tu sei la mia bambina. [Marina si alza. Lui la bacia] [Ai servitori] Portatemi delle vesti pulite188. È mia figlia189, Elicano! Non morta a Tarso, come avrebbe dovuto essere secondo il malvagio Cleone. Lei stessa ti dirà tutto, quando tu ti sarai inginocchiato e in tua scienza riconoscerai che è davvero la tua principessa. Chi è costui?
1223
Shakespeare IV.indb 1223
30/11/2018 09:33:10
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
HELICANUS
Sir, ’tis the governor of Mytilene, Who, hearing of your melancholy state, Did come to see you. PERICLES (to Lysimachus) I embrace you, sir. — Give me my robes. [He is attired in fresh robes] ht I am wild in my beholding. O heavens, bless my girl! [Celestial music] hu But hark, what music? Tell Helicanus, my Marina, tell him O’er point by point, for yet he seems to doubt, hv How sure you are my daughter. But what music? HELICANUS My lord, I hear none.
210
PERICLES
None? The music of the spheres! List, my Marina. LYSIMACHUS (aside to the others) It is not good to cross him. Give him way. PERICLES Rar’st sounds. Do ye not hear? LYSIMACHUS Music, my lord? PERICLES I hear most heav’nly music. It raps me unto list’ning, and thick slumber hw Hangs upon mine eyelids. Let me rest. hx
215
220
He sleeps
209.0. He is attired in fresh robes: così in questa edizione; assente in Q. Come è stato notato da commentatori moderni, si tratta di un particolare di grande rilevanza simbolica, paragonabile a Re Lear: Storia 20, 80, Tragedia IV, 5, 80, Antonio e Cleopatra V, 2, 277.1 e al trattamento dei panni di Prospero nella Tempesta. 210.0. Celestial music: così in questa edizione; assente in Q. 212. Doubt: così in questa edizione; in Q doat = “vaneggiare”, “stravedere”. 220. Raps: così in emend. moderno; in Q nips = “pizzica”, “morde”. 221. Eyelids: così in Steveens; in Q eyes = “occhi”. 1224
Shakespeare IV.indb 1224
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
ELICANO
Signore, questo è il governatore di Mitilene, il quale, avendo sentito del vostro stato melancolico, era venuto a farvi visita. PERICLE (a Lisimaco) Vi abbraccio, signore. – Datemi i miei indumenti. [Indossa indumenti freschi] Sono sconvolto da quanto mi sta capitando. Oh cieli, benedite la mia fanciulla! [musica celestiale] Ma ascoltate, che musica è mai questa? Marina mia, raccontate ad Elicano punto per punto, ditegli, giacché egli pare ancora dubitare, quant’è certo che voi siete mia figlia. Ma che musica è questa!? ELICANO
Mio signore, non sento alcuna musica. PERICLE
Non sentite alcuna musica? La musica delle sfere!190 Ascoltate, Marina mia. LISIMACO (a parte, agli altri) Non è bene contrastarlo. Lasciamolo vaneggiare. PERICLE
I suoni più singolari. Non sentite? LISIMACO
Musica, mio signore? PERICLE
Sento la musica più celestiale. Mi rapisce all’ascolto, e sulle mie palpebre aleggia adesso un sonno pesante. Lasciatemi riposare. Si addormenta
1225
Shakespeare IV.indb 1225
30/11/2018 09:33:10
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 21
LYSIMACHUS
A pillow for his head. hy [To Marina and others] Companion friends, If this but answer to my just belief I’ll well remember you. So leave him all. Exeunt all but Pericles Diana [descends from the heavens] DIANA
My temple stands in Ephesus. Hie thee thither, And do upon mine altar sacrifice. There when my maiden priests are met together, At large discourse thy fortunes in this wise: hz With a full voice before the people all, Reveal how thou at sea didst lose thy wife. To mourn thy crosses, with thy daughter’s, call And give them repetition to the life. ia Perform my bidding, or thou liv’st in woe; Do’t, and rest happy, by my silver bow. ib Awake, and tell thy dream.
225
230
235
[Diana ascends into the heavens] PERICLES
Celestial Dian, goddess argentine, I will obey thee. (Calling) Helicanus! Enter Helicanus, Lysimachus, and Marina HELICANUS
Sir?
222. A … friends: così in questa edizione; in Q A pillow for his head, so leave him all. Well my companion friends (“Un cuscino per la sua testa, così lasciamolo tutti. Bene, amici miei compagni”). Questa edizione propone una diversa dislocazione delle tre proposizioni di Q, per una maggiore intelligibilità della battuta, trasponendo so leave him all alla fine. 228-229. At large … voice,: così in questa edizione; assente in Q. Questa edizione ricostruisce, sulla base di Gower e di passi contestualmente affini in Errori, il verso mancante in Q, segnalato dall’assenza di rima per sacrifice e dalla conseguente rottura dello schema metrico. Life: così in Malone; in Q like = “in egual modo”. Rest: così in questa edizione; assente in Q. 1226
Shakespeare IV.indb 1226
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 21
LISIMACO
Un cuscino per il suo capo. [A Marina e agli altri] Amici e compagni, se ciò corrisponde a quel che giustamente credo, mi ricorderò di voi. Dunque, lasciatelo tutti. Escono tutti tranne Pericle Diana [discende dal Cielo]191 DIANA
Il mio tempio sorge in Efeso. Affrettati, va laggiù, e offri un sacrificio al mio altare. Là dove le mie vergini vestali si radunano, racconta distesamente dei tuoi casi, in questo modo: a piena voce, di fronte a tutta la gente, rivela come perdesti tua moglie in mare. Per dar voce a tante pene richiama le tue sventure, e quelle di tua figlia, e ripetile sino a ridar loro vita. Compi tale ufficio in mio onore, o vivrai in pena. Fa’ come ti dico e sarai felice, lo garantisce il mio argenteo arco192. Svegliati, e racconta il tuo sogno. [Diana ascende al cielo] PERICLE
Celeste Diana, argentea dea, ti obbedirò. (Chiama) Elicano! Entrano Elicano, Lisimaco e Marina ELICANO
Signore?
1227
Shakespeare IV.indb 1227
30/11/2018 09:33:10
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
PERICLES
My purpose was for Tarsus, there to strike Th’inhospitable Cleon, but I am For other service first. Toward Ephesus Turn our blown sails. Eftsoons I’ll tell thee why.
240
[Exit Helicanus] Shall we refresh us, sir, upon your shore, And give you gold for such provision As our intents will need? LYSIMACHUS With all my heart, sir, And when you come ashore I have a suit. ic
245
PERICLES
You shall prevail, were it to woo my daughter, For it seems you have been noble towards her. LYSIMACHUS
Sir, lend me your arm. Come, my Marina.
PERICLES
[Exit Pericles with Lysimachus at one arm, Marina at the other] Sc. 22 Enter Gower id GOWER
Now our sands are almost run; More a little, and then dumb. This my last boon give me, For such kindness must relieve me, That you aptly will suppose What pageantry, what feats, what shows, What minstrelsy and pretty din The regent made in Mytilene To greet the King. So well he thrived That he is promised to be wived
5
10
245. Have a: così in questa edizione; in Q have another = “ho un’altra”. 245. Suit: così in Malone; in Q sleight = “stratagemma”. Sc. 22: così in questa edizione; assente in Q. 1228
Shakespeare IV.indb 1228
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
PERICLE
Avevo intenzione di dirigermi verso Tarso, e lì colpire l’inospitale Cleone, ma prima mi aspettano altre azioni. Volgi le nostre vele rigonfie verso Efeso. Poi ti dirò perché. [Esce Elicano] Possiamo, signore, ristorarci sulle vostre coste e, in cambio di oro, approvvigionarci di quanto avremo bisogno? LISIMACO
Con tutto il cuore, signore, e quando sbarcherete a terra, avrò una richiesta. PERICLE
Avrete ciò che chiedete, si trattasse pure della mano di mia figlia, giacché sembra che vi siate comportato nobilmente con lei. LISIMACO
Signore, datemi il vostro braccio. PERICLE
Vieni, Marina mia. [Esce Pericle, dando un braccio a Lisimaco, l’altro a Marina] Scena 22193 Entra Gower GOWER
Quasi tutta scorsa è ormai la nostra sabbia194; un poco ancora, poi: silenzio. Accordatemi però quest’ultimo favore; mi sarebbe di sollievo una tale gentilezza, che opportunamente immaginiate195 che cortei, che imprese, che spettacoli e che canti di giullari e che baldoria allegra il governatore fece fare a Mitilene in benvenuto al re. Riuscì in questo così bene che della bella Marina, gli è promesso,
1229
Shakespeare IV.indb 1229
30/11/2018 09:33:10
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
To fair Marina, but in no wise Till he had done his sacrifice As Dian bade, whereto being bound The int’rim, pray you, all confound. In feathered briefness sails are fi lled, And wishes fall out as they’re willed. At Ephesus the temple see:
15
[An altar, Thaisa and other vestals are revealed] Our king, and all his company. [Enter Pericles, Marina, Lysimachus, Helicanus, Cerimon, with attendants] That he can hither come so soon Is by your fancies’ thankful doom.
20
[Gower stands aside] PERICLES
Hail, Dian. To perform thy just command I here confess myself the King of Tyre, Who, frighted from my country, did espouse The fair Thaisa [Thaisa starts] at Pentapolis. At sea in childbed died she, but brought forth A maid child called Marina, who, O goddess, Wears yet thy silver liv’ry. She at Tarsus Was nursed with Cleon, whom at fourteen years He sought to murder, but her better stars Bore her to Mytilene, ’gainst whose shore riding Her fortunes brought the maid aboard our barque, ie Where, by her own most clear remembrance, she Made known herself my daughter. THAISA Voice and favour — You are, you are — O royal Pericles!
25
30
She falls 31. Our barque: così in questa edizione; in Q us = “noi”. 1230
Shakespeare IV.indb 1230
30/11/2018 09:33:10
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
sarà sposo. Non prima però che sia compiuto il sacrificio, come Diana aveva chiesto. E siccome vi si sta già dirigendo196, io vi prego, non curatevi di ciò che accade nel frattempo197. Le vele sono gonfie della rapidità del volo198, e come formulato così s’avvera ogni desiderio. Guardate: ecco Efeso ed il tempio [Vengono mostrati un altare, Taisa e altre vestali] ecco il nostro re con la sua gente. [Entrano Pericle, Marina, Lisimaco, Elicano, Cerimone e servitori] Ma ch’egli così presto sia arrivato alla vostra fantasia dev’esser grato. [Gower si defila, a lato] PERICLE
Salve, o Diana. Per eseguire il tuo giusto comando qui confesso che sono il re di Tiro che, dalla propria terra in fuga, a Pentapoli sposò la bella Taisa [Taisa ha un sussulto]. La quale morì per mare durante il parto, ma diede alla luce una bambina di nome Marina che, oh dea, ancora veste la tua argentea livrea199. A Tarso fu cresciuta lei presso Cleone, che a quattordici anni tentò di assassinarla, ma le stelle sue benigne la portarono sino a Mitilene e a quelle sponde dove, avendo noi gettata l’ancora, la sorte la condusse a bordo della nostra imbarcazione. Qui con i suoi limpidi ricordi si fece riconoscere da me come mia figlia. TAISA
Voce e aspetto… Voi siete, voi siete… Oh, regale Pericle! Sviene
1231
Shakespeare IV.indb 1231
30/11/2018 09:33:11
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
PERICLES
What means the nun? She dies. Help, gentlemen! if CERIMON Noble sir, If you have told Diana’s altar true, This is your wife. PERICLES Reverend appearer, no. I threw her overboard with these same arms.
35
CERIMON
Upon this coast, I warr’nt you. PERICLES
’Tis most certain.
40
CERIMON
Look to the lady. O, she’s but o’erjoyed. Early one blustering morn this lady ig Was thrown upon this shore. I oped the coffin, Found there rich jewels, recovered her, and placed her Here in Diana’s temple. PERICLES May we see them?
45
CERIMON
Great sir, they shall be brought you to my house, Whither I invite you. Look, Thaisa is Recoverèd. THAISA O, let me look upon him! ih If he be none of mine, my sanctity Will to my sense bend no licentious ear, But curb it, spite of seeing. O, my lord, Are you not Pericles? Like him you spake, Like him you are. Did you not name a tempest, A birth and death? PERICLES The voice of dead Thaisa! THAISA That Thaisa Am I, supposèd dead and drowned. PERICLES [taking Thaisa’s hand] Immortal Dian! ii
50
55
35. Nun: così in questa edizione; in Q mum = “madre”. 42. One: così in questa edizione; in Q in = “in”. 48. Upon him!: così in Malone; assente in Q. 58.0. Taking Thaisa’s hand: così in questa edizione; assente in Q. Questa indicazione dà ragione della battuta in cui Thaisa riconosce l’anello di Pericle. 1232
Shakespeare IV.indb 1232
30/11/2018 09:33:11
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
PERICLE
Cosa intende la sacerdotessa? Muore. Aiuto, signori! CERIMONE
Nobile signore, se avete detto il vero all’altare di Diana, questa è vostra moglie. PERICLE
Veneranda apparizione, no. Con queste stesse braccia l’ho gettata in mare. CERIMONE
Su queste coste, garantisco io. PERICLE
Questo è certo. CERIMONE
Guardate questa donna. Ah, non ha nulla, se non che è sopraffatta dalla gioia. Di primo mattino in un giorno di tempesta questa donna fu buttata su queste sponde. Ho aperto io la bara, vi ho trovato ricchi gioielli, ho rianimato lei e l’ho sistemata qui presso il tempio di Diana. PERICLE
Posso vederli? CERIMONE
Gran signore, saranno portati a casa mia, dove siete invitato. Guardate, Taisa si è ripresa. TAISA
Oh, lasciate che lo guardi! Se lui non è il mio Pericle, la santità cui son votata non mi lascerà prestare licenzioso ascolto ai sensi ma li terrà a freno, a dispetto della vista. Oh, mio signore, non siete voi Pericle? Come lui avete parlato, a lui rassomigliate. Non avete accennato a una tempesta, a una nascita e a una morte? PERICLE
La voce della defunta Taisa! TAISA
Quella Taisa sono io, creduta morta e annegata. PERICLE [prendendo la mano di Taisa] Diana immortale!
1233
Shakespeare IV.indb 1233
30/11/2018 09:33:11
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
THAISA Now I know you better.
When we with tears parted Pentapolis, The King my father gave you such a ring.
60
PERICLES
This, this! No more, you gods. Your present kindness Makes my past miseries sports; you shall do well That on the touching of her lips I may Melt, and no more be seen. — O come, be buried A second time within these arms.
65
[They embrace and kiss]ij MARINA (kneeling to Thaisa)
My heart Leaps to be gone into my mother’s bosom.
PERICLES
Look who kneels here: flesh of thy flesh, Thaisa, Thy burden at the sea, and called Marina For she was yielded there. THAISA [embracing Marina] Blessed, and mine own! ik HELICANUS [kneeling to Thaisa] Hail, madam, and my queen. THAISA I know you not.
70
PERICLES
You have heard me say, when I did fly from Tyre, I left behind an ancient substitute. Can you remember what I called the man? I have named him oft. THAISA ’Twas Helicanus then. PERICLES Still confirmation. Embrace him, dear Thaisa; this is he. Now do I long to hear how you were found, How possibly preserved, and who to thank — Besides the gods — for this great miracle.
75
80
66.1. They embrace and kiss: così in questa edizione, da P.A.; assente in Q. 70.0. Embracing Marina: così in questa edizione, da P.A.; assente in Q. 1234
Shakespeare IV.indb 1234
30/11/2018 09:33:11
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
TAISA
Adesso con più certezza vi riconosco. Quando tra le lacrime lasciammo Pentapoli, mio padre il re vi diede un anello come questo. PERICLE
Questo, questo! Basta, oh dei! La vostra generosità presente rende uno scherzo le mie passate miserie. Mi farete un dono se, toccate le sue labbra, mi concederete di dissolvermi e non vedere altro. Oh, vieni qui. Fatti seppellire una seconda volta tra queste braccia. [Si abbracciano e baciano] MARINA
[Inginocchiandosi di fronte a Taisa] Il mio cuore sobbalza per stringermi al seno di mia madre. PERICLE
Guarda chi si inginocchia qui: carne della tua carne, Taisa, tuo fardello in mare, chiamata Marina perché è lì che venne al mondo. TAISA [abbracciando Marina] Sia tu benedetta, figlia mia! ELICANO [inginocchiandosi davanti a Taisa] Salute, signora, e mia regina. TAISA
Io non vi conosco. PERICLE
Mi avete sentito dire che, fuggendo da Tiro, avevo lasciato al mio posto un vecchio consigliere. Riuscite a ricordare come chiamavo quell’uomo? L’ho nominato spesso. TAISA
Sì, era Elicano. PERICLE
Ancora una conferma. Abbracciatelo, cara Taisa. È lui. Ma adesso desidero sapere come foste trovata, come vi siate mai salvata, e a chi – oltre agli dei – devo esser grato per questo gran miracolo.
1235
Shakespeare IV.indb 1235
30/11/2018 09:33:11
PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
THAISA
Lord Cerimon, my lord. This is the man il Through whom the gods have shown their pow’r, that can From first to last resolve you. PERICLES (to Cerimon) Reverend sir, The gods can have no mortal officer More like a god than you. Will you deliver How this dead queen re-lives? CERIMON I will, my lord. Beseech you, first go with me to my house, Where shall be shown you all was found with her, And told how in this temple she came placed, im No needful thing omitted. PERICLES Pure Diana, I bless thee for thy vision, and will offer in Nightly oblations to thee. — Beloved Thaisa,io This prince, the fair betrothèd of your daughter, At Pentapolis shall marry her. (To Marina) And now this ornament Makes me look dismal will I clip to form, And what this fourteen years no razor touched, To grace thy marriage day I’ll beautify.
85
90
95
THAISA
Lord Cerimon hath letters of good credit, Sir, from Pentapolis: my father’s dead. ip
100
PERICLES
Heav’n make a star of him! Yet there, my queen, We’ll celebrate their nuptials, and ourselves Will in that kingdom spend our following days. Our son and daughter shall in Tyrus reign. —
105
82. Is the: così in emend. moderni; assente in Q. 90. And told: così in questa edizione; assente in Q. 92. I: così in questa edizione; assente in Q. 93. Beloved: così in questa edizione; assente in Q. 101. From Pentapolis: così in questa edizione, ricostruito sulla base di P.A.; assente in Q. 1236
Shakespeare IV.indb 1236
30/11/2018 09:33:11
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
TAISA
Al nobile Cerimone, mio signore. Questo è l’uomo attraverso il quale gli dei hanno mostrato il loro potere, lui potrà sciogliere dal primo all’ultimo tutti i vostri dubbi. PERICLE (a Cerimone) Venerando signore, gli dei non possono avere tra i mortali un ministro che più di voi sia simile ad un dio. Mi racconterete come questa regina, che era morta, rivive? CERIMONE
Lo farò, mio signore. Ma vi prego, prima venite con me a casa mia, dove vi mostrerò tutto ciò che fu trovato con lei, e vi racconterò come venne a stare in questo tempio, non omettendo nulla d’essenziale. PERICLE
Oh casta Diana, benedetta sia tu per essermi apparsa in sogno, ti offrirò preghiere ogni notte. Amata Taisa, questo principe, il gentile pretendente di vostra figlia, la sposerà a Pentapoli. (A Marina) Ora questa chioma che mi fa apparire torvo ridurrò con le forbici a nuova forma, e ciò che per quattordici anni non fu toccato da rasoio renderò di nuovo bello, per ingentilire le tue nozze. TAISA
Il nobile Cerimone ha lettere attendibili, signore, da Pentapoli. Mio padre è morto. PERICLE
Il cielo faccia di lui una stella! Pur là, mia regina, celebreremo le loro nozze e noi stessi spenderemo in quel regno i nostri giorni a venire. Nostro figlio e nostra figlia regneranno a Tiro. Nobile Ce-
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, SCENE 22
Lord Cerimon, we do our longing stay To hear the rest untold. Sir, lead ’s the way. Exeunt [all but Gower] GOWER
In Antiochus and his daughter you have heard Of monstrous lust the due and just reward; In Pericles, his queen, and daughter seen, Although assailed with fortune fierce and keen, Virtue preserved from fell destruction’s blast, Led on by heav’n, and crowned with joy at last. In Helicanus may you well descry A figure of truth, of faith, of loyalty. In reverend Cerimon there well appears The worth that learnèd charity aye wears. For wicked Cleon and his wife, when fame Had spread their cursèd deed to th’ honoured name iq Of Pericles, to rage the city turn, That him and his they in his palace burn. The gods for murder seemèd so content To punish that, although not done, but meant. ir So on your patience evermore attending, New joy wait on you. Here our play has ending.
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Exit
119: Their: così in Q4; in Q his = “sue”. 123. Them: così in Malone; assente in Q. 1238
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, SCENA 22
rimone, abbiamo sin qui trattenuto il desiderio di sentire quanto ancora non è stato raccontato. Signore, fateci strada. Escono [tutti tranne Gower] GOWER
Di Antioco e sua figlia avete voi udito il premio meritato e giusto che riceve la mostruosa lussuria. In Pericle, nella regina sua, in sua figlia avete visto, sebbene l’assalisse – feroce e aspra – la fortuna, la virtù sottratta alla burrasca amara della devastazione e, sotto la guida del cielo, come essa sia infine incoronata di gioia. In Elicano potete individuare bene una figura votata a verità, a lealtà e a fede. Nel venerando Cerimone chiara si mostra la dignità che veste sempre la carità sapiente. Quanto a Cleone perfido e sua moglie, allorché Fama divulgò le malvagie loro azioni contro l’onorato nome di Pericle, la città si rivoltò e accese di rabbia, ed egli con i suoi morì bruciato dentro alla sua reggia. Per l’assassinio parvero così gli dei contenti d’aver punito ciò che, pur non fatto, era negli intenti. Confidando ancora nella pazienza vostra, vi lascio a nuova gioia. Qui finisce la commedia nostra.
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PERICLES, PRINCE OF TYRE, ADDITIONAL PASSAGES
ADDITIONAL PASSAGES Q gives this more expansive version of Marina’s Epitaph (18.34-7): ‘The fairest, sweetest, best lies here, Who withered in her spring of year. She was of Tyrus the King’s daughter, On whom foul death hath made this slaughter. Marina was she called, and at her birth Thetis, being proud, swallowed some part o’th’ earth; Therefore the earth, fearing to be o’erflowed, Hath Thetis’ birth-child on the heav’ns bestowed, Wherefore she does, and swears she’ll never stint, Make raging batt’ry upon shores of flint.’
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PERICLE, PRINCIPE DI TIRO, AGGIUNTE AL TESTO
AGGIUNTE AL TESTO Q presenta una versione più lunga dell’epitaffio di Marina letto da Gower in 18, 34-37: La più bella e dolce, la migliore giace qui, che in primavera dei suoi anni appassì. Del re di Tiro era la figlia, di lei la morte orrenda fece martirio Marina era chiamata e Teti quando nacque per l’orgoglio parte della terra inghiottì con l’acque; così la terra, temendo d’esserne allagata, la figlia di Teti al cielo volle donare e perciò lei dà furiosa guerra ai litorali e giura che ciò mai lesinerà di fare.
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The Winter’s Tale Racconto d’inverno Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di FRANCO MARENCO
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Nota introduttiva
Il Racconto d’inverno presenta una singolarità, tanto vistosa quanto misconosciuta: i personaggi centrali, i veri protagonisti, sono molto più oggetto che soggetto di discorso. Sono due personaggi femminili, Ermione nella prima parte e Perdita nella seconda, che condividono in modo simmetrico questa particolare e innovativa funzione: tutta la storia, tutte le conversazioni e i ragionamenti gravitano intorno alle loro personalità, ma concise sono le battute con cui è loro dato di rispondere all’attenzione degli altri personaggi e quindi del pubblico, in un testo comunque prolisso, se non ridondante – come succedeva appunto nei “racconti d’inverno” intorno al fuoco (ben diversamente funzionale era lo speechless dialect, l’eloquenza senza parole, di cui era accreditata Isabella in Misura per misura [I, 2, 171]). Ermione è una regina che il marito, re di Sicilia, accusa di adulterio in modo tanto infamante quanto cervellotico e infondato. Nel processo che l’attende, lei subito intuisce che a difenderla non potranno essere le parole, che spenderà soltanto in una tanto essenziale quanto vana difesa: Poiché quanto ho da dire non può che contraddire l’accusa, e la mia testimonianza non venire da alcuno se non da me stessa, non mi gioverà proclamarmi “non colpevole”. Essendo la mia integrità bollata di falso, così sarà ricevuta quando ne darò conto… (III, 2, 20-24).
Per lei parlerà Paolina, una dama di compagnia che si direbbe creata per far risaltare la laconicità della regina: sue le pungenti rampogne rovesciate sul geloso sovrano, il quale, ben attento a chi spetti il dominio 1245
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della parola – “che bisogno abbiamo di discutere con voi, piuttosto che seguire il nostro potente impulso?” (II, 1, 163-65) – la ripaga con uno sprezzante “baldracca linguacciuta” (II, 3, 92), che lo elegge a un posto di rilievo fra i tanti maschi shakespeariani denigratori di donne (es.: 3 Enrico VI, V, 5, 43). L’altra eroina è Perdita, la principessa creduta dispersa (da cui il nome), che ricompare sedicenne al centro di una festa campestre innamorando tutti, rustici e nobili, con la grazia della gioventù e la naturalezza propria dell’ambiente pastorale che l’ha allevata. Anche Perdita sa che le parole hanno un che di definitivo, e perciò pericoloso: sono gli irrevocabili strumenti dei potenti contro gli umili. Al principe di Boemia che le dichiara il suo amore lei risponde che lui non avrà scelta, quando i sentimenti dovranno fare i conti con l’autorità del re suo padre, custode del pregiudizio di casta: “… la sua parola farà cambiare idea a voi, o a me la vita” (IV, 4, 35-40); e così Perdita stessa denuncia la propria imperizia retorica, anzi linguistica: “Io non so parlare così bene, no, proprio per nulla, né, per giunta, farmi capire…” (IV, 4, 378-81). Da parte sua il re di Boemia, da buon patriarca guastafeste, confermerà rudemente al figlio il suo veto a ogni cedimento della legge del “sangue”, e con esso la diffidenza di Perdita verso l’eloquenza tout court: Quanto a te, mentecatto, se mai verrò a sapere che stai a sospirare perché, come io pretendo che avvenga, questa cosetta l’hai perduta per sempre, noi ti escluderemo dalla successione, non ti riterremo del nostro sangue, no, non della nostra progenie, su su fino a Deucalione! Fai bene attenzione alle mie parole, e seguimi a corte. (IV, 4, 426-32).
La dice lunga il legame istituito nell’ultima frase, fra i dettami dell’autorità e la corte signorile, sede privilegiata del loro esercizio e verifica, sovrastante il resto del mondo della comunicazione. Non servirà a Perdita constatare una volta di più che a nulla valgono le parole quando siano pronunciate da un gradino inferiore della scala sociale, e, per colmo di inadeguatezza, maldestramente: Quante volte vi ho detto che sarebbe finita così? Quante volte ho detto che il mio buon nome non avrebbe resistito quando fosse esposto così? (IV, 4, 474-76). 1246
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NOTA INTRODUTTIVA
Sono riflessioni rilevanti non solo per il mondo fittizio del Racconto, ma anche, e soprattutto, per l’atteggiamento di Shakespeare nei confronti degli stessi strumenti che ha impiegato a piene mani durante gli anni magici della sua carriera. Lo struggimento che investe l’una e l’altra protagonista troverà risarcimento nei due atti finali: il quarto, con l’entrata in scena di Perdita ammirata reginetta della festa rurale, funziona da preambolo “primaverile” al risveglio dei sentimenti e alla ripresa della vita; il quinto costituisce l’epilogo dell’intera vicenda mostrando una seconda rinascita, o meglio “resurrezione”, quella di Ermione nell’ambiente cortigiano che l’aveva condannata e che ora l’accoglie con profonda sorpresa, pronta a convertirsi in gaudio e devozione. Torna così il confronto fra genere pastorale e genere eroico, come nella maggiore letteratura rinascimentale, e come anche gli spettacoli popolari cercavano ingenuamente di imitare. Ma si faccia attenzione alla parte riservata a quelle fragili icone di bellezza e virtù che i due generi rivali rappresentano: al centro del quadro agreste, col facile riferimento al folclore, sta Perdita, “la cui grazia è cresciuta di pari passo con l’ammirazione che riscuote” (IV, 1, coro, 24-25); l’intera comunità l’ammira, e ne sono ammaliati persino coloro cui fanno ombra i supposti suoi umili natali: lei è “la più graziosa forosetta che mai abbia corso per i prati” (IV, 4, 156-57), “la regina delle prelibatezze” (IV, 4, 161), e anche per i suoi detrattori un “frutto di squisita stregoneria” (IV, 4, 422-23), un “incantesimo” (IV, 4, 434), e poi ancora this paragon (V, 1, 152), che per noi diventa, liberamente, “questo capolavoro”: alta sul piedistallo dell’incanto universale, la sua giovane figura evoca la statica luminosità di un’immagine mitica, non la facondia di una oratrice provetta. E quella celeberrima difesa della natura che lei pronuncia in opposizione al propugnatore dell’arte, il re dotto e insensibile, suo contraddittorio antagonista, si compone di quattro o cinque squisite battute, in cui non c’è eloquenza ma gestualità – “Benvenuto signore. Porgimi quei fiori, Dorca…” (IV, 4, 72-73) – e ci sono cose, i fiori che offre agli astanti e che nomina uno per uno: “lavanda aromatica, menta, santoreggia, maggiorana, la calendula che va a letto col sole, e con lui si apre stillando lacrime…” (IV, 4, 104-106). Tutto è semplice, al limite dell’indice di un erbario: non c’è bisogno di elaborazione. E non sarà diversa l’apoteosi di Ermione, anzi sarà ancor più straordinaria e stupefacente: sul palcoscenico non la vediamo irrompere lieta e animata, eloquente come può esserlo una don1247
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na felicemente restituita al suo ruolo, ma la contempliamo in una sorta di “fermo immagine”, in prospettiva esclusivamente visuale, troneggiante e muta come una statua – da tutti, sulla scena e in platea, percepita come tale –. Una ferma, cristallina rappresentazione della follia che l’ha oltraggiata, ma anche della natura capace di resistere, dell’arte che trasfigura la realtà – finché il suo corpo e la sua anima non si scioglieranno da statua a creatura palpitante, una suprema finzione nella finzione, capace di conciliare tutte le antitesi della storia. Questa è la conclusione con cui Shakespeare arriva a risolvere la disputa su natura e arte, fra dottrina regale e saggezza popolare, conciliando ogni antitesi nella suprema sintesi di un teatro che si sta rinnovando alla radice. Per la prima volta, una geniale trovata registica si basa su un lungo, immobile silenzio della protagonista; un’illusione che funziona come ritorno alla piena realtà. Non diversamente da quanto succede nel Macbeth e nel Coriolano, di poco precedenti al Racconto, qui il significato complessivo non si appoggia più unicamente sullo scambio verbale, a volte convenzionale e logoro, ma cerca un sempre più esclusivo puntello nell’intreccio drammatico, cioè negli eventi, nelle illuminazioni e soprattutto nelle sorprese che il teatro sarà capace di inventare e mettere in scena: insomma, nello spettacolo che scuote le emozioni, più che nelle parole che stimolano l’intelletto; agli spettatori il compito di integrare tali fattori. Sarà solo l’insieme dei fattori, solo lo spettacolo in quanto tale, a decidere l’efficacia comunicativa di una condanna o di una salvazione, di un’agnizione o di un disconoscimento, insomma dei destini collettivi, dentro e fuori del palcoscenico. E per noi, come garantisce qualsiasi compagnia teatrale a noi contemporanea, la vicenda sarà tanto meno comprensibile quanto più remota dalla nostra percezione resterà l’azione scenica. Solo il teatro, culmine dell’arte dell’invenzione, sarà capace di esaltare in tutta la sua evidenza, anzi di premiare con un improvviso, mirabolante e consolante trionfo, l’attesa per il “ritorno a casa” di Ermione e Perdita. È il teatro che domina, maneggia, sovverte il linguaggio, e non viceversa: il contrario di quanto capita a tanti scrittori inglesi contemporanei, diciamo post-Joyce, che amano molto scrivere e poco raccontare. Contro chi, come George Steiner, esaltava l’“irremovibile fiducia” di Shakespeare nella parola (Linguaggio e silenzio, 1967), già in anni lontani ci fu chi, come Anne Barton, lo avvicinava ai drammaturghi dell’ultimo Novecento – con Cechov come antesignano – nei quali, “in certi momenti”, 1248
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il linguaggio smarrisce la sua connettività, per diventare “critica del suo stesso successo” (Shakespeare and the limits of language, 1971). E si ascolti ancora il suggello impresso sul finale gioioso del dramma, quando la scena del riconoscimento e della riconciliazione generale viene decantata, ai personaggi che non erano presenti, in termini tipicamente teatrali: “Vi siete persi uno spettacolo tutto da vedere: non lo si può descrivere a parole”… (V, 2, 42-43). Proseguendo su questo motivo: se cerchiamo di trovare i modi e le cause dello scompenso fra la rilevanza tematica e la moderazione dialettica nelle due protagoniste dobbiamo riflettere su una serie di sviluppi che tocchiamo più estesamente nella introduzione generale, senza dimenticare però che si tratta di due donne: nell’ultimo decennio la critica ha dato giusto risalto alla svolta riscontrabile nell’ultima produzione shakespeariana, che consiste non solo nel rifiuto della trama sobria e ineluttabile della tragedia per abbracciare le sempre rinnovate, sorprendenti e consolanti peripezie del romanzo, ma altresì nell’investitura della figura femminile come arco portante della struttura drammatica; la figura femminile e i valori ad essa connessi, considerati da gran parte della cultura inglese del tardo Rinascimento come secondari quando non deleteri per il bene comune: l’ornamento, la fantasia, la benevolenza, l’arte, e soprattutto le narrazioni, lette dalla minoranza delle istruite, o ascoltate intorno al fuoco – o, in misura sempre più rilevante, in gremitissimi teatri – dalla grande maggioranza delle illetterate. Queste le novità per cui la parte della società più legata alla riforma della religione e dei costumi nutriva ostilità, ma che Shakespeare coltivò con grande assiduità nei suoi ultimi anni. C’è davvero un abisso fra la concezione di una torva dominatrice di uomini come Lady Macbeth – “E ora a voi, spiriti che ispirate i pensieri funesti. Strappatemi il mio sesso e riempitemi dalla testa ai piedi della più inflessibile crudeltà…” (I, 5, 39-40) – o di una suprema ammaliatrice e traditrice di imperatori come Cleopatra – “se è davvero amore, dimmi quanto è grande…” (I, 1, 14) – e quella di una sposa serena che declina la fedeltà in chiave metafisica come Ermione – “Leonte, voi ben sapete che non vi amo neanche un rintocco di orologio di meno di una dama del tutto devota al suo signore” (I, 2, 42-44) – o quella di una splendida creatura che illumina l’ambiente circostante come Perdita, “non pastorella ma la dea Flora, che si rivela all’inizio di aprile” (IV, 4, 2-3). Al di là dei loro involontari andirivieni nella gerarchia sociale, una 1249
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madre e una figlia, il passato e il futuro, disegnano una sequenza tanto inaspettata quanto armoniosa, senza valersi e anzi tenendosi lontane dalla solenne facondia che è propria di tanti eroi shakespeariani. Tutto ciò certamente comporta una revisione critica che l’ultimo Shakespeare imposta nei confronti del primo, ma non solo: come vedremo, è anche una critica degli stessi strumenti che in quest’ultima fase più gli servono a mettere in prospettiva quelli precedenti, illuminando così un caratteristico atteggiamento che egli mantiene nei confronti di tutto il panorama letterario del suo tempo. Data e trasmissione del testo La composizione del Racconto deve precedere il 15 maggio 1611, giorno in cui Simon Forman, un occultista e astrologo londinese, lo vide rappresentato al Globe annotandone la trama in un diario. Inoltre, il riferimento interno a un balletto di tre “uomini pelosi che si fan chiamare sàltiri – storpiatura di “satiri” – e, a quanto dicono, hanno ballato davanti al re” (IV, 4, 322 e 335) può far pensare alla presa in giro di spettacoli molto sofisticati come The Masque of Oberon di Ben Jonson (con Inigo Jones per gli scenari e Alfonso Ferrabosco per la musica), messo in scena a corte il primo gennaio di quell’anno; presa in giro che la compagnia di Shakespeare avrebbe inserito per divertire i groundlings, assiepati in platea, ai danni di ambienti socialmente superiori e di attori e autori sussiegosi (come poteva essere Jonson), secondo lo spirito satirico che aveva già mietuto vittime illustri nella “guerra dei teatri”. Confrontando lo stile del Racconto d’inverno con quello del coevo Cimbelino, i curatori dell’edizione Oxford assegnano il primo al 1609-10 e il secondo al 1610-11. La prima edizione a stampa del Racconto, che resta a base della nostra, apparve nel First Folio del 1623, sostanzialmente confermata negli infolio successivi, del 1632 (F2), 1663-64 (F3), 1685 (F4). Alcuni studiosi hanno formulato una poco seguita “teoria della revisione”, per cui certi passi e tutto il finale sarebbero frutto di un inserimento tardo: farebbe parte di questi ripensamenti e aggiunte la scena più spettacolare del dramma, la comparsa finale di Ermione come statua e il suo “risveglio” – che non vengono menzionati nel diario di Forman –, oltre a quelle del balletto degli uomini in pelliccia in IV, 4, 340 – che poco si accorda con il dialogo circostante – e dell’orso che insegue Antigono in III, 1, 85 sgg. – anch’esso fonte di qualche perplessità strutturale. Non mancano 1250
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nel testo che ci è pervenuto anomalie come la discontinua fedeltà alla fonte, o l’incompletezza dell’oracolo di Apollo in III, 2, 132-35, cose peraltro non inusuali in Shakespeare. Le fonti e il loro genere La fonte primaria è un “romanzo” – come in tutto questo volume, romance e non novel – di Robert Greene, prolifico narratore e drammaturgo che aveva misurato la distanza fra sé, laureato a Cambridge, e uno Shakespeare agli esordi, definendolo come “un corbaccio venuto su dal nulla che si fa bello con le nostre piume: un cuore di tigre agghindato da attore”. Greene aveva pubblicato Pandosto, The Triumph of Time nel 1588, un racconto tipicamente infarcito di debiti ed echi dalla letteratura classica e pastorale, in primo luogo dalle Etiopiche di Eliodoro e da Dafne e Cloe di Longo Sofista. Del romanzo Shakespeare segue l’intreccio piuttosto fedelmente, ma cambia i nomi dei personaggi – tra gli altri, Florizel per Dorastus e Perdita per Fawnia – e le ambientazioni: la corte di Boemia per quella di Sicilia, e viceversa. Più notevolmente, reinventa le sorti della coppia dei regnanti: in Pandosto la regina Bellaria muore per il dolore che le procura l’ingiusta accusa, e il re si suicida alla fine; nel Racconto d’inverno la regina Ermione ricompare come statua che ritorna in vita per la gioia generale, mentre il re Leonte, consapevole del proprio tragico errore, si ravvede e riconcilia con colei che ha follemente ingiuriato. L’agnizione della principessa dispersa conclude le due opere, celebrando così il Tempo che controlla e inaspettatamente risolve i problemi creati dagli uomini; mentre del tutto nuovi, a parte pochi lineamenti di figure minori, risultano il ruolo e la funzione del grande Autolico, incursore “interculturale” nel mondo fatato dell’ultimo Shakespeare. Più che in ogni altro testo shakespeariano, il fascino del Racconto dipende da questo interpellare e mescolare tradizioni diverse. Tutto ciò che in Pandosto appare scontato o sciatto, “romanzesco” nel senso più vieto, nel Racconto acquista vita e magico splendore dal senso della trasfigurazione creaturale che caratterizza la mitologia classica, e che viene celebrato in particolare da Ovidio. Particolarmente le Metamorfosi sono le intime fonti dell’ispirazione poetica di tutto il dramma, immerso com’è in un continuo, e inizialmente incomprensibile, trascorrere di nature, disposizioni e qualità diverse addirittura nei loro opposti – un espediente molto in auge nella letteratura inglese del periodo, poco incline alle esplorazio1251
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ni psicologiche – fino al magico finale in cui si compenetrano davvero la rigida pietra e il corpo vivente: l’animarsi della statua di Ermione risponde al delicatissimo atto d’amore con cui Pigmalione infonde la vita nella sua eburnea creatura (X, 243-297), mentre la vicenda di Perdita dispersa nella cupa stagione dello smarrimento e recuperata nel pieno risveglio della natura richiama la ciclicità delle stagioni e dunque il mito di Proserpina (V, 391 sgg.), che il personaggio stesso invoca (IV, IV, 116); e la fatidica ammonizione di Paolina a Leonte nel momento in cui lui sta per riabbracciare, viva, la sua Ermione – “non lasciarla finché non la vedrai morire di nuovo, la uccideresti due volte” (V, 3, 105-107) – produce il suo pieno effetto se accostata ai versi sulla perdita definitiva di Euridice da parte di Orfeo: “hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi / flexit amans oculos: et protinus illa relapsa est”… (X, 56-57); per non dire di Autolico, cospicuo innesto della fonte classica (XI, 301-317) e, più arcaico ancora, dell’antropologia primordiale sul tronco del sottobosco di cultura rurale e suburbana dell’Inghilterra protomoderna. La vicenda (con un personaggio speciale) Non c’è molto da aggiungere a quanto si è già detto, ma è interessante che il Racconto si svolga sotto l’ombra di un altro racconto, che il ragazzo Mamilio, figlio di Ermione e Leonte, si appresta a narrare all’inizio, ma che non finirà: quella sua storia “triste, di spiriti e folletti, adatta all’inverno” (II, 1, 27-28) non sarà mai udita da nessuno, perché Mamilio non compare più in scena, e anzi di lui viene annunciata la morte per il dolore di quanto è capitato alla madre (III, 2, 141-142 e 193-197). Al suo posto troviamo invece il più consapevole “racconto” che viene recitato sulla scena, anch’esso di tonalità “invernale”, anch’esso dominato dalla tristezza e dal gelo scatenati dalla gelosia irragionevole che spinge un marito e padre fino all’estremo di ripudiare una sposa virtuosa e bandire la figlia neonata, ordinando che venga abbandonata perché muoia di stenti. Ciò conduce a una morte ulteriore, quella del cortigiano Antigono incaricato di eseguire la sentenza sulla povera bambina: dalla Sicilia Antigono giunge sulle sponde della Boemia (la geografia del Bardo non pecca mai di precisione…), vi abbandona il fagotto con la piccola e viene subito sbranato da un orso, mentre la nave che li ha trasportati affonda nell’uragano con tutto l’equipaggio. Due rozzi contadini ritrovano la neonata e con essa dell’oro che accolgono come un segnale del cielo. Dallo sfondo terrorizzante della 1252
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NOTA INTRODUTTIVA
Sicilia si passa così allo sfondo arcadico e incantato di una Boemia primitiva, aprendo alla qualità insieme terrestre, naturale, ma anche favolosa e sognante, degli eventi finali. Diviene evidente il contrasto fra i primi tre atti inequivocabilmente tragici e gli ultimi due altrettanto decisamente “comici” (ciascuno con debiti sul versante opposto). Il discrimine fra queste due parti si disegna in III, 2, 131-135, quando l’oracolo di Apollo, espediente romanzesco fra i più “classici”, decreta l’innocenza di Ermione e la perversa ingiustizia di Leonte, scatenando il rimorso di quest’ultimo, tanto tardivo quanto inutile perché immediatamente seguito dalla notizia della morte di Mamilio e da quella (apparente) di Ermione. Da quel momento, dal fondo di infelicità in cui è precipitato, l’intreccio risale verso un orizzonte più positivo, sospinto dall’incursione in un mondo antitetico alla corte, quello contadino con i suoi riti secolari e con le sue comiche ingenuità e cialtronerie. Vi emerge la straordinaria figura di un rogue, furfante tagliaborse e venditore ambulante di ballate, ma anche cantore arguto e mezzo poeta, e soprattutto attore, campione di travestimenti, inganni e finzioni, di recite all’infinito, insomma emblema di un teatro nient’affatto garbato, erede di sanguigne tradizioni popolari e dotte insieme: è Autolico, che si vanta della protezione di Mercurio, il dio dei ladri e dei mercanti, e che inaugura una serie di beffe sotto travestimento, truffando il Contadino e, per colmo di istrionica irrisione, accusando del colpo… il se stesso “reale” bifolco! Il rogue diventa così una figura chiave dell’intreccio arcadico e della metateatralità che domina i due lunghi atti finali. Si celebra la festa della tosatura, ovvero l’avvento della primavera: Perdita, ora una sedicenne di ignoti natali cresciuta dai pastori, ne diviene la regina per acclamazione generale; il principe Florizel le dichiara il suo amore, il re Polissene ingaggia con lei una filosofica discussione sugli opposti valori della natura e dell’arte, finché contro ogni prospettiva d’amore e di gioia non insorge il pregiudizio di casta: allarmato dalla reciproca attrazione del principe e della pastorella, Polissene rovina la festa a tutti trattandoli da traditori del proprio sangue. Resta impietrito il ribelle Florizel, ma viene subito rianimato dal progetto del nobile Camillo, di fuggire con la “fidanzata”. Non manca l’ennesimo travestimento: Florizel scambia i propri vestiti con Autolico, Perdita si camuffa da uomo. Tutti si imbarcano per la Sicilia, mentre Autolico, atteggiandosi ad altezzoso cortigiano, tenta di truffare ancora una volta il Contadino e il Vecchio pastore: l’imbroglio 1253
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sembra assecondato dalla credulità delle vittime, ma incappa nelle maglie della risoluzione finale. Il mariolo riflette fra sé e sé sui vantaggi e gli svantaggi della sua attuale situazione, ovvero sulla mescolanza di onestà e disonestà nella quale lo costringe l’intreccio che si è fatto complicato, ma alla fine dovrà arrendersi agli eventi che lo spogliano delle sue vanterie, premiando invece quella che le trame romanzesche stentano sempre a premiare, la dabbenaggine dei rustici che, rincuorati e socialmente promossi, ora lo tiranneggiano. Saranno invece totalmente premiate le attese del pubblico che assiste al mirabolante finale: si riconciliano Leonte e Polissene, i due antichi amici separati da sedici lunghi anni per un torvo e vano sospetto; finiscono le peripezie di Perdita, che viene riconosciuta per quello che è; Ermione ricompare nella forma più straordinaria che sia dato di incontrare, una statua che scende dal suo piedistallo per tornare a condividere la passione e la felicità dei vivi. Si realizza una scena alfine completa, non più soltanto “da vedere” ma da ripetere e da continuare con nuove narrazioni, grazie a una parola ritornata piena, decisiva: come in tutte le maggiori opere di Shakespeare, la rappresentazione non si conclude con il finale in un’arena o in una sala, ma viene rimandata a un infinito futuro: all’ansia di Ermione, che vuole anche lei un resoconto delle vicende cui noi abbiamo appena assistito, Paolina risponde: “Ci sarà tempo per questo, altrimenti saremmo indotti a turbare la vostra gioia con un simile racconto” (V, 3, 129-131). È quindi un racconto che si conclude per subito proiettarsi su un di là da venire, nei tanti Racconti d’inverno che saranno messi in scena nel tempo, per le nostre apprensioni, per la nostra maturazione e il nostro godimento. Per celebrare ancora una volta il teatro, e con quello il tempo che dominava la sua fragile origine romanzesca, il Pandosto, trionfo del Tempo di Greene. Quel “trionfo del Tempo” diventa il trionfo del Teatro. Prospettive critiche Come abbiamo avvertito nell’introduzione generale, una disputa che ha occupato a lungo la critica, purtroppo poco o nulla produttiva, era rivolta ad appurare quale fosse il genere nel quale classificare i drammi, soprattutto gli ultimi, tutti “casi speciali”… Il più speciale era il Racconto d’inverno, dove il problema è ingigantito dalla netta divisione del testo in due parti, tragica nei primi tre atti, e comica negli ultimi due. Si tratta dunque di una tragicommedia un po’ raffazzonata, i cui frammenti man1254
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dano all’aria l’aureo criterio dell’opera unitaria? Molti, fra cui alcuni valenti nostri predecessori, si sono accaniti su questa definizione, ma a noi, per evitare ogni vano accanimento, bastano le parole del Vecchio pastore al Contadino, proprio sulla soglia fra la prima e la seconda parte: “Tu incroci cose che muoiono, io incrocio cose che nascono” (III, 3, 104-5). Assistiamo cioè a un avvicendamento, uno schema voluto. Il Contadino ha appena assistito alla morte di Antigono e della nave, ultimo ritaglio di tragedia dell’intero testo, mentre il Vecchio pastore ha appena trovato il fagotto lasciato a terra da Antigono, con dentro il principio stesso del rasserenamento e della gioia: la “primaverile” neonata che sarà poi principessa amata da tutti, Perdita. Ecco che cosa “incrociano” i due umili personaggi (come tanti altri umili personaggi shakespeariani, ottimi e spesso unici rivelatori delle verità implicite nell’intreccio): la nascita di un nuovo modo di fare teatro, sulle ceneri di un modo vecchio, superato. Shakespeare era ben consapevole di appaiare due buoi molto diversi e riluttanti a tirare insieme il carro dell’intreccio, ma è proprio questo cui mirava: era la scelta di creare una svolta, uno stacco prepotente che disperdesse le nubi pesanti della prima parte, e schiarisse l’atmosfera grazie all’immissione di imprevedibili, magici estri romanzeschi. Così facendo designava l’ambiente cortigiano come luogo di tragedia e di morte, e l’ambiente pastorale come luogo di commedia e di vita. Più fruttuose le ricerche sui rapporti profondi fra il Racconto e la cultura inglese del primo Seicento, che possiamo distinguere in due tronconi, quello dell’antropologia e sociologia teatrale, e quello dell’influenza della letteratura classica. Nel primo ambito acquistano rilevanza i lavori sui vari aspetti della cultura popolare emergenti sulla scena (Barber, Bethell, Weimann 1968, Patterson, Laroque, Brown e Marotti, McMillin e MacLean, Dawson e Yachnin, Holland e Orgel), sulle tensioni e contrasti fra teatro e ideologie religiose (Dawson, Collinson, Diehl, Hornback, Walsh), sulla messa in opera dei drammi, cioè sulla performance cui andavano le attenzioni dei drammaturghi in misura ben maggiore di quanto si sia finora osservato, e pari se non superiore alla cura dei testi scritti cui evidentemente le tecniche mimetiche restavano “alleate” (Weimann 1996, 2000, 2008). Particolare interesse è andato alle rinnovate risorse della recitazione vocale e gestuale, della musica, dei costumi, dei vari espedienti illusionistici fra cui gli speciali macchinari scenici (Gurr 1980, 2000) e all’adeguarsi delle compagnie alle nuove forme di spettacolo 1255
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(Bentley, Gurr 2004), con attori specializzati in ruoli specifici (Yachnin, Badir). Tutte attività, queste, capaci di richiamare categorie di pubblico sempre più estese ed eterogenee, e addirittura decisive per il gusto e il carattere stesso delle rappresentazioni (Harbage, Cook, Gurr 1996, Greenblatt, Bristol, Montrose, N. Myhill e J. A. Low, Knutson, Böcker), fra cui in forte crescita l’elemento femminile (Hackett); e non ultima la notevole svolta impressa dall’autore al suo stile, in apparenza molto più inquieto e irregolare che agli inizi, perché rivolto al momento della recitazione, non certo a quello della lettura (McDonald, Moseley): un percorso che dimostra come il processo di inclusione di un “semplice teatrante” fra i grandi della letteratura mondiale sia stato complesso e per nulla ovvio, data la distanza che esisteva, e avrebbe continuato ad esistere per molto tempo, fra “teatro”, fenomeno allora eminentemente popolare, e “letteratura”, fenomeno allora eminentemente elitario (Henderson). Con i piedi ben piantati tanto nel costume popolare quanto nelle radici classiche dobbiamo collocare il grande personaggio di Autolico, creazione tutta shakespeariana che deriva il nome dalla tradizione omerica di cui mena vanto (IV, 4, 24), ma al contempo impersona l’anima istrionica del folclore – quello inglese ma anche quello europeo se pensiamo alla popolarità degli Zanni, di Arlecchino, del picaro, o all’opera del Ruzzante – grazie all’astuzia, alla voglia di vivere e alla cialtronesca simpatia del vagabondo, dell’intrattenitore-musicista (Cunningham) e dell’attore mai stanco di recitare, mascherarsi, travestirsi, turlupinare il prossimo sotto mentite spoglie. Restano da indagare le tracce di una discendenza di Autolico dalla figura del trickster, nelle culture primitive campione di metamorfosi totalizzanti e perciò contraddittorie – in quanto non “accumulo di dualità, ma coincidenza delle polarità naturali nella loro intuibile unità” (Müller) – progenitore di tutti i trasformisti letterari ed eroe degli etnologi del Novecento (v. il Briccone divino di Radin, Jung e Kereny, e la sua propaggine spiritosa, il Gurdulù del Cavaliere inesistente di Calvino). La tradizione classica presiede invece a tutta la seconda parte e soprattutto al finale, con la ricomparsa di Perdita prima arieggiante il mito di Flora, poi quelli in qualche modo paralleli di Proserpina e di Euridice; e con l’incantata, struggente scena finale del sciogliersi della statua di Ermione in donna palpitante e risoluta. È quasi inutile dire che tutte queste reminiscenze elaborano un’unica fonte, le Metamorfosi di Ovidio, testo diffuso e studiatissimo durante tutto il Cinquecento e Seicento, 1256
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da cui il Bardo trae una “metafora corporea quintessenziale” (Barkan) per produrre un colpo di scena che è anche un colpo di genio. Numerosissimi sono gli studi su questo complesso di risultati: senza escludere i panorami generali sulla presenza delle Metamorfosi nella letteratura del periodo (Barkan 1986, Hinds, Martindale 1988, Donno, Stapleton, Enterline, Nims, Hardie-Barchiesi-Hinds, Lyne 2001) sono da consultare le analisi dell’uso che Shakespeare fa dei classici in tutta la sua opera (Bate, Martindale 1990, Miola 1992, 1994 e 2000, Martindale-Taylor 2004), e di Ovidio in particolare, con un occhio speciale per il nostro Racconto (Barkan 1981, Lamb, Sokol, Taylor 2000 [con saggi dei maggiori studiosi contemporanei dell’argomento], Lyne 2007). Ben poco resta da aggiungere a questa fitta rete di omaggi a un testo che, con tutte le sue imperfezioni e i suoi dislivelli, resta, forse solo un gradino sotto La tempesta, prova della grandezza dell’ultimo Shakespeare. Su una cosa però è oggi necessario insistere, e cioè su quanto questo testo sia rappresentativo, più che del genere letterario – poetico, romanzesco, o come lo si voglia chiamare – dell’unico genere che a Shakespeare interessava, e nel quale impegnava tutto il suo bagaglio di strategie: il teatro con i suoi successi e le sue battaglie. Insistiamo su questo punto consapevoli di violare la regola principe della critica testuale, chiamando in causa un reagente ad essa totalmente estraneo, anzi il più estraneo allo specifico letterario: la disputa morale e civile sul valore e la liceità di quanto il teatro rappresentava nel panorama culturale dell’Inghilterra del primo Seicento. Per questo conviene rifarci al procedimento che sta al centro dell’azione stessa del Racconto, la metamorfosi, davanti alla quale si inalberò subito il fiero cipiglio delle autorità religiose, e civili quando coincidevano con quelle religiose, preoccupate di instaurare un regime espressivo esclusivamente regolato dal significato letterale della parola – un lascito delle prime grandi campagne di diffusione delle Scritture sacre, e dei primi seri tentativi di regolamentare la vita pubblica – e ferocemente sospettose di ogni slancio o distrazione figurale. Se i poeti abbandonavano le maglie strette dell’allegoresi medievale per abbracciare la libertà immaginativa e l’accesa figuralità della tradizione classica – le “stravaganze pagane” – e insistevano sulle delizie polisemiche dell’invenzione retorica, i riformatori predicavano la castigatezza del linguaggio non meno che dei costumi; e le due strade si separavano in modo radicale, con polemiche protratte e scambi di accuse velenose, con 1257
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il teatro come epicentro dello scontro. Di fronte alla rivalità che prendeva corpo ogni giorno fra l’oratoria religiosa e l’oratoria profana dei teatranti, il polemista Philip Stubbes così prendeva posizione: Il Signore Dio nostro ha dato alla Sua santa Parola la forza del decreto, facendone il principio della nostra salvazione; il demonio ha corrotto quell’altra [degli attori] come strumento della nostra perdizione: e volete davvero comparare due discorsi siffatti? (Anatomie of Abuses, 1583)
La parola “altra” rispetto alla parola “decretata” da Dio era il linguaggio disordinato, licenzioso, ostentatamente metaforico che si impadroniva ogni pomeriggio, e poi ogni sera, delle estatiche platee di giovani apprendisti sottratti al lavoro o agli ammaestramenti dal pulpito. L’obiezione maggiore contro il teatro aveva dunque a che fare con la ragione poetica, la figura centrale del testo ovidiano: l’accusa, minacciosa e insistente, era che il teatro “trasforma” – formalmente e sostanzialmente, cioè moralmente. Si trasformano i personaggi del dramma, da vincenti a perdenti (o viceversa), da giudici in giudicati, da uomini in animali, da donne in uomini e da uomini in donne (le parti femminili erano recitate da ragazzi), in un incessante carosello metamorfico che altera il retto ordine delle cose, che spaccia l’illusione per verità, che non può che disgregare i costumi, adulterare l’espressione e lo stile dei discorsi. E si trasforma il pubblico nel teatro: secondo Stephen Gosson, un altro riformatore dei costumi, la semplice vista delle spettatrici e del loro vestiario opulento e sfrontato provocava negli spettatori maschi una vera rivoluzione dei sensi: diventavano “puledri selvaggi, che ragliano” (The School of Abuse,1579); ma la trasformazione peggiore era quella che colpiva il corpo sessuato, confondendo i segni della natura, cioè riducendo a labile figura l’univoca fermezza del decreto divino. Lo scandalo era insito nei più collaudati espedienti teatrali, la parola contraffatta, il travestimento, l’equivoco, lo scambio e la satira dei ruoli stabiliti inderogabilmente da Dio. Da qui le condanne morali, da qui le chiusure dei teatri, ripetutamente e poi definitivamente quando i puritani abbatterono la monarchia Stuart. La critica moderna ha messo bene in luce la pregnanza e fertilità della metamorfosi come illustrazione della vicinanza di materia e spirito, di bravura e desiderio, di cose animate e inanimate, e come processo retorico di trasposizione, mutabilità e creazione di identità sempre nuove, 1258
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del tutto affine al processo di rappresentazione artistica. Era questa secolare visione della mimesi che urtava il fondamentalismo e la severità dei costumi predicata dalla Riforma. Per misurare la distanza che separa la drammaturgia elisabettiana e giacomiana dal contesto del fondamentalismo basterà citare una delle omelie che la Chiesa d’Inghilterra aveva adottato come fondamenti del consenso popolare, e la Corona imposto come lettura obbligata dal pulpito, dagli anni ’60 del Cinquecento fino al Seicento inoltrato. Ne è autore John Jewel, vescovo di Salisbury, autorevole rappresentate della Riforma britannica. L’omelia è rivolta alla condanna del culto delle statue dei santi e delle altre figure venerabili che popolavano le chiese, come residui sacrileghi della superstizione romana, che contravveniva al primo Comandamento della Legge mosaica. La nuova regola segue il più assoluto principio di lettura letterale della realtà: le statue hanno occhi e non vedono, hanno mani e non sensibilità, piedi e non si possono muovere – insomma non sono vive ma inanimate, morte. Nulla le può rianimare: Non hanno il potere di far del bene o del male agli altri, anche se qualcuna imbraccia un’ascia, un’altra una spada, qualcuna impugna una lancia, e tuttavia i ladri entrano nei loro templi e le derubano, e loro non si possono mai muovere o difendersi dai ladri: anzi, se il Tempio o la Chiesa vanno a fuoco … i loro preti possono fuggire e salvarsi, ma loro non possono spostarsi per niente, ma restano ferme proprio come ciocchi, e vanno anche loro a fuoco, e dunque non possono essere immagini di Dio forte e potente (An Homily against Peril of Idolatry, and Superfluous Decking of Churches, 1571).
Si esorcizza così ogni pretesa di mimesi, e ancor di più ogni fantasia di metamorfosi: questi i termini del contrasto con le trasformazioni di cui si vale il teatro, e in primo luogo il Racconto d’inverno. Al duro letteralismo predicato dal pulpito rispondeva, con orgoglio marcato, la figuralità polivalente, inesauribile di un genere ancora libero, incontrollabile se non dalla cultura e dalla fantasia dei suoi praticanti – e del suo pubblico, voglioso di una profonda, matura inventiva, di una parola capace di creatività, di libertà. Questo era il debito che quel pubblico pagava al poeta latino, per il tramite del suo principale drammaturgo. Alle statue dell’antico rito cattolico condannate a non significare altro che la letterale rigidità della pietra, e degradate a simboli della propria 1259
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menzogna, si contrapponeva la statua che vuole scambiare rigidità e mutismo con vivacità ed eloquenza, che vuole a un tempo muover-si e commuovere gli astanti. E ci piace immaginare che Shakespeare calcasse la mano sugli aspetti sensuali, anzi scabrosi del testo ovidiano proprio in risposta a quel soffocante regime di repressioni e divieti che stava aggredendo la mentalità collettiva. Un rito di resurrezione e rigenerazione era ancora possibile, ma l’unico modo per portarlo a termine era di renderlo totalizzate, cioè comprensivo di una mimesi doppia e anzi multipla, generalizzata perché propiziata dalla metempsicosi – che Ovidio nel Libro XV ricrea dal “Discorso sacro” di Pitagora –: l’eterna trasformazione dei corpi, delle sostanze, delle parole che servono a celebrare la vita, e così facendo sconcertano, affascinano, “muovono” il pubblico. La fortuna sulle scene e sullo schermo Un testo, dobbiamo ammettere, non facile da rappresentare oggi, quando il rapporto con il pubblico è cambiato in modo decisivo, anche se la storia di una gelosia morbosa e della sua metamorfosi grazie alla magia delle favole e della bellezza può ancora insegnare qualcosa. La parte pastorale deve essere stata all’origine dei suoi primi successi, per il favore che sembra abbia incontrato a corte fino a Seicento inoltrato, contrariamente alla relativa dimenticanza in cui fu lasciato nel Settecento. La riabilitazione venne con i maggiori registi-attori dell’Ottocento (J. P. Kemble, S. Phelps, C. Kean e J. F. Robertson), fino all’inclusione nell’esteso programma shakespeariano di H. B. Tree in His Majesty’s Theatre a Londra. Si unirono a questa riscoperta i teatri americani fra le due guerre, mentre il punto di partenza per il Racconto che conosciamo oggi si deve collocare nel 1951, quando lo mise in scena in The Phoenix Theatre il regista più innovativo della seconda parte del secolo scorso, Peter Brook, con John Gielgud nel ruolo di Leonte. La scena vi acquistava un carattere di sogno e fantasia senza tempo, tutto diverso dalle compassate riesumazioni delle atmosfere secentesche di una volta. Naturalmente quell’innovazione era adattissima allo spirito del testo, tanto da ispirare molti registi successivi come Trevor Nunn, che nel 1969 diresse la Royal Shakespeare Company in un adattamento cupo nella prima parte, leggero e giocoso nella seconda. Nel 1978 Robin Phillips e Peter Moss, allo Stratford Festival of Canada, tornavano a scenari più realistici, ma dagli anni’80 fu tutto un precipitare di nuove invenzioni: 1260
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nel 1987 Michael Kahn a Washington DC sfruttava il tema del tempo con anticipazioni di quadri o personaggi muti, capaci di annunciare gli sviluppi dell’azione; nel 1992 Adrian Noble a Stratford con la Royal Shakespeare Company separava drasticamente i due ambienti di Sicilia e Boemia – tutto rigidità cortigiana il primo, tutto naturalezza e creatività il secondo –: Autolico entrava in scena sospeso in aria, legato a una gran quantità di palloncini; mentre nel 1994 Ingmar Bergman a Stoccolma ritualizzava ogni momento della rappresentazione, soprattutto la ricomparsa di Ermione portata in scena da un gruppo di frati, con un Leonte penitente, anche lui col saio del pentimento e della rinuncia. Il colmo della visionarietà veniva raggiunto nel 2002 da Irene Lewis a Baltimora: Ermione ricompariva come vaga silhouette velata da uno schermo opaco, lasciando insoluta la questione se tutto il finale sia da interpretare come un desiderio degli astanti, o come una realtà. E non poteva non coinvolgere il Racconto una delle maggiori imprese teatrali dei nostri anni, quella di Kenneth Branagh, che lo ricrea nel 2015 al Garrick Theatre e in un fi lm, deludente perché privo del primo ingrediente originale, la fantasia: uno spettacolo evidentemente rivolto a un pubblico che ha perso il senso di avventura che animava quelli dei decenni precedenti. Tutto il contrario diremo invece a proposito della compagnia oggi più acclamata, la Cheek by Jowl diretta da Declan Donnellan e Nick Ormerod, che già nel 1997 aveva prodotto il testo in russo, e, con la regia di Donnellan, dal 2016 lo porta in tournée nei teatri di mezza Europa: la sua specialità è di approfondire senza sentimentalismi il senso di riscatto e di perdono che pervade la storia, mirando a farne uno spettacolo unitario, non turbato dalle fratture né dagli scompensi su cui la critica ha tanto battuto. In Italia resta memorabile la produzione del Teatro dell’Elfo di Milano diretta nel 2011 da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, anch’essa efficace nel ricreare atmosfere arcane e favolistiche in una scena dominata da “candide ed eleganti geometrie”; e vogliamo qui almeno segnalare l’opera musicale di Ryan Wigglesworth, che ha aperto alla English National Opera nel febbraio 2017: un’idea, quella di mettere in musica la vicenda, cui il creatore di Autolico non sarebbe stato affatto contrario, visto che tramite quell’“ambulante nutrito di ballate” (IV, 4, 186) ci aveva provato lui per primo. FRANCO MARENCO 1261
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NOTA INTRODUTTIVA
Things, Forms of Knowledge, London e New York, Routledge, 2010; P. YACHNIN, Stage-Wrights. Shakespeare, Jonson, Middleton, and the Making of Theatrical Value, Pennsylvania U. P., 1997; P. YACHNIN e P. BADIR (cur.), Shakespeare and the Cultures of Performance. London, Ashgate, 2008; P. YACHNIN e J. SLIGHTS (cur.), Shakespeare and Character. Theory, History, Performance, and Theatrical Persons, Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York, 2009; P. YACHNIN, Making Publics in Shakespeare’s Playhouse. Edinburgh, Edinburgh U. P., 2017; A. ZUCKER, Late Shakespeare, in A. F. KINNEY (cur.), The Oxford Handbook of Shakespeare, Oxford, Oxford U. P., 2012. Il sostrato folcloristico C. L. BARBER, Shakespeare’s Festive Comedy. A Study of Dramatic Form and its Relation to Social Custom, Princeton, Princeton U. P., 1959; S. L. BETHELL, Shakespeare and the Popular Dramatic Tradition, London, King & Staples, 1944; M. D. BRISTOL, Big-Time-Shakespeare, New YorkLondon, Routledge, 1996; F. LAROQUE, Shakespeare’s Festive World. Elizabethan Seasonal Entertainment and the Professional Stage, Cambridge, Cambridge U. P., 1991; ID., “Popular Festivity”, in A. LEGGATT (cur.), The Cambridge Companion to Shakespearean Comedy, Cambridge, Cambridge U. P., 2002; W. MÜLLER, Die Religionen der Waldlandindianer Nordamerikas, Dietrich Reimer, Berlin, 1956; A. PATTERSON, Shakespeare and the Popular Voice, Oxford, Blackwell, 1989; P. R ADIN, C. G. JUNG, K. KERENYI, Il briccone divino, Milano, Bompiani, 1965; J. SCHECHTER (cur.), Popular Theatre. A Sourcebook, London, Routledge, 2003. La polemica antiteatrale K. BRITLAND, “Politics, religion, geography and travel: historical contexts of the last plays”, in C. M. S. ALEXANDER, cit.; P. COLLINSON, From iconoclasm to Iconophobia. The Cultural Impact of the Second English Reformation, Reading, University of Reading, 1986; J. H. DAGENHARDT e E. WILLIAMSON (cur.), Religion and Drama in Early Modern England, Burlington Vt, Ashgate 2001; H. DIEHL, “‘Does not the stone rebuke me?’: The Pauline Rebuke and Paulina’s Lawful Magic in The Winter’s Tale”, in P. YACHNIN e P. BADIR (cur.), Shakespeare and the Cultures of Performance. London, Ashgate, 2008; S. GOSSON, Playes Confuted in Five Actions (1582), New York-London, Garland, 1972; R. HORNBACK, “Staging 1265
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RACCONTO D’INVERNO
Puritanism in the early 1590s: the Carnivalesque, Rebellious Clown as Anti-Puritan Stereotype”, Renaissance and Reformation, XXIV, 3, 2000; D. LOEWENSTEIN e M. WITMORE (cur.), Shakespeare and Early Religion, Cambridge, Cambridge U. P., 2015; J. D. MARDOCK e K. R. MCPHERSON (cur.), Stages of Engagement. Drama and Religion in Post-Reformation England, Pittsburgh PEN, Duquesne U. P., 2014; A. F. MAROTTI e K. JACKSON, Sh. and Religion. Early Modern and Posmodern Perspectives, Notre Dame IN, Notre Dame U. P., 2011; J.-C. MAYER, Sh.’s Hybrid Faith. History, Religion and the Stage, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2006; R. MCCOY, “Awakening Faith in The Winter’s Tale”, in D. LOEWENSTEIN e M. WITMORE (cur.), Shakespeare and Early Modern Religion, Cambridge, Cambridge U. P., 2015; PH. STUBBES, Anatomie of Abuses (1583), cur. M. J. Kidnie, Shakespeare Institute, Birmingham, 1996; B. WALSH, Unsettled Toleration. Religious Difference on the Shakepearean Stage, Oxford, Oxford U. P., 2016; E. WILLIAMSON, The Materiality of Religion in Early Modern English Drama, Bagingstoke, Ashgate, 2009. Il racconto d’inverno e la letteratura classica L. BARKAN, “‘Living Sculptures’: Ovid, Michelangelo, and The Winter’s Tale”, ELH, 48, 1981; ID., The Gods Made Flesh. Metamorphosis & the Pursuit of Paganism, New Haven, Yale U. P., 1986; J. BATE, Shakespeare and Ovid, Oxford, Clarendon Press, 1993; E. S. DONNO (cur.), Elizabethan Minor Epics, London, Routledge & Kegan Paul, 1963; L. ENTERLINE, The Rhetoric of the Body from Ovid to Shakespeare, Cambridge U. P. 2000; S. GILLESPIE e R. CUMMINGS, A Bibliography of Ovidian Translations and Imitations in English, in Translation and Literature, Versions of Ovid, XIII, part 2, autumn 2004, Edinburgh U. P.; P. HARDIE, A. BARCHIESI, S. HINDS (cur.), Ovidian Transformations: Essays on Ovid’s Metamorphoses and its Reception, Cambridge, Cambridge U. P., 1999; S. HINDS, The Metamorphosis of Persephone. Ovid and the Self-conscious Muse, Cambridge, Cambridge U. P., 1987; M. L. KAPLAN e K. EGGERT, ‘“Good queen, my lord, good queen”: Sexual Slander and the Trials of Female Authority in TheWinter’s Tale’, Renaissance Drama, 25, 1994, pp. 89-118; M. E. LAMB, “Ovid and The Winter’s Tale. Conflicting Views toward Art”, in W. R. ELTON e W. B. LONG (cur.), Shakespeare and Dramatic Tradition. Essays in Honor of S. F. Johnson, Newark, Delaware U. P., 1989; F. LAROQUE, “A New Ovidian Source of the Statue Scene in The Winter’s Tale”, Notes & 1266
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NOTA INTRODUTTIVA
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THE WINTER’S TALE THE PERSONS OF THE PLAY
LEONTES, King of Sicily HERMIONE, his wife MAMILLIUS, his son PERDITA, his daughter CAMILLO ANTIGONUS Lords at CLEOMENES Leontes’s court DION PAULINA, Antigonus’s wife EMILIA, a lady attending on Hermione A JAILER A MARINER Other Lords and Gentlemen, Ladies, Officers, and Servants at Leontes’s court
}
POLIXENES, King of Bohemia FLORIZEL, his son, in love with Perdita; known as Doricles ARCHIDAMUS, a Bohemian lord AUTOLYCUS, a rogue, once in the service of Florizel OLD SHEPHERD CLOWN, his son MOPSA shepherdesses DORCAS SERVANT of the Old Shepherd Other Shepherds and Shepherdesses Twelve countrymen disguised as satyrs
}
TIME, as chorus
SIGLE The Winter’s Tale comparve a stampa per la prima volta nell’in-folio (o Folio) del 1623, alla fi ne della sezione delle commedie. A un curatore settecentesco, Edmond Malone, si deve un appunto sul ritardo con cui il testo venne in possesso dei curatori John Heminges e Henry Condell, con l’assicurazione che nulla era stato cambiato rispetto al copione originale, andato perso. A trascriverlo (come anche la Tempesta) fu probabilmente Ralph Crane, del quale si riconoscono le didascalie di inizio scena con tutti i nomi dei personaggi che vi prenderanno parte, senza tener conto di quando effettivamente vi compariranno; attribuibile a Crane anche la sovrabbondante punteggiatura. Nel complesso un testo soddisfacente, piuttosto rifi nito al contrario di quanto succede di altri testi contemporanei, come I due gentiluomini di Verona. Nel corso del tempo si è notato come il passo dei dodici satiri accreditati di aver “ballato davanti al re” (IV.4.340) sia un probabile debito nei confronti del Masque of Oberon di Ben Jonson, Inigo Jones e Alfonso Ferrabosco, presentato a corte per la festa di capodanno del 1611, e come tale una possibile aggiunta al copione originale.
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IL RACCONTO D’INVERNO PERSONAGGI
LEONTE, re di Sicilia ERMIONE, sua sposa MAMILIO, suo figlio PERDITA, sua figlia CAMILLO ANTIGONO nobili della corte CLEOMENE di Leonte DIONE PAOLINA, moglie di Antigono EMILIA, un dama del seguito di Ermione Un CARCERIERE Un MARINAIO Altri signori, gentiluomini, dame, funzionari e servitori della corte di Leonte Nobili alla corte di Leonte
}
POLISSENE, re di Boemia FLORIZEL, suo figlio, innamorato di Perdita; noto come Doricle ARCHIDAMO, un nobile boemo AUTOLICO, un furfante, un tempo al servizio di Florizel VECCHIO PASTORE CONTADINO, suo figlio MOPSA pastorelle DORCA SERVITORE del Vecchio Pastore Altri pastori e pastorelle Dodici villici mascherati da satiri
}
TEMPO, che fa il coro
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter Camillo and Archidamus
ARCHIDAMUS If you shall chance, Camillo, to visit Bohemia
on the like occasion whereon my services are now on foot, you shall see, as I have said, great difference betwixt our Bohemia and your Sicilia. CAMILLO I think this coming summer the King of Sicilia means to pay Bohemia the visitation which he justly owes him. ARCHIDAMUS Wherein our entertainment shall shame us, we will be justified in our loves; for indeed — CAMILLO Beseech you — ARCHIDAMUS Verily, I speak it in the freedom of my knowledge. We cannot with such magnificence — in so rare — I know not what to say. — We will give you sleepy drinks, that your senses, unintelligent of our insufficience, may, though they cannot praise us, as little accuse us. CAMILLO You pay a great deal too dear for what’s given freely. ARCHIDAMUS Believe me, I speak as my understanding instructs me, and as mine honesty puts it to utterance. CAMILLO Sicilia cannot show himself over-kind to Bohemia. They were trained together in their childhoods, and there rooted betwixt them then such an affection which cannot choose but branch now. Since their more mature dignities and royal necessities made separation of their society, their encounters — though not personal — hath been royally attorneyed with interchange of gifts, letters, loving embassies, that they have seemed to be together, though absent; shook hands as over a vast; and embraced as it were from the ends of opposed winds. The heavens continue their loves.
4
10
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a
32
27. Hath: have in molte edizioni, giudicato “non necessario” da Stanley Wells, curatore della presente (Oxford 2005). 1270
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 1
I, 1
Entrano Camillo e Archidamo1
ARCHIDAMO
Come ti ho detto, Camillo, se tu dovessi venire in Boemia in un’occasione simile a quella che ora mi impegna qui, vedresti la grande differenza che c’è fra la nostra Boemia e la vostra Sicilia. CAMILLO
Penso che nella prossima estate il re di Sicilia intenda rendere a quello di Boemia la visita che la cortesia gli impone2. ARCHIDAMO
Durante la quale il nostro ricevimento non sarà all’altezza, ma compenseremo con il nostro affetto, perché veramente… CAMILLO
Vi prego… ARCHIDAMO
Davvero, parlo liberamente e per quello che so. A fronte di tanta generosità noi non sapremo… in una così rara… non so che dire… Vi daremo delle bevande soporifere, che i vostri sensi, non avvertendo la nostra inadeguatezza, possano, se non lodarci, almeno non biasimarci del tutto. CAMILLO
Ripaghereste con troppa liberalità ciò che viene dato spontaneamente. ARCHIDAMO
Credetemi, parlo come mi dettano ragione e sincerità. CAMILLO
Il re di Sicilia non può superare in cortesia il re di Boemia. Da bambini sono stati educati insieme, e si è radicato fra loro un tale affetto che ora non può non mettere i rami. Da quando sono maturate le loro reputazioni, e gli obblighi regali li hanno separati, si sono venuti regalmente incontro – benché non di persona – scambiandosi doni, lettere, cordiali ambascerie, tali da farli sentire vicini anche se lontani; si sono dati la mano al di là degli spazi più estesi, e si sono abbracciati, per così dire, dagli opposti quadranti dei venti. Che il cielo confermi il loro affetto.
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
ARCHIDAMUS I think there is not in the world either malice
or matter to alter it. You have an unspeakable comfort of your young prince, Mamillius. It is a gentleman of the greatest promise that ever came into my note. 36 CAMILLO I very well agree with you in the hopes of him. It is a gallant child; one that, indeed, physics the subject, makes old hearts fresh. They that went on crutches ere he was born desire yet their life to see him a man. 41 ARCHIDAMUS Would they else be content to die? CAMILLO Yes — if there were no other excuse why they should desire to live. ARCHIDAMUS If the King had no son they would desire to live on crutches till he had one. Exeunt 1.2
Enter Leontes, Hermione, Mamillius, Polixenes, and [Camillo]
POLIXENES
Nine changes of the wat’ry star hath been The shepherd’s note since we have left our throne Without a burden. Time as long again Would be fi lled up, my brother, with our thanks, And yet we should for perpetuity Go hence in debt. And therefore, like a cipher, Yet standing in rich place, I multiply With one ‘We thank you’ many thousands more That go before it. LEONTES Stay your thanks a while, And pay them when you part. POLIXENES Sir, that’s tomorrow. I am questioned by my fears of what may chance Or breed upon our absence, that may blow No sneaping winds at home to make us say ‘This is put forth too truly.’ Besides, I have stayed To tire your royalty.
5
10
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
ARCHIDAMO
Penso che non vi sia al mondo perfidia o questione che lo possa alterare. Voi avete una indicibile consolazione nel vostro giovane principe, Mamilio. È il gentiluomo di maggiore promessa che mi sia mai stato dato di conoscere. CAMILLO
Sono molto d’accordo con voi su quanto lui faccia sperare. È un ragazzo capace, uno che dà vigore ai sudditi e rigenera i cuori affaticati. Quelli che prima della sua nascita si trascinavano sulle grucce desiderano di vivere ancora, per vederlo uomo fatto. ARCHIDAMO
E se no, sarebbero contenti di morire? CAMILLO
Sì, se per voler vivere non avessero qualche altra ragione. ARCHIDAMO
Se il re non avesse un figlio, pur con le stampelle vorrebbero vivere finché non ne avesse uno! Escono I, 2
Entrano3 Leonte, Ermione, Mamilio, Polissene, e [Camillo]4
POLISSENE
Nove volte il pastore ha notato il mutare dell’astro delle acque5, da quando abbiamo6 lasciato vacante il nostro trono – un tempo, fratello mio, che dovrà ora vederci allontanare in perpetuo debito, pur senza mai cessare di ringraziarvi. E quindi, come uno zero conferisce grande valore a ciò che accompagna7, così io, dicendo un “Grazie”, moltiplico i mille e più che lo precedono. LEONTE
Frenate per un poco i vostri ringraziamenti, fino alla vostra partenza. POLISSENE
Sarà domani, signore. Mi angoscia il pensiero di quanto possa succedere o insorgere in patria per la nostra assenza; che venti pungenti non la investano, facendoci dire “questo lo dovevamo prevedere”. A parte ciò, la nostra permanenza deve aver stancato vostra maestà. 1273
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
We are tougher, brother, Than you can put us to’t. POLIXENES No longer stay. LEONTES
15
LEONTES
One sennight longer. Very sooth, tomorrow.
POLIXENES LEONTES
We’ll part the time between’s, then; and in that I’ll no gainsaying. POLIXENES Press me not, beseech you, so. There is no tongue that moves, none, none i’th’ world So soon as yours, could win me. So it should now, Were there necessity in your request, although ’Twere needful I denied it. My affairs Do even drag me homeward; which to hinder Were, in your love, a whip to me; my stay To you a charge and trouble. To save both, Farewell, our brother. LEONTES Tongue-tied, our queen? Speak you.
21
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HERMIONE
I had thought, sir, to have held my peace until You had drawn oaths from him not to stay. You, sir, Charge him too coldly. Tell him you are sure All in Bohemia’s well. This satisfaction The bygone day proclaimed. Say this to him, He’s beat from his best ward. LEONTES Well said, Hermione!
30
HERMIONE
To tell he longs to see his son were strong. But let him say so then, and let him go. But let him swear so and he shall not stay, We’ll thwack him hence with distaffs. (To Polixenes) Yet of your royal presence I’ll adventure The borrow of a week. When at Bohemia You take my lord, I’ll give him my commission To let him there a month behind the gest Prefixed for’s parting. — Yet, good deed, Leontes,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
Fratello, siamo più robusti di quanto voi possiate metterci alla prova. POLISSENE
Non indugiamo oltre. LEONTE
Ancora una settimana8. POLISSENE
Domani, davvero. LEONTE
Facciamo a metà il tempo: e su questo non si discute. POLISSENE
Non insistete così, vi prego. Non esiste al mondo nessuna eloquenza, nessuna, nessuna che possa convincermi meglio della vostra. E così farebbe ora, se vi fosse nella vostra richiesta qualche pressante motivo, anche se dovessi per forza rifiutarla. Ma affari di stato mi invitano al ritorno; impedirmelo sarebbe una punizione, pur fatta per amore; e il mio indugio un peso e un fastidio per voi: ad evitare entrambi addio, fratello. LEONTE
Ha la lingua legata la nostra regina? Parlate. ERMIONE
Pensavo, signore, di starmene zitta finché non l’aveste obbligato a giurare di dover partire. Ma voi lo incalzate con troppo poca foga. Rassicuratelo che in Boemia va tutto bene: è di ieri questa buona notizia. Diteglielo, e le sue difese vengono a cadere. LEONTE
Ben detto, Ermione! ERMIONE
Sarebbe una buona ragione se dicesse che vuol rivedere suo figlio, ma allora che lo dica, e che sia congedato. Che lo giuri, e non lo si trattenga, anzi che venga cacciato a colpi di conocchia9. (A Polissene)10 Tuttavia, mi permetto di chiedere il prestito della vostra regale presenza ancora per una settimana. Quando ospiterete il mio signore in Boemia, io lo autorizzerò a starsene un mese oltre la data fissata per il ritorno – E però, Leonte, voi ben sapete che
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
I love thee not a jar o’th’ clock behind What lady she her lord. — You’ll stay? POLIXENES
No, madam.
HERMIONE Nay, but you will?
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POLIXENES I may not, verily. HERMIONE Verily?
You put me off with limber vows. But I, Though you would seek t’unsphere the stars with oaths, Should yet say ‘Sir, no going.’ Verily You shall not go. A lady’s ‘verily’ ‘s As potent as a lord’s. Will you go yet? Force me to keep you as a prisoner, Not like a guest: so you shall pay your fees When you depart, and save your thanks. How say you? My prisoner? or my guest? By your dread ‘verily’, One of them you shall be. POLIXENES Your guest then, madam. To be your prisoner should import offending, Which is for me less easy to commit Than you to punish. HERMIONE Not your jailer then, But your kind hostess. Come, I’ll question you Of my lord’s tricks and yours when you were boys. You were pretty lordings then? POLIXENES We were, fair Queen, Two lads that thought there was no more behind But such a day tomorrow as today, And to be boy eternal. HERMIONE Was not my lord The verier wag o’th’ two?
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POLIXENES
We were as twinned lambs that did frisk i’th’ sun, And bleat the one at th’other. What we changed Was innocence for innocence. We knew not The doctrine of ill-doing, nor dreamed
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
non vi amo neanche un rintocco di orologio di meno di una dama del tutto devota al suo signore. – Vi fermate? POLISSENE
No, signora. ERMIONE
Suvvia, lo farete? POLISSENE
Proprio non posso, onestamente. ERMIONE
Onestamente? Ma vi opponete con argomenti frivoli! E invece io, anche se vi metteste a scalzare le stelle dalle loro orbite11 a suon di giuramenti, io continuerei a dire: “Non si parte, signore”. E, onestamente, non partirete. L’onestà di una donna non vale meno di quella di un uomo. Dunque, siamo ancora di partenza? Mi obbligate a trattenervi come prigioniero piuttosto che ospite, e farvi pagare la retta12 alla fine, e risparmiarvi così i ringraziamenti? Cosa ne dite? Mio prigioniero, o mio ospite? A quel vostro perentorio “onestamente” rispondo: o l’uno o l’altro sarete. POLISSENE
Allora vostro ospite. Rimanendo da prigioniero ammetterei di avervi offeso, ciò che mi riesce meno facile di quanto non lo sia per voi di punirmi. ERMIONE
Non vostra carceriera quindi, ma vostra amabile ospite. Avanti, voglio chiedervi dei giochi fra voi e il mio signore quando eravate ragazzi. Eravate dei bei monelli, no? POLISSENE
Eravamo, bella regina, due ragazzi che pensavano non esistesse un dopo, e che il domani fosse come l’oggi, e che saremmo stati ragazzi per sempre. ERMIONE
E il mio signore non era il più birba dei due? POLISSENE
Eravamo due agnellini gemelli che zampettano al sole, e belano l’uno all’altro. Innocenza contro innocenza facevano la nostra conversazione. Non avevamo appresi i principi dell’errore, e nemmeno so-
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
That any did. Had we pursued that life, And our weak spirits ne’er been higher reared With stronger blood, we should have answered heaven Boldly, ‘Not guilty’, the imposition cleared Hereditary ours. HERMIONE By this we gather You have tripped since. POLIXENES O my most sacred lady, Temptations have since then been born to’s; for In those unfledged days was my wife a girl. Your precious self had then not crossed the eyes Of my young playfellow. HERMIONE Grace to boot! Of this make no conclusion, lest you say Your queen and I are devils. Yet go on. Th’offences we have made you do we’ll answer, If you first sinned with us, and that with us You did continue fault, and that you slipped not With any but with us. LEONTES Is he won yet?
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80
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HERMIONE
He’ll stay, my lord. LEONTES At my request he would not. Hermione, my dearest, thou never spok’st To better purpose. HERMIONE Never? LEONTES Never but once.
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HERMIONE
What, have I twice said well? When was’t before? I prithee tell me. Cram’s with praise, and make’s As fat as tame things. One good deed dying tongueless Slaughters a thousand waiting upon that. Our praises are our wages. You may ride’s With one soft kiss a thousand furlongs ere With spur we heat an acre. But to th’ goal. My last good deed was to entreat his stay.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
gnavamo che qualcuno li conoscesse. Se avessimo continuato quella vita, e se i nostri caratteri non si fossero irrobustiti con sangue più vigoroso, avremmo potuto levare al cielo il nostro audace “Siamo innocenti”, una volta redenti dal peccato che tutti abbiamo ereditato13. ERMIONE
Da cui deriva che poi ne avete fatte… POLISSENE
Signora mia reverendissima, le tentazioni sono nate dopo, perché in quei giorni implumi la mia sposa era una bambina, e la vostra preziosa figura non aveva ancora incontrato lo sguardo del mio giovane compagno di giochi. ERMIONE
Eh, di grazia! Non arrivate a dire che la vostra regina ed io siamo due diavoli! Ma procedete. Risponderemo noi dei peccati che vi abbiamo fatto commettere, se con noi commessi per la prima volta, e se non ripetuti con altre14. LEONTE
Allora, si è convinto? ERMIONE
Resterà, mio signore. LEONTE
Quando gliel’ho chiesto io non voleva. Ermione, mia carissima, non hai mai perorato per una causa migliore. ERMIONE
Mai? LEONTE
Mai, con una eccezione. ERMIONE
Come, ho ben perorato per ben due volte? E quando è stato? Ti prego, dimmelo. Riempite noi donne di lodi, metteteci all’ingrasso come animali, un’opera buona che resta senza encomio annulla le mille che ne avrebbero preso spunto. Le lodi sono la nostra paga, ci basta un tenero bacio per farci correre al galoppo, ma a speronarci trottiamo appena per una scarsa distanza15. Ma veniamo al dunque: il mio ultimo centro è stato quando ho pregato lui perché rimanesse.
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
What was my first? It has an elder sister, Or I mistake you. O, would her name were Grace! But once before I spoke to th’ purpose? When? Nay, let me have’t. I long. LEONTES Why, that was when Three crabbèd months had soured themselves to death Ere I could make thee open thy white hand And clap thyself my love. Then didst thou utter, ‘I am yours for ever.’ HERMIONE ’Tis grace indeed. Why lo you now; I have spoke to th’ purpose twice. The one for ever earned a royal husband; Th’other, for some while a friend.
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[She gives her hand to Polixenes.] They stand aside LEONTES (aside)
Too hot, too hot: To mingle friendship farre is mingling bloods. I have tremor cordis on me. My heart dances, But not for joy, not joy. This entertainment May a free face put on, derive a liberty From heartiness, from bounty, fertile bosom, And well become the agent. ’T may, I grant. But to be paddling palms and pinching fi ngers, As now they are, and making practised smiles As in a looking-glass; and then to sigh, as ’twere The mort o’th’ deer — O, that is entertainment My bosom likes not, nor my brows. — Mamillius, Art thou my boy? MAMILLIUS Ay, my good lord. LEONTES I’fecks, Why, that’s my bawcock. What? Hast smutched thy nose? They say it is a copy out of mine. Come, captain, We must be neat — not neat, but cleanly, captain. And yet the steer, the heifer, and the calf Are all called neat. — Still virginalling
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
Qual è stato il primo? Se bene intendo, ne replica un altro. Oh, avesse un nome altisonante!16 Dunque una volta prima d’ora ho parlato a proposito? Quando? Dài, dimmelo, non vedo l’ora. LEONTE
Ebbene, è stato quando tre mesi di malcontento esaurirono il loro acidume, prima che riuscissi a farti aprire quella bianca mano per prendere possesso del mio amore. Tu mi dicesti allora: “Sono tua per sempre”. ERMIONE
Troppa grazia! Ma attenzione: ho parlato due volte a proposito, nella prima mi sono guadagnata uno sposo regale, nella seconda, per qualche tempo, un amico. [Dà la mano a Polissene.] Si apparta con lui LEONTE (a parte)
Troppo calore, troppo! Spinta così all’estremo, l’amicizia rimescola il sangue. Un tremor cordis mi assale; il cuore mi danza nel petto ma non di gioia, non di gioia! Una simile intesa può mostrarsi a viso aperto, giustificarsi come cosa sincera, generosa, d’animo cordiale, e ben ornare chi la vive. Così può essere, lo ammetto. Ma questo loro premersi i palmi, incrociare le dita come stanno facendo adesso, e scambiarsi sorrisetti studiati allo specchio, e sospiri simili agli annunci che il cervo è morto?17 – Ah, questa è un’intesa che non piace al mio cuore, né al mio volto. – Mamilio, sei il mio ragazzo? MAMILIO
Sì, mio buon signore. LEONTE
Infatti: ecco il mio galletto18. Come, hai il naso sporco? Dicono che è una copia del mio. Avanti, capitano, dobbiamo essere puliti19 – anzi no, tutti bene in ordine, capitano! Del bue, della mucca, del vitello si può dire che sono puliti, ma di noi… – ancora a strim-
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
Upon his palm? — How now, you wanton calf — Art thou my calf? MAMILLIUS Yes, if you will, my lord. LEONTES
Thou want’st a rough pash and the shoots that I have, To be full like me. Yet they say we are Almost as like as eggs. Women say so, That will say anything. But were they false As o’er-dyed blacks, as wind, as waters, false As dice are to be wished by one that fixes No bourn ’twixt his and mine, yet were it true To say this boy were like me. Come, sir page, Look on me with your welkin eye. Sweet villain, Most dear’st, my collop! Can thy dam — may’t be? — Affection, thy intention stabs the centre. b Thou dost make possible things not so held, Communicat’st with dreams — how can this be? — With what’s unreal thou coactive art, And fellow’st nothing. Then ’tis very credent Thou mayst co-join with something, and thou dost — And that beyond commission; and I find it — And that to the infection of my brains And hard’ning of my brows. POLIXENES What means Sicilia?
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HERMIONE
He something seems unsettled. How, my lord!
POLIXENES LEONTES
What cheer? How is’t with you, best brother? You look As if you held a brow of much distraction. Are you moved, my lord?
HERMIONE
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140. Affection, thy: in F Affection? Thy; in questo caso [come spesso nella trascrizione di Crane] il punto interrogativo può essere equivalente a un esclamativo. 1282
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
pellare sul suo palmo? Allora, mio focoso vitellino – sei il mio vitellino tu? MAMILIO
Sì, se vi fa piacere, signor mio. LEONTE
Ma hai bisogno di una testa lanosa e di un paio di corna come ho io per essere proprio come me. Eppure dicono che ci assomigliamo come due uova – dicerie di donne, che ne dicono tante... Ma anche se fossero bugiarde come vesti tinte e ritinte, o come i venti o le acque, bugiarde come i numeri dei dadi giocati da chi non rispetta limiti fra il suo e il mio, però vero sarebbe che questo ragazzo mi assomiglia. Avanti, messer paggio, guardami con quegli occhi azzurri come il cielo. Dolce, carissimo birbante, carne della mia carne! Potrebbe mai tua madre – potrebbe? – Passione, la tua forza penetra nel profondo dell’anima 20. Tu rendi possibili cose che non sono tali, sei simile ai sogni – ma come può essere? – Tu partecipi dell’irreale, il nulla ti è compagno. Allora c’è da credere che tu possa associarti a una cosa qualunque – al di là dell’onesto, come nel mio caso – e così infettarmi la mente, e farmi aggrottare la fronte! POLISSENE
Cosa intende il re di Sicilia? ERMIONE
Sembra essere scosso. POLISSENE
Che c’è, mio signore? LEONTE
Qualche bella novità? Come state, fratello mio?21 ERMIONE
Sembrate molto accigliato. Siete preoccupato, mio signore?
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
No, in good earnest. How sometimes nature will betray its folly, Its tenderness, and make itself a pastime To harder bosoms! Looking on the lines Of my boy’s face, methoughts I did recoil Twenty-three years, and saw myself unbreeched, In my green velvet coat; my dagger muzzled, Lest it should bite its master, and so prove, As ornament oft does, too dangerous. c How like, methought, I then was to this kernel, This squash, this gentleman. — Mine honest friend, Will you take eggs for money? MAMILLIUS No, my lord, I’ll fight. LEONTES
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LEONTES
You will? Why, happy man be’s dole! — My brother, Are you so fond of your young prince as we Do seem to be of ours? POLIXENES If at home, sir, He’s all my exercise, my mirth, my matter; Now my sworn friend, and then mine enemy; My parasite, my soldier, statesman, all. He makes a July’s day short as December, And with his varying childness cures in me Thoughts that would thick my blood. LEONTES So stands this squire Officed with me. We two will walk, my lord, And leave you to your graver steps. Hermione, How thou lov’st us show in our brother’s welcome. Let what is dear in Sicily be cheap. Next to thyself and my young rover, he’s Apparent to my heart. HERMIONE If you would seek us, We are yours i’th’ garden. Shall’s attend you there?
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160. Ornament: emend. tardo; in F Ornaments, pur seguito da do’s, che altri curatori correggono in does. 1284
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
No, sul serio. Quanto bizzarra è talvolta la natura, e così debole da farsi ingannare dai cuori più duri! Guardavo i lineamenti del mio ragazzo, e mi pareva di essere tornato indietro ventitré anni, e mi vedevo in pantaloni corti 22, la mantellina di velluto verde, e il pugnale nel fodero perché non mordesse il padrone, e diventasse un pericolo, come spesso succede agli ornamenti. E pensavo: mio prode amico, vi si può compensare con un uovo?23 MAMILIO
No, mio signore, sono pronto a combattere! LEONTE
Davvero? Beh, la fortuna ti assista! – Fratello mio, tenete anche voi al vostro giovane principe come noi teniamo al nostro? POLISSENE
Quando sono a casa, signore, lui è tutto il mio passatempo, la mia gioia, la mia preoccupazione; ora il mio amico giurato, ora il mio nemico, mio parassita, mio soldato, statista, tutto. Lui mi rende un giorno di luglio corto come uno di dicembre, e da ragazzaccio qual è cura in me pensieri che rendono denso il sangue. LEONTE
Altrettanto fa questo armigero con me. Ora noi due andiamo a spasso, mio signore, e vi lasciamo alle vostre più gravi faccende. Ermione, mostra il tuo amore per me intrattenendo questo nostro fratello. E quanto è prezioso in Sicilia diventi disponibile per lui. Dopo di te e del mio giovane avventuriero, è a lui che va il mio affetto. ERMIONE
Se ci cercate, noi siamo in giardino. Vi aspettiamo.
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
LEONTES
To your own bents dispose you. You’ll be found, Be you beneath the sky. (Aside) I am angling now, Though you perceive me not how I give line. Go to, go to! How she holds up the neb, the bill to him, And arms her with the boldness of a wife To her allowing husband!
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Exeunt Polixenes and Hermione Gone already. Inch-thick, knee-deep, o’er head and ears a forked one! — Go play, boy, play. Thy mother plays, and I Play too; but so disgraced a part, whose issue Will hiss me to my grave. Contempt and clamour Will be my knell. Go play, boy, play. There have been, Or I am much deceived, cuckolds ere now, And many a man there is, even at this present, Now, while I speak this, holds his wife by th’arm, That little thinks she has been sluiced in’s absence, And his pond fished by his next neighbour, by Sir Smile, his neighbor. Nay, there’s comfort in’t, Whiles other men have gates, and those gates opened, As mine, against their will. Should all despair That have revolted wives, the tenth of mankind Would hang themselves. Physic for’t there’s none. It is a bawdy planet, that will strike Where ’tis predominant; and ’tis powerful. Think it: From east, west, north, and south, be it concluded, No barricado for a belly. Know’t, It will let in and out the enemy With bag and baggage. Many thousand on’s Have the disease and feel’t not. — How now, boy?
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MAMILLIUS
I am like you, they say.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
Fate secondo il vostro desiderio. Vi si troverà ovunque siate sotto il cielo. (A parte) Ora sono a pesca, anche se non vi accorgete che vi do lenza. Andate, andate! Oh come gli sporge le labbra24, il becco; come una moglie che si dispone ad accogliere di slancio un marito compiacente! Escono Polissene e Ermione 25
Eccola già lontana . Dura come una trave26, immersa fino al collo27, doppia in tutto e per tutto! – Vai a giocare, ragazzo, vai. Tua madre gioca, e anch’io gioco, ma la mia parte è talmente vergognosa che finiranno per sotterrarmi a suon di fischi. Urla e disprezzo suoneranno la campana per me. Vai a giocare, ragazzo, vai. Certamente non sono mancati dei cornuti prima d’ora, e ce n’è più di uno, pure in questo momento28, che si tiene la mogliera a braccetto, e nemmeno immagina la ripassata che le ha dato in sua assenza il vicino, ser Risolino che pesca nel suo laghetto. Beh, è una bella consolazione, che altri abbiano chiuso le loro porte, e che gli siano state aperte, come le mie, contro la loro volontà. Dovessero disperarsi tutti quelli la cui moglie è stata infedele, un decimo dell’umanità andrebbe a impiccarsi. A questo non c’è rimedio. È il pianeta della lussuria a essere ascendente, è quello che comanda, ed è potente. Siine certo: da oriente, da occidente, da settentrione e meridione, il ventre non ha difese. Davvero, quello lascia che il nemico entri ed esca, armi e bagagli. Molte migliaia di noi hanno la malattia, e non la avvertono. Che ne dici, ragazzo? MAMILIO
Dicono che io vi assomiglio.
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
Why, that’s some comfort. What, Camillo there! CAMILLO [coming forward] Ay, my good lord. LEONTES
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LEONTES
Go play, Mamillius, thou’rt an honest man. Exit Mamillius Camillo, this great sir will yet stay longer. CAMILLO
You had much ado to make his anchor hold. When you cast out, it still came home. LEONTES Didst note it? CAMILLO
He would not stay at your petitions, made His business more material. LEONTES Didst perceive it? (Aside) They’re here with me already, whisp’ring, rounding, ‘Sicilia is a so-forth’. ’Tis far gone When I shall gust it last. — How came’t, Camillo, That he did stay? CAMILLO At the good Queen’s entreaty.
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LEONTES
‘At the Queen’s’ be’t. ‘Good’ should be pertinent, But so it is, it is not. Was this taken By any understanding pate but thine? For thy conceit is soaking, will draw in More than the common blocks. Not noted, is’t, But of the finer natures? By some severals Of head-piece extraordinary? Lower messes Perchance are to this business purblind? Say.
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CAMILLO
Business, my lord? I think most understand Bohemia stays here longer. LEONTES Ha? CAMILLO Stays here longer.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
Ah. È una consolazione! Camillo, ci sei? CAMILLO [facendosi avanti]
Eccomi, mio buon signore. LEONTE
Vai a giocare, Mamilio, tu sei un bravo ragazzo. Mamilio esce Camillo, questo gran signore rimane qui ancora. CAMILLO
Avete faticato non poco per ancorarlo qui. L’ancora, quando la gettavate, tornava sempre su. LEONTE
Hai notato? CAMILLO
Le vostre preghiere non lo convincevano, i suoi affari erano più importanti. LEONTE
Te ne sei accorto? (A parte) Eccoli, mi stanno già intorno a bisbigliare, a far circolo, a dire “il re di Sicilia eccetera eccetera”. La cosa dev’essere già molto avanti, e io la vengo a sapere per ultimo. – E com’è successo, Camillo, che lui si è fermato? CAMILLO
Per la supplica della buona regina. LEONTE
Della regina, certo. “Buona” ci starebbe bene, ma per come stanno le cose non regge. Se n’è accorto qualcuno oltre a te? Perché tu sei lesto di comprendonio, e la tua zucca assorbe più di quelle comuni. L’hanno notato solo gli osservatori più pronti? Solo quelli di straordinaria intelligenza? O le combriccole in platea erano cieche a tanto spettacolo?29 CAMILLO
Spettacolo, mio signore? Secondo me tanti già sanno che il re di Boemia resta più a lungo. LEONTE
E cioè? CAMILLO
Che resta, più a lungo… 1289
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
LEONTES Ay, but why? CAMILLO
To satisfy your highness, and the entreaties Of our most gracious mistress. LEONTES Satisfy? Th’entreaties of your mistress? Satisfy? Let that suffice. I have trusted thee, Camillo, With all the near’st things to my heart, as well My chamber-counsels, wherein, priest-like, thou Hast cleansed my bosom, I from thee departed Thy penitent reformed. But we have been Deceived in thy integrity, deceived In that which seems so. CAMILLO Be it forbid, my lord.
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LEONTES
To bide upon’t: thou art not honest; or If thou inclin’st that way, thou art a coward, Which boxes honesty behind, restraining From course required. Or else thou must be counted A servant grafted in my serious trust And therein negligent, or else a fool That seest a game played home, the rich stake drawn, And tak’st it all for jest. CAMILLO My gracious lord, I may be negligent, foolish, and fearful. In every one of these no man is free, But that his negligence, his folly, fear, Among the infinite doings of the world Sometime puts forth. In your affairs, my lord, If ever I were wilful-negligent, It was my folly. If industriously I played the fool, it was my negligence, Not weighing well the end. If ever fearful To do a thing where I the issue doubted, Whereof the execution did cry out Against the non-performance, ’twas a fear Which oft infects the wisest. These, my lord,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
Già, ma perché? CAMILLO
Per soddisfare la vostra maestà, e le insistenze della nostra graziosa regina. LEONTE
Soddisfare? Le insistenze della tua padrona? Soddisfare? Questo mi basta. Camillo, a te ho confidato tutto quanto è più interno al mio cuore, come pure i miei riposti pensieri, dai quali, come il prete30, mi hai liberato la coscienza, congedandomi col sollievo del penitente. Ma ci siamo ingannati sulla tua integrità, ingannati dalle apparenze. CAMILLO
Dio non voglia, mio signore. LEONTE
Per dirla tutta: non sei onesto, o se tendi ad esserlo resti un debole, che dell’onestà si scorda, impedendo il suo giusto percorso. Oppure ti devo considerare un servo che si è insinuato nella mia fiducia, che ripaghi con la negligenza; oppure uno sciocco che assiste a una partita giocata fino in fondo, con una posta decisiva, che tu prendi come uno scherzo. CAMILLO
Mio grazioso signore, posso essere negligente, sciocco, e pauroso. Nessuno è immune da tali difetti al punto che la sua negligenza, la sua stupidità e paura non vengano a galla, fra gli infiniti esercizi del mondo. Mio signore, se mai negli affari del regno io fossi stato scientemente negligente, questa è la mia stupidità; se mai ostinatamente sciocco, questa di non considerare bene l’obiettivo è la mia negligenza; se mai pauroso nell’eseguire qualcosa del cui fine dubitavo, ma che pretendeva a gran voce di essere eseguita, ecco una paura che spesso contagia i saggi. Queste, mio signore, sono
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
Are such allowed infirmities that honesty Is never free of. But beseech your grace Be plainer with me, let me know my trespass By its own visage. If I then deny it, ’Tis none of mine. LEONTES Ha’ not you seen, Camillo — But that’s past doubt; you have, or your eye-glass Is thicker than a cuckold’s horn — or heard — For, to a vision so apparent, rumour Cannot be mute — or thought — for cogitation Resides not in that man that does not think — My wife is slippery? If thou wilt confess — Or else be impudently negative To have nor eyes, nor ears, nor thought — then say My wife’s a hobby-horse, deserves a name d As rank as any flax-wench that puts to Before her troth-plight. Say’t, and justify’t.
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CAMILLO
I would not be a stander-by to hear My sovereign mistress clouded so without My present vengeance taken. ’Shrew my heart, You never spoke what did become you less Than this, which to reiterate were sin As deep as that, though true. LEONTES Is whispering nothing? Is leaning cheek to cheek? Is meeting noses? Kissing with inside lip? Stopping the career Of laughter with a sigh? — a note infallible Of breaking honesty. Horsing foot on foot? Skulking in corners? Wishing clocks more swift, Hours minutes, noon midnight? And all eyes Blind with the pin and web but theirs, theirs only, That would unseen be wicked? Is this nothing? Why then the world and all that’s in’t is nothing, The covering sky is nothing, Bohemia nothing,
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278. Hobby-horse: emend. tardo, in F holy-horse = ? 1292
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
le pecche veniali da cui l’onestà non è mai esente. Ma prego vostra grazia di essere più diretto con me: svelate il vero volto del mio errore. Se non lo riconosco non è mio. LEONTE
Non hai visto, Camillo? Ma non c’è nessun dubbio, tu hai visto, o le tue pupille sono più callose delle corna di un cornuto – o hai udito – davanti a una scena così esplicita non possono non correre voci – o hai pensato – non c’è intelletto in chi non ragioni così – che mia moglie si struscia con chi capita? Ammetti – non più negando spudoratamente di avere occhi, né orecchie, né pensiero – che mia moglie corre la cavallina, che merita il nome odioso di una sguattera da poco31, che si dà da fare anche prima di maritarsi32. Dillo, e dammene prova! CAMILLO
Io non resterò ad ascoltare la mia sovrana così vilipesa senza esigere immediata riparazione. Che io sia dannato, se mai avete pronunciato cose che vi disonorano più di queste, ripetere le quali sarebbe un peccato altrettanto grave, anche se fossero vere. LEONTE
Non è nulla sussurrarsi, sfiorarsi guancia a guancia, naso contro naso, baciarsi sporgendo la bocca, interrompere il riso con un sospiro, segno evidente del venir meno dell’onestà? Fare piedino, appartarsi negli angoli, desiderare che gli orologi vadano più svelti, che le ore diventino minuti, e il mezzogiorno mezzanotte? E che ogni occhio abbia la cataratta salvo i loro, i loro soltanto, che vorrebbero peccare senza essere visti? È nulla questo? Ma allora il mondo e tutto quello che contiene è nulla, il cielo che ci copre è nulla, nulla
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Shakespeare IV.indb 1293
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
My wife is nothing, nor nothing have these nothings If this be nothing. CAMILLO Good my lord, be cured Of this diseased opinion, and betimes, For ’tis most dangerous. LEONTES Say it be, ’tis true.
300
CAMILLO
No, no, my lord. It is. You lie, you lie. I say thou liest, Camillo, and I hate thee, Pronounce thee a gross lout, a mindless slave, Or else a hovering temporizer, that Canst with thine eyes at once see good and evil, Inclining to them both. Were my wife’s liver Infected as her life, she would not live The running of one glass. CAMILLO Who does infect her? LEONTES
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LEONTES
Why, he that wears her like her medal, hanging About his neck, Bohemia, who, if I Had servants true about me, that bare eyes To see alike mine honour as their profits, Their own particular thrifts, they would do that Which should undo more doing. Ay, and thou His cupbearer, whom I from meaner form Have benched, and reared to worship, who mayst see Plainly as heaven sees earth and earth sees heaven, How I am galled, mightst bespice a cup To give mine enemy a lasting wink, Which draught to me were cordial. CAMILLO Sir, my lord, I could do this, and that with no rash potion, But with a ling’ring dram, that should not work Maliciously, like poison. But I cannot Believe this crack to be in my dread mistress, So sovereignly being honourable. I have loved thee —
310
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Shakespeare IV.indb 1294
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
è la Boemia, nulla mia moglie, e tutti questi nulla non sono nulla se questo è nulla! CAMILLO
Mio buon signore, cerchi di guarire da questi pensieri malsani, e presto, perché sono estremamente pericolosi. LEONTE
Di’ che è così, che è vero! CAMILLO
No, no, mio signore! LEONTE
Lo è! Tu menti, menti! Dico che tu menti, Camillo, e io ti odio, ti ritengo un rozzo deficiente, un bifolco scervellato, oppure un opportunista ondeggiante che vede il male e il bene senza distinguerli, e li apprezza entrambi. Se il fegato33 di mia moglie fosse infetto come la sua vita, non vivrebbe oltre il volgere di una clessidra. CAMILLO
E chi la infetta? LEONTE
Ma quello che si porta al collo lei come se fosse il suo ritratto, il re di Boemia, che se avessi dei servi fedeli intorno a me, che aprissero gli occhi quel tanto da badare al mio onore come ai loro guadagni, ai loro particolari interessi, farebbero qualcosa per disfare un fare che progredisce; già, e tu che gli fai da coppiere, tu che sei stato da me innalzato da un’umile condizione ad un alto seggio, e puoi vedere chiaramente, come il cielo vede la terra e la terra il cielo, in che modo io sia vilipeso, potresti versare del veleno in una coppa e dare al mio nemico una perenne strizzatina d’occhi, ciò che sarebbe per me un cordiale. CAMILLO
Mio signore e padrone, potrei farlo, magari non con una pozione che agisce subito, ma di effetto lento e non devastante come il veleno. Ma non riesco a credere che la mia temuta sovrana si sia macchiata di una simile infrazione, tanto supremamente onorabile essa è. Io vi ho amato –
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Shakespeare IV.indb 1295
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
Make that thy question, and go rot! Dost think I am so muddy, so unsettled, To appoint myself in this vexation? Sully the purity and whiteness of my sheets — Which to preserve is sleep, which being spotted Is goads, thorns, nettles, tails of wasps — Give scandal to the blood o’th’ prince, my son — Who I do think is mine, and love as mine — Without ripe moving to’t? Would I do this? Could man so blench? CAMILLO I must believe you, sir. I do, and will fetch off Bohemia for’t, Provided that when he’s removed your highness Will take again your queen as yours at first, Even for your son’s sake, and thereby for sealing The injury of tongues in courts and kingdoms Known and allied to yours. LEONTES Thou dost advise me Even so as I mine own course have set down. I’ll give no blemish to her honour, none. LEONTES
330
335
340
CAMILLO
My lord, go then, and with a countenance as clear As friendship wears at feasts, keep with Bohemia And with your queen. I am his cupbearer. If from me he have wholesome beverage, Account me not your servant. LEONTES This is all. Do’t, and thou hast the one half of my heart; Do’t not, thou splitt’st thine own. CAMILLO I’ll do’t, my lord.
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LEONTES
I will seem friendly, as thou hast advised me.
Exit
CAMILLO
O miserable lady. But for me, What case stand I in? I must be the poisoner Of good Polixenes, and my ground to do’t Is the obedience to a master — one
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Shakespeare IV.indb 1296
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
LEONTE
E allora dubita, e togliti dai piedi! Pensi che io sia così perplesso, così sconvolto da crearmi da solo questo tormento? Da sporcare la purezza e il bianco delle mie lenzuola – che preservate conciliano il sonno, ma macchiate son pungoli, spine, ortiche, pungiglioni di vespa – e dare scandalo al sangue del principe mio figlio – che io credo mio, e amo come mio – senza un maturato motivo? Farei io una cosa simile? Potrebbe mai un uomo smarrirsi così? CAMILLO
Vi devo credere, sire. Vi credo, e toglierò di mezzo Boemia, a patto che, messo lui fuori causa, vostra altezza si riprenda la regina come un tempo, almeno per amore di vostro figlio, e anche per prevenire ogni infamia dalle malelingue nelle corti e nei regni che sono conosciuti e alleati al vostro. LEONTE
Mi consigli proprio come io pensavo di fare. Il suo onore non subirà alcuna macchia. CAMILLO
Allora procedete, mio signore, e con l’aria di un amicone che va a una festa intrattenete la regina e Boemia. Sono il suo coppiere, e se da me dovesse ricevere bevanda salutare non consideratemi più vostro servitore. LEONTE
È tutto. Fallo, e avrai metà del mio cuore; non farlo, e spezzerai il tuo. CAMILLO
Lo farò, mio signore. LEONTE
Io fingerò amicizia, come tu mi consigli. Esce CAMILLO
Oh povera signora! Ma io, in che situazione mi trovo? Devo avvelenare il buon Polissene, e l’unica ragione per farlo è l’obbedienza
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Shakespeare IV.indb 1297
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
Who in rebellion with himself, will have All that are his so too. To do this deed, Promotion follows. If I could find example Of thousands that had struck anointed kings And flourished after, I’d not do’t. But since Nor brass, nor stone, nor parchment bears not one, Let villainy itself forswear’t. I must Forsake the court. To do’t, or no, is certain To me a break-neck.
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Enter Polixenes Happy star reign now! Here comes Bohemia. POLIXENES (aside) This is strange. Methinks My favour here begins to warp. Not speak? — Good day, Camillo. CAMILLO Hail, most royal sir.
365
POLIXENES
What is the news i’th’ court? CAMILLO None rare, my lord. POLIXENES
The King hath on him such a countenance As he had lost some province, and a region Loved as he loves himself. Even now I met him With customary compliment, when he, Wafting his eyes to th’ contrary, and falling A lip of much contempt, speeds from me, and So leaves me to consider what is breeding That changes thus his manners. CAMILLO I dare not know, my lord.
370
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POLIXENES
How, ‘dare not’? Do not? Do you know, and dare not? Be intelligent to me. ’Tis thereabouts. For to yourself what you do know you must, And cannot say you ‘dare not’. Good Camillo, Your changed complexions are to me a mirror Which shows me mine changed, too; for I must be
380
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Shakespeare IV.indb 1298
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
a un padrone – uno che è in subbuglio contro se stesso, e vuole che lo siano anche tutti coloro che gli stanno intorno. Facendo questo mi spetta una promozione. Ma se anche potessi trovare migliaia di esempi di assassini di legittimi sovrani che hanno perciò prosperato, io non lo farei. E dacché né bronzo, né pietra, né pergamena ne ricorda alcuno, l’atrocità stessa dovrà rinunciarvi. Devo abbandonare la corte. Sia che lo faccia, sia che no, è sicuro che per me va a finir male. Entra Polissene Che una buona stella risplenda su di me. Ecco che viene Boemia. POLISSENE (a parte) È strano. Sembra che le mie fortune qui comincino a declinare. Perché non parla? – Camillo, una buona giornata! CAMILLO
Salve, molto regale signore! POLISSENE
Che novità a corte? CAMILLO
Nulla di che, mio signore. POLISSENE
Il re ha messo su un’aria come se avesse perduto una provincia, e una regione che ama come se stesso. Proprio ora l’ho salutato con la cordialità d’uso, e lui, volgendo lo sguardo altrove e facendo una smorfia di sdegno, mi ha piantato in asso, a interrogarmi su cosa possa aver scatenato un tale cambiamento di umore. CAMILLO
Non oso saperlo, signor mio. POLISSENE
Come, “non oso”? “Non” cosa? Sapete, e non osate? Siate più esplicito, e circostanziato: quel che sapete dovete saperlo e basta, e non potete dire “non oso”. Buon Camillo, la vostra espressione alterata rispecchia la mia, che si è anch’essa alterata, perché
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
A party in this alteration, finding Myself thus altered with’t. CAMILLO There is a sickness Which puts some of us in distemper, but I cannot name th’ disease, and it is caught Of you that yet are well. POLIXENES How caught of me? Make me not sighted like the basilisk. I have looked on thousands who have sped the better By my regard, but killed none so. Camillo, As you are certainly a gentleman, thereto Clerk-like experienced, which no less adorns Our gentry than our parents’ noble names, In whose success we are gentle: I beseech you, If you know aught which does behove my knowledge Thereof to be informed, imprison’t not In ignorant concealment. CAMILLO I may not answer.
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POLIXENES
A sickness caught of me, and yet I well? I must be answered. Dost thou hear, Camillo, I conjure thee, by all the parts of man Which honour does acknowledge, whereof the least Is not this suit of mine, that thou declare What incidency thou dost guess of harm Is creeping toward me; how far off, how near, Which way to be prevented, if to be; If not, how best to bear it. CAMILLO Sir, I will tell you, Since I am charged in honour, and by him That I think honourable. Therefore mark my counsel, Which must be e’en as swiftly followed as I mean to utter it; or both yourself and me Cry lost, and so good night! POLIXENES On, good Camillo.
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CAMILLO
I am appointed him to murder you. 1300
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
la causa di questa alterazione devo essere io, che mi trovo così alterato! CAMILLO
C’è un malessere che in alcuni di noi scatena una febbre, ma non so come chiamarla, solo che voi ne siete portatore, anche se vi sentite bene. POLISSENE
E come la porterei? Ora non attribuitemi lo sguardo del basilisco!34 Migliaia ne ho guardati che si sono solo rinfrancati, e nessuno ne è morto! Camillo, voi siete certamente una persona per bene, con l’esperienza e la cultura che, insieme alla nobiltà della discendenza, adornano i gentiluomini dalla cui fortuna discende la nostra posizione: vi imploro, se vi è noto qualcosa di cui merito di essere informato, non tenetelo al chiuso di una totale ignoranza! CAMILLO
Non posso rispondere. POLISSENE
Un malessere che io porto, pur stando bene? Devo avere una risposta. Camillo mi senti? Ti scongiuro per tutti gli obblighi che l’onore comporta, il minore dei quali non è questa mia supplica, che mi spieghi quale malanno tu credi che mi stia assalendo; quanto mi sia lontano, quanto vicino, come io lo possa se mai evitare; o se no, come potrei meglio tollerarlo. CAMILLO
Signore, parlerò poiché me ne fate un impegno d’onore, e vi reputo persona onorevole. Quindi ascoltate il mio consiglio, che deve essere posto in atto nel momento stesso in cui viene pronunciato, o voi stesso ed io saremo perduti, e buona notte! POLISSENE
Avanti, buon Camillo. CAMILLO
Mi ha incaricato di uccidervi.
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Shakespeare IV.indb 1301
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THE WINTER’S TALE, ACT 1 SCENE 2
POLIXENES
By whom, Camillo? CAMILLO POLIXENES
By the King. For what?
CAMILLO
He thinks, nay, with all confidence he swears As he had seen’t, or been an instrument To vice you to’t, that you have touched his queen Forbiddenly. POLIXENES O, then my best blood turn To an infected jelly, and my name Be yoked with his that did betray the Best! Turn then my freshest reputation to A savour that may strike the dullest nostril Where I arrive, and my approach be shunned, Nay hated, too, worse than the great’st infection That e’er was heard or read. CAMILLO Swear his thought over By each particular star in heaven, and By all their influences, you may as well Forbid the sea for to obey the moon As or by oath remove or counsel shake The fabric of his folly, whose foundation Is piled upon his faith, and will continue The standing of his body. POLIXENES How should this grow?
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CAMILLO
I know not, but I am sure ’tis safer to Avoid what’s grown than question how ’tis born. If therefore you dare trust my honesty, That lies enclosèd in this trunk which you Shall bear along impawned, away tonight! Your followers I will whisper to the business, And will by twos and threes at several posterns Clear them o’th’ city. For myself, I’ll put My fortunes to your service, which are here By this discovery lost. Be not uncertain,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO I SCENA 2
POLISSENE
Chi, Camillo? CAMILLO
Il re. POLISSENE
Il motivo? CAMILLO
Lui pensa, anzi giura con grande sicurezza come se l’avesse visto, o vi avesse spinto lui stesso a farlo, che avete frequentato illecitamente la sua regina. POLISSENE
Oh, ma allora possa il mio sangue trasformarsi in gelatina venefica, e il mio nome essere appaiato a quello di chi tradì il Signore!35 Che la mia migliore reputazione non rilasci che fetore, da offendere anche le narici più insensibili dovunque io vada! E che la mia presenza sia sfuggita, no, sia del tutto odiata, peggio della peggiore infezione che mai sia stata denunciata da parola udita o scritta! CAMILLO
Cercate di distoglierlo dalla sua convinzione appellandovi a tutte le stelle del cielo, invocate tutte le loro influenze, tanto varrebbe impedire al mare di obbedire alla luna, o ottenere col giuramento o scuotere col ragionamento l’edificio della sua follia, che si fonda su una cieca persuasione, e tale rimarrà vita natural durante. POLISSENE
Come è cresciuta questa cosa? CAMILLO
Non lo so, ma mi convinco che sia più sicuro scansare quanto è cresciuto che chiedersi come sia nato. Quindi, se ritenete di fidarvi dell’onestà racchiusa in questo mio corpo che è pronto a seguirvi come garanzia, stanotte fi liamo! In segreto io avvertirò il vostro seguito, e farò che a due o tre per volta, da porte diverse, lasci la città. Quanto a me, pongo al vostro servizio le mie fortune, ora dissolte dalle rivelazioni che vi ho fatto. Non esitate: sull’onore
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
For by the honour of my parents, I Have uttered truth; which if you seek to prove, I dare not stand by; nor shall you be safer Than one condemnèd by the King’s own mouth, Thereon his execution sworn. POLIXENES I do believe thee, I saw his heart in’s face. Give me thy hand. Be pilot to me, and thy places shall Still neighbour mine. My ships are ready, and My people did expect my hence departure Two days ago. This jealousy Is for a precious creature. As she’s rare Must it be great; and as his person’s mighty Must it be violent; and as he does conceive He is dishonoured by a man which ever Professed to him, why, his revenges must In that be made more bitter. Fear o’ershades me. Good expedition be my friend and comfort The gracious Queen, part of his theme, but nothing Of his ill-ta’en suspicion. Come, Camillo, I will respect thee as a father if Thou bear’st my life off hence. Let us avoid. e
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CAMILLO
It is in mine authority to command The keys of all the posterns. Please your highness To take the urgent hour. Come, sir, away. Exeunt 2.1
Enter Hermione, Mamillius, and Ladies
HERMIONE
Take the boy to you. He so troubles me ’Tis past enduring. FIRST LADY Come, my gracious lord, Shall I be your play-fellow?
462. …Off hence. Let…: così in F; in altre ed. …off. Hence! – Let… in cui si accentua il proposito di fuggire immediatamente. 1304
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
della mia famiglia, ho detto la verità. Ma se cercate prove, io non vi potrò sostenere, né voi sarete più al sicuro di chi viene condannato dalla parola del re, e la sua morte decretata. POLISSENE
Ti credo, gli ho visto l’anima in faccia. Dammi la mano. Sii tu il mio pilota, e dove andrai tu io ti seguirò. Le mie navi sono pronte, la partenza era prevista già da due giorni. Questa gelosia è per una creatura preziosa: grande deve essere, siccome lei è unica; e violenta, siccome lui è potente; e siccome pensa di essere disonorato da uno che gli ha sempre portato affetto, tanto più atroce vorrà essere la sua vendetta. La paura mi opprime. Una rapida partenza mi sia amica, e aiuti la graziosa regina che a lui sta tanto a cuore, ma che nulla ha a che fare con il suo mal riposto sospetto. Andiamo, Camillo, ti rispetterò come un padre se mi farai uscire vivo da qui. Via! CAMILLO
La mia autorità mi garantisce il possesso delle chiavi per tutte le porte della città. Piaccia a vostra altezza di cogliere l’ora favorevole. Avanti signore, andiamo! Escono II, 1
Entrano Ermione, Mamilio e dame36
ERMIONE
Tenete voi il ragazzo. Non lo sopporto, tanto è inquieto. PRIMA DAMA
Su, mio grazioso signore, volete giocare?
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
MAMILLIUS No, I’ll none of you. FIRST LADY Why, my sweet lord?
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MAMILLIUS
You’ll kiss me hard, and speak to me as if I were a baby still. (To Second Lady) I love you better. SECOND LADY
And why so, my lord? MAMILLIUS Not for because Your brows are blacker — yet black brows they say Become some women best, so that there be not Too much hair there, but in a semicircle, Or a half-moon made with a pen. SECOND LADY Who taught ’this?
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MAMILLIUS
I learned it out of women’s faces. Pray now, What colour are your eyebrows? FIRST LADY Blue, my lord. MAMILLIUS
Nay, that’s a mock. I have seen a lady’s nose That has been blue, but not her eyebrows. FIRST LADY Hark ye, The Queen your mother rounds apace. We shall Present our services to a fine new prince One of these days, and then you’d wanton with us, If we would have you. SECOND LADY She is spread of late Into a goodly bulk, good time encounter her.
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HERMIONE
What wisdom stirs amongst you? Come sir, now I am for you again. Pray you sit by us, And tell’s a tale. MAMILLIUS Merry or sad shall’t be? HERMIONE As merry as you will.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
MAMILIO
No, non con voi. PRIMA DAMA
E perché, mio dolce signore? MAMILIO
Perché voi mi baciate troppo, e mi parlate come se fossi ancora un bambino. (Alla seconda dama) Preferisco voi. SECONDA DAMA
E allora perché, mio signore? MAMILIO
Non perché le vostre sopracciglia sono più scure – anche se dicono che le sopracciglia scure donano di più, soprattutto se non sono troppo folte e formano un semicerchio, o mezzaluna, disegnate con la matita. SECONDA DAMA
Chi vi ha insegnato questo? MAMILIO
L’ho appreso da come si dipingono le donne. E adesso ditemi: di quale colore sono le vostre? PRIMA DAMA
Blu, mio signore. MAMILIO
Su, non prendetemi in giro. Blu ho visto certi nasi37, ma non le sopracciglia! PRIMA DAMA
Attento voi, la regina vostra madre sta ingrossando a vista d’occhio, e uno di questi giorni noi offriremo i nostri servigi a un bel nuovo principino38, e allora voi giocherete con noi solo se noi lo vorremo. SECONDA DAMA
Ultimamente ha messo su un bel pancione, e buona fortuna a lei! ERMIONE
Le spiritose! Allora signor mio, eccomi di nuovo a voi. Sedetevi qui e raccontateci una storia. MAMILIO
Dev’essere allegra o triste? ERMIONE
Allegra quanto vi pare. 1307
Shakespeare IV.indb 1307
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
MAMILLIUS
A sad tale’s best for winter. I have one Of sprites and goblins. HERMIONE Let’s have that, good sir. Come on, sit down, come on, and do your best To fright me with your sprites. You’re powerful at it. MAMILLIUS
There was a man — HERMIONE
Nay, come sit down, then on.
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MAMILLIUS (sitting)
Dwelt by a churchyard. — I will tell it softly, Yon crickets shall not hear it. HERMIONE
Come on then, and give’t me in mine ear. Enter apart Leontes, Antigonus, and Lords LEONTES
Was he met there? His train? Camillo with him?
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A LORD
Behind the tuft of pines I met them. Never Saw I men scour so on their way. I eyed them Even to their ships. LEONTES How blest am I In my just censure, in my true opinion! Alack, for lesser knowledge — how accursed In being so blest! There may be in the cup A spider steeped, and one may drink, depart, And yet partake no venom, for his knowledge Is not infected; but if one present Th’abhorred ingredient to his eye, make known How he hath drunk, he cracks his gorge, his sides, With violent hefts. I have drunk, and seen the spider. Camillo was his help in this, his pander. There is a plot against my life, my crown. All’s true that is mistrusted. That false villain Whom I employed was pre-employed by him. He has discovered my design, and I
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Shakespeare IV.indb 1308
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
MAMILIO
Ma una storia triste è più adatta all’inverno. Ne so una di spiriti e folletti. ERMIONE
Raccontateci quella, buon signore. Avanti, prendete posto, avanti, e mettetecela tutta per spaventarmi con i vostri spiriti. Voi ci sapete fare. MAMILIO
C’era una volta un uomo – ERMIONE
Ma sedete qui, e proseguite. MAMILIO (mettendosi a sedere) Che abitava vicino a un cimitero. – La dico piano, perché non la sentano quei grilli lì39. ERMIONE
Avanti dunque, dimmela in un orecchio. Entrano non visti Leonte, Antigono e altri nobili. LEONTE
Aveva dato appuntamento? Al seguito? E Camillo con lui? NOBILE
Li ho scorti dietro una macchia di pini; mai visti uomini andare così di fretta. Li ho seguiti fino alle loro navi. LEONTE
Come avevo ragione a condannarli, e come veri i miei sospetti! Ahimè, meno vorrei saperne – che disgrazia avere una tale conferma! Uno può avere un ragno nel bicchiere, può magari berci e andare per la sua strada senza essere avvelenato, perché non ne ha avuto coscienza40; ma se gli si rivela quale temibile sostanza abbia ingerito, ecco che la sua gola prende fuoco, e così i suoi fianchi, e il vomito insorge. Io ho bevuto, e ho visto il ragno. Camillo lo ha aiutato, è stato il suo mezzano: c’è un complotto contro la mia vita, contro la mia corona. Vero è tutto ciò che suscita sospetto. Quell’infido furfante che io stipendiavo era già al suo servizio. Ha rivelato le mie intenzioni, riducendo me a una infi ma cosa,
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
Remain a pinched thing, yea, a very trick For them to play at will. How came the posterns So easily open? A LORD By his great authority, Which often hath no less prevailed than so On your command. LEONTES I know’t too well. (To Hermione) Give me the boy. I am glad you did not nurse him. Though he does bear some signs of me, yet you Have too much blood in him. HERMIONE What is this? Sport? LEONTES (to a Lord) Bear the boy hence. He shall not come about her. Away with him, and let her sport herself With that she’s big with, (to Hermione) for ’tis Polixenes Has made thee swell thus. Exit one with Mamillius HERMIONE But I’d say he had not, And I’ll be sworn you would believe my saying, Howe’er you lean to th’ nayward. LEONTES You, my lords, Look on her, mark her well. Be but about To say she is a goodly lady, and The justice of your hearts will thereto add ‘’Tis pity she’s not honest, honourable.’ Praise her but for this her without-door form — Which on my faith deserves high speech — and straight The shrug, the ‘hum’ or ‘ha’, these petty brands That calumny doth use — O, I am out, That mercy does, for calumny will sear Virtue itself — these shrugs, these ‘hum’s’ and ‘ha’s’, When you have said she’s goodly, come between Ere you can say she’s honest. But be’t known From him that has most cause to grieve it should be, She’s an adultress.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
sì, proprio un giochino con cui possono divertirsi a piacimento. Com’è che le porte si sono aperte così facilmente? NOBILE
Per la sua grande autorità, che ha spesso imposto simili ordini vostri. LEONTE
Lo so fin troppo bene. (A Ermione). Datemi il ragazzo. Sono contento che non l’abbiate allattato. Anche se mostra qualche mia impronta, tuttavia troppo del suo sangue viene da voi. ERMIONE
Cos’è, uno scherzo? LEONTE (a un nobile) Portate via il ragazzo. Non deve starle vicino. Portatelo via, e che lei si trastulli con quello che le cresce dentro. (A Ermione) È Polissene che vi ha fatta gonfiare così. Esce uno con Mamilio ERMIONE
Mi sarebbe sufficiente dire che non è così, e sono sicura che credereste a quanto dico, anche se pensaste altrimenti. LEONTE
Voi, signori, guardatela; cercate di definirla. Non fate in tempo a dire che è una bella donna, e la lealtà del vostro cuore vi farà aggiungere: “Peccato che non sia onesta, che abbia perso l’onore”. Lodatela per questa sua parvenza esteriore41 – che, in fede mia, merita grandi elogi – e subito le alzate di spalle, gli “uhm” e gli “ah!”, questi segni meschini della calunnia – oh no, mi sbaglio! Questi segni di favore, perché la calunnia corroderebbe la virtù in persona – queste alzate di spalle, questi “uhm” e “ah!”, quando avete detto che è bella si fanno vivi prima che possiate dire che è onesta. Sappiate da colui che più ha ragione di dolersene, che lei è un’adultera!
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
Should a villain say so, The most replenished villain in the world, He were as much more villain. You, my lord, Do but mistake. LEONTES You have mistook, my lady — Polixenes for Leontes. O, thou thing, Which I’ll not call a creature of thy place Lest barbarism, making me the precedent, Should a like language use to all degrees, And mannerly distinguishment leave out Betwixt the prince and beggar. I have said She’s an adultress, I have said with whom. More, she’s a traitor, and Camillo is A federary with her, and one that knows What she should shame to know herself, But with her most vile principal: that she’s A bed-swerver, even as bad as those That vulgars give bold’st titles; ay, and privy To this their late escape. HERMIONE No, by my life, Privy to none of this. How will this grieve you When you shall come to clearer knowledge, that You thus have published me? Gentle my lord, You scarce can right me throughly then to say You did mistake. LEONTES No. If I mistake In those foundations which I build upon, The centre is not big enough to bear A schoolboy’s top. — Away with her to prison! He who shall speak for her is afar-off guilty, But that he speaks. HERMIONE There’s some ill planet reigns. I must be patient till the heavens look With an aspect more favourable. Good my lords, I am not prone to weeping, as our sex Commonly are; the want of which vain dew Perchance shall dry your pities. But I have HERMIONE
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
ERMIONE
Se parlasse così un furfante, il furfante più rifinito al mondo, sarebbe ancora più furfante per questo. Voi, mio signore, vi sbagliate di grosso. LEONTE
Voi, signora, vi sbagliate: avete preso Polissene per Leonte. Oh tu, cosa… – ma non chiamerò così una creatura del tuo rango, affinché la barbarie, seguendo il precedente, non usi lo stesso linguaggio per ogni rango, cancellando ogni preziosa distinzione fra il principe e il mendicante. Ho detto che è un’adultera, e ho detto con chi. Di più: è una traditrice, e Camillo le ha tenuto bordone, uno che sa quanto lei stessa dovrebbe vergognarsi di sapere, insieme al suo drudo sciagurato: e cioè una che passa da un letto all’altro, canaglia non meno di quelle cui la gente volgare dà i titoli peggiori; già, e al corrente della loro fuga. ERMIONE
Per la mia vita no! Non ne sapevo nulla! E quanto vi dorrete, quando vi sarete chiarito le idee, di avermi insultato pubblicamente in questo modo! Allora, mio gentile signore, non riuscirete certo a rendermi giustizia dicendo che vi siete sbagliato! LEONTE
Macché! Se sbaglio, con le basi su cui sto costruendo, la terra42 non è abbastanza grande per la trottola di uno scolaro. – Avanti, che vada in prigione! Chiunque la difenda è sicuramente colpevole, solo che apra bocca. ERMIONE
Siamo sotto l’influenza di un pianeta malefico. Devo pazientare fino a che i cieli non mostrino un aspetto più favorevole. Miei cari signori, io non sono facile alle lacrime, com’è comune al nostro sesso; e mancando quella vana rugiada, forse si seccherà la vostra pietà. Ma
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
That honourable grief lodged here which burns Worse than tears drown. Beseech you all, my lords, With thoughts so qualified as your charities Shall best instruct you, measure me; and so The King’s will be performed. LEONTES Shall I be heard?
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HERMIONE
Who is’t that goes with me? Beseech your highness My women may be with me, for you see My plight requires it. — Do not weep, good fools, There is no cause. When you shall know your mistress Has deserved prison, then abound in tears As I come out. This action I now go on Is for my better grace. — Adieu, my lord. I never wished to see you sorry; now I trust I shall. My women, come, you have leave. LEONTES Go, do our bidding. Hence!
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Exit Hermione, guarded, with Ladies A LORD
Beseech your highness, call the Queen again. ANTIGONUS (to Leontes)
Be certain what you do, sir, lest your justice Prove violence, in the which three great ones suffer — Yourself, your queen, your son. A LORD (to Leontes) For her, my lord, I dare my life lay down, and will do’t, sir, Please you t’accept it, that the Queen is spotless I’th’ eyes of heaven and to you — I mean In this which you accuse her. ANTIGONUS (to Leontes) If it prove She’s otherwise, I’ll keep my stables where I lodge my wife, I’ll go in couples with her; Than when I feel and see her, no farther trust her.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
rinchiuso qui in me agisce quell’onorevole dolore che brucia più di quanto le lacrime possano estinguere. Signori, prego tutti voi di misurare la mia situazione con i pensieri più pertinenti che la vostra carità vorrà dettarvi, e la volontà del re sarà fatta. LEONTE
Qualcuno mi ascolta? ERMIONE
Chi viene con me? Prego vostra maestà che le mie donne possano stare con me, poiché come vedete la mia condizione lo richiede43. – Non piangete, sciocchine, non ce n’è motivo. Quando verrete a sapere che la vostra padrona si è meritata la prigione, quando uscirà allora potrete piangere, e abbondantemente. L’esame che mi aspetta mi darà maggior lustro. – Addio, mio signore. Non ho mai desiderato di vedervi rattristato; ora credo che lo farò. Mie dame, venite, ne avete licenza. LEONTE
Andate, obbedite agli ordini. Via! Esce Ermione sotto scorta, con le sue dame NOBILE
Vostra altezza, vi scongiuro, richiamate la regina. ANTIGONO (a Leonte)
Sire, siate ben sicuro di quello che fate, affinché la vostra giustizia non diventi oltraggio, nel qual caso tre grandi soffrirebbero – voi stesso, la vostra regina, vostro figlio. NOBILE (a Leonte) Mio signore, per lei metto volentieri in pegno la mia vita, e vi prego di accettarla: per me la regina è senza macchia agli occhi del cielo e vostri – voglio dire in ciò per cui l’accusate. ANTIGONO (a Leonte) Se sarà provato che lei non è così, chiuderò mia moglie nella stalla con le mie giumente44, mi metterò al guinzaglio con lei45 e non mi fiderò più di lei al di là di quanto mi è dato di toccare e di vedere.
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
For every inch of woman in the world, Ay, every dram of woman’s flesh is false If she be. LEONTES Hold your peaces. A LORD Good my lord — ANTIGONUS (to Leontes) It is for you we speak, not for ourselves. You are abused, and by some putter-on That will be damned for’t. Would I knew the villain — I would land-damn him. Be she honour-flawed — I have three daughters: the eldest is eleven; The second and the third nine and some five; If this prove true, they’ll pay for’t. By mine honour, I’ll geld ’em all. Fourteen they shall not see, To bring false generations. They are co-heirs, And I had rather glib myself than they Should not produce fair issue. LEONTES Cease, no more! You smell this business with a sense as cold As is a dead man’s nose. But I do see’t and feel’t As you feel doing thus; and see withal The instruments that feel. ANTIGONUS If it be so, We need no grave to bury honesty; There’s not a grain of it the face to sweeten Of the whole dungy earth. LEONTES What? Lack I credit?
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A LORD
I had rather you did lack than I, my lord, Upon this ground; and more it would content me To have her honour true than your suspicion, Be blamed for’t how you might. LEONTES Why, what need we Commune with you of this, but rather follow Our forceful instigation? Our prerogative Calls not your counsels, but our natural goodness Imparts this; which, if you — or stupefied
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
Se lei è falsa, anche il minimo frammento di donna al mondo, anzi il minimo ritaglio di carne femminile è falso. LEONTE
Fate silenzio! NOBILE
Mio buon signore… ANTIGONO (a Leonte)
È per voi che parliamo, non per noi. Siete gabellato da qualche dannato mettiscandali. Vorrei sapere chi è quel perverso, lo metterei a posto io. Se l’onore della regina è compromesso – io ho tre figlie, la più grande di undici anni, la seconda nove e la terza quasi cinque; se è vero, la faccio pagare a loro: sul mio onore, le faccio tutte sterilizzare. Non arriveranno ai quattordici, per generare bastardi. Sono le mie eredi, ma rinuncio alla progenie piuttosto che averne di illegittima. LEONTE
Basta, finitela! Vivete questa faccenda con i sensi gelidi come il naso di un morto. Ma io la vedo e la sento come voi la sentite se fate un gesto così46; e insieme sentite ciò che ve lo fa sentire. ANTIGONO
Se è così, non c’è bisogno di tombe per seppellire l’onestà; non ne rimane neanche una briciola per incivilire quel gran letamaio che è la terra. LEONTE
Cosa, non mi credete? NOBILE
Mio signore, su questo argomento preferirei che non si credesse a voi piuttosto che a me; e mi farebbe più piacere che fosse appurato l’onore di lei piuttosto che il vostro sospetto, per quanto dispiacere ciò vi possa fare. LEONTE
Insomma, che bisogno abbiamo di discutere con voi piuttosto che seguire il nostro potente impulso? Fra le nostre prerogative non c’è quella di chiedere il vostro consiglio; solo la nostra bontà naturale ve lo concede, e voi – perché svampiti, o perché fingete di
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 1
Or seeming so in skill — cannot or will not Relish a truth like us, inform yourselves We need no more of your advice. The matter, The loss, the gain, the ord’ring on’t, is all Properly ours. ANTIGONUS And I wish, my liege, You had only in your silent judgement tried it Without more overture. LEONTES How could that be? Either thou art most ignorant by age Or thou wert born a fool. Camillo’s flight Added to their familiarity, Which was as gross as ever touched conjecture That lacked sight only, naught for approbation But only seeing, all other circumstances Made up to th’ deed — doth push on this proceeding. Yet for a greater confirmation — For in an act of this importance ’twere Most piteous to be wild — I have dispatched in post To sacred Delphos, to Apollo’s temple, Cleomenes and Dion, whom you know Of stuffed sufficiency. Now from the oracle They will bring all, whose spiritual counsel had Shall stop or spur me. Have I done well? A LORD Well done, my lord.
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LEONTES
Though I am satisfied, and need no more Than what I know, yet shall the oracle Give rest to th’ minds of others such as he, Whose ignorant credulity will not Come up to th’ truth. So have we thought it good From our free person she should be confined, Lest that the treachery of the two fled hence Be left her to perform. Come, follow us. We are to speak in public; for this business Will raise us all.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 1
esserlo – non potete o non volete apprezzare tale verità, sappiate dunque che non abbiamo più bisogno dei vostri consigli. L’argomento, la perdita, il guadagno, la decisione, tutto sta opportunamente nelle mani nostre. ANTIGONO
E io desidero, mio signore, che aveste deliberato in silenzio, senza proclami. LEONTE
E come avrei potuto? O tu ti sei rimbecillito con l’età, o sei nato deficiente. La fuga di Camillo, aggiunta alla loro comunella – che era evidente ben oltre il sospetto cui manca soltanto la constatazione de visu, la testimonianza degli occhi, ogni altra circostanza confermando l’atto – sospinge la nostra determinazione. E tuttavia, per maggiore conferma – poiché in una questione di tale importanza sarebbe assai deprecabile procedere emotivamente – ho mandato d’urgenza al tempio di Apollo nella sacra Delfo47 Cleomene e Dione, dei quali conoscete la piena affidabilità. Ora l’oracolo chiarirà tutto, e col suo sostegno spirituale potrà fermarmi o spronarmi. Ho fatto bene? NOBILE
Ben fatto, mio signore. LEONTE
Benché a me basti quel che so, e non abbia bisogno di altro, tuttavia l’oracolo darà pace alle menti di altri come costui48, la cui ignorante scempiaggine non vuole saperne della verità. Così abbiamo pensato bene di impedire a lei l’accesso alla nostra persona, affinché non abbia il compito di portare a termine il tradimento dei due fuggiaschi. Venite, seguiteci. Dobbiamo rivolgerci alla gente, perché questa storia ci scuoterà tutti.
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 2
ANTIGONUS (aside) To laughter, as I take it,
If the good truth were known. 2.2
200 Exeunt
Enter Paulina, a Gentleman, and attendants
PAULINA
The keeper of the prison, call to him. Let him have knowledge who I am. Exit Gentleman Good lady, No court in Europe is too good for thee. What dost thou then in prison? Enter Jailer and Gentleman Now, good sir, You know me, do you not? For a worthy lady, And one who much I honour. PAULINA Pray you then, Conduct me to the Queen. JAILER
5
JAILER
I may not, madam. To the contrary I have express commandment. PAULINA Here’s ado, To lock up honesty and honour from Th’access of gentle visitors. Is’t lawful, pray you, To see her women? Any of them? Emilia? JAILER So please you, madam, To put apart these your attendants, I Shall bring Emilia forth. PAULINA I pray now call her. — Withdraw yourselves. Exeunt Gentleman and attendants JAILER And, madam, I must be present at your conference. PAULINA Well, be’t so, prithee. Exit Jailer Here’s such ado, to make no stain a stain As passes colouring.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 2
ANTIGONO (a parte)
Già, direi a ridere, se la verità venisse fuori tutta. Escono II, 2
Entrano Paolina, un gentiluomo, e il seguito49
PAOLINA
Il capo carceriere, chiamatelo e fategli sapere chi sono io. Esce il gentiluomo Buona signora50, nessuna corte in Europa è degna di te; che ci fai dunque in prigione? Entrano carceriere e gentiluomo Dunque, buon signore, mi conoscete no? CARCERIERE
Siete una degna signora, una cui va la mia devozione. PAOLINA
Allora vi prego, accompagnatemi dalla regina. CARCERIERE
Non posso, signora. Ho un ordine preciso che lo proibisce. PAOLINA
Quanti intoppi per isolare l’onestà e l’onore da visitatori inteneriti! Vi prego, è permesso vedere le sue donne? Una di esse? Emilia? CARCERIERE
Abbiate la pazienza, signora, di far ritirare il vostro seguito, e io porterò fuori Emilia. PAOLINA
Vi prego, chiamatela. Voi ritiratevi. Escono il gentiluomo e il seguito CARCERIERE
Inoltre, signora, io dovrò assistere alla vostra conversazione. PAOLINA
Prego, restate pure. Esce il carceriere Quanto daffare perché ciò che è bianco appaia macchiato come da un accanito tintore! 1321
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 2
Enter Jailer and Emilia Dear gentlewoman, How fares our gracious lady? EMILIA
As well as one so great and so forlorn May hold together. On her frights and griefs, Which never tender lady hath borne greater, She is, something before her time, delivered.
25
PAULINA
A boy? A daughter, and a goodly babe, Lusty, and like to live. The Queen receives Much comfort in’t; says, ‘My poor prisoner, I am innocent as you.’ PAULINA I dare be sworn. These dangerous, unsafe lunes i’th’ King, beshrew them! He must be told on’t, and he shall. The office Becomes a woman best. I’ll take’t upon me. If I prove honey-mouthed, let my tongue blister, And never to my red-looked anger be The trumpet any more. Pray you, Emilia, Commend my best obedience to the Queen. If she dares trust me with her little babe I’ll show’t the King, and undertake to be Her advocate to th’ loud’st. We do not know How he may soften at the sight o’th’ child. The silence often of pure innocence Persuades when speaking fails. EMILIA Most worthy madam, Your honour and your goodness is so evident That your free undertaking cannot miss A thriving issue. There is no lady living So meet for this great errand. Please your ladyship To visit the next room, I’ll presently EMILIA
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 2
Entrano il carceriere ed Emilia Cara signora, come sta la nostra graziosa padrona? EMILIA
Come può mantenersi in vita una donna così elevata e così desolata. Tra timori e dolori quali nessuna tenera creatura ne ha mai sopportati di eguali, ora, un po’ anzitempo, ha partorito. PAOLINA
Un maschio? EMILIA
Una figlia, una bella bambina, vigorosa e pronta alla vita. La regina ne trae grande conforto. Dice: “Mia povera prigioniera, sono innocente quanto te”. PAOLINA
Lo giuro, siano dannate queste pericolose, squilibrate lune del re! Lui deve essere avvertito, e lo sarà. Il compito si addice meglio a una donna, e io lo assumo. Se mai dovessi proferire discorsi sdolcinati che la mia lingua si copra di piaghe, e che non possa mai più prorompere, come uno squillo di tromba, il rosso violento della mia rabbia. Vi prego, Emilia, trasmettete la mia più profonda devozione alla regina. Se vorrà affidarmi la sua piccolina la mostrerò al re, e mi impegno a esserne l’avvocato, e a gran voce. Chissà che non si intenerisca alla vista della bambina. Spesso il silenzio dell’innocente persuade dove falliscono le parole. EMILIA
Degnissima signora, la vostra sincerità e bontà sono così evidenti che l’ufficio che liberamente assumete non può non sortire un esito felice. Non c’è dama al mondo tanto adatta a un tale compito. Vostra signoria si accomodi nella stanza qui accanto, io informerò
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
Acquaint the Queen of your most noble offer, Who but today hammered of this design But durst not tempt a minister of honour Lest she should be denied. PAULINA Tell her, Emilia, I’ll use that tongue I have. If wit flow from’t As boldness from my bosom, let’t not be doubted I shall do good. EMILIA Now be you blest for it! I’ll to the Queen. Please you come something nearer.
55
JAILER
Madam, if’t please the Queen to send the babe I know not what I shall incur to pass it, Having no warrant. PAULINA You need not fear it, sir. This child was prisoner to the womb, and is By law and process of great nature thence Freed and enfranchised, not a party to The anger of the King, nor guilty of — If any be — the trespass of the Queen. JAILER I do believe it.
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PAULINA
Do not you fear. Upon mine honour, I will stand twixt you and danger. f
69 Exeunt
2.3
Enter Leontes
LEONTES
Nor night nor day, no rest! It is but weakness To bear the matter thus, mere weakness. If g The cause were not in being — part o’th’ cause, She, th’adultress; for the harlot King Is quite beyond mine arm, out of the blank
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69. Twixt: emend. tardo; in F betwixt. 2. Weaknesse; if: emend. tardo; in F weaknesse, if. 1324
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
subito la regina della vostra nobilissima offerta. Lei stessa proprio oggi insisteva su un simile progetto ma non ardiva esporlo a qualcuno di fiducia per tema di un rifiuto. PAOLINA
Emilia, ditele che userò tutta l’eloquenza che possiedo. Se la persuasione che produrrà sarà pari all’impeto del mio cuore, non c’è da dubitare che riuscirò. EMILIA
Siate benedetta! Vado dalla regina. Prego, avvicinatevi un po’51. CARCERIERE
Signora, se la regina affiderà la bambina non so cosa succederà a me, che non ho avuto istruzioni. PAOLINA
Non abbiate timore, signore. La piccola era prigioniera nel ventre materno, ed è per legge e corso della grande natura libera e emancipata, non soggetta alla collera del re, né colpevole di – se pure ce ne sono – alcun peccato della regina. CARCERIERE
È così senz’altro. PAOLINA
Non temete. Sul mio onore, vi difenderò io in ogni caso. Escono II, 3
Entra Leonte52
LEONTE
Né di notte né di giorno trovo riposo! È soltanto debolezza patirci così, solo debolezza. Se la causa cessasse di vivere – parte della causa, l’adultera, perché il re playboy è irraggiungibile dal mio braccio,
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
And level of my brain, plot-proof; but she I can hook to me. Say that she were gone, Given to the fire, a moiety of my rest Might come to me again. Who’s there? Enter a Servant SERVANT
My lord.
LEONTES
How does the boy? He took good rest tonight. ’Tis hoped his sickness is discharged. LEONTES To see his nobleness! Conceiving the dishonour of his mother He straight declined, drooped, took it deeply, Fastened and fixed the shame on’t in himself; Threw off his spirit, his appetite, his sleep, And downright languished. Leave me solely. Go, See how he fares. Exit Servant Fie, fie, no thought of him. The very thought of my revenges that way Recoil upon me. In himself too mighty, And in his parties, his alliance. Let him be Until a time may serve. For present vengeance, Take it on her. Camillo and Polixenes Laugh at me, make their pastime at my sorrow. They should not laugh if I could reach them, nor Shall she, within my power. SERVANT
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Enter Paulina, carrying a babe, with Antigonus, Lords, and the Servant, trying to restrain her A LORD
You must not enter.
PAULINA
Nay rather, good my lords, be second to me. Fear you his tyrannous passion more, alas, Than the Queen’s life? — a gracious, innocent soul, More free than he is jealous. ANTIGONUS That’s enough.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
oltre la mira e il potere della mia mente, al sicuro da congiure; ma lei ce l’ho sotto mano. Diciamo che se ne vada, che il fuoco la distrugga, e metà della mia pace forse ritornerebbe. Ehi di guardia! Entra un servitore SERVITORE
Mio signore. LEONTE
Come sta il ragazzo? SERVITORE
Ha riposato bene questa notte. Si spera che abbia superato il malanno. LEONTE
Che animo nobile! Ha avvertito come sua madre fosse disonorata, ed è subito appassito, abbattuto, un dolore profondo lo ha colpito, ha accolto e accumulato su di sé la vergogna che ne deriva; ha perduto il suo umore, l’appetito, il sonno, e si è accasciato del tutto. Lasciatemi solo, andate a vedere come sta. Esce il servitore 53
Vergogna, vergogna, non devo pensare a lui . Lo stesso proposito di vendicarmi si ritorce contro di me: lui è troppo potente, con i suoi seguaci e alleati. Che campi, fino al momento buono. Quanto alla vendetta, la colgo subito su di lei. Camillo e Polissene stanno ridendo di me, il mio sconforto li diverte. Non riderebbero se potessi raggiungerli, né però riderà lei, che tengo in pugno! Entrano Paolina con la bambina in braccio; Antigono, nobili e servitori cercano di trattenerla54 NOBILE
Vi è proibito entrare. PAOLINA
No, miei buoni signori, datemi piuttosto una mano! La passione del tiranno vi fa più paura del pericolo che corre la regina – un’anima delicata e innocente, più libera lei di quanto lui sia geloso? ANTIGONO
Basta così.
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
SERVANT
Madam, he hath not slept tonight, commanded None should come at him. PAULINA Not so hot, good sir. I come to bring him sleep. ’Tis such as you, That creep like shadows by him, and do sigh At each his needless heavings, such as you Nourish the cause of his awaking. I Do come with words as medicinal as true, Honest as either, to purge him of that humour That presses him from sleep. LEONTES What noise there, ho?
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PAULINA
No noise, my lord, but needful conference About some gossips for your highness. LEONTES How? Away with that audacious lady! Antigonus, I charged thee that she should not come about me. I knew she would. ANTIGONUS I told her so, my lord, On your displeasure’s peril and on mine, She should not visit you. LEONTES What, canst not rule her?
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PAULINA
From all dishonesty he can. In this, Unless he take the course that you have done — Commit me for committing honour — trust it, He shall not rule me. ANTIGONUS La you now, you hear. When she will take the rein I let her run, But she’ll not stumble. PAULINA (to Leontes) Good my liege, I come — And I beseech you hear me, who professes Myself your loyal servant, your physician, Your most obedient counsellor; yet that dares Less appear so in comforting your evils
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
SERVITORE
Signora, non ha dormito questa notte55, ed ha ordinato che nessuno gli si avvicini. PAOLINA
Calma, buon signore. Il sonno glielo porto io. Sono quelli come voi che strisciano come ombre intorno a lui, e sospirano l’un l’altro ad ogni suo vano gemito; quelli come voi che alimentano la causa della sua insonnia. Io vengo con parole tanto benefiche quanto vere, e insieme oneste, per purgarlo di quell’umore che lo tiene lontano dal sonno. LEONTE
Cos’è tutto ’sto chiasso, eh? PAOLINA
Nessun chiasso, mio signore, ma una necessaria discussione sui padrini di battesimo con vostra maestà. LEONTE
Come? Portate via questa sfrontata! Antigono, ti ho ordinato che non mi venisse vicino. Sapevo che ci avrebbe provato. ANTIGONO
Gliel’ho detto, mio signore, che non avrebbe dovuto avvicinarvi, per non incorrere nel vostro e nel mio dispiacere. LEONTE
Allora, non puoi tenerla lontana? PAOLINA
Mi può tener lontana da qualsiasi atto disonesto. Per questo, a meno che non faccia come avete fatto voi – tenermi in prigione tenendo all’onore – siatene certo, mai mi terrà lontana da alcunché. ANTIGONO
Ecco, la sentite. Quando ha la briglia sciolta la lascio correre, e non c’è verso che incespichi! PAOLINA (a Leonte) Mio buon sovrano, vengo – e vi prego di ascoltare chi si professa vostra suddita fedele, vostro medico, vostra più fidata consigliera, che tuttavia, nel portare conforto ai vostri malanni, osa mostrarsi
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
Than such as most seem yours — I say, I come From your good queen. LEONTES Good queen? PAULINA
Good queen, my lord, good queen, I say good queen, And would by combat make her good, so were I A man, the worst about you. LEONTES (to Lords) Force her hence.
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PAULINA
Let him that makes but trifles of his eyes First hand me. On mine own accord, I’ll off. But first I’ll do my errand. The good Queen — For she is good — hath brought you forth a daughter — Here ’tis — commends it to your blessing. She lays down the babe LEONTES Out! A mankind witch! Hence with her, out o’door — A most intelligencing bawd. PAULINA Not so. I am as ignorant in that as you In so entitling me, and no less honest Than you are mad, which is enough, I’ll warrant, As this world goes, to pass for honest. LEONTES (to Lords) Traitors, Will you not push her out? (To Antigonus) Give her the bastard. Thou dotard, thou art woman-tired, unroosted By thy Dame Partlet here. Take up the bastard, Take’t up, I say. Give’t to thy crone. PAULINA (to Antigonus) For ever Unvenerable be thy hands if thou Tak’st up the princess by that forcèd baseness Which he has put upon’t. LEONTES He dreads his wife.
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PAULINA
So I would you did. Then ’twere past all doubt You’d call your children yours. 1330
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
non altrettanto sollecita di coloro che vi circondano – vengo, dico, dalla vostra buona regina… LEONTE
Buona regina? PAOLINA
Buona regina, buona regina, dico buona regina, e sono pronta a sostenerlo armi in pugno, come farebbe qualunque uomo, anche il più scarso fra i vostri! LEONTE (ai nobili) Portatela via! PAOLINA
Chi tiene ai propri occhi provi a toccarmi per primo! Da sola me ne vado, ma prima compirò la mia missione. La buona regina – perché la regina è buona – ha partorito una figlia, eccola – la raccomanda alla vostra buona disposizione. Depone la bambina LEONTE
Fuori, strega bisbetica! Sbattetela fuori della porta, la spiona ruffiana! PAOLINA
Eh no! Di quei titoli io sono tanto ignorante quanto lo siete voi nel darmeli, e non sono meno onesta di quanto voi non siate pazzo, che è abbastanza, mi pare da come va il mondo, per apparire onesti. LEONTE (ai nobili) Traditori, perché non la sbattete fuori? (A Antigono) Tu ridalle la bastarda, vecchio rimbambito sfrattato dal letto di Madama Pollastra 56, prendi ’sta bastarda! Prendila ti dico, e dalla alla tua befana! PAOLINA (a Antigono) Siano per sempre esecrate le mani di chi tocca la principessa per l’ordine infame che l’ha colpita. LEONTE
Ha paura di sua moglie. PAOLINA
E così dovreste voi! Solo allora non avreste più dubbi nel dichiarare vostra la vostra progenie! 1331
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
LEONTES
A nest of traitors.
ANTIGONUS
I am none, by this good light. Nor I, nor any But one that’s here, and that’s himself, for he The sacred honour of himself, his queen’s, His hopeful son’s, his babe’s, betrays to slander, Whose sting is sharper than the sword’s; and will not — For as the case now stands, it is a curse He cannot be compelled to’t — once remove The root of his opinion, which is rotten As ever oak or stone was sound. LEONTES (to Lords) A callat Of boundless tongue, who late hath beat her husband, And now baits me! This brat is none of mine. It is the issue of Polixenes. Hence with it, and together with the dam Commit them to the fire. PAULINA It is yours, And might we lay th’old proverb to your charge, So like you ’tis the worse. Behold, my lords, Although the print be little, the whole matter And copy of the father: eye, nose, lip, The trick of’s frown, his forehead, nay, the valley, The pretty dimples of his chin and cheek, his smiles, The very mould and frame of hand, nail, finger. And thou good goddess Nature, which hast made it So like to him that got it, if thou hast The ordering of the mind too, ’mongst all colours No yellow in’t, lest she suspect, as he does, Her children not her husband’s. LEONTES (to Antigonus) A gross hag! — And lozel, thou art worthy to be hanged, That wilt not stay her tongue. PAULINA
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
LEONTE
Un nido di traditori! ANTIGONO
Non io, per la luce del cielo! PAOLINA
Neppure io, né nessun altro se non uno qui presente, quello solo che sta affidando alla maldicenza, dall’aculeo più affilato della spada, il sacro onore di se stesso, della sua regina, di suo figlio che cresce, della sua bambina; e non c’è modo – da come si sono messe le cose, ed è un peccato che non lo si possa costringere – di sradicarlo da questa ossessione, tanto bacata quanto mai furono sane quercia o pietra! LEONTE (ai nobili) Una baldracca linguacciuta, che ha appena picchiato il marito e già viene a importunare me! Questa mocciosa non è mia, è Polissene l’autore. Quindi via, che sia affidata alle fiamme insieme a chi l’ha generata! PAOLINA
Vostra è; e potremmo addebitare a voi il vecchio proverbio57, “peggio per lei di essere così simile a voi”! Guardate, miei signori: anche se i segni sono lievi, ecco la copia rifinita del padre; occhi, naso, labbra, persino il suo modo di aggrottare le ciglia, la fronte, e le graziose fossette del mento e delle guance, e il suo sorriso, l’esatta foggia della mano, delle unghie, delle dita. Buona dea Natura, tu l’hai modellata così simile a colui che l’ha generata; se hai potere anche sul disporsi delle menti, fra tutti i colori non metterci il giallo58, affinché lei non sospetti, come fa lui, che i suoi figli non siano di suo marito59. LEONTE (a Antigono) Sudicia strega! – e tu, canaglia, meriti la forca, che non sai neanche fermarle la lingua!
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Shakespeare IV.indb 1333
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
Hang all the husbands That cannot do that feat, you’ll leave yourself Hardly one subject. LEONTES Once more, take her hence. ANTIGONUS
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PAULINA
A most unworthy and unnatural lord Can do no more. LEONTES I’ll ha’ thee burnt. PAULINA I care not. It is an heretic that makes the , Not she which burns in’t. I’ll not call you tyrant; But this most cruel usage of your queen — Not able to produce more accusation Than your own weak-hinged fancy — something savours Of tyranny, and will ignoble make you, Yea, scandalous to the world. LEONTES (to Antigonus) On your allegiance, Out of the chamber with her! Were I a tyrant, Where were her life? She durst not call me so If she did know me one. Away with her!
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PAULINA
I pray you do not push me, I’ll be gone. Look to your babe, my lord; ’tis yours. Jove send her A better guiding spirit. What needs these hands? You that are thus so tender o’er his follies Will never do him good, not one of you. So, so. Farewell, we are gone. Exit LEONTES (to Antigonus) Thou, traitor, hast set on thy wife to this. My child? Away with’t! Even thou, that hast A heart so tender o’er it, take it hence And see it instantly consumed with fire. Even thou, and none but thou. Take it up straight. Within this hour bring me word ’tis done, And by good testimony, or I’ll seize thy life, With what thou else call’st thine. If thou refuse
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Shakespeare IV.indb 1334
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
ANTIGONO
Impiccate tutti i mariti che non riescono in quell’impresa, e vi ritroverete senza un suddito. LEONTE
Una volta di più, portatela via! PAOLINA
Troppo oltre si è spinta questa persecuzione! LEONTE
Viva ti faccio bruciare! PAOLINA
Non mi importa. Eretico è chi accende il fuoco, non chi ne viene bruciato. Non vi darò del tiranno; ma l’abietta crudeltà con cui trattate la vostra regina – incapace di produrre qualsiasi prova al di là della vostra malferma fantasia – sa tanto di tirannia, e vi renderà ignobile, uno scandalo per tutto il mondo. LEONTE (a Antigono) Per la fedeltà che mi è dovuta, portatela fuori da questa sala! Se io fossi un tiranno, sarebbe ancora in vita lei? Non oserebbe chiamarmi così se mi considerasse tale. Fuori! PAOLINA
Prego, non spingete; me ne vado da sola. Guardate vostra figlia, signore: vostra è. Giove le conceda un migliore spirito guida. Mettete giù le mani! Voi che subite così la sua follia non gli fate nessun bene, nessuno di voi. Va bene, va bene. Addio, me ne vado. Esce LEONTE (a Antigono)
Tu, traditore, hai sobillato tua moglie contro di me. Mia figlia? Ma fatemi il piacere! E proprio tu che hai un cuore così tenero per lei, prendila e accertati che sia immediatamente consumata dal fuoco. Tu, proprio tu, e nessun altro che te. Raccoglila subito, e entro un’ora portami la notizia che la cosa è fatta, con tanto di prove; altrimenti mi prendo la tua vita, con tutto quello che chiami tuo.
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Shakespeare IV.indb 1335
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
And wilt encounter with my wrath, say so. The bastard brains with these my proper hands Shall I dash out. Go, take it to the fire; For thou set’st on thy wife. ANTIGONUS I did not, sir. These lords, my noble fellows, if they please Can clear me in’t. LORDS We can. My royal liege, He is not guilty of her coming hither. LEONTES You’re liars all.
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A LORD
Beseech your highness, give us better credit. We have always truly served you, and beseech So to esteem of us. And on our knees we beg, As recompense of our dear services Past and to come, that you do change this purpose Which, being so horrible, so bloody, must Lead on to some foul issue. We all kneel.
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LEONTES
I am a feather for each wind that blows. Shall I live on, to see this bastard kneel And call me father? Better burn it now Than curse it then. But be it. Let it live. It shall not neither. (To Antigonus) You, sir, come you hither, You that have been so tenderly officious With Lady Margery your midwife there, To save this bastard’s life — for ’tis a bastard, So sure as this beard’s grey. What will you adventure To save this brat’s life? ANTIGONUS Anything, my lord, That my ability may undergo, And nobleness impose. At least thus much, I’ll pawn the little blood which I have left To save the innocent; anything possible.
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Shakespeare IV.indb 1336
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
E se rifiuti e vuoi scontrarti con la mia collera, parla adesso, e con queste mani io sfracellerò il cervello della bastarda. Vai, e buttala nel fuoco, tu che hai istigato tua moglie! ANTIGONO
Non l’ho fatto, sire. Questi signori, miei nobili pari, se a loro piacerà potranno discolparmi. NOBILI
È vero. Regale sovrano, lui non è colpevole della venuta di lei. LEONTE
Siete tutti dei bugiardi. NOBILE
Prego vostra altezza di darci migliore fiducia. Vi abbiamo sempre servito con fedeltà, e vi preghiamo di riconoscerlo. In ginocchio vi imploriamo, come ricompensa dei nostri leali servizi passati e venturi, che rinunciate a questo proposito, che essendo tanto orribile, tanto sanguinoso, non può non portare a qualche esito infausto. Tutti ci inginocchiamo. LEONTE
Eccomi, una piuma esposta ad ogni soffio di vento. Dovrò vivere per vedere questa bastarda che mi chiama padre in ginocchio? È meglio bruciarla adesso piuttosto che maledirla dopo. Ma sia, che viva. Ma no, neppure così. (A Antigono) Voi, signore, avvicinatevi. Voi che con la vostra santola, Madama Gallina60, eravate tanto teneramente solleciti a salvare la vita a questa bastarda – che infatti è bastarda, sicuro come questa barba è grigia61… cosa siete disposto a perdere per salvare la vita di questa frugolina? ANTIGONO
Qualsiasi cosa, signore, che sia possibile alle mie forze, e che la nobiltà consenta. Almeno per quel tanto impegnerò quel poco sangue che mi resta per salvare l’innocente; tutto quanto mi sarà possibile!
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Shakespeare IV.indb 1337
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THE WINTER’S TALE, ACT 2 SCENE 3
LEONTES
It shall be possible. Swear by this sword Thou wilt perform my bidding. ANTIGONUS I will, my lord. LEONTES
Mark, and perform it. Seest thou? For the fail Of any point in’t shall not only be Death to thyself but to thy lewd-tongued wife, Whom for this time we pardon. We enjoin thee, As thou art liegeman to us, that thou carry This female bastard hence, and that thou bear it To some remote and desert place, quite out Of our dominions; and that there thou leave it, Without more mercy, to it own protection And favour of the climate. As by strange fortune It came to us, I do in justice charge thee, On thy soul’s peril and thy body’s torture, That thou commend it strangely to some place Where chance may nurse or end it. Take it up.
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ANTIGONUS
I swear to do this, though a present death Had been more merciful. Come on, poor babe, Some powerful spirit instruct the kites and ravens To be thy nurses. Wolves and bears, they say, Casting their savageness aside, have done Like offices of pity. Sir, be prosperous In more than this deed does require; (to the babe) and blessing Against this cruelty, fight on thy side, Poor thing, condemned to loss. Exit with the babe LEONTES No, I’ll not rear Another’s issue.
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Enter a Servant
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Shakespeare IV.indb 1338
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO II SCENA 3
LEONTE
Possibile ti sarà. Giura su questa spada che eseguirai i miei ordini. ANTIGONO
Giuro, mio signore. LEONTE
Ascolta, e provvedi, capito? Perché se fallisci in qualsiasi dettaglio non sarà solo morte per te ma per quella linguaccia di tua moglie, che per questa volta perdoniamo. Ti ordiniamo, come nostro suddito, di portare via da qui questa femmina bastarda, fino a qualche landa remota e desolata, del tutto lontana dai nostri domini; e di abbandonarla là, senza alcuna provvista, in balia di se stessa e della clemenza del clima. Siccome a noi è giunta per anomala ventura, io secondo giustizia ti impegno, a rischio della rovina dell’anima e della tortura del corpo, a condurla, alla cieca, in qualche luogo dove la fortuna la possa nutrire o finire. Raccoglila. ANTIGONO
Giuro di far così, anche se una morte immediata sarebbe maggior misericordia. Vieni povera piccola, e qualche spirito potente ispiri falchi e corvi a nutrirti. Lupi e orsi, si dice, hanno compiuto simili atti di pietà, rinunciando alla loro natura selvaggia. Signore, la fortuna vi assista più di quanto non meriti questa azione; (rivolto alla bambina) e che il cielo combatta al tuo fianco contro questa crudeltà, povera cosina, condannata ad essere perduta. Esce con la bambina LEONTE
No, non sarò io a crescere lo sfogo di un altro. Entra un servitore
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Shakespeare IV.indb 1339
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 1
Please your highness, posts From those you sent to th’oracle are come An hour since. Cleomenes and Dion, Being well arrived from Delphos, are both landed, Hasting to th’ court. A LORD (to Leontes) So please you, sir, their speed Hath been, beyond account. LEONTES Twenty-three days They have been absent. ’Tis good speed, foretells The great Apollo suddenly will have The truth of this appear. Prepare you, lords. Summon a session, that we may arraign Our most disloyal lady; for as she hath Been publicly accused, so shall she have A just and open trial. While she lives My heart will be a burden to me. Leave me, And think upon my bidding. SERVANT
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Exeunt severally 3.1
Enter Cleomenes and Dion
CLEOMENES
The climate’s delicate, the air most sweet; Fertile the isle, the temple much surpassing The common praise it bears. DION I shall report, For most it caught me, the celestial habits — Methinks I so should term them — and the reverence Of the grave wearers. O, the sacrifice — How ceremonious, solemn, and unearthly It was i’th’ off’ring! CLEOMENES But of all, the burst And the ear-deaf’ning voice o’th’ oracle, Kin to Jove’s thunder, so surprised my sense That I was nothing.
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Shakespeare IV.indb 1340
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 1
SERVITORE
Col permesso di vostra altezza, missive da quelli che avete inviato all’oracolo sono arrivate da un’ora. Cleomene e Dione sono appena sbarcati dalla loro missione a Delfo, e si affrettano a corte. NOBILE (a Leonte) Sire, compiacetevi che siano stati veloci oltre ogni aspettativa. LEONTE
Sono stati assenti ventitré giorni. Una tale celerità ci anticipa che il grande Apollo presto rivelerà la verità sul nostro caso. Preparatevi, signori. Convocate un tribunale, che si possa giudicare la nostra slealissima consorte. Dato che è stata accusata pubblicamente, dovrà subire un imparziale e pubblico giudizio. Lei vivente, il mio cuore mi sarà di peso. Ora lasciatemi, e provvedete ai miei ordini. Escono separatamente Entrano Cleomene e Dione62
III, 1
CLEOMENE
Il clima è temperato, l’aria molto gradevole, l’isola fertile63, e il tempio molto al di sopra della fama che lo circonda. DIONE
La mia relazione sarà su ciò che più mi ha molto colpito, gli abiti celestiali – penso di doverli così definire – e l’aria solenne dei sacerdoti che li indossano. Oh, il sacrificio – con quale cerimoniosa, sublime solennità venne offerto! CLEOMENE
Ma più di tutto lo scoppio della voce assordante dell’oracolo, simile al tuono di Giove: ha talmente sorpreso i miei sensi da rimanerne annientato.
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
If th’event o’th’ journey Prove as successful to the Queen — O, be’t so! — As it hath been to us rare, pleasant, speedy, The time is worth the use on’t. CLEOMENES Great Apollo Turn all to th’ best! These proclamations, So forcing faults upon Hermione, I little like. DION The violent carriage of it Will clear or end the business. When the oracle, Thus by Apollo’s great divine sealed up, Shall the contents discover, something rare Even then will rush to knowledge. Go. Fresh horses! And gracious be the issue. DION
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Exeunt 3.2
Enter Leontes, Lords, and Officers
LEONTES
This sessions, to our great grief we pronounce, Even pushes ’gainst our heart: the party tried The daughter of a king, our wife, and one Of us too much beloved. Let us be cleared Of being tyrannous since we so openly Proceed in justice, which shall have due course Even to the guilt or the purgation. Produce the prisoner. OFFICER It is his highness’ pleasure That the Queen appear in person here in court.
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Enter Hermione guarded, with Paulina and Ladies Silence. h
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LEONTES Read the indictment. OFFICER (reads) Hermione, queen to the worthy Leontes,
King of Sicilia, thou art here accused and arraigned of
10. Silence: emend. tardo; in F diventa didascalia di scena. 1342
Shakespeare IV.indb 1342
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
DIONE
Se il viaggio avrà esito altrettanto positivo per la regina – ah così fosse! – come è stato prezioso, piacevole, veloce per noi, avremmo impiegato il tempo degnamente. CLEOMENE
Che il grande Apollo rivolga tutto al meglio! Questi proclami che tanto insinuano ai danni di Ermione non mi piacciono affatto. DIONE
Con uno svolgimento così violento, la cosa è destinata a chiarirsi o chiudersi del tutto. Quando l’oracolo sigillato dal grande sacerdote di Apollo avrà rivelato il suo contenuto, qualcosa di straordinario si schiuderà alla nostra conoscenza. Andiamo, dei cavalli freschi! E propizio sia il risultato. Escono III, 2
Entrano Leonte, nobili e funzionari64
LEONTE
Questo processo, che con grande pena abbiamo convocato, è per noi un colpo al cuore: l’imputata è figlia di re, moglie per noi, una che abbiamo troppo amato. Nessuno può accusarci di tirannide, poiché noi apertamente ci sottoponiamo alle procedure della giustizia, che farà il suo corso fino alla punizione o all’assoluzione. Fate entrare la prigioniera. FUNZIONARIO
Per ordine di sua altezza, che la regina compaia di persona di fronte a questa corte. Entrano Ermione sotto scorta, Paolina e altre dame Si faccia silenzio. LEONTE
Sia letta l’accusa. FUNZIONARIO (legge)
Ermione, regina del nobile Leonte, re di Sicilia, siete qui accusata e imputata di alto tradimento, per aver commesso adulterio con
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Shakespeare IV.indb 1343
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
high treason in committing adultery with Polixenes, King of Bohemia, and conspiring with Camillo to take away the life of our sovereign lord the King, thy royal husband; the pretence whereof being by circumstances partly laid open, thou, Hermione, contrary to the faith and allegiance of a true subject, didst counsel and aid them for their better safety to fly away by night.
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HERMIONE
Since what I am to say must be but that Which contradicts my accusation, and The testimony on my part no other But what comes from myself, it shall scarce boot me To say ‘Not guilty’. Mine integrity Being counted falsehood shall, as I express it, Be so received. But thus: if powers divine Behold our human actions — as they do — I doubt not then but innocence shall make False accusation blush, and tyranny Tremble at patience. You, my lord, best know — Who least will seem to do so — my past life i Hath been as continent, as chaste, as true As I am now unhappy; which is more Than history can pattern, though devised And played to take spectators. For behold me, A fellow of the royal bed, which owe A moiety of the throne; a great king’s daughter, The mother to a hopeful prince, here standing To prate and talk for life and honour, fore Who please to come and hear. For life, I prize it As I weigh grief, which I would spare. For honour, ’Tis a derivative from me to mine, And only that I stand for. I appeal To your own conscience, sir, before Polixenes Came to your court how I was in your grace, How merited to be so; since he came,
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32. Who: emend. tardo; in F whom. 1344
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
Polissene, re di Boemia, e per aver cospirato con Camillo al fine di privare della vita il nostro sovrano, il re vostro regale sposo; ed essendo tale proposito in parte svelato dalle circostanze, voi Ermione, violando la fede e l’obbedienza di una suddita leale, li avete indotti ed aiutati a fuggire di notte, per cercarsi salvezza. ERMIONE
Poiché quanto ho da dire non può che contraddire l’accusa, e la mia testimonianza non venire da alcuno se non da me stessa, non mi gioverà proclamarmi “non colpevole”. Essendo la mia integrità bollata di falso, così sarà ricevuta quando ne darò conto. E tuttavia, se i poteri divini osservano le nostre azioni umane – e lo fanno – non dubito che l’innocenza farà arrossire la falsa accusa, e la tirannide tremerà di fronte alla sopportazione. Voi, mio signore, meglio di ogni altro sapete – anche se ora sembra che ne siate all’oscuro – che la mia vita passata è stata altrettanto morigerata, casta e fedele di quanto ora io sia infelice, ciò che nessuna storia può raccontare, per quanto inventata e recitata per catturare spettatori. Dunque si faccia attenzione: qui sto io, compagna di letto del re, signora di metà del trono, figlia di un grande monarca, madre di un principe promettente, qui sto a chiacchierare e ragionare di vita e di onore davanti a chiunque abbia la compiacenza di ascoltare. Quanto alla vita, io l’amo tanto quanto riverisco il dolore, di cui farei a meno. Quanto all’onore, è ciò che resta di me per i miei, e ciò che solo mi trattiene qui. Faccio appello alla vostra coscienza, sire, per sapere quanto io godessi del vostro favore prima che Polissene arrivasse a corte, e quanto lo meritassi; e dopo, a quale
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Shakespeare IV.indb 1345
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
With what encounter so uncurrent I Have strained t’appear thus. If one jot beyond The bound of honour, or in act or will That way inclining, hardened be the hearts Of all that hear me, and my near’st of kin Cry ‘Fie’ upon my grave. I ne’er heard yet That any of these bolder vices wanted Less impudence to gainsay what they did Than to perform it first. HERMIONE That’s true enough, Though ’tis a saying, sir, not due to me.
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LEONTES
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LEONTES
You will not own it. More than mistress of Which comes to me in name of fault, I must not At all acknowledge. For Polixenes, With whom I am accused, I do confess I loved him as in honour he required; With such a kind of love as might become A lady like me; with a love, even such, So, and no other, as yourself commanded; Which not to have done I think had been in me Both disobedience and ingratitude To you and toward your friend, whose love had spoke Even since it could speak, from an infant, freely That it was yours. Now for conspiracy, I know not how it tastes, though it be dished For me to try how. All I know of it Is that Camillo was an honest man; And why he left your court, the gods themselves, Wotting no more than I, are ignorant.
HERMIONE
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LEONTES
You knew of his departure, as you know What you have underta’en to do in’s absence.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
singolare condotta io mi sia abbandonata per essere ora in questa situazione. Se di un nulla oltre il limite dell’onore, per atti o per intenzione io mi fossi mai spinta, si induriscano i cuori di tutti coloro che mi ascoltano, e i miei consanguinei gridino allo scandalo sopra la mia tomba. LEONTE
Per quanto ne so, nessuno di questi vizi spudorati ha mai mostrato meno impudenza nel negare ciò che ha fatto, di quanta ce ne ha messa nel farlo. ERMIONE
È vero, benché, sire, sia un detto non applicabile a me. LEONTE
Perché non volete ammetterlo. ERMIONE
Imputabile al di là di ciò che mi viene ora attribuito sotto il nome di colpa non posso assolutamente riconoscermi. Ora mi si accusa in rapporto a Polissene, e ammetto di averlo amato onorevolmente, come lui stesso richiedeva, con quell’affetto che si addice a una signora del mio rango: proprio quell’affetto, e non altro, che voi stesso sollecitavate. Non mostrarlo penso che sarebbe stata da parte mia insieme insolenza e ingratitudine verso di voi e il vostro amico, il cui affetto per voi si era liberamente dichiarato fin da quando poté parlare, da bambino. Quanto al complotto, non ne conosco il sapore, neanche se ora me lo dessero da gustare. Tutto quanto ne so è che Camillo era un onest’uomo, e perché abbia lasciato la corte gli stessi dei, se ne sanno quanto me, lo ignorano. LEONTE
Voi sapevate della sua fuga, come sapete ciò che avete intrapreso in sua assenza.
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Shakespeare IV.indb 1347
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
HERMIONE Sir,
You speak a language that I understand not. My life stands in the level of your dreams, Which I’ll lay down. LEONTES Your actions are my ‘dreams’. You had a bastard by Polixenes, And I but dreamed it. As you were past all shame — Those of your fact are so — so past all truth; Which to deny concerns more than avails; for as Thy brat hath been cast out, like to itself, No father owning it — which is indeed More criminal in thee than it — so thou Shalt feel our justice, in whose easiest passage Look for no less than death. HERMIONE Sir, spare your threats. The bug which you would fright me with, I seek. To me can life be no commodity. The crown and comfort of my life, your favour, I do give lost, for I do feel it gone But know not how it went. My second joy, And first fruits of my body, from his presence I am barred, like one infectious. My third comfort, Starred most unluckily, is from my breast, The innocent milk in it most innocent mouth, Haled out to murder; myself on every post Proclaimed a strumpet, with immodest hatred The childbed privilege denied, which ’longs To women of all fashion; lastly, hurried Here, to this place, i’th’ open air, before I have got strength of limit. Now, my liege, Tell me what blessings I have here alive, That I should fear to die. Therefore proceed. But yet hear this — mistake me not — no life, I prize it not a straw; but for mine honour, Which I would free: if I shall be condemned Upon surmises, all proofs sleeping else But what your jealousies awake, I tell you
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
ERMIONE
Sire, voi parlate una lingua che io non comprendo. La mia vita è diventata il bersaglio65 dei vostri sogni, e io qui la depongo. LEONTE
Le vostre azioni sono i miei “sogni!” Avete avuto una bastarda da Polissene, ed io l’ho soltanto sognato? Avete oltrepassato ogni scrupolo – tale è la vostra condotta – e ora oltrepassate la verità: negarlo vi costa più che ammetterlo. E come è stata dispersa la tua66 mocciosa – giustamente, dato che nessun padre l’ha reclamata, ciò in cui tu hai maggior colpa di lui – così tu proverai la nostra giustizia, dal cui moto più benevolo non aspettarti nulla di meno che la morte. ERMIONE
Signore, risparmiate le vostre minacce. L’incubo col quale mi volete spaventare è ciò che cerco. La vita per me non ha più valore: devo dare per perso il vostro favore, suo coronamento e conforto: ma sento che è svanito, anche se non so come né perché. Non sono ammessa alla presenza della mia seconda gioia, come cosa infetta. La mia terza consolazione, nata sotto una stella funesta, viene strappata dal mio seno, ancora col latte dell’innocenza sulle innocentissime labbra, e passata ai sicari; io stessa ad ogni angolo di strada67 mi trovo additata da sgualdrina, mentre con odio tracotante mi si nega il privilegio della puerpera che appartiene alle donne di ogni condizione; infine, vengo in fretta e furia trascinata qui, all’aperto68, prima di aver ricuperato le forze69. E ora, mio signore, ditemi: quali sono i vantaggi che ho vivendo, perché debba aver paura di morire? Quindi andiamo avanti. Ma tuttavia ascoltate, e non fraintendetemi: non per la vita, che apprezzo meno di una bazzecola, ma per il mio onore, che vorrei conservare: se sarò condannata in base a supposizioni, mancando ogni altra prova eccetto quelle costruite dalla vostra gelosia, vi dico che questo sarebbe so-
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Shakespeare IV.indb 1349
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
’Tis rigour, and not law. Your honours all, I do refer me to the oracle. Apollo be my judge. A LORD This your request Is altogether just. Therefore bring forth, And in Apollo’s name, his oracle.
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[Exeunt certain Officers] HERMIONE
The Emperor of Russia was my father. O that he were alive, and here beholding His daughter’s trial; that he did but see The flatness of my misery — yet with eyes Of pity, not revenge.
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[Enter Officers with Cleomenes and Dion] OFFICER
You here shall swear upon this sword of justice That you, Cleomenes and Dion, have Been both at Delphos, and from thence have brought This sealed-up oracle, by the hand delivered Of great Apollo’s priest; and that since then You have not dared to break the holy seal, Nor read the secrets in’t. CLEOMENES and DION All this we swear. LEONTES Break up the seals, and read. OFFICER (reads) Hermione is chaste, Polixenes blameless, Camillo a true subject, Leontes a jealous tyrant, his innocent babe truly begotten, and the King shall live without an heir if that which is lost be not found.
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LORDS
Now blessèd be the great Apollo! Praised! LEONTES Hast thou read truth? HERMIONE OFFICER
Ay, my lord, even so as it is here set down.
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Shakespeare IV.indb 1350
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
pruso, non giustizia. Di fronte a tutti voi, onorevoli signori, io mi appello all’oracolo: Apollo sia il mio giudice! NOBILE
Questa vostra richiesta è assolutamente corretta. Quindi, in nome di Apollo, si accolga l’oracolo. [Escono alcuni funzionari] ERMIONE
Mio padre era l’imperatore di Russia. Come vorrei che fosse vivo, e assistesse al processo di sua figlia; che testimoniasse la latitudine70 della mia infelicità – ma con gli occhi della pietà, non con quelli della vendetta. [Entrano dei funzionari con Cleomene e Dione] FUNZIONARIO
Giurate sulla spada della giustizia che voi, Cleomene e Dione, siete stati ambedue a Delfo, e di là avete riportato questo oracolo sigillato, rimesso a voi dalle mani del grande sacerdote di Apollo; e che da allora non vi siete azzardati a infrangere il sacro sigillo, né a leggerne i segreti. CLEOMENE e DIONE Lo giuriamo. LEONTE
Siano rotti i sigilli, e si dia lettura. FUNZIONARIO (legge)
Ermione è casta, Polissene incolpevole, Camillo un suddito fedele, Leonte un tiranno geloso, l’innocente bambina venuta alla luce onestamente, e il re vivrà senza eredi se quanto è stato sperduto non sarà ritrovato. NOBILI
Sia benedetto il grande Apollo! ERMIONE
Sia lode a lui! LEONTE
Hai letto quel che c’è scritto? FUNZIONARIO
Si mio signore, proprio come qui dice.
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Shakespeare IV.indb 1351
30/11/2018 09:33:20
THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
LEONTES
There is no truth at all i’th’ oracle. The sessions shall proceed. This is mere falsehood.
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Enter a Servant SERVANT
My lord the King! The King! LEONTES
What is the business?
SERVANT
O sir, I shall be hated to report it. The prince your son, with mere conceit and fear Of the Queen’s speed, is gone. LEONTES How, ‘gone’? SERVANT Is dead. LEONTES
Apollo’s angry, and the heavens themselves Do strike at my injustice.
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Hermione falls to the ground How now there? PAULINA
This news is mortal to the Queen. Look down And see what death is doing. LEONTES Take her hence. Her heart is but o’ercharged. She will recover. I have too much believed mine own suspicion. Beseech you, tenderly apply to her Some remedies for life.
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Exeunt Paulina and Ladies, carrying Hermione Apollo, pardon My great profaneness ’gainst thine oracle. I’ll reconcile me to Polixenes, New woo my queen, recall the good Camillo, Whom I proclaim a man of truth, of mercy; For being transported by my jealousies To bloody thoughts and to revenge, I chose Camillo for the minister to poison My friend Polixenes, which had been done,
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Shakespeare IV.indb 1352
30/11/2018 09:33:20
RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
LEONTE
In quell’oracolo non c’è niente di vero. Il processo continua. Si tratta di un gran ginepraio. Entra un servitore SERVITORE
Il re mio signore! Il re! LEONTE
Che cosa succede? SERVITORE
Oh sire, sarò odiato per quello che ho da riferire! Il principe vostro figlio, per la preoccupazione e il timore per la sorte della regina, se n’è andato. LEONTE
Come, “andato”? SERVITORE
È morto. LEONTE
Apollo è adirato, e i cieli stessi colpiscono la mia ingiustizia. Ermione cade a terra Cosa succede ancora? PAOLINA
Questa è una notizia mortale per la regina. Guardatela e considerate come opera la morte. LEONTE
Portatela via. Il suo cuore è sovraccarico. Si riprenderà. Ho troppo creduto ai miei sospetti. Vi prego, datele qualche tenero rimedio per riportarla in vita. Escono Paolina e le dame, sostenendo Ermione Apollo, perdonami se ho così gravemente profanato la voce del tuo oracolo. Ora mi riconcilierò con Polissene, tornerò ai piedi della mia regina, richiamerò il buon Camillo che dichiaro uomo d’onore, di compassione. Trasportato dalle mie gelosie a propositi di sangue e di vendetta, io incaricai Camillo di avvelenare il mio amico Polissene, ciò che sarebbe accaduto se la buona indole di
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Shakespeare IV.indb 1353
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
But that the good mind of Camillo tardied My swift command. Though I with death and with Reward did threaten and encourage him, Not doing it, and being done, he, most humane And filled with honour, to my kingly guest Unclasped my practice, quit his fortunes here — Which you knew great — and to the certain hazard j Of all incertainties himself commended, No richer than his honour. How he glisters Through my rust! And how his piety Does my deeds make the blacker!
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Enter Paulina Woe the while! O cut my lace, lest my heart, cracking it, Break too. A LORD What fit is this, good lady? PAULINA (to Leontes) What studied torments, tyrant, hast for me? What wheels, racks, fires? What flaying, boiling In leads or oils? What old or newer torture Must I receive, whose every word deserves To taste of thy most worst? Thy tyranny, Together working with thy jealousies — Fancies too weak for boys, too green and idle For girls of nine — O think what they have done, And then run mad indeed, stark mad, for all Thy bygone fooleries were but spices of it. That thou betrayed’st Polixenes, ’twas nothing. That did but show thee, of a fool, inconstant, And damnable ingrateful. Nor was’t much Thou wouldst have poisoned good Camillo’s honour To have him kill a king — poor trespasses, More monstrous standing by, whereof I reckon The casting forth to crows thy baby daughter PAULINA
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167. Certain: aggiunta in F2, migliorativa di metro e senso. 1354
Shakespeare IV.indb 1354
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
Camillo non avesse ritardato il mio ordine precipitoso. Benché io lo incoraggiassi a eseguirlo, e lo minacciassi se non lo eseguiva, lui ricolmo di umanità e d’onore rivelò le mie intenzioni al mio regale ospite, abbandonò qui le sue sostanze – tutti sapete quanto fossero grandi – e si affidò al rischio sicuro dell’incerta fortuna, provvisto soltanto del proprio onore. Che splendore il suo, accanto alla mia ruggine! E quanto più neri appaiono le mie azioni accanto alla sua clemenza! Entra Paolina PAOLINA
Ahimè! Oh, tagliate questi lacci, che il mio cuore non li rompa per scoppiare anche lui! NOBILE
Che cosa vi sconvolge, buona signora? PAOLINA (a Leonte) Quali calcolati tormenti mi riservi71, tiranno? Le ruote, i cavalletti, i roghi? Vuoi scorticarmi, mi vuoi bollire nel piombo fuso, o nell’olio? A quale vecchia o nuova tortura devo sottopormi, se in ogni mia parola ne sento riecheggiare una tua, peggiore? La tua tirannia, unita alle tue gelosie – fantasie troppo deboli per i ragazzini, troppo immature e oziose per ragazzine di nove anni – oh rifletti al danno che hanno fatto, e poi impazzisci, sì, diventa matto da legare, ché le tue passate stravaganze ne erano appena l’antipasto! Che tu tradissi Polissene non era gran cosa: non faceva che mostrarti uno sciocco, incostante, infernale ingrato. Né era gran cosa deturpare l’onore del buon Camillo per fargli uccidere un re: peccati secondari, e con loro le mostruosità che erano alle porte, compreso l’esposizione ai corvi della tua figliolina, anche questo
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 2
To be or none or little, though a devil Would have shed water out of fire ere done’t. Nor is’t directly laid to thee the death Of the young prince, whose honourable thoughts — k Thoughts high for one so tender — cleft the heart That could conceive a gross and foolish sire Blemished his gracious dam. This is not, no, Laid to thy answer. But the last — O lords, When I have said, cry woe! The Queen, the Queen, The sweet’st, dear’st creature’s dead, and vengeance for’t Not dropped down yet. A LORD The higher powers forbid!
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200
PAULINA
I say she’s dead. I’ll swear’t. If word nor oath Prevail not, go and see. If you can bring Tincture or lustre in her lip, her eye, Heat outwardly or breath within, I’ll serve you As I would do the gods. But O thou tyrant, Do not repent these things, for they are heavier Than all thy woes can stir. Therefore betake thee To nothing but despair. A thousand knees, Ten thousand years together, naked, fasting, Upon a barren mountain, and still winter In storm perpetual, could not move the gods To look that way thou wert. LEONTES Go on, go on. Thou canst not speak too much. I have deserved All tongues to talk their bitt’rest. A LORD (to Paulina) Say no more. Howe’er the business goes, you have made fault I’th’ boldness of your speech.
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194. The: così in F; questa ed. suggerisce invece thy = “il tuo [giovane principe]”. 1356
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 2
poco o niente – benché il diavolo stesso, dal profondo dell’inferno, avrebbe versato lacrime prima di farlo –. Né è da addebitare a te direttamente la morte del giovane principe, i cui onorevoli affanni – gravi affanni, per uno così giovane – gli spezzarono il cuore, mostrandogli come un re rozzo e stolto potesse disonorare la sua nobile madre. Di questo no, non ti chiedo di rispondere. Ma dell’ultimo – oh signori, quando avrò finito, urlate di dolore! La regina, la regina, la creatura più dolce e più cara è morta, e la vendetta deve ancora colpire! NOBILE
Lo proibiscano i massimi poteri! PAOLINA
È morta, vi dico. Lo giuro, e se non valgono né le parole né i giuramenti, andate a vedere. Se riuscite a riportare colore al suo labbro o luce nei suoi occhi, calore nel corpo o respiro nel petto, vi servirò come farei con gli dei. E tu, tiranno, non ti pentire di tutto questo, perché pesa più di quanto possano sommuovere i tuoi lamenti; a te non resta che la disperazione. Avessi pure mille ginocchia e diecimila anni a disposizione per digiunare nudo su un’arida montagna, in inverno perenne e sotto tempesta infinita, non potresti indurre gli dei a guardare dalla tua parte. LEONTE
Continua, continua: non potrai mai dire abbastanza. Merito che ogni lingua esprima la più grande amarezza. NOBILE (a Paolina) Non dite di più. Comunque stiano le cose, avete calcato troppo la mano.
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 3
I am sorry for’t. All faults I make, when I shall come to know them I do repent. Alas, I have showed too much The rashness of a woman. He is touched To th’ noble heart. What’s gone and what’s past help Should be past grief. (To Leontes) Do not receive affliction At my petition. I beseech you, rather Let me be punished, that have minded you Of what you should forget. Now, good my liege, Sir, royal sir, forgive a foolish woman. The love I bore your queen — lo, fool again! I’ll speak of her no more, nor of your children. I’ll not remember you of my own lord, Who is lost too. Take your patience to you, And I’ll say nothing. LEONTES Thou didst speak but well When most the truth, which I receive much better Than to be pitied of thee. Prithee bring me To the dead bodies of my queen and son. One grave shall be for both. Upon them shall The causes of their death appear, unto Our shame perpetual. Once a day I’ll visit The chapel where they lie, and tears shed there Shall be my recreation. So long as nature Will bear up with this exercise, so long I daily vow to use it. Come, and lead me To these sorrows. Exeunt PAULINA
3.3
220
225
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240
Enter Antigonus, carrying the babe, with a Mariner
ANTIGONUS
Thou art perfect then our ship hath touched upon The deserts of Bohemia?
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 3
PAOLINA
Mi dispiace, e mi pentirò di tutta l’esagerazione, quando saprò dove ho esagerato. Ahimè, troppo ho dato corda alla mia impulsività di donna. Il suo nobile cuore è stato toccato. L’accaduto e il passato devono rimanere al di là del dolore. (A Leonte) Non vi affliggete per le mie querele. Vi prego, piuttosto fatemi punire per avervi ricordato ciò che dovreste dimenticare. Ora, mio buon sovrano, sire, regale signore, perdonate una povera sciocca. L’amore che portavo alla vostra regina – ecco, ci sono di nuovo cascata! – non parlerò più di lei, né dei vostri figli; né vi ricorderò del mio signore, anche lui disperso. Fate appello alla vostra pazienza, io altro non dirò. LEONTE
Tanto bene hai parlato, quanto più vicino al vero: e ciò mi tocca nel profondo, più di quando mi compatisci. Ti prego, conducimi ai corpi della mia regina e di mio figlio. Una tomba li riceverà entrambi, sulla quale saranno scolpite le cause della loro morte, a nostra perpetua vergogna. Una volta al giorno visiterò la loro cappella, e le lacrime che vi spargerò saranno il mio unico sollievo. Finché la natura mi consentirà di farlo, io faccio voto di comportarmi così ogni giorno. Vieni, portami a questi dolori. Escono III, 3
Entra Antigono con la bambina in braccio, e un marinaio72
ANTIGONO
Tu sei certo che la nave sia approdata sulle coste deserte della Boemia?
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 3
Ay, my lord, and fear We have landed in ill time. The skies look grimly And threaten present blusters. In my conscience, The heavens with that we have in hand are angry, And frown upon’s.
MARINER
5
ANTIGONUS
Their sacred wills be done. Go get aboard. Look to thy barque. I’ll not be long before I call upon thee. MARINER Make your best haste, and go not Too far i’th’ land. ’Tis like to be loud weather. Besides, this place is famous for the creatures Of prey that keep upon’t. ANTIGONUS Go thou away. I’ll follow instantly. MARINER I am glad at heart To be so rid o’th’ business. Exit ANTIGONUS Come, poor babe. I have heard, but not believed, the spirits o’th’ dead May walk again. If such thing be, thy mother Appeared to me last night, for ne’er was dream So like a waking. To me comes a creature, Sometimes her head on one side, some another. I never saw a vessel of like sorrow, So filled and so becoming. In pure white robes Like very sanctity she did approach My cabin where I lay, thrice bowed before me, And, gasping to begin some speech, her eyes Became two spouts. The fury spent, anon Did this break from her: ‘Good Antigonus, Since fate, against thy better disposition, Hath made thy person for the thrower-out Of my poor babe according to thine oath, Places remote enough are in Bohemia. There weep, and leave it crying; and for the babe Is counted lost for ever, Perdita I prithee call’t. For this ungentle business
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 3
MARINAIO
Sì mio signore, e temo che il momento non sia propizio. Il cielo sembra corrucciato e minaccia imminente tempesta. In coscienza, i cieli sono avversi ai nostri piani, e ci guardano storto. ANTIGONO
Sia fatta la loro sacra volontà. Torna a bordo, e bada al tuo legno. Fra poco arrivo anch’io. MARINAIO
Fate più in fretta che potete, e non spingetevi troppo all’interno. Presto sentiremo il fragore del tuono. Inoltre, questo posto è noto per gli animali predatori che lo infestano. ANTIGONO
Tu vai avanti, io ti seguo subito. MARINAIO
Un gran sollievo liberarmi di questo affare. Esce ANTIGONO
Vieni, povera bambina. Si dice, ma io non lo credo, che gli spiriti dei morti possono tornare fra noi. Ma se fosse vero, ecco che tua madre mi appare questa notte, e mai sogno fu più simile alla veglia. Mi viene incontro una creatura che scuote la testa qua e là: mai visto un simile crogiuolo di dolore, così traboccante, così raffinato. Venne in vesti di puro bianco, come la figura stessa della santità, alla capanna dove giacevo; tre volte si inchinò davanti a me, e mentre cercava affannata le parole, i suoi occhi divennero due fontane, e una volta spento quel parossismo questo le venne alle labbra: “Buon Antigono, dacché il fato, contro la tua migliore inclinazione, ha fatto di te quello che deve disperdere la mia povera bambina, secondo il giuramento che hai prestato, ci sono in Boemia molte lande desolate: là potrai piangere, e lasciarla piangere. E siccome la bambina è da ritenere per sempre perduta, così ti prego di chiamarla, Perdita. Per il rude compito che ti ha assegnato
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 3
Put on thee by my lord, thou ne’er shalt see Thy wife Paulina more.’ And so with shrieks She melted into air. Affrighted much, I did in time collect myself, and thought This was so, and no slumber. Dreams are toys, Yet for this once, yea superstitiously, I will be squared by this. I do believe Hermione hath suffered death, and that Apollo would — this being indeed the issue Of King Polixenes — it should here be laid, Either for life or death, upon the earth Of its right father. Blossom, speed thee well!
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He lays down the babe and a scroll There lie, and there thy character. He lays down a box There these, Which may, if fortune please, both breed thee, pretty, And still rest thine. [Thunder] The storm begins. Poor wretch, That for thy mother’s fault art thus exposed To loss and what may follow! Weep I cannot, But my heart bleeds, and most accursed am I To be by oath enjoined to this. Farewell. The day frowns more and more. Thou’rt like to have A lullaby too rough. I never saw The heavens so dim by day. A savage clamour! Well may I get aboard. This is the chase. I am gone for ever! Exit, pursued by a bear
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Enter an Old Shepherd OLD SHEPHERD I would there were no age between ten
and three-and-twenty, or that youth would sleep out the rest; for there is nothing in the between but getting wenches with child, wronging the ancientry, stealing, fighting — hark you now, would any but these boiled-brains 1362
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 3
il mio signore, mai più vedrai tua moglie Paolina”. E così, gemendo73, svanì nell’aria. Da parte mia, molto spaventato, dopo un po’ mi sono ripreso, convinto che quella fosse la realtà, non un sogno. I sogni sono illusioni, e tuttavia per questa volta, superstiziosamente, tanto serve a orientarmi. Credo che Ermione sia morta, e che la volontà di Apollo – essendo quella che ho qui frutto del re Polissene – sia di lasciarla in questo posto, perché viva o perché muoia sulla terra che appartiene al suo vero padre. Bocciolo, a te buona fortuna! Depone la bambina e un rotolo di pergamena Qui ti lascio, e questa è la tua storia. Mette a terra una cassetta E anche questi oggetti, piccolina, che se la fortuna vorrà potranno sia aiutarti a crescere, sia rimanerti in dote74. [Tuono] Comincia la tempesta: poveretta te, che sei esposta dal peccato di tua madre all’abbandono ed a quanto ne seguirà! Non riesco a piangere, ma mi sanguina il cuore, e mi sento dannato per il giuramento che mi obbliga. Addio! La luce si oscura sempre più; ti aspetta una ben rude ninnananna. Non ho mai visto di giorno cieli più neri. Che rumore selvaggio! Tornerò sulla nave. Comincia la caccia75: è la mia fine! Esce, inseguito da un orso Entra un vecchio pastore VECCHIO PASTORE
Vorrei che non esistesse un’età fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù se ne stesse a dormire, perché in quell’intervallo non capita altro che ragazze messe incinte, anziani maltrattati, gente che ruba o fa a botte – e adesso attenzione, chi se non questi cer-
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 3
of nineteen and two-and-twenty hunt this weather? They have scared away two of my best sheep, which I fear the wolf will sooner find than the master. If anywhere I have them, ’tis by the seaside, browsing of ivy. Good luck, an’t be thy will!
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He sees the babe What have we here? Mercy on’s, a bairn! A very pretty bairn. A boy or a child, I wonder? A pretty one, a very pretty one. Sure some scape. Though I am not bookish, yet I can read ‘waiting-gentlewoman’ in the scape. This has been some stair-work, some trunk-work, some behind-door-work. They were warmer that got this than the poor thing is here. I’ll take it up for pity; yet I’ll tarry till my son come. He hallooed but even now. Whoa-ho-hoa!
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Enter Clown CLOWN Hilloa, loa! OLD SHEPHERD What, art so near? If thou’lt see a thing
to talk on when thou art dead and rotten, come hither. What ail’st thou, man? CLOWN I have seen two such sights, by sea and by land! But I am not to say it is a sea, for it is now the sky. Betwixt the firmament and it you cannot thrust a bodkin’s point. OLD SHEPHERD Why, boy, how is it? CLOWN I would you did but see how it chafes, how it rages, how it takes up the shore. But that’s not to the point. O, the most piteous cry of the poor souls! Sometimes to see ’em, and not to see ’em; now the ship boring the moon with her mainmast, and anon swallowed with yeast and froth, as you’d thrust a cork into a hogshead. And then for the land-service, to see how the bear tore out his shoulder-bone, how he cried to me for help, and said his name was Antigonus, a nobleman! But to make an end of the ship — to see how the sea flap-dragoned it! But first, how the poor souls
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 3
velli bolliti di diciannove e ventidue anni andrebbe a caccia con un tale tempo? Hanno fatto scappare due delle mie pecore migliori, e temo che il lupo le trovi prima del padrone. Se da qualche parte le trovo sarà certo vicino al mare, a brucare l’edera. Che la sorte mi assista, se Dio vuole! Vede la bimba Ma qui cosa c’è? Misericordia, un bambino! Un gran bel bambino! Maschio o femmina, mi chiedo? Molto bellino, davvero bellino. Certamente una scappatella. Io non so leggere, però qui ci scorgo la scappatella di qualche dama di corte. Qui s’è fatto del lavoro sottoscala, o sottobanco, o dietro la porta. Quelli se ne stavano più al caldo di questa povera cosuccia qui. La raccolgo per pietà – ma prima aspetto che arrivi mio figlio. Proprio ora l’ho sentito. Olàhol-lalà! Entra un Contadino76 CONTADINO
Olà, loholà! VECCHIO PASTORE
Come, eri già qui? Se vuoi vedere qualcosa da raccontare quando sarai morto e guasto vieni qui. Ma cos’hai, stai male? CONTADINO
Di cose da raccontare ne ho viste già due, per mare e per terra! Ma non posso chiamare mare ciò che è si è fatto cosa unica col cielo: fra quello e le stelle non ci infili neanche la punta di uno spillo. VECCHIO PASTORE
Come, ragazzo, cosa vuoi dire? CONTADINO
Vorrei che vedeste come è scatenato, con che furia sconvolge la spiaggia! Ma non è questo che conta. Oh, le urla commoventi di quei poveretti! Prima li vedi, poi non li vedi più; ora col suo albero la nave lambisce la luna, ora viene ingoiata dai frangenti e dalla schiuma, come un tappo che balla nel barile! E poi, per la scena sulla terra, vedeste come l’orso gli ha tranciato via l’omero, come lui gridava perché lo aiutassi, e diceva che il suo nome era Antigono, un nobile! Ma per finire con la nave – vedeste come il mare l’ha ingoiata d’un sol colpo!77 E prima quelle povere anime urlavano, 1365
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THE WINTER’S TALE, ACT 3 SCENE 3
roared, and the sea mocked them, and how the poor gentleman roared, and the bear mocked him, both roaring louder than the sea or weather. OLD SHEPHERD Name of mercy, when was this, boy? CLOWN Now, now. I have not winked since I saw these sights. The men are not yet cold under water, nor the bear half dined on the gentleman. He’s at it now. OLD SHEPHERD Would I had been by to have helped the old man! CLOWN I would you had been by the ship side, to have helped her. There your charity would have lacked footing. OLD SHEPHERD Heavy matters, heavy matters. But look thee here, boy. Now bless thyself. Thou metst with things dying, I with things new-born. Here’s a sight for thee. Look thee, a bearing-cloth for a squire’s child.
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He points to the box Look thee here, take up, take up, boy. Open’t. So, let’s see. It was told me I should be rich by the fairies. This is some changeling. Open’t. What’s within, boy? CLOWN (opening the box) You’re a made old man. If the sins of your youth are forgiven you, you’re well to live. Gold, all gold! OLD SHEPHERD This is fairy gold, boy, and ’twill prove so. Up with’t, keep it close. Home, home, the next way. We are lucky, boy, and to be so still requires nothing but secrecy. Let my sheep go. Come, good boy, the next way home. CLOWN Go you the next way with your findings. I’ll go see if the bear be gone from the gentleman, and how much he hath eaten. They are never curst but when they are hungry. If there be any of him left, I’ll bury it.
115 l
123
128
116. Made: emend. tardo; in F mad = “pazzo”. 1366
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO III SCENA 3
e il mare ci si divertiva, e urlava il povero nobile, e ci si divertiva l’orso, e l’uno e l’altro urlavano più forte del mare o della tempesta. VECCHIO PASTORE
Per la miseria, ragazzo, quando è successo? CONTADINO
Adesso, adesso! Non è passato un battito di ciglia da quando ho assistito a queste scene! La gente non si è ancora raffreddata sott’acqua, e l’orso non ha finito di banchettare col nobiluomo. È ancora al lavoro. VECCHIO PASTORE
Fossi stato lì io, ad aiutare il vecchio! CONTADINO
Foste stato nei pressi della nave per aiutare quelli, alla vostra carità sarebbe mancata la terra sotto i piedi! VECCHIO PASTORE
C’è da piangere, da piangere! Ma guarda qui, ragazzo, e fatti il segno della croce. Tu incroci cose che muoiono, io incrocio cose che nascono. Eccoti una meraviglia. Guarda, un panno nobiliare78 per un figlio di signori! Indica la cassetta E guarda qui, prendi ragazzo, prendi. Apri. Allora, vediamo. Mi è stato predetto che le fate mi avrebbero fatto ricco. Questa deve essere una creatura fatata79. Apri. Cosa c’è lì dentro, ragazzo? CONTADINO (apre la cassetta) Siete un vecchio fortunato! Se vi sono perdonati i peccati di gioventù, siete ricco: oro, tanto oro! VECCHIO PASTORE
Oro fatato, ragazzo, e ne avremo la prova. Prendi e tienilo stretto. A casa, a casa per la via più corta. È una fortuna, ragazzo, e per realizzarla bisogna mantenerla segreta. Lascia perdere le pecore, a casa ragazzo, per la via più corta! CONTADINO
Andate voi per la via più corta, con ciò che avete trovato. Io voglio vedere se l’orso se n’è andato dal suo banchetto, e quanto ne ha lasciato. Non sono feroci se non sono affamati. Se ce n’è rimasta qualcosa la seppellirò. 1367
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 1
OLD SHEPHERD That’s a good deed. If thou mayst discern
by that which is left of him what he is, fetch me to th’ sight of him. CLOWN Marry will I; and you shall help to put him i’th’ ground. OLD SHEPHERD ’Tis a lucky day, boy, and we’ll do good deeds on’t. Exeunt 4.1
133
Enter Time, the Chorus
TIME
I that please some, try all; both joy and terror Of good and bad; that makes and unfolds error, Now take upon me in the name of Time To use my wings. Impute it not a crime To me or my swift passage that I slide O’er sixteen years and leave the growth untried Of that wide gap, since it is in my power To o’erthrow law, and in one self-born hour To plant and o’erwhelm custom. Let me pass The same I am ere ancient’st order was Or what is now received. I witness to The times that brought them in; so shall I do To th’ freshest things now reigning, and make stale The glistering of this present as my tale Now seems to it. Your patience this allowing, I turn my glass, and give my scene such growing As you had slept between. Leontes leaving Th’effects of his fond jealousies, so grieving That he shuts up himself, imagine me, m Gentle spectators, that I now may be In fair Bohemia, and remember well I mentionèd a son o’th’ King’s, which Florizel
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19. L’intera frase è ambigua: molti curatori la riformulano così: …Leontes leaving – / th’effects of his fond jealousies so grieving / that he shuts up himself – imagine me… 1368
Shakespeare IV.indb 1368
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 1
VECCHIO PASTORE
È una buona azione, se riesci a distinguere chi era da quanto è rimasto, portami a vederlo. CONTADINO
Certo, perbacco; e voi mi aiuterete a sotterrarlo. VECCHIO PASTORE
Oggi è un giorno fortunato, ragazzo, e le nostre saranno buone azioni. Escono Entra il Tempo, in qualità di coro 80
IV, 1 TEMPO
A qualcuno io piaccio, ma tutti metto a prova, con gioie e terrori, nel bene e nel male; io faccio e svelo errori, ed ora mi impegno, in nome del Tempo, ad usare queste ali81. Non incolpate me, né il mio procedere spedito, se ora trasvolo di ben sedici anni, e non mi curo di quanto è successo in tale lungo intervallo, poiché io ho il potere di disfare consuetudini, e, in un momento da me solo deciso, di fondare o cancellare tradizioni. Sappiate che io rimango uguale da quando si è instaurato l’ordine più antico, e così ancora nell’ordine vigente. Delle epoche che l’uno e l’altro hanno prodotto io resto il testimone, e così sarò delle più recenti mode, e il luccichio di questo presente appannerò, tanto quanto di fronte ad esso si appanna ora il mio racconto. La vostra pazienza permettendo, ora rivolto la mia clessidra, e do uno scrollone alla scena, come per risvegliarvi da un lungo sonno. Lasciando Leonte agli effetti della sua folle gelosia, così angosciato da rinchiudersi in se stesso, immaginate ora, gentili spettatori, che io mi trovi nell’amena Boemia, a rammentarvi che ho parlato di un figlio del re, di
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 2
I now name to you; and with speed so pace To speak of Perdita, now grown in grace Equal with wond’ring. What of her ensues I list not prophesy, but let Time’s news Be known when ’tis brought forth. A shepherd’s daughter And what to her adheres, which follows after, Is th’argument of Time. Of this allow, If ever you have spent time worse ere now. If never, yet that Time himself doth say He wishes earnestly you never may. 4.2
25
30 Exit
Enter Polixenes and Camillo
POLIXENES I
pray thee, good Camillo, be no more importunate. ’Tis a sickness denying thee anything, a death to grant this. CAMILLO It is sixteen years since I saw my country. Though I have for the most part been aired abroad, I desire to lay my bones there. Besides, the penitent King, my master, hath sent for me, to whose feeling sorrows I might be some allay — or I o’erween to think so — which is another spur to my departure. POLIXENES As thou lov’st me, Camillo, wipe not out the rest of thy services by leaving me now. The need I have of thee thine own goodness hath made. Better not to have had thee than thus to want thee. Thou, having made me businesses which none without thee can sufficiently manage, must either stay to execute them thyself or take away with thee the very services thou hast done; which if I have not enough considered — as too much I cannot — to be more thankful to thee shall be my study, and my profit therein, the heaping friendships. Of that fatal country Sicilia, prithee speak
n
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4. Sixteen: emend. tardo; in F fifteen, errore attribuito da Wells, ipoteticamente, al trascrittore. 1370
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 2
cui ora faccio il nome, Florizel; e subito passo a dirvi di Perdita, la cui grazia è cresciuta di pari passo con l’ammirazione che riscuote. Ciò che di lei sarà non voglio anticipare: che le cronache del Tempo siano note al loro accadere. Il racconto che segue, sulla figlia di un pastore e su ciò che la riguarda, è l’argomento che mi aspetta. Sia che non vi siate mai divertiti meno di adesso, sia che ciò sia successo, consentite al Tempo di augurarvi di cuore che vi capiti ancora lo stesso. Esce IV, 2
Entrano Polissene e Camillo82
POLISSENE
Ti prego, buon Camillo, non insistere più. Negarti qualcosa è per me come una malattia, ma concederti questo sarebbe come la morte. CAMILLO
Da sedici83 anni non vedo il mio paese, e benché tanto a lungo abbia respirato aria straniera, ora vorrei posarvi le ossa. Inoltre il re ravveduto, mio padrone, mi ha chiamato; per il suo animo dolente – se non presumo troppo – io potrei essere di qualche conforto, ciò che mi sprona a partire. POLISSENE
Per l’affetto che mi porti, Camillo, non cancellare il resto del tuo servizio abbandonandomi ora. La tua bontà ha creato il bisogno che ho di te: sarebbe meglio non averti avuto piuttosto che mi mancassi ora. Tu, avendo intrapreso affari che nessuno salvo te può condurre con efficacia, devi o rimanere per condurli a buon fine, o portar via con te i servizi che hai avviato. Se non li ho abbastanza ricompensati – e mai riuscirei a farlo – sarà mia preoccupazione mostrarmi più grato, e il mio profitto sarà l’accumulo di due amicizie. Di quella contrada fatale, la Sicilia, ti prego, non parlarmi più:
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Shakespeare IV.indb 1371
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 2
no more, whose very naming punishes me with the remembrance of that penitent — as thou callest him — and reconciled King my brother, whose loss of his most precious queen and children are even now to be afresh lamented. Say to me, when sawest thou the Prince Florizel, my son? Kings are no less unhappy, their issue not being gracious, than they are in losing them when they have approved their virtues.
28
CAMILLO Sir, it is three days since I saw the Prince. What
his happier affairs may be are to me unknown; but I have missingly noted he is of late much retired from court, and is less frequent to his princely exercises than formerly he hath appeared. POLIXENES I have considered so much, Camillo, and with some care, so far that I have eyes under my service which look upon his removedness, from whom I have this intelligence: that he is seldom from the house of a most homely shepherd, a man, they say, that from very nothing, and beyond the imagination of his neighbours, is grown into an unspeakable estate. CAMILLO I have heard, sir, of such a man, who hath a daughter of most rare note. The report of her is extended more than can be thought to begin from such a cottage. POLIXENES That’s likewise part of my intelligence; but, I fear, the angle that plucks our son thither. Thou shalt accompany us to the place, where we will, not appearing what we are, have some question with the shepherd; from whose simplicity I think it not uneasy to get the cause of my son’s resort thither. Prithee, be my present partner in this business, and lay aside the thoughts of Sicilia. CAMILLO I willingly obey your command. POLIXENES My best Camillo! We must disguise ourselves.
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40
51
Exeunt
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Shakespeare IV.indb 1372
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 2
il solo nome mi inquieta con il ricordo di quel ravveduto – come lo chiami tu – e riconciliato re mio fratello; la perdita della sua preziosissima regina e dei figli è tuttora da rimpiangere. Ma dimmi, da quando non vedi mio figlio, il principe Florizel? Chi regna non è meno infelice per l’avventatezza della sua prole, di quanto non sia nel perderla dopo averne accertato la virtù. CAMILLO
Signore, da tre giorni non vedo il principe. Quali siano i suoi più piacevoli impegni non so, ma ho notato dalle sue assenze che di recente si è molto appartato dalla corte, e partecipa ai suoi compiti principeschi con minore assiduità di quanto non facesse prima. POLISSENE
L’ho rilevato anch’io, Camillo, e ci ho un po’ riflettuto, così ho affidato a certi osservatori al mio servizio di sorvegliare le sue assenze. Da loro ricevo la notizia che lui di rado si allontana dalla casa di un modestissimo pastore, un uomo, dicono, che dall’assoluta miseria, e contro le aspettative dei vicini, è pervenuto a una incredibile fortuna. CAMILLO
Ho sentito parlare, signore, di un simile uomo, che ha una figlia della più rara reputazione. La sua fama è cresciuta ben al di là di quanto si possa pensare che germogli da una capanna. POLISSENE
Anche questo fa parte delle mie notizie, e temo che la ragazza sia l’esca che attira là nostro figlio. Tu ci accompagnerai sul posto, e là, senza svelare chi siamo, potremo parlare col pastore, dalla cui semplicità non credo sia difficile estrarre la causa delle frequentazioni di mio figlio. Ti prego di accompagnarmi in questo affare, e di scordarti della Sicilia. CAMILLO
Obbedisco di buon grado al vostro comando. POLISSENE
Ecco il mio miglior Camillo! Dobbiamo travestirci84. Escono
1373
Shakespeare IV.indb 1373
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 3
4.3
Enter Autoiycus singing
AUTOLYCUS
When daffodils begin to peer, With heigh, the doxy over the dale, Why then comes in the sweet o’the year, For the red blood reigns in the winter’s pale. The white sheet bleaching on the hedge, With heigh, the sweet birds, O how they sing! Doth set my pugging tooth on edge, For a quart of ale is a dish for a king. The lark, that tirra-lirra chants, With heigh, with heigh, the thrush and the jay, Are summer songs for me and my aunts While we lie tumbling in the hay. I have served Prince Florizel, and in my time wore three-pile, but now I am out of service. But shall I go mourn for that, my dear? The pale moon shines by night, And when I wander here and there I then do most go right. If tinkers may have leave to live, And bear the sow-skin budget, Then my account I well may give, And in the stocks avouch it. My traffic is sheets. When the kite builds, look to lesser linen. My father named me Autolycus, who being, as I am, littered under Mercury, was likewise a snapper-up of unconsidered trifles. With die and drab I purchased this caparison, and my revenue is the silly cheat. Gallows and knock are too powerful on the highway. Beating and hanging are terrors to me. For the life to come, I sleep out the thought of it. A prize, a prize!
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Enter Clown
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Shakespeare IV.indb 1374
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 3
IV, 3
Entra Autolico, cantando85
AUTOLICO
Quando fiorisce la giunchiglia86 ehi ehi! E la bella sta sul prato, dell’anno ecco la prima meraviglia dal pallido al rosso le guance ha mutato. Sulla siepe si asciugano i panni ehi ehi! E nell’aria si cinguetta per me, a rubare mi insegnano gli anni, e un quarto di birra è roba da re. Canta l’allodola le sue note impudiche, ehi ehi! E il tordo e la quaglia, canta l’estate per me e le mie amiche a rotoloni in mezzo alla paglia. Sono stato al servizio del principe Florizel, quando mi vestivo di spesso velluto, ma ora sono al freddo lasciato. Mi devo dunque pentire, mia cara? La luna splende a notte tarda, e quando vado a zonzo di sera questa è la vita che mi garba. Se agli stagnini87 è consentito campare, e quella borsa pesante portare, allora anch’io posso farci un racconto, e dalla gogna dar conto. Io traffico in lenzuola88; quando il nibbio fa il nido, state attenti ai panni più corti89. Mio padre mi ha chiamato Autolico; lui era, come me, della cucciolata di Mercurio90, cioè si dilettava di arraffare robetta da niente. Grazie ai dadi e alle gonnelle io mi sono comprato questi finimenti91, e campo imbrogliando i gonzi. Mai sulla strada maestra, eh – perché lì comandano la forca e il bastone, e le bastonate e il cappio mi fanno proprio senso –. Quanto alla vita eterna, ci dormo sopra e non ci penso. Un gonzo, datemi un gonzo! Entra il Contadino
1375
Shakespeare IV.indb 1375
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 3
CLOWN Let me see. Every ’leven wether tods, every tod
yields pound and odd shilling. Fifteen hundred shorn, what comes the wool to? AUTOLYCUS (aside) If the springe hold, the cock’s mine. CLOWN I cannot do’t without counters. Let me see, what am I to buy for our sheep-shearing feast? Three pound of sugar, five pound of currants, rice — what will this sister of mine do with rice? But my father hath made her mistress of the feast, and she lays it on. She hath made me four-and-twenty nosegays for the shearers — three-man-song-men, all, and very good ones — but they are most of them means and basses, but one Puritan amongst them, and he sings psalms to hornpipes. I must have saffron to colour the warden pies; mace; dates, none — that’s out of my note; nutmegs, seven; a race or two of ginger — but that I may beg; four pound of prunes, and as many of raisins o’th’ sun. AUTOLYCUS (grovelling on the ground) O, that ever I was born! CLOWN I’th’ name of me! AUTOLYCUS O help me, help me! Pluck but off these rags, and then death, death! CLOWN Alack, poor soul, thou hast need of more rags to lay on thee rather than have these off. AUTOLYCUS O sir, the loathsomeness of them offend me more than the stripes I have received, which are mighty ones and millions. CLOWN Alas, poor man, a million of beating may come to a great matter. AUTOLYCUS I am robbed, sir, and beaten; my money and apparel ta’en from me, and these detestable things put upon me.
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50
55 o
60
56. Offend: così in F; in altre ed. offends, ma il plurale è sostenuto da them. 1376
Shakespeare IV.indb 1376
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 3
CONTADINO
Vediamo. Con undici montoni ci faccio una balla92, e ogni balla vale una sterlina e qualche scellino. A tosarne mille e cinquecento, quanto ne ricavo? AUTOLICO (a parte) Se il laccio93 tiene, il beccafico94 è mio. CONTADINO
Non ci riesco senza il pallottoliere. Vediamo: cosa devo comprare per la festa della tosatura?95 Tre libbre di zucchero, cinque di uvette, riso – cosa ci farà mai quella mia sorella con del riso? Ma mio padre l’ha nominata signora della festa ed è lei che comanda. Ha preparato ventiquattro mazzolini per i tosatori – molto bravi nel canto polifonico a tre voci – ma sono quasi tutti tenori e bassi, eccetto un puritano lì in mezzo, che canta i salmi con la cornamusa96. Devo prendere dello zafferano per colorare le torte di frutta, la cannella, i datteri – no, quelli non stanno nella lista – noci moscate, sette; una radice o due di zenzero – ma magari me lo regalano; quattro libbre di prugne, e altrettanto di uva passa97. AUTOLICO (si contorce per terra) Ah, non fossi mai nato! CONTADINO
Misericordia cosa vedo? AUTOLICO
Aiuto, aiutatemi! Toglietemi di dosso questi stracci98, e poi venga la morte! CONTADINO
Ahimè, povera anima, hai bisogno di metterti addosso più stracci invece che di toglierti questi che hai! AUTOLICO
Oh signore, la loro sporcizia mi offende più delle bastonate che ho preso, fortissime e a milioni. CONTADINO
Ahimè, pover’uomo, bastonate a milioni possono essere un problema! AUTOLICO
Derubato e bastonato, signore; borsa e vestiti mi son stati portati via, e addosso mi han lasciato queste detestabili cose! 1377
Shakespeare IV.indb 1377
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 3
CLOWN What, by a horseman, or a footman? AUTOLYCUS A footman, sweet sir, a footman.
65
CLOWN Indeed, he should be a footman, by the garments
he has left with thee. If this be a horseman’s coat it hath seen very hot service. Lend me thy hand, I’ll help thee. Come, lend me thy hand. He helps Autolycus up AUTOLYCUS O, good sir, tenderly. O!
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CLOWN Alas, poor soul! AUTOLYCUS O, good sir, softly, good sir! I fear, sir, my
shoulder-blade is out. CLOWN How now? Canst stand? AUTOLYCUS Softly, dear sir. Good sir, softly.
75
[He picks the Clown’s pocket] You ha’ done me a charitable office. CLOWN (reaching for his purse) Dost lack any money? I
have a little money for thee. AUTOLYCUS No, good sweet sir, no, I beseech you, sir. I
have a kinsman not past three-quarters of a mile hence, unto whom I was going. I shall there have money, or anything I want. Offer me no money, I pray you. That kills my heart. CLOWN What manner of fellow was he that robbed you? AUTOLYCUS A fellow, sir, that I have known to go about with troll-madams. I knew him once a servant of the Prince. I cannot tell, good sir, for which of his virtues it was, but he was certainly whipped out of the court.
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89
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Shakespeare IV.indb 1378
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 3
CONTADINO
Era a cavallo o a piedi? AUTOLICO
A piedi, caro signore, a piedi. CONTADINO
Davvero a piedi doveva essere, per lasciarti addosso ’sta robaccia. Se questo era il mantello di un cavaliere deve essere stato al centro di una battaglia! Avanti, dammi la mano. Aiuta Autolico ad alzarsi AUTOLICO
Oh buon signore, piano, oh! CONTADINO
Ahimè, povera anima! AUTOLICO
Oh buon signore, piano, buon signore! Temo di essermi slogato la scapola. CONTADINO
Come va ora? Puoi camminare? AUTOLICO
Piano, caro signore. Buon signore, piano. [Gli fruga nelle tasche]99 Mi avete fatto una carità. CONTADINO (cerca la borsa)
Non hai soldi? Qui c’è qualche moneta per te… AUTOLICO
…No, buon signore, no, vi prego, signore. Ho un parente a non più di tre quarti di miglio da qui, dal quale stavo andando. Un po’ di soldi, o qualsiasi cosa di cui abbia bisogno, li trovo lì. Non mi date denaro, vi prego. Mi fa male al cuore. CONTADINO
Che genere di persona era quello che vi ha derubato? AUTOLICO
Un tizio, signore, che ho visto andare in giro con certe madame100… Di lui so che è stato al servizio del principe. Non posso dire, buon signore, per quale virtù lo sia stato, ma è certo che l’han cacciato da corte a suon di frustate. 1379
Shakespeare IV.indb 1379
30/11/2018 09:33:22
THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 3
CLOWN His
vices, you would say. There’s no virtue whipped out of the court. They cherish it to make it stay there; and yet it will no more but abide. AUTOLYCUS Vices, I would say, sir. I know this man well. He hath been since an ape-bearer, then a process-server — a bailiff — then he compassed a motion of the Prodigal Son, and married a tinker’s wife within a mile where my land and living lies, and having flown over many knavish professions, he settled only in rogue. Some call him Autolycus. CLOWN Out upon him! Prig, for my life, prig! He haunts wakes, fairs, and bear-baitings. AUTOLYCUS Very true, sir. He, sir, he. That’s the rogue that put me into this apparel. CLOWN Not a more cowardly rogue in all Bohemia. If you had but looked big and spit at him, he’d have run. AUTOLYCUS I must confess to you, sir, I am no fighter. I am false of heart that way, and that he knew, I warrant him. CLOWN How do you now? AUTOLYCUS Sweet sir, much better than I was. I can stand, and walk. I will even take my leave of you, and pace softly towards my kinsman’s. CLOWN Shall I bring thee on the way? AUTOLYCUS No, good-faced sir, no, sweet sir. CLOWN Then fare thee well. I must go buy spices for our sheep-shearing.
99
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1380
Shakespeare IV.indb 1380
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 3
CONTADINO
Per quali vizi, volete dire. Non è la virtù che viene cacciata da corte a suon di frustate, anzi lì la coccolano tanto per farcela rimanere, anche se lei non ci sta mai tanto. AUTOLICO
Vizi volevo dire, signore. Lo conosco bene quel tizio. Dopo di allora si è dato ad ammaestrare le scimmie, poi è stato un messo di tribunale – un balivo – poi ha portato in giro la storia del Figliol prodigo101, ha sposato la moglie di uno stagnino a neanche un miglio da dove io ho casa e terreni, e dopo aver sfarfallato da una fatica fraudolenta all’altra s’è assestato su quella di brigante. C’è chi lo chiama Autolico. CONTADINO
Alla larga! Un mariuolo, per la miseria, un mariuolo! Lo trovi alle sagre, alle fiere e ai combattimenti degli orsi! AUTOLICO
Proprio così, signore. È lui, signore, proprio lui il mascalzone che mi ha conciato in questo modo. CONTADINO
Non esiste in tutta la Boemia una canaglia tanto vigliacca. Uno che scappa se solo vi gonfiate un po’ il petto e gli sputate contro. AUTOLICO
Vi devo confessare, signore, che io non sono buono a fare a botte. Non è il mio forte, e lui lo sa, ne sono sicuro. CONTADINO
E come state ora? AUTOLICO
Gentile signore, molto meglio di prima. Mi reggo in piedi, cammino. Così vi saluto e pian piano mi incammino verso quel mio parente. CONTADINO
Vuoi che ti accompagni? AUTOLICO
No, signor bel viso. No, gentile signore. CONTADINO
Allora statti buono. Io devo andare a comprare spezie per la nostra festa della tosatura. 1381
Shakespeare IV.indb 1381
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
AUTOLYCUS Prosper you, sweet sir.
Exit the Clown Your purse is not hot enough to purchase your spice. I’ll be with you at your sheep-shearing, too. If I make not this cheat bring out another, and the shearers prove sheep, let me be unrolled and my name put in the book of virtue. (Sings) Jog on, jog on, the footpath way, And merrily hent the stile-a. A merry heart goes all the day, Your sad tires in a mile-a. Exit
4.4
122
125
Enter Florizel dressed as Doricles a countryman, and Perdita as Queen of the Feast
FLORIZEL
These your unusual weeds to each part of you Does give a life; no shepherdess, but Flora Peering in April’s front. This your sheep-shearing Is as a meeting of the petty gods, And you the queen on’t. PERDITA Sir, my gracious lord, To chide at your extremes it not becomes me — O, pardon that I name them! Your high self, The gracious mark o’th’ land, you have obscured With a swain’s wearing, and me, poor lowly maid, Most goddess-like pranked up. But that our feasts In every mess have folly, and the feeders Digest it with a custom, I should blush To see you so attired; swoon, I think, p To show myself a glass. FLORIZEL I bless the time When my good falcon made her flight across Thy father’s ground.
5
10
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13. Swoon: emend. tardo; in F sworne = “giurato”; l’emend. è giustificato dalla vicinanza fra “arrossire” e “svenire”. 1382
Shakespeare IV.indb 1382
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
AUTOLICO
Buona fortuna, gentile signore. Il Contadino esce La tua borsa non è più così fornita da comprare le tue spezie. Alla festa ci sarò anch’io, e se a questo colpo non ne aggiungo un altro, e se i tosatori non diventano pecoroni, togliete il mio nome dall’albo e mettetelo nel libro dei virtuosi! (Canta) Trotta, trotta sul sentiero Salta ardito oltre la siepe, su! Cuore allegro va lontano Ma s’è triste, un miglio e non più! Esce IV, 4
Entrano Florizel abbigliato da Doricle, un contadino, e Perdita, regina della festa102
FLORIZEL
Questo costume inusuale fa risplendere ogni vostra forma103: non pastorella, ma Flora104 che si rivela all’inizio di aprile. Questa festa della tosatura è un consesso di divinità minori, e voi ne siete la regina. PERDITA
Mio cortese signore, non sta a me rimproverare le vostre esagerazioni – e perdonatemi se ne faccio menzione! La nobiltà della vostra persona, paragone di grazia per il paese, voi l’avete oscurata sotto questi panni da pastore, e me, povera umile ragazza, avete ultradecorata come una dea. Se non fosse che le nostre feste hanno in ogni portata un grano di follia, e i commensali d’abitudine lo digeriscono, arrossirei a vedervi così conciato; e potrei svenire, credo, se mi vedessi allo specchio. FLORIZEL
Benedico l’ora quando il mio buon falco è volato sul campo di tuo padre.
1383
Shakespeare IV.indb 1383
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Now Jove afford you cause! To me the difference forges dread; your greatness Hath not been used to fear. Even now I tremble To think your father by some accident Should pass this way, as you did. O, the fates! How would he look to see his work, so noble, Vilely bound up? What would he say? Or how Should I, in these my borrowed flaunts, behold The sternness of his presence? FLORIZEL Apprehend Nothing but jollity. The gods themselves, Humbling their deities to love, have taken The shapes of beasts upon them. Jupiter Became a bull, and bellowed; the green Neptune A ram, and bleated; and the fire-robed god, Golden Apollo, a poor humble swain, As I seem now. Their transformations Were never for a piece of beauty rarer, Nor in a way so chaste, since my desires Run not before mine honour, nor my lusts Burn hotter than my faith. PERDITA O, but Sir, Your resolution cannot hold when ’tis Opposed, as it must be, by th’ power of the King. One of these two must be necessities, Which then will speak that you must change this purpose, Or I my life. FLORIZEL Thou dearest Perdita, With these forced thoughts I prithee darken not The mirth o’th’ feast. Or I’ll be thine, my fair, Or not my father’s. For I cannot be Mine own, nor anything to any, if I be not thine. To this I am most constant, Though destiny say no. Be merry, gentle; Strangle such thoughts as these with anything That you behold the while. Your guests are coming. PERDITA
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Shakespeare IV.indb 1384
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
PERDITA
Giove ve ne dia motivo! A me la differenza fa paura, mentre alla paura la vostra grandezza non è abituata. Anche in questo momento tremo pensando che vostro padre possa accidentalmente passare da qui, come è successo a voi. Oh fati! Che aria avrebbe nel vedere la sua opera così nobile costretta in tanto umile rilegatura? Che cosa direbbe? E come riuscirei io, in questi panni artefatti105, a sostenere la severità della sua presenza? FLORIZEL
Non cercare altro che la gioia. Gli stessi dei, umiliando la loro natura per amore, assunsero forme animali. Giove si fece toro, e muggiva; il verde Nettuno un ariete, e belava; e il dio igneo-vestito, l’aureo Apollo, un povero umile pastore, come ora appaio io. Le loro metamorfosi non miravano a una bellezza più rara, né in modo altrettanto casto, dacché il mio desiderio non procede oltre il mio onore, né la mia passione brucia più della mia fede. PERDITA
Oh, ma signore, la vostra risoluzione non potrà durare di fronte all’opposizione, che dovrà venire, del potere regale. Una delle due necessità dovrà allora prevalere, e la sua parola farà cambiare idea a voi, o a me la vita. FLORIZEL
Perdita cara, ti prego, non oscurare l’allegria della festa con questi pensieri peregrini. O io sarò tuo, mia amata, o non sarò di mio padre. Perché non posso essere di me stesso, né niente per nessuno, se non tuo. Su questo sarò costante anche se il destino dicesse di no. Sii allegra, mia cara; soffoca pensieri come questi con qualsiasi cosa si presti ora alla tua vista. Entrano gli ospiti; metti su il sorri-
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Shakespeare IV.indb 1385
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Lift up your countenance as it were the day Of celebration of that nuptial which We two have sworn shall come. PERDITA O Lady Fortune, Stand you auspicious! FLORIZEL See, your guests approach. Address yourself to entertain them sprightly, And let’s be red with mirth.
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Enter the Old Shepherd, with Polixenes and Camillo, disguised, the Clown, Mopsa, Dorcas, and others OLD SHEPHERD (to Perdita)
Fie, daughter, when my old wife lived, upon This day she was both pantler, butler, cook, Both dame and servant, welcomed all, served all, Would sing her song and dance her turn, now here At upper end o’th’ table, now i’th’ middle, On his shoulder, and his, her face afire With labour, and the thing she took to quench it She would to each one sip. You are retired As if you were a feasted one and not The hostess of the meeting. Pray you bid These unknown friends to’s welcome, for it is A way to make us better friends, more known. Come, quench your blushes, and present yourself That which you are, mistress o’th’ feast. Come on, And bid us welcome to your sheep-shearing, As your good flock shall prosper. PERDITA (to Polixenes) Sir, welcome. It is my father’s will I should take on me The hostess-ship o’th’ day. (To Camillo) You’re welcome, sir. Give me those flowers there, Dorcas. Reverend sirs, For you there’s rosemary and rue. These keep Seeming and savour all the winter long. Grace and remembrance be to you both, And welcome to our shearing.
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Shakespeare IV.indb 1386
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
so, come se fosse il giorno in cui celebreremo quelle nozze che ci siamo promessi. PERDITA
Oh signora fortuna, dacci una mano! FLORIZEL
Vedi, gli ospiti si avvicinano. Datti da fare per intrattenerli amabilmente, e sia nostro il rossore dell’allegria. Entrano il Vecchio pastore, Polissene e Camillo mascherati, il Contadino, Mopsa, Dorca, e altri VECCHIO PASTORE (a Perdita)
Così non va, figlia mia! Quando la mia vecchia era viva, in giorni come questi era vivandiera, cantiniera, cuoca, padrona e cameriera; accoglieva tutti e tutti serviva, cantava un’aria e ballava un giro, ora qui a capo della tavolata, ora nel mezzo, abbracciando le spalle di questo e poi di quello, la faccia in fiamme per il gran daffare, e ciò che prendeva per rinfrescarsi lo beveva alla salute di ciascuno. Tu te ne stai da parte, come se fossi un’invitata e non la signora della festa. Ti prego, dai il benvenuto a questi amici sconosciuti: questo è un modo per farsene sempre di migliori, e conoscerli meglio. Vieni, cancella ogni rossore e fatti conoscere per quello che sei, la signora della festa. Avanti, da’ a tutti il benvenuto alla festa della tosatura, affinché prosperi il tuo buon gregge. PERDITA (a Polissene) Benvenuto, signore. È desiderio di mio padre che oggi io assuma la regia dell’ospitalità. (A Camillo) Benvenuto, signore. Porgimi quei fiori, Dorca. Onorati signori, per voi il rosmarino e la ruta, che conservano veste e profumo per tutto l’inverno. A entrambi voi portino i doni della grazia e del ricordo; benvenuti alla nostra tosatura.
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Shakespeare IV.indb 1387
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Shepherdess, A fair one are you. Well you fit our ages With flowers of winter. PERDITA Sir, the year growing ancient, Not yet on summer’s death, nor on the birth Of trembling winter, the fairest flowers o’th’ season Are our carnations and streaked gillyvors, Which some call nature’s bastards. Of that kind Our rustic garden’s barren, and I care not To get slips of them. POLIXENES Wherefore, gentle maiden, Do you neglect them? PERDITA For I have heard it said There is an art which in their piedness shares With great creating nature. POLIXENES Say there be, Yet nature is made better by no mean But nature makes that mean. So over that art Which you say adds to nature is an art That nature makes. You see, sweet maid, we marry A gentler scion to the wildest stock, And make conceive a bark of baser kind By bud of nobler race. This is an art Which does mend nature — change it rather; but The art itself is nature. PERDITA So it is. POLIXENES
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POLIXENES
Then make your garden rich in gillyvors, And do not call them bastards. PERDITA I’ll not put The dibble in earth to set one slip of them, No more than, were I painted, I would wish This youth should say ’twere well, and only therefore Desire to breed by me. Here’s flowers for you: Hot lavender, mints, savory, marjoram, The marigold, that goes to bed wi’th’ sun, And with him rises, weeping. These are flowers
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Shakespeare IV.indb 1388
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
POLISSENE
Siete bella, pastora. Alle nostre età ben si addicono i fiori dell’inverno. PERDITA
Signore, col maturare dell’anno, non ancora alla morte dell’estate né alla nascita del tremante inverno, i fiori più belli sono i garofani e le rose screziate106, che qualcuno chiama bastarde della natura. Ma quel genere non cresce nel nostro giardino, e io non mi curo di cercarne i germogli. POLISSENE
Ma perché, gentile fanciulla, li trascurate? PERDITA
Perché ho sentito dire che in quelle screziature c’è un’arte che gareggia con la forza creatrice della natura107. POLISSENE
Sia pure, e tuttavia nulla migliora la natura che non venga dalla natura stessa. Così al di sopra di quell’arte che secondo voi si misura con la natura c’è un’arte che la natura stessa produce. Vedete, dolce fanciulla, noi sposiamo il più decoroso innesto al tronco più grezzo, e fecondiamo una corteccia inferiore con un germoglio di più alta qualità. Questa è un’arte che corregge la natura – o piuttosto la cambia – ma l’arte stessa è natura. PERDITA
Così è. POLISSENE
E allora popolate il vostro giardino di fiori screziati e non chiamateli bastardi. PERDITA
Non pianterò in terra un solo puntello per sostenere uno di quegli innesti108, né vorrei, se mi truccassi, che questo ragazzo mi trovasse bella solo per far figli con me. Eccovi dei fiori: lavanda aromatica, menta, santoreggia, maggiorana, la calendula che va a letto col sole, e con lui si apre stillando lacrime. Questi sono fiori di mezza
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Of middle summer, and I think they are given To men of middle age. You’re very welcome. She gives them flowers CAMILLO
I should leave grazing were I of your flock, And only live by gazing. PERDITA Out, alas, You’d be so lean that blasts of January Would blow you through and through. (To Florizel) Now, my fair’st friend, I would I had some flowers o’th’ spring that might Become your time of day; (to Mopsa and Dorcas) and yours, and yours, That wear upon your virgin branches yet Your maidenheads growing. O Proserpina, For the flowers now that, frighted, thou letst fall From Dis’s wagon! — daffodils, That come before the swallow dares, and take The winds of March with beauty; violets, dim, But sweeter than the lids of Juno’s eyes Or Cytherea’s breath; pale primroses, That die unmarried ere they can behold Bright Phoebus in his strength — a malady Most incident to maids; bold oxlips, and The crown imperial; lilies of all kinds, The flower-de-luce being one. O, these I lack, To make you garlands of, and my sweet friend, To strew him o’er and o’er. FLORIZEL What, like a corpse?
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PERDITA
No, like a bank, for love to lie and play on, Not like a corpse — or if, not to be buried, But quick and in mine arms. Come, take your flowers. Methinks I play as I have seen them do In Whitsun pastorals. Sure this robe of mine Does change my disposition.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
estate, e io penso siano adatti a uomini di mezza età. Siete davvero benvenuti. Dà loro i fiori CAMILLO
Se fossi del suo gregge smetterei di brucare, e vivrei solo di incanti. PERDITA
Suvvia, diventereste tanto magro che le raffiche di gennaio vi passerebbero attraverso. (A Florizel) Ora, mio avvenente amico, vorrei avere dei fiori di primavera, adatti alla stagione vostra, (a Mopsa e Dorca) alla vostra e alla vostra, che ancora portate su virginali rami il bocciolo della castità. Oh Proserpina, avere adesso i fiori che spaventata lasciasti cadere dal carro di Dite!109 – i narcisi che spuntano prima che la rondine compaia, e colorano di bellezza i venti di marzo; le viole, ombrose ma più dolci delle palpebre di Giunone o del fiato di Citera; le pallide primule, che muoiono ancor nubili110 prima di poter contemplare Febo raggiante nel suo splendore – una malattia specialmente comune fra le fanciulle –; le primavere111 ardite, e l’imperiale corona112; gigli d’ogni specie, fa cui il giaggiolo113. Oh, questi mi mancano: farei ghirlande per voi, e per coprire da capo a piedi l’amico mio dolce! FLORIZEL
Insomma, come un morto? PERDITA
No: come un prato, dove l’amore si abbandoni e ci giochi; non come un morto – o magari sì, ma non da morto bensì da vivo, da seppellire fra le mie braccia. Venite, raccogliete i vostri fiori; mi sembra di recitare come fanno nelle pastorali di Pentecoste114. Certo questo mio abbigliamento mi fa apparire diversa115.
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
What you do Still betters what is done. When you speak, sweet, I’d have you do it ever; when you sing, I’d have you buy and sell so, so give alms, Pray so; and for the ord’ring your affairs, To sing them too. When you do dance, I wish you A wave o’th’ sea, that you might ever do Nothing but that, move still, still so, And own no other function. Each your doing, So singular in each particular, Crowns what you are doing in the present deeds, That all your acts are queens. PERDITA O Doricles, Your praises are too large. But that your youth And the true blood which peeps so fairly through’t Do plainly give you out an unstained shepherd, With wisdom I might fear, my Doricles, You wooed me the false way. FLORIZEL I think you have As little skill to fear as I have purpose To put you to’t. But come, our dance, I pray; Your hand, my Perdita. So turtles pair, That never mean to part. PERDITA I’ll swear for ’em. POLIXENES (to Camillo) This is the prettiest low-born lass that ever Ran on the greensward. Nothing she does or seems But smacks of something greater than herself, Too noble for this place. CAMILLO He tells her something That makes her blood look out. Good sooth, she is q The queen of curds and cream. CLOWN Come on, strike up! FLORIZEL
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160. Out: emend. tardo; in F on’t. L’emend. rimanda alla confusione in Perdita. 1392
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
FLORIZEL
Ciò che fai migliora ciò che hai fatto fi nora116. Quando parli, mia cara, vorrei che continuassi a parlare, sempre; quando canti, vorrei sentirti mentre compri e vendi, mentre fai l’elemosina, mentre preghi e badi alle faccende di casa, cantando. Quando danzi, vorrei che tu fossi un’onda del mare sempre in movimento, senz’altra occupazione se non un moto costante. Ciascun tuo movimento, così avvincente in ogni sfumatura, corona ciò che fai in quel momento, conferendo un tono regale a ogni tuo atto. PERDITA
Oh Doricle, troppo lusinghiere sono queste lodi! Se la tua giovinezza e il sangue genuino che così chiaramente vi traspare non rivelassero in te un pastore senza macchia, la prudenza mi farebbe temere, mio Doricle, che la tua corte avesse fini disonesti. FLORIZEL
Credo che tu abbia tanto poca occasione di temere quanta ne ho io di dartene motivo. Ma vieni, ti prego, è la nostra danza; la tua mano, mia Perdita. Così si appaiano le tortore, che non conoscono separazioni117. PERDITA
E così fanno davvero. POLISSENE (a Camillo) Questa è la più graziosa forosetta che mai abbia corso per i prati. Non ci sono in lei gesti o portamento che non richiamino qualcosa più grande di lei, troppo nobile per questo posto. CAMILLO
Le sta dicendo qualcosa che le imporpora il viso. Perbacco, è la regina delle prelibatezze118. CONTADINO
Avanti con la musica!
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
DORCAS Mopsa must be your mistress. Marry, garlic to
mend her kissing with! MOPSA Now, in good time! CLOWN Not a word, a word, we stand upon our manners.
Come, strike up!
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Music. Here a dance of shepherds and shepherdesses POLIXENES
Pray, good shepherd, what fair swain is this Which dances with your daughter? OLD SHEPHERD
They call him Doricles, and boasts himself To have a worthy feeding; but I have it Upon his own report, and I believe it. He looks like sooth. He says he loves my daughter. I think so, too, for never gazed the moon Upon the water as he’ll stand and read, As ’twere, my daughter’s eyes; and to be plain, I think there is not half a kiss to choose Who loves another best. POLIXENES She dances featly.
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OLD SHEPHERD
So she does anything, though I report it That should be silent. If young Doricles Do light upon her, she shall bring him that Which he not dreams of.
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Enter a Servant SERVANT O, master, if you did but hear the pedlar at the
door, you would never dance again after a tabor and pipe. No, the bagpipe could not move you. He sings several tunes faster than you’ll tell money. He utters them as he had eaten ballads, and all men’s ears grew to his tunes. CLOWN He could never come better. He shall come in. I love a ballad but even too well, if it be doleful matter merrily set down, or a very pleasant thing indeed, and sung lamentably.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
DORCA
Mopsa dev’essere la tua fidanzata. Accipicchia, ci vuole dell’aglio per rimediare a un suo bacio!119 MOPSA
Non ci manca che questa! CONTADINO
Basta chiacchiere, siamo gente educata. Avanti con la musica! Musica. Entra una danza di pastori e pastorelle POLISSENE
Vi prego, buon pastore, chi è il bel ragazzo che danza con vostra figlia? VECCHIO PASTORE
Lo chiamano Doricle, e si vanta di avere un ricco pascolo. Questo è quanto dice e gli credo, ha l’aria sincera. Dice di amare mia figlia. Anche a questo credo, perché la luna non fissò mai tanto l’acqua quanto lui si trattiene a leggere, diciamo così, negli occhi di mia figlia; e per dirla tutta, penso che non ci sia mezzo bacio di differenza fra chi dei due ami di più. POLISSENE
Lei è una buona ballerina. VECCHIO PASTORE
Così fa ogni cosa, anche se non dovrei dirlo io, che dovrei star zitto. Se il giovane Doricle la sposa, lei gli porterà qualcosa che lui neanche si sogna. Entra un servitore SERVITORE
Padrone, se solo sentiste l’ambulante che sta qui fuori non vorreste più ballare al ritmo di tamburino e piffero120. No, non vi smuoverebbe neppure la cornamusa. Quello canta tante canzoni più svelto di quanto voi non contiate il denaro. Le dice come se si fosse nutrito a ballate, e le orecchie di tutti non volessero altro che sentirlo. CONTADINO
Non poteva arrivare più a proposito. Ma fatelo entrare, io vado matto per le ballate, se son roba triste cantata allegramente, o roba davvero piacevole cantata in modo lamentoso. 1395
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
SERVANT He hath songs for man or woman, of all sizes.
No milliner can so fit his customers with gloves. He has the prettiest love songs for maids, so without bawdry, which is strange, with such delicate burdens of dildos and fadings, ‘Jump her, and thump her’; and where some stretch-mouthed rascal would, as it were, mean mischief and break a foul gap into the matter, he makes the maid to answer, ‘Whoop, do me no harm, good man’; puts him off, slights him, with ‘Whoop, do me no harm, good man!’ POLIXENES This is a brave fellow. CLOWN Believe me, thou talkest of an admirable conceited fellow. Has he any unbraided wares? SERVANT He hath ribbons of all the colours i’th’ rainbow; points more than all the lawyers in Bohemia can learnedly handle, though they come to him by th’ gross; inkles, caddises, cambrics, lawns — why, he sings ’em over as they were gods or goddesses. You would think a smock were a she-angel, he so chants to the sleeve-hand and the work about the square on’t. CLOWN Prithee bring him in, and let him approach singing. PERDITA Forewarn him that he use no scurrilous words in’s tunes. Exit Servant CLOWN You have of these pedlars that have more in them than you’d think, sister. PERDITA Ay, good brother, or go about to think.
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Enter Autolycus, wearing a false beard, carrying his pack, and singing
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
SERVITORE
Ha canzoni per uomo e per donna, di ogni misura. Non c’è guantaio capace di fornire ai clienti dei guanti così ben calzanti. Strana cosa, per le ragazze ha le più belle canzoni d’amore senza oscenità, con ritornelli delicati e frottole tipo “la bella lavanderina, saltale addosso e mettila supina”121, e dove qualche disgraziato boccasporca vorrebbe per così dire intrometterci una sozzeria, lui fa rispondere alla ragazza “Allora dài, buon uomo, ma non farmi male!”; così lo respinge, lo mortifica con “Allora dài, buon uomo, ma non farmi male!” POLISSENE
Un bel tipo, quello! CONTADINO
Credimi, parli di un tipo che può darsi delle arie. E la merce è di prima qualità? SERVITORE
Ha nastri dei colori dell’arcobaleno, punti di ricamo più fini di quanto ne possano dottamente tessere tutti gli avvocati di Boemia122, benché lui se li procuri all’ingrosso; e fettucce, stringhe, cambrì, lini pregiati – beh, lui li decanta come se fossero creature divine – fino a convincervi che una camiciola è un angelo del paradiso, e che il polsino e il ricamo sullo sparato valgono una bella recita. CONTADINO
Ti prego fallo entrare, e che venga a cantare. PERDITA
Avvertilo che non usi volgarità in quello che canta. Esce il servitore CONTADINO
C’è che questi girovaghi hanno in loro più di quanto non si immagini, sorella. PERDITA
Sì, fratello mio, o più di quanto io abbia voglia di immaginare. Entra Autolico con una barba finta, una sacca, e canta esibendo la sua merce123
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
AUTOLYCUS
Lawn as white as driven snow, Cypress black as e’er was crow, Gloves as sweet as damask roses, Masks for faces, and for noses; Bugle-bracelet, necklace amber, Perfume for a lady’s chamber; Golden coifs, and stomachers For my lads to give their dears; Pins and poking-sticks of steel, What maids lack from head to heel Come buy of me, come, come buy, come buy, Buy, lads, or else your lasses cry. Come buy! CLOWN If I were not in love with Mopsa thou shouldst take no money of me, but being enthralled as I am, it will also be the bondage of certain ribbons and gloves. MOPSA I was promised them against the feast, but they come not too late now. DORCAS He hath promised you more than that, or there be liars. MOPSA He hath paid you all he promised you. Maybe he has paid you more, which will shame you to give him again. CLOWN Is there no manners left among maids? Will they wear their plackets where they should bear their faces? Is there not milking-time, when you are going to bed, or kiln-hole, to whistle of these secrets, but you must be tittle-tattling before all our guests? ’Tis well they are whispering. Clammer your tongues, and not a word more. MOPSA I have done. Come, you promised me a tawdry-lace and a pair of sweet gloves.
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r
s
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244. Whistle of: così in F, che molti curatori modernizzano in whistle off, un termine della falconeria; ma whistle significa anche “sussurrare”. 246. Clammer: emend. tardo per “tacere, zittire”, da preferire al clamor di F. 1398
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
AUTOLICO
Qui c’è il lino e il suo biancore Il crespo nero più dell’astore; Morbidi guanti a mo’ di rose Su visi e nasi le maschere sinuose; D’ambra la collana, di perle il braccialetto, Ecco i profumi per la camera da letto; I grembiuli e le cuffie dorate Ragazzi, per le vostre fidanzate; Le spille, e d’acciaio gli spilloni Per le ragazze sono seduzioni! Da me li comprate, a comprare venite, Giovani, le vostre belle accontentate! CONTADINO
Se non fossi innamorato di Mopsa non ti darei un soldo, ma incantato come sono è il caso che incanti nel conto anche un po’ di nastrini e qualche paio di guanti. MOPSA
Me li avevi promessi per prima della festa, e non è che arrivino troppo tardi nemmeno ora… DORCA
Ti ha promesso più di quello, o qui qualcuno è bugiardo. MOPSA
A te ha dato tutto quello che ti ha promesso, magari di più, e tu ti vergogni a restituirglielo. CONTADINO
Ragazze, vi siete scordate le buone maniere? Avete in testa le mutande al posto della cuffia? Non vi basta l’ora della mungitura, o quando andate a letto, o davanti al fuoco per bisbigliarvi questi segreti, che dovete strombazzarli di fronte a tutti i nostri invitati? Va già bene che stiate a parlottare tra voi. Ora chiudete il becco, e che non vi senta più. MOPSA
Per me basta così. Andiamo, non mi hai promesso una sciarpa ricamata e un paio di guanti profumati?
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
CLOWN Have I not told thee how I was cozened by the
way, and lost all my money?
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AUTOLYCUS And indeed, sir, there are cozeners abroad,
therefore it behoves men to be wary. CLOWN Fear not thou, man, thou shalt lose nothing here. AUTOLYCUS I hope so, sir, for I have about me many
parcels of charge. CLOWN What hast here? Ballads? MOPSA Pray now, buy some. I love a ballad in print, alife, for then we are sure they are true. AUTOLYCUS Here’s one to a very doleful tune, how a usurer’s wife was brought to bed of twenty money-bags at a burden, and how she longed to eat adders’ heads and toads carbonadoed. MOPSA Is it true, think you? AUTOLYCUS Very true, and but a month old. DORCAS Bless me from marrying a usurer! AUTOLYCUS Here’s the midwife’s name to’t, one Mistress Tail-Porter, and five or six honest wives’ that were present. Why should I carry lies abroad? MOPSA (to Clown) Pray you now, buy it. CLOWN Come on, lay it by, and let’s first see more ballads. We’ll buy the other things anon. AUTOLYCUS Here’s another ballad, of a fish that appeared upon the coast on Wednesday the fourscore of April, forty thousand fathom above water, and sung this
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
CONTADINO
E io non ti ho detto che sono stato truffato per strada e ho perso tutti i soldi? AUTOLICO
Davvero, signore, ci sono truffatori in giro, per cui conviene guardarsi le spalle! CONTADINO
Non temere, uomo, qui non perderai niente! AUTOLICO
Lo spero, signore, perché porto parecchi oggetti di valore. CONTADINO
Cos’hai lì? Ballate? MOPSA
Ti prego allora, comprane qualcuna. Adoro le ballate a stampa, sicuro, perché così sai che dicono la verità!124 AUTOLICO
Qui ce n’è una con un’aria molto dolente, della moglie di uno strozzino che ha partorito venti sacchi di monete in un colpo solo, e di come anelava a mangiarsi teste di vipera e rospi alla griglia125. MOPSA
Ma tu pensi che sia vero? AUTOLICO
Verissimo, ed è solo di un mese fa. DORCA
Dio mi protegga, sposare uno strozzino! AUTOLICO
C’è la testimonianza della levatrice, tal madama Lafanfaluca, e di cinque o sei oneste comari che erano presenti. Perché dovrei portare in giro cose inventate? MOPSA (al Contadino) Ti prego, comprala! CONTADINO
Via, mettiamola da parte, e prima vediamo altre ballate, poi compreremo l’altra merce. AUTOLICO
Ecco un’altra ballata, di un pesce che è apparso sulla costa mercoledì ottanta di aprile, quarantamila braccia sopra il mare, e ha 1401
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
ballad against the hard hearts of maids. It was thought she was a woman, and was turned into a cold fish for she would not exchange flesh with one that loved her. The ballad is very pitiful, and as true. DORCAS Is it true too, think you? AUTOLYCUS Five justices’ hands at it, and witnesses more than my pack will hold. CLOWN Lay it by, too. Another. AUTOLYCUS This is a merry ballad, but a very pretty one. MOPSA Let’s have some merry ones. AUTOLYCUS Why, this is a passing merry one, and goes to the tune of ‘Two Maids Wooing a Man’. There’s scarce a maid westward but she sings it. ’Tis in request, I can tell you. MOPSA We can both sing it. If thou’lt bear a part thou shalt hear; ’tis in three parts. DORCAS We had the tune on’t a month ago. AUTOLYCUS I can bear my part, you must know, ’tis my occupation. Have at it with you.
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285
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They sing AUTOLYCUS
DORCAS MOPSA DORCAS
Get you hence, for I must go Where it fits not you to know. Whither? O whither? Whither?
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
cantato questa ballata contro le ragazze dal cuore duro. Si pensava che a cantare fosse una donna, tramutata in pesce lesso perché non voleva far l’amore con uno che l’amava. La ballata è molto pietosa, e altrettanto vera. DORCA
Ma tu pensi che sia vera anche questa? AUTOLICO
È certificata da cinque uomini di legge, e testimoni più di quanti ne contiene la mia sacca. CONTADINO
Metti da parte anche quella. Un’altra. AUTOLICO
Questa è una ballata allegra, ma molto graziosa. MOPSA
Sì, qualcuna allegra! AUTOLICO
Ah, questa sì che è allegra, e l’aria è quella delle “Due ragazze facevano la corte a un ragazzo”126. All’ovest127 non c’è quasi ragazza che non la canti. È popolare, credete a me. MOPSA
Noi due la conosciamo; se tu fai una parte, sentirai. È per un trio. DORCA
L’abbiamo imparata un mese fa. AUTOLICO
Io faccio la mia parte, sapete che è il mio mestiere128. Allora avanti. Cantano AUTOLICO
Via di qui io devo andare Dove, è meglio non sapere! DORCA
Dove? MOPSA
Oh dove? DORCA
Dove?
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Shakespeare IV.indb 1403
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
It becomes thy oath full well Thou to me thy secrets tell. DORCAS Me too. Let me go thither. MOPSA Or thou go’st to th’ grange or mill, DORCAS If to either, thou dost ill. AUTOLYCUS Neither. DORCAS What neither? AUTOLYCUS Neither. DORCAS Thou hast sworn my love to be. MOPSA Thou hast sworn it more to me. Then whither goest? Say, whither? CLOWN We’ll have this song out anon by ourselves. My father and the gentlemen are in sad talk, and we’ll not trouble them. Come, bring away thy pack after me. Wenches, I’ll buy for you both. Pedlar, let’s have the first choice. Follow me, girls. MOPSA
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Exit with Dorcas and Mopsa AUTOLYCUS And you shall pay well for ’em.
(Sings)
Will you buy any tape, Or lace for your cape, My dainty duck, my dear-a? Any silk, any thread, Any toys for your head,
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Shakespeare IV.indb 1404
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
MOPSA
Tu a me hai ben giurato Di svelare il tuo segreto. DORCA
Anche a me, dove sol io so. MOPSA
Al granaio o al mulino vai, DORCA
L’uno o l’altro, per te mai! AUTOLICO
Né lì né là. DORCA
Come, nessun vi andrà? AUTOLICO
No, né lì né là. DORCA
Hai giurato d’esser mio. MOPSA
Anche a me, con maggior brio! Dove vai, così restio? Dove allor, perdio? CONTADINO
Questa canzone la cantiamo più tardi noi tre. Mio padre e i gentiluomini stanno parlando di cose serie, e noi non li disturberemo. Avanti, seguimi con la tua sacca. Ragazze, comprerò qualcosa per tutte e due. Merciaio, vogliamo roba di prima scelta. Seguitemi, ragazze. Esce con Dorca e Mopsa AUTOLICO
E la pagherete anche bene. (Canta) Chi mi compra un bel nastrino l’orlo in pizzo al mantellino, tu, squisito bocconcino? Un po’ di seta, degli anelli, per tenere i bei capelli, 1405
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Of the new’st and fin’st, fin’st wear-a? Come to the pedlar, Money’s a meddler, That doth utter all men’s ware-a.
320 Exit
Enter Servant SERVANT Master, there is three carters, three shepherds,
three neatherds, three swineherds that have made themselves all men of hair. They call themselves saultiers, and they have a dance which the wenches say is a gallimaufry of gambols, because they are not in’t. But they themselves are o’th’ mind, if it be not too rough for some that know little but bowling, it will please plentifully. OLD SHEPHERD Away. We’ll none on’t. Here has been too much homely foolery already. (To Polixenes) I know, sir, we weary you. POLIXENES You weary those that refresh us. Pray, let’s see these four threes of herdsmen. SERVANT One three of them, by their own report, sir, hath danced before the King, and not the worst of the three but jumps twelve foot and a half by th’ square. OLD SHEPHERD Leave your prating. Since these good men are pleased, let them come in — but quickly, now. SERVANT Why, they stay at door, sir.
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Here a dance of twelve satyrs POLIXENES (to the Old Shepherd)
O, father, you’ll know more of that hereafter. (To Camillo) Is it not too far gone? ’Tis time to part them. He’s simple, and tells much. (To Florizel) How now, fair shepherd, Your heart is full of something that does take Your mind from feasting. Sooth, when I was young And handed love as you do, I was wont
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Shakespeare IV.indb 1406
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
i più nuovi, più fini, i più belli? Te li vende il vagabondo, che percorre tutto il mondo, mentre i soldi servon solo a premiare il suo lavoro! Esce Entra il servitore SERVITORE
Padrone, ci sono tre carrettieri, tre pastori, tre bovari, tre porcai diventati tutti uomini pelosi, che si fan chiamare sàltiri129 e fanno una sarabanda che secondo le ragazze è solo un groviglio di piroette, perché non ci sono dentro. Ma loro stesse poi convengono che, se non troppo movimentata, per chi sa solo giocare a bocce è uno spettacolo molto divertente. VECCHIO PASTORE
No, basta così. Ne abbiamo abbastanza di buffonate rustiche. (A Polissene) Mi spiace, signore: vi abbiamo stancato. POLISSENE
Ma stanchi saranno quelli che ci divertono! Vi prego, vediamo questi quattro terzetti di mandriani. SERVITORE
Uno di questi terzetti, signore, sostiene di aver ballato davanti al re, e il peggiore di loro è capace di saltare dodici piedi e mezzo precisi130. VECCHIO PASTORE
Basta chiacchiere. Se questi signori sono contenti, che entrino, ma facciamo presto! SERVITORE
Sono qui alla porta, signore! A questo punto un ballo di dodici satiri POLISSENE (al Vecchio pastore)
Buon vecchio, presto ne saprete di più. (A Camillo) Non è già andata troppo avanti? È ora di separarli. Lui è ingenuo, e così prolisso… (A Florizel) Allora, mio bel pastore, qualcosa di grosso occupa il vostro cuore, e vi distoglie la mente dalla festa. Veramente, quando ero giovane io, e mi dedicavo all’amore come voi 1407
Shakespeare IV.indb 1407
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
To load my she with knacks. I would have ransacked The pedlar’s silken treasury, and have poured it To her acceptance. You have let him go, And nothing marted with him. If your lass Interpretation should abuse, and call this Your lack of love or bounty, you were straited For a reply, at least if you make a care Of happy holding her. FLORIZEL Old sir, I know She prizes not such trifles as these are. The gifts she looks from me are packed and locked Up in my heart, which I have given already, But not delivered. (To Perdita) O, hear me breathe my life Before this ancient sir, who, it should seem, Hath sometime loved. I take thy hand, this hand As soft as dove’s down, and as white as it, Or Ethiopian’s tooth, or the fanned snow that’s bolted By th’ northern blasts twice o’er. POLIXENES What follows this? How prettily the young swain seems to wash The hand was fair before! I have put you out. But to your protestation. Let me hear What you profess. FLORIZEL Do, and be witness to’t.
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POLIXENES
And this my neighbour too? And he, and more Than he; and men, the earth, the heavens, and all, That were I crowned the most imperial monarch, Thereof most worthy, were I the fairest youth That ever made eye swerve, had force and knowledge More than was ever man’s, I would not prize them Without her love; for her employ them all, Commend them and condemn them to her service Or to their own perdition. POLIXENES Fairly offered. FLORIZEL
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
ora, mi preoccupavo di inondare la mia bella di ninnoli. Io avrei saccheggiato quel tesoro di sete del venditore, e l’avrei deposto ai suoi piedi. Voi l’avete lasciato andare senza nulla comprare. Se la vostra ragazza vi fraintendesse, e vi accusasse di amore debole e spilorceria, voi non sapreste cosa rispondere, se davvero v’importa di tenerla cara. FLORIZEL
Venerabile signore, io so che lei non tiene a queste chincaglierie. I doni che si aspetta da me sono accumulati e racchiusi nel mio cuore, che già le ho dato, anche se non materialmente. (A Perdita) Oh ascolta, verso di te io respiro la vita al cospetto di questo antico signore, che, si direbbe, sa cosa vuol dire amare. E prendo la tua mano, questa mano morbida come piuma di colomba, e com’essa bianca, o come dente d’etiope, o candore di neve due volte fatto mulinare dal vento del nord. POLISSENE
E qual è il risultato? Sembra che il pastorello sia così delicato da lavare una mano che era già bianca prima! Ma vi ho interrotto. Veniamo al vostro declamare. Fatemi sentire a cosa mirate. FLORIZEL
Ascoltate, e fatemi da testimone. POLISSENE
Anche il signore accanto a me? FLORIZEL
Lui, e più ancora: e gli uomini, la terra, i cieli e tutto: se io fossi incoronato monarca universale, e di tale dignità fossi il più degno, se fossi il giovane più avvenente che mai abbia attirato lo sguardo, se avessi forza e sapere più di chiunque mai, a tutto rinuncerei senza il suo amore; tutti impiegherei, incoronerei e condannerei al suo servizio, o alla perdizione. POLISSENE
Impegnativo!
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
CAMILLO
This shows a sound affection. But, my daughter, Say you the like to him? PERDITA I cannot speak So well, nothing so well, no, nor mean better. By th’ pattern of mine own thoughts I cut out The purity of his. OLD SHEPHERD Take hands, a bargain; And, friends unknown, you shall bear witness to’t. I give my daughter to him, and will make Her portion equal his. FLORIZEL O, that must be I’th’ virtue of your daughter. One being dead, I shall have more than you can dream of yet, Enough then for your wonder. But come on, Contract us fore these witnesses. OLD SHEPHERD Come, your hand; And, daughter, yours. POLIXENES Soft, swain, a while, beseech you. Have you a father? FLORIZEL I have. But what of him? POLIXENES Knows he of this? FLORIZEL He neither does nor shall. POLIXENES Methinks a father Is at the nuptial of his son a guest That best becomes the table. Pray you once more, Is not your father grown incapable Of reasonable affairs? Is he not stupid With age and alt’ring rheums? Can he speak, hear, Know man from man? Dispute his own estate? Lies he not bed-rid, and again does nothing But what he did being childish? FLORIZEL No, good sir. He has his health, and ampler strength indeed Than most have of his age. OLD SHEPHERD
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
CAMILLO
Una sincera dimostrazione di affetto!131 VECCHIO PASTORE
Ma, figlia mia, tu dici altrettanto a lui? PERDITA
Io non so parlare così bene, no, proprio per nulla, né per giunta, farmi capire: sulla traccia dei miei pensieri derivo la purezza dei suoi. VECCHIO PASTORE
Datevi la mano, vi siete dichiarati. E voi, amici sconosciuti, siete testimoni. Io do mia figlia a lui, con una dote che pareggerà la sua. FLORIZEL
Oh, la virtù sarà la dote di vostra figlia. Quando morirà qualcuno, io avrò più di quanto voi possiate ora immaginare, e abbastanza per farvi meravigliare. Avanti allora, uniteci davanti a questi testimoni. VECCHIO PASTORE
Datemi la mano; e tu, figlia, la tua. POLISSENE
Un momento di calma, pastore, vi prego. Voi, avete un padre? FLORIZEL
Certo, ce l’ho! E allora? POLISSENE
Lui sa di tutto questo? FLORIZEL
No, né lo saprà. POLISSENE
Penso che agli sponsali di un figlio l’ospite più indicato a sedersi a tavola sia il padre. Vi prego ancora: forse vostro padre non è più capace di ragionare? È istupidito dall’età e dal catarro? Può parlare, ascoltare, distinguere un uomo dall’altro? Occuparsi dei propri beni? Magari è costretto al letto, e non fa nulla che non facesse quando era bambino? FLORIZEL
No, buon signore. È in salute, e veramente è più vigoroso di tanti alla sua età.
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
By my white beard, You offer him, if this be so, a wrong Something unfilial. Reason my son Should choose himself a wife, but as good reason The father, all whose joy is nothing else But fair posterity, should hold some counsel In such a business. FLORIZEL I yield all this; But for some other reasons, my grave sir, Which ’tis not fit you know, I not acquaint My father of this business. POLIXENES Let him know’t. POLIXENES
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FLORIZEL
He shall not. Prithee let him. FLORIZEL No, he must not. POLIXENES
OLD SHEPHERD
Let him, my son. He shall not need to grieve At knowing of thy choice. FLORIZEL Come, come, he must not. Mark our contract. POLIXENES (removing his disguise) Mark your divorce, young sir, Whom son I dare not call. Thou art too base To be acknowledged. Thou a sceptre’s heir, That thus affects a sheep-hook? (To the Old Shepherd) Thou, old traitor, I am sorry that by hanging thee I can but Shorten thy life one week. (To Perdita) And thou, fresh piece Of excellent witchcraft, who of force must know The royal fool thou cop’st with — OLD SHEPHERD O , my heart!
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POLIXENES
I’ll have thy beauty scratched with briers and made More homely than thy state. (To Florizel) For thee, fond boy,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
POLISSENE
Per la mia barba bianca, in questo modo voi gli fate un torto ben poco fi liale. È ragionevole che un figlio si scelga la moglie, ma è altrettanto ragionevole che il padre, la cui gioia sta tutta in una agognata discendenza, possa dire la sua in un tale frangente. FLORIZEL
Lo riconosco, ma per certe altre ragioni, venerando signore, che è bene voi non sappiate, non voglio rendere nota a mio padre questa faccenda. POLISSENE
Che almeno lo sappia! FLORIZEL
Non deve saperlo. POLISSENE
Vi prego, informatelo. FLORIZEL
No, non è affar suo. VECCHIO PASTORE
Figlio mio, fate che lo sappia. Non avrà da lamentarsi nell’apprendere la vostra scelta. FLORIZEL
Andiamo, basta, non deve saperlo. Sia siglata la nostra promessa. POLISSENE (si toglie la maschera)
Siglate il vostro divorzio, giovinotto, che non oso chiamare figlio. Tu troppo spregevole sei, per essere così riconosciuto. Tu, erede di uno scettro, che ti perdi dietro un bastone da pecoraio? (Al Vecchio pastore) E tu, vecchio traditore, mi spiace che impiccandoti non farò che accorciarti la vita di una sola settimana. (A Perdita) E tu, frutto di squisita stregoneria, che per forza dovevi sapere chi era il regale idiota con cui avevi a che fare… VECCHIO PASTORE
Oh, il mio cuore! POLISSENE
Scorticherò coi rovi la tua bellezza, ti ridurrò a uno stato ancora inferiore a quello in cui sei ora. (A Florizel) Quanto a te, mentecatto,
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
If I may ever know thou dost but sigh That thou no more shalt see this knack, as never t I mean thou shalt, we’ll bar thee from succession, Not hold thee of our blood, no, not our kin, Farre than Deucalion off. Mark thou my words. Follow us to the court. (To the Old Shepherd) Thou churl, for this time, Though full of our displeasure, yet we free thee From the dead blow of it. (To Perdita) And you, enchantment, Worthy enough a herdsman — yea, him too, That makes himself, but for our honour therein, Unworthy thee — if ever henceforth thou These rural latches to his entrance open, Or hoop his body more with thy embraces, I will devise a death as cruel for thee As thou art tender to’t. Exit PERDITA Even here undone. I was not much afeard, for once or twice I was about to speak, and tell him plainly The selfsame sun that shines upon his court Hides not his visage from our cottage, but Looks on alike. Will’t please you, sir, be gone? I told you what would come of this. Beseech you, Of your own state take care. This dream of mine Being now awake, I’ll queen it no inch farther, But milk my ewes and weep. CAMILLO (to the Old Shepherd) Why, how now, father? Speak ere thou diest. OLD SHEPHERD I cannot speak, nor think, Nor dare to know that which I know. (To Florizel) O sir, You have undone a man of fourscore-three, That thought to fill his grave in quiet, yea,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
se mai verrò a sapere che stai a sospirare perché, come io pretendo che avvenga, questa cosetta l’hai perduta per sempre, noi ti escluderemo dalla successione, non ti riterremo del nostro sangue, no, non della nostra progenie, su su fino a Deucalione!132 Fai bene attenzione alle mie parole, e seguimi a corte. (Al Vecchio pastore) Tu, cafone, per questa volta, anche se carico del nostro sfavore, ti lasciamo libero dal colpo mortale che ti meriti. (A Perdita) E tu, incantesimo, che meriti un mandriano – ebbene sì, anche costui133, se non fosse implicato il mio onore; costui che si sta abbassando addirittura al di sotto di te – se mai d’ora in poi tu gli aprirai le tue rustiche serrature, o circonderai ancora il suo corpo con i tuoi abbracci, io inventerò una morte di crudeltà pari alla tua cedevolezza. Esce PERDITA
Anche se sono distrutta, non mi ha fatto troppa paura, e una o due volte stavo per rispondergli, e dirgli chiaramente come lo stesso sole che splende sulla sua corte non nasconde il viso sopra la nostra capanna, ma tutto osserva. Ora, signore, volete andarvene? Vi ho predetto come sarebbe finita questa cosa. Vi prego, prendetevi cura di voi. Da questo mio sogno io mi sono risvegliata, e non ne sarò più la regina134 neanche per un attimo: vado a mungere le pecore, e a piangere. CAMILLO (al Vecchio pastore) Insomma, vecchio, parla prima di morire! VECCHIO PASTORE
Non mi riesce di parlare, né di pensare, né oso sapere quanto so. (A Florizel) Signore, voi avete rovinato un uomo di ottantatre anni, che attendeva di scendere in pace nella tomba, e di morire nel letto
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
To die upon the bed my father died, To lie close by his honest bones. But now Some hangman must put on my shroud, and lay me Where no priest shovels in dust. (To Perdita) O cursed wretch, That knew’st this was the Prince, and wouldst adventure To mingle faith with him. Undone, undone! If I might die within this hour, I have lived To die when I desire. Exit FLORIZEL (to Perdita) Why look you so upon me? I am but sorry, not afeard; delayed, But nothing altered. What I was, I am, More straining on for plucking back, not following My leash unwillingly. CAMILLO Gracious my lord, You know your father’s temper. At this time He will allow no speech — which I do guess You do not purpose to him; and as hardly Will he endure your sight as yet, I fear. Then till the fury of his highness settle, Come not before him. FLORIZEL I not purpose it. I think, Camillo? CAMILLO Even he, my lord. PERDITA (to Florizel) How often have I told you ’twould be thus? How often said my dignity would last But till ’twere known? FLORIZEL It cannot fail but by The violation of my faith, and then Let nature crush the sides o’th’ earth together And mar the seeds within. Lift up thy looks. From my succession wipe me, father! I Am heir to my affection. CAMILLO Be advised.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
dov’è morto suo padre, a giacere vicino alle sue oneste ossa. Ma ora un qualche boia mi getterà addosso un sudario, e mi sotterrerà dove nessun prete rimuove la polvere. (A Perdita) Ragazza sventurata, tu sapevi che questo era il principe, e ti sei avventurata a scambiare una promessa con lui. Sono distrutto, distrutto! Se potessi morire in questo momento, sarei vissuto per morire quando lo desideravo! Esce FLORIZEL (A Perdita)
Perché mi guardate a quel modo? Io sono solo dispiaciuto, non impaurito; ostacolato, ma per nulla cambiato. Ciò che ero lo sono ancora, più spericolato per il freno che subisco, e recalcitrante al guinzaglio che mi viene imposto135. CAMILLO
Mio grazioso signore, conoscete il carattere di vostro padre. In questo momento non ammetterà che gli rivolgiate la parola – ciò che non ritengo abbiate l’intenzione di fare –; e temo che non sopporti neanche di vedervi; quindi, finché la furia di sua altezza non si sia calmata, non comparite alla sua presenza. FORIZEL
Non intendo farlo. Camillo, suppongo? CAMILLO
Proprio io, mio signore. PERDITA (a Florizel)
Quante volte vi ho detto che sarebbe finita così? Quante volte ho detto che il mio buon nome non avrebbe resistito quando fosse esposto così? FLORIZEL
E non verrà meno finché io non venga meno alla mia parola, e allora che la natura scuota i fianchi della terra, fino a distruggerne ogni seme! Alza gli occhi, e tu, padre, cancellami dalla successione. Io sono l’erede del mio amore! CAMILLO
Cercate di ragionare.
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Shakespeare IV.indb 1417
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
FLORIZEL
I am, and by my fancy. If my reason Will thereto be obedient, I have reason. If not, my senses, better pleased with madness, Do bid it welcome. CAMILLO This is desperate, sir.
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FLORIZEL
So call it. But it does fulfi l my vow. I needs must think it honesty. Camillo, Not for Bohemia, nor the pomp that may Be thereat gleaned; for all the sun sees, or The close earth wombs, or the profound seas hides In unknown fathoms, will I break my oath To this my fair beloved. Therefore, I pray you, As you have ever been my father’s honoured friend, When he shall miss me — as, in faith, I mean not To see him any more — cast your good counsels Upon his passion. Let myself and fortune Tug for the time to come. This you may know, And so deliver: I am put to sea With her who here I cannot hold on shore; u And most opportune to her need, I have v A vessel rides fast by, but not prepared For this design. What course I mean to hold Shall nothing benefit your knowledge, nor Concern me the reporting. CAMILLO O my lord, I would your spirit were easier for advice, Or stronger for your need. FLORIZEL Hark, Perdita — (To Camillo) I’ll hear you by and by. CAMILLO (aside) He’s irremovable, Resolved for flight. Now were I happy if His going I could frame to serve my turn,
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499. Who: così in F, una comune irregolarità per whom, adottato in altre ed. 500. Her: così in F, spesso corretto in our. 1418
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
FLORIZEL
Lo faccio, secondo la mia passione. Ragionevole sarò se la ragione vorrà obbedire. Se no, i miei sensi saranno meglio condotti dalla pazzia, e a lei daranno il benvenuto. CAMILLO
Questa è disperazione, signore. FLORIZEL
Chiamatela come volete, è proporzionata alla mia causa. È una questione di onestà. Non per la Boemia, Camillo, né per la dignità che potrei conseguire; per tutto ciò che vede il sole, o la terra racchiude nel suo grembo, o i profondi mari celano in sconosciuti abissi, io non romperò il giuramento che mi lega a questa mia bella amata. Quindi, prego voi che siete sempre stato l’onorato amico di mio padre, quando lui mi cercherà – perché in fede mia, non intendo vederlo mai più – temperate la sua ira con il vostro buon giudizio, e lasciate che in futuro col destino me la veda io. Questo vi è dato sapere e riferire: io prendo il mare con colei che sulla terra mi viene negata; ho una nave alla fonda qui vicino, molto adeguata alle sue esigenze, anche se non preparata a questo scopo. Non vi serve conoscere la rotta che intendo seguire, né io intendo divulgarla. CAMILLO
Oh mio signore, vorrei il vostro animo più mite di fronte ai consigli, o più forte di fronte alle necessità. FLORIZEL
Ascolta, Perdita – (a Camillo) un momento e sono da voi. CAMILLO (a parte)
È irremovibile, deciso a fuggire. Ora sarei felice se la sua partenza potesse servire alle mie aspirazioni, di salvarlo dai pericoli,
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Save him from danger, do him love and honour, Purchase the sight again of dear Sicilia And that unhappy king, my master, whom I so much thirst to see. FLORIZEL Now, good Camillo, I am so fraught with curious business that I leave out ceremony. CAMILLO Sir, I think You have heard of my poor services i’th’ love That I have borne your father? FLORIZEL Very nobly Have you deserved. It is my father’s music To speak your deeds, not little of his care To have them recompensed as thought on. CAMILLO Well, my lord, If you may please to think I love the King, And through him what’s nearest to him, which is Your gracious self, embrace but my direction, If your more ponderous and settled project May suffer alteration. On mine honour, I’ll point you where you shall have such receiving As shall become your highness, where you may Enjoy your mistress — from the whom I see There’s no disjunction to be made but by, As heavens forfend, your ruin — marry her, And with my best endeavours in your absence Your discontenting father strive to qualify And bring him up to liking. FLORIZEL How, Camillo, May this, almost a miracle, be done? — That I may call thee something more than man, And after that trust to thee. CAMILLO Have you thought on A place whereto you’ll go?
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
prestargli affetto e onore, e concedermi ancora la vista dell’amata Sicilia e del suo infelice sovrano mio padrone, che tanta sete ho di rivedere. FLORIZEL
A noi, buon Camillo: ma sono talmente oberato di cose da fare che devo rinunciare alle cerimonie. CAMILLO
Signore, penso che abbiate appreso dei miei umili servizi prestati per affetto a vostro padre. FLORIZEL
Da ripagare molto nobilmente. Per mio padre è musica parlare dei vostri meriti, né, dopo l’apprezzamento, è cura minore la loro ricompensa. CAMILLO
Bene, mio signore; se vi piace pensare che io ami il re, e tramite lui ciò che gli è più prossimo, cioè la vostra graziosa persona, accogliete il mio suggerimento, se il vostro più elaborato e definito progetto può ammetterlo. Sul mio onore, io vi indicherò dove troverete un’accoglienza consona alla vostra altezza, dove potrete godere della vostra innamorata – dalla quale vedo che nulla vi potrà separare se non, il cielo non voglia, la vostra rovina – sposarla, mentre io, in vostra assenza, mi impegnerò al massimo per ridurre lo scontento di vostro padre e indurlo all’approvazione. FLORIZEL
Come, Camillo, può questo, che è quasi un miracolo, essere fatto? – Allora mi parresti più che un uomo, dopodiché mi affiderei tutto a te. CAMILLO
Avete pensato a un posto dove andare?
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
Not any yet. But as th’unthought-on accident is guilty To what we wildly do, so we profess Ourselves to be the slaves of chance, and flies Of every wind that blows. CAMILLO Then list to me. This follows, if you will not change your purpose But undergo this flight: make for Sicilia, And there present yourself and your fair princess, For so I see she must be, fore Leontes. She shall be habited as it becomes The partner of your bed. Methinks I see Leontes opening his free arms and weeping His welcomes forth; asks thee there ‘Son, forgiveness!’ w As ’twere i’th’ father’s person, kisses the hands Of your fresh princess; o’er and o’er divides him ’Twixt his unkindness and his kindness. Th’one He chides to hell, and bids the other grow Faster than thought or time. FLORIZEL Worthy Camillo, What colour for my visitation shall I Hold up before him? CAMILLO Sent by the King your father To greet him, and to give him comforts. Sir, The manner of your bearing towards him, with What you, as from your father, shall deliver — Things known betwixt us three — I’ll write you down, The which shall point you forth at every sitting What you must say, that he shall not perceive But that you have your father’s bosom there, And speak his very heart. FLORIZEL I am bound to you. There is some sap in this. FLORIZEL
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549. …Thee there ‘Son, forgiveness!’ così in F; secondo altri …thee the son forgiveness = “a te, suo figlio, perdono!” 1422
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
FLORIZEL
A nessuno, ancora. Ma come all’incidente inaspettato è imputabile il nostro azzardo, così ci proclamiamo schiavi del caso, e mosche a ogni soffiar di vento. CAMILLO
Allora ascoltate. Questo, sempre che non cambiate parere e perseverate nella fuga: dirigete verso la Sicilia, e lì presentate voi stesso e la vostra principessa – perché tale lei è per voi – di fronte a Leonte. Lei sarà vestita come conviene a chi condivide il vostro letto. Mi par di vedere Leonte che spalanca le braccia e piange dandovi il benvenuto, e ti136 chiede “Figlio, perdono!” come se fosse davanti a tuo padre, bacia le mani della vostra nuova principessa, e resta volta a volta diviso fra la scortesia e la cortesia, mandando al diavolo la prima e facendo sì che la seconda cresca più veloce del pensiero o del tempo. FLORIZEL
Nobile Camillo, quale motivo dovrò mostrare per la mia visita? CAMILLO
Sarete mandato dal re vostro padre, a salutarlo e confortarlo. Io vi metterò per iscritto come dovrete comportarvi al suo cospetto, e ciò che dovrete dire, come inviato da vostro padre – cose che solo noi tre conosciamo – così per ogni incontro avrete un’indicazione su cosa dire, in modo che lui creda che voi esprimete l’animo paterno, e parlate col suo pieno consenso. FLORIZEL
Vi sono obbligato. C’è della sostanza in ciò che dite.
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
A course more promising Than a wild dedication of yourselves To unpathed waters, undreamed shores; most certain, To miseries enough — no hope to help you, But as you shake off one, to take another; Nothing so certain as your anchors, who Do their best office if they can but stay you Where you’ll be loath to be. Besides, you know, Prosperity’s the very bond of love, Whose fresh complexion and whose heart together Affliction alters. PERDITA One of these is true. I think affliction may subdue the cheek But not take in the mind. CAMILLO Yea, say you so? There shall not at your father’s house these seven years Be born another such. FLORIZEL My good Camillo, She’s as forward of her breeding as She is i’th’ rear our birth. CAMILLO I cannot say ’tis pity She lacks instructions, for she seems a mistress To most that teach. PERDITA Your pardon, sir. For this I’ll blush you thanks. FLORIZEL My prettiest Perdita! But O, the thorns we stand upon! Camillo, Preserver of my father, now of me, The medicine of our house, how shall we do? We are not furnished like Bohemia’s son, Nor shall appear so in Sicilia. x CAMILLO My lord, Fear none of this. I think you know my fortunes Do all lie there. It shall be so my care CAMILLO
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
CAMILLO
È una condotta più affidabile dell’avventura sfrenata in acque mai solcate, in spiagge mai sognate, verso la certezza di rovesci senza fine – e senza la speranza di un aiuto, se non quella che subentra a quella che si perde; con nulla di più sicuro delle ancore che fanno di tutto per trattenervi dove voi non volete restare. Inoltre, come sapete, la prosperità è il vero vincolo d’amore, che combatte la sofferenza con la freschezza e lo slancio degli affetti. PERDITA
Vero, ma non completo: penso che la sofferenza possa scolorire il viso, senza però scalfire l’anima. CAMILLO
Già, così dite? In casa di vostro padre ci vorranno degli anni prima che nasca una come voi. FLORIZEL
Mio buon Camillo, la sua comprensione è tanto più alta quanto più bassa la sua condizione rispetto alla nostra. CAMILLO
Non posso dire “peccato che non sia istruita”, perché potrebbe far da maestra a più di uno che insegna. PERDITA
Con permesso, signore, vi ringrazio arrossendo. FLORIZEL
La mia splendida Perdita! Ma oh, su quali spine stiamo! Camillo, protettore di mio padre e ora di me stesso, medicina della nostra casa, come faremo? Io non ho un abbigliamento da figlio del re di Boemia, e non sarò riconosciuto come tale in Sicilia!137 CAMILLO
Mio signore, non abbiate paura. Penso che sappiate come le mie sostanze sono tutte laggiù. Sarà mia cura di abbigliarvi regalmen-
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Shakespeare IV.indb 1425
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
To have you royally appointed as if The scene you play were mine. For instance, sir, That you may know you shall not want — one word.
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They speak apart. Enter Autolycus AUTOLYCUS Ha, ha! What a fool honesty is, and trust —
his sworn brother — a very simple gentleman! I have sold all my trumpery; not a counterfeit stone, not a ribbon, glass, pomander, brooch, table-book, ballad, knife, tape, glove, shoe-tie, bracelet, horn-ring to keep my pack from fasting. They throng who should buy first, as if my trinkets had been hallowed, and brought a benediction to the buyer; by which means I saw whose purse was best in picture; and what I saw, to my good use I remembered. My clown, who wants but something to be a reasonable man, grew so in love with the wenches’ song that he would not stir his pettitoes till he had both tune and words, which so drew the rest of the herd to me that all their other senses stuck in ears. You might have pinched a placket, it was senseless. ’Twas nothing to geld a codpiece of a purse. I could have fi led keys off that hung in chains. No hearing, no feeling but my sir’s song, and admiring the nothing of it. So that in this time of lethargy I picked and cut most of their festival purses, and had not the old man come in with a hubbub against his daughter and the King’s son, and scared my choughs from the chaff, I had not left a purse alive in the whole army. Camillo, Florizel, and Perdita come forward CAMILLO
Nay, but my letters by this means being there So soon as you arrive shall clear that doubt.
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FLORIZEL
And those that you’ll procure from King Leontes —
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Shakespeare IV.indb 1426
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
te, come se la vostra recita fosse la mia138. Tanto per dire, signore, perché sappiate ciò di cui disporrete – una parola. Parlano a parte Entra Autolico AUTOLICO
Ah ha! Che cosa stupida è l’onestà! E la fiducia che le è sorella giurata, una madama così ingenua! Ho venduto tutte le mie cianfrusaglie: non c’è più un brillante falso, non un nastrino, né specchio, profumo, spilla, taccuino, ballata, temperino, fettuccia, guanto, laccio da scarpa, braccialetto, anello di corno che rompano il digiuno della mia sacca. Qui si fa la coda per essere i primi a comprare, come se i miei gingilli fossero consacrati, e portassero una benedizione al compratore139; così, col loro aiuto mi accorgevo di quali borse fossero più in vista, e ciò che vedevo tenevo a mente, per ogni buon uso. Quel bel bifolco, cui non manca un gran che per essere una persona ragionevole, si è talmente innamorato della canzone delle villanelle che non ha mosso piede fi nché non ha avuto e parole e musica, ciò che mi ha richiamato intorno tutto il resto del gregge, tutti con tutti i sensi concentrati nelle orecchie. Avresti potuto pizzicargli le chiappe che non sentivano niente. Era un’inezia castrare una tasca del suo borsellino; avrei potuto limar via delle chiavi dalle catene. Nessuno sentiva, nessuno provava niente, tutti intenti alla canzone di messere, tutti in sollucchero per quelle scempiaggini. Così, in quel letargo son riuscito a pizzicare e tagliare un bel po’ delle loro borse da festa, e se il vecchio non si fosse messo a fare tutte quelle storie con sua figlia e il figlio del re, e a far volare via le mie cornacchie dalla pula, non sarebbe sopravvissuta una sola borsa nell’intero esercito. Si fanno avanti Camillo, Florizel e Perdita CAMILLO
…Anzi140, arrivando le mie lettere insieme a voi, quel dubbio sarà chiarito. FLORIZEL
…E quelle che voi otterrete da re Leonte…
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
CAMILLO
Shall satisfy your father. Happy be you! All that you speak shows fair. CAMILLO (seeing Autolycus) Who have we here? We’ll make an instrument of this, omit Nothing may give us aid. AUTOLYCUS (aside) If they have overheard me now — why, hanging! CAMILLO How now, good fellow? Why shakest thou so? Fear not, man. Here’s no harm intended to thee. AUTOLYCUS I am a poor fellow, sir. CAMILLO Why, be so still. Here’s nobody will steal that from thee. Yet for the outside of thy poverty, we must make an exchange. Therefore disease thee instantly — thou must think there’s a necessity in’t — and change garments with this gentleman. Though the pennyworth on his side be the worst, yet hold thee, (giving him money) there’s some boot. AUTOLYCUS I am a poor fellow, sir. (Aside) I know ye well enough. CAMILLO Nay prithee, dispatch — the gentleman is half flayed already. AUTOLYCUS Are you in earnest, sir? (Aside) I smell the trick on’t. FLORIZEL Dispatch, I prithee. AUTOLYCUS Indeed, I have had earnest, but I cannot with conscience take it. CAMILLO Unbuckle, unbuckle. PERDITA
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Florizel and Autolycus exchange clothes (To Perdita) Fortunate mistress — let my prophecy Come home to ye! — you must retire yourself Into some covert, take your sweetheart’s hat
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
CAMILLO
…Concilieranno vostro padre. PERDITA
Voi felice, tutto quello che dite è tanto bello! CAMILLO (scorge Autolico)
Chi abbiamo qui? Anche costui ci torna utile, non trascuriamo nulla che possa aiutarci. AUTOLICO (a parte) Se mi hanno sentito – ahi, la forca! CAMILLO
Ehilà, buon uomo, cosa ti fa tremare così? Non aver paura, nessuno vuol farti del male. AUTOLICO
Sono un pover’uomo, signore. CAMILLO
Bene, continua a esserlo. Quello non te lo ruba nessuno, qui. Ma quanto alle apparenze della tua povertà dobbiamo fare un cambio. Spogliati immediatamente – tieni conto che si tratta di cosa urgente – e scambia i tuoi vestiti con quelli di questo gentiluomo. E benché sia lui a perderci, tu prendi questo (gli porge del denaro), è un piccolo compenso. AUTOLICO
Sono un pover’uomo, signore. (A parte) Ma conosco bene la vostra genìa. CAMILLO
Su, ti prego, spogliati – il signore è già mezzo nudo. AUTOLICO
Dite sul serio, signore? (A parte) Sento puzza di un trucco! FLORIZEL
Spicciati, ti prego! AUTOLICO
Beh, l’anticipo l’ho avuto, ma in coscienza non posso accettare. CAMILLO
Sbottonarti, sbottonati! Florizel e Autolico si scambiano i vestiti (A Perdita) Fortunata signora – che le mie parole siano profetiche! – dovete eclissarvi sotto mentite spoglie, prendete il cappello del 1429
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
And pluck it o’er your brows, muffle your face, Dismantle you, and, as you can, disliken The truth of your own seeming, that you may — For I do fear eyes — over to shipboard Get undescried. PERDITA I see the play so lies That I must bear a part. CAMILLO No remedy. (To Florizel) Have you done there? FLORIZEL Should I now meet my father He would not call me son. CAMILLO Nay, you shall have no hat.
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He gives the hat to Perdita Come, lady, come. Farewell, my friend. AUTOLYCUS Adieu, sir.
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FLORIZEL
O Perdita, what have we twain forgot! Pray you, a word. They speak aside CAMILLO (aside)
What I do next shall be to tell the King Of this escape, and whither they are bound; Wherein my hope is I shall so prevail To force him after, in whose company I shall re-view Sicilia, for whose sight I have a woman’s longing. FLORIZEL Fortune speed us! Thus we set on, Camillo, to th’ seaside. CAMILLO The swifter speed the better.
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Exeunt Florizel, Perdita, and Camillo AUTOLYCUS I understand the business, I hear it. To have
an open ear, a quick eye, and a nimble hand is necessary for a cutpurse. A good nose is requisite also, to smell out work for th’other senses. I see this is the time that the unjust man doth thrive. What an
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
vostro innamorato e calatevelo sugli occhi, coprite bene il viso, toglietevi il mantello e, per quanto è possibile, dissimulate la verità del vostro aspetto, affinché possiate – temo gli sguardi! – salire a bordo senza essere riconosciuta. PERDITA
Vedo che la commedia vuole che io vi reciti una parte! CAMILLO
Non c’è rimedio!141 (A Florizel) Voi, avete fatto? FLORIZEL
Dovessi incontrare ora mio padre, non mi chiamerebbe figlio. CAMILLO
Eh già, così senza cappello! Dà il cappello a Perdita Su, signora, venite. Addio, amico. AUTOLICO
Adieu142, signore. FLORIZEL
Oh Perdita, cosa abbiamo dimenticato noi due! Ti prego, una parola. Parlano a parte CAMILLO (a parte)
Ciò che farò adesso sarà di riferire al re della loro fuga, e dove sono diretti; la mia speranza è di convincerlo a inseguirli, e in sua compagnia di ritrovare il re di Sicilia143: nutro un desiderio intenso144 di rivederlo. FLORIZEL
Che la fortuna ci assista! Dunque Camillo, alla spiaggia! CAMILLO
Prima facciamo e meglio è. Escono Florizel, Perdita e Camillo AUTOLICO
Avverto l’affare, lo sento. Orecchie aperte, occhi pronti e mani svelte sono qualità irrinunciabili per un tagliaborse. Anche un buon naso ci sta bene, per dirigere a fiuto gli altri sensi. Vedo che questo è il tempo giusto per l’uomo ingiusto. Che scambio ho
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
exchange had this been without boot! What a boot is here with this exchange! Sure the gods do this year connive at us, and we may do anything extempore. The Prince himself is about a piece of iniquity, stealing away from his father with his clog at his heels. If I thought it were a piece of honesty to acquaint the King withal, I would not do’t. I hold it the more knavery to conceal it, and therein am I constant to my profession. Enter the Clown and the Old Shepherd, carrying a fardel and a box Aside, aside! Here is more matter for a hot brain. Every lane’s end, every shop, church, session, hanging, yields a careful man work. CLOWN See, see, what a man you are now! There is no other way but to tell the King she’s a changeling, and none of your flesh and blood. OLD SHEPHERD Nay, but hear me. CLOWN Nay, but hear me. OLD SHEPHERD Go to, then. CLOWN She being none of your flesh and blood, your flesh and blood has not offended the King, and so your flesh and blood is not to be punished by him. Show those things you found about her, those secret things, all but what she has with her. This being done, let the law go whistle, I warrant you. OLD SHEPHERD I will tell the King all, every word, yea, and his son’s pranks, too, who, I may say, is no honest man, neither to his father nor to me, to go about to make me the King’s brother-in-law. CLOWN Indeed, brother-in-law was the farthest off you could have been to him, and then your blood had been the dearer by I know not how much an ounce. y
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705. Know not: emend. tardo, in F know. 1432
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
fatto, anche senza il compenso! E che compenso, anche senza lo scambio! Certo gli dei ci sono amici quest’anno, e ci consentono di fare qualunque cosa ci venga in mente. Il principe stesso sta giocando sporco, scappando dal padre con quella palla al piede145. Se pensassi che avvertire il re sarebbe una cosa onesta non la farei: ma ritengo che nasconderla sia ancora più da canaglia, e in questo sarò fedele alla mia corporazione. Entrano il Contadino e il Vecchio pastore, con un fagotto e una cassetta Nascondiamoci! Qui c’è altro materiale per un cervello acuto. Ogni vicolo cieco, ogni negozio, chiesa, tribunale, impiccagione dà lavoro all’uomo avveduto. CONTADINO
Rendetevi conto, in che razza di situazione siete! Non ne uscite se non dicendo al re che quella è creatura delle fate146, e non carne e sangue vostri! VECCHIO PASTORE
Sì, ma ascoltami. CONTADINO
Sì, ma ascoltate me! VECCHIO PASTORE
Va avanti, allora. CONTADINO
E non essendo né carne né sangue vostri, la carne e il sangue vostri non hanno offeso il re, e così la carne e il sangue vostri non possono essere puniti da lui. Mostrate ciò che le avete trovato accanto, quelle cose segrete, tutto eccetto quanto lei ha con sé. Fatto questo, la legge può andare a farsi benedire, vi assicuro. VECCHIO PASTORE
Al re racconterò tutto, ogni parola, sì, e anche le prodezze di suo figlio, che, posso dire, non è un uomo retto, né verso suo padre né verso di me, andandosene in giro a farmi diventare il cognato147 di un re! CONTADINO
Davvero, la cosa più lontana da lui che potreste diventare è quella di cognato, e allora il vostro sangue varrebbe di più, non so quanto all’oncia148. 1433
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
AUTOLYCUS (aside) Very wisely, puppies. OLD SHEPHERD Well, let us to the King. There is that in
this fardel will make him scratch his beard. AUTOLYCUS (aside) I know not what impediment this complaint may be to the flight of my master. CLOWN Pray heartily he be at’ palace. AUTOLYCUS (aside) Though I am not naturally honest, I am so sometimes by chance. Let me pocket up my pedlar’s excrement.
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He removes his false beard — How now, rustics, whither are you bound?
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OLD SHEPHERD To th’ palace, an it like your worship. AUTOLYCUS Your affairs there? What? With whom? The
condition of that fardel? The place of your dwelling? Your names? Your ages? Of what having, breeding, and anything that is fitting to be known, discover. CLOWN We are but plain fellows, sir. AUTOLYCUS A lie, you are rough and hairy. Let me have no lying. It becomes none but tradesmen, and they often give us soldiers the lie, but we pay them for it with stamped coin, not stabbing steel, therefore they do not give us the lie. CLOWN Your worship had like to have given us one if you had not taken yourself with the manner. OLD SHEPHERD Are you a courtier, an’t like you, sir? AUTOLYCUS Whether it like me or no, I am a courtier. Seest thou not the air of the court in these enfoldings? Hath not my gait in it the measure of the court? Receives not thy nose court-odour from me? Reflect I
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
AUTOLICO (a parte)
Ben detto, mascherine! VECCHIO PASTORE
Bene, andiamo dal re. In questo fagotto c’è di che fargli grattare la barba. AUTOLICO (a parte) Non so quale ostacolo questa lamentela possa offrire alla fuga del signorino. CONTADINO
Pregate con tutto il cuore di trovarlo a palazzo. AUTOLICO (a parte)
Anche se per natura non sono onesto, talvolta lo sono, ma per caso. Fatemi togliere questa superfluità da ambulante. Si toglie la barba finta – Ehi , villici, dove ve ne andate di bello? VECCHIO PASTORE
A palazzo, se non dispiace alla vostra signoria149. AUTOLICO
A farci cosa? Con chi? E la natura di quel fagotto? E dove abitate? Il vostro nome e l’età – e il reddito, l’istruzione, insomma cosa avete da dichiarare? CONTADINI
Siamo persone semplici, signore. AUTOLICO
Menzogna, siete rozzi e pelosi! A me non la si fa! Sono i mercanti che tirano a fregare noi soldati, ma noi li ripaghiamo con moneta sonante, non con i pugnali, e ciò porta a che loro non ci provano proprio! CONTADINO
Vostra signoria stava per provarla con noi, una baggianata, se non se ne fosse accorto in tempo150. VECCHIO PASTORE
Siete un cortigiano, signore, se non vi dispiace? AUTOLICO
Mi dispiaccia o no, appartengo alla corte. Non distingui forse l’aria della corte in questi involucri?151 Non incedo io con l’andazzo della corte? E il tuo naso non percepisce il profumo di corte che da me 1435
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
not on thy baseness court-contempt? Thinkest thou, for that I insinuate to toze from thee thy business, I am therefore no courtier? I am courtier cap-à-pie, and one that will either push on or pluck back thy business there. Whereupon I command thee to open thy affair. OLD SHEPHERD My business, sir, is to the King. AUTOLYCUS What advocate hast thou to him? OLD SHEPHERD I know not, an’t like you. CLOWN (aside to the Old Shepherd) ‘Advocate’ ’s the court word for a pheasant. Say you have none.
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OLD SHEPHERD
None, sir. I have no pheasant, cock nor hen. AUTOLYCUS (aside)
How blessed are we that are not simple men! Yet nature might have made me as these are, Therefore I will not disdain. CLOWN This cannot be but a great courtier. OLD SHEPHERD His garments are rich, but he wears them not handsomely. CLOWN He seems to be the more noble in being fantastical. A great man, I’ll warrant. I know by the picking on’s teeth. AUTOLYCUS The fardel there, what’s i’th’ fardel? Wherefore that box? OLD SHEPHERD Sir, there lies such secrets in this fardel and box which none must know but the King, and which he shall know within this hour, if I may come to th’ speech of him. AUTOLYCUS Age, thou hast lost thy labour. OLD SHEPHERD Why, sir?
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
promana? E non rifletto forse sulla tua meschinità la sprezzatura di corte? Credi forse, perché mi insinuo a estrarti i segreti dei tuoi affari, che non possa essere un cortigiano? Sono un cortigiano capà-pie152, uno che può far progredire o stoppare qualsiasi cosa tu ci voglia fare. Per cui ti ordino, scopriamo le carte! VECCHIO PASTORE
Il mio caso, signore, è per il re. AUTOLICO
Chi è l’avvocato che ti rappresenta? VECCHIO PASTORE
Non so, se non vi spiace. CONTADINO (a parte al Vecchio pastore) A corte “avvocato” sta per “fagiano”153. Digli che non ne hai. VECCHIO PASTORE
Nessuno, signore. Non ho fagiani, né galli né galline. AUTOLICO (a parte) Beati noi, che non siamo anime semplici! E però la natura avrebbe potuto farmi come questi qui, perciò non voglio accanirmi. CONTADINO
Costui non può essere un gran cortigiano. VECCHIO PASTORE
Gli abiti sono ricchi, ma non sembrano suoi da come li porta. CONTADINO
Sembra tanto più nobile, quanto più eccentrico. Un grand’uomo, sicuro: lo si capisce dal modo in cui usa lo stuzzicadenti154. AUTOLICO
Quel fagotto lì, cosa c’è nel fagotto? E nella cassetta? VECCHIO PASTORE
Signore, in questo fagotto e questa cassetta ci sono segreti che nessuno deve sapere a parte il re, e che lui saprà entro un’ora, se mai riesco a parlargli. AUTOLICO
Vecchiardo, sprechi il tuo tempo. VECCHIO PASTORE
Perché, signore?
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
AUTOLYCUS The King is not at the palace, he is gone
aboard a new ship to purge melancholy and air himself; for if thou beest capable of things serious, thou must know the King is full of grief. OLD SHEPHERD So ’tis said, sir; about his son, that should have married a shepherd’s daughter. AUTOLYCUS If that shepherd be not in handfast, let him fly. The curses he shall have, the tortures he shall feel, will break the back of man, the heart of monster. CLOWN Think you so, sir? AUTOLYCUS Not he alone shall suffer what wit can make heavy and vengeance bitter, but those that are germane to him, though removed fifty times, shall all come under the hangman, which, though it be great pity, yet it is necessary. An old sheep-whistling rogue, a ram-tender, to offer to have his daughter come into grace! Some say he shall be stoned; but that death is too soft for him, say I. Draw our throne into a sheepcote? All deaths are too few, the sharpest too easy. CLOWN Has the old man e’er a son, sir, do you hear, an’t like you, sir? AUTOLYCUS He has a son, who shall be flayed alive, then ’nointed over with honey, set on the head of a wasps’ nest, then stand till he be three-quarters-and-a-dram dead, then recovered again with aqua-vitae, or some other hot infusion, then, raw as he is, and in the hottest day prognostication proclaims, shall he be set against a brick wall, the sun looking with a southward eye upon him, where he is to behold him with flies blown to death. But what talk we of these traitorly rascals, whose miseries are to be smiled at, their offences being so capital? Tell me, for you seem to be honest plain men, what you have to the King. Being something gently considered, I’ll bring you where he is aboard, tender your persons to his presence, whisper him in
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
AUTOLICO
Il re non è a palazzo, sta a bordo di una nave nuova, per curare la malinconia e prendere aria; se avessi la percezione delle cose serie, sapresti che il re è pieno di dispiaceri. VECCHIO PASTORE
Così dicono, signore; per causa di suo figlio, che avrebbe dovuto sposare la figlia di un pastore. AUTOLICO
Se quel pastore non è ancora in galera è meglio che scappi. Le maledizioni che si è attirato, le torture che lo aspettano, romperebbero la schiena di un uomo, e il cuore di un mostro! CONTADINO
Credete, signore? AUTOLICO
E non solo lui patirà ciò che l’ingegno può inventare di spietato e la vendetta di penoso, ma coloro che gli sono parenti, anche fino al cinquantesimo grado, tutti sono destinati al boia, ciò che è un gran peccato, e tuttavia necessario. Un vecchio furfante fischiapecore, un allevatore di montoni, pensare di vedere sua figlia far carriera a corte! Qualcuno dice che sarà lapidato, ma quella è morte troppo dolce per lui, dico io. Trascinare il nostro trono in un pecorile? Non bastano tutte le morti immaginabili, anche le più atroci son troppo blande! CONTADINO
Sentite, se non vi spiace, per caso quel vecchio ha un figlio, signore? AUTOLICO
Sì che ha un figlio, che sarà scorticato vivo, poi spalmato di miele e messo in cima a un nido di vespe, e lasciato là finché non sarà morto per tre quarti e rotti, poi rianimato con acquavite, o qualche altra forte infusione, poi, così spellato, nel giorno più caldo previsto dai lunari sarà messo contro un muro di mattoni, faccia al sole di mezzogiorno a picco su di lui, e gonfiato dalle mosche finché muore. Ma perché stare a parlare di questi farabutti traditori, dei cui patimenti si deve appena sorridere, le loro colpe essendo così mostruose? Ditemi allora, perché mi sembrate uomini semplici e onesti, che cosa volete dal re. Per un po’ di gentilezza da parte vostra vi posso portare dov’è lui, a bordo, vi condurrò alla sua pre1439
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THE WINTER’S TALE, ACT 4 SCENE 4
your behalfs, and if it be in man, besides the King, to effect your suits, here is man shall do it. CLOWN (to the Old Shepherd) He seems to be of great authority. Close with him, give him gold; and though authority be a stubborn bear, yet he is oft led by the nose with gold. Show the inside of your purse to the outside of his hand, and no more ado. Remember — ‘stoned’, and ‘flayed alive’. OLD SHEPHERD An’t please you, sir, to undertake the business for us, here is that gold I have. I’ll make it as much more, and leave this young man in pawn till I bring it you. AUTOLYCUS After I have done what I promised? OLD SHEPHERD Ay, Sir. AUTOLYCUS Well, give me the moiety. (To the Clown) Are you a party in this business? CLOWN In some sort, sir. But though my case be a pitiful one, I hope I shall not be flayed out of it. AUTOLYCUS O, that’s the case of the shepherd’s son. Hang him, he’ll be made an example. CLOWN (to the Old Shepherd) Comfort, good comfort. We must to the King, and show our strange sights. He must know ’tis none of your daughter, nor my sister. We are gone else. (To Autolycus) Sir, I will give you as much as this old man does when the business is performed, and remain, as he says, your pawn till it be brought you. AUTOLYCUS I will trust you. Walk before toward the seaside. Go on the right hand. I will but look upon the hedge, and follow you.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO IV SCENA 4
senza, gli bisbiglierò qualcosa in vostro favore, e se c’è un uomo, oltre al re, che è in grado di soddisfare le vostre richieste, ecco qui l’uomo adatto. CONTADINO (al Vecchio pastore) Sembra che abbia grande autorità. Venite a patti, dategli dell’oro; anche se l’autorità è un orso testardo, può sempre essere menata per il naso155 con dell’oro. Mostrate l’interno della vostra borsa all’esterno della sua mano, e finiamola lì. Tenetelo a mente – “lapidato” e “scorticato vivo”! VECCHIO PASTORE
Se non vi dispiace, signore, di intraprendere questa impresa per noi, qui c’è l’oro che ho. Ve ne darò anche di più, e lascio questo giovanotto come ostaggio finché non l’avrò portato. AUTOLICO
Dopo che avrò fatto ciò che ho promesso. VECCHIO PASTORE
Ecco, signore. AUTOLICO
Beh, datemene la metà. (Al Contadino) Voi siete parte dell’affare? CONTADINO
In un certo senso, signore; e anche se le mie cuoia156 sono povera cosa, spero di non venirne scuoiato fuori. AUTOLICO
Ah, quello è il caso del figlio del pastore. Che lo impicchino, servirà da esempio. CONTADINO (al Vecchio pastore) Ah, c’è proprio da stare allegri! Andiamo dal re, a mostrargli le cose strane che abbiamo. Deve sapere che non è vostra figlia, né mia sorella. Altrimenti siamo perduti. (A Autolico) Signore, io vi darò altrettanto di quanto vi dà quest’uomo quando l’affare sarà concluso, e rimango, come dice lui, vostro ostaggio finché non lo ricevete. AUTOLICO
Mi fido. Andate avanti verso la spiaggia, tenetevi a dritta. Io do uno sguardo oltre la siepe157, e vi raggiungo.
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Shakespeare IV.indb 1441
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
CLOWN (to the Old Shepherd) We are blessed in this man,
as I may say, even blessed.
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OLD SHEPHERD Let’s before, as he bids us. He was provided
to do us good.
Exit with the Clown
AUTOLYCUS If I had a mind to be honest, I see fortune
would not suffer me. She drops booties in my mouth. I am courted now with a double occasion: gold, and a means to do the Prince my master good, which who knows how that may turn back to my advancement? I will bring these two moles, these blind ones, aboard him. If he think it fit to shore them again, and that the complaint they have to the King concerns him nothing, let him call me rogue for being so far officious, for I am proof against that title, and what shame else belongs to’t. To him will I present them. There may be matter in it. Exit 5.1
Enter Leontes, Cleomenes, Dion, and Paulina
CLEOMENES (to Leontes)
Sir, you have done enough, and have performed A saint-like sorrow. No fault could you make Which you have not redeemed, indeed, paid down More penitence than done trespass. At the last Do as the heavens have done, forget your evil. With them, forgive yourself. LEONTES Whilst I remember Her and her virtues I cannot forget My blemishes in them, and so still think of The wrong I did myself, which was so much That heirless it hath made my kingdom, and Destroyed the sweet’st companion that e’er man Bred his hopes out of. True? z
5
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12. Bred his hopes out of. True? / Paulina Too… : così in F; in emend. successivi … out of. / Paulina True, too = “vero anche questo”… 1442
Shakespeare IV.indb 1442
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
CONTADINO (al Vecchio pastore)
È stata una benedizione incontrare quest’uomo, lasciatemelo dire, proprio una benedizione. VECCHIO PASTORE
Andiamo avanti, come dice lui. Ce l’ha mandato la provvidenza, per il nostro bene. Esce con il Contadino AUTOLICO
Anche se fossi disposto a essere onesto, vedo che la fortuna me lo impedisce: mi riversa in bocca il malloppo. Ora ho occasione di prendere due piccioni con una fava: l’oro, e il modo di favorire il principe che mi comanda: magari ci posso scucire qualche vantaggio. Gli porto a bordo queste due talpe, questi orbetti. Se lui ritiene di rimandarli a terra perché la loro supplica al re non lo concerne, mi chiami pure furfante per tutta la mia diligenza, tanto io a quel titolo ci sono abituato – e a tutte le indegnità che lo accompagnano –. Ora glieli presento. Ne verrà pur fuori qualcosa. Esce V, 1
Entrano Leonte, Cleomene, Dione e Paolina158
CLEOMENE (a Leonte)
Signore, avete fatto fin troppo, e sostenuto da santo il dolore. Non c’è colpa che non abbiate espiato, invero è stata maggiore la penitenza che il peccato. Almeno fate come ha fatto il cielo, dimenticate il male commesso159. Perdonatevi, insieme al cielo. LEONTE
Nel ricordare lei e le sue virtù non posso dimenticare le mie accuse infondate, e continuare a pensare ai torti che ho inflitto, tanti da privare di eredi il mio regno, e annientato la più dolce compagna con cui uomo abbia mai nutrito le sue speranze. Vero?
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Shakespeare IV.indb 1443
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
Too true, my lord. If one by one you wedded all the world, Or from the all that are took something good To make a perfect woman, she you killed Would be unparalleled. LEONTES I think so. Killed? She I killed? I did so. But thou strik’st me Sorely to say I did; it is as bitter Upon thy tongue as in my thought. Now, good now, Say so but seldom. CLEOMENES Not at all, good lady. You might have spoke a thousand things that would aa Have done the time more benefit, and graced Your kindness better. PAULINA You are one of those Would have him wed again. DION If you would not so You pity not the state, nor the remembrance Of his most sovereign name, consider little What dangers, by his highness’ fail of issue, May drop upon his kingdom and devour Incertain lookers-on. What were more holy Than to rejoice the former queen is well? What holier, than for royalty’s repair, For present comfort and for future good, To bless the bed of majesty again With a sweet fellow to’t? PAULINA There is none worthy Respecting her that’s gone. Besides, the gods Will have fulfi lled their secret purposes. For has not the divine Apollo said? Is’t not the tenor of his oracle That King Leontes shall not have an heir Till his lost child be found? Which that it shall Is all as monstrous to our human reason PAULINA
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21. Spoke: emend. successivo; in F spoken. 1444
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
PAOLINA
Troppo vero, mio signore. Se una dopo l’altra al mondo voi le sposaste tutte, o da tutte quelle che esistono prendeste qualcosa di buono per formare la donna perfetta, quella che avete uccisa rimarrebbe senza paragoni. LEONTE
È così. Uccisa? Lei, uccisa da me? Certo, l’ho fatto. Ma tu mi ferisci brutalmente nel dirmelo; suona altrettanto amaro sulle tue labbra che nei miei pensieri. Quindi, ormai, dillo solo di rado. CLEOMENE
O niente del tutto, buona signora. Mille cose avreste potuto dire a quel tempo con maggiore giovamento e ornamento alla vostra gentilezza. PAOLINA
Voi siete uno di quelli che vorrebbero vederlo risposato. DIONE
Se non lo volete non avete a cuore lo stato, né la continuità del suo nome sovrano, e trascurate i pericoli che possono derivare al regno dalla mancanza di un erede, e sconvolgere gli osservatori smarriti. Cosa c’è di più santo che gioire al pensiero che la nostra antica regina è ora tra i beati? E cosa di ancora più santo, per il rimedio alla dinastia, per conforto al presente e bene del futuro, che tornare a benedire il letto della maestà con una dolce compagna? PAOLINA
Non ce n’è una degna di confronto con quella che se n’è andata. Inoltre, gli dei vorranno che i loro segreti disegni siano compiuti. Infatti, cosa ha detto il dio Apollo? Non è forse il tenore del suo oracolo che re Leonte non avrà un erede finché la sua perduta figliola non sarà ritrovata? Sarebbe altrettanto innaturale per la ra-
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Shakespeare IV.indb 1445
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
As my Antigonus to break his grave And come again to me, who, on my life, Did perish with the infant. ’Tis your counsel My lord should to the heavens be contrary, Oppose against their wills. (To Leontes) Care not for issue. The crown will find an heir. Great Alexander Left his to th’ worthiest, so his successor Was like to be the best. LEONTES Good Paulina, Who hast the memory of Hermione, I know, in honour — O, that ever I Had squared me to thy counsel! Then even now I might have looked upon my queen’s full eyes, Have taken treasure from her lips. PAULINA And left them More rich for what they yielded. LEONTES Thou speak’st truth. No more such wives, therefore no wife. One worse, And better used, would make her sainted spirit Again possess her corpse, and on this stage, ab Where we offenders mourn, appear soul-vexed, And begin, ‘Why to me?’ PAULINA Had she such power She had just cause. LEONTES She had, and would incense me To murder her I married. PAULINA I should so. Were I the ghost that walked I’d bid you mark Her eye, and tell me for what dull part in’t You chose her. Then I’d shriek that even your ears Should rift to hear me, and the words that followed Should be, ‘Remember mine’.
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58-59. …On this stage / where we offenders mourn appear: così in questa ed. In F …on this stage / where we offenders now appear. = “…su questa scena dove ora compariamo noi”. La traduzione segue la prima ipotesi, facendo sainted spirit piuttosto che offenders il soggetto di appear. 1446
Shakespeare IV.indb 1446
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
gione umana se il mio Antigono si levasse dalla tomba e tornasse a me, lui che, lo asserisco sulla mia vita, con quella figliola è morto. Voi mettete il mio signore in contrasto con il cielo, gli consigliate di opporsi ai suoi voleri. (A Leonte) Non vi preoccupate della discendenza, la corona troverà un erede160. Alessandro il grande lasciò la sua ai più degni; così poté succedergli il migliore. LEONTE
Buona Paolina, tu che, lo so, tieni la memoria di Ermione in grande onore – ah, se mai avessi seguito il tuo consiglio! Proprio in questo momento avrei potuto guardare negli occhi la mia regina, apprendere tesori dalle sue labbra! PAOLINA
E lasciarle più ricche di quanto offrivano. LEONTE
Dici il vero. Non ci sono più mogli come quella; meglio nessuna moglie. Una peggiore, trattata meglio, provocherebbe il suo spirito beato a ritornare nel corpo, e su questa scena161, dove noi peccatori la rimpiangiamo, apparirebbe crucciata, chiedendo “Perché tutto questo a me?” PAOLINA
Se avesse un tale potere, avrebbe ragione di usarlo. LEONTE
L’avrebbe, e io sarei sospinto a uccidere la nuova sposa. PAOLINA
E così farei io. Se fossi quel fantasma peregrino vi chiederei di guardare quella negli occhi, e dirmi per quale opaco riflesso in essi l’avete scelta. Quindi urlerei tanto da spaccarvi i timpani, e il seguito sarebbe: “Ricordati dei miei!”162.
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
Stars, stars, And all eyes else, dead coals! Fear thou no wife. I’ll have no wife, Paulina. PAULINA Will you swear Never to marry but by my free leave? LEONTES
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LEONTES
Never, Paulina, so be blest my spirit. PAULINA
Then, good my lords, bear witness to his oath. CLEOMENES
You tempt him over-much. PAULINA Unless another As like Hermione as is her picture Affront his eye — CLEOMENES Good madam, I have done. ac
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PAULINA
Yet if my lord will marry — if you will, sir; No remedy but you will — give me the office To choose your queen. She shall not be so young ad As was your former, but she shall be such As, walked your first queen’s ghost, it should take joy To see her in your arms. LEONTES My true Paulina, We shall not marry till thou bidd’st us. PAULINA That Shall be when your first queen’s again in breath. Never till then.
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Enter a Servant SERVANT
One that gives out himself Prince Florizel, Son of Polixenes, with his princess — she The fairest I have yet beheld — desires access To your high presence.
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75. I have done: battuta attribuita a Paolina in alcune ed. moderne. 78. To choose your queen: emend. tardo; in F To choose you a queen = “di scegliervi una regina”. 1448
Shakespeare IV.indb 1448
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
LEONTE
Stelle, stelle erano quegli occhi, e tutti gli altri spenti tizzoni! Non temere altre mogli. Non mi sposerò più, Paolina. PAOLINA
Giurate di non sposarvi mai, se non col mio consenso? LEONTE
Mai, Paolina, per la redenzione della mia anima! PAOLINA
Dunque, miei buoni signori, siate testimoni del suo giuramento. CLEOMENE
Troppo gli imponete! PAOLINA
A meno che gli compaia davanti un’altra, che sia l’immagine stessa di Ermione… CLEOMENE
Buona signora, per me basta così163. PAOLINA
E però se il mio signore volesse risposarsi – se lo vorrete, sire, ci dovremo arrendere – lasciate a me di scegliervi una regina. Non sarà altrettanto giovane della vostra prima, ma sarà tale che, se entrasse il fantasma dell’antica regina, gioirebbe nel vederla fra le vostre braccia. LEONTE
Mia fidata Paolina, non mi sposerò se non me lo chiedi tu. PAOLINA
Tanto avverrà quando la vostra prima regina tornerà a respirare. Fino ad allora, mai. Entra un servitore SERVITORE
Uno che dice di essere il principe Florizel, figlio di Polissene, con la sua principessa – la più bella che io abbia mai visto – desidera accesso alla vostra alta presenza.
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Shakespeare IV.indb 1449
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
What with him? He comes not Like to his father’s greatness. His approach, So out of circumstance and sudden, tells us ’Tis not a visitation framed, but forced By need and accident. What train? SERVANT But few, And those but mean. LEONTES His princess, say you, with him? LEONTES
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SERVANT
Ay, the most peerless piece of earth, I think, That e’er the sun shone bright on. PAULINA O, Hermione, As every present time doth boast itself Above a better, gone, so must thy grave Give way to what’s seen now! (To the Servant) Sir, you yourself Have said and writ so; but your writing now Is colder than that theme. She had not been Nor was not to be equalled — thus your verse Flowed with her beauty once. ’Tis shrewdly ebbed To say you have seen a better. SERVANT Pardon, madam. The one I have almost forgot — your pardon! The other, when she has obtained your eye, Will have your tongue too. This is a creature, Would she begin a sect, might quench the zeal Of all professors else; make proselytes Of who she but bid follow. PAULINA How? Not women!
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SERVANT
Women will love her that she is a woman More worth than any man; men, that she is The rarest of all women.
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Shakespeare IV.indb 1450
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
LEONTE
Come? Non viene in modo consono con la maestà di suo padre. Il suo arrivo, così informale e improvviso, ci dice che la sua visita non è preordinata ma forzata dalla necessità e dal caso. Con che seguito viene? SERVITORE
Poca gente, e male in arnese. LEONTE
La sua principessa, dici, è con lui? SERVITORE
Già, quella che mi pare la più impareggiabile zolla d’umanità164 sulla quale abbia mai brillato il sole. PAOLINA
Oh Ermione, come ogni tempo presente si sente superiore a uno migliore del passato, così la tua tomba deve far posto a quanto si palesa ora! (Al servitore) Signore, voi stesso l’avete detto e scritto – ma la scrittura è ora più fredda dell’argomento – “Lei non è stata né sarà uguagliata” – così i vostri versi165 si adattavano un tempo alla sua vivace bellezza. Ora subiscono un riflusso, se dite che ne avete visto una migliore. SERVITORE
Mi scusi, signora. Quella l’ho quasi dimenticata – ve ne chiedo perdono – e l’altra, quando avrà richiamato il vostro sguardo, conquisterà pure la vostra voce. Questa è una creatura che, se fondasse una setta, smorzerebbe lo zelo di chiunque ne professi un’altra; farebbe un neofita di chiunque lei invitasse a seguirla. PAOLINA
Come? Non delle donne! SERVITORE
Le donne l’amano come donna pari a qualsiasi uomo; gli uomini come la più speciale delle donne.
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Shakespeare IV.indb 1451
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
Go, Cleomenes. Yourself, assisted with your honoured friends, Bring them to our embracement. Exit Cleomenes Still ’tis strange He thus should steal upon us. PAULINA Had our prince, Jewel of children, seen this hour, he had paired Well with this lord. There was not full a month Between their births. LEONTES Prithee no more, cease. Thou know’st He dies to me again when talked of. Sure, When I shall see this gentleman thy speeches Will bring me to consider that which may Unfurnish me of reason. They are come. LEONTES
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Enter Florizel, Perdita, Cleomenes, and others Your mother was most true to wedlock, Prince, For she did print your royal father off, Conceiving you. Were I but twenty-one, Your father’s image is so hit in you, His very air, that I should call you brother, As I did him, and speak of something wildly By us performed before. Most dearly welcome, And your fair princess — goddess! O, alas, I lost a couple that ’twixt heaven and earth Might thus have stood, begetting wonder, as You, gracious couple, do; and then I lost — All mine own folly — the society, Amity too, of your brave father, whom, Though bearing misery, I desire my life Once more to look on him. FLORIZEL By his command Have I here touched Sicilia, and from him Give you all greetings that a king at friend Can send his brother; and but infirmity, Which waits upon worn times, hath something seized His wished ability, he had himself
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Shakespeare IV.indb 1452
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
LEONTE
Va’ Cleomene. Insieme ai tuoi onorati amici conducili al nostro abbraccio. Esce Cleomene Eppure, è strano che arrivi così senza preavviso. PAOLINA
Se il nostro principe, gioiello fra i figlioli, avesse vissuto quest’ora, troverebbe un amico in questo signore. Non più di un mese separava le loro nascite. LEONTE
Ti prego, basta. Sai che per me è come se morisse un’altra volta, sentendolo nominare. Certo, quando vedrò questo principe i tuoi discorsi risveglieranno in me ciò che potrebbe demolire la mia ragione. Ecco che arrivano. Entrano Florizel, Perdita, Cleomene, e altri Vostra madre fu fedelissima al matrimonio, principe, perché nel concepirvi ha riprodotto esattamente il vostro regale padre. Se avessi ventun anni, l’immagine di vostro padre è così ben stampata in voi, con la sua stessa aria, che vi dovrei chiamare fratello come facevo con lui, e mettermi a parlare di qualche prodezza compiuta insieme. Il più caloroso benvenuto, a voi e alla vostra bella principessa – una dea! – ahimè, io ne ho persi un paio166 che fra cielo e terra avrebbero potuto stare a suscitare meraviglia, come ora fate voi, coppia portentosa; e poi io persi – tutto per colpa mia – la compagnia, e l’amicizia anche, del vostro formidabile padre, che, pur nell’infelicità, vorrei vivere per rivedere ancora. FLORIZEL
Per ordine suo sono approdato qui in Sicilia, e da lui vi porto tutti i saluti che un re amico può inviare a suo fratello; e sebbene le infermità, compagne dell’età avanzata, abbiano assai ridotto le forze da lui auspicate, avrebbe lui stesso misurato le terre e le ac-
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
The lands and waters ’twixt your throne and his Measured to look upon you, whom he loves — He bade me say so — more than all the sceptres, And those that bear them, living. LEONTES O, my brother! Good gentleman, the wrongs I have done thee stir Afresh within me, and these thy offices, So rarely kind, are as interpreters Of my behindhand slackness. Welcome hither, As is the spring to th’earth! And hath he too Exposed this paragon to th’ fearful usage — At least ungentle — of the dreadful Neptune To greet a man not worth her pains, much less Th’adventure of her person? FLORIZEL Good my lord, She came from Libya. LEONTES Where the warlike Smalus, That noble honoured lord, is feared and loved?
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FLORIZEL
Most royal sir, from thence; from him whose daughter His tears proclaimed his, parting with her. Thence, A prosperous south wind friendly, we have crossed, To execute the charge my father gave me For visiting your highness. My best train I have from your Sicilian shores dismissed; Who for Bohemia bend, to signify Not only my success in Libya, sir, But my arrival, and my wife’s, in safety Here where we are. LEONTES The blessèd gods Purge all infection from our air whilst you Do climate here! You have a holy father, A graceful gentleman, against whose person, So sacred as it is, I have done sin, For which the heavens, taking angry note, Have left me issueless; and your father’s blessed, As he from heaven merits it, with you,
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
que fra il vostro trono e il suo per vedere voi, che ama – così mi ha chiesto di dirvi – più di tutti gli scettri, e tutti coloro che, da vivi, li impugnano. LEONTE
Oh fratello mio, buon gentiluomo! I torti che ti ho fatto mi scuotono ancora nell’intimo, e questi tuoi saluti squisitamente generosi fanno risaltare la mia lentezza e negligenza. Siete i benvenuti, come la primavera sulla terra! Ed ha egli esposto questo capolavoro167 ai modi brutali – o almeno scortesi – del tremendo Nettuno, per salutare un uomo indegno delle sue premure e, peggio ancora, rischiandone la persona? FLORIZEL
Mio buon signore, lei viene dalla Libia. LEONTE
Dove il bellicoso Smalo, quel nobile e onorato sovrano, è temuto e amato? FLORIZEL
Da lì, mio regale signore; da chi, nel separarsi da lei, con le sue lacrime la proclamò figlia sua. E da lì, con il favore di un prospero vento del sud, abbiamo navigato per dar corso al compito assegnatomi da mio padre, di visitare vostra altezza. Ho congedato il meglio del mio seguito sulle spiagge siciliane, che ora è diretto in Boemia ad annunciare non soltanto il mio felice risultato in Libia, sire, ma l’arrivo mio e di mia moglie, sani e salvi, qui dove ci troviamo. LEONTE
Gli dei benedetti purghino l’aria nostra da ogni malanno mentre voi soggiornate qui! Voi avete un padre venerabile, un nobiluomo pieno di grazia, contro la cui persona, sacra com’è, ho peccato; e i cieli, notandolo irati, mi hanno lasciato senza discendenza; mentre vostro padre è benedetto, come dal cielo si merita, da voi, degno
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
Worthy his goodness. What might I have been, Might I a son and daughter now have looked on, Such goodly things as you?
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Enter a Lord Most noble sir, That which I shall report will bear no credit Were not the proof so nigh. Please you, great sir, Bohemia greets you from himself by me; Desires you to attach his son, who has, His dignity and duty both cast off, Fled from his father, from his hopes, and with A shepherd’s daughter. LEONTES Where’s Bohemia? Speak. LORD
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LORD
Here in your city. I now came from him. I speak amazedly, and it becomes My marvel and my message. To your court Whiles he was hast’ning — in the chase, it seems, Of this fair couple — meets he on the way The father of this seeming lady and Her brother, having both their country quitted With this young prince. FLORIZEL Camillo has betrayed me, Whose honour and whose honesty till now Endured all weathers. LORD Lay’t so to his charge. He’s with the King your father. LEONTES Who, Camillo?
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Camillo, sir. I spake with him, who now Has these poor men in question. Never saw I Wretches so quake. They kneel, they kiss the earth, Forswear themselves as often as they speak. Bohemia stops his ears, and threatens them With divers deaths in death.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
della sua bontà. Cosa avrei potuto essere io, se mai fossi stato in grado di contemplare un figlio e una figlia belli come voi due? Entra un nobile NOBILE
Nobilissimo signore, ciò che ho da riferire non troverebbe credito se la prova non fosse così vicina. Vi piaccia, grande sire, che il re di Boemia in persona vi porga attraverso di me il suo saluto, con la richiesta di arrestare suo figlio, che ha trascurato insieme la sua dignità e il suo dovere, fuggendo dal padre, dalle sue speranze, con la figlia di un pastore. LEONTE
Il re di Boemia dov’è? Parlate! NOBILE
Qui, nella vostra città. L’ho appena lasciato. Parlo confusamente, come richiedono la mia sorpresa e il mio messaggio. Mentre si affretta verso il vostro palazzo – inseguendo, pare, questa bella coppia – per strada incontra il padre di questa presunta dama e suo fratello, entrambi partiti dal loro paese insieme a questo giovane principe. FLORIZEL
Camillo mi ha tradito: eppure, finora il suo onore e la sua onestà avevano resistito a ogni tempesta! NOBILE
Date pure la colpa a lui, è con il re vostro padre. LEONTE
Chi, Camillo? NOBILE
Camillo, sire. Ho parlato con lui; ora sta interrogando quegli sciagurati. Non ho mai visto nessuno tremare a quel modo. Stanno in inginocchio, baciano la terra, contraddicono ogni giuramento che fanno. Boemia si tappa le orecchie, e li minaccia di mille morti in una.
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Shakespeare IV.indb 1457
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 1
O, my poor father! The heaven sets spies upon us, will not have Our contract celebrated. LEONTES You are married? PERDITA
FLORIZEL
We are not, sir, nor are we like to be. The stars, I see, will kiss the valleys first. The odds for high and low’s alike. LEONTES My lord, Is this the daughter of a king? FLORIZEL She is, When once she is my wife.
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LEONTES
That ‘once’, I see, by your good father’s speed Will come on very slowly. I am sorry, Most sorry, you have broken from his liking Where you were tied in duty; and as sorry Your choice is not so rich in worth as beauty, That you might well enjoy her. FLORIZEL (to Perdita) Dear, look up. Though fortune, visible an enemy, Should chase us with my father, power no jot Hath she to change our loves. — Beseech you, sir, Remember since you owed no more to time Than I do now. With thought of such affections, Step forth mine advocate. At your request My father will grant precious things as trifles.
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LEONTES
Would he do so, I’d beg your precious mistress, Which he counts but a trifle. PAULINA Sir, my liege, Your eye hath too much youth in’t. Not a month Fore your queen died she was more worth such gazes Than what you look on now. LEONTES I thought of her Even in these looks I made. (To Florizel) But your petition
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Shakespeare IV.indb 1458
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 1
PERDITA
Oh, il mio povero padre! I cieli ci mettono spie addosso, non vogliono che la nostra unione sia celebrata! LEONTE
Siete sposati, voi due? FLORIZEL
Non lo siamo, signore, né sembra che mai lo saremo. Prima, vedo, le stelle scenderanno a baciare le valli. La sorte maltratta alla pari grandi e piccini. LEONTE
Signor mio, costei è figlia di re? FLORIZEL
Lo è, non appena diventa mia moglie. LEONTE
Quell’“appena”, vedo, con i tempi che predilige vostro padre arriverà con molto ritardo. Mi spiace, mi spiace davvero, vi siete separato dal suo affetto, cui eravate legato dal dovere; e ancora mi spiace che la vostra scelta non sia dotata di nobiltà quanto di bellezza, in modo che ne godiate pienamente. FLORIZEL (a Perdita) Cara, alza gli occhi. Benché la fortuna, nostra nemica manifesta, ci perseguiti insieme a mio padre, essa non ha alcun potere di cambiare i nostri affetti. Vi prego, sire, ricordate quando non dovevate al Tempo più di quanto non gli debba io ora. E col pensiero rivolto a quegli affetti fatevi avanti ora, e sostenete la mia causa. Di fronte a una vostra richiesta mio padre concederà cose preziose come se fossero niente. LEONTE
Se così facesse, io gli chiederei la vostra preziosa amica, che per lui non è niente. PAOLINA
Signore, mio sire, avete troppa gioventù negli occhi. Appena un mese prima che morisse, la vostra regina meritava queste occhiate più di colei alla quale le rivolgete adesso. LEONTE
A lei pensavo, mentre così guardavo. (A Florizel) Ma la vostra
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Shakespeare IV.indb 1459
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 2
Is yet unanswered. I will to your father. Your honour not o’erthrown by your desires, I am friend to them and you. Upon which errand I now go toward him. Therefore follow me, And mark what way I make. Come, good my lord.
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Exeunt 5.2
Enter Autolycus and a Gentleman
AUTOLYCUS Beseech you, sir, were you present at this
relation? FIRST GENTLEMAN I was by at the opening of the fardel,
heard the old shepherd deliver the manner how he found it; whereupon, after a little amazedness, we were all commanded out of the chamber. Only this, methought I heard the shepherd say he found the child. AUTOLYCUS I would most gladly know the issue of it. FIRST GENTLEMAN I make a broken delivery of the business, but the changes I perceived in the King and Camillo were very notes of admiration. They seemed almost, with staring on one another, to tear the cases of their eyes. There was speech in their dumbness, language in their very gesture. They looked as they had heard of a world ransomed, or one destroyed. A notable passion of wonder appeared in them, but the wisest beholder, that knew no more but seeing, could not say if th’importance were joy or sorrow. But in the extremity of the one, it must needs be.
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Enter another Gentleman Here comes a gentleman that happily knows more. The news, Ruggiero! SECOND GENTLEMAN Nothing but bonfires. The oracle is fulfilled. The King’s daughter is found. Such a deal of wonder is broken out within this hour, that ballad-makers cannot be able to express it.
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Enter another Gentleman 1460
Shakespeare IV.indb 1460
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 2
richiesta non ha ancora risposta. Andrò da vostro padre. Se il vostro onore non è stato sopraffatto dai desideri, io asseconderò loro e voi. Con questo compito vado a incontrarlo. Quindi seguitemi, e assecondate il mio modo di procedere. Andiamo, mio buon signore. Escono V, 2
Entrano Autolico e un gentiluomo168
AUTOLICO
Riverito, messere; eravate presente a questo ragguaglio? PRIMO GENTILUOMO
C’ero quando è stato aperto il fagotto, e ho sentito il vecchio pastore raccontare come lo trovò; dopodiché, superata l’incredulità generale, a tutti venne ordinato di uscire alla sala. Solo una cosa: mi è parso di udire il pastore che diceva di aver trovato la bambina. AUTOLICO
Mi piacerebbe proprio sapere com’è finita. PRIMO GENTILUOMO
Vi racconto solo frammenti, ma una cosa che ho notato nel re e in Camillo erano grandi esclamazioni di stupore. Sembrava che a furia di sgranare gli occhi, questi gli schizzassero dalle orbite. Erano eloquenti i loro silenzi, ed espliciti i loro gesti: come se gli fosse stata annunciata la salvazione di un mondo, o la sua distruzione. Impersonavano la fede nei portenti, anche se l’osservatore più acuto, non sapendo di più di quel che vedeva, non avrebbe potuto dire se si trattava di gioia o di dolore. Comunque, o l’una o l’altro dovevano essere estremi. Entra un altro gentiluomo Ecco un gentiluomo che per fortuna ne saprà di più. Novità, Ruggero? SECONDO GENTILUOMO
Solo fuochi di gioia. L’oracolo si è avverato. La figlia del re è stata ritrovata. All’ultimo momento è scoppiato un tale tripudio che gli autori di ballate non ce la fanno a descriverlo tutto169. Entra un altro gentiluomo 1461
Shakespeare IV.indb 1461
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 2
Here comes the Lady Paulina’s steward. He can deliver you more. — How goes it now, sir? This news which is called true is so like an old tale that the verity of it is in strong suspicion. Has the King found his heir? THIRD GENTLEMAN Most true, if ever truth were pregnant by circumstance. That which you hear you’ll swear you see, there is such unity in the proofs. The mantle of Queen Hermione’s, her jewel about the neck of it, the letters of Antigonus found with it, which they know to be his character; the majesty of the creature, in resemblance of the mother; the affection of nobleness which nature shows above her breeding, and many other evidences proclaim her with all certainty to be the King’s daughter. Did you see the meeting of the two kings? SECOND GENTLEMAN No. THIRD GENTLEMAN Then have you lost a sight which was to be seen, cannot be spoken of. There might you have beheld one joy crown another, so and in such manner that it seemed sorrow wept to take leave of them, for their joy waded in tears. There was casting up of eyes, holding up of hands, with countenance of such distraction that they were to be known by garment, not by favour. Our king being ready to leap out of himself for joy of his found daughter, as if that joy were now become a loss cries, ‘O, thy mother, thy mother!’, then asks Bohemia forgiveness, then embraces his son-in-law, then again worries he his daughter with clipping her. Now he thanks the old shepherd, which stands by like a weather-bitten conduit of many kings’ reigns. I never heard of such another encounter, which lames report to follow it, and undoes description to do it. SECOND GENTLEMAN What, pray you, became of Antigonus, that carried hence the child? THIRD GENTLEMAN Like an old tale still, which will have matter to rehearse though credit be asleep and not an
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Ecco il maggiordomo della signora Paolina, da lui altre novità. Cosa sta succedendo, signore? Quest’ultima che si annuncia vera è così simile a una vecchia favola che la sua autenticità è molto sospetta. Il re ha trovato il suo erede? TERZO GENTILUOMO
È verissima, se mai verità fu confermata dai fatti. Ciò che udirete giurerete di averlo visto, tanto coincidono tutte le prove. Il mantello della regina Ermione, e al collare il suo gioiello; le lettere di Antigono trovate lì accanto, la scrittura riconosciuta come sua; la maestà della ragazza, in questo simile alla madre; la dotazione di nobiltà che la natura mostra al di sopra della sua condizione, e molte altre prove la proclamano con tutta certezza la figlia del re. E avete visto l’incontro fra i due sovrani? SECONDO GENTILUOMO
No. TERZO GENTILUOMO
Allora vi siete persi uno spettacolo tutto da vedere: non lo si può descrivere a parole. Avreste visto una gioia coronarne un’altra, in modo che la tristezza sembrava piangere nell’accomiatarsi da loro, e nelle lacrime nuotavano le loro gioie. C’erano occhi levati al cielo, mani protese, gente talmente esagitata da essere riconoscibile dall’abito piuttosto che dall’aspetto. Il re, fuori di sé dalla gioia di aver ritrovato sua figlia, come se quella gioia fosse mescolata a una perdita grida: “Oh, tua madre, tua madre!”, poi chiede perdono a Boemia, poi abbraccia suo genero, poi di nuovo soffoca la figlia di abbracci. Ora ringrazia il vecchio pastore, che resta lì rigido come un doccione consumato dalle intemperie, che molti regni ha visto passare. Non ho mai sentito di un incontro simile, così capace di azzoppare il racconto che pretende di esporlo, e di rovinare la descrizione che se ne vuole dare. SECONDO GENTILUOMO
E vi prego, cosa è avvenuto di Antigono, che ha portato via la bambina? TERZO GENTILUOMO
Ancora come in una vecchia favola che ha sempre fi lo da tessere, anche se la riflessione sonnecchia e nessuno più ascolta. È stato
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ear open. He was torn to pieces with a bear. This avouches the shepherd’s son, who has not only his innocence, which seems much, to justify him, but a handkerchief and rings of his, that Paulina knows. FIRST GENTLEMAN What became of his barque and his followers? THIRD GENTLEMAN Wrecked the same instant of their master’s death, and in the view of the shepherd; so that all the instruments which aided to expose the child were even then lost when it was found. But O, the noble combat that ’twixt joy and sorrow was fought in Paulina! She had one eye declined for the loss of her husband, another elevated that the oracle was fulfi lled. She lifted the Princess from the earth, and so locks her in embracing as if she would pin her to her heart, that she might no more be in danger of losing. FIRST GENTLEMAN The dignity of this act was worth the audience of kings and princes, for by such was it acted. THIRD GENTLEMAN One of the prettiest touches of all, and that which angled for mine eyes — caught the water, though not the fish — was when at the relation of the Queen’s death, with the manner how she came to’t bravely confessed and lamented by the King, how attentiveness wounded his daughter till from one sign of dolour to another she did, with an ‘Alas’, I would fain say bleed tears; for I am sure my heart wept blood. Who was most marble there changed colour. Some swooned, all sorrowed. If all the world could have seen’t, the woe had been universal. FIRST GENTLEMAN Are they returned to the court? THIRD GENTLEMAN No. The Princess, hearing of her mother’s statue, which is in the keeping of Paulina, a piece many years in doing, and now newly performed by that rare Italian master Giulio Romano, who, had he himself eternity and could put breath into his work, would beguile nature of her custom, so perfectly he is
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fatto a pezzi da un orso, secondo quanto afferma il figlio del pastore, confermato non soltanto dalla sua ingenuità che sembra a tutta prova, ma da un fazzoletto e da certi anelli che Paolina ha riconosciuto. PRIMO GENTILUOMO
E cosa ne è della sua nave e di quelli che erano con lui? TERZO GENTILUOMO
Naufragati sotto gli occhi del pastore, nello stesso istante della morte di chi li comandava; così tutti i fattori che contribuirono all’abbandono della bambina andarono persi quando lei fu ritrovata. Ma – oh, la nobile battaglia fra gioia e sofferenza che si combatteva in Paolina! Ora volgeva lo sguardo in basso per la perdita del marito, ora in alto per il compimento dell’oracolo170. Così solleva da terra la principessa, e la stringe di abbracci come se volesse appuntarsela sul cuore, che non corra più pericolo di perdersi. PRIMO GENTILUOMO
La dignità di questa scena meritava un pubblico di re e principi, e infatti da loro era recitata!171 TERZO GENTILUOMO
Uno dei momenti più incantevoli – una lenza da pesca per i miei occhi, che però ha pescato solo acqua, e nessun pesce – fu quando il racconto della morte della regina, e di come ci arrivò, col re che coraggiosamente la confessava e deprecava, molto colpì l’attenzione della figlia. Che passando da un segno di dolore all’altro finì col pronunciare un “Ahimè” e, vorrei dire, col sanguinare lacrime, ciò che al mio cuore fece lacrimare sangue. Chi fino allora fosse rimasto di marmo cambiò colore. Qualcuno svenne, tutti erano in pena. Se tutto il mondo avesse potuto assistervi, il dolore sarebbe stato universale. PRIMO GENTILUOMO
Sono ritornati a corte? TERZO GENTILUOMO
No. La principessa ha saputo di una statua di sua madre, ora in possesso di Paolina, un’opera costata molti anni di lavoro, e da poco finita da quel raro maestro italiano, Giulio Romano172, che se avesse lui stesso il dono dell’eternità e la capacità di infondere il respiro nelle sue opere toglierebbe lavoro alla natura, tanto perfettamente la 1465
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her ape. He so near to Hermione hath done Hermione that they say one would speak to her and stand in hope of answer. Thither with all greediness of affection are they gone, and there they intend to sup. SECOND GENTLEMAN I thought she had some great matter there in hand, for she hath privately twice or thrice a day, ever since the death of Hermione, visited that removed house. Shall we thither, and with our company piece the rejoicing? FIRST GENTLEMAN Who would be thence, that has the benefit of access? Every wink of an eye some new grace will be born. Our absence makes us unthrifty to our knowledge. Let’s along. Exeunt Gentlemen AUTOLYCUS Now, had I not the dash of my former life in me, would preferment drop on my head. I brought the old man and his son aboard the Prince; told him I heard them talk of a fardel, and I know not what. But he at that time over-fond of the shepherd’s daughter — so he then took her to be — who began to be much seasick, and himself little better, extremity of weather continuing, this mystery remained undiscovered. But ’tis all one to me, for had I been the finder-out of this secret it would not have relished among my other discredits. Enter the Old Shepherd and the Clown, dressed as gentlemen Here come those I have done good to against my will, and already appearing in the blossoms of their fortune. OLD SHEPHERD Come, boy; I am past more children, but thy sons and daughters will be all gentlemen born. CLOWN (to Autolycus) You are well met, sir. You denied to fight with me this other day because I was no gentleman born. See you these clothes? Say you see them not, and think me still no gentleman born. You were best say these robes are not gentlemen born. Give me the lie, do, and try whether I am not now a gentleman born.
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imita. E ha eseguito un’Ermione tanto simile a Ermione che, si dice, indurrebbe a parlarle, restando in attesa della risposta. Là si sono recati mossi dall’affetto, e là intendono cenare. SECONDO GENTILUOMO
Pensavo che ci fosse là qualcosa di importante, perché, da quando Ermione morì, lei173 si è recata da sola a quella casa sperduta due o tre volte al giorno. Vogliamo andarci anche noi, a rallegrare la riunione con la nostra compagnia? PRIMO GENTILUOMO
Chi, avendo il privilegio dell’accesso, ne starebbe lontano? A ogni battito di ciglia nasce una nuova grazia. L’assenza ci priva dell’occasione di saperne di più. Andiamo. Escono i gentiluomini AUTOLICO
Se non fosse per la magagna della mia vita finora, questo sarebbe il momento che il favore mi calerebbe addosso. Ho portato il vecchio e suo figlio a bordo della nave del principe; a lui ho detto che li avevo sentiti parlare di un fagotto, e non so cos’altro. Ma era infatuato della figlia del pastore – che tale allora la considerava – la quale cominciò a patire per il mal di mare, e lui stesso non stava molto meglio; e col tempaccio che faceva il mistero rimase irrisolto. Ma per me fa lo stesso: se fossi stato io a scoprire il segreto, poco ne avrei ricavato data la mia reputazione. Entrano il Vecchio pastore e il Contadino, vestiti sontuosamente Ecco quelli a cui ho fatto del bene senza volerlo, ed eccoli apparire nel pieno fiorire della fortuna. VECCHIO PASTORE
Vieni, ragazzo; io son vecchio per aver figli, ma i tuoi, maschi e femmine, nasceranno tutti gentiluomini174. CONTADINO (a Autolico) Felice incontro, signore. L’altro giorno vi siete rifiutato di battervi con me perché non ero un gentiluomo nato. Vedete questi panni? Ditemi che non li vedete, e che ancora non mi considerate un gentiluomo nato. Fareste meglio a dire che questi panni non sono gentiluomini nati. Dunque sbugiardatemi, fatelo, e vedrete se ora sono o non sono un gentiluomo nato. 1467
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 2
AUTOLYCUS I know you are now, sir, a gentleman born. CLOWN Ay, and have been so any time these four hours. OLD SHEPHERD And so have I, boy. CLOWN So you have; but I was a gentleman born before
my father, for the King’s son took me by the hand and called me brother; and then the two kings called my father brother; and then the Prince my brother and the Princess my sister called my father father; and so we wept; and there was the first gentleman-like tears that ever we shed. OLD SHEPHERD We may live, son, to shed many more. CLOWN Ay, or else ’twere hard luck, being in so preposterous estate as we are. AUTOLYCUS I humbly beseech you, sir, to pardon me all the faults I have committed to your worship, and to give me your good report to the Prince my master. OLD SHEPHERD Prithee, son, do, for we must be gentle now we are gentlemen. CLOWN Thou wilt amend thy life? AUTOLYCUS Ay, an it like your good worship. CLOWN Give me thy hand. I will swear to the Prince thou art as honest a true fellow as any is in Bohemia. OLD SHEPHERD You may say it, but not swear it. CLOWN Not swear it now I am a gentleman? Let boors and franklins say it; I’ll swear it.
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 2
AUTOLICO
Io so, signore, che voi ora siete un gentiluomo nato. CONTADINO
Già, e lo sono continuativamente da quattro ore. VECCHIO PASTORE
E io altrettanto, ragazzo. CONTADINO
Giusto, ma io ero un gentiluomo nato prima di mio padre, perché il figlio del re mi ha preso per mano e mi ha chiamato fratello; dopodiché il principe mio fratello e la principessa mia sorella hanno chiamato padre mio padre, e ci siamo messi a piangere; erano le prime lacrime da gentiluomini che abbiamo mai versato. VECCHIO PASTORE
E nella vita possiamo, figliolo, versarne molte di più. CONTADINO
Già, altrimenti ciao fortuna, la nostra situazione essendo così sconsiderata175. AUTOLICO
Vi supplico umilmente, signore, di perdonare gli errori che ho commesso nei confronti di vostra signoria, e di mettere per me una buona parola presso il principe mio padrone. VECCHIO PASTORE
Ti prego, figliolo, fai così, perché dobbiamo essere gentili, ora che siamo gentiluomini. CONTADINO
Tu cambierai vita? AUTOLICO
Certo, se così piace a vostra signoria. CONTADINO
Dammi la mano. Giurerò al principe che sei il tipo più onesto e leale che ci sia in Boemia. VECCHIO PASTORE
Questo puoi dirlo, ma non giurarlo. CONTADINO
Non posso forse giurarlo ora che sono un gentiluomo? Lo dicano i villici e i burini, io lo giuro!
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
OLD SHEPHERD How if it be false, son?
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CLOWN If it be ne’er so false, a true gentleman may swear
it in the behalf of his friend, (to Autolycus) and I’ll swear to the Prince thou art a tall fellow of thy hands and that thou wilt not be drunk; but I know thou art no tall fellow of thy hands and that thou wilt be drunk; but I’ll swear it, and I would thou wouldst be a tall fellow of thy hands. AUTOLYCUS I will prove so, sir, to my power. CLOWN Ay, by any means prove a tall fellow. If I do not wonder how thou dar’st venture to be drunk, not being a tall fellow, trust me not.
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[Flourish within] Hark, the kings and princes, our kindred, are going to see the Queen’s picture. Come, follow us. We’ll be thy good masters. Exeunt 5.3
Enter Leontes, Polixenes, Florizel, Perdita, Camillo, Paulina, Lords, and attendants
LEONTES
O grave and good Paulina, the great comfort That I have had of thee! PAULINA What, sovereign sir, I did not well, I meant well. All my services You have paid home, but that you have vouchsafed With your crowned brother and these young contracted ae Heirs of your kingdoms my poor house to visit, It is a surplus of your grace which never My life may last to answer. LEONTES O Paulina, We honour you with trouble. But we came To see the statue of our queen. Your gallery
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5. Young contracted heirs: questa ed.; in F your contracted heirs = “i vostri riconosciuti eredi”. 1470
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
VECCHIO PASTORE
E se poi è falso, figliolo? CONTADINO
Sia pure falso quanto vuole, ma un vero gentiluomo lo può giurare per aiutare un amico, (a Autolico) e io giurerò al principe che tu ci sai fare con le mani e che non ti ubriachi, pur sapendo che non ci sai fare con le mani e che ti ubriachi; ma io giurerò, e vorrei che con le mani tu ci sapessi fare176. AUTOLICO
Farò il possibile, signore, per dimostrare che ce la posso fare. CONTADINO
Bene, devi far vedere che sei in gamba. Non fidarti più di me se non mi sorprendo a vederti ubriaco senza saperti un tipo in gamba. [Squilli di tromba da dentro] Attenti, i re e principi nostri parenti vanno a vedere il ritratto della regina. Vieni, seguici. Saremo i tuoi buoni padroni. Escono V, 3
Entrano Leonte, Polissene, Florizel, Perdita, Camillo, Paolina, signori e seguito177
LEONTE
Oh giusta e brava Paolina, quale grande consolazione mi hai dato! PAOLINA
Maestà, ciò che non ho fatto bene, bene era invece inteso. Tutti i miei servigi voi li avete ripagati. Ma ora che avete acconsentito, col vostro incoronato fratello e questi giovani riconosciuti vostri eredi, a visitare la mia povera casa, questo è un sovrappiù della vostra benevolenza e non avrò vita abbastanza per ricambiarlo. LEONTE
Oh Paolina, noi vi onoriamo incomodandovi. Ma eccoci venuti a vedere la statua della nostra regina. Abbiamo percorso la vostra
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
Have we passed through, not without much content In many singularities; but we saw not That which my daughter came to look upon, The statue of her mother. PAULINA As she lived peerless, So her dead likeness I do well believe Excels what ever yet you looked upon, Or hand of man hath done. Therefore I keep it Lonely, apart. But here it is. Prepare af To see the life as lively mocked as ever Still sleep mocked death. Behold, and say ’tis well.
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She draws a curtain and reveals the figure of Hermione, standing like a statue I like your silence; it the more shows off Your wonder. But yet speak; first you, my liege. Comes it not something near? LEONTES Her natural posture. Chide me, dear stone, that I may say indeed Thou art Hermione; or rather, thou art she In thy not chiding, for she was as tender As infancy and grace. But yet, Paulina, Hermione was not so much wrinkled, nothing So agèd as this seems. POLIXENES O, not by much.
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PAULINA
So much the more our carver’s excellence, Which lets go by some sixteen years, and makes her As she lived now. LEONTES As now she might have done, So much to my good comfort as it is Now piercing to my soul. O, thus she stood, Even with such life of majesty — warm life, As now it coldly stands — when first I wooed her. I am ashamed. Does not the stone rebuke me
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18. Lonely: emend. tardo; in F lovely = “bella”. 1472
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
galleria non senza grande ammirazione per molte rarità; ma non abbiamo visto quella che mia figlia è venuta a contemplare, la statua di sua madre. PAOLINA
Com’essa fu ineguagliabile da viva, così credo di poter dire che la sua immagine da morta eccelle ogni cosa che abbiate visto finora, o che mano di uomo abbia eseguito. Perciò io la tengo isolata, da parte. Ma eccola: preparatevi a contemplare la vita così fedelmente imitata come mai il sonno imitò la morte178. Guardate, e ditemi se non è vero! Paolina tira una tenda e rivela la figura di Ermione in atteggiamento statuario Mi piace il vostro silenzio, rivela del tutto la vostra meraviglia; e tuttavia, mio signore, parlate voi per primo. Non è somigliante? LEONTE
È la sua posa naturale! Rimproverami, pietra amata, che io possa dire davvero che sei Ermione; o piuttosto, sei lei proprio perché non mi rimproveri! Lei era dolce quanto l’infanzia e la grazia. E però, Paolina, Ermione non ha mai avuto tante rughe, non era così anziana come qui appare! POLISSENE
Oh, no davvero! PAOLINA
Tanto migliore è la maestria del nostro scultore, che fa passare sedici anni, e la ritrae come se fosse viva in questo momento. LEONTE
Se così fosse, tanto mi conforterebbe quanto ora mi trafigge il cuore. Ah, così eretta stava lei la prima volta che le parlai, proprio con quest’aria maestosa – calda di vita, come ora è fredda –! Provo vergogna: non mi rimprovera forse la pietra per essere più
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
For being more stone than it? O royal piece! There’s magic in thy majesty, which has My evils conjured to remembrance, and From thy admiring daughter took the spirits, Standing like stone with thee. PERDITA And give me leave, And do not say ’tis superstition, that I kneel and then implore her blessing. Lady, Dear Queen, that ended when I but began, Give me that hand of yours to kiss. PAULINA O, patience! The statue is but newly fixed; the colour’s Not dry. CAMILLO (to Leontes) My lord, your sorrow was too sore laid on, Which sixteen winters cannot blow away, So many summers dry. Scarce any joy Did ever so long live; no sorrow But killed itself much sooner. POLIXENES (to Leontes) Dear my brother, Let him that was the cause of this have power To take off so much grief from you as he Will piece up in himself. PAULINA (to Leontes) Indeed, my lord, If I had thought the sight of my poor image Would thus have wrought you — for the stone is mine — I’d not have showed it. She makes to draw the curtain LEONTES Do not draw the curtain.
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PAULINA
No longer shall you gaze on’t, lest your fancy May think anon it moves. LEONTES Let be, let be! Would I were dead but that methinks already. What was he that did make it? See, my lord, Would you not deem it breathed, and that those veins Did verily bear blood?
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
pietra di lei? Oh regale capolavoro! C’è magia nella tua maestà, che evochi al ricordo i miei peccati, e ora sottrai ogni forza a tua figlia, che l’ammirazione rende immobile come pietra, insieme a te. PERDITA
E consentitemi, e non dite che è superstizione179, di inginocchiarmi e di implorare la sua benedizione. Signora, cara regina, che finiste quando io appena cominciavo, lasciate che vi baci la mano. PAOLINA
Un po’ di pazienza! La statua è appena stata dipinta180, e il colore non è ancora secco. CAMILLO (a Leonte) Mio signore, troppo a fondo si radicò il vostro dolore, che sedici inverni non poterono cancellare, né altrettante estati asciugare. Poche gioie vissero mai così a lungo, né dolore si spense mai assai prima del vostro. POLISSENE (a Leonte) Fratello mio caro, concedete a colui che fu la causa di tutto questo, il potere di sollevarvi della vostra pena, per addossarla a se stesso181. PAOLINA (a Leonte) Davvero, mio signore, se avessi immaginato che la vista della mia povera statua – mia è infatti questa pietra – vi avrebbe tanto sconvolto, non ve l’avrei mostrata. Fa per chiudere la tenda LEONTE
Non chiudete quella tenda! PAOLINA
Non la dovete più fissare in quel modo, o la vostra fantasia si illuderà che si muova! LEONTE
Ma è così, è così! Vorrei morire se già non penso che si muova! Cos’era182 chi l’ha scolpita? Guardate, signor mio, non vi pare che respiri, e che in quelle vene scorra veramente il sangue?
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
Masterly done. The very life seems warm upon her lip.
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LEONTES
The fixture of her eye has motion in’t, ag As we are mocked with art. PAULINA I’ll draw the curtain. My lord’s almost so far transported that He’ll think anon it lives. LEONTES O sweet Paulina, Make me to think so twenty years together. No settled senses of the world can match The pleasure of that madness. Let’t alone.
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PAULINA
I am sorry, sir, I have thus far stirred you; but I could afflict you farther. LEONTES Do, Paulina, For this affliction has a taste as sweet As any cordial comfort. Still methinks There is an air comes from her. What fine chisel Could ever yet cut breath? Let no man mock me, For I will kiss her. PAULINA Good my lord, forbear. The ruddiness upon her lip is wet. You’ll mar it if you kiss it, stain your own With oily painting. Shall I draw the curtain?
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LEONTES
No, not these twenty years. PERDITA
So long could I
Stand by, a looker-on. Either forbear, Quit presently the chapel, or resolve you For more amazement. If you can behold it, I’ll make the statue move indeed, descend,
PAULINA
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67. Fixture: così in F, nel ‘600 variante di fixure = “fissità”. 1476
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
POLISSENE
Un’opera magistrale. La vita stessa sembra dar calore alle sue labbra. LEONTE
La fissità dei suoi occhi esprime movimento, tanto ci inganna l’arte! PAOLINA
Chiudo la tenda. Il mio signore è tanto affascinato che presto la crederà viva! LEONTE
Oh dolce Paolina, fatemelo credere per altri vent’anni. Non esiste saggezza del mondo che valga il piacere di questa follia. Lasciatela com’è. PAOLINA
Mi dispiace, signore, di avervi emozionato a tal punto; ma potrei turbarvi ancora di più. LEONTE
Fatelo, Paolina, perché questo turbamento ha un sapore dolce, sollievo del cuore. Eppure mi sembra che lei respiri. Quale sopraffino scalpello potrebbe mai scolpire il fiato? Nessuno si burli di me, io la voglio baciare! PAOLINA
Fermo là, mio buon signore. Il rosso delle labbra è ancora umido; baciandolo lo rovinate, e macchiate le vostre con l’olio della pittura. Posso chiudere la tenda? LEONTE
No, per almeno vent’anni! PERDITA
Tanto a lungo potrei rimanere io a contemplarla. PAOLINA
Adesso: o abbandonate la cappella, o vi preparate a nuovi prodigi. Se riuscite a sopportarlo, io farò muovere la statua, che realmente
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
And take you by the hand. But then you’ll think — Which I protest against — I am assisted By wicked powers. LEONTES What you can make her do I am content to look on; what to speak, I am content to hear; for ’tis as easy To make her speak as move. PAULINA It is required You do awake your faith. Then, all stand still. Or those that think it is unlawful business ah I am about, let them depart. LEONTES Proceed. No foot shall stir. PAULINA Music; awake her; strike!
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Music (To Hermione) ’Tis time. Descend. Be stone no more. Approach. Strike all that look upon with marvel. Come, I’ll fill your grave up. Stir. Nay, come away. Bequeath to death your numbness, for from him Dear life redeems you. (To Leontes) You perceive she stirs.
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Hermione slowly descends Start not. Her actions shall be holy as You hear my spell is lawful. Do not shun her Until you see her die again, for then You kill her double. Nay, present your hand. When she was young, you wooed her. Now, in age, Is she become the suitor? LEONTES O, she’s warm! If this be magic, let it be an art Lawful as eating. POLIXENES She embraces him.
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96. Or, those…: emend. tardo. In F On: those… = “Avanti, [si allontani chi pensa…]” 1478
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
scenda e vi prenda per mano. Ma allora voi penserete – ciò contro cui mi premunisco – che mi assistano i poteri del male. LEONTE
Qualsiasi cosa possiate farle fare, io sarò felice di osservarla; qualsiasi cosa possiate farle dire, io sarò felice di udirla: farla parlare dev’essere facile come farla muovere. PAOLINA
È necessario che la fede prenda possesso di voi tutti. E adesso, fermi. Chi pensa che sia illecito ciò che sto per fare si allontani. LEONTE
Procedete. Nessuno muova un passo. PAOLINA
Musica, svegliala, avanti! Musica183 (A Ermione) È tempo. Scendete, non siate più pietra. Avvicinatevi. Riempite di stupore tutti gli astanti. Avanti, sarà mio compito di richiudere la vostra tomba. Muovete, avanzate. Cedete alla morte ogni torpore: da quella184 vi redima, calda, la vita. (A Leonte) Vedete, si muove! Ermione scende lentamente dal piedistallo Non abbiate paura. I suoi atti saranno tanto sacri quanto, vi dico, è lecito il mio incantesimo. Non lasciatela finché non la vedrete morire di nuovo, la uccidereste due volte185. Su, datele la mano. Quand’era giovane l’avete corteggiata. Ora sta forse a lei di corteggiare voi? LEONTE
Oh, è calda! Se questa è magia, che sia un’arte lecita come il mangiare! POLISSENE
Lei lo abbraccia!
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
CAMILLO She hangs about his neck.
If she pertain to life, let her speak too. POLIXENES
Ay, and make it manifest where she has lived, Or how stol’n from the dead. PAULINA That she is living, Were it but told you, should be hooted at Like an old tale. But it appears she lives, Though yet she speak not. Mark a little while. (To Perdita) Please you to interpose, fair madam. Kneel, And pray your mother’s blessing. — Turn, good lady, Our Perdita is found. HERMIONE You gods, look down, And from your sacred vials pour your graces Upon my daughter’s head. — Tell me, mine own, Where hast thou been preserved? Where lived? How found Thy father’s court? For thou shalt hear that I, Knowing by Paulina that the oracle Gave hope thou wast in being, have preserved Myself to see the issue. PAULINA There’s time enough for that, Lest they desire upon this push to trouble Your joys with like relation. Go together, You precious winners all; your exultation Partake to everyone. I, an old turtle, Will wing me to some withered bough, and there My mate, that’s never to be found again, Lament till I am lost. LEONTES O peace, Paulina! Thou shouldst a husband take by my consent, As I by thine a wife. This is a match, And made between’s by vows. Thou hast found mine, But how is to be questioned, for I saw her, As I thought, dead, and have in vain said many A prayer upon her grave. I’ll not seek far —
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
CAMILLO
Gli si stringe al collo. Se appartiene alla vita, che parli! POLISSENE
Sì, e che riveli dove ha vissuto, e come fu sottratta alla morte! PAOLINA
Se qualcuno vi raccontasse che è viva, ve ne fareste beffe come per una vecchia favola186. Eppure appare proprio viva, anche se non parla. Ma fate un po’ di attenzione. (A Perdita) Vi prego, fatevi avanti, bella dama. Inginocchiatevi, e pregate vostra madre di benedirvi. E voi voltatevi, buona signora187. La nostra Perdita è ritrovata. ERMIONE
Dei del cielo, volgete lo sguardo quaggiù, e dalle vostre sacre ampolle versate grazie sul capo di mia figlia. Ma dimmi, mia cara, dove ti sei salvata? Dove hai vissuto? Come hai ritrovato la corte di tuo padre? Tu udrai che io, saputo da Paolina che l’oracolo dava speranza che tu fossi viva, mi sono tenuta in vita per vedere questo finale. PAOLINA
Ci sarà tempo per questo, altrimenti saremmo indotti a turbare la vostra gioia con un simile racconto. Voi, preziosi vincitori, andate tutti insieme, a condividere con tutti gli altri la vostra esultanza. Io, da vecchia tortora188, volerò su qualche ramo rinsecchito, a lamentare il mio compagno che mai più sarà ritrovato, fino alla mia fine. LEONTE
Zitta, Paolina! Tu devi farti un marito col mio consenso, come io una moglie con il consenso tuo. Questo è un patto, fra noi suggellato con giuramenti. Tu me l’hai trovata, ma incerto è il come, poiché io l’ho vista, come credevo, morta, ed ho invano detto molte preghiere sulla sua tomba. Non ho da cercare lontano – il
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THE WINTER’S TALE, ACT 5 SCENE 3
For him, I partly know his mind — to find thee An honourable husband. Come, Camillo, And take her by the hand, whose worth and honesty Is richly noted, and here justified By us, a pair of kings. Let’s from this place. (To Hermione) What, look upon my brother. Both your pardons, That e’er I put between your holy looks My ill suspicion. This’ your son-in-law And son unto the King, whom heavens directing Is troth-plight to your daughter. Good Paulina, Lead us from hence, where we may leisurely Each one demand and answer to his part Performed in this wide gap of time since first We were dissevered. Hastily lead away. Exeunt
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RACCONTO D’INVERNO, ATTO V SCENA 3
suo pensiero in parte lo conosco – per trovarti un degno marito. Camillo, avvicinati, e prendila per mano, tu189 il cui merito e onestà sono abbondantemente noti, e qui garantiti da noi, una coppia di re. Orsù, lasciamo questo luogo. (A Ermione) Volgete gli occhi a mio fratello. Chiedo a tutti e due di perdonarmi, per aver mai interposto fra i vostri sguardi innocenti il mio maligno sospetto. Questo è vostro genero, figlio di re, che sotto la guida del cielo è promesso a vostra figlia. Buona Paolina, accompagnaci fuori, dove potremo a nostro agio interrogarci sul ruolo che ciascuno ha avuto in questo ampio intervallo di tempo, da quando fummo separati. Presto, usciamo! Escono
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Cymbeline Cimbelino Testo inglese a cura di GARY TAYLOR Nota introduttiva, traduzione e note di DANIELE BORGOGNI
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Nota introduttiva
Cimbelino è una delle opere teatrali di Shakespeare più difficilmente classificabili, a cominciare dal genere letterario di appartenenza: il Catalogue del Folio la inserisce tra le Tragedies e sulla prima pagina l’intestazione recita The tragedie of Cymbeline, ma si tratta di una collocazione chiaramente strumentale; parimenti, l’ormai consolidata prassi di annetterla all’eterogeneo gruppo delle tragicommedie o dei drammi romanzeschi è per certi versi opinabile, date le sue caratteristiche così idiosincratiche. Quanto all’esito, Cimbelino è sempre stato ritenuto un frutto mal riuscito dell’ultima produzione shakespeariana. A rovinarne la reputazione hanno contribuito alcune particolarità del tutto inusitate, come la costruzione di una vicenda che, al di là della fisiologica commistione di generi e temi tipica dei romance, appare assolutamente irrealistica. L’alta improbabilità degli eventi è resa ancora più evidente da contrasti e cambiamenti parossistici, che investono tutti i personaggi ed esasperano lo spettatore quasi quanto la struttura complessiva dell’opera, ben poco equilibrata e culminante in un’ipertrofica scena finale nella quale qualche zelante critico ha contato oltre venti “rivelazioni”. A ciò si aggiunge uno stile spesso approssimativo e talvolta irregolare anche dal punto di vista metrico, che, insieme alla presenza di numerosi altri passi ritenuti troppo sciatti per essere di Shakespeare, ha indotto i commentatori a proporre emendamenti più o meno consistenti nel tentativo di “normalizzare” un testo che appariva troppo dissonante e irregolare rispetto ad altri del grande Bardo. E che dire dei protagonisti, poco riusciti al punto da sembrare copie sbiadite di altri immortali personaggi shakespeariani? Postumo nella sua 1487
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gelosia è una pallida copia di Leonte e Otello; Giacomo incarna lo stereotipo dell’italiano machiavellico ma non può reggere alcun confronto con Iago; Cloten, pur presentando tratti originali, è caratterizzato da una arrogante stupidità che lo fa oscillare costantemente tra la comicità e la malvagità bestiale; la regina ha evidenti tratti in comune con le sue malefiche omologhe dei racconti popolari (infatti non ha nome), ma non ha nulla della diabolica grandezza di Lady Macbeth; il re eponimo ha un ruolo secondario e un suo raffronto con altri sovrani shakespeariani è del tutto improponibile. Di fronte a tali mancanze, qualche critico ha proposto la definizione di “opera sperimentale”, un’etichetta fin troppo comoda e in molti casi apologetica per attenuare il giudizio negativo su un dramma da molti bollato come minore e sostanzialmente fallimentare. In realtà, tale definizione andrebbe presa più seriamente, come effettiva descrizione di un testo che deve essere letto e giudicato come un vero esperimento, cioè abbandonando almeno in parte le false aspettative e i paradigmi critici basati su precedenti opere shakespeariane. Adottando tale prospettiva, infatti, il testo mostra caratteristiche decisamente diverse: delinea i contorni degli abissi del linguaggio e mira a produrre non un senso ma un centone di allusioni e ambivalenze che, facendo giocare tra loro dei puri segni, desemantizza il mondo e ne ostacola l’interpretazione, allo scopo di far intuire la precarietà e l’artificiosità del consolante finale e dell’impianto ideologico che lo sottende. Non stupisce che un dramma con una tale “ri-velazione” non abbia mai avuto molta fortuna né presso la critica né presso il pubblico. Del resto, non si tratta dell’opera ancora acerba di un drammaturgo in maturazione, ma di un testo composto nella fase tarda da uno scrittore perfettamente consapevole dei propri mezzi, che sentiva il bisogno di provare nuove strade contaminando generi, temi e intrecci già sperimentati in precedenza per aprire ulteriori possibilità anche a livello scenico. Cimbelino e le sue dinamiche, insomma, sono una tappa fondamentale sulla strada che porterà ad altri grandi esiti dell’ultimo teatro di Shakespeare. Data e trasmissione del testo I critici sono abbastanza unanimi nel datare l’opera intorno al 1610. Il termine ante quem è costituito dalla testimonianza del medico e astrolo1488
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go Simon Forman, il quale aveva annotato informazioni sugli spettacoli cui aveva assistito al Globe Theatre nel 1611, tra cui (senza data precisa) il Cimbelino. Il testo non presenta particolari problemi editoriali: comparve a stampa per la prima volta nel First Folio del 1623 in una trascrizione che i critici attribuiscono a Ralph Crane, il quale a sua volta si sarebbe basato su una copia redatta da due scrivani diversi (questo spiegherebbe la presenza di alcune minime varianti grafiche). L’ipotesi di un’interpolazione o di una collaborazione, proposta da alcuni critici adducendo ragioni prevalentemente stilistiche, non ha avuto molto seguito. Anche il recente New Oxford Shakespeare (2016) attribuisce il dramma interamente a Shakespeare. L’opera è divisa in atti e scene, anche se con ogni probabilità tale suddivisione non era presente nel testo originale. Rispetto al Folio e a molte edizioni moderne, l’edizione Oxford ha eliminato il cambio di scena dopo I, 1, 70 (il palcoscenico non rimane vuoto ma semplicemente entrano dei nuovi personaggi) e dopo V, 5, 93 (per convenzione un personaggio non usciva di scena per poi rientrarvi subito dopo). Adottando lo stesso criterio, è stata inserita una nuova scena dopo II, 4, 152 (al contrario, in F l’azione è continua). Rispetto alle precedenti edizioni, il testo dell’edizione Oxford ha “italianizzato” i nomi di Filario e Giacomo (quest’ultimo solitamente noto come Iachimo), ma soprattutto ha ritenuto che il nome della principessa (Imogen) fosse un refuso e lo ha emendato in Innogen. La più recente edizione Norton (2015) ripropone la forma Imogen perché più familiare per il lettore, essendo stata utilizzata per secoli nelle edizioni e nella letteratura critica ma, in effetti, il nome Innogen (che ha un evidente valore simbolico per la sua assonanza con “innocent”) ricorre in diversi testi precedenti e coevi: è attestato già nella Historia Regum Britanniae (11361147) di Geoffrey of Monmouth (in I, 10-11 “Ignoge” è la moglie di Bruto, pronipote di Enea e fondatore di Nuova Troia, la futura Londra) e anche la Faerie Queene (1590) di Edmund Spenser ricorda la storia delle origini della Britannia menzionando “Inogene of Italy” (II, x, 13) come moglie di Bruto. Il nome compare anche nelle cronache storiche (come A Chronicle at Large di Richard Grafton, 1569, o l’edizione del 1574 di A Mirror for Magistrates), in opere drammatiche (come The Triumphs of Reunited Britannia di Anthony Munday, 1605) o poetiche (come Troia 1489
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Britannica di Thomas Heywood, 1609). Innogene è, inoltre, la moglie di Leonato in Molto rumore per nulla (il nome è solitamente omesso nelle edizioni moderne perché il personaggio non recita alcuna battuta; il New Oxford Shakespeare, invece, la menziona all’inizio dell’Atto I e dell’atto II). Per una più approfondita discussione su questi problemi si rimanda al Textual Companion. Fonti Come per molte opere di Shakespeare, la ricerca delle fonti è spesso congetturale e non sempre proficua. Nel caso di Cimbelino, poi, tale lavoro è reso ancora più delicato dal fatto che i vari fi loni narrativi del testo hanno radici che affondano in secolari tradizioni popolari e letterarie. Per quanto riguarda l’ambientazione storica del dramma, un rapido accenno al re britanno Cunobelinus si trova già in Svetonio e Dione Cassio, ma la fonte principale dell’opera è costituita dalle Chronicles of England, Scotland and Ireland di Raphael Holinshed (1577, in quattro volumi poi arricchiti nell’edizione del 1587 con contributi di altri autori). Tale cronaca è confusa in più punti (per esempio sulle cause scatenanti il conflitto tra britanni e romani) e alcuni studiosi ritengono che Shakespeare abbia integrato il resoconto di Holinshed con altre cronache storiche, come le già citate Historia Regum Britanniae di Geoffrey of Monmouth, The New Chronicles of England and France (1516) di Robert Fabyan, A Chronicle at Large (1569) di Richard Grafton, nonché la celebre raccolta A Mirror for Magistrates (pubblicata per la prima volta nel 1559 ma ampliata dalle successive edizioni). Al di là di queste possibili fonti, la base storica di Cimbelino resta assai tenue: il carattere chiaramente mitico della vicenda sembra indicare il tentativo di unire la storia britannica delle origini celtiche con quella classico-romana e cristiana (secondo la tradizione, Cimbelino sarebbe vissuto negli anni a cavallo della nascita di Cristo) e alcuni critici ritengono che il personaggio della fiera moglie di Cimbelino sia ispirato alla regina guerriera Budicca-Boadicea, che guidò una rivolta contro i romani nel I secolo. Anche la scelta di Milford Haven, attorno cui ruotano alcuni momenti centrali del dramma, conferma questa attenzione simbolica, già segnalata a suo tempo da Emrys Jones (1961): proprio in tale località marittima era sbarcato nel 1485 Henry Tudor, il fondatore della dinastia di cui Giacomo I ambiva a presentarsi come nobile successore. 1490
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Dal punto di vista dell’intreccio, vi è una certa somiglianza con il Philaster (1608-10?) di Beaumont e Fletcher, ma non vi è prova definitiva che permetta di stabilire quale dei due drammi sia stato composto prima. La fonte di ispirazione principale resta, comunque, la storia di Bernabò e Zinevra raccontata nella novella IX della Seconda giornata del Decameron. Non sembra, tuttavia, che il testo di Boccaccio fosse già stato tradotto in inglese all’epoca: Shakespeare conosceva forse la traduzione francese di Antoine Le Maçon, ma appare più probabile che si sia ispirato a un racconto quattrocentesco anonimo, Frederyke of Jennen, pubblicato per la prima volta ad Anversa nel 1518 e poi riedito nel 1560. Il testo è una versione meno apprezzabile e più lunga della storia originale, era assai popolare nell’Inghilterra elisabettiana e presenta puntuali riscontri con la vicenda di Cimbelino. Altre probabili fonti sono alcuni romanzi medievali francesi del XIII secolo, come i celebri Girart de Nevers ou Roman de la Violette di Gyrbert de Montreuil e Les Miracles de Nostre-Dame di Gautier de Coincy, ma è forse più corretto dire che l’intera tradizione del romance medievale e rinascimentale costituisce lo sfondo intertestuale di Cimbelino: sono evidenti alcune allusioni alle Etiopiche di Eliodoro (il romanzo greco che dopo la traduzione di Thomas Underdowne del 1569 godeva di ampia popolarità in Inghilterra), così come all’anonimo dramma allegorico The Rare Triumphs of Love and Fortune (pubblicato nel 1589 ma verosimilmente già messo in scena nel 1582), che tornò in auge in epoca giacomiana e che è la probabile fonte della separazione tra Innogene e Postumo in I, 1 e dell’apparizione di Giove in V, 5. Anche le scene ambientate nel Galles, in particolare quelle di Innogene nella caverna, hanno il precedente illustre dell’episodio di Erminia tra i pastori nel canto VII della Gerusalemme Liberata (tradotta da Edward Fairfax nel 1600). La vicenda La vicenda è ambientata nella Britannia del I secolo a.C. colonizzata dai romani. La principessa Innogene si è segretamente sposata con Postumo Leonato, un gentiluomo in disgrazia, scatenando le ire del padre, il re dei britanni Cimbelino, e della sua nuova moglie, che sperava di darla in sposa al figlio Cloten, spregevole e volgare. Postumo viene quindi bandito e si rifugia presso un amico a Roma (I, 1). Dopo due brevi scene in cui vengono presentati Cloten (I, 2) e il servo di Postumo, Pisanio (I, 3), 1491
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l’azione si sposta a Roma, dove Postumo incontra alcuni gentiluomini, tra cui Giacomo, e si lascia trascinare in una scommessa sulla fedeltà della moglie (I, 4). A corte, intanto, la regina ordisce le proprie trame e consegna a Pisanio un cofanetto facendogli credere che contenga una pozione rinfrancante. La regina è convinta che si tratti di un potente veleno, ma in realtà è un farmaco che provoca solo una morte apparente (I, 5). Giacomo giunge alla corte britanna e cerca di sedurre Innogene. Respinto, con una scusa le chiede di custodire un baule per la notte (I, 6). Dopo un’altra breve scena in cui Cloten viene mostrato in tutta la sua arroganza e ottusità (II, 1), l’azione si sposta nella stanza di Innogene: quando la giovane si addormenta, Giacomo esce dal baule in cui si era nascosto, prende nota dell’arredamento, le sfila il braccialetto regalatole da Postumo e ritorna nel baule (II, 2). Al mattino Cloten fa suonare una serenata per Innogene che tuttavia lo respinge nuovamente (II, 3). Intanto Giacomo, tornato a Roma, fa credere a Postumo di aver realmente sedotto Innogene, mostrando come prova decisiva il braccialetto. Postumo, adirato, promette di vendicarsi (II, 4) e si lancia in una invettiva misogina (II, 5). Alla corte britanna giunge Caio Lucio, emissario di Augusto, per esigere il pagamento del tributo a Roma che Cimbelino ha cessato di versare; di fronte all’ennesimo rifiuto, viene dichiarata la guerra (III, 1). Pisanio riceve una lettera da Postumo, che gli chiede di uccidere Innogene, mentre, con un’altra lettera indirizzata a Innogene, il marito invita la moglie a raggiungerlo a Milford Haven (III, 2). La scena si sposta in Galles, in una caverna dove vive Belario con i due giovani Guiderio e Arvirago. Egli è un nobile ingiustamente esiliato venti anni prima da Cimbelino, e nel suo racconto rivela di essere stato lui, per ripicca, a rapire i due figli del re allevandoli come se fossero suoi (III, 3). Intanto Innogene e Pisanio, fuggiti segretamente dalla corte, sono giunti in Galles: Pisanio le fa leggere la lettera di Postumo e Innogene, pur sconvolta, si lascia convincere a mettersi in salvo travestendosi da uomo. Il servo le consegna anche il cofanetto che aveva ricevuto dalla regina e torna a corte (III, 4). Qui Cloten, intuendo che Pisanio sappia qualcosa della fuga di Innogene, lo minaccia e il servo finge di mettersi al suo servizio. Cloten decide di andare in Galles, uccidere Postumo e riportare Innogene a corte: in segno di spregio, farà tutto questo indossando un abito di Postumo (III, 5). Innogene travestita giunge sfinita alla caverna di Belario: viene accolta con grande benevolenza dai tre e dice di chiamarsi Fidele (III, 6). A Roma, intanto, si decide 1492
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che l’esercito d’invasione sarà rafforzato da un contingente di nobili romani (III, 7). Cloten arriva in Galles (IV, 1). Innogene, indisposta, rimane nella caverna e per curarsi prende il contenuto del cofanetto ricevuto da Pisanio, mentre Belario, Guiderio e Arvirago escono a caccia. I tre si imbattono in Cloten e Guiderio lo uccide. Al rientro scoprono il corpo inerte di Innogene-Fidele e la depongono accanto a Cloten. Innogene si sveglia e, riconoscendo gli abiti di Postumo, crede che il marito sia stato ucciso e sviene disperata. Sopraggiungono i romani e Innogene-Fidele si mette al servizio di Caio Lucio (IV, 2). Alla corte britanna si aspetta con preoccupazione l’arrivo delle legioni (IV, 3). Guiderio, Arvirago e Belario partecipano ai combattimenti a fianco dei britanni (IV, 4). Postumo, giunto in Britannia al seguito dei nobili romani e pentito per aver ordinato di uccidere la moglie, assume le sembianze di un contadino sperando di restare ucciso in combattimento (V, 1). La battaglia tra romani e britanni è vinta da questi ultimi (V, 2), (V, 3), (V, 4). Postumo incontra un nobile britanno e glie ne racconta lo svolgimento, poi decide di lasciarsi catturare. Mentre aspetta serenamente la morte, si addormenta e gli appaiono gli spettri dei familiari, che implorano Giove di dare aiuto e conforto al loro congiunto. Il dio accoglie le loro richieste e risale nei cieli dopo aver fatto deporre sul petto di Postumo una tavoletta. Questi si risveglia e legge la misteriosa iscrizione ma non riesce a comprenderla (V, 5). Cimbelino onora pubblicamente Belario, Guiderio e Arvirago. Giunge la notizia che la regina è morta e il medico ne rivela i malvagi piani. Entrano i prigionieri, tra cui Giacomo, Postumo, Innogene travestita e Caio Lucio. Giacomo è costretto a raccontare dell’inganno che ha perpetrato. Postumo si dispera per essersi lasciato ingannare e Innogene si getta su di lui per consolarlo, ma egli, non riconoscendola, la colpisce. Pisanio la soccorre e ne rivela l’identità. I due coniugi si abbracciano con la benedizione di Cimbelino. Belario svela la propria identità e quella dei due giovani. Postumo grazia Giacomo e anche Cimbelino decide di concedere a tutti il proprio perdono. L’indovino romano interpreta il messaggio della tavoletta. Cimbelino, nonostante la vittoria, accetta di pagare il tributo a Roma per dare inizio a un periodo di pace e riconciliazione (V, 6). Problematica e prospettiva critica Cimbelino non ha mai goduto di particolare fortuna critica e l’opinione dei primi commentatori è ben riassunta dalla lapidaria affermazione di 1493
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Samuel Johnson (1756), secondo il quale i difetti dell’opera sono tanti e tali che perfi no sottolinearli sarebbe uno “spreco di energie critiche”. Nel XIX secolo si è parzialmente rivalutato il testo per le sue implicazioni religiose e teologiche (con una conseguente proliferazione di letture allegoriche) ma la tendenza generale è stata quella di ritenerlo un esempio del declino nell’ispirazione drammatica di Shakespeare: è rimasta celebre la stroncatura di G. B. Shaw (1896), per il quale Cimbelino era “scritto in modo abominevole” ed “esasperante oltre ogni limite di sopportazione”. Solo nel XX secolo si è cominciato ad apprezzare maggiormente il testo, grazie ai classici studi di E. M. W. Tillyard (1938) e di G. W. Knight (1947): come altri romance shakespeariani, Cimbelino è infatti stato letto come una sorta di anatomia delle relazioni umane, esplorate in tutte le loro articolazioni e sfaccettature, da quelle private a quelle pubbliche, da quelle matrimoniali a quelle politiche. In anni più recenti, sono anche stati valorizzati l’aspetto sperimentale della struttura, la contaminazione di generi, la complessa visione storicoideologica, la dimensione metateatrale del dramma: secondo Margaret Drabble (2013), per esempio, Cimbelino anticipa il teatro pirandelliano interrogandosi sulla natura dell’artificio teatrale e presentando numerosi commenti autoreferenziali sull’implausibilità dell’intreccio e sull’incredibilità della vicenda. Il tradizionale approccio basato sullo studio dei personaggi ha sempre evidenziato lo scarso spessore, e in alcuni casi l’inconsistenza, delle figure principali, anche se Giorgio Melchiori (1981) sosteneva che Cimbelino è una sorta di trascrizione in chiave favolistica della tematica di Re Lear. L’unico personaggio che ha sempre goduto di buona critica è Innogene, modello di virtù e rispettabilità femminile, per taluni addirittura norma morale del testo: del resto, il fulcro della rete di desideri, invidie, paure, attese, guerre, riconciliazioni è appunto la principessa, nelle cui vicende personali e nel cui ruolo simbolico trova un’inusitata esemplificazione il tema caro a Shakespeare delle relazioni tra microcosmo umano e macrocosmo sociale. A dispetto della spiazzante sovrapposizione di piani cronologici differenti (Roma imperiale, Britannia mitologica, Italia rinascimentale), la dimensione “storica” del dramma, legata alle istanze politiche dell’Inghilterra del XVII secolo, è stata ampiamente sviscerata dai critici. Secondo Leah Marcus (1988), per esempio, Cimbelino richiede un’interpretazione 1494
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politica, a cominciare dalle sue visioni simboliche (come l’apparizione di Giove che adombra la figura del re Giacomo I). Altri, come Maurice Hunt (2002), hanno indagato l’ambivalente e problematica rappresentazione dell’idea di nazione e, più in generale, dei valori, soprattutto militari, che emergono nel testo, elementi che permettono di interpretare l’opera come critica all’assolutismo monarchico e alla soppressione delle libertà individuali. Anche il rifiuto britanno di pagare il tributo a Roma è stato letto in questa chiave, sebbene, come ha sostenuto Andrew Escobedo (2008), il dramma esplori due tipologie di nazionalismo: nel suo discusso discorso patriottico (III, 1), la regina evoca il glorioso esempio dei precedenti re britanni e Cloten la sostiene con parole che riecheggiano i momenti più fervorosi del nazionalismo elisabettiano; a queste posizioni isolazioniste care alla storiografia anglocentrica di matrice sassone si contrappone Innogene (III, 4, 137-41), con parole (anch’esse molto discusse e da taluni ritenute frutto di interpolazioni) che rivelano una visione più ampia e internazionalista. Resta da stabilire se il discorso della principessa sia veramente elogiativo dell’Inghilterra, o se in realtà nasconda un pressante invito al rinnovamento di uno stato ormai irrimediabilmente corrotto. Molti studiosi continuano a ritenere, comunque, che Innogene sia un personaggio modello, simbolo stesso dell’Inghilterra. In effetti, quando Postumo paragona Giacomo a un “cinghiale tedesco” (II, 5, 16), egli non solo presenta l’italiano come uomo dalla prorompente sessualità che ha sedotto la moglie, ma anche (secondo l’immagine biblica di Salmi 80, 13) come agente di caos e rovina che devasta la patria-giardino. Questa associazione tra Innogene e l’Inghilterra è confermata non solo dal fatto che ella è legittima erede al trono, almeno fino alla ricomparsa dei fratelli rapiti, ma anche dal fatto che è l’unica a poter innescare alcune dinamiche decisive per trascendere la dimensione storica ed erotica del dramma e aprire il testo a nuove istanze del senso, della conoscenza e della trascendenza: con la sua forza d’animo nel momento di massima disperazione (IV, 2, 389 e sgg.), ella prefigura quella accettazione della vita che anticipa e favorisce la riconciliazione finale tra lei e Postumo e tra la Britannia e Roma. La centralità di Innogene a livello generale è confermata anche nell’ambito più ristretto dei rapporti interpersonali. Alcuni critici (Kahn, 1997; Mikalachki, 1998; Wayne, 2002) si sono concentrati sulle problemati1495
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che relazioni tra i due sessi e sulle loro ricadute nella costruzione delle identità maschili e femminili. La principessa è oggetto di desiderio e di gelosia da parte di Cloten e Giacomo, di Postumo, della regina, persino del padre e dei fratelli. Come la verità, anche tale desiderio viene camuffato e diventa gioco rituale, e chi non può possedere realmente Innogene sublima la propria brama nei modi più vari, senza trovare pace. Cloten esprime tale concupiscenza in modo grezzo e nella sua componente più pulsionale e violenta, ma il desiderio maschile si esprime in modo fin troppo evidente anche nelle allusive parole di Giacomo (I, 6 e II, 2), o nella martellante presenza di metafore economiche che intercalano le parole di Postumo e Giacomo stesso, associando la donna a un oggetto commerciale e l’onore e la virtù al suo valore. La mercificazione di Innogene e la scommessa tra i due uomini sanciscono di fatto il loro privilegio di trasformare la donna in un segno sessuale dal valore tutt’altro che garantito (tema, tra l’altro, perfettamente adeguato alle nuove dinamiche sociali e alle aspettative di un tipo di pubblico più “borghese” come quello che frequentava il Blackfriars). Del resto, anche travestita, Innogene incarna la femminilità come gli uomini la immaginano, anzi proprio il suo travestimento svela ciò di cui gli uomini la rivestono proiettandovi i propri desideri illeciti (come paventavano i moralisti che denunciavano la corruzione indotta dagli spettacoli teatrali). Come in tante altre eroine costrette a indossare panni maschili, però, in Innogene l’artificio non modifica il suo essere, bensì lo altera in modo misterioso per gli uomini che (da Guiderio ad Arvirago, da Caio Lucio a Cimbelino) ne restano conquistati senza sapere neppure il perché: il suo fascino risiede proprio nel modo imperfetto in cui i panni maschili ne trasformano parole e atteggiamenti e ne “ri-velano” la natura. Lo spettatore è, così, ripetutamente posto di fronte alla precarietà e fragilità dell’identità umana, ulteriormente ribadita dalle numerose sotterranee identificazioni che legano i personaggi maschili e li rendono per certi versi ipostasi complementari, sfaccettate e frammentarie. Pisanio, per esempio, è socialmente la persona più umile, ma dimostra di avere una integrità morale, una generosità e una fedeltà davvero encomiabili, riassumendo in sé tutte le qualità positive di Postumo e fungendo in effetti da marito per procura: egli sta a contatto con Innogene molto più di Postumo ed è lui a compiere quei gesti di protezione e amore verso la principessa che dovrebbero essere invece appannaggio del marito. 1496
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Così, il suo personaggio smaschera la vera natura di una relazione matrimoniale che, certo, alla fine deve apparire positiva e felice, ma che in effetti è presentata sempre come assai problematica, come ha sostenuto Amanda Berry (2011): ne è rappresentazione icastica la violenza con cui Postumo, non riconoscendo la moglie, la colpisce proprio nel momento della loro riunione (V, 6, 227-29). Se Pisanio è il surrogato delle qualità positive di Postumo, Cloten lo è di quelle negative. Il parallelo tra i due personaggi è abbastanza evidente e, a dispetto del fatto che Innogene ripetutamente sottolinei la loro differenza (cfr. per esempio II, 3, 122 e sgg.), essi appaiono sempre più simili: si vedano al proposito la violenza e l’umiliazione auspicata per Innogene (Postumo in II, 4, 147-49 e Cloten in III, 5, 137 e sgg.). La loro sovrapposizione diverrà pressoché perfetta con la decisione di Cloten di indossare gli abiti di Postumo (III, 5, 127-28 e IV, 1) e con il riconoscimento di Innogene del cadavere del “marito” (IV, 2, 297 e sgg.), rinforzando il dubbio che Postumo sia meno perfetto di quanto ella creda e che Cloten sia meno sciocco di quel che sembra. La funzione svolta da quest’ultimo è, comunque, decisiva: come Innogene “muore” senza morire davvero, così anche Postumo subisce un parziale processo di purificazione grazie al fatto che Cloten muore in sua vece, facendo simbolicamente scomparire l’elemento “clotenesco” della sua personalità. Il tema delle false apparenze acquista, dunque, una dimensione centrale in Cimbelino, che di fatto ruota intorno a personaggi in cerca della loro identità, quasi a voler ribadire la necessità di problematizzare l’atavica abitudine del periodo di associare al vestito l’essenza stessa della persona. Innogene, allora, non rappresenta tanto ciò che si oppone al maschile, quanto piuttosto colei che lo seduce, smascherandone il paradigma di produzione di senso: il suo travestimento non fa altro che denunciare il femminile come vuota astrazione e come ordine del discorso maschile. Anche da questo punto di vista la regina è l’opposto della principessa: usa i suoi poteri seduttivi non per mettere in crisi il mondo della corte ma per il proprio tornaconto; si conforma, sfruttandola, a una certa immagine di femminilità che irretisce il passionale Cimbelino, il quale non a caso si giustifica dicendo che non darle ascolto sarebbe stato “irragionevole” a causa della sua bellezza (V, 6, 62-66). In un tale contesto, l’isolamento di Innogene non potrebbe essere maggiore, ma, è bene ricordarlo, questo non significa che ella incarni un 1497
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compiuto modello di virtù; piuttosto, dà un’impressione di grande varietà, per certi versi simile a quella “infinita” di Cleopatra: è sincera e impulsiva (I, 1, 85) ma anche pudica (I, 3, 29, e I, 6, 27-29), odia la bugia (IV, 2, 379-81) ma a volte è brusca e quasi crudele (V, 6, 104-05), sposa Postumo incurante delle convenzioni però poi le ribadisce a Belario (IV, 2, 10-11) e a corte (V, 6, 238-39) nell’istante in cui, significativamente, viene riconosciuta. Si potrebbe dire, quindi, che il messaggio e l’attualità di Cimbelino si possono comprendere alle spalle e a spese di Innogene, dopo il doloroso percorso purgatoriale che permetterà a lei e al pubblico di abbandonare tutta una serie di idee distorte e pratiche incoerenti. Ne è esempio lampante la concezione della “naturalità”. Il Galles nel quale si svolgono diverse scene decisive non è affatto un universo selvaggio e primordiale: al contrario, come ha notato John Kerrigan (2008), esso acquista grande rilevanza nell’articolazione dell’idea di “britannicità” nell’opera e presenta un elevato grado di ritualità fin dall’inizio (si veda, per esempio, l’adorazione del sole da parte di Belario e dei due giovani in III, 3). La loro naturalità consiste non nell’essere al di fuori, e quindi ignoranti, della “legge”, ma dal preciso rispetto di rapporti regolati e normati. Quando Guiderio vuole andare a combattere (IV, 4) e chiede il permesso al padre, lo fa in un modo assai formale. Innogene stessa, con il suo nostalgico ricordo di un idillico passato (I, 1, 149-51), non mira a tornare a un mitico Eden ma a una modalità di vita (e di rapporti come quelli che aveva con Postumo da giovane) fatta di segni analogici, ciclicità, scambio. Così, se da una parte ella rifiuta i compromessi e le convenzioni, dall’altra resta intrappolata per buona parte del dramma all’interno di un paradigma che mira a spiegare tutto, manifestare tutto, riportare tutto alla giurisdizione dei segni: non a caso è lei (I, 3, 17 e sgg.; I, 6, 95 e sgg.; III, 2, 31 e sgg.; III, 6, 7 e sgg.) più di altri a correggere, spiegare o parafrasare le proprie parole, prigioniera dell’illusione della trasparenza, di un discorso di verità che produca realtà e che sia informato da una teleologia irreversibile. La vicenda insegnerà a lei e al pubblico che invece bisogna prendere i segni alla rovescia; proprio l’esperienza del travestimento, e tutto ciò che ne consegue, sarà decisiva in questo senso. Nella scena finale, Guiderio sancisce tutto ciò, affermando che Innogene “è sicuramente Fidele” (V, 6, 260): l’ennesimo colpo di scena rivelerà, infatti, che ella è contemporaneamente principessa e Fidele ed è davvero 1498
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consanguinea di Guiderio e Arvirago, così che l’erronea prassi dei due fratelli di chiamare Innogene “Fidele” e considerarlo un fratello sarà paradossalmente confermata dai fatti. La parabola di Innogene a livello personale è dunque inestricabilmente legata al cuore dei dilemmi ermeneutici della prima modernità e alla compromessa relazione tra segno e referente. Tale problematica è esemplarmente illustrata dalla tentata seduzione da parte di Giacomo (I, 6): mentre in tutto il testo si è sempre alla ricerca di un’interpretazione che spieghi, egli sottrae al discorso il suo senso e lo svia dalla verità. E, ironicamente, quello che travisa e fa slittare il discorso non è un significato recondito, allusivo, inconscio delle parole ma la loro pura e semplice apparenza, i loro segni superficiali. Innogene sembra perfettamente in grado di resistere, ma in realtà cade in pieno nella tentazione e si ritrae solo quando la seduzione potrebbe concludersi con l’atto sessuale (o almeno con un bacio, come avviene nella splendida interpretazione di Helen Mirren nella versione cinematografica della BBC del 1982). Nel caso di Postumo, invece, tutto resta al livello di segni deviati ma plausibili, quindi il gioco della seduzione va avanti senza intoppi fino a che egli cade nel fallace universo semiotico di Giacomo. Il loro confronto passa attraverso azioni e parole legate dal tacito accordo di alzare continuamente la posta: la ripetuta richiesta di mettere per iscritto le condizioni della scommessa in I, 4 è in realtà il tentativo di fissare un patto fatto di segni segreti e ambigui in una sorta di pratica rituale, la medesima che (pur di segno opposto) aveva indotto Postumo a operare una “con-fusione” mistica di soggetto e oggetto nella sua idea di Innogene. Con il suo linguaggio di segni instabili, Giacomo diventa, così, una sorta di quintessenza di tutti i personaggi, esasperando ciò che tutti, in un modo o nell’altro, compiono o subiscono. Questo, però, sembra mirare non tanto a suscitare nello spettatore uno sdegno moralistico o a denunciare la corruzione e i limiti insiti del linguaggio, quanto piuttosto a enfatizzare lo scacco in cui inevitabilmente si trova chi ripone la propria fiducia nell’affidabilità epistemologica dei segni. Il testo, in effetti, non si focalizza tanto sulla denuncia di Giacomo perché crea la menzogna, quanto sull’analisi di come egli riesca a trarre potere dai suoi mendaci giochi illusionistici, grazie ai quali il senso delle parole viene irrimediabilmente corrotto, le prove indiziarie si dimostrano ingannevoli, i “fat1499
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ti” mentono e sono fluidamente aperti a interpretazioni retrospettive (Menon, 2008). Entra allora in gioco ancora una volta, come in tanti altri testi shakespeariani, la profezia, che in apparenza fornisce la possibilità di formalizzare l’imprevedibile. L’oracolo dell’atto V rivela come esista una logica segreta che sottostà alla vicenda, ma essa è sempre travisata dai personaggi principali i quali, per tutta una serie di ragioni, inseguono vanamente una realtà che si conformi alla loro sciocca pretesa di aver compreso tutto. La verità sembra sempre a portata di mano, eppure ogni volta i personaggi ne fraintendono i segni e non la vedono (paradigmatici i casi di Postumo in II, 4, 126 e sgg. e di Innogene in IV, 2, 327 e sgg.). Ci vorrà un indovino per sciogliere la vicenda dandone una spiegazione plausibile, anche se si tratta ancora una volta di un’interpretazione precaria, addomesticata e basata su una serie di etimologie arbitrarie. La scena finale, con le sue innumerevoli rivelazioni e i continui colpi di scena, lascia insomma lo spettatore nell’ambiguità, problematizzandone le scelte ermeneutiche, disorientandolo nella scelta tra il tragico del titolo, il melodrammatico della vicenda e il “comico” del finale e sottoponendolo a un tour de force di verità parziali e comunicate a piccole dosi. L’obliquità del sogno, della visione, del gioco di parole, della profezia fa vedere qualcosa che altrimenti resterebbe nascosto, in primis la propria artificiosità e inaffidabilità. In questo senso la prima scena, con la sua descrizione celebrativa di Postumo, è un’esemplare introduzione all’opera, un vero prototipo di quell’eccesso di realtà che il dramma a poco a poco smantellerà. Cimbelino, insomma, rappresenta l’esagerata apparenza del reale per rivelare che esso in fondo non è altro che un effetto di prospettiva. Il re in persona si fa portavoce di questo spaesamento, quando si lamenta delle continue sorprese e del fatto di non conoscere tutta la verità (V, 6, 243 e 383), cosa che lo induce a dubitare perfino della sua stessa identità (V, 6, 369): siamo, insomma, in un mondo di fatti evidenti ma sempre imperscrutabili in cui, come esemplarmente afferma Caio Lucio (V, 4, 2-3), è l’azione umana (come la guerra), e non la sorte, ad essere cieca. Alla luce di queste considerazioni, tutta una serie di elementi e caratteristiche bollati come sperimentali possono essere letti in una prospettiva diversa. L’andamento nervoso e irregolare del testo, con alcune parti molto complesse e tortuose, veri e propri grumi linguistici che sembrano ostacolare a bella posta la trasmissione del significato, non è accidentale 1500
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ma funzionale a rafforzare l’idea di un linguaggio che non riesce più a “dire” il mondo: si vedano, per esempio, le involute parole intercalate da digressioni di Pisanio a Innogene (III, 4), quelle di Postumo (V, 5, 239 e sgg.), quelle di Innogene (III, 2, 26 e sgg.) e soprattutto quelle di Giacomo (I, 6 e V, 6). Lo stesso vale per il genere letterario cui apparterrebbe quest’opera. Gli elementi tradizionali della tragedia ci sono tutti, a cominciare dalle passioni che offuscano la ragione, ma senza alcuna norma morale in base a cui giudicarle, senza alcuna categoria ermeneutica che le informi, tanto che alcuni leggono il testo come elaborata parodia del romance e dei suoi cliché o addirittura come autoparodia da parte di Shakespeare. In Cimbelino, in effetti, non esiste alcuna istanza moralizzatrice: la vicenda si snoda, necessaria, fedele alla propria logica, sovvertendo le aspettative e i propositi di chi l’ha avviata (la regina muore soccombendo al destino che ella si augurava per Innogene; Cloten va nel Galles per uccidere Postumo e stuprare Innogene e invece è lui a morire; Postumo colpisce Innogene dopo averla pianta; Innogene insulta Pisanio credendolo colpevole e così via) e offrendo la scioccante rivelazione che solo ciò che è inverosimile si realizza, che le differenze fra vero e falso, o fra trame maligne e imprevisti, si attenuano, che le tipologie drammatiche si confondono e contaminano, che l’instabilità semiotica e semantica è ormai la norma. I semi che fioriranno nel dramma barocco di un Middleton o di un Webster, insomma, sono già tutti presenti qui, con la differenza che in questo testo c’è ancora un elemento di capacità riconciliativa, simboleggiato dalla disponibilità di Innogene ad accettare con apertura il mutamento delle sue fortune e della sua vita (III, 4, 166-67 e IV, 2, 389 e sgg.). Un altro importante aspetto dell’opera è la sua “fenomenologia” della nobiltà, particolarmente interessante in quanto specchio non solo del più ampio dibattito tra sostanza e apparenza, ma anche delle nuove istanze sociali e di potere che si andavano configurando nell’Inghilterra giacomiana. Belario, col suo modo di esprimersi attraverso proverbi e detti popolari, cui si aggiunge la sua costante attenzione alle distinzioni di rango (IV, 2, 244-49), è il portavoce di una ormai passata concezione della nobiltà fatta di dignitosa semplicità, buon senso, magnanimità, insomma di tutti quei valori che Cloten sistematicamente viola. Esiste anche una nobiltà innata e naturale in Innogene, in Guiderio e Arvirago, e anche Postumo, pur non essendo nobile di nascita, naturalmente 1501
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sviluppa le sue eccellenti qualità (I, 1, 44 e sgg.). È significativo, però, che l’intrinseca virtù di questi personaggi abbia bisogno di un ambiente estraneo alla corte per svilupparsi appieno. È necessario lasciarsi riplasmare dalle circostanze per ritrovare l’armonia con sé e il mondo: da questo punto di vista, il paragone tra Innogene e l’abito prezioso (III, 4, 51-53) è rilevante perché ribadisce la centralità non solo del binomio abito-persona, ma anche della necessità di rimettersi in discussione, di riorganizzare la propria ricchezza esteriore e interiore in modo nuovo, di lasciarsi “riciclare” con modalità e tempi non sempre prevedibili. Il problema, insomma, non è denunciare la nobiltà corrotta e celebrare quella vera, bensì mostrare lo svuotamento irrimediabile del concetto stesso di nobiltà. Quando Postumo (V, 5, 76-78) dichiara di volersi far arrestare da un “semplice bifolco” e poi viene catturato da un capitano, siamo di fronte all’ennesimo piano frustrato di un personaggio, ma subdolamente il testo allude anche al fatto che l’ufficiale non sia nulla di più di un contadino e che quindi le gerarchie sociali basate sul censo o sulla forza siano del tutto fallaci. I difetti e le mancanze del testo, insomma, lasciano trasparire, dietro un’apparentemente banale e assurda vicenda, un universo imprevedibile, non basato su un’opposizione manichea ma sulla volontà di lasciar fluttuare i segni sapendo che non possono e non devono essere esauriti ma solo mobilitati; e questo non attraverso l’irrompere di una presenza devastante (come il caos che dominerà nella tragedia giacomiana) ma attraverso un’assenza, fatta di segni deviati che ritornano all’origine dopo un percorso inusitato, proprio come i figli perduti del re. Questa sensazione di qualcosa che non torna (e che può essere letta in chiave di allegoria politica come denuncia della vera natura del potere e come visione amaramente scettica nei confronti di un’armonia solo fittizia) non costituisce, comunque, la rivelazione finale del testo: essa deve restare una fugace percezione, un breve squarcio di verità che poi torna (pur in modo imperfetto) ad essere celata dietro i rassicuranti segni rituali per il lieto fine del dramma romanzesco. Ne sono emblema le parole di Giacomo verso la fine della lunga scena conclusiva: le lodi esagerate verso Postumo e Innogene (V, 6, 141 e sgg.) ufficialmente ripristinano l’universo valoriale con cui si era aperto il dramma e possono essere lette come indice di sincero pentimento, ma in realtà offrono un resoconto menzognero e iperbolico degli eventi precedenti, un perfetto esempio di 1502
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“come salvare la propria pelle a corte”, un fine esercizio di retorica che lo spettatore non può fare a meno di ascoltare con scetticismo. Parimenti, la sua ammissione di colpa e il suo pentimento rientrano nel normale paradigma di espiazione e redenzione che permette a tutti di “vivere felici e contenti”, ma è anche un modo sottile per l’italiano di riaffermare la propria intelligenza e ingegnosità (V, 6, 196-98) e rientrare in una certa economia di segni convenzionali (qui più che altrove egli parla per luoghi comuni), offrendo l’illusoria impressione che significante e significato si possano ricomporre. La fortuna sulle scene e sullo schermo La storia delle messe in scena di Cimbelino è piuttosto lacunosa: oltre alla già menzionata testimonianza di Simon Forman sulla performance del 1611, si ha notizia di una rappresentazione a Whitehall nel gennaio del 1634 alla presenza del re Carlo I (che l’apprezzò molto), ma dal periodo della Restaurazione fino al XIX secolo si preferirono, salvo rarissime eccezioni, versioni ampiamente tagliate e adattate della vicenda, come The Injured Princess, or The Fatal Wager di Thomas D’Urfey (1682). Dopo la parziale “riscoperta” ottocentesca, che impose all’immaginario del pubblico un’interpretazione assai idealizzata del personaggio di Innogene (grazie alle celebri interpretazioni di Helen Faucit del 1838 e di Ellen Terry nel 1896), il dramma conobbe un lungo periodo di oblio, anche a causa delle stroncature critiche, come quella già citata di G.B. Shaw. Solo con l’apprezzato allestimento di Peter Hall (1957) Cimbelino è stato rivalutato e da allora più volte messo in scena, recentemente anche come “coreografia accompagnata da testo” (Imogen, 2016). Per una panoramica più completa riguardo alle principali messe in scena del dramma nel corso dei secoli si rimanda ai volumi di Warren (1989 e 1990). Le trasposizioni cinematografiche sono molto rare: a parte la breve versione muta del 1913 della casa Thanhouser, l’unico adattamento per lo schermo degno di nota è quello della BBC diretto da Elijah Moshinsky (1982), che vanta nel cast attori come Richard Johnson, Claire Bloom, Michael Pennington ed Helen Mirren. DANIELE BORGOGNI
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CYMBELINE, KING OF BRITAIN THE PERSONS OF THE PLAY
CYMBELINE, King of Britain Princess INNOGEN, his daughter, later disguised as a man named Fidele GUIDERIUS, Cymbeline’s known as Polydore sons, stolen ARVIRAGUS, by Belarius known as Cadwal QUEEN, Cymbeline’s wife, Innogen’s stepmother Lord CLOTEN, her son
}
BELARIUS, a banished lord, calling himself Morgan CORNELIUS, a physician HELEN, a lady attending on Innogen Two LORDS attending on Cloten Two GENTLEMEN Two British CAPTAINS Two JAILERS POSTHUMUS Leonatus, a poor gentleman, Innogen’s husband PISANIO, his servant FILARIO, a friend of Posthumus
GIACOMO, an Italian A FRENCHMAN A DUTCHMAN A SPANIARD
}
Filario’s friends
Caius LUCIUS, ambassador from Rome, later General of the Roman forces Two Roman SENATORS Roman TRIBUNES A Roman CAPTAIN Philharmonus, a SOOTHSAYER JUPITER Ghost of SICILIUS Leonatus, father of Posthumus Ghost of the MOTHER of Posthumus Ghosts of the BROTHERS of Posthumus Lords attending on Cymbeline, ladies attending on the Queen, musicians attending on Cloten, messengers, soldiers
SIGLE Il testo di riferimento di Cimbelino è unicamente quello dell’in-folio del 1623 (F). Si segnalano qui di seguito le varianti principali che interessano la traduzione, trascurando le irrilevanti modifiche presenti nelle successive ristampe in F2 e F3, ciò che può ritenersi errore evidente o svista di composizione, nonché le varie didascalie di regia (più volte rivedute) e le indicazioni di carattere puramente esplicativo inserite nell’edizione Oxford. Le varianti di maggiore interesse dal punto di vista interpretativo sono segnalate nelle note di commento.
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CIMBELINO PERSONAGGI
CIMBELINO, re della Britannia Principessa INNOGENE, sua figlia, in seguito travestita da uomo con il nome di Fidele GUIDERIO, conosciuto figli di come Polidoro Cimbelino, ARVIRAGO, conosciuto rapiti da Belario come Cadwal REGINA, moglie di Cimbelino, matrigna di Innogene Lord CLOTEN, suo figlio
}
BELARIO, nobile esiliato, che si fa chiamare Morgan CORNELIO, medico ELENA, dama di compagnia di Innogene Due NOBILI al seguito di Cloten Due GENTILUOMINI Due CAPITANI britanni Due CARCERIERI
}
GIACOMO, un italiano Un FRANCESE amici di Filario Un OLANDESE Uno SPAGNOLO Caio LUCIO, ambasciatore di Roma, in seguito generale dell’esercito romano Due SENATORI romani TRIBUNI romani Un CAPITANO romano Filarmonio, INDOVINO GIOVE Spettro di SICILIO Leonato, padre di Postumo Spettro della MADRE di Postumo Spettri dei FRATELLI di Postumo Nobili al seguito di Cimbelino, dame al seguito della regina, musicisti al seguito di Cloten, messaggeri, soldati
POSTUMO Leonato, gentiluomo in disgrazia, marito di Innogene PISANIO, suo servitore FILARIO, amico di Postumo
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
1.1
Enter two Gentlemen
FIRST GENTLEMAN
You do not meet a man but frowns. Our bloods No more obey the heavens than our courtiers Still seem as does the King. a SECOND GENTLEMAN But what’s the matter? FIRST GENTLEMAN
His daughter, and the heir of’s kingdom, whom He purposed to his wife’s sole son — a widow That late he married — hath referred herself Unto a poor but worthy gentleman. She’s wedded, Her husband banished, she imprisoned. All Is outward sorrow, though I think the King Be touched at very heart. SECOND GENTLEMAN None but the King?
5
10
FIRST GENTLEMAN
He that hath lost her, too. So is the Queen, That most desired the match. But not a courtier — Although they wear their faces to the bent Of the King’s looks — hath a heart that is not Glad of the thing they scowl at. SECOND GENTLEMAN And why so?
15
FIRST GENTLEMAN
He that hath missed the Princess is a thing Too bad for bad report, and he that hath her — I mean that married her — alack, good man, And therefore banished! — is a creature such As, to seek through the regions of the earth For one his like, there would be something failing In him that should compare. I do not think So fair an outward and such stuff within Endows a man but he. SECOND GENTLEMAN You speak him far.
20
3. King: Kings = “quello del re”. 1508
Shakespeare IV.indb 1508
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
I, 1
Entrano due gentiluomini1
PRIMO GENTILUOMO
Non si vede un volto che non sia accigliato. Gli animi2 non obbediscono agli astri3 più di quanto i cortigiani non si conformino agli umori del re4. SECONDO GENTILUOMO
Ma che succede? PRIMO GENTILUOMO
Sua figlia, la sua erede, che egli intendeva dare in sposa all’unico figlio di sua moglie – una vedova che ha sposato da poco – si è unita a un gentiluomo povero ma degno. Ora lei è sposata, suo marito bandito, lei prigioniera. Si vede tristezza ovunque, ma ritengo che il re sia profondamente toccato. SECONDO GENTILUOMO
Nessun altro? PRIMO GENTILUOMO
Anche colui che l’ha perduta; e la regina, che più di tutti desiderava quell’unione. Comunque, nessun cortigiano, anche se atteggia il volto per assecondare l’inclinazione del re, non gioisce in cuor suo per ciò che in apparenza svilisce. SECONDO GENTILUOMO
E perché mai? PRIMO GENTILUOMO
Quello che ha perduto la principessa è una cosa5 troppo spregevole anche solo per averla in spregio: e quello che l’ha presa – cioè, che l’ha sposata, e per questo, povero diavolo, l’han bandito – è una creatura tale che, a cercarne ovunque una affine, quella che gli dovrebbe somigliare si troverebbe sempre in difetto. Penso che un così bell’aspetto esteriore e una tal ricchezza interiore non si trovino in nessuno se non in lui. SECONDO GENTILUOMO
Ne parlate davvero bene!
1509
Shakespeare IV.indb 1509
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
FIRST GENTLEMAN
I do extend him, sir, within himself; Crush him together rather than unfold His measure duly. SECOND GENTLEMAN What’s his name and birth?
25
FIRST GENTLEMAN
I cannot delve him to the root. His father Was called Sicilius, who did join his honour Against the Romans with Cassibelan But had his titles by Tenantius, whom He served with glory and admired success, So gained the sur-addition ‘Leonatus’; And had, besides this gentleman in question, Two other sons who in the wars o’th’ time Died with their swords in hand; for which their father, Then old and fond of issue, took such sorrow That he quit being, and his gentle lady, Big of this gentleman, our theme, deceased As he was born. The King, he takes the babe To his protection, calls him Posthumus Leonatus, Breeds him, and makes him of his bedchamber; Puts to him all the learnings that his time Could make him the receiver of, which he took As we do air, fast as ’twas ministered, And in ’s spring became a harvest; lived in court — Which rare it is to do — most praised, most loved; A sample to the youngest, to th’ more mature A glass that feated them, and to the graver A child that guided dotards. To his mistress, For whom he now is banished, her own price Proclaims how she esteemed him and his virtue. By her election may be truly read What kind of man he is. SECOND GENTLEMAN I honour him Even out of your report. But pray you tell me, Is she sole child to th’ King?
30
35
40
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1510
Shakespeare IV.indb 1510
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
PRIMO GENTILUOMO
Lo lodo, signore, ben dentro i limiti dei suoi meriti, anzi li riduco invece di aumentarli come meriterebbe la sua statura. SECONDO GENTILUOMO
Quali sono il suo nome e le sue origini? PRIMO GENTILUOMO
Non le conosco a fondo: suo padre si chiamava Sicilio e unì il proprio valore a Cassibelano contro i romani, ma ricevette i suoi titoli da Tenanzio, che servì con gloria e ammirato successo, tanto da meritarsi il soprannome di ‘Leonato’. Oltre al gentiluomo in questione ebbe altri due figli, che all’epoca morirono in guerra con la spada in mano; per questo il loro padre, ormai vecchio e disperato, fu vinto da un dolore tale che cessò di vivere, e la sua dolce moglie, gravida del gentiluomo di cui parliamo, morì quando questi nacque. Il re allora prende il bimbo sotto la sua protezione e lo chiama Postumo Leonato, lo alleva e ne fa suo paggio di camera6, gli offre tutto il sapere che la sua età gli permette di assorbire, e lui lo assimila come noi l’aria, non appena gli viene impartito, e nella sua primavera dà i suoi frutti; è vissuto a corte – cosa rara – assai lodato e amato, un esempio per i più giovani, per i più maturi uno specchio di virtù7, per i più saggi un bambino a guida di vecchi ormai dementi. Quanto alla sua sposa, per la quale è bandito, il prezzo che ella deve pagare dimostra quanto lo stimasse; il fatto che l’abbia prescelto8 dimostra chiaramente le sue virtù e che tipo di uomo sia. SECONDO GENTILUOMO
Gli rendo onore ancor di più da come ne parlate. Ma vi prego, ditemi, ella è figlia unica?
1511
Shakespeare IV.indb 1511
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
His only child. He had two sons — if this be worth your hearing, Mark it: the eld’st of them at three years old, I’th’ swathing clothes the other, from their nursery Were stol’n, and to this hour no guess in knowledge Which way they went. SECOND GENTLEMAN How long is this ago? FIRST GENTLEMAN Some twenty years. FIRST GENTLEMAN
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SECOND GENTLEMAN
That a king’s children should be so conveyed, So slackly guarded, and the search so slow That could not trace them! FIRST GENTLEMAN Howsoe’er ’tis strange, Or that the negligence may well be laughed at, Yet is it true, sir. SECOND GENTLEMAN I do well believe you.
65
Enter the Queen, Posthumus, and Innogen FIRST GENTLEMAN
We must forbear. Here comes the gentleman, The Queen and Princess. Exeunt the two Gentlemen QUEEN
No, be assured you shall not find me, daughter, After the slander of most stepmothers, Evil-eyed unto you. You’re my prisoner, but Your jailer shall deliver you the keys That lock up your restraint. For you, Posthumus, So soon as I can win th’offended King I will be known your advocate. Marry, yet The fire of rage is in him, and ’twere good You leaned unto his sentence with what patience Your wisdom may inform you. POSTHUMUS Please your highness, I will from hence today.
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1512
Shakespeare IV.indb 1512
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
PRIMO GENTILUOMO
Figlia unica. Il re aveva anche due figli maschi. Se questo è degno della vostra attenzione, prestate ascolto: il maggiore a tre anni, ancora in fasce l’altro, furono rapiti dalla loro stanza e fino ad oggi non v’è certezza del loro destino. SECONDO GENTILUOMO
Quand’è accaduto questo? PRIMO GENTILUOMO
Circa vent’anni fa. SECONDO GENTILUOMO
Che figli di re siano così rapiti, così mal vigilati, e che la loro ricerca sia così inconcludente da non trovarne traccia! PRIMO GENTILUOMO
Per quanto sia strano, e una tale negligenza irragionevole, tuttavia è la verità, signore. SECONDO GENTILUOMO
Vi credo senz’altro. Entrano la regina, Postumo e Innogene PRIMO GENTILUOMO
Dobbiamo ritirarci: arrivano il gentiluomo, la regina e la principessa9. Escono i due gentiluomini REGINA
No, sta’ pur certa, figlia, che non mi troverai, come si dice di tante matrigne, mal disposta verso di te: sei mia prigioniera, ma chi ti sorveglia ti darà le chiavi che aprono la cella. Quanto a te, Postumo, non appena placherò lo sdegno del re, sarò tuo avvocato; tuttavia, per la Vergine10, il fuoco dell’ira lo acceca e sarebbe meglio che ti piegassi alla sua decisione con quella pazienza che la tua saggezza ti suggerirà. POSTUMO
Se così piace a vostra altezza, partirò oggi stesso.
1513
Shakespeare IV.indb 1513
30/11/2018 09:33:32
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
You know the peril. I’ll fetch a turn about the garden, pitying The pangs of barred affections, though the King Hath charged you should not speak together.
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QUEEN
Exit
INNOGEN
O dissembling courtesy! How fine this tyrant Can tickle where she wounds! My dearest husband, I something fear my father’s wrath, but nothing — Always reserved my holy duty — what His rage can do on me. You must be gone, And I shall here abide the hourly shot Of angry eyes, not comforted to live But that there is this jewel in the world That I may see again. POSTHUMUS My queen, my mistress! O lady, weep no more, lest I give cause To be suspected of more tenderness Than doth become a man. I will remain The loyal’st husband that did e’er plight troth; My residence in Rome at one Filario’s, Who to my father was a friend, to me Known but by letter; thither write, my queen, And with mine eyes I’ll drink the words you send Though ink be made of gall.
85
90
95
100
Enter Queen Be brief, I pray you. If the King come, I shall incur I know not How much of his displeasure. (Aside) Yet I’ll move him To walk this way. I never do him wrong But he does buy my injuries, to be friends, Pays dear for my offences. Exit POSTHUMUS Should we be taking leave As long a term as yet we have to live, The loathness to depart would grow. Adieu. INNOGEN Nay, stay a little. Were you but riding forth to air yourself QUEEN
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Shakespeare IV.indb 1514
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
REGINA
Conosci bene il rischio che corri. Passeggerò in giardino lamentando le pene degli affetti imprigionati, sebbene il re abbia ordinato che non parliate insieme. Esce INNOGENE
Oh, dissimulata cortesia! Quanto è brava questa tiranna a blandire proprio là dove ferisce! Marito caro, temo alquanto l’ira di mio padre, ma per nulla – a parte il rispetto che gli devo – ciò che la sua rabbia può farmi11. Dovete andare e io sopporterò le continue frecciate di occhi ostili, senz’altro conforto che il sapere che al mondo esiste questo gioiello che io potrò rivedere. POSTUMO
Mia regina! Mia sposa! Mia signora, non piangete più, o sarò sospettato di essere più emotivo di quanto si addica a un uomo. Rimarrò il più fedele marito che mai abbia fatto promesse matrimoniali. A Roma alloggerò presso un certo Filario, che era amico di mio padre e che io conosco solo per lettera; scrivetemi là, mia regina, e con gli occhi divorerò le parole che stilerete, anche se l’inchiostro sarà amaro come il fiele. Rientra la regina REGINA
Siate brevi, ve ne prego: se arrivasse il re chissà quale scenata mi farebbe. (A parte) Comunque lo indurrò a venire da questa parte. Non gli faccio mai torto, ma prende le mie ingiurie come segni di amicizia; paga le mie offese a caro prezzo. Esce POSTUMO
Se per prendere commiato avessimo tutto il tempo che ci resta da vivere la riluttanza di partire aumenterebbe. Addio. INNOGENE
No, restate ancora un po’12: anche se doveste uscire per fare eser-
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Shakespeare IV.indb 1515
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
Such parting were too petty. Look here, love: This diamond was my mother’s. Take it, heart; She gives him a ring But keep it till you woo another wife When Innogen is dead. POSTHUMUS How, how? Another? You gentle gods, give me but this I have, And cere up my embracements from a next With bonds of death! Remain, remain thou here
115
He puts on the ring While sense can keep it on; and, sweetest, fairest, As I my poor self did exchange for you To your so infinite loss, so in our trifles I still win of you. For my sake wear this.
120
He gives her a bracelet It is a manacle of love. I’ll place it Upon this fairest prisoner. INNOGEN O the gods! When shall we see again? Enter Cymbeline and lords POSTHUMUS
Alack, the King!
125
CYMBELINE
Thou basest thing, avoid hence, from my sight! If after this command thou fraught the court With thy unworthiness, thou diest. Away. Thou’rt poison to my blood. POSTHUMUS The gods protect you, And bless the good remainders of the court! I am gone. INNOGEN There cannot be a pinch in death More sharp than this is. CYMBELINE O disloyal thing, That shouldst repair my youth, thou heap’s! A year’s age on me.
130 Exit
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Shakespeare IV.indb 1516
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
cizio, un tale commiato sarebbe comunque inadeguato. Ecco, amore mio; questo diamante apparteneva a mia madre: prendetelo, anima mia; Gli dà un anello ma tenetelo finché non corteggerete un’altra donna, quando Innogene sarà morta. POSTUMO
Cosa? Cosa? Un’altra? O dei benigni, concedetemi solo quella che ho, e avvolgete con gramaglie13 e sigilli di morte i miei abbracci a un’altra! Tu resta, resta qui Si infila l’anello fintanto che sarò capace di sentire. E voi mia cara, mia gioia: ho scambiato questo povero me stesso con voi, con vostro grande discapito; anche in cose meno importanti guadagno sempre rispetto a voi: per amor mio indossate questo Le dà un braccialetto è una catena d’amore; la metterò a questa splendida prigioniera. INNOGENE
O dei! Quando ci rivedremo? Entrano Cimbelino e i nobili POSTUMO
Ahimè, il re! CIMBELINO
Tu14, cosa vile, allontanati, via dalla mia vista! Se dopo questo ordine infesterai la corte con la tua indegnità morirai: via! Sei veleno per il mio sangue. POSTUMO
Gli dei vi proteggano e benedicano le persone dabbene che restano in questa corte. Vado via. Esce INNOGENE
La morte non può causare dolore più acuto di questo. CIMBELINO
Cosa sleale, dovresti farmi sentire più giovane e invece mi carichi di un anno in più. 1517
Shakespeare IV.indb 1517
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
I beseech you, sir, Harm not yourself with your vexation. I am senseless of your wrath. A touch more rare Subdues all pangs, all fears. CYMBELINE Past grace, obedience — INNOGEN
135
INNOGEN
Past hope and in despair: that way past grace. CYMBELINE
That mightst have had the sole son of my queen! INNOGEN
O blessèd that I might not! I chose an eagle And did avoid a puttock.
140
CYMBELINE
Thou took’st a beggar, wouldst have made my throne A seat for baseness. INNOGEN No, I rather added A lustre to it. CYMBELINE O thou vile one! INNOGEN Sir, It is your fault that I have loved Posthumus. You bred him as my playfellow, and he is A man worth any woman, over-buys me Almost the sum he pays. CYMBELINE What, art thou mad?
145
INNOGEN
Almost, sir. Heaven restore me! Would I were A neatherd’s daughter, and my Leonatus Our neighbour shepherd’s son.
150
Enter Queen Thou foolish thing. (To Queen) They were again together; you have done Not after our command. (To lords) Away with her, And pen her up.
CYMBELINE
1518
Shakespeare IV.indb 1518
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
INNOGENE
Vi prego, signore, non tormentatevi con la vostra irritazione. Sono insensibile alla vostra ira; solo un dolore assai più raro può vincere ogni pena, ogni paura. CIMBELINO
Sei a tal punto priva di grazia e obbedienza? INNOGENE
Priva di speranza e afflitta; in questo senso, priva di grazia15. CIMBELINO
Questa donna avrebbe potuto avere l’unico figlio della mia regina! INNOGENE
O che benedizione non aver potuto! Ho scelto un’aquila ed evitato un avvoltoio. CIMBELINO
Hai preso un pezzente; avresti reso il mio trono un luogo ignobile. INNOGENE
No, piuttosto vi ho aggiunto lustro. CIMBELINO
O vile! INNOGENE
Mio signore, è colpa vostra se ho amato Postumo. Lo avete allevato come mio compagno di giochi ed è un uomo degno di qualsiasi donna, che paga un prezzo fin troppo alto per me. CIMBELINO
Che cosa? Sei pazza? INNOGENE
Quasi, mio signore; o cieli fate che ritorni me stessa! Se solo fossi la figlia di un vaccaro e il mio Leonato figlio di un pastore nostro vicino. Rientra la regina CIMBELINO
Cosa stolta che non sei altro. (Alla regina) Erano di nuovo insieme: non avete seguito i miei ordini. (Ai nobili) Portatela via e rinchiudetela.
1519
Shakespeare IV.indb 1519
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 1
Beseech your patience, peace, Dear lady daughter, peace. Sweet sovereign, Leave us to ourselves, and make yourself some comfort Out of your best advice. CYMBELINE Nay, let her languish A drop of blood a day, and, being aged, Die of this folly. Exit with lords QUEEN Fie, you must give way. QUEEN
155
Enter Pisanio Here is your servant. How now, sir? What news?
160
PISANIO
My lord your son drew on my master. Ha! No harm, I trust, is done? PISANIO There might have been, But that my master rather played than fought, And had no help of anger. They were parted By gentlemen at hand. QUEEN I am very glad on’t. QUEEN
165
INNOGEN
Your son’s my father’s friend; he takes his part To draw upon an exile — O brave sir! I would they were in Afric both together, Myself by with a needle, that I might prick The goer-back. (To Pisanio) Why came you from your master?
170
PISANIO
On his command. He would not suffer me To bring him to the haven, left these notes Of what commands I should be subject to When’t pleased you to employ me. QUEEN This hath been Your faithful servant. I dare lay mine honour He will remain so. PISANIO I humbly thank your highness.
175
1520
Shakespeare IV.indb 1520
30/11/2018 09:33:33
CIMBELINO, ATTO I SCENA 1
REGINA
Ti prego, abbi pazienza, taci, mia cara figlia, taci. Dolce sovrano, lasciateci sole e fatevi guidare da più miti consigli. CIMBELINO
No, che si strugga versando una goccia di sangue al giorno16 e divenuta anziana muoia di questa sua follia. Esce con i nobili REGINA
Vergogna, dovete desistere17. Entra Pisanio Ecco il vostro servo. Ebbene, signore, quali nuove? PISANIO
Il vostro nobile figlio ha provocato il mio padrone. REGINA
Ah! Nulla di grave, spero. PISANIO
Avrebbe potuto accadere, ma il mio padrone ha più scherzato che combattuto e non era mosso dall’ira: sono stati separati dai gentiluomini che erano presenti. REGINA
Ne sono lieta. INNOGENE
Vostro figlio è nelle grazie di mio padre e fa proprio il suo dovere18 provocando un esiliato. Che valoroso! Vorrei che fossero entrambi in Africa e io là con un ago per pungere chi arretra. (A Pisanio) Perché hai abbandonato il tuo padrone? PISANIO
Per suo ordine. Non voleva che lo accompagnassi alla nave; ha lasciato queste istruzioni con gli ordini che devo seguire qualora voleste ricorrere ai miei servigi. REGINA
Si è comportato da servitore fedele: scommetto sul mio onore che resterà tale. PISANIO
Ringrazio umilmente vostra altezza.
1521
Shakespeare IV.indb 1521
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 2
QUEEN Pray walk a while.
[Exit]
INNOGEN
About some half hour hence, pray you speak with me. You shall at least go see my lord aboard. For this time leave me. Exeunt severally 1.2
180
Enter Cloten and two Lords
FIRST LORD Sir, I would advise you to shift a shirt. The
violence of action hath made you reek as a sacrifice. Where air comes out, air comes in. There’s none abroad so wholesome as that you vent. CLOTEN If my shirt were bloody, then to shift it. Have I hurt him? SECOND LORD (aside) No, faith, not so much as his patience. FIRST LORD Hurt him? His body’s a passable carcass if he be not hurt. It is a thoroughfare for steel if he be not hurt. SECOND LORD (aside) His steel was in debt — it went o’th’ backside the town. CLOTEN The villain would not stand me. SECOND LORD (aside) No, but he fled forward still, toward your face. FIRST LORD Stand you? You have land enough of your own, but he added to your having, gave you some ground. SECOND LORD (aside) As many inches as you have oceans. Puppies! CLOTEN I would they had not come between us.
6
10
15
20
1522
Shakespeare IV.indb 1522
30/11/2018 09:33:33
CIMBELINO, ATTO I SCENA 2
REGINA
Vi prego, allontanatevi per un po’. [Esce] INNOGENE
Tornate a parlarmi tra mezz’ora, ve ne prego. Andate almeno a vedere il mio signore salire a bordo. Lasciatemi, per ora. Escono da porte diverse19 I, 2
Entrano Cloten e due nobili20
PRIMO NOBILE
Mio signore, vi consiglio di cambiare la camicia; la violenza dell’azione vi ha fatto sudare come quando fuma un olocausto. Se esce dell’aria dal corpo, poi deve rientrare e quella all’esterno non è salutare come quella che emanate. CLOTEN21
Se la mia camicia fosse sporca di sangue, allora sarebbe ora di cambiarla. L’ho ferito almeno? SECONDO NOBILE (a parte) No davvero22. Almeno, non tanto quanto la sua pazienza. PRIMO NOBILE
Ferito? Il suo corpo è un vero colabrodo23 se non è ferito; è una strada maestra per l’acciaio se non è ferito. SECONDO NOBILE (a parte) La sua lama ha girato al largo, come fosse un debitore24. CLOTEN
Quel farabutto non ha tenuto la posizione. SECONDO NOBILE (a parte)
No, infatti avanzava continuamente verso la tua faccia. PRIMO NOBILE
Posizione? Voi avete già una certa posizione ma lui ha aggiunto qualcosa ai vostri averi, vi ha ceduto tanto di quel terreno25. SECONDO NOBILE (a parte) Sì, tante zolle quanto voi oceani. Idioti! CLOTEN
Vorrei che quelli non si fossero messi in mezzo. 1523
Shakespeare IV.indb 1523
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 3
SECOND LORD (aside) So would I, till you had measured
how long a fool you were upon the ground. CLOTEN And that she should love this fellow and refuse
me!
25
SECOND LORD (aside) If it be a sin to make a true election,
she is damned. FIRST LORD Sir, as I told you always, her beauty and her
brain go not together. She’s a good sign, but I have seen small reflection of her wit. SECOND LORD (aside) She shines not upon fools lest the reflection should hurt her. CLOTEN Come, I’ll to my chamber. Would there had been some hurt done. SECOND LORD (aside) I wish not so, unless it had been the fall of an ass, which is no great hurt. CLOTEN (to Second Lord) You’ll go with us? FIRST LORD I’ll attend your lordship. CLOTEN Nay, come, let’s go together. SECOND LORD Well, my lord.
30
36
Exeunt 1.3
Enter Innogen and Pisanio
INNOGEN
I would thou grew’st unto the shores o’th’ haven And questionedst every sail. If he should write And I not have it, ’twere a paper lost As offered mercy is. What was the last That he spake to thee? PISANIO It was his queen, his queen.
5
1524
Shakespeare IV.indb 1524
30/11/2018 09:33:33
CIMBELINO, ATTO I SCENA 3
SECONDO NOBILE (a parte)
Anch’io, almeno non prima che cadendo tu potessi vedere che sei lungo quanto sei scemo26. CLOTEN
E che lei ami un tal individuo e rifiuti me! SECONDO NOBILE (a parte)
Se a scegliere bene si fa un peccato, allora è dannata 27. PRIMO NOBILE
Mio signore, come vi ho sempre detto, bellezza e intelligenza in lei non vanno insieme: è splendida come una stella 28 ma ho visto pochi riflessi del suo ingegno. SECONDO NOBILE (a parte) Non brilla sugli sciocchi, perché il riflesso non la disturbi. CLOTEN
Venite, vado nelle mie stanze. Se solo fosse successo qualcosa di grave. SECONDO NOBILE (a parte) Spero proprio di no, a meno che non fosse stata la caduta di un fesso29, che non è certo una cosa grave. CLOTEN (al Secondo nobile) Venite con noi? PRIMO NOBILE
Seguirò vostra signoria. CLOTEN
No, venite, andiamo insieme. SECONDO NOBILE
Bene, mio signore. Escono I, 3
Entrano Innogene e Pisanio30
INNOGENE
Vorrei che tu mettessi le radici sulle banchine del porto e interrogassi ogni vela. Se dovesse scrivere e io non potessi leggere, le sue lettere sarebbero carta sprecata, come una grazia notificata dopo l’esecuzione. Qual è stata l’ultima cosa che ha detto? PISANIO
È stata la sua regina, la sua regina. 1525
Shakespeare IV.indb 1525
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 3
INNOGEN
Then waved his handkerchief? And kissed it, madam.
PISANIO
INNOGEN
Senseless linen, happier therein than I! And that was all? PISANIO No, madam. For so long As he could make me with this eye or earb Distinguish him from others he did keep The deck, with glove or hat or handkerchief Still waving, as the fits and stirs of ’s mind Could best express how slow his soul sailed on, How swift his ship. INNOGEN Thou shouldst have made him As little as a crow, or less, ere left To after-eye him. PISANIO Madam, so I did.
10
15
INNOGEN
I would have broke mine eye-strings, cracked them, but To look upon him till the diminution Of space had pointed him sharp as my needle; Nay, followed him till he had melted from The smallness of a gnat to air, and then Have turned mine eye and wept. But, good Pisanio, When shall we hear from him? PISANIO Be assured, madam, With his next vantage.
20
25
INNOGEN
I did not take my leave of him, but had Most pretty things to say. Ere I could tell him How I would think on him at certain hours, Such thoughts and such, or I could make him swear The shes of Italy should not betray Mine interest and his honour, or have charged him
30
9. This: his = “il suo”. 1526
Shakespeare IV.indb 1526
30/11/2018 09:33:33
CIMBELINO, ATTO I SCENA 3
INNOGENE
E poi ha sventolato il fazzoletto? PISANIO
E l’ha baciato, mia signora. INNOGENE
Insensibile lino, più fortunato di me in questo! E questo è tutto? PISANIO
No, mia signora. Fintanto che riusciva a farsi scorgere o udire e distinguere dagli altri è rimasto sul ponte, sventolando guanti, cappello o fazzoletto, e l’agitazione della sua mente esprimeva al meglio quanto fosse restio il suo animo a partire e quanto celere invece la sua nave. INNOGENE
Avresti dovuto aspettare finché non diventava piccolo come un corvo in lontananza, o ancora più piccolo, prima di smettere di guardarlo. PISANIO
Mia signora, così ho fatto. INNOGENE
Avrei strizzato gli occhi fino a schiantarli, li avrei fatti uscire fuori dalle orbite solo per guardarlo finché non fosse diventato una punta di spillo; anzi, l’avrei seguito con lo sguardo finché come un moscerino non fosse svanito nell’aria; solo allora mi sarei voltata e avrei pianto. Mio buon Pisanio, quando avremo sue notizie? PISANIO
Non dubitate, mia signora, appena ne avrà la possibilità. INNOGENE
Non ho potuto salutarlo e avevo tante cose dolci da dirgli. Prima che gli potessi dire come lo penserò in certe ore, con questi o quei pensieri, o fargli promettere che le donne d’Italia non danneggeranno il mio privilegio né il suo onore, o avergli raccomandato di
1527
Shakespeare IV.indb 1527
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
At the sixth hour of morn, at noon, at midnight T’encounter me with orisons — for then I am in heaven for him — or ere I could Give him that parting kiss which I had set Betwixt two charming words, comes in my father, And, like the tyrannous breathing of the north, Shakes all our buds from growing.
35
Enter a Lady The Queen, madam, Desires your highness’ company. INNOGEN (to Pisanio) Those things I bid you do, get them dispatched. I will attend the Queen. PISANIO Madam, I shall. LADY
40
Exeunt Innogen and Lady at one door, Pisanio at another 1.4
[A table brought out, with a banquet upon it.] Enter Filario, Giacomo, a Frenchman, a Dutchman, and a Spaniard
GIACOMO Believe it, sir, I have seen him in Britain. He
was then of a crescent note, expected to prove so worthy as since he hath been allowed the name of. But I could then have looked on him without the help of admiration, though the catalogue of his endowments had been tabled by his side and I to peruse him by items. FILARIO You speak of him when he was less furnished than now he is with that which makes him both without and within. FRENCHMAN I have seen him in France. We had very many there could behold the sun with as firm eyes as he. GIACOMO This matter of marrying his king’s daughter, wherein he must be weighed rather by her value than his own, words him, I doubt not, a great deal from the matter.
9
16
1528
Shakespeare IV.indb 1528
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
incontrarsi31 con me nella preghiera del mattino, di mezzogiorno e della sera32 – perché è allora che sono in cielo per lui33 – o prima che potessi dargli un bacio d’addio incastonato tra due parole incantate, è arrivato mio padre e, come il feroce vento del nord, ha impedito a questi nostri boccioli di crescere. Entra una dama DAMA
La regina, mia signora, desidera la compagnia di vostra altezza. INNOGENE (a Pisanio)
Esegui ciò che ti ho comandato. Io andrò dalla regina. PISANIO
Lo farò, mia signora. Escono Innogene e la dama da una parte, Pisanio dall’altra I, 4
[Viene portata una tavola imbandita] Entrano Filario, Giacomo, un francese, un olandese e uno spagnolo34
GIACOMO
Credetemi, signore, l’ho visto in Britannia35. All’epoca la sua reputazione era ancora in fase crescente, in attesa che alla prova dei fatti si dimostrasse degno del nome che poi gli è stato dato. Avrei potuto benissimo guardarlo senza provare alcuna riverenza, anche se avesse avuto con sé un catalogo delle sue qualità e io avessi dovuto esaminarlo punto per punto. FILARIO
Parlate di quando era meno maturo rispetto ad ora nell’aspetto e nell’animo. FRANCESE
Io l’ho incontrato in Francia. Anche da noi c’erano molti che avrebbero potuto fissare il sole36 come lui. GIACOMO
Questo fatto di aver sposato la figlia del re, impresa notevole per le qualità di lei piuttosto che per le sue, senza dubbio ingigantisce i suoi veri meriti. 1529
Shakespeare IV.indb 1529
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
FRENCHMAN And then his banishment. GIACOMO Ay, and the approbation of those that weep this
lamentable divorce under her colours are wonderfully to extend him, be it but to fortify her judgement, which else an easy battery might lay flat for taking a beggar without less quality. But how comes it he is to sojourn with you? How creeps acquaintance? FILARIO His father and I were soldiers together, to whom I have been often bound for no less than my life.
25
Enter Posthumus Here comes the Briton. Let him be so entertained amongst you as suits with gentlemen of your knowing to a stranger of his quality. I beseech you all, be better known to this gentleman, whom I commend to you as a noble friend of mine. How worthy he is I will leave to appear hereafter rather than story him in his own hearing. FRENCHMAN (to Posthumus) Sir, we have known together in Orléans. POSTHUMUS Since when I have been debtor to you for courtesies which I will be ever to pay, and yet pay still. FRENCHMAN Sir, you o’er-rate my poor kindness. I was glad I did atone my countryman and you. It had been pity you should have been put together with so mortal a purpose as then each bore, upon importance of so slight and trivial a nature. POSTHUMUS By your pardon, sir, I was then a young traveller, rather shunned to go even with what I heard than in my every action to be guided by others’ experiences; but upon my mended judgement — if I offend not to say it is mended — my quarrel was not altogether slight.
34
41
c
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46. Not to: to. 1530
Shakespeare IV.indb 1530
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
FRANCESE
E anche il suo esilio. GIACOMO
Già; e il sostegno di coloro che piangono per questo lamentevole distacco e si schierano con lei37, anche solo per rafforzare la sua posizione, altrimenti fin troppo attaccabile, di essersi scelta un pezzente senza il minimo valore, accresce ancor più la sua reputazione38. Ma come mai è vostro ospite? Come ha fatto a scroccare la vostra amicizia?39 FILARIO
Suo padre ed io eravamo compagni d’armi e più volte mi ha salvato la vita. Entra Postumo Ma ecco il britanno. Accoglietelo, da compiuti gentiluomini quali siete, come si conviene a uno straniero delle sue qualità. Prego tutti di approfondire la conoscenza di questo gentiluomo, che vi raccomando come mio nobile amico. Lascerò che il suo valore appaia da sé piuttosto che lodarlo in sua presenza. FRANCESE (a Postumo) Signore, ci siamo conosciuti a Orléans. POSTUMO
E da allora vi sono debitore per tante cortesie che mi faranno restare sempre insolvente, anche se vi ripagassi per sempre. FRANCESE
Signore, sopravvalutate la mia semplice gentilezza. Sono lieto di aver riconciliato quel mio connazionale e voi. Sarebbe stato un vero peccato se vi foste battuti con intenzioni tanto sanguinarie per motivi tanto futili. POSTUMO
Dovete perdonarmi, signore, ma da giovane scapestrato qual ero preferivo non seguire ciò che sentivo dire piuttosto che farmi guidare dall’esperienza altrui40; tuttavia, ripensandoci a mente lucida – se posso permettermi di dire che è lucida – i motivi non erano poi così futili.
1531
Shakespeare IV.indb 1531
30/11/2018 09:33:33
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
FRENCHMAN Faith, yes, to be put to the arbitrement of
swords, and by such two that would by all likelihood have confounded one the other, or have fallen both. GIACOMO Can we with manners ask what was the difference? FRENCHMAN Safely, I think. ’Twas a contention in public, which may without contradiction suffer the report. It was much like an argument that fell out last night, where each of us fell in praise of our country mistresses, this gentleman at that time vouching — and upon warrant of bloody affirmation — his to be more fair, virtuous, wise, chaste, constant, qualified, and less attemptable than any the rarest of our ladies in France. GIACOMO That lady is not now living, or this gentleman’s opinion by this worn out. POSTHUMUS She holds her virtue still, and I my mind. GIACOMO You must not so far prefer her fore ours of Italy. POSTHUMUS Being so far provoked as I was in France I would abate her nothing, though I profess myself her adorer, not her friend. GIACOMO As fair and as good — a kind of hand-in-hand comparison — had been something too fair and too good for any lady in Britain. If she went before others I have seen — as that diamond of yours outlustres many I have beheld — I could not but believe she excelled many; but d I have not seen the most precious diamond that is, nor you the lady. POSTHUMUS I praised her as I rated her; so do I my stone. GIACOMO What do you esteem it at?
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72. Not but: not. 1532
Shakespeare IV.indb 1532
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
FRANCESE
Ma sì, invece, e comunque non giustificavano un duello, soprattutto tra due persone che con ogni probabilità si sarebbero annullate a vicenda o cadute entrambe. GIACOMO
Possiamo gentilmente sapere qual era l’oggetto del contendere? FRANCESE
Credo proprio di sì; è stata una contesa in pubblico e si può raccontare senza tema di smentita. È successo proprio come nella discussione che è sorta ieri sera, quando ognuno di noi lodava le donne del proprio paese: questo gentiluomo all’epoca sosteneva – ed era pronto a ribadirlo col sangue – che la sua dama era più bella, virtuosa, saggia, casta, costante, compiuta e meno facile da sedurre di una qualsiasi delle più straordinarie dame di Francia. GIACOMO
Quella donna non dev’essere più in vita, oppure questo gentiluomo ha ormai cambiato opinione. POSTUMO
Lei mantiene ancora le sue virtù e io la mia convinzione41. GIACOMO
Non dovreste decantarla tanto rispetto alle nostre in Italia. POSTUMO
Se fossi provocato come in Francia, non mi rimangerei nulla, anche se ora mi dichiaro suo adoratore e non suo amante. GIACOMO
Tanto rara e tanto onesta – sembra quasi che vadano a braccetto – sarebbe decisamente troppo raro e troppo onesto per qualsiasi dama in Britannia. Se anche sorpassasse le altre che ho visto – come il diamante che portate supera in splendore molti che ho osservato – potrei solo ritenerla superiore a molte; ma io non ho ancora visto il diamante più prezioso che esista, né voi una donna così perfetta. POSTUMO
L’ho lodata in base alla stima che ne ho. Altrettanto faccio per la mia pietra. GIACOMO
Quale valore le date? 1533
Shakespeare IV.indb 1533
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
POSTHUMUS More than the world enjoys. GIACOMO Either your unparagoned mistress is dead, or
she’s outprized by a trifle. POSTHUMUS You are mistaken. The one may be sold or given, or if there were wealth enough for the purchase or merit for the gift. The other is not a thing for sale, and only the gift of the gods. GIACOMO Which the gods have given you? POSTHUMUS Which, by their graces, I will keep. GIACOMO You may wear her in title yours; but, you know, strange fowl light upon neighbouring ponds. Your ring may be stolen too; so your brace of unprizable estimations, the one is but frail, and the other casual. A cunning thief or a that-way accomplished courtier would hazard the winning both of first and last. POSTHUMUS Your Italy contains none so accomplished a courtier to convince the honour of my mistress if in the holding or loss of that you term her frail. I do nothing doubt you have store of thieves; notwithstanding, I fear not my ring. FILARIO Let us leave here, gentlemen. POSTHUMUS Sir, with all my heart. This worthy signor, I thank him, makes no stranger of me. We are familiar at first. GIACOMO With five times so much conversation I should get ground of your fair mistress, make her go back even to the yielding, had I admittance and opportunity to friend. POSTHUMUS No, no.
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Shakespeare IV.indb 1534
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
POSTUMO
Più di ogni cosa al mondo. GIACOMO
O la vostra incomparabile dama è morta o il suo valore può essere superato da una cosa da nulla. POSTUMO
Vi sbagliate. Quest’ultima può essere venduta o regalata, se si ha sufficiente ricchezza per acquistarla o merito per riceverla in dono. L’altra non è qualcosa che si possa comprare ma solo un dono degli dei. GIACOMO
Che gli dei hanno dato a voi? POSTUMO
Che, con il loro favore, conserverò. GIACOMO
Di nome potete dire che è vostra42, ma, sapete, anche uccelli estranei si posano sugli stagni di casa43. Il vostro anello, inoltre, potrebbe esservi rubato. Dunque, dei vostri tesori inestimabili, uno è volubile, l’altro a rischio. Un ladro astuto o un cortigiano esperto in queste cose potrebbero tentare di portarvi via l’uno e l’altro. POSTUMO
La vostra Italia non ha nessun cortigiano così perfetto da vincere l’onore della mia signora, se alludete al fatto che lo possa mantenere o perdere. E non dubito minimamente che abbiate ladri a frotte, ma ciò nonostante non temo per il mio anello. FILARIO
Finiamola qui, signori. POSTUMO
Signore, con tutto il cuore. Questo degno signor, e lo ringrazio per questo, non mi tratta certo da straniero. Ci siamo capiti subito. GIACOMO
Con una conversazione cinque volte più lunga di questa potrei fare grandi progressi con la vostra leggiadra signora ed entrare nelle sue grazie fino a farla cedere, se solo avessi l’occasione di essere presentato e di conoscerla. POSTUMO
No, no. 1535
Shakespeare IV.indb 1535
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
GIACOMO I dare thereupon pawn the moiety of my estate
to your ring, which in my opinion o’ervalues it something. But I make my wager rather against your confidence than her reputation, and, to bar your offence herein too, I durst attempt it against any lady in the world. POSTHUMUS You are a great deal abused in too bold a persuasion, and I doubt not you sustain what you’re worthy of by your attempt. GIACOMO What’s that? POSTHUMUS A repulse; though your attempt, as you call it, deserve more — a punishment, too. FILARIO Gentlemen, enough of this. It came in too suddenly. Let it die as it was born; and, I pray you, be better acquainted. GIACOMO Would I had put my estate and my neighbour’s on th’approbation of what I have spoke. POSTHUMUS What lady would you choose to assail? GIACOMO Yours, whom in constancy you think stands so safe. I will lay you ten thousand ducats to your ring that, commend me to the court where your lady is, with no more advantage than the opportunity of a second conference, and I will bring from thence that honour of hers which you imagine so reserved. POSTHUMUS I will wage against your gold, gold to it; my ring I hold dear as my finger, ’tis part of it. GIACOMO You are a friend, and therein the wiser. If you buy ladies’ flesh at a million a dram, you cannot preserve it from tainting. But I see you have some religion in you, that you fear.
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Shakespeare IV.indb 1536
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
GIACOMO
Oso scommettere la metà dei miei averi contro il vostro anello, che a mio parere ha un valore molto inferiore. Ma faccio la mia scommessa contro la vostra sicumera piuttosto che contro la sua reputazione e, anche per non darvi motivo di offesa, vi assicuro che oserei farlo con qualunque donna del mondo. POSTUMO
Commettete un grosso errore ad essere così sicuro di voi e non dubito che riceverete ciò che meritate per il vostro proposito. GIACOMO
Vale a dire? POSTUMO
Un rifiuto; sebbene tale proposito, come voi lo chiamate, meriti ben di più – anche una punizione. FILARIO
Basta così, signori miei. La questione è nata in modo casuale. Lasciamo che muoia come è nata e vi prego, approfondite la vostra conoscenza. GIACOMO
Avrei dovuto impegnare il mio intero patrimonio e quello del mio vicino a conferma di ciò che ho detto. POSTUMO
Quale donna vorreste mettere alla prova? GIACOMO
La vostra, che voi reputate così fidata nella sua costanza. Scommetto diecimila ducati44 contro il vostro anello che, con una lettera di presentazione per entrare a corte e appena due colloqui, le porterò via quell’onore che voi ritenete così sicuro. POSTUMO
Scommetterò dell’oro contro il vostro oro; questo anello mi è caro come il dito di cui è ormai parte. GIACOMO
Siete suo amico45 e quindi la conoscete bene. Se anche pagaste un milione al grammo la carne di una dama, non potreste impedire che si corrompa. Ma noto un certo timore in questo culto alla vostra divinità.
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Shakespeare IV.indb 1537
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 4
POSTHUMUS This is but a custom in your tongue. You bear
a graver purpose, I hope. GIACOMO I am the master of my speeches, and would
undergo what’s spoken, I swear. POSTHUMUS Will you? I shall but lend my diamond till
your return. Let there be covenants drawn between ’s. My mistress exceeds in goodness the hugeness of your unworthy thinking. I dare you to this match. Here’s my ring. FILARIO I will have it no lay. GIACOMO By the gods, it is one. If I bring you no sufficient testimony that I have enjoyed the dearest bodily part of your mistress, my ten thousand ducats are yours; so is your diamond too. If I come off and leave her in such honour as you have trust in, she your jewel, this your jewel, and my gold are yours, provided I have your commendation for my more free entertainment. POSTHUMUS I embrace these conditions; let us have articles betwixt us. Only thus far you shall answer: if you make your voyage upon her and give me directly to understand you have prevailed, I am no further your enemy; she is not worth our debate. If she remain unseduced, you not making it appear otherwise, for your ill opinion and th’assault you have made to her chastity you shall answer me with your sword. GIACOMO Your hand, a covenant. We will have these things set down by lawful counsel, and straight away for Britain, lest the bargain should catch cold and starve. I will fetch my gold and have our two wagers recorded. POSTHUMUS Agreed. [Exit with Giacomo]
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Shakespeare IV.indb 1538
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 4
POSTUMO
Dite questo tanto per parlare. Sapete essere più serio, spero. GIACOMO
So controllare perfettamente le mie parole e sono pronto a giurare che farò ciò che ho detto. POSTUMO
Davvero? Impegno il mio diamante fino al vostro ritorno. Facciamo scrivere il nostro patto. L’onestà della mia signora supera l’enormità delle vostri indegne convinzioni. Vi sfido a questa prova. Ecco il mio anello. FILARIO
Non permetterò che si faccia questa scommessa. GIACOMO
Per gli dei, è andata. Se non porto prove sufficienti di aver goduto delle grazie della vostra signora, i miei diecimila ducati sono vostri, così come il vostro diamante. Se ritorno avendole lasciato quell’onore che voi tanto celebrate, lei, vostro gioiello, questo gioiello e il mio oro sono vostri, a patto di avere una presentazione che mi permetta di essere ben accolto. POSTUMO
Accetto queste condizioni; mettiamo per iscritto il nostro accordo. Questo è ciò che vi impegnate a fare: se andrete fino in fondo46 e me ne darete prova inconfutabile, io non sarò più vostro nemico, perché lei non sarà degna di una contesa tra noi. Se invece non si lascerà sedurre e voi non potrete dimostrare il contrario, della vostra oltraggiosa opinione e dell’assalto alla sua virtù mi risponderete con la spada. GIACOMO
D’accordo, qua la mano. Faremo trascrivere queste clausole perché abbiano valore legale, poi partirò subito per la Britannia, perché questo nostro accordo non si raffreddi e muoia. Porterò il mio oro e farò registrare i nostri rispettivi impegni. POSTUMO
Accetto. [Esce con Giacomo]
1539
Shakespeare IV.indb 1539
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 5
FRENCHMAN Will this hold, think you? FILARIO Signor Giacomo will not from it. Pray let us
follow ’em. 1.5
Exeunt. [Table is removed]
Enter Queen, Ladies, and Cornelius, a doctor
QUEEN
Whiles yet the dew’s on ground, gather those flowers. Make haste. Who has the note of them? A LADY I, madam. QUEEN Dispatch. Exeunt Ladies Now, Master Doctor, have you brought those drugs? CORNELIUS
Pleaseth your highness, ay. Here they are, madam.
5
He gives her a box But I beseech your grace, without offence — My conscience bids me ask — wherefore you have Commanded of me these most poisonous compounds, Which are the movers of a languishing death, But though slow, deadly. QUEEN I wonder, doctor, Thou ask’st me such a question. Have I not been Thy pupil long? Hast thou not learned me how To make perfumes, distil, preserve — yea, so That our great King himself doth woo me oft For my confections? Having thus far proceeded, Unless thou think’st me devilish, is’t not meet That I did amplify my judgement in Other conclusions? I will try the forces Of these thy compounds on such creatures as We count not worth the hanging, but none human, To try the vigour of them, and apply Allayments to their act, and by them gather Their several virtues and effects.
10
15
21
1540
Shakespeare IV.indb 1540
30/11/2018 09:33:34
CIMBELINO, ATTO I SCENA 5
FRANCESE
Credete che la cosa andrà avanti? FILARIO
Il signor Giacomo non si tirerà certo indietro. Forza, seguiamoli. Escono. [Il tavolo viene rimosso] Entrano la regina, alcune dame e Cornelio, un dottore47
I, 5
REGINA
Andate a raccogliere quei fiori mentre la rugiada copre ancora il terreno. Affrettatevi. Chi ha l’elenco? DAMA
Io, signora. REGINA
Su, presto. Escono le dame Allora, dottore, avete portato quelle sostanze? CORNELIO
Se così piace a vostra altezza. Eccole, mia signora. Le dà un cofanetto Ma scongiuro vostra grazia, senza offesa – la mia coscienza mi impone di chiederlo – per quale motivo mi avete ordinato questi velenosissimi preparati, che provocano una morte graduale, lenta ma sicura. REGINA
Mi chiedo, dottore, perché mi fai questa domanda. Non sono tua apprendista da tanto tempo? Non mi hai insegnato a preparare profumi, a distillare essenze e conservarle, tanto che il nostro grande re in persona mi fa spesso la corte per avere i miei preparati? Avendo imparato così tanto, a meno che tu non mi consideri assolutamente diabolica, non è bene che ampli le mie conoscenze con altri esperimenti? Proverò gli effetti di questi tuoi composti su creature che non riteniamo degne neppure della forca, non sugli esseri umani, allo scopo di provarne l’efficacia e sperimentare degli antidoti alla loro azione e così accertare qualità e prerogative di ognuno di essi. 1541
Shakespeare IV.indb 1541
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 5
Your highness Shall from this practice but make hard your heart. Besides, the seeing these effects will be Both noisome and infectious. QUEEN O, content thee. CORNELIUS
25
Enter Pisanio (Aside) Here comes a flattering rascal; upon him Will I first work. He’s factor for his master, e And enemy to my son. (Aloud) How now, Pisanio? — Doctor, your service for this time is ended. Take your own way. CORNELIUS (aside) I do suspect you, madam. But you shall do no harm. QUEEN (to Pisanio) Hark thee, a word. CORNELIUS (aside) I do not like her. She doth think she has Strange ling’ring poisons. I do know her spirit, And will not trust one of her malice with A drug of such damned nature. Those she has Will stupefy and dull the sense a while, Which first, perchance, she’ll prove on cats and dogs, Then afterward up higher; but there is No danger in what show of death it makes More than the locking up the spirits a time, To be more fresh, reviving. She is fooled With a most false effect, and I the truer So to be false with her. QUEEN No further service, doctor, Until I send for thee. CORNELIUS I humbly take my leave. Exit QUEEN (to Pisanio) Weeps she still, sayst thou? Dost thou think in time She will not quench, and let instructions enter Where folly now possesses? Do thou work.
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28. Factor for: for. 1542
Shakespeare IV.indb 1542
30/11/2018 09:33:34
CIMBELINO, ATTO I SCENA 5
CORNELIO
Con queste azioni vostra altezza renderà solo più duro il suo cuore. Inoltre, vedere certi effetti potrebbe essere ripugnante e contagioso. REGINA
Sta’ pure tranquillo. Entra Pisanio (A parte) Ecco quel furfante adulatore; mi occuperò subito di lui. È un fedele alleato per il suo padrone e un nemico per mio figlio. (Ad alta voce) Ehilà, Pisanio. Dottore, per ora il vostro compito è finito. Potete andare. CORNELIO (a parte) Non mi fido di voi, signora; ma non farete alcun danno. REGINA (a Pisanio) Ehi, ascolta. CORNELIO (a parte) Non mi piace. È convinta di avere strani, lenti veleni. Conosco il suo animo e non permetterò che una donna della sua perfidia usi una sostanza così micidiale. Quelle che ha in mano intorpidiranno e stordiranno i sensi per un po’ e forse le proverà prima su cani e gatti e poi su creature superiori. Ma non c’è alcun pericolo nella morte apparente che provocano, se non il momentaneo arresto delle funzioni vitali che poi riprenderanno con ancor più freschezza e vigore. Sarà illusa da un falso effetto e io sarò più onesto per esser stato falso con lei. REGINA
Non c’è altro, dottore, finché non ti manderò a chiamare. CORNELIO
Prendo umilmente congedo. Esce REGINA (a Pisanio)
Piange ancora, dici? Non pensi che col tempo si calmerà e lascerà che i buoni consigli siano accolti là dove ora domina la follia? Mettiti
1543
Shakespeare IV.indb 1543
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 5
When thou shalt bring me word she loves my son I’ll tell thee on the instant thou art then As great as is thy master — greater, for His fortunes all lie speechless, and his name Is at last gasp. Return he cannot, nor Continue where he is. To shift his being Is to exchange one misery with another, And every day that comes comes to decay A day’s work in him. What shalt thou expect To be depender on a thing that leans, Who cannot be new built nor has no friends So much as but to prop him?
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[She drops her box. He takes it up] Thou tak’st up Thou know’st not what; but take it for thy labour. It is a thing I made which hath the King Five times redeemed from death. I do not know What is more cordial. Nay, I prithee take it. It is an earnest of a farther good That I mean to thee. Tell thy mistress how The case stands with her; do’t as from thyself. Think what a chance thou changest on, but think Thou hast thy mistress still; to boot, my son, Who shall take notice of thee. I’ll move the King To any shape of thy preferment, such As thou’lt desire; and then myself, I chiefly, That set thee on to this desert, am bound To load thy merit richly. Call my women. Think on my words. Exit Pisanio A sly and constant knave, Not to be shaked; the agent for his master, And the remembrancer of her to hold The hand-fast to her lord. I have given him that Which, if he take, shall quite unpeople her Of liegers for her sweet, and which she after,
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Shakespeare IV.indb 1544
30/11/2018 09:33:34
CIMBELINO, ATTO I SCENA 5
all’opera. Quando mi porterai la notizia che ama mio figlio allora ti dirò che sei grande come il tuo padrone – anzi più grande, poiché le sue fortune sono ormai mute e il suo nome non è che un rantolo. Non può certo tornare, né restare dove si trova. Cambiare dimora vorrebbe dire passare da una miseria a un’altra simile e, ogni giorno che passa, passa un’altra occasione per lui. Che cosa ti puoi aspettare se dipendi da qualcosa che si piega, non può essere ricostruita e non ha nulla che la sostenga? [Lascia cadere il cofanetto. Lui lo raccoglie] Non hai idea di che cosa raccogli, ma prendilo per le tue fatiche. È un farmaco che ho preparato e che ha salvato il re dalla morte per cinque volte. Non conosco cordiale migliore. Su, avanti, prendilo. È solo un assaggio del bene ancora più grande che ho in mente per te. Di’ alla tua signora qual è la sua situazione; dillo come se fosse una tua idea. Pensa a come può cambiare la tua sorte, ma pensa anche che continuerai ad avere la tua padrona e per di più mio figlio, che ti guarderà con favore. Con ogni mezzo spingerò il re a concederti tutti i favori e le promozioni che vorrai, e io stessa, soprattutto io, che ti ho dato questa possibilità, mi impegno a premiare generosamente il tuo valore. Va’ a chiamare le mie dame. Intanto ripensa alle mie parole. Esce Pisanio Un briccone scaltro e fedele, irremovibile; fiduciario del suo padrone e ammonitore per lei a restare fedele al patto di unione con il suo signore. Gli ho dato qualcosa che, se lo berrà, priverà lei di
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Shakespeare IV.indb 1545
30/11/2018 09:33:34
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
Except she bend her humour, shall be assured To taste of too. Enter Pisanio and Ladies So, so; well done, well done. The violets, cowslips, and the primroses Bear to my closet. Fare thee well, Pisanio. Think on my words, Pisanio. f PISANIO And shall do.
85
Exeunt Queen and Ladies But when to my good lord I prove untrue, I’ll choke myself — there’s all I’ll do for you. 1.6
Exit
Enter Innogen
INNOGEN
A father cruel and a stepdame false, A foolish suitor to a wedded lady That hath her husband banished. O, that husband, My supreme crown of grief, and those repeated Vexations of it! Had I been thief-stol’n, As my two brothers, happy; but most miserable Is the desire that’s glorious. Blest be those, How mean soe’er, that have their honest wills, Which seasons comfort.
5
Enter Pisanio and Giacomo Who may this be? Fie! PISANIO
Madam, a noble gentleman of Rome Comes from my lord with letters. GIACOMO Change you, madam? The worthy Leonatus is in safety, And greets your highness dearly.
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He gives her the letters
85. Words, Pisanio: words. 1546
Shakespeare IV.indb 1546
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
ambasciatori del suo amore; e anche lei prima o poi, a meno che non cambi opinione, lo vorrà provare di sicuro. Entrano Pisanio e le dame Ecco, bene, bene. Violette, primavere odorose e primule. Portatele nei miei appartamenti. Arrivederci, Pisanio. E, Pisanio, ripensa alle mie parole. PISANIO
Lo farò. Escono la regina e le dame Ma il giorno in cui tradirò il mio buon padrone mi strangolerò con le mie stesse mani – questo è tutto ciò che farò per voi. Esce I, 6
Entra Innogene48
INNOGENE
Un padre crudele e una matrigna infida, uno sciocco che fa la corte a una donna sposata il cui marito è bandito. Oh, quel marito, mia suprema corona di dolore; e quelle ripetute vessazioni, che lo rendono ancora più intenso! Fossi stata rapita dai ladri come i miei due fratelli, che gioia; ma è assai infelice chi ha grandi ambizioni. Beati coloro che, anche se poveri, hanno desideri onesti che il tempo esaudisce49. Entrano Pisanio e Giacomo Oh, no, e questo chi sarà mai? PISANIO
Signora, un nobile gentiluomo di Roma porta delle lettere da parte del padrone. GIACOMO
Cambiate colore50, signora? L’illustre Leonato sta bene e saluta affettuosamente vostra altezza. Le dà le lettere
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Shakespeare IV.indb 1547
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
INNOGEN
Thanks, good sir.
You’re kindly welcome. She reads the letters GIACOMO (aside)
All of her that is out of door most rich! If she be furnished with a mind so rare She is alone, th’Arabian bird, and I Have lost the wager. Boldness be my friend; Arm me audacity from head to foot, Or, like the Parthian, I shall flying fight; Rather, directly fly. INNOGEN (reads aloud) ‘He is one of the noblest note, to whose kindnesses I am most infinitely tied. Reflect upon him accordingly, as you value Your truest g Leonatus.’ (To Giacomo) So far I read aloud, But even the very middle of my heart Is warmed by th’ rest, and takes it thankfully. You are as welcome, worthy sir, as I Have words to bid you, and shall find it so In all that I can do. GIACOMO Thanks, fairest lady. What, are men mad? Hath nature given them eyes To see this vaulted arch and the rich crop Of sea and land, which can distinguish ’twixt The fiery orbs above and the twinned stones Upon th’unnumbered beach, and can we not h Partition make with spectacles so precious ’Twixt fair and foul? INNOGEN What makes your admiration?
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25. Truest: trust = “fiducia, stima”. 37. Th’unnumbered: the number’d = “numerosi”. 1548
Shakespeare IV.indb 1548
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
INNOGENE
Grazie, mio buon signore. Vi do il più cordiale benvenuto. Legge le lettere GIACOMO (a parte)
Tutto ciò che si vede di lei è davvero incantevole! Se il suo animo è altrettanto straordinario lei è davvero unica come l’araba fenice51 e io ho perso la scommessa. Spavalderia aiutami, audacia rivestimi da capo a piedi o, come i parti, dovrò combattere fuggendo52; anzi dovrò fuggire e basta. INNOGENE (legge ad alta voce) “Costui è persona della più alta reputazione e alla cui gentilezza sono infinitamente debitore. Consideralo53 di conseguenza, come riterrai opportuno54. Il tuo fedele Leonato”. (A Giacomo) Posso leggere ad alta voce solo questo, ma il mio cuore è toccato nell’intimo dal resto e lo accoglie con gratitudine. Siate benvenuto, mio degno signore, quanto riusciranno a esprimere le mie parole e tutto ciò che vi potrò offrire. GIACOMO
Grazie, mia incantevole signora. Ma gli uomini sono forse impazziti? La natura ha dato loro occhi per contemplare questa volta celeste e la sconfinata estensione di mari e terre, in grado di discernere le sfere infuocate del cielo e i ciottoli tutti uguali degli infiniti lidi marini, e non riusciamo a distinguere il bello e il brutto con dei cristalli tanto raffinati? INNOGENE
Che cosa provoca il vostro stupore?
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Shakespeare IV.indb 1549
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
GIACOMO
It cannot be i’th’ eye — for apes and monkeys, ’Twixt two such shes, would chatter this way and Contemn with mows the other; nor i’th’ judgement, For idiots in this case of favour would Be wisely definite; nor i’th’ appetite — Sluttery, to such neat excellence opposed, Should make desire vomit emptiness, Not so allured to feed. INNOGEN What is the matter, trow? GIACOMO The cloyèd will, That satiate yet unsatisfied desire, that tub Both filled and running, ravening first the lamb, Longs after for the garbage. INNOGEN What, dear sir, Thus raps you? Are you well?
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GIACOMO
Thanks, madam, well. (To Pisanio) Beseech you, sir, Desire my man’s abode where I did leave him. He’s strange and peevish. PISANIO I was going, sir, To give him welcome. Exit INNOGEN Continues well my lord? His health, beseech you? GIACOMO Well, madam.
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INNOGEN
Is he disposed to mirth? I hope he is. GIACOMO
Exceeding pleasant, none a stranger there So merry and so gamesome. He is called The Briton Reveller. INNOGEN When he was here He did incline to sadness, and oft-times Not knowing why.
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Shakespeare IV.indb 1550
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
GIACOMO
Non può certo essere colpa dell’occhio, visto che persino una scimmia, se ci fosse qui un’altra donna, additerebbe questa gesticolando e schernirebbe quella con una smorfia55; né del discernimento, perché nel valutare la bellezza anche un idiota farebbe la scelta giusta in un caso come questo; né della voglia: la libidine stessa, opposta a una tale eccellenza, provocherebbe solo un conato di vomito nel desiderio invece che invogliarlo alla soddisfazione56. INNOGENE
Di che cosa state parlando? GIACOMO
L’appetito saziato, quel desiderio satollo ma sempre insoddisfatto, quella botte cui attingi e resta piena57, prima divora l’agnello e poi si avventa sui rifiuti 58. INNOGENE
Che cosa vi prende, caro signore? State bene? GIACOMO
Grazie, signora, sto bene. (A Pisanio) Vi prego, signore, andate a dire al mio servo che rimanga dove l’ho lasciato. È straniero e irascibile59. PISANIO
Stavo appunto andando, signore, a dargli il benvenuto. Esce INNOGENE
Come sta il mio signore? È in buona salute? GIACOMO
Buona, signora. INNOGENE
È di buon umore? Me lo auguro. GIACOMO
Eccezionalmente ben disposto, nessuno straniero è così allegro e gioviale. È soprannominato il Britanno Godereccio. INNOGENE
Quando era qui era incline alla malinconia, spesso senza saperne il motivo.
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Shakespeare IV.indb 1551
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
I never saw him sad. There is a Frenchman his companion, one An eminent monsieur that, it seems, much loves A Gallian girl at home. He furnaces The thick sighs from him, whiles the jolly Briton — Your lord, I mean — laughs from ’s free lungs, cries ‘O, Can my sides hold, to think that man, who knows By history, report or his own proof What woman is, yea, what she cannot choose But must be, will ’s free hours languish For assurèd bondage?’ INNOGEN Will my lord say so? GIACOMO
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GIACOMO
Ay, madam, with his eyes in flood with laughter. It is a recreation to be by And hear him mock the Frenchman. But heavens know Some men are much to blame. INNOGEN Not he, I hope.
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GIACOMO
Not he; but yet heaven’s bounty towards him might Be used more thankfully. In himself ’tis much; In you, which I count his, beyond all talents. Whilst I am bound to wonder, I am bound To pity too. INNOGEN What do you pity, sir?
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GIACOMO
Two creatures heartily. Am I one, sir? You look on me; what wreck discern you in me Deserves your pity? GIACOMO Lamentable! What, To hide me from the radiant sun, and solace I’th’ dungeon by a snuff? INNOGEN
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Shakespeare IV.indb 1552
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
GIACOMO
Non l’ho mai visto triste. C’è un francese suo amico, un insigne monsieur che, a quanto pare, ama perdutamente una fanciulla del suo paese. Lui continua a sospirare d’amore mentre l’allegro britanno – voglio dire il vostro signore – ride a crepapelle e urla “Oh, non ce la faccio proprio a vedere un uomo che, dalla storia, dai racconti e dalla propria esperienza dovrebbe sapere che cosa è una donna – anzi, che cosa lei non può fare a meno di essere – e spreca la libertà del celibato languendo per una servitù garantita”. INNOGENE
Il mio signore dice proprio così? GIACOMO
Sì, signora, ridendo fino alle lacrime. È davvero spassoso ascoltarlo mentre prende in giro il francese. Ma lo sa solo il cielo quanto sono da biasimare certi uomini. INNOGENE
Non lui, mi auguro. GIACOMO
Non lui; anche se le fortune che il cielo gli concede dovrebbero essere accolte con maggior gratitudine. Lui ne ha già molte in sé, ma voi, che considero parte di lui, siete qualcosa che va oltre ogni suo possibile merito. Mentre ammiro, devo anche compatire. INNOGENE
Compatire che cosa? GIACOMO
Due creature, di cuore. INNOGENE
E io sono una di esse? Guardatemi: quale decadenza vedete in me che giustifichi la vostra pietà? GIACOMO
Che tristezza! Ma come, accettare di restare senza i raggi del sole e sollazzarsi al buio al lume di un lucignolo?
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Shakespeare IV.indb 1553
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
I pray you, sir, Deliver with more openness your answers To my demands. Why do you pity me? GIACOMO That others do — I was about to say enjoy your — but It is an office of the gods to venge it, Not mine to speak on’t. INNOGEN You do seem to know Something of me, or what concerns me. Pray you, Since doubting things go ill often hurts more Than to be sure they do — for certainties Either are past remedies, or, timely knowing, The remedy then born — discover to me What both you spur and stop. GIACOMO Had I this cheek To bathe my lips upon; this hand whose touch, Whose every touch, would force the feeler’s soul To th’oath of loyalty; this object which Takes prisoner the wild motion of mine eye, Firing it only here: should I, damned then, i Slaver with lips as common as the stairs That mount the Capitol; join grips with hands Made hard with hourly falsehood — falsehood as With labour; then by-peeping in an eye Base and illustrous as the smoky light That’s fed with stinking tallow — it were fit That all the plagues of hell should at one time Encounter such revolt. INNOGEN My lord, I fear, Has forgot Britain. GIACOMO And himself. Not I Inclined to this intelligence pronounce The beggary of his change, but ’tis your graces That from my mutest conscience to my tongue Charms this report out. INNOGEN
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105. Firing: fixing = “facendo fissare”. 1554
Shakespeare IV.indb 1554
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
INNOGENE
Vi prego, signore, siate più esplicito nelle vostre risposte alle mie domande. Perché mi compatite? GIACOMO
Perché altre si – stavo per dire “godono” vostro – ma spetta agli dei giudicare, non a me parlarne. INNOGENE
Sembra che sappiate qualcosa di me, o che mi riguarda. Vi prego, poiché il timore che qualcosa vada male spesso è peggiore della certezza – visto che le certezze o sono senza rimedio o possono suggerire la soluzione se si sanno in tempo – rivelatemi ciò che insinuate e tacete al tempo stesso. GIACOMO
Se solo avessi questa guancia per ristorare le mie labbra; questa mano, il cui tocco, il cui solo tocco, spingerebbe l’animo a giurare eterna fedeltà; questo oggetto che imprigiona lo sfrenato desiderio dei miei occhi, e li incendia attirandoli su di sé60. Se fosse così, allora meriterei la dannazione per il fatto di sbaciucchiare labbra frequentate come i gradini che salgono al Campidoglio61, di stringere mani incallite a forza di concedere a tutte le ore falsi abbracci – falsi come la loro solerzia –, e di lanciare languidi sguardi a occhi meschini e spenti come la luce fumosa di una candela di sego puzzolente. Sarebbe più che giusto patire tutte le pene dell’inferno per un tale abominio. INNOGENE
Il mio signore, temo, ha dimenticato la Britannia. GIACOMO
E se stesso. Non che voglia darvi questa informazione per confermare la povertà di un tale cambio, però sono le vostre stesse grazie che strappano queste informazioni dalla mia muta coscienza.
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Shakespeare IV.indb 1555
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
INNOGEN
Let me hear no more.
GIACOMO
O dearest soul, your cause doth strike my heart With pity that doth make me sick. A lady So fair, and fastened to an empery Would make the great’st king double, to be partnered With tomboys hired with that self exhibition Which your own coffers yield; with diseased ventures That play with all infirmities for gold Which rottenness can lend to nature; such boiled stuff As well might poison poison! Be revenged, Or she that bore you was no queen, and you Recoil from your great stock. INNOGEN Revenged? How should I be revenged? If this be true — As I have such a heart that both mine ears Must not in haste abuse — if it be true, How should I be revenged? GIACOMO Should he make me Live like Diana’s priest betwixt cold sheets Whiles he is vaulting variable ramps, In your despite, upon your purse — revenge it. I dedicate myself to your sweet pleasure, More noble than that runagate to your bed, And will continue fast to your affection, Still close as sure. INNOGEN What ho, Pisanio!
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GIACOMO
Let me my service tender on your lips. INNOGEN
Away, I do condemn mine ears that have So long attended thee. If thou wert honourable Thou wouldst have told this tale for virtue, not For such an end thou seek’st, as base as strange. Thou wrong’st a gentleman who is as far From thy report as thou from honour, and Solicit’st here a lady that disdains
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Shakespeare IV.indb 1556
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
INNOGENE
Non dite altro. GIACOMO
Anima cara, la vostra vicenda mi riempie il cuore di una pietà che mi tormenta. Una signora così leggiadra, che unita a un impero raddoppierebbe i domini del re più potente, equiparata a delle mignotte assoldate con quegli stessi denari che vengono dai vostri forzieri; a incaute appestate che per soldi rischiano di contrarre tutte le malattie che la corruzione può portare alla natura; carne bollita62 così immonda da avvelenare il veleno! Vendicatevi, o colei che vi ha portato in grembo non era una regina e voi stessa disonorate la vostra nobile stirpe. INNOGENE
Vendicarmi? E come dovrei vendicarmi? Se questo è vero – perché ho un cuore che non deve lasciarsi ingannare troppo in fretta dalle orecchie – se è vero, come dovrei vendicarmi? GIACOMO
Dovrebbe costringermi a restare tra fredde lenzuola come una sacerdotessa di Diana mentre lui si monta a ripetizione delle bagasce, a vostro dispetto e a vostre spese? Vendicatevi. Io mi consacro al vostro dolce piacere, più degno del vostro letto di quel disertore, e rimarrò stretto a voi, segreto e fidato. INNOGENE
Ehi, Pisanio! GIACOMO
Lasciate che offra la mia adorazione alle vostre labbra. INNOGENE
Allontanati63, condanno le mie orecchie che ti hanno ascoltato così a lungo. Se fossi un uomo onesto avresti parlato con intenzioni virtuose, non con fini assurdi e ignobili. Fai torto a un gentiluomo che è lontano dalla tua descrizione quanto tu dall’onore, e tenti di se-
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Shakespeare IV.indb 1557
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CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
Thee and the devil alike. What ho, Pisanio! The King my father shall be made acquainted Of thy assault. If he shall think it fit A saucy stranger in his court to mart As in a Romish stew, and to expound His beastly mind to us, he hath a court He little cares for, and a daughter who He not respects at all. What ho, Pisanio!
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GIACOMO
O happy Leonatus! I may say The credit that thy lady hath of thee Deserves thy trust, and thy most perfect goodness Her assured credit. Blessèd live you long, A lady to the worthiest sir that ever Country called his; and you his mistress, only For the most worthiest fit. Give me your pardon. I have spoke this to know if your affiance Were deeply rooted, and shall make your lord That which he is new o’er; and he is one The truest mannered, such a holy witch That he enchants societies into him; Half all men’s hearts are his. INNOGEN You make amends.
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GIACOMO
He sits ’mongst men like a descended god. He hath a kind of honour sets him off More than a mortal seeming. Be not angry, Most mighty princess, that I have adventured To try your taking of a false report, which hath Honoured with confirmation your great judgement In the election of a sir so rare Which you know cannot err. The love I bear him Made me to fan you thus, but the gods made you, Unlike all others, chaffless. Pray, your pardon.
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INNOGEN
All’s well, sir. Take my power i’th’ court for yours.
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Shakespeare IV.indb 1558
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
durre una signora che ti disprezza come il demonio. Ehi, Pisanio! Il re mio padre sarà informato del tuo assalto. Se riterrà accettabile che un impudente straniero venga nella sua corte a mercanteggiare come se fosse in un bordello romano64 e a rivelare i suoi intenti bestiali, allora vorrà dire che ha una corte che disprezza e una figlia che non rispetta affatto. Ehi, Pisanio! GIACOMO
Oh, felice Leonato! Posso davvero affermare che l’opinione che la tua signora ha di te merita la tua fiducia, e la tua perfetta virtù la incrollabile stima di lei. Possiate vivere a lungo beati, una dama unita al più degno signore che mai una nazione abbia potuto vantare; e voi, sua sposa, adatta solo all’uomo più degno. Perdonatemi. Ho detto tutto questo per vedere se la vostra promessa fedeltà avesse radici profonde; ora farò un nuovo e veritiero ritratto del vostro signore, un uomo assai fedele, un così virtuoso incantatore da ammaliare chi lo circonda; metà del cuore di chi lo conosce gli appartiene. INNOGENE
Fate ammenda. GIACOMO
Siede tra gli uomini come un dio sceso in terra e lo distingue un onore che lo fa sembrare più che un comune mortale. Non siate adirata, mia potente principessa, se vi ho messo alla prova con quelle falsità: hanno solo fatto risaltare con onore il vostro grande giudizio per la scelta di un signore così nobile, che, come sapete, non può errare. L’affetto che gli porto mi ha indotto a provocarvi in questo modo, ma gli dei vi hanno fatta senza macchia, a differenza di tutte le altre donne. Vi prego, perdonatemi. INNOGENE
Va bene, signore. Disponete a piacer vostro del mio potere a corte.
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Shakespeare IV.indb 1559
30/11/2018 09:33:35
CYMBELINE, ACT 1 SCENE 6
GIACOMO
My humble thanks. I had almost forgot T’entreat your grace but in a small request, And yet of moment too, for it concerns Your lord; myself and other noble friends Are partners in the business. INNOGEN Pray what is’t?
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GIACOMO
Some dozen Romans of us, and your lord — Best feather of our wing — have mingled sums To buy a present for the Emperor, Which I, the factor for the rest, have done In France. ’Tis plate of rare device, and jewels Of rich and exquisite form; their value’s great, And I am something curious, being strange, To have them in safe stowage. May it please you To take them in protection? INNOGEN Willingly, And pawn mine honour for their safety; since My lord hath interest in them, I will keep them In my bedchamber. GIACOMO They are in a trunk Attended by my men. I will make bold To send them to you, only for this night. I must aboard tomorrow. INNOGEN O, no, no!
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GIACOMO
Yes, I beseech, or I shall short my word By length’ning my return. From Gallia I crossed the seas on purpose and on promise To see your grace. INNOGEN I thank you for your pains; But not away tomorrow!
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Shakespeare IV.indb 1560
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CIMBELINO, ATTO I SCENA 6
GIACOMO
Umilmente vi ringrazio. Avevo quasi scordato di chiedere a vostra grazia un piccolo favore, e tuttavia importante, poiché riguarda anche il vostro signore; io e altri nobili amici siamo associati in questo affare. INNOGENE
Vi prego, di che si tratta? GIACOMO
Con una dozzina di altri romani e il vostro signore – la penna remigante della nostra ala – abbiamo raccolto una somma per acquistare un dono da presentare all’imperatore; cosa che, a nome di tutti, ho fatto in Francia. Si tratta di un piatto di rara bellezza e gioielli di squisita e pregevole fattura, il tutto di grande valore. Essendo straniero, sono piuttosto in ansia perché vorrei che fossero conservati in un luogo sicuro. Sareste così gentile da custodirli sotto la vostra protezione? INNOGENE
Ben volentieri, sul mio onore garantirò la loro sicurezza; poiché è interessato anche il mio signore li terrò nella mia camera da letto. GIACOMO
Sono in un baule custodito dai miei servi. Mi prenderò la libertà di inviarvelo, solo per questa notte. Devo ripartire domani. INNOGENE
Oh, no, no! GIACOMO
Sì, vi prego, posticipando il ritorno verrò meno alla mia parola. Dalla Gallia ho attraversato il mare al solo scopo, e per mantenere la promessa, di far visita a vostra grazia. INNOGENE
Vi ringrazio per il disturbo; ma non andate via già domani.
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Shakespeare IV.indb 1561
30/11/2018 09:33:36
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 1
O, I must, madam. Therefore I shall beseech you, if you please To greet your lord with writing, do’t tonight. I have outstood my time, which is material To th’ tender of our present. INNOGEN I will write. Send your trunk to me, it shall safe be kept, And truly yielded you. You’re very welcome. GIACOMO
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Exeunt severally 2.1
Enter Cloten and the two Lords
CLOTEN Was there ever man had such luck? When I
kissed the jack upon an upcast, to be hit away! I had a hundred pound on’t, and then a whoreson jackanapes must take me up for swearing, as if I borrowed mine oaths of him, and might not spend them at my pleasure. FIRST LORD What got he by that? You have broke his pate with your bowl. SECOND LORD (aside) If his wit had been like him that broke it, it would have run all out. CLOTEN When a gentleman is disposed to swear it is not for any standers-by to curtail his oaths, ha? SECOND LORD No, my lord (aside) — nor crop the ears of them. CLOTEN Whoreson dog! I give him satisfaction? Would he had been one of my rank. SECOND LORD (aside) To have smelled like a fool. CLOTEN I am not vexed more at anything in th’earth. A pox on’t, I had rather not be so noble as I am. They dare not fight with me because of the Queen, my
9
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Shakespeare IV.indb 1562
30/11/2018 09:33:36
CIMBELINO, ATTO II SCENA 1
GIACOMO
Oh, devo, signora. Quindi vi prego, se volete salutare il vostro signore con una lettera, scrivetela stanotte. Mi sono attardato fin troppo, dobbiamo offrire il nostro dono con solerzia. INNOGENE
Gli scriverò. Mandatemi il vostro baule, starà al sicuro e vi sarà fedelmente riconsegnato. Siate il benvenuto. Escono da porte diverse II, 1
Entrano Cloten e i due nobili65
CLOTEN
C’è mai stato qualcuno più fortunato? Colpire la mia boccia quando era così vicina al boccino! Ci avevo scommesso cento sterline e un bastardo figlio di puttana deve saltare su perché bestemmio, come se prendessi a prestito le mie maledizioni da lui e non potessi dirle quando mi pare. PRIMO NOBILE
Che cosa ci ha guadagnato? Gli avete rotto la testa con la vostra boccia. SECONDO NOBILE (a parte) Se il suo cervello fosse stato come quello di chi gliel’ha rotto, sarebbe uscito fuori tutto. CLOTEN
Quando un galantuomo ha voglia di imprecare, chi è lì presente non può mica dirgli di tagliar corto, no? SECONDO NOBILE
No, mio signore (a parte) — né mettersi a tagliargli le orecchie66. CLOTEN
Che cane figlio di puttana! Gli avrò dato soddisfazione? Se solo fosse stato un mio pari. SECONDO NOBILE (a parte) Avrebbe avuto la stessa aria da cretino67. CLOTEN
Non c’è nulla al mondo che mi faccia imbufalire di più. Accidenti, preferirei non essere nobile come sono. Non osano combattere con me solo perché sono figlio della regina. Così uno sciocco qualun1563
Shakespeare IV.indb 1563
30/11/2018 09:33:36
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 1
mother. Every jack-slave hath his bellyful of fighting, and I must go up and down like a cock that nobody can match. SECOND LORD (aside) You are cock and capon too an you crow cock with your comb on. CLOTEN Sayst thou? SECOND LORD It is not fit your lordship should undertake every companion that you give offence to. CLOTEN No, I know that, but it is fit I should commit offence to my inferiors. SECOND LORD Ay, it is fit for your lordship only. CLOTEN Why, so I say. FIRST LORD Did you hear of a stranger that’s come to court tonight? CLOTEN A stranger, and I not know on’t? SECOND LORD (aside) He’s a strange fellow himself and knows it not. FIRST LORD There’s an Italian come, and, ’tis thought, one of Leonatus’ friends. CLOTEN Leonatus? A banished rascal; and he’s another, whatsoever he be. Who told you of this stranger? FIRST LORD One of your lordship’s pages. CLOTEN Is it fit I went to look upon him? Is there no derogation in’t? SECOND LORD You cannot derogate, my lord. CLOTEN Not easily, I think.
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Shakespeare IV.indb 1564
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 1
que può fare a botte quanto gli pare, mentre io devo andare su e giù come un gallo che nessuno può sfidare. SECONDO NOBILE (a parte) Sei un gallo e un cappone insieme, che alza la cresta come un buffone68. CLOTEN
Che cosa hai detto? SECONDO NOBILE
Sarebbe indegno per vostra grazia misurarsi con tutta la gentaglia che offende. CLOTEN
Lo so, ma potrò almeno offendere chi mi è inferiore. SECONDO NOBILE
Certo, questa è una prerogativa solo vostra. CLOTEN
È quello che dico io. PRIMO NOBILE
Avete saputo dello straniero che è giunto a corte stasera? CLOTEN
Arriva uno straniero e io non ne so nulla? SECONDO NOBILE (a parte)
Lui stesso è un po’ strano69 e non lo sa. PRIMO NOBILE
È un italiano; dicono sia amico di Leonato. CLOTEN
Leonato? Un furfante bandito; anche questo lo sarà di certo. Chi ti ha detto di questo straniero? PRIMO NOBILE
Uno dei paggi di vostra signoria. CLOTEN
È conveniente se lo incontro? Non c’è nulla di compromettente? SECONDO NOBILE
Non potete certo compromettere nulla, mio signore. CLOTEN
Non facilmente, credo.
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Shakespeare IV.indb 1565
30/11/2018 09:33:36
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 2
SECOND LORD (aside) You are a fool granted, therefore your
issues, being foolish, do not derogate. CLOTEN Come, I’ll go see this Italian. What I have lost
today at bowls I’ll win tonight of him. Come, go. SECOND LORD I’ll attend your lordship.
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Exeunt Cloten and First Lord That such a crafty devil as is his mother Should yield the world this ass! — a woman that Bears all down with her brain, and this her son Cannot take two from twenty, for his heart, And leave eighteen. Alas, poor princess, Thou divine Innogen, what thou endur’st, Betwixt a father by thy stepdame governed, A mother hourly coining plots, a wooer More hateful than the foul expulsion is Of thy dear husband, than that horrid act Of the divorce he’d make! The heavens hold firm The walls of thy dear honour, keep unshaked That temple, thy fair mind, that thou mayst stand T’enjoy thy banished lord and this great land! 2.2
55
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Exit
A trunk [and arras]. A bed is [thrust forth] with Innogen in it, reading a book. Enter to her Helen, a lady
INNOGEN
Who’s there? My woman Helen? Please you, madam.
HELEN
INNOGEN
What hour is it? HELEN Almost midnight, madam. INNOGEN
I have read three hours then. Mine eyes are weak. Fold down the leaf where I have left. To bed. Take not away the taper; leave it burning,
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1566
Shakespeare IV.indb 1566
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 2
SECONDO NOBILE (a parte)
Sei un fesso patentato, quindi quel che viene da te, essendo fesso, non comprometterà un bel niente70. CLOTEN
Andiamo, voglio vedere questo italiano. Mi rifarò stasera con lui di quello che ho perso oggi alle bocce. Venite, andiamo. SECONDO NOBILE
Seguirò vostra signoria. Escono Cloten e il Primo nobile Che un demonio astuto come sua madre abbia dato al mondo un tale imbecille! – una donna che supera tutti per scaltrezza e un figlio che neppure in pericolo di vita riuscirebbe a fare venti meno due e ottenere diciotto. Ahimè, povera principessa, o divina Innogene, che fardello devi sopportare: un padre dominato dalla tua matrigna, una madre che trama insidie di continuo, uno spasimante più ignobile dell’odioso esilio del tuo caro sposo e dell’orribile divorzio che ti vorrebbe imporre! I cieli tengano salde le mura del tuo caro onore e proteggano il tempio del tuo nobile animo, sì che tu possa resistere e gioire un giorno con il tuo signore esiliato e questa grande nazione! Esce II, 2
Un baule [e un arazzo]. Un letto [spinto avanti] con Innogene che legge un libro. Entra per accudirla Elena, una dama71
INNOGENE
Chi c’è? Sei tu Elena? ELENA
Al vostro servizio, signora. INNOGENE
Che ore sono? ELENA
Quasi mezzanotte, signora. INNOGENE
Allora ho letto per tre ore. Ho gli occhi stanchi. Piega la pagina dove sono arrivata. Poi, a dormire. Non portar via la candela e 1567
Shakespeare IV.indb 1567
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CYMBELINE, ACT 2 SCENE 2
And if thou canst awake by four o’th’ clock, I prithee call me. Sleep hath seized me wholly. [Exit Helen] To your protection I commend me, gods. From fairies and the tempters of the night Guard me, beseech ye.
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She sleeps. Giacomo comes from the trunk GIACOMO
The crickets sing, and man’s o’er-laboured sense Repairs itself by rest. Our Tarquin thus Did softly press the rushes ere he wakened The chastity he wounded. Cytherea, How bravely thou becom’st thy bed! Fresh lily, And whiter than the sheets! That I might touch, But kiss, one kiss! Rubies unparagoned, How dearly they do’t! ’Tis her breathing that Perfumes the chamber thus. The flame o’th’ taper Bows toward her, and would underpeep her lids, To see th’enclosèd lights, now canopied Under these windows, white and azure-laced With blue of heaven’s own tinct. But my design — To note the chamber. I will write all down.
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He writes in his tables Such and such pictures, there the window, such Th’adornment of her bed, the arras, figures, Why, such and such; and the contents o’th’ story. Ah, but some natural notes about her body Above ten thousand meaner movables Would testify t’enrich mine inventory. O sleep, thou ape of death, lie dull upon her, And be her sense but as a monument Thus in a chapel lying. Come off, come off; As slippery as the Gordian knot was hard.
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He takes the bracelet from her arm 1568
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 2
lasciala accesa; se riesci a svegliarti per le quattro chiamami, per favore. Casco dal sonno. [Esce Elena] Mi affido alla vostra protezione, o dei. Proteggetemi, vi prego, dai folletti e dai fantasmi della notte72. Dorme Giacomo esce dal baule GIACOMO
I grilli cantano e gli uomini stremati si ristorano con il riposo. Il nostro Tarquinio73 con passo silenzioso come il mio calpestò dolcemente le stuoie prima di svegliare la casta bellezza che violò. O Citerea74, incantevole ornamento del tuo letto! Fresco giglio più immacolato dei tuoi lini! Potessi toccarti, baciarti, baciarti una sola volta! Rubini incomparabili, com’è dolce il vostro tocco!75 È il suo respiro che profuma così la stanza. La fiamma della candela si piega verso di lei e vorrebbe spiare sotto le palpebre per vedere le sue luci nascoste, ora coperte da un drappo bianco e turchino venato dell’azzurro del cielo. Ma ora al mio scopo – perlustrare la camera. Annoterò tutto. Scrive nella sua tavoletta Questi dipinti, quelli, là la finestra, gli ornamenti del letto, l’arazzo, le figure disposte così e il soggetto che rappresentano. Ah, qualche semplice particolare del suo corpo avvalorerà il mio elenco assai meglio che diecimila oggetti senza importanza. O sonno, che adombri la morte, grava pesante su di lei e che i suoi sensi siano inerti come l’effigie di una tomba in una cappella funeraria. Vieni via, vieni via: è tenace quanto il nodo di Gordio era inestricabile. Le toglie il braccialetto
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Shakespeare IV.indb 1569
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CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
’Tis mine, and this will witness outwardly, As strongly as the conscience does within, To th’ madding of her lord. On her left breast A mole, cinque-spotted, like the crimson drops I’th’ bottom of a cowslip. Here’s a voucher Stronger than ever law could make. This secret Will force him think I have picked the lock and ta’en The treasure of her honour. No more. To what end? Why should I write this down that’s riveted, Screwed to my memory? She hath been reading late, The tale of Tereus. Here the leaf’s turned down Where Philomel gave up. I have enough. To th’ trunk again, and shut the spring of it. Swift, swift, you dragons of the night, that dawning May bare the raven’s eye! I lodge in fear. Though this’ a heavenly angel, hell is here.
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Clock strikes One, two, three. Time, time! Exit into the trunk. [The bed and trunk are Removed] 2.3
Enter Cloten and the two Lords
FIRST LORD Your lordship is the most patient man in loss,
the most coldest that ever turned up ace. CLOTEN It would make any man cold to lose. FIRST LORD But not every man patient after the noble
temper of your lordship. You are most hot and furious when you win. CLOTEN Winning will put any man into courage. If I could get this foolish Innogen I should have gold enough. It’s almost morning, is’t not? FIRST LORD Day, my lord. CLOTEN I would this music would come. I am advised to give her music o’ mornings; they say it will penetrate.
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
Eccolo; sarà una prova inconfutabile per gli occhi quanto la consapevolezza lo è per il cuore, per la disperazione di suo marito. Sul seno sinistro un neo con cinque macchie, come le gocce cremisi nel calice di una primula. Ecco un particolare più inoppugnabile di un precetto. Questo segreto lo costringerà a credere che ho colto il fiore e violato il tesoro del suo onore. Ora basta. A che serve? Perché scrivere ciò che è ben fisso, stampato nella mia memoria? Ha letto fino a tardi il racconto di Tereo. Ecco, la pagina è piegata dove Filomela soccombe76. È più che sufficiente. Torniamo nel baule e chiudiamo la molla. Presto, presto, draghi della notte, che l’alba possa far aprire l’occhio del corvo!77 Sono attanagliato dalla paura. Questo è un angelo del cielo, ma qui c’è l’inferno. L’orologio batte le ore Uno, due, tre. È ora, è ora! Esce entrando nel baule. [Il letto e il baule vengono rimossi] II, 3
Entrano Cloten e i due nobili78
PRIMO NOBILE
Vostra signoria è l’uomo più paziente del mondo quando perde, il più impassibile che abbia mai fatto uno79 giocando a dadi. CLOTEN
Quello farebbe perdere la calma a chiunque. PRIMO NOBILE
Ma non a chi sia paziente sul modello del nobile temperamento di vostra signoria. Voi siete molto più accalorato e impetuoso quando vincete. CLOTEN
Vincere fa diventare tutti baldanzosi. Se riuscissi ad avere questa sciocca Innogene avrei oro a sufficienza. È quasi mattina, vero? PRIMO NOBILE
È giorno fatto, mio signore. CLOTEN
Vorrei che arrivasse questa musica. Mi hanno suggerito di offrirle della musica tutte le mattine; dicono che penetri80. 1571
Shakespeare IV.indb 1571
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CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
Enter Musicians Come on, tune. If you can penetrate her with your fingering, so; we’ll try with tongue too. If none will do, let her remain; but I’ll never give o’er. First, a very excellent good-conceited thing; after, a wonderful sweet air with admirable rich words to it; and then let her consider. [Music] [MUSICIAN] (sings)
Hark, hark, the lark at heaven gate sings, And Phoebus gins arise, His steeds to water at those springs On chaliced flowers that lies, And winking Mary-buds begin to ope their golden eyes; With everything that pretty is, my lady sweet, arise, Arise, arise! CLOTEN So, get you gone. If this penetrate I will consider your music the better; if it do not, it is a vice in her ears which horse hairs and calves’ guts nor the voice of unpaved eunuch to boot can never amend.
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25 j
Exeunt Musicians Enter Cymbeline and the Queen SECOND LORD Here comes the King.
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CLOTEN I am glad I was up so late, for that’s the reason
I was up so early. He cannot choose but take this service I have done fatherly. Good morrow to your majesty, and to my gracious mother. CYMBELINE
Attend you here the door of our stern daughter? Will she not forth? CLOTEN I have assailed her with musics, but vouchsafes no notice.
35 she
27. Vice: voyce = “voce”. 1572
Shakespeare IV.indb 1572
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
Entrano i musicisti Forza, accordate. Se riuscite a penetrarla usando le dita, avanti; poi proveremo anche con la lingua. Se non andrà bene, che ella resti pure com’è, ma io non rinuncerò mai. Come preliminare, un’eccellente introduzione assai elaborata; poi, una splendida aria soave accompagnata da parole incantevoli e sublimi; poi vedremo cosa deciderà. [Musica] [MUSICISTA] (canta)81
Odi, odi l’allodola canta alle porte del cielo Febo si leva oramai, guida i corsieri alle fonti nate dai calici in fiore; ammiccan le margherite coi loro occhi dorati; come ogni cosa che è bella levati, dolce signora, levati, levati, levati. CLOTEN
Andate ora. Se la penetrerà apprezzerò ancora di più la vostra musica; in caso contrario, sarà un difetto nelle sue orecchie che né crini di cavallo o budelli di vitello, né la voce di un eunuco senza palle82 potranno mai risolvere. Escono i musicisti Entrano Cimbelino e la regina SECONDO NOBILE
Ecco il re. CLOTEN
Sono contento di esser stato in piedi fino a tardi: per questa ragione sono in piedi così presto83. Il re non potrà che accogliere benignamente ciò che ho fatto. Buon giorno a vostra maestà e anche alla mia graziosa madre. CIMBELINO
Attendete qui alla porta della nostra austera figliola? Non vuole ancora uscire? CLOTEN
Ho tentato un assalto con la musica, ma lei non si degna di dare segni di vita. 1573
Shakespeare IV.indb 1573
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CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
CYMBELINE
The exile of her minion is too new. She hath not yet forgot him. Some more time Must wear the print of his remembrance out, k And then she’s yours. QUEEN (to Cloten) You are most bound to th’ King, Who lets go by no vantages that may Prefer you to his daughter. Frame yourself To orderly solicits, and be friended With aptness of the season. Make denials Increase your services; so seem as if You were inspired to do those duties which You tender to her; that you in all obey her, Save when command to your dismission tends, And therein you are senseless. CLOTEN Senseless? Not so.
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Enter a Messenger MESSENGER (to Cymbeline)
So like you, sir, ambassadors from Rome; The one is Caius Lucius. CYMBELINE A worthy fellow, Albeit he comes on angry purpose now: But that’s no fault of his. We must receive him According to the honour of his sender, And towards himself, his goodness forespent on us, We must extend our notice. Our dear son, When you have given good morning to your mistress, Attend the Queen and us. We shall have need T’employ you towards this Roman. Come, our queen.
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Exeunt all but Cloten CLOTEN
If she be up, I’ll speak with her; if not, Let her lie still and dream. [He knocks] 41. Out: on’t = “su di esso”. 1574
Shakespeare IV.indb 1574
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
CIMBELINO
L’esilio del suo ganzo è ancora troppo recente. Non lo ha ancora dimenticato. Il tempo farà sbiadire i contorni del suo ricordo e allora sarà vostra. REGINA (a Cloten) Sei molto in obbligo con il re, che non perde occasione per raccomandarti a sua figlia. Corteggiala come si conviene e fatti aiutare dalle circostanze propizie. Fa’ in modo che i suoi rifiuti accrescano le tue attenzioni: deve sembrare che tu sia stato spontaneamente ispirato a compiere i servigi che le offri. Obbediscila in tutto, tranne quando ti vuole allontanare, nel qual caso devi essere ottuso di fronte alle sue richieste. CLOTEN
Ottuso io? Certo che no84. Entra un messaggero MESSAGGERO (a Cimbelino)
Con il vostro permesso, sire, ambasciatori da Roma; uno di essi è Caio Lucio. CIMBELINO
Un degno amico, sebbene sia qui con intenti bellicosi; ma non è colpa sua. Dobbiamo riceverlo come si conviene al rango di chi lo invia e aggiungere il rispetto verso la sua persona per la benevolenza che ci ha mostrato in passato. Caro figlio, quando avrete augurato il buon giorno alla vostra dama, raggiungete la regina e noi. Avremo bisogno di voi con questo romano. Vieni, mia regina. Escono tutti tranne Cloten CLOTEN
Se è alzata, le parlerò; altrimenti che rimanga a letto a sognare. [Bussa]
1575
Shakespeare IV.indb 1575
30/11/2018 09:33:37
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
By your leave, ho! — I know her women are about her; what If I do line one of their hands? ’Tis gold Which buys admittance — oft it doth — yea, and makes Diana’s rangers false themselves, yield up Their deer to th’ stand o’th’ stealer; and ’tis gold Which makes the true man killed and saves the thief, Nay, sometime hangs both thief and true man. What Can it not do and undo? I will make One of her women lawyer to me, for I yet not understand the case myself. — By your leave.
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Knocks. Enter a Lady LADY
Who’s there that knocks? A gentleman.
CLOTEN
No more?
LADY
75
CLOTEN
Yes, and a gentlewoman’s son. That’s more [Aside] Than some whose tailors are as dear as yours Can justly boast of. (To him) What’s your lordship’s pleasure?
LADY
CLOTEN
Your lady’s person. Is she ready? LADY Ay. [Aside] To keep her chamber. CLOTEN There is gold for you. Sell me your good report.
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LADY
How, my good name? — or to report of you What I shall think is good? Enter Innogen The Princess.
[Exit]
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Shakespeare IV.indb 1576
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
È permesso? – So che le sue dame sono con lei. E se provassi a corromperne una? L’oro fa aprire tutte le porte – succede spesso – e renderebbe false le stesse guardiane di Diana, inducendole a consegnare il cervo al cacciatore di frodo, ritto nel suo nascondiglio85; ed è sempre l’oro che fa uccidere l’onesto e salva il ladro, anzi talvolta fa impiccare sia il ladro sia l’onesto. Che cosa non può fare e disfare? Trasformerò una delle sue dame in mio avvocato, perché io stesso non riesco ancora a cogliere bene la cosa86. È permesso? Bussa. Entra una dama DAMA
Chi bussa? CLOTEN
Un gentiluomo. DAMA
Nientedimeno? CLOTEN
E pure figlio di una gentildonna. DAMA
Questo è ben di più [a parte] di quanto possa giustamente vantarsi chi ha dei sarti cari come i vostri. (A lui) Cosa desidera vostra signoria? CLOTEN
La persona della vostra signora. È pronta? DAMA
Sì [a parte] a restare in camera. CLOTEN
Ecco dell’oro per voi. Vendetemi la vostra bocca benevola. DAMA
Come, intendete il mio buon nome? Oppure che devo dirvi con la bocca ciò che penso sia la benevolenza? Entra Innogene La principessa. [Esce]
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Shakespeare IV.indb 1577
30/11/2018 09:33:37
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
CLOTEN
Good morrow, fairest. Sister, your sweet hand. INNOGEN
Good morrow, sir. You lay out too much pains For purchasing but trouble. The thanks I give Is telling you that I am poor of thanks, And scarce can spare them. CLOTEN Still I swear I love you.
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INNOGEN
If you but said so, ’twere as deep with me. If you swear still, your recompense is still That I regard it not. CLOTEN This is no answer.
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INNOGEN
But that you shall not say I yield being silent, I would not speak. I pray you, spare me. Faith, I shall unfold equal discourtesy To your best kindness. One of your great knowing Should learn, being taught, forbearance.
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CLOTEN
To leave you in your madness, ’twere my sin. I will not. INNOGEN Fools cure not mad folks. l CLOTEN
Do you call me fool? INNOGEN As I am mad, I do. If you’ll be patient, I’ll no more be mad; That cures us both. I am much sorry, sir, You put me to forget a lady’s manners By being so verbal; and learn now for all That I, which know my heart, do here pronounce By th’ very truth of it: I care not for you, And am so near the lack of charity To accuse myself I hate you, which I had rather You felt than make’t my boast.
100
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98. Cure: are = “sono”. 1578
Shakespeare IV.indb 1578
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
CLOTEN
Buongiorno, mia bellissima. Sorella, la vostra dolce mano. INNOGENE
Buongiorno, signore. Spendete davvero troppo per non ottenere altro che dispiaceri. L’unico grazie che posso dirvi è che ho ben pochi ringraziamenti da fare e non li posso certo sprecare. CLOTEN
Ma giuro che vi amo. INNOGENE
Se anche lo diceste senza giurare per me avrebbe lo stesso valore. Se volete ancora giurare, la vostra ricompensa sarà ancora e sempre che non me ne curo. CLOTEN
Questa non è una risposta. INNOGENE
Solo perché non possiate dire che tacendo acconsento, altrimenti non parlerei. Vi prego, lasciatemi in pace. Credetemi, risponderò sempre con questo sgarbo alla vostra cordialità più squisita. Un uomo penetrante come voi dovrebbe imparare ad astenersi quando riceve una lezione. CLOTEN
Lasciarvi in balia della vostra pazzia sarebbe il mio peccato. Non lo farò. INNOGENE
I folli non curano i pazzi. CLOTEN
State dicendo che sono scemo? INNOGENE
Sì, come io sono pazza. Se voi sarete paziente io non sarò più pazza; questo ci curerà entrambi. Mi dispiace molto, signore, che mi spingiate a dimenticare le buone maniere con tutte queste parole87; ascoltate una volta per tutte ciò che io, che conosco il mio cuore, vi dico in tutta onestà: non ne voglio sapere di voi e sono così prossima alla mancanza di carità da accusarmi per il fatto che vi odio. Avrei preferito se lo aveste capito da solo, invece che doverne fare il mio vanto.
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Shakespeare IV.indb 1579
30/11/2018 09:33:37
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 3
You sin against Obedience which you owe your father. For The contract you pretend with that base wretch, One bred of alms and fostered with cold dishes, With scraps o’th’ court, it is no contract, none. And though it be allowed in meaner parties — Yet who than he more mean? — to knit their souls, On whom there is no more dependency But brats and beggary, in self-figured knot, Yet you are curbed from that enlargement by The consequence o’th’ crown, and must not foil The precious note of it with a base slave, A hilding for a livery, a squire’s cloth, A pantler — not so eminent. INNOGEN Profane fellow, Wert thou the son of Jupiter, and no more But what thou art besides, thou wert too base To be his groom; thou wert dignified enough, Even to the point of envy, if ’twere made Comparative for your virtues to be styled The under-hangman of his kingdom, and hated For being preferred so well. CLOTEN The south-fog rot him! CLOTEN
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INNOGEN
He never can meet more mischance than come To be but named of thee. His meanest garment That ever hath but clipped his body is dearer In my respect than all the hairs above thee, Were they all made such men. How now, Pisanio!
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Enter Pisanio CLOTEN His garment? Now the devil — INNOGEN (to Pisanio)
To Dorothy, my woman, hie thee presently.
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CLOTEN
His garment?
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Shakespeare IV.indb 1580
30/11/2018 09:33:37
CIMBELINO, ATTO II SCENA 3
CLOTEN
Violate l’obbedienza che dovete a vostro padre. Quanto al contratto che professate di avere con quell’ignobile miserabile, uno allevato con l’elemosina e nutrito con gli avanzi, con gli scarti della corte, non è affatto un contratto, per nulla. È certo tollerabile che quelli di bassa estrazione – e chi lo è più di lui? – uniscano la propria anima con una semplice promessa, senz’altra preoccupazione che i mocciosi e l’indigenza, ma voi non avete questa libertà a causa della corona di cui siete erede e non potete infangare il suo sommo prestigio con un servo ignobile, un buono a nulla degno solo della livrea e di abiti da lacchè, un domestico – anzi ancora meno. INNOGENE
Sacrilego, fossi anche figlio di Giove, e per il resto uguale a ciò che sei ora, saresti troppo ignobile per fargli da stalliere. Se si mettessero a paragone le vostre virtù, sarebbe per te un grande onore, quasi invidiabile, ricevere il titolo di aiutante del boia del suo regno ed essere odiato per un tal privilegio. CLOTEN
Che le nebbie del sud lo facciano marcire!88 INNOGENE
Non può succedergli disgrazia peggiore che venire anche solo nominato da te. La veste più umile che gli ha cinto il corpo mi è più cara di tutti i tuoi capelli, anche se fossero tutti trasformati in uomini come te. Ehi, Pisanio! Entra Pisanio CLOTEN
La veste? Che il diavolo… INNOGENE (a Pisanio)
Va’ subito da Dorotea, la mia ancella. CLOTEN
La veste?
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Shakespeare IV.indb 1581
30/11/2018 09:33:37
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
INNOGEN (to Pisanio) I am sprited with a fool,
Frighted, and angered worse. Go bid my woman Search for a jewel that too casually Hath left mine arm. It was thy master’s. ’Shrew me If I would lose it for a revenue Of any king’s in Europe! I do think I saw’t this morning; confident I am Last night ’twas on mine arm; I kissed it. I hope it be not gone to tell my lord That I kiss aught but he. PISANIO ’Twill not be lost.
140
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INNOGEN
I hope so. Go and search. CLOTEN
Exit Pisanio You have abused me.
‘His meanest garment’? INNOGEN Ay, I said so, sir. If you will make’t an action, call witness to’t. CLOTEN
I will inform your father. Your mother too. She’s my good lady, and will conceive, I hope, But the worst of me. So I leave you, sir, To th’ worst of discontent. CLOTEN I’ll be revenged. ‘His meanest garment’? Well! INNOGEN
2.4
150 Exit Exit
Enter Posthumus and Filario
POSTHUMUS
Fear it not, sir. I would I were so sure To win the King as I am bold her honour Will remain hers. FILARIO What means do you make to him?
1582
Shakespeare IV.indb 1582
30/11/2018 09:33:37
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
INNOGENE (a Pisanio)
Sono perseguitata da uno sciocco, impaurita ed esasperata. Dite alla mia ancella di cercare un gioiello che inspiegabilmente ha lasciato il mio braccio. Era del tuo padrone. Che mi venga un accidente se accettassi di perderlo in cambio delle rendite di un re d’Europa! Credo di averlo visto stamattina e sono sicura di averlo avuto al braccio ieri sera. L’ho baciato. Spero non sia andato a dire al mio signore che bacio qualcosa che non sia lui. PISANIO
Non può essere andato perduto. INNOGENE
Lo spero. Va’ a cercarlo. Esce Pisanio CLOTEN
Mi avete offeso. “La veste più umile”? INNOGENE
Sì, ho detto così, mio signore. Se volete denunciarmi, trovatevi dei testimoni. CLOTEN
Informerò vostro padre. INNOGENE
Anche vostra madre. È la mia benefattrice e concepirà, penso, solo il peggio per me. Vi lascio, mio signore, al malumore più nero. Esce CLOTEN
Mi vendicherò. “La veste più umile”? Bene! Esce II, 4
Entrano Postumo e Filario89
POSTUMO
Non temete, signore. Vorrei essere così sicuro di persuadere il re come sono certo che mia moglie manterrà il suo onore. FILARIO
Che cosa tenterete di fare con lui?
1583
Shakespeare IV.indb 1583
30/11/2018 09:33:37
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
POSTHUMUS
Not any; but abide the change of time, Quake in the present winter’s state, and wish That warmer days would come. In these seared hopes m I barely gratify your love; they failing, I must die much your debtor.
5
FILARIO
Your very goodness and your company O’erpays all I can do. By this, your king Hath heard of great Augustus. Caius Lucius Will do ’s commission throughly. And I think He’ll grant the tribute, send th’arrearages, Ere look upon our Romans, whose remembrance Is yet fresh in their grief. POSTHUMUS I do believe, Statist though I am none, nor like to be, That this will prove a war, and you shall hear The legions now in Gallia sooner landed In our not-fearing Britain than have tidings Of any penny tribute paid. Our countrymen Are men more ordered than when Julius Caesar Smiled at their lack of skill but found their courage Worthy his frowning at. Their discipline, Now wing-led with their courage, will make known n To their approvers they are people such That mend upon the world.
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Enter Giacomo FILARIO
See, Giacomo.
POSTHUMUS (to Giacomo)
The swiftest harts have posted you by land, And winds of all the corners kissed your sails To make your vessel nimble. FILARIO (to Giacomo) Welcome, sir. 6. Seared hopes: fear’d hope = “speranza frammista a timore”. 24. Wing-led with their courage: mingled with their courages = “unita al valore dei loro comandanti”. 1584
Shakespeare IV.indb 1584
30/11/2018 09:33:37
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
POSTUMO
Nulla, se non aspettare che la stagione cambi, rabbrividire ora che è inverno e augurarsi che arrivino giorni più miti. Con queste languenti speranze ripago appena le vostre cortesie; se verranno meno, morirò con un grosso debito verso di voi. FILARIO
La vostra bontà e la vostra compagnia superano di gran lunga ciò che posso offrirvi. Ormai il vostro re deve aver ricevuto notizie dal grande Augusto. Caio Lucio compirà la sua missione. Penso che accetterà di pagare il tributo e anche gli arretrati prima di affrontare di nuovo i romani, il cui triste ricordo brucia ancora. POSTUMO
Non sono uno statista, né ambisco a diventarlo, ma credo che tutto questo porterà alla guerra: sarà più facile sentire che le legioni attualmente di stanza in Gallia sono sbarcate nella nostra indomita Britannia che non avere notizia di una sola moneta versata come tributo. La nostra nazione è più organizzata di quando Giulio Cesare derideva la sua inesperienza pur ammirandone preoccupato il coraggio. La sua disciplina, ora sostenuta dal coraggio90, mostrerà a chi la metterà alla prova che la nostra popolazione sa farsi valere nel mondo. Entra Giacomo FILARIO
Ecco Giacomo. POSTUMO (a Giacomo)
I cervi più rapidi hanno fatto la staffetta per voi e dai quattro angoli della terra i venti hanno baciato le vostre vele per spingere veloce il vostro vascello. FILARIO (a Giacomo) Benvenuto signore.
1585
Shakespeare IV.indb 1585
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CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
POSTHUMUS (to Giacomo)
I hope the briefness of your answer made The speediness of your return. GIACOMO Your lady is One of the fair’st that I have looked upon —
30
POSTHUMUS
And therewithal the best, or let her beauty Look through a casement to allure false hearts, And be false with them. GIACOMO Here are letters for you.
35
POSTHUMUS
Their tenor good, I trust. ’Tis very like.
GIACOMO
Posthumus reads the letters [FILARIO] Was Caius Lucius in the Briton court When you were there? GIACOMO He was expected then, But not approached. POSTHUMUS All is well yet. Sparkles this stone as it was wont, or is’t not Too dull for your good wearing? GIACOMO If I had lost it I should have lost the worth of it in gold. I’ll make a journey twice as far t’enjoy A second night of such sweet shortness which Was mine in Britain; for the ring is won.
40
45
POSTHUMUS
The stone’s too hard to come by. Not a whit, Your lady being so easy. POSTHUMUS Make not, sir, Your loss your sport. I hope you know that we Must not continue friends. GIACOMO Good sir, we must, If you keep covenant. Had I not brought GIACOMO
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1586
Shakespeare IV.indb 1586
30/11/2018 09:33:38
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
POSTUMO (a Giacomo)
Mi auguro che la brevità della risposta ricevuta spieghi la velocità del vostro ritorno. GIACOMO
La vostra signora è una delle più leggiadre che abbia mai visto… POSTUMO
E anche la migliore, altrimenti la sua bellezza potrebbe ammiccare dalla fi nestra per adescare cuori traditori e tradirli a sua volta. GIACOMO
Ecco delle lettere per voi. POSTUMO
Per dare buone notizie, spero. GIACOMO
È molto probabile. Postumo legge le lettere [FILARIO]91
Caio Lucio era alla corte britanna quando eravate là? GIACOMO
Era atteso ma non ancora arrivato. POSTUMO
Va tutto bene per ora. Questa pietra brilla come in passato o è troppo opaca per poterla indossare degnamente? GIACOMO
Se l’avessi persa avrei perso il suo valore in oro. Farei un viaggio due volte più lungo per godere una seconda notte di tale dolce brevità come quella che ho passato in Britannia. L’anello è vinto. POSTUMO
La pietra è troppo dura per piegarsi. GIACOMO
Niente affatto, visto che la vostra signora è così malleabile. POSTUMO
Non trasformate la vostra sconfitta in burla, signore. Spero vi rendiate conto che non possiamo restare amici. GIACOMO
Mio buon signore, dobbiamo invece, se state ai patti. Se non avessi
1587
Shakespeare IV.indb 1587
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
The knowledge of your mistress home I grant We were to question farther, but I now Profess myself the winner of her honour, Together with your ring, and not the wronger Of her or you, having proceeded but By both your wills. POSTHUMUS If you can make’t apparent That you have tasted her in bed, my hand And ring is yours. If not, the foul opinion You had of her pure honour gains or loses Your sword or mine, or masterless leaves both To who shall find them. GIACOMO Sir, my circumstances, Being so near the truth as I will make them, Must first induce you to believe; whose strength I will confirm with oath, which I doubt not You’ll give me leave to spare when you shall find You need it not. POSTHUMUS Proceed. GIACOMO First, her bedchamber — Where I confess I slept not, but profess Had that was well worth watching — it was hanged With tapestry of silk and silver; the story Proud Cleopatra when she met her Roman, And Cydnus swelled above the banks, or for The press of boats or pride: a piece of work So bravely done, so rich, that it did strive In workmanship and value; which I wondered Could be so rarely and exactly wrought, Such the true life on’t was. o POSTHUMUS This is true, And this you might have heard of here, by me Or by some other. GIACOMO More particulars Must justify my knowledge.
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76. Such: since = “poiché”. 1588
Shakespeare IV.indb 1588
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CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
conosciuto vostra moglie allora sì, potremmo continuare la nostra disputa, ma mi dichiaro vincitore del suo onore e insieme del vostro anello, senza aver fatto torto a lei o a voi, avendo agito con il vostro pieno consenso. POSTUMO
Se potete dimostrare di averla goduta nel suo letto, la mia mano e il mio anello sono vostri. Altrimenti, l’indegna opinione che avevate della sua casta virtù porterà uno di noi a perdere la propria spada o vincere quella dell’altro, oppure le lascerà entrambe senza padrone a disposizione di chi le troverà. GIACOMO
Signore, renderò i particolari della mia storia così veritieri da indurvi a credere per forza; posso confermarne l’evidenza sotto giuramento, ma senza dubbio me lo risparmierete perché non ne avrete bisogno. POSTUMO
Vi ascolto. GIACOMO
Per prima cosa, la sua camera da letto – dove, lo ammetto, non ho dormito ma ho avuto qualcosa per cui valeva la pena star sveglio – era coperta di arazzi in seta e argento che rappresentavano la storia dell’altera Cleopatra quando incontrò il suo romano e il Cidno straripante per il numero di navi o per l’orgoglio92. Un’opera di così pregevole fattura, così ricca che era impossibile decidere se fosse più eminente per esecuzione o valore. Ero sbalordito che esistesse qualcosa di così eccelso e perfetto, tanto era realistico. POSTUMO
Tutto questo è vero ma potreste averne sentito parlare anche qui, da me o da qualcun altro. GIACOMO
Altri dettagli dimostreranno la mia conoscenza diretta.
1589
Shakespeare IV.indb 1589
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
POSTHUMUS
So they must,
Or do your honour injury. The chimney Is south the chamber, and the chimney-piece Chaste Dian bathing. Never saw I figures So likely to report themselves; the cutter Was as another nature; dumb, outwent her, Motion and breath left out. POSTHUMUS This is a thing Which you might from relation likewise reap, Being, as it is, much spoke of. GIACOMO The roof o’th’ chamber With golden cherubins is fretted. Her andirons — I had forgot them — were two winking Cupids Of silver, each on one foot standing, nicely Depending on their brands. POSTHUMUS This is her honour! Let it be granted you have seen all this — and praise Be given to your remembrance — the description Of what is in her chamber nothing saves The wager you have laid. GIACOMO Then, if you can Be pale, I beg but leave to air this jewel. See! GIACOMO
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He shows the bracelet And now ’tis up again; it must be married To that your diamond. I’ll keep them. POSTHUMUS Jove! Once more let me behold it. Is it that Which I left with her? GIACOMO Sir, I thank her, that. She stripped it from her arm. I see her yet. Her pretty action did outsell her gift, And yet enriched it too. She gave it me, And said she prized it once. POSTHUMUS Maybe she plucked it off To send it me.
100
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Shakespeare IV.indb 1590
30/11/2018 09:33:38
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
POSTUMO
Certo, oppure infangheranno il vostro onore. GIACOMO
Il camino si trova a mezzogiorno e la cappa è decorata con la casta Diana al bagno. Non ho mai visto figure così espressive. L’artista ha quasi creato un’altra natura, seppur muta, anzi l’ha superata fatta eccezione per il movimento e il respiro. POSTUMO
Anche questa è una cosa che potreste benissimo aver sentito raccontare, poiché è giustamente rinomata. GIACOMO
Il soffitto è adorno di cherubini dorati. Gli alari – ho dimenticato di dire – erano due Cupidi d’argento con gli occhi socchiusi93 ritti su un piede solo, ingegnosamente appoggiati alle loro torce. POSTUMO
E questo sarebbe l’onore che ha perso! Ammettiamo pure che abbiate visto tutto ciò – e complimenti alla vostra memoria –; la descrizione di ciò che si trova nella sua camera non basta di certo a farvi vincere la scommessa. GIACOMO
Allora, se sapete impallidire94, col vostro permesso farò prendere aria a questo gioiello. Guardate! Mostra il braccialetto Ora lo rimetto via: deve essere unito in matrimonio al vostro diamante. Li terrò entrambi. POSTUMO
Per Giove! Fatemelo vedere ancora una volta. È proprio quello che le ho lasciato? GIACOMO
Signore, le sono grato per questo dono. Se l’è sfilato dal braccio. Ho ancora la scena davanti agli occhi. Il suo gesto leggiadro valeva più del dono e tuttavia l’ha reso ancor più prezioso. Me l’ha dato dicendo che un tempo le era molto caro. POSTUMO
Forse se l’è tolto per mandarlo a me.
1591
Shakespeare IV.indb 1591
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
GIACOMO
She writes so to you, doth she?
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POSTHUMUS
O, no, no, no — ’tis true! Here, take this too. He gives Giacomo his ring It is a basilisk unto mine eye, Kills me to look on’t. Let there be no honour Where there is beauty, truth where semblance, love Where there’s another man. The vows of women Of no more bondage be to where they are made Than they are to their virtues, which is nothing! O, above measure false! FILARIO Have patience, sir, And take your ring again; ’tis not yet won. It may be probable she lost it, or Who knows if one her woman, being corrupted, Hath stol’n it from her? POSTHUMUS Very true, And so I hope he came by’t. Back my ring.
110
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He takes his ring again Render to me some corporal sign about her More evident than this; for this was stol’n.
120
GIACOMO
By Jupiter, I had it from her arm. POSTHUMUS
Hark you, he swears, by Jupiter he swears. ’Tis true, nay, keep the ring, ’tis true. I am sure She would not lose it. Her attendants are All sworn and honourable. They induced to steal it? And by a stranger? No, he hath enjoyed her. The cognizance of her incontinency Is this. She hath bought the name of whore thus dearly.
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He gives Giacomo his ring There, take thy hire, and all the fiends of hell Divide themselves between you!
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Shakespeare IV.indb 1592
30/11/2018 09:33:38
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
GIACOMO
Vi ha scritto così, vero? POSTUMO
Oh, no, no, no – è vero! Ecco, prendete anche questo. Dà a Giacomo il suo anello È un basilisco95 per i miei occhi, mi uccide solo a guardarlo. Non c’è onore dov’è bellezza, né verità dov’è apparenza, né amore dov’è più di un uomo. Le donne non si sentano vincolate alle persone cui giurano fedeltà più di quanto siano legate alla loro stessa virtù, che è nulla! Oh, che falsità infinita! FILARIO
Abbiate pazienza, signore e riprendetevi l’anello; non è ancora vinto. Forse si può provare che lei lo ha perso o, chissà, una delle sue ancelle è stata pagata per rubarglielo. POSTUMO
Più che giusto, spero che l’abbia ottenuto così. Ridatemi l’anello. Riprende l’anello Rivelate qualche particolare fisico più significativo di questo; questo è stato rubato. GIACOMO
Per Giove, l’ho avuto dal suo braccio. POSTUMO
Sentite, giura, giura per Giove96. È vero, tenete l’anello, è vero. Sono sicuro che non l’avrebbe perso. Le sue ancelle sono tutte oneste e di provata fedeltà. Indotte a rubare? E per di più da uno straniero? No, se l’è goduta. Questo è il marchio della sua incontinenza. Ha comprato il nome di sgualdrina a un prezzo assai elevato. Dà a Giacomo l’anello Ecco, prendi ciò che ti spetta e che tutti i demoni dell’inferno si dividano tra voi due!
1593
Shakespeare IV.indb 1593
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 4
Sir, be patient. This is not strong enough to be believed Of one persuaded well of. POSTHUMUS Never talk on’t. She hath been colted by him. GIACOMO If you seek For further satisfying, under her breast — Worthy the pressing — lies a mole, right proud Of that most delicate lodging. By my life, I kissed it, and it gave me present hunger To feed again, though full. You do remember This stain upon her? POSTHUMUS Ay, and it doth confirm Another stain as big as hell can hold, Were there no more but it. GIACOMO Will you hear more?
130
FILARIO
135
140
POSTHUMUS
Spare your arithmetic, never count the turns. Once, and a million! GIACOMO I’ll be sworn. POSTHUMUS No swearing. If you will swear you have not done’t, you lie, And I will kill thee if thou dost deny Thou’st made me cuckold. GIACOMO I’ll deny nothing.
145
POSTHUMUS
O that I had her here to tear her limb-meal! I will go there and do’t i’th’ court, before Her father. I’ll do something. FILARIO Quite besides The government of patience! You have won. Let’s follow and pervert the present wrath He hath against himself. GIACOMO With all my heart.
Exit 150
Exeunt
1594
Shakespeare IV.indb 1594
30/11/2018 09:33:38
CIMBELINO, ATTO II SCENA 4
FILARIO
Signore, siate paziente. Tutto questo non è abbastanza credibile di una persona che gode di alta stima. POSTUMO
Non parliamone più. Si è fatta montare da lui. GIACOMO
Se desiderate una prova ulteriore, sotto il suo seno – che merita davvero di essere palpato – si trova un neo, giustamente orgoglioso di quella posizione tanto vezzosa. Per la mia vita, l’ho baciato e mi ha stimolato subito l’appetito di baciarlo ancora, sebbene fossi sazio. Ricordate questa macchia sul suo corpo, vero? POSTUMO
Sì, e conferma un’altra macchia così grande che da sola riempirebbe l’inferno. GIACOMO
Volete sentire altro? POSTUMO
Risparmiatemi la vostra aritmetica, non stiamo a contare le volte. Una volta o un milione è lo stesso! GIACOMO
Giuro. POSTUMO
Non giurate. Se giurate di non averlo fatto mentite; ti97 ucciderò se negherai di avermi fatto cornuto. GIACOMO
Non nego nulla. POSTUMO
Oh, se solo l’avessi qui per strapparle le membra una a una! Tornerò e lo farò là, a corte, davanti a suo padre. Qualche cosa farò98. Esce FILARIO
È proprio andato su tutte le furie! Avete vinto. Seguiamolo e cerchiamo di lenire la collera che ha verso se stesso. GIACOMO
Ben volentieri. Escono 1595
Shakespeare IV.indb 1595
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 2 SCENE 5
2.5
Enter Posthumus
POSTHUMUS
Is there no way for men to be, but women Must be half-workers? We are bastards all, And that most venerable man which I Did call my father was I know not where When I was stamped. Some coiner with his tools Made me a counterfeit; yet my mother seemed The Dian of that time: so doth my wife The nonpareil of this. O vengeance, vengeance! Me of my lawful pleasure she restrained, And prayed me oft forbearance; did it with A pudency so rosy the sweet view on’t Might well have warmed old Saturn; that I thought her As chaste as unsunned snow. O all the devils! This yellow Giacomo in an hour — was’t not? — Or less — at first? Perchance he spoke not, but Like a full-acorned boar, a German one, Cried ‘O!’ and mounted; found no opposition But what he looked for should oppose and she Should from encounter guard. Could I find out The woman’s part in me — for there’s no motion That tends to vice in man but I affirm It is the woman’s part; be it lying, note it, The woman’s; flattering, hers; deceiving, hers; Lust and rank thoughts, hers, hers; revenges, hers; Ambitions, covetings, change of prides, disdain, Nice longing, slanders, mutability, All faults that man can name, nay, that hell knows, p Why, hers in part or all, but rather all — For even to vice They are not constant, but are changing still One vice but of a minute old for one
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27. Man can name: name con significato analogo. 1596
Shakespeare IV.indb 1596
30/11/2018 09:33:38
CIMBELINO, ATTO II SCENA 5
II, 5
Entra Postumo99
POSTUMO
Non è proprio possible nascere senza l’intervento delle donne?100 Siamo tutti bastardi; chissà dov’era quell’uomo venerando che chiamavo padre quando fui coniato io. Qualche falsario mi ha contraffato con il suo attrezzo, eppure mia madre sembrava la Diana della sua epoca proprio come, in questa, mia moglie appariva senza eguali. Oh, vendetta, vendetta! Ha represso il mio legittimo desiderio e spesso con preghiere mi ha indotto all’astinenza; lo faceva con un rossore così pudico che quella dolce visione avrebbe intenerito anche il vecchio Saturno. E io che la ritenevo incorrotta come neve non guastata dal sole. Per tutti i diavoli! Questo gialliccio101 Giacomo in appena un’ora – no? – magari anche meno – al primo incontro? Forse non ha neppure parlato ma, come un cinghiale tedesco102 rimpinzato di ghiande, ha gridato “Oh!” e se l’è montata senza trovare altra resistenza se non quella che lui si aspettava e che lei avrebbe dovuto impedire103. Se solo potessi scovare quello che in me viene dalla donna – perché dichiaro solennemente che non esiste istinto che spinga l’uomo al vizio che non venga dalla donna. La menzogna, notate, è tipica della donna; la lusinga, sua; l’inganno, suo; la lussuria e i pensieri lascivi, suoi, suoi; le vendette, sue; le ambizioni, le cupidigie, le voglie mutevoli, il disprezzo, la lussuria insaziabile, le calunnie, l’incostanza, tutte le colpe che hanno un nome e che l’inferno conosce bene, sono prerogative sue in parte o del tutto, ma direi del tutto – perché neanche nel vizio sono costanti ma cambiano sempre passando
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Shakespeare IV.indb 1597
30/11/2018 09:33:38
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 1
Not half so old as that. I’ll write against them, Detest them, curse them, yet ’tis greater skill In a true hate to pray they have their will. The very devils cannot plague them better. 3.1
Exit
[Flourish.] Enter in state Cymbeline, the Queen, Cloten, and lords at one door, and at another, Caius Lucius and attendants
CYMBELINE
Now say, what would Augustus Caesar with us? LUCIUS
When Julius Caesar — whose remembrance yet Lives in men’s eyes, and will to ears and tongues Be theme and hearing ever — was in this Britain And conquered it, Cassibelan, thine uncle, Famous in Caesar’s praises no whit less Than in his feats deserving it, for him And his succession granted Rome a tribute, Yearly three thousand pounds, which by thee lately Is left untendered. QUEEN And, to kill the marvel, Shall be so ever. CLOTEN There will be many Caesars Ere such another Julius. Britain’s a world By itself, and we will nothing pay For wearing our own noses. QUEEN That opportunity Which then they had to take from ’s, to resume We have again. Remember, sir, my liege, The kings your ancestors, together with The natural bravery of your isle, which stands As Neptune’s park, ribbed and paled in With banks unscalable and roaring waters, q With sands that will not bear your enemies’ boats,
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20. Banks: Oakes “querce”. 1598
Shakespeare IV.indb 1598
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 1
da un vizio a un altro più nuovo nel giro di un minuto. Voglio scrivere contro di loro, biasimarle, maledirle, e tuttavia per odiarle davvero è addirittura preferibile sperare che ottengano quel che desiderano. Gli stessi demoni non potrebbero tormentarle meglio. Esce III, 1
[Trombe] Entrano solennemente Cimbelino, la regina, Cloten e i nobili da una porta e, dall’altra, Caio Lucio e il suo seguito104
CIMBELINO
Ebbene, parlate; che cosa vuole da noi Cesare Augusto? LUCIO
Quando Giulio Cesare – il cui ricordo è ancora vivo e di cui sempre si sentirà parlare – venne in Britannia e la conquistò, tuo zio Cassibelano, famoso per le lodi che ebbe da Cesare tanto quanto per le imprese che gliele meritarono, garantì a Roma il pagamento di un tributo da parte sua e dei suoi discendenti, tremila sterline all’anno, che ultimamente da te è stato disatteso. REGINA
E che, per fugare ogni perplessità, d’ora in poi resterà tale. CLOTEN
Ci vorranno molti Cesari prima che nasca un altro Giulio. La Britannia è un mondo a sé e non pagheremo proprio nulla solo per il fatto che abbiamo il naso sul volto. REGINA
La stessa opportunità che un tempo hanno avuto loro di togliere a noi, ora ce l’abbiamo noi di riprenderci ciò che è nostro. Tenete a mente, mio sovrano105, i re vostri antenati, insieme all’aspetto naturalmente minaccioso della vostra isola, che si erge come un parco di Nettuno protetto e cinto da coste106 impenetrabili e acque tonanti, con sabbie che non sosterranno il peso delle navi nemiche
1599
Shakespeare IV.indb 1599
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 1
But suck them up to th’ topmast. A kind of conquest Caesar made here, but made not here his brag Of ‘came and saw and overcame’. With shame — The first that ever touched him — he was carried From off our coast, twice beaten; and his shipping, Poor ignorant baubles, on our terrible seas Like eggshells moved upon their surges, cracked As easily ’gainst our rocks; for joy whereof The famed Cassibelan, who was once at point — O giglot fortune! — to master Caesar’s sword, Made Lud’s town with rejoicing fires bright, And Britons strut with courage. CLOTEN Come, there’s no more tribute to be paid. Our kingdom is stronger than it was at that time, and, as I said, there is no more such Caesars. Other of them may have crooked noses, but to owe such straight arms, none. CYMBELINE Son, let your mother end. CLOTEN We have yet many among us can grip as hard as Cassibelan. I do not say I am one, but I have a hand. Why tribute? Why should we pay tribute? If Caesar can hide the sun from us with a blanket, or put the moon in his pocket, we will pay him tribute for light; else, sir, no more tribute, pray you now. CYMBELINE (to Lucius) You must know, Till the injurious Romans did extort This tribute from us we were free. Caesar’s ambition, Which swelled so much that it did almost stretch The sides o’th’ world, against all colour here Did put the yoke upon ’s, which to shake off Becomes a warlike people, whom we reckon Ourselves to be. We do say then to Caesar, Our ancestor was that Mulmutius which Ordained our laws, whose use the sword of Caesar Hath too much mangled, whose repair and franchise Shall by the power we hold be our good deed,
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Shakespeare IV.indb 1600
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 1
ma le risucchieranno, inghiottendole fi no alla cima dell’albero maestro. Quella di Cesare è stata solo una parvenza di conquista: qui non ha certo sentenziato con vanto “veni, vidi, vici”. Con disonore – il primo che mai conobbe – egli fu respinto dalle nostre coste e sconfitto due volte; i suoi vascelli, miseri e ignari balocchi, sui nostri terribili mari furono sballottati dalle onde come gusci d’uovo e mandati a sfracellarsi contro le nostre rocce; per festeggiare tale evento, il famoso Cassibelano, che una volta era stato sul punto – oh, fortuna sgualdrina – di vincere la spada di Cesare, illuminò la città di Lud107 con fuochi festosi e risvegliò il coraggio dei britanni. CLOTEN
Insomma, non c’è proprio nessun tributo da pagare. Il nostro regno è più forte di quanto lo fosse allora e, come ho detto, non ci sono più Cesari come quello. Qualcuno potrà anche avere il naso adunco come lui ma un braccio forte come il suo non ce l’ha nessuno. CIMBELINO
Figlio mio, lascia finire tua madre. CLOTEN
C’è ancora qualcuno tra noi che ha il pugno vigoroso come Cassibelano. Non dico di essere uno di loro, però una mano ce l’ho. Perché un tributo? Perché dovremmo pagare un tributo? Se Cesare può oscurarci il sole con una coperta, o mettersi la luna in tasca, allora gli pagheremo un tributo per avere la luce; altrimenti, signore, basta tributi, basta. CIMBELINO (a Lucio) Dovete sapere che, fino a quando i dispotici romani non ci estorsero questo tributo, eravamo liberi. L’ambizione di Cesare, che si gonfiò tanto da far espandere le estremità della terra108, ci impose il giogo, senza alcun discernimento; scrollarselo di dosso è un dovere per un popolo bellicoso come ci gloriamo di essere. Diciamo quindi a Cesare che fu il nostro avo Mulmuzio a dettarci le leggi che la spada di Cesare ha troppo mutilato; la nostra gloriosa impresa sarà ripristinarle ed applicarle liberamente con le forze in nostro potere,
1601
Shakespeare IV.indb 1601
30/11/2018 09:33:39
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 1
Though Rome be therefore angry. Mulmutius made our laws, Who was the first of Britain which did put His brows within a golden crown and called Himself a king. LUCIUS I am sorry, Cymbeline, That I am to pronounce Augustus Caesar — Caesar, that hath more kings his servants than Thyself domestic officers — thine enemy. Receive it from me, then: war and confusion In Caesar’s name pronounce I ’gainst thee. Look For fury not to be resisted. Thus defied, I thank thee for myself. CYMBELINE Thou art welcome, Caius. Thy Caesar knighted me; my youth I spent Much under him; of him I gathered honour, Which he to seek of me again perforce Behoves me keep at utterance. I am perfect That the Pannonians and Dalmatians for Their liberties are now in arms, a precedent Which not to read would show the Britons cold; So Caesar shall not find them. LUCIUS Let proof speak. CLOTEN His majesty bids you welcome. Make pastime with us a day or two or longer. If you seek us afterwards in other terms, you shall find us in our salt-water girdle. If you beat us out of it, it is yours; if you fall in the adventure, our crows shall fare the better for you; and there’s an end. LUCIUS So, sir.
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CYMBELINE
I know your master’s pleasure, and he mine. All the remain is ‘Welcome’. [Flourish.] Exeunt
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Shakespeare IV.indb 1602
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 1
anche se questo irriterà Roma. Mulmuzio ci diede le leggi e fu il primo britanno che cinse la corona d’oro e si proclamò re. LUCIO
Mi dispiace, Cimbelino, dover dichiarare che Cesare Augusto – Cesare, cui è sottomesso un numero di re superiore a quello dei tuoi servitori – è tuo nemico. Ascoltalo da me, dunque: ti prometto guerra e devastazione nel nome di Cesare. Aspettati una furia irresistibile. Ciò detto, desidero ringraziarti a titolo personale. CIMBELINO
Qui sei il benvenuto, Caio. Il tuo Cesare mi ha nominato cavaliere e ho trascorso gran parte della mia giovinezza sotto di lui; da lui ho ottenuto quegli onori che oggi mi vuole togliere con la forza e che mi obbliga a difendere a ogni costo. So bene che i pannoni e i dalmati sono attualmente in rivolta per affrancarsi109; un precedente che, ignorato, farebbe apparire i britanni senza vigore: Cesare non li troverà così. LUCIO
Che parlino i fatti. CLOTEN
Sua maestà vi offre il suo benvenuto. Restate nostro ospite per un paio di giorni o anche di più. Poi, se verrete a cercarci con altre intenzioni, ci troverete protetti dai nostri bastioni di acqua salata. Se ce ne scaccerete tutto sarà vostro; se cadrete nell’impresa, i nostri corvi faranno festa con voi. Questo è tutto. LUCIO
Così sia, signore. CIMBELINO
Ora conosco le intenzioni del vostro padrone e lui le mie. Per il resto vi dico: “Benvenuto”. [Trombe] Escono
1603
Shakespeare IV.indb 1603
30/11/2018 09:33:39
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 2
3.2
Enter Pisanio, reading of a letter
PISANIO
How? Of adultery? Wherefore write you not What monster’s her accuser? Leonatus, O master, what a strange infection Is fall’n into thy ear! What false Italian, As poisonous tongued as handed, hath prevailed On thy too ready hearing? Disloyal? No. She’s punished for her truth, and undergoes, More goddess-like than wife-like, such assaults As would take in some virtue. O my master, Thy mind to hers is now as low as were r Thy fortunes. How? That I should murder her, Upon the love and truth and vows which I Have made to thy command? I her? Her blood? If it be so to do good service, never Let me be counted serviceable. How look I, That I should seem to lack humanity So much as this fact comes to? (Reads) ‘Do’t. The letter That I have sent her, by her own command Shall give thee opportunity.’ O damned paper, Black as the ink that’s on thee! Senseless bauble, Art thou a fedary for this act, and look’st So virgin-like without?
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Enter Innogen Lo, here she comes. I am ignorant in what I am commanded. INNOGEN How now, Pisanio? PISANIO
Madam, here is a letter from my lord.
25
INNOGEN
Who, thy lord that is my lord, Leonatus? O learned indeed were that astronomer That knew the stars as I his characters — 10. To hers: to her = “verso di lei”. 1604
Shakespeare IV.indb 1604
30/11/2018 09:33:39
CIMBELINO, ATTO III SCENA 2
III, 2
Entra Pisanio, leggendo una lettera110
PISANIO
Come? Di adulterio? E perché non c’è scritto chi è il mostro che l’accusa? Leonato, padrone mio, quale strana malignità si è insinuata nel tuo orecchio! Quale bugiardo italiano, bravo a spargere veleni con la lingua come con le mani, ha prevalso sul tuo orecchio troppo credulone? Sleale? Anzi, è punita per la sua fedeltà e sopporta, più da dea che da donna, assalti che vincerebbero le virtù di molte. O padrone, il tuo cuore rispetto al suo111 è meschino come lo erano le tue fortune. Che cosa? Dovrei ucciderla in nome dell’amore, della fedeltà e delle promesse che ti ho fatto? Io, lei? Il suo sangue? Se questo significa offrire un buon servizio, che io non sia più ritenuto servizievole. Con che faccia potrei sembrare privo di umanità da compiere un gesto simile? (Legge) “Fallo. La lettera che le ho inviato te ne darà l’opportunità, come lei stessa ti ordinerà”. O lettera maledetta, nera come l’inchiostro che ti imbratta! Foglio balordo, sei complice di un tale misfatto e hai un aspetto così innocente? Entra Innogene Sta arrivando. Ignorerò quel che mi viene ordinato. INNOGENE
Ebbene, Pisanio? PISANIO
Mia signora, ecco una lettera del mio signore. INNOGENE
Chi, il tuo signore che è il mio signore, Leonato? Oh, davvero esperto quell’astrologo che sapesse leggere le stelle come io la sua
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Shakespeare IV.indb 1605
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 2
He’d lay the future open. You good gods, Let what is here contained relish of love, Of my lord’s health, of his content — yet not That we two are asunder; let that grieve him. Some griefs are med’cinable; that is one of them, For it doth physic love — of his content All but in that. Good wax, thy leave. Blest be You bees that make these locks of counsel! Lovers And men in dangerous bonds pray not alike; Though forfeiters you cast in prison, yet You clasp young Cupid’s tables. Good news, gods!
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She opens and reads the letter ‘Justice and your father’s wrath, should he take me in his dominion, could not be so cruel to me as you, O the dearest of creatures, would even renew me with your eyes. Take notice that I am in Cambria, at Milford Haven. What your own love will out of this advise you, follow. So he wishes you all happiness, that remains loyal to his vow, and your increasing in love, Leonatus Posthumus.’ O for a horse with wings! Hear’st thou, Pisanio? He is at Milford Haven. Read, and tell me How far ’tis thither. If one of mean affairs May plod it in a week, why may not I Glide thither in a day? Then, true Pisanio, Who long’st like me to see thy lord, who long’st — O let me bate — but not like me — yet long’st But in a fainter kind — O, not like me, For mine’s beyond beyond; say, and speak thick — Love’s counsellor should fill the bores of hearing, To th’ smothering of the sense — how far it is To this same blessèd Milford. And by th’ way Tell me how Wales was made so happy as T’inherit such a haven. But first of all, How we may steal from hence; and for the gap That we shall make in time from our hence-going
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Shakespeare IV.indb 1606
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 2
grafia: riuscirebbe a predire il futuro. O dei benigni, fate che il contenuto sappia d’amore, della salute del mio sposo, della sua gioia – tranne che per la nostra separazione; anzi, che questa lo faccia soffrire. Alcune sofferenze sono curative e questa è una di esse perché rafforza l’amore –; della sua gioia in tutto tranne questo. Con permesso, mia buona cera. Siate benedette api che fornite questi sigilli dei segreti. Gli amanti e i debitori112 non pregano certo in modo simile: voi mandate in prigione chi è insolvente ma suggellate i messaggi d’amore del giovane Cupido. Buone notizie, o dei! Apre e legge la lettera “La giustizia e l’ira di vostro padre, se mi trovasse nei suoi domini, non potrebbero mai essere troppo crudeli per me poiché voi, la più cara delle creature, mi rinnovereste completamente con il vostro sguardo. Sappiate che sono in Cambria, a Milford Haven, quindi fate ciò che il vostro amore vi consiglia. Così vi augura ogni felicità colui che rimane fedele alla sua promessa e il vostro sempre più innamorato, Leonato Postumo”. Oh, se avessi un cavallo alato! Hai sentito, Pisanio? È a Milford Haven. Leggi e dimmi quanto è lontano da qui. Se chi ha faccende poco importanti può arrivarci in una settimana, perché io non posso volare ed esser lì in un giorno? Allora, mio buon Pisanio, che brami quanto me di vedere il tuo padrone, che brami – beh, non esageriamo – però non quanto me – diciamo, che brami ma un po’ di meno – non certo come me, perché il mio desiderio va oltre ogni oltre; dimmi e parla fitto – un consigliere d’amore dovrebbe saturare le orecchie fino allo stordimento – quanto dista da qui questo benedetto Milford. E intanto dimmi come mai il Galles è così fortunato da avere un simile porto. Ma prima di tutto, come possiamo fuggire da qui; e come possiamo giustificare la nostra mancanza per il tempo che occorre ad andare e tornare; ma prima
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Shakespeare IV.indb 1607
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 3
Till our return, to excuse; but first, how get hence. s Why should excuse be born or ere begot? We’ll talk of that hereafter. Prithee speak, How many score of miles may we well ride ’Twixt hour and hour? PISANIO One score ’twixt sun and sun, Madam, ’s enough for you, and too much too.
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INNOGEN
Why, one that rode to ’s execution, man, Could never go so slow. I have heard of riding wagers Where horses have been nimbler than the sands That run i’th’ clock’s behalf. But this is fool’ry. Go bid my woman feign a sickness, say She’ll home to her father; and provide me presently A riding-suit no costlier than would fit A franklin’s housewife. PISANIO Madam, you’re best consider.
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INNOGEN
I see before me, man. Nor here, nor here, Nor what ensues, but have a fog in them That I cannot look through. Away, I prithee, Do as I bid thee. There’s no more to say: Accessible is none but Milford way.
3.3
80 Exeunt
Enter Belarius, followed by Guiderius and Arviragus, [from a cave in the woods]
BELARIUS
A goodly day not to keep house with such Whose roof’s as low as ours. Stoop, boys; this gate t Instructs you how t’adore the heavens, and bows you To a morning’s holy office. The gates of monarchs Are arched so high that giants may jet through And keep their impious turbans on without
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64. Till: And = “e”. 2. Stoop: Sleepe = “Dormite”. 1608
Shakespeare IV.indb 1608
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 3
come andarcene da qui. E perché dovremmo pensare o escogitare una scusa in anticipo? Ci penseremo dopo. Ti prego, dimmi, quante ventine di miglia possiamo fare a cavallo in un’ora? PISANIO
Una ventina in un giorno, mia signora, è abbastanza per voi, forse anche troppo. INNOGENE
Accidenti, uno che andasse al patibolo non andrebbe così piano. Ho sentito parlare di gare per scommessa in cui i cavalli andavano più veloci della sabbia di una clessidra. Ma queste sono sciocchezze. Va’ e ordina alla mia ancella di fingersi malata, di dire che va a casa di suo padre; e procurami in fretta un abito da viaggio come quello che potrebbe avere la moglie di un signorotto di campagna. PISANIO
Signora, dovreste pensarci bene. INNOGENE
Vedo ben chiaro davanti a me, amico; è tutto intorno che c’è una nebbia impenetrabile113. Ti prego, va’ e fa’ come ti ho detto. Non c’è altro da dire: l’unica strada possibile è quella per Milford. Escono III, 3
Entra Belario, seguito da Guiderio e Arvirago [da una caverna nel bosco]114
BELARIO
È una giornata troppo bella per restare in una casa con il tetto basso come il nostro115. Chinatevi, ragazzi; questa porta vi insegna come adorare il cielo e piegare il capo per la preghiera mattutina. Le porte dei sovrani hanno archi così alti che i giganti possono attraversarle continuando a indossare i loro empi turbanti116 senza
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Shakespeare IV.indb 1609
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 3
Good morrow to the sun. Hail, thou fair heaven! We house i’th’ rock, yet use thee not so hardly As prouder livers do. GUIDERIUS Hail, heaven! ARVIRAGUS Hail, heaven! BELARIUS
Now for our mountain sport. Up to yon hill, Your legs are young; I’ll tread these flats. Consider, When you above perceive me like a crow, That it is place which lessens and sets off, And you may then revolve what tales I have told you Of courts, of princes, of the tricks in war; That service is not service, so being done, But being so allowed. To apprehend thus Draws us a profit from all things we see, And often to our comfort shall we find The sharded beetle in a safer hold Than is the full-winged eagle. O, this life Is nobler than attending for a check, Richer than doing nothing for a bauble, u Prouder than rustling in unpaid-for silk; Such gain the cap of him that makes ’em fine, Yet keeps his book uncrossed. No life to ours.
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GUIDERIUS
Out of your proof you speak. We, poor unfledged, Have never winged from view o’th’ nest, nor know not What air’s from home. Haply this life is best, If quiet life be best; sweeter to you That have a sharper known; well corresponding With your stiff age, but unto us it is A cell of ignorance, travelling abed, A prison for a debtor, that not dares v To stride a limit.
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23. Bauble: Babe = “pupazzo”. 34. Prison for: Prison, or = “prigione, oppure”. 1610
Shakespeare IV.indb 1610
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 3
dare il buongiorno al sole. Salve, bel cielo! Abitiamo nella roccia ma non ti trattiamo male come fanno i ricchi arroganti. GUIDERIO
Salve, cielo! ARVIRAGO
Salve, cielo! BELARIO
E ora alle nostre occupazioni montane. Voi andate su quella collina, le vostre gambe sono giovani; io attraverserò questo pianoro. Quando da lassù mi vedrete piccolo come un corvo, ricordate che è la posizione a far rimpicciolire o far risaltare; allora potrete meditare sui racconti che vi ho fatto di corti, principi e astuzie di guerra; sul fatto che un servizio non è un servizio perché lo si è fatto ma perché è stato ritenuto tale. Riflettendo in questo modo possiamo trarre profitto da tutto ciò che vediamo ed è spesso di conforto vedere che uno scarafaggio con le sue elitre è più al sicuro dell’aquila con le ali spiegate. Oh, una vita simile è più nobile che servire ricevendo in cambio solo insulti, più appagante che non fare nulla per una ricompensa inutile; più dignitosa che far frusciare abiti di seta non pagati. Alcuni si fanno riverire da chi li veste con eleganza, ma poi continuano a non saldare il debito che hanno con loro117. Questa non è vita rispetto alla nostra. GUIDERIO
Voi parlate per esperienza. Noi, con le nostre povere ali ancora implumi, non abbiamo mai volato distante dal nido, né sappiamo come sia l’aria lontano da qui. Forse questa vita è la migliore, se una vita tranquilla è la migliore, assai gradita per voi che ne avete conosciuta una più amara. Si adatta bene alla vostra rigida età, ma per noi è una cella di ignoranza, una pura fantasticheria, una prigione per debitori che non osano varcare la soglia.
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Shakespeare IV.indb 1611
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 3
ARVIRAGUS (to Belarius) What should we speak of
When we are old as you? When we shall hear The rain and wind beat dark December, how, In this our pinching cave, shall we discourse The freezing hours away? We have seen nothing. We are beastly: subtle as the fox for prey, Like warlike as the wolf for what we eat. Our valour is to chase what flies; our cage We make a choir, as doth the prisoned bird, And sing our bondage freely. BELARIUS How you speak! Did you but know the city’s usuries, And felt them knowingly; the art o’th’ court, As hard to leave as keep, whose top to climb Is certain falling, or so slipp’ry that The fear’s as bad as falling; the toil o’th’ war, A pain that only seems to seek out danger I’th’ name of fame and honour, which dies i’th’ search And hath as oft a sland’rous epitaph As record of fair act; nay, many times Doth ill deserve by doing well; what’s worse, Must curtsy at the censure. O boys, this story The world may read in me. My body’s marked With Roman swords, and my report was once First with the best of note. Cymbeline loved me, And when a soldier was the theme my name Was not far off. Then was I as a tree Whose boughs did bend with fruit; but in one night A storm or robbery, call it what you will, Shook down my mellow hangings, nay, my leaves, And left me bare to weather. GUIDERIUS Uncertain favour!
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BELARIUS
My fault being nothing, as I have told you oft, But that two villains, whose false oaths prevailed Before my perfect honour, swore to Cymbeline I was confederate with the Romans. So
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Shakespeare IV.indb 1612
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 3
ARVIRAGO (a Belario)
Che cosa racconteremo quando saremo anziani come voi? Quando sentiremo la pioggia e il vento sferzanti nel cupo dicembre, in questa fredda caverna, con quali discorsi faremo passare le gelide ore? Non abbiamo visto nulla. Siamo selvaggi come bestie: astuti come volpi a caccia, agguerriti come lupi nel procurarci il cibo. Il nostro valore si manifesta nell’inseguire ciò che fugge; il nostro carcere lo mutiamo in cantoria, come uccelli in gabbia, e siamo liberi di cantare la nostra prigionia. BELARIO
Come parlate! Se solo conosceste i traffici degli usurai in città e li aveste provati di persona; gli intrighi della corte, difficili da abbandonare come da praticare, dove arrivare alla cima significa cadere di certo o restare in una posizione così instabile che la paura è terribile quanto la caduta; l’arte della guerra, una fatica che sembra unicamente far ricercare il pericolo in nome della fama e dell’onore, che si esaurisce nella ricerca e procura un epitaffio infamante tanto spesso quanto una menzione per gesta eroiche; anzi, molte volte è punita per aver fatto il bene e, quel che è peggio, deve inchinarsi al rimprovero. Oh, ragazzi, in me il mondo può leggere questa stessa storia. Il mio corpo è segnato dalle spade romane e la mia fama era un tempo tra le più illustri. Cimbelino mi amava e quando si parlava di soldati il mio nome non era mai tra gli ultimi. All’epoca ero come un albero con i rami piegati per i troppi frutti; ma in una sola notte una tempesta, o un furto, chiamatelo come volete, fece cadere il mio dolce carico e persino le foglie, e mi lasciò nudo alle intemperie. GUIDERIO
Incerta fortuna! BELARIO
Non avevo alcuna colpa, come vi ho raccontato spesso, ma due canaglie, che con le loro calunnie prevalsero sul mio onore senza macchia, spergiurarono a Cimbelino che ero in combutta con i
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Shakespeare IV.indb 1613
30/11/2018 09:33:40
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 3
Followed my banishment, and this twenty years This rock and these demesnes have been my world, Where I have lived at honest freedom, paid More pious debts to heaven than in all The fore-end of my time. But up to th’ mountains! This is not hunter’s language. He that strikes The venison first shall be the lord o’th’ feast, To him the other two shall minister, And we will fear no poison which attends In place of greater state. I’ll meet you in the valleys.
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Exeunt Guiderius and Arviragus How hard it is to hide the sparks of nature! These boys know little they are sons to th’ King, Nor Cymbeline dreams that they are alive. They think they are mine, and though trained up thus meanly I’th’ cave wherein they bow, their thoughts do hit The roofs of palaces, and nature prompts them In simple and low things to prince it much Beyond the trick of others. This Polydore, The heir of Cymbeline and Britain, who The King his father called Guiderius — Jove, When on my three-foot stool I sit and tell The warlike feats I have done, his spirits fly out Into my story: say ‘Thus mine enemy fell, And thus I set my foot on ’s neck’, even then The princely blood flows in his cheek, he sweats, Strains his young nerves, and puts himself in posture That acts my words. The younger brother, Cadwal, Once Arviragus, in as like a figure Strikes life into my speech, and shows much more His own conceiving.
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[A hunting-horn sounds] Hark, the game is roused! O Cymbeline, heaven and my conscience knows Thou didst unjustly banish me, whereon
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Shakespeare IV.indb 1614
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 3
romani. Così fui bandito e da venti anni questa caverna e queste terre sono il mio mondo, dove ho vissuto in onesta libertà e saldato con devozione più debiti col cielo che in tutta la mia vita precedente. Ma ora su per i colli! Questo non è un linguaggio da cacciatore. Chi colpirà per primo la preda sarà il signore della festa118, gli altri due lo serviranno e non dovremo temere il veleno che è sempre presente in mense più illustri. Ci incontreremo nella vallata. Escono Guiderio e Arvirago Com’è difficile nascondere le scintille della natura! Questi ragazzi non sanno affatto di essere figli del re. Né Cimbelino immagina che siano vivi. Loro pensano di essere figli miei e, pur allevati umilmente in una caverna che li costringe a piegare il capo, i loro pensieri sono più elevati delle cime dei palazzi. La natura li induce anche nelle cose semplici e comuni ad agire da prìncipi, ben al di sopra delle capacità degli altri! Questo Polidoro, erede di Cimbelino e della Britannia, che il padre chiamò Guiderio – per Giove, quando siedo sul mio sgabello a tre gambe e racconto le imprese guerresche che ho compiuto, il suo spirito vola immedesimandosi nella mia storia: dico “Così cadde il mio nemico e così gli misi il piede sul collo” e subito il sangue principesco gli arrossa il volto, suda, contrae i suoi giovani muscoli e si mette in posizione quasi mimando le mie parole. Il fratello minore, Cadwal, un tempo chiamato Arvirago, con un atteggiamento simile rende vivo il mio racconto e rivela ancor più la sua immaginazione. [Risuona un corno da caccia] Ecco, la selvaggina è scovata!119 O, Cimbelino, il cielo e la mia coscienza sanno che mi hai bandito ingiustamente e perciò rapii
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Shakespeare IV.indb 1615
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
At three and two years old I stole these babes, Thinking to bar thee of succession as Thou reft’st me of my lands. Euriphile, Thou wast their nurse; they took thee for their mother, And every day do honour to her grave. Myself, Belarius, that am Morgan called, They take for natural father.
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[A hunting-horn sounds] The game is up. 3.4
Exit
Enter Pisanio, and Innogen in a riding-suit
INNOGEN
Thou told’st me when we came from horse the place Was near at hand. Ne’er longed my mother so To see me first as I have now. Pisanio, man, Where is Posthumus? What is in thy mind That makes thee stare thus? Wherefore breaks that sigh From th’inward of thee? One but painted thus Would be interpreted a thing perplexed Beyond self-explication. Put thyself Into a haviour of less fear, ere wildness Vanquish my staider senses. What’s the matter?
5
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Pisanio gives her a letter Why tender’st thou that paper to me with A look untender? If’t be summer news, Smile to’t before; if winterly, thou need’st But keep that count’nance still. My husband’s hand? That drug-damned Italy hath out-craftied him, And he’s at some hard point. Speak, man. Thy tongue May take off some extremity which to read Would be even mortal to me.
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Shakespeare IV.indb 1616
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
questi bambini di tre e due anni pensando di privarti della successione come tu avevi fatto delle mie terre. Eurifi le, tu fosti la loro nutrice ed essi ti considerarono loro madre e ogni giorno rendono omaggio alla tua tomba. E io, Belario, chiamato Morgan, sono ritenuto loro padre naturale. [Risuona un corno da caccia] La caccia è iniziata. Esce III, 4
Entrano Pisanio e Innogene in tenuta da viaggio120
INNOGENE
Mi avevi detto che il posto era vicino quando siamo smontati da cavallo. Neppure mia madre era così impaziente di vedermi nascere. Allora, Pisanio, dov’è Postumo? Perché quegli occhi sbarrati? E perché questi sospiri così profondi? Sembri il ritratto di uno in preda a un indicibile tormento. Abbi un’espressione meno apprensiva, altrimenti l’agitazione avrà il sopravvento sulla mia fiducia. Che cosa succede? Pisanio le dà una lettera Perché mi dai questo foglio con quello sguardo terribile? Se sono notizie belle come l’estate, sorridi prima di darmele; se sono brutte come l’inverno, allora resta pure con quella espressione. La scrittura di mio marito? Quella maledetta e velenosa Italia l’ha sedotto e ora è in difficoltà. Avanti, parla. Magari la tua lingua riesce ad attenuare un colpo che alla lettura potrebbe anche essermi fatale.
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Shakespeare IV.indb 1617
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
Please you read, And you shall find me, wretched man, a thing The most disdained of fortune. INNOGEN (reads) ‘Thy mistress, Pisanio, hath played the strumpet in my bed, the testimonies whereof lies bleeding in me. I speak not out of weak surmises but from proof as strong as my grief and as certain as I expect my revenge. That part thou, Pisanio, must act for me, if thy faith be not tainted with the breach of hers. Let thine own hands take away her life. I shall give thee opportunity at Milford Haven. She hath my letter for the purpose, where if thou fear to strike and to make me certain it is done, thou art the pander to her dishonour and equally to me disloyal.’ PISANIO (aside) What shall I need to draw my sword? The paper Hath cut her throat already. No, ’tis slander, Whose edge is sharper than the sword, whose tongue Outvenoms all the worms of Nile, whose breath Rides on the posting winds and doth belie All corners of the world. Kings, queens, and states, Maids, matrons, nay, the secrets of the grave This viperous slander enters. (To Innogen) What cheer, madam? PISANIO
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INNOGEN
False to his bed? What is it to be false? To lie in watch there and to think on him? To weep ’twixt clock and clock? If sleep charge nature, To break it with a fearful dream of him And cry myself awake? That’s false to ’s bed, is it? PISANIO Alas, good lady.
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INNOGEN
I false? Thy conscience witness, Giacomo, Thou didst accuse him of incontinency. Thou then lookedst like a villain; now, methinks, Thy favour’s good enough. Some jay of Italy, Whose mother was her painting, hath betrayed him. 1618
Shakespeare IV.indb 1618
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
PISANIO
Vi prego, leggete e dite, me infelice, se non sono l’uomo più disprezzato dalla fortuna. INNOGENE (legge) “La tua padrona, Pisanio, ha fatto la sgualdrina nel mio letto; ne ho una prova che mi fa sanguinare il cuore. Non parlo sulla base di deboli congetture, bensì di prove schiaccianti come il mio dolore e sicure come la vendetta che esigo. È questa, Pisanio, che devi compiere per me, se la tua fedeltà non è stata contaminata dal suo tradimento. Toglile la vita con le tue mani. Te ne darò l’opportunità a Milford Haven. La lettera che le ho mandato la condurrà là, e se hai paura di ucciderla e mandarmene la prova vuol dire che sei complice del suo disonore e altrettanto infedele verso di me”. PISANIO (a parte) A che serve sguainare la spada? La lettera le ha già tagliato la gola. Anzi, è la calunnia, che ha una lama più affilata di una spada, la lingua più velenosa di tutti i serpenti del Nilo, l’alito che cavalca i venti più rapidi e diffonde la menzogna ai quattro angoli della terra. Re, regine e notabili, vergini e matrone, perfino i segreti delle tombe questa calunnia viperina riesce a profanare. (A Innogene) Come va, mia signora? INNOGENE
Infedele al suo letto? Che cosa vuol dire essere infedele? Restare lì sdraiata pensando a lui? Piangere in continuazione? E quando il sonno prevale, interromperlo a causa di un sogno terribile su di lui e svegliarmi per le mie stesse urla? Questo sarebbe essere infedele al suo letto? PISANIO
Ahimè, mia buona signora. INNOGENE
Io falsa? La tua coscienza mi è testimone, Giacomo, che hai accusato lui di incontinenza. Allora ti ho considerato una canaglia ma ora mi sembri piuttosto sincero. Qualche ghiandaia121 italiana, che ha avuto i cosmetici come madre, l’ha adescato mentre io sono
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Shakespeare IV.indb 1619
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
Poor I am stale, a garment out of fashion, And for I am richer than to hang by th’ walls I must be ripped. To pieces with me! O, Men’s vows are women’s traitors. All good seeming, By thy revolt, O husband, shall be thought Put on for villainy; not born where’t grows, But worn a bait for ladies. PISANIO Good madam, hear me.
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INNOGEN
True honest men being heard like false Aeneas Were in his time thought false, and Sinon’s weeping Did scandal many a holy tear, took pity From most true wretchedness. So thou, Posthumus, Wilt lay the leaven on all proper men. Goodly and gallant shall be false and perjured From thy great fail. (To Pisanio) Come, fellow, be thou honest, Do thou thy master’s bidding. When thou seest him, A little witness my obedience. Look, I draw the sword myself. Take it, and hit The innocent mansion of my love, my heart. Fear not, ’tis empty of all things but grief. Thy master is not there, who was indeed The riches of it. Do his bidding; strike. Thou mayst be valiant in a better cause, But now thou seem’st a coward. PISANIO Hence, vile instrument, Thou shalt not damn my hand! INNOGEN Why, I must die, And if I do not by thy hand thou art No servant of thy master’s. Against self-slaughter There is a prohibition so divine That cravens my weak hand. Come, here’s my heart.
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Shakespeare IV.indb 1620
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
diventata una fiamma smorta122, un abito fuori moda che è troppo prezioso per essere appeso al muro e deve essere strappato. Fatemi a pezzi! Oh, sono le promesse degli uomini a tradire le donne. Dopo la tua infedeltà, caro il mio sposo, le migliori apparenze saranno ritenute ipocrisie mascherate, non naturali ma indossate per adescare le donne. PISANIO
Mia buona signora, ascoltate. INNOGENE
Ai tempi di Enea molti uomini onesti sono stati ritenuti bugiardi come lui123 e il pianto di Sinone ha screditato molte lacrime sincere e la compassione per sofferenze autentiche. Allo stesso modo, Postumo, spargerai il lievito che corromperà tutti gli uomini giusti124. I nobili e i prodi saranno reputati bugiardi e spergiuri per la tua grande colpa. (A Pisanio) Avanti, amico, sii onesto almeno tu, obbedisci agli ordini del tuo padrone. Quando lo vedrai da’ testimonianza della mia obbedienza. Ecco, io stessa sguaino la spada. Prendila e colpiscimi al cuore, innocente sede del mio amore. Non temere, è pieno solo di dolore: il tuo padrone, che ne era il tesoro, non c’è più. Fa’ quello che ti comanda, colpisci. Forse per una causa migliore saresti un valoroso, ma ora sembri un vigliacco. PISANIO
Allontanati, vile strumento, non renderai maledetta la mia mano! INNOGENE
Su, devo morire, e per mano tua, altrimenti non farai un buon servizio al tuo padrone. Contro il suicidio esiste un divieto così imperioso da far tremare la mia mano. Avanti, ecco il mio cuore.
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Shakespeare IV.indb 1621
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
Something’s afore’t. Soft, soft, we’ll no defence; w Obedient as the scabbard. What is here?
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She takes letters from her bosom The scriptures of the loyal Leonatus, All turned to heresy? Away, away, Corrupters of my faith, you shall no more Be stomachers to my heart. Thus may poor fools Believe false teachers. Though those that are betrayed Do feel the treason sharply, yet the traitor Stands in worse case of woe. And thou, Posthumus, That didst set up my disobedience ’gainst the King My father, and make me put into contempt the suits Of princely fellows, shalt hereafter find It is no act of common passage but A strain of rareness; and I grieve myself To think, when thou shalt be disedged by her That now thou tirest on, how thy memory Will then be panged by me. (To Pisanio) Prithee, dispatch. The lamb entreats the butcher. Where’s thy knife? Thou art too slow to do thy master’s bidding When I desire it too. PISANIO O gracious lady, Since I received command to do this business I have not slept one wink. INNOGEN Do’t, and to bed, then.
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95
100
PISANIO
I’ll wake mine eyeballs out first. Wherefore then Didst undertake it? Why hast thou abused So many miles with a pretence? — this place, Mine action, and thine own? Our horses’ labour, The time inviting thee? The perturbed court, For my being absent, whereunto I never
INNOGEN
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79. Afore’t: a-foot = “avviato”. 1622
Shakespeare IV.indb 1622
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
C’è qualcosa che lo copre. Aspetta, aspetta, non ci deve essere alcun ostacolo; ecco, deve essere il fodero ubbidiente della tua spada. Che cosa c’è qui? Prende le lettere che ha in seno La scrittura125 del fedele Leonato, divenuta eresia? Via, via, corruttrice della mia fede, non farai più da corpetto al mio cuore. È così che i poveri sciocchi possono credere a falsi maestri. Chi viene tradito soffre intensamente per il tradimento, ma al traditore tocca un dolore ancora più grande. E tu, Postumo, che mi hai indotto a disubbidire al re mio padre e mi hai fatto disprezzare le proposte di principi miei pari, ti accorgerai in seguito che quello non era un atto comune ma un impulso raro. E mi addolora pensare, quando ti sarai fatto smussare la punta da quella su cui ora ti butti voracemente126, come ti torturerà il mio ricordo. (A Pisanio) Ti prego, fa’ in fretta. L’agnello implora il suo macellaio. Dov’è il tuo coltello? Sei troppo lento nell’eseguire l’ordine del tuo padrone, che è anche il mio. PISANIO
Graziosa signora, da quando ho ricevuto quest’ordine non chiudo occhio. INNOGENE
Fallo, allora, e va’ a dormire. PISANIO
Piuttosto mi faccio uscire gli occhi fuori dalle orbite a forza di vegliare. INNOGENE
Allora perché hai accettato? Perché mi hai ingannato per tante miglia con un pretesto? – questo posto, la mia condotta e la tua? Perché affaticare i cavalli con un’occasione tanto propizia? E lo scompiglio per la mia assenza a corte, dove peraltro non ho alcuna
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Shakespeare IV.indb 1623
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
Purpose return? Why hast thou gone so far To be unbent when thou hast ta’en thy stand, Th’elected deer before thee? PISANIO But to win time To lose so bad employment, in the which I have considered of a course. Good lady, Hear me with patience. INNOGEN Talk thy tongue weary. Speak. I have heard I am a strumpet, and mine ear, Therein false struck, can take no greater wound, Nor tent to bottom that. But speak. PISANIO Then, madam, I thought you would not back again. INNOGEN Most like, Bringing me here to kill me. PISANIO Not so, neither. But if I were as wise as honest, then My purpose would prove well. It cannot be But that my master is abused. Some villain, Ay, and singular in his art, hath done you both This cursèd injury. INNOGEN Some Roman courtesan. PISANIO No, on my life. I’ll give but notice you are dead, and send him Some bloody sign of it, for ’tis commanded I should do so. You shall be missed at court, And that will well confirm it. INNOGEN Why, good fellow, What shall I do the while, where bide, how live, Or in my life what comfort when I am Dead to my husband? PISANIO If you’ll back to th’ court —
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
intenzione di tornare? Perché andare tanto lontano e poi abbassare l’arco quando avevi già preso la mira sulla preda? PISANIO
Solo per avere il tempo di liberarmi da questo orribile incarico. Nel frattempo ho ideato un piano. Buona signora, ascoltatemi con pazienza. INNOGENE
Parla fino a stancarti. Avanti. Mi sono sentita chiamare sgualdrina e il mio orecchio, colpito a tradimento, non può sopportare ferita maggiore, né benda per medicarla127. Su, parla. PISANIO
Allora, mia signora, ho pensato che voi non sareste tornata indietro. INNOGENE
Assai probabile, dato che mi hai portato qui per uccidermi. PISANIO
No, niente affatto. Ma se sono saggio come sono onesto, allora la mia idea potrebbe funzionare bene. Il padrone è stato imbrogliato: non può che essere così. Qualche farabutto, e assai abile nella sua arte, vi ha teso questo odioso inganno. INNOGENE
Qualche cortigiana romana. PISANIO
No, ci gioco la testa. Dirò solo che siete morta e gli manderò un panno insanguinato per provarglielo, come mi ha comandato. A corte non vi troveranno e questo confermerà il tutto. INNOGENE
Però, mio buon amico, che cosa farò nel frattempo, dove starò, come vivrò? E poi che senso ha vivere quando sono morta per mio marito? PISANIO
Se preferite tornare a corte…
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Shakespeare IV.indb 1625
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
INNOGEN
No court, no father, nor no more ado With that harsh, churlish, noble, simple nothing, x That Cloten, whose love suit hath been to me As fearful as a siege. PISANIO If not at court, Then not in Britain must you bide. INNOGEN Where then? Hath Britain all the sun that shines? Day, night, Are they not but in Britain? I’th’ world’s volume Our Britain seems as of it but not in’t, In a great pool a swan’s nest. Prithee, think There’s livers out of Britain. PISANIO I am most glad You think of other place. Th’ambassador, Lucius the Roman, comes to Milford Haven Tomorrow. Now if you could wear a mind Dark as your fortune is, and but disguise That which t’appear itself must not yet be But by self-danger, you should tread a course Pretty and full of view; yea, haply near The residence of Posthumus; so nigh, at least, That though his actions were not visible, yet Report should render him hourly to your ear As truly as he moves. INNOGEN O, for such means, Though peril to my modesty, not death on’t, I would adventure. PISANIO Well then, here’s the point: You must forget to be a woman; change Command into obedience, fear and niceness — The handmaids of all women, or more truly Woman it pretty self — into a waggish courage, Ready in gibes, quick-answered, saucy and As quarrelous as the weasel. Nay, you must
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133. Churlish, noble: noble. 1626
Shakespeare IV.indb 1626
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
INNOGENE
Nessuna corte, nessun padre, e nessun altro screzio con quella brutale, villana, pura e semplice nullità128 di Cloten, il cui corteggiamento è stato un incubo, come un assedio. PISANIO
Non potete restare in Britannia se non a corte. INNOGENE
Dove allora? Soltanto sulla Britannia brilla il sole? Giorno e notte esistono solo in Britannia? Nel gran libro del mondo la nostra Britannia sembra quasi una pagina staccata, come un nido di cigni in uno stagno. Ti prego, ricorda che esistono persone anche fuori dalla Britannia. PISANIO
Sono molto lieto che pensiate a un altro posto. L’ambasciatore romano Lucio arriverà a Milford Haven domani. Ora, se riuscirete a mantenere un animo nero come le vostre attuali fortune e a mascherare ciò che sarebbe pericoloso rivelare, il vostro futuro potrebbe essere agevole e con buone prospettive. Chissà, forse proprio vicino alla residenza di Postumo; tanto vicino che, se anche non vedeste le sue azioni, ne potreste avere un resoconto fedele di ora in ora. INNOGENE
Oh, correrei qualsiasi rischio per arrivare a questo: potrebbe mettere a repentaglio il mio onore ma non cancellarlo. PISANIO
Ebbene, ecco il punto: dovete scordarvi di essere donna. Mutate l’autorità in obbedienza, l’apprensione e l’incontentabilità – ancelle di ogni donna, anzi essenza stessa di ogni donna – in coraggio arrogante. Siate incline allo scherzo, sempre con la risposta pronta, sfrontata e aggressiva come una donnola. Anzi, dovete
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Shakespeare IV.indb 1627
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 4
Forget that rarest treasure of your cheek, Exposing it — but O, the harder heart! — Alack, no remedy — to the greedy touch Of common-kissing Titan, and forget Your laboursome and dainty trims wherein You made great Juno angry. INNOGEN Nay, be brief. I see into thy end, and am almost A man already. PISANIO First, make yourself but like one. Forethinking this, I have already fit — ’Tis in my cloak-bag — doublet, hat, hose, all That answer to them. Would you in their serving, And with what imitation you can borrow From youth of such a season, fore noble Lucius Present yourself, desire his service, tell him Wherein you’re happy — which will make him know If that his head have ear in music — doubtless With joy he will embrace you, for he’s honourable, And, doubling that, most holy. Your means abroad — You have me, rich, and I will never fail Beginning nor supplyment. INNOGEN Thou art all the comfort The gods will diet me with. Prithee away. There’s more to be considered, but we’ll even All that good time will give us. This attempt I am soldier to, and will abide it with A prince’s courage. Away, I prithee.
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PISANIO
Well, madam, we must take a short farewell Lest, being missed, I be suspected of Your carriage from the court. My noble mistress, Here is a box. I had it from the Queen. What’s in’t is precious. If you are sick at sea Or stomach-qualmed at land, a dram of this Will drive away distemper. To some shade,
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Shakespeare IV.indb 1628
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 4
scordare il prezioso tesoro delle vostre guance, esponendole – oh, durezza di cuore! – ma, ahimè, non v’è rimedio – al lascivo tocco di un Titano che bacia tutti129, e dimenticare i vostri elaborati ed eleganti ornamenti che facevano invidia a Giunone stessa130. INNOGENE
Avanti, sii breve. Immagino già la conclusione e mi sento già quasi un uomo. PISANIO
Per prima cosa assumetene l’aspetto. In previsione di questo, ho già preparato – è tutto nella mia sacca da viaggio – farsetto, cappello, calzoni, tutto ciò che serve allo scopo. Con il loro aiuto, e imitando come meglio potete i modi un giovane della vostra età, presentatevi al nobile Lucio; chiedete di mettervi al suo servizio; descrivete le vostre abilità – cosa che lo convincerà, se ha orecchio per la musica delle vostre parole; senza dubbio vi accoglierà con gioia, perché è onesto e anche integerrimo. Quanto ai mezzi per la vostra sussistenza all’estero avete me, che ne sono ricco, e non ve li farò mancare né ora né in seguito. INNOGENE
Tu sei tutto il conforto che gli dei mi concedono. Va’, ti prego, ci sono altre cose da risolvere ma prenderemo tutto quello che la buona sorte ci offrirà. In questa impresa sarò un soldato e la affronterò con il coraggio di un principe. Va’, ti prego. PISANIO
Ebbene, signora, dobbiamo salutarci in fretta altrimenti la mia assenza potrebbe essere notata e sarei sospettato di avervi fatto allontanare dalla corte. Mia nobile signora, ecco un cofanetto. L’ho avuto dalla regina. Ciò che contiene è prezioso: se aveste mal di mare o nausea durante il viaggio, basterà una goccia per allonta-
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Shakespeare IV.indb 1629
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
And fit you to your manhood. May the gods Direct you to the best. INNOGEN Amen. I thank thee. Exeunt severally 3.5
[Flourish.] Enter Cymbeline, the Queen, Cloten, Lucius, and lords
CYMBELINE (to Lucius)
Thus far, and so farewell. Thanks, royal sir. My emperor hath wrote I must from hence; And am right sorry that I must report ye My master’s enemy. CYMBELINE Our subjects, sir, Will not endure his yoke, and for ourself To show less sovereignty than they must needs Appear unkinglike. LUCIUS So, sir, I desire of you A conduct over land to Milford Haven. (To the Queen) Madam, all joy befall your grace, [to Cloten] and you. LUCIUS
5
CYMBELINE
My lords, you are appointed for that office. The due of honour in no point omit. So farewell, noble Lucius. LUCIUS Your hand, my lord.
10
CLOTEN
Receive it friendly, but from this time forth I wear it as your enemy. LUCIUS Sir, the event Is yet to name the winner. Fare you well.
15
CYMBELINE
Leave not the worthy Lucius, good my lords, Till he have crossed the Severn. Happiness. Exeunt Lucius and lords
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Shakespeare IV.indb 1630
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
nare il disturbo. Andate in un luogo appartato e assumete il vostro aspetto virile. Che gli dei vi guidino al meglio. INNOGENE
Amen. Ti ringrazio. Escono da porte diverse III, 5
[Trombe.] Entrano Cimbelino, la regina, Cloten, Caio Lucio e i nobili131
CIMBELINO (a Lucio)
Qui vi lascio e vi dico addio. LUCIO
Grazie, vostra maestà. L’imperatore mi ha scritto di partire e sono davvero dispiaciuto di dover affermare che siete nemico del mio signore. CIMBELINO
I nostri sudditi, signore, non tollereranno questo giogo; quanto a noi, mostrare meno dignità di loro non sarebbe da sovrano. LUCIO
Allora, signore, vi chiedo una scorta via terra fino a Milford Haven. (Alla regina) Signora, auguro ogni gioia a vostra grazia [a Cloten] e a voi. CIMBELINO
Nobili signori, a voi è affidato questo incarico. Non fategli mancare alcuno degli onori a lui dovuti. Allora addio, nobile Lucio. LUCIO
Datemi la mano, signore. CLOTEN
Stringetela in amicizia, ma d’ora in poi la userò come vostro nemico. LUCIO
Signore, gli eventi devono ancora decretare il vincitore. State bene. CIMBELINO
Scortate il degno Lucio, miei nobili signori, finché non avrà attraversato il Severn132. Buona fortuna. Escono Lucio e i nobili
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Shakespeare IV.indb 1631
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
QUEEN
He goes hence frowning, but it honours us That we have given him cause. CLOTEN ’Tis all the better. Your valiant Britons have their wishes in it.
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CYMBELINE
Lucius hath wrote already to the Emperor How it goes here. It fits us therefore ripely Our chariots and our horsemen be in readiness. The powers that he already hath in Gallia Will soon be drawn to head, from whence he moves His war for Britain. QUEEN ’Tis not sleepy business, But must be looked to speedily and strongly.
26
CYMBELINE
Our expectation that it would be thus Hath made us forward. But, my gentle queen, Where is our daughter? She hath not appeared Before the Roman, nor to us hath tendered The duty of the day. She looks us like A thing more made of malice than of duty. We have noted it. Call her before us, for We have been too slight in sufferance.
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Exit one or more Royal sir, Since the exile of Posthumus most retired Hath her life been, the cure whereof, my lord, ’Tis time must do. Beseech your majesty Forbear sharp speeches to her. She’s a lady So tender of rebukes that words are strokes, And strokes death to her.
QUEEN
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Enter a Messenger Where is she, sir? How Can her contempt be answered?
CYMBELINE
1632
Shakespeare IV.indb 1632
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
REGINA
Se ne va accigliato ma ci fa onore avergliene dato motivo. CLOTEN
Tanto meglio. I vostri valorosi britanni non aspettavano altro. CIMBELINO
Lucio ha già informato l’imperatore sulla situazione qui. Sarà bene quindi approntare tempestivamente carri e cavalieri. Le forze già stanziate in Gallia saranno ben presto mobilitate e inviate in Britannia per la guerra. REGINA
Non è il caso di dormirci sopra: la faccenda deve essere affrontata con rapidità e decisione. CIMBELINO
La nostra previsione che sarebbe finita così ci ha resi pronti. Ma, mia dolce regina, dov’è nostra figlia? Non è comparsa davanti al romano, né ci ha onorato con il suo quotidiano saluto. Sembra piena di livore più che di rispetto. Lo abbiamo notato. Chiamatela qui, siamo stati fin troppo tolleranti con lei. Escono una o più persone REGINA
Regale sovrano, dopo l’esilio di Postumo la sua vita è stata fin troppo ritirata e solo dal tempo, mio signore, può venire la cura. Imploro la vostra maestà, evitate i toni duri con lei. È una signora così sensibile ai rimproveri che le parole sono pugnalate, e pugnalate mortali per lei. Entra un messaggero CIMBELINO
Allora dov’è? Come giustifica questo oltraggio?
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Shakespeare IV.indb 1633
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
Please you, sir, Her chambers are all locked, and there’s no answer That will be given to th’ loud’st of noise we make.
MESSENGER
QUEEN
My lord, when last I went to visit her She prayed me to excuse her keeping close, Whereto constrained by her infirmity, She should that duty leave unpaid to you Which daily she was bound to proffer. This She wished me to make known, but our great court Made me to blame in memory. CYMBELINE Her doors locked? Not seen of late? Grant heavens that which I Fear prove false. QUEEN Son, I say, follow the King.
45
50
Exit
CLOTEN
That man of hers, Pisanio, her old servant, I have not seen these two days. QUEEN Go, look after.
55 Exit Cloten
Pisanio, thou that stand’st so for Posthumus! He hath a drug of mine. I pray his absence Proceed by swallowing that, for he believes It is a thing most precious. But for her, Where is she gone? Haply despair hath seized her, Or, winged with fervour of her love, she’s flown To her desired Posthumus. Gone she is To death or to dishonour, and my end Can make good use of either. She being down, I have the placing of the British crown.
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65
Enter Cloten How now, my son? ’Tis certain she is fled. Go in and cheer the King. He rages, none Dare come about him.
CLOTEN
1634
Shakespeare IV.indb 1634
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
MESSAGGERO
Col vostro permesso, sire, le stanze sono tutte serrate e non risponde nessuno, anche se abbiamo bussato rumorosamente. REGINA
Mio signore, l’ultima volta che le ho fatto visita mi ha pregato di scusarla perché voleva restare in camera sua a causa di un malessere e doveva trascurare quell’omaggio nei vostri confronti che quotidianamente era tenuta a offrirvi. Questo desiderava che io riferissi, ma i recenti eventi a corte hanno causato questa mia riprovevole dimenticanza. CIMBELINO
Le porte serrate? Nessuno l’ha vista di recente? O cieli, fate che ciò che temo non sia vero. Esce REGINA
Ehi figlio, dico, segui il re. CLOTEN
Quel suo uomo, Pisanio, il suo vecchio servitore, non lo vedo da un paio di giorni. REGINA
Forza, va’. Esce Cloten Ah, Pisanio, tu che sostieni così tanto Postumo! Ha una mia pozione. Spero che la sua assenza derivi dall’averla bevuta, poiché crede che sia benefica. Ma lei, dov’è andata? Forse è stata presa dalla disperazione, oppure, sulle ali della passione per il suo amato, è volata dal suo agognato Postumo. Se n’è andata verso la morte o il disonore e in entrambi i casi le mie mire ne traggono vantaggio. Con lei caduta così in basso, posso disporre della corona della Britannia. Rientra Cloten Ebbene, figlio mio? CLOTEN
Di certo è fuggita. Entrate a placare il re. È furioso, nessuno osa avvicinarlo.
1635
Shakespeare IV.indb 1635
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
All the better. May This night forestall him of the coming day.
QUEEN
Exit
CLOTEN
I love and hate her. For she’s fair and royal, And that she hath all courtly parts more exquisite Than lady, ladies, woman — from every one The best she hath, and she, of all compounded, Outsells them all — I love her therefore; but Disdaining me, and throwing favours on The low Posthumus, slanders so her judgement That what’s else rare is choked; and in that point I will conclude to hate her, nay, indeed, To be revenged upon her. For when fools Shall —
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75
Enter Pisanio Who is here? What, are you packing, sirrah? Come hither. Ah, you precious pander! Villain, Where is thy lady? In a word, or else Thou art straightway with the fiends. PISANIO O good my lord!
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CLOTEN
Where is thy lady? — or, by Jupiter, I will not ask again. Close villain, I’ll have this secret from thy tongue or rip y Thy heart to find it. Is she with Posthumus, From whose so many weights of baseness cannot A dram of worth be drawn? PISANIO Alas, my lord, How can she be with him? When was she missed? He is in Rome. CLOTEN Where is she, sir? Come nearer. No farther halting. Satisfy me home What is become of her. PISANIO O my all-worthy lord!
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86. Tongue: heart = “cuore”. 1636
Shakespeare IV.indb 1636
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
REGINA
Ancora meglio. Che questa notte possa portargli via il domani. Esce CLOTEN
L’amo e la odio. È bella e maestosa e ha tutte le doti cortesi più nobili di una dama, di ogni dama, di qualsiasi donna – da ognuna di esse ha preso il meglio e, riassumendo il meglio di tutte, le supera tutte133 – e per questo l’amo. Ma il fatto che rifiuti me e conceda i suoi favori a quell’ignobile Postumo scredita il suo giudizio a tal punto che tutto ciò che ha di eccellente viene soffocato; per questo finirò per odiarla e vendicarmi su di lei. Perché quando gli sciocchi… Entra Pisanio Chi c’è? Cosa stai facendo, mascalzone?134 Vieni qua. Ah, il mio caro ruffiano! Furfante, dov’è la tua signora? Non farla lunga, o ti spedisco a far compagnia ai demoni. PISANIO
Mio signore, vi prego! CLOTEN
Dov’è la tua signora? – o per Giove, non te lo chiederò un’altra volta. Furfante omertoso, strapperò questo segreto dalla tua lingua o ti aprirò il cuore per scovarlo. È con Postumo, quell’ammasso di indegnità da cui non si potrebbe cavare neppure un grammo di valore? PISANIO
Ahimè, mio signore, come può essere con lui? Quando è sparita? Lui è a Roma. CLOTEN
E lei dove si trova? Avanti, basta reticenze. Racconta in dettaglio che cosa le è successo. PISANIO
Mio nobilissimo signore!
1637
Shakespeare IV.indb 1637
30/11/2018 09:33:42
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
CLOTEN All-worthy villain,
Discover where thy mistress is at once, At the next word. No more of ‘worthy lord’. Speak, or thy silence on the instant is Thy condemnation and thy death. PISANIO Then, sir, This paper is the history of my knowledge Touching her flight.
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He gives Cloten a letter Let’s see’t. I will pursue her Even to Augustus’ throne. PISANIO [aside] Or this or perish. She’s far enough, and what he learns by this May prove his travel, not her danger. CLOTEN Hum! PISANIO (aside) I’ll write to my lord she’s dead. O Innogen, Safe mayst thou wander, safe return again! CLOTEN
105
CLOTEN
Sirrah, is this letter true? Sir, as I think. CLOTEN It is Posthumus’ hand; I know’t. Sirrah, if thou wouldst not be a villain but do me true service, undergo those employments wherein I should have cause to use thee with a serious industry — that is, what villainy soe’er I bid thee do, to perform it directly and truly — I would think thee an honest man. Thou shouldst neither want my means for thy relief nor my voice for thy preferment. PISANIO Well, my good lord. CLOTEN Wilt thou serve me? For since patiently and constantly thou hast stuck to the bare fortune of that beggar Posthumus, thou canst not in the course of gratitude but be a diligent follower of mine. Wilt thou serve me? PISANIO
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Shakespeare IV.indb 1638
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
CLOTEN
Mia nobilissima canaglia, dimmi subito dov’è la tua padrona, alla prossima parola; e piantala con il “nobile signore”. Parla, o il tuo silenzio sarà la tua condanna e la tua morte. PISANIO
Ebbene, signore, questo foglio contiene tutto quel che so della sua fuga. Dà a Cloten una lettera CLOTEN
Vediamo. La inseguirò, fosse anche fino al trono di Augusto. PISANIO [a parte] O facevo così o morivo. È abbastanza lontana e quello che c’è scritto comporterà un viaggio per lui, non un pericolo per lei. CLOTEN
Hmm! PISANIO (a parte)
Scriverò al mio signore che è morta. O Innogene, sicura tu possa andare, e sicura ritornare! CLOTEN
Di’ un po’, carogna, questa lettera dice il vero? PISANIO
Signore, penso di sì. CLOTEN
È la grafia di Postumo, la riconosco. Furfante, se tu non fossi una canaglia e ti mettessi al mio servizio, svolgendo con cura quei compiti in cui avrei motivo di usarti – cioè ogni sorta di ribalderia che ti ordinassi, e tu fossi risoluto e diligente – ti riterrei un uomo onesto. Non ti mancherebbero le mie ricchezze per le tue necessità né il mio appoggio per far carriera. PISANIO
Bene, mio buon signore. CLOTEN
Dunque sarai al mio servizio? Se con tanta pazienza e costanza sei rimasto attaccato alle misere fortune di quel pezzente di Postumo, per gratitudine non potrai che essere un mio fedele seguace. Allora sarai al mio servizio? 1639
Shakespeare IV.indb 1639
30/11/2018 09:33:42
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 5
PISANIO Sir, I will. CLOTEN Give me thy hand. Here’s my purse. Hast any of
thy late master’s garments in thy possession? PISANIO I have, my lord, at my lodging the same suit he wore when he took leave of my lady and mistress. CLOTEN The first service thou dost me, fetch that suit hither. Let it be thy first service. Go. PISANIO I shall, my lord. Exit CLOTEN Meet thee at Milford Haven! I forgot to ask him one thing; I’ll remember’t anon. Even there, thou villain Posthumus, will I kill thee. I would these garments were come. She said upon a time — the bitterness of it I now belch from my heart — that she held the very garment of Posthumus in more respect than my noble and natural person, together with the adornment of my qualities. With that suit upon my back will I ravish her — first kill him, and in her eyes; there shall she see my valour, which will then be a torment to her contempt. He on the ground, my speech of insultment ended on his dead body, and when my lust hath dined — which, as I say, to vex her I will execute in the clothes that she so praised — to the court I’ll knock her back, foot her home again. She hath despised me rejoicingly, and I’ll be merry in my revenge.
128
Enter Pisanio with Posthumus’ suit Be those the garments? PISANIO Ay, my noble lord.
146
CLOTEN
How long is’t since she went to Milford Haven?
1640
Shakespeare IV.indb 1640
30/11/2018 09:33:42
CIMBELINO, ATTO III SCENA 5
PISANIO
Sì, signore. CLOTEN
Qua la mano. Ecco la mia borsa. Hai ancora qualche abito del tuo vecchio padrone? PISANIO
Signore, nel mio alloggio ho proprio l’abito che indossava quando ha salutato la mia signora e padrona. CLOTEN
Il primo servizio che mi farai sarà di portarmi quell’abito. Questo è il tuo primo servizio. Va’. PISANIO
Obbedisco, mio signore. Esce CLOTEN
Ci incontreremo a Milford Haven! Ho dimenticato di chiedergli una cosa; mi tornerà in mente presto. Proprio là, canaglia di un Postumo, ti ucciderò. Vorrei che quegli abiti fossero già qui. Lei ha detto una volta – e con un astio che ancora mi fa ribollire il sangue – che aveva più riguardo per un semplice indumento di Postumo che per la mia persona, nobile di natura e arricchita dai miei grandi talenti. Con quell’abito indosso la stuprerò – ma prima lo ucciderò sotto i suoi occhi, così dovrà riconoscere il mio valore che poi diventerà un tormento per il suo disprezzo. Con lui a terra, quando avrò finito trionfante di insultare il suo corpo esanime e soddisfatto la mia libidine – che, come ho già detto, sazierò vestito con quegli abiti che lei così tanto lodava, per umiliarla di più – la riporterò a corte a forza di botte, a calci a casa sua. Mi ha disprezzato divertita e io sarò lieto nel vendicarmi. Entra Pisanio con l’abito di Postumo. Sono quelli i panni? PISANIO
Sì, mio nobile signore. CLOTEN
Da quanto tempo è partita per Milford Haven?
1641
Shakespeare IV.indb 1641
30/11/2018 09:33:42
CYMBELINE, ACT 3 SCENE 6
PISANIO She can scarce be there yet. CLOTEN Bring this apparel to my chamber. That is the
second thing that I have commanded thee. The third is that thou wilt be a voluntary mute to my design. Be but duteous, and true preferment shall tender itself to thee. My revenge is now at Milford. Would I had wings to follow it. Come, and be true. Exit PISANIO
Thou bidd’st me to my loss, for true to thee Were to prove false, which I will never be To him that is most true. To Milford go, And find not her whom thou pursuest. Flow, flow, You heavenly blessings, on her. This fool’s speed Be crossed with slowness; labour be his meed. 3.6
155
Exit
Enter Innogen, dressed as a man, before the cave
INNOGEN
I see a man’s life is a tedious one. I have tired myself, and for two nights together Have made the ground my bed. I should be sick, But that my resolution helps me. Milford, When from the mountain-top Pisanio showed thee, Thou wast within a ken. O Jove, I think Foundations fly the wretched — such, I mean, Where they should be relieved. Two beggars told me I could not miss my way. Will poor folks lie, That have afflictions on them, knowing ’tis A punishment or trial? Yes. No wonder, When rich ones scarce tell true. To lapse in fullness Is sorer than to lie for need, and falsehood Is worse in kings than beggars. My dear lord, Thou art one o’th’ false ones. Now I think on thee My hunger’s gone, but even before I was At point to sink for food. But what is this? Here is a path to’t. ’Tis some savage hold. I were best not call; I dare not call; yet famine,
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10
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1642
Shakespeare IV.indb 1642
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 6
PISANIO
Difficilmente ci sarà arrivata. CLOTEN
Porta questi indumenti in camera mia. Questa è la seconda cosa che ti comando. La terza è che tu sia disposto a non rivelare i miei piani135. Sii fedele e ti si presenterà una reale opportunità di promozione. La mia vendetta ora è a Milford. Se solo avessi le ali per seguirla. Andiamo, e restami fedele. Esce PISANIO
Mi comandi di perdere l’onore, perché essere leali con te significa essere falsi, e io non lo sarò mai verso colui che è più che leale. Va’ a Milford a non trovare colei che insegui. E voi, benedizioni celesti, inondatela, inondatela. La fretta di questo stolto sia ostacolata dalla lentezza e la fatica sia il suo unico premio136. Esce III, 6
Entra Innogene, vestita da uomo, davanti alla caverna137
INNOGENE
La vita dell’uomo è proprio stancante. Sono stremata e per due notti di fila il mio letto è stata la terra. Mi sarei già ammalata se non mi sostenesse la tenacia. Milford, quando Pisanio ti ha indicato dalla cima del monte sembravi così vicina. O Giove, pare proprio che quelle mura138 fuggano i miseri – dove, intendo, essi dovrebbero trovare asilo. Due mendicanti mi hanno detto che non potevo sbagliare strada. Possono forse mentire due poveri oppressi dalle afflizioni, sapendo che esse sono per loro una punizione o una prova? In realtà sì. Non c’è da stupirsi, visto che anche i ricchi dicono la verità di rado. Ingannare quando si è nell’abbondanza è peggio che mentire per necessità e la falsità è peggiore nei re che nei mendicanti. Mio caro sposo, tu sei uno dei falsi. Ora che penso a te mi passa anche l’appetito, eppure poco fa stavo per svenire dalla fame. E quello cos’è? C’è un sentiero che porta fin là. È un rifugio di bestie selvatiche. Sarà meglio non chiamare. Non oso chiamare; tuttavia, la fame
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Shakespeare IV.indb 1643
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 6
Ere clean it o’erthrow nature, makes it valiant. Plenty and peace breeds cowards, hardness ever Of hardiness is mother. Ho! Who’s here? If anything that’s civil, speak; if savage, Take or lend. Ho! No answer? Then I’ll enter. Best draw my sword, and if mine enemy But fear the sword like me he’ll scarcely look on’t. Such a foe, good heavens! Exit into the cave
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25
Enter Belarius, Guiderius, and Arviragus BELARIUS
You, Polydore, have proved best woodman and Are master of the feast. Cadwal and I Will play the cook and servant; ’tis our match. The sweat of industry would dry and die But for the end it works to. Come, our stomachs Will make what’s homely savoury. Weariness Can snore upon the flint when resty sloth Finds the down pillow hard. Now peace be here, Poor house, that keep’st thyself. GUIDERIUS I am throughly weary.
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35
ARVIRAGUS
I am weak with toil yet strong in appetite. GUIDERIUS
There is cold meat i’th’ cave. We’ll browse on that Whilst what we have killed be cooked. BELARIUS (looking into the cave) Stay, come not in. But that it eats our victuals I should think Here were a fairy. GUIDERIUS What’s the matter, sir?
40
BELARIUS
By Jupiter, an angel — or, if not, An earthly paragon. Behold divineness No elder than a boy. Enter Innogen from the cave, dressed as a man
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Shakespeare IV.indb 1644
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 6
prima di annientare un uomo, lo rende ardito. L’abbondanza e la pace creano dei codardi, l’arduità è sempre madre dell’ardimento. Ehi, c’è nessuno? Se c’è un essere civile parli; se c’è un selvaggio prenda o dia139. Ehi! Nessuna risposta? Allora entrerò. Sarà bene sguainare la spada e, se il mio nemico teme la spada quanto me, non oserà nemmeno guardarla. Fate che ci sia un nemico così, o cieli! Esce entrando nella caverna Entrano Belario, Guiderio e Arvirago BELARIO
Tu, Polidoro, ti sei dimostrato il più bravo nella caccia e sarai quindi il signore della festa. Io e Cadwal saremo il cuoco e il servitore, questi erano i patti. Il sudore della fatica sarebbe sprecato se non ci fosse uno scopo a giustificarlo. Venite, l’appetito renderà prelibato ciò che è semplice. La stanchezza fa dormire sodo anche su una pietra mentre l’accidia insofferente trova duro anche un cuscino di piume. Ora regni la pace, povera casa che ti custodisci da sola. GUIDERIO
Sono esausto. ARVIRAGO
Sono stanco per la fatica ma ho un appetito formidabile. GUIDERIO
C’è della carne fredda nella caverna. Roderemo140 quella mentre si cuoce quella che abbiamo cacciato. BELARIO (guardando nella caverna) Fermi, non entrate. Se non stesse mangiando le nostre provviste direi che è una visione. GUIDERIO
Che succede, signore? BELARIO
Per Giove, un angelo – oppure un suo equivalente terreno. Guardate una divinità non più vecchia di un ragazzo. Entra Innogene uscendo dalla caverna, vestita da uomo
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Shakespeare IV.indb 1645
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 6
Good masters, harm me not. Before I entered here I called, and thought To have begged or bought what I have took. Good truth, I have stol’n naught, nor would not, though I had found Gold strewed i’th’ floor. Here’s money for my meat. I would have left it on the board so soon As I had made my meal, and parted With prayers for the provider. GUIDERIUS Money, youth? INNOGEN
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50
ARVIRAGUS
All gold and silver rather turn to dirt, As ’tis no better reckoned but of those Who worship dirty gods. INNOGEN I see you’re angry. Know, if you kill me for my fault, I should Have died had I not made it. BELARIUS Whither bound?
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INNOGEN
To Milford Haven. What’s your name?
BELARIUS
INNOGEN
Fidele, sir. I have a kinsman who Is bound for Italy. He embarked at Milford, To whom being going, almost spent with hunger, I am fall’n in this offence. BELARIUS Prithee, fair youth, Think us no churls, nor measure our good minds By this rude place we live in. Well encountered. ’Tis almost night. You shall have better cheer Ere you depart, and thanks to stay and eat it. Boys, bid him welcome.
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Shakespeare IV.indb 1646
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 6
INNOGENE
Miei buoni padroni, non fatemi del male. Prima di entrare ho chiamato e pensavo di mendicare o comprare quello che ho preso. In verità, non ho rubato nulla e non lo farei neppure se avessi trovato dell’oro sparso a terra. Ecco delle monete per ciò che ho preso. Le avrei lasciate sul tavolo appena fi nito di mangiare e sarei ripartito ringraziando con una preghiera chi aveva provveduto per me. GUIDERIO
Monete, ragazzo? ARVIRAGO
Tutto l’oro e l’argento del mondo diventino sterco, visto che è amato solo da chi adora divinità immonde. INNOGENE
Vedo che siete adirato. Sappiate che, se mi uccidete per la mia colpa, sarei morto se non l’avessi commessa. BELARIO
Dove siete diretto? INNOGENE
A Milford Haven. BELARIO
Come vi chiamate? INNOGENE
Fidele141, signore. Un mio parente è diretto in Italia. Si è imbarcato a Milford e, per raggiungerlo, quasi sfinito per la fame, ho commesso questa colpa. BELARIO
Vi prego, bel giovane, non scambiateci per degli zotici e non giudicate il nostro buon animo dal luogo selvaggio in cui viviamo. Ben trovato. È quasi notte. Avrete vivande migliori prima di partire e il nostro permesso di restare e mangiarle. Ragazzi, dategli il benvenuto.
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Shakespeare IV.indb 1647
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 6
Were you a woman, youth, I should woo hard but be your groom in honesty, Ay, bid for you as I’d buy. z ARVIRAGUS I’ll make’t my comfort He is a man, I’ll love him as my brother. (To Innogen) And such a welcome as I’d give to him After long absence, such is yours. Most welcome. Be sprightly, for you fall ’mongst friends. INNOGEN ’Mongst friends If brothers. (Aside) Would it had been so that they Had been my father’s sons. Then had my price Been less, and so more equal ballasting To thee, Posthumus. GUIDERIUS
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75
The three men speak apart BELARIUS
He wrings at some distress.
GUIDERIUS
Would I could free’t. Or I, whate’er it be, What pain it cost, what danger. Gods! BELARIUS Hark, boys. ARVIRAGUS
They whisper INNOGEN (aside) Great men
That had a court no bigger than this cave, That did attend themselves and had the virtue Which their own conscience sealed them, laying by That nothing-gift of differing multitudes, Could not outpeer these twain. Pardon me, gods, I’d change my sex to be companion with them, Since Leonatus’ false. BELARIUS It shall be so. Boys, we’ll go dress our hunt. Fair youth, come in. Discourse is heavy, fasting. When we have supped
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85
68. Ay, bid for you as I’d buy: I bid for you, as I do buy = “vi faccio una proposta onesta come quelle che faccio in tutti i miei acquisti”. 1648
Shakespeare IV.indb 1648
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CIMBELINO, ATTO III SCENA 6
GUIDERIO
Se foste una donna, mio caro, vi farei una corte spietata per diventare il vostro onesto sposo, sarei pronto a fare un’offerta altissima come se dovessi comprarvi142. ARVIRAGO
Mi consolerò pensando che è un uomo; lo amerò come un fratello e (a Innogene) il benvenuto che gli darei dopo una lunga assenza lo do a voi. Benvenuto di cuore. State allegro, siete tra amici. INNOGENE
Amici, come fratelli. (A parte) Fosse vero che sono proprio figli di mio padre. Allora il mio valore sarebbe inferiore e la mia importanza più simile alla tua, Postumo. I tre uomini parlano in disparte BELARIO
È in pena per qualche ragione. GUIDERIO
Se solo potessi aiutarlo. ARVIRAGO
Anch’io, qualsasi cosa sia e a qualunque costo. O dei! BELARIO
Ascoltate ragazzi. Parlano sottovoce INNOGENE (a parte)
Grandi uomini con una corte non più grande di questa caverna, senza servitori, guidati dalla virtù confermata dalla loro coscienza, disinteressati all’inutile omaggio delle moltitudini incostanti, non potrebbero superare questi due. Perdonatemi, o dei, ma cambierei il mio sesso per essere loro compagno, dopo il tradimento di Leonato. BELARIO
Va bene. Ragazzi, andiamo a preparare la selvaggina. Bel giovane, entra. Parlare diventa faticoso se si resta a digiuno. Quando
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Shakespeare IV.indb 1649
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CYMBELINE, ACT 3 SCENE 7
We’ll mannerly demand thee of thy story, So far as thou wilt speak it. GUIDERIUS Pray draw near.
90
ARVIRAGUS
The night to th’ owl and morn to th’ lark less welcome. INNOGEN Thanks, sir. ARVIRAGUS I pray draw near. Exeunt into the cave 3.7
Enter two Roman Senators, and Tribunes
FIRST SENATOR
This is the tenor of the Emperor’s writ: That since the common men are now in action ’Gainst the Pannonians and Dalmatians, And that the legions now in Gallia are Full weak to undertake our wars against The fall’n-off Britons, that we do incite The gentry to this business. He creates Lucius pro-consul, and to you the tribunes, For this immediate levy, he commends His absolute commission. Long live Caesar!
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10
A TRIBUNE
Is Lucius general of the forces? SECOND SENATOR Ay. A TRIBUNE
Remaining now in Gallia? With those legions Which I have spoke of, whereunto your levy Must be supplyant. The words of your commission Will tie you to the numbers and the time Of their dispatch. A TRIBUNE We will discharge our duty. FIRST SENATOR
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Exeunt
1650
Shakespeare IV.indb 1650
30/11/2018 09:33:42
CIMBELINO, ATTO III SCENA 7
avremo mangiato ti chiederemo con discrezione di narrarci la tua storia, fino a dove vorrai. GUIDERIO
Vieni, ti prego. ARVIRAGO
La notte per il gufo e il mattino per l’allodola sono meno gradite. INNOGENE
Grazie, signore. ARVIRAGO
Vieni, ti prego. Escono entrando nella caverna III, 7
Entrano due senatori romani e dei tribuni143
PRIMO SENATORE
Questa è la sostanza del decreto imperiale: poiché le milizie ordinarie sono impegnate contro i pannoni e i dalmati144 e le legioni attualmente di stanza in Gallia sono troppo deboli per sostenere la guerra contro i britanni ribelli, dobbiamo reclutare i patrizi. Egli nomina Lucio proconsole e a voi tribuni conferisce pieni poteri per questa urgente chiamata alle armi. Lunga vita a Cesare! TRIBUNO
Lucio avrà il comando? SECONDO SENATORE
Sì. TRIBUNO
E ora si trova in Gallia? PRIMO SENATORE
Con quelle legioni che ho menzionato, cui le vostre forze devono dare manforte. Nell’ordine troverete specificati i contingenti e i tempi della missione. TRIBUNO
Faremo il nostro dovere. Escono
1651
Shakespeare IV.indb 1651
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
4.1
Enter Cloten, in Posthumus’ suit
CLOTEN I am near to th’ place where they should meet,
if Pisanio have mapped it truly. How fit his garments serve me! Why should his mistress, who was made by him that made the tailor, not be fit too? — the rather — saving reverence of the word — for ’tis said a woman’s fitness comes by fits. Therein I must play the workman. I dare speak it to myself, for it is not vainglory for a man and his glass to confer in his own chamber. I mean the lines of my body are as well drawn as his: no less young, more strong, not beneath him in fortunes, beyond him in the advantage of the time, above him in birth, alike conversant in general services, and more remarkable in single oppositions. Yet this imperceiverant thing loves him in my despite. What mortality is! Posthumus, thy head which now is growing upon thy shoulders shall within this hour be off, thy mistress enforced, thy garments cut to pieces before thy face; and all this done, spurn her home to her father, who may haply be a little angry for my so rough usage; but my mother, having power of his testiness, shall turn all into my commendations. My horse is tied up safe. Out, sword, and to a sore purpose! Fortune, put them into my hand. This is the very description of their meeting-place, and the fellow dares not deceive me. Exit 4.2
Enter Belarius, Guiderius, Arviragus, and Innogen dressed as a man, from the cave
BELARIUS (to Innogen)
You are not well. Remain here in the cave. We’ll come to you from hunting. aa ARVIRAGUS (to Innogen) Brother, stay here. Are we not brothers? 2. From: after = “dopo”. 1652
Shakespeare IV.indb 1652
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
IV, 1
Entra Cloten indossando gli abiti di Postumo145
CLOTEN
Sono vicino al luogo dove dovrebbero incontrarsi, se le indicazioni di Pisanio sono esatte. Come sto bene nei suoi panni! E perché mai la sua donna, che è stata fatta da colui che ha fatto anche il sarto, non dovrebbe andarmi altrettanto bene? A maggior ragione perché come si dice – se posso permettermi l’espressione – alle donne la voglia di venire va e viene. Bisogna che ci dia dentro146. Posso ammetterlo parlando con me stesso, perché non è vanagloria se uno parla al proprio specchio in camera sua. Dopotutto, le mie fattezze sono gradevoli quanto le sue; sono giovane come lui; più forte; non inferiore a lui per sorte ma più favorito dalle circostanze; superiore per nascita; altrettanto esperto con le armi e più abile nei duelli. Eppure questa cosa impercipiente147 ama lui per farmi dispetto. Ah, com’è la vita mortale! Postumo, entro un’ora la testa che ora è attaccata alle tue spalle sarà mozzata, la tua signora violata, i tuoi abiti stracciati davanti alla faccia tua; fatto questo, la riporterò a calci a casa da suo padre, che magari si arrabbierà un po’ per la mia durezza, ma mia madre, che sa come domare la sua collera, saprà trasformare il tutto a mio merito. Il mio cavallo è legato bene. Fuori la spada, ora, e per far male! Fortuna, mettili nelle mie mani. Questo è proprio il luogo che mi ha descritto per il loro incontro e quel furfante non osa certo ingannarmi. Esce IV, 2
Entrano uscendo dalla caverna Belario, Guiderio, Arvirago e Innogene vestita da uomo148
BELARIO (a Innogene)
Non vi sentite bene. Restate qui nella caverna. Torneremo da voi dopo la caccia. ARVIRAGO (a Innogene) Fratello, resta qui. Siamo fratelli, no?
1653
Shakespeare IV.indb 1653
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CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
So man and man should be, But clay and clay differs in dignity, Whose dust is both alike. I am very sick. GUIDERIUS (to Belarius and Arviragus) Go you to hunting. I’ll abide with him. INNOGEN
5
INNOGEN
So sick I am not, yet I am not well; But not so citizen a wanton as To seem to die ere sick. So please you, leave me. Stick to your journal course. The breach of custom Is breach of all. I am ill, but your being by me Cannot amend me. Society is no comfort To one not sociable. I am not very sick, Since I can reason of it. Pray you, trust me here. I’ll rob none but myself; and let me die, Stealing so poorly. GUIDERIUS I love thee: I have spoke it; How much the quantity, the weight as much, As I do love my father. BELARIUS What, how, how?
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15
ARVIRAGUS
If it be sin to say so, sir, I yoke me In my good brother’s fault. I know not why I love this youth, and I have heard you say Love’s reason’s without reason. The bier at door And a demand who is’t shall die, I’d say ‘My father, not this youth’. BELARIUS (aside) O noble strain! O worthiness of nature, breed of greatness! Cowards father cowards, and base things sire base. Nature hath meal and bran, contempt and grace. I’m not their father, yet who this should be Doth miracle itself, loved before me. (Aloud) ’Tis the ninth hour o’th’ morn. ARVIRAGUS (to Innogen) Brother, farewell.
20
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INNOGEN
I wish ye sport. 1654
Shakespeare IV.indb 1654
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
INNOGENE
Così dovrebbero essere due uomini, invece un’argilla è diversa dall’altra per dignità, sebbene quando tornano polvere siano uguali. Sto male. GUIDERIO (a Belario e Arvirago) Andate voi a caccia. Io resterò con lui. INNOGENE
Non sto così male, anche se non mi sento bene, ma non sono certo uno di quei damerini di città che sembrano morti ancor prima di ammalarsi. Vi prego, lasciatemi pure da solo. Dedicatevi alle vostre occupazioni quotidiane. Stravolgere una tradizione significa stravolgere tutto. Sto male ma la vostra vicinanza non mi può guarire. La compagnia non è di conforto a chi non è di compagnia. Non sono poi tanto malato, visto che posso discuterne. Vi prego, lasciatemi pure qui senza alcun timore. Non posso rubare nulla se non me stesso; lasciatemi morire, sarebbe una perdita così piccola. GUIDERIO
Ti voglio bene, l’ho già detto, quanto ne voglio a mio padre, per quantità e qualità. BELARIO
Che cosa? Come, come? ARVIRAGO
Se è un peccato parlare così, mi associo alla colpa di mio fratello. Non so perché questo ragazzo mi è caro e vi ho sentito dire che al cuor non si comanda. Con una bara alla porta, se mi chiedessero chi dovrebbe morire, direi “Mio padre, non questo giovane”. BELARIO (a parte) O, nobile lignaggio! O dignità di natura, stirpe di grandezza! I codardi generano codardi, chi è ignobile mette al mondo un ignobile. La natura produce farina e crusca, disprezzo e grazia. Non sono loro padre ma che uno sconosciuto riesca a farsi amare più di me è davvero incredibile. (Ad alta voce). Sono le nove del mattino. ARVIRAGO (a Innogene) Addio, fratello. INNOGENE
Vi auguro buona caccia. 1655
Shakespeare IV.indb 1655
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
ARVIRAGUS
You health. — So please you, sir.
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INNOGEN (aside)
These are kind creatures. Gods, what lies I have heard! Our courtiers say all’s savage but at court. Experience, O thou disprov’st report! Th’imperious seas breeds monsters; for the dish Poor tributary rivers as sweet fish. I am sick still, heart-sick. Pisanio, I’ll now taste of thy drug.
35
[She swallows the drug.] The men speak apart I could not stir him. He said he was gentle but unfortunate, Dishonestly afflicted but yet honest.
GUIDERIUS
40
ARVIRAGUS
Thus did he answer me, yet said hereafter I might know more. BELARIUS To th’ field, to th’ field! (To Innogen) We’ll leave you for this time. Go in and rest. ARVIRAGUS (to Innogen) We’ll not be long away. BELARIUS (to Innogen) Pray be not sick, For you must be our housewife. INNOGEN Well or ill, I am bound to you. Exit BELARIUS And shalt be ever. This youth, howe’er distressed, appears hath had Good ancestors. ARVIRAGUS How angel-like he sings! GUIDERIUS But his neat cookery!
45
50
1656
Shakespeare IV.indb 1656
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
ARVIRAGO
E io buona guarigione. – Eccomi, signore. INNOGENE (a parte)
Sono proprio creature gentili. O dei, quante menzogne ho udito! Per i nostri cortigiani quelli che non stanno a corte sono tutti selvaggi. Fatti, voi smentite queste parole! Spesso gli imperiosi oceani generano mostri, mentre anche i piccoli tributari149 offrono pesci prelibati per la tavola. Sto ancora male, davvero male. Pisanio, ora proverò la tua pozione. [Beve la pozione]. Gli uomini parlano in disparte GUIDERIO
Non sono riuscito a farlo parlare. Ha detto di essere nobile ma in disgrazia, ingiustamente colpito eppure onesto. ARVIRAGO
Così ha risposto anche a me, però ha detto che in seguito potrò sapere di più. BELARIO
A caccia, a caccia! (A Innogene) Vi lasceremo per questa volta. Tornate dentro e riposate. ARVIRAGO (a Innogene) Non staremo via molto. BELARIO (a Innogene) Vi prego, non ammalatevi, dovete farci da domestica. INNOGENE
Nel bene e nel male sono legato150 a voi. Esce BELARIO
E lo sarai sempre. Questo giovane, per quanto sventurato, dimostra di avere nobili antenati. ARVIRAGO
Canta come un angelo! GUIDERIO
E che cucina prelibata!
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Shakespeare IV.indb 1657
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
[BELARIUS] He cut our roots in characters, And sauced our broths as Juno had been sick And he her dieter. ARVIRAGUS Nobly he yokes A smiling with a sigh, as if the sigh Was that it was for not being such a smile; The smile mocking the sigh that it would fly From so divine a temple to commix With winds that sailors rail at. GUIDERIUS I do note That grief and patience, rooted in him both, Mingle their spurs together. ARVIRAGUS Grow patience, And let the stinking elder, grief, untwine His perishing root with the increasing vine.
55
60
BELARIUS
It is great morning. Come away. Who’s there? Enter Cloten in Posthumus’ suit CLOTEN
I cannot find those runagates. That villain Hath mocked me. I am faint. BELARIUS (aside to Arviragus and Guiderius) ‘Those runagates’? Means he not us? I partly know him; ’tis Cloten, the son o’th’ Queen. I fear some ambush. I saw him not these many years, and yet I know ’tis he. We are held as outlaws. Hence! GUIDERIUS (aside to Arviragus and Belarius) He is but one. You and my brother search What companies are near. Pray you, away. Let me alone with him.
65
70
Exeunt Arviragus and Belarius Soft, what are you That fly me thus? Some villain mountaineers? I have heard of such. What slave art thou?
CLOTEN
1658
Shakespeare IV.indb 1658
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
[BELARIO]151
Ha tagliato le radici a forma di lettera e ha fatto una minestra saporita come se Giunone fosse malata e lui, il suo vivandiere, la dovesse accudire. ARVIRAGO
Con che grazia unisce un sorriso al sospiro, come se il sospiro fosse tale perché non è un sorriso, e il sorriso deridesse il sospiro per il fatto che fugge da quel tempio divino per unirsi ai venti che i marinai insultano. GUIDERIO
Ho notato che dolore e pazienza, così radicati in lui, intrecciano i loro rami. ARVIRAGO
Cresci, pazienza, e che il maleodorante sambuco del dolore sleghi le sue radici maledette dalla vite che cresce. BELARIO
È giorno pieno. Andiamo via. Chi è là? Entra Cloten con gli abiti di Postumo CLOTEN
Non riesco a trovare quei fuggiaschi. Quella canaglia si è preso gioco di me. Sono esausto. BELARIO (a parte ad Arvirago e Guiderio) “Quei fuggiaschi”? Alluderà mica a noi? Faccio fatica a riconoscerlo. È Cloten, il figlio della regina. Non vorrei che fosse una trappola. Temo un’imboscata. Non lo vedo da molti anni ma sono certo che è lui. Siamo considerati dei fuorilegge. Andiamo via di qua! GUIDERIO (a parte ad Arvirago e Belario) È da solo. Andate a vedere se ha dei compagni nei paraggi. Vi prego, andate. Lasciatemi solo con lui. Escono Arvirago e Belario CLOTEN
Ehi, chi siete voi che scappate così? Dei rozzi montanari?152 Ne ho sentito parlare. Chi sei tu, infame?
1659
Shakespeare IV.indb 1659
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
A thing More slavish did I ne’er than answering A slave without a knock. CLOTEN Thou art a robber, A law-breaker, a villain. Yield thee, thief. GUIDERIUS
75
GUIDERIUS
To who? To thee? What art thou? Have not I An arm as big as thine, a heart as big? Thy words, I grant, are bigger, for I wear not My dagger in my mouth. Say what thou art, Why I should yield to thee. CLOTEN Thou villain base, Know’st me not by my clothes? GUIDERIUS No, nor thy tailor, rascal, Who is thy grandfather. He made those clothes, Which, as it seems, make thee. CLOTEN Thou precious varlet, My tailor made them not. GUIDERIUS Hence, then, and thank The man that gave them thee. Thou art some fool. I am loath to beat thee. CLOTEN Thou injurious thief, Hear but my name and tremble. GUIDERIUS What’s thy name? CLOTEN Cloten, thou villain.
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GUIDERIUS
Cloten, thou double villain, be thy name, I cannot tremble at it. Were it toad or adder, spider, ’Twould move me sooner. CLOTEN To thy further fear, Nay, to thy mere confusion, thou shalt know I am son to th’ Queen. GUIDERIUS I am sorry for’t, not seeming So worthy as thy birth.
1660
Shakespeare IV.indb 1660
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
GUIDERIO
Non ho mai fatto nulla di più infamante che rispondere a un infame senza colpirlo. CLOTEN
Sei un tagliaborse, un fuorilegge, una canaglia. Arrenditi, ladro. GUIDERIO
A chi? A te? E tu chi sei? Non ho forse un braccio grande come il tuo, e il cuore altrettanto? Le tue parole, quelle sì, sono più grandiose, perché io il pugnale non ce l’ho nella bocca. Dimmi chi sei e perché dovrei arrendermi a te. CLOTEN
Vile canaglia, non mi riconosci dagli abiti? GUIDERIO
No, e non conosco neppure quel sarto che era tuo nonno, farabutto153. Ha fatto lui i vestiti di cui a quanto pare sei fatto. CLOTEN
Delinquente matricolato, non li ha fatti il mio sarto. GUIDERIO
Allora vattene e ringrazia chi te li ha dati. Sei solo un idiota. Sono restio persino a darti una lezione. CLOTEN
Furfante insolente, senti il mio nome e trema. GUIDERIO
Come ti chiami? CLOTEN
Cloten, canaglia. GUIDERIO
Cloten, doppia canaglia, sarà pure il tuo nome ma non riesce proprio a farmi tremare. Se fosse rospo, vipera o ragno mi allarmerebbe di più. CLOTEN
Per accrescere il tuo timore, anzi per annichilirti del tutto, sappi che sono figlio della regina. GUIDERIO
Mi dispiace, visto che non sembri per nulla degno del tuo lignaggio.
1661
Shakespeare IV.indb 1661
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
CLOTEN
Art not afeard?
96
GUIDERIUS
Those that I reverence, those I fear, the wise. At fools I laugh, not fear them. CLOTEN Die the death. When I have slain thee with my proper hand I’ll follow those that even now fled hence, And on the gates of Lud’s town set your heads. Yield, rustic mountaineer. Fight and exeunt
100
Enter Belarius and Arviragus BELARIUS
No company’s abroad?
ARVIRAGUS
None in the world. You did mistake him, sure. BELARIUS
I cannot tell. Long is it since I saw him, But time hath nothing blurred those lines of favour Which then he wore. The snatches in his voice And burst of speaking were as his. I am absolute ’Twas very Cloten. ARVIRAGUS In this place we left them. I wish my brother make good time with him, You say he is so fell. BELARIUS Being scarce made up, I mean to man, he had not apprehension Of roaring terrors; for defect of judgement Is oft the cause of fear.
106
110
Enter Guiderius with Cloten’s head But see, thy brother. GUIDERIUS
This Cloten was a fool, an empty purse, There was no money in’t. Not Hercules Could have knocked out his brains, for he had none. Yet I not doing this, the fool had borne My head as I do his.
115
1662
Shakespeare IV.indb 1662
30/11/2018 09:33:43
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
CLOTEN
Quindi non hai timore? GUIDERIO
Quelli che stimo, i saggi, di quelli sì ho timore. Degli sciocchi rido, non ho paura. CLOTEN
Allora muori. Quando ti avrò ucciso con queste stesse mani inseguirò gli altri che poco fa sono fuggiti e appenderò le vostre teste alle porte della città di Lud154. Arrenditi, lurido montanaro. Escono combattendo Entrano Belario e Arvirago BELARIO
Nessun altro nei dintorni? ARVIRAGO
Nessuno. Vi siete sbagliato su di lui, di sicuro. BELARIO
Non so, è da molto che non lo vedo, ma il tempo non ha per nulla cancellato i tratti del volto che aveva allora. Il suo modo di parlare, a scatti e concitato, era proprio tipico di lui. Ne sono certo, era proprio Cloten. ARVIRAGO
Li abbiamo lasciati qui. Spero che a mio fratello sia andata bene con lui; dite che è così feroce. BELARIO
Quando ancora non era maturo, come uomo intendo, non aveva la percezione neppure dei pericoli più spaventosi, anche se la mancanza di giudizio è spesso causa di paura155. Entra Guiderio con la testa di Cloten Ma ecco tuo fratello. GUIDERIO
Questo Cloten era un idiota, una borsa vuota senza monete. Neppure Ercole avrebbe potuto fargli schizzare fuori il cervello, perché non l’aveva. Eppure, se non avessi fatto così, ora sarebbe questo idiota a brandire la mia testa.
1663
Shakespeare IV.indb 1663
30/11/2018 09:33:43
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
BELARIUS
What hast thou done?
GUIDERIUS
I am perfect what: cut off one Cloten’s head, Son to the Queen after his own report, Who called me traitor, mountaineer, and swore With his own single hand he’d take us in, Displace our heads where — thanks, ye gods — they grow, And set them on Lud’s town. BELARIUS We are all undone.
120
GUIDERIUS
Why, worthy father, what have we to lose But that he swore to take, our lives? The law Protects not us: then why should we be tender To let an arrogant piece of flesh threat us, Play judge and executioner all himself, For we do fear the law? What company Discover you abroad? BELARIUS No single soul Can we set eye on, but in all safe reason He must have some attendants. Though his humour ab Was nothing but mutation, ay, and that From one bad thing to worse, not frenzy, Not absolute madness, could so far have raved To bring him here alone. Although perhaps It may be heard at court that such as we Cave here, hunt here, are outlaws, and in time May make some stronger head, the which he hearing — As it is like him — might break out, and swear He’d fetch us in, yet is’t not probable To come alone, either he so undertaking, Or they so suffering. Then on good ground we fear If we do fear this body hath a tail More perilous than the head.
125
130
135
140
145
133. Humour: Honor = “onore”. 1664
Shakespeare IV.indb 1664
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
BELARIO
Che cosa hai fatto? GUIDERIO
Lo so benissimo: ho mozzato la testa a un certo Cloten, figlio della regina a quanto diceva, che mi ha chiamato traditore e montanaro e ha giurato che con una sola mano ci avrebbe catturati, staccato le teste da dove – grazie agli dei – si trovano e le avrebbe appese nella città di Lud. BELARIO
Siamo perduti. GUIDERIO
Perché, mio degno padre, che cosa abbiamo da perdere se non quello che lui giurava di prenderci, la vita? La legge non ci tutela: altrimenti, perché dovremmo essere così indulgenti da permettere a un arrogante pezzo di carne di minacciarci, fare da giudice e boia insieme, solo perché temiamo la legge? Chi avete trovato qui intorno? BELARIO
Non abbiamo visto anima viva, ma il buon senso dice che deve aver avuto qualcuno con sé. Per quanto avesse un’indole del tutto incostante e che diveniva sempre peggiore, né l’impazienza né la follia più completa lo avrebbero indotto a venire qui da solo. Forse a corte circola la voce che le persone come noi che abitano nelle caverne e cacciano in queste zone sono dei fuorilegge e col tempo potrebbero diventare pericolosi. Sentendo questo – come è tipico in lui – potrebbe aver perso il controllo e giurato di catturarci, ma è improbabile che sia venuto da solo perché non è così coraggioso né gli altri glielo avrebbero permesso. Quindi abbiamo tutte le ragioni di temere che questo corpo abbia una coda più pericolosa della testa.
1665
Shakespeare IV.indb 1665
30/11/2018 09:33:44
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
Let ord’nance Come as the gods foresay it; howsoe’er, My brother hath done well. BELARIUS I had no mind To hunt this day. The boy Fidele’s sickness Did make my way long forth. GUIDERIUS With his own sword, Which he did wave against my throat, I have ta’en His head from him. I’ll throw’t into the creek Behind our rock, and let it to the sea And tell the fishes he’s the Queen’s son, Cloten. That’s all I reck. Exit with Cloten’s head BELARIUS I fear ’twill be revenged. Would, Polydore, thou hadst not done’t, though valour Becomes thee well enough. ARVIRAGUS Would I had done’t, So the revenge alone pursued me. Polydore, I love thee brotherly, but envy much Thou hast robbed me of this deed. I would revenges That possible strength might meet would seek us through And put us to our answer. BELARIUS Well, ’tis done. We’ll hunt no more today, nor seek for danger Where there’s no profit. I prithee, to our rock. You and Fidele play the cooks. I’ll stay Till hasty Polydore return, and bring him To dinner presently. ARVIRAGUS Poor sick Fidele! I’ll willingly to him. To gain his colour I’d let a parish of such Clotens blood, And praise myself for charity. Exit into the cave BELARIUS O thou goddess, Thou divine Nature, how thyself thou blazon’st In these two princely boys! They are as gentle As zephyrs blowing below the violet, ARVIRAGUS
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Shakespeare IV.indb 1666
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
ARVIRAGO
Avvenga ciò che hanno decretato gli dei; comunque mio fratello ha agito bene. BELARIO
Non avevo intenzione di cacciare oggi. Il malessere del giovane Fidele mi ha fatto pesare il cammino. GUIDERIO
Con la sua stessa spada, che agitava puntandomela alla gola, gli ho mozzato la testa. La getterò nel torrente dietro la nostra roccia perché vada in mare e racconti ai pesci che lui è Cloten, il figlio della regina. Ecco quanto me ne importa. Esce con la testa di Cloten BELARIO
Temo che sarà vendicato. Polidoro, vorrei che tu non l’avessi fatto, anche se il tuo valore ti giustifica. ARVIRAGO
Vorrei averlo fatto io e che la vendetta colpisse solo me. Polidoro, ti amo fraternamente ma mi rincresce molto che tu mi abbia privato di questa impresa. Se solo tutte le vendette che le forze umane possono affrontare venissero a metterci alla prova chiedendo soddisfazione. BELARIO
Beh, ormai è fatta. Per oggi non cacceremo più, né cercheremo inutilmente dei pericoli. Ti prego, va’ alla caverna. Tu e Fidele farete i cuochi. Io aspetterò qui l’irruente Polidoro e lo porterò subito a pranzo. ARVIRAGO
Povero, sofferente Fidele! Ci vado ben volentieri. Per fargli riprendere il suo colorito scannerei un villaggio intero di questi Cloten vantandomi per l’atto di carità compiuto. Esce entrando nella caverna BELARIO
O dea, divina natura, come ti manifesti in questi due giovani principi! Sono gentili come la brezza che soffia sotto la violetta
1667
Shakespeare IV.indb 1667
30/11/2018 09:33:44
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
Not wagging his sweet head; and yet as rough, Their royal blood enchafed, as the rud’st wind That by the top doth take the mountain pine And make him stoop to th’ vale. ’Tis wonder That an invisible instinct should frame them To royalty unlearned, honour untaught, Civility not seen from other, valour That wildly grows in them, but yields a crop As if it had been sowed. Yet still it’s strange What Cloten’s being here to us portends, Or what his death will bring us.
175
180
Enter Guiderius Where’s my brother? I have sent Cloten’s clotpoll down the stream In embassy to his mother. His body’s hostage For his return.
GUIDERIUS
185
Solemn music My ingenious instrument! — Hark, Polydore, it sounds. But what occasion Hath Cadwal now to give it motion? Hark!
BELARIUS
GUIDERIUS
Is he at home? He went hence even now.
BELARIUS
190
GUIDERIUS
What does he mean? Since death of my dear’st mother It did not speak before. All solemn things Should answer solemn accidents. The matter? Triumphs for nothing and lamenting toys Is jollity for apes and grief for boys. Is Cadwal mad?
195
Enter from the cave Arviragus with Innogen, dead, bearing her in his arms Look, here he comes, And brings the dire occasion in his arms Of what we blame him for.
BELARIUS
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Shakespeare IV.indb 1668
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
senza scuoterne la delicata corolla e tuttavia, quando il loro sangue reale si infiamma, impetuosi come il vento più furioso che afferra dalla cima il pino montano e lo piega verso la valle. È incredibile che l’istinto li spinga a una regalità che non hanno appreso, a un onore che non è stato insegnato, a una cortesia non vista in altre persone, a un valore che in loro cresce spontaneo ma dà frutto come se fosse stato coltivato. Tuttavia mi chiedo che cosa presagisca la presenza di Cloten in questi luoghi, o che cosa ci procurerà la sua morte. Entra Guiderio GUIDERIO
Dov’è mio fratello? Ho mandato la zucca vuota di Cloten giù per la corrente come ambasciatrice a sua madre. Il suo corpo è in ostaggio fino al suo ritorno. Musica solenne BELARIO
Il mio ingegnoso strumento!156 Ascolta, Polidoro, risuona. Che ragione può avere Cadwal di farlo suonare ora? Ascolta! GUIDERIO
È a casa? BELARIO
È andato via da qui proprio ora. GUIDERIO
Che cosa significa? Dopo la morte della mia carissima madre non è stato più usato. Ciò che è solenne dovrebbe corrispondere a eventi solenni. Il motivo? Il tripudio per cose da nulla e i lamenti per sciocchezze sono gioie scimmiottate e lagne da bambini. Cadwal è impazzito? Entra Arvirago uscendo dalla grotta con Innogene, morta, tra le braccia BELARIO
Guarda, ecco che arriva tenendo tra le braccia la terribile ragione di ciò per cui lo rimproveriamo.
1669
Shakespeare IV.indb 1669
30/11/2018 09:33:44
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
The bird is dead That we have made so much on. I had rather Have skipped from sixteen years of age to sixty, To have turned my leaping time into a crutch, Than have seen this. GUIDERIUS (to Innogen) O sweetest, fairest lily! My brother wears thee not one half so well As when thou grew’st thyself. BELARIUS O melancholy, Who ever yet could sound thy bottom, find The ooze to show what coast thy sluggish crare ac Might easiliest harbour in? Thou blessèd thing, Jove knows what man thou mightst have made; but I, Thou diedst a most rare boy, of melancholy. (To Arviragus) How found you him? ARVIRAGUS Stark, as you see, Thus smiling as some fly had tickled slumber, Not as death’s dart being laughed at; his right cheek Reposing on a cushion. GUIDERIUS Where? ARVIRAGUS O’th’ floor, His arms thus leagued. I thought he slept, and put My clouted brogues from off my feet, whose rudeness Answered my steps too loud. GUIDERIUS Why, he but sleeps. If he be gone he’ll make his grave a bed. With female fairies will his tomb be haunted, (To Innogen) And worms will not come to thee. ARVIRAGUS (to Innogen) With fairest flowers Whilst summer lasts and I live here, Fidele, I’ll sweeten thy sad grave. Thou shalt not lack The flower that’s like thy face, pale primrose, nor The azured harebell, like thy veins; no, nor The leaf of eglantine, whom not to slander ARVIRAGUS
200
205
211
216
220
206. Crare: care = “cura”. 1670
Shakespeare IV.indb 1670
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CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
ARVIRAGO
È morto l’uccellino, quello che ci era tanto caro. Avrei preferito passare da sedici a sessant’anni d’età e scambiare l’agilità della mia giovinezza con una gruccia, piuttosto che vedere questo. GUIDERIO (a Innogene) O amabilissimo, bellissimo giglio! Mio fratello non ti porta affatto così bene come quando crescevi da solo. BELARIO
O malinconia, chi è mai riuscito a scandagliare il tuo fondo, a sondare la melma per additare in quale approdo la tua lenta imbarcazione avrebbe potuto più facilmente trovare riparo? Creatura benedetta, solo Giove sa quale uomo saresti potuto diventare; ma io so che sei morto, impareggiabile ragazzo, di malinconia157. (Ad Arvirago) Come l’hai trovato? ARVIRAGO
Rigido, come lo vedete, sorridente così, come se se una mosca lo avesse solleticato durante il sonno, non come se deridesse i dardi della morte158; la guancia destra appoggiata sul cuscino. GUIDERIO
Dove? ARVIRAGO
A terra, con le braccia unite così. Pensavo che dormisse e mi sono tolto le scarpe chiodate perché facevo troppo rumore. GUIDERIO
È come se dormisse. Se è morto renderà la sua fossa un semplice letto. La sua tomba sarà visitata dalle fate159 (a Innogene) e i vermi non ti consumeranno. ARVIRAGO (a Innogene) Con i fiori più belli, fintanto che durerà l’estate e io vivrò qui, Fidele, adornerò la tua mesta tomba. Non ti mancherà il fiore che è come il tuo volto, la pallida primula, né la campanula azzurrina come le tue vene, né i petali della rosa canina che, non per smi-
1671
Shakespeare IV.indb 1671
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CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
Outsweetened not thy breath. The ruddock would With charitable bill — O bill sore shaming Those rich-left heirs that let their fathers lie Without a monument! — bring thee all this, Yea, and furred moss besides, when flowers are none, To winter-gown thy corpse. ad GUIDERIUS Prithee, have done, And do not play in wench-like words with that Which is so serious. Let us bury him, And not protract with admiration what Is now due debt. To th’ grave. ARVIRAGUS Say, where shall ’s lay him?
225
230
GUIDERIUS
By good Euriphile, our mother. Be’t so, And let us, Polydore, though now our voices Have got the mannish crack, sing him to th’ ground As once our mother; use like note and words, Save that ‘Euriphile’ must be ‘Fidele’. GUIDERIUS Cadwal, I cannot sing. I’ll weep, and word it with thee, For notes of sorrow out of tune are worse Than priests and fanes that lie. ARVIRAGUS We’ll speak it then. ARVIRAGUS
235
240
BELARIUS
Great griefs, I see, medicine the less, for Cloten Is quite forgot. He was a queen’s son, boys, And though he came our enemy, remember He was paid for that. Though mean and mighty rotting Together have one dust, yet reverence, That angel of the world, doth make distinction Of place ’tween high and low. Our foe was princely, And though you took his life as being our foe, Yet bury him as a prince.
245
251
230. Winter-gown: winter-ground con significato analogo. 1672
Shakespeare IV.indb 1672
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
nuirle, profumano meno del tuo alito. Il pettirosso col suo becco pietoso160 – o becco che farai vergognare quegli eredi arricchiti che lasciano il loro padre senza monumento funebre – ti porterà tutto questo; sì, e quando non ci saranno più fiori, anche una pelliccia di muschio per far da mantello invernale al tuo corpo161. GUIDERIO
Ti prego, taci, non scherzare su cose tanto serie con discorsi da femminuccia. Seppelliamolo e non rimandiamo per il nostro turbamento l’atto che gli è dovuto. Alla fossa. ARVIRAGO
Di’, dove lo deporremo? GUIDERIO
Vicino alla buona Eurifile, nostra madre. ARVIRAGO
Così sia, Polidoro, e anche se le nostre voci ora hanno un timbro virile accompagnamolo alla sepoltura con un canto, come facemmo per nostra madre, usando le stesse parole e melodia, salvo che “Eurifile” diventerà “Fidele”. GUIDERIO
Cadwal, non riesco a cantare. Piangerò e pronuncerò con te le parole, perché i canti funebri stonati sono più intollerabili dei preti e degli oracoli mendaci. ARVIRAGO
Lo reciteremo a voce, allora162. BELARIO
I grandi dolori, vedo, curano quelli minori, visto che Cloten è del tutto dimenticato. Era il figlio della regina, ragazzi, e sebbene sia venuto come nostro nemico, ricordate che è stato ripagato come meritava. Sebbene umili e potenti si corrompano in modo analogo e si riducano alla stessa polvere, il rispetto, angelo del mondo, fa distinzione di luoghi tra grandi e piccoli. Il nostro nemico era di sangue reale e come principe merita di essere sepolto, sebbene gli abbiate tolto la vita in quanto nemico.
1673
Shakespeare IV.indb 1673
30/11/2018 09:33:44
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
Pray you, fetch him hither. Thersites’ body is as good as Ajax’ When neither are alive. ARVIRAGUS (to Belarius) If you’ll go fetch him, We’ll say our song the whilst. Exit Belarius Brother, begin. GUIDERIUS
255
GUIDERIUS
Nay, Cadwal, we must lay his head to th’east. My father hath a reason for’t. ARVIRAGUS ’Tis true. GUIDERIUS
Come on, then, and remove him. So, begin.
ARVIRAGUS GUIDERIUS
Fear no more the heat o’th’ sun, Nor the furious winter’s rages. Thou thy worldly task hast done, Home art gone and ta’en thy wages. Golden lads and girls all must, As chimney-sweepers, come to dust.
260
ARVIRAGUS
Fear no more the frown o’th’ great, Thou art past the tyrant’s stroke. Care no more to clothe and eat, To thee the reed is as the oak. The sceptre, learning, physic, must All follow this and come to dust.
265
270
GUIDERIUS
Fear no more the lightning flash, ARVIRAGUS Nor th’all-dreaded thunder-stone. GUIDERIUS
Fear not slander, censure rash.
1674
Shakespeare IV.indb 1674
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
GUIDERIO
Vi prego, portatelo qui. Il corpo di Tersite vale quanto quello di Aiace163 quando sono entrambi senza vita. ARVIRAGO (a Belario) Mentre lo andrete a prendere, noi intoneremo la nostra canzone. Esce Belario Fratello, comincia. GUIDERIO
No, Cadwal, dobbiamo metterlo con la testa verso est164. Mio padre ha le sue buone ragioni per questo. ARVIRAGO
È vero. GUIDERIO
Andiamo allora e spostiamolo. ARVIRAGO
Ecco, cominciamo. GUIDERIO
Più non temere il caldo del sole, né le intemperie del gelido inverno. Il tuo destino nel mondo è compiuto, va’ ora a casa con la ricompensa. Giovani e dame, prezioso tesoro, spazzacamini: in terra van loro. ARVIRAGO
Più non temere il cipiglio dei grandi, ora il tiranno non può più colpirti. Non ti curare di vesti e vivande, per te canna e quercia sono uguali. Scettri, saperi, dottori in coro cadono insieme e in terra van loro. GUIDERIO
Più non temere il fulmine lesto. ARVIRAGO
Né il pauroso fragore del tuono. GUIDERIO
Né la calunnia, né l’aspra censura. 1675
Shakespeare IV.indb 1675
30/11/2018 09:33:44
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
ARVIRAGUS Thou hast finished joy and moan. GUIDERIUS and ARVIRAGUS
All lovers young, all lovers must Consign to thee and come to dust.
275
GUIDERIUS
No exorcisor harm thee, ARVIRAGUS
Nor no witchcraft charm thee. GUIDERIUS
Ghost unlaid forbear thee. ARVIRAGUS
Nothing ill come near thee.
280
GUIDERIUS and ARVIRAGUS
Quiet consummation have, And renownèd be thy grave. Enter Belarius with the body of Cloten in Posthumus’ suit GUIDERIUS
We have done our obsequies. Come, lay him down. BELARIUS
Here’s a few flowers, but ’bout midnight more; The herbs that have on them cold dew o’th’ night Are strewings fitt’st for graves upon th’earth’s face. ae You were as flowers, now withered; even so These herblets shall, which we upon you strow. Come on, away; apart upon our knees [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .] The ground that gave them first has them again. Their pleasures here are past, so is their pain.
285
290
Exeunt Belarius, Arviragus, and Guiderius INNOGEN (awakes)
Yes, sir, to Milford Haven. Which is the way? I thank you. By yon bush? Pray, how far thither?
286. Th’earth’s face: their Faces = “i loro volti”. 1676
Shakespeare IV.indb 1676
30/11/2018 09:33:44
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
ARVIRAGO
Tu hai finito con gioia e lamenti. GUIDERIO e ARVIRAGO
Tutti gli amanti col loro tesoro ti seguiranno165, in terra van loro. GUIDERIO
Gli esorcisti166 ti lascino in pace, ARVIRAGO
Né la magia ti possa ammaliare. GUIDERIO
Spettri maligni167 lasciatela stare. ARVIRAGO
Nulla di male ti possa toccare. GUIDERIO e ARVIRAGO
Il cielo ti doni un riposo compiuto168, e il tuo sepolcro sia ben conosciuto. Entra Belario portando il cadavere di Cloten con gli abiti di Postumo GUIDERIO
Abbiamo finito le nostre esequie. Venite, mettiamolo giù. BELARIO
Questi sono pochi fiori, altri intorno a mezzanotte; le erbe ancora coperte dalla fredda rugiada notturna sono le più adatte per coprire le tombe sulla faccia della terra169. Eravate come fiori, ora siete appassiti. Queste erbe che spargiamo sopra di voi lo saranno a loro volta. Andiamo, ora; ritiriamoci e mettiamoci in ginocchio [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .]170 La terra da cui sono nati se li riprende. Le loro gioie terrene, come i loro tormenti, sono finite. Escono Belario, Arvirago e Guiderio INNOGENE (si risveglia)
Sì, signore, a Milford Haven. Qual è la strada? Grazie. Vicino a quel cespuglio? Vi prego, a che distanza da qui? Ma come, per gli
1677
Shakespeare IV.indb 1677
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
’Od’s pitykins, can it be six mile yet? I have gone all night. ’Faith, I’ll lie down and sleep.
295
She sees Cloten But soft, no bedfellow! O gods and goddesses! These flowers are like the pleasures of the world, This bloody man the care on’t. I hope I dream, For so I thought I was a cavekeeper, And cook to honest creatures. But ’tis not so. ’Twas but a bolt of nothing, shot of nothing, Which the brain makes of fumes. Our very eyes Are sometimes like our judgements, blind. Good faith, I tremble still with fear; but if there be Yet left in heaven as small a drop of pity As a wren’s eye, feared gods, a part of it! The dream’s here still. Even when I wake it is Without me as within me; not imagined, felt. A headless man? The garments of Posthumus? I know the shape of ’s leg; this is his hand, His foot Mercurial, his Martial thigh, The brawns of Hercules; but his Jovial face — Murder in heaven! How? ’Tis gone. Pisanio, All curses madded Hecuba gave the Greeks, And mine to boot, be darted on thee! Thou, Conspired with that irregulous devil Cloten, Hath here cut off my lord. To write and read Be henceforth treacherous! Damned Pisanio Hath with his forgèd letters — damned Pisanio — From this most bravest vessel of the world Struck the main-top! O Posthumus, alas, Where is thy head? Where’s that? Ay me, where’s that? Pisanio might have killed thee at the heart And left thy head on. How should this be? Pisanio? af ’Tis he and Cloten. Malice and lucre in them
300
305
310
315
320
326
325. Thy: this = “questa”. 1678
Shakespeare IV.indb 1678
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
dei, mancano ancora sei miglia? Ho camminato tutta la notte. In fede mia, voglio solo stendermi e dormire. Vede Cloten Ehi, ma non avevo nessun compagno di letto! Oh, dei e dee!171 Questi fiori sono come i piaceri del mondo e quest’uomo insanguinato il suo dolore. Spero di essere in un sogno, perché pensavo di abitare in una caverna e cucinare per persone gentili. Ma non è così. È stata soltanto una freccia fatta di nulla e scagliata contro nulla, esalata dai vapori del cervello172. I nostri occhi sono talvolta come i nostri giudizi, ciechi. In fede mia, tremo ancora di paura, ma se in cielo è rimasta una goccia di pietà grande come l’occhio di uno scricciolo173, o temuti dei, datemene una parte! L’incubo è ancora qui. Anche da sveglia è fuori e dentro di me; non è solo immaginazione, lo percepisco davvero. Un uomo senza testa? Gli abiti di Postumo? Riconosco la forma della sua gamba; questa è la sua mano, il suo piede da Mercurio, le sue cosce da Marte, i muscoli da Ercole; ma il suo volto da Giove – un omicidio nell’Olimpo! Come? È andato. Pisanio, tutte le maledizioni che Ecuba impazzita di dolore scagliò sui Greci, insieme alle mie, ti colpiscano! Tu, cospirando con quel demone scellerato174 di Cloten, hai tagliato qui la testa del mio sposo. Che d’ora in poi scrivere e leggere siano sinonimo di tradimento! Dannato Pisanio, con le sue lettere false – dannato Pisanio – ha tagliato l’albero maestro del miglior vascello al mondo! Oh, Postumo, ahimè, dov’è la tua testa? Dov’è? Ahimè, dov’è? Pisanio avrebbe potuto colpirti al cuore e lasciarti la testa. Come può essere? Pisanio? Sono stati lui e Cloten. La malvagità e la sete di guadagno hanno prodotto
1679
Shakespeare IV.indb 1679
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
Have laid this woe here. O, ’tis pregnant, pregnant! The drug he gave me, which he said was precious And cordial to me, have I not found it Murd’rous to th’ senses? That confirms it home. This is Pisanio’s deed, and Cloten — O, Give colour to my pale cheek with thy blood, That we the horrider may seem to those Which chance to find us!
330
[She smears her face with blood] O my lord, my lord! [She faints.] Enter Lucius, Roman Captains, and a Soothsayer A ROMAN CAPTAIN (to Lucius)
To them the legions garrisoned in Gallia After your will have crossed the sea, attending You here at Milford Haven with your ships. They are hence in readiness. ag LUCIUS But what from Rome?
335
A ROMAN CAPTAIN
The senate hath stirred up the confiners And gentlemen of Italy, most willing spirits That promise noble service, and they come Under the conduct of bold Giacomo, Siena’s brother. LUCIUS When expect you them?
340
A ROMAN CAPTAIN
With the next benefit o’th’ wind. This forwardness Makes our hopes fair. Command our present numbers Be mustered; bid the captains look to’t.
LUCIUS
345
[Exit one or more] (To Soothsayer) Now, sir, What have you dreamed of late of this war’s purpose?
338. Are hence: are heere = “sono qui”. 1680
Shakespeare IV.indb 1680
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
questo orrore. Oh, è ovvio, così ovvio! La pozione che mi ha dato, dicendomi che sarebbe stato un prezioso cordiale per me, non è stata deleteria per i miei sensi? Questa è la conferma lampante. È stata opera di Pisanio, e Cloten – oh, da’ colore alle mie guance smorte con il tuo sangue, perché la nostra vista sia ancora più agghiacciante per quelli che ci troveranno! [Si cosparge il volto di sangue] Oh, mio signore, mio signore! [Sviene] Entrano Lucio, capitani romani e un indovino CAPITANO ROMANO (a Lucio)
Con loro175 le legioni di stanza in Gallia, come avete ordinato, hanno attraversato il mare e vi attendono qui a Milford Haven con le vostre navi. Tutto è pronto. LUCIO
Quali nuove da Roma? CAPITANO ROMANO
Il senato ha arruolato i cittadini e i gentiluomini italiani, spiriti assai solleciti che promettono un nobile servizio. Sono al comando del prode Giacomo, fratello del duca di Siena. LUCIO
Per quando li attendete? CAPITANO ROMANO
Appena il vento sarà favorevole. LUCIO
Questa solerzia lascia ben sperare. Ordina che si passino in rassegna le nostre attuali forze; che se ne occupino i capitani. [Escono una o più persone] (All’indovino) Allora, signore, quali auspici avete tratto sull’esito di questa guerra?
1681
Shakespeare IV.indb 1681
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
SOOTHSAYER
Last night the very gods showed me a vision — I fast, and prayed for their intelligence — thus: I saw Jove’s bird, the Roman eagle, winged From the spongy south to this part of the west, There vanished in the sunbeams; which portends, Unless my sins abuse my divination, Success to th’ Roman host. LUCIUS Dream often so, And never false.
350
He sees Cloten’s body Soft, ho, what trunk is here Without his top? The ruin speaks that sometime It was a worthy building. How, a page? Or dead or sleeping on him? But dead rather, For nature doth abhor to make his bed With the defunct, or sleep upon the dead. Let’s see the boy’s face. A ROMAN CAPTAIN He’s alive, my lord.
355
360
LUCIUS
He’ll then instruct us of this body. Young one, Inform us of thy fortunes, for it seems They crave to be demanded. Who is this Thou mak’st thy bloody pillow? Or who was he That, otherwise than noble nature did, Hath altered that good picture? What’s thy interest In this sad wreck? How came’t? Who is’t? What art thou? INNOGEN I am nothing; or if not, Nothing to be were better. This was my master, A very valiant Briton, and a good, That here by mountaineers lies slain. Alas, There is no more such masters. I may wander From east to Occident, cry out for service, Try many, all good; serve truly, never Find such another master.
365
370
375
1682
Shakespeare IV.indb 1682
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
INDOVINO
La scorsa notte gli dei in persona mi hanno mostrato una visione – ho digiunato e chiesto la loro ispirazione – ecco: ho visto l’uccello sacro a Giove, l’aquila romana, andare in volo dalle umide regioni meridionali a questa regione occidentale, dove è svanito tra i raggi del sole; il che presagisce, a meno che i miei peccati non compromettano le mie facoltà divinatorie, il successo all’esercito romano. LUCIO
Sogna ancora così e speriamo che non sia mai il falso. Vede il corpo di Cloten Fermi! Chi è questo corpo senza testa? Queste rovine di certo appartenevano a un nobile edificio. Come, un paggio? Morto o addormentato? Morto direi, perché per natura chi è vivo aborrisce coricarsi con un morto o dormirci sopra. Vediamo il volto del ragazzo. CAPITANO ROMANO
È vivo, mio signore. LUCIO
Così ci potrà dare spiegazioni su questo corpo. Giovanotto, raccontaci le tue vicissitudini, che sembrano quasi implorare di essere indagate. Chi è colui che ti fa da sanguinoso cuscino? E chi, guastando ciò che ha fatto la nobile natura, ha alterato il suo bell’aspetto? Perché sei interessato a questo penoso relitto. Com’è successo? Chi è? E chi sei tu? INNOGENE
Io non sono nulla; altrimenti sarebbe meglio essere nulla. Questo era il mio padrone, un britanno assai valoroso, e buono, che ora giace qui, ucciso dai montanari. Ahimè, non ci sono altri padroni come lui. Potrei viaggiare da oriente a occidente, offrire i miei servigi, trovare molti padroni, tutti buoni, e servirli fedelmente, ma non troverò mai un altro padrone così.
1683
Shakespeare IV.indb 1683
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 2
’Lack, good youth, Thou mov’st no less with thy complaining than Thy master in bleeding. Say his name, good friend.
LUCIUS
INNOGEN
Richard du Champ. (Aside) If I do lie and do No harm by it, though the gods hear I hope They’ll pardon it. (Aloud) Say you, sir? LUCIUS Thy name? INNOGEN Fidele, sir.
380
LUCIUS
Thou dost approve thyself the very same. Thy name well fits thy faith, thy faith thy name. Wilt take thy chance with me? I will not say Thou shalt be so well mastered, but be sure, No less beloved. The Roman Emperor’s letters Sent by a consul to me should not sooner Than thine own worth prefer thee. Go with me.
385
INNOGEN
I’ll follow, sir. But first, an’t please the gods, I’ll hide my master from the flies as deep As these poor pickaxes can dig; and when With wild-wood leaves and weeds I ha’ strewed his grave And on it said a century of prayers, Such as I can, twice o’er I’ll weep and sigh, And leaving so his service, follow you, So please you entertain me. LUCIUS Ay, good youth, And rather father thee than master thee. My friends, The boy hath taught us manly duties. Let us Find out the prettiest daisied plot we can, And make him with our pikes and partisans A grave. Come, arm him. Boy, he is preferred By thee to us, and he shall be interred As soldiers can. Be cheerful. Wipe thine eyes. Some falls are means the happier to arise.
390
395
400
Exeunt with Cloten’s body 1684
Shakespeare IV.indb 1684
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 2
LUCIO
Ahimè, mio caro ragazzo, con i tuoi lamenti non sei meno commovente del tuo padrone sanguinante. Dimmi il suo nome, amico. INNOGENE
Richard du Champ176. (A parte) Se dico una bugia ma non provoco alcun male, anche se gli dei ascoltano, spero che mi perdonino. (Ad alta voce) Come dite, signore? LUCIO
Il tuo nome? INNOGENE
Fidele, signore. LUCIO
Ti dimostri proprio tale. Il tuo nome ben si addice alla tua fedeltà, la tua fedeltà al tuo nome. Vuoi tentare la tua sorte con me? Non posso dire che avrai un padrone così bravo, ma di sicuro non sarai meno amato. Le lettere dell’imperatore romano recapitatemi da un console non potrebbero essere una raccomandazione migliore del tuo merito. Vieni con me. INNOGENE
Vi seguirò, signore. Ma prima, agli dei piacendo, nasconderò il mio padrone dalle mosche scavando fin dove riusciranno questi miei poveri picconi. E quando avrò ricoperto la sua tomba con foglie ed erbe selvatiche e avrò recitato come potrò una centuria di preghiere, piangerò e gemerò il doppio e lasciando il suo servizio seguirò voi, se vorrete prendermi. LUCIO
Certo, mio caro ragazzo, e per te sarò più un padre che un padrone. Amici miei, questo ragazzo ci ha richiamato ai nostri doveri di uomini. Cerchiamo le zolle con i fiori più belli e scaviamogli una fossa con le nostre picche e partigiane. Sollevatelo. Ragazzo, ci è stato raccomandato da te e avrà una sepoltura da soldato. Coraggio. Asciuga le tue lacrime. Certe cadute aiutano a rialzarsi più lieti. Escono con il corpo di Cloten
1685
Shakespeare IV.indb 1685
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 3
4.3
Enter Cymbeline, Lords, and Pisanio
CYMBELINE
Again, and bring me word how ’tis with her. Exit one or more A fever with the absence of her son, A madness of which her life’s in danger — heavens, How deeply you at once do touch me! Innogen, The great part of my comfort, gone; my queen Upon a desperate bed, and in a time When fearful wars point at me; her son gone, So needful for this present! It strikes me past The hope of comfort. (To Pisanio) But for thee, fellow, Who needs must know of her departure and Dost seem so ignorant, we’ll enforce it from thee By a sharp torture. PISANIO Sir, my life is yours. I humbly set it at your will. But for my mistress, I nothing know where she remains, why gone, Nor when she purposes return. Beseech your highness, Hold me your loyal servant. A LORD Good my liege, The day that she was missing he was here. I dare be bound he’s true, and shall perform All parts of his subjection loyally. For Cloten, There wants no diligence in seeking him, And will no doubt be found. CYMBELINE The time is troublesome. (To Pisanio) We’ll slip you for a season, but our jealousy Does yet depend. A LORD So please your majesty, The Roman legions, all from Gallia drawn, Are landed on your coast with a supply Of Roman gentlemen by the senate sent.
5
10
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1686
Shakespeare IV.indb 1686
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 3
IV, 3
Entrano Cimbelino con i nobili e Pisanio177
CIMBELINO
Tornate indietro e datemi sue notizie. Escono una o più persone Una febbre causata dall’assenza del figlio, un delirio che mette a repentaglio la sua vita – o cieli, quante pene simultanee mi infliggete! Innogene, mia grande consolazione, fuggita; la mia regina sul letto di morte, e proprio mentre incombono guerre terribili; suo figlio, indispensabile in questo momento, sparito! Tutto questo mi abbatte e mi toglie la speranza. (A Pisanio) Quanto a te, furfante, di sicuro sai qualcosa della sua partenza anche se fi ngi di non sapere; ti faremo parlare a forza con la tortura. PISANIO
Sire, la mia vita è vostra e la metto umilmente nelle vostre mani, ma la mia padrona non so davvero dove sia, perché sia partita e se abbia intenzione di tornare. Prego vostra altezza di considerarmi vostro leale servitore. NOBILE
Mio buon sovrano, il giorno in cui è scomparsa egli si trovava qui. Sul mio onore, credo proprio che sia sincero e che svolgerà il suo dovere di servo con lealtà. Quanto a Cloten, non manca certo lo zelo nelle sue ricerche e senza dubbio verrà trovato. CIMBELINO
Il momento è critico. (A Pisanio) Per ora vi lasciamo andare ma la nostra diffidenza rimane. NOBILE
Con permesso, maestà, le legioni romane fatte venire dalla Gallia sono sbarcate sulle vostre coste rafforzate da un contingente di gentiluomini romani inviati dal senato.
1687
Shakespeare IV.indb 1687
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 4
CYMBELINE
Now for the counsel of my son and queen! I am amazed with matter. A LORD Good my liege, Your preparation can affront no less Than what you hear of. Come more, for more you’re ready. The want is but to put those powers in motion That long to move. CYMBELINE I thank you. Let’s withdraw, And meet the time as it seeks us. We fear not What can from Italy annoy us, but We grieve at chances here. Away.
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35
Exeunt Cymbeline and Lords PISANIO
I heard no letter from my master since I wrote him Innogen was slain. ’Tis strange. Nor hear I from my mistress, who did promise To yield me often tidings. Neither know I What is betid to Cloten, but remain Perplexed in all. The heavens still must work. Wherein I am false I am honest; not true, to be true. These present wars shall find I love my country Even to the note o’th’ King, or I’ll fall in them. All other doubts, by time let them be cleared: Fortune brings in some boats that are not steered.
40
45 Exit
4.4
Enter Belarius, Guiderius, and Arviragus
GUIDERIUS
The noise is round about us. BELARIUS
Let us from it.
ARVIRAGUS
What pleasure, sir, find we in life to lock it From action and adventure? 1688
Shakespeare IV.indb 1688
30/11/2018 09:33:45
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 4
CIMBELINO
Se solo avessi il consiglio di mio figlio e della regina! Sono sopraffatto dalle circostanze. NOBILE
Mio buon sovrano, l’esercito che avete approntato può affrontare un’armata ben più grande di questa. Se ne arrivassero altre, sareste pronto anche per quelle. Basta solo mandare all’attacco le vostre forze, che bramano di attaccare. CIMBELINO
Vi ringrazio. Ritiriamoci e affrontiamo gli eventi che si presenteranno. Non temiamo ciò che ci minaccia dall’Italia, ma siamo preoccupati per la situazione qui a corte. Andiamo. Escono Cimbelino e i nobili PISANIO
Non ho saputo più nulla dal padrone da quando gli ho scritto che Innogene era stata uccisa. È strano. Anche la mia padrona, che aveva promesso di tenermi informato, non mi ha più dato notizie. E non so neppure cosa sia successo a Cloten. Sono sconcertato. I cieli devono agire ancora. Quando sono falso sono onesto, devo essere infedele per esser fedele. Queste guerre dimostreranno anche al re che amo il mio paese, oppure mi faranno perdere la vita. Tutti gli altri dubbi, lasciamo che sia il tempo a chiarirli: la fortuna conduce in porto anche una nave alla deriva. Esce IV, 4
Entrano Belario, Guiderio e Arvirago178
GUIDERIO
C’è movimento tutto intorno a noi. BELARIO
Allontaniamoci. ARVIRAGO
Che piaceri ci può offrire la vita, signore, se si evitano l’azione e l’avventura?
1689
Shakespeare IV.indb 1689
30/11/2018 09:33:45
CYMBELINE, ACT 4 SCENE 4
Nay, what hope Have we in hiding us? This way the Romans Must or for Britains slay us, or receive us For barbarous and unnatural revolts During their use, and slay us after. BELARIUS Sons, We’ll higher to the mountains; there secure us. To the King’s party there’s no going. Newness Of Cloten’s death — we being not known, not mustered Among the bands — may drive us to a render Where we have lived, and so extort from ’s that Which we have done, whose answer would be death Drawn on with torture. GUIDERIUS This is, sir, a doubt In such a time nothing becoming you Nor satisfying us. ARVIRAGUS It is not likely That when they hear the Roman horses neigh, Behold their quartered fi les, have both their eyes ah And ears so cloyed importantly as now, That they will waste their time upon our note, To know from whence we are. BELARIUS O, I am known Of many in the army. Many years, Though Cloten then but young, you see, not wore him From my remembrance. And besides, the King Hath not deserved my service nor your loves, Who find in my exile the want of breeding, The certainty of this hard life; aye hopeless To have the courtesy your cradle promised, But to be still hot summer’s tanlings, and The shrinking slaves of winter. GUIDERIUS Than be so, Better to cease to be. Pray, sir, to th’army. I and my brother are not known; yourself GUIDERIUS
5
11
15
20
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18. Files: Fires = “fuochi”. 1690
Shakespeare IV.indb 1690
30/11/2018 09:33:46
CIMBELINO, ATTO IV SCENA 4
GUIDERIO
Già, che speranze abbiamo nascondendoci? Comportandoci in questo modo i romani ci uccideranno credendoci britanni, oppure ci recluteranno come barbari ribelli finché ci potranno usare, e poi ci uccideranno. BELARIO
Figli miei, ritiriamoci più in su nelle montagne; là saremo al sicuro. Unirsi al re è fuori discussione. La recente morte di Cloten – e il fatto di essere sconosciuti e non arruolati – potrebbe costringerci a spiegare dove abbiamo vissuto e così rivelare quello che abbiamo fatto, e la ricompensa sarebbe una morte lenta accompagnata dalla tortura. GUIDERIO
Questo, signore, è un dubbio che non è da voi e non ci soddisfa in questo momento. ARVIRAGO
È improbabile che, quando sentiranno il nitrito dei cavalli romani, vedranno le loro truppe schierate e avranno occhi e orecchie occupate da problemi ben più importanti, sprecheranno il loro tempo con noi per interrogarci. BELARIO
Oh, tanti mi conoscono nell’esercito. I molti anni passati, come avete visto, non hanno cancellato Cloten dalla mia memoria. sebbene fosse così giovane allora. Inoltre il re non ha meritato i miei servigi né l’affetto di voi che, dal mio esilio, avete ottenuto la mancanza di istruzione e l’inevitabilità di una vita dura, senza alcuna speranza di raggiungere quegli onori che la vostra culla prometteva, ma solo di essere ragazzi bruciati dal torrido sole estivo e schiavi intirizziti dell’inverno. GUIDERIO
Piuttosto che essere così, meglio cessare di vivere. Vi prego, signore, uniamoci all’esercito. Io e mio fratello siamo sconosciuti; voi,
1691
Shakespeare IV.indb 1691
30/11/2018 09:33:46
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 1
So out of thought, and thereto so o’ergrown, Cannot be questioned. ARVIRAGUS By this sun that shines, I’ll thither. What thing is’t that I never Did see man die, scarce ever looked on blood But that of coward hares, hot goats, and venison, Never bestrid a horse save one that had A rider like myself, who ne’er wore rowel Nor iron on his heel! I am ashamed To look upon the holy sun, to have The benefit of his blest beams, remaining So long a poor unknown. GUIDERIUS By heavens, I’ll go. If you will bless me, sir, and give me leave, I’ll take the better care; but if you will not, The hazard therefore due fall on me by The hands of Romans. ARVIRAGUS So say I, amen.
35
40
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BELARIUS
No reason I, since of your lives you set So slight a valuation, should reserve My cracked one to more care. Have with you, boys! If in your country wars you chance to die, That is my bed, too, lads, and there I’ll lie. Lead, lead. (Aside) The time seems long. Their blood thinks scorn Till it fly out and show them princes born. Exeunt 5.1
51
Enter Posthumus, dressed as an Italian gentleman, carrying a bloody cloth
POSTHUMUS
Yea, bloody cloth, I’ll keep thee, for I once wished Thou shouldst be coloured thus. You married ones, If each of you should take this course, how many Must murder wives much better than themselves For wrying but a little! O Pisanio,
5
1692
Shakespeare IV.indb 1692
30/11/2018 09:33:46
CIMBELINO, ATTO V SCENA 1
ormai dimenticato e così mutato dagli anni, non desterete alcun sospetto. ARVIRAGO
Per lo splendente sole, io andrò. Che disonore non aver mai visto morire un uomo, o sangue che non sia di timide lepri, capre in calore e selvaggina; non aver mai cavalcato un cavallo se non uno che aveva un cavaliere come me, che non ho mai indossato ferri e speroni! Mi vergogno di guardare il sacro sole, godere i benefici dei suoi raggi beati, e restare ancora per molto un povero sconosciuto. GUIDERIO
Per il cielo, io andrò. Se mi darete la vostra benedizione e il vostro assenso, signore, avrò la miglior protezione; ma se non volete, la minaccia ricada giustamente su di me per mano dei romani. ARVIRAGO
Così dico anch’io, amen. BELARIO
Poiché stimate così poco le vostre vite, non c’è ragione che io debba avere maggior cura della mia, ormai compromessa. Sono con voi, ragazzi! Se il destino vorrà che moriate in queste guerre, quello sarà anche il mio letto e là giacerò. Avanti, avanti. (A parte) Il tempo sembra lungo e il loro sangue è mortificato finché non potrà uscire e rivelare che sono principi nati. Escono V, 1
Entra Postumo, vestito da gentiluomo italiano, portando con sé un drappo sporco di sangue179
POSTUMO
Sì, drappo insanguinato, ti terrò con me perché un tempo sono stato io a volerti di questo colore. Voi che siete sposati, se ognuno di voi agisse come me, quanti dovrebbero uccidere mogli assai migliori di loro per una piccola mancanza! Oh Pisanio, ogni buon
1693
Shakespeare IV.indb 1693
30/11/2018 09:33:46
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 1
Every good servant does not all commands, No bond but to do just ones. Gods, if you Should have ta’en vengeance on my faults, I never Had lived to put on this; so had you saved The noble Innogen to repent, and struck Me, wretch, more worth your vengeance. But alack, You snatch some hence for little faults; that’s love, To have them fall no more. You some permit To second ills with ills, each elder worse, And make them dread ill, to the doer’s thrift. ai But Innogen is your own. Do your blest wills, And make me blest to obey. I am brought hither Among th’Italian gentry, and to fight Against my lady’s kingdom. ’Tis enough That, Britain, I have killed thy mistress-piece; aj I’ll give no wound to thee. Therefore, good heavens, Hear patiently my purpose. I’ll disrobe me Of these Italian weeds, and suit myself As does a Briton peasant.
10
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[He disrobes himself] So I’ll fight Against the part I come with; so I’ll die For thee, O Innogen, even for whom my life Is every breath a death; and, thus unknown, Pitied nor hated, to the face of peril Myself I’ll dedicate. Let me make men know More valour in me than my habits show. Gods, put the strength o’th’ Leonati in me. To shame the guise o’th’ world, I will begin The fashion — less without and more within.
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Exit
15. Dread ill: dread it = “temerlo”. 20. Mistress-piece: Mistris: Peace = “signora: pace”. 1694
Shakespeare IV.indb 1694
30/11/2018 09:33:46
CIMBELINO, ATTO V SCENA 1
servitore non esegue tutti gli ordini che riceve, non esiste obbligo se non per quelli legittimi. O dei, se mi aveste castigato per le colpe precedenti non sarei vissuto abbastanza per macchiarmi di questa; così avreste salvato la nobile Innogene facendola pentire e avreste colpito me, miserabile e più degno di subire la vostra vendetta. Ma, ahimè, voi strappate dalla terra alcuni che commettono colpe minori: è un gesto d’amore, perché non possano più cadere. Ad altri invece lasciate accumulare delitti su delitti, ognuno peggio del precedente, finché si spaventano e si pentono, a loro vantaggio180. Ma ora Innogene è con voi. Sia fatta la vostra sacra volontà e concedetemi la vostra grazia rendendomi ubbidiente. Sono arrivato qui insieme ai nobili italiani per combattere contro il regno della mia sposa. È già troppo, Britannia, che io abbia ucciso la tua figlia modello181; non ti infliggerò altre ferite. Quindi, cieli benevoli, ascoltate clementi le mie intenzioni: mi spoglierò di questi panni italiani e mi presenterò come un contadino britanno. [Si spoglia] Così affronterò quelli con cui sono venuto; così morirò per te, Innogene, che rendi la mia vita una morte a ogni respiro; e così, irriconoscibile, né compianto né odiato, andrò incontro al pericolo. Che gli altri uomini riconoscano più valore in me di quanto non ne mostrino i miei abiti. O dei, datemi la forza dei Leonati. Per svergognare le norme del mondo, stabilirò un nuovo precetto: meno esteriorità, più interiorità. Esce
1695
Shakespeare IV.indb 1695
30/11/2018 09:33:46
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 3
5.2
[A march.] Enter Lucius, Giacomo, and the Roman army at one door, and the Briton army at another, Leonatus Posthumus following like a poor soldier. They march over and go out. [Alarums.] Then enter again in skirmish Giacomo and Posthumus: he vanquisheth and disarmeth Giacomo, and then leaves him
GIACOMO
The heaviness and guilt within my bosom Takes off my manhood. I have belied a lady, The princess of this country, and the air on’t Revengingly enfeebles me; or could this carl, A very drudge of nature’s, have subdued me In my profession? Knighthoods and honours borne As I wear mine are titles but of scorn. If that thy gentry, Britain, go before This lout as he exceeds our lords, the odds Is that we scarce are men and you are gods. Exit 5.3
5
The battle continues. [Alarums. Excursions. The trumpets sound a retreat.] The Britons fly, Cymbeline is taken. Then enter to his rescue Belarius, Guiderius, and Arviragus
BELARIUS
Stand, stand, we have th’advantage of the ground. The lane is guarded. Nothing routs us but The villainy of our fears. GUIDERIUS and ARVIRAGUS Stand, stand, and fight. Enter Posthumus like a poor soldier, and seconds the Britons. They rescue Cymbeline and exeunt
1696
Shakespeare IV.indb 1696
30/11/2018 09:33:46
CIMBELINO, ATTO V SCENA 3
V, 2
[Rumore di soldati in marcia] Entrano Lucio, Giacomo e l’esercito romano da una parte, l’esercito britanno dall’altra, con Postumo Leonato al seguito come soldato semplice. Attraversano la scena ed escono. [Allarmi] Rientrano combattendo Giacomo e Postumo: questi sconfigge e disarma Giacomo e lo lascia182
GIACOMO
Il peso e la colpa che porto nel cuore mi disarmano. Ho diffamato una signora, principessa di questa nazione, e ora per vendetta l’aria di questo paese mi indebolisce, altrimenti come avrebbe potuto questo servo bifolco vincermi nel mio stesso mestiere?183 Cavalierato e onori portati come li porto io sono solo titoli indegni. Se la tua nobiltà, o Britannia, è superiore a questo straccione quanto lui sopravanza i nostri patrizi, vuol dire che noi siamo a stento uomini e voi siete dei. Esce V, 3
La battaglia continua. [Allarmi. Rumori di lotta e squilli di tromba. Le buccine suonano la ritirata]. I britanni fuggono, Cimbelino viene catturato. Poi entrano a liberarlo Belario, Guiderio e Arvirago184
BELARIO
Fermi, fermi, siamo in posizione vantaggiosa. La gola è protetta. Nulla ci può sconfiggere se non la viltà della nostra paura. GUIDERIO e ARVIRAGO Fermi, fermi e combattiamo. Entra Postumo vestito da semplice soldato e aiuta i britanni. Liberano Cimbelino ed escono
1697
Shakespeare IV.indb 1697
30/11/2018 09:33:46
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
5.4
[The trumpets sound a retreat,] then enter Lucius, Giacomo, and Innogen
LUCIUS (to Innogen)
Away, boy, from the troops, and save thyself; For friends kill friends, and the disorder’s such As war were hoodwinked. GIACOMO ’Tis their fresh supplies. LUCIUS
It is a day turned strangely. Or betimes Let’s reinforce, or fly. 5.5
4 Exeunt
Enter Posthumus like a poor soldier, and a Briton Lord
LORD
Cam’st thou from where they made the stand? POSTHUMUS
I did,
Though you, it seems, come from the fliers. LORD
Ay.
POSTHUMUS
No blame be to you, sir, for all was lost, But that the heavens fought. The King himself Of his wings destitute, the army broken, And but the backs of Britons seen, all flying Through a strait lane; the enemy full-hearted, Lolling the tongue with slaught’ring, having work More plentiful than tools to do’t, struck down Some mortally, some slightly touched, some falling Merely through fear, that the strait pass was dammed With dead men hurt behind, and cowards living To die with lengthened shame. LORD Where was this lane?
5
10
POSTHUMUS
Close by the battle, ditched, and walled with turf; Which gave advantage to an ancient soldier, An honest one, I warrant, who deserved So long a breeding as his white beard came to,
15
1698
Shakespeare IV.indb 1698
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
V, 4
[Le buccine suonano la ritirata,] poi entrano Lucio, Giacomo e Innogene185
LUCIO (a Innogene)
Fuggi, ragazzo, abbandona la battaglia e salvati; gli amici uccidono gli amici e il disordine è tale che la guerra stessa sembra cieca. GIACOMO
Sono i rinforzi appena arrivati. LUCIO
Oggi la sorte è girata in modo strano. Contrattacchiamo prima che sia troppo tardi o dovremo fuggire. Escono V, 5
Entrano Postumo, vestito da misero soldato, e un nobile britanno186
NOBILE
Vieni dal luogo in cui hanno resistito? POSTUMO
Sì, mentre voi, a quanto pare, eravate con quelli che sono fuggiti. NOBILE
Sì. POSTUMO
Non vi biasimo, signore, perché sarebbe stato tutto perduto se il cielo stesso non fosse sceso a combattere187. Il re senza più le ali, l’esercito in rotta e solo le schiene dei britanni in vista, tutti in fuga attraverso una gola; il nemico, esaltato e con la lingua di fuori per la foga nel massacrare, con più lavoro da fare che armi per farlo, colpiva alcuni a morte, altri solo di striscio, alcuni cadevano solo per paura, tanto che il passo era ostruito da cadaveri colpiti alle spalle e codardi rimasti vivi per morire di una lenta vergogna. NOBILE
Dov’era questa gola? POSTUMO
Vicina al campo di battaglia, in un avvallamento circondato da terreno scosceso; una posizione favorevole sfruttata da un venerando soldato, davvero rispettabile in fede mia, che si è mostrato degno della sua nobile stirpe lunga quanto la sua barba bianca 1699
Shakespeare IV.indb 1699
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
In doing this for ’s country. Athwart the lane He with two striplings — lads more like to run The country base than to commit such slaughter; With faces fit for masks, or rather fairer Than those for preservation cased, or shame — Made good the passage, cried to those that fled ‘Our Britain’s harts die flying, not her men. ak To darkness fleet souls that fly backwards. Stand, Or we are Romans, and will give you that Like beasts which you shun beastly, and may save But to look back in frown. Stand, stand.’ These three, Three thousand confident, in act as many — For three performers are the fi le when all The rest do nothing — with this word ‘Stand, stand’, Accommodated by the place, more charming With their own nobleness, which could have turned A distaff to a lance, gilded pale looks; Part shame, part spirit renewed, that some, turned coward But by example — O, a sin in war, Damned in the first beginners! — gan to look The way that they did and to grin like lions Upon the pikes o’th’ hunters. Then began A stop i’th’ chaser, a retire. Anon A rout, confusion thick; forthwith they fly Chickens the way which they stooped eagles; slaves, al The strides they victors made; and now our cowards, Like fragments in hard voyages, became The life o’th’ need. Having found the back door open Of the unguarded hearts, heavens, how they wound! Some slain before, some dying, some their friends O’erborne i’th’ former wave, ten chased by one,
20
25
30
35
40
44
24. Harts: hearts = “cuori”. 24. Her: our = “nostri”. 42. Stooped: stopt = “si fermarono”. 1700
Shakespeare IV.indb 1700
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
in ciò che ha compiuto per il suo paese188. Bloccando la gola con due adolescenti – ragazzi più adatti a giocare ai quattro cantoni che a compiere una tale carneficina; con volti degni di indossare la maschera, anzi ancora più leggiadri di quelli che vengono protetti in questo modo dal sole o dagli sguardi altrui – ha tagliato la strada al nemico e ha gridato ai fuggiaschi “I cervi, non gli uomini della Britannia, muoiono fuggendo. Precipitino nelle tenebre quelli che fuggono indietreggiando. Resistete, o diventeremo noi i romani e come bestie vi daremo quello che da bestie cercate di sfuggire e che eviterete solo voltandovi con coraggio. Resistete, resistete”. Questi tre, impavidi come fossero tremila, e tali nell’azione – perché tre valorosi formano un esercito quando tutti gli altri non fanno nulla – con questo incitamento “Resistete, resistete”, avvantaggiati dalla posizione, trascinando molti con un ardimento che avrebbe trasformato persino una conocchia in lancia e ridato colore a volti impalliditi, fanno vergognare alcuni e rincuorano altri, tanto che chi era diventato vile solo per emulazione – oh, una colpa imperdonabile in guerra, maledetto chi la diffonde! – comincia a voltarsi e a mostrare i denti, come fanno i leoni davanti alle picche dei cacciatori. Allora gli inseguitori si fermano improvvisamente e sbandano. Poi una rotta confusa e fuggono come galline per la stessa via su cui prima erano piombati189 come aquile, ritornando come schiavi sui passi che avevano fatto da vincitori. E i nostri, prima codardi, sono diventati vivande in tempo di carestia, come gli avanzi di cibo nelle lunghe traversate. Trovandosi di fronte le schiene indifese dei fuggiaschi, cielo, come hanno infierito! Alcuni già morti, altri in fin di vita, alcuni loro amici travolti dalla prima ondata, quelli che prima in dieci erano
1701
Shakespeare IV.indb 1701
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
Are now each one the slaughterman of twenty. Those that would die or ere resist are grown The mortal bugs o’th’ field. LORD This was strange chance: A narrow lane, an old man, and two boys.
50
POSTHUMUS
Nay, do not wonder at it. Yet you are made Rather to wonder at the things you hear Than to work any. Will you rhyme upon’t, And vent it for a mock’ry? Here is one: ‘Two boys, an old man twice a boy, a lane, Preserved the Britons, was the Romans’ bane.’
55
LORD
Nay, be not angry, sir. ’Lack, to what end? Who dares not stand his foe, I’ll be his friend, For if he’ll do as he is made to do, I know he’ll quickly fly my friendship too. You have put me into rhyme. LORD Farewell; you’re angry. POSTHUMUS
60
Exit POSTHUMUS
Still going? This a lord? O noble misery, To be i’th’ field and ask ‘What news?’ of me! Today how many would have given their honours To have saved their carcasses — took heel to do’t, And yet died too! I, in mine own woe charmed, Could not find death where I did hear him groan, Nor feel him where he struck. Being an ugly monster, ’Tis strange he hides him in fresh cups, soft beds, Sweet words, or hath more ministers than we That draw his knives i’th’ war. Well, I will find him; For being now a favourer to the Briton, No more a Briton, I have resumed again The part I came in. Fight I will no more, But yield me to the veriest hind that shall
65
71
75
1702
Shakespeare IV.indb 1702
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
inseguiti da uno solo ora ne massacrano venti ciascuno. Quelli che prima preferivano morire piuttosto che resistere, ora terrorizzano il campo di battaglia. NOBILE
Un caso davvero strano: una gola, un vecchio e due ragazzi. POSTUMO
No, non c’è nulla di cui stupirsi, solo che voi siete fatto per stupirvi delle cose che udite piuttosto che per compierle. Volete farci una rima e spacciarla come battuta? Eccone una: “Due giovani col vecchio in una gola; vince il britanno, il roman sgattaiola”. NOBILE
Su, non vi adirate, signore. POSTUMO
No di certo, qual mai è la ragione? Il codardo per me è un amicone. Ma se fa tutto ciò che ha imparato pure me fuggirà a perdifiato. Ecco, fate parlare in rima anche me. NOBILE
Addio, siete arrabbiato. Esce POSTUMO
Scappa ancora? E questo è un nobile? O misera nobiltà, stare sul campo di battaglia e chiedermi “Che c’è di nuovo?”! Quanti oggi avrebbero rinunciato al proprio onore per salvare la pelle: se la sono data a gambe per questo, eppure sono morti lo stesso. Io, protetto dalla mia sventura, non sono riuscito a trovare la morte dove la sentivo gemere, né a sfiorarla là dove colpiva. Essendo un mostro orrendo, è strano che si nasconda in coppe tonificanti, letti morbidi, parole dolci, o abbia più agenti di noi che sguainiamo i suoi pugnali in guerra. Ebbene, la troverò; poiché ora favorisce i britanni, non sarò più britanno, tornerò dalla parte con la quale sono venuto190. Non combatterò più ma mi arrenderò al primo
1703
Shakespeare IV.indb 1703
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
Once touch my shoulder. Great the slaughter is Here made by th’ Roman; great the answer be Britons must take. For me, my ransom’s death, On either side I come to spend my breath, Which neither here I’ll keep nor bear again, But end it by some means for Innogen.
80
Enter two Briton Captains, and soldiers FIRST CAPTAIN
Great Jupiter be praised, Lucius is taken. ’Tis thought the old man and his sons were angels.
85
SECOND CAPTAIN
There was a fourth man, in a seely habit, That gave th’affront with them. FIRST CAPTAIN So ’tis reported, But none of ’em can be found. Stand, who’s there? POSTHUMUS A Roman, Who had not now been drooping here if seconds Had answered him. SECOND CAPTAIN (to soldiers) Lay hands on him, a dog! A leg of Rome shall not return to tell What crows have pecked them here. He brags his service As if he were of note. Bring him to th’ King.
90
[Flourish.] Enter Cymbeline [and his train], Belarius, Guiderius, Arviragus, Pisanio, and Roman captives. The Captains present Posthumus to Cymbeline, who delivers him over to a Jailer. Exeunt all but Posthumus and two Jailers, [who lock gyves on his legs] FIRST JAILER
You shall not now be stol’n. You have locks upon you, So graze as you find pasture. SECOND JAILER Ay, or a stomach.
96
Exeunt Jailers
1704
Shakespeare IV.indb 1704
30/11/2018 09:33:47
CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
semplice bifolco che mi prenderà191. Grande è la strage fatta dai romani; grande sarà la vendetta dei britanni. Quanto a me, il mio riscatto è la morte e, che mi schieri da una parte o dall’altra, vengo per esalare l’ultimo respiro; non voglio conservarlo qui né portarlo indietro con me, ma voglio farla finita in un modo o nell’altro, per Innogene. Entrano due Capitani britanni e soldati PRIMO CAPITANO
Sia lodato il grande Giove, Lucio è stato catturato. Tutti pensano che il vecchio e i suoi figli fossero degli angeli. SECONDO CAPITANO
C’era anche un quarto uomo in abiti rustici che è andato all’attacco con loro. PRIMO CAPITANO
Così si dice, ma non si riesce a trovare nessuno di loro. Fermo, chi è là? POSTUMO
Un romano, che ora non sarebbe qui accasciato se i rinforzi avessero combattuto come lui. SECONDO CAPITANO (ai soldati) Prendete questo cane! Neppure una gamba romana deve tornare a casa per raccontare quali corvi l’abbiano beccata qui. Si vanta di ciò che ha fatto come se fosse degno di nota. Portatelo dal re. [Squilli di tromba. Entrano Cimbelino [e il suo seguito], Belario, Guiderio, Arvirago, Pisanio e prigionieri romani. I Capitani presentano Postumo a Cimbelino, che lo consegna a un Carceriere. Escono tutti tranne Postumo e i due Carcerieri [che gli incatenano le gambe]192 PRIMO CARCERIERE
Ecco fatto, così nessuno potrà rubarvi. Siete incatenato, quindi brucate finché avete foraggio193. SECONDO CARCERIERE
Sì, o appetito. Escono i Carcerieri 1705
Shakespeare IV.indb 1705
30/11/2018 09:33:47
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
POSTHUMUS
Most welcome, bondage, for thou art a way, I think, to liberty. Yet am I better Than one that’s sick o’th’ gout, since he had rather Groan so in perpetuity than be cured By th’ sure physician, death, who is the key T’unbar these locks. My conscience, thou art fettered More than my shanks and wrists. You good gods give me The penitent instrument to pick that bolt, Then free for ever. Is’t enough I am sorry? So children temporal fathers do appease; Gods are more full of mercy. Must I repent, I cannot do it better than in gyves Desired more than constrained. To satisfy, If of my freedom ’tis the main part, take No stricter render of me than my all. I know you are more clement than vile men Who of their broken debtors take a third, A sixth, a tenth, letting them thrive again On their abatement. That’s not my desire. For Innogen’s dear life take mine, and though ’Tis not so dear, yet ’tis a life; you coined it. ’Tween man and man they weigh not every stamp; Though light, take pieces for the figure’s sake; You rather mine, being yours. And so, great powers, If you will make this audit, take this life, am And cancel these cold bonds. O Innogen, I’ll speak to thee in silence!
100
105
110
115
121
He sleeps. Solemn music. Enter, as in an apparition, Sicilius Leonatus (father to Posthumus, an old man), attired like a warrior, leading in his hand an ancient matron, his wife, and mother to Posthumus, with music before them. Then, after other music, follows the two young 121. Make: take = “accettate”. 1706
Shakespeare IV.indb 1706
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
POSTUMO
Benvenuta schiavitù, poiché, credo, sei la via alla libertà. Però sono più fortunato di un malato di gotta, perché lui preferirebbe gemere di dolore per sempre piuttosto che essere curato dal medico infallibile, la morte, che è invece la chiave per aprire queste catene. Coscienza mia, sei imprigionata più delle gambe e dei polsi. Voi, dei benigni, datemi il grimaldello della contrizione per toglierle quei ceppi, e allora sarò libero per sempre. È sufficiente essere pentito? I figli si rappacificano così con i padri sulla terra, ma gli dei sono più misericordiosi. Se mi devo pentire, il modo migliore per farlo è in catene, desiderate più che imposte. Come espiazione, non esigete minor sacrificio che tutto me stesso, se è la cosa più importante per ottenere la libertà. So che siete più clementi dei poveri mortali che si accontentano di avere un terzo, un sesto, un decimo dai loro debitori falliti, per consentire a loro di riprendersi. Io non desidero questo. In cambio della cara vita di Innogene prendete la mia che, sebbene non sia altrettanto preziosa, è pur sempre una vita; siete stati voi a coniarla. Tra gli uomini non si pesa ogni singola moneta; anche se una è più leggera, la si accetta per l’effigie che reca; a maggior ragione ricevete la mia, che reca la vostra immagine. E così, potenze celesti, se avallate questa contropartita, prendete la mia vita ed eliminate questi rigidi vincoli194. O Innogene, ti parlerò in silenzio! Si addormenta. Musica solenne. Entra, come in un’apparizione, Sicilio Leonato (padre di Postumo, un uomo anziano) vestito da guerriero, che conduce per mano una anziana matrona, sua moglie e madre di Postumo, con una melodia che li introduce. Dopo un’altra melodia, seguono i due giovani
1707
Shakespeare IV.indb 1707
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
Leonati, brothers to Posthumus, with wounds as they died in the wars. They circle Posthumus round as he lies sleeping SICILIUS
No more, thou thunder-master, show Thy spite on mortal flies. With Mars fall out, with Juno chide, That thy adulteries Rates and revenges. Hath my poor boy done aught but well, Whose face I never saw? I died whilst in the womb he stayed, Attending nature’s law, Whose father then — as men report Thou orphans’ father art — Thou shouldst have been, and shielded him From this earth-vexing smart.
125
130
135
MOTHER
Lucina lent not me her aid, But took me in my throes, That from me was Posthumus ripped, Came crying ’mongst his foes, A thing of pity.
140
SICILIUS
Great nature like his ancestry Moulded the stuff so fair That he deserved the praise o’th’ world As great Sicilius’ heir.
145
FIRST BROTHER
When once he was mature for man, In Britain where was he That could stand up his parallel, Or fruitful object be In eye of Innogen, that best Could deem his dignity?
150
1708
Shakespeare IV.indb 1708
30/11/2018 09:33:47
CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
Leonati, fratelli di Postumo, con le ferite per le quali morirono in guerra. Formano un cerchio intorno a Postumo mentre dorme. SICILIO
Non mostrare, signore del tuono, il tuo sdegno alle mosche mortali. A Marte fai guerra, poi sgrida Giunone che d’adulterio t’accusa e castiga. E questo figlio che mai ho veduto che altro ha fatto se non la giustizia? Quando son morto era ancora nel grembo, nel pieno ossequio della natura, Suo padre allora – dice la gente che tu degli orfani sei il vero padre – esser dovevi per salvaguardarlo da questi nostri dolori terreni. MADRE
Non mi dette Lucina assistenza, nel travaglio mi prese la vita. Mi strapparono il figlio dal corpo, piangendo nacque tra nemici grandi oggetto di pietà, di compassione. SICILIO
Come ai suoi avi, la grande natura di tal bellezza gli plasmò la cera che la lode del mondo ha meritato come rampollo del grande Sicilio. PRIMO FRATELLO
Cresciuto, poi, quand’era ormai maturo chi mai c’è stato in tutta la Britannia che un poco a lui poteva somigliare; chi c’è stato d’amore degno oggetto allo sguardo di Innogene sagace, che intuir seppe il suo grande valore?
1709
Shakespeare IV.indb 1709
30/11/2018 09:33:47
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
MOTHER
With marriage wherefore was he mocked, To be exiled, and thrown From Leonati seat and cast From her his dearest one, Sweet Innogen?
155
SICILIUS
Why did you suffer Giacomo, Slight thing of Italy, To taint his nobler heart and brain With needless jealousy, And to become the geck and scorn O’th’ other’s villainy?
160
SECOND BROTHER
For this from stiller seats we come, Our parents and us twain, That striking in our country’s cause Fell bravely and were slain, Our fealty and Tenantius’ right With honour to maintain.
165
FIRST BROTHER
Like hardiment Posthumus hath To Cymbeline performed. Then, Jupiter, thou king of gods, Why hast thou thus adjourned The graces for his merits due, Being all to dolours turned?
170
SICILIUS
Thy crystal window ope; look out; an No longer exercise Upon a valiant race thy harsh And potent injuries.
175
MOTHER
Since, Jupiter, our son is good, Take off his miseries.
180
175. Look out: looke / looke out. 1710
Shakespeare IV.indb 1710
30/11/2018 09:33:47
CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
MADRE
Perché mai fu beffato con le nozze seguite dall’esilio, senza il posto che s’addice ai Leonati195 e al loro nome, lontano da colei che ha così cara la dolce sposa Innogene regale? SICILIO
Perché a Giacomo e al suo bieco inganno, bugiardo dell’Italia, gran furfante, concedeste colpire un cuore puro, già ricolmato di sciocca gelosia, ora oggetto di scherno diventato della perfidia di gente villana? SECONDO FRATELLO
Per questo noi dal cielo discendiamo, noi due fratelli col padre e la madre, noi che cademmo per amor di patria ed il nostro valore dimostrammo, perché a Tenanzio rimanesse intatto il diritto e la nostra fedeltà. PRIMO FRATELLO
Ha il nostro Postumo pari ardimento per Cimbelino la spada ha snudato. Giove, potente monarca divino tu con durezza perché non gli hai dato la ricompensa da lui meritata, ma lo colpisci così duramente? SICILIO
Apri la porta di puro cristallo, guarda e sospendi benigno lo sdegno per una stirpe d’onore assai degna che tu colpisti con grande potenza. MADRE
Questo mio figlio ha un’indole buona, le sue miserie, pietoso, rimuovi.
1711
Shakespeare IV.indb 1711
30/11/2018 09:33:47
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
SICILIUS
Peep through thy marble mansion. Help, Or we poor ghosts will cry To th’ shining synod of the rest Against thy deity. BROTHERS
Help, Jupiter, or we appeal, And from thy justice fly.
185
Jupiter descends in thunder and lightning, sitting upon an eagle. He throws a thunderbolt. The ghosts fall on their knees JUPITER
No more, you petty spirits of region low, Offend our hearing. Hush! How dare you ghosts Accuse the thunderer, whose bolt, you know, Sky-planted, batters all rebelling coasts? Poor shadows of Elysium, hence, and rest Upon your never-withering banks of flowers. Be not with mortal accidents oppressed; No care of yours it is; you know ’tis ours. Whom best I love, I cross, to make my gift, The more delayed, delighted. Be content. Your low-laid son our godhead will uplift. His comforts thrive, his trials well are spent. Our Jovial star reigned at his birth, and in Our temple was he married. Rise, and fade. He shall be lord of Lady Innogen, And happier much by his affliction made. This tablet lay upon his breast, wherein Our pleasure his full fortune doth confine.
190
195
200
He gives the ghosts a tablet which they lay upon Posthumus’ breast And so away. No farther with your din Express impatience, lest you stir up mine. Mount, eagle, to my palace crystalline.
205
1712
Shakespeare IV.indb 1712
30/11/2018 09:33:47
CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
SICILIO
Osserva dal palazzo tuo di marmo, dacci l’aiuto che noi ti chiediamo o per protesta noi poveri spettri lamenti e grida al sinodo alzeremo. FRATELLI
Dacci soccorso o per ripicca, Giove, la tua giustizia, irati, scorderemo. Giove discende tra lampi e tuoni, seduto su un’aquila. Scaglia un fulmine196 . Gli spettri si inginocchiano. GIOVE
Voi che abitate le regioni basse, non oltraggiate la nostra pazienza. L’onnipotente osate denunciare, lui che dai cieli col tuono governa? Povere ombre che in Elisio state, fate ritorno alle lande fiorite senza crucciarvi dei casi mortali. A noi spetta la cura, a voi non tocca; A quelli che più amo do sventure: se ritardato, il dono è più gradito. Gioite, vostro figlio vien rialzato, buon fine le sue pene hanno sortito. Brillava ai suoi natali la mia stella, le nozze ha celebrato al nostro tempio. Ora sparite; lui sarà il signore di Innogene casta; e più felice per aver conosciuto l’afflizione. Ecco il messaggio197 da porgli sul petto: la sua letizia con piacere decreto. Dà agli spettri una tavoletta che essi depongono sul petto di Postumo Andate ma cessate un tal frastuono O mi farete perdere la pazienza. Aquila, orsù, al palazzo di cristallo. 1713
Shakespeare IV.indb 1713
30/11/2018 09:33:47
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
He ascends into the heavens SICILIUS
He came in thunder. His celestial breath Was sulphurous to smell. The holy eagle Stooped, as to foot us. His ascension is More sweet than our blest fields. His royal bird Preens the immortal wing and claws his beak ao As when his god is pleased. ALL THE GHOSTS Thanks, Jupiter.
210
SICILIUS
The marble pavement closes, he is entered His radiant roof. Away, and, to be blest, Let us with care perform his great behest.
215
The ghosts vanish Posthumus awakes POSTHUMUS
Sleep, thou hast been a grandsire, and begot A father to me; and thou hast created A mother and two brothers. But, O scorn, Gone! They went hence so soon as they were born, And so I am awake. Poor wretches that depend On greatness’ favour dream as I have done, Wake and find nothing. But, alas, I swerve. Many dream not to find, neither deserve, And yet are steeped in favours; so am I, That have this golden chance and know not why. What fairies haunt this ground? A book? O rare one, Be not, as is our fangled world, a garment Nobler than that it covers. Let thy effects So follow to be most unlike our courtiers, As good as promise.
221
225
230
He reads
212. Preens: Prunes con identico significato. 212. Claws: cloyes con identico significato. 1714
Shakespeare IV.indb 1714
30/11/2018 09:33:47
CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
Sale al cielo SICILIO
Sceso col tuono, il fiato celeste come zolfo emanò; l’aquila sacra minacciosa planò. La risalita è dei fiori più dolce198. Ecco, l’uccello le penne si rassetta e muove il rostro testimoniando divina gioia. TUTTI
Grazie, Giove. SICILIO
Chiuso di marmo il selciato, rientra Giove nell’atrio di luce radiante. Solerti diamo ascolto al suo comando. Gli spettri svaniscono Postumo si sveglia POSTUMO
Sonno, mi hai fatto da antenato: hai concepito per me un padre e hai creato una madre e due fratelli. Ma, che beffa, sono spariti! Scappati via appena nati, e così ora son sveglio. I poveri infelici che dipendono dal favore dei grandi sognano come me, si risvegliano e non trovano nulla. Ma, ahimè, sto perdendo il filo. Molti sono colmati di onori che non sognano di ottenere, né meritano; anch’io ho quest’occasione d’oro e non so perché. Quali folletti infestano questo luogo? Un messaggio? O scritto prezioso, non essere, come nel nostro mondo fatto di apparenze, un abito più nobile di ciò che riveste. Spero che, a differenza dei nostri cortigiani, il tuo contenuto sia propizio come sembra. Legge
1715
Shakespeare IV.indb 1715
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
‘Whenas a lion’s whelp shall, to himself unknown, without seeking find, and be embraced by a piece of tender air; and when from a stately cedar shall be lopped branches which, being dead many years, shall after revive, be jointed to the old stock, and freshly grow; then shall Posthumus end his miseries, Britain be fortunate and flourish in peace and plenty.’ ’Tis still a dream, or else such stuff as madmen Tongue, and brain not; either both, or nothing, Or senseless speaking, or a speaking such As sense cannot untie. Be what it is, The action of my life is like it, which I’ll keep, If but for sympathy.
240
Enter Jailer JAILER Come, sir, are you ready for death?
245
POSTHUMUS Over-roasted rather; ready long ago. JAILER Hanging is the word, sir. If you be ready for that,
you are well cooked. POSTHUMUS So, if I prove a good repast to the spectators, the dish pays the shot. JAILER A heavy reckoning for you, sir. But the comfort is, you shall be called to no more payments, fear no more tavern bills, which are as often the sadness of parting as the procuring of mirth. You come in faint for want of meat, depart reeling with too much drink, sorry that you have paid too much and sorry that you are paid too much; purse and brain both empty: the brain the heavier for being too light, the purse too light, being drawn of heaviness. Of this contradiction you shall now be quit. O, the charity of a penny cord! It sums up thousands in a trice. You have no true debitor and creditor but it: of what’s past, is, and to come the discharge. Your neck, sir, is pen, book, and counters; so the acquittance follows. POSTHUMUS I am merrier to die than thou art to live.
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1716
Shakespeare IV.indb 1716
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
“Quando un cucciolo di leone, a sua insaputa e senza cercarla, troverà e sarà avvolto da un’aria assai dolce, e quando da un cedro maestoso saranno tagliati i rami che, secchi da anni, torneranno a germogliare, saranno innestati nel vecchio tronco e cresceranno nuovamente, allora cesseranno le miserie di Postumo, la Britannia sarà felice e prospererà nella pace e nell’abbondanza”. È ancora un sogno, oppure una di quelle cose che i pazzi farfugliano senza capire; o è tutte e due o nessuna delle due; o sono parole senza ragione, o parole che la ragione non riesce a svelare. Sia quel che sia, la mia vita è come questo scritto: lo conserverò, anche solo perché si addice alla mia situazione. Entra un carceriere CARCERIERE
Allora, signore, siete preparato alla fine? POSTUMO
Prontissimo; preparato lo ero già da un pezzo. CARCERIERE
Finirete appeso, signore. Se siete pronto a questo, allora siete davvero fritto199. POSTUMO
Così, se sarò un buon pasto per gli spettatori, sarà valsa la spesa. CARCERIERE
Un conto piuttosto salato, signore. L’unica consolazione è che poi non ci sarà più nulla da pagare, né preoccuparsi di saldare i conti nelle taverne, che quando ci si saluta procurano così spesso tristezza o ilarità. Entri sfinito dalla fame e te ne vai barcollante per il troppo vino, triste per quanto hai pagato e triste per quanto ti resta: la borsa vuota e la testa pure. La testa più pesante perché è stata troppo leggera, la borsa troppo leggera perché le è stato tolto ciò che l’appesantiva. Ora sarete liberato da queste contraddizioni. Oh, che carità ha una corda da un soldo! Ne liquida a migliaia in un colpo solo200. Basta col dare e avere: solo lo scarico di ciò che è stato, è e sarà 201. Il vostro collo, signore, fa da penna, registro e pallottoliere, così l’esecuzione è pagata. POSTUMO
Sono più lieto io di morire di quanto non sia tu di vivere. 1717
Shakespeare IV.indb 1717
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 5
JAILER Indeed, sir, he that sleeps feels not the toothache;
but a man that were to sleep your sleep, and a hangman to help him to bed, I think he would change places with his officer; for look you, sir, you know not which way you shall go. POSTHUMUS Yes, indeed do I, fellow. JAILER Your death has eyes in ’s head, then. I have not seen him so pictured. You must either be directed by some that take upon them to know, or take upon yourself that which I am sure you do not know, or jump the after-enquiry on your own peril; and how you shall speed in your journey’s end I think you’ll never return to tell on. POSTHUMUS I tell thee, fellow, there are none want eyes to direct them the way I am going but such as wink and will not use them. JAILER What an infinite mock is this, that a man should have the best use of eyes to see the way of blindness! I am sure hanging’s the way of winking.
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Enter a Messenger MESSENGER Knock off his manacles, bring your prisoner
to the King. POSTHUMUS Thou bring’st good news, I am called to be made free. JAILER I’ll be hanged then. POSTHUMUS Thou shalt be then freer than a jailer; no bolts for the dead. JAILER (aside) Unless a man would marry a gallows and beget young gibbets, I never saw one so prone. Yet, on my conscience, there are verier knaves desire to live,
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Shakespeare IV.indb 1718
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 5
CARCERIERE
Senza dubbio, signore, chi dorme non sente il mal di denti, ma un uomo che dovesse dormire il vostro sonno con un boia a metterlo a letto, credo preferirebbe prendere il posto del suo aiutante. Vedete, signore, voi non sapete che strada farete. POSTUMO
Sì, invece, amico mio. CARCERIERE
Allora il vostro teschio ha gli occhi, anche se non ne ho mai visto uno rappresentato così. Dovete essere condotto da qualcuno che sostiene di sapere la strada, o illudervi di sapere voi stesso qualcosa che di sicuro non conoscete, oppure saltare direttamente al giudizio finale a vostro rischio e pericolo. E comunque vada a finire il vostro viaggio, non penso che tornerete indietro a raccontarlo. POSTUMO
Ti dico, amico, che nessuno è così cieco da non vedere la strada che percorrerò se non quelli che chiudono gli occhi e non li vogliono usare. CARCERIERE
Che beffa infinita che un uomo debba usare al meglio i propri occhi per vedere la strada della cecità! Sono certo che la forca è un modo per strizzare gli occhi. Entra un messaggero MESSAGGERO
Toglietegli le catene, portate il prigioniero al cospetto del re. POSTUMO
Tu porti buone notizie, vengo chiamato per essere liberato. CARCERIERE
Che io sia impiccato! POSTUMO
Allora sarai più libero di un carceriere: non ci sono ceppi per i morti. CARCERIERE (a parte) A meno che un uomo voglia sposare la forca e far nascere tanti piccoli patiboli, non ho mai visto uno così incline alla morte. Tuttavia, in fede mia, ci sono dei furfanti peggiori, nonostante lui sia 1719
Shakespeare IV.indb 1719
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
for all he be a Roman; and there be some of them, too, that die against their wills; so should I if I were one. I would we were all of one mind, and one mind good. O, there were desolation of jailers and gallowses! I speak against my present profit, but my wish hath a preferment in’t. Exeunt 5.6
[Flourish.] Enter Cymbeline, Belarius, Guiderius, Arviragus, Pisanio, and lords
CYMBELINE (to Belarius, Guiderius, and Arviragus)
Stand by my side, you whom the gods have made Preservers of my throne. Woe is my heart That the poor soldier that so richly fought, Whose rags shamed gilded arms, whose naked breast Stepped before targs of proof, cannot be found. He shall be happy that can find him, if Our grace can make him so. BELARIUS I never saw Such noble fury in so poor a thing, Such precious deeds in one that promised naught But beggary and poor looks. CYMBELINE No tidings of him?
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PISANIO
He hath been searched among the dead and living, But no trace of him. CYMBELINE To my grief I am The heir of his reward, which I will add (To Belarius, Guiderius, and Arviragus) To you, the liver, heart, and brain of Britain, By whom I grant she lives. ’Tis now the time To ask of whence you are. Report it. BELARIUS Sir, In Cambria are we born, and gentlemen. Further to boast were neither true nor modest, Unless I add we are honest.
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1720
Shakespeare IV.indb 1720
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
un romano, che desiderano vivere e anche tra loro alcuni muoiono controvoglia. Anch’io farei così, se fossi uno di loro. Vorrei che avessimo tutti le stesse opinioni, e opinioni buone. Oh, ci sarebbe una totale assenza di carcerieri e forche! Parlo contro il mio interesse ma il mio desiderio porterebbe una promozione202. Escono V, 6
[Fanfara] Entrano Cimbelino Belario, Guiderio, Arvirago, Pisanio e i nobili203
CIMBELINO (a Belario, Guiderio e Arvirago)
State al mio fianco, voi che per volere degli dei siete stati salvatori del mio trono. Triste è il mio cuore che il povero soldato che combatté tanto valorosamente, i cui stracci hanno umiliato armature dorate e il cui petto nudo ha sottomesso scudi provati, non si riesca a trovare. Felice colui che lo ritroverà, se tale può renderlo il nostro favore. BELARIO
Non ho mai visto un ardore così nobile in una creatura così umile, gesta tanto valorose in uno che dall’aspetto non prometteva altro che miseria e abiezione. CIMBELINO
Nesuna notizia di lui? PISANIO
È stato cercato tra i vivi e tra i morti, ma di lui non c’è traccia. CIMBELINO
Con grande rammarico eredito la ricompensa che gli spetta e che aggiungerò (a Belario, Guiderio e Arvirago) a quella destinata a voi, fegato, cuore e mente204 della Britannia, per il cui merito, lo ammetto, essa vive ancora. È ora di sapere da dove venite. Parlate. BELARIO
Sire, siamo nati in Cambria, di nobili origini. Vantarsi di più non sarebbe giusto né discreto, se non per aggiungere che siamo onesti.
1721
Shakespeare IV.indb 1721
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
CYMBELINE
Bow your knees.
They kneel. He knights them Arise, my knights o’th’ battle. I create you Companions to our person, and will fit you With dignities becoming your estates.
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Belarius, Guiderius, and Arviragus rise. Enter Cornelius and Ladies There’s business in these faces. Why so sadly Greet you our victory? You look like Romans, And not o’th’ court of Britain. CORNELIUS Hail, great King! To sour your happiness I must report The Queen is dead. CYMBELINE Who worse than a physician Would this report become? But I consider By medicine life may be prolonged, yet death Will seize the doctor too. How ended she?
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CORNELIUS
With horror, madly dying, like her life, Which being cruel to the world, concluded Most cruel to herself. What she confessed I will report, so please you. These her women Can trip me if I err, who with wet cheeks Were present when she finished. CYMBELINE Prithee, say.
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CORNELIUS
First, she confessed she never loved you, only Affected greatness got by you, not you; Married your royalty, was wife to your place, Abhorred your person. CYMBELINE She alone knew this, And but she spoke it dying, I would not Believe her lips in opening it. Proceed.
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Shakespeare IV.indb 1722
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
CIMBELINO
Inginocchiatevi. Si inginocchiano. Li nomina cavalieri Alzatevi, cavalieri sul campo205. Vi nomino compagni della nostra persona e vi conferirò onori degni del vostro rango. Belario, Guiderio e Arvirago si alzano. Entrano Cornelio e le dame Qualcosa di serio traspare da questi volti. Perché salutate la nostra vittoria con tanta tristezza? Sembrate romani e non membri della corte britanna. CORNELIO
Salute, grande re! A rendere amara la tua letizia, devo informarvi che la regina è morta. CIMBELINO
Chi peggio di un medico potrebbe dare un tale annuncio. Però, a pensarci bene, la medicina può sì allungare la vita, ma comunque la morte coglierà anche il medico. Come è morta? CORNELIO
In modo orribile, furiosa come la sua stessa vita che, già crudele verso il mondo, si è conclusa crudelissima verso se stessa. Vi dirò ciò che ha confessato, se lo vorrete. Se sbaglio possono correggermi queste sue dame, che l’assistevano in lacrime quando è morta. CIMBELINO
Ti prego, parla. CORNELIO
Per prima cosa ha confessato di non avervi mai amato; desiderava soltanto il potere ottenuto grazie a voi, non voi. Ha sposato la vostra regalità, era moglie del vostro trono ma aborriva la vostra persona. CIMBELINO
Lei sola ne era a conoscenza e se non l’avesse confessato in punto di morte non avrei creduto a una tale rivelazione dalle sue labbra. Continua.
1723
Shakespeare IV.indb 1723
30/11/2018 09:33:48
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
CORNELIUS
Your daughter, whom she bore in hand to love With such integrity, she did confess Was as a scorpion to her sight, whose life, But that her flight prevented it, she had Ta’en off by poison. CYMBELINE O most delicate fiend! Who is’t can read a woman? Is there more?
45
CORNELIUS
More, sir, and worse. She did confess she had For you a mortal mineral which, being took, Should by the minute feed on life, and, ling’ring, By inches waste you. In which time she purposed By watching, weeping, tendance, kissing, to O’ercome you with her show; and in fine, ap When she had fit you with her craft, to work Her son into th’adoption of the crown; But failing of her end by his strange absence, Grew shameless-desperate, opened in despite Of heaven and men her purposes, repented The evils she hatched were not effected; so Despairing died. CYMBELINE Heard you all this, her women?
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[LADIES]
We did, so please your highness. CYMBELINE Mine eyes Were not in fault, for she was beautiful; Mine ears that heard her flattery, nor my heart That thought her like her seeming. It had been vicious To have mistrusted her. Yet, O my daughter, That it was folly in me thou mayst say, And prove it in thy feeling. Heaven mend all!
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Enter Lucius, Giacomo, Soothsayer, and other Roman prisoners, Posthumus behind, and Innogen dressed as a man, all guarded by Briton soldiers 54. And in fine: and in time = “e col tempo”. 1724
Shakespeare IV.indb 1724
30/11/2018 09:33:48
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
CORNELIO
Quanto a vostra figlia, che fingeva di amare con tanto affetto, ha confessato che era uno scorpione alla sua vista e le avrebbe tolto la vita col veleno, se la sua fuga non l’avesse impedito. CIMBELINO
Oh, scaltro demonio!206 Chi capirà mai le donne? C’è altro? CORNELIO
Sì, mio signore, e ancora peggiore. Ha confessato di aver pronto per voi un composto mortale che, una volta ingerito, vi avrebbe succhiato la vita di minuto in minuto e consumato lentamente. Intanto vegliandovi, piangendo, accudendovi e baciandovi, lei intendeva soggiogarvi con la sua ipocrisia e infine, una volta disposto di voi 207 con la sua abilità, ottenere per suo figlio l’eredità al trono. Non potendo raggiungere i suoi scopi a causa della inspiegabile assenza di costui, è stata presa da una furia indegna, ha rivelato i suoi piani a dispetto del cielo e degli uomini e, adirata perché i crimini da lei orditi non si erano compiuti, è morta disperata. CIMBELINO
Voi, sue dame, avete udito tutto? [DAME]
Sì, piaccia a vostra altezza. CIMBELINO
I miei occhi non avevano colpa, poiché lei era bella; né le mie orecchie, che udirono le sue lusinghe, né il mio cuore che la riteneva simile al suo aspetto. Sarebbe stato irragionevole non fidarsi di lei. Però, figlia mia, che fosse follia in me tu dovevi dirmelo, e dimostrarlo con i tuoi sentimenti. Che il cielo rimedi a tutto! Entrano Lucio, Giacomo, l’indovino e altri prigionieri romani, poi Postumo e Innogene vestita da uomo, tutti sorvegliati da soldati britanni.
1725
Shakespeare IV.indb 1725
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
Thou com’st not, Caius, now for tribute. That The Britons have razed out, though with the loss Of many a bold one; whose kinsmen have made suit That their good souls may be appeased with slaughter Of you, their captives, which ourself have granted. So think of your estate.
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LUCIUS
Consider, sir, the chance of war. The day Was yours by accident. Had it gone with us, We should not, when the blood was cool, have threatened Our prisoners with the sword. But since the gods Will have it thus, that nothing but our lives May be called ransom, let it come. Sufficeth A Roman with a Roman’s heart can suffer. Augustus lives to think on’t; and so much For my peculiar care. This one thing only I will entreat:
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He presents Innogen to Cymbeline my boy, a Briton born, Let him be ransomed. Never master had A page so kind, so duteous, diligent, So tender over his occasions, true, So feat, so nurse-like; let his virtue join With my request, which I’ll make bold your highness Cannot deny. He hath done no Briton harm, Though he have served a Roman. Save him, sir, And spare no blood beside. CYMBELINE I have surely seen him. His favour is familiar to me. Boy, Thou hast looked thyself into my grace, And art mine own. I know not why, wherefore, To say ‘Live, boy’. Ne’er thank thy master. Live, And ask of Cymbeline what boon thou wilt Fitting my bounty and thy state, I’ll give it,
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Shakespeare IV.indb 1726
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
Ora non vieni per esigere il tributo, Caio. I britanni lo hanno cancellato, pur con la morte di molti valorosi. I loro parenti hanno richiesto che le loro anime buone siano placate con il sacrificio di voi prigionieri, e noi l’abbiamo concesso. Dunque, pensate alla condizione in cui vi trovate. LUCIO
Sire, considerate gli imprevisti della guerra. La vittoria è stata vostra per puro caso. Se avesse arriso a noi, non avremmo minacciato a sangue freddo i prigionieri di morte. Ma poiché gli dei hanno voluto che solo le nostre vite possano fare da riscatto, ebbene sia così. A un romano basta saper soffrire da romano. Augusto vive e provvederà; questo è tutto per quanto mi riguarda. Questo solo chiedo: Presenta Innogene a Cimbelino che il mio ragazzo, di origine britanna, possa essere riscattato e vivere. Nessun padrone ha mai avuto un paggio così gentile, devoto, diligente, solerte ai suoi bisogni, verace, così amabile, così premuroso. Che le sue virtù rafforzino la mia richiesta che, ho l’ardire di credere, vostra altezza non può rifiutare. Non ha colpito alcun britanno sebbene fosse al servizio di un romano. Lasciatelo andare sano e salvo, signore, e non salvate nessun altro. CIMBELINO
Sono certo di averlo già visto, il suo volto mi è familiare. Ragazzo, hai ottenuto il mio favore con il tuo sguardo, mi appartieni. Non so chi o che cosa mi induca a dire “Vivi, ragazzo”. Non ringraziare il tuo padrone. Vivi e chiedi a Cimbelino la grazia che desideri. Se
1727
Shakespeare IV.indb 1727
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
Yea, though thou do demand a prisoner The noblest ta’en. INNOGEN I humbly thank your highness.
100
LUCIUS
I do not bid thee beg my life, good lad, And yet I know thou wilt. INNOGEN No, no. Alack, There’s other work in hand. I see a thing Bitter to me as death. Your life, good master, Must shuffle for itself. LUCIUS The boy disdains me. He leaves me, scorns me. Briefly die their joys That place them on the truth of girls and boys. Why stands he so perplexed? CYMBELINE (to Innogen) What wouldst thou, boy? I love thee more and more; think more and more What’s best to ask. Know’st him thou look’st on? Speak, Wilt have him live? Is he thy kin, thy friend?
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110
INNOGEN
He is a Roman, no more kin to me Than I to your highness, who, being born your vassal, Am something nearer. CYMBELINE Wherefore ey’st him so? INNOGEN
I’ll tell you, sir, in private, if you please To give me hearing. CYMBELINE Ay, with all my heart, And lend my best attention. What’s thy name?
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INNOGEN
Fidele, sir. Thou’rt my good youth, my page. I’ll be thy master. Walk with me, speak freely.
CYMBELINE
Cymbeline and Innogen speak apart
1728
Shakespeare IV.indb 1728
30/11/2018 09:33:48
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
si accorda con la mia generosità e la tua condizione la concederò, fosse anche la grazia per il prigioniero più illustre. INNOGENE
Ringrazio umilmente vostra altezza. LUCIO
Non ti chiedo ti intercedere per la mia vita, mio buon ragazzo, anche se so che lo farai. INNOGENE
No, no. Ahimè, c’è ben altro che mi interessa. Vedo una cosa che per me è amara come la morte. La vostra vita, mio buon padrone, deve cavarsela da sola. LUCIO
Il ragazzo mi ripudia. Mi abbandona, mi disprezza. Presto muoiono le gioie che si fondano sulla lealtà dei giovani. Perché mai è così sconvolto? CIMBELINO (a Innogene) Che cosa desideri, ragazzo? Ti voglio sempre più bene; pensa bene a che cosa è meglio chiedere. Conosci l’uomo che stai fissando? Parla, vuoi che viva? È tuo parente, tuo amico? INNOGENE
È un romano, mio parente non più di quanto io lo sia di voi; sebbene, essendo nato vostro servo, io vi sia assai più prossimo. CIMBELINO
Allora perché lo guardi così? INNOGENE
Ve lo dirò, sire, in privato, se gradirete darmi ascolto. CIMBELINO
Certo, con tutto il cuore, porrò la massima attenzione. Qual è il tuo nome? INNOGENE
Fidele, sire. CIMBELINO
Sei il mio bravo ragazzo, il mio paggio, io sarò il tuo padrone. Vieni con me e parla liberamente. Cimbelino e Innogene parlano in disparte
1729
Shakespeare IV.indb 1729
30/11/2018 09:33:48
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
BELARIUS (aside to Guiderius and Arviragus)
Is not this boy revived from death? One sand another Not more resembles that sweet rosy lad Who died, and was Fidele. What think you? GUIDERIUS The same dead thing alive. ARVIRAGUS
121
BELARIUS
Peace, peace, see further. He eyes us not. Forbear. Creatures may be alike. Were’t he, I am sure He would have spoke to us. GUIDERIUS But we see him dead.
125
BELARIUS
Be silent; let’s see further. PISANIO (aside)
It is my mistress. Since she is living, let the time run on To good or bad. CYMBELINE (to Innogen) Come, stand thou by our side, Make thy demand aloud. (To Giacomo) Sir, step you forth. Give answer to this boy, and do it freely, Or, by our greatness and the grace of it, Which is our honour, bitter torture shall Winnow the truth from falsehood. (To Innogen) On, speak to him.
130
INNOGEN
My boon is that this gentleman may render Of whom he had this ring. POSTHUMUS (aside) What’s that to him? CYMBELINE (to Giacomo) That diamond upon your finger, say, How came it yours?
135
GIACOMO
Thou’lt torture me to leave unspoken that Which to be spoke would torture thee. CYMBELINE How, me?
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1730
Shakespeare IV.indb 1730
30/11/2018 09:33:49
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
BELARIO (a parte a Guiderio e Arvirago)
Non è che quel ragazzo è risuscitato? ARVIRAGO
Un granello di sabbia non assomiglia a un altro più di costui al dolce e roseo fanciullo che è morto ed era Fidele208. Che ne pensate? GUIDERIO
Lo stesso morto che rivive. BELARIO
Calma, calma, osserviamolo meglio. Non ci guarda. Aspettiamo. Ci sono creature che si somigliano molto. Se fosse lui sono sicuro che ci avrebbe parlato. GUIDERIO
Ma l’abbiamo visto morto. BELARIO
Silenzio, stiamo a vedere. PISANIO (a parte)
È la mia padrona. Visto che è viva, lasciamo che il tempo faccia il suo corso, nel bene o nel male. CIMBELINO (a Innogene) Vieni, mettiti al nostro fianco e fa la tua domanda a voce alta. (A Giacomo) Signore, fate un passo avanti. Rispondete a questo ragazzo e con franchezza, o per la nostra grandezza e la sua grazia che ci rende onore, un’atroce tortura vaglierà la verità dalla menzogna. (A Innogene) Avanti, parlagli. INNOGENE
La grazia che chiedo è che questo gentiluomo riveli da chi ha avuto questo anello. POSTUMO (a parte) E a lui che importa? CIMBELINO (a Giacomo) Quel diamante che portate al dito, parlate, come l’avete avuto? GIACOMO
Mi tortureresti perché io non dicessi quello che, una volta detto, ti torturerebbe. CIMBELINO
Come, me?
1731
Shakespeare IV.indb 1731
30/11/2018 09:33:49
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
GIACOMO
I am glad to be constrained to utter that Torments me to conceal. By villainy I got this ring; ’twas Leonatus’ jewel, Whom thou didst banish; and, which more may grieve thee, As it doth me, a nobler sir ne’er lived ’Twixt sky and ground. Wilt thou hear more, my lord?
145
CYMBELINE
All that belongs to this. That paragon thy daughter, For whom my heart drops blood, and my false spirits Quail to remember — give me leave, I faint.
GIACOMO
CYMBELINE
My daughter? What of her? Renew thy strength. I had rather thou shouldst live while nature will Than die ere I hear more. Strive, man, and speak.
150
GIACOMO
Upon a time — unhappy was the clock That struck the hour — it was in Rome — accursed The mansion where — ’twas at a feast — O, would Our viands had been poisoned, or at least Those which I heaved to head! — the good Posthumus — What should I say? — he was too good to be Where ill men were, and was the best of all Amongst the rar’st of good ones — sitting sadly, Hearing us praise our loves of Italy For beauty that made barren the swelled boast Of him that best could speak; for feature laming The shrine of Venus or straight-pitched Minerva, Postures beyond brief nature; for condition, A shop of all the qualities that man Loves woman for; besides that hook of wiving, Fairness which strikes the eye — CYMBELINE I stand on fire. Come to the matter.
155
160
165
1732
Shakespeare IV.indb 1732
30/11/2018 09:33:49
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
GIACOMO
Sono lieto di essere costretto a raccontare ciò che mi tormenta tenere nascosto. Con uno spregevole inganno ho ottenuto quest’anello; era il gioiello di Leonato, che tu hai bandito e che è, cosa che forse ti farà soffrire di più così come angustia me, il gentiluomo più nobile che mai sia esistito tra cielo e terra. Vuoi sentire altro, mio signore? CIMBELINO
Tutto ciò che riguarda questa vicenda. GIACOMO
Quel modello di virtù di tua figlia, per la quale il mio cuore gronda sangue e il mio animo corrotto trema nel ricordare – scusate, mi sento mancare. CIMBELINO
Mia figlia? Che vuoi dire? Riprenditi. Preferisco che tu viva fintanto che la natura te lo concede, piuttosto che tu muoia prima di dirmi quello che sai. Fa’ uno sforzo e parla. GIACOMO
Un po’ di tempo fa – infausto l’orologio che battè quell’ora – è stato a Roma – maledetta la casa in cui – a un banchetto – ah, se le pietanze fossero state avvelenate, o almeno quelle che che mi portai alla bocca! – il nobile Postumo – che dire? – era troppo onesto per stare insieme a uomini malvagi ed era il migliore di tutti tra i più nobili degli onesti – seduto tristemente, sentendoci esaltare la bellezza delle nostre amanti italiane con parole che avrebbero fatto impallidire la lode sperticata del miglior retore; le loro caratteristiche che facevano sembrare deforme il divino corpo di Venere o il portamento eretto di Minerva, e le loro fattezze superiori a quelle di qualsiasi essere umano; il loro carattere che era un campionario di tutte le qualità che un uomo ama in una donna; e poi quella che è l’esca per il matrimonio, la bellezza che colpisce l’occhio… CIMBELINO
Sto sui carboni ardenti. Vieni al fatto.
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Shakespeare IV.indb 1733
30/11/2018 09:33:49
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
All too soon I shall, Unless thou wouldst grieve quickly. This Posthumus, Most like a noble lord in love and one That had a royal lover, took his hint, And not dispraising whom we praised — therein He was as calm as virtue — he began His mistress’ picture, which by his tongue being made, And then a mind put in’t, either our brags Were cracked of kitchen-trulls, or his description Proved us unspeaking sots. CYMBELINE Nay, nay, to th’ purpose. GIACOMO
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GIACOMO
Your daughter’s chastity — there it begins. He spake of her as Dian had hot dreams And she alone were cold, whereat I, wretch, Made scruple of his praise, and wagered with him Pieces of gold ’gainst this which then he wore Upon his honoured finger, to attain In suit the place of’s bed and win this ring By hers and mine adultery. He, true knight, No lesser of her honour confident Than I did truly find her, stakes this ring — And would so had it been a carbuncle Of Phoebus’ wheel, and might so safely had it Been all the worth of ’s car. Away to Britain Post I in this design. Well may you, sir, Remember me at court, where I was taught Of your chaste daughter the wide difference ’Twixt amorous and villainous. Being thus quenched Of hope, not longing, mine Italian brain Can in your duller Britain operate Most vilely; for my vantage, excellent. And, to be brief, my practice so prevailed That I returned with simular proof enough To make the noble Leonatus mad By wounding his belief in her renown With tokens thus and thus; averring notes
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
GIACOMO
Ci arriverò fin troppo presto, a meno che tu non abbia fretta di soffrire. Questo Postumo, proprio come un nobile signore innamorato e unito a una sposa regale, colse l’opportunità e, senza disprezzare quelle che noi lodavamo – discreto come in questo si conviene alla virtù – cominciò a fare un tale ritratto della sua amata, dipinto dalla sua facondia e impreziosito dalla lode dell’intelletto di lei, che le nostre vanterie sembravano rivolte a semplici sguattere o i nostri discorsi fatti da analfabeti. CIMBELINO
Forza, forza, al fatto. GIACOMO
La castità di vostra figlia – ecco il fatto. Lui parlava di lei come se Diana facesse sogni licenziosi e lei sola fosse pudica; al che io, scellerato, misi in dubbio le sue parole e scommisi con lui delle monete d’oro contro questo che allora portava al suo onorato dito che avrei preso, con il mio corteggiamento, il suo posto nel suo letto e vinto questo anello con l’adulterio di lei e di me. Lui, come un vero cavaliere, certo della fedeltà di lei non meno di quanto io abbia verificato di persona, mise come posta questo anello – e lo avrebbe fatto anche se fosse stato un rubino del carro di Febo209 e con altrettanta sicurezza persino se avesse avuto un valore pari al carro stesso. Partii in fretta per la Britannia con questo scopo. Vi ricorderete, sire, che arrivai a corte, dove mi fu insegnata dalla vostra virtuosa figlia la grande differenza tra amore casto e lascivo. Persa la speranza, ma non la brama, il mio ingegno italiano cominciò a tramare con più malizia nella vostra inesperta Britannia 210, una condizione perfetta per il mio scopo. Per farla breve, il mio inganno riuscì così bene che ritornai adducendo prove talmente plausibili da far perdere la ragione al nobile Leonato stroncando la sua fiducia nell’onestà di lei con questo e quest’altro indizio; fornendo come prova le de-
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Shakespeare IV.indb 1735
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
Of chamber-hanging, pictures, this her bracelet — O cunning, how I got it! — nay, some marks Of secret on her person, that he could not But think her bond of chastity quite cracked, I having ta’en the forfeit. Whereupon — Methinks I see him now — POSTHUMUS (coming forward) Ay, so thou dost, Italian fiend! Ay me, most credulous fool, Egregious murderer, thief, anything That’s due to all the villains past, in being, To come! O, give me cord, or knife, or poison, Some upright justicer! Thou, King, send out For torturers ingenious. It is I That all th’abhorrèd things o’th’ earth amend By being worse than they. I am Posthumus, That killed thy daughter — villain-like, I lie: That caused a lesser villain than myself, A sacrilegious thief, to do’t. The temple Of virtue was she; yea, and she herself. Spit and throw stones, cast mire upon me, set The dogs o’th’ street to bay me. Every villain Be called Posthumus Leonatus, and Be ‘villain’ less than ’twas! O Innogen! aq My queen, my life, my wife, O Innogen, Innogen, Innogen! INNOGEN (approaching him) Peace, my lord. Hear, hear.
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POSTHUMUS
Shall ’s have a play of this? Thou scornful page, There lie thy part. He strikes her down PISANIO (coming forward) O gentlemen, help!
Mine and your mistress! O my lord Posthumus, You ne’er killed Innogen till now. Help, help! (To Innogen) Mine honoured lady.
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225. Villain: villany = “malvagità”. 1736
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
scrizioni dell’arredamento, dei dipinti e questo braccialetto – con che astuzia lo sottrassi! – addirittura alcuni particolari nascosti del suo corpo, tanto che lui non poté non credere che la sua promessa di fedeltà fosse stata infranta e che io avessi potuto riscuotere la penale. Allora… ma mi sembra di vederlo… POSTUMO (facendosi avanti) Certo che lo vedi, demonio d’un italiano! Accidenti a me, stupido credulone, assassino emerito, ladro e qualsiasi altro insulto che si possa fare a tutte le canaglie del passato, del presente e del futuro! Oh, datemi una corda, un coltello, del veleno, un giudice integerrimo! O re, chiama i torturatori più crudeli. Io redimo i peggiori abomini della terra essendo peggio di loro. Io sono Postumo, che ha ucciso tua figlia — anzi no, mento come un farabutto: che ha indotto uno meno farabutto di me, un ladro sacrilego211, a farlo. Lei era il tempio della virtù, anzi la virtù in persona. Sputatemi addosso e lapidatemi, copritemi di fango, aizzatemi contro tutti i cani randagi. Ogni farabutto venga chiamato Postumo Leonato e che “farabutto” sia un insulto meno grave di prima! Oh, Innogene, regina mia, vita mia, sposa mia; oh, Innogene, Innogene, Innogene! INNOGENE (avvicinandosi a lui) Calmatevi, mio signore, ascoltate, ascoltate. POSTUMO
Vogliamo farci beffe di tutto questo? Paggio insolente, sta’ al tuo posto. La colpisce facendola cadere212 PISANIO (venendo avanti)
Miei nobili signori, aiuto! La mia e la vostra signora! Postumo, padrone mio, non avevate ucciso Innogene fino a questo momento. Aiuto, aiuto! (A Innogene) Mia onorata signora.
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Shakespeare IV.indb 1737
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
CYMBELINE
Does the world go round?
POSTHUMUS
How comes these staggers on me? PISANIO (to Innogen) Wake, my mistress. CYMBELINE
If this be so, the gods do mean to strike me To death with mortal joy. PISANIO (to Innogen) How fares my mistress? INNOGEN O, get thee from my sight! Thou gav’st me poison. Dangerous fellow, hence. Breathe not where princes are. CYMBELINE The tune of Innogen.
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PISANIO
Lady, the gods throw stones of sulphur on me if That box I gave you was not thought by me A precious thing. I had it from the Queen.
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CYMBELINE
New matter still. INNOGEN
It poisoned me.
O gods! I left out one thing which the Queen confessed (To Pisanio) Which must approve thee honest. ‘If Pisanio Have’, said she, ‘given his mistress that confection Which I gave him for cordial, she is served As I would serve a rat.’ CYMBELINE What’s this, Cornelius? CORNELIUS
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CORNELIUS
The Queen, sir, very oft importuned me To temper poisons for her, still pretending The satisfaction of her knowledge only In killing creatures vile, as cats and dogs Of no esteem. I, dreading that her purpose Was of more danger, did compound for her A certain stuff which, being ta’en, would cease The present power of life, but in short time All offices of nature should again
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Shakespeare IV.indb 1738
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
CIMBELINO
Mi gira tutto intorno. POSTUMO
Ho le vertigini. PISANIO (a Innogene)
Riprendetevi, padrona mia. CIMBELINO
Se tutto questo è vero, gli dei vogliono farmi morire di gioia. PISANIO (a Innogene)
Come state, padrona? INNOGENE
Oh, vattene dalla mia vista! Tu mi hai dato il veleno. Via da qui, servo traditore. Non sei degno di respirare la stessa aria dei principi. CIMBELINO
La voce di Innogene. PISANIO
Signora, gli dei mi fulminino se il cofanetto che vi ho dato non lo credevo una cosa preziosa. L’ho avuto dalla regina. CIMBELINO
Un’altra novità. INNOGENE
Mi ha avvelenato. CORNELIO
O dei! Ho dimenticato di dire una cosa che la regina ha confessato (a Pisanio) e che ti scagiona: “Se Pisanio ha dato alla sua padrona quel preparato che gli ho dato come cordiale, lei è sistemata come io sistemerei un ratto”. CIMBELINO
Che significa, Cornelio? CORNELIO
La regina, sire, mi assillava perché le preparassi dei veleni, dicendo di voler ampliare le sue conoscenze uccidendo solo creature vili, come cani o gatti senza valore. Io, temendo che il suo scopo fosse ben più pericoloso, preparai un certo composto che, una volta ingerito, avrebbe cancellato ogni segno di vita, ma in breve tempo
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Shakespeare IV.indb 1739
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
Do their due functions. (To Innogen) Have you ta’en of it? INNOGEN
Most like I did, for I was dead. BELARIUS (aside to Guiderius and Arviragus) My boys,
There was our error. This is sure Fidele. INNOGEN (to Posthumus) Why did you throw your wedded lady from you? Think that you are upon a lock, and now ar Throw me again. GUIDERIUS
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She throws her arms about his neck Hang there like fruit, my soul, Till the tree die. CYMBELINE (to Innogen) How now, my flesh, my child? What, mak’st thou me a dullard in this act? Wilt thou not speak to me? INNOGEN (kneeling) Your blessing, sir. BELARIUS (aside to Guiderius and Arviragus) Though you did love this youth, I blame ye not. You had a motive for’t. CYMBELINE My tears that fall Prove holy water on thee! POSTHUMUS
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[He raises her] Innogen, Thy mother’s dead. INNOGEN
I am sorry for’t, my lord.
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CYMBELINE
O, she was naught, and ’long of her it was That we meet here so strangely. But her son Is gone, we know not how nor where.
262. Lock: Rocke = “roccia”. 1740
Shakespeare IV.indb 1740
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
tutte le funzioni naturali sarebbero ritornate normali. (A Innogene) Ne avete preso? INNOGENE
Molto probabilmente, perché ero morta. BELARIO (a parte a Guiderio e Arvirago)
Questo spiega il nostro errore, figli miei. GUIDERIO
Questo è sicuramente Fidele. INNOGENE (a Postumo)
Perché avete gettato via la donna che avete sposato? Immaginate di essere stato bloccato durante una lotta: ora provate ad atterrarmi di nuovo213. Gli getta le braccia al collo POSTUMO
Sta’ appesa qui come un frutto214, anima mia, finché l’albero non muoia. CIMBELINO (a Innogene) Allora, carne della mia carne, figlia mia? Come, vuoi farmi passare da sciocco in tutto questo? Non mi dici nulla? INNOGENE (inginocchiandosi) La vostra benedizione, signore. BELARIO (a parte a Guiderio e Arvirago) Se avete provato tanto affetto per questo giovane, non posso biasimarvi. La ragione era più che valida. CIMBELINO
Le mie lacrime siano acqua benedetta per te! [La solleva] Innogene, tua madre è morta. INNOGENE
Mi dispiace, mio signore. CIMBELINO
Oh, non meritava nulla; è a causa sua se ora ci incontriamo in un modo così imprevisto. Tuttavia, suo figlio è sparito e non sappiamo come o dove.
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Shakespeare IV.indb 1741
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
My lord, Now fear is from me I’ll speak truth. Lord Cloten, Upon my lady’s missing, came to me With his sword drawn, foamed at the mouth, and swore If I discovered not which way she was gone It was my instant death. By accident I had a feignèd letter of my master’s Then in my pocket, which directed him To seek her on the mountains near to Milford, Where in a frenzy, in my master’s garments, Which he enforced from me, away he posts With unchaste purpose, and with oath to violate My lady’s honour. What became of him I further know not. GUIDERIUS Let me end the story. I slew him there. CYMBELINE Marry, the gods forfend! I would not thy good deeds should from my lips Pluck a hard sentence. Prithee, valiant youth, Deny’t again. GUIDERIUS I have spoke it, and I did it. CYMBELINE He was a prince. PISANIO
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GUIDERIUS
A most incivil one. The wrongs he did me Were nothing prince-like, for he did provoke me With language that would make me spurn the sea If it could so roar to me. I cut off ’s head, And am right glad he is not standing here To tell this tale of mine. CYMBELINE I am sorrow for thee. By thine own tongue thou art condemned, and must Endure our law. Thou’rt dead. INNOGEN That headless man I thought had been my lord. CYMBELINE (to soldiers) Bind the offender, And take him from our presence.
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Shakespeare IV.indb 1742
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
PISANIO
Mio signore, ora che non ho più nulla da temere posso dire la verità. Lord Cloten, notando l’assenza della mia signora, mi ha affrontato con la spada sguainata e schiumando di rabbia ha giurato che mi avrebbe ucciso all’istante se non avessi rivelato dove era andata. Per puro caso avevo in tasca la lettera fraudolenta scritta dal mio padrone, e questa lo ha spinto a cercarla sulle montagne presso Milford; qui, indossando i vestiti del padrone che mi aveva estorto, si è affrettato impaziente con ignobili intenzioni e giurando di violare l’onore della mia signora. Che cosa gli sia accaduto in seguito non lo so. GUIDERIO
Lasciate che finisca io questa storia. L’ho ucciso io laggiù. CIMBELINO
Oh, gli dei non vogliano! Non vorrei che le tue gesta valorose ora strappassero dalle mie labbra una dura condanna. Ti prego, giovane valoroso, dimmi che non è vero. GUIDERIO
L’ho detto e l’ho fatto. CIMBELINO
Era un principe. GUIDERIO
Assai indegno. I torti che mi ha fatto non erano certo degni di un principe, visto che mi ha provocato con un linguaggio tale che mi indurrebbe a sfidare il mare se ruggisse in quel modo contro di me. Gli ho mozzato la testa e sono assai lieto che non sia qui al mio posto a raccontarvelo. CIMBELINO
Mi dispiace per te. Ti sei condannato con la tua stessa lingua e devi sottostare alla nostra legge. Sei un uomo morto. INNOGENE
Quell’uomo senza testa pensavo fosse mio marito. CIMBELINO (ai soldati)
Legate il colpevole e allontanatelo dalla nostra presenza.
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Shakespeare IV.indb 1743
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
Stay, sir King. This boy is better than the man he slew, as As well descended as thyself, and hath More of thee merited than a band of Clotens Had ever scar for. Let his arms alone; They were not born for bondage. CYMBELINE Why, old soldier, Wilt thou undo the worth thou art unpaid for By tasting of our wrath? How of descent As good as we? ARVIRAGUS In that he spake too far. CYMBELINE [to Belarius] And thou shalt die for’t. BELARIUS We will die all three But I will prove that two on ’s are as good As I have given out him. My sons, I must For mine own part unfold a dangerous speech, Though haply well for you. ARVIRAGUS Your danger’s ours. BELARIUS
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GUIDERIUS
And our good his. Have at it then. By leave, Thou hadst, great King, a subject who Was called Belarius. CYMBELINE What of him? He is A banished traitor. BELARIUS He it is that hath Assumed this age. Indeed, a banished man; I know not how a traitor. CYMBELINE (to soldiers) Take him hence. The whole world shall not save him. BELARIUS Not too hot. First pay me for the nursing of thy sons, And let it be confiscate all so soon As I have received it. BELARIUS
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303. Boy: man = “uomo”. 1744
Shakespeare IV.indb 1744
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
BELARIO
Ferma, maestà. Questo ragazzo è migliore dell’uomo che ha ucciso, è di stirpe nobile quanto la tua e ha meritato la tua stima molto più che una banda intera di Cloten con tutte le loro ferite. Liberate le sue braccia: non sono nate per le catene. CIMBELINO
Ebbene, vecchio soldato, vuoi cancellare i tuoi meriti non ancora ricompensati e assaggiare la nostra collera? Come può essere di stirpe nobile quanto la nostra? ARVIRAGO
In questo ha esagerato. CIMBELINO [a Belario]
E morirai per questo. BELARIO
Moriremo tutti e tre se non proverò che due di noi sono nobili come ho detto di lui. Figli miei, devo rivelare qualcosa di pericoloso per me, ma che forse andrà a vostro vantaggio. ARVIRAGO
Il vostro pericolo è il nostro. GUIDERIO
E il nostro vantaggio anche il suo. BELARIO
Ecco dunque. Con permesso, o grande re, tu avevi un suddito di nome Belario. CIMBELINO
Che cosa c’entra lui? È un traditore bandito. BELARIO
È lui che ha questo aspetto invecchiato. Di certo, un uomo bandito, ma non capisco perché traditore. CIMBELINO (ai soldati) Portatelo via da qui. Il mondo intero non lo potrebbe salvare. BELARIO
Non così in fretta. Prima pagami per aver allevato i tuoi figli e che poi sia tutto confiscato non appena lo avrò ricevuto.
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Shakespeare IV.indb 1745
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
CYMBELINE
Nursing of my sons?
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BELARIUS
I am too blunt and saucy. (Kneeling) Here’s my knee. Ere I arise I will prefer my sons, Then spare not the old father. Mighty sir, These two young gentlemen that call me father And think they are my sons are none of mine. They are the issue of your loins, my liege, And blood of your begetting. CYMBELINE How, my issue?
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BELARIUS
So sure as you your father’s. I, old Morgan, Am that Belarius whom you sometime banished. Your pleasure was my mere offence, my punishment at Itself, and all my treason. That I suffered Was all the harm I did. These gentle princes — For such and so they are — these twenty years Have I trained up. Those arts they have as I Could put into them. My breeding was, sir, As your highness knows. Their nurse Euriphile, Whom for the theft I wedded, stole these children Upon my banishment. I moved her to’t, Having received the punishment before For that which I did then. Beaten for loyalty Excited me to treason. Their dear loss, The more of you ’twas felt, the more it shaped Unto my end of stealing them. But, gracious sir, Here are your sons again, and I must lose Two of the sweet’st companions in the world. The benediction of these covering heavens Fall on their heads like dew, for they are worthy To inlay heaven with stars. CYMBELINE Thou weep’st, and speak’st. The service that you three have done is more Unlike than this thou tell’st. I lost my children.
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335. Mere: neere = “a stento”. 1746
Shakespeare IV.indb 1746
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
CIMBELINO
Allevato i miei figli? BELARIO
Sono troppo brusco e irrispettoso. (Si inginocchia) Eccomi in ginocchio. Prima di alzarmi voglio riabilitare i miei figli, poi potete non risparmiare il vecchio padre. Potente signore, questi due giovani gentiluomini che mi chiamano padre e pensano di essere miei figli non sono miei. Sono prole dei vostri lombi, sire, e sangue del vostro sangue. CIMBELINO
Come, mia prole? BELARIO
Come voi lo siete di vostro padre. Io, il vecchio Morgan, sono quel Belario che voi un tempo bandiste. Il vostro arbitrio fu l’unica mia colpa, la mia sola punizione e tutto il mio tradimento215. Ciò che ho patito è stato l’unico male che ho commesso. Questi nobili principi – perché tali sono – li ho educati in questi venti anni. Conoscono quelle arti che sono riuscito a insegnare loro. La mia origine, sire, era quella che vostra altezza conosce. La loro nutrice Eurifile, che sposai per il rapimento, sottrasse questi bambini quando fui bandito. Io la spinsi a farlo, avendo ricevuto una punizione anticipata per ciò che feci dopo. La condanna per esser stato leale mi spinse al tradimento. Più la loro cara perdita era dolorosa per voi, più si adattava al mio scopo di rapirli. Ma, graziosa maestà, eccovi restituiti i vostri figli, e io devo perdere due dei più dolci compagni al mondo. La benedizione del cielo che ci sovrasta ricada sulle loro teste come rugiada, poiché sono degni di intarsiare il cielo come stelle. CIMBELINO
Tu piangi e parli insieme. L’impresa che voi tre avete compiuto è più incredibile di quello che hai raccontato. Ho perso i miei bam-
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Shakespeare IV.indb 1747
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
If these be they, I know not how to wish A pair of worthier sons. BELARIUS [rising] Be pleased a while. This gentleman, whom I call Polydore, Most worthy prince, as yours, is true Guiderius. [Guiderius kneels] This gentleman, my Cadwal, Arviragus, Your younger princely son.
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[Arviragus kneels] He, sir, was lapped In a most curious mantle wrought by th’ hand Of his queen mother, which for more probation I can with ease produce. CYMBELINE Guiderius had Upon his neck a mole, a sanguine star. It was a mark of wonder. BELARIUS This is he, Who hath upon him still that natural stamp. It was wise nature’s end in the donation To be his evidence now. CYMBELINE O, what am I? A mother to the birth of three? Ne’er mother Rejoiced deliverance more. Blest pray you be, That, after this strange starting from your orbs, You may reign in them now!
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[Guiderius and Arviragus rise] O Innogen, Thou hast lost by this a kingdom. INNOGEN No, my lord, I have got two worlds by’t. O my gentle brothers, Have we thus met? O, never say hereafter But I am truest speaker. You called me brother When I was but your sister; I you brothers When ye were so indeed. CYMBELINE Did you e’er meet?
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Shakespeare IV.indb 1748
30/11/2018 09:33:50
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
bini. Se sono questi, non potrei proprio sperare di avere dei figli più degni. BELARIO [alzandosi] Concedetemi di parlare ancora. Questo gentiluomo, che io chiamo Polidoro, degnissimo principe, è in verità il vostro Guiderio. [Guiderio si inginocchia] Questo gentiluomo, il mio Cadwal, è Arvirago il vostro figlio e principe più giovane. [Arvirago si inginocchia] Egli, sire, era avvolto in una finissima coperta ricamata dalla mano della regina sua madre e posso mostrarla facilmente come ulteriore prova. CIMBELINO
Guiderio aveva un neo sul collo, come una stella sanguigna. Era un segno particolare. BELARIO
È lui, ha ancora quel marchio naturale. La saggia natura ha voluto donarglielo perché ora gli facesse da prova. CIMBELINO
Oh, che cosa sono? Una madre cui nascono tre figli? Nessuna madre ha gioito di più per un parto. Siate benedetti e dopo questo insolito vagare lontano dalle vostre sfere ora vi possiate regnare. [Guiderio e Arvirago si alzano] O, Innogene, così tu hai perso un regno. INNOGENE
No, mio signore, ho guadagnato due mondi. O, dolci fratelli, così ci siamo riuniti. D’ora in poi non potrete più negare che dico il vero: voi mi chiamavate fratello mentre ero solo vostra sorella, io invece fratelli e lo eravate davvero. CIMBELINO
Vi siete già incontrati?
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Shakespeare IV.indb 1749
30/11/2018 09:33:50
CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
ARVIRAGUS
Ay, my good lord. And at first meeting loved, Continued so until we thought he died.
GUIDERIUS
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CORNELIUS
By the Queen’s dram she swallowed. O rare instinct! When shall I hear all through? This fierce abridgement Hath to it circumstantial branches which Distinction should be rich in. Where? How lived you? And when came you to serve our Roman captive? How parted with your brothers? How first met them? Why fled you from the court? And whither? These, And your three motives to the battle, with I know not how much more, should be demanded, And all the other by-dependences, From chance to chance. But nor the time nor place Will serve our long inter’gatories. See, Posthumus anchors upon Innogen, And she, like harmless lightning, throws her eye On him, her brothers, me, her master, hitting Each object with a joy. The counterchange Is severally in all. Let’s quit this ground, And smoke the temple with our sacrifices. (To Belarius) Thou art my brother; so we’ll hold thee ever. INNOGEN (to Belarius) You are my father too, and did relieve me To see this gracious season. CYMBELINE All o’erjoyed, Save these in bonds. Let them be joyful too, For they shall taste our comfort. INNOGEN (to Lucius) My good master, I will yet do you service. LUCIUS Happy be you! CYMBELINE
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Shakespeare IV.indb 1750
30/11/2018 09:33:50
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
ARVIRAGO
Sì, mio buon signore. GUIDERIO
E amati fin dal primo incontro, fino a quando non lo credemmo morto. CORNELIO
Per la pozione della regina che ha bevuto. CIMBELINO
O nobile istinto! Quando potrò finalmente conoscere l’intera vicenda? Questo conciso riassunto ha omesso importanti dettagli che meritano di essere esaminati con più attenzione. Dove e come siete vissuta? E quando vi siete messa al servizio del nostro prigioniero romano? Quando vi siete separata dai vostri fratelli? Come li avete incontrati la prima volta? Perché siete fuggita dalla corte? E dove siete andata? Tutto questo, e le ragioni che spinsero voi tre a combattere, e chissà quante altre cose dovrebbero avere una risposta, insieme a tutte le altre circostanze, una per una. Ma il luogo e il tempo non sono adatti a lunghi interrogatori. Guardate, Postumo è ancorato a Innogene e lei, come un fulmine innocuo, getta il suo sguardo su di lui, sui suoi fratelli, su di me, suo signore, inondando tutto con la sua gioia. Ognuno qui ha il suo contraccambio. Lasciamo questo luogo e inondiamo il tempio col fumo dei nostri sacrifici. (A Belario) Tu sei mio fratello, e tale resterai per sempre. INNOGENE (a Belario) Siete anche mio padre, e mi salvaste perché vedessi questa occasione gioiosa. CIMBELINO
Siamo tutti colmi di gioia, eccetto questi in catene. Che anch’essi gioiscano, poiché gusteranno la nostra misericordia. INNOGENE (a Lucio) Mio buon padrone, continuerò ad essere al vostro servizio. LUCIO
Siate felice!
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Shakespeare IV.indb 1751
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
CYMBELINE
The forlorn soldier that so nobly fought, He would have well becomed this place, and graced The thankings of a king. POSTHUMUS I am, sir, The soldier that did company these three In poor beseeming. ’Twas a fitment for The purpose I then followed. That I was he, Speak, Giacomo; I had you down, and might Have made you finish. GIACOMO (kneeling) I am down again, But now my heavy conscience, sinks my knee As then your force did. Take that life, beseech you, Which I so often owe; but your ring first, And here the bracelet of the truest princess That ever swore her faith. POSTHUMUS (raising him) Kneel not to me. The power that I have on you is to spare you, The malice towards you to forgive you. Live, And deal with others better. CYMBELINE Nobly doomed! We’ll learn our freeness of a son-in-law. Pardon’s the word to all. ARVIRAGUS (to Posthumus) You holp us, sir, As you did mean indeed to be our brother. Joyed are we that you are.
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POSTHUMUS
Your servant, princes. (To Lucius) Good my lord of Rome, Call forth your soothsayer. As I slept, methought Great Jupiter, upon his eagle backed, Appeared to me with other spritely shows Of mine own kindred. When I waked I found This label on my bosom, whose containing Is so from sense in hardness that I can Make no collection of it. Let him show His skill in the construction.
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Shakespeare IV.indb 1752
30/11/2018 09:33:50
CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
CIMBELINO
Il misero soldato che combatté con tanto valore sarebbe stato degno di essere qui e colmato dai ringraziamenti di un re. POSTUMO
Sono io, sire, il soldato di misero aspetto che è stato a fianco di questi tre. Era una veste adatta allo scopo che avevo. Che ero io confermatelo voi, Giacomo; vi avevo atterrato e avrei potuto finirvi. GIACOMO (inginocchiandosi) Sono di nuovo a terra, ma ora è il fardello che ho sulla coscienza a farmi piegare il ginocchio come prima la vostra forza. Toglietemi questa vita, vi prego, che vi devo tante volte; ma prima prendete il vostro anello, ed ecco il braccialetto della più leale principessa che mai abbia giurato fedeltà. POSTUMO (facendolo alzare) Non inginocchiatevi a me, il potere che ho è solo di risparmiarvi, la vendetta verso di voi è perdonarvi. Vivete e comportatevi meglio con gli altri. CIMBELINO
Nobile condanna! Impareremo la generosità dal nostro genero. Perdono è la parola per tutti. ARVIRAGO (a Postumo) Ci avete aiutato, signore, come se foste nostro fratello; siamo felici che lo siate davvero. POSTUMO
Servo vostro, principi. (A Lucio) Mio buon signore di Roma, chiamate il vostro indovino. Mentre dormivo mi è sembrato che il grande Giove, cavalcando la sua aquila, mi apparisse con gli spiriti dei miei parenti. Al mio risveglio mi sono trovato sul petto questo messaggio dal significato così oscuro che non riesco a interpretarlo. Che ci mostri la sua abilità spiegandolo.
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
LUCIUS
Philharmonus.
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SOOTHSAYER
Here, my good lord. LUCIUS
Read, and declare the meaning.
SOOTHSAYER (reads the tablet) ‘Whenas a lion’s whelp shall,
to himself unknown, without seeking find, and be embraced by a piece of tender air; and when from a stately cedar shall be lopped branches which, being dead many years, shall after revive, be jointed to the old stock, and freshly grow: then shall Posthumus end his miseries, Britain be fortunate and flourish in peace and plenty.’ Thou, Leonatus, art the lion’s whelp. The fit and apt construction of thy name, Being leo-natus, doth import so much. (To Cymbeline) The piece of tender air thy virtuous daughter, Which we call ‘mollis aer’; and ‘mollis aer’ We term it ‘mulier’, (to Posthumus) which ‘mulier’ I divine Is this most constant wife, who even now, Answering the letter of the oracle, Unknown to you, unsought, were clipped about With this most tender air. CYMBELINE This hath some seeming.
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SOOTHSAYER
The lofty cedar, royal Cymbeline, Personates thee, and thy lopped branches point Thy two sons forth, who, by Belarius stol’n, For many years thought dead, are now revived, To the majestic cedar joined, whose issue Promises Britain peace and plenty. CYMBELINE Well, My peace we will begin; and, Caius Lucius, Although the victor, we submit to Caesar And to the Roman empire, promising To pay our wonted tribute, from the which
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
LUCIO
Filarmonio! INDOVINO
Eccomi, mio signore. LUCIO
Leggi e chiarisci il significato. INDOVINO (legge la tavoletta)
“Quando un cucciolo di leone, a sua insaputa e senza cercarla, troverà e sarà avvolto da un’aria assai dolce, e quando da un cedro maestoso saranno tagliati i rami che, secchi da anni, torneranno a germogliare, saranno innestati nel vecchio tronco e cresceranno nuovamente, allora cesseranno le miserie di Postumo, la Britannia sarà felice e prospererà nella pace e nell’abbondanza”. Tu, Leonato, sei il cucciolo di leone. L’appropriato e pertinente significato del tuo nome, leo-nato, rivela questo. (A Cimbelino) L’aria dolce, la tua virtuosa figliola, per noi latini è “mollis aer”; e da “mollis aer” viene “mulier”216 , (a Postumo) e io interpreto questa “mulier” come la tua assai costante moglie, che proprio ora, adempiendo le parole dell’oracolo, a tua insaputa e senza cercarla, ti abbraccia con questa dolcissima aria. CIMBELINO
Sembra verosimile. INDOVINO
Il cedro imponente, o regale Cimbelino, rappresenta te, e i rami tagliati indicano i tuoi due figli che, rapiti da Belario e ritenuti morti per molti anni, ora tornano in vita, uniti al cedro regale la cui discendenza promette alla Britannia pace e prosperità. CIMBELINO
Ebbene, daremo inizio alla nostra pace e, Caio Lucio, benché vincitori ci sottomettiamo a Cesare e all’impero romano, promettendo di pagare il consueto tributo da cui ci aveva dissuasi la nostra per-
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CYMBELINE, ACT 5 SCENE 6
We were dissuaded by our wicked queen, Whom heavens in justice both on her and hers Have laid most heavy hand.
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SOOTHSAYER
The fingers of the powers above do tune The harmony of this peace. The vision, Which I made known to Lucius ere the stroke Of this yet scarce-cold battle, at this instant Is full accomplished. For the Roman eagle, From south to west on wing soaring aloft, Lessened herself, and in the beams o’th’ sun So vanished; which foreshowed our princely eagle Th’imperial Caesar should again unite His favour with the radiant Cymbeline, Which shines here in the west. CYMBELINE Laud we the gods, And let our crookèd smokes climb to their nostrils From our blest altars. Publish we this peace To all our subjects. Set we forward, let A Roman and a British ensign wave Friendly together. So through Lud’s town march, And in the temple of great Jupiter Our peace we’ll ratify, seal it with feasts. Set on there. Never was a war did cease, Ere bloody hands were washed, with such a peace.
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[Flourish.] Exeunt [in triumph]
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CIMBELINO, ATTO V SCENA 6
fida regina; su di lei e la sua discendenza i cieli hanno fatto cadere pesantemente il loro braccio. INDOVINO
Le dita delle potenze celesti intonano l’armonia di questa pace. La visione che ho riferito a Lucio prima di questa battaglia appena conclusa ora si compie del tutto, poiché l’aquila romana, librandosi alta in volo da meridione a occidente, rimpiccioliva fino a svanire nei raggi del sole, pronosticando che la nostra aquila reale, l’augusto Cesare, si sarebbe nuovamente unita al fulgido Cimbelino, che splende qui a occidente. CIMBELINO
Sia lode agli dei, e che il fumo dai nostri sacri altari salga intrecciandosi fino alle loro narici. Rendiamo pubblica questa pace a tutti i nostri sudditi. Mettiamoci in cammino, e che lo stendardo romano e quello britanno sventolino insieme in amicizia. Marciamo così attraverso la città di Lud, e nel tempio del grande Giove la nostra pace sia ratificata e suggellata con festeggiamenti. Avanti, voi. Mai una guerra cessò prima che le mani insanguinate fossero lavate da una pace così felice. [Trombe.] Escono [in trionfo]
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The Tempest La tempesta Testo inglese a cura di JOHN JOWETT Nota introduttiva, traduzione e note di MASOLINO D’AMICO
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Nota introduttiva
La tempesta è quasi certamente l’ultimo testo per il teatro che Shakespeare scrisse senza collaboratori prima di ritirarsi, e mentre per alcuni aspetti non assomiglia a nessun altro dei lavori precedenti, per altri contiene un compendio di temi ricorrenti in venti anni di attività. Vediamo prima da cosa dipende la sua originalità. Sotto l’aspetto formale, innanzitutto, è la sola pièce in cui il Bardo applica deliberatamente le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. La durata della vicenda è in tempo reale, ossia di circa quattro ore dall’inizio alla fine (nel prim’atto Prospero stesso dichiara che, essendo le due del pomeriggio, tutto si dovrà concludere entro le sei); e con l’eccezione di un breve prologo, circa il 3% del totale, l’azione, che non ha diramazioni secondarie, si svolge tutta nell’isola dominata da Prospero. Il solo play shakespeariano con caratteristiche avvicinabili è Otello, che dopo un antefatto a Venezia, peraltro lungo tutto il primo atto, avviene a Cipro, dove si può calcolare che i fatti durino circa trentasei ore. Seconda singolarità, la povertà degli avvenimenti nella predetta azione. Tutti gli episodi importanti sono accaduti “prima”: il proditorio spodestamento di Prospero dal ducato di Milano, la sua fuga per mare con la figlioletta, l’approdo dei due in un’isola deserta, i dodici anni del dominio di Prospero su questa. Noi ci sintonizziamo solo per il finale, quando sull’isola, magicamente pilotati da Prospero stesso, fanno naufragio i suoi nemici, dando così alla vittima il modo di farsi giustizia. Tanta economia è, per Shakespeare, affatto eccezionale. L’autore del quasi contemporaneo Racconto d’inverno – altra storia di tradimento o presunto tale, e di espiazione dopo tanto tempo – avrebbe raccontato la storia, ci sembra di poter presumere, 1761
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LA TEMPESTA
dall’inizio, dedicando al trionfo di Prospero solo la sequenza conclusiva. Davanti al Racconto d’inverno la Tempesta può fare l’effetto che fa All for Love davanti a Antonio e Cleopatra: in questo si smuovono cielo e terra e ci si sposta da un continente all’altro, mentre nella riscrittura che John Dryden fece della tragedia shakespeariana all’epoca della Restaurazione tutto avviene in un giorno solo e nello stesso locale. Inoltre, rispetto non soltanto al Racconto d’inverno ma anche a qualsiasi altro testo di Shakespeare possa venirci in mente, La tempesta non ha suspense. L’esito del piano di Prospero non viene mai messo veramente in dubbio. Più che un racconto appassionante ci viene dunque offerto quasi un rituale; donde, per inciso, le difficoltà di chi lo allestisce, e che è costretto a puntare sulla vivacità dei singoli momenti. Inoltre l’allestimento prevede un uso massiccio e quasi continuo di musica (musica ambientale, canzoni, balli, ecc.) come nessun altro lavoro del Bardo. Ancora. Malgrado gli studiosi si siano adoperati a rintracciare fonti, ovvero spunti in altri autori di cui Shakespeare si sarebbe servito e di cui si dirà più avanti, il soggetto della storia sembra originale: altra prerogativa molto rara nel nostro, quasi tutti i cui copioni sono rielaborazioni ovvero rifacimenti o adattamenti di materiale preesistente. Ulteriore peculiarità non secondaria: di tutti i titoli attribuibili a Shakespeare, La tempesta è quello pervenutoci nelle condizioni migliori, ovvero nella redazione più affidabile; e può darsi che proprio per questo, come garanzia di qualità, nel 1623 i curatori della raccolta postuma delle opere del Bardo in formato in-folio lo abbiano collocato all’inizio del volume, di cui occupa le prime dodici pagine. Infine, La tempesta potrebbe essere l’unico testo teatrale in cui Shakespeare parla non troppo velatamente di sé. Il condizionale è d’obbligo, dato il discredito in cui ormai sono caduti tutti i tentativi di interpretazione autobiografica dei drammi, nati nell’epoca romantica. L’autore di teatro per defi nizione si nasconde dietro i suoi personaggi, e appare ingenuo cercare di dimostrare che l’autore di Otello era geloso, o quello di Lear, deluso dalle figlie. Tuttavia è sempre sembrato irresistibile pensare che quando Prospero si accomiata dalla sua arte magica promettendo in una melodiosa, malinconica tirata di non praticarla più a condizione di ottenere un’ultima prestazione dalle creature che domina, non parli l’autore stesso, che così prende congedo dal suo pubblico. L’unica seria obiezione contro questa lettura è il fatto che dopo aver scritto e allestito La tempesta Shakespeare invece di ritirarsi del tutto mise ancora mano, 1762
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NOTA INTRODUTTIVA
sia pure in collaborazione, all’Enrico VIII e a Due nobili congiunti. Ma a parte che quantificare la portata del suo intervento in questi testi non è facile (almeno nel secondo caso, sembra comunque molto modesta), la storia del teatro di tutti i tempi è piena di commoventi serate di addio di star che dopo un po’ ci ripensano. Quanto ai temi che compaiono nella pur sintetica trama, Stephen Greenblatt li ha sintetizzati così: “la dolorosa necessità di lasciare libera una figlia; il tradimento nei confronti di un sovrano legittimo; il pericoloso passaggio dalla società civilizzata al deserto e il sogno del ritorno; la condizione di una giovane donna strappata dal suo posto nella gerarchia sociale; il sogno di manipolare gli altri mediante l’arte; la minaccia di una radicale perdita di identità; il rapporto tra natura e istruzione; il dominio dei poteri magici”. Con ancora più evidenza di questi spunti, di cui si possono facilmente trovare anticipazioni nel canone, c’è lo stretto legame tra La tempesta e i romances ad essa immediatamente precedenti, come Pericle e il surricordato Racconto d’inverno. In tutti e tre questi plays c’è il rapporto tra un padre e una figlia (vedi, tra gli antecedenti, La bisbetica domata; Sogno di una notte di mezza estate; Romeo e Giulietta; Il Mercante di Venezia; Molto rumore per nulla; Otello; Re Lear). Nei primi due genitore e rampolla sono avventurosamente e dolorosamente separati all’inizio per ricongiungersi dopo varie peripezie in un conciliatorio finale; e in questi due e nel terzo alla fine il padre si mette da parte, avendo concluso il suo ciclo, e il futuro viene affidato alla giovinetta emancipata e al compagno scelto per lei. Sono, si diceva, romances, grandi storie piene di peripezie con elementi fiabeschi, ispirate da analoghe narrazioni dell’antichità classica. Sono anche, tecnicamente, tragicommedie, venute di moda nel teatro giacobiano verso la fine della carriera di Shakespeare e agli inizi di quella di John Fletcher, ultimo collaboratore del Bardo nonché suo successore come playwright stabile dei King’s Men, la compagnia “al servizio” del re. La tragicommedia si differenzia dalla tragedia vera e propria in quanto prevede un lieto fine, e dalla commedia perché può coinvolgere nella dimensione comica personaggi “alti”, come re e aristocratici, altrimenti considerati al disopra del quotidiano. Ma come ha argomentato Frank Kermode, La tempesta, che pure rientra nella definizione, è più specificamente un dramma pastorale, nella tradizione italiana inaugurata dal Pastor Fido di Battista Guarini, pubblicato nel 1590 e subito discusso anche in Inghilterra, dove i suoi influssi si 1763
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LA TEMPESTA
avvertirono soprattutto nei teatri cosiddetti “privati” (Queenes Arcadia, “a Pastorall Trage-Comedie” di Samuel Daniel, 1605; The Faithful Shepherdess di John Fletcher, 1608). Guarini sosteneva la validità della tragicommedia come amalgama armonioso di comico e tragico, ma nel dramma pastorale in particolare si discute del rapporto tra arte e natura, mettendo a confronto gli aspetti sia positivi sia negativi dell’ambiente incontaminato e di quello costruito dall’uomo a propria misura, così come si mette a confronto il selvaggio con l’uomo civilizzato. In questa ottica, il vero conflitto della Tempesta non è tra Prospero e i suoi vecchi nemici, ma tra Prospero, ovvero l’Arte, e Caliban, ovvero la Natura. E messa così sembra chiaro dove vadano le simpatie dell’autore; ma, guardando meglio anche qui riemerge l’antagonismo tra la purezza e la freschezza della giungla (la campagna) e la corruzione della corte da cui Prospero è stato scacciato (la città). Un contrasto analogo si trova anche altrove, per esempio nel recente Racconto d’inverno, e in precedenza in Pene d’amor perdute, e particolarmente in Come vi piace. Qui uomini e donne in fuga da una corte dominata dall’ingiustizia e dalla prevaricazione trovano pace ed equilibrio in una foresta incolta, luogo per di più dal quale si emana una tale suggestione, che gli stessi “cattivi” quando vi si inoltrano per inseguire e perseguitare i “buoni”, si pentono e si ravvedono. L’immersione in un ambiente di primigenia innocenza può dunque riportare l’uomo civilizzato sulla strada della saggezza, il che a pensarci bene è quanto accaduto a Prospero, che a Milano aveva perso il contatto con la realtà. L’arte di Prospero è dunque un’arte benefica, positiva – per gli antichi, magia bianca, ben diversa da quella nera, implicante un’alleanza con le potenze infernali. Le fonti e la loro rilevanza Passiamo ora a quanto Shakespeare, secondo il suo costume e pur ricordando che per questa volta il plot era tutto suo, può avere derivato da altre fonti. Qui gli studiosi, stimolati dalla mancanza di un modello principale, si sono prodigati a cercare le origini di molte situazioni, e hanno fatto buona caccia. Si sono indicate più storie di maghi e di isole incantate, e in Mucedorus, antico drammone anonimo riproposto sulle scene in quegli anni, figura un selvaggio che può anticipare Caliban. Una somiglianza maggiore si è indicata con un dramma però tedesco, pubblicato solo nel 1618 ma il cui autore, tale Jacob Ayrer, era morto nel 1605: 1764
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NOTA INTRODUTTIVA
Die Schöne Sidea, dove un principe si rifugia con la figlia nella foresta, si dà alla magia, si asservisce un diavolo e cattura il figlio del suo nemico, di cui la figlia si innamora. Più che arguire che Shakespeare si sia ispirato a questo dramma si pensa però che sia lui sia Ayer possano essere partiti da un lavoro precedente (nel caso, inglese, e recitato in Germania da comici itineranti), oggi perduto. Nel 1913 fu poi pubblicato un canovaccio italiano della commedia dell’arte, Li Tre Satiri, dove Zanni e Burattino sono marinai naufragati su di un’isola dominata da un mago e dai suoi spiriti. Qui si deve presumere che i commedianti lo abbiano recitato durante una tournée in Inghilterra, e magari che Shakespeare stesso lo abbia ascoltato. Molto più spazio è stato dedicato, forse esagerando, a un famoso fatto di cronaca avvenuto nel 1610 e che ha lasciato tracce nella Tempesta. L’anno prima era partita una spedizione diretta in Virginia, ma per molto tempo questa non diede notizia di sé e si ritenne perduta. Da ultimo, nell’autunno del 1610, il capo della spedizione, Sir Thomas Gates, tornò con la storia del naufragio della sua nave su di un’isola delle Bermude, dove con sorpresa lui e i suoi uomini avevano trovato, malgrado la presenza di indiani ostili, un clima ideale, una vegetazione ricca, e insomma ottime condizioni non solo per la sopravvivenza, ma anche per la possibilità di ricostruire le imbarcazioni danneggiate e di ripartire in piena salute. Questa avventura fu raccontata con dovizia di particolari non tutti proprio verosimili in una serie di opuscoli, tra cui la relazione di un reduce, tale Silvester Jourdain, e una pubblicazione ufficiale (A true Declaration of the state of the Colonie in Virginia) che rassicurava gli investitori delle imprese coloniali, preoccupati dalle voci allarmistiche di quando la spedizione sembrava fallita. Sicuramente Shakespeare non ignorò questo caso del giorno mentre scriveva, e per evocare la sua isola incantata tenne conto delle descrizioni di quei lontani paradisi pieni di mistero, a disposizione dell’uomo bianco. Questa sarebbe dunque una delle Bermude, oltretutto abitata da cannibali, cui si alluderebbe nel nome stesso di Caliban, che come la parola “cannibale” deriva ricorda nel suono “Carib” (“Caraibi”). Significativamente, anche, c’è una citazione diretta dal famoso saggio sui Cannibali di Montaigne (1580) nella traduzione inglese di John Florio (1603), quando il vecchio cortigiano Gonzalo (II,1) descrive la repubblica anarchica ideale che si potrebbe fondare su di un’isola deserta, partendo dal nulla. Montaigne argomenta a favore dei primitivi 1765
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LA TEMPESTA
che i veri selvaggi sono gli uomini civilizzati, tesi opposta a quella verso cui sembra inclinare Shakespeare, il quale potrebbe aver messo il brano in bocca a Gonzalo per fare dell’ironia sulle fisime di costui, peraltro alla fine elogiato da Prospero per la sua rettitudine e lealtà. Su queste basi si è letto, e soprattutto oggi si legge, il testo come la presa di posizione di Shakespeare sul colonialismo in genere. Dove l’isola sta per il Nuovo Mondo, Prospero per il conquistatore europeo, e Caliban per l’indigeno giustamente soggiogato in quanto inferiore, incapace di controllare i suoi istinti, e addirittura “mostruoso”. Ora, è vero che lo schema regge, e che fu ripetuto in chiave realistica circa un secolo dopo dal fortunatissimo Robinson Crusoe di Daniel Defoe: dove l’occidentale appena sbarcato occupa il luogo e se ne impossessa, gli impone la propria civiltà (pur essendo solo nella natura, Robinson si costruisce faticosamente abiti e suppellettili il più possibile simili a quelli che aveva in patria), e assoggetta senza esitazioni il primo nativo in cui si imbatte (Robinson non domanda all’uomo di colore come si chiama, ma gli annuncia che si chiamerà Venerdì. Quanto a se stesso, gli dice, “io mi chiamo Padrone”). Non per nulla Caliban è definito schiavo nella stessa lista dei personaggi. D’altro canto, pur lasciando a Shakespeare tutta la genialità delle sue intuizioni, e al selvaggio Caliban i suoi momenti commoventi, e i suoi sprazzi addirittura di poesia – collocare l’isola di Prospero nelle Bermude, come oggi comunemente si fa, sembra una forzatura. Le Bermude sono nominate una sola volta nel testo, e, appunto, come una località remota, dove Ariel viene prodigiosamente spedito con una missione da concludere in un batter d’occhio. Ma per il resto, con tutte le consuete licenze geografiche del nostro (nell’antefatto c’è una partenza in nave da Milano), non c’è motivo perché l’isola felice non si trovi nel Mediterraneo. La nave che vi è magicamente attirata viene da Tunisi ed è diretta verso l’Italia settentrionale, segue dunque semmai la rotta degli odierni gommoni con i clandestini in viaggio verso la speranza. Se proprio dobbiamo cercare sulla carta geografica, puntiamo il dito su di un punto più vicino a Lampedusa che al lontano arcipelago oggi soprattutto noto come paradiso fiscale. Tra i numerosi altri contatti tra situazioni della Tempesta e brani classici il più vistoso riguarda la surricordata tirata in cui Prospero rinuncia all’arte magica (IV,1). Questa ricorda un passo del settimo libro delle 1766
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NOTA INTRODUTTIVA
Metamorfosi di Ovidio, in cui una maga, Medea, invoca gli spiriti della notte perché la aiutino nei suoi incantesimi. Nel dettato di Shakespeare ci sono echi sia del latino sia della traduzione inglese di Arthur Golding. C’è, infi ne, per il masque nuziale del quarto atto, il vistoso precedente di Hymenaei di Ben Jonson, composto per un matrimonio altolocato e rappresentato a corte nel 1606. Questo, per quanto riguarda l’argomento cerimoniale; ché la parte spettacolare della pièce shakespeariana non poteva competere con un vero masque di corte. Quelli erano avvenimenti fastosissimi, dove i testi, scritti appositamente (e poi pubblicati), erano più che altro occasione dello sfoggio di complicate macchine sceniche e di costumi sfarzosi. La parte dello scenografo-costumista era più importante di quella dell’autore, e Ben Jonson rosicò assai quando il nome del grande architetto Inigo Jones cominciò ad essere anteposto al suo. All’evento partecipavano come attori anche aristocratici dei due sessi (era l’unica occasione in cui alle donne era consentito esibirsi in pubblico), l’accesso essendo strettamente limitato ai cortigiani invitati e agli ambasciatori stranieri. Lo spettacolo avveniva una volta sola, e appena concluso, l’arredamento veniva distrutto dagli ospiti in una specie di esaltazione dionisiaca generale. In ogni caso, jonsoniano o no, il masque della Tempesta (veramente ce ne sono due, quello ampio di Cerere e un altro, quasi muto, con l’apparizione e poi la sparizione di un banchetto), il cui argomento è un’allegoria nuziale come i predetti Hymenaei, prevede anch’esso l’uso di trucchi e macchinari più di ogni altro lavoro di Shakespeare, anche se questi saranno stati meno complessi di quelli previsti dai sensazionali intrattenimenti direttamente fi nanziati dal re. La data e il testo Per certe allusioni nel dettato, particolarmente quelle al surricordato, clamoroso caso di cronaca del ritorno della spedizione alle Bermude, La tempesta così come ci è pervenuta non può essere stata scritta prima della fine del 1610 o dell’inizio del 1611. In quest’ultimo anno risulta dai Revels Accounts, registri ufficiali degli intrattenimenti regali, che fu rappresentata dai King’s Men a corte, la sera di Ognissanti. È improbabile che si trattasse di una prima assoluta, data la prassi di presentare al sovrano spettacoli già collaudati. In ogni caso l’astrologo Simon Forman, che ha lasciato una lista delle commedie da lui viste al Globe 1767
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LA TEMPESTA
durante l’estate del 1611, non la nomina (è peraltro lecito pensare che, a differenza delle normali consuetudini della compagnia, che presentava i suoi spettacoli in entrambe le sedi, La tempesta non sia stata proposta al Globe, ma solo al Blackfriars, la loro sala “privata” al coperto, di cui la compagnia si avvalse a partire dal 1608). La tempesta fu di nuovo data a corte nell’inverno del 1612-13, come parte dei festeggiamenti per le nozze della figlia di Giacomo I con l’Elettore Palatino. L’elenco degli spettacoli offerti in quella occasione comprende un’altra commedia di Shakespeare con al centro un matrimonio, Molto rumore per nulla. La circostanza nuziale ha fatto pensare ad alcuni studiosi, e particolarmente a coloro che non apprezzavano l’episodio, che il masque con Iride, Cerere e Giunone fosse stato inserito solo adesso, e che non fosse di mano del Bardo: congettura su cui si è scritto molto, ma che nessuna prova concreta conferma. A differenza di più della metà dei lavori di Shakespeare, non è infatti possibile un raffronto tra più edizioni antiche, perché come si diceva La tempesta ci è pervenuta in un’unica versione, quella pubblicata nel Folio del 1623, e in una versione, ripetiamo, eccezionalmente curata, divisa in atti e scene, con l’elenco dei personaggi – cosa che accade solo per altri tre testi tra quelli contenuti nel Folio – e con una inusitata abbondanza di didascalie, caratteristiche per cui si pensa che il testo non sia quello del copione di scena, ma che Ralph Crane, amanuense della compagnia di cui Shakespeare fu anche azionista, lo abbia preparato appositamente per la stampa, con l’occhio più al lettore che allo spettatore. Proprio per questo, nulla ci autorizza a pensare che i curatori del Folio, antichi colleghi del Bardo che intendevano onorare, avallassero implicitamente una versione non corrispondente a quella voluta da lui. La storia e lo spettacolo Come si è detto, La tempesta è il testo in cui Shakespeare segue più puntigliosamente le regole aristoteliche teorizzate dai classicisti rinascimentali. Così il primo atto contiene un prologo e poi una protasi con l’esposizione della materia e la presentazione di tutti i personaggi tranne i comici Stefano e Trinculo, che arrivano nel secondo atto. In questo secondo atto, ormai completamente esposta la materia, inizia l’azione vera e propria, azione che si intensifica (catastasi) nel terzo. Nel quarto la crisi è al culmine e si prepara l’esodo o catastrofe del quinto. 1768
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NOTA INTRODUTTIVA
Ma per entrare nel dettaglio. A teatro perché il pubblico possa seguire la storia gli vanno impartite informazioni sull’antefatto – c’è sempre un antefatto – il più presto possibile. Questo Shakespeare talvolta fa mediante un dialogo tra due o più personaggi, come in Re Lear; talaltra, mediante un annunciatore indipendente dalla trama, come in Romeo e Giulietta o in Enrico V. A volte però preferisce iniziare con una scena aggressiva e immediatamente coinvolgente anche se lì per lì poco decifrabile, e rinviare le spiegazioni a un secondo momento di maggior calma. Questo è il caso di Amleto, e anche, clamorosamente, della Tempesta, che si apre con fragore di tuoni e fulmini, e col palco che si finge una nave sballottata dagli elementi e in procinto di fi nire sugli scogli. Entrano di corsa e gridando ordini un capitano e un subalterno, quindi dei marinai, quindi dei passeggeri, a giudicare dal loro abbigliamento, di alto rango – sapremo poi trattarsi nientemeno che di un sovrano, Alonso re di Napoli, di suo figlio Ferdinando, di suo fratello Sebastiano, di un duca di Milano a nome Antonio, e di un anziano gentiluomo napoletano, Gonzalo. Costoro smaniano, spaventati dal fortunale, col capitano della nave che li ricaccia sottocoperta perché di intralcio alle manovre, ma poi tutti si ritrovano di nuovo sul ponte quando l’imbarcazione affonda inesorabilmente, tra grida generali di disperazione. Questa azione concitata dura pochissimi minuti, e termina di colpo senza aver dato agli spettatori elementi per capire che cosa abbiano veramente visto. Segue un silenzio e probabilmente, per quanto poteva consentire il palcoscenico giacobiano, dove il buio assoluto non era ottenibile, prima un oscuramento e poi una intensificazione delle luci per la seconda, diffusa seconda scena del primo atto, con l’a questo punto sospirata spiegazione. La scena, vuota, adesso si immagina collocata sull’isola. Sulla parete di fondo la caratteristica alcova del palcoscenico elisabettiano, recesso che quando non serve si occulta con una tenda, funge ora da cella di Prospero. Ne escono Prospero, avvolto nel suo mantello magico, e Miranda. La parte del primo è spesso affidata a un attore truccato da vecchio sapiente, ma essendo sua figlia, come si apprenderà, quindicenne, non c’è bisogno di esagerare con barba e capelli bianchi, pur essendo vero che alla fi ne della giornata Prospero si autodescrive come vicino alla conclusione del suo percorso (anche Shakespeare, benché fosse sul punto di ritirarsi, aveva solo cinquantadue anni). La prima a parlare è Miranda, e parla in versi – il consueto blank verse shake1769
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speariano, pentapodia giambica non rimata, con presenza di enjambement, frequenti in questa fase conclusiva della carriera del Bardo. La scena del naufragio era stata in prosa, la prosa caratterizzando come d’uso i personaggi di rango inferiore. Miranda descrive vividamente la disgrazia a cui ha assistito e parla della commozione che ha provato per le sue vittime, allo stesso tempo facendoci sapere che è stato proprio suo padre a procurarla con la sua arte. Prospero la rassicura. Ha provocato l’evento per il bene di lei, ma nessuno si è fatto male. Ed è giunto il momento di rivelare a sua figlia chi è veramente suo padre. Prospero si toglie il mantello magico e le fa il suo diffuso racconto, qua e là interrotto dai commenti della fanciulla. Prospero e Miranda si trovano sull’isola da dodici anni; la bambina ne aveva solo tre quando Prospero, che era duca di Milano, fu costretto a fuggire per mare, di notte, spodestato da un complotto dello snaturato fratello Antonio con la complicità del re di Napoli. L’unica colpa di Prospero era stata di trascurare le faccende di stato, immerso com’era nei suoi studi. Per fortuna al momento della fuga, propiziata dal caritatevole Gonzalo, questi aveva aiutato l’esule a portare con sé i suoi libri, a lui più cari del suo stesso ducato. Oggi, conclude Prospero, le stelle gli hanno annunciato una congiuntura favorevole della quale non può non approfittare, grazie alla quale è riuscito a portare lì sull’isola tutti i suoi nemici. Ma non rivela altro del suo progetto alla figlia, sulla quale suscita ora un sonno profondo, dopodiché convoca il suo fido servo Ariel, spirito dell’aria. Ariel riferisce al suo padrone come ha provocato la tempesta e spinto gli occupanti della nave a gettarsi in mare. Poi li ha fatti salire sull’isola, con gli abiti magicamente asciutti, e qui li ha dispersi, separando dagli altri Ferdinando, il figlio del re, e facendo riparare la nave illesa in una baia nascosta. Sono le due del pomeriggio, bisogna concludere ogni cosa entro le sei. Ariel promette il suo aiuto ma insiste per essere affrancato; Prospero però gli rinfaccia i tormenti da cui lo liberò, quando era prigioniero di Sycorax, l’orribile strega venuta da Algeri e abbandonata gravida sull’isola, dove aveva dato alla luce un mostriciattolo, Caliban, che dopo la morte di lei Prospero aveva soggiogato come schiavo. In ogni caso, Prospero promette di liberare Ariel tempo due giorni, e intanto lo incarica di assumere le fattezze di una ninfa e di rendersi invisibile. Miranda si riscuote, e Prospero chiama Caliban. Il mostro suo schiavo arriva lamentandosi e sostenendo che l’isola era sua, ereditata 1770
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da sua madre Sycorax; rinfaccia a Prospero di averlo accolto amichevolmente e di avergli insegnato molte cose sull’isola. Ma per lui le cose peggiorarono assai quando attentò alla virtù della fanciulla; da allora Prospero gli affida incarichi gravosi e lo tormenta. Miranda rinfaccia a Caliban la sua ingratitudine: lei si prese la pena di insegnargli la lingua (“l’unico vantaggio che ne ho avuto è stato imparare a maledire”, dice lo schiavo). Caliban esce e entra Ariel “invisibile”, cantando una canzone, seguito da Ferdinando smarrito, che si interroga su quella strana musica. La canzone di Ariel parla di un padre annegato, e Ferdinando pensa si applichi alla sua situazione. A parte, Prospero mostra il giovane a Miranda, che non aveva mai visto un uomo ad eccezione di suo padre, e trova l’apparizione most divine. Folgorato dalla fanciulla, Ferdinando si presenta: convinto della morte di suo padre, teme di essere ora il re di Napoli. Prospero si intromette, accusa Ferdinando di essere un traditore e una spia. Il giovane impugna la spada ma si trova magicamente paralizzato. Miranda perora in suo favore. Ferdinando si rassegna a mettersi al servizio di Prospero. Tutti escono. Nel second’atto entrano i naufraghi, tra cui in particolare Alonso, Sebastiano, Antonio, Gonzalo, e due signori napoletani, Adriano e Francisco. Il vecchio Gonzalo cerca di vedere la situazione dal lato buono (sono salvi, illesi, l’isola sembra accogliente), ma i giovani ridono di lui, mentre re Alonso, che crede il figlio annegato, è inconsolabile. Gli altri raccontano di essere di ritorno dalle nozze della figlia di Alonso col re di Tunisi. Entra Ariel invisibile, suonando una musica “solenne” che fa addormentare tutti tranne Antonio e Sebastiano. Quest’ultimo convince l’altro ad aiutarlo a uccidere suo fratello, il re, mentre dorme, allo scopo di farsi incoronare al suo posto. Ma suscitando un’altra musica Ariel risveglia i dormienti, che sorprendono Antonio e Sebastiano con le spade sguainate; i due si giustificano parlando di rumori preoccupanti come ruggiti di belve. Tutti escono per continuare a cercare Ferdinando. Entra quindi Caliban col suo carico di legna, e si imbatte in un marinaio disperso, Trinculo; spaventato, si appiattisce a terra per nascondersi. Trinculo lo vede, non sa come catalogarlo, poi sentendo un tuono di tempesta si appiattisce accanto a lui, strisciando sotto il suo mantello. Arriva un altro marinaio disperso, Stefano, cantando, con una bottiglia in mano. Anche lui vede Caliban e non sa come classificarlo; poi da sotto il manto del mostro sbuca Trinculo. I marinai bevono e fanno bere il 1771
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mostro, che li venera, anche vedendo in loro una possibilità di emanciparsi da Prospero. Il terzetto esce cantando. Il terzo atto si apre con Ferdinando addetto a portare legna per il suo nuovo padrone. Sotto l’occhio di Prospero, che li sorveglia in disparte, entrano Miranda e Ferdinando. La fanciulla ammira svisceratamente il giovane, che la ricambia. Dopo essersi promessi amore, i due escono in direzioni diverse. Prospero manifesta la sua soddisfazione, ed esce. Entra Caliban coi due marinai sempre più ubriachi. Caliban li convince ad accoppare Prospero e promette loro le grazie della bella Miranda. Uscito il terzetto, subentra il gruppo dei naufraghi, ormai sfiniti dal girovagare. Si diffonde una strana armonia, e Prospero, “invisibile”, fa approntare davanti a loro un banchetto da spiriti che li invitano a cenni a servirsi. Alonso non vuole mangiare. Poi con tuoni e lampi Ariel, camuffato stavolta da Arpia, fa sparire il banchetto e con voce severa li provoca, minaccia e confonde – loro sguainano le spade ma non sanno con chi prendersela. Ariel svanisce con tuoni, poi la musica torna e gli spiriti danzano con smorfie burlesche, riportando via il tavolo. Prospero si complimenta con Ariel ed esce. Poi escono gli altri, in stato di confusione. Il quarto atto si apre con Prospero, Ferdinando e Miranda. Prospero annuncia al giovane che ha superato la prova e che adesso gli concede la mano di sua figlia. Convoca quindi Ariel affinché faccia eseguire un epitalamio. Entrano dee: Iride, Giunone, Cerere, a invocare prosperità sugli sposi, poi ninfe e mietitori che danzano. Quindi scompaiono tutti, mentre Prospero ricordandosi del complotto di Caliban, del quale è sempre stato al corrente, si rabbuia. Chiede scusa ai giovani, che si ritirano, e richiama Ariel, per preparare l’incontro con Caliban. Ariel riferisce di avere perseguitato e frastornato il terzetto, che sta per sopraggiungere. Quindi esce e rientra con parecchi indumenti variopinti, che appende lungo una corda. Prospero e Ariel osservano ora invisibili l’ingresso di Caliban, Stefano e Trinculo, i quali riconoscendo l’ingresso della cella di Prospero si preparano ad assalirlo. Ma prima saccheggiano i bei vestiti appesi e li indossano. Ma ecco che, preceduti da un rumore di caccia, entrano vari spiriti come segugi e li inseguono, incitati da Prospero e Ariel. I tre reprobi scappano con i cani alle calcagna. Escono anche Prospero e Ariel. Nel quinto atto Prospero rientra con addosso il suo mantello magico. È con lui Ariel. Sono le sei e l’operazione sta per concludersi. Ariel riferi1772
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sce che il re e gli altri sono poco lontano, in un boschetto, incapacitati a muoversi. Poi esce. Prospero allora invoca gli spiriti che fino adesso ha comandato, per un ultimo sforzo, dopo il quale spezzerà la sua verga magica e affonderà il suo libro nel mare. Prospero traccia in terra un cerchio magico. Ariel rientra con i naufraghi, i quali vanno nel cerchio magico. Prospero li osserva, e parla, rivolgendosi per primo al buon Gonzalo, per poi apostrofare con amarezza i suoi veri nemici, Alonso, Sebastiano, Antonio. Quelli lo guardano imbambolati senza riconoscerlo, ma ora Prospero assistito da Ariel, che canta, si abbiglia da duca di Milano. Poi manda Ariel a recuperare la nave, che è salva coi marinai ai loro posti. Gonzalo, Alonso si riscuotono; quest’ultimo chiede perdono a Prospero. Prospero denuncia Antonio e Sebastiano come traditori. Infine rivela nella cella – la tenda del cosiddetto (da qualche studioso) discovery space si apre – Ferdinando e Miranda intenti a giocare a scacchi, indifferenti a quanto accade davanti a loro. Stupore generale. Lieto di rivedere il figlio creduto morto, Alonso accetta volentieri il suo fidanzamento con Miranda. Rientra Ariel col capitano e il nostromo della nave, inebetiti. Poi Ariel riesce e rientra con Caliban, Stefano e Trinculo nei loro abiti rubati. Prospero affida i marinai al castigo di Alonso, e tiene Caliban per sé allo scopo di punirlo. Quindi invita Alonso nella sua povera cella a riposare prima di un viaggio di ritorno che, promette, sarà felice. Quanto a sé, tornerà a Milano, dove però ogni tre respiri uno sarà per la sua tomba. Si conclude con un epilogo, detto da Prospero, il quale uscendo dal personaggio chiede solo il conforto degli applausi. La critica All’epoca della Restaurazione, ossia a partire dal 1660, e nel secolo seguente, La tempesta fu vista soprattutto come una favola, ricca di spunti per leggiadre evoluzioni di figurine, attraverso gli adattamenti prima di John Dryden e di William Davenant, poi di Thomas Shadwell, che ne fece quasi un’opera lirica; Ariel, in origine ovviamente interpretato da un giovinetto, fu affidato a una donna, inaugurando una tradizione che sopravvisse fino al 1930. La rivalutazione moderna della Tempesta iniziò con i romantici, e in particolare con Coleridge, che ne esaltò gli appelli alla fantasia, in linea con le illustrazioni di William Blake; Schlegel per primo la interpretò anche in chiave simbolica, identificando Ariel con l’Aria e Caliban con la Terra. In seguito si tese sempre di più a cercare 1773
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nuove interpretazioni del play, e con Saintsbury si vide nell’invocazione di Prospero agli elfi perché lo aiutino a un ultimo sforzo l’allusione di Shakespeare stesso all’imminente ritiro e alla fine del proprio percorso. Altri sulle sue orme pensarono a uno Shakespeare approdato alla serenità dopo un lungo periodo di crisi e di inquietudine. Nel primo Novecento, mentre il lavoro tornava ad essere rappresentato con una certa continuità, fu frequente la lettura in chiave allegorica (Shakespeare’s Tempest: An Allegorical Interpretation di E. B. Wagner, 1935; The Timeless Theme di Colin Still, 1938). Ma fu Wilson Knight a fissare per una generazione la lettura degli ultimi testi di Shakespeare come una conclusione del suo pensiero, col tema della riconciliazione dei torti e della sopravvivenza dei figli degli antichi nemici in un mondo nuovo; e in particolare della Tempesta come sintesi di questa concezione (“ripete in miniatura i temi separati dei maggiori drammi di Shakespeare… distilla l’essenza poetica di tutto l’universo shakespeariano”). Su questa strada E. M. W. Tillyard analizzò il diverso metodo seguito da Shakespeare nel Racconto d’inverno e nella Tempesta, dove si condensano le trame del lavoro precedente. Tillyard vide i romances elisabettiani come completamento del disegno classico della tragedia a partire dalla trilogia eschilea, dove dopo la conclusione cruenta si intravvede una rinascita. Modernamente però le interpretazioni, con grande prevalenza, hanno riletto la tempesta come un’allegoria dell’imperialismo. Le vaghe allusioni alle Bermude sono state ingigantite fino a spostare l’azione in luoghi remoti, come le Americhe o la costa africana, e a fare del dramma una parabola in cui Prospero è il conquistatore bianco e razzista, Ariel l’indigeno corrotto che gli fa da complice, e Caliban il nativo, caraibico o magari africano, sfruttato e spodestato del suo. Caliban diventa così un eroe portavoce degli oppressi, e Stephen Greenblatt cita a tale proposito uno scrittore cubano, Roberto Fernàndez Retamar: “Prospero ha invaso le isole, ha ucciso i nostri antenati, ha fatto schiavo Caliban e gli ha insegnato la sua lingua per farsi capire. Cos’altro può fare Caliban se non usare quella stessa lingua – oggi non ne ha più un’altra – per maledirlo, per augurargli che gli piombi addosso la peste rossa?”. La tempesta sulle scene Importantissima negli allestimenti della Tempesta fu per più di un secolo a partire, dal 1660 l’attenzione alla parte musicale. Il lavoro prevede mu1774
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sica di ambiente come quella ultraterrena fatta piovere da Ariel su coloro che vuole stordire, musica di accompagnamento ai due masques, quattro canzoni di Ariel, due canzoni di Stefano e Caliban… Durante il Sei e il Settecento il dramma fu pertanto rappresentato come un evento tra il musical e l’opera lirica. È probabile che il primo compositore delle musiche per le rappresentazioni sotto re Giacomo, quelle del 1611 e del 161213, fosse Alfonso Ferrabosco, che aveva lavorato ai masques di Ben Jonson, o il suo collaboratore Robert Johnson. Nel 1667 William Davenant propose La tempesta in un suo adattamento che conteneva solo un terzo del testo originale, ma che era arricchito da nuovi personaggi tra cui sorelle sia per Miranda sia per Caliban, e nuove canzoni. Con aggiunte di John Dryden, questa versione tenne le scene fino al diciannovesimo secolo. Parallelamente, nel 1674 Thomas Shadwell ne fece una rielaborazione per un rinnovato Duke’s Theatre, con l’impiego di fastose scenografie, minuziosamente descritte nel libretto pubblicato l’anno prima e aggiunta di ulteriori musiche (Matthew Locke fu uno dei compositori chiamati a collaborare, a lui dovendosi in particolare il brano descrittivo della tempesta iniziale. Altri compositori delle varie canzoni aggiunte furono Pelham Humfrey e John Bannister, cui si aggiunse il grande Henry Purcell per una ripresa del 1695). La versione di Shadwell, praticamente un’opera lirica all’inglese, ossia con brani parlati, tenne anch’essa le scene per un secolo e mezzo. A metà del Settecento (1757) David Garrick, è vero, tornò per il suo allestimento a una versione vicina all’originale, che poi replicò per vent’anni; ma morto lui Richard Brinsley Sheridan, suo successore alla guida del Drury Lane Theatre, ritornò alla versione di Shadwell. Il dettato di Shakespeare fu definitivamente recuperato solo nel 1838 con Charles Macready, cui tenne dietro negli anni 1850 la produzione di Charles Kean, “integrale” fino al punto di durare cinque ore. Nel 1897 William Poel allestì il dramma cercando di ricostruire le condizioni sceniche dell’epoca elisabettiana, secondo il programma della sua English Stage Society. Pochi anni dopo, nel 1904, il grande attoreimpresario Herbert Beerbohm Tree mise per primo, innovativamente, l’accento sul personaggio di Caliban, assumendosi la parte del mostro, al quale affidò il finale – abbandonato sull’isola, da uno scoglio il povero selvaggio tendeva disperatamente le mani verso la nave di Prospero che si allontanava. L’allestimento dell’Old Vic del 1930 fu il primo di quattro in cui nei decenni seguenti Prospero fu John Gielgud, probabilmente 1775
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il maggiore interprete del personaggio durante il ventesimo secolo; la sua apparizione definitiva fu nel 1973 per la regia di Peter Hall al National Theatre, truccato per l’occasione come John Dee, il famoso mago e astrologo della Regina Elisabetta (Gielgud ne fece un uomo segretamente angosciato dalle forze che deve dominare). Intanto, nel 1970, Jonathan Miller aveva diretto un’edizione colonialista, con due attori neri come Ariel, lo schiavo istruito che aspira a prendere il controllo dopo la partenza dei padroni bianchi, e Caliban, lo schiavo sfruttato e tenuto nell’ignoranza. Ammiccò alla politica contemporanea la regia di Declan Donnellan del 1988, con al posto di re Alonso una regina di Napoli molto somigliante al Primo Ministro Margaret Thatcher. L’ultima edizione inglese diretta da un grande regista ha visto al timone Trevor Nunn, che pur avendo già diretto altri trenta testi di Shakespeare affrontava questo per la prima volta. L’anno era il 2011, l’interprete, Ralph Fiennes, ma il tentativo di ignorare tante reinterpretazioni moderne per riproporre una lettura più o meno tradizionale si rivelò moderatamente deludente. In Italia, dove Virginio Puecher curò con buon esito una regia della Tempesta con Sergio Fantoni nel 1973, si impose e fu ammiratissima l’edizione molto meditata e spettacolare diretta da Giorgio Strehler nel 1978 con Tino Carraro. Tra coloro che si sono cimentati col personaggio di Prospero negli ultimi anni si possono ricordare Glauco Mauri, Giorgio Albertazzi, Fabrizio Bentivoglio, Lello Arena, Umberto Orsini, Valerio Binasco, Ugo Pagliai. Tra le numerose opere liriche tratte dalla Tempesta le più recenti sono The Tempest di Thomas Adès (2004) e Prospero di Luca Lombardi (2006). Tra le versioni cinematografiche spiccano Forbidden Planet di Fred M. Wilcock (1956), in chiave fantascientifica; The Tempest di George Schaefer (1960), sintesi per la TV, con Richard Burton; The Tempest di Derek Jarman (1979), provocatoriamente punk, col mask di Cerere come musical di Broadway; The Tempest di John Gorrie (1979) per la BBC, con Michael Hordern; Tempest di Paul Mazursky (1982), con Prospero architetto newyorchese su un’isola greca; Prospero’s Book di Peter Greenaway (1991), con un’ultima apparizione del grande John Gielgud, surreale e barocca. MASOLINO D’AMICO
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“‘The Tempest’ and the New World”, in Shakespeare Quarterly XXX, 199; N. FRYE, On Shakespeare, Markham (Ontario) 1986; B. FUCHS, “Conquering Islands. Contextualising ‘The Tempest’”, in Shakespeare Quarterly XLVII 1, 1997; M. GARBER (cur.), Cannibals, Witches and Divorce. Estranging the Renaissance, Baltimore, 1987; A. GURR, “The Bare Island”, in Shakspeare Survey XLVII, 1994; A. LOOMBA e M. ORKIN (cur.), Post-Colonial Shakespeare, London, 1998; E. A. J. HONIGMANN, Shakespeare: The Lost Years, Manchester, 1985; P. HULME, Colonial Encounters, Europe and the Native Caribbean 1492-1797, New York, 1986; P. HULME e W. SHERMAN, (cur.), “The Tempest” and Its Travels, Philadelphia, University of Pennsylvania P., 2000; T. HUNTER, Approaches to Teaching “The Tempest” and Other Late Romances, Cambridge, 1992; J. KNAPP, An Empire Nowhere. England, America, and Literature from “Utopia” to ‘The Tempest’, Berkeley, 1992; G. WILSON KNIGHT, The Shakespearean Tempest, London, 1932 e The Crown of Life, London, 1942, nonché “Caliban as a Red Man” in Shakespeare’s Styles, 1980; J. KOTT, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano, 1964, e Arcadia amara, trad. it., Milano, 1978; A. LOMBARDO, “‘La tempesta’ e l’ultimo Shakespeare”, in A. LOMBARDO (cur.), Atti del seminario sull’ultimo Shakespeare e del convegno internazionale su “The Tempest”, Milano, gennaio-marzo 1979, Roma, 1980-81; O. MANNONI, Prospero and Caliban, The Psychology of Colonization, London, 1956; G. MELCHIORI, Shakespeare, Laterza, Bari, 1994; B. A. MOWAT, “Prospero’s Book”, Shakespeare Quarterly 52, 2001; C. MUCCI, Tempesta. Narrazioni di esilio in Shakespeare e Karen Blixen, Pescara 1998; M. NEILL, “‘Noises, / Sounds, and Sweet Airs’: The Burden of Shakespeare’s Tempest”. Shakespeare Quarterly 59, 1 (Spring 2008); A. D. NUTTALL, Two Concepts of Allegory. A Study of Shakespeare’s “The Tempest” and the Logic of Allegorical Expression, London, 1967; C. PAGETTI, “‘The Tempest’ come modello archetipico della Science Fiction”, in C. PAGETTI (cur.), Sh-SF, Da Shakespeare alla Science Fiction, Pescara, 1985; D. L. PETERSON, Time Tide and The Tempest, San Marino (Ca), 1973; A. M. PIGLIONICA, Dalla realtà all’illusione. “The Tempest” e la parola preclusa, Firenze, 1985; M. R ADDADI, D’Avenants Adaptations of Shakespeare, London, 1979; L. SALINGER, “The New World in ‘The Tempest’”, in J. MAQUERLOT e M. WILLENIS (cur.), Travel and Drama in Shakespeare, Cambridge, 1994; A. M. SKURA, “Discourse and the Individual: the Case of Colonialism in ‘The Tempest’”, in Shakespeare Quarterly XL, 1989; 1778
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NOTA INTRODUTTIVA
C. STILL, Shakespeare’s Mystery Play: A Study of “The Tempest”, London, 1921 (ed. ampliata come The Timeless Theme, London 1936); M. TEMPERA (cur.), The Tempest dal testo alla scena, Università degli Studi di Ferrara, 1989; D. TRAVERSI, Shakespeare: The Last Phase, London, 1954; A. T. e V. M. VAUGHAN, Shakespeare’s Caliban, Cambridge, 1991; G. WICKHAM, “Masque and Anti-Masque in ‘The Tempest’”, in Essays and Studies XXVIII, 1975; J. WILKINSON, Remembering “The Tempest”, London, 1999; F. A. YATES, Shakespeare’s Last Plays: A New Approach, London, 1975, trad. it. Torino, 1979.
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THE TEMPEST THE PERSONS OF THE PLAY
PROSPERO, the rightful Duke of Milan MIRANDA, his daughter
TRINCULO, Alonso’s jester STEFANO, Alonso’s drunken butler
ANTONIO, his brother, the usurping Duke of Milan ALONSO, King of Naples SEBASTIAN, his brother FERDINAND, Alonso’s son GONZALO, an honest old counsellor of Naples ADRIAN lords FRANCISCO
The MASTER of a ship BOATSWAIN
}
ARIEL, an airy spirit attendant upon Prospero CALIBAN, a savage and deformed native of the island, Prospero’s slave
MARINERS SPIRITS
The Masque Spirits appearing as: IRIS CERES JUNO Nymphs, reapers
SIGLE La tempesta, ultimo testo di Shakespeare non scritto in collaborazione, apre l’in-folio (F) del 1623, dove risulta preparato con particolare attenzione, tale da sottrarre a noi il compito di riportare tutte le varianti proposte dai vari curatori nei quattro secoli che ci separano dall’opera: ci limitiamo a quelle poche che influiscono sulla traduzione, ed evitiamo quelle relative alle direttive di regia. Curatore dell’edizione Oxford che qui presentiamo è John Jowett, secondo il quale la redazione fi nale del testo si deve a Ralph Crane, che nel redigere le note di regia elaborava la propria esperienza visiva come spettatore della rappresentazione, piuttosto che seguire le direttive dell’autore, soprattutto quelle riguardanti la scena del masque dell’atto IV, abbozzate in modo frammentario. Le canzoni del testo costituiscono un capitolo a sé della sua ricezione, e sopravvivono in molti manoscritti seicenteschi.
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LA TEMPESTA PERSONAGGI
PROSPERO, legittimo duca di Milano MIRANDA, figlia di Prospero ANTONIO, suo fratello, usurpatore del ducato di Milano ALONSO, re di Napoli SEBASTIANO, suo fratello FERDINANDO, figlio di Alonso GONZALO, onesto vecchio consigliere di Napoli ADRIANO signori FRANCISCO
}
ARIEL, spirito dell’aria al servizio di Prospero CALIBAN1, schiavo selvaggio e deforme schiavo di Prospero
TRINCULO, buffone di Alonso STEFANO, cantiniere ubriacone di Alonso CAPITANO di una nave NOSTROMO MARINAI SPIRITI Il Masque Spiriti che appaiono come: IRIDE CERERE GIUNONE Ninfe, Mietitori
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 1
1.1
A tempestuous noise of thunder and lightning heard. Enter [severally] a Shipmaster and a Boatswain
MASTER Boatswain! BOATSWAIN Here, Master. What cheer? MASTER Good, speak to th’ mariners. Fall to’t yarely, or
we run ourselves aground. Bestir, bestir!
Exit
Enter Mariners BOATSWAIN Heigh, my hearts! Cheerly, cheerly, my hearts!
Yare, yare! Take in the topsail! Tend to th’ Master’s whistle! — Blow till thou burst thy wind, if room enough. Enter Alonso, Sebastian, Antonio, Ferdinand, Gonzalo, and others ALONSO Good Boatswain, have care. Where’s the Master?
(To the Mariners) Play the men! BOATSWAIN I pray now, keep below.
10
ANTONIO Where is the Master, Boatswain? BOATSWAIN Do you not hear him? You mar our labour.
Keep your cabins; you do assist the storm. GONZALO Nay, good, be patient. BOATSWAIN When the sea is. Hence! What cares these
roarers for the name of king? To cabin! Silence; trouble us not. GONZALO Good, yet remember whom thou hast aboard.
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 1
I, 1
Si sente un fragore tempestoso di tuoni e lampi. Entrano [separatamente] un capitano e un nostromo
CAPITANO
Nostromo! NOSTROMO
Sono qui, capitano! Che succede? CAPITANO
Bravo. Tutti i marinai in coperta! Subito, di corsa, altrimenti ci incagliamo. Sbrigati, sbrigati! Esce Entrano dei marinai NOSTROMO
Forza, ragazzi! Datevi una mossa! Svelti, svelti! Ammainate la gabbia! Attenti al fischio del capitano. E tu, vento, soffia quanto ti pare, non ci fai paura!2 Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Ferdinando, Gonzalo e altri ALONSO
Bravo nostromo, datti da fare. Dov’è il capitano?3 (Ai marinai) Non vi risparmiate! NOSTROMO
Per favore, voi restate di sotto. ANTONIO
Nostromo, dov’è il capitano? NOSTROMO
Non lo sentite? Qui ci date fastidio, restate nelle cabine. Così aiutate la tempesta. GONZALO
Porta pazienza! NOSTROMO
Questo ditelo al mare. Via di qui! Ci sarà anche un re a bordo, ma i cavalloni se ne infischiano! In cabina, e zitti! Non ci intralciate. GONZALO
D’accordo, ma ricordati chi stai trasportando.
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 1
BOATSWAIN None that I more love than myself. You are
a councillor; if you can command these elements to silence and work peace of the present, we will not hand a a rope more. Use your authority. If you cannot, give thanks you have lived so long and make yourself ready in your cabin for the mischance of the hour, if it so hap. (To the Mariners) Cheerly, good hearts! (To Gonzalo) Out of our way, I say! Exit GONZALO I have great comfort from this fellow. Methinks he hath no drowning mark upon him; his complexion is perfect gallows. Stand fast, good Fate, to his hanging. Make the rope of his destiny our cable, for our own doth little advantage. If he be not born to be hanged, our case is miserable. Exeunt [Courtiers] b Enter Boatswain BOATSWAIN Down with the topmast! Yare! Lower, lower!
Bring her to try wi’th’ main-course!
34
A cry within A plague upon this howling! They are louder than the weather, or our office. Enter Sebastian, Antonio, and Gonzalo Yet again? What do you here? Shall we give o’er and drown? Have you a mind to sink? SEBASTIAN A pox o’your throat, you bawling, blasphemous, incharitable dog! BOATSWAIN Work you, then. ANTONIO Hang, cur, hang, you whoreson insolent noise-maker. We are less afraid to be drowned than thou art.
40
[Exeunt Mariners]
21. Worke peace: emend. Jowett, in F worke the peace. 32.0: Exeunt: in F Exit. 1784
Shakespeare IV.indb 1784
30/11/2018 09:33:53
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 1
NOSTROMO
Nessuno che ami più di me stesso. E dato che siete un consigliere, comandate agli elementi di tacere, imponetegli un po’ di rispetto, e non dovremo più alzare un dito4. Fate valere la vostra autorità! Altrimenti, ringraziate Iddio di avere vissuto così tanto e scendete in cabina a prepararvi al peggio, se il peggio verrà.[Ai marinai] Forza voialtri, ragazzi! [A Gonzalo] E voi levatevi dai piedi, quante volte ve lo devo dire? Esce GONZALO
Questo furfante mi fa sperare bene, non è il tipo che finisce annegato – il suo destino è certamente la forca. Speriamo che il fato faccia il suo mestiere e lo conservi per il patibolo5. La nostra ancora di salvezza si reggerà alla corda del suo cappio. E ci conviene che sia così, se non è nato per finire sulla forca, siamo perduti. Escono [i cortigiani] Rientra il nostromo NOSTROMO
Giù l’albero maestro! Svelti! Buttatelo giù, giù, giù! Mettete la prua al vento! Un grido da dentro Accidenti a chi grida! Fanno più baccano di noi e della tempesta. Entrano Sebastiano, Antonio e Gonzalo Rieccoli! Che ci fate qui? Allora ci arrendiamo? Vogliamo proprio affondare? Avete questa intenzione? SEBASTIANO
Che il diavolo ti porti6, strillone senza rispetto di Dio né pietà! NOSTROMO
Lavorate voi, allora. ANTONIO
Impiccati, farabutto! Pasticcione insolente, figlio di puttana. Sei tu quello che ha paura di annegare, non noi. [I marinai escono]
1785
Shakespeare IV.indb 1785
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 1
GONZALO I’ll warrant him for drowning, though the ship
were no stronger than a nutshell and as leaky as an unstanched wench. BOATSWAIN Lay her a-hold, a-hold! Set her two courses! Off to sea again! Lay her off!
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Enter Mariners, wet MARINERS All lost! To prayers, to prayers! All lost!
[Exeunt Mariners] BOATSWAIN What, must our mouths be cold?
50
GONZALO
The King and Prince at prayers! Let’s assist them, For our case is as theirs. SEBASTIAN I’m out of patience. ANTONIO
We are merely cheated of our lives by drunkards. This wide-chopped rascal — would thou mightst lie drowning The washing of ten tides. GONZALO He’ll be hanged yet, Though every drop of water swear against it And gape at wid’st to glut him.
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A confused noise within MARINERS (within)
Mercy on us! We split, we split! Farewell, my wife and children! Farewell, brother! We split, we split, we split! [Exit Boatswain]
ANTONIO
Let’s all sink wi’th’ King. SEBASTIAN
Let’s take leave of him.
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Exeunt Antonio and Sebastian
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Shakespeare IV.indb 1786
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 1
GONZALO
Quello lì non annega, ve lo garantisco. Neanche se la nave fosse più debole di un guscio di noce, e facesse acqua peggio di una troia sfondata. NOSTROMO
No, stringete, stringete! Rimettiamola in corsa, verso il largo! Prendiamo il vento! Stringete! Entrano i marinai, bagnati MARINAI.
È tutto inutile, preghiamo! Siamo perduti! [I marinai escono] NOSTROMO
Così, a bocca asciutta?7 GONZALO
Il re e il principe stanno pregando, facciamo lo stesso, siamo nella stessa situazione. SEBASTIANO
Io ho perso la pazienza. ANTONIO
Ci lasciamo la vita per questi ubriaconi. Questo chiacchierone sfacciato… ti farei annegare sotto dieci maree!8 GONZALO
Può ancora finire impiccato. Lo affermo anche se ogni goccia d’acqua mi contraddice, e spalanca la bocca come per inghiottirlo. Grida confuse da dentro MARINAI (dentro)
Pietà di noi! Ci stiamo sfasciando! Moglie mia, figli miei, addio! Addio, fratello! Si sfascia, si sfascia, si sfascia! [Esce il nostromo] ANTONIO
Affondiamo tutti col re. SEBASTIANO
Andiamo a dirgli addio. Escono Antonio e Sebastiano
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Shakespeare IV.indb 1787
30/11/2018 09:33:53
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
GONZALO Now would I give a thousand furlongs of sea
for an acre of barren ground: long heath, broom, furze, anything. The wills above be done, but I would fain die a dry death. Exit 1.2
Enter Prospero [in his magic cloak, with a staff], and Miranda
MIRANDA
If by your art, my dearest father, you have Put the wild waters in this roar, allay them. The sky, it seems, would pour down stinking pitch, But that the sea, mounting to th’ welkin’s cheek, Dashes the fire out. O, I have sufferèd With those that I saw suffer! A brave vessel, Who had, no doubt, some noble creature in her, Dashed all to pieces! O, the cry did knock Against my very heart! Poor souls, they perished. Had I been any god of power, I would Have sunk the sea within the earth, or ere It should the good ship so have swallowed and The fraughting souls within her. PROSPERO Be collected. No more amazement. Tell your piteous heart There’s no harm done. MIRANDA O woe the day! PROSPERO No harm. I have done nothing but in care of thee, Of thee, my dear one, thee, my daughter, who Art ignorant of what thou art, naught knowing Of whence I am, nor that I am more better Than Prospero, master of a full poor cell And thy no greater father. MIRANDA More to know Did never meddle with my thoughts.
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
GONZALO
Ora darei mille leghe di mare in cambio di un solo acro di terreno brullo, brughiera, sterpaglia, arbusti, qualunque cosa. Sia fatta la volontà del cielo! Ma se potessi scegliere, preferirei morire all’asciutto. Esce I, 2
Entrano Prospero [nel suo manto magico, con una verga in mano] e Miranda
MIRANDA
Carissimo padre, se con la vostra arte avete suscitato questo scompiglio nelle acque agitate, placatelo. Sembra che il cielo farebbe piovere fetida pece se il mare, innalzandosi fino alle guance del firmamento, non ne spegnesse i fuochi. Oh! Alla vista di quei poveretti che soffrivano, ho sofferto anch’io! Un bel veliero così, che senza dubbio aveva a bordo nobili creature, fatto a pezzi! Quelle grida sono stati colpi bussati alla porta del cuore! Povere anime, sono periti! Fossi stata un dio potente, avrei fatto inghiottire il mare dalla terra prima di far scomparire così quella nave gagliarda, con le anime che trasportava. PROSPERO
Sta’ calma, non ti alterare. Di’ al tuo cuore pietoso che non è successo niente di male. MIRANDA
Giorno funesto! PROSPERO
Nessun male. Non ho fatto niente se non per te, mia cara; per te, figlia mia, che ignori chi tu sia; che non sai niente di dove io venga. Tu non sai che io sono molto di più del povero Prospero tuo padre, padrone solo di una povera grotta, e non più ricco come padre. MIRANDA
Non ho mai avuto curiosità di saperne di più.
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Shakespeare IV.indb 1789
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
’Tis time I should inform thee farther. Lend thy hand, And pluck my magic garment from me.
PROSPERO
Miranda removes Prospero’s cloak, [and he lays it on the ground] So. Lie there, my art. — Wipe thou thine eyes; have comfort. The direful spectacle of the wreck, which touched The very virtue of compassion in thee, I have with such provision in mine art So safely ordered that there is no soul — No, not so much perdition as an hair Betid to any creature in the vessel, Which thou heard’st cry, which thou saw’st sink. Sit down, For thou must now know farther.
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30
Miranda sits You have often Begun to tell me what I am, but stopped And left me to a bootless inquisition, Concluding ‘Stay; not yet’. PROSPERO The hour’s now come. The very minute bids thee ope thine ear, Obey, and be attentive. Canst thou remember A time before we came unto this cell? I do not think thou canst, for then thou wast not Out three years old. MIRANDA Certainly, sir, I can. MIRANDA
35
40
PROSPERO
By what? By any other house or person? Of anything the image tell me that Hath kept with thy remembrance. MIRANDA ’Tis far off, And rather like a dream than an assurance That my remembrance warrants. Had I not Four or five women once that tended me?
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Shakespeare IV.indb 1790
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
PROSPERO
È giunto il tempo di fartelo sapere9. Dammi la mano, toglimi questo mantello magico. Miranda toglie il mantello a Prospero [lui lo depone a terra] Così. Tu riposa qui, mia arte10. E tu asciugati gli occhi; consolati. Il terribile spettacolo di quel naufragio, che ha toccato in te la virtù della compassione, l’ho organizzato io, con tali precauzioni della mia arte magica, con tale cautela, che non una sola anima è andata perduta… anzi, che dico, non un solo capello di una qualsiasi creatura le cui grida hai sentito venire dal vascello che hai visto affondare. Siediti. Ci sono altre cose che devi sapere. Miranda si siede MIRANDA
Più di una volta avete cominciato a dirmi chi sono, ma poi vi siete fermato e mi avete lasciato in preda di una sterile curiosità, dicendo: “Aspetta: non ancora”. PROSPERO
Quell’ora è venuta adesso. Questo stesso minuto ti esorta a riaprire le orecchie. Obbedisci, e sta’ attenta. Riesci a ricordarti di un tempo prima del nostro arrivo in questa grotta? Io non credo, perché non avevi ancora tre anni. MIRANDA
Ma no, padre, mi ricordo. PROSPERO
Cosa ricordi? Un’altra casa, qualche altra persona? Se ti è rimasta qualche immagine nella memoria, dimmela. MIRANDA
Quello che la memoria mi porge è lontano, e piuttosto simile a un sogno che a un ricordo sicuro. Non avevo una volta quattro o cinque donne per accudirmi?
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Shakespeare IV.indb 1791
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
PROSPERO
Thou hadst, and more, Miranda. But how is it That this lives in thy mind? What seest thou else In the dark backward and abyss of time? If thou rememb’rest aught ere thou cam’st here, How thou cam’st here thou mayst. MIRANDA But that I do not.
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PROSPERO
Twelve year since, Miranda, twelve year since, Thy father was the Duke of Milan, and A prince of power — MIRANDA Sir, are not you my father?
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PROSPERO
Thy mother was a piece of virtue, and She said thou wast my daughter; and thy father Was Duke of Milan, and his only heir And princess no worse issued. MIRANDA O the heavens! What foul play had we that we came from thence? Or blessèd was’t we did? PROSPERO Both, both, my girl. By foul play, as thou sayst, were we heaved thence, But blessedly holp hither. MIRANDA O, my heart bleeds To think o’th’ teen that I have turned you to, Which is from my remembrance. Please you, farther.
60
PROSPERO
My brother and thy uncle called Antonio — I pray thee mark me, that a brother should Be so perfidious — he whom next thyself Of all the world I loved, and to him put The manage of my state — as at that time Through all the signories it was the first, And Prospero the prime duke — being so reputed In dignity, and for the liberal arts Without a parallel — those being all my study, The government I cast upon my brother,
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Shakespeare IV.indb 1792
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
PROSPERO
Ne avevi anche di più, Miranda. Ma come vive questo nella tua mente? Cos’altro vedi andando a ritroso nel buio abisso del tempo? Se ti ricordi di qualcosa di prima di venire qui, forse ti ricordi anche di come sei venuta. MIRANDA
No, questo no. PROSPERO
Dodici anni fa, Miranda, dodici anni fa, tuo padre era il duca di Milano, un signore molto potente. MIRANDA
Ma non siete voi mio padre? PROSPERO
Tua madre era un pozzo di virtù, e mi disse che eri mia figlia; e tuo padre era il duca di Milano; e tu niente di meno che la duchessa sua figlia ed erede. MIRANDA
O cielo! E quale colpo basso abbiamo subito, per essere venuti da lì? O magari è stata una fortuna? PROSPERO
Entrambe le cose, entrambe le cose, figlia mia. Per un colpo basso, come hai detto, fummo scacciati da lì; e per fortuna qui approdammo11. MIRANDA
Oh, mi sanguina il cuore a pensare alle sventure in cui vi siete trovato e che io non ricordo nemmeno! Ma ditemi ancora, vi prego. PROSPERO
Mio fratello, e tuo zio, chiamato Antonio – ti prego, ascoltami bene: che un fratello possa essere così perfido! – lui, la persona che subito dopo di te io amavo di più in tutto il mondo, e alla quale avevo affidato la guida del mio ducato – un ducato che all’epoca era la più potente signoria d’Italia, e Prospero il primo tra i duchi, senza pari quanto a reputazione sia per dignità sia per sapienza nelle arti liberali12… Ma poiché queste erano il mio interesse prin-
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Shakespeare IV.indb 1793
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
And to my state grew stranger, being transported And rapt in secret studies. Thy false uncle — Dost thou attend me? MIRANDA Sir, most heedfully. PROSPERO
Being once perfected how to grant suits, How to deny them, who t’advance and who To trash for over-topping, new created The creatures that were mine, I say — or changed ’em Or else new formed ’em; having both the key Of officer and office, set all hearts i’th’ state To what tune pleased his ear, that now he was The ivy which had hid my princely trunk And sucked my verdure out on’t. Thou attend’st not!
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MIRANDA
O good sir, I do. I pray thee mark me. I, thus neglecting worldly ends, all dedicated To closeness and the bettering of my mind With that which but by being so retired O’er-priced all popular rate, in my false brother Awaked an evil nature; and my trust, Like a good parent, did beget of him A falsehood, in its contrary as great As my trust was, which had indeed no limit, A confidence sans bound. He being thus lorded Not only with what my revenue yielded But what my power might else exact, like one Who having into truth, by telling oft, c Made such a sinner of his memory To credit his own lie, he did believe He was indeed the Duke. Out o’th’ substitution, And executing th’outward face of royalty
PROSPERO
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100. Oft: emend. settecentesco (Hanmer) di F of ’it, probabile errore del redattore (Crane). 1794
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
cipale, immerso in studi esoterici mi allontanai sempre di più da quel governo che avevo affidato a mio fratello. E così quel traditore di tuo zio… mi ascolti? MIRANDA
Con passione, padre. PROSPERO
Una volta imparato a concedere favori o a negarli, a distinguere tra chi promuovere e chi ridimensionare perché troppo in ascesa, avendo fatto diventare sue quelle che erano state mie creature, cambiandole o creandone di nuove; impossessatosi delle chiavi sia del governo sia dei governanti, mio fratello accordò tutti i cuori del ducato alla melodia più gradita al suo orecchio. A questo punto ormai lui era l’edera che nascondeva il mio tronco di principe, succhiandone la linfa vitale. Ma tu non mi ascolti. MIRANDA
Sì che vi ascolto, padre. PROSPERO
Ti prego, stai attenta. Io, trascurando così ogni occupazione mondana, tutto dedito ai segreti e al miglioramento del mio intelletto in una maniera che la gente comune non poteva apprezzare, risvegliai il lato peggiore di quel traditore di mio fratello; e la fiducia smisurata che gli avevo accordato, come un genitore troppo buono, suscitò in lui una doppiezza di segno opposto, grande come la mia fiducia; che veramente era stata illimitata, un affidamento senza confini. Così investito del potere, non soltanto di quello che poteva dargli la mia condizione, ma anche di quello che la mia condizione poteva procurarsi, come uno che a forza di ripetere una bugia fi nisce per credervi egli stesso, si convinse di essere davvero lui il duca; poiché mi sostituiva, e svolgeva i compiti esteriori del potere, con
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Shakespeare IV.indb 1795
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
With all prerogative, hence his ambition growing — Dost thou hear? MIRANDA Your tale, sir, would cure deafness. PROSPERO
To have no screen between this part he played And him he played it for, he needs will be Absolute Milan. Me, poor man — my library Was dukedom large enough — of temporal royalties He thinks me now incapable; confederates, So dry he was for sway, wi’th’ King of Naples To give him annual tribute, do him homage, Subject his coronet to his crown, and bend The dukedom, yet unbowed — alas, poor Milan — To most ignoble stooping. MIRANDA O the heavens!
111
115
PROSPERO
Mark his condition and th’event, then tell me If this might be a brother. MIRANDA I should sin To think but nobly of my grandmother. Good wombs have borne bad sons. PROSPERO Now the condition. This King of Naples, being an enemy To me inveterate, hearkens my brother’s suit; Which was that he, in lieu o’th’ premises Of homage and I know not how much tribute, Should presently extirpate me and mine Out of the dukedom, and confer fair Milan, With all the honours, on my brother. Whereon, A treacherous army levied, one midnight Fated to th’ purpose did Antonio open The gates of Milan; and, i’th’ dead of darkness, The ministers for th’ purpose hurried thence Me and thy crying self.
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Shakespeare IV.indb 1796
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
tutte le sue prerogative… la sua ambizione non fece che crescere… ma mi ascolti? MIRANDA
Il vostro racconto, padre, guarirebbe un sordo. PROSPERO
Per non avere più uno schermo tra la parte che recitava e colui per il quale la recitava, bisognava che diventasse il signore assoluto di Milano. Per me poveretto, la mia biblioteca era un ducato grande quanto bastava. Cominciò a considerarmi incapace del governo temporale; si accordò, tanto era avido di potere, col re di Napoli, accettando di versargli un tributo annuo, di rendergli omaggio, di sottomettere la sua corona ducale a quella regia, e di costringere il ducato, che mai aveva abbassato il capo – ahimè, povera Milano! – ai più ignobili inchini. MIRANDA
O cielo! PROSPERO
Rifletti sul patto che fece, e poi dimmi se questo è un fratello. MIRANDA
Farei peccato a non pensare più che bene di mia nonna; ma altre volte cattivi figli sono nati da ventri onesti. PROSPERO
Senti che patto. Il re di Napoli, mio inveterato nemico, accoglie le richieste di mio fratello – e in cambio delle promesse di omaggi e di non so quale tributo si impegna a spogliare immediatamente me e i miei eredi del ducato, e a consegnare con tutti gli onori la bella Milano a mio fratello. Al che radunato un esercito proditorio, alla mezzanotte del giorno destinato allo scopo, Antonio aprì le porte di Milano; e nel pieno dell’oscurità gli esecutori a ciò assegnati espulsero in fretta me e te che piangevi.
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Shakespeare IV.indb 1797
30/11/2018 09:33:53
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
Alack, for pity! I, not rememb’ring how I cried out then, Will cry it o’er again; it is a hint That wrings mine eyes to’t. PROSPERO [sitting] Hear a little further, And then I’ll bring thee to the present business Which now’s upon’s, without the which this story Were most impertinent. MIRANDA Wherefore did they not That hour destroy us? PROSPERO Well demanded, wench; My tale provokes that question. Dear, they durst not, So dear the love my people bore me; nor set A mark so bloody on the business, but With colours fairer painted their foul ends. In few, they hurried us aboard a barque, Bore us some leagues to sea, where they prepared A rotten carcass of a butt, not rigged, Nor tackle, sail, nor mast — the very rats Instinctively have quit it. There they hoist us, To cry to th’ sea that roared to us, to sigh To th’winds, whose pity, sighing back again, Did us but loving wrong. MIRANDA Alack, what trouble Was I then to you! PROSPERO O, a cherubin Thou wast that did preserve me. Thou didst smile, d Infusèd with a fortitude from heaven, When I have decked the sea with drops full salt, Under my burden groaned; which raised in me An undergoing stomach, to bear up Against what should ensue. MIRANDA How came we ashore? PROSPERO By providence divine. Some food we had, and some fresh water, that MIRANDA
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153. Wast: da intendersi come was’t, compressione di was it. 1798
Shakespeare IV.indb 1798
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
MIRANDA
Che storia pietosa! Io che non mi ricordo come piansi allora, piangerò di nuovo adesso; è uno stimolo che costringe i miei occhi. PROSPERO [Si mette seduto] Ascolta ancora un poco, e arriverò alla questione attuale che ci riguarda, senza la quale questa storia non avrebbe scopo. MIRANDA
Ma perché non ci uccisero lì per lì? PROSPERO
Ottima domanda, ragazza, e giustificata dal mio racconto. Mia cara, non osarono, tanto mi amava il mio popolo. Non vollero tracciare un segno così cruento sull’operazione, ma dipinsero i loro scopi abbietti con colori più chiari. In pochi ci misero di corsa su un’imbarcazione, ci portarono al largo per qualche lega, e lì avevano pronta la carcassa mezza marcia di una scialuppa, senza vele, sartie, alberi; persino i topi d’istinto l’avevano abbandonata13. A bordo di quella ci issarono, a gridare al mare che ci ruggiva contro, a sospirare ai venti la cui pietà, restituendoci i sospiri, ci dava un’amorosa sofferenza. MIRANDA
Ahimè, quale impaccio dovevo essere per voi! PROSPERO
Oh, tu fosti il cherubino che mi salvò. Tu sorridevi, infusa dal cielo di una fortitudine divina, mentre io coprivo il mare di gocce piene di sale, gemendo sotto il mio fardello; e questo fece nascere in me la forza di sopportare tutto quello che poi avvenne. MIRANDA
Come giungemmo a terra? PROSPERO
Grazie alla Provvidenza celeste. Avevamo un po’ di cibo, e acqua
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Shakespeare IV.indb 1799
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
A noble Neapolitan, Gonzalo, Out of his charity — who being then appointed Master of this design — did give us; with Rich garments, linens, stuffs, and necessaries Which since have steaded much. So, of his gentleness, Knowing I loved my books, he furnished me From mine own library with volumes that I prize above my dukedom. MIRANDA Would I might But ever see that man! PROSPERO Now I arise.
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[He stands and puts on his cloak] Sit still, and hear the last of our sea-sorrow. Here in this island we arrived, and here Have I thy schoolmaster made thee more profit Than other princes can, that have more time e For vainer hours and tutors not so careful.
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MIRANDA
Heavens thank you for’t. And now I pray you, sir — For still ’tis beating in my mind — your reason For raising this sea-storm. PROSPERO Know thus far forth. By accident most strange, bountiful Fortune, Now my dear lady, hath mine enemies Brought to this shore; and by my prescience I find my zenith doth depend upon A most auspicious star, whose influence If now I court not, but omit, my fortunes Will ever after droop. Here cease more questions. Thou art inclined to sleep; ’tis a good dullness, And give it way. I know thou canst not choose.
180
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Miranda sleeps
174. Princes: in F princesse, che la ricerca suggerisce sia il plurale di prince per il redattore. 1800
Shakespeare IV.indb 1800
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
dolce, che un nobile napoletano, Gonzalo, incaricato di questa operazione, per carità ci diede, con ricche vesti, biancheria, stoffe e provviste, che ci sono state poi di grande utilità: e allo stesso modo, generosamente, sapendo quanto amavo i miei libri, mi fornì dalla mia biblioteca volumi che io apprezzo più del mio stesso ducato. MIRANDA
Come vorrei vedere quell’uomo! PROSPERO
Ora io mi alzo. [Si erge in piedi e indossa il mantello] Tu resta seduta, e ascolta la fine dei nostri dolori marini. Qui, in quest’isola, arrivammo; e qui io, tuo maestro, ti ho resa più colta di tutte le altre principesse14, che hanno più tempo per ore più vane, e tutori meno solleciti. MIRANDA
Il cielo ve ne ringrazi! E adesso vi prego, padre, perché ancora mi gira nella testa. Qual è il motivo per cui avete scatenato questa tempesta? PROSPERO
Sappi solo questo. Per un caso stranissimo, la munifica Fortuna, oggi mia amica e padrona, ha portato i miei nemici su queste rive; e io per mia preveggenza trovo che il mio zenit15 dipende da una stella assai favorevole, una stella che se facessi a meno di corteggiare l’influsso della quale, o peggio ancora se lo trascurassi, le mie sorti d’ora in avanti non farebbero che declinare. Ma basta domande ora. Tu hai voglia di dormire. Abbandonati: so che non puoi fare altrimenti. Miranda dorme
1801
Shakespeare IV.indb 1801
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THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
Come away, servant, come! I am ready now. Approach, my Ariel, come! Enter Ariel ARIEL
All hail, great master, grave sir, hail. I come To answer thy best pleasure. Be’t to fly, To swim, to dive into the fire, to ride On the curled clouds, to thy strong bidding task Ariel and all his quality. PROSPERO Hast thou, spirit, Performed to point the tempest that I bade thee? ARIEL To every article. I boarded the King’s ship. Now on the beak, Now in the waste, the deck, in every cabin, I flamed amazement. Sometime I’d divide, And burn in many places; on the top-mast, The yards, and bowsprit, would I flame distinctly; Then meet and join. Jove’s lightning, the precursors O’th’ dreadful thunderclaps, more momentary And sight-outrunning were not. The fire and cracks Of sulphurous roaring the most mighty Neptune Seem to besiege, and make his bold waves tremble, Yea, his dread trident shake. PROSPERO My brave spirit! Who was so firm, so constant, that this coil Would not infect his reason? ARIEL Not a soul But felt a fever of the mad, and played Some tricks of desperation. All but mariners Plunged in the foaming brine and quit the vessel, Then all afire with me. The King’s son Ferdinand, With hair upstaring — then like reeds, not hair — Was the first man that leaped; cried ‘Hell is empty, And all the devils are here’. PROSPERO Why, that’s my spirit! But was not this nigh shore?
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Shakespeare IV.indb 1802
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LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
E tu, servo, vieni. Vieni qui. Ora sono pronto. Avvicinati, Ariel. Vieni. Entra Ariel ARIEL
Salve, grande padrone! Severo signore, salve! Vengo a obbedirti in tutto quello che ti piacerà comandarmi, fosse volare, nuotare, tuffarmi nel fuoco, cavalcare sulle onde frastagliate! Che i tuoi comandi mettano alla prova Ariel e tutte le sue doti. PROSPERO
Spirito! Hai eseguito alla lettera la tempesta che ti avevo ordinato di suscitare? ARIEL
Per filo e per segno. Ho abbordato la nave del re; e a prua, sul cassero, sulla tolda, in tutte le cabine ho sparso fiammeggiando il terrore; a volte mi dividevo e bruciavo in più punti; in cima all’albero maestro, sul boma e sul bompresso, ardevo separatamente, e poi mi univo in una fiamma sola16. Neanche i fulmini di Giove, che anticipano i terribili tuoni, erano più improvvisi e imprevedibili di me; il fuoco e gli scoppi dei ruggiti sulfurei sembravano assediare il potentissimo Nettuno e far tremare le sue ardite onde. Sì, il suo temuto tridente tremava. PROSPERO
Bravo il mio spirito! Chi poteva essere così saldo e costante da non avere la ragione sconvolta da un simile subbuglio? ARIEL
Non c’era un’anima che non fosse in preda ai tremiti della follia, e non si esibisse in qualche gesto disperato. Tutti meno i marinai si gettarono nelle acque salmastre e spumeggianti e lasciarono la nave avvolta nelle mie fiamme: il figlio del re, Ferdinando, coi capelli ritti – sembravano canne, non capelli – fu il primo a saltare. Gridò, “Non c’è più nessuno all’inferno, tutti i diavoli sono qui riuniti!” PROSPERO
Questo è il mio spirito! Ma non era vicino alla riva?
1803
Shakespeare IV.indb 1803
30/11/2018 09:33:54
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
ARIEL
Close by, my master.
217
PROSPERO
But are they, Ariel, safe? Not a hair perished. On their sustaining garments not a blemish, But fresher than before. And, as thou bad’st me, In troops I have dispersed them ’bout the isle. The King’s son have I landed by himself, Whom I left cooling of the air with sighs In an odd angle of the isle, and sitting, His arms in this sad knot. PROSPERO Of the King’s ship, The mariners, say how thou hast disposed, And all the rest o’th’ fleet. ARIEL Safely in harbour Is the King’s ship, in the deep nook where once Thou called’st me up at midnight to fetch dew From the still-vexed Bermudas, there she’s hid; The mariners all under hatches stowed, Who, with a charm joined to their suffered labour, I have left asleep. And for the rest o’th’ fleet, Which I dispersed, they all have met again, And are upon the Mediterranean float Bound sadly home for Naples, Supposing that they saw the King’s ship wrecked, And his great person perish. PROSPERO Ariel, thy charge Exactly is performed; but there’s more work. What is the time o’th’ day? ARIEL Past the mid season. ARIEL
220
225
230
235
240
PROSPERO
At least two glasses. The time ’twixt six and now Must by us both be spent most preciously. ARIEL
Is there more toil? Since thou dost give me pains, Let me remember thee what thou hast promised Which is not yet performed me. 1804
Shakespeare IV.indb 1804
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
ARIEL
Sì, vicinissima, padrone. PROSPERO
Ma sono salvi, Ariel, è così? ARIEL
Non si è perso un capello; i loro preziosi vestiti non hanno riportato il minimo danno, sono più lindi di prima; e come mi avevi ordinato, li ho dispersi a gruppi sull’isola. Il figlio del re l’ho fatto atterrare da solo, e l’ho lasciato a rinfrescare l’aria con i suoi sospiri in un angolo remoto dell’isola, con le braccia conserte così, tristemente. PROSPERO
Ora dimmi cosa hai fatto della nave del re, dei marinai e del resto della flotta. ARIEL
La nave del re è sana e salva nella baia; nell’insenatura nascosta, dove una volta mi mandasti a mezzanotte a cercare rugiada delle sempre tormentate Bermude17 – lì è nascosta; i marinai, tutti rannicchiati sotto tettoie dove li ho lasciati dormienti, grazie a un incantesimo che si è sovrapposto alle sofferenze patite. Quanto ai resti della flotta che ho dispersa, si sono ricongiunti e sono sul Mediterraneo, in mesta rotta per Napoli. Loro credono di aver visto naufragare la nave del re, e perire la sua grande persona. PROSPERO
Ariel, hai eseguito il tuo compito con precisione. Ma non finisce qui. Che ore sono adesso? ARIEL
Il mezzogiorno è passato. PROSPERO
Dovremo impiegare con la massima minuzia il tempo di almeno due clessidre tra ora e le sei18. ARIEL
Altro lavoro? Visto che mi fai faticare, consentimi di ricordarti la tua promessa, che non hai ancora mantenuto.
1805
Shakespeare IV.indb 1805
30/11/2018 09:33:54
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
PROSPERO
How now? Moody?
What is’t thou canst demand? ARIEL
My liberty.
246
PROSPERO
Before the time be out? No more! I prithee, Remember I have done thee worthy service, Told thee no lies, made thee no mistakings, served Without or grudge or grumblings. Thou did promise To bate me a full year. PROSPERO Dost thou forget From what a torment I did free thee? ARIEL No. ARIEL
251
PROSPERO
Thou dost, and think’st it much to tread the ooze Of the salt deep, To run upon the sharp wind of the north, To do me business in the veins o’th’ earth When it is baked with frost. ARIEL I do not, sir.
255
PROSPERO
Thou liest, malignant thing. Hast thou forgot The foul witch Sycorax, who with age and envy Was grown into a hoop? Hast thou forgot her?
260
ARIEL
No, sir. PROSPERO Thou hast. Where was she born? Speak, tell me! ARIEL
Sir, in Algiers. O, was she so! I must Once in a month recount what thou hast been, Which thou forget’st. This damned witch Sycorax, For mischiefs manifold and sorceries terrible To enter human hearing, from Algiers Thou know’st was banished. For one thing she did They would not take her life. Is not this true?
PROSPERO
265
1806
Shakespeare IV.indb 1806
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
PROSPERO
Che c’è adesso? Mi fai il broncio? Che potrai mai chiedere? ARIEL
La mia libertà. PROSPERO
Prima del tempo? Non ancora! ARIEL
Ti prego, ricordati che ti ho reso dei bei servizi; non ti ho mai mentito, non ho commesso errori, ti ho servito senza esitare né brontolare; tu mi avevi promesso di scontarmi un anno intero. PROSPERO
Hai dimenticato da quali tormenti ti ho affrancato? ARIEL
No. PROSPERO
Sì, invece. Ora ti sembra chissà che percorrere la superficie degli abissi salati, correre sul pungente vento del nord, svolgere incarichi per me nelle vene della terra quando è ingessata dal gelo. ARIEL
Non è così, signore. PROSPERO
Piccolo bugiardo malignetto! Ti sei scordato della turpe strega Sycorax19, che per la vecchiaia e la malvagità era diventata quasi rotonda? Te la sei scordata? ARIEL
No, signore. PROSPERO
E invece sì. Dov’era nata? Avanti, rispondi. ARIEL
Ad Algeri, signore. PROSPERO
Ah, davvero? A quanto pare ogni mese ti devo raccontare di nuovo dove stavi, visto che te lo scordi subito. Quella dannata strega di Sycorax, come ben sai, per le sue mille malefatte e stregonerie troppo tremende da porgere a orecchi umani, era stata bandita da Algeri; solo per non so più cosa aveva fatto, non la condannarono a morte. È vero o no? 1807
Shakespeare IV.indb 1807
30/11/2018 09:33:54
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
ARIEL Ay, sir. PROSPERO
This blue-eyed hag was hither brought with child, And here was left by th’ sailors. Thou, my slave, As thou report’st thyself, was then her servant; And for thou wast a spirit too delicate To act her earthy and abhorred commands, Refusing her grand bests, she did confine thee By help of her more potent ministers, And in her most unmitigable rage, Into a cloven pine; within which rift Imprisoned thou didst painfully remain A dozen years, within which space she died And left thee there, where thou didst vent thy groans As fast as mill-wheels strike. Then was this island — Save for the son that she did litter here, A freckled whelp, hag-born — not honoured with A human shape. ARIEL Yes, Caliban her son.
270
275
280
285
PROSPERO
Dull thing, I say so: he, that Caliban Whom now I keep in service. Thou best know’st What torment I did find thee in. Thy groans Did make wolves howl, and penetrate the breasts Of ever-angry bears; it was a torment To lay upon the damned, which Sycorax Could not again undo. It was mine art, When I arrived and heard thee, that made gape The pine and let thee out. ARIEL I thank thee, master.
290
PROSPERO
If thou more murmur’st, I will rend an oak, And peg thee in his knotty entrails till Thou hast howled away twelve winters. ARIEL Pardon, master. I will be correspondent to command, And do my spriting gently.
295
1808
Shakespeare IV.indb 1808
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
ARIEL
Sì, signore. PROSPERO
Quella megera dalle palpebre tinte di blu fu portata qui incinta, e qui i marinai la lasciarono. Tu, mio schiavo, come tu stesso mi riferisti, fosti allora il suo servo; e poiché eri uno spirito troppo delicato per eseguire i suoi comandi mondani e esecrandi, e ti rifiutasti di obbedire ai suoi ordini, lei fu presa da un accesso di ira furibonda e con l’aiuto dei suoi referenti ancora più potenti di lei ti rinchiuse dentro un pino spaccato; e in quella fessura tu sei rimasto dolorosamente imprigionato per dodici anni, durante i quali lei morì lasciandoti lì dentro a emettere gemiti con la velocità delle ruote di un mulino. Allora questa isola… se non per il figlio che costei aveva deposto qui, un cucciolo maculato nato da una strega… non aveva il bene di una sola presenza umana. ARIEL
Sì, suo figlio Caliban. PROSPERO
Uno stupido, dico; quello stesso Caliban che ora tengo al mio servizio. Lo sai meglio di me in quali tormenti ti trovai; i tuoi gemiti facevano ululare i lupi, e penetravano fin dentro il cuore degli orsi furibondi. Era un supplizio da infl iggere ai dannati, e Sycorax non poteva più togliertelo. Fu la mia arte, quando arrivai qui e ti udii, ad aprire il pino e a farti uscire. ARIEL
E io vi ringrazio, padrone. PROSPERO
Se ti sento brontolare un’altra volta, spacco una quercia e ti infilo nelle sue viscere nodose, fino a farti ululare per dodici inverni. ARIEL
Perdonate, padrone, obbedirò a ogni comando; sarò un bravo spirito.
1809
Shakespeare IV.indb 1809
30/11/2018 09:33:54
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
PROSPERO Do so, and after two days
300
I will discharge thee. That’s my noble master! What shall I do? Say what, what shall I do?
ARIEL
PROSPERO
Go make thyself like to a nymph o’th’ sea. Be subject To no sight but thine and mine, invisible To every eyeball else. Go take this shape, And hither come in’t. Go; hence with diligence!
305
Exit Ariel Awake, dear heart, awake! Thou hast slept well; Awake. MIRANDA (awaking) The strangeness of your story put Heaviness in me. PROSPERO Shake it off. Come on; We’ll visit Caliban my slave, who never Yields us kind answer. MIRANDA ’Tis a villain, sir, I do not love to look on. PROSPERO But as ’tis, We cannot miss him. He does make our fire, Fetch in our wood, and serves in offices That profit us. — What ho! Slave, Caliban! Thou earth, thou, speak! CALIBAN (within) There’s wood enough within.
310
315
PROSPERO
Come forth, I say! There’s other business for thee. Come, thou tortoise! When? Enter Ariel, like a water-nymph Fine apparition! My quaint Ariel, Hark in thine ear. He whispers ARIEL
My lord, it shall be done.
Exit
1810
Shakespeare IV.indb 1810
30/11/2018 09:33:54
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
PROSPERO
Fai così, e tra due giorni ti metterò in libertà. ARIEL
Ecco il mio nobile padrone! Che devo fare? Ditelo; che devo fare? PROSPERO
Trasformati in una ninfa del mare, visibile soltanto a me e a te stesso, invisibile a ogni altra pupilla. Va’, assumi questa forma, e poi torna; via, da bravo. Ariel esce Svegliati, tesoro mio, svegliati! Hai dormito bene; svegliati! MIRANDA (svegliandosi) Il vostro strano racconto mi ha messo addosso la sonnolenza. PROSPERO
Riscuotila. Vieni: andiamo a trovare il mio schiavo Caliban, che mai ci ha dato una risposta gentile. MIRANDA
È un manigoldo, signore, non mi piace vederlo. PROSPERO
Ma stando così le cose, non possiamo fare a meno di lui. Ci prepara il fuoco, ci trova la legna, svolge per noi servizi utili. Ehi, tu! Schiavo! Caliban! Ehi, pezzo di fango! Parla. CALIBAN (da dentro) La legna c’è. PROSPERO
Vieni qui, ho detto! Ho un altro incarico per te; muoviti, tartaruga! Allora? Entra Ariel, in forma di ninfa Bella apparizione! Mio prezioso Ariel, vieni qui. Ti parlo all’orecchio. Sussurra ARIEL
Sarà fatto, mio signore. Esce
1811
Shakespeare IV.indb 1811
30/11/2018 09:33:54
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
PROSPERO
Thou poisonous slave, got by the devil himself Upon thy wicked dam, come forth!
321
Enter Caliban CALIBAN
As wicked dew as e’er my mother brushed With raven’s feather from unwholesome fen Drop on you both! A southwest blow on ye, And blister you all o’er!
325
PROSPERO
For this be sure tonight thou shalt have cramps, Side-stitches that shall pen thy breath up. Urchins Shall forth at vast of night, that they may work f All exercise on thee. Thou shalt be pinched As thick as honeycomb, each pinch more stinging Than bees that made ’em. CALIBAN I must eat my dinner. This island’s mine, by Sycorax my mother, Which thou tak’st from me. When thou cam’st first, Thou strok’st me and made much of me, wouldst give me Water with berries in’t, and teach me how To name the bigger light, and how the less, That burn by day and night; and then I loved thee, And showed thee all the qualities o’th’ isle, The fresh springs, brine-pits, barren place and fertile — Cursed be I that did so! All the charms Of Sycorax, toads, beetles, bats, light on you; For I am all the subjects that you have, Which first was mine own king, and here you sty me In this hard rock, whiles you do keep from me The rest o’th’ island. PROSPERO Thou most lying slave, Whom stripes may move, not kindness! I have used thee,
330
336
341
345
329. Forth at: chiaramente preferibile al for that di F. 1812
Shakespeare IV.indb 1812
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
PROSPERO
E tu, ignobile schiavo, generato dal diavolo in persona con la tua turpe genitrice – vieni avanti! Entra Caliban CALIBAN
Che vi cada addosso una pioggia avvelenata come quella che faceva mia madre con le piume dei corvi dal nido infetto! Che vi soffi addosso un vento di sudovest e vi copra di piaghe purulente! PROSPERO
Per questo stai tranquillo che stanotte avrai dei dolori, delle fitte che ti mozzeranno il respiro; per tutta la notte, finché saranno in azione, dei porcospini ti lavoreranno; sarai punto peggio che in un alveare, e ogni puntura brucerà più di quella delle api. CALIBAN
Devo rassegnarmi 20. L’isola è mia, per via di Sycorax, mia madre; tu me l’hai tolta. Quando arrivasti mi accarezzavi e mi portavi in palma di mano; mi offrivi l’acqua con le ciliegie; e mi insegnavi il nome della luce più grande, e di quella più piccola, che ardono il giorno e la notte; e allora io ti volevo bene, e ti ho mostrato tutte le risorse dell’isola, le sorgenti di acqua pura e le pozze di acqua salata, i posti aridi e quelli fertili; accidenti a me che l’ho fatto! Che ti piombino addosso tutte le maledizioni di Sycorax, rospi, scarafaggi, pipistrelli! Perché io sono tutti i sudditi che hai, io che ero il mio stesso re; e tu qui mi rinchiudi in questa dura roccia, e mi escludi dal resto dell’isola. PROSPERO
Schiavo bugiardissimo, da smuovere con le frustate, non con le buone maniere! Io ti ho trattato, immondizia che sei, con umana
1813
Shakespeare IV.indb 1813
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
Filth as thou art, with human care, and lodged thee g In mine own cell, till thou didst seek to violate The honour of my child.
350
CALIBAN
O ho, O ho! Would’t had been done! Thou didst prevent me; I had peopled else This isle with Calibans. MIRANDA Abhorrèd slave, h Which any print of goodness wilt not take, Being capable of all ill! I pitied thee, Took pains to make thee speak, taught thee each hour One thing or other. When thou didst not, savage, Know thine own meaning, but wouldst gabble like A thing most brutish, I endowed thy purposes With words that made them known. But thy vile race, Though thou didst learn, had that in’t which good natures Could not abide to be with; therefore wast thou Deservedly confined into this rock, Who hadst deserved more than a prison.
355
361
CALIBAN
You taught me language, and my profit on’t Is I know how to curse. The red plague rid you For learning me your language! PROSPERO Hag-seed, hence! Fetch us in fuel. And be quick, thou’rt best, To answer other business. — Shrug’st thou, malice? If thou neglect’st or dost unwillingly What I command, I’ll rack thee with old cramps, Fill all thy bones with aches, make thee roar, That beasts shall tremble at thy din.
365
370
349. Human: Jowett modernizza: humane. 353, 420. Secondo emend. settecenteschi (Theobald) le battute assegnate a Miranda in F sarebbero invece di Prospero. 1814
Shakespeare IV.indb 1814
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
sollecitudine; e ti ho alloggiato nella mia stessa grotta, fino a quando non hai cercato di violare l’onore di mia figlia. CALIBAN
Oh, oh! Magari lo avessi fatto! Tu me l’hai impedito, altrimenti avrei popolato quest’isola di piccoli Calibani. MIRANDA
Schiavo aborrito, che respingi ogni impronta di bontà, capace come sei di ogni male! Io ti compativo, mi sono sforzata per farti parlare, ogni momento ti ho insegnato qualche cosa; e quando tu, selvaggio che sei, non sapevi neanche quello che dicevi, ma sproloquiavi come una bestia, ho aiutato le tue necessità dandoti parole perché potessi farti capire. Ma per quanto tu imparassi, la tua vile razza aveva quello con cui le buone nature non tollerano di convivere. Pertanto fosti meritatamente confinato in questa roccia, che hai meritato ancora più di una prigione. CALIBAN
Tu mi hai insegnato il linguaggio; e il profitto che ne ho è, che so maledire. La peste rossa ti porti via, per avermi insegnato il tuo linguaggio! PROSPERO
Via di qui, rampollo di strega! Portaci del combustibile; e meglio che ti sbrighi, perché dopo ho altri incarichi. Alzi le spalle, manigoldo? Se non farai, o se farai di malavoglia quanto ti ordino, ti coprirò di dolori, riempirò tutte le tue ossa di fitte; urlerai da far tremare le belve.
1815
Shakespeare IV.indb 1815
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
No, pray thee. (Aside) I must obey. His art is of such power It would control my dam’s god Setebos, And make a vassal of him. PROSPERO So, slave, hence! CALIBAN
375
Exit Caliban Enter Ariel [like a water-nymph], playing and singing, invisible to Ferdinand, who follows. [Prospero and Miranda stand aside] Song Come unto these yellow sands, And then take hands; Curtsied when you have and kissed — The wild waves whist — Foot it featly here and there, And, sweet sprites, bear The burden. Hark, hark. i [SPIRITS] (dispersedly within) Bow-wow! [ARIEL] The watch-dogs bark. [SPIRITS] (within) Bow-wow! ARIEL Hark, hark, I hear The strain of strutting Chanticleer Cry ‘cock-a-diddle-dow’. j ARIEL
380
385
FERDINAND
Where should this music be? I’th’ air or th’earth? It sounds no more; and sure it waits upon Some god o’th’ island. Sitting on a bank, Weeping again the King my father’s wreck, This music crept by me upon the waters, Allaying both their fury and my passion
390
395
383. The burthen: il “bordone”, nota continua di accompagnamento in un coro, nella canzone di Ariel didascalia confusa con le parole della strofa. 389. Cock-a-diddle-dow. Non trascritto nella forma moderna di cock-adiddle-do, perché deve rimare con Bow-wow più sopra. 1816
Shakespeare IV.indb 1816
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
CALIBAN
No, ti prego. [A parte] Devo obbedire: la sua arte ha un tale potere, che potrebbe controllare il dio di mia madre, Setebos21, e farne un suo vassallo. PROSPERO
Hai capito, schiavo? Via di qui! Caliban esce Entra Ariel [come una ninfa acquatica], suonando e cantando, invisibile a Ferdinando, che lo segue. [Prospero e Miranda sono in disparte] Canzone ARIEL22
A queste bionde spiagge accorrete E poi le vostre mani intrecciate! E poi scambiatevi baci ed inchini E la tempesta del mare placate: Voglio vedervi che saltellate Voglio sentirvi che in coro cantate… Ascolta ascolta, non sono lontani…. [SPIRITI] (sparsi, da dentro) Bau, bau! [ARIEL]
Ecco i miei spiriti ecco i miei cani… [SPIRITI] (da dentro)
Bau, bau! ARIEL
E degli spiriti si unisce al ballo Cantando fiero adesso anche il gallo23… FERDINANDO
Da dove viene questa musica? Dall’aria o dalla terra?… Ora non si sente più. Certo è in onore di qualche dio dell’isola. Ero sulla riva e piangevo il naufragio del re mio padre, quando questa musica mi ha raggiunto furtiva dalle acque, placando con la sua soavità sia la
1817
Shakespeare IV.indb 1817
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
With its sweet air. Thence I have followed it — Or it hath drawn me rather. But ’tis gone. No, it begins again. Song Full fathom five thy father lies. Of his bones are coral made; Those are pearls that were his eyes; Nothing of him that doth fade But doth suffer a sea-change Into something rich and strange. Sea-nymphs hourly ring his knell: [SPIRITS] (within) Ding dong. k ARIEL Hark, now I hear them. [SPIRITS] (within) Ding-dong bell, [etc.] ARIEL
400
405
FERDINAND
The ditty does remember my drowned father. This is no mortal business, nor no sound That the earth owes. [Music] I hear it now above me. PROSPERO (to Miranda) The fringèd curtains of thine eye advance, And say what thou seest yon. MIRANDA What is’t? A spirit? Lord, how it looks about! Believe me, sir, It carries a brave form. But ’tis a spirit.
410
PROSPERO
No, wench, it eats and sleeps, and hath such senses As we have, such. This gallant which thou seest Was in the wreck, and but he’s something stained With grief, that’s beauty’s canker, thou mightst call him A goodly person. He hath lost his fellows, And strays about to find ’em.
416
406. [SPIRITS] (within) ding dong: l’intera battuta assente in F. 1818
Shakespeare IV.indb 1818
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
loro furia sia il mio dolore; e io l’ho seguita, o piuttosto lei mi ha attirato. Però adesso è cessata. No, ricomincia. Canzone ARIEL
A cinque tese24 tuo padre è disteso; E le sue ossa son tanti coralli Sono due perle adesso i suoi occhi Tutto il suo corpo è tanto mutato Il mare ha fatto il cambiamento In qualche cosa di strano e opulento. Ninfe salmastre lo stanno cullando… SPIRITI (da dentro) Din-don! ARIEL
Zitti, le sento!. SPIRITI (da dentro)
Din-don, campana! [ecc.] FERDINANDO
Questa canzoncina mi parla di mio padre annegato. Non è cosa umana, né suono che appartenga alla terra. [Musica] Ora lo sento sopra di me. PROSPERO (a Miranda)
Alza le frangiate cortine dei tuoi occhi e di’ che cosa vedi laggiù. MIRANDA
Che cosa è quello? Uno spirito? Signore, come si guarda intorno! In fede mia, padre, ha un bell’aspetto. Ma è uno spirito. PROSPERO
No, ragazza; mangia e dorme e ha dei sensi proprio come noi. Questo galante che vedi era nel naufragio; e se non fosse un po’ alterato dal dolore – che è il cancro della bellezza – lo potresti definire una creatura attraente. Ha perso i suoi compagni, e si aggira alla loro ricerca.
1819
Shakespeare IV.indb 1819
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
I might call him A thing divine, for nothing natural I ever saw so noble. PROSPERO (aside) It goes on, I see, As my soul prompts it. (To Ariel) Spirit, fine spirit, I’ll free thee Within two days for this. FERDINAND [aside] Most sure the goddess On whom these airs attend. (To Miranda) Vouchsafe my prayer May know if you remain upon this island, And that you will some good instruction give How I may bear me here. My prime request, Which I do last pronounce, is — O you wonder — If you be maid or no? MIRANDA No wonder, sir, But certainly a maid. FERDINAND My language! Heavens! I am the best of them that speak this speech, Were I but where ’tis spoken. PROSPERO How, the best? What wert thou if the King of Naples heard thee? MIRANDA
420
425
430
FERDINAND
A single thing, as I am now that wonders To hear thee speak of Naples. He does hear me, And that he does I weep. Myself am Naples, Who with mine eyes, never since at ebb, beheld The King my father wrecked. MIRANDA Alack, for mercy!
435
FERDINAND
Yes, faith, and all his lords, the Duke of Milan And his brave son being twain. PROSPERO (aside) The Duke of Milan And his more braver daughter could control thee, If now ’twere fit to do’t. At the first sight They have changed eyes. — Delicate Ariel,
440
1820
Shakespeare IV.indb 1820
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
MIRANDA
Io potrei definirlo una cosa divina; poiché in natura non ho mai visto nulla di così nobile. PROSPERO (a parte) Funziona, vedo, proprio come l’animo mi suggeriva. (A Ariel) Spirito, bravo spirito! Per questo tra due giorni ti lascerò libero. FERDINANDO [a parte] Ma di sicuro questa è la dea servita da queste arie! (A Miranda) Esaudisci la mia preghiera, dimmi se vivi su quest’isola, e in tal caso dammi qualche indicazione su come comportarmi qui. Ma la mia prima domanda, che formulo per ultima è, o cosa prodigiosa!25 Sei una fanciulla o no? MIRANDA
Un prodigio no, signore; ma certamente una fanciulla. FERDINANDO
La mia lingua! Cielo! Io sarei il primo tra coloro che parlano questa lingua, se mi trovassi là dove si parla. PROSPERO
Come? Il primo? E se ti sentisse il re di Napoli, cosa saresti? FERDINANDO
Una cosa abbandonata, sono adesso, che si meraviglia a sentirti parlare di Napoli 26. Egli mi sente, e questo mi fa piangere. Io stesso sono il re di Napoli, da quando coi miei occhi, che sono rimasti colmi di lacrime da allora, ho visto il re mio padre fare naufragio. MIRANDA
Ahi, poveretto! FERDINANDO
Sì, in fede mia, con tutti i suoi signori; e c’erano anche il duca di Milano e il suo gagliardo figlio27. PROSPERO (a parte) Il duca di Milano e la sua ancora più gagliarda figlia potrebbero contraddirti, se questo fosse il momento. – Al primo sguardo sono diventati l’uno la pupilla dell’altra. – Squisito Ariel, per questo ti
1821
Shakespeare IV.indb 1821
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
I’ll set thee free for this. (To Ferdinand) A word, good sir. I fear you have done yourself some wrong. A word. MIRANDA (aside) Why speaks my father so ungently? This Is the third man that e’er I saw, the first That e’er I sighed for. Pity move my father To be inclined my way. FERDINAND O, if a virgin, And your affection not gone forth, I’ll make you The Queen of Naples. PROSPERO Soft, sir! One word more. (Aside) They are both in either’s powers. But this swift business I must uneasy make, lest too light winning Make the prize light. (To Ferdinand) One word more. I charge thee That thou attend me. Thou dost here usurp The name thou ow’st not; and hast put thyself Upon this island as a spy, to win it From me the lord on’t. FERDINAND No, as I am a man.
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MIRANDA
There’s nothing ill can dwell in such a temple. If the ill spirit have so fair a house, Good things will strive to dwell with’t. PROSPERO (to Ferdinand) Follow me. (To Miranda) Speak not you for him; he’s a traitor. (To Ferdinand) Come! I’ll manacle thy neck and feet together. Sea-water shalt thou drink; thy food shall be The fresh-brook mussels, withered roots, and husks Wherein the acorn cradled. Follow! FERDINAND No. I will resist such entertainment till Mine enemy has more power.
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He draws, and is charmed from moving 1822
Shakespeare IV.indb 1822
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
farò libero. (A Ferdinando) Una parola, caro signore; temo che vi siate ingannato; una parola. MIRANDA (a parte) Perché mio padre gli parla con tanta insistenza? Questo è il terzo uomo che io abbia mai visto; il primo per cui abbia sospirato. La pietà spinge mio padre a assecondarmi! FERDINANDO
Oh, se siete una vergine e se i vostri affetti non sono occupati, vi farò regina di Napoli. PROSPERO
Piano, signore! Ancora una parola. (A parte) Sono l’una nelle mani dell’altro; ma questa faccenda così rapida devo ostacolarla, perché una conquista troppo facile non tolga valore alla preda. (A Ferdinando) Ancora una parola. Ti ordino di servirmi. Tu qui usurpi un nome che non ti appartiene; sei arrivato su quest’isola per spiarmi, e per toglierla a me che ne sono il signore. FERDINANDO
No, com’è vero che sono un uomo. MIRANDA
Nessun male può abitare in un tempio simile: se uno spirito maligno avesse una dimora così bella, quelli buoni lotterebbero per entrarci loro. PROSPERO (A Ferdinando) Seguimi. (A Miranda) E tu non lo difendere: è un traditore. (A Ferdinando) Vieni! Ti metterò in catene, collo e piedi; berrai acqua salmastra; il tuo cibo saranno cozze di fiume28, radici secche e i gusci culla delle ghiande. Seguimi. FERDINANDO
No; mi opporrò a una simile accoglienza, finché il nemico non si mostri più potente di me. Estrae la spada, ma un incantesimo gli impedisce di muoversi
1823
Shakespeare IV.indb 1823
30/11/2018 09:33:55
THE TEMPEST, ACT 1 SCENE 2
O dear father, Make not too rash a trial of him, for He’s gentle, and not fearful. PROSPERO What, I say, My foot my tutor? Put thy sword up, traitor, Who mak’st a show but dar’st not strike, thy conscience Is so possessed with guilt. Come from thy ward, For I can here disarm thee with this stick And make thy weapon drop. MIRANDA Beseech you, father! MIRANDA
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PROSPERO
Hence! Hang not on my garments. Sir, have pity. I’ll be his surety. PROSPERO Silence! One word more Shall make me chide thee, if not hate thee. What, An advocate for an impostor? Hush! Thou think’st there is no more such shapes as he, Having seen but him and Caliban. Foolish wench! To th’ most of men this is a Caliban, And they to him are angels. MIRANDA My affections Are then most humble. I have no ambition To see a goodlier man. PROSPERO (to Ferdinand) Come on; obey. Thy nerves are in their infancy again, And have no vigour in them. FERDINAND So they are. My spirits, as in a dream, are all bound up. My father’s loss, the weakness which I feel, The wreck of all my friends, nor this man’s threats l To whom I am subdued, are but light to me, m Might I but through my prison once a day MIRANDA
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491. Nor: in varianti settecentesche and, or, nay. 492. Are but: così in F, in variante settecentesca are. 1824
Shakespeare IV.indb 1824
30/11/2018 09:33:55
LA TEMPESTA, ATTO I SCENA 2
MIRANDA
Caro padre, non lo trattate troppo duramente, perché è nobile, e non è un codardo. PROSPERO
Cosa! Mi devo far mettere sotto da un inferiore? Rinfodera la spada, traditore! Fai la scena ma non osi colpire, hai la coscienza troppo sporca. Lascia stare il tuo arnese. Perché io posso disarmarti con questo bastone, e fartelo cadere di mano. MIRANDA
Vi prego, padre. PROSPERO
Via di qui! Non mi ti attaccare alle vesti. MIRANDA
Signore, abbiate pietà. Garantisco io per lui. PROSPERO
Silenzio! Un’altra tua parola mi costringerà a sgridarti, se non a detestarti. Cosa? Fai l’avvocato di un impostore! Zitta! Avendo visto solo lui e Caliban, tu credi che non ce ne siano altri fatti allo stesso modo: sciocca ragazza! Per la maggior parte degli uomini lui è un Caliban, e gli altri accanto a lui sono angeli. MIRANDA
Vuol dire che i miei affetti sono umili: non mi auguro di poter vedere un uomo più bello. PROSPERO (A Ferdinando) Andiamo, ubbidisci! Le tue forze sono tornate all’infanzia, non hai vigore. FERDINANDO
È vero: i miei spiriti sono tutti legati come in un sogno. La perdita di mio padre, la debolezza che provo, il naufragio di tutti i miei amici, non dico le minacce di quest’uomo al quale sono sottomesso, mi sarebbero quanto mai leggeri se solo potessi nella mia prigionia una volta al giorno contemplare questa fanciulla. Che tutti gli altri
1825
Shakespeare IV.indb 1825
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THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
Behold this maid. All corners else o’th’ earth Let liberty make use of; space enough Have I in such a prison. PROSPERO (aside) It works. (To Ferdinand) Come on. — Thou hast done well, fine Ariel. (To Ferdinand) Follow me. (To Ariel) Hark what thou else shalt do me. MIRANDA (to Ferdinand) Be of comfort. My father’s of a better nature, sir, Than he appears by speech. This is unwonted Which now came from him. PROSPERO (to Ariel) Thou shalt be as free As mountain winds; but then exactly do All points of my command. ARIEL To th’ syllable. PROSPERO (to Ferdinand) Come, follow. (To Miranda) Speak not for him. Exeunt 2.1
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Enter Alonso, Sebastian, Antonio, Gonzalo, Adrian, and Francisco
GONZALO (to Alonso)
Beseech you, sir, be merry. You have cause, So have we all, of joy; for our escape Is much beyond our loss. Our hint of woe Is common; every day some sailor’s wife, The masters of some merchant, and the merchant, Have just our theme of woe. But for the miracle, I mean our preservation, few in millions Can speak like us. Then wisely, good sir, weigh Our sorrow wilh our comfort. ALONSO Prilhee, peace.
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1826
Shakespeare IV.indb 1826
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LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
angoli della terra se li goda chi è libero; io in una prigione come questa avrei tutto lo spazio che desidero. PROSPERO (a parte) Funziona. (A Ferdinando) Vieni. – Hai lavorato bene, mio ottimo Ariel! (A Ferdinando) Tu seguimi. (A Ariel) Ascolta cos’altro mi devi fare. MIRANDA (A Ferdinando) Non vi abbattete; mio padre, signore, ha un carattere migliore di quanto sembri da come ha parlato; quello che ha manifestato adesso è inconsueto. PROSPERO (A Ariel) Sarai libero come i venti sui monti: però prima devi fare esattamente tutto quello che ti ho ordinato. ARIEL
Alla lettera. PROSPERO (A Ferdinando) Vieni, seguimi. (A Miranda) E tu non intercedere per lui. Escono II, 1
Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Gonzalo, Adriano e Francisco
GONZALO (a Alonso)
Vi prego, altezza, mettetevi di buon umore. Ne avete ogni ragione, come del resto tutti noi, poiché quello che abbiamo guadagnato uscendone vivi è molto superiore a quello che abbiamo perso. Le cose di cui possiamo dolerci sono cose che capitano spesso. Ogni giorno qualche moglie di marinaio, qualche padrone di mercantili, anche qualche mercante, hanno occasione di pronunciare lamenti come i nostri; ma quanto al miracolo, dico la nostra salvezza, sono pochi tra milioni quelli che possono dire quello che diciamo noi. E allora, sire, da persona saggia quale siete, controbilanciate il nostro dolore con la nostra incolumità. ALONSO
Basta, per favore.
1827
Shakespeare IV.indb 1827
30/11/2018 09:33:56
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
SEBASTIAN (to Antonio) He receives comfort like cold
porridge.
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ANTONIO The visitor will not give him o’er so. SEBASTIAN Look, he’s winding up the watch of his wit.
By and by it will strike. GONZALO (to Alonso) Sir —
15
SEBASTIAN (to Antonio) One: tell. GONZALO (to Alonso)
When every grief is entertained that’s offered, Comes to th’entertainer — SEBASTIAN A dollar. GONZALO Dolour comes to him indeed. You have spoken truer than you purposed. SEBASTIAN You have taken it wiselier than I meant you should. GONZALO (to Alonso) Therefore my lord — ANTONIO (to Sebastian) Fie, what a spendthrift is he of his tongue! ALONSO (to Gonzalo) I prithee, spare. GONZALO Well, I have done. But yet — SEBASTIAN (to Antonio) He will be talking. ANTONIO Which of he or Adrian, for a good wager, first begins to crow? SEBASTIAN The old cock. ANTONIO The cockerel.
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Shakespeare IV.indb 1828
30/11/2018 09:33:56
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
SEBASTIANO (a Antonio)
Per sua maestà queste considerazioni consolatorie sono pietanze scondite29. ANTONIO
Ma non per questo il buon samaritano30 lascia la preda. SEBASTIANO
Guardalo! Sta caricando la molla del suo estro. Tra poco parte la suoneria. GONZALO (a Alonso) Signore… SEBASTIANO (a Antonio) E uno – tieni il conto. GONZALO (a Alonso) Quando si porge orecchio a ogni contrarietà che si presenta, ecco che il recipiente riceve… SEBASTIANO
Un dollaro. GONZALO
Sì, un dolore, un grande dolore; senza volerlo avete detto la verità. SEBASTIANO
Voi le avete dato un’interpretazione più saggia delle mie intenzioni. GONZALO (a Alonso)
Pertanto, mio signore… ANTONIO (a Sebastiano) Ma come è prodigo della sua lingua! ALONSO (a Gonzalo) Ti prego. Risparmialo. GONZALO
Be’, ho finito; tuttavia… SEBASTIANO (a Antonio)
Continua a parlare! ANTONIO
Facciamo una scommessa. Chi gracchia per primo, lui o Adriano?31 SEBASTIANO
Il gallo vecchio. ANTONIO
Il gallo giovane. 1829
Shakespeare IV.indb 1829
30/11/2018 09:33:56
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
SEBASTIAN Done. The wager? ANTONIO A laughter.
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SEBASTIAN A match! ADRIAN (to Gonzalo) Though this island seem to be desert — [ANTONIO] (to Sebastian) Ha, ha, ha! [SEBASTIAN] So, you’re paid. ADRIAN Uninhabitable, and almost inaccessible —
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SEBASTIAN (to Antonio) Yet — ADRIAN Yet — ANTONIO (to Sebastian) He could not miss’t. ADRIAN It must needs be of subtle, tender, and delicate
temperance.
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ANTONIO (to Sebastian) Temperance was a delicate wench. SEBASTIAN Ay,
and a subtle, as he most learnedly delivered. ADRIAN (to Gonzalo) The air breathes upon us here most sweetly. SEBASTIAN (to Antonio) As if it had lungs, and rotten ones. ANTONIO Or as ’twere perfumed by a fen. GONZALO (to Adrian) Here is everything advantageous to life. ANTONIO (to Sebastian) True, save means to live.
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1830
Shakespeare IV.indb 1830
30/11/2018 09:33:56
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
SEBASTIANO
Andata. E la posta? ANTONIO
Una risata. SEBASTIANO
Ci sto! SEBIANO (a Gonzalo)
Benché quest’isola sembri deserta… [ANTONIO] (a Sebastiano)
Ah, ah, ah! [SEBASTIANO]
Ecco: sei stato pagato. SEBIANO
Inabitabile, e quasi inaccessibile… SEBASTIANO (a Antonio)
Nondimeno… SEBIANO
Nondimeno… ANTONIO (a Sebastiano)
Non poteva mancare. SEBIANO
Non può non essere di una sottile, tenera e soave temperanza… ANTONIO (a Sebastiano)
Temperanza era una soave fanciulla32. SEBASTIANO
Sì, e sottile; come ci ha così dottamente esposto. SEBIANO (a Gonzalo)
L’aria spira su di noi con tanta dolcezza… SEBASTIANO (a Antonio)
Come se avesse dei polmoni, e marci, anche. ANTONIO
O come se si fosse profumata in una palude. GONZALO (a Adriano)
Qui c’è tutto quello che favorisce la vita. ANTONIO (a Sebastiano)
È vero; tranne i mezzi per vivere.
1831
Shakespeare IV.indb 1831
30/11/2018 09:33:56
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
SEBASTIAN Of that there’s none, or little. GONZALO (to Adrian) How lush and lusty the grass looks!
How green! ANTONIO The ground indeed is tawny. SEBASTIAN With an eye of green in’t. ANTONIO He misses not much. SEBASTIAN No, he doth but mistake the truth totally. GONZALO (to Adrian) But the rarity of it is, which is indeed almost beyond credit — SEBASTIAN (to Antonio) As many vouched rarities are. GONZALO (to Adrian) That our garments being, as they were, drenched in the sea, hold notwithstanding their freshness and glosses, being rather new-dyed than stained with salt water. ANTONIO (to Sebastian) If but one of his pockets could speak, would it not say he lies? SEBASTIAN Ay, or very falsely pocket up his report. GONZALO (to Adrian) Methinks our garments are now as fresh as when we put them on first in Afric, at the marriage of the King’s fair daughter Claribel to the King of Tunis. SEBASTIAN ’Twas a sweet marriage, and we prosper well in our return. ADRIAN Tunis was never graced before with such a paragon to their queen. GONZALO Not since widow Dido’s time. ANTONIO (to Sebastian) Widow? A pox o’that! How came that ‘widow’ in? Widow Dido!
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1832
Shakespeare IV.indb 1832
30/11/2018 09:33:56
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
SEBASTIANO
Di quelli ce ne sono pochi o punti. GONZALO (a Adriano)
Com’è lussureggiante e brillante l’erba! Com’è verde! ANTONIO
A dire il vero, il terreno è giallastro. SEBASTIANO
Sì, ma con una punta di verde. ANTONIO
Ci è andato vicino. SEBASTIANO
Certo, a parte che fraintende totalmente la verità. GONZALO (a Adriano)
Ma la cosa più straordinaria – il che è veramente incomparabile… SEBASTIANO (a Antonio)
Come di solito succede alle rarità. GONZALO (a Adriano)
È che i nostri abiti, pur essendosi inzuppati nel mare, conservano, ciononostante, la loro freschezza e brillantezza, come se l’acqua salata invece di macchiarli li avesse puliti. ANTONIO (a Sebastiano) Se una sola delle sue tasche potesse parlare, non gli darebbe del bugiardo? SEBASTIANO
Sì. In caso contrario intascherebbe male la sua descrizione. GONZALO (a Adriano)
A me pare che i nostri abiti siano freschi di bucato come la prima volta che li abbiamo indossati in Africa, alle nozze di Claribel, la bella figlia del re, con il re di Tunisi. SEBASTIANO
Bellissimo matrimonio, e stupendo viaggio di ritorno. SEBIANO
Prima di oggi Tunisi non aveva mai visto una regina così bella. GONZALO
Almeno dai tempi della vedova Didone33. ANTONIO (a Sebastiano) Che vedova? Da dove esce questa vedova? La vedova Didone! 1833
Shakespeare IV.indb 1833
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THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
SEBASTIAN What if he had said ‘widower Aeneas’ too?
Good Lord, how you take it!
85
ADRIAN (to Gonzalo) ‘Widow Dido’ said you? You make
me study of that: she was of Carthage, not of Tunis. GONZALO This Tunis, sir, was Carthage. ADRIAN Carthage? GONZALO I assure you, Carthage.
(to Sebastian) His word is more than the miraculous harp. SEBASTIAN He hath raised the wall, and houses too. ANTONIO What impossible matter will he make easy next? SEBASTIAN I think he will carry this island home in his pocket, and give it his son for an apple. ANTONIO And sowing the kernels of it in the sea, bring forth more islands. GONZALO (to Adrian) Ay. ANTONIO (to Sebastian) Why, in good time. GONZALO (to Alonso) Sir, we were talking that our garments seem now as fresh as when we were at Tunis, at the marriage of your daughter, who is now queen. ANTONIO And the rarest that e’er came there. SEBASTIAN Bate, I beseech you, widow Dido. ANTONIO O, widow Dido? Ay, widow Dido.
90
ANTONIO
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1834
Shakespeare IV.indb 1834
30/11/2018 09:33:56
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
SEBASTIANO
E anche se avesse detto “il vedovo Enea”? Non gliene lasci passare una! SEBIANO (a Gonzalo) La vedova Didone, avete detto? Mi costringete a correggervi. Lei era di Cartagine, non di Tunisi. GONZALO
L’odierna Tunisi, signor mio, era Cartagine34. SEBIANO
Cartagine? GONZALO
Ve lo assicuro, Cartagine. ANTONIO (a Sebastiano)
La sua parola è più potente dell’arpa miracolosa35. SEBASTIANO
Ha fatto sorgere mura e case. ANTONIO
Quale impresa impossibile compirà a questo punto? SEBASTIANO
Io dico che si metterà quest’isola in tasca, se la porterà a casa, e la darà a suo figlio invece di una mela. ANTONIO
E ne seminerà i semini in mare facendo nascere altre isole. GONZALO (a Adriano) Sì. ANTONIO (a Sebastiano) Alla buon’ora. GONZALO (a Alonso) Signore, stavamo dicendo che i nostri abiti adesso sembrano freschi di bucato come quando eravamo a Tunisi alle nozze di vostra figlia, che ora è regina. ANTONIO
Più bella di quante ne abbiano mai viste in quel paese. SEBASTIANO
Tranne, col vostro permesso, la vedova Didone. ANTONIO
Ah, la vedova Didone! Sì, la vedova Didone. 1835
Shakespeare IV.indb 1835
30/11/2018 09:33:56
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
GONZALO (to Alonso) Is not, sir, my doublet as fresh as the
first day I wore it? I mean in a sort. ANTONIO (to Sebastian) That ‘sort’ was well fished for. GONZALO (to Alonso) When I wore it at your daughter’s
marriage.
111
ALONSO
You cram these words into mine ears against The stomach of my sense. Would I had never Married my daughter there! For, coming thence, My son is lost; and, in my rate, she too, Who is so far from Italy removed I ne’er again shall see her. O thou mine heir Of Naples and of Milan, what strange fish Hath made his meal on thee? FRANCISCO Sir, he may live. I saw him beat the surges under him And ride upon their backs. He trod the water, Whose enmity he flung aside, and breasted The surge, most swoll’n, that met him. His bold head ’Bove the contentious waves he kept, and oared Himself with his good arms in lusty stroke To th’ shore, that o’er his wave-worn basis bowed, As stooping to relieve him. I not doubt He came alive to land. ALONSO No, no; he’s gone. SEBASTIAN (to Alonso) Sir, you may thank yourself for this great loss, That would not bless our Europe with your daughter, But rather loose her to an African, Where she, at least, is banished from your eye, Who hath cause to wet the grief on’t. ALONSO Prithee, peace.
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SEBASTIAN
You were kneeled to and importuned otherwise By all of us, and the fair soul herself Weighed between loathness and obedience at
135
1836
Shakespeare IV.indb 1836
30/11/2018 09:33:56
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
GONZALO (a Alonso)
Signore, questo giustacuore non è forse nuovo come il primo giorno che me lo sono messo? Dico, in certo modo. ANTONIO (a Sebastiano) Nel senso che è stato una buona pesca. GONZALO (a Alonso) Quando l’ho portato alle nozze di vostra figlia. ALONSO
Voi mi infilate queste parole nelle orecchie contro lo stomaco dei miei sensi. Non avessi mai fatto sposare mia figlia in quel luogo! Perché tornando da lì ho perso mio figlio, e a mio modo di vedere anche lei, così lontana dall’Italia che non la rivedrò mai più. Oh, mio erede di Napoli e di Milano, quale strano pesce si sarà cibato di te? FRANCISCO
Sire, ma può essere ancora vivo: io l’ho visto che percuoteva le onde e ne cavalcava la groppa; avanzava nell’acqua scansandone l’ostilità, e solcando col petto i marosi più rigonfi che gli si opponevano; alzava il fiero capo sopra i flutti bellicosi, e remava con le sue forti braccia avanzando verso la riva con colpi così gagliardi, che la marea sottostante si inchinava, come abbassandosi per salvarlo. Io non dubito che sia arrivato in terra sano e salvo. ALONSO
No, no, non c’è più. SEBASTIANO (a Alonso)
Sire, potete ringraziare voi stesso per questa grande perdita, voi che pur di non concedere all’Europa il bene di vostra figlia avete voluto darla a un africano: dove almeno è bandita dall’occhio di voi che avete ogni motivo di bagnarne il dolore. ALONSO
Taci, ti prego. SEBASTIANO
Tutti noi vi abbiamo pregato in ginocchio, insistendo in ogni modo; e anche lei, quell’anima bella, è stata in bilico tra la ripulsa e l’obbe-
1837
Shakespeare IV.indb 1837
30/11/2018 09:33:56
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
Which end o’th’ beam should bow. We have lost your n son, I fear, for ever. Milan and Naples have More widows in them of this business’ making Than we bring men to comfort them. The fault’s your own.
140
ALONSO
So is the dear’st o’th’ loss. My lord Sebastian, The truth you speak doth lack some gentleness And time to speak it in. You rub the sore When you should bring the plaster. SEBASTIAN (to Antonio) Very well. ANTONIO And most chirurgeonly. GONZALO (to Alonso) It is foul weather in us all, good sir, When you are cloudy. SEBASTIAN (to Antonio) Fowl weather? ANTONIO Very foul. GONZALO (to Alonso) Had I plantation of this isle, my lord — ANTONIO (to Sebastian) He’d sow’t with nettle-seed. SEBASTIAN Or docks, or mallows. GONZALO
145
150
GONZALO
And were the king on’t, what would I do? SEBASTIAN (to Antonio)
Scape being drunk, for want of wine. GONZALO
I’th’ commonwealth I would by contraries Execute all things. For no kind of traffic Would I admit, no name of magistrate; Letters should not be known; riches, poverty, And use of service, none; contract, succession,
155
136-137. Weighted… bow: secondo Jowett, una costruzione compressa. Il verbo to weigh… at sottintende to weigh to find out. 1838
Shakespeare IV.indb 1838
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
dienza, come non sapendo dove far pendere la bilancia36. Abbiamo perso vostro figlio, temo, per sempre; Milano e Napoli hanno più vedove fatte da questa faccenda di quanti uomini possiamo portar loro noi onde consolarle; la colpa è tutta vostra. ALONSO
Tanto più dolorosa è la perdita. GONZALO
Mio signor Sebastiano, le verità che enunciate mancano di umanità, e non è questo il momento di pronunciarle. Invece di fasciare la piaga, voi ci girate dentro il coltello. SEBASTIANO (a Antonio) Benissimo. ANTONIO
Eseguito con perizia da chirurgo. GONZALO (a Alonso)
È brutto tempo per tutti noi, buon sire, quando vi rannuvolate. SEBASTIANO (a Antonio)
Brutto tempo? ANTONIO
Bruttissimo. GONZALO (a Alonso)
Toccasse a me di colonizzare quest’isola, mio signore… ANTONIO (a Sebastiano)
Ci seminerebbe le ortiche. SEBASTIANO
O la camomilla, o il papavero. GONZALO
E se ne fossi il re, cosa farei? SEBASTIANO (a Antonio)
Ubriacarsi no, data la penuria di vino. GONZALO
In questo regno io farei ogni cosa alla rovescia37. Non consentirei nessun tipo di commercio; nessuna carica di magistrati; le lettere sarebbero ignote; niente ricchezza, povertà, servitù; niente. Contratti, successioni, confi ni, proprietà terriere, decime, vigne,
1839
Shakespeare IV.indb 1839
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
Bourn, bound of land, tilth, vineyard, none; No use of metal, corn, or wine, or oil; No occupation, all men idle, all; And women too — but innocent and pure; No sovereignty — SEBASTIAN (to Antonio) Yet he would be king on’t. ANTONIO The latter end of his commonwealth forgets the beginning. GONZALO (to Alonso) All things in common nature should produce Without sweat or endeavour. Treason, felony, Sword, pike, knife, gun, or need of any engine, Would I not have; but nature should bring forth Of it own kind all foison, all abundance, To feed my innocent people. SEBASTIAN (to Antonio) No marrying ’mong his subjects? ANTONIO None, man, all idle: whores and knaves. GONZALO (to Alonso) I would with such perfection govern, sir, T’excel the Golden Age. SEBASTIAN Save his majesty!
160
165
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ANTONIO
Long live Gonzalo! GONZALO (to Alonso) And — do you mark me, sir?
175
ALONSO
Prithee, no more. Thou dost talk nothing to me. GONZALO I do well believe your highness, and did it to
minister occasion to these gentlemen, who are of such sensible and nimble lungs that they always use to laugh at nothing. ANTONIO ’Twas you we laughed at. GONZALO Who, in this kind of merry fooling, am nothing to you. So you may continue, and laugh at nothing still.
180
1840
Shakespeare IV.indb 1840
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
niente; nessun impiego di metalli, grano, vino o olio; nessun lavoro; tutti gli uomini in ozio, tutti; e anche le donne, ma innocenti e pure; nessuna sovranità… SEBASTIANO (a Antonio) Peraltro vorrebbe essere lui il re. ANTONIO
Una estremità del suo regno ignora l’altra. GONZALO (a Alonso) In comune tutte le cose che la natura produrrebbe senza sudore e senza sforzi: tradimento, fellonia, spada, lancia, pugnale, fucile, o necessità di qualsivoglia macchina, non l’avrei; ma la Natura elargirebbe di sua iniziativa ogni abbondanza, ogni frutto, per nutrire il mio popolo innocente. SEBASTIANO (a Antonio) Niente matrimoni tra i suoi sudditi? ANTONIO
Macché, tutti fannulloni; farabutti e puttane. GONZALO (a Alonso)
Governerei con tale perfezione, sire, da superare l’età dell’oro. SEBASTIANO
Evviva sua Maestà! ANTONIO
Evviva Gonzalo! GONZALO (a Alonso) E poi… mi ascoltate, sire? ALONSO
Basta, ti prego: tu mi parli del nulla. GONZALO
Faccio bene, credetemi, altezza; e l’ho fatto per dare qualche spunto a questi gentiluomini, i cui polmoni sono così agili e sensibili che sempre li usano per ridere del nulla. ANTONIO
Veramente ridevamo di voi. GONZALO
Che in questo genere di allegre sciocchezze non sono nulla davanti a voi; così potete continuare, e continuare a ridere di nulla.
1841
Shakespeare IV.indb 1841
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
ANTONIO What a blow was there given!
185
SEBASTIAN An it had not fallen flat-long. GONZALO You are gentlemen of brave mettle. You would
lift the moon out of her sphere, if she would continue in it five weeks without changing. Enter Ariel, invisible, playing solemn music SEBASTIAN We would so, and then go a-bat-fowling.
190
ANTONIO (to Gonzalo) Nay, good my lord, be not angry. GONZALO No, I warrant you, I will not adventure my
discretion so weakly. Will you laugh me asleep? For I am very heavy. ANTONIO Go sleep, and hear us.
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Gonzalo, Adrian, and Francisco sleep ALONSO
What, all so soon asleep? I wish mine eyes Would, with themselves, shut up my thoughts. — I find They are inclined to do so. SEBASTIAN Please you, sir, Do not omit the heavy offer of it. It seldom visits sorrow; when it doth, It is a comforter. ANTONIO We two, my lord, Will guard your person while you take your rest, And watch your safety. ALONSO Thank you. Wondrous heavy.
200
He sleeps. [Exit Ariel] SEBASTIAN
What a strange drowsiness possesses them!
1842
Shakespeare IV.indb 1842
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
ANTONIO
Che colpo ci ha sferrato! SEBASTIANO
Ma è arrivato di piatto. GONZALO
Voi siete gentiluomini di bella tempra. Se la luna potesse restare immobile cinque settimane senza cambiamenti, la sollevereste dalla sua sfera38. Entra Ariel, invisibile, suonando una musica solenne SEBASTIANO
Sì, e poi andremmo a caccia di pipistrelli39. ANTONIO (a Gonzalo) Mio signore, non vi arrabbiate adesso. GONZALO
No, ve lo assicuro: non rischierei la reputazione per una quisquilia simile. Continuate pure a ridere di me così mi conciliate il sonno. Mi è venuta una grande stanchezza. ANTONIO
Dormite, e ascoltateci. Gonzalo, Adriano e Francisco dormono ALONSO
Ma com’è che abbiamo già sonno tutti quanti? Mi si chiudono gli occhi! Potessero scomparire così anche i miei pensieri… Vedo che hanno voglia di farlo. SEBASTIANO
Se vi piace, sire, non respingete questa offerta perentoria: di rado il sonno visita il dolore; quando lo fa, è una consolazione. ANTONIO
Mentre voi riposate noi due, sire, veglieremo sulla la vostra persona. Vigileremo sulla vostra incolumità. ALONSO
Grazie. – Strana questa pesantezza. Dorme [Ariel esce] SEBASTIANO
Che curioso sopore li ha aggrediti!
1843
Shakespeare IV.indb 1843
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
ANTONIO
It is the quality o’th’ climate. Why Doth it not then our eyelids sink? I find Not myself disposed to sleep. ANTONIO Nor I; my spirits are nimble. They fell together all, as by consent; They dropped as by a thunderstroke. What might, Worthy Sebastian, O, what might —? No more! — And yet methinks I see it in thy face. What thou shouldst be th’occasion speaks thee, and o My strong imagination sees a crown Dropping upon thy head. SEBASTIAN What, art thou waking? SEBASTIAN
205
210
ANTONIO
Do you not hear me speak? I do, and surely It is a sleepy language, and thou speak’st Out of thy sleep. What is it thou didst say? This is a strange repose, to be asleep With eyes wide open; standing, speaking, moving, And yet so fast asleep. ANTONIO Noble Sebastian, Thou letst thy fortune sleep, die rather; wink’st Whiles thou art waking. SEBASTIAN Thou dost snore distinctly; There’s meaning in thy snores. SEBASTIAN
215
220
ANTONIO
I am more serious than my custom. You Must be so too if heed me, which to do Trebles thee o’er. SEBASTIAN Well, I am standing water.
225
211-122. Face. … be: la punteggiatura della frase, complicata in F, è così ricostruita da Jowett. Cenni a questa operazione sono frequenti, e qui non più riportati. 1844
Shakespeare IV.indb 1844
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
ANTONIO
È qualcosa che sta in questa aria. SEBASTIANO
Perché allora le nostre palpebre non si abbattono? Io non mi sento addosso nessuna voglia di dormire. ANTONIO
Neanch’io; sono sveglissimo. Sono piombati giù tutti quanti, nemmeno fossero d’accordo; abbattuti come da un fulmine. Cosa può averlo causato, nobile Sebastiano? – Ma cosa? – Basta… Eppure mi sembra di vedervi in faccia quello che vorreste essere; l’occasione parla per voi; e la mia forte immaginazione vede una corona che vi piove sulla testa. SEBASTIANO
Ma sei sveglio tu? ANTONIO
Non mi sentite parlare? SEBASTIANO
Certo; e di sicuro è un linguaggio da sonno, e tu parli come nel sonno. Che hai detto? È uno strano riposo questo, dormire con gli occhi spalancati; stando in piedi, parlando, muovendosi, e tuttavia dormendo così della grossa. ANTONIO
Nobile Sebastiano, voi state facendo dormire la vostra fortuna… Anzi, la state facendo morire. Dormite mentre siete sveglio. SEBASTIANO
E allora tu stai russando. Anche se russi con un certo significato. ANTONIO
Sono ancora più serio del solito. E dovete esserlo anche voi, se mi date retta. L’idea comincia a turbarvi. SEBASTIANO
Sono fermo come acqua stagnante.
1845
Shakespeare IV.indb 1845
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
ANTONIO
I’ll teach you how to flow. Do so; to ebb Hereditary sloth instructs me. ANTONIO O, If you but knew how you the purpose cherish Whiles thus you mock it; how in stripping it You more invest it! Ebbing men, indeed, Most often do so near the bottom run By their own fear or sloth. SEBASTIAN Prithee, say on. The setting of thine eye and cheek proclaim A matter from thee, and a birth, indeed, Which throes thee much to yield. ANTONIO Thus, sir. Although this lord of weak remembrance, this, Who shall be of as little memory When he is earthed, hath here almost persuaded — For he’s a spirit of persuasion, only Professes to persuade — the King his son’s alive, ’Tis as impossible that he’s undrowned As he that sleeps here swims. SEBASTIAN I have no hope That he’s undrowned. ANTONIO O, out of that ‘no hope’ What great hope have you! No hope that way is Another way so high a hope that even Ambition cannot pierce a wink beyond, But doubt discovery there. Will you grant with me That Ferdinand is drowned? SEBASTIAN He’s gone. ANTONIO Then tell me, Who’s the next heir of Naples? SEBASTIAN Claribel. SEBASTIAN
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1846
Shakespeare IV.indb 1846
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
ANTONIO
Vi insegnerò a scorrere. SEBASTIANO
Sì, da bravo. Un’accidia ereditaria mi ha insegnato a rifluire con la marea. ANTONIO
Oh! Sapeste com’è positiva la prospettiva di cui vi prendete gioco così! E come più la spogliate, più la fate crescere! È vero: gli uomini che seguono la marea spesso proprio per la paura della propria accidia si fanno trascinare verso il fondo. SEBASTIANO
Continua, ti prego. Il tuo occhio e la tua espressione fanno pensare che tu abbia della sostanza da rivelare; che stia nascendo qualcosa che ti preme troppo perché tu la taccia. ANTONIO
Ecco, signor mio. Benché questo signore dalla cattiva memoria, questo qui il cui ricordo svanirà in un attimo quando lui sarà sottoterra, abbia quasi convinto il re – poiché è specializzato nel convincere, anzi, serve solo a convincere – che suo figlio è vivo. Mentre è impossibile che non sia annegato, almeno quanto è impossibile che questo signore qui si metta a nuotare. SEBASTIANO
Io per me non ho nessuna speranza che non sia annegato. ANTONIO
Ma da quella nessuna speranza nasce una grande speranza per voi! Quella nessuna speranza è una strada verso una speranza così alta, che l’ambizione stessa non può spingersi oltre senza dubitare di avere visto giusto. Allora, Ferdinando è annegato. Siete d’accordo con me? SEBASTIANO
È spacciato. ANTONIO
E allora ditemi, chi è il prossimo erede al regno di Napoli? SEBASTIANO
Claribel.
1847
Shakespeare IV.indb 1847
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
ANTONIO
She that is Queen of Tunis; she that dwells Ten leagues beyond man’s life; she that from Naples Can have no note — unless the sun were post — The man i’th’ moon’s too slow — till new-born chins Be rough and razorable; she that from whom We all were sea-swallowed, though some cast again — And by that destiny, to perform an act Whereof what’s past is prologue, what to come In yours and my discharge. SEBASTIAN What stuff is this? How say you? ’Tis true my brother’s daughter’s Queen of Tunis; So is she heir of Naples; ’twixt which regions There is some space. ANTONIO A space whose every cubit Seems to cry out ‘How shall that Claribel Measure us back to Naples? Keep in Tunis, And let Sebastian wake.’ Say this were death That now hath seized them; why, they were no worse Than now they are. There be that can rule Naples As well as he that sleeps, lords that can prate As amply and unnecessarily As this Gonzalo; I myself could make A chough of as deep chat. O, that you bore The mind that I do, what a sleep were this For your advancement! Do you understand me?
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SEBASTIAN
Methinks I do. And how does your content Tender your own good fortune? SEBASTIAN I remember You did supplant your brother Prospero. ANTONIO True; And look how well my garments sit upon me, Much feater than before. My brother’s servants Were then my fellows; now they are my men. SEBASTIAN But for your conscience. ANTONIO
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1848
Shakespeare IV.indb 1848
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
ANTONIO
Che è regina di Tunisi; che abita dieci leghe oltre i confini della vita dell’uomo; alla quale non si possono mandare messaggi da Napoli a meno che il sole non diventi postino – l’uomo nella luna40 è troppo lento – fino a quando il mento dei neonati non avrà bisogno del rasoio; colei tornando dalla quale siamo stati inghiottiti dal mare tutti quanti, anche se qualcuno è stato rigettato sulla terra. Ma considerate quest’ultima circostanza come il prologo a una certa azione. Quanto seguirà è compito vostro e mio. SEBASTIANO
Che storie sono queste! Cosa mi dici? È vero, la figlia di mio fratello è regina di Tunisi; e così è anche erede di Napoli; e fra questi due luoghi c’è una bella distanza. ANTONIO
Una distanza ogni cubito della quale sembra gridare, “Come potrà quella Claribel venirci dietro fino a Napoli? Che se ne rimanga a Tunisi, e che Sebastiano si svegli”. Dite un po’. Se fosse la morte, questa che adesso li opprime; be’, non starebbero peggio di quanto stiano adesso. Qui c’è chi può governare Napoli bene quanto colui che dorme; ci sono signori in grado di sproloquiare pomposamente e senza costrutto come questo Gonzalo; io stesso saprei gracchiare con altrettanta eloquenza. Oh, se aveste l’idea che ho io! Che sonno sarebbe questo per la vostra promozione! Ma mi capite? SEBASTIANO
Credo di sì. ANTONIO
E come vi piace di assecondare la vostra buona sorte? SEBASTIANO
Ricordo che tu hai soppiantato tuo fratello Prospero. ANTONIO
È vero: e guardate come mi stanno bene queste vesti, molto più adatte di quelle di prima. Allora i servi di mio fratello erano miei compagni; adesso sono miei uomini. SEBASTIANO
Ma la tua coscienza…
1849
Shakespeare IV.indb 1849
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
ANTONIO
Ay, sir, where lies that? If ’twere a kibe ’Twould put me to my slipper; but I feel not This deity in my bosom. Twenty consciences That stand ’twixt me and Milan, candied be they, And melt ere they molest. Here lies your brother, No better than the earth he lies upon If he were that which now he’s like — that’s dead; Whom I with this obedient steel, three inches of it, Can lay to bed for ever; whiles you, doing thus, To the perpetual wink for aye might put This ancient morsel, this Sir Prudence, who Should not upbraid our course. For all the rest, They’ll take suggestion as a cat laps milk; They’ll tell the clock to any business that We say befits the hour. SEBASTIAN Thy case, dear friend, Shall be my precedent. As thou got’st Milan, I’ll come by Naples. Draw thy sword. One stroke Shall free thee from the tribute which thou payest, And I the King shall love thee. ANTONIO Draw together, And when I rear my hand, do you the like To fall it on Gonzalo.
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They draw O, but one word.
SEBASTIAN
Enter Ariel, invisible, with music ARIEL (to Gonzalo)
My master through his art foresees the danger That you his friend are in — and sends me forth, For else his project dies, to keep them living. He sings in Gonzalo’s ear While you here do snoring lie, Open-eyed conspiracy His time doth take. If of life you keep a care,
305
1850
Shakespeare IV.indb 1850
30/11/2018 09:33:57
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
ANTONIO
Già, signore; dov’è la mia coscienza? Se fosse una piaga sul piede, mi dovrei mettere una pantofola; ma nel petto, chissà com’è, questa divinità non la sento. Ci fossero venti coscienze tra me e Milano, potrebbero diventare prima pietra e poi acqua, prima di darmi fastidio! Qui lungo disteso c’è vostro fratello; non è migliore della terra su cui giace. Se fosse quello che sembra in questo momento, sarebbe morto; e io, con questa lama obbediente, per la lunghezza di tre pollici, potrei metterlo a letto per sempre. Mentre voi, con la medesima azione, potreste consegnare al sonno perenne questo vecchio rottame, questo Ser Prudenza, che così non potrebbe deplorare la nostra condotta. Quanto a tutti gli altri, leccheranno le proposte come il gatto lecca il latte; regoleranno l’orologio sull’ora che farà comodo a noi. SEBASTIANO
Il tuo caso, caro amico, sarà un precedente per il mio. Come tu hai ottenuto Milano, io mi prenderò Napoli. Sguaina la spada: un colpo solo ti libererà dai tributi che versi; e io come re ti vorrò bene. ANTONIO
Sguainiamole insieme; e quando affonderò il colpo, fate lo stesso, dirigendolo su Gonzalo. Estraggono le spade SEBASTIANO
Ancora una parola. Entra Ariel, invisibile, con musica ARIEL (a Gonzalo)
Grazie alla sua Arte il mio padrone ha previsto il rischio che voi, suo amico, state correndo, e mi manda qui per conservarvi in vita, altrimenti addio al suo piano. Canta all’orecchio di Gonzalo Mentre qui tu russi coricato Un complotto assai sfrontato Sta venendo perpetrato. Se tenessi un po’ alla vita
1851
Shakespeare IV.indb 1851
30/11/2018 09:33:57
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 1
Shake off slumber, and beware. Awake, awake! ANTONIO (to Sebastian) Then let us both be sudden. GONZALO (awaking) Now good angels Preserve the King! ALONSO (awaking) Why, how now? Ho, awake!
310
The others awake (To Antonio and Sebastian) Why are you drawn? (To Gonzalo) Wherefore this ghastly looking? GONZALO What’s the matter? SEBASTIAN
Whiles we stood here securing your repose, Even now we heard a hollow burst of bellowing, Like bulls, or rather lions. Did’t not wake you? It struck mine ear most terribly. ALONSO I heard nothing.
315
ANTONIO
O, ’twas a din to fright a monster’s ear, To make an earthquake! Sure it was the roar Of a whole herd of lions. ALONSO Heard you this, Gonzalo?
320
GONZALO
Upon mine honour, sir, I heard a humming, And that a strange one too, which did awake me. I shaked you, sir, and cried. As mine eyes opened I saw their weapons drawn. There was a noise, That’s verily. ’Tis best we stand upon our guard, Or that we quit this place. Let’s draw our weapons.
325
ALONSO
Lead off this ground, and let’s make further search For my poor son.
1852
Shakespeare IV.indb 1852
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 1
Cesserebbe la dormita! Sveglia, Sveglia! ANTONIO (a Sebastiano) Allora sbrighiamoci. GONZALO (svegliandosi) Angeli buoni, salvate il re! ALONSO (svegliandosi) Che c’è, che succede? Ehi, sveglia? Gli altri si svegliano (a Antonio e Sebastiano) Perché avete la spada in pugno? (a Gonzalo) Perché queste facce spettrali? GONZALO
Ma che succede? SEBASTIANO
Mentre stavamo qui a vegliare sul vostro riposo, proprio adesso, abbiamo sentito un cupo rombo di ruggiti come di tori, o piuttosto di leoni; non vi ha svegliato? Mi ha colpito l’orecchio in modo tremendo. ALONSO
Io non ho sentito niente. ANTONIO
Oh, è stato un frastuono che avrebbe terrorizzato un mostro fino a provocare un terremoto! Di sicuro era il ruggito di un intero branco di leoni. ALONSO
Hai sentito, Gonzalo? GONZALO
Sul mio onore, sire, ho sentito un brontolio, e strano anche, che mi ha svegliato; vi ho scosso, sire, e ho gridato; quando ho aperto gli occhi li ho visti con le spade in pugno – c’è stato un rumore, questo è vero. Meglio che stiamo tutti in guardia, o che lasciamo questo posto. Sguainiamo le armi. ALONSO
Andiamocene via da qui. E continuiamo a cercare il mio povero figlio.
1853
Shakespeare IV.indb 1853
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
Heavens keep him from these beasts! For he is sure i’th’ island. ALONSO Lead away. GONZALO
330
Exeunt all but Ariel ARIEL
Prospero my lord shall know what I have done. So, King, go safely on to seek thy son. 2.2
Exit
Enter Caliban, wearing a gaberdine, and with a burden of wood
CALIBAN [throwing down his burden]
All the infections that the sun sucks up From bogs, fens, flats, on Prosper fall, and make him By inch-meal a disease! [A noise of thunder heard] His spirits hear me, And yet I needs must curse. But they’ll nor pinch, Fright me with urchin-shows, pitch me i’th’ mire, Nor lead me like a fire-brand in the dark Out of my way, unless he bid ’em. But For every trifle are they set upon me; Sometime like apes, that mow and chatter at me And after bite me; then like hedgehogs, which Lie tumbling in my barefoot way and mount Their pricks at my footfall; sometime am I All wound with adders, who with cloven tongues Do hiss me into madness.
5
10
Enter Trinculo Lo now, lo! Here comes a spirit of his, and to torment me For bringing wood in slowly. I’ll fall flat. Perchance he will not mind me.
15
He lies down
1854
Shakespeare IV.indb 1854
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
GONZALO
Il cielo lo tenga lontano da queste belve! Perché di sicuro è sull’isola. ALONSO
Andiamo. Escono tutti tranne Ariel ARIEL
Il mio signore Prospero saprà quello che ho fatto. E tu, re, vai pure tranquillo a cercare tuo figlio. Esce II, 2
Entra Caliban con addosso un mantello e con un carico di legna
CALIBAN [buttando in terra il suo carico]
Tutti i miasmi che il sole risucchia da paludi, stagni e pozzanghere cadano addosso a Prospero e lo facciano diventare una malattia ambulante! [Si sente un rumore di tuono] Guai se i suoi spiriti mi sentono; ma non posso fare a meno di maledirlo. Quelli però non mi pizzicano, non mi spaventano con apparizioni, non mi buttano nel fango, non mi portano come fuochi fatui nella melma, facendomi smarrire la strada, se non glielo comanda lui! Per la minima sciocchezza mi piombano addosso; a volte come scimmie, che mi fanno le smorfie e mi canzonano, e poi mi mordono; poi come porcospini, che mi vengono sotto i piedi nudi, e mi trafiggono quando cado; a volte sono tutto avvolto di vipere, che sibilando con le lingue forcute mi fanno uscire di testa. Entra Trinculo Eccolo qua! Uno dei suoi spiriti che mi vuole tormentare, perché sono lento a portare la legna. Io mi butto per terra, così magari non mi vede. Si distende in terra
1855
Shakespeare IV.indb 1855
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
TRINCULO Here’s neither bush nor shrub to bear off any
weather at all, and another storm brewing. I hear it sing i’th’ wind. Yon same black cloud, yon huge one, looks like a foul bombard that would shed his liquor. If it should thunder as it did before, I know not where to hide my head. Yon same cloud cannot choose but fall by pailfuls. (Seeing Caliban) What have we here, a man or a fish? Dead or alive? — A fish, he smells like a fish; a very ancient and fish-like smell; a kind of not-ofthe-newest poor-John. A strange fish! Were I in England now, as once I was, and had but this fish painted, not a holiday-fool there but would give a piece of silver. There would this monster make a man. Any strange beast there makes a man. When they will not give a doit to relieve a lame beggar, they will lay out ten to see a dead Indian. Legged like a man, and his fins like arms! Warm, o’my troth! I do now let loose my opinion, hold it no longer. This is no fish, but an islander that hath lately suffered by a thunderbolt.
36
[Thunder] Alas, the storm is come again. My best way is to creep under his gaberdine; there is no other shelter hereabout. Misery acquaints a man with strange bedfellows. I will here shroud till the dregs of the storm be past.
40
He hides under Caliban’s gaberdine. Enter Stefano, singing, with a wooden bottle in his hand I shall no more to sea, to sea, Here shall I die ashore — This is a very scurvy tune to sing at a man’s funeral. Well, here’s my comfort.
STEFANO
He drinks, then sings The master, the swabber, the boatswain, and I, The gunner and his mate, Loved Mall, Meg, and Marian, and Margery,
45
1856
Shakespeare IV.indb 1856
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
TRINCULO
Non c’è un cespuglio né un arbusto dove difendersi dal maltempo, e qui si prepara un’altra tempesta, la sento cantare nel vento. Quella nuvola nera, grossa com’è, sembra una malvagia bombarda pronta a sparare i suoi liquidi41. Se cominciano i tuoni come prima, non so dove nascondermi. Quella lassù è una nuvola che verrà giù a secchiate. – E qui che c’è? Un uomo o un pesce? Vivo o morto? Un pesce: l’odore è di pesce; un odore molto vecchio e molto da pesce; come, vediamo… un’aringa non troppo fresca. Strano pesce! Se fossi in Inghilterra, come mi è capitato una volta, e avessi questo pesce dipinto su una insegna, qualunque scemo in vacanza mi darebbe una moneta d’argento. Lì questo mostro sarebbe una fortuna, qualunque bestia strana è una fortuna. Se danno un soldino di elemosina a un mendicante zoppo, ne pagano dieci per vedere un indiano morto42. To’! Ha le gambe come un uomo! E pinne come braccia! Sangue di Giuda! Adesso dico la mia: questo non è un pesce, ma un isolano, appena abbattuto da un fulmine. [Tuono] Ahi, ricomincia la tempesta! Mi conviene infilarmi sotto il suo mantello, qui intorno non ci sono altri ripari; la necessità può darti strani compagni di letto. Io mi riparo qui sotto fino a quando non è passato il temporale. Si nasconde sotto il mantello di Caliban Entra Stefano, cantando, con una bottiglia di legno in mano STEFANO
Non andrò mai più sul mar, Sulla terra morirò… Brutta aria da cantare a un funerale. Be’, consoliamoci così. Beve, poi canta Il mozzo, il padrone, il nostromo e me, Col secondo e col cannoniere, Cercavamo Molly Marietta e Marianna
1857
Shakespeare IV.indb 1857
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
But none of us cared for Kate. For she had a tongue with a tang, Would cry to a sailor ‘Go hang!’ She loved not the savour of tar nor of pitch, Yet a tailor might scratch her where’er she did itch. Then to sea, boys, and let her go hang! Then to sea, etc. This is a scurvy tune, too. But here’s my comfort.
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He drinks CALIBAN (to Trinculo) Do not torment me! O! STEFANO What’s the matter? Have we devils here? Do
you put tricks upon’s with savages and men of Ind, ha? I have not scaped drowning to be afeard now of your four legs. For it hath been said: ‘As proper a man as ever went on four legs cannot make him give ground.’ And it shall be said so again, while Stefano breathes at’ nostrils. CALIBAN The spirit torments me. O! STEFANO This is some monster of the isle with four legs, who hath got, as I take it, an ague. Where the devil should he learn our language? I will give him some relief, if it be but for that. If I can recover him and keep him tame and get to Naples with him, he’s a present for any emperor that ever trod on neat’s leather. CALIBAN (to Trinculo) Do not torment me, prithee! I’ll bring my wood home faster. STEFANO He’s in his fit now, and does not talk after the wisest. He shall taste of my bottle. If he have never drunk wine afore, it will go near to remove his fit. If I can recover him and keep him tame, I will not take too much for him. He shall pay for him that hath him, and that soundly. CALIBAN (to Trinculo) Thou dost me yet but little hurt. Thou wilt anon, I know it by thy trembling. Now Prosper works upon thee.
64
72
78
1858
Shakespeare IV.indb 1858
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
Ma nessuno mai guardava Susanna, Lei aveva la lingua come un pugnale E ti diceva, va’ a farti impiccare! Non sopportava la pece e il catrame, Ma poi del sarto saziava le brame. E se cala il vento e la nave sta in panna Cantiamo ragazzi, si impicchi Susanna! La canzone non è gran che, ma ho questa consolazione. Beve CALIBAN (a Trinculo)
Non mi tormentare! Ahi! STEFANO
E adesso? Abbiamo anche i diavoli? Adesso ci si mettono anche i selvaggi e quelli dell’Indo? Non sono annegato, e dovrei aver paura delle tue quattro gambe? Come si dice? “Non c’è quadrupede umano che possa far male a una mosca”. Be’, si continuerà a dirlo finché Stefano respirerà dalle narici. CALIBAN
Questo spirito mi tormenta. Ahi! STEFANO
È un mostro dell’isola, con quattro gambe. Secondo me ha la malaria. Dove diavolo ha imparato la nostra lingua? Gli darò quartiere, anche solo per questo. Se riesco a recuperarlo e a addomesticarlo e a portarmelo a Napoli, sarà un regalo degno di qualsiasi imperatore43. CALIBAN (a Trinculo) Non mi tormentare, ti prego; se no faccio tardi a portare la legna. STEFANO
Ha un attacco e delira. Gli do un assaggio della mia bottiglia; se non ha mai bevuto vino prima d’ora, glielo farà passare o quasi. Se lo recupero e lo addomestico, ne ricaverò il massimo che potrò; magari lo rivendo al suo attuale padrone. CALIBAN (a Trinculo) Finora non mi hai fatto molto male ma vuoi farmene di più, lo capisco dal fatto che tremi: è Prospero che ti sta lavorando.
1859
Shakespeare IV.indb 1859
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
STEFANO Come on your ways. Open your mouth. Here is
that which will give language to you, cat. Open your mouth. This will shake your shaking, I can tell you, and that soundly. You cannot tell who’s your friend. Open your chaps again.
86
Caliban drinks TRINCULO I should know that voice. It should be — but he
is drowned, and these are devils. O, defend me! STEFANO Four legs and two voices — a most delicate
monster! His forward voice now is to speak well of his friend; his backward voice is to utter foul speeches and to detract. If all the wine in my bottle will recover him, I will help his ague. Come. Caliban drinks Amen. I will pour some in thy other mouth. TRINCULO Stefano!
95
STEFANO Doth thy other mouth call me? Mercy, mercy!
This is a devil, and no monster. I will leave him. I have no long spoon. TRINCULO Stefano! If thou beest Stefano, touch me and speak to me, for I am Trinculo. Be not afeard. Thy good friend Trinculo. STEFANO If thou beest Trinculo, come forth. I’ll pull thee by the lesser legs. If any be Trinculo’s legs, these are they.
101
He pulls out Trinculo by the legs Thou art very Trinculo indeed! How cam’st thou to be the siege of this moon-calf? Can he vent Trinculos? TRINCULO (rising) I took him to be killed with a thunderstroke. But art thou not drowned, Stefano? I hope now thou art not drowned. Is the storm overblown? I hid me under the dead moon-calf’s
1860
Shakespeare IV.indb 1860
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
STEFANO
Fai come credi, apri la bocca, ecco cosa ti scioglierà la lingua, bestione. Apri la bocca, vediamo come tremi tu adesso. Tu non sai riconoscere gli amici, te lo dico io. Riapri le mascelle. Caliban beve TRINCULO
Dovrei conoscere questa voce; dovrebbe essere… ma no, lui è annegato; e questi sono diavoli; oh, santi del cielo, proteggetemi! STEFANO
Quattro gambe e due voci… che mostro delicato! Adesso con la voce davanti parla bene del suo amico; con quella di dietro insulta e dice porcherie. Se tutto il vino della mia bottiglia lo recupera, curerò la sua malaria. Forza… Caliban beve Amen! Ora te ne verso un po’ nell’altra bocca. TRINCULO
Stefano! STEFANO
La tua altra bocca mi chiama? Pietà, pietà! Questo non è un mostro, è un diavolo; io lo lascio qui; non ho niente con cui esorcizzarlo44. TRINCULO
Stefano! Se sei Stefano, toccami e parlami; perché io sono Trinculo – non aver paura – il tuo buon amico Trinculo. STEFANO
Se sei Trinculo, vieni avanti, ti tiro fuori per le gambe inferiori; se sono le gambe di Trinculo, sono queste. Tira fuori Trinculo per le gambe Ma sì, sei proprio Trinculo! Come hai fatto a diventare l’escremento di questo aborto umano?45 Può costui cacare dei Trinculi? TRINCULO (alzandosi in piedi) Credevo che fosse stato ucciso da un fulmine. Ma allora non sei annegato, Stefano! Non sei annegato, almeno lo spero. E la tempesta si è esaurita? Mi ero nascosto sotto il mantello del mostro morto
1861
Shakespeare IV.indb 1861
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
gaberdine for fear of the storm. And art thou living, Stefano? O Stefano, two Neapolitans scaped!
111
[He dances Stefano round] STEFANO Prithee, do not turn me about. My stomach is
not constant. CALIBAN
These be fine things, an if they be not spirits. That’s a brave god, and bears celestial liquor. I will kneel to him.
115
[He kneels] STEFANO (to Trinculo) How didst thou scape? How cam’st
thou hither? Swear by this bottle how thou cam’st hither. I escaped upon a butt of sack which the sailors heaved o’erboard, by this bottle — which I made of the bark of a tree with mine own hands since I was cast ashore. CALIBAN I’ll swear upon that bottle to be thy true subject, for the liquor is not earthly. STEFANO (offering Trinculo the bottle) Here. Swear then how thou escapedst. TRINCULO Swum ashore, man, like a duck. I can swim like a duck, I’ll be sworn. STEFANO Here, kiss the book.
122
126
Trinculo drinks Though thou canst swim like a duck, thou art made like a goose. TRINCULO O Stefano, hast any more of this? STEFANO The whole butt, man. My cellar is in a rock by th’ seaside, where my wine is hid.
131
[Caliban rises] How now, moon-calf? How does thine ague?
135
1862
Shakespeare IV.indb 1862
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LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
per paura della tempesta. E tu, Stefano, sei vivo? Oh, Stefano! Due napoletani si sono salvati! [Fa ballare in tondo Stefano] STEFANO
Ti prego, non mi sballottare; il mio stomaco non è un gran che. CALIBAN
Se non sono spiriti, sono tipi in gamba. Lui è un dio gagliardo, e ha un liquido celestiale. Io mi inginocchio davanti a lui. [Si inginocchia] STEFANO (a Trinculo)
Come te la sei cavata? Come sei arrivato qui? Dimmi come sei arrivato qui e poi giuramelo su questa bottiglia. Io sono scampato su una botte di vino di Spagna che i marinai avevano buttato in mare, quant’è vera questa bottiglia! Che mi sono fatto con la corteccia di un albero con le mie mani, una volta buttato a riva. CALIBAN
E io su questa bottiglia giuro di esserti suddito fedele; perché il liquido non è di questa terra. STEFANO (offrendo la bottiglia a Trinculo) Qua; allora giurami come te la sei cavata. TRINCULO
Sono arrivato a riva nuotando, caro mio, come una papera; io nuoto come una papera, questo ti giuro. STEFANO
Qua, bacia il libro santo. Trinculo beve Saprai anche nuotare come una papera, ma sei fatto come un’oca. TRINCULO
Oh, Stefano, ne hai ancora di questo? STEFANO
Tutta la botte, amico mio; la mia cantina è in uno scoglio accanto al mare, è lì che ho nascosto il mio vino. [Caliban si alza in piedi] E tu, aborto umano? Come va la tua malaria?
1863
Shakespeare IV.indb 1863
30/11/2018 09:33:58
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
CALIBAN Hast thou not dropped from heaven? STEFANO Out o’th’ moon, I do assure thee. I was the man
i’th’ moon when time was. CALIBAN
I have seen thee in her, and I do adore thee. My mistress showed me thee, and thy dog and thy bush. STEFANO Come, swear to that. Kiss the book. I will furnish it anon with new contents. Swear.
139
Caliban drinks TRINCULO By this good light, this is a very shallow
monster! I afeard of him? A very weak monster! The man i’th’ moon? A most poor, credulous monster! Well drawn, monster, in good sooth! CALIBAN (to Stefano) I’ll show thee every fertile inch o’th’ island, And I will kiss thy foot. I prithee, be my god. TRINCULO By this light, a most perfidious and drunken monster! When’s god’s asleep, he’ll rob his bottle. CALIBAN (to Stefano) I’ll kiss thy foot. I’ll swear myself thy subject. STEFANO Come on then; down, and swear.
146
151
[Caliban kneels] TRINCULO I shall laugh myself to death at this puppy-headed
monster. A most scurvy monster! I could find in my heart to beat him — STEFANO (to Caliban) Come, kiss.
155
[Caliban kisses his foot] TRINCULO But that the poor monster’s in drink. An
abominable monster!
1864
Shakespeare IV.indb 1864
30/11/2018 09:33:58
LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
CALIBAN
Sei caduto dal cielo? STEFANO
Dalla luna, te lo garantisco. Ero l’uomo nella luna, una volta. CALIBAN
Infatti ti ci ho visto, e ti adoro. La mia padrona mi ha fatto vedere te, col tuo cane e la tua fascina46. STEFANO
Bravo, giurami questo; bacia il libro; tra poco ti darò un altro po’ del contenuto; giura. Caliban beve TRINCULO
Quanto è vera questa luce, è un mostro molto fragile; dovrei avere paura di lui? È un mostro debolissimo! L’uomo nella luna! Un povero mostro credulone! – Però, mostro: bella sorsata! CALIBAN (a Stefano) Ti mostrerò ogni pollice fertile dell’isola, e ti bacerò i piedi. Ti prego, sii il mio dio. TRINCULO
Per la luce del sole, un mostro infido e ubriaco! Come il dio si addormenta, questo gli ruba la bottiglia. CALIBAN (a Stefano) Ti bacerò i piedi; ti farò giuramento di sudditanza. STEFANO
Forza, allora; in ginocchio, e giura. [Caliban si inginocchia] TRINCULO
Questo mostro dalla testa di cucciolo mi farà morire dal ridere. Che mostraccio orrendo! Quasi quasi mi viene voglia di picchiarlo. STEFANO (a Caliban) Su, bacia qui. [Caliban gli bacia il piede] TRINCULO
Se non fosse che è sbronzo, povero mostro. Che mostro abominevole!
1865
Shakespeare IV.indb 1865
30/11/2018 09:33:59
THE TEMPEST, ACT 2 SCENE 2
CALIBAN
I’ll show thee the best springs; I’ll pluck thee berries; I’ll fish for thee, and get thee wood enough. A plague upon the tyrant that I serve! I’ll bear him no more sticks, but follow thee, Thou wondrous man. TRINCULO A most ridiculous monster, to make a wonder of a poor drunkard! CALIBAN (to Stefano) I prithee, let me bring thee where crabs grow, And I with my long nails will dig thee pig-nuts, Show thee a jay’s nest, and instruct thee how To snare the nimble marmoset. I’ll bring thee To clust’ring fi lberts, and sometimes I’ll get thee Young seamews from the rock. Wilt thou go with me? STEFANO I prithee now, lead the way without any more talking. — Trinculo, the King and all our company else being drowned, we will inherit here. — Here, bear my bottle. — Fellow Trinculo, we’ll fill him by and by again. CALIBAN (sings drunkenly) Farewell, master, farewell, farewell! TRINCULO A howling monster, a drunken monster! CALIBAN (sings) No more dams I’ll make for fish, Nor fetch in firing At requiring, Nor scrape trenchering, nor wash dish. ’Ban, ’ban, Cacaliban Has a new master. — Get a new man! Freedom, high-day! High-day, freedom! Freedom, high-day, freedom! STEFANO O brave monster! Lead the way. Exeunt
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1866
Shakespeare IV.indb 1866
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LA TEMPESTA, ATTO II SCENA 2
CALIBAN
Ti farò vedere le sorgenti migliori; ti coglierò le bacche; pescherò per te, e ti porterò tutta la legna che vorrai. Accidenti al tiranno che servo adesso! Non gli porterò più un solo ceppo. Invece seguirò te, uomo delle meraviglie. TRINCULO
Che mostro ridicolo, che trova meraviglioso un povero ubriacone! CALIBAN (a Stefano) Ti prego, lascia che ti porti dove crescono i granchi; e con le mie lunghe unghie ti scaverò le noci di terra; ti mostrerò il nido della gazza, e ti insegnerò a intrappolare l’agile scimmietta; ti porterò lì dove sono fitte le nocciole, e qualche volta ti catturerò dei piccoli gabbiani dagli scogli. Vuoi venire con me? STEFANO
Guidaci adesso, per favore, senza più chiacchiere. Trinculo, visto che il re e tutti gli altri dei nostri sono annegati, ereditiamo noi questo posto. – Tu portami la bottiglia –. Amico Trinculo, adesso ce l’andiamo a riempire. CALIBAN (canta ubriaco) Addio, padrone; addio, addio! TRINCULO
Un mostro ululante; un mostro sbronzo! CALIBAN (canta)
Non più dighe per i pesci Non più a raccattare sterpi Non si lavano più piatti Non si scappa negli anfratti! Ban, ban, Ca-caliban Hai un nuovo padrone. – diventa un uomo nuovo! È arrivata la libertà! Libertà, evviva; evviva, libertà! Libertà, evviva, libertà! STEFANO
Bravo mostro! Facci strada. Escono
1867
Shakespeare IV.indb 1867
30/11/2018 09:33:59
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 1
3.1
Enter Ferdinand, bearing a log
FERDINAND
There be some sports are painful, and their labour Delight in them sets off. Some kinds of baseness p Are nobly undergone, and most poor matters Point to rich ends. This my mean task Would be as heavy to me as odious, but The mistress which I serve quickens what’s dead, And makes my labours pleasures. O, she is Ten times more gentle than her father’s crabbed, And he’s composed of harshness. I must remove Some thousands of these logs and pile them up, Upon a sore injunction. My sweet mistress Weeps when she sees me work, and says such baseness Had never like executor. I forget, But these sweet thoughts do even refresh my labours, Most busil’est when I do it. q
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Enter Miranda, and Prospero following at a distance Alas now, pray you Work not so hard. I would the lightning had Burnt up those logs that you are enjoined to pile. Pray set it down, and rest you. When this burns ’Twill weep for having wearied you. My father Is hard at study. Pray now, rest yourself. He’s safe for these three hours. FERDINAND O most dear mistress, The sun will set before I shall discharge What I must strive to do. MIRANDA If you’ll sit down I’ll bear your logs the while. Pray give me that; I’ll carry it to the pile. MIRANDA
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2. Sets off: emend. settecentesco; in F set off. 15. Busil’est: in F busie lest, poi variamente emend; cfr. busiest. Jowett nota l’analogia con easilest di Cymbeline, IV, 2, 207; e maidenlest di Q1, History of Lear, II, 127. 1868
Shakespeare IV.indb 1868
30/11/2018 09:33:59
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 1
III, 1
Entra Ferdinando, portando un ceppo
FERDINANDO
Ci sono attività ingrate rese piacevoli dalla stessa fatica che richiedono; esistono bassezze che possono essere affrontate nobilmente; e tante povere cose possono finire nella ricchezza. Normalmente troverei non meno pesante che spregevole questo mio umile compito, ma la padrona che servo sveglierebbe un morto, e rende gradevoli le mie fatiche. Oh, lei è dieci volte più dolce di quanto suo padre sia severo, e sì che lui è un tipo spigoloso. Ora devo spostare un migliaio di questi ceppi e ammucchiarli. È un incarico duro, e la mia soave padrona piange vedendomi faticare, e dice che una umiliazione simile non era mai stata inflitta a nessuno. Divago, ma questi dolci pensieri alleviano le mie fatiche, tanto più lievi quanto più pesanti. Entra Miranda, con Prospero che la segue a distanza MIRANDA
Ahimè, vi prego, non lavorate così tanto! Vorrei che il fulmine avesse bruciato quei tronchi che vi tocca ammucchiare! Vi prego, metteteli giù e riposatevi. Il fuoco stesso piangerà per avervi tanto stancato. Mio padre è immerso nei suoi studi; vi prego, riposatevi, per tre ore potete farlo tranquillamente. FERDINANDO
O mia carissima padrona, il sole tramonterà prima che io abbia eseguito quanto devo sforzarmi di fare. MIRANDA
Sedetevi, ve lo porto io il ceppo; datelo a me, vi prego. Lo metto io sul mucchio.
1869
Shakespeare IV.indb 1869
30/11/2018 09:33:59
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 1
No, precious creature. I had rather crack my sinews, break my back, Than you should such dishonour undergo While I sit lazy by. MIRANDA It would become me As well as it does you; and I should do it With much more ease, for my good will is to it, And yours it is against. PROSPERO (aside) Poor worm, thou art infected. This visitation shows it. MIRANDA (to Ferdinand) You look wearily. FERDINAND
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FERDINAND
No, noble mistress, ’tis fresh morning with me When you are by at night. I do beseech you, Chiefly that I might set it in my prayers, What is your name? MIRANDA Miranda. O my father, I have broke your hest to say so! FERDINAND Admired Miranda! Indeed the top of admiration, worth What’s dearest to the world. Full many a lady I have eyed with best regard, and many a time Th’harmony of their tongues hath into bondage Brought my too diligent ear. For several virtues Have I liked several women; never any With so full soul but some defect in her Did quarrel with the noblest grace she owed And put it to the foil. But you, O you, So perfect and so peerless, are created Of every creature’s best. MIRANDA I do not know One of my sex, no woman’s face remember Save from my glass mine own; nor have I seen More that I may call men than you, good friend, And my dear father. How features are abroad I am skilless of; but, by my modesty, The jewel in my dower, I would not wish
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1870
Shakespeare IV.indb 1870
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 1
FERDINANDO
No, preziosa creatura. Mi romperò le braccia, mi spezzerò la schiena, piuttosto che voi dobbiate subire un tale disonore mentre io me ne sto a guardare oziosamente. MIRANDA
Non sarebbe un disonore per me come non lo è per voi: io lo farei con molto più agio, perché io lo farei volentieri, mentre voi lo fate controvoglia. PROSPERO (a parte) Poverina47, hai preso la malattia! Questa tua visita lo dimostra. MIRANDA (a Ferdinando) Sembrate stanco. FERDINANDO
No, nobile padrona; se fosse notte fonda, voi la trasformereste in mattina. Vi prego – solo per poterlo mettere nelle mie preghiere – qual è il vostro nome? MIRANDA
Oh, padre mio, dicendolo ho infranto i vostri ordini! FERDINANDO
Ammirata Miranda! Vetta di ogni mirabilia! Degna di quanto c’è di più prezioso nel mondo! Molte dame ho guardato con la massima ammirazione, e molte volte la musica della loro lingua ha avvinto il mio orecchio troppo malleabile; per molte diverse virtù ho apprezzato molte donne diverse; ma mai nessuna così senza riserve, che qualche suo difetto non contrastasse con le sue qualità più alte, guastandole. Oh, voi così perfetta e incomparabile, siete stata creata mettendo insieme il meglio di ogni creatura! MIRANDA
Non conosco nessuna del mio sesso; non ricordo viso di donna tranne il mio, che ho guardato nel mio specchio; né ho visto altri uomini che possa chiamar tali se non voi, buon amico, e il mio caro padre; come siano fatti gli altri, lo ignoro; ma giuro sulla mia verecondia, che è la gemma della mia dote, che non vorrei altro com-
1871
Shakespeare IV.indb 1871
30/11/2018 09:33:59
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 1
Any companion in the world but you; Nor can imagination form a shape Besides yourself to like of. But I prattle Something too wildly, and my father’s precepts I therein do forget. FERDINAND I am in my condition A prince, Miranda, I do think a king — I would not so — and would no more endure This wooden slavery than to suffer The flesh-fly blow my mouth. Hear my soul speak. The very instant that I saw you did My heart fly to your service; there resides To make me slave to it. And for your sake Am I this patient log-man. MIRANDA Do you love me?
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FERDINAND
O heaven, O earth, bear witness to this sound, And crown what I profess with kind event If I speak true! If hollowly, invert What best is boded me to mischief! I, Beyond all limit of what else i’th’ world, Do love, prize, honour you. MIRANDA (weeping) I am a fool To weep at what I am glad of. PROSPERO (aside) Fair encounter Of two most rare affections! Heavens rain grace On that which breeds between ’em. FERDINAND (to Miranda) Wherefore weep you?
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MIRANDA
At mine unworthiness, that dare not offer What I desire to give, and much less take What I shall die to want. But this is trifling, And all the more it seeks to hide itself The bigger bulk it shows. Hence, bashful cunning, And prompt me, plain and holy innocence. I am your wife, if you will marry me.
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1872
Shakespeare IV.indb 1872
30/11/2018 09:33:59
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 1
pagno al mondo se non voi; né sa la mia fantasia creare una forma diversa dalla vostra. Ma sto parlando a vanvera, dimenticando le disposizioni di mio padre. FERDINANDO
Io, pur nella mia condizione, sono un principe, Miranda; anzi, credo, un re; così non fosse! – e non sopporterei questa schiavitù alla legna più di quanto mi lascerei pungere alla bocca da uno sciame di vespe. Ascoltate, vi parlo con l’anima: nell’attimo stesso in cui vi vidi, il mio cuore corse per mettersi al vostro servizio; e lì è rimasto, a farmi vostro schiavo; e per amor vostro sono questo paziente boscaiolo. MIRANDA
Mi amate? FERDINANDO
Oh cielo, oh terra, siate testimoni di questi suoni e se dico la verità, coronate quanto dichiaro con un lieto fine! Altrimenti, convertite in male tutto quanto c’è di meglio nel mio destino! Io, oltre ogni limite di ogni altra cosa al mondo, vi amo, vi stimo, vi onoro. MIRANDA (piange) Sono una sciocca a piangere per una cosa che mi rallegra. PROSPERO (a parte) Eccellente incontro di due passioni molto rare! I cieli facciano piovere grazie su quanto sta sbocciando tra di loro! FERDINANDO (a Miranda) Perché piangete? MIRANDA
Per la mia indegnità, che non osa offrire quello che io desidero dare, e tanto meno prendere quello che mi fa morire dal desiderio. Ma queste sono sciocchezze. Questa cosa tanto più cerca di nascondersi, tanto più grande appare. Via, timida prudenza! Consigliami tu, innocenza semplice e santa! Io sono vostra moglie, se mi vorrete spo-
1873
Shakespeare IV.indb 1873
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THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
If not, I’ll die your maid. To be your fellow You may deny me, but I’ll be your servant Whether you will or no. FERDINAND [kneeling] My mistress, dearest; And I thus humble ever. MIRANDA My husband then? FERDINAND Ay, with a heart as willing As bondage e’er of freedom. Here’s my hand.
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MIRANDA
And mine, with my heart in’t. And now farewell Till half an hour hence. FERDINAND A thousand thousand. Exeunt severally Miranda and Ferdinand PROSPERO
So glad of this as they I cannot be, Who are surprised with all; but my rejoicing At nothing can be more. I’ll to my book, For yet ere supper-time must I perform Much business appertaining.
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Exit 3.2
Enter Caliban, Stefano, and Trinculo
STEFANO (to Caliban) Tell not me. When the butt is out
we will drink water, not a drop before. Therefore bear up and board ’em. Servant monster, drink to me. TRINCULO Servant monster? The folly of this island! They say there’s but five upon this isle. We are three of them; if th’other two be brained like us, the state totters. STEFANO Drink, servant monster, when I bid thee. Thy eyes are almost set in thy head.
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Shakespeare IV.indb 1874
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
sare; altrimenti morirò vostra vergine. Di esservi compagna potete negarmi; ma sarò la vostra serva, che lo vogliate o no. FERDINANDO [inginocchiandosi] La mia padrona, carissima; e io umile come adesso, per sempre. MIRANDA
Mio sposo, dunque? FERDINANDO
Sì, con un cuore così desideroso, quanto la servitù lo è della libertà. Ecco la mia mano. MIRANDA
E ecco la mia, con dentro il mio cuore; e adesso addio, ci rivediamo tra mezz’ora. FERDINANDO
Mille e mille volte addio! Escono separatamente Miranda e Ferdinando PROSPERO
Non posso essere lieto come loro, che in più hanno anche la sorpresa; ma nulla potrebbe farmi più piacere. Vado dal mio libro; perché prima di cena devo ancora eseguire molti compiti in questa faccenda. Esce III, 2
Entrano Caliban, Stefano e Trinculo
STEFANO (a Caliban)
Non me lo dire. Quando la botte sarà vuota, berremo acqua, ma fino a quel momento neanche una goccia. Perciò porta pazienza, e manda giù. Servo-mostro, bevi alla mia salute. TRINCULO
Servo-mostro! Alla follia di quest’isola! Dicono che su tutta l’isola siamo solo in cinque, compresi noi tre. Se gli altri due la pensano come noi, lo stato vacilla. STEFANO
Bevi, servo-mostro, quando te l’ordino. Hai gli occhi quasi nella testa.
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Shakespeare IV.indb 1875
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THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
TRINCULO Where should they be set else? He were a brave
monster indeed if they were set in his tail.
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STEFANO My man-monster hath drowned his tongue in
sack. For my part, the sea cannot drown me. I swam, ere I could recover the shore, five and thirty leagues, off and on. By this light, thou shalt be my lieutenant, monster, or my standard. TRINCULO Your lieutenant if you list; he’s no standard. STEFANO We’ll not run, Monsieur Monster. TRINCULO Nor go neither; but you’ll lie like dogs, and yet say nothing neither. STEFANO Moon-calf, speak once in thy life, if thou beest a good moon-calf.
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CALIBAN
How does thy honour? Let me lick thy shoe. I’ll not serve him; he is not valiant. TRINCULO Thou liest, most ignorant monster! I am in case to jostle a constable. Why, thou debauched fish, thou, was there ever man a coward that hath drunk so much sack as I today? Wilt thou tell a monstrous lie, being but half a fish and half a monster? CALIBAN (to Stefano) Lo, how he mocks me! Wilt thou let him, my lord? TRINCULO ‘Lord’ quoth he? That a monster should be such a natural! CALIBAN (to Stefano) Lo, lo, again! Bite him to death, I prithee. STEFANO Trinculo, keep a good tongue in your head. If you prove a mutineer, the next tree. The poor monster’s my subject, and he shall not suffer indignity.
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Shakespeare IV.indb 1876
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
TRINCULO
E dove altro devono essere? Se fosse un vero mostro, li avrebbe nella coda. STEFANO
Il mio uomo-mostro ha annegato la lingua nel vino di Spagna. Quanto a me, il mare non ce la fa a annegarmi: ho nuotato prima di arrivare a terra per trentacinque leghe, più o meno. Mostro! Quant’è vera la luce del sole, tu sarai il mio luogotenente. Oppure il mio portabandiera. TRINCULO
Meglio luogotenente, la bandiera non la può reggere. STEFANO
Vorrà dire che non correremo, monsieur Mostro. TRINCULO
Neanche cammineremo. Voi due ve ne starete sdraiati come cani, senza nemmeno aprir bocca. STEFANO
Aborto di natura, parla, una volta nella vita, se sei un bravo aborto di natura. CALIBAN
Come stai, eccellenza? Consentimi di leccarti la scarpa. Lui non lo servo, non è un coraggioso. TRINCULO
Tu menti, ignorantissimo mostro. Io potrei battere anche un ufficiale delle guardie. Brutto pesce debosciato, quando l’hai mai visto un vigliacco capace di bere tutto il vino che ho bevuto io oggi? Solo perché sei mezzo pesce e mezzo mostro vuoi dire una mostruosa bugia? CALIBAN (a Stefano) Mi prende in giro! E tu glielo lasci fare, mio signore? TRINCULO
“Signore”, ha detto? Come fa un mostro a essere così ingenuo? CALIBAN (a Stefano)
Ecco, ecco, lo ha fatto di nuovo! Mordilo a morte, ti prego. STEFANO
Trinculo, tieni a freno la lingua. Se ti ammutini, il primo albero è tuo! Questo povero mostro è mio suddito, e non deve essere insultato. 1877
Shakespeare IV.indb 1877
30/11/2018 09:33:59
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
CALIBAN
I thank my noble lord. Wilt thou be pleased To hearken once again to the suit I made to thee? STEFANO Marry, will I. Kneel and repeat it. I will stand, and so shall Trinculo.
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[Caliban kneels.] Enter Ariel, invisible CALIBAN As I told thee before, I am subject to a tyrant,
a sorcerer, that by his cunning hath cheated me of the island. ARIEL Thou liest. CALIBAN (to Trinculo) Thou liest, thou jesting monkey, thou. I would my valiant master would destroy thee. I do not lie. STEFANO Trinculo, if you trouble him any more in’s tale, by this hand, I will supplant some of your teeth. TRINCULO Why, I said nothing. STEFANO Mum, then, and no more. (To Caliban) Proceed.
45
50
CALIBAN
I say by sorcery he got this isle; From me he got it. If thy greatness will Revenge it on him — for I know thou dar’st, But this thing dare not — STEFANO That’s most certain.
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CALIBAN
Thou shalt be lord of it, and I’ll serve thee. STEFANO How now shall this be compassed? Canst thou bring me to the party?
60
CALIBAN
Yea, yea, my lord. I’ll yield him thee asleep Where thou mayst knock a nail into his head.
1878
Shakespeare IV.indb 1878
30/11/2018 09:33:59
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
CALIBAN
Ringrazio il mio nobile signore. Vuoi compiacerti di ascoltare ancora una volta la preghiera che ti ho rivolto? STEFANO
Sì, perdiana. Inginocchiati e ripetila. Io resto in piedi, e anche Trinculo. [Caliban si inginocchia.] Entra Ariel, invisibile CALIBAN
Come ti ho detto prima, sono schiavo di un tiranno, di un mago che con la sua arte mi ha portato via l’isola. ARIEL
Bugiardo. CALIBAN (a Trinculo)
Bugiardo a te, scimmia insultante! Vorrei che il mio valoroso padrone ti spacciasse! Io non dico bugie. STEFANO
Trinculo, se lo interrompi ancora una volta quant’è vero che ho questa mano, ti ci faccio saltare qualche dente. TRINCULO
Non ho aperto bocca. STEFANO
Be’, stai zitto, basta. Avanti, tu. CALIBAN
Dico che con la stregoneria si è preso questa isola; l’ha tolta a me. Se la tua grandezza mi vorrà vendicare – so che ne avresti il coraggio, mentre questo poveretto non ce l’ha… STEFANO
Questo è certo. CALIBAN
Sarai il suo signore, e io ti servirò. STEFANO
Ma come si può ottenere? Mi puoi condurre da quel tale? CALIBAN
Sì, sì, mio signore: te lo consegnerò mentre dorme, e tu potrai piantargli un chiodo nel cranio48. 1879
Shakespeare IV.indb 1879
30/11/2018 09:34:00
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
ARIEL Thou liest, thou canst not. CALIBAN
What a pied ninny’s this! (To Trinculo) Thou scurvy patch! (To Stefano) I do beseech thy greatness give him blows, And take his bottle from him. When that’s gone He shall drink naught but brine, for I’ll not show him Where the quick freshes are. STEFANO Trinculo, run into no further danger. Interrupt the monster one word further, and, by this hand, I’ll turn my mercy out o’doors and make a stockfish of thee. TRINCULO Why, what did I? I did nothing. I’ll go farther off. STEFANO Didst thou not say he lied? ARIEL Thou liest. STEFANO Do I so? (Striking Trinculo) Take thou that. As you like this, give me the lie another time. TRINCULO I did not give the lie. Out o’your wits and hearing too? A pox o’your bottle! This can sack and drinking do. A murrain on your monster, and the devil take your fingers. CALIBAN Ha, ha, ha! STEFANO Now forward with your tale. (To Trinculo) Prithee, stand further off.
66
72
75
82
85
CALIBAN
Beat him enough; after a little time I’ll beat him too. STEFANO (to Trinculo) Stand farther. (To Caliban) Come, proceed. CALIBAN
Why, as I told thee, ’tis a custom with him I’th’ afternoon to sleep. There thou mayst brain him, Having first seized his books; or with a log Batter his skull, or paunch him with a stake,
90
1880
Shakespeare IV.indb 1880
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
ARIEL
Bugiardo: non puoi farlo. CALIBAN
Senti che buffone!49 (A Trinculo) Furfante schifoso! (A Stefano) Supplico la tua grandezza, colpiscilo, togligli la bottiglia; senza quella potrà bere solo acqua salata: perché io non gli faccio vedere dove si trova quella dolce. STEFANO
Trinculo, stai scherzando col fuoco. Interrompi il mostro anche solo un’altra volta, e quant’è vero che ho questa mano, accantono ogni pietà e ti faccio diventare uno stoccafisso50. TRINCULO
Ma che ho fatto? Non ho fatto niente. Mi allontano. STEFANO
Non gli hai dato del bugiardo? ARIEL
Sei tu il bugiardo. STEFANO
Ah, sì? Prendi questa. (Lo colpisce) Se ti è piaciuta, dammi del bugiardo un’altra volta. TRINCULO
Non ti ho mai dato del bugiardo. Ma sei fuori di testa oltre che sordo spaccato? Accidenti alla tua bottiglia! Guarda col vino dove si va a finire. Accidenti al tuo mostro, e il diavolo si porti la tua mano! CALIBAN
Ah, ah, ah! STEFANO
Adesso, avanti con la tua storia. (A Trinculo) E tu per favore stai lontano. CALIBAN
Picchialo abbastanza; dopo lo picchio anche io. STEFANO (a Trinculo) Più lontano. (A Caliban) Forza, continua. CALIBAN
Insomma, come ti ho detto, lui il pomeriggio ha l’abitudine di dormire. Allora gli puoi sfondare il cervello, dopo avergli preso i suoi libri. O gli sfondi il cranio con un ceppo, o lo infilzi con un palo, 1881
Shakespeare IV.indb 1881
30/11/2018 09:34:00
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
Or cut his weasand with thy knife. Remember First to possess his books, for without them He’s but a sot as I am, nor hath not One spirit to command — they all do hate him As rootedly as I. Burn but his books. He has brave utensils, for so he calls them, Which when he has a house he’ll deck withal. And that most deeply to consider is The beauty of his daughter. He himself Calls her a nonpareil. I never saw a woman But only Sycorax my dam and she, But she as far surpasseth Sycorax As great’st does least. STEFANO Is it so brave a lass?
95
100
CALIBAN
Ay, lord. She will become thy bed, I warrant, And bring thee forth brave brood. STEFANO Monster, I will kill this man. His daughter and I will be king and queen — save our graces! — and Trinculo and thyself shall be viceroys. Dost thou like the plot, Trinculo? TRINCULO Excellent. STEFANO Give me thy hand. I am sorry I beat thee. But while thou liv’st, keep a good tongue in thy head.
105
110
CALIBAN
Within this half hour will he be asleep. Wilt thou destroy him then? STEFANO Ay, on mine honour. ARIEL (aside) This will I tell my master.
115
CALIBAN
Thou mak’st me merry; I am full of pleasure. Let us be jocund. Will you troll the catch You taught me but while-ere? STEFANO At thy request, monster, I will do reason, any reason. — Come on, Trinculo, let us sing.
120
1882
Shakespeare IV.indb 1882
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
oppure gli tagli la gola col tuo coltello. Però prima ricordati di impadronirti dei suoi libri, perché senza quelli è uno scemo come me, senza un solo spirito da comandare: lo odiano tutti di cuore come lo odio io. Basta che gli bruci i libri. Ha dei bei mobili – così li chiama – con cui arrederebbe la sua casa, se l’avesse. E poi la prima cosa da considerare è la bellezza di sua figlia. Lui stesso la definisce incomparabile. Io non ho mai visto donna se non mia madre Sycorax e lei; ma lei sorpassa Sycorax come il massimo supera il minimo. STEFANO
Una ragazza così bella? CALIBAN
Sì, signore; sarà adatta al tuo letto, te lo garantisco, e ti darà una prole gagliarda. STEFANO
Mostro, ucciderò quest’uomo; sua figlia ed io saremo re e regina – Dio salvi la nostra maestà! – e tu e Trinculo sarete vicerè. Ti piace il programma, Trinculo? TRINCULO
Eccellente. STEFANO
Qua la mano. Mi dispiace di averti picchiato, ma continua a tenere la lingua sotto controllo, se vuoi vivere. CALIBAN
Entro mezz’ora dormirà. Lo ammazzerai allora? STEFANO
Sì, parola d’onore. ARIEL (a parte) Questo lo dirò al mio padrone. CALIBAN
Mi metti di buon umore; sono pieno di piacere; stiamo allegri; volete cantare il ritornello che mi avete insegnato poco fa?51 STEFANO
Come chiedi, mostro, obbedisco, obbedisco sempre. – Forza, Trinculo, cantiamo.
1883
Shakespeare IV.indb 1883
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THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 2
Flout ’em and cout ’em, r And scout ’em and flout ’em. Thought is free. CALIBAN That’s not the tune. (Sings)
125
Ariel plays the tune on a tabor and pipe STEFANO What is this same? TRINCULO This is the tune of our catch, played by the
picture of Nobody.
129
STEFANO (calls towards Ariel) If thou beest a man, show
thyself in thy likeness. If thou beest a devil, take’t as thou list. TRINCULO O, forgive me my sins! STEFANO He that dies pays all debts. (Calls) I defy thee. — Mercy upon us! CALIBAN Art thou afeard? STEFANO No, monster, not I.
135
CALIBAN
Be not afeard. The isle is full of noises, Sounds, and sweet airs, that give delight and hurt not. Sometimes a thousand twangling instruments Will hum about mine ears, and sometime voices That if I then had waked after long sleep Will make me sleep again; and then in dreaming The clouds methought would open and show riches Ready to drop upon me, that when I waked I cried to dream again. STEFANO This will prove a brave kingdom to me, where I shall have my music for nothing. CALIBAN When Prospero is destroyed. STEFANO That shall be by and by. I remember the story.
140
145
149
Exit Ariel, playing music
123. Cout: forma dialettale del verbo to colt = “scuotere, sbattere, maltrattare”. 1884
Shakespeare IV.indb 1884
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 2
(Canta) Sbattile e fottile E pigliale e mollale, Pensa come ti par… CALIBAN
Non era questa l’aria. Ariel suona il motivo su flauto e tamburello STEFANO
E questo che è? TRINCULO
È il motivo del nostro ritornello, suonato dal ritratto di Nessuno. STEFANO (forte, verso Ariel) Se sei uomo, mostrati come sei fatto; se sei diavolo, fai come ti pare. TRINCULO
Oh Dio, perdona i miei peccati! STEFANO
Chi muore paga tutti i debiti: (urla) ti sfido! – Pietà di noi! CALIBAN
Hai paura? STEFANO
Chi, io, mostro? No. CALIBAN
Non avere paura. L’isola è piena di rumori, suoni e dolci arie, che dànno piacere e non nuocciono. A volte mille strumenti tintinnanti mi ronzano nelle orecchie; e a volte voci che, se mi sono appena svegliato da un lungo sonno, mi fanno riaddormentare; e poi, nel sogno, mi sembra che le nuvole si aprano, e mostrino ricchezze che mi stanno per piovere addosso; tanto che quando mi sveglio piango perché vorrei sognare ancora. STEFANO
Sarà un bellissimo regno per me, che avrò musica gratis. CALIBAN
Quando sarà stato distrutto Prospero. STEFANO
Il che avverrà subito: ricordo la storia. Ariel esce, suonando 1885
Shakespeare IV.indb 1885
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THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 3
TRINCULO The sound is going away. Let’s follow it, and
after do our work. STEFANO Lead, monster; we’ll follow. — I would I could
see this taborer. He lays it on. TRINCULO (to Caliban) Wilt come? I’ll follow Stefano.
155 Exeunt
3.3
Enter Alonso, Sebastian, Antonio, Gonzalo, Adrian, and Francisco
GONZALO (to Alonso)
By’r la’kin, I can go no further, sir. My old bones ache. Here’s a maze trod indeed Through forthrights and meanders. By your patience, I needs must rest me. ALONSO Old lord, I cannot blame thee, Who am myself attached with weariness To th’ dulling of my spirits. Sit down and rest. Even here I will put off my hope, and keep it No longer for my flatterer. He is drowned Whom thus we stray to find, and the sea mocks Our frustrate search on land. Well, let him go.
5
10
[They sit] ANTONIO (aside to Sebastian)
I am right glad that he’s so out of hope. Do not for one repulse forgo the purpose That you resolved t’effect. SEBASTIAN (aside to Antonio) The next advantage Will we take throughly. ANTONIO (aside to Sebastian) Let it be tonight, For now they are oppressed with travel. They Will not nor cannot use such vigilance As when they are fresh.
15
1886
Shakespeare IV.indb 1886
30/11/2018 09:34:00
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 3
TRINCULO
Il rumore si allontana, seguiamolo, e dopo facciamo quello che dobbiamo fare. STEFANO
Tu, mostro, guidaci, noi ti veniamo dietro. Vorrei poter vedere questo tamburino; non la vuole smettere. TRINCULO (a Caliban) Vieni? Io ti seguo, Stefano. Escono III, 3
Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Gonzalo, Adriano e Francisco
GONZALO (a Alonso)
Per la Vergine52, io non ce la faccio più, sire. Le mie vecchie ossa mi dolgono; e questo è un labirinto, tutto svolte e giravolte! Abbiate pazienza, ma io mi devo riposare. ALONSO
Vecchio signore, non ti posso biasimare. Io stesso mi sento assalito dalla spossatezza fino a sentirmi la testa annebbiata. Siediti e riposati. A questo punto rinuncio alla speranza e non ascolto più chi mi lusinga. Colui che ci stiamo sforzando di trovare è annegato, e il mare se ne ride delle nostre vane ricerche sulla terra. Bene, che vada pure. [Si siedono] ANTONIO (a parte, a Sebastiano)
Sono contento che abbandoni la speranza. Ma voi per una battuta di arresto non rinunciate al progetto che avevate deciso di portare a termine. SEBASTIANO (a parte, a Antonio) Approfitteremo del primo momento favorevole. ANTONIO (a parte, a Sebastiano) Che sia stanotte; perché adesso sono sfiniti dal cammino, e non vorranno né potranno vigilare come quando sono integri.
1887
Shakespeare IV.indb 1887
30/11/2018 09:34:00
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 3
SEBASTIAN (aside to Antonio) I say tonight. No more.
Solemn and strange music. Enter Prospero on the top, invisible ALONSO
What harmony is this? My good friends, hark. GONZALO Marvellous sweet music.
Enter spirits, in several strange shapes, bringing in a table and a banquet, and dance about it with gentle actions of salutations, and, inviting the King and his companions to eat, they depart ALONSO
Give us kind keepers, heavens! What were these?
20
SEBASTIAN
A living drollery. Now I will believe That there are unicorns; that in Arabia There is one tree, the phoenix’ throne, one phoenix At this hour reigning there. ANTONIO I’ll believe both; And what does else want credit come to me, And I’ll be sworn ’tis true. Travellers ne’er did lie, Though fools at home condemn ’em. GONZALO If in Naples I should report this now, would they believe me — If I should say I saw such islanders? For certes these are people of the island, Who though they are of monstrous shape, yet note Their manners are more gentle-kind than of s Our human generation you shall find Many, nay, almost any. PROSPERO (aside) Honest lord, Thou hast said well, for some of you there present Are worse than devils.
25
30
35
32. Gentle-kind: in F gentle, kind. 1888
Shakespeare IV.indb 1888
30/11/2018 09:34:00
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 3
SEBASTIANO (a parte, a Antonio)
D’accordo, stanotte: non oltre. Musica strana e solenne. Entra Prospero in alto, invisibile ALONSO
Quale armonia è mai questa? Miei buoni amici, ascoltate! GONZALO
Che dolcezza! Che musica meravigliosa! Entrano spiriti, in varie strane forme, recando una tavola con un banchetto, intorno al quale danzano con cortesi gesti di saluto, e, invitando il re e i suoi compagni a mangiare, si dipartono ALONSO
Cielo, mandaci degli angeli che ci proteggano! – Che cos’erano questi? SEBASTIANO
Un teatrino vivente. Adesso posso credere agli unicorni; o che in Arabia c’è un albero unico, il trono della fenice, e che in questo momento c’è una fenice che ci regna53. ANTONIO
Io presterò fede a tutt’e due le cose; e qualunque altra fantasiosa credenza sia in cerca di fedeli, venga da me e giurerò che è vera. Non dirò più che i viaggiatori raccontano bugie, per quanto a casa gli sciocchi li condannino. GONZALO
Se lo raccontassi a Napoli, sarei creduto? Dovrei riferire che ho visto questi isolani – perché di certo questi sono abitanti dell’isola – forse di forme mostruose, ma tuttavia, si badi, dalle maniere gentili e cortesi come nella nostra generazione di umani non se ne trovano molte, anzi, nessuna. PROSPERO (a parte) Onesto signore, hai detto bene; perché alcuni di voi qui presenti siete peggio dei diavoli.
1889
Shakespeare IV.indb 1889
30/11/2018 09:34:00
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 3
I cannot too much muse. Such shapes, such gesture, and such sound, expressing — Although they want the use of tongue — a kind Of excellent dumb discourse. PROSPERO (aside) Praise in departing. ALONSO
FRANCISCO
They vanished strangely. No matter, since They have left their viands behind, for we have stomachs. Will’t please you taste of what is here? ALONSO Not I. SEBASTIAN
40
GONZALO
Faith, sir, you need not fear. When we were boys, Who would believe that there were mountaineers Dewlapped like bulls, whose throats had hanging at ’em Wallets of flesh? Or that there were such men Whose heads stood in their breasts? Which now we find Each putter-out of five for one will bring us Good warrant of. ALONSO [rising] I will stand to and feed, Although my last — no matter, since I feel The best is past. Brother, my lord the Duke, Stand to, and do as we.
46
50
[Alonso, Sebastian, and Antonio approach the table.] Thunder and lightning. Ariel [descends] like a t harpy, claps his wings upon the table, and, with a quaint device, the banquet vanishes
52.2. Ariel [descends]: in F solo Enter Ariel; però la direttiva di scena dopo 82, vanishes in thunder, fa pensare che sia l’“entrata” che l’“ascesa” di Ariel si compia grazie a un macchinario di “volo” sul palcoscenico. Queste scene erano sempre accompagnate da musica 1890
Shakespeare IV.indb 1890
30/11/2018 09:34:00
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 3
ALONSO
Non posso troppo meravigliarmi di tali forme, tali gesti e tali suoni, che comunicano, per quanto privi dell’uso della lingua, un eccellente tipo di discorso muto. PROSPERO (a parte) Aspetta a lodare. FRANCISCO
Strano come sono spariti. SEBASTIANO
Non importa, dato che si sono lasciati dietro le loro vettovaglie; perché abbiamo fame. – Non volete assaggiare quello che c’è? ALONSO
Io no. GONZALO
In fede mia, sire, non dovete temere. Quando eravamo ragazzi, chi avrebbe creduto che ci fossero montanari con le orecchie pendule come tori e la gola appesa come una borsa di carne? O che ci fossero uomini con la testa fissata nel petto?54 Mentre adesso troviamo che chiunque ritorna da un viaggio55 per mare ce ne garantisce l’esistenza. ALONSO [alzandosi]. Andrò a nutrirmi, e non importa se sarà il mio ultimo pasto, tanto so che il meglio della vita è passato. Fratello, mio signor duca, venite e imitatemi. [Alonso, Sebastiano e Antonio vanno alla tavola.] Tuoni e lampi. Ariel [scende] come un’arpia56 , sbatte le ali sul tavolo, e, con un trucco ingegnoso, il banchetto scompare
1891
Shakespeare IV.indb 1891
30/11/2018 09:34:00
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 3
ARIEL
You are three men of sin, whom destiny — That hath to instrument this lower world And what is in’t — the never-surfeited sea Hath caused to belch up you, and on this island Where man doth not inhabit, you ’mongst men Being most unfit to live. I have made you mad, And even with suchlike valour men hang and drown Their proper selves.
55
Alonso, Sebastian, and Antonio draw You fools! I and my fellows Are ministers of fate. The elements Of whom your swords are tempered may as well Wound the loud winds, or with bemocked-at stabs Kill the still-closing waters, as diminish One dowl that’s in my plume. My fellow ministers Are like invulnerable. If you could hurt, Your swords are now too massy for your strengths And will not be uplifted.
60
65
Alonso, Sebastian, and Antonio stand amazed But remember, For that’s my business to you, that you three From Milan did supplant good Prospero; Exposed unto the sea, which hath requit it, Him and his innocent child; for which foul deed, The powers, delaying not forgetting, have Incensed the seas and shores, yea, all the creatures, Against your peace. Thee of thy son, Alonso, They have bereft, and do pronounce by me Ling’ring perdition — worse than any death Can be at once — shall step by step attend You and your ways; whose wraths to guard you from — Which here in this most desolate isle else falls Upon your heads — is nothing but heart’s sorrow And a clear life ensuing.
70
75
80
1892
Shakespeare IV.indb 1892
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LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 3
ARIEL
Voi siete dei peccatori, che il Destino – il cui strumento è questo basso mondo e quanto esso contiene – vi ha fatto rigettare dal mai sazio mare; e su questa isola, dove nessun uomo dimora – voi che siete particolarmente inadatti a vivere tra gli uomini. Io vi ho fatti uscire di senno; e spinti da un simile coraggio della disperazione, uomini del vostro valore si impiccano e si annegano da soli. Alonso, Sebastiano e Antonio sguainano le spade Sciocchi! Io e i miei compagni siamo ministri del Fato: gli elementi, di cui sono temprate le vostre spade, possono ferire i sonori venti, o con fendenti risibili affettare le acque che sempre poi si richiudono, ovvero portar via una piumetta dalla mia ala; i miei compagni esecutori sono altrettanto invulnerabili. Se poteste offendere, le vostre spade sono ora troppo pesanti per le vostre forze, e non riuscite a sollevarle. Alonso, Sebastiano e Antonio si immobilizzano, inebetiti Ricordate però – poiché questo devo dirvi – che voi tre da Milano avete scacciato il buon Prospero; lo avete consegnato al mare, che adesso vi ha ripagato, lui e la sua figliola innocente; per la quale malvagia azione le alte forze, tardive ma non dimentiche, hanno infiammato i mari e le sponde, sì, tutte le creature, contro la vostra pace. Te di tuo figlio, Alonso, hanno spogliato; e annunciano tramite me una duratura dannazione – peggiore di qualunque morte possa venire istantanea – che seguirà passo passo voi e i vostri percorsi; e a guardarvi dalla loro ira, che qui, in questa desolatissima isola, cade sul vostro capo, non vi sarà altro che dolore nel cuore e una vita immacolata d’ora in poi.
1893
Shakespeare IV.indb 1893
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 3 SCENE 3
He [ascends and] vanishes in thunder. Then, to soft music, enter the spirits again, and dance with mocks and mows, and they depart, carrying out the table PROSPERO
Bravely the figure of this harpy hast thou Performed, my Ariel; a grace it had devouring. Of my instruction hast thou nothing bated In what thou hadst to say. So with good life And observation strange my meaner ministers Their several kinds have done. My high charms work, And these mine enemies are all knit up In their distractions. They now are in my power; And in these fits I leave them, while I visit Young Ferdinand, whom they suppose is drowned, And his and mine loved darling. Exit
85
90
[Gonzalo, Adrian, and Francisco go towards the others] GONZALO
I’th’ name of something holy, sir, why stand you In this strange stare? ALONSO O, it is monstrous, monstrous! Methought the billows spoke and told me of it, The winds did sing it to me, and the thunder, That deep and dreadful organ-pipe, pronounced The name of Prosper. It did bass my trespass. Therefor my son i’th’ ooze is bedded, and I’ll seek him deeper than e’er plummet sounded, And with him there lie mudded. Exit SEBASTIAN But one fiend at a time, I’ll fight their legions o’er. ANTONIO I’ll be thy second.
95
100
Exeunt Sebastian and Antonio GONZALO
All three of them are desperate. Their great guilt, Like poison given to work a great time after, Now ’gins to bite the spirits. I do beseech you That are of suppler joints, follow them swiftly,
105
1894
Shakespeare IV.indb 1894
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO III SCENA 3
[Sale e] scompare con un tuono. Poi, con una musica dolce, rientrano gli spiriti e danzano, con smorfie e gesti beffardi, portando via il tavolo PROSPERO
Hai recitato squisitamente la parte di questa arpia, mio Ariel, con una grazia formidabile; nel tuo discorso non hai trascurato nessuna delle mie istruzioni; e così con ottimo contegno e bella naturalezza i miei esecutori inferiori hanno svolto i loro vari compiti. I miei alti incantesimi funzionano, e questi miei nemici sono tutti invischiati nelle loro follie: ora sono in mio potere; e in preda a questi attacchi li lascio, mentre vado a trovare il giovane Ferdinando – che costoro credono annegato – e il suo e mio supremo tesoro. Esce [Gonzalo, Adriano e Francisco vanno verso gli altri] GONZALO
In nome di tutti i santi, sire, perché sbarrate gli occhi in modo così strano? ALONSO
Oh, è mostruoso, mostruoso! Mi è parso che i flutti parlassero, e mi dicessero; che i venti mi cantassero; e che il tuono, quella profonda e terribile tromba d’organo, pronunciasse il nome di Prospero. È stata come una nota bassa che faceva da commento alla mia colpa. Per questo mio figlio giace nel liquido; e io lo cercherò più a fondo di dove mai scandaglio sia pervenuto, e con lui giacerò sotto la mota. Esce SEBASTIANO
Un diavolo alla volta, sfiderò tutte le loro legioni. ANTONIO
Ti farò da secondo. Escono Sebastiano e Antonio GONZALO
Sono tutti fuori di sé: la loro grande colpa, come quei veleni che agiscono dopo molto tempo, ora comincia a mordergli lo spirito. Vi prego, voi che avete membra più agili, sbrigatevi a seguirli, e 1895
Shakespeare IV.indb 1895
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
And hinder them from what this ecstasy May now provoke them to. ADRIAN Follow, I pray you. 4.1
Exeunt
Enter Prospero, Ferdinand, and Miranda
PROSPERO (to Ferdinand)
If I have too austerely punished you, Your compensation makes amends, for I Have given you here a third of mine own life — u Or that for which I live — who once again I tender to thy hand. All thy vexations Were but my trials of thy love, and thou Hast strangely stood the test. Here, afore heaven, I ratify this my rich gift. O Ferdinand, Do not smile at me that I boast of her, v For thou shalt find she will outstrip all praise, And make it halt behind her. FERDINAND I do believe it Against an oracle.
5
10
PROSPERO
Then, as my gift and thine own acquisition w Worthily purchased, take my daughter. But If thou dost break her virgin-knot before All sanctimonious ceremonies may With full and holy rite be ministered, No sweet aspersion shall the heavens let fall To make this contract grow; but barren hate, Sour-eyed disdain, and discord, shall bestrew The union of your bed with weeds so loathly That you shall hate it both. Therefore take heed, As Hymen’s lamps shall light you.
15
20
3. Third: thread è emend. possibile, ma cfr. V, 1, 315, dove Prospero misura il tempo in modo similare. 9. Boast of her: emend. novecentesco; in F boast her of. 13. Gift: in F guest = “ospite”. 1896
Shakespeare IV.indb 1896
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
impedite loro quello che questa pazzia può adesso portarli a compiere. ADRIANO
E voi seguite noi, vi prego. Escono IV, 1
Entrano Prospero, Ferdinando e Miranda
PROSPERO (a Ferdinando)
Se vi ho castigati con troppa severità, il compenso ne vale la pena: poiché io vi ho dato qui un terzo della mia stessa vita, o di quello per cui vivo. Di nuovo lo porgo alla tua mano: tutte le tue sofferenze non sono state che per mettere alla prova il tuo amore, e tu hai superato benissimo l’esame. Qui, davanti al Cielo, ratifico questo mio ricco dono. O Ferdinando, non sorridere di me se la porto in palma di mano, poiché troverai che ella supera qualsiasi lode, lasciandosela arrancare alle spalle. FERDINANDO
Lo crederei anche contro un oracolo. PROSPERO
E allora come mio dono e tua conquista degnamente ottenuta, prendi mia figlia. Ma se violerai il vincolo della sua verginità prima che ogni santa cerimonia sia stata celebrata con la pienezza del santo rito, che i cieli non lascino prosperare questo contratto in alcun modo, ma lo sterile odio, il maligno disprezzo e la discordia spargano sull’unione del vostro letto erbacce così disgustose da renderlo odioso ad entrambi. Perciò badate, seguite la luce dei lumi di Imene57.
1897
Shakespeare IV.indb 1897
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
As I hope For quiet days, fair issue, and long life With such love as ’tis now, the murkiest den, The most opportune place, the strong’st suggestion Our worser genius can, shall never melt Mine honour into lust to take away The edge of that day’s celebration; When I shall think or Phoebus’ steeds are foundered Or night kept chained below. PROSPERO Fairly spoke. Sit, then, and talk with her. She is thine own. FERDINAND
25
30
Ferdinand and Miranda sit and talk together What, Ariel, my industrious servant Ariel! Enter Ariel ARIEL
What would my potent master? Here I am. PROSPERO
Thou and thy meaner fellows your last service Did worthily perform, and I must use you In such another trick. Go bring the rabble, O’er whom I give thee power, here to this place. Incite them to quick motion, for I must Bestow upon the eyes of this young couple Some vanity of mine art. It is my promise, And they expect it from me. ARIEL Presently? PROSPERO Ay, with a twink. ARIEL Before you can say ‘Come’ and ‘Go’, And breathe twice, and cry ‘So, so’, Each one tripping on his toe Will be here with mop and mow. Do you love me, master? No?
35
40
45
PROSPERO
Dearly, my delicate Ariel. Do not approach Till thou dost hear me call. ARIEL Well; I conceive.
Exit
1898
Shakespeare IV.indb 1898
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
FERDINANDO
Così come io mi auguro giorni pacifici, prole sana e lunga vita, con un amore come quello di adesso, il covo più oscuro, il luogo più propizio, la tentazione più forte che i cattivi spiriti possano proporre non indeboliranno mai il mio onore fino a renderlo preda della lussuria, né mi toglieranno la gioia della celebrazione di quel giorno in cui penserò che i destrieri di Febo siano inciampati, o che la Notte li abbia incatenati giù di sotto58. PROSPERO
Ben detto. Siediti dunque e parla con lei; è tua. Ferdinando e Miranda si siedono e parlano E tu, Ariel! Mio industrioso servitore, Ariel! Entra Ariel ARIEL
Che vuole il mio potente padrone? Eccomi. PROSPERO
Tu e i tuoi compagni subalterni avete eseguito bene il vostro ultimo compito; e devo usarvi in un’altra operazione. Va’, conduci qui, in questo luogo, la muta di cui ti ho dato il comando; esortali a muoversi in fretta; poiché io devo elargire agli occhi di questa giovane coppia qualche piccolo campione della mia arte. È la mia promessa, e se lo aspettano da me. ARIEL
Subito? PROSPERO
Sì, in un batter d’occhio. ARIEL
Prima che tu possa dire, “vieni” e “va”, e respirare due volte, e gridare, “così”, ciascuno volando in punta di piedi sarà qui con smorfie e lazzi. Mi vuoi bene, padrone? O no? PROSPERO
Molto, mio prezioso Ariel. Non venire finché non mi senti chiamare. ARIEL
Bene, ho capito. Esce 1899
Shakespeare IV.indb 1899
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
PROSPERO (to Ferdinand)
Look thou be true. Do not give dalliance Too much the rein. The strongest oaths are straw To th’ fire i’th’ blood. Be more abstemious, Or else, good night your vow. FERDINAND I warrant you, sir, The white cold virgin snow upon my heart Abates the ardour of my liver. PROSPERO Well. — Now come, my Ariel! Bring a corollary Rather than want a spirit. Appear, and pertly.
51
55
Soft music (To Ferdinand and Miranda) No tongue, all eyes! Be silent. Enter Iris IRIS
Ceres, most bounteous lady, thy rich leas Of wheat, rye, barley, vetches, oats, and peas; Thy turfy mountains where live nibbling sheep, And flat meads thatched with stover, them to keep; Thy banks with peonied and twillèd brims x Which spongy April at thy hest betrims To make cold nymphs chaste crowns; and thy broom-groves, Whose shadow the dismissèd bachelor loves, Being lass-lorn; thy pole-clipped vineyard, And thy sea-marge, sterile and rocky-hard, Where thou thyself dost air: the Queen o’th’ Sky, Whose wat’ry arch and messenger am I, Bids thee leave these, and with her sovereign grace
60
65
70
Juno [appears in the air] Here on this grass-plot, in this very place, To come and sport. — Her peacocks fly amain. Approach, rich Ceres, her to entertain. y
75
64. Peonied: moderno pioned = “scavato, solcato”. 75. Her: emend. settecentesco; in F here to entertain = “…a rallegrarci qui”. 1900
Shakespeare IV.indb 1900
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
PROSPERO (a Ferdinando)
E tu bada di non tradire; non dare troppo spazio all’indulgenza; i giuramenti più solenni sono paglia per il fuoco nel sangue: sii più astemio, o buonanotte al tuo giuramento! FERDINANDO
Vi garantisco, signore, che la fredda neve virginale sul mio cuore spegne l’ardore del mio fegato59. PROSPERO
Bene. E ora, vieni, mio Ariel! Eccedi nel numero degli spiriti, piuttosto che essere in difetto; mostrati, e sii vivace! Apparite, e dateci dentro! Musica dolce (A Ferdinando e Miranda) Bando alle lingue! Siate tutt’occhi! Silenzio. Entra Iride60 IRIDE
Cerere, munifica signora, i tuoi campi ricchi di grano, orzo, avena, segale, piselli; i tuoi monti erbosi dove abitano le brucanti pecore, e i piatti prati pieni di foraggio che le nutre; le tue rive solcate da ricami di fiori che lo spugnoso aprile al tuo cenno adorna per far caste corone alle fredde ninfe; e i tuoi cespugli di ginestre alla cui ombra lo spasimante congedato ama, sospirando la sua donna; la vigna tralicciata; e la tua sponda marina, sterile e rocciosa, dove tu stessa prendi aria; - la regina del cielo, della quale io sono nunzia e arcobaleno, ti ordina di lasciarli; e con la sua grazia sovrana, Giunone [appare in aria] qui, su questo spazio erboso, in questo stesso luogo, di venire a trastullarti: i suoi pavoni vengono volando; avvicinati, opulenta Cerere, ad accoglierla.
1901
Shakespeare IV.indb 1901
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
Enter [Ariel as] Ceres CERES
Hail, many-coloured messenger, that ne’er Dost disobey the wife of Jupiter; Who with thy saffron wings upon my flowers Diffusest honey-drops, refreshing showers, And with each end of thy blue bow dost crown My bosky acres and my unshrubbed down, z Rich scarf to my proud earth. Why hath thy queen Summoned me hither to this short-grassed green? aa
80
IRIS
A contract of true love to celebrate, And some donation freely to estate On the blest lovers. CERES Tell me, heavenly bow, If Venus or her son, as thou dost know, Do now attend the Queen. Since they did plot The means that dusky Dis my daughter got, Her and her blind boy’s scandalled company I have forsworn. IRIS Of her society Be not afraid. I met her deity Cutting the clouds towards Paphos, and her son Dove-drawn with her. Here thought they to have done Some wanton charm upon this man and maid, Whose vows are that no bed-right shall be paid Till Hymen’s torch be lighted — but in vain. Mars’s hot minion is returned again. Her waspish-headed son has broke his arrows, Swears he will shoot no more, but play with sparrows, And be a boy right out.
85
90
95
100
81. Bosky: probabile arcaismo in idioma contadino. 83. Short-grassed: vari emend., fra cui short-graz’d. 1902
Shakespeare IV.indb 1902
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
Entra [Ariel come] Cerere CERERE
Salve, variopinta messaggera, che mai disobbedisti alla sposa di Giove; che con le tue ali di zafferano61 sui miei fiori spargi gocce di miele, piogge rinfrescanti; e che con ogni estremità del tuo arco azzurro coroni i miei acri boscosi e la mia erba incolta, ricca sciarpa della mia fiera terra; perché la tua sovrana mi ha convocata qui, su questo prato dall’erba rasata? IRIDE
Per celebrare un contratto di vero amore; e per consegnare un generoso retaggio ai fortunati amanti. CERERE
Dimmi, arco celeste, se Venere o suo figlio, come tu sai, servono ora la regina. Da quando essi hanno tramato il complotto con cui l’oscuro Dite62 rapì mia figlia, ho rinunciato alla compagnia di lei e del suo malfamato, cieco rampollo. IRIDE
Non temere la sua compagnia; ho incontrato quella dea che attraversava le nuvole diretta a Pafo63, e aveva seco suo figlio, trainato da colombe. Qui pensavano di avere gettato un lascivo incantesimo su quest’uomo e questa fanciulla, che hanno giurato di non pagare debiti di letto finché non sarà accesa la torcia di Imene; però invano il bollente favorito di Marte è ritornato: il suo figliolo dal capo di vespa ha spezzato le sue frecce, giura di non scoccarne più, ma di giocare coi passerotti64 e comportarsi come un bambino.
1903
Shakespeare IV.indb 1903
30/11/2018 09:34:01
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
[Music. Juno descends to the stage] Highest queen of state, Great Juno, comes; I know her by her gait.
CERES JUNO
How does my bounteous sister? Go with me To bless this twain, that they may prosperous be, And honoured in their issue.
105
[Ceres joins Juno, and] they sing JUNO
[CERES]
Honour, riches, marriage-blessing, Long continuance and increasing, Hourly joys be still upon you! Juno sings her blessings on you. Earth’s increase, and foison plenty, Barns and garners never empty, Vines with clust’ring bunches growing, Plants with goodly burden bowing; Spring come to you at the farthest, In the very end of harvest. Scarcity and want shall shun you, Ceres’ blessing so is on you.
110
115
FERDINAND
This is a most majestic vision, and Harmonious charmingly. May I be bold To think these spirits? PROSPERO Spirits, which by mine art I have from their confines called to enact My present fancies. FERDINAND Let me live here ever! So rare a wondered father and a wise Makes this place paradise.
120
Juno and Ceres whisper, and send Iris on employment
1904
Shakespeare IV.indb 1904
30/11/2018 09:34:01
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
[Musica. Giunone scende sul palco] CERERE
Alta e solenne regina, arriva la grande Giunone; riconosco il suo incedere. GIUNONE65
Come sta la mia munifica sorella? Vieni con me a benedire questa coppia, che siano prosperi e onorati nella loro progenie. [Cerere si unisce a Giunone, e cantano] GIUNONE
Onore, ricchezze, felicità nuziale, Lunga continuazione, e prole, Gioie continue siano sempre su di voi! Giunone vi canta le sue benedizioni. CERERE
I frutti della terra, abbondanza di armenti, Fienili e granai mai vuoti; Vigne con crescita di fitti grappoli; Piante curve sotto il buon peso; La primavera giunga per voi Non appena terminato il raccolto! Penuria e carestia vi eviteranno; La benedizione di Cerere è su di voi. FERDINANDO
Che visione maestosa, e che armonioso incanto. Posso pensare che questi siano spiriti? PROSPERO
Spiriti che con la mia arte ho chiamato dai loro regni a realizzare le mie attuali fantasie. FERDINANDO
Voglio vivere qui per sempre; un padre così portentoso e così saggio fa di questo luogo un paradiso. Giunone e Cerere sussurrano, e mandano Iride con un incarico
1905
Shakespeare IV.indb 1905
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
Sweet now, silence. Juno and Ceres whisper seriously. There’s something else to do. Hush, and be mute, Or else our spell is marred.
PROSPERO
125
IRIS
You nymphs called naiads of the wind’ring brooks, With your sedged crowns and ever-harmless looks, Leave your crisp channels, and on this green land Answer your summons; Juno does command. Come, temperate nymphs, and help to celebrate A contract of true love. Be not too late.
130
Enter certain nymphs You sunburned sicklemen, of August weary, Come hither from the furrow and be merry; Make holiday, your rye-straw hats put on, And these fresh nymphs encounter every one In country footing.
135
Enter certain reapers, properly habited. They join with the nymphs in a graceful dance; towards the end whereof Prospero starts suddenly, and speaks PROSPERO (aside)
I had forgot that foul conspiracy Of the beast Caliban and his confederates Against my life. The minute of their plot Is almost come. (To the spirits) Well done! Avoid; no more!
140
To a strange, hollow, and confused noise, the spirits in the pageant heavily vanish. [Ferdinand and Miranda rise] FERDINAND (to Miranda)
This is strange. Your father’s in some passion That works him strongly. MIRANDA Never till this day Saw I him touched with anger so distempered.
145
1906
Shakespeare IV.indb 1906
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
PROSPERO
Mia cara, taci adesso! Giunone e Cerere stanno sussurrando serie. C’è ancora qualcosa da fare. Silenzio e taci, altrimenti il nostro incantesimo si guasta. IRIDE
Voi Ninfe chiamate Naiadi dei tortuosi ruscelli, con le vostre corone di alghe e il vostro aspetto eternamente innocuo lasciate le vostre acque increspate, e su questa verde terra obbedite al richiamo; Giunone comanda: venite, temperate ninfe, e aiutate a celebrare un contratto di vero amore; non tardate. Entrano alcune ninfe Voi abbronzati falciatori, stanchi dell’agosto, venite qui dal solco, e siate allegri; fate festa; mettetevi i cappelli di paglia, e incontrate queste fresche ninfe, ciascuno di voi, in balli campestri. Entrano alcuni mietitori abbigliati adeguatamente. Si uniscono alle ninfe in una danza graziosa, verso la fine della quale Prospero si alza di colpo, e parla PROSPERO (a parte)
Avevo dimenticato lo sconcio complotto contro la mia vita del bestiale Caliban e dei suoi accoliti; il momento del loro progetto è quasi venuto. [Agli spiriti] Bravi! Basta; potete smettere. Con un rumore strano, cavo e confuso, gli spiriti della rappresentazione svaniscono pesantemente. [Ferdinando e Miranda si alzano in piedi] FERDINANDO (a Miranda)
È strano; vostro padre sembra in preda a una forte alterazione. MIRANDA
Mai prima d’oggi lo avevo visto sfiorato dalla collera, né così agitato.
1907
Shakespeare IV.indb 1907
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
PROSPERO
You do look, my son, in a moved sort, As if you were dismayed. Be cheerful, sir. Our revels now are ended. These our actors, As I foretold you, were all spirits, and Are melted into air, into thin air; And like the baseless fabric of this vision, The cloud-capped towers, the gorgeous palaces, The solemn temples, the great globe itself, Yea, all which it inherit, shall dissolve; And, like this insubstantial pageant faded, Leave not a rack behind. We are such stuff As dreams are made on, and our little life Is rounded with a sleep. Sir, I am vexed. Bear with my weakness. My old brain is troubled. Be not disturbed with my infirmity. If you be pleased, retire into my cell, And there repose. A turn or two I’ll walk To still my beating mind. FERDINAND and MIRANDA We wish your peace.
150
155
160
Exeunt Ferdinand and Miranda PROSPERO
Come with a thought! I thank thee, Ariel. Come! Enter Ariel ARIEL
Thy thoughts I cleave to. What’s thy pleasure? Spirit, We must prepare to meet with Caliban.
PROSPERO
166
ARIEL
Ay, my commander. When I presented Ceres I thought to have told thee of it, but I feared Lest I might anger thee. PROSPERO
Say again: where didst thou leave these varlets?
170
1908
Shakespeare IV.indb 1908
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
PROSPERO
Tu mi guardi, figliolo, commosso, come se fossi esterrefatto: rallegrati, signor mio. I nostri festeggiamenti ora sono finiti. Questi nostri attori, come ti avevo detto prima, erano tutti spiriti, e si sono dissolti nell’aria, nell’aria pura; e così pure l’infondata costruzione di questa visione, le torri sormontate da nubi, gli splendidi palazzi, i templi solenni, il grande globo stesso, sì, tutto quello che essa occupa, si dissolverà; e come questo spettacolo privo di sostanza sarà svanito, non ne resterà traccia. Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è circondata dal sonno. Signore, sono stanco; sopportate la mia debolezza; il mio vecchio cervello è oberato: non ve la prendete con la mia infermità; compiacetevi di ritirarvi nella mia grotta, e colà riposate; io faccio due passi per calmare l’agitazione del mio animo. FERDINANDO e MIRANDA State in pace. Escono Ferdinando e Miranda PROSPERO
Vieni rapido come il pensiero! Ti ringrazio, Ariel. Vieni! Entra Ariel ARIEL
Aderisco ai tuoi pensieri. Qual è il tuo piacere? PROSPERO
Spirito, dobbiamo prepararci a incontrare Caliban. ARIEL
Sì, mio comandante. Quando ho rappresentato66 Cerere volevo parlartene, ma temevo di poterti irritare. PROSPERO
Dimmi un’altra volta, dove hai lasciato quei farabutti?
1909
Shakespeare IV.indb 1909
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
ARIEL
I told you, sir, they were red-hot with drinking; So full of valour that they smote the air For breathing in their faces, beat the ground For kissing of their feet; yet always bending Towards their project. Then I beat my tabor, At which like unbacked colts they pricked their ears, Advanced their eyelids, lifted up their noses As they smelt music. So I charmed their ears That calf-like they my lowing followed, through Toothed briars, sharp furzes, pricking gorse, and thorns, Which entered their frail shins. At last I left them I’th’ filthy-mantled pool beyond your cell, There dancing up to th’ chins, that the foul lake O’er-stunk their feet. PROSPERO This was well done, my bird. Thy shape invisible retain thou still. The trumpery in my house, go bring it hither For stale to catch these thieves. ARIEL I go, I go. Exit
175
180
185
PROSPERO
A devil, a born devil, on whose nature Nurture can never stick; on whom my pains, Humanely taken, all, all lost, quite lost, And, as with age his body uglier grows, So his mind cankers. I will plague them all, Even to roaring.
190
Enter Ariel, laden with glistening apparel, etc. Come, hang them on this lime. Ariel hangs up the apparel. [Exeunt Prospero and Ariel] Enter Caliban, Stefano, and Trinculo, all wet CALIBAN
Pray you, tread softly, that the blind mole may Not hear a foot fall. We now are near his cell.
195
1910
Shakespeare IV.indb 1910
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
ARIEL
Vi dissi, signore, che erano congestionati dal bere; così pieni di smargiassate che infilzavano l’aria perché gli soffiava in faccia; che picchiavano il terreno perché gli baciasse i piedi; ma sempre tutti tesi al loro progetto. Allora ho suonato il mio tamburello; e quelli come puledri selvaggi hanno teso le orecchie, alzato le palpebre, sollevato i nasi come fiutando la musica. Così gli ho incantato le orecchie, in tal modo che come vitelli hanno seguito i miei muggiti, per rovi dentati, ginestre taglienti, saggina pungente e spine che gli entravano nei fragili stinchi. Alla fine li ho lasciati in quello stagno dalla sudicia schiuma accanto alla vostra grotta, che ballavano con l’acqua fino al mento, sporca da puzzare più dei loro piedi. PROSPERO
Ben fatto, uccellino mio. Conserva ancora la tua invisibilità. Prendi in casa mia la roba del teatro e portala qui come trappola per catturare questi ladri. ARIEL
Vado, vado. Esce PROSPERO
Un diavolo, un diavolo nato, sulla cui natura l’istruzione non potrà mai imporsi; su cui i miei sforzi intrapresi umanamente sono andati perduti tutti, completamente. E così come con gli anni il suo corpo si fa più brutto, la sua mente marcisce. Li perseguiterò tutti fino a farli ululare67. Entra Ariel carico di abiti luccicanti, ecc. Ecco, appendili a questo tiglio68. Ariel appende gli abiti. [Prospero e Ariel escono] Entrano Caliban, Stefano e Trinculo, tutti bagnati CALIBAN
Mi raccomando, camminate piano, che quella talpa cieca non senta un passo; ora siamo vicini alla sua grotta.
1911
Shakespeare IV.indb 1911
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
STEFANO Monster, your fairy, which you say is a harmless
fairy, has done little better than played the Jack with us. TRINCULO Monster, I do smell all horse-piss, at which my nose is in great indignation. STEFANO So is mine. Do you hear, monster? If I should take a displeasure against you, look you — TRINCULO Thou wert but a lost monster.
200
CALIBAN
Good my lord, give me thy favour still. Be patient, for the prize I’ll bring thee to Shall hoodwink this mischance. Therefore speak softly. All’s hushed as midnight yet. TRINCULO Ay, but to lose our bottles in the pool! STEFANO There is not only disgrace and dishonour in that, monster, but an infinite loss. TRINCULO That’s more to me than my wetting. Yet this is your harmless fairy, monster. STEFANO I will fetch off my bottle, though I be o’er ears for my labour.
205
210
CALIBAN
Prithee, my king, be quiet. Seest thou here; This is the mouth o’th’ cell. No noise, and enter. Do that good mischief which may make this island Thine own for ever, and I thy Caliban For aye thy foot-licker. STEFANO Give me thy hand. I do begin to have bloody thoughts. TRINCULO (seeing the apparel) O King Stefano, O peer! O worthy Stefano, look what a wardrobe here is for thee!
215
220
1912
Shakespeare IV.indb 1912
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
STEFANO
Mostro, la tua fata, che secondo te è una fata innocua, finora non ci ha fatto un baffo69. TRINCULO
Mostro, io sento puzzo di piscio di cavallo, cosa che offende assai il mio naso. STEFANO
Anche il mio. Hai sentito, mostro? Se mi irritassi con te, bada bene… TRINCULO
Saresti un mostro spacciato. CALIBAN
Mio buon signore, non togliermi ancora i tuoi favori. Abbi pazienza, poiché il beneficio cui ti condurrò annienterà questo contrattempo; perciò parla piano, tutto è calmo come a mezzanotte. TRINCULO
Sì, ma perdere le nostre bottiglie in quello stagno… STEFANO
Non è stata solo una vergogna e un disonore, mostro, ma anche una perdita incommensurabile. TRINCULO
Per me è stato molto peggio del bagno. E mi parli di una fatina innocua, mostro! STEFANO
Io vado a cercare di ripescare la mia bottiglia, a costo di andare tutto sott’acqua. CALIBAN
Ti prego, mio re, calmati. Guarda qua. Questo è l’ingresso della grotta: non fare rumore, ed entra. Compi quel buon delitto che potrà far tua quest’isola per sempre, e me, il tuo Calibrano, per sempre il tuo leccapiedi. STEFANO
Qua la mano: mi stanno venendo pensieri cruenti. TRINCULO (vedendo gli abiti70)
Oh re Stefano!71 Oh mio pari! Oh degno Stefano! Guarda un po’ che guardaroba c’è qui per te!
1913
Shakespeare IV.indb 1913
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 4 SCENE 1
CALIBAN
Let it alone, thou fool, it is but trash. TRINCULO (putting on a gown) O ho, monster, we know
what belongs to a frippery! O King Stefano!
225
STEFANO Put off that gown, Trinculo. By this hand, I’ll
have that gown. TRINCULO Thy grace shall have it. CALIBAN
The dropsy drown this fool! What do you mean To dote thus on such luggage? Let’t alone, ab And do the murder first. If he awake, From toe to crown he’ll fill our skins with pinches, Make us strange stuff. STEFANO Be you quiet, monster. — Mistress lime, is not this my jerkin? Now is the jerkin under the line. Now, jerkin, you are like to lose your hair and prove a bald jerkin.
230
Stefano and Trinculo take garments TRINCULO Do, do! We steal by line and level, an’t like
your grace.
239
STEFANO I thank thee for that jest. Here’s a garment for’t.
Wit shall not go unrewarded while I am king of this country. ‘Steal by line and level’ is an excellent pass of pate. There’s another garment for’t. TRINCULO Monster, come, put some lime upon your fingers, and away with the rest.
245
CALIBAN
I will have none on’t. We shall lose our time, And all be turned to barnacles, or to apes With foreheads villainous low. STEFANO Monster, lay to your fingers. Help to bear this away where my hogshead of wine is, or I’ll turn you out of my kingdom. Go to, carry this.
251
230. Let’t alone (let it alone): emend. settecentesco; in F let’s alone. 1914
Shakespeare IV.indb 1914
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO IV SCENA 1
CALIBAN
Lascialo stare, sciocco, è solo robaccia. TRINCULO (indossando una veste)
Oh, oh, mostro! Noi sappiamo distinguere gli stracci. Oh! Re Stefano! STEFANO
Togliti quella veste, Trinculo; com’è vera questa mano, la veste la voglio io. TRINCULO
L’avrà la tua maestà. CALIBAN
Che gli venga un accidente, a questo sciocco! Che senso ha, incantarsi così su robaccia simile? Lascia perdere, prima compi l’omicidio. Se quello lì è sveglio, ci riempie di pizzichi tutta la pelle, dalla testa ai piedi, ci fa delle cose strane. STEFANO
Stai buono, mostro. Signor albero, non è la mia casacca questa? Adesso la casacca è sotto la corda. Cara casacca, ora perderai il pelo e diventerai calva72. Stefano e Trinculo prendono degli indumenti TRINCULO
Forza; rubiamo a regola di capestro, se piace a vostra grazia. STEFANO
Bella battuta, grazie. Ecco, ti do in cambio un indumento; lo spirito sarà sempre compensato, fi nché sarò re di questa terra. “Rubare a regola di capestro”, ottima facezia73. Eccoti un altro indumento. TRINCULO
Mostro, vieni qua, sporcati un po’ le mani anche tu. Facciamo fuori tutto il resto. CALIBAN
No, io non ci voglio avere a che fare. Perdiamo tempo, finiremo trasformati in oche o scimmie dalla brutta fronte bassa. STEFANO
Mostro, datti da fare; aiutami a portar via questo fino a dov’è la mia botte, o ti scaccio dal mio regno. Forza, porta questo. 1915
Shakespeare IV.indb 1915
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
TRINCULO And this. STEFANO Ay, and this.
They load Caliban with apparel. A noise of hunters heard. Enter divers spirits in shape of dogs and hounds, hunting them about; Prospero and Ariel setting them on PROSPERO
Hey, Mountain, hey! Silver! There it goes, Silver!
ARIEL
PROSPERO
Fury, Fury! There, Tyrant, there! Hark, hark!
255
Exeunt Stefano, Trinculo, and Caliban, pursued by spirits (To Ariel) Go, charge my goblins that they grind their joints With dry convulsions, shorten up their sinews With agèd cramps, and more pinch-spotted make them Than pard or cat o’mountain. Cries within Hark, they roar!
ARIEL PROSPERO
Let them be hunted soundly. At this hour Lies at my mercy all mine enemies. Shortly shall all my labours end, and thou Shalt have the air at freedom. For a little, Follow, and do me service. 5.1
260
Exeunt
Enter Prospero, in his magic robes, and Ariel
PROSPERO
Now does my project gather to a head. My charms crack not, my spirits obey, and time Goes upright with his carriage. How’s the day?
1916
Shakespeare IV.indb 1916
30/11/2018 09:34:02
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
TRINCULO
E questo. STEFANO
Sì, e questo. Caricano Caliban di indumenti. Si sente un rumore di cacciatori. Entrano diversi spiriti in forma di segugi, e danno loro la caccia; Prospero e Ariel li aizzano PROSPERO
Ehi, ehi, Montagna! ARIEL
Silver! Dai, addosso, Silver! PROSPERO
Furia, Furia, prendilo! Sotto, Tiranno! Senti, senti! Escono Stefano, Trinculo e Caliban inseguiti dagli spiriti (A Ariel) Ordina ai miei folletti di fargli cigolare gli arti con secche convulsioni; di accorciargli le membra con crampi senili; e li maculino di punture più che leopardi o gatti selvatici. Grida da dentro ARIEL
Senti come strillano! PROSPERO
Che li inseguano come si deve. A questo punto tutti i miei nemici sono in mio potere; tra breve termineranno tutte le mie fatiche, e tu avrai tutta l’aria che vorrai. Ancora per un poco seguimi, e fammi dei servizi. Escono V, 1
Entrano Prospero con la sua veste magica, e Ariel
PROSPERO
Ora il mio piano comincia a compiersi! I miei incantesimi non si incrinano; i miei spiriti mi obbediscono; e il fardello del tempo è sempre più lieve. Che ora è adesso? 1917
Shakespeare IV.indb 1917
30/11/2018 09:34:02
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
ARIEL
On the sixth hour; at which time, my lord, You said our work should cease. PROSPERO I did say so When first I raised the tempest. Say, my spirit, How fares the King and’s followers? ARIEL Confined together In the same fashion as you gave in charge, Just as you left them; all prisoners, sir, In the lime-grove which weather-fends your cell. They cannot budge till your release. The King, His brother, and yours, abide all three distracted, And the remainder mourning over them, Brimful of sorrow and dismay; but chiefly Him that you termed, sir, the good old lord Gonzalo: His tears run down his beard like winter’s drops From eaves of reeds. Your charm so strongly works ’em That if you now beheld them your affections Would become tender. PROSPERO Dost thou think so, spirit?
5
10
16
ARIEL
Mine would, sir, were I human. And mine shall. Hast thou, which art but air, a touch, a feeling Of their afflictions, and shall not myself, One of their kind, that relish all as sharply Passion as they, be kindlier moved than thou art? Though with their high wrongs I am struck to th’ quick, Yet with my nobler reason ’gainst my fury Do I take part. The rarer action is In virtue than in vengeance. They being penitent, The sole drift of my purpose doth extend Not a frown further. Go release them, Ariel. My charms I’ll break, their senses I’ll restore, And they shall be themselves. ARIEL I’ll fetch them, sir.
20
PROSPERO
25
30
Exit
1918
Shakespeare IV.indb 1918
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
ARIEL
La sesta ora; è quando, mio signore, avete detto che la nostra opera sarebbe cessata74. PROSPERO
Così ho detto, quando ho suscitato la tempesta. Di’, mio spirito, come stanno il re e i suoi seguaci? ARIEL
Confinati insieme così come avete ordinato voi, proprio come li avete lasciati; tutti prigionieri, signore, nel boschetto di tigli che protegge la vostra grotta; non potranno muoversi finché non li libererete. Il re, suo fratello e il vostro, sono lì tutti e tre sconvolti, e gli altri li vegliano dolorosamente, pieni di ansia e sconforto; ma soprattutto colui che voi, signore, avete chiamato “il buon vecchio signor Gonzalo”, ha le lacrime che gli scendono per la barba come l’inverno la pioggia dalle grondaie di canna. Il vostro incantesimo li domina con tale forza che se ora li vedeste vi farebbero compassione. PROSPERO
Questo credi, spirito? ARIEL
Così sarebbe per me, se fossi umano. PROSPERO
E sarà anche per me. Tu che sei solo aria avverti qualcosa delle loro afflizioni; e allora io che sono della loro razza, che condivido con la stessa forza tutte le loro passioni, non dovrò essere ancora più umano di te? Anche se sono stato ferito fino al midollo dai grandi torti che mi hanno inflitto, tuttavia con la mia ragione più nobile mi schiero contro il mio stesso furore; è più pregevole agire nella virtù che nella vendetta; ed essendo loro pentiti, l’ambito della mia intenzione non si estenderà di un solo cipiglio. Va’ a liberarli, Ariel: romperò i miei incantesimi, restituirò loro la ragione, e saranno di nuovo se stessi. ARIEL
Li cerco subito, signore. Esce
1919
Shakespeare IV.indb 1919
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
[Prospero draws a circle with his staff] PROSPERO
Ye elves of hills, brooks, standing lakes and groves, And ye that on the sands with printless foot Do chase the ebbing Neptune, and do fly him When he comes back; you demi-puppets that By moonshine do the green sour ringlets make Whereof the ewe not bites; and you whose pastime Is to make midnight mushrooms, that rejoice To hear the solemn curfew; by whose aid, Weak masters though ye be, I have bedimmed The noontide sun, called forth the mutinous winds, And ’twixt the green sea and the azured vault Set roaring war — to the dread rattling thunder Have I given fire, and rifted Jove’s stout oak With his own bolt; the strong-based promontory Have I made shake, and by the spurs plucked up The pine and cedar; graves at my command Have waked their sleepers, oped, and let ’em forth By my so potent art. But this rough magic I here abjure. And when I have required Some heavenly music — which even now I do — To work mine end upon their senses that This airy charm is for, I’ll break my staff, Bury it certain fathoms in the earth, And deeper than did ever plummet sound I’ll drown my book.
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Solemn music. Here enters first Ariel, invisible; then Alonso, with a frantic gesture, attended by Gonzalo; Sebastian and Antonio, in like manner, attended by Adrian and Francisco. They all enter the circle which Prospero had made, and there stand charmed; which Prospero observing, speaks (To Alonso) A solemn air, and the best comforter To an unsettled fancy, cure thy brains,
1920
Shakespeare IV.indb 1920
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
[Prospero traccia un cerchio con la sua verga] PROSPERO
E voi elfi dei colli, dei ruscelli, degli immobili laghi e dei boschi; e voi che sulle sabbie con piede che non lascia impronta inseguite Nettuno al suo riflusso, e poi quando ritorna gli sfuggite; voi quasi fantocci che sotto la luna intrecciate riccioli d’erba amara, che la capretta non mangia; e voi il cui sollazzo è far funghi di mezzanotte, voi che gioite ascoltando il solenne coprifuoco; voi col cui aiuto – per quanto deboli artigiani voi siate – io ho velato il sole del mezzogiorno, ho convocato i venti ribelli, e tra il verde mare e la cerulea volta ho scatenato i ruggiti della guerra; al grande tuono rimbombante ho dato il fuoco, e ho spaccato la robusta quercia di Giove col fulmine del dio; il solido promontorio ho fatto tremare, e per le radici ho divelto il pino e il cedro; tombe al mio comando hanno destato i loro dormienti, si sono aperte e li hanno fatti uscire, grazie alla mia arte così potente. Ma a questa rozza magia io qui abiuro; e quando avrò chiesto un po’ di musica celeste, come faccio adesso, per operare il mio scopo sui loro sensi, secondo le intenzioni di questo aereo incantesimo, io spezzerò la mia verga, la seppellirò a molte tese sottoterra, e più a fondo di quanto mai scandaglio sia pervenuto annegherò il mio libro. Musica solenne. Qui entra prima Ariel, invisibile; poi Alonso, gesticolando come pazzo, assistito da Gonzalo; Sebastiano e Antonio allo stesso modo, assistiti da Adriano e Francisco. Tutti entrano nel cerchio tracciato da Prospero e vi si fermano incantati. Guardando questo, Prospero parla (A Alonso) Una musica solenne, miglior medicina per un intelletto sconvolto, ti curi l’inutile cervello che hai ora, bollito nel
1921
Shakespeare IV.indb 1921
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
Now useless, boiled within thy skull. ac (To Sebastian and Antonio) There stand, For you are spell-stopped. — Holy Gonzalo, honourable man, Mine eyes, ev’n sociable to the show of thine, Fall fellowly drops. (Aside) The charm dissolves apace, And as the morning steals upon the night, Melting the darkness, so their rising senses Begin to chase the ignorant fumes that mantle Their clearer reason. — O good Gonzalo, My true preserver, and a loyal sir To him thou follow’st, I will pay thy graces Home both in word and deed. — Most cruelly Didst thou, Alonso, use me and my daughter. ad Thy brother was a furtherer in the act. — Thou art pinched for’t now, Sebastian. (To Antonio) Flesh and blood, You, brother mine, that entertained ambition, Expelled remorse and nature, whom, with Sebastian — Whose inward pinches therefore are most strong, — Would here have killed your king, I do forgive thee, Unnatural though thou art. (Aside) Their understanding Begins to swell, and the approaching tide Will shortly fill the reasonable shores That now lie foul and muddy. Not one of them That yet looks on me, or would know me. — Ariel, Fetch me the hat and rapier in my cell. I will disease me, and myself present As I was sometime Milan. Quickly, spirit! Thou shalt ere long be free.
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Ariel sings and helps to attire him as Duke of Milan ARIEL
Where the bee sucks, there suck I: In a cowslip’s bell I lie;
60. Boild: emend. settecentesco; in F boile. 72. Didst: in F Did. 1922
Shakespeare IV.indb 1922
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
cranio! (A Sebastiano e Antonio) Fermatevi lì, l’incantesimo vi paralizza. Santo Gonzalo, uomo onorevole, i miei occhi, che sempre hanno gradito vederti, fanno piovere gocce in sintonia con le tue. (A parte) Ma ecco che l’incantesimo si scioglie; e come la mattina sopraggiunge furtiva sulla notte dissolvendo le tenebre, così i sensi ridesti di costoro cominciano a scacciare i fumi di ignoranza che ammantano il loro più chiaro raziocinio. O buon Gonzalo, mio sincero difensore, e leale suddito di colui che segui! Ricompenserò i tuoi meriti con le parole e coi fatti. Assai crudelmente tu, Alonso, trattasti me e mia figlia: tuo fratello fu complice in questa azione. Tu per questo ora sei punito, Sebastiano. (A Antonio) E tu, mia carne e sangue, tu, mio fratello, che hai nutrito l’ambizione, hai scacciato rimorso e natura; tu che, con Sebastiano – i cui tormenti interiori pertanto sono ancora più forti – avresti qui ucciso il tuo re; io ti perdono, per quanto snaturato tu sia. (A parte) Ecco, ricominciano a connettere; ben presto la marea che si avvicina colmerà la sponda della ragione, che adesso è sporca e fangosa. Non uno di costoro è ancora in grado di guardarmi o riconoscermi. Ariel, portami il cappello e la spada che sono nella mia grotta. Mi svestirò e mi presenterò com’ero una volta, duca di Milano. Presto, spirito; sarai libero tra non molto. Ariel canta e lo aiuta a abbigliarsi da duca di Milano ARIEL
Dove succhia l’ape, lì succhio anch’io; Nella corolla di una primula mi stendo
1923
Shakespeare IV.indb 1923
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
There I couch when owls do cry. On the bat’s back I do fly After summer merrily. Merrily, merrily shall I live now Under the blossom that hangs on the bough. Merrily, merrily shall I live now Under the blossom that hangs on the bough.
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PROSPERO
Why, that’s my dainty Ariel! I shall miss thee, But yet thou shalt have freedom. — So, so, so. — To the King’s ship, invisible as thou art! There shalt thou find the mariners asleep Under the hatches. The Master and the Boatswain Being awake, enforce them to this place, And presently, I prithee.
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ARIEL
I drink the air before me, and return Or ere your pulse twice beat.
Exit
GONZALO
All torment, trouble, wonder, and amazement Inhabits here. Some heavenly power guide us Out of this fearful country! PROSPERO Behold, sir King, The wrongèd Duke of Milan, Prospero. For more assurance that a living prince Does now speak to thee, I embrace thy body; And to thee and thy company I bid A hearty welcome.
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He embraces Alonso Whe’er thou beest he or no, Or some enchanted trifle to abuse me, As late I have been, I not know. Thy pulse Beats as of flesh and blood; and since I saw thee Th’affliction of my mind amends, with which I fear a madness held me. This must crave — An if this be at all — a most strange story.
ALONSO
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1924
Shakespeare IV.indb 1924
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
E lì dormo quando il gufo grida. In groppa al pipistrello io volo Allegramente dopo l’estate. Allegramente, allegramente vivrò adesso Sotto il fiore che pende dal ramo. PROSPERO
Ecco il mio squisito Ariel! Mi mancherai; ma avrai la tua libertà. Presto, presto, presto. Alla nave del re, invisibile come sei; lì troverai i marinai addormentati sotto i boccaporti. Il capitano e il nostromo, che saranno svegli, costringili a venire qui, e subito, ti prego. ARIEL
Bevo l’aria che ho davanti, e tornerò prima che il tuo polso batta due volte. Esce GONZALO
Qui abitano ogni tormento e ogni guaio, ogni meraviglia e ogni stupore; che una forza celeste ci guidi fuori da questo paese pauroso! PROSPERO
Guarda, signor re, Prospero, il tradito duca di Milano. Per provarti meglio che chi ti parla è un principe vivo, abbraccio il tuo corpo; e a te e al tuo seguito porgo un cordiale benvenuto. Abbraccia Alonso ALONSO
Che tu sia costui o che non lo sia, o che tu sia un’apparizione incantata per ingannarmi, come ultimamente sono stato ingannato, lo ignoro. Il tuo cuore batte, come se fosse di carne e di sangue; e da quando ti vedo si attenua il disturbo della mia mente, che mi occupava, temo, con la follia. Sotto tutto questo – seppure tutto questo esiste davvero – deve nascondersi una storia assai strana. Al
1925
Shakespeare IV.indb 1925
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
Thy dukedom I resign, and do entreat Thou pardon me my wrongs. But how should Prospero Be living and be here? PROSPERO (to Gonzalo) First, noble friend, Let me embrace thine age, whose honour cannot Be measured or confined.
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He embraces Gonzalo Whether this be Or be not, I’ll not swear. PROSPERO You do yet taste Some subtleties o’th’ isle that will not let you Believe things certain. — Welcome, my friends all. GONZALO
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(Aside to Sebastian and Antonio) But you, my brace of lords, were I so minded, I here could pluck his highness’ frown upon you And justify you traitors. At this time I will tell no tales. SEBASTIAN (to Antonio) The devil speaks in him. PROSPERO No. (To Antonio) For you, most wicked sir, whom to call brother Would even infect my mouth, I do forgive Thy rankest fault, all of them, and require My dukedom of thee, which perforce I know Thou must restore. ALONSO If thou beest Prospero, Give us particulars of thy preservation, How thou hast met us here, whom three hours since Were wrecked upon this shore, where I have lost — How sharp the point of this remembrance is! — My dear son Ferdinand. PROSPERO I am woe for’t, sir.
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ALONSO
Irreparable is the loss, and patience Says it is past her cure. 1926
Shakespeare IV.indb 1926
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
ducato io rinuncio, e ti prego di perdonarmi i miei torti. – Ma come può Prospero essere vivo, e trovarsi qui? PROSPERO (a Gonzalo) Prima, nobile amico, lascia che abbracci la tua età veneranda, il cui onore non può essere misurato né limitato. Abbraccia Gonzalo GONZALO
Non posso giurare che tutto questo sia vero, e nemmeno il contrario. PROSPERO
Tu subisci ancora certe prerogative dell’isola, che non ti consentono di credere le cose con certezza. Siate tutti i benvenuti, amici! (A parte a Sebastiano e Antonio) Ma voi due, coppia di signori, se ne avessi voglia potrei strapparvi quel cipiglio dal volto e denunciarvi come traditori. Per il momento non racconterò nulla. SEBASTIANO (a Antonio) Il diavolo parla attraverso di lui. PROSPERO
No. (A Antonio) A te, perfido signore, che chiamare fratello mi inquinerebbe la bocca, io perdono il delitto più sconcio, – li perdono tutti; ed esigo da te il mio ducato, che per forza, lo so, devi restituire. ALONSO
Se tu sei Prospero, dacci delle spiegazioni sulla tua salvezza; come hai fatto a incontrarci qui, naufraghi da tre ore su questa sponda; dove ho perso – com’è aguzza la punta del ricordo! – il mio amato figlio Ferdinando. PROSPERO
Me ne addoloro, sire. ALONSO
Irreparabile è la perdita; e la pazienza non riesce a imporsi come cura.
1927
Shakespeare IV.indb 1927
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
I rather think You have not sought her help, of whose soft grace For the like loss I have her sovereign aid, And rest myself content. ALONSO You the like loss? PROSPERO
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PROSPERO
As great to me as late; and supportable To make the dear loss have I means much weaker Than you may call to comfort you, for I Have lost my daughter. ALONSO A daughter? O heavens, that they were living both in Naples, The king and queen there! That they were, I wish Myself were mudded in that oozy bed Where my son lies. When did you lose your daughter?
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PROSPERO
In this last tempest. I perceive these lords At this encounter do so much admire That they devour their reason, and scarce think Their eyes do offices of truth, these words ae Are natural breath. But howsoe’er you have Been jostled from your senses, know for certain That I am Prospero, and that very Duke Which was thrust forth of Milan, who most strangely, Upon this shore where you were wrecked, was landed To be the lord on’t. No more yet of this, For ’tis a chronicle of day by day, Not a relation for a breakfast, nor Befitting this first meeting. Welcome, sir. This cell’s my court. Here have I few attendants, And subjects none abroad. Pray you, look in. My dukedom since you have given me again, I will requite you with as good a thing; At least bring forth a wonder to content ye As much as me my dukedom.
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158. Truth: emend. settecentesco; in F their. 1928
Shakespeare IV.indb 1928
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
PROSPERO
Io penso piuttosto che non abbiate chiesto il suo aiuto. Io da lei per una perdita analoga ho ricevuto aiuto sovrano, e sto contento. ALONSO
Una perdita analoga la vostra! PROSPERO
Per me altrettanto grande, e altrettanto recente; e per rendere sopportabile quella cara perdita, ho mezzi molto più deboli di quelli che voi potete chiamare per consolarvi. Poiché io ho perso mia figlia. ALONSO
Una figlia? Oh cielo, potessero essere entrambi vivi a Napoli, re e regina colà! Se lo fossero, in cambio accetterei di essere sepolto in quel letto fangoso dove mio figlio giace. Quando avete perso vostra figlia? PROSPERO
In quest’ultima tempesta. Ma vedo che questi signori sono così meravigliati da questo incontro, da accantonare la ragione. Non credono più che i loro occhi siano al servizio di verità, né che le parole siano in rapporto con la natura. In qualunque modo siate stati separati dai vostri sensi, sappiate tuttavia per certo che io sono Prospero, quello stesso duca che fu scacciato da Milano, e che assai avventurosamente approdò a questa stessa sponda dove voi siete naufragati, per esserne il signore. Ma basta su questo; poiché è una cronaca da farsi giorno per giorno, non un rapporto per la prima colazione, né si addice a questo primo incontro. Benvenuto, sire; questa grotta è la mia corte: qui ho pochi assistenti, e fuori di qui, nessun suddito; vi prego, guardate dentro. Il mio ducato, poiché voi me lo avete restituito, ve lo ricambierò con una cosa altrettanto buona; o perlomeno, eseguirò un portento che vi soddisferà tanto quanto mi soddisfa il mio ducato.
1929
Shakespeare IV.indb 1929
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
Here Prospero discovers Ferdinand and Miranda, playing at chess MIRANDA
Sweet lord, you play me false. FERDINAND No, my dearest love,
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I would not for the world. MIRANDA
Yes, for a score of kingdoms you should wrangle, An I would call it fair play. ALONSO If this prove A vision of the island, one dear son Shall I twice lose. SEBASTIAN A most high miracle. FERDINAND (coming forward) Though the seas threaten, they are merciful. I have cursed them without cause.
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He kneels Now all the blessings Of a glad father compass thee about. Arise and say how thou cam’st here.
ALONSO
Ferdinand rises MIRANDA (coming forward)
O wonder! How many goodly creatures are there here! How beauteous mankind is! O brave new world That has such people in’t! PROSPERO ’Tis new to thee. ALONSO (to Ferdinand) What is this maid with whom thou wast at play? Your eld’st acquaintance cannot be three hours. Is she the goddess that hath severed us, And brought us thus together? FERDINAND Sir, she is mortal; But by immortal providence she’s mine. I chose her when I could not ask my father For his advice, nor thought I had one. She Is daughter to this famous Duke of Milan,
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1930
Shakespeare IV.indb 1930
30/11/2018 09:34:03
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
Qui Prospero svela Ferdinando e Miranda intenti a giocare a scacchi75 MIRANDA
Dolce signore, voi barate. FERDINANDO
No, amore mio carissimo, non lo farei per nulla al mondo. MIRANDA
Sì invece, per una ventina di regni voi barereste, e io continuerei a dire che avete giocato con lealtà. ALONSO
Se verrà fuori che questa è una delle visioni dell’isola, avrò perso mio figlio una seconda volta. SEBASTIANO
Che miracolo incredibile! FERDINANDO
Anche se minacciano, i mari sono misericordiosi; non avevo ragione di maledirli. Si inginocchia ALONSO
Che tutte le benedizioni di un padre felice ti abbraccino! Alzati, e di’ come sei arrivato qui. Ferdinando si alza MIRANDA (viene avanti)
Oh, prodigio! Quante belle creature! Com’è bella l’umanità! O meraviglioso mondo nuovo, che contieni tali creature! PROSPERO
È nuovo per te. ALONSO (a Ferdinando)
Chi è questa fanciulla con cui stavi giocando? Non puoi conoscere nessuno da più di tre ore. È forse la dea che ci aveva separati, e che adesso ci ha riuniti? FERDINANDO
Sire, ella è mortale; ma grazie all’immortale Provvidenza, è mia. L’ho scelta quando non potevo chiedere consigli a mio padre, né credevo di averne più uno. È la figlia di questo illustre duca di Mi-
1931
Shakespeare IV.indb 1931
30/11/2018 09:34:03
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
Of whom so often I have heard renown, But never saw before; of whom I have Received a second life; and second father This lady makes him to me. ALONSO I am hers. But O, how oddly will it sound, that I Must ask my child forgiveness! PROSPERO There, sir, stop. Let us not burden our remembrance with af A heaviness that’s gone. GONZALO I have inly wept, Or should have spoke ere this. Look down, you gods, And on this couple drop a blessèd crown, For it is you that have chalked forth the way Which brought us hither. ALONSO I say amen, Gonzalo.
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GONZALO
Was Milan thrust from Milan, that his issue Should become kings of Naples? O rejoice Beyond a common joy! And set it down With gold on lasting pillars: in one voyage Did Claribel her husband find at Tunis, And Ferdinand her brother found a wife Where he himself was lost; Prospero his dukedom In a poor isle; and all of us ourselves, When no man was his own. ALONSO (to Ferdinand and Miranda) Give me your hands. Let grief and sorrow still embrace his heart That doth not wish you joy. GONZALO Be it so! Amen!
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Enter Ariel, with the Master and Boatswain amazedly following O look, sir, look, sir, here is more of us! I prophesied if a gallows were on land
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202. Remembrance: in F remembrances. 1932
Shakespeare IV.indb 1932
30/11/2018 09:34:04
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
lano, del quale avevo così spesso sentito descrivere la fama, ma che mai prima avevo visto; dal quale ho ricevuto una seconda vita; e di lui questa dama fa un secondo padre per me. ALONSO
Io sono suo; ma come suona strano, che io debba chiedere perdono a mio figlio! PROSPERO
Qui, sire, fermatevi: non appesantiamo i nostri ricordi con un fardello che non c’è più. GONZALO
Io ho pianto internamente, altrimenti avrei già parlato. Guardate quaggiù, o dei, e fate cadere una corona benedetta su questa coppia! Poiché siete stati voi a tracciare col gesso il cammino che ci ha condotti in questo luogo. ALONSO
E io dico amen, Gonzalo! GONZALO
Il duca di Milano fu dunque espulso da Milano, perché i suoi nipoti diventassero re di Napoli? Oh, gioia superiore a quelle comuni! Che sia inciso in oro su colonne imperiture: in una sola traversata Claribel ha trovato marito a Tunisi, e suo fratello Ferdinando ha trovato una sposa lì dov’egli stesso si era perduto; Prospero ha ritrovato il suo ducato in una povera isola, e tutti noi abbiamo ritrovato noi stessi, quando nessuno era più padrone di sé. ALONSO (a Ferdinando e Miranda) Datemi le mani. Che il dolore e lo strazio occupino per sempre il cuore di chi non vi augura ogni felicità! GONZALO
Così sia! Amen! Entra Ariel, seguito dal Capitano e dal Nostromo trasognati Oh, guardate, sire, guardate, sire! Ecco altri di noi: io l’avevo detto, che questo gaglioffo non sarebbe annegato finché ci fossero state
1933
Shakespeare IV.indb 1933
30/11/2018 09:34:04
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
This fellow could not drown. (To the Boatswain) Now, blasphemy, That swear’st grace o’erboard: not an oath on shore? Hast thou no mouth by land? What is the news? BOATSWAIN
The best news is that we have safely found Our King and company. The next, our ship, Which but three glasses since we gave out split, Is tight and yare and bravely rigged, as when We first put out to sea. ARIEL (aside to Prospero) Sir, all this service Have I done since I went. PROSPERO (aside to Ariel) My tricksy spirit!
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ALONSO
These are not natural events; they strengthen From strange to stranger. Say, how came you hither?
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BOATSWAIN
If I did think, sir, I were well awake I’d strive to tell you. We were dead of sleep, And — how we know not — all clapped under hatches, Where but even now, with strange and several noises Of roaring, shrieking, howling, jingling chains, And more diversity of sounds, all horrible, We were awaked; straightway at liberty; Where we in all her trim freshly beheld ag Our royal, good, and gallant ship, our Master Cap’ring to eye her. On a trice, so please you, Even in a dream, were we divided from them, And were brought moping hither. ARIEL (aside to Prospero) Was’t well done? PROSPERO (aside to Ariel) Bravely, my diligence. Thou shalt be free.
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239. Her: emend. settecentesco; in F our. 1934
Shakespeare IV.indb 1934
30/11/2018 09:34:04
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
delle forche sulla terraferma. (Al Nostromo) Tu, bestemmiatore, a bordo sacramentavi e a terra neanche un moccolo? Hai perso la lingua qui sulla terra? Che racconti? NOSTROMO
La notizia migliore è che abbiamo trovato sani e salvi il nostro re e questa compagnia; la seconda, che la nostra nave – che appena tre clessidre fa credevamo affondata – è integra e pronta e bene alberata come la prima volta che l’abbiamo messa in mare. ARIEL (a parte a Prospero) Signore, tutto questo compito ho svolto mentre ero via. PROSPERO (a parte a Ariel) Mio ingegnoso spirito! ALONSO
Questi non sono avvenimenti naturali; diventano sempre più strani. Di’, come siete venuti qui? NOSTROMO
Se credessi di essere completamente sveglio, sire, mi sforzerei di dirvelo. Eravamo morti di sonno, e – non sappiamo come – tutti sotto i boccaporti; dove poco fa con rumori strani e diversi di ruggiti, stridori, ululati, catene tintinnanti e altra varietà di suoni, tutti orribili, siamo stati svegliati; e subito, ci siamo trovati liberi; e allora abbiamo ammirato, tutti rimessi a nuovo, la nostra bella nave regale; il nostro capitano ballava a questo spettacolo – e in un momento, con vostra licenza, come in un sogno, ci siamo trovati divisi da loro e benché a malincuore, portati qui. ARIEL (a parte a Prospero) Non ho fatto un bel lavoro? PROSPERO (a parte a Ariel) Bravo, sei un campione di diligenza. Sarai libero.
1935
Shakespeare IV.indb 1935
30/11/2018 09:34:04
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
ALONSO
This is as strange a maze as e’er men trod, And there is in this business more than nature Was ever conduct of. Some oracle Must rectify our knowledge. PROSPERO Sir, my liege, Do not infest your mind with beating on The strangeness of this business. At picked leisure, Which shall be shortly, single I’ll resolve you, Which to you shall seem probable, of every These happened accidents; till when be cheerful, And think of each thing well. (Aside to Ariel) Come hither, spirit. Set Caliban and his companions free. Untie the spell. Exit Ariel (To Alonso) How fares my gracious sir? There are yet missing of your company Some few odd lads that you remember not.
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Enter Ariel, driving in Caliban, Stefano, and Trinculo, in their stolen apparel STEFANO Every man shift for all the rest, and let no man
take care for himself, for all is but fortune. Coragio, bully-monster, coragio! TRINCULO If these be true spies which I wear in my head, here’s a goodly sight.
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CALIBAN
O Setebos, these be brave spirits indeed! How fine my master is! I am afraid He will chastise me.
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SEBASTIAN
Ha, ha! What things are these, my lord Antonio? Will money buy ’em? ANTONIO Very like; one of them Is a plain fish, and no doubt marketable.
1936
Shakespeare IV.indb 1936
30/11/2018 09:34:04
LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
ALONSO
È il labirinto più strano che mai uomo abbia percorso. E qui in questa faccenda c’è entrata più che la natura: un qualche oracolo deve correggere le nostre nozioni. PROSPERO
Sire, mio sovrano, non vi complicate la mente arrovellandovi sulla stranezza di questa faccenda; a vostro piacimento, non appena lo vorrete, vi spiegherò, e allora tutto vi sembrerà logico, ciascuno di questi fatti che sono accaduti. Intanto siate allegro, e pensate bene di ogni cosa. (A parte a Ariel) Vieni qui, spirito; libera Caliban e i suoi compagni, sciogli l’incantesimo. Ariel esce (A Alonso) Come sta il mio grazioso sovrano? Ci sono ancora degli assenti dalla vostra compagnia, alcuni ragazzi di cui non vi ricordate. Entra Ariel spingendo davanti a sé Caliban, Stefano e Trinculo, nelle loro vesti rubate STEFANO
Ognun per sé e Dio per tutti! Tanto è sempre solo questione di fortuna. – Coraggio, mostro taurino, coraggio! TRINCULO
Se funzionano gli occhi che ho nella testa, ecco un bello spettacolo. CALIBAN
O Setebos76, questi sì che sono dei begli spiriti! Com’è bello il mio padrone! Ho paura che mi castigherà. SEBASTIANO
Ah, ah! Che oggetti sono questi, mio signore Antonio? Sono in vendita? ANTONIO
Probabile. Uno è un semplice pesce, certo da portare al mercato.
1937
Shakespeare IV.indb 1937
30/11/2018 09:34:04
THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
PROSPERO
Mark but the badges of these men, my lords, Then say if they be true. This misshapen knave, His mother was a witch, and one so strong That could control the moon, make flows and ebbs, And deal in her command without her power. These three have robbed me, and this demi-devil, For he’s a bastard one, had plotted with them To take my life. Two of these fellows you Must know and own. This thing of darkness I Acknowledge mine. CALIBAN I shall be pinched to death.
270
275
ALONSO
Is not this Stefano, my drunken butler?
280
SEBASTIAN
He is drunk now. Where had he wine? ALONSO
And Trinculo is reeling ripe. Where should they Find this grand liquor that hath gilded ’em? (To Trinculo) How cam’st thou in this pickle? TRINCULO I have been in such a pickle since I saw you last that, I fear me, will never out of my bones. I shall not fear fly-blowing. SEBASTIAN Why, how now, Stefano? STEFANO O, touch me not! I am not Stefano, but a cramp. PROSPERO You’d be king o’the isle, sirrah? STEFANO I should have been a sore one, then. ALONSO (pointing to Caliban) This is a strange thing as e’er I looked on.
284
290 ah
PROSPERO
He is as disproportioned in his manners As in his shape. (To Caliban) Go, sirrah, to my cell. Take with you your companions. As you look To have my pardon, trim it handsomely.
295
292. A strange: così in F; as strange a in emend. settecentesco. 1938
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LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
PROSPERO
Guardate questi uomini, sotto i loro camuffamenti77. Questo furfante malfatto, sua madre era una strega; tanto forte da controllare la luna, provocare piene e maree, e tenerla in suo potere. Questi tre mi hanno derubato; e questo mezzo diavolo – perché è un bastardo – ha complottato con loro per assassinarmi. Due di questi tipi dovete conoscerli, e riconoscerli per vostri; questo oggetto oscuro io lo riconosco per mio. CALIBAN
Mi farà pizzicare a morte. ALONSO
Non è Stefano, questo, quell’ubriacone del mio maggiordomo? SEBASTIANO
È ubriaco adesso, dove ha trovato il vino? ALONSO
E Trinculo è sbronzo che non si regge in piedi; dove l’hanno trovato, tutto questo liquido miracoloso?78 (A Trinculo) Tu: come hai fatto a finire sotto spirito?79 TRINCULO
Sotto spirito ci sono dall’ultima volta che vi ho visto, ormai sono fradicio fino al midollo. Nessuna paura che le mosche mi vengano addosso. SEBASTIANO
E tu, Stefano! STEFANO
Non mi toccate… altro che Stefano, sono tutto un dolore. PROSPERO
Volevi diventare re dell’isola, manigoldo? STEFANO
Sarei stato un re malconcio. ALONSO (indica Caliban)
Non ho mai visto un oggetto più strano. PROSPERO
È spropositato nei modi come nella forma. (A Caliban) Tu fi la nella mia grotta, furfante; porta con te i tuoi compagni: e puliscila come si deve se speri di ottenere il mio perdono.
1939
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THE TEMPEST, ACT 5 SCENE 1
CALIBAN
Ay, that I will; and I’ll be wise hereafter, And seek for grace. What a thrice-double ass Was I to take this drunkard for a god, And worship this dull fool! PROSPERO Go to, away! Exit Caliban ALONSO (to Stefano and Trinculo) Hence, and bestow your luggage where you found it. SEBASTIAN Or stole it, rather.
300
Exeunt Stefano and Trinculo PROSPERO (to Alonso)
Sir, I invite your highness and your train To my poor cell, where you shall take your rest For this one night; which part of it I’ll waste With such discourse as I not doubt shall make it Go quick away: the story of my life, And the particular accidents gone by Since I came to this isle. And in the morn I’ll bring you to your ship, and so to Naples, Where I have hope to see the nuptial Of these our dear-belovèd solemnized; And thence retire me to my Milan, where Every third thought shall be my grave. ALONSO I long To hear the story of your life, which must Take the ear strangely. PROSPERO I’ll deliver all, And promise you calm seas, auspicious gales, And sail so expeditious that shall catch Your royal fleet far off. (Aside to Ariel) My Ariel, chick, That is thy charge. Then to the elements Be free, and fare thou well. Exit Ariel
305
310
315
321
1940
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LA TEMPESTA, ATTO V SCENA 1
CALIBAN
Sì, farò proprio questo; e dopo sarò saggio, e cercherò le tue buone grazie. Che asino doppio e triplo sono stato a scambiare questo ubriacone per un dio, e adorare questo imbecille! PROSPERO
Al lavoro: fila! Caliban esce ALONSO (a Stefano e Trinculo)
Via di qui, e rimettete quella roba dove l’avete trovata. SEBASTIANO
O rubata, piuttosto. Stefano e Trinculo escono PROSPERO (a Alonso)
Sire, invito la vostra altezza e il vostro seguito alla mia povera grotta, dove vi riposerete per questa notte, parte della quale io occuperò con tali discorsi quali senza dubbio la faranno passare in fretta: la storia della mia vita e gli episodi in particolare accaduti dopo il mio arrivo in quest’isola; e domattina vi condurrò alla vostra nave, e di lì a Napoli, dove spero di assistere alla celebrazione delle nozze tra questi nostri beneamati; e di lì di ritirarmi a Milano, dove ogni tre pensieri uno sarà per la mia tomba. ALONSO
Bramo di ascoltare la storia da voi; di certo avvincerà singolarmente l’orecchio. PROSPERO
Ve la conterò tutta; e vi prometto mari calmi, venti propizi, e vela così rapida, da raggiungere la vostra flotta regale in alto mare. (A parte a Ariel) Mio Ariel, piccolo mio, questo è tuo compito; e poi agli elementi, sii libero e fai buon viaggio! Ariel esce
1941
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THE TEMPEST, EPILOGUE
Please you, draw near. Exeunt [all but Prospero] ai Epilogue PROSPERO
Now my charms are all o’erthrown, And what strength I have’s mine own, Which is most faint. Now ’tis true I must be here confined by you Or sent to Naples. Let me not, Since I have my dukedom got, And pardoned the deceiver, dwell In this bare island by your spell; But release me from my bands With the help of your good hands. Gentle breath of yours my sails Must fi ll, or else my project fails, Which was to please. Now I want Spirits to enforce, art to enchant; And my ending is despair Unless I be relieved by prayer, Which pierces so, that it assaults Mercy itself, and frees all faults. As you from crimes would pardoned be, Let your indulgence set me free.
5
10
15
20
He awaits applause, then exit
322.1. Exeunt [all but Prospero]: emend. necessario in vista dell’Epilogo; in F Exeunt omnes. 1942
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LA TEMPESTA, EPILOGO
Vi prego, avvicinatevi. Escono [tutti tranne Prospero] Epilogo PROSPERO
Ora i miei incanti sono tutti spenti E non ho altre forze che le mie, E queste sono deboli; adesso, è vero, Devo stare qui limitato da voi, O mandato a Napoli. Ma non fatemi, Poiché ho riavuto il mio ducato, E ho perdonato chi mi ingannò, dimorare ancora In questa isola nuda per vostra magia; Liberatemi piuttosto da ogni legame Con l’aiuto delle vostre buone mani80: Gentile fiato vostro le mie vele Deve riempire, altrimenti il mio piano fallisce, Ed era di piacere. Adesso io ho bisogno Di spiriti per costringere, di arte per incantare; E la mia fine è disperata Se non sarò sollevato dalla preghiera, Che penetra in tal modo, da assalire La pietà stessa, e scioglie ogni colpa. Se voi stessi volete che vi si rimettano i vostri peccati, Che la vostra indulgenza mi mandi libero. Aspetta l’applauso, quindi esce
1943
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Sonetti, poemi, poesie occasionali
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Sonnets Sonetti Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva e note di CAMILLA CAPORICCI Traduzione di MASSIMILIANO PALMESE
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Nota introduttiva
Le declinazioni dell’amore “Con questa chiave, / Shakespeare ha aperto il suo cuore”. Così Wordsworth, nel famoso componimento Scorn not the Sonnet (1827), leggeva i sonetti shakespeariani alla luce dell’idea romantica della poesia (o almeno della buona poesia) quale espressione sincera di sentimenti autentici, prospettando quella sovrapposizione tra io lirico e io storico che ha affascinato e continua tuttora ad affascinare milioni di lettori, ansiosi di aprire una finestra sull’interiorità di un autore sulla cui vita privata si sente (o si immagina) di non sapere abbastanza, e il cui genio appare votato a dar voce a ogni possibile tipo umano, tranne che a se stesso. Naturalmente non è così: Shakespeare si rivela almeno tanto quanto si nasconde nei suoi drammi, non dietro ai singoli personaggi ma nell’ordito che organizza e conferisce senso all’insieme, e tuttavia è comprensibile come la mancata manifestazione della prima persona (connaturata, ovviamente, al genere teatrale) possa spingere a cercare nei sonetti, in quell’ I che li percorre prepotentemente da cima a fondo, la voce “autentica” e “personale” dell’autore. Se questa ricerca possa o meno considerarsi legittima è una questione che è stata al centro di un dibattito durato secoli, e su cui non è facile esprimersi in maniera univoca. I limiti di un approccio squisitamente biografico alla raccolta, teso soltanto a ricostruire la “storia” extra-testuale di cui le liriche sarebbero espressione, sono ormai più che noti ed evidenti. La ricerca, non di rado ossessiva, delle figure storiche che si nasconderebbero dietro ai principali “personaggi” del canzoniere, ovvero il Fair Youth, la Dark Lady e il poeta/poeti rivali, non solo non ha dato risposte certe rispetto a nessuna di queste figure (sebbene le due 1949
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SONETTI
principali ipotesi sul destinatario maschile, che lo identificano rispettivamente con il conte di Southampton o con quello di Pembroke, siano ben più fondate rispetto a quelle formulate in riferimento alla dama bruna e ai poeti rivali), ma ha spinto molti critici sempre più lontano dall’evidenza testuale, verso l’elaborazione di teorie spesso anche molto fantasiose: che dire ad esempio dell’idea che il Fair Youth sia niente meno che la regina Elisabetta I, oppure, passando dalle proverbiali stelle alle stalle, il figlio di un oste londinese, reo di aver (forse) scritto qualche verso? Sono ipotesi la cui rilevanza rispetto alla comprensione profonda dei sonetti shakespeariani appare quanto meno dubbia. Allo stesso tempo, il tentativo di ricostruire la vicenda amorosa di cui i sonetti sarebbero narrazione, un tentativo in cui la passione per il gossip rinascimentale gioca un ruolo tutt’altro che trascurabile, ha portato nel corso del tempo a vari tentativi di riordino della raccolta, con risultati molto poco convincenti. D’altra parte, pure riconoscendo la natura artistica, cerimoniale e retorica della tradizione in cui i sonetti di Shakespeare si inseriscono – una tradizione in cui l’io lirico è spesso una pura costruzione letteraria, volta all’esibizione di concetti e immagini standardizzati e all’esercitazione retorica e stilistica – l’originalità e la profondità di riflessione e sentimento che emerge dal testo shakespeariano contraddicono qualunque teoria che voglia vedervi un mero esercizio letterario. Se si lascia però da parte la vexata quaestio del carattere più o meno autobiografico dei Sonnets – una questione su cui John Kerrigan (1986) ha forse espresso l’opinione più condivisibile, affermando che il testo non è né immaginario né confessionale, in quanto il poeta si cela nella prima persona qualche volta vicino all’io lirico e qualche volta più lontano, ma mai senza un qualche grado di proiezione retorica – ci si rende conto che la chiave che questi componimenti realmente offrono ci schiude la conoscenza di qualcosa di ben più prezioso di un pugno di nomi e di fatti, e che se essa non ci dà forse accesso al cuore del poeta romanticamente inteso, ci permette però di penetrare nelle profondità di un pensiero la cui meravigliosa complessità è pari solo alla bellezza che genera nell’esprimersi. Fusione mirabile di forma e significato, la poesia di Shakespeare, come ogni grande poesia, non può essere indagata nel tentativo di estrarre da essa un parafrasabile “messaggio”. Come scrive Helen Vendler, il cui approccio ai sonetti “in quanto poesia” ha generato una delle letture critiche più interessanti e acute degli ultimi anni, “un componimento poetico 1950
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NOTA INTRODUTTIVA
deve anche essere bello, esibendo quella doppia bellezza che Wallace Stevens ha chiamato ‘la poesia dell’idea’ e ‘la poesia delle parole’. Ovvero, il tema deve essere immaginato con freschezza, il genere deve essere rinnovato, e le parole devono sorprendere e soddisfare dal punto di vista della proporzione, musicalità, e vivacità lessicale” (The Art of Shakespeare’s Sonnets, 1997). Il “come” non è meno importante del “cosa”. Niente di quello che i versi del poeta racchiudono avrebbe lo stesso valore se fosse espresso con termini differenti, in un linguaggio privato della sua potente vena metaforica, o attraverso un diverso gioco di suoni, rime e accenti. Cosa rimarrebbe ad esempio del primo sonetto, che così perfettamente apre la raccolta cristallizzandone, attraverso una straordinaria densità linguistica e concettuale, così tanti dei motivi cardine, se lo si volesse ridurre al suo messaggio? Non molto più di una declinazione conativa del memento mori, riassumibile nel monito: “smetti di concentrarti su te stesso e fai dei figli, o la tua bellezza morirà con te”. La scelta delle parole e delle immagini attraverso cui questo messaggio viene veicolato ci apre però una moltitudine di sensi che costituiscono la vera, profonda ricchezza del testo. Così ad esempio nell’appellativo tender churl, “tenero avaro”, con cui il poeta si rivolge al giovane, cogliamo per la prima volta i segni di un affetto che stempera in un lampo di complicità la durezza del ragionamento/rimprovero filosofico, rivelando un aspetto dell’io lirico, e del suo rapporto con il destinatario, che sarebbe altrimenti rimasto nascosto. Allo stesso tempo, il discorso metaforico che così pervasivamente intesse il sonetto propone una serie di immagini che, nella loro immediatezza sensoriale, dilatano le potenzialità espressive ed evocative del testo, e conseguentemente la sua capacità di suscitare nel lettore una pluralità di risposte emotive. Immagini come quella della “rosa di bellezza”, fiore primaverile insieme fresco e fragile, nella cui effimera gloria si sintetizza il senso di transitorietà che percorre il sonetto tutto; o della fiamma che brucia se stessa in solipsistica autocombustione, restituendo attraverso la suggestione di una luminosa contrazione l’essenza della fruizione narcisistica della bellezza del Fair Youth. E infine, non potrebbe il sonetto trasmettere in modo altrettanto efficace il monito del poeta senza quel gioco fonetico del verso 8 – Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel, “tu stesso di te nemico, col tuo dolce te stesso troppo crudele” – che nell’allitterazione delle t e nella ripetizione dei termini thy e self ben esprime quell’autoreferenzialità che rende il giovane nemico di se stesso. 1951
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SONETTI
Affermare che la poesia shakespeariana non si risolve nel suo parafrasabile messaggio non significa però negare il valore contenutistico dei Sonnets, nei quali si esprime una riflessione ontologica, filosofica ed estetica tra le più complesse e profonde che mai siano state formulate in una raccolta di sonetti. Prendendo in prestito le parole di John Keats (che tanto amava Shakespeare), possiamo dire che se verità è bellezza, bellezza è verità: l’aspetto estetico dei sonetti non prescinde ma anzi è un tutt’uno con il pensiero in essi espresso. Qual è dunque l’ “argomento” dei Sonnets? L’argomento è l’amore, certo, e non potrebbe essere altrimenti. Ma un amore che si offre a un’esplorazione tale da coinvolgere un universo intero di significati: un’esplorazione che scandaglia gli abissi della natura umana e del mondo così come le contraddizioni implicite nell’arte stessa di cui è strumento, e che si fa insieme riflesso e superamento del pensiero, o meglio dei pensieri, della propria epoca. Non vi è in questi sonetti paradigma estetico, filosofico o teologico che non sia contemplato criticamente, non vi è idea ricevuta che non sia attivamente investigata, rielaborata, e in qualche modo oltrepassata. Infrangendo la monotonale unicità di visione propria della tradizione in cui si situano, caratterizzata per la maggior parte da una sola concezione filosofica ed esperienziale dell’amore, i sonetti di Shakespeare si aprono a indagare la natura dell’esperienza amorosa in tutte le sue più diverse sfumature e declinazioni. L’amore incondizionato e sciolto dagli aspetti più marcatamente carnali della passione, espressione di un paradigma sostanzialmente dicotomico in cui gli opposti di corpo e anima si dispongono secondo un criterio gerarchico, corrisponde nei sonetti al Fair Youth a un’idealizzazione dell’amato che lo porta, sulla scia di quella filosofia neoplatonica tanto influente nel Rinascimento, a coincidere con l’idea archetipica della Bellezza. In questi sonetti che, pur traendo ispirazione da molti testi classici, e soprattutto da Ovidio, non sfoggiano la serie di riferimenti mitologici che così spesso appesantiva le raccolte dei petrarchisti, i nomi di Adone ed Elena di Troia sono invocati solo come termine di paragone negativo, “povere imitazioni” del ragazzo, due dei “milioni di ombre” della sua “sostanza”, ovvero dello stampo originale della Bellezza che è appunto l’amato (53). Un amato che riassume in sé gloriosamente, e anzi quasi sacralmente, la triade platonica di Bellezza, Verità e Bontà (105). Ma sebbene il poeta, catturato dalla litania trinitaria del sonetto 105, affermi l’assoluta costanza tanto del suo amato quanto del suo amore, e dunque anche della poesia che a 1952
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NOTA INTRODUTTIVA
entrambi rende omaggio – Kind is my love today, tomorrow kind, / Still constant in a wondrous excellence. / Therefore my verse, to constancy confined, / One thing expressing, leaves out difference, “Gentile è il mio amore oggi, domani gentile / Sempre costante in meravigliosa eccellenza. / Perciò la mia poesia, confinata alla costanza, / Esprimendo una cosa sola, ogni varietà tralascia” (105, 5-8) – non troviamo in realtà (e per fortuna) questa costanza nei Sonnets. Vi è certo l’amore spirituale di stampo neoplatonico: un’unione di menti che parrebbe riflettere la visione espressa in quei trattati cinquecenteschi che, pur ammettendo che “ad eccitare il disio amoroso dello intelletto giudicò Platone, e altri valenti uomini esser più acconcia la bellezza del Giovane, che della giovane Donna” (Flaminio Nobili, Trattato dell’amore humano, 1567), negavano drasticamente a questo amore ogni soddisfazione carnale, essendo il sesso tra uomini un “horrendo vitio” contro natura (Mario Equicola, Libro de natura d’amore, 1525) e una “lorda sceleratezza” (Tullia d’Aragona, Della infinità di amore, 1547). Con esso convive però nei sonetti al Fair Youth un sentimento ben più concreto. Un sentimento in cui desiderio e gelosia si mescolano alla deferenza dovuta a un nobile patrono, generando una frizione sfociante non di rado in un tono di malcelata rabbia, ma che presenta allo stesso tempo una vena insieme tenera e malinconica, che scaturisce dalla percezione acuta che il poeta ha della sua “vecchiaia” opposta alla giovinezza dell’amato. Se poi si debba leggere o meno nella vibrazione erotica che sicuramente percorre questi sonetti una testimonianza dell’omosessualità dell’io lirico, o anche dell’io storico del poeta, è una questione che ha visto accapigliarsi i critici per secoli, e da cui ci chiamiamo volentieri fuori, accodandoci alla lapidaria quanto brillante conclusione di Stephen Booth (1977): “William Shakespeare era quasi certamente omosessuale, bisessuale, o eterosessuale. I sonetti non forniscono alcuna prova al riguardo”. I sonetti alla Dark Lady contemplano un ventaglio diverso di situazioni e sensazioni amorose. In accordo con quel Montaigne che negli Essais, tradotti nel 1603 da John Florio e particolarmente cari a Shakespeare, opponeva il legame tra uomini, tepore costante e misurato, al “fuoco di febbre” della passione per la donna, “temerario e ondeggiante”, “più attivo, più cocente e più aspro” (Michel de Montaigne, Essais, 1580), la temperatura di questi sonetti si innalza sensibilmente. La sensualità scherzosa e ammiccante di alcuni componimenti, come il 128, si muta in altri in una gelosia espressa in toni bruschi e minacciosi, e in un desiderio febbrile 1953
Shakespeare IV.indb 1953
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SONETTI
che invano riconosce l’irrazionalità che ne costituisce il fondamento. Ma soprattutto, questi sonetti si aprono a un’indagine senza precedenti di quella passione tenebrosa che è la lussuria, al centro di un complesso discorso filosofico che se pare riflettere in alcuni momenti i presupposti del pensiero religioso, e in particolar modo puritano, dell’epoca, si rivela invece complessivamente orientato a una “eversiva” rivalutazione del desiderio sessuale. Se infatti il poeta non nasconde nulla del dolore e della pericolosità che la lussuria, caratterizzata come ferocemente selvaggia nel sonetto 129, reca con sé, egli afferma allo stesso tempo la necessità di accettare e addirittura rivendicare anche questa forma di passione come propria della natura umana. Una passione nel cui appagamento, come scrive uno dei lettori più fini che i sonetti abbiano trovato in Italia, Giorgio Melchiori, “vi sono sia beatitudine che pena, paradiso e inferno, spirito e vergogna, e quello sperpero, quel consumarsi che è retaggio della condizione mortale, della vita umana” (L’ uomo e il potere, 1973). Da questa rivendicazione, non sempre riconosciuta e spesso travisata dai critici shakespeariani, emerge un concetto di amore che, in opposizione tanto al paradigma puritano quanto a quello filosofico di stampo neoplatonico, non separa più il sentimento spirituale dall’appetito carnale ma, fondato su un’idea di uomo contemplato nella sua totalità di corpo e spirito, ricomprende invece la soddisfazione erotica quale sua parte integrante. E del resto, non dovremmo forse stupirci troppo che Shakespeare giunga a una tale posizione, visto che sempre nelle sue opere appare guardare al rigore puritano con ben più timore di quello riservato a una franca, magari anche voluttuosa, sensualità. Marco Antonio ha certo i suoi difetti, ma Angelo, il reggente “puritano” di Misura per misura, fa molta più paura. E di Angeli nell’Inghilterra di Shakespeare ce ne erano molti, e molto critici verso i sonetti d’amore, tanto che Giles Fletcher, nell’epistola dedicatoria del suo canzoniere, si lamentava del fatto che “i nostri puritani inglesi ci hanno privato di ogni onesto divertimento”, aggiungendo, non senza una punta di ironia, che la sua Licia poteva ben essere interpretata come un’allegoria, o una figura celestiale, “che ai puritani non dovrebbe dispiacere” (Licia, 1593). È proprio a loro che il poeta dei Sonnets pare rivolgersi quando, difendendo e rivendicando la dignità della propria natura, fatta anche di sangue libertino e di piaceri sensuali, afferma in tono di sfida: I am that I am, and they that level / At my abuses reckon up their own, “Io sono ciò che sono, e coloro che mirano / Ai miei errori, contino piuttosto i 1954
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NOTA INTRODUTTIVA
loro” (121, 9-10). La riflessione generata dalle molteplici e mutevoli forme in cui l’amore si manifesta acquisisce dunque un carattere ontologico e antropologico nel momento in cui chiama in causa diverse concezioni della natura umana facendole confliggere all’interno dello stesso testo, così da scardinare l’univocità di visione propria di determinati paradigmi e offrire in sua vece una pluralità di prospettive che restituiscono un’immagine complessa e instabile, quasi proteiforme, tanto dell’uomo quanto delle passioni primarie che lo muovono. Senza bisogno di trasformarsi in coralli e perle, l’uomo di Shakespeare è già, come cantava Ariel nella Tempesta, “qualcosa di ricco e strano”, ed è questa ricchezza che i sonetti catturano e restituiscono al lettore, mettendolo in condizione di riconoscersi in essi, anche a distanza di più di quattrocento anni. I sonetti non esprimono però solo una riflessione profonda sulla natura umana e su quella passione, l’amore, che più di ogni altra ne orienta i pensieri e le azioni. Essi sono anche il tentativo del poeta di vincere il tempo attraverso la sua arte. E del resto, non è forse questa una delle ragioni, o meglio la ragione fondamentale, che da sempre è alla base della grande poesia, se non dell’arte tutta? Ovidio, che Shakespeare ben conosceva nella versione inglese di Arthur Golding (1567), l’aveva detto in modo splendido alla fine delle sue Metamorfosi: E così ho compiuto quest’opera che né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo vorace cancelleranno mai più. Quel funebre dì che non vanta diritti se non sul mio corpo ponga il termine che preferisce alla mia vita precaria; la parte migliore di me schizzerà immortale più su del cielo stellato, e il mio nome sarà indelebile in terra; e fin dove sul mondo si spande il dominio di Roma, i mortali mi leggeranno, e per tutta la durata dei secoli tutti, se i poeti hanno un qualche presagio del profondo futuro, vivrò. (Met. XV, 871-879, nella versione di Vittorio Sermonti)
Pochi testi hanno esercitato un’influenza maggiore di questo sullo Shakespeare dei Sonnets: un’influenza che attraversa tutto il canzoniere e che emerge grandiosamente nel famoso sonetto 55, una tra le più sublimi apoteosi della potenza dell’arte mai scritte. Ma se questo sonetto è tanto vicino in spirito e immagini al testo ovidiano, esso presenta però anche una 1955
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SONETTI
sostanziale differenza. Laddove Ovidio profetizzava e celebrava la propria eternità, quella della sua opera, del suo nome e della sua vita, Shakespeare mette tutta la virtù della sua penna al servizio dell’amato: è il giovane che splenderà nella sua poesia, you shall shine; è la sua memoria, your memory, che né la spada di Marte né il fuoco della guerra potrà bruciare; è lui che incederà trionfante sopra la morte e l’oblio, Shall you pace forth; e infine, è lui che vivrà negli occhi degli innamorati e di tutta la posterità, You live in this, fino al giorno del giudizio finale. E il poeta? Non merita forse anch’egli un po’ di quell’eternità che lui stesso, anzi lui solo, è in grado di conferire? Sembrerebbe di no. Il suo nome, dice all’amato, deve essere seppellito insieme al suo corpo, e con esso dimenticato (72). Perché? Cos’è successo tra Ovidio e Shakespeare? È successo che Petrarca e i poeti della tradizione che da lui prende il nome hanno deciso di asservire tutto il potere della loro arte all’amata (o almeno così vogliono farci credere, sebbene non sia difficile scorgere il lauro poetico dietro l’angelica forma di Laura). Questa lirica, soprattutto nella sua versione più marcatamente cortigiana, non prevede che si celebri nient’altro che l’oggetto d’amore, unico degno di essere reso immortale. Dopotutto, come scriveva Philip Sidney non senza una buona dose di quell’ironia a lui così propria, bisogna credere ai poeti “quando vi dicono che vi renderanno immortali attraverso i loro versi. […] così facendo, sarete più belli, più ricchi, più saggi, più tutto, dimorerete nei superlativi” (The Defence of Poesy, 1595). E ci credevano certo gli elisabettiani, gli uomini come le dame – dame come quell’Elizabeth Boyle cui Edmund Spenser, lui senza alcuna ironia, prometteva: My verse your virtues rare shall eternize, / And in the heavens wryte your glorious name, “Il mio verso le tue rare virtù renderà eterne, / E nei cieli scriverà il tuo glorioso nome” (Amoretti and Epithalamion, 1595). Quanto al poeta, egli deve invece rimanere nell’ombra, presentarsi meramente come umile e inadeguato strumento celebrativo dell’amato, indegno di essere ricordato. E Shakespeare, forse anche per non scontentare il suo nobile amico e patrono (che sia esso Southampton o Pembroke non fa differenza), pare non voler fare eccezione: From hence your memory death cannot take, / Although in me each part will be forgotten. / Your name from hence immortal life shall have, / Though I, once gone, to all the world must die, “Da qui la tua memoria la morte non cancellerà / Pure se ogni mia parte sarà dimenticata. / Il tuo nome da qui avrà vita immortale, / Anche se io, una volta scomparso, per tutto il mondo sarò morto” (81, 3-6). 1956
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Ma non vi è solo obbedienza a un topos tradizionale nel desiderio del poeta di salvare l’amato dalla morte attraverso la sua arte. Tutt’altro. Shakespeare può ben riprendere temi e motivi dalle più svariate tradizioni, come del resto ampiamente fa tanto nei suoi drammi quanto nella produzione poetica, ma nelle sue mani essi diventano sempre qualcosa di diverso: una volta fatti suoi, il poeta li piega e modella così da renderli capaci di rispondere alle sue intenzioni artistiche, e di dare voce al suo individualissimo pensiero. Il motivo petrarchista della poesia quale mezzo per eternare l’oggetto d’amore diviene in Shakespeare strumento attraverso cui si esprime la profonda angoscia del poeta di fronte a una realtà in continuo e drammatico movimento, preda di un tempo affamato e crudele che nulla salva di quella Bellezza di cui l’amato è archetipo ed epitome. Sic transit gloria mundi, o, per dirla sempre con Ovidio, omnia mutantur, “tutte le cose cambiano” (Met. XV, 165): l’estate si muta in inverno, And every fair from fair sometimes declines, “E ogni cosa bella a un certo punto declina”, sciupata dal “corso mutevole della natura” (18, 7-8). Ed è in questa percezione dolorosa, in questo desiderio di sottrarre qualcosa alla caducità del tutto, che percepiamo forse la voce più autentica del poeta del Fair Youth. Il tentativo di salvare il giovane passa per l’operazione artistica. L’ipotesi contemplata nei primi 17 sonetti, in cui il poeta, forse influenzato dal motto di Erasmo Non moritur, qui vivam sui reliquit imaginem e dalla sua Epistle to persuade a young gentleman to marriage, apparsa in The Arte of Rhetorique di Thomas Wilson (1553), prospettava la procreazione naturale come strumento di lotta al tempo, scompare infatti definitivamente a partire dal sonetto 18, che si apre non a caso con l’idea tutta poetica della “comparazione”. Questo forse anche perché il poeta vuole essere parte, e anzi protagonista, di questo salvataggio dell’amato (e per quanto il suo amore possa essere grande, un figlio il poeta certo non può darglielo, né forse lo esalta fino in fondo l’idea di spingerlo tra braccia altrui). Ma è proprio qui che la divaricazione tra arte e natura, legata a filo doppio alla questione dell’effettiva possibilità della poesia di rappresentare il reale – due problematiche fondamentali per Shakespeare, che vi ragiona incessantemente lungo l’arco del canzoniere – si rivela nelle sue implicazioni più complesse. Come scrive Alessandro Serpieri (1991), che alla riflessione meta-poetica che ha luogo nei sonetti ha dedicato pagine memorabili, la precarietà delle immagini che si offrono allo sguardo del poeta conduce al problema della forma, “che è anche il problema dell’arte 1957
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nei confronti della vita che essa vuol raffigurare e fissare per sempre”. I limiti mimetici e “di verità” della poesia sono certo quelli evidenziati nei sonetti 21 e 130, in cui il poeta se la prende con la retorica celebrativa e iperbolica, e dunque necessariamente falsificante, della tradizione petrarchista, ma sono forse, ed è questo il dubbio su cui Shakespeare si arrovella, intrinseci a qualunque operazione artistica in quanto rappresentazione, compresa la propria. È in questa chiave che va letta la complessa rielaborazione shakespeariana del motivo oraziano dell’ut pictura poesis, che aveva trovato larghissima eco nel Rinascimento, informando anche la famosa definizione di poesia data da Sidney nella sua Defence of Poesy: “la poesia è un’arte di imitazione, perché così Artistotele la definisce con il termine mimesis – che è come dire, una rappresentazione, copia, o raffigurazione – parlando metaforicamente, un’immagine parlante”. Ma se il sonetto, letto in questo senso, potrebbe ben presentarsi come il ritratto dell’amato, Shakespeare diffida della natura e della reale possibilità mimetica di questa rappresentazione. Certo, egli sottolinea il carattere falsificante di un certo tipo di “pittura”, opponendo alla poesia mendace dei poeti rivali – un gross painting (82, 14) che offende, tradendola, l’autentica bellezza del giovane – la sua apparentemente onesta e fedele rappresentazione del reale: per raffigurare l’amato, bisogna limitarsi a “copiare” ciò che in lui è scritto, senza peggiorare ciò che la natura ha fatto così bene (84). E però, come abbiamo detto, il sospetto atroce e profondo è che ogni forma di raffigurazione sia in realtà un tradimento della “vera” immagine del giovane perché necessariamente connessa alla contraffazione implicita in ogni atto di visualizzazione indiretta della realtà. Anche se dipinta da Shakespeare, l’immagine poetica del Fair Youth, significativamente definita your painted counterfeit, “la tua immagine dipinta/contraffatta” (16, 8), è denunciata come insufficiente, essendo la “rima sterile” che la produce mimeticamente e poieticamente inferiore alla creazione naturale. Il confronto tra arte e natura si risolve dunque nella constatazione in qualche misura tautologica che la vera mimesi è raggiungibile unicamente dalla seconda, in grado di produrre tanto l’originale quanto una sua veritiera copia. È così che, per tornare al problema dell’immortalità che il poeta vorrebbe conferire all’amato, nel momento in cui l’arte si sostituisce alla natura nel suo processo creativo, generando non figli di carne e sangue ma figure che del giovane non possono essere un fedele riflesso (una prole, verrebbe da dire con Platone, decisamente più spirituale che 1958
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terrena), anche la promessa di eternità assume sfumature ambigue. Ciò che vivrà in eterno, Shakespeare lo sa, non è l’amato ragazzo ma i suoi versi, e l’immagine che essi veicolano. Un’immagine frutto di un processo di “distillazione” artistica che, diversamente dalla distillazione naturale dei primi sonetti, estrae dall’amato un’essenza per così dire raffinata, che non può coincidere con la sua verità materica. L’essenza della rosa è anche più dolce della rosa, ma non è, proprio per questo, la rosa stessa. L’immagine poetica del Fair Youth manifesta il suo distacco dalla realtà naturale nella sua aspirazione alla costanza, nel suo volersi eternamente identica a se stessa, espressione di un ideale che teme il conflitto e trionfa nell’immobilità. Thy eternal summer shall not fade, promette il poeta all’amato: “la tua estate eterna non svanirà” (18, 9). Ma l’immobilità è solo nell’archetipo, e l’archetipo non è di questo mondo. Il ritratto che ambisce a bloccare la vita, di quella vita non può farsi che tomba. Ed è forse proprio dalla consapevolezza della distanza tra questa immagine e il giovane vivo, immerso in quel corso naturale in cui nulla rimane immutato per più di un attimo, che emerge il sofferto sonetto 126, l’ultimo della sequenza dedicata al Fair Youth. Un sonetto che sembra esprimere, finalmente, la resa del poeta di fronte alla natura, che mai si arresta e tutto trasforma, e di fronte alla morte, che di questa natura fa parte, e che nessuna arte può davvero sconfiggere. Il Fair Youth, creazione del poeta, avrà la vita eterna, ma l’altro giovane, quello reale, non è mai stato sostanzialmente presente in una poesia che, per sua stessa natura, tradisce l’oggetto che vorrebbe rappresentare. E così come non è stato in grado di rappresentarlo, il poeta non potrà salvarlo dall’ineluttabile “resa dei conti” che, pur differita, dovrà infine “essere saldata” (126, 11). Sono dunque i sonetti una testimonianza della resa del poeta di fronte al tempo? Sì e no. La resa, se così la si può chiamare, è interna al testo, risultato di una riflessione allo stesso tempo ontologica e meta-poetica volta a riconoscere i limiti intrinseci al processo di creazione e rappresentazione artistica, soprattutto quando messo di fronte al potere poietico di quella che la giovane Perdita nel Racconto d’inverno chiama la “grande Natura creatrice”, opponendola con forza all’arte degli uomini, che imbastardisce, nella sua presunzione, la perfezione delle opere naturali. Vi è però anche una vittoria, ed è quella che si estrinseca non contro il tempo all’interno della raccolta ma nel tempo all’esterno di essa. È la vittoria testimoniata da questo stesso volume e dagli innumerevoli volumi simili che 1959
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affollano biblioteche e case di tutto il mondo (e basta gettare uno sguardo all’antologia curata da Manfred Pfister e Jürgen Gutsch in occasione dei quattrocento anni dei Sonnets (2009), per rendersi conto della straordinaria diffusione dei sonetti, tradotti in più di 70 lingue diverse); dalle canzoni e dai film di ieri e di oggi, che li hanno resi e continuano a renderli popolari tra i pubblici più diversi (pensiamo alla splendida interpretazione del sonetto 18 di David Gilmour dei Pink Floyd, o a Richard Gere che legge il sonetto 29 a una giovane e bellissima Julia Roberts in Pretty Woman); e infine dai milioni di occhi (degli innamorati, sì, ma non solo) che hanno percorso e continuano a percorrere questi versi, ben conoscendo il nome di chi li ha scritti. Non sono questi i sonetti di Southampton o di Pembroke, né di nessuna delle donne (forse) nascoste dietro la Dark Lady. Sono i sonetti di William Shakespeare. Un poeta che, a dispetto delle sue ripetute affermazioni di umiltà, non ignora affatto il potere della propria parola poetica, e che una volta, una soltanto, sostituisce al reverente thou un orgoglioso I, affermando così la sua potenza, la sua vittoria sulla morte, la sua eternità: death to me subscribes, / Since spite of him I’ll live in this poor rhyme, “la morte a me si inchina, / poiché, a suo dispetto, io vivrò in questa povera rima” (107, 10-11). I “problemi” dei sonetti Shakespeare aveva probabilmente immaginato un lungo futuro per i suoi sonetti (o quanto meno lo aveva sperato), ma non aveva forse previsto la montagna di domande, ipotesi e diatribe che sarebbero sorte intorno ad essi. Poche opere letterarie hanno infatti suscitato maggiori e più accesi dibattiti di questi sonetti, al centro di una complessa rete di interrogativi cui non si è data (né forse mai si darà) una risposta definitiva. La moda dei canzonieri, che aveva vissuto una straordinaria fioritura negli anni Novanta del Cinquecento, stava già tramontando da un pezzo quando, nel 1609, l’editore Thomas Thorpe pubblicava a Londra un in-quarto sfoggiante nel frontespizio il titolo di SHAKE-SPEARES SONNETS e l’eloquente dicitura Neuer before Imprinted, seguiti da una dedica di mano dell’editore, 154 sonetti numerati consecutivamente, e un poemetto intitolato A Lover’s Complaint. Questo in-quarto, conosciuto anche come Q, rappresenta l’unico testimone dei Sonnets shakespeariani, una tra le raccolte poetiche più lette, tradotte e studiate di tutti i tempi, ma che nonostante ciò presenta ancora numerosi punti oscuri. In effetti, si 1960
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può dire che non ci sia aspetto dell’in-quarto di Thorpe – un volumetto che, ironicamente, era passato all’epoca quasi del tutto inosservato – che non sia stato preso di mira e analizzato da ogni possibile angolazione, e su cui non sia stato detto tutto e il suo contrario. A partire, naturalmente, dalla questione dell’autenticità, ovvero dell’effettiva paternità dell’opera. Attribuiti a Shakespeare tanto nel frontespizio dell’in-quarto quanto nella voce inserita nello stesso anno nello Stationers’ Register – un’attribuzione che, per quanto ci è dato sapere, il poeta non ha mai dato prova di voler smentire – questi sonetti sono legati da profonde affinità stilistiche e contenutistiche al resto della produzione dell’autore, la cui esperienza nel campo della sonettistica è peraltro testimoniata non soltanto dai componimenti inseriti in opere quali Pene d’amor perdute, Giulietta e Romeo, Enrico V e Tutto è bene ciò che finisce bene, ma anche dal riferimento ai suoi “zuccherosi Sonetti” contenuto nel Palladis Tamia di Francis Meres (1598). Tutto ciò non è però bastato a mettere i sonetti in salvo da quella forma persistente di dubbio che pare destinata ad avvolgere ciclicamente buona parte della vita e della produzione del Bardo. Da sempre vittima di un sospetto che sembra non trovare alcun reale fondamento se non nell’incapacità di alcuni lettori di rassegnarsi alla (relativa) assenza di mistero che può caratterizzare anche la vita di un genio, il nome di Shakespeare quale autore dei Sonnets è stato nel corso del tempo sostituito da quello di vari altri personaggi, tra cui Sidney, Raleigh, Bacon, Elizabeth Vernon, e i conti di Pembroke, Oxford ed Essex (primo e secondo). Altri critici, pur attribuendo a Shakespeare la maggior parte dei sonetti, hanno invece messo in discussione l’autenticità di singoli componimenti sulla base di ragioni di (supposto) merito poetico e di coerenza formale e contenutistica. Questo è ad esempio il caso dei due sonetti conclusivi che, basati su un episodio mitologico che trova la sua prima attestazione nell’epigramma del poeta bizantino del quinto secolo Marianus Scholasticus, incluso nella Antologia Greca (1494), sono apparsi ad alcuni estranei alle tematiche proprie della sequenza della Dark Lady. Similmente, il sonetto 145, divergente dal resto della raccolta sul piano metrico e spesso considerato di qualità inferiore rispetto agli altri a causa dell’ingenuità di certe sue soluzioni – Katherine Duncan-Jones (1997) definisce il motivo del passaggio dalla notte al giorno “un’analogia tediosamente scontata” mentre Serpieri (1991) afferma impietosamente che “il sonetto ha scarsissimo peso e potrebbe essere eliminato dal can1961
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zoniere senza alcuna perdita” – è stato spesso ritenuto frutto di un’ispirazione giovanile, oppure, come scriveva C. Knox Pooler (1918), “forse non di Shakespeare”. Se si è tuttavia disposti ad accettare il fatto che perfino Shakespeare possa aver scritto qualche verso incapace di soddisfare in pieno il gusto di tutti i lettori, e a considerare che la nostra idea di coerenza non coincide necessariamente con quella di un poeta rinascimentale – non era infatti insolito per i canzonieri dell’epoca chiudersi con componimenti dalla natura epigrammatica-emblematica – si può in effetti arrivare con una certa facilità a condividere il conciso giudizio di Booth (1977), il quale afferma che “non c’è ragione di dubitare che i 154 componimenti pubblicati da Thorpe come opera di Shakespeare siano effettivamente di Shakespeare”. Più complessa è invece la questione della datazione dell’opera, strettamente connessa a quella, altrettanto problematica, dell’identificazione dei suoi destinatari. Le uniche testimonianze dell’esistenza dei sonetti antecedenti al 1609 sono da rintracciarsi nel già menzionato Palladis Tamia di Meres, il quale ci informa che un (imprecisato) numero di “zuccherosi” sonetti shakespeariani, his sugred Sonnets, circolava già nel 1598 tra gli “amici privati” dell’autore, e nel volumetto pubblicato da William Jaggard nel 1599, intitolato The Passionate Pilgrime. By W. Shakespeare, in cui, insieme a una gran quantità di componimenti di altri poeti, troviamo i due sonetti che sarebbero apparsi nell’in-quarto come il 138 e 144. Sulla base di questi dati, e tenendo in considerazione una serie di elementi tanto extra-testuali quanto interni al testo, due ipotesi principali sono state formulate circa l’arco temporale di composizione della raccolta: una che la assegna alla prima metà degli anni Novanta, l’altra tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Seicento (con l’ovvio terminus ante quem del 1609). Buone ragioni sono alla base di entrambe queste teorie, cosa che rende difficile esprimersi al riguardo. I testi di Meres e Jaggard ci inducono a supporre che negli anni 1598-1599 diversi sonetti fossero già stati composti: il plurale usato da Meres acquisisce infatti un certo valore se considerato alla luce del fatto che i due sonetti apparsi nel Passionate Pilgrime appartengono alla sequenza della Dark Lady (che segue quella dedicata al Fair Youth) e che uno di essi, il 144, appare presupporre, nella sua articolazione del motivo dei “due amori”, l’avvenuta realizzazione (su un piano biografico o letterario che sia) dell’esperienza amorosa con entrambi i destinatari. A spostare l’ago della bilancia verso una datazione 1962
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più tarda, vi sono però i riferimenti a specifici eventi storici che diversi critici hanno individuato in alcuni sonetti, come ad esempio il 107, in cui si è spesso letta un’allusione alla morte, nel 1603, della regina Elisabetta I (the mortal moon), o il 124, che conterrebbe un riferimento ai Cattolici giustiziati nel 1606 in seguito alla Congiura delle Polveri (the fools of time). Un simile, per certi versi sconfortante, “equilibrio” lo ritroviamo poi nel momento in cui prendiamo in esame elementi di natura contenutistica e stilistica. Se è infatti vero che i sonetti presentano un elevato numero di parallelismi con opere composte nella prima metà degli anni Novanta, soprattutto Venere e Adone e Pene d’amor perdute, altrettanto innegabili sono le affinità che legano almeno una parte di essi alle grandi tragedie dello Shakespeare più maturo, prima fra tutte Antonio e Cleopatra, specialmente per quanto riguarda la caratterizzazione della figura femminile, ma anche Amleto e Re Lear, per i modi e i toni di alcune meditazioni di carattere preminentemente ontologico. Nel tentativo di uscire da questa impasse, si può infine chiamare in causa l’identificazione dei destinatari dell’opera, e in particolar modo di quello maschile. Se infatti la dama bruna mantiene ben intatto il suo segreto, riducendo ogni tentativo di identificazione della figura storica (sempre che ce ne sia una) nascosta dietro di lei a ipotesi prive di qualunque sostanziale fondamento – così sono ad esempio quelle che la individuano nelle dame di corte Elizabeth Vernon e Mary Fitton, o ancora nelle varie Lucy Negro, Mistress Davenant, Penelope Devereux, Jaqueline Field, ed Emilia Lanier – l’identità del dedicatario della raccolta promette di giocare un ruolo importante nella datazione dei sonetti. La speranza di trovare in essa una risposta definitiva a questa questione è destinata a rimanere però sostanzialmente delusa, in quanto il bivio che ci si apre di fronte è di nuovo caratterizzato da due strade almeno in apparenza egualmente percorribili. Alla base delle infinite speculazioni sull’identità del dedicatario dei sonetti vi è la dedica che Thomas Thorpe, ignaro (ma forse non del tutto) del putiferio che avrebbe scatenato, aveva posto subito dopo il frontespizio dell’in-quarto da lui dato alle stampe: TO.THE.ONLY.BEGETTER.OF. THESE.ENSUING.SONNETS. Mr.W.H. ALL.HAPPINESS. AND.THAT.ETERNITY. 1963
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PROMISED. BY. OUR.EVER-LIVING.POET. WISHETH. THE.WELL-WISHING. ADVENTURER.IN. SETTING. FORTH. T.T.
Se la sigla T.T. risulta facilmente riferirsi a Thorpe, l’editore che, secondo una metafora piuttosto comune al tempo, si avventura come in un viaggio in una nuova impresa editoriale, e l’ever-living poet è chiaramente Shakespeare, l’identificazione di Mr. W. H., l’only begetter dei sonetti, risulta molto più problematica. Lasciando da parte l’ipotesi che il termine begetter possa stare a indicare la persona che aveva procurato a Thorpe il manoscritto dei sonetti – un’ipotesi sostenuta da alcuni, ma che non sembra coerente con il senso della dedica – e interpretandolo invece come riferito al dedicatario della raccolta, presumibilmente (sebbene non necessariamente) coincidente con il Fair Youth, ci troviamo di fronte a una profusione di teorie che, nel corso del tempo, hanno cercato di dare un nome, e possibilmente anche un volto, allo splendido giovane celebrato da Shakespeare. L’elenco dei possibili candidati è sorprendentemente (e anche piuttosto ridicolmente) lungo: esso include tanto personaggi immaginari, come il William Hughes reso famoso dal racconto Il ritratto di Mr. W. H. di Oscar Wilde, quanto innumerevoli figure reali, molte delle quali Shakespeare non ha probabilmente mai neanche conosciuto. Senza indulgere nell’esposizione di tutte queste più o meno plausibili ipotesi, converrà concentrarsi invece sui due principali candidati per il ruolo (non da poco) di dedicatario dei Sonnets: il conte di Southampton e quello di Pembroke. Nato nel 1573, Henry Wriothesley, terzo conte di Southampton, è stato indicato per la prima volta quale possibile dedicatario da Nathan Drake (Shakespeare and His Times, 1817), identificazione che ha da allora trovato il favore di molti critici. Egli era un giovane di famosa ed efebica bellezza, almeno a giudicare dai suoi ritratti e soprattutto dalla miniatura di Nicholas Hilliard, cui forse allude Shakespeare in A Lover’s Complaint quando, dopo averci donato una descrizione dello splendido 1964
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seduttore che potrebbe ben essere ekphrasis dell’immagine dipinta dal miniaturista (versi 85-94), ci parla di una miniatura custodita dalle molte donne di lui innamorate. Di donne innamorate di Southampton ce ne saranno del resto state probabilmente diverse al tempo, donne (e relative famiglie, che è più importante) destinate però a trovare nel nobile rampollo un giovane ben poco incline al matrimonio (nel 1590 rifiutò ad esempio di sposare Lady Elizabeth Vere, nipote di Lord Burghley, contro il volere della sua famiglia), cosa che ha fatto supporre ad alcuni critici che i sonetti matrimoniali (i primi 17 componimenti del canzoniere) fossero stati in qualche modo commissionati a Shakespeare da qualche parente del ragazzo. Ma soprattutto, ed è qui che stanno le più solide basi della sua identificazione con il Fair Youth, Southampton è il dedicatario dei due poemetti Venere e Adone (1593) e Lucrezia violata (1594), fatto che indica che egli fu legato a Shakespeare – da un rapporto che è possibile ipotizzare di natura tanto “clientelare” quanto, forse, amichevole e amorosa – nella prima metà degli anni Novanta. Se i sonetti, o almeno parte di essi, fossero stati effettivamente composti in questi anni, sarebbe quanto meno ragionevole supporre che essi siano stati scritti per la medesima persona. Questa supposizione trova inoltre una qualche conferma non solo nella vicinanza di tono tra l’epistola dedicatoria di Lucrezia e il sonetto 26, ma anche negli innegabili rapporti che legano Venere e Adone ai Sonnets, e in particolare nella marcata somiglianza che intercorre tra l’immagine del Fair Youth, soprattutto nei sonetti matrimoniali, e la figura di Adone. Una figura che è peraltro invenzione shakespeariana (differendo radicalmente dal personaggio ovidiano), e che, tanto nella sua ostinata sterilità quanto nella sua freschezza di rosa, pare davvero prefigurare il giovane del canzoniere, cosa cui il poeta stesso potrebbe forse alludere nel momento in cui, celebrando il Fair Youth, ce lo rivela archetipo dell’amato di Venere: Describe Adonis and the counterfeit / Is poorly imitated after you, “Descrivete Adone e l’immagine / Non è di te che povera imitazione” (53, 5-6). Proposta per la prima volta da James Boaden nel 1837 (On the Sonnets of Shakespeare) e da allora sostenuta da diversi critici, tra cui la DuncanJones, l’ipotesi che vede in William Herbert, terzo conte di Pembroke, il dedicatario dei sonetti, è anch’essa fondata su valide ragioni, sebbene forse non altrettanto affascinanti, nell’ottica di un intreccio di vita e poesia, di quelle che incoronano il suo rivale. Presupponendo naturalmente una più tarda data di composizione dell’opera, dal momento che Pembroke, 1965
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SONETTI
nato nel 1580, era poco più che un bambino nella prima metà degli anni Novanta, questa ipotesi sembrerebbe trovare conferma non solo nella corrispondenza delle iniziali nella dedica di Thorpe con quelle di William Herbert (iniziali che sarebbero invece invertite nel caso di Henry Wriothesley, conte di Southampton), ma soprattutto nel fatto che Heminges e Condell dedicarono a Pembroke e a suo fratello il famoso First Folio del 1623, cosa che potrebbe indicare il ruolo di patrono esercitato dal nobile nei confronti di Shakespeare nell’ultima fase della sua carriera. D’altra parte, se la relazione di Pembroke con la dama di corte Mary Fitton, identificata da alcuni come la Dark Lady, appare in realtà, a causa della sostanziale arbitrarietà di tale identificazione, di ben poco peso, la nota avversione del ragazzo alle nozze ripetutamente propostegli dalla famiglia potrebbe forse rinforzare, per le stesse ragioni già considerate per Southampton, l’ipotesi che lo identifica come destinatario dei sonetti. Infine, il fatto che molti poeti di rilievo, tra cui Francis Davison, Ben Jonson, John Davies of Hereford, Samuel Daniel e George Chapman, fossero protégés di Pembroke, la cui rinomata bellezza alcuni di loro avevano anche celebrato in versi, potrebbe assumere una qualche rilevanza (e qui si riaccende la passione del detective per il mescolarsi di poesia e vita!) se considerato in riferimento ai sonetti dei poeti rivali. Che sia uno (o più) di questi autori a nascondersi dietro a quella penna che il poeta dei Sonnets definisce “più valente” (79, 6) della propria, salvo poi ricorrere a ogni tipo di astuzia retorica per dimostrare invece la superiorità tanto del suo amore quanto della sua arte? Per tornare alla questione della data di composizione dei sonetti, appare evidente come le due principali ipotesi circa il destinatario confermino la prima una datazione alta, la seconda una più tarda. Ci troviamo cioè di nuovo in una situazione di stallo, che può però essere risolta senza eccessive difficoltà nel momento in cui ci apriamo all’idea che le due teorie sulla data possano conciliarsi all’interno di un’ipotesi che preveda un arco lungo di composizione della raccolta, in cui confluirebbero quindi sonetti scritti in periodi anche molto distanti tra loro, probabilmente rivisti nel loro insieme non molto tempo prima della pubblicazione. Naturalmente, l’idea di un’operazione di revisione, dettata da una specifica volontà autorale, chiama a sua volta in causa un’altra questione spinosa, ovvero quella relativa all’autorizzazione di Q e all’autenticità della forma, struttura e ordine del testo dell’in-quarto. 1966
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L’idea che l’operazione editoriale di Thorpe fosse di natura “piratesca” è stata dominante fino alla fine dello scorso secolo. L’omoerotismo potenzialmente rintracciabile nella sequenza dedicata al Fair Youth – una questione storicamente avvertita come imbarazzante da buona parte dei lettori, soprattutto inglesi, almeno fino alla metà del ventesimo secolo – ha portato diversi critici a supporre che l’autore dei sonetti non potesse aver scelto di rendere intenzionalmente pubblica un’opera dal contenuto così scandaloso. A questa motivazione se ne aggiungono altre di natura storico-letteraria. Lo scarso successo incontrato dalla raccolta (soprattutto se confrontato con quello ottenuto dai due poemetti), unito all’assenza di ulteriori ristampe, ha fatto nascere l’idea che il testo fosse stato ritirato dalla circolazione, per volere dell’autore e/o del dedicatario dei sonetti, poco dopo la sua pubblicazione – idea che non è però sostenuta da alcuna prova concreta. Inoltre, spostando lo sguardo da fuori a dentro il testo, l’assenza di una dedica di mano dell’autore (che era invece presente nei due poemetti), una serie di errori di spelling e di punteggiatura, insieme a una supposta mancanza di coerenza (principalmente narrativa) nella sistemazione della raccolta, sono elementi sulla base dei quali si sono spesso messe in dubbio tanto l’autorizzazione di Q quanto l’autenticità della sua struttura. Negli ultimi decenni si è però andata sempre più affermando l’idea contraria, ovvero che Shakespeare abbia autorizzato la pubblicazione, e che il testo presentato sia dunque autentico sotto tutti gli aspetti. Diverse testimonianze suggerirebbero il coinvolgimento diretto dell’autore nella pubblicazione dell’in-quarto, la più importante delle quali è probabilmente l’affermazione di Thomas Heywood che, in riferimento alla piratesca (questa sì) pubblicazione del Passionate Pilgrime, sosteneva che Shakespeare, “per rendersi giustizia”, avesse poi pubblicato i sonetti a suo nome. La riabilitazione della figura di Thomas Thorpe come editore colto e serio, con all’attivo pubblicazioni (autorizzate) di opere di autori di rilievo come Jonson e Chapman, si accompagna inoltre all’idea che Shakespeare, in un anno drammatico per i teatri, chiusi a causa della peste, potesse aver avuto interesse a dare alle stampe un’opera dalla cui vendita poteva ragionevolmente aspettarsi un discreto profitto. Non di solo pane vive l’uomo, è vero, ma anche quello serve, perfino a Shakespeare. Ragioni interne al testo confermano poi l’autenticità del testo di Q, difendendolo da quelle accuse di incoerenza che volevano negargli un padre, o quanto meno un padre illustre. 1967
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La mancanza di coerenza narrativa lamentata da alcuni critici appare in effetti argomento poco convincente se si tiene conto del fatto che il genere sonettistico, anche quando strutturato in un canzoniere, non prevedeva generalmente la presenza di una “storia” intesa come narrazione continua di una vicenda (come è invece proprio del romanzo), ma trovava invece la sua coerenza interna soprattutto nel ritornare di specifici temi e motivi, non di rado organizzati in cicli. In questa ottica, la raccolta di Shakespeare emerge come pienamente in linea con la tradizione. Se infatti la vicenda di cui i sonetti sarebbero espressione appare appena tratteggiata – sebbene essa emerga comunque, lasciando intravedere momenti di separazione e ricongiungimento, tradimenti e riconciliazioni –, l’opera si presenta coesa sul piano dell’imagery e coerente a livello di organizzazione interna, caratterizzata da una serie ricorrente di motivi e situazioni, spesso articolati in cicli più o meno estesi di sonetti – si pensi ad esempio al ciclo della procreazione (1-17), o a quello dei poeti rivali (78-86), ma anche alle numerose coppie di sonetti strettamente connessi tra loro, di cui parleremo più avanti. Per quanto riguarda poi la struttura generale, la divisione della raccolta in due sezioni, dedicate rispettivamente a un bel giovane e a una donna bruna, appare sviluppata in modo del tutto coerente. Non solo i pronomi personali parlano chiaramente a favore di una tale partizione, ma il sonetto 126, chiuso al dodicesimo verso dalla resa finale del Fair Youth di fronte alla morte, e in cui l’assenza del distico pare significare quel vuoto tombale cui il giovane è destinato, appare evidentemente volto a segnare la fine della prima sequenza, confermando la divisione del canzoniere in due sezioni distinte. E del resto, il tono generale di queste due sezioni è tanto profondamente differente da non lasciare dubbi sull’autenticità della struttura bipartita della raccolta. Infine, anche la presenza di A Lover’s Complaint risulta essere del tutto coerente tanto rispetto ai sonetti quanto alla tradizione cui essi fanno riferimento. Se è infatti vero (e lo è) che il complaint reca con sé un significato atto a far luce retrospettivamente sul senso dei sonetti, altrettanto vero è che diversi canzonieri del periodo, primo fra tutti Delia di Samuel Daniel (1592), presentano una struttura simile a quello di Shakespeare, chiudendosi con un complaint finale. In linea con la tradizione e profondamente connesso con il resto della raccolta è dunque il complaint shakespeariano, tanto che, come scrive Ilona Bell: “letti insieme, i sonetti di Shakespeare e A Lover’s Complaint forniscono 1968
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NOTA INTRODUTTIVA
un’ulteriore prova del fatto che il testo del 1609 è un volume di poesia brillantemente immaginato e strettamente interconnesso” (“That which thou hast done”, 1999). I sonetti di Shakespeare e la tradizione europea Per quanto possa attrarci l’idea di uno Shakespeare la cui poesia, frutto spontaneo di una mente geniale e fuori da tutti gli schemi, non possa né debba essere ingabbiata e nemmeno messa in relazione con alcuna tradizione poetica (un’idea che piaceva sicuramente a quei romantici la cui interpretazione dell’opera del Bardo molti di noi criticano tanto quanto segretamente amano), a una tradizione i sonetti di Shakespeare rispondono, e una di non di poco conto. Il canzoniere shakespeariano si inserisce infatti, pur con tutte le distinzioni che vedremo, in quella che è probabilmente la tradizione poetica più significativa del Rinascimento europeo, ovvero quella definita (non senza un certo grado di problematicità) tradizione petrarchista: una poesia che affondava le sue radici fin nella lirica provenzale, ma che riconosceva il proprio padre fondatore in Francesco Petrarca, il quale, facendo confluire nella forma del sonetto una cultura ricchissima e organizzando i suoi componimenti in un libro di poesia strutturato, aveva dato vita al primo canzoniere della storia. Complessa da un punto di vista sia fi losofico che stilistico, quest’opera monumentale (che Petrarca definiva, con quella sua studiata posa di sufficienza verso le opere in volgare, Rerum vulgarium fragmenta, ma su cui aveva in realtà lavorato per quasi tutta la sua vita), ruotava intorno alla se pur esile vicenda amorosa tra il poeta e madonna Laura: un amore negato prima dall’assoluta castità e poi (come se non bastasse) anche dalla morte della donna, immagine d’angelico splendore, purissima e ontologicamente irraggiungibile, ma che trovava già nelle basi religiose e fi losofiche del canzoniere – sostanzialmente un’unione di agostinismo e stoicismo – la ragione della sua irrealizzabilità. Canonizzata da Pietro Bembo nel Cinquecento, la tradizione petrarchista era poi dilagata oltre i confini nazionali, approdando in Inghilterra prima “in incognito”, con la traduzione del componimento 132 di Petrarca che Chaucher inserisce nel suo Troilus and Criseyde, e poi in grande stile nelle rime di Thomas Wyatt, diplomatico alla corte di Enrico VIII e primo vero petrarchista inglese. Ma è negli anni Novanta del Cinquecento che si assiste alla straordinaria fioritura della sonettistica elisabettiana, favorita non solo 1969
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SONETTI
dalla crescente influenza della cultura italiana e francese, ma anche da una regina, Elisabetta I, che aveva risolto la difficoltà di governare un regno diffidente verso il sesso femminile appropriandosi abilmente della convenzione della dama petrarchista e lasciandosi celebrare dai suoi cortigiani attraverso il linguaggio del sonetto. Una sovrana, regina vergine e insieme regina di cuori, che governava “Con l’Amore più che con la Legge” (John Davies, Hymnes of Astraea, 1599), e tanto bella, affermava inchinandosi Walter Raleigh, il “poeta corsaro” la cui figura ha tanto affascinato schiere di amanti del period drama, da far addirittura piangere l’anima del povero Petrarca, consapevole che per la sua Laura non ci sarebbe più stato alcuno spazio. Quali erano dunque le caratteristiche di questa tradizione poetica? Per Arturo Graf, categorico come sapevano essere i critici ottocenteschi (specialmente se allievi del De Sanctis), il petrarchismo era niente meno che una “malattia cronica” della nostra letteratura, basata su un’imitazione comandata non solo di Petrarca, ma anche, ed è peggio, dei suoi seguaci, ottenendo un “Petrarca assottigliato e annacquato … la risciacquatura del tino” (Attraverso il Cinquecento, 1888). Questa opinione ci appare oggi piuttosto drastica, né si può appiattire la grande esperienza lirica quattro-cinquecentesca su un unico livello, senza considerare le infinite sfumature che essa assume tanto nei diversi autori che la praticano quanto nei vari ambienti in cui fiorisce. E tuttavia, è impossibile non ammettere che all’interno di questa tradizione vi sia una forte tendenza alla standardizzazione, tanto in senso stilistico quanto contenutistico. La centralità di una specifica concezione amorosa di stampo cristiano e, a partire dal Quattrocento, schiettamente neoplatonico, si riflette infatti in un’imitazione non solo di situazioni sentimentali ben definite, ma anche di un preciso modello femminile, oggetto di un’idealizzazione che sembra lasciare ben poco spazio all’espressione individuale, e a cui corrisponde, naturalmente, una precisa retorica celebrativa. Al carattere normativo del petrarchismo non sfuggono del resto i poeti elisabettiani. Inaugurata dal successo di Astrophil and Stella (1591), la sonettistica degli anni Novanta è una produzione poetica in cui non mancano elementi di originalità, e i cui autori (o almeno i migliori tra essi) si fanno spesso un vanto del prevalere dell’inventio sulla mera imitazione dei modelli. Sidney ridicolizza quei poeti che rievocavano con nuovi sospiri “i dolori da tempo defunti del povero Petrarca” (Astrophil and Stella, 1591), 1970
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NOTA INTRODUTTIVA
mentre Michael Drayton, nel sonetto dedicatorio alla prima edizione di Ideas Mirrour (1594) rivendica polemicamente la “proprietà” delle sue rime, dichiarando di non aver rubato “né dalla penna di Desportes né da quella di Petrarca, / Un vizio troppo comune in questi ultimi tempi”. Tuttavia, non si può non riconoscere come la maggior parte dei canzonieri elisabettiani si basi su una marcata e non di rado pedissequa ripresa di convenzioni e stilemi canonizzati dalla tradizione italiana e francese, dando così vita a un idioma poetico fortemente standardizzato e spersonalizzato. Come prometteva del resto John Soowthern, autore di uno dei primissimi canzonieri, alla sua Diana: “Per te [il poeta] canterà Petrarca, Tien, Ovidio, Ronsard: / E ti farà Cassandra, Corinna, Bathylla, Laura” (Pandora, 1584). Le dame sono tutte stelle, esseri angelici fatti d’avorio e d’oro, alla cui irraggiungibile purezza si inchinano i poeti, generalmente privi di qualsivoglia speranza di successo ma cionondimeno felici di servire e celebrare, cullandosi in una dolce-amara dolendi voluptas, una perfezione cui schiere di superlativi non sembrano in grado di rendere giustizia (sebbene Dio sa quanto ci provino!). E se è vero che la seconda (più ridotta) ondata di sonetti, seguita all’ascesa al trono di Giacomo I (1603), appare meno ligia all’idealismo petrarchista e caratterizzata invece da toni più irriverenti, satirici ed epigrammatici, essa non abbandona comunque le direttrici di questa tradizione, che torna peraltro a manifestarsi nel suo stile più aureo in diverse raccolte – come quelle di David Murray (1611) e William Drummond (1614) – a dimostrazione del persistere del genere nella prima decade del Seicento. È in questo contesto che, nel 1609, vedono la luce i sonetti di Shakespeare. Ora, che Shakespeare guardi con una certa pungente ironia alla sterminata produzione sonettistica di stampo petrarchista è cosa su cui è impossibile nutrire dubbi. Nelle commedie, l’amore per le raccolte di lirica amorosa è attribuito a personaggi non certo noti per la spiccata intelligenza, come Master Slender, fiero possessore di un book of songs and sonnets (Le allegre comari di Windsor I, 1, 181-182), mentre l’atto di scrivere sonetti viene costantemente ridicolizzato. A volte, esso è presentato come il prodotto dell’effetto mentalmente debilitante dell’amore, risultante in un’esplosione di lodi retoricamente altisonanti e tutt’altro che riuscite artisticamente, che non ottengono di solito altro risultato se non la derisione altrui (non è certo grazie ai loro sonetti che i protagonisti di Pene d’amor perdute acquistano il favore delle loro dame). In altri 1971
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SONETTI
casi, esso è denudato della patina celebrativa che pretendeva di farne un inno all’amore disinteressato e spirituale, smascherandone l’ipocrisia e l’aspetto utilitaristico, e alludendo alla realtà molto più concreta, quando non oscena, che si nascondeva sotto il linguaggio sublimato. Ne I due gentiluomini di Verona, ad esempio, “sonetti sconsolati” e traboccanti di “lusinghevoli promesse” diventano, nelle parole di Proteo, lo strumento per catturare i desideri della donna amata (III, 2, 68-86), mentre in Molto rumore per nulla è proprio un sonetto che la sfacciata serva Margaret chiede a Benedick in cambio della sua intercessione presso Beatrice, richiesta cui lui risponde, con un’ironia che morde l’iperbolicità della lirica petrarchista e insieme ammicca un doppio senso erotico (da Margaret prontamente colto): “E in uno stile così elevato, Margaret, che nessun uomo vivo potrà montarvi sopra” (V, 2, 5-6). Ma forse, l’attacco più forte alle convenzioni petrarchiste viene dall’irriverente Mercutio, che ride di Romeo malato d’amore burlandosi di quei versi che facevano di ogni donna un idolo impareggiabile – “Adesso sguazza in quei versi in cui Petrarca era versato. Laura rispetto alla sua dama non era che una sguattera – e però, quella ebbe un innamorato migliore a metterla in rima” (Giulietta e Romeo II, 3, 36-38) – ed “evocandolo” attraverso quello che era il topos petrarchista della descending description (la celebrazione delle singole parti del corpo dell’amata dall’alto in basso), che dapprima recita ligio alla tradizione, per poi abbassarsi a riferimenti tutt’altro che casti: “Io ti evoco per i fulgidi occhi di Rosalina, / Per la sua alta fronte e il labbro scarlatto, / Per il suo bel piedino, la gamba dritta, e la coscia fremente, / E quelle parti che sono lì nei dintorni” (II, 1, 17-20). A questo punto, viene spontaneo chiedersi perché un poeta che così apertamente si fa beffe della sonettistica amorosa del suo tempo, sottolineandone soprattutto l’iperbolica e standardizzata retorica elogistica, decidesse poi di cimentarsi in prima persona nella stesura di un canzoniere, ponendovi peraltro una serietà e profondità di riflessione non inferiore a quella che si incontra nelle opere drammatiche. La risposta risiede senz’altro nella volontà del poeta di dialogare con questa tradizione – che egli poteva sì deridere nelle sue manifestazioni più goffe e banali, ma di cui certamente riconosceva la grandezza – e di farlo dall’interno di essa, attraverso un canzoniere che, senza sconfessare le forme del genere petrarchista, segna però una radicale differenza rispetto ai suoi predecessori. Dove risieda però questa differenza, di cui tutti i critici parlano 1972
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NOTA INTRODUTTIVA
ma che non molti sono disposti ad analizzare senza una qualche forma di idea preconcetta, è questione di non facile né scontata risposta. Certamente, la scelta di dedicare la maggior parte dei sonetti a un giovane uomo non può dirsi convenzionale, neanche in un’epoca caratterizzata dal trionfante ritorno del platonismo e che aveva visto diversi poeti di non piccolo calibro, primo fra tutti Michelangelo, celebrare i propri patroni in versi non così distanti da quelli shakespeariani. Non è qui che troviamo però la ragione dell’originalità del canzoniere di Shakespeare. Questa originalità si esprime invece nel rapporto estremamente complesso e innovativo che il poeta instaura con la tradizione petrarchista – un rapporto che egli articola diversamente nelle due sezioni dell’opera. Nella sequenza dedicata al Fair Youth, Shakespeare, prestigiatore d’eccezione, gioca con le convenzioni del genere sonettistico in modo sottile e raffinato, abbracciandone e rielaborandone (in maniera, neanche a dirlo, magistrale) i motivi principali, e allo stesso tempo destabilizzandone i presupposti attraverso un discorso modulato in controcanto, fatto di contraddizioni e ironia, termini ambigui e metafore discordanti, che si esprime nel non detto tanto e più che nel dichiarato. Il motivo dell’assoluta perfezione dell’amato, caposaldo della poesia petrarchista, trova ad esempio meravigliosa realizzazione nei sonetti, che, se pur distaccandosi in una certa misura dalla lirica tradizionale nella limitazione dell’aspetto puramente visivo della rappresentazione del giovane (una limitazione probabilmente connessa a quella sfiducia nella capacità mimetica della poesia in quanto ritratto di cui abbiamo già parlato), ne esprimono la magnificenza attraverso un linguaggio simbolico e metaforico allo stesso tempo ligio alla tradizione e preziosamente rinnovato. Simboli quali il sole, le gemme, l’oro e la rosa, attraverso i quali il poeta articola il suo dialogo con il Fair Youth, ben esprimono in questo senso lo splendore sovrano del giovane – una perfezione che contribuisce a inquadrarne la figura in quel discorso neoplatonico-petrarchista che vedeva coincidere il concetto di amore con quello di desiderio di Bellezza intesa in senso archetipico. Allo stesso tempo però, quel manifesto di poetica che è il sonetto 21, in cui il poeta prende posizione contro la retorica celebrativa della sonettistica coeva rifiutandone i paragoni iperbolici con astri, fiori e gemme, getta (volutamente) un’ombra sui suoi stessi versi, che di quei termini di paragone, se pure articolati in forme metaforiche che ambiscono a minimizzare la distorsione della realtà implicita nel nesso 1973
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SONETTI
della similitudine, facevano in realtà non scarso uso. Altamente consapevole della propria scrittura e dunque ben conscio della contraddizione, Shakespeare evidenzia così, attraverso un meccanismo meta-poetico estremamente acuto imperniato su un sonetto il cui verso 9 – O let me, true in love, but truly write, “O fa che io, sincero in amore, sinceramente scriva” – pare quasi assumere una sfumatura autenticamente conativa, l’impossibilità di evitare un certo tipo di linguaggio falsificante rimanendo all’interno del paradigma poetico di riferimento. Un discorso simile può essere fatto per molti motivi cardine della tradizione petrarchista, che il poeta accoglie e sviluppa per poi mostrarcene, in controluce, i limiti. L’esplicita affermazione con cui, obbedendo tanto ai dettami neoplatonico-petrarchisti quanto alla morale comune, il poeta sancisce, nel famoso sonetto 20, l’impossibilità di un congiungimento carnale con il Fair Youth – dal momento che la Natura lo ha creato per il piacere delle donne, “Mio sarà il tuo amore, l’uso d’amore loro” (20, 14) – non ci impedisce ad esempio di cogliere la forte tensione erotica che palpita nell’immagine ambigua e intrigante del giovane master-mistress della sua passione, e nell’insistenza con cui, per vie allusive, egli pare concentrarsi sul suo organo genitale – Joseph Pequigney docet (Such Is My Love, 1985). Una tensione che vibra, nota di basso in una sinfonia di archi, in diversi componimenti dedicati al ragazzo da un poeta geloso, che si rigira tormentato nel letto finché, preda di rivelatrici fantasie notturne, non ne scorge l’immagine (27; 43). Similmente, l’assoluta superiorità dell’amato rispetto all’amante, altro assioma del paradigma petrarchista, viene esaltata dal poeta in maniera potremmo dire plateale. Troppo plateale. Facendo uso di un linguaggio cortese che ribadisce in modo tanto iperbolico da risultare ironico la sua subalternità rispetto al Fair Youth, il poeta afferma ad esempio di non osare indagare negli affari del suo “sovrano”, o rimproverargli le lunghe assenze che lo vedono impegnato a “far felici” altri: il suo amore è tale che non penserà male anche qualora egli facesse “qualunque cosa”, anything (57). Et voilà: un capolavoro di preterizione. Con mirabile leggerezza (non è Shakespeare Don Abbondio, da doverci spiegare a chiare lettere che “Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire”), il poeta punta il dito sull’ambiguità del comportamento dell’amato, che emerge proprio nel non detto, in ciò che egli (in teoria) “non osa” chiedere e pensare, cristallizzandosi in quell’anything finale che spalanca la prospettiva sull’infinità di azioni (né 1974
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NOTA INTRODUTTIVA
buone né caste, se ci fosse bisogno di chiarirlo) che l’amato compie quando è da lui lontano. Infine, anche le metafore possono nascondere insidie per quella rosa di bellezza che è il Fair Youth. Generalmente motore di una trasfigurazione glorificante del giovane, esse possono infatti anche ritorcerglisi contro, incrinare la sua perfezione insinuandovi un germe di male – “Le rose hanno spine, e fango le fonti d’argento, / Nubi ed eclissi oscurano luna e sole / E il verme orrendo vive nel dolce boccio” (35, 2-4) – e piegarsi, assumendo tinte fosche, nell’espressione di un monito tutt’altro che sorridente: Lilies that fester smell far worse than weeds, “Gigli che marciscono puzzano più delle erbacce” (94, 14). Insomma, il rapporto che il poeta instaura con la poesia petrarchista è un po’ quello (mi si passi il paragone, del resto ispirato dalla materia di cui ci occupiamo) di un amante scostante: egli concede con una mano e toglie con l’altra, gode della ricchezza del codice poetico di riferimento e allo stesso tempo ne prende le distanze, rimproverandone i limiti attraverso una serie di strategie e indizi più o meno velati, e tramite una riflessione meta-poetica che caratterizza profondamente la prima sezione del canzoniere, e che rappresenta uno dei livelli più complessi del confronto di Shakespeare con la tradizione lirica in cui si inserisce. Diversa è la relazione che il poeta istituisce con la tradizione petrarchista nella sezione dedicata alla Dark Lady: Shakespeare affronta ora la questione di petto, portando tutti quegli spunti discordanti espressi nella prima sequenza alle loro estreme conseguenze. In questo senso almeno, non si può che concordare con Joel Fineman, autore di uno degli studi più influenti e allo stesso tempo più dibattuti degli ultimi decenni, quando afferma che “molto di ciò che i sonetti al giovane fanno implicitamente è una preparazione per quello che i sonetti alla Dark Lady diranno poi esplicitamente, questi ultimi articolando così direttamente nel loro contenuto ciò che era indirettamente presente nella forma dei primi” (Shakespeare’s Perjured Eye, 1986). E tuttavia, occorre rifuggire da quell’opinione critica, ahimè piuttosto diffusa, che vorrebbe ridurre la seconda sequenza del canzoniere shakespeariano a mero esempio di inversione parodica del modello petrarchista, un’elaborata mock praise di una donna che, come scrive Duncan-Jones (1997), “non è giovane, né bella, intelligente, o casta”, dotata di un’orribile “carnagione torbida, di alito cattivo e di un incedere sgraziato”; una donna celebrata dal poeta “in termini arroganti, ingegnosamente offensivi tanto per lei quanto per 1975
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SONETTI
le donne in generale”, in accordo con la vena misogina presente in certa poesia del periodo. È la dama bruna di Shakespeare una caricatura, rovesciamento misogino di un ideale ormai frusto? Se lo fosse, sarebbe in buona (per modo di dire) compagnia. Espressione di una forma di antipetrarchismo dai toni apertamente parodici, satirici ed epigrammatici, donne di questo tipo affollavano in effetti la scena poetica europea. Donne come quella di Francesco Berni, dotata di “chiome d’argento fino, irte e attorte”, “fronte crespa”, storti “occhi di perle”, e “denti d’ebeno rari e pellegrini” (Rime, 1556); di Everard Guilpin, provvista di alito mefitico e di una notevole abilità nell’uso dello “strumento” che ha tra le gambe (Skialetheia, 1598); o di John Davies, “la più zozza sciacquetta / tra le artiste del puttaneggiare”, la cui “bellezza” si traduce in un occhio spento, un naso gobbo, denti marci e un viso pustoloso (Epigrammes, 1599?). I sonetti alla Dark Lady non appaiono però in alcun modo assimilabili a questi componimenti: la messa in questione degli assiomi alla base del paradigma poetico dominante non si risolve in un mero capovolgimento del modello, né è possibile identificare chiaramente quella vena umoristica che sarebbe secondo alcuni alla base della celebrazione satirica di una donna disprezzabile. Estremamente complessi, questi sonetti sono invece dominati da una riflessione profonda sulla natura umana, portata avanti intorno a una figura femminile che se certo non rispetta nessuna delle regole proprie del modello tradizionale, non si presenta però nemmeno come caricaturale “anti-bellezza”, rovesciamento stereotipato di un altrettanto stereotipato ideale. Ciò è evidente anche nel famoso sonetto 130, uno tra i più antologizzati dei componimenti di Shakespeare e quello che più di ogni altro si pone in diretto contrasto con la retorica celebrativa della poesia petrarchista. Se è infatti impossibile non riconoscere immediatamente la sorridente ironia che Shakespeare usa nei confronti delle più ricorrenti metafore di questa tradizione, è bene tuttavia notare con Kerrigan (1986) che questo “non è, come molti critici sembrano pensare, un mero esercizio antipetrarchista. Esso rifiuta di sottomettere la sua amata a una convenzione, se pure per inversione, e non somiglia a nessuno dei molti sonetti in scherno della donna scritti nel Rinascimento, poiché rifiuta di avallare la lode attraverso un’anti-lode”. Sono “torbide” le guance che non mostrano rose rosse e bianche, “cattivo” un alito meno delizioso di alcuni profumi, e “sgraziato” un passo non di dea? Ci permettiamo qui di dissentire da Katherine Duncan-Jones 1976
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NOTA INTRODUTTIVA
(la quale deve avere standard estetici ben alti), e diciamo di no. Il target della critica non è, evidentemente, l’amata, ma i paragoni iperbolici della lirica coeva, le cui convenzioni vengono ridicolizzate non per inversione, ma attraverso il confronto con la datità materica di un oggetto d’amore non idealizzato. In questo modo Shakespeare prende contemporaneamente posizione sia contro il modello petrarchista che contro quello più direttamente antipetrarchista, facendo della sua dama oscura una figura nuova, che nella sua umana imperfezione trova la cifra della sua unicità e del suo autentico valore: “Eppure, per il cielo, credo la mia amata tanto rara / quanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni” (130, 13-14). Il rifiuto della falsità implicita nell’elogio petrarchista, che era rimasto nei sonetti al Fair Youth solitaria enunciazione (e non è un caso che alcune delle metafore prese di mira nel sonetto 130 trionfino nella caratterizzazione del giovane) è portato alle sue estreme conseguenze nella sezione dedicata alla dama bruna. D’altra parte, se la natura esplicitamente erotica di molti di questi componimenti potrebbe suggerire una vicinanza a quella contro-corrente di poesia a sfondo misogino e osceno caratterizzata, come scrive Robert Matz (The World of Shakespeare’s Sonnets, 2008), dall’unione di una sessualità schietta e ribelle e di una spinta satirica volta a “denudare”, letteralmente e figurativamente, ogni sorta di idealizzazione, il tono del tutto diverso della poesia shakespeariana e la profonda e spesso tormentata riflessione sul desiderio che vi si esprime distanziano irrevocabilmente questi sonetti da una simile vena poetica, negando ogni possibilità di ridurre la complessa figura della dama bruna a un compendio di luoghi comuni misogini. In cosa risiede dunque il carattere innovativo della sequenza della Dark Lady? Questa poesia appare frutto di un’operazione di ripensamento che non si limita a coinvolgere gli aspetti più superficiali e facilmente attaccabili della tradizione petrarchista, ma va invece a scuoterne i fondamenti tanto estetici quanto fi losofici, prospettando l’avvento di un nuovo paradigma poetico basato su presupposti altri rispetto a quelli su cui si imperniava la sonettistica coeva. Un viaggio, quello che Shakespeare intraprende in questi sonetti, che trova il suo punto di partenza proprio in quella rivendicazione dell’imperfezione dell’amata affermata nel sonetto 130 e continuamente ribadita nel resto della sequenza. Il passaggio dall’idealizzata bellezza petrarchista – fonte di un’adorazione necessaria e universale che garantiva il carattere ontologico e oggettivo del valore 1977
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SONETTI
dell’oggetto d’amore – al corpo materico e imperfetto della Dark Lady implica a sua volta il passaggio da un amore impersonale per la Bellezza intesa in senso archetipico a un desiderio più autentico, se così si può dire, emergente quale frutto di una (se pure non urlata) scelta individuale: “alcuni dicono in buona fede / Che il tuo viso non può far sospirar d’amore. / A dire che sbagliano non arriva il mio ardire / Ma a me stesso soltanto io lo giuro […] Il tuo nero è bellissimo nel mio giudizio” (131, 5-12). Questa imperfezione acquisisce poi più profonde implicazioni nel momento in cui dal piano fisico invade quello morale. Ridendo della finta “colpa” delle dame petrarchiste, definite crudeli dai loro lamentosi innamorati in quanto tanto caste da non poter cedere alle loro amorose preghiere, la dama bruna di Shakespeare si presenta invece come “autenticamente” colpevole proprio perché dotata di un appetito sessuale irrefrenabile. Un appetito che, se da una parte è all’origine delle furiose invettive del poeta, che arriverà a definirla “una baia in cui stanno all’ancora tutti gli uomini” (137, 10), dall’altra si fa segno della sostanziale parità e ontologica affinità tra i due. Scendendo dalla torre d’avorio (se non addirittura dal cielo), dove la lirica tradizionale l’aveva elevata, questa donna, che non è certo un essere angelico ma neanche (vale la pena sottolinearlo) una grottesca diavolessa, condivide con il resto dell’umanità il peso del peccato, instaurando con il poeta un rapporto basato non più sull’alterità o sulla distanza, bensì su un’uguaglianza che li vede accomunati nella fragilità propria della natura umana. Il poeta abbandona così il “servizio d’amore” petrarchista e si riconosce peccatore in un modo nuovo, non ontologico ma “circostanziale”, scoprendo nel carattere specifico e concreto delle sue debolezze il punto di contatto con l’altrettanto colpevole sua amata. Un’identità che spiega almeno in parte il fascino che ella esercita sul poeta, il quale nell’oscurità di peccatrice di lei intravede la possibilità di essere finalmente accolto. E non a caso allora il pun che ammette la relazione sessuale tra i due – I lie with her, and she with me, “Io mento/giaccio con lei, e lei con me” (138, 13) – giunge alla fine di un sonetto che vede al suo centro la consapevole necessità di accettare le reciproche menzogne, riconoscendo implicitamente l’imperfezione come parte ineliminabile della natura di entrambi. Seguendo questa via, si arriva poi al cuore della rivoluzionaria riflessione che Shakespeare compie in questi sonetti, la quale trova il suo punto di fuoco in quella rivendicazione dell’aspetto carnale dell’amore che, come abbiamo visto 1978
Shakespeare IV.indb 1978
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NOTA INTRODUTTIVA
nella prima parte di questa introduzione, sostituisce al principio sostanzialmente dicotomico proprio del paradigma cristiano e neoplatonico alla base della lirica petrarchista un’idea di uomo e di mondo in cui corpo e spirito, bene e male, sbocciano incessantemente l’uno dall’altro. Così come il bianco dal nero. L’opposizione di Shakespeare al modello poetico tradizionale e ai suoi presupposti filosofici passa infatti anche per una rivoluzione luministico-cromatica che si concentra intorno al carattere principe della figura femminile del canzoniere: la sua darkness. Una scurezza dalle chiare valenze simboliche (e non, come vorrebbero alcuni critici ansiosi di trasportare i Sonnets sul terreno dei post-colonial studies, di matrice razziale) che la oppone alla fairness tanto del dedicatario della prima sequenza quanto di tutte le dame ideali della poesia petrarchista: creature fatte di luce, sulla cui pelle candida leggiamo il segno di una purezza intatta dall’oscurità della materia terrena. Questa darkness apre la sequenza alla dama bruna annunciando l’avvento di una nuova era poetica, che celebra il ritorno all’autenticità della creatura naturale rivendicando la densità materica del color nero in opposizione alla falsificazione “sbiancante” della retorica petrarchista, e si stende poi a tingere il discorso filosofico condotto dal poeta in questi sonetti, chiamando in causa il simbolismo proprio del paradigma alla base di questa retorica. Un paradigma fondato sull’opposizione gerarchicamente orientata dei piani materiale e spirituale dell’essere cui corrispondeva un universo cromatico egualmente contrastivo, incentrato sull’antagonismo del bianco e del nero, e sulla scala metaforica della luce. Confondendo la linea di confine tra fairness e darkness, due termini che continuamente in questi sonetti si scontrano e intrecciano in un paradosso dalle molteplici implicazioni, Shakespeare, che pure sembra non di rado rispettare i presupposti cromatici tradizionali, mette in realtà in crisi (in modo estremamente complesso e problematico) la dicotomia estetica ed etica che informava la poesia coeva così come il pensiero dominante di un’epoca tutta, ponendosi allo stesso tempo in sintonia con alcune delle voci, e dei pennelli, più innovativi e controversi del suo tempo. Pennelli come quello di Caravaggio, che “lasciava indietro l’Idea della bellezza, disposto a seguire del tutto la similitudine” (scriveva, non senza orrore, monsignor Agucchi nel frammento di un Trattato edito nel 1646), e nel cui eversivo tenebrismo, scontro a-gerarchico di chiari e d’oscuri, si scorgeva la coincidenza dei contrari propria di una visione del mondo in cui spirito e 1979
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SONETTI
materia partecipano l’uno dell’altra come la luce dell’ombra. Voci come quella di Giordano Bruno, per il quale la potenza divina, e la verità, sono da ricercarsi non nella luce della trascendenza ma nell’ombra del creato, ovvero nella “luce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quanto splende nelle tenebre” (De gli eroici furori, 1585). Così Shakespeare, nel linguaggio che gli è proprio, chiama in causa i fondamenti della lirica tradizionale anche attraverso la contemplazione di una darkness che si fa simbolo degli aspetti più innovativi non solo della figura femminile di questa sequenza, ma della poesia tutta che in essa si esprime. Perché, sembra dirci il poeta, è solo affondando nell’oscurità di una donna così lontana dalla luce dell’ideale, che la poesia può finalmente spingersi a indagare gli aspetti più profondi della natura umana, trovando così il suo nuovo e più autentico valore. Un cenno ad alcuni aspetti formali L’estrema originalità della raccolta di Shakespeare si esplica in una forma metrica che il poeta mantiene sostanzialmente inalterata rispetto al modello ereditato da Wyatt e Surrey, e usato dalla maggior parte dei poeti a lui contemporanei. Con l’eccezione del 99 (di quindici versi), 126 (di dodici versi organizzati in distici a rima baciata), e 145 (in tetrametri giambici), i sonetti di Shakespeare sono tutti sonetti “elisabettiani” (o “shakespeariani”), ovvero costituiti da quattordici versi in pentametri giambici articolati in tre quartine a rima alternata (ABAB CDCD EFEF) e un distico finale a rima baciata (GG). Evidentemente a suo agio e probabilmente stimolato, come molti prima di lui, dal confronto con una forma metrica così chiaramente codificata, il poeta non devia quasi mai da questo modello. Anche le strutture metrico-sintattiche non appaiono particolarmente complesse, caratterizzate dalla tendenza ad esprimere in ogni unità (quartine e distico) un distinto enunciato, e a far coincidere le pause di senso con quelle del verso. Così facendo, Shakespeare rende relativamente semplice seguire il discorso articolato nei suoi componimenti, permettendo al lettore di concentrarsi sulla complessità che caratterizza invece la sua poesia su altri livelli, primo fra tutti quello lessicale. Il poeta tende inoltre a rispettare la divisione tra ottava e sestina – propria della forma italiana del sonetto – facendola spesso combaciare con una pausa silenziosa o addirittura con la fine di un enunciato e l’inizio di un altro, e approfittando non di rado di questo passaggio per introdurre un 1980
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nuovo argomento, o una nuova immagine, che spinge avanti il discorso, acquisendo il carattere di una vera e propria svolta. D’altro canto, se è vero che Shakespeare non innova sostanzialmente forma e struttura metrica del sonetto, è altrettanto vero che, come sottolineato da Helen Vendler (1997), il poeta usa questa forma in modi complessi e inediti, articolando le quattro unità di cui essa è composta secondo una molteplicità di relazioni logiche, fondate su rapporti di successione, gerarchia, contrasto, analogia, contraddizione, crescita o decrescita di intensità, e molti altri ancora. La relazione che Shakespeare instaura tra le varie unità evidenzia inoltre la capacità del poeta di generare una dinamica evolutiva all’interno del sonetto, ogni quartina del quale rappresenta generalmente un’evoluzione nel pensiero dell’io lirico, che gradualmente acquisisce una maggiore e/o migliore comprensione della questione presentata in apertura. Il distico d’altra parte ha solitamente una funzione non di vera e propria risoluzione ma piuttosto di coda, legandosi al precedente argomento attraverso una grande varietà di relazioni (ad esempio come sua sintesi, espansione, negazione, o commento ironico), ma arrivando anche a presentare, in alcuni casi, un’enunciazione che non segue necessariamente, da un punto di vista logico, quanto lo precede (non a caso il distico shakespeariano è stato occasionalmente fonte di insoddisfazione per quei critici che individuano nella coerenza tematica e tonale uno dei requisiti della buona poesia). Questa indipendenza, se così si può definire, del distico – un’indipendenza che, come scriveva già Rosalie Colie (Shakespeare’s Living Art, 1974), permette il più delle volte di leggerlo come un epigramma a sé stante, anche quando è legato al resto da specifici nessi terminologici – non gli impedisce però di assumere un valore fondamentale nell’economia complessiva della composizione, la quale, muovendosi su un piano altro rispetto a quello del ragionamento logico puro e lineare, acquista di frequente il suo senso pieno solo retrospettivamente, alla luce di quanto espresso nei due versi finali e soprattutto del tono (spesso diverso rispetto a quello usato nelle quartine) in cui questo è formulato. Allargando lo sguardo oltre il singolo componimento, è possibile poi cogliere una serie di legami che arricchiscono la struttura dell’opera creando non solo cicli, ma coppie di sonetti connessi da rapporti di diversa natura. In particolare, alcuni componimenti sono legati da un criterio di somiglianza, come il 46 e il 47, accomunati dal concetto (tipicamente 1981
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petrarchista) del dibattitto tra occhi e cuore, o il 135 e il 136, entrambi fondati sul gioco di parole generato dalla polisemia del termine will, in cui convivono i significati di “volontà”, “desiderio erotico”, organo genitale maschile e femminile, nonché un’abbreviazione del nome proprio William, probabilmente un’allusione al poeta e forse anche a un ulteriore amante della Dark Lady. Altre coppie sono invece costituite da sonetti che si pongono tra loro in un rapporto sequenziale, di sviluppo, in cui cioè l’argomento del primo componimento è ripreso, espanso e/o rielaborato nel secondo. Un rapporto esplicitato nella maggior parte dei casi da un nesso terminologico, che instaura un legame logico tra il primo verso del secondo sonetto e il distico finale del primo: nessi quali then (5-6; 2728); thus (50-51; 67-68); e but (15-16; 73-74; 91-92). In diversi casi, il legame è in effetti tanto stretto che l’apertura del secondo sonetto (e spesso il sonetto tutto) non potrebbe essere capita appieno senza la conoscenza del primo: il riferimento agli elementi di acqua e terra intorno cui ruota il sonetto 44 è ad esempio necessario alla comprensione del 45, che si apre con: The other two, slight air and purging fire, “Gli altri due, l’aria leggera e il fuoco purificatore”. Attraverso questi legami, Shakespeare dona coesione alla sua raccolta poetica, restituendoci l’impressione di un’opera accuratamente studiata non solo a livello dei singoli componimenti, ma anche nella sua struttura generale, in quanto canzoniere. Prospettive critiche Per oltre un secolo dalla loro pubblicazione, i sonetti di Shakespeare sono rimasti pressoché ignorati da critici e lettori. A questo silenzio può forse aver contribuito l’impossibilità di accedere all’opera nella sua “versione originale” – intendendo con ciò l’in-quarto di Thorpe, di cui non si ebbe alcuna ulteriore edizione dopo quella del 1609 – ma soltanto nell’edizione approntata da John Benson nel 1640, che manipolava profondamente l’ordine e alcune caratteristiche dei sonetti e vi interpolava The Phoenix and Turtle, A Lover’s Complaint e l’intero The Passionate Pilgrime del 1612, oltre a componimenti di altri poeti. Sarà solo con le edizioni del 1780 e 1790 di Edmund Malone che il testo di Q si affermerà come base di tutte le successive edizioni dei Sonnets, insieme all’imponente apparato di note testuali e commenti critici che per la prima volta li accompagnava, conferendo alla raccolta un’autorità che mai aveva avuto fino a quel momento. Prospettando l’identificazione dell’io lirico con 1982
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quello storico del poeta, l’edizione di Malone dava sostanzialmente l’avvio a quella linea interpretativa di stampo biografico che tanto successo avrebbe avuto tra i poeti e i lettori romantici, creando però allo stesso tempo non pochi problemi a chi scorgeva in questo approccio il rischio di dover ammettere un’intollerabile immoralità nel comportamento del bardo nazionale – un rischio sfociato non di rado in giudizi anche molto negativi. L’approccio biografico, cristallizzabile nei famosi versi di Wordsworth citati in apertura di questa introduzione e reso popolare in Germania dai fratelli Schlegel, ha influenzato il panorama critico per tutto il diciannovesimo secolo e buona parte del ventesimo, spingendo gli studiosi alla ricerca dei “destinatari reali” e della “storia” dietro ai sonetti, con i risultati che abbiamo visto. Allo stesso tempo, resistenze ai presupposti di questo approccio si registrano fin dal suo avvento: resistenze in parte legate alle già menzionate problematiche di natura morale poste dall’identificazione dell’io lirico con quello storico, ma anche a ragioni logiche ed estetiche, connesse all’idea che Shakespeare fosse perfettamente capace di mantenere quel grado di distanza dall’esperienza personale proprio delle più alte forme d’arte, oppure fondate sulla messa in rilievo della convenzionalità di motivi e topoi presenti in questi sonetti, ottenuta tramite un confronto con la tradizione petrarchista europea. Alla fine del diciannovesimo secolo, il dibattito che opponeva la teoria biografica a quella anti-biografica iniziava a perdere progressivamente di forza, mentre un numero sempre maggiore di critici assumeva al riguardo una posizione che si può definire agnostica: senza necessariamente approvare o negare l’elemento biografico, essi sostenevano cioè l’essenziale irrilevanza dello stesso al fine dell’apprezzamento e della comprensione profonda dei sonetti, la cui meraviglia, scriveva George Wyndham (1898), risiede non negli eventi della vita del poeta, ma nell’arte della sua poesia e nella perfetta esecuzione della sua melodia verbale. È su questa linea interpretativa di matrice formalista che si porranno i rappresentanti del New Criticism, autori di studi volti a comprendere, attraverso le tecniche del close reading, i meccanismi secondo cui i sonetti funzionano in quanto poesia, facendo luce sui nessi tra forma e significato. Studi su cui spiccano le famose esplorazioni dell’ambiguità del linguaggio condotte da William Empson (1930, 1935), ma anche i lavori di Winifred Nowottny (1952), Samuel Levin (1964), Arthur Mizener (1949) e (se pure caratterizzati da un approccio più tematico) George Wilson Knight (1955). Pro1983
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tagonista del panorama critico per i primi sessanta anni del Novecento, questo approccio ha continuato a produrre risultati anche negli anni a seguire. Così ad esempio il famoso saggio di Stephen Booth, An Essay on Shakespeare’s Sonnets (1969), e la sua edizione dei sonetti (1977), si volgono all’esplorazione dell’instabilità del linguaggio e dei “processi attraverso cui i significati fondamentali delle parole e delle frasi e i contesti che portano con loro si legano, intrecciano, fondono, e confliggono nella complessità potenzialmente frastornante da cui emerge la sensazione di semplicità sperimentata dal lettore”. Un approccio di tipo formale, sostanzialmente linguistico, strutturale e semiotico, caratterizza anche il lavoro di alcuni tra i più acuti interpreti italiani dei sonetti shakespeariani, Giorgio Melchiori (1964, 1973) e Alessandro Serpieri (1975, 1991, 2015), il quale, nel celebre saggio I sonetti dell’immortalità, indaga il complesso discorso meta-poetico shakespeariano sulla natura dell’arte alla luce del tessuto retorico e linguistico che sostiene le liriche. Almeno in parte riconducibile a questo approccio risulta poi essere anche il lavoro di Dario Calimani (2009), incentrato sull’analisi dell’ironia strutturale dei sonetti e sulla loro essenziale ambiguità, prodotta, oltre che dall’ironia dei messaggi, da elementi quali la sintassi, il vocabolario, la grafia, e la punteggiatura del testo. D’altro canto, di stampo squisitamente estetico è l’approccio di un’altra finissima lettrice di queste litiche, Helen Vendler (1997), la quale prende drasticamente le distanze dalla critica socio-psicologica e psicoanalitica per concentrarsi invece sulle modalità di composizione dei sonetti e sulle strategie usate dal poeta per dare forma al sentimento. Naturalmente, questo non è l’unico tipo di chiave con cui i sonetti sono stati investigati negli ultimi decenni, che hanno visto invece l’affermarsi di una serie di approcci di matrice sostanzialmente storicistica. Approcci che, pur lontani dall’impostazione biografica, rivendicano un’attenzione al contesto storico-sociale generalmente trascurata dagli studi di orientamento formalista. Il New Historicism o Poetics of Culture di Stephen Greenblatt, fondato sul presupposto che la creazione di opere d’arte sia di per sé una pratica sociale e teso a rivelare la relazione tra i testi e il loro contesto nell’ottica della circolazione di quella che il critico chiama “energia sociale”, ha esercitato in questo senso una grande influenza nel panorama degli studi shakespeariani. L’attenzione al rapporto tra i sonetti e il loro contesto storico-sociale è stata declinata secondo diverse prospettive. Alcuni critici, tra cui Margreta de Grazia (1994), Kim Hall 1984
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(1995), Marvin Hunt (2000), e Sujata Iyengar (2005), hanno ad esempio esplorato l’opera alla luce di questioni socio-razziali, mentre altri, come Arthur Marotti (1982) e Alvin Kernan (1995), hanno indagato i sonetti nell’ottica socio-politica del sistema di mecenatismo elisabettiano e giacomiano. Le implicazioni specificamente economiche delle liriche shakespeariane sono state invece oggetto di studio all’interno del filone del New Economic Criticism, incentrato sull’analisi delle modalità attraverso cui la letteratura ha riflesso e allo stesso tempo è stata plasmata dalle correnti e dal pensiero economico di una determinata epoca. Un approccio applicato ai sonetti da vari critici, tra cui Thomas Greene (1985), Peter C. Herman (1999) e David Hawkes (2000). Particolarmente influente nel panorama degli ultimi decenni è poi quel filone critico volto all’esplorazione del rapporto tra i sonetti e le idee (rinascimentali ma anche contemporanee) sulle differenze di genere. Studi che leggono le liriche shakespeariane in chiave omosessuale e bisessuale, come quelli di Eve Sedgwick (1985), Jospeh Pequigney (1985), Bruce R. Smith (1991) e Marjorie Garber (1991), o in un’ottica prettamente femminista, fino alla Queer Theory, che ha portato alla pubblicazione, nel 2011, del volume Shakesqueer. D’altra parte, studi di impostazione più spiccatamente psicoanalitica hanno pure rivestito una certa importanza nel panorama critico degli ultimi decenni, primo fra tutti il celebre e molto discusso lavoro di Joel Fineman, Shakespeare’s Perjured Eye (1986), che applica ai sonetti la teoria lacaniana per giungere alla definizione di una nuova soggettività poetica. Infine, un tipo di approccio di derivazione almeno in parte storicistica caratterizza anche i lavori di Lisa Freinkel (2002), interessata a esplorare il rapporto tra i sonetti di Shakespeare e i paradigmi teologici che li informano, Robert Matz (2008), teso a “comprendere i sonetti nel loro tempo, come inquieta espressione dell’inquieta cultura rinascimentale inglese”, e Michael Schoenfeldt (2007), il quale, mosso dalla volontà di conciliare la prospettiva estetica con quella storico-sociale, afferma che “il nostro apprezzamento della perfezione estetica dei sonetti è esaltato dalla nostra attenzione all’astuta trasmutazione che questi componimenti compiono del materiale sociale, storico e psicologico”. La molteplicità di approcci attraverso cui i sonetti di Shakespeare sono stati e continuano a essere indagati – una molteplicità volutamente riflessa nelle principali companions dedicate all’opera, tra cui spiccano quelle 1985
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curate da James Schiffer (1999) e Michael Shoenfeldt (2007) – rivela l’inesauribile fecondità di queste liriche, la cui complessità e profondità si apre a un numero pressoché infinito di possibili letture. Letture che illuminano di volta in volta alcune delle molte facce di quest’opera, un diamante che preserva però sempre intatto un cuore inafferrabile di mistero. CAMILLA CAPORICCI
R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Tra le più affidabili edizioni inglesi e americane, sono da segnalare quelle a cura di: H. F. ROLLINS, Lippincott, 1944; W. G. INGRAM E T. R EDPATH, Hodder and Stoughton, 1964; S. BOOTH, Yale U. P., 1977; S. WELLS, Oxford U. P., 1985; J. KERRIGAN, Penguin, 1986; K. DUNCAN-JONES, Arden, 1997; H. VENDLER, Harvard U. P., 1999; C. BURROW, Oxford U. P., 2002; B. A. MOWAT e P. WERSTINE, Washington Square Press New Folger edition, 2004; M. PFISTER e J. GUTSCH, Signathur, 2009; J. BATE e E. R ASMUSSEN, Macmillan, 2009. Tra le edizioni e traduzioni italiane, segnaliamo quelle di: G. MELCHIORI, Adriatica, 1964; A. ROSSI e G. MELCHIORI, Einaudi, 1965; G. BALDINI, Feltrinelli, 1965; M. A. MARELLI (con introduzione di R. RUTELLI), Garzanti, 1986; A. SERPIERI, Rizzoli, 1991; T. PISANTI, Salerno, 1996; E. CHINOL, Laterza, 1996; R. PIUMINI, Bompiani, 1999; R. SANESI, Mondadori, 2000; L. GALZIGNA, CLEUP, 2006. W. H. AUDEN, “The Dyer’s Hand” and Other Essays, New York, Viking, 1968; T. W. BALDWIN, On the Literary Genetics of Shakespeare’s Poems and Sonnets, Urbana, U. of Illinois P., 1950; I. BELL,“‘That which thou hast done’. Shakespeare’s Sonnets and A Lover’s Complaint”, in J. SCHIFFER (cur.), Shakespeare’s Sonnets. Critical Essays, New York-London, Garland, 1999; S. BIGLIAZZI, “Figure oniriche della lontananza nei sonetti di Shakespeare”, Memoria di Shakespeare 7 (2009); J. BOADEN, On the Sonnets of Shakespeare, London, T. Rodd, 1837; S. BOOTH, An Essay on Shakespeare’s Sonnets, New Haven, Yale U. P., 1969; D. CALIMANI, William Shakespeare: i sonetti della menzogna, Roma, Carocci, 2009; D. CALLAGHAN, Shakespeare’s Sonnets, Oxford, Blackwell, 2007; R. CAMERLINGO, “Dark Ladies: 1986
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1989
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SONNETS
1 From fairest creatures we desire increase, That thereby beauty’s rose might never die, But as the riper should by time decease, His tender heir might bear his memory; But thou, contracted to thine own bright eyes, Feed’st thy light’s flame with self-substantial fuel, Making a famine where abundance lies, Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel. Thou that art now the world’s fresh ornament And only herald to the gaudy spring Within thine own bud buriest thy content, And, tender churl, mak’st waste in niggarding. Pity the world, or else this glutton be: To eat the world’s due, by the grave and thee.
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1990
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SONETTI
1 Chiediamo eredi al meglio del creato, ché rosa di bellezza mai non muoia, ma, quando il fiore sarà declinato, un dolce figlio ne porti memoria. Ma tu, solo ai tuoi occhi chiari amico, nella tua stessa luce stai bruciando, da abbondanza miseria vai creando, crudele verso te, sei il tuo nemico. Tu che del mondo sei il fresco ornamento, il grande araldo della primavera, il seme dentro te stai seppellendo e, dolce avaro, è una perdita vera. Abbi pietà, oppure sarai ingordo da divorare quanto devi al mondo.
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SONNETS, 2-3
2 When forty winters shall besiege thy brow And dig deep trenches in thy beauty’s field, Thy youth’s proud livery, so gazed on now, Will be a tattered weed, of small worth held. Then being asked where all thy beauty lies, Where all the treasure of thy lusty days, To say within thine own deep-sunken eyes Were an all-eating shame and thriftless praise. How much more praise deserved thy beauty’s use If thou couldst answer ‘This fair child of mine Shall sum my count, and make my old excuse’, Proving his beauty by succession thine. This were to be new made when thou art old, And see thy blood warm when thou feel’st it cold.
5
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3 Look in thy glass, and tell the face thou viewest Now is the time that face should form another, Whose fresh repair if now thou not renewest Thou dost beguile the world, unbless some mother. For where is she so fair whose uneared womb Disdains the tillage of thy husbandry? Or who is he so fond will be the tomb Of his self-love to stop posterity? Thou art thy mother’s glass, and she in thee Calls back the lovely April of her prime; So thou through windows of thine age shall see, Despite of wrinkles, this thy golden time. But if thou live remembered not to be, Die single, and thine image dies with thee.
5
10
1992
Shakespeare IV.indb 1992
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 2-3
2 Quando quaranta inverni avrai affrontato, e avrai trincee profonde nel bel viso, di giovinezza l’abito ammirato, prima superbo, sarà straccio liso. A chi ti chiederà poi dov’è il pieno della bellezza e i gran giorni che avesti sarà vergogna e un elogio in meno rispondere “Sono in questi occhi pesti”. Che lodi a un miglior uso di beltà se tu potessi dire “Ho una creatura a ripagare i conti e la mia età”, mostrando una bellezza di natura. Saresti, anche da vecchio, nuovo e saldo, e il sangue freddo tuo vedresti caldo.
3 Va’ allo specchio, di’ al viso che vi trovi che ora è ormai di diventare padre, che se la sua freschezza non rinnovi inganni il mondo e priverai una madre. Che terra vergine di donna pura rifiuterebbe mai la tua aratura? Quale sciocco si vorrà seppellire in se stesso, senza figli a venire? Tu per tua madre sei come uno specchio, lei si rivede in dolce primavera, così un giorno i tempi d’oro, pur da vecchio, vedrai anche tu dai vetri della sera. Ma se non vivi per vita futura muori solo, e con te la tua figura.
1993
Shakespeare IV.indb 1993
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 4-5
4 Unthrifty loveliness, why dost thou spend Upon thyself thy beauty’s legacy? Nature’s bequest gives nothing, but doth lend, And being frank, she lends to those are free. Then, beauteous niggard, why dost thou abuse The bounteous largess given thee to give? Profitless usurer, why dost thou use So great a sum of sums yet canst not live? For having traffic with thyself alone, Thou of thyself thy sweet self dost deceive. Then how when nature calls thee to be gone: What acceptable audit canst thou leave? Thy unused beauty must be tombed with thee, Which usèd, lives th’executor to be.
5
10
5 Those hours that with gentle work did frame The lovely gaze where every eye doth dwell Will play the tyrants to the very same, And that unfair which fairly doth excel; For never-resting time leads summer on To hideous winter, and confounds him there, Sap checked with frost, and lusty leaves quite gone, Beauty o’er-snowed, and bareness everywhere. Then were not summer’s distillation left A liquid prisoner pent in walls of glass, Beauty’s effect with beauty were bereft, Nor it nor no remembrance what it was. But flowers distilled, though they with winter meet, Lose but their show; their substance still lives sweet.
5
10
1994
Shakespeare IV.indb 1994
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 4-5
4 Che leggero sprecone, perché usi solo per te bellezze regalate? Sono in prestito i doni di natura che, generosa, presta ai generosi. Perché tu, bell’avaro, invece abusi di ricche cose che vanno ridate? Perché, senza guadagno dall’usura, non vivi dei tuoi beni favolosi? Stai solo con te stesso a trafficare, la dolce tua persona vuoi ingannare. Ma, se natura poi verrà a chiamarti, quale bilancio tu potrai lasciarci? La bellezza non usata morirà, se la usi sarà viva eredità.
5 Le stesse ore gentili che ti han dato dolci forme che agli occhi fanno gola saranno dure col loro operato e abbruttiranno quel che adesso vola. Senza riposo il tempo spinge estate verso l’odioso inverno e poi l’affonda; linfa al gelo, la viva foglia cade e il bello ha nella neve la sua tomba. Se non vi fosse estate distillata, liquida nel vetro imprigionata, ogni bellezza in sé si perderebbe e nemmeno un ricordo rimarrebbe. Ma un fiore distillato non va in fumo: si disfa al freddo, poi vive in profumo.
1995
Shakespeare IV.indb 1995
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 6-7
6 Then let not winter’s ragged hand deface In thee thy summer ere thou be distilled. Make sweet some vial, treasure thou some place With beauty’s treasure ere it be self-killed. That use is not forbidden usury Which happies those that pay the willing loan: That’s for thyself to breed another thee, Or ten times happier, be it ten for one; Ten times thyself were happier than thou art, If ten of thine ten times refigured thee. Then what could death do if thou shouldst depart, Leaving thee living in posterity? Be not self-willed, for thou art much too fair To be death’s conquest and make worms thine heir.
5
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7 Lo, in the orient when the gracious light Lifts up his burning head, each under eye Doth homage to his new-appearing sight, Serving with looks his sacred majesty, And having climbed the steep-up heavenly hill, Resembling strong youth in his middle age, Yet mortal looks adore his beauty still, Attending on his golden pilgrimage. But when from highmost pitch, with weary car, Like feeble age he reeleth from the day, The eyes, ’fore duteous, now converted are From his low tract, and look another way. So thou, thyself outgoing in thy noon, Unlocked on diest unless thou get a son.
5
10
1996
Shakespeare IV.indb 1996
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 6-7
6 Che non devasti l’inverno pezzente l’estate in te, se non hai un distillato. Dolcisci fiale, un luogo fai splendente col tuo tesoro prima che sia andato. Non è reato il prestito ad usura che fa felice chi paga interesse, così per te avere una creatura, per dieci, se uno il dieci ti rendesse: saresti dieci volte più appagato con dieci figli e dieci volte tu. Se lasciassi un te vivente nel creato, quale potere morte avrebbe più? Egoista, troppa bellezza hai in sorte per darla ai vermi e cedere alla morte.
7 Guarda, lì a oriente il grazioso sole alza il capo di fuoco, e ogni occhio vuole rendere omaggio al suo nuovo apparire, servirlo come un re e lo va a seguire; poi, fatti i colli ripidi del cielo, come una giovinezza nel suo pieno, io sono qui mortale che lo adoro, scortandolo nel suo cammino d’oro. Quando col carro, a fine di scalata, smonta, invecchiato, giù dalla giornata, gli occhi devoti ora lo lasceranno al tramontare suo, e altrove andranno. Così anche tu, vissuto tutto il meglio, sarai dimenticato senza un figlio.
1997
Shakespeare IV.indb 1997
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 8-9
8 Music to hear, why hear’st thou music sadly? Sweets with sweets war not, joy delights in joy. Why lov’st thou that which thou receiv’st not gladly, Or else receiv’st with pleasure thine annoy? If the true concord of well-tunèd sounds By unions married do offend thine ear, They do but sweetly chide thee, who confounds In singleness the parts that thou shouldst bear. Mark how one string, sweet husband to another, Strikes each in each by mutual ordering, Resembling sire and child and happy mother, Who all in one one pleasing note do sing; Whose speechless song, being many, seeming one, Sings this to thee: ‘Thou single wilt prove none.’
5
10
9 Is it for fear to wet a widow’s eye That thou consum’st thyself in single life? Ah, if thou issueless shalt hap to die, The world will wail thee like a makeless wife. The world will be thy widow, and still weep That thou no form of thee hast left behind, When every private widow well may keep By children’s eyes her husband’s shape in mind. Look what an unthrift in the world doth spend Shifts but his place, for still the world enjoys it; But beauty’s waste hath in the world an end, And kept unused, the user so destroys it. No love toward others in that bosom sits That on himself such murd’rous shame commits.
5
10
1998
Shakespeare IV.indb 1998
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 8-9
8 Musica sei, ma il suono ti dispiace? Dolce con dolce, gioia va con gioia. Perché l’ascolti se però ti annoia, o essere annoiato un po’ ti piace? Se all’armonia di due sposate note in un perfetto accordo tu ti offendi, gentilmente ti accusano che spendi in un assolo tutta la tua dote. Ogni corda, dell’altra dolce sposa, vibra con quella in rispondenza mutua: son padre e figlio e madre in una cosa, che cantano la stessa dolce nota. È una canzone muta, tutti in uno, che canta “Solo, non sarai nessuno”.
9 È per paura di bagnare gli occhi a una vedova che finisci solo? Morire senza figli non ti tocchi, pianto come da moglie senza sposo. Il mondo in lutto vorrà lamentare che tu non hai lasciato il tuo stampiglio, mentre ogni vedova può ritrovare il marito negli occhi di suo figlio. Tutto ciò che scialacqui in una vita cambia di posto e c’è chi ne godrà; la bellezza sprecata poi è finita, e, non usata, si distruggerà. Non c’è amore per altri nel tuo cuore, se commetterai un tale disonore.
1999
Shakespeare IV.indb 1999
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 10-11
10 For shame deny that thou bear’st love to any, Who for thyself art so unproyident. Grant, if thou wilt, thou art beloved of many, But that thou none lov’st is most evident; For thou art so possessed with murd’rous hate That ’gainst thyself thou stick’st not to conspire, Seeking that beauteous roof to ruinate Which to repair should be thy chief desire. O, change thy thought, that I may change my mind! Shall hate be fairer lodged than gentle love? Be as thy presence is, gracious and kind, Or to thyself at least kind-hearted prove. Make thee another self for love of me, That beauty still may live in thine or thee.
5
10
11 As fast as thou shalt wane, so fast thou grow’st In one of thine from that which thou departest, And that fresh blood which youngly thou bestow’st Thou mayst call thine when thou from youth convertest. Herein lives wisdom, beauty, and increase; Without this, folly, age, and cold decay. If all were minded so, the times should cease, And threescore year would make the world away. Let those whom nature hath not made for store, Harsh, featureless, and rude, barrenly perish. Look whom she best endowed she gave the more, Which bounteous gift thou shouldst in bounty cherish. She carved thee for her seal, and meant thereby Thou shouldst print more, not let that copy die.
5
10
2000
Shakespeare IV.indb 2000
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 10-11
10 Vergogna, non dare amore a alcuno, se per te stesso sei sconsiderato. Ammettiamo tu sia da molti amato, ma sia chiaro che non ami nessuno. Ti possiede un tale odio tremendo che anche contro te stesso sai tramare, rovinando un palazzo che è stupendo e che dovresti invece rinforzare. Tu cambia idea e io cambierò tono! L’odio avrà miglior casa dell’amore? Sii, visto che lo sei, grazioso e buono, o prova almeno a te il tuo grande cuore. Datti per amor mio una nuova razza, e, in te o nei tuoi, eterna avrai bellezza.
11 Rapido muori, rapido rinasci in un figlio da tutto ciò che lasci, e il sangue giovane che volesti offrire, da vecchio, ancora tuo lo potrai dire. Qui c’è senno, bellezza, c’è abbondanza, senza è follia, vecchiaia e decadenza. Si fermerebbe il tempo in un secondo e in sessant’anni finirebbe il mondo. Sterile muoia, deforme e senza grazia, chi natura non volle a fare razza. A te di più e di meglio volle dare, è un dono che dovresti coltivare. Quella t’impresse come suo sigillo da imprimere, non perderne il modello.
2001
Shakespeare IV.indb 2001
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 12-13
12 When I do count the clock that tells the time, And see the brave day sunk in hideous night; When I behold the violet past prime, And sable curls ensilvered o’er with white; When lofty trees I see barren of leaves, Which erst from heat did canopy the herd, And summer’s green all girded up in sheaves Borne on the bier with white and bristly beard: Then of thy beauty do I question make That thou among the wastes of time must go, Since sweets and beauties do themselves forsake, And die as fast as they see others grow; And nothing ’gainst time’s scythe can make defence Save breed to brave him when he takes thee hence.
5
10
13 O that you were yourself! But, love, you are No longer yours than you yourself here live. Against this coming end you should prepare, And your sweet semblance to some other give. So should that beauty which you hold in lease Find no determination; then you were Yourself again after your self’s decease, When your sweet issue your sweet form should bear. Who lets so fair a house fall to decay, Which husbandry in honour might uphold Against the stormy gusts of winter’s day, And barren rage of death’s eternal cold? O, none but unthrifts, dear my love, you know. You had a father; let your son say so.
5
10
2002
Shakespeare IV.indb 2002
30/11/2018 09:34:08
SONETTI, 12-13
12 Se vedo l’orologio dirmi le ore, o il giorno spento nella notte scura; o se trovo la viola non più in fiore, o nei riccioli un’argentatura; se spogli vedo gli alberi perfetti che dal caldo fecero tetti ai bovi, e il verde dell’estate in fasci stretti portato via sui carri insieme ai rovi, la tua bellezza mi fa interrogare: nei rifiuti del tempo dovrai andare, se i dolci incanti muoiono veloci mentre veloci altri son cresciuti. Dalla falce del tempo può salvarti solo un figlio, quando verrà a cercarti.
13 Oh fossi tuo! Ma, amore, non sei tu tuo più degli anni che vivrai quaggiù. Dovresti prepararti a questa fine, e a un altro il dolce viso trasferire. Così quella bellezza che hai in affitto potrebbe perdurare e tu tornare, dopo la morte, per resuscitare in una bella prole col tuo aspetto. Chi lascerebbe andare allo sfacelo la bella casa, quando un buongoverno la curerebbe per il freddo inverno, per l’odio ingrato della morte e il gelo? Soltanto uno sprecone, amore mio. Hai avuto un padre, dàllo a un figlio tuo.
2003
Shakespeare IV.indb 2003
30/11/2018 09:34:08
SONNETS, 14-15
14 Not from the stars do I my judgement pluck, And yet methinks I have astronomy; But not to tell of good or evil luck, Of plagues, of dearths, or seasons’ quality. Nor can I fortune to brief minutes tell, ’Pointing to each his thunder, rain, and wind, Or say with princes if it shall go well By oft predict that I in heaven find; But from thine eyes my knowledge I derive, And, constant stars, in them I read such art As truth and beauty shall together thrive If from thyself to store thou wouldst convert. Or else of thee this I prognosticate: Thy end is truth’s and beauty’s doom and date.
5
10
15 When I consider every thing that grows Holds in perfection but a little moment, That this huge stage presenteth naught but shows Whereon the stars in secret influence comment; When I perceive that men as plants increase, Cheerèd and checked even by the selfsame sky; Vaunt in their youthful sap, at height decrease, And wear their brave state out of memory: Then the conceit of this inconstant stay Sets you most rich in youth before my sight, Where wasteful time debateth with decay To change your day of youth to sullied night; And all in war with time for love of you, As he takes from you, I engraft you new.
5
10
2004
Shakespeare IV.indb 2004
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 14-15
14 Non dalle stelle traggo il mio giudizio, anche se un po’ ne so di astrologia, ma non per divinare o avere indizio su stagioni, su febbri o carestia; né predìco agli attimi fuggenti, a ognuno tuoni, temporali o venti, né la fortuna ai principi rivelo grazie ai suggerimenti che ho dal cielo; ma dai tuoi occhi traggo il mio sapere, son stelle fisse in cui posso ammirare verità con bellezza andare insieme se tu altra vita vorrai generare. O, alla tua morte, ti posso predire, verità con bellezza avranno fine.
15 Se penso che ogni cosa di natura resta perfetta solo brevi istanti, che sulla scena siamo figuranti a cui le stelle fanno una fattura; che le creature sono come erbe a cui un cielo dà e toglie rigoglio, dimenticando ogni passato orgoglio, si fanno marce, ed erano superbe: il pensiero dell’incostante sorte al primo sguardo ti offre giovinetto, mentre poi il tempo vuole con la morte dare ai tuoi freschi giorni un freddo letto. Faccio la guerra al tempo per tuo amore: più lui ti strappa, io più ripianto il fiore.
2005
Shakespeare IV.indb 2005
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 16-17
16 But wherefore do not you a mightier way Make war upon this bloody tyrant, time, And fortify yourself in your decay With means more blessèd than my barren rhyme? Now stand you on the top of happy hours, And many maiden gardens yet unset With virtuous wish would bear your living flowers, Much liker than your painted counterfeit. So should the lines of life that life repair Which this time’s pencil or my pupil pen Neither in inward worth nor outward fair Can make you live yourself in eyes of men. To give away yourself keeps yourself still, And you must live drawn by your own sweet skill.
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10
17 Who will believe my verse in time to come If it were filled with your most high deserts? — Though yet, heaven knows, it is but as a tomb Which hides your life, and shows not half your parts. If I could write the beauty of your eyes And in fresh numbers number all your graces, The age to come would say ‘This poet lies; Such heavenly touches ne’er touched earthly faces.’ So should my papers, yellowed with their age, Be scorned, like old men of less truth than tongue, And your true rights be termed a poet’s rage And stretchèd metre of an antique song. But were some child of yours alive that time, ou should live twice: in it, and in my rhyme.
5
10
2006
Shakespeare IV.indb 2006
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 16-17
16 Non trovi un modo tu più poderoso di fare guerra al tempo sanguinoso, di darti forza, se forza declina, con altro e non questa mia vuota rima? Ora che vivi gli anni tuoi migliori, più di un giardino vergine e intatto con purità vorrebbe in sé i tuoi fiori rassomiglianti a te più di un ritratto. Darebbero altra vita alla tua vita, che, piena di virtù sia dentro e fuori, né io né il tempo con la sua matita sapremmo dire ad uomini futuri. E vivrai, se anche darti è conservarti, fatto dalle tue stesse dolci arti.
17 Chi crederebbe un giorno al verso mio troppo ricco delle alte tue proprietà? In verità è una tomba, e lo sa Dio, ti nasconde e non dice che metà. Se dessi la bellezza a quel tuo sguardo e a tutte le tue grazie un nome nuovo, direbbero domani “Che bugiardo: tratti divini sono, non di uomo”. E questi fogli, gialli per l’età, sarebbero derisi, ciarlatani, versi ad effetto per dei canti arcani, furor poetico le tue qualità. Metti che invece un figlio tuo ci sia, vivresti in due: in lui e nella poesia.
2007
Shakespeare IV.indb 2007
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 18-19
18 Shall I compare thee to a summer’s day? Thou art more lovely and more temperate. Rough winds do shake the darling buds of May, And summer’s lease hath all too short a date. Sometime too hot the eye of heaven shines, And often is his gold complexion dimmed, And every fair from fair sometime declines, By chance or nature’s changing course untrimmed; But thy eternal summer shall not fade Nor lose possession of that fair thou ow’st, Nor shall death brag thou wander’st in his shade When in eternal lines to time thou grow’st. So long as men can breathe or eyes can see, So long lives this, and this gives life to thee.
5
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19 Devouring time, blunt thou the lion’s paws, And make the earth devour her own sweet brood; Pluck the keen teeth from the fierce tiger’s jaws, And burn the long-lived phoenix in her blood. Make glad and sorry seasons as thou fleet’st And do whate’er thou wilt, swift-footed time, To the wide world and all her fading sweets. But I forbid thee one most heinous crime: O, carve not with thy hours my love’s fair brow, Nor draw no lines there with thine antique pen. Him in thy course untainted do allow For beauty’s pattern to succeeding men. Yet do thy worst, old time; despite thy wrong My love shall in my verse ever live young.
5
10
2008
Shakespeare IV.indb 2008
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 18-19
18 Dovrei dire che sei un giorno d’estate? Tu sei molto più amabile e più lieve. Le gemme in maggio al vento van sciupate, e il corso dell’estate è tanto breve. L’occhio del cielo a volte scotta alto che spesso quel suo oro vedi a stento, e qualsiasi bellezza perde smalto per caso o naturale mutamento; ma la tua eterna estate non sfiorisce e mai tu perderai la tua armonia; all’ombra della morte non svanisce chi sopravvive nella mia poesia. E, finché esisteranno occhi e sospiro, tu vivo in questi versi avrai respiro.
19 Tempo, divora al leone gli artigli, fa’ che la terra mangi i dolci figli, fiere zanne alla tigre va’ strappare, nel sangue la fenice va’ a bruciare. Nel volgere di mesi cupi o lievi, tempo che fuggi, fa’ quello che devi al mondo, a ogni suo breve godimento. Ma c’è un delitto che non ti consento: non segnerai la fronte del mio amato, dalla tua penna lui non sia toccato. La sua bellezza, e tu farai che duri, sarà modello agli uomini futuri. O scatènati, e sia quello che sia: lui sarà eterno nella mia poesia.
2009
Shakespeare IV.indb 2009
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 20-21
20 A woman’s face with nature’s own hand painted Hast thou, the master-mistress of my passion; A woman’s gentle heart, but not acquainted With shifting change as is false women’s fashion; An eye more bright than theirs, less false in rolling, Gilding the object whereupon it gazeth; A man in hue, all hues in his controlling, Which steals men’s eyes and women’s souls amazeth. And for a woman wert thou first created, Till nature as she wrought thee fell a-doting, And by addition me of thee defeated By adding one thing to my purpose nothing. But since she pricked thee out for women’s pleasure, Mine be thy love and thy love’s use their treasure.
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21 So is it not with me as with that muse Stirred by a painted beauty to his verse, Who heaven itself for ornament doth use, And every fair with his fair doth rehearse, Making a couplement of proud compare With sun and moon, with earth, and sea’s rich gems, With April’s first-born flowers, and all things rare That heaven’s air in this huge rondure hems. O let me, true in love, but truly write, And then believe me my love is as fair As any mother’s child, though not so bright As those gold candles fixed in heaven’s air. Let them say more that like of hearsay well; I will not praise that purpose not to sell.
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10
2010
Shakespeare IV.indb 2010
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 20-21
20 Donna in viso ti dipinse natura, sire-signora della mia passione, che non conosce, cuor di donna pura, l’incostanza di donne assai comune; l’occhio hai più chiaro, meno insidioso, e lì dove si posa fa prezioso; uomo all’aspetto, ma di molte forme, rubi ai maschi gli occhi, cuore alle donne. Per essere fanciulla fosti fatto, ma natura, nel farti, perse il senno e ti rubò da me dandoti un tratto che non ha scopo per il mio disegno. Se ti fece per donne gran tesoro, vada il tuo amore a me, il piacere a loro.
21 La mia è diversa, non è quella musa mossa ai versi da dipinta bellezza, che per decoro il cielo stesso abusa, e accosta il suo amato a ogni grandezza, e audace vuole metterlo a confronto con sole, luna, gemme in terra e mare, fiori in aprile, e con le cose rare nella volta di questo firmamento. Se in amore e in poesia il vero onoro, il mio amore è una cosa tanto bella come un figlio di madre, ma non brilla quanto nel cielo affissi i lumi d’oro. Dicano altri più, io non mi spendo in lodi per qualcuno che non vendo.
2011
Shakespeare IV.indb 2011
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 22-23
22 My glass shall not persuade me I am old So long as youth and thou are of one date; But when in thee time’s furrows I behold, Then look I death my days should expiate. For all that beauty that doth cover thee Is but the seemly raiment of my heart, Which in thy breast doth live, as thine in me; How can I then be elder than thou art? O therefore, love, be of thyself so wary As I, not for myself, but for thee will, Bearing thy heart, which I will keep so chary As tender nurse her babe from faring ill. Presume not on thy heart when mine is slain: Thou gav’st me thine not to give back again.
5
10
23 As an unperfect actor on the stage Who with his fear is put besides his part, Or some fierce thing replete with too much rage Whose strength’s abundance weakens his own heart, So I, for fear of trust, forget to say The perfect ceremony of love’s rite, And in mine own love’s strength seem to decay, O’er-charged with burden of mine own love’s might. O let my books be then the eloquence And dumb presagers of my speaking breast, Who plead for love, and look for recompense More than that tongue that more.hath more expressed. O learn to read what silent love hath writ; To hear with eyes belongs to love’s fi ne wit.
5
10
2012
Shakespeare IV.indb 2012
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 22-23
22 Allo specchio non mi farò capace di essere vecchio fin che hai giovinezza, ma, se vedrò in te rughe di vecchiezza, attenderò che morte mi dia pace. Se tutta la bellezza del tuo aspetto è l’appropriata veste del mio cuore, che, come il tuo nel mio, sta nel tuo petto, posso avere più anni del mio amore? Abbi cura di te stesso, amato mio, di te più che di me avrò cura anch’io, per sempre a protezione del tuo cuore come una balia il bimbo dal dolore. Morto il mio cuore, non pensarci tu: lo desti a me per non riaverlo più.
23 Come a teatro chi è cattivo attore scorda la parte colto da emozione, come a una bestia piena di furore si spezza il cuore al più della tensione, incerto, anch’io non so più recitare il bel cerimoniale dell’amore: col peso dell’amore sopra al cuore, al culmine mi sento di mancare. Saranno i versi miei la mia eloquenza e i muti messaggeri del mio petto; che preghino maggiore ricompensa di una bocca che sa parlare a effetto. Tu leggi cosa scrive un cuore muto: ascoltare con gli occhi è amore acuto.
2013
Shakespeare IV.indb 2013
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 24-25
24 Mine eye hath played the painter, and hath steeled Thy beauty’s form in table of my heart. My body is the frame wherein ’tis held, And perspective it is best painter’s art; For through the painter must you see his skill To find where your true image pictured lies, Which in my bosom’s shop is hanging still, That hath his windows glazèd with thine eyes. Now see what good turns eyes for eyes have done: Mine eyes have drawn thy shape, and thine for me Are windows to my breast, wherethrough the sun Delights to peep, to gaze therein on thee. Yet eyes this cunning want to grace their art: They draw but what they see, know not the heart.
5
10
25 Let those who are in favour with their stars Of public honour and proud titles boast, Whilst I, whom fortune of such triumph bars, Unlooked-for joy in that I honour most. Great princes’ favourites their fair leaves spread But as the marigold at the sun’s eye, And in themselves their pride lies burièd, For at a frown they in their glory die. The painful warrior famousèd for might, After a thousand victories once foiled Is from the book of honour razèd quite, And all the rest forgot for which he toiled. Then happy I, that love and am beloved Where I may not remove nor be removed.
5
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2014
Shakespeare IV.indb 2014
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 24-25
24 Da pittore il mio occhio ti ha fissato l’immagine sul quadro del mio cuore, e il corpo mio ti tiene incorniciato: la prospettiva è l’arte del pittore. Abbi i suoi occhi e l’arte sua maestra; un’immagine tua senza difetto è appesa nella stanza del mio petto, che ha i vetri dei tuoi occhi per finestra. Questo aiuto si danno i nostri occhi: i miei san fare il viso tuo perfetto, i tuoi sono finestre nel mio petto, da dove il sole sembra che ti adocchi. Ma non può tutto l’arte del pittore: sa ciò che vede, non conosce il cuore.
25 Chi dalle stelle venne fortunato vanti superbi titoli e onore, ma io, che alla fortuna fui negato, mi godo la sorpresa del mio amore. I principi hanno il loro favorito che gode il pieno sole come i fiori, ma muore in lui l’orgoglio ed è appassito se mai una sola nuvola vien fuori. Se sei un guerriero noto per coraggio, con mille glorie ma poi sei battuto, sei radiato dall’albo con oltraggio e il nome tuo verrà disconosciuto. Ma io non cambierò o sarò cambiato, perché felice amo, e amo riamato.
2015
Shakespeare IV.indb 2015
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 26-27
26 Lord of my love, to whom in vassalage Thy merit hath my duty strongly knit, To thee I send this written embassage To witness duty, not to show my wit; Duty so great which wit so poor as mine May make seem bare in wanting words to show it, But that I hope some good conceit of thine In thy soul’s thought, all naked, will bestow it, Till whatsoever star that guides my moving Points on me graciously with fair aspect, And puts apparel on my tattered loving To show me worthy of thy sweet respect. Then may I dare to boast how I do love thee; Till then, not show my head where thou mayst prove me.
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27 Weary with toil I haste me to my bed, The dear repose for limbs with travel tired; But then begins a journey in my head To work my mind when body’s work’s expired; For then my thoughts, from far where I abide, Intend a zealous pilgrimage to thee, And keep my drooping eyelids open wide, Looking on darkness which the blind do see: Save that my soul’s imaginary sight Presents thy shadow to my sightless view, Which like a jewel hung in ghastly night Makes black night beauteous and her old face new. Lo, thus by day my limbs, by night my mind, For thee, and for myself, no quiet find.
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10
2016
Shakespeare IV.indb 2016
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 26-27
26 Signore amore mio, che in vassallaggio tu leghi la mia grande devozione, a te indirizzerò questo messaggio per devozione, non esibizione; devozione che il mio scarso intelletto può far sembrare muta e anche plebea, ma spero che a te venga buona idea di averla, pure nuda, nel tuo petto, finché la stella ignota che mi guida decida di voltarsi un poco amica, per dare la sua veste a un nudo cuore e farlo degno del tuo dolce amore. Allora saprai il bene che mi muove, fino allora non ti darò altre prove.
27 E me ne vado a letto a riposare della stanchezza questo corpo ostaggio, ma poi s’inizia in mente un altro viaggio, che dopo il corpo il capo vuol stancare; da lì, da dove vivo, il mio pensiero, quel pellegrino, a te lui fa ritorno, e mi spalanca gli occhi a un buio nero, nero che il cieco vede anche di giorno: dell’anima la vista immaginaria ai miei occhi ciechi t’offre come ombra, brillante appeso sulla notte immonda, che poi la rende bella e originaria. Così, di giorno il corpo e mente dopo, per causa tua, e mia, niente ha riposo.
2017
Shakespeare IV.indb 2017
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 28-29
28 How can I then return in happy plight, That am debarred the benefit of rest, When day’s oppression is not eased by night, But day by night and night by day oppressed, And each, though enemies to either’s reign, Do in consent shake hands to torture me, The one by toil, the other to complain How far I toil, still farther off from thee? I tell the day to please him thou art bright, And do’st him grace when clouds do blot the heaven; So flatter I the swart-complexioned night When sparkling stars twire not thou gild’st the even. But day doth daily draw my sorrows longer, And night doth nightly make griefs strength seem stronger.
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29 When, in disgrace with fortune and men’s eyes, I all alone beweep my outcast state, And trouble deaf heaven with my bootless cries, And look upon myself and curse my fate, Wishing me like to one more rich in hope, Featured like him, like him with friends possessed, Desiring this man’s art and that man’s scope, With what I most enjoy contented least: Yet in these thoughts myself almost despising, Haply I think on thee, and then my state, Like to the lark at break of day arising From sullen earth, sings hymns at heaven’s gate; For thy sweet love remembered such wealth brings That then I scorn to change my state with kings’.
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10
2018
Shakespeare IV.indb 2018
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 28-29
28 Come posso riavere la mia pace se al riposo non faccio mai ritorno, la diurna oppressione non si tace, il giorno opprime notte, e notte il giorno, e, pur se sono regni concorrenti, per torturarmi i due si danno mano, l’uno mi affanna, l’altra dà i lamenti, perché mi affanno e tu sei più lontano? Tu sei una luce spazzanubi, dico al giorno pur di farmelo mio amico; dico alla notte senza stelle e nera che arrivi tu a far brillar la sera. Ma il giorno invece allunga il mio dolore, e ogni notte più forte ho male al cuore.
29 Se in rotta con la sorte e con gli umani da solo piango il mio misero stato, e a un cielo sordo lancio gridi vani, e mi guardo e maledico il fato, sognando d’esser pieno di speranze, di bell’aspetto e di amicizie varie, e invidio d’altri l’arte e le sostanze, scontento delle gioie mie primarie; e se di angosce poi m’arrivo a odiare ma accade di pensarti, ecco che torno allodola, che all’apparir del giorno da terra canti al cielo va a innalzare. Ho ricchi tutti in te i ricordi miei, coi re del mondo non mi cambierei.
2019
Shakespeare IV.indb 2019
30/11/2018 09:34:09
SONNETS, 30-31
30 When to the sessions of sweet silent thought I summon up remembrance of things past, I sigh the lack of many a thing I sought, And with old woes new wail my dear time’s waste. Then can I drown an eye unused to flow For precious friends hid in death’s dateless night, And weep afresh love’s long-since-cancelled woe, And moan th’expense of many a vanished sight. Then can I grieve at grievances foregone, And heavily from woe to woe tell o’er The sad account of fore-bemoanèd moan, Which I new pay as if not paid before. But if the while I think on thee, dear friend, All losses are restored, and sorrows end.
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31 Thy bosom is endearèd with all hearts Which I by lacking have supposèd dead, And there reigns love, and all love’s loving parts, And all those friends which I thought burièd. How many a holy and obsequious tear Hath dear religious love stol’n from mine eye As interest of the dead, which now appear But things removed that hidden in thee lie! Thou art the grave where buried love doth live, Hung with the trophies of my lovers gone, Who all their parts of me to thee did give: That due of many now is thine alone. Their images I loved I view in thee, And thou, all they, hast all the all of me.
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10
2020
Shakespeare IV.indb 2020
30/11/2018 09:34:09
SONETTI, 30-31
30 Quando in dolce silenzio io talora chiamo il ricordo delle cose andate, piangendo quelle che ho desiderate, lo spreco della vita mi addolora. Piangono gli occhi, insoliti a inondarsi, per amici in notte eterna seppelliti, dolori e amori un tempo superati, e tutti gli orizzonti ormai scomparsi. Bruciano le ferite che ho da tanto, e di dolore in dolore sembro andato al conto delle lacrime che ho pianto, come se non l’avessi già pagato. Ma se in un attimo ti penso, amico, nulla è perduto, e il dolore è svanito.
31 Il tuo cuore mi è caro per i cuori che, lontani, consideravo morti, vi regna amore in tutte le sue parti con amici che credevo già sepolti. Quanti devoti pianti per il lutto un religioso amore mi ha strappati, tributo ai morti, ora rivelati da me lontani e in te conservati! Sei tomba ove sepolto vive amore tra i trofei dei miei amori circondato, che le mie parti a te hanno regalato: ero di molti, oggi a te son dato. Così i miei vecchi amori io vedo in te, mentre tu, insieme a loro, hai tutto me.
2021
Shakespeare IV.indb 2021
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 32-33
32 If thou survive my well-contented day When that churl death ray bones with dust shall cover, And shalt by fortune once more resurvey These poor rude lines of thy deceasèd lover, Compare them with the bett’ring of the time, And though they be outstripped by every pen, Reserve them for my love, not for their rhyme Exceeded by the height of happier men. O then vouchsafe me but this loving thought: ‘Had my friend’s muse grown with this growing age, A dearer birth than this his love had brought To march in ranks of better equipage; But since he died, and poets better prove, Theirs for their style I’ll read, his for his love.’
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33 Full many a glorious morning have I seen Flatter the mountain tops with sovereign eye, Kissing with golden face the meadows green, Gilding pale streams with heavenly alchemy; Anon permit the basest clouds to ride With ugly rack on his celestial face, And from the forlorn world his visage hide, Stealing unseen to west with this disgrace. Even so my sun one early morn did shine With all triumphant splendour on my brow; But out, alack, he was but one hour mine; The region cloud hath masked him from me now. Yet him for this my love no whit disdaineth: Suns of the world may stain when heaven’s sun staineth.
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10
2022
Shakespeare IV.indb 2022
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 32-33
32 Quando il conto dei giorni avrò finito e morte darà polvere alle ossa, chissà che poi riandare tu non possa a queste rozze righe del tuo amico; comparale con le future rime, pure se da ogni penna superate, ricordane l’amore, non lo stile, meno eccellenti e meno fortunate. Oh, concedimi questi bei pensieri: “Fosse cresciuta, avesse avuto il tempo, la sua musa avrebbe dato frutti rari, da stare al passo col più gran talento; se l’arte dei poeti oggi è migliore, leggerò in loro stile, in lui il suo amore”.
33 Più volte ho visto il sole splendente al mattino sedurre le cime dei monti con occhio sovrano, baciare con l’oro del viso ogni verde giardino, alchemico guarire i fiumi dal loro pallore; ma anche l’ho visto permettere a un nuvolo immondo passargli con orrida furia sul capo celeste, andare a nascondere il viso lontano dal mondo e poi inosservato scappare, fuggendo dall’est. Un sole brillò anche per me una mattina a suo tempo, splendendomi tutto trionfale qui su nella fronte. Ahimè!, quel mio sole fu mio poche ore soltanto, lo venne a sporcare una nube alta sull’orizzonte. Non certo per questo il mio amore lo sdegnerà ora: così come il sole, anche un sole del mondo scolora.
2023
Shakespeare IV.indb 2023
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 34-35
34 Why didst thou promise such a beauteous day And make me travel forth without my cloak, To let base clouds o’ertake me in my way, Hiding thy brav’ry in their rotten smoke? “Tis not enough that through the cloud thou break To dry the rain on my storm-beaten face, For no man well of such a salve can speak That heals the wound and cures not the disgrace. Nor can thy shame give physic to my grief; Though thou repent, yet I have still the loss. Th’offender’s sorrow lends but weak relief To him that bears the strong offence’s cross. Ah, but those tears are pearl which thy love sheds, And they are rich, and ransom all ill deeds.
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10
35 No more be grieved at that which thou hast done: Roses have thorns, and silver fountains mud. Clouds and eclipses stain both moon and sun, And loathsome canker lives in sweetest bud. All men make faults, and even I in this, Authorizing thy trespass with compare, Myself corrupting salving thy amiss, Excusing thy sins more than thy sins are; For to thy sensual fault I bring in sense — Thy adverse party is thy advocate — And ’gainst myself a lawful plea commence. Such civil war is in my love and hate That I an accessory needs must be To that sweet thief which sourly robs from me.
5
10
2024
Shakespeare IV.indb 2024
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 34-35
34 Perché hai promesso gran bella giornata, senza mantello poi m’hai fatto uscire, per incontrare nuvole per strada di orrido fumo che ti vuol coprire? Tu irrompi tra le nubi e vuoi venire la pioggia alla mia faccia ad asciugare, ma un farmaco non solo sa cucire una ferita, può guarire il male. Vergognarti non cura il mio dolore che, se ti penti, ancora resta atroce. Fai le tue scuse, ma non ha valore per un offeso appeso a dura croce. Però, che perle lacrima il tuo amore, e, preziose, riscattano il dolore.
35 Per quel che hai fatto non ti amareggiare: spine ha la rosa, fango è nella fonte. La luna e il sole possono eclissare, nel dolce boccio un verme si nasconde. Si può sbagliare, e anch’io ho le pecche mie, per i tuoi eccessi scopro analogie, facendo male a me per alleviarti, troppe scuse ai vizi ho per scusarti; porto tante attenuanti al tuo peccato che da accusante faccio il tuo avvocato, e si fa causa a me, l’accusatore. Tale guerra civile è tra odio e amore, che sono complice nel suo reato del dolce ladro che mi ha derubato.
2025
Shakespeare IV.indb 2025
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 36-37
36 Let me confess that we two must be twain Although our undivided loves are one; So shall those blots that do with me remain Without thy help by me be borne alone. In our two loves there is but one respect, Though in our lives a separable spite Which, though it alter not love’s sole effect, Yet doth it steal sweet hours from love’s delight. I may not evermore acknowledge thee Lest my bewailèd guilt should do thee shame, Nor thou with public kindness honour me Unless thou take that honour from thy name. But do not so. I love thee in such sort As, thou being mine, mine is thy good report.
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37 As a decrepit father takes delight To see his active child do deeds of youth, So I, made lame by fortune’s dearest spite, Take all my comfort of thy worth and truth; For whether beauty, birth, or wealth, or wit, Or any of these all, or all, or more, Entitled in thy parts do crownèd sit, I make my love engrafted to this store. So then I am not lame, poor, nor despised, Whilst that this shadow doth such substance give That I in thy abundance am sufficed And by a part of all thy glory live. Look what is best, that best I wish in thee; This wish I have, then ten times happy me.
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10
2026
Shakespeare IV.indb 2026
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 36-37
36 Ti confesso, dobbiamo essere due, pure se uno indiviso è il nostro amare, e per questo le macchie che son mie senza il tuo aiuto io dovrò portare. Siamo due amori e un unico rispetto, ma vite separate da un dispetto che, non togliendo effetto al nostro amore, al godimento ruba dolci ore. Non posso agire io scopertamente e per mia colpa farti vergognare, né tu puoi farmi onori tra la gente, se nome e onore non vuoi separare. Tu non lo fare. Io t’amo al punto che il tuo buon nome è mio, insieme a te.
37 A un vecchio padre dà grande diletto vedere un figlio giovane in azione, io invece i colpi di sventura accetto trovando in te la mia consolazione; se i natali, l’acume, la beltà, la salute, queste e altre qualità, le ha tutte incoronate il tuo valore, a tale pianta innesto anche il mio amore. Non più povero, storpio, da sprezzare, alla tua ombra c’è tanta sostanza che appagato vado, e in abbondanza, nella tua gloria anch’io a partecipare. Il meglio, il meglio desidero per te: farà felice dieci volte me.
2027
Shakespeare IV.indb 2027
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 38-39
38 How can my muse want subject to invent While thou dost breathe, that pour’st into my verse Thine own sweet argument, too excellent For every vulgar paper to rehearse? O, give thyself the thanks if aught in me Worthy perusal stand against thy sight; For who’s so dumb that cannot write to thee, When thou thyself dost give invention light? Be thou the tenth muse, ten times more in worth Than those old nine which rhymers invocate, And he that calls on thee, let him bring forth Eternal numbers to outlive long date. If my slight muse do please these curious days, The pain be mine, but thine shall be the praise.
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39 O, how thy worth with manners may I sing When thou art all the better part of me? What can mine own praise to mine own self bring, And what is’t but mine own when I praise thee? Even for this let us divided live, And our dear love lose name of single one, That by this separation I may give That due to thee which thou deserv’st alone. O absence, what a torment wouldst thou prove Were it not thy sour leisure gave sweet leave To entertain the time with thoughts of love, Which time and thoughts so sweetly doth deceive, And that thou teachest how to make one twain By praising him here who doth hence remain!
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10
2028
Shakespeare IV.indb 2028
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 38-39
38 Mancherebbe alla musa altro soggetto se tu sei vivo, e mi sai ispirare il tuo dolce argomento, troppo eletto per esser messo su carta volgare? Di’ grazie solo a te, se si dovesse leggermi in cose degne d’attenzione; sciocco, se di te non si scrivesse, quando dài tu la luce all’invenzione. Sei la decima musa e dieci volte più delle vecchie nove sei evocata, e a chi ti prega ispira rime, molte, così eterne da non avere data. Se in giorni raffinati avrò vittoria, sarà mia la fatica, tua la gloria.
39 I pregi tuoi come potrei cantare, se altro tu non sei che il meglio in me? A cosa servirebbe il mio lodare, facendo elogio a me lodando te? È un bene se divisi noi si vive, che il caro amore in due metà si spezzi, così che io, nel vuoto che divide, ti possa offrire quello che ti spetti. O assenza, per me saresti un chiodo, se un vuoto amaro non mi desse modo di perder tempo avendo in mente amore, per tempo e mente dolce ingannatore, o tu non m’insegnassi a replicarlo mentre da qui è lontano, nel cantarlo!
2029
Shakespeare IV.indb 2029
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 40-41
40 Take all my loves, my love, yea, take them all: What hast thou then more than thou hadst before? No love, my love, that thou mayst true love call — All mine was thine before thou hadst this more. Then if for my love thou my love receivest, I cannot blame thee for my love thou usest; But yet be blamed if thou this self deceivest By wilful taste of what thyself refusest. I do forgive thy robb’ry, gentle thief, Although thou steal thee all my poverty; And yet love knows it is a greater grief To bear love’s wrong than hate’s known injury. Lascivious grace, in whom all ill well shows, Kill me with spites, yet we must not be foes.
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41 Those pretty wrongs that liberty commits When I am sometime absent from thy’heart Thy beauty and thy years full well befits, For still temptation follows where thou art. Gentle thou art, and therefore to be won; Beauteous thou art, therefore to be assailed; And when a woman woos, what woman’s son Will sourly leave her till he have prevailed? Ay me, but yet thou mightst my seat forbear, And chide thy beauty and thy straying youth Who lead thee in their riot even there Where thou art forced to break a two-fold troth: Hers, by thy beauty tempting her to thee, Thine, by thy beauty being false to me.
5
10
2030
Shakespeare IV.indb 2030
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 40-41
40 Ruba i miei amori, sì, tutti gli amori: dimmi, rispetto a prima cos’hai adesso? Né, amore, li diresti veri amori, e il tuo era mio, già prima di questo. Se per amore tu accogli il mio amore, non mi lamenterò se l’avrai usato; se invece assaggi quel che ti fa orrore, io mi lamenterò che m’hai ingannato! Ladro gentile, fatti perdonare, è poco quello che mi puoi rubare; eppure, amore sa, dà più gran dolore non l’odio, ma un inganno dell’amore. Fai belli i mali, mio sensuale amico: uccidimi, ma non farti nemico.
41 I bei peccati commessi in libertà, se a volte dal tuo cuore sono assente, si confanno alla bellezza e alla tua età: la tentazione è lì, costantemente. Sei gentile, perciò da conquistare, e sei bello, e quindi da assaltare; e, se donna volesse corteggiare, quale uomo saprebbe rinunciare? Ahimè, risparmia ciò che è mio, tu frena la gioventù randagia, la beltà che nelle sue baldorie ti trascina a corrompere ben due fedeltà: la sua, che la bellezza attira a te; la tua, se la bellezza inganna me.
2031
Shakespeare IV.indb 2031
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 42-43
42 That thou hast her, it is not all my grief, And yet it may be said I loved her dearly; That she hath thee is of my wailing chief, A loss in love that touches me more nearly. Loving offenders, thus I will excuse ye: Thou dost love her because thou know’st I love her, And for my sake even so doth she abuse me, Suff ring my friend for my sake to approve her. If I lose thee, my loss is my love’s gain, And losing her, my friend hath found that loss: Both find each other, and I lose both twain, And both for my sake lay on me this cross. But here’s the joy: my friend and I are one. Sweet flattery! Then she loves but me alone.
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43 When most I wink, then do mine eyes best see, For all the day they view things unrespected; But when I sleep, in dreams they look on thee, And, darkly bright, are bright in dark directed. Then thou, whose shadow shadows doth make bright, How would thy shadow’s form form happy show To the clear day with thy much clearer light, When to unseeing eyes thy shade shines so! How would, I say, mine eyes be blessèd made By looking on thee in the living day, When in dead night thy fair imperfect shade Through heavy sleep on sightless eyes doth stay! All days are nights to see till I see thee, And nights bright days when dreams do show thee me.
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10
2032
Shakespeare IV.indb 2032
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 42-43
42 Che tu abbia lei, non questo è il mio lamento, pure si sa che le ho portato amore; che lei abbia te, ecco il mio gran tormento, una sconfitta che mi brucia in cuore. Traditori, lasciate che vi scusi: tu l’ami perché sai che l’amo anch’io, e lei m’inganna, ma per amor mio, permettendo che il mio amico la usi. Se perdo te, le vincite son sue. Se perdo lei, il tuo premio a me nuoce. Insieme, io vi perdo tutti e due: per amor mio, mi date questa croce. C’è una gioia: tutt’uno son con te. Dolce inganno, lei ama solo me!
43 Chiusi, gli occhi vedono meglio cose su cui di giorno scorrono distratti; ma, se dormo, scorgono diretti le tue ombre farsi ombre luminose. Tu, la cui ombra l’ombra la rischiara, immagino saresti un vero incanto al chiaro giorno e alla tua luce chiara, se a occhi chiusi splendi così tanto! Se già di notte posi il tuo contorno su ciechi occhi, e in sonno tu li tocchi, se ti vedessero in aperto giorno, benedetti sarebbero quegli occhi! Senza te i giorni sono notti e sonno, ma notte è giorno se mi vieni in sogno.
2033
Shakespeare IV.indb 2033
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 44-45
44 If the dull substance of my flesh were thought, Injurious distance should not stop my way; For then, despite of space, I would be brought From limits far remote where thou dost stay. No matter then although my foot did stand Upon the farthest earth removed from thee; For nimble thought can jump both sea and land As soon as think the place where he would be. But ah, thought kills me that I am not thought, To leap large lengths of miles when thou art gone, But that, so much of earth and water wrought, I must attend time’s leisure with my moan, Receiving naught by elements so slow But heavy tears, badges of either’s woe.
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45 The other two, slight air and purging fire, Are both with thee wherever I abide; The first my thought, the other my desire, These present-absent with swift motion slide; For when these quicker elements are gone In tender embassy of love to thee, My life, being made of four, with two alone Sinks down to death, oppressed with melancholy, Until life’s composition be recured By those swift messengers returned from thee, Who even but now come back again assured Of thy fair health, recounting it to me. This told, I joy; but then no longer glad, I send them back again and straight grow sad.
5
10
2034
Shakespeare IV.indb 2034
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 44-45
44 Fosse pensiero il lento corpo umano, la tua distanza non mi fermerebbe: a dispetto degli spazi, da lontano lì dove sei, lui mi porterebbe. Il mio piede potrebbe anche posare sul posto più remoto che ci sia; s’alza il pensiero sopra i campi e il mare, decide dove andare, e vola via. Penso e non son pensiero, questo uccide, non volare su ciò che ci divide, ma di terra e di acqua siamo fatti e il tempo vuole che lo si rispetti. In cambio, da elementi così lenti, solo dolore e lacrime pesanti.
45 Gli altri due, l’aria e il fuoco che fa puri, sono entrambi con te, dovunque io sia: i miei pensieri e i miei desideri, presenze assenti, che corrono via; quando questi due rapidi elementi volano a te in dolce ambasceria, la mia vita, da quattro, in due soltanto sprofonda in morte, in malinconia, finché accordo vitale si riforma coi dolci messaggeri da te andati, che proprio adesso sono ritornati a raccontarmi che sei in buona forma. Sentito questo, ho gioia ma per poco: li rimando da te, e ritorno ansioso.
2035
Shakespeare IV.indb 2035
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 46-47
46 Mine eye and heart are at a mortal war How to divide the conquest of thy sight. Mine eye my heart thy picture’s sight would bar, My heart, mine eye the freedom of that right. My heart doth plead that thou in him dost lie, A closet never pierced with crystal eyes; But the defendant doth that plea deny, And says in him thy fair appearance lies. To ’cide this title is empanellèd A quest of thoughts, all tenants to the heart, And by their verdict is determinèd The clear eye’s moiety and the dear heart’s part, As thus: mine eye’s due is thy outward part, And my heart’s right thy inward love of heart.
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47 Betwixt mine eye and heart a league is took, And each doth good turns now unto the other. When that mine eye is famished for a look, Or heart in love with sighs himself doth smother, With my love’s picture then my eye doth feast, And to the painted banquet bids my heart. Another time mine eye is my heart’s guest — And in his thoughts of love doth share a part. So either by thy picture or my love, Thyself away art present still with me; For thou no farther than my thoughts canst move, And I am still with them, and they with thee; Or if they sleep, thy picture in my sight Awakes my heart to heart’s and eye’s delight.
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10
2036
Shakespeare IV.indb 2036
30/11/2018 09:34:10
SONETTI, 46-47
46 Tra occhio e cuore c’è una guerra in atto per dividersi in due la tua visione. Occhio nega al mio cuore il tuo ritratto, cuore domanda all’occhio la cessione. Cuore dice di essere tua casa, per occhi cristallini una fortezza; occhio lo nega e qui minaccia causa, dice che è solo in lui la tua bellezza. Per decidere, poi viene insediata la giuria di pensieri, su dal cuore, e con verdetto viene aggiudicata la parte all’occhio, e quello che va al cuore: all’occhio spetterà ciò che è esteriore, al cuore invece l’intimo mio amore.
47 Tra occhio e cuore adesso c’è un accordo, e ognuno all’altro fa buoni favori. Quando l’occhio è affamato di uno sguardo, o se il cuore si strugge nei sospiri, l’occhio fissa il ritratto del mio amore e a banchettare invita pure il cuore. Oppure è l’occhio l’ospite del cuore, e condivide i pensieri d’amore. Così, per amore o per visioni, anche lontano, tu sei sempre in me; oltre i pensieri miei tu non ti muovi, io sto con loro e loro sono in te; o, se dormono, tu puoi risvegliare quel cuore, e cuore e occhio deliziare.
2037
Shakespeare IV.indb 2037
30/11/2018 09:34:10
SONNETS, 48-49
48 How careful was I when I took my way Each trifle under truest bars to thrust, That to my use it might unusèd stay From hands of falsehood, in sure wards of trust. But thou, to whom my jewels trifles are, Most worthy comfort, now my greatest grief, Thou best of dearest and mine only care Art left the prey of every vulgar thief. Thee have I not locked up in any chest Save where thou art not, though I feel thou art — Within the gentle closure of my breast, From whence at pleasure thou mayst come and part; And even thence thou wilt be stol’n, I fear, For truth proves thievish for a prize so dear.
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49 Against that time — if ever that time come — When I shall see thee frown on my defects, Whenas thy love hath cast his utmost sum, Called to that audit by advised respects; Against that time when thou shall strangely pass And scarcely greet me with that sun, thine eye, When love converted from the thing it was Shall reasons find of settled gravity: Against that time do I ensconce me here Within the knowledge of mine own desert, And this my hand against myself uprear To guard the lawful reasons on thy part. To leave poor me thou hast the strength of laws, Since why to love I can allege no cause.
5
10
2038
Shakespeare IV.indb 2038
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 48-49
48 Con quanta cura prima di partire ho chiuso a chiave gli ultimi gingilli, ché intoccati dovessero restare da mani false, e in ben sicure celle. Ma, accanto a te, è nulla il mio tesoro, tu, mio conforto e poi mia grande pena, tu, cara cosa e unico pensiero, dei peggior ladri sei rimasto preda. Non ti ho rinchiuso mai in altro forziere che lì dove non sei, pur se ti sento, nel recinto gentile del mio cuore, da dove vieni e vai a tuo piacimento. E pure lì, temo, sarai rubato: il tesoro fa dell’onesto un ladro.
49 Contro quel tempo, se verrà quel tempo, quando sarai imbronciato ai miei difetti, e un bilancio farà il tuo sentimento, spinto dai più pesati tra i concetti; contro quel tempo, che vedrò passare il tuo occhio-sole e a stento salutare, quando l’amore, non ciò che era ieri, avrà a motivo i più gravi pensieri: contro quel tempo io mi faccio forte e, cosciente dei meriti che avevo, contro me stesso la mia mano levo e divento avvocato alla tua parte. Tu hai la forza delle leggi per lasciarmi, io nessuna per cui tu debba amarmi.
2039
Shakespeare IV.indb 2039
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 50-51
50 How heavy do I journey on the way, When what I seek — my weary travel’s end — Doth teach that ease and that repose to say ‘Thus far the miles are measured from thy friend.’ The beast that bears me, tired with my woe, Plods dully on to bear that weight in me, As if by some instinct the wretch did know His rider loved not speed, being made from thee. The bloody spur cannot provoke him on That sometimes anger thrusts into his hide, Which heavily he answers with a groan More sharp to me than spurring to his side; For that same groan doth put this in my mind: My grief lies onward and my joy behind.
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51 Thus can my love excuse the slow offence Of my dull bearer when from thee I speed: From where thou art why should I haste me thence? Till I return, of posting is no need. O what excuse will my poor beast then find When swift extremity can seem but slow? Then should I spur, though mounted on the wind; In wingèd speed no motion shall I know. Then can no horse with my desire keep pace; Therefore desire, of perfect’st love being made, Shall rein no dull flesh in his fiery race; But love, for love, thus shall excuse my jade: Since from thee going he went wilful-slow, Towards thee I’ll run and give him leave to go.
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2040
Shakespeare IV.indb 2040
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 50-51
50 Quanto questo viaggiare mi è gravoso, se quel che cerco, per cui m’affatico, dirà un giorno al sollievo, al mio riposo “Tante miglia sei lontano dal tuo amico”. La bestia stanca che mi porta addosso arranca lenta e con quell’ansia mia, come se per istinto lei sapesse che non ho fretta nell’andare via. Non reagisce allo sprone sanguinoso che alle sue carni la mia rabbia impone, si lagna con un pianto doloroso, tanto più acuto a me che a lei lo sprone; mi ricordano infatti i suoi lamenti la gioia che fu, e l’ansia che ho davanti.
51 Possa amore scusare la lentezza del mio cavallo quando devo andare: perché dovrei lasciarti con prontezza? Solo al ritorno lo vorrò spronare. Che scuse troverà, povera bestia, quando anche in corsa mi sembrerà lento? Darei di sprone anche montando il vento e mi crederei fermo anche se alato: nessun cavallo ha il passo del mio ardore, e il desiderio, fatto d’amor puro, disincarnato, avrà passo infuocato. Ma amore scuserà così il ronzino: “Se apposta lui va adagio via da te, al ritorno lo lascio e corro a te”.
2041
Shakespeare IV.indb 2041
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 52-53
52 So am I as the rich whose blessèd key Can bring him to his sweet up-lockèd treasure, The which he will not ev’ry hour survey, For blunting the fine point of seldom pleasure. Therefore are feasts so solemn and so rare Since, seldom coming, in the long year set Like stones of worth they thinly placèd are, Or captain jewels in the carcanet. So is the time that keeps you as my chest, Or as the wardrobe which the robe doth hide, To make some special instant special blest By new unfolding his imprisoned pride. Blessèd are you whose worthiness gives scope, Being had, to triumph; being lacked, to hope.
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53 What is your substance, whereof are you made, That millions of strange shadows on you tend? Since every one hath, every one, one shade, And you, but one, can every shadow lend. Describe Adonis, and the counterfeit Is poorly imitated after you. On Helen’s cheek all art of beauty set, And you in Grecian tires are painted new. Speak of the spring and foison of the year: The one doth shadow of your beauty show, The other as your bounty doth appear; And you in every blessèd shape we know. In all external grace you have some part, But you like none, none you, for constant heart.
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2042
Shakespeare IV.indb 2042
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 52-53
52 Io sono il ricco, con l’amata chiave che lo porta al tesoro nel forziere, che lui non spesso vuole visitare per non spuntare un raro suo piacere. Le sante feste sono distanziate e sono rade nell’anno solare, gemme che sparse vanno incastonate e, al centro del gioiello, le più rare. Il tempo che ti serba è il mio forziere, l’armadio con la veste più elegante, e rende più speciale quell’istante che il suo splendore si può rivedere. Benedetta la gioia che sai dare, mentre, se sei lontano, fai sperare.
53 Qual è la tua sostanza, la materia, se le ombre ti scortano a milioni? Ognuno che sia uno ha un’ombra vera, in te ne vedo moltiplicazioni. Descrivetemi qui il viso di Adone: non è di te che fiacca imitazione; o di Elena, e con ogni forzatura: è un nuovo te, in greca acconciatura. Di primavera, dite, o dei raccolti: la prima è l’ombra della tua bellezza, gli altri sono regali che tu porti; di ogni forma sei la compiutezza. Sempre sei tu in ogni grazia esteriore, senza pari per costanza di cuore.
2043
Shakespeare IV.indb 2043
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 54-55
54 O how much more doth beauty beauteous seem By that sweet ornament which truth doth give! The rose looks fair, but fairer we it deem For that sweet odour which doth in it live. The canker blooms have full as deep a dye As the perfumèd tincture of the roses, Hang on such thorns, and play as wantonly When summer’s breath their maskèd buds discloses; But for their virtue only is their show They live unwooed and unrespected fade, Die to themselves. Sweet roses do not so; Of their sweet deaths are sweetest odours made: And so of you, beauteous and lovely youth, When that shall fade, by verse distils your truth.
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55 Not marble nor the gilded monuments Of princes shall outlive this powerful rhyme, But you shall shine more bright in these contents Than unswept stone besmeared with sluttish time. When wasteful war shall statues overturn, And broils root out the work of masonry, Nor Mars his sword nor war’s quick fire shall burn The living record of your memory. ’Gainst death and all oblivious enmity Shall you pace forth; your praise shall still find room Even in the eyes of all posterity That wear this world out to the ending doom. So, till the judgement that yourself arise, You live in this, and dwell in lovers’ eyes.
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10
2044
Shakespeare IV.indb 2044
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 54-55
54 Quanto più bella sembra la bellezza se la virtù le dona un ornamento! Bella la rosa, eppure ha più dolcezza se una soave essenza porta dentro. La selvatica ha un intenso suo colore, come quello di rose profumate, le stesse spine e lo stesso tremore se ai bocci soffia il vento dell’estate; ma è rosa di virtù solo apparenti, che vive poco e amata da nessuno. Diverso è per le rose più fragranti, la loro morte dà un dolce profumo: così è con te, giovane bello e amato, resterai sempre in versi distillato.
55 Né il marmo né i dorati monumenti dei re vivranno oltre queste rime, tu invece sarai qui in versi lucenti più di pietra che al tempo si consuma. La guerra poi rovescerà ogni statua, il muro crollerà sotto la Storia, ma né il fuoco né di Marte la spada bruceranno mai più la tua memoria. Su morte e oblio tu prevarrai sicuro, e la tua lode non avrà confine agli occhi delle età, che poi in futuro consumeranno il mondo fino in fine. Fino al Giudizio in cui risorgerai, qui e negli occhi degli amanti tu vivrai.
2045
Shakespeare IV.indb 2045
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 56-57
56 Sweet love, renew thy force. Be it not said Thy edge should blunter be than appetite, Which but today by feeding is allayed, Tomorrow sharpened in his former might. So, love, be thou; although today thou fi ll Thy hungry eyes even till they wink with fullness, Tomorrow see again, and do not kill The spirit of love with a perpetual dullness. Let this sad int’rim like the ocean be Which parts the shore where two contracted new Come daily to the banks, that when they see Return of love, more blessed may be the view; Or call it winter, which, being full of care, Makes summer’s welcome, thrice more wished, more rare.
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57 Being your slave, what should I do but tend Upon the hours and times of your desire? I have no precious time at all to spend, Nor services to do, till you require; Nor dare I chide the world-without-end hour Whilst I, my sovereign, watch the clock for you, Nor think the bitterness of absence sour When you have bid your servant once adieu. Nor dare I question with my jealous thought Where you may be, or your affairs suppose, But like a sad slave stay and think of naught Save, where you are, how happy you make those. So true a fool is love that in your will, Though you do anything, he thinks no ill.
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2046
Shakespeare IV.indb 2046
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 56-57
56 Rinnova la tua forza, dolce amore. La tua lama sia come l’appetito, che oggi è soddisfatto del suo cibo ma tornerà domani con vigore. Sii come lui. Se oggi puoi sfamare quegli occhi finché bramino riposo, domani guarda ancora, e non lasciare mai in ozio il tuo spirito amoroso. Questo intervallo, tu chiamalo mare, che opposte sponde dà a promessi amanti: quando vedranno amore ritornare, saranno i loro incontri più esaltanti; chiamalo inverno, che alle sue ventate più dolce fa il ritorno dell’estate.
57 Sono il tuo schiavo, cosa posso fare se non servirti in quello che domandi? Non ho tempo prezioso da impegnare, niente ho da fare se tu non comandi; non oso criticare eterne ore se guardo l’orologio mentre aspetto, e quando hai detto addio al tuo servitore non ho pensato al vuoto del distacco. E non oso gelose riflessioni su dove sei, non ho supposizioni: sono lo schiavo triste che non dice, perché dove tu vai, tu fai felice. È un tale pazzo amore che puoi fare qualsiasi cosa, e lui non pensa male.
2047
Shakespeare IV.indb 2047
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 58-59
58 That god forbid, that made me first your slave, I should in thought control your times of pleasure, Or at your hand th’account of hours to crave, Being your vassal bound to stay your leisure. O let me suffer, being at your beck, Th’ imprisoned absence of your liberty, And patience, tame to sufferance, bide each check, Without accusing you of injury. Be where you list, your charter is so strong That you yourself may privilege your time To what you will; to you it doth belong Yourself to pardon of self-doing crime. I am to wait, though waiting so be hell, Not blame your pleasure, be it ill or well.
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59 If there be nothing new, but that which is Hath been before, how are our brains beguiled, Which, labouring for invention, bear amiss The second burden of a former child! O that record could with a backward look Even of five hundred courses of the sun Show me your image in some antique book Since mind at first in character was done, That I might see what the old world could say To this composèd wonder of your frame; Whether we are mended or whe’er better they, Or whether revolution be the same. O, sure I am the wits of former days To subjects worse have given admiring praise.
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2048
Shakespeare IV.indb 2048
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 58-59
58 Quel dio che tuo mi fece servitore mi scampi dal contare i tuoi piaceri, chiedendo un resoconto delle ore: sono un vassallo, servo i tuoi voleri. Fammi soffrire, essendo a tuo comando, la prigione della tua libertà; dolori e offese andrò io sopportando e non ti accuserò di crudeltà. Va’ dove vuoi, il privilegio è tale che disporre del tempo a te è rimesso, e sempre spetta a te di perdonare i crimini commessi su te stesso. Aspetto qui, attesa che è infernale, e senza giudicare il bene e il male.
59 Se nulla è nuovo e tutto c’è già stato, come s’inganna questa nostra mente se cerca di creare erroneamente il secondo di un figlio che è già nato! Oh, se il ricordo, gli occhi nel passato, cinquecento di un’orbita solare, mostrasse in qualche libro il tuo ideale, quando il pensiero scritto fu inventato: saprei che avrebbe detto il vecchio mondo davanti a questo corpo tuo stupendo; se abbiamo vinto o perso la partita, o sempre è uguale il ciclo della vita. I grandi ingegni di quei giorni, temo, gridarono al miracolo per meno.
2049
Shakespeare IV.indb 2049
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 60-61
60 Like as the waves make towards the pebbled shore, So do our minutes hasten to their end, Each changing place with that which goes before; In sequent toil all forwards do contend. Nativity, once in the main of light, Crawls to maturity, wherewith being crowned Crookèd eclipses ’gainst his glory fight, And time that gave doth now his gift confound. Time doth transfix the flourish set on youth, And delves the parallels in beauty’s brow; Feeds on the rarities of nature’s truth, And nothing stands but for his scythe to mow. And yet to times in hope my verse shall stand, Praising thy worth despite his cruel hand.
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61 Is it thy will thy image should keep open My heavy eyelids to the weary night? Dost thou desire my slumbers should be broken While shadows like to thee do mock my sight? Is it thy spirit that thou send’st from thee So far from home into my deeds to pry, To find out shames and idle hours in me, The scope and tenor of thy jealousy? O no; thy love, though much, is not so great. It is my love that keeps mine eye awake, Mine own true love that doth my rest defeat, To play the watchman ever for thy sake. For thee watch I whilst thou dost wake elsewhere, From me far off, with others all too near.
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2050
Shakespeare IV.indb 2050
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 60-61
60 Come le onde a una pietrosa riva corrono alla fine i nostri istanti, scacciano i precedenti nella fi la e con affanno spingono in avanti. Così una vita, appena arriva in luce, è incoronata dall’età matura, ma una sinistra eclissi si produce e il tempo ogni suo dono poi consuma. Inchioda il fiore della giovinezza, scava le rughe in fronte alla bellezza, ingoia ogni cosa rara del creato e alla sua falce niente è risparmiato. Ma i versi miei diranno a chi verrà tutti i tuoi pregi, e la sua crudeltà.
61 Sei tu che tieni aperti i miei occhi stanchi con la tua immagine in notti estenuanti? Sei tu a voler rompere i miei sonni con ombre come te con cui m’inganni? È il tuo spirito che mandi lontano perché delle mie mosse faccia spia, e scopra le vergogne e il tempo vano, cibo e bersaglio alla tua gelosia? Mi ami molto ma non arrivi a tanto. È il mio amore a tenermi gli occhi svegli, un amore che è vero, e fa ch’io vegli, e mi fa sempre vigile al tuo fianco. Veglio per te e tu non sei sveglio qui, lontano a me, vicino a chissà chi.
2051
Shakespeare IV.indb 2051
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 62-63
62 Sin of self-love possesseth all mine eye, And all my soul, and all my every part; And for this sin there is no remedy, It is so grounded inward in my heart. Methinks no face so gracious is as mine, No shape so true, no truth of such account, And for myself mine own worth do define As I all other in all worths surmount. But when my glass shows me myself indeed, Seated and chapped with tanned antiquity, Mine own self-love quite contrary I read; Self so self-loving were iniquity. ’Tis thee, my self, that for myself I praise, Painting my age with beauty of thy days.
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63 Against my love shall be as I am now, With time’s injurious hand crushed and o’erworn; When hours have drained his blood and filled his brow With lines and wrinkles; when his youthful morn Hath travelled on to age’s steepy night, And all those beauties whereof now he’s king Are vanishing, or vanished out of sight, Stealing away the treasure of his spring: For such a time do I now fortify Against confounding age’s cruel knife, That he shall never cut from memory My sweet love’s beauty, though my lover’s life. His beauty shall in these black lines be seen, And they shall live, and he in them still green.
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2052
Shakespeare IV.indb 2052
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 62-63
62 Peccato e vanità c’è nel mio sguardo, e dentro l’anima e ovunque guardo, e non esiste cura a un tal peccato tanto nel cuore esso è radicato. Non c’è faccia come la mia aggraziata, né forma più perfetta, più pregiata, e poi a me stesso do tanto valore che in ogni campo sembro vincitore. Ma poi lo specchio svela come sono, colpito e sfatto, vecchie rughe in dono, che il mio amor proprio leggo rovesciato e ad amarmi così farei peccato. Sei tu il mio io, la lode a te ritorni: mi dipingevo al verde dei tuoi giorni.
63 Per quando lui sarà come io sono, offeso e sfatto dal tempo cattivo, vene svuotate, e la sua fronte in dono avrà più rughe e grinze, e il suo mattino sarà giunto alla notte dell’età, e le bellezze su cui oggi impera staranno andando o via saranno già, rubando anche la sua primavera: per quel momento io mi faccio forza, ché la lama del tempo distruttore dal ricordo recidere non possa la bellezza del mio mortale amore. Da queste righe nere splenderà, e in esse, sempreverde, lui vivrà.
2053
Shakespeare IV.indb 2053
30/11/2018 09:34:11
SONNETS, 64-65
64 When I have seen by time’s fell hand defaced The rich proud cost of outworn buried age; When sometime-lofty towers I see down razed, And brass eternal slave to mortal rage; When I have seen the hungry ocean gain Advantage on the kingdom of the shore, And the firm soil win of the wat’ry main, Increasing store with loss and loss with store; When I have seen such interchange of state, Or state itself confounded to decay, Ruin hath taught me thus to ruminate: That time will come and take my love away. This thought is as a death, which cannot choose But weep to have that which it fears to lose.
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65 Since brass, nor stone, nor earth, nor boundless sea, But sad mortality o’ersways their power, How with this rage shall beauty hold a plea, Whose action is no stronger than a flower? O how shall summer’s honey breath hold out Against the wrackful siege of battering days When rocks impregnable are not so stout, Nor gates of steel so strong, but time decays? O fearful meditation! Where, alack, Shall time’s best jewel from time’s chest lie hid, Or what strong hand can hold his swift foot back, Or who his spoil of beauty can forbid? O none, unless this miracle have might: That in black ink my love may still shine bright.
5
10
2054
Shakespeare IV.indb 2054
30/11/2018 09:34:11
SONETTI, 64-65
64 Dalla mano del tempo, che è spietato, vidi sfregiare i fasti del passato; vidi cadere torri di castelli e vinti dalla morte i bronzi eterni; vidi l’ingordo mare aver vantaggi lottando contro il regno delle spiagge, e poi le terre vincere sul mare, di sconfitte e vittorie un alternare; quando vidi quel terribile mutare di stato, e crollare ogni altro stato, la rovina mi impose di pensare: verrà il tempo e ruberà il mio amato. Questo pensiero è morte, e fa più dura avere chi di perdere hai paura.
65 Se né bronzo, né pietra, terra o mare la triste morte sanno contrastare, può opporsi la bellezza a un tal furore se la sua forza è poi quella di un fiore? E come regge il miele dell’estate al martellante assedio dell’età, se non reggono le rocche inespugnate e un portone d’acciaio anche cadrà? Terrore! Al tempo si potrà celare chi per il tempo è il suo più bel gioiello? Chi il suo veloce passo andrà a frenare? Chi impedirà il distruggersi del bello? Solo un miracolo avrà questo valore: nero inchiostro darà luce al mio amore.
2055
Shakespeare IV.indb 2055
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 66-67
66 Tired with all these, for restful death I cry: As, to behold desert a beggar born, And needy nothing trimmed in jollity, And purest faith unhappily forsworn, And gilded honour shamefully misplaced, And maiden virtue rudely strumpeted, And right perfection wrongfully disgraced, And strength by limping sway disablèd, And art made tongue-tied by authority, And folly, doctor-like, controlling skill, And simple truth miscalled simplicity, And captive good attending captain ill. Tired with all these, from these would I be gone, Save that to die I leave my love alone.
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67 Ah, wherefore with infection should he live And with his presence grace impiety, That sin by him advantage should achieve And lace itself with his society? Why should false painting imitate his cheek, And steal dead seeming of his living hue? Why should poor beauty indirectly seek Roses of shadow, since his rose is true? Why should he live now nature bankrupt is, Beggared of blood to blush through lively veins, For she hath no exchequer now but his, And proud of many, lives upon his gains? O, him she stores to show what wealth she had In days long since, before these last so bad.
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2056
Shakespeare IV.indb 2056
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 66-67
66 Stanco di questo mondo, morte chiedo: se rinnegato è ogni valore e credo, se chi ha talento deve mendicare, e belle nullità son lì a sfilare, e la fortuna è spesso immeritata, e la virtù ormai fa da puttana, e castigata ogni creatura sana, e forza dal potere è disarmata, e arte ammutolita da un padrone, e la follia vuol farci da dottore, e semplice vien detta verità, e al male fa da serva la bontà. Stanco del mondo, ma non muoio io per non dovere ancora dirti addio.
67 Perché abitare un mondo avvelenato, farlo migliore con la sua esistenza, così che in lui vantaggio abbia il peccato per farsi bello della sua presenza? Potrà il trucco imitare le sue gote rubando dal suo viso la sua cera? La bellezza cercare in false rose un ripiego, se lui è la rosa vera? Vivrà lui, se natura in bancarotta, senza sangue da spingere alle vene, e con lui come unica risorsa, pur fiera d’altri, vive del suo bene? Con lui dimostra che tesori ha avuti, prima di questi giorni sciagurati.
2057
Shakespeare IV.indb 2057
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 68-69
68 Thus is his cheek the map of days outworn, When beauty lived and died as flowers do now, Before these bastard signs of fair were borne Or durst inhabit on a living brow; Before the golden tresses of the dead, The right of sepulchres, were shorn away To live a second life on second head; Ere beauty’s dead fleece made another gay. In him those holy antique hours are seen Without all ornament, itself and true, Making no summer of another’s green, Robbing no old to dress his beauty new; And him as for a map doth nature store, To show false art what beauty was of yore.
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69 Those parts of thee that the world’s eye doth view Want nothing that the thought of hearts can mend. All tongues, the voice of souls, give thee that due, Utt’ring bare truth even so as foes commend. Thy outward thus with outward praise is crowned, But those same tongues that give thee so thine own In other accents do this praise confound By seeing farther than the eye hath shown. They look into the beauty of thy mind, And that in guess they measure by thy deeds. Then, churls, their thoughts — although their eyes were Kind — To thy fair flower add the rank smell of weeds. But why thy odour matcheth not thy show, The soil is this: that thou dost common grow.
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2058
Shakespeare IV.indb 2058
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 68-69
68 Sulla guancia ha una mappa del passato, quando il bello moriva come un fiore, prima che il trucco impuro fosse nato e in facce umane avesse le dimore; prima che ai morti le trecce dorate, spettanti a loro, fossero tagliate per vivere altra vita su altra testa ma morte chiome con cui fare festa. In lui io vedo le epoche passate, tempi senza artificio e più sinceri: col verde altrui non si faceva estate, non si rubava l’abito di ieri. Natura ha in lui una mappa e un modello per ricordare all’arte falsa il bello.
69 Quanto di te vede l’occhio del mondo non vuole migliorie neanche di un dito. Ogni lingua, che è voce del profondo, ti rende onore come ad un nemico. Così il tuo esterno esteriormente è amato, le voci danno quel che ti si deve, ma poi l’elogio mandano sprecato se guardano oltre ciò che l’occhio vede. Studiano la bellezza della mente, misurano il tuo agire e le sue tracce: d’occhio gentile ma malignamente, dicono che il tuo fiore sa di erbacce. Se l’odore non risponde a ciò che appare la colpa è che, crescendo, sei volgare.
2059
Shakespeare IV.indb 2059
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 70-71
70 That thou are blamed shall not be thy defect, For slander’s mark was ever yet the fair. The ornament of beauty is suspect, A crow that flies in heaven’s sweetest air. So thou be good, slander doth but approve Thy worth the greater, being wooed of time; For canker vice the sweetest buds doth love, And thou present’st a pure unstainèd prime. Thou hast passed by the ambush of young days Either not assailed, or victor being charged; Yet this thy praise cannot be so thy praise To tie up envy, evermore enlarged. If some suspect of ill masked not thy show, Then thou alone kingdoms of hearts shouldst owe.
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71 No longer mourn for me when I am dead Than you shall hear the surly sullen bell Give warning to the world that I am fled From this vile world with vilest worms to dwell. Nay, if you read this line, remember not The hand that writ it; for I love you so That I in your sweet thoughts would be forgot If thinking on me then should make you woe. O, if, I say, you look upon this verse When I perhaps compounded am with clay, Do not so much as my poor name rehearse, But let your love even with my life decay, Lest the wise world should look into your moan And mock you with me after I am gone.
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10
2060
Shakespeare IV.indb 2060
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 70-71
70 Sei criticato non per tuo difetto, la calunnia è i più belli che colpisce. A ornamento del bello c’è il sospetto, un corvo che la dolce aria ferisce. Se tu sei buono, elogi ne raccogli, tu che sei tanto amato da natura: l’invidia è un verme che vuole i germogli, e tu le offri primavera pura. Nessuna insidia hai avuto in gioventù o hai vinto tu se avesti un’imboscata, ma virtuosa non sarà mai virtù da frenare l’invidia, che è sfrenata. Non avesse sospetti il tuo splendore, regneresti da solo su ogni cuore.
71 Non mi piangere quando sarò andato, non più a lungo del tocco di campana che tetro annuncerà che ho traslocato da questo mondo ai vermi, nella tana. L’uomo che qui ti scrive puoi scordare. Io t’amo così tanto da sperare di non restarti affatto nei pensieri, se fossero per te pensieri neri. E, se cadrà lo sguardo a queste rime, ascoltami, l’amore tuo sigilla, non rivangare il povero mio nome quando sarò tutt’uno con l’argilla. Temo che il mondo possa fare un torto al tuo dolore, quando sarò morto.
2061
Shakespeare IV.indb 2061
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 72-73
72 O, lest the world should task you to recite What merit lived in me that you should love, After my death, dear love, forget me quite; For you in me can nothing worthy prove — Unless you would devise some virtuous lie To do more for me than mine own desert, And hang more praise upon deceasèd I Than niggard truth would willingly impart. O, lest your true love may seem false in this, That you for love speak well of me untrue, My name be buried where my body is, And live no more to shame nor me nor you; For I am shamed by that which I bring forth, And so should you, to love things nothing worth.
5
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73 That time of year thou mayst in me behold When yellow leaves, or none, or few, do hang Upon those boughs which shake against the cold, Bare ruined choirs where late the sweet birds sang. In me thou seest the twilight of such day As after sunset fadeth in the west, Which by and by black night doth take away, Death’s second self, that seals up all in rest. In me thou seest the glowing of such fire That on the ashes of his youth doth lie As the death-bed whereon it must expire, Consumed with that which it was nourished by. This thou perceiv’st, which makes thy love more strong, To love that well which thou must leave ere long.
5
10
2062
Shakespeare IV.indb 2062
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 72-73
72 Perché il mondo non ti costringa a dire i meriti per cui mi dovrai amare, da morto, amore, mi potrai scordare: non ho valore che puoi riferire se non dando pietosa una bugia che il mio valore non meriterebbe, e con più lodi a me passato via di quante il vero mi concederebbe. E, se il tuo amore vero falso sembra quando dirai di più di quel che appare, mi sia sepolto il nome con le membra, e muoia e non ci possa più infangare. Di ciò che scrivo, io provo vergogna; dovresti tu, amando cosa indegna.
73 In me tu vedi un mese, uno di quelli quando resistono poche foglie d’oro sopra il ramo tremante, un tempo coro dove prima cantavano gli uccelli. In me tu vedi il giorno discendente, che al tramonto svanisce a occidente e a poco a poco si fa notte e tace: un’altra morte che dispensa pace. In me tu vedi il fuoco che si spezza sulle ceneri della giovinezza, come se fosse al capezzale, ucciso da cose che lo avevano nutrito. Ma tutto ciò più forte fa il tuo amare per me, che prima o poi dovrai lasciare.
2063
Shakespeare IV.indb 2063
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 74-75
74 But be contented when that fell arrest Without all bail shall carry me away. My life hath in this line some interest, Which for memorial still with thee shall stay. When thou reviewest this, thou dost review The very part was consecrate to thee. The earth can have but earth, which is his due; My spirit is thine, the better part of me. So then thou hast but lost the dregs of life, The prey of worms, my body being dead, The coward conquest of a wretch’s knife, Too base of thee to be rememberèd. The worth of that is that which it contains, And that is this, and this with thee remains.
5
10
75 So are you to my thoughts as food to life, Or as sweet-seasoned showers are to the ground; And for the peace of you I hold such strife As ’twixt a miser and his wealth is found: Now proud as an enjoyer, and anon Doubting the fi lching age will steal his treasure; Now counting best to be with you alone, Then bettered that the world may see my pleasure; Sometime all full with feasting on your sight, And by and by clean starvèd for a look; Possessing or pursuing no delight Save what is had or must from you be took. Thus do I pine and surfeit day by day, Or gluttoning on all, or all away.
5
10
2064
Shakespeare IV.indb 2064
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 74-75
74 Ma datti pace quando sarò via in una fine che è senza cauzione, lascio un’eredità nella poesia, che resterà con te a consolazione. Rileggendola potrai rivedere la parte che fu consacrata a te. Terra alla terra, questo è in suo potere; spirito a te, la miglior parte in me. Non perdi che gli scarti della vita, preda dei vermi, col mio morto corpo, vittima di una lama, una ferita, che non è degna per un tuo ricordo. Il valore di un uomo è nel suo interno: la mia poesia che resta a te in eterno.
75 Tu sei per me come alla vita il pane, come alla terra acqua di primavere; quella tensione porto, per tuo bene, che sopporta un avaro col suo avere: fiero e appagato delle cose sue, ora scruta se il mondo gliele strappa; ora penso sia meglio essere in due, ora voglio che tutto il mondo sappia; e, mentre nei tuoi occhi sto al banchetto, già di uno sguardo mi sento affamato, né avendo né cercando altro diletto di quello che ho da avere o già m’hai dato. Un giorno sazio, un giorno poi mi strugge, a volte ho tutto, a volte tutto fugge.
2065
Shakespeare IV.indb 2065
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 76-77
76 Why is my verse so barren of new pride, So far from variation or quick change? Why, with the time, do I not glance aside To new-found methods and to compounds strange? Why write I still all one, ever the same, And keep invention in a noted weed, That every word doth almost tell my name, Showing their birth and where they did proceed? O know, sweet love, I always write of you, And you and love are still my argument; So all my best is dressing old words new, Spending again what is already spent; For as the sun is daily new and old, So is my love, still telling what is told.
5
10
77 Thy glass will show thee how thy beauties wear, Thy dial how thy precious minutes waste, The vacant leaves thy mind’s imprint will bear, And of this book this learning mayst thou taste: The wrinkles which thy glass will truly show Of mouthèd graves will give thee memory; Thou by thy dial’s shady stealth mayst know Time’s thievish progress to eternity; Look what thy memory cannot contain Commit to these waste blanks, and thou shalt find Those children nursed, delivered from thy brain, To take a new acquaintance of thy mind. These offices so oft as thou wilt look Shall profit thee and much enrich thy book.
5
10
2066
Shakespeare IV.indb 2066
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 76-77
76 Perché di orpelli ho un verso così parco, senza improvvisi cambi né varianti? Perché, come è di moda, io non calco nuove strade o ricerche stravaganti? E scrivo sempre sullo stesso tema tenendo l’invenzione al noto schema, e ogni parola svela un po’ il mio nome, e dice dove nasce e chi la muove? Solo di te, amore, scrivo io, e tu e l’amore siete il tema mio; rivesto a nuovo parole passate usando solo le parole usate. Come ogni giorno il sole è nuovo e vecchio, dice il mio amore quello che ha già detto.
77 Lo specchio mostra quanto breve è il bello, la meridiana come fugge il tempo, i fogli vuoti avranno la tua impronta e dal libro tu avrai un insegnamento: nelle rughe sul tuo sincero specchio tu vedrai tombe come bocche aperte; nell’ombra svelta sulla meridiana furtivo il tempo farsi eternità; quello che la memoria non contiene dàllo qui ai fogli bianchi e si vedrà che dai figli del cervello, ben cresciuti, una nuova sapienza arriverà. Spesso in un solo sguardo, questo rito darà profitto e un libro più arricchito.
2067
Shakespeare IV.indb 2067
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 78-79
78 So oft have I invoked thee for my muse And found such fair assistance in my verse As every alien pen hath got my use, And under thee their poesy disperse. Thine eyes, that taught the dumb on high to sing And heavy ignorance aloft to fly, Have added feathers to the learned’s wing And given grace a double majesty. Yet be most proud of that which I compile, Whose influence is thine and born of thee. In others’ works thou dost but mend the style, And arts with thy sweet graces gracèd be; But thou art all my art, and dost advance As high as learning my rude ignorance.
5
10
79 Whilst I alone did call upon thy aid My verse alone had all thy gentle grace; But now my gracious numbers are decayed, And my sick muse doth give another place. I grant, sweet love, thy lovely argument Deserves the travail of a worthier pen, Yet what of thee thy poet doth invent He robs thee of, and pays it thee again. He lends thee virtue, and he stole that word From thy behaviour; beauty doth he give, And found it in thy cheek: he can afford No praise to thee but what in thee doth live. Then thank him not for that which he doth say, Since what he owes thee thou thyself dost pay.
5
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2068
Shakespeare IV.indb 2068
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 78-79
78 Ti ho invocato come musa così spesso, trovandone ai miei versi un grande aiuto, che ogni penna adesso fa lo stesso e sparge anche i suoi versi in tuo tributo. I tuoi occhi, che ai muti danno canti e insegnano a volare all’ignoranza, offrono penne alle ali dei sapienti e due volte maestà danno alla grazia. Ma sii più fiero delle mie poesie, perché l’influsso è tuo, e da te è nato. Gli altri allo stile ne hanno migliorie, e ogni lavoro rendi più aggraziato. Per me invece sei tutta la mia arte: rozzo, mi porti verso vette alte.
79 Finché fui il solo a chiedere il tuo aiuto, la tua grazia soltanto a me ha risposto; ma ora il mio talento è decaduto, la musa stanca ad altri cede il posto. Davvero, caro amore, il tuo soggetto di un’altra penna merita l’impegno, ma quanto il tuo poeta di te ha detto di quel che ti ha sottratto è solo un pegno. Dice virtù, parola che ha rubato ai tuoi costumi; la bellezza poi era sulle tue guance: e non ti ha dato merito che non fosse già tra i tuoi. Per ciò che dice tu non ringraziarlo, se tutto quel che dà sei tu a pagarlo.
2069
Shakespeare IV.indb 2069
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 80-81
80 O, how I faint when I of you do write, Knowing a better spirit doth use your name, And in the praise thereof spends all his might, To make me tongue-tied, speaking of your fame! But since your worth, wide as the ocean is, The humble as the proudest sail doth bear, My saucy barque, inferior far to his, On your broad main doth wilfully appear. Your shallowest help will hold me up afloat Whilst he upon your soundless deep doth ride; Or, being wrecked, I am a worthless boat, He of tall building and of goodly pride. Then if he thrive and I be cast away, The worst was this: my love was my decay.
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81 Or I shall live your epitaph to make, Or you survive when I in earth am rotten. From hence your memory death cannot take, Although in me each part will be forgotten. Your name from hence immortal life shall have, Though I, once gone, to all the world must die. The earth can yield me but a common grave When you entombèd in men’s eyes shall lie. Your monument shall be my gentle verse, Which eyes not yet created shall o’er-read, And tongues to be your being shall rehearse When all the breathers of this world are dead. You still shall live — such virtue hath my pen — Where breath most breathes, even in the mouths of men.
5
10
2070
Shakespeare IV.indb 2070
30/11/2018 09:34:12
SONETTI, 80-81
80 Non ce la faccio a scrivere di te se un miglior spirito usa il tuo nome, e lodandoti dà il meglio di sé e nel cantarti poi mi toglie voce! Ma, siccome è un oceano il tuo valore – spinge ogni vela, umile o superba –, la mia barca, alla sua così inferiore, si affaccia sul tuo mare assai caparbia. Potrà salvarmi il tuo più lieve impegno, lui scenderà al tuo abisso sconfinato; o, se sarò inghiottito, sarò un legno, mentre il suo grande scafo è più pregiato. Se affogherò, e lui arriverà prima, sarà stato il mio amore mia rovina.
81 Che io viva per dire la tua gloria o che tu sopravviva a me interrato, da qui non svanirà la tua memoria pure se io sarò dimenticato. Il nome tuo da qui ha vita immortale, anche se io per il mondo sarò morto. La terra a me darà una fossa uguale, ma in ogni sguardo tu sarai sepolto. Tuo monumento è il mio gentile verso, che gli occhi di domani leggeranno, lingue future ti ripeteranno quando ogni respiro sarà perso. Questo dà la mia penna quando tocca: vita in ogni respiro, in ogni bocca.
2071
Shakespeare IV.indb 2071
30/11/2018 09:34:12
SONNETS, 82-83
82 I grant thou wert not married to my muse, And therefore mayst without attaint o’erlook The dedicated words which writers use Of their fair subject, blessing every book. Thou art as fair in knowledge as in hue, Finding thy worth a limit past my praise, And therefore art enforced to seek anew Some fresher stamp of these time-bettering days. And do so, love; yet when they have devised What strainèd touches rhetoric can lend, Thou, truly fair, wert truly sympathized In true plain words by thy true-telling friend; And their gross painting might be better used Where cheeks need blood: in thee it is abused.
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83 I never saw that you did painting need, And therefore to your fair no painting set. I found — or thought I found — you did exceed The barren tender of a poet’s debt; And therefore have I slept in your report: That you yourself, being extant, well might show How far a modern quill doth come too short, Speaking of worth, what worth in you doth grow. This silence for my sin you did impute, Which shall be most my glory, being dumb; For I impair not beauty, being mute, When others would give life, and bring a tomb. There lives more life in one of your fair eyes Than both your poets can in praise devise.
5
10
2072
Shakespeare IV.indb 2072
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 82-83
82 Certo, non sei sposato alla mia musa, perciò non sei colpevole se hai detto sì a parole che ogni poeta usa sul suo soggetto, in libro benedetto. Tu, bello nell’aspetto e nel pensare, vuoi un elogio che è più del mio valore, e sei costretto altrove a ricercare le novità di un’epoca migliore. Fa’ pure. Ma se altri avranno tratto dalla retorica tocchi d’artificio, tu, vero bello, avrai un vero ritratto da veri versi di un tuo vero amico. La loro tinta forte andrebbe usata su guance senza sangue: in te è sprecata.
83 Non vedo che tu manchi di colore e non ne ho aggiunto mai alla tua armonia, e ti trovai, o ti pensai, migliore di un misero tributo di poesia. Per questo a farti lodi ho ritardato, sì che da te potessi dimostrare quanto un poeta d’oggi è inadeguato se della tua virtù vuole parlare. Per questo mio silenzio m’hai incolpato, ma l’esser muto è la mia grande mossa: la tua bellezza non ho danneggiato, mentre chi vuol dar vita poi l’affossa. Vive più vita dentro i tuoi occhi lieti che nelle lodi dei tuoi due poeti.
2073
Shakespeare IV.indb 2073
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 84-85
84 Who is it that says most which can say more Than this rich praise: that you alone are you, In whose confine immurèd is the store Which should example where your equal grew? Lean penury within that pen doth dwell That to his subject lends not some small glory; But he that writes of you, if he can tell That you are you, so dignifies his story. Let him but copy what in you is writ, Not making worse what nature made so clear, And such a counterpart shall fame his wit, Making his style admirèd everywhere. You to your beauteous blessings add a curse, Being fond on praise, which makes your praises worse.
5
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85 My tongue-tied muse in manners holds her still While comments of your praise, richly compiled, Reserve thy character with golden quill And precious phrase by all the muses filed. I think good thoughts whilst other write good words, And like unlettered clerk still cry ‘Amen’ To every hymn that able spirit affords In polished form of well-refinèd pen. Hearing you praised I say ‘’Tis so, ’tis true,’ And to the most of praise add something more; But that is in my thought, whose love to you, Though words come hindmost, holds his rank before. Then others for the breath of words respect, Me for my dumb thoughts, speaking in effect.
5
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2074
Shakespeare IV.indb 2074
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 84-85
84 Chi dice il meglio, certo non può dire più dell’elogio “Solo tu sei tu”, lì dove c’è il confine per capire che mai nel mondo un tuo eguale vi fu. C’è una grande miseria in quella penna che non porti al soggetto un po’ di gloria, ma chi scrive di te, se appena accenna che “Tu sei tu”, nobilita la storia. Copia soltanto ciò che in te v’è scritto, senza sciupare quel che nacque chiaro, questo renderà eterno il suo intelletto e il suo stile dovunque sarà caro. Nelle tue belle grazie è una sventura: più vuoi una lode, più quella peggiora.
85 La mia poesia sta muta per rispetto, mentre opere in tua lode, assai sontuose, impongono, quali penne ad effetto, preziosismi limati dalle muse. Ho bei pensieri, altri belle parole. Dico “Amen” come un prete ignorante ad ogni rima di mente geniale in bello stile di penna sapiente. Alle tue lodi esclamo “È giusto! È vero!” e alla più alta qualcos’altro accosto; ma riesco a farlo solo nel pensiero, dove il mio zitto amore ha il primo posto. Rispetta gli altri per i loro fiati, nei fatti parlano i pensieri muti.
2075
Shakespeare IV.indb 2075
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 86-87
86 Was it the proud full sail of his great verse Bound for the prize of all-too-precious you That did my ripe thoughts in my brain inhearse, Making their tomb the womb wherein they grew? Was it his spirit, by spirits taught to write Above a mortal pitch, that struck me dead? No, neither he nor his compeers by night Giving him aid my verse astonishèd. He nor that affable familiar ghost Which nightly gulls him with intelligence, As victors, of my silence cannot boast; I was not sick of any fear from thence. But when your countenance filled up his line, Then lacked I matter; that enfeebled mine.
5
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87 Farewell — thou art too dear for my possessing, And like enough thou know’st thy estimate. The charter of thy worth gives thee releasing; My bonds in thee are all determinate. For how do I hold thee but by thy granting, And for that riches where is my deserving? The cause of this fair gift in me is wanting, And so my patent back again is swerving. Thyself thou gav’st, thy own worth then not knowing, Or me to whom thou gav’st it else mistaking; So thy great gift, upon misprision growing, Comes home again, on better judgement making. Thus have I had thee as a dream doth flatter: In sleep a king, but waking no such matter.
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2076
Shakespeare IV.indb 2076
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 86-87
86 Superba vela di un verso possente spiegata alla preziosa tua riscossa mi soffocò idee dentro la mente passandole dal grembo ad una fossa? Da spiriti allo scrivere fu edotto in gran stile, colpendo me a morte? Non lui né i suoi compagni della notte stordirono il mio verso così forte. Né lui, né il suo fantasma familiare che a notte i suoi segreti gli procura il mio silenzio possono vantare: non veniva da lì la mia paura. Quando un tuo sì innalzò la sua poesia, mi mancò il tema, e lì finì la mia.
87 Addio. Tu, che per me sei troppo caro, fin troppo la tua stima hai conosciuto. Ogni diritto ti dà il tuo valore, e con te il mio vincolo è scaduto. Ti tengo infatti solo grazie a te, e pertanto il mio merito dov’è? In me manca il motivo di un tal dono, e il mio diritto a te torna di nuovo. Ti donasti ignorando il tuo valore o ti desti pensandomi altra cosa, così il tuo dono, fatto per errore, ora che ci ripensi, torna a casa. Ti ho avuto come un sogno che trastulla: nel sonno un re, poi al risveglio un nulla.
2077
Shakespeare IV.indb 2077
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 88-89
88 When thou shalt be disposed to set me light And place my merit in the eye of scorn, Upon thy side against myself I’ll fight, And prove thee virtuous though thou art forsworn. With mine own weakness being best acquainted, Upon thy part I can set down a story Of faults concealed wherein I am attainted, That thou in losing me shall win much glory; And I by this will be a gainer too; For bending all my loving thoughts on thee, The injuries that to myself I do, Doing thee vantage, double vantage me. Such is my love, to thee I so belong, That for thy right myself will bear all wrong.
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89 Say that thou didst forsake me for some fault, And I will comment upon that offence; Speak of my lameness, and I straight will halt, Against thy reasons making no defence. Thou canst not, love, disgrace me half so ill, To set a form upon desirèd change, As I’ll myself disgrace, knowing thy will. I will acquaintance strangle and look strange, Be absent from thy walks, and in my tongue Thy sweet belovèd name no more shall dwell, Lest I, too much profane, should do it wrong, And haply of our old acquaintance tell. For thee, against myself I’ll vow debate; For I must ne’er love him whom thou dost hate.
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2078
Shakespeare IV.indb 2078
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 88-89
88 Quando deciderai di non stimarmi e mi offrirai al disprezzo delle genti, con te e contro di me potrai trovarmi e ti dirò sincero anche se menti. Essendo dei miei mali il più informato, in tuo aiuto potrei dire una storia di vecchie colpe che mi hanno macchiato, e tu, perdendomi, ne trarresti gloria. Ma anch’io qualcosa ne guadagnerei; ho idee d’amore e sono tutte tue, e l’offesa che a me stesso farei per te sarà un vantaggio, per me due. Tale è il mio amore, tanto ti appartengo: do torto a me, e sempre ti sostengo.
89 Di’ che a mia colpa mi lasciasti andare e aggiungerò più colpe a quell’offesa: tu dimmi zoppo e vorrò zoppicare e ai tuoi argomenti non avrò difesa. Tu solo la metà mi offenderai, per il tuo desiderio di cambiare, di quant’io mi denigri a causa tua. Mi farò estraneo e ucciderò il mio amore, camminerò lontano dai tuoi passi e la bocca mai più dirà il tuo nome, perché, blasfemo, io non faccia danni ricordando la vecchia relazione. Per te e contro di me giuro di stare, perché, se mi odi, io non mi posso amare.
2079
Shakespeare IV.indb 2079
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 90-91
90 Then hate me when thou wilt, if ever, now, Now while the world is bent my deeds to cross, Join with the spite of fortune, make me bow, And do not drop in for an after-loss. Ah do not, when my heart hath scaped this sorrow, Come in the rearward of a conquered woe; Give not a windy night a rainy morrow To linger out a purposed overthrow. If thou wilt leave me, do not leave me last, When other petty griefs have done their spite, But in the onset come; so shall I taste At first the very worst of fortune’s might, And other strains of woe, which now seem woe, Compared with loss of thee will not seem so.
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91 Some glory in their birth, some in their skill, Some in their wealth, some in their body’s force, Some in their garments (though new-fangled ill), Some in their hawks and hounds, some in their horse, And every humour hath his adjunct pleasure Wherein it finds a joy above the rest. But these particulars are not my measure; All these I better in one general best. Thy love is better than high birth to me, Richer than wealth, prouder than garments’ cost, Of more delight than hawks or horses be, And having thee of all men’s pride I boast, Wretched in this alone: that thou mayst take All this away, and me most wretched make.
5
10
2080
Shakespeare IV.indb 2080
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 90-91
90 Odiami quando vuoi, se vuoi anche ora, ora che tutto il mondo mi vuol male, aggiungi il colpo tuo alla mia sventura, ma prego non sia tu il colpo finale. Tu, se del cuore poi qualcosa resta, non rivangare la ferita aperta, non far seguire pioggia alla tempesta, non prolungare una disfatta certa. Non lasciarmi alla fine del cammino quando sofferto avrò tutti i dolori: vieni per primo, lascia che assapori il peso che ha la forza del destino. Ogni altra pena non sarà gran che, paragonata all’aver perso te.
91 Chi vanta nascita, chi vanta ingegno, chi vanta forza, chi vanta gli averi, chi nuove vesti di strano disegno, chi vanta cavalli, o falchi e levrieri, ogni carattere ha un proprio piacere, dentro vi trova una gioia superiore. Sono minuzie che non so godere: io le miglioro in un bene migliore. Il tuo amore è più che alti natali, più ricco e d’ogni eleganza più fiero, più gioia di un falco, più di un destriero, in te io ritrovo tutti i vanti umani. Povero solo, se puoi in un secondo fare di me il più povero al mondo.
2081
Shakespeare IV.indb 2081
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 92-93
92 But do thy worst to steal thyself away, For term of life thou art assurèd mine, And life no longer than thy love will stay, For it depends upon that love of thine. Then need I not to fear the worst of wrongs When in the least of them my life hath end. I see a better state to me belongs Than that which on thy humour doth depend. Thou canst not vex me with inconstant mind, Since that my life on thy revolt doth lie. O, what a happy title do I find — Happy to have thy love, happy to die! But what’s so blessèd fair that fears no blot? Thou mayst be false, and yet I know it not.
5
10
93 So shall I live supposing thou art true Like a deceivèd husband; so love’s face May still seem love to me, though altered new — Thy looks with me, thy heart in other place. For there can live no hatred in thine eye, Therefore in that I cannot know thy change. In many’s looks the false heart’s history Is writ in moods and frowns and wrinkles strange; But heaven in thy creation did decree That in thy face sweet love should ever dwell; Whate’er thy thoughts or thy heart’s workings be, Thy looks should nothing thence but sweetness tell. How like Eve’s apple doth thy beauty grow If thy sweet virtue answer not thy show!
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10
2082
Shakespeare IV.indb 2082
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 92-93
92 Fa’ pure del tuo peggio per scappare, tu sarai mio per tutta la mia vita: oltre il tuo amore lei non può durare, perché su questo amore è costruita. Non temerò il maggiore dei tuoi torti se posso anche morire del minore, penso di meritare miglior sorte di quella che dipende dal tuo umore. La tua incostanza non mi fa penare, da dove vai dipende la mia vita. Oh, che felicità posso vantare: con te felice, o nel farla finita! Quale felicità non ha una macchia? Forse m’inganni senza che lo sappia.
93 E così dovrò crederti fidato, come un marito illuso, e quel tuo amore mi parrà amore pure se cambiato: gli occhi con me, ma altrove con il cuore. Siccome poi il tuo sguardo non sa odiare, dagli occhi tuoi non scorgo i cambiamenti. Negli sguardi degli altri un falso amare sta in malumori, rughe e turbamenti; ma il cielo invece volle con fermezza che nel tuo viso fosse solo amore e negli occhi nient’altro che dolcezza, quali fossero i moti del tuo cuore. La tua bellezza è la mela di Eva: al suo aspetto virtù non rispondeva!
2083
Shakespeare IV.indb 2083
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 94-95
94 They that have power to hurt and will do none, That do not do the thing they most do show, Who moving others are themselves as stone, Unmovèd, cold, and to temptation slow — They rightly do inherit heaven’s graces, And husband nature’s riches from expense; They are the lords and owners of their faces, Others but stewards of their excellence. The summer’s flower is to the summer sweet Though to itself it only live and die, But if that flower with base infection meet The basest weed outbraves his dignity; For sweetest things turn sourest by their deeds: Lilies that fester smell far worse than weeds.
5
10
95 How sweet and lovely dost thou make the shame Which, like a canker in the fragrant rose, Doth spot the beauty of thy budding name! O, in what sweets dost thou thy sins enclose! That tongue that tells the story of thy days, Making lascivious comments on thy sport, Cannot dispraise, but in a kind of praise, Naming thy name, blesses an ill report. O, what a mansion have those vices got Which for their habitation chose out thee, Where beauty’s veil doth cover every blot And all things turns to fair that eyes can see! Take heed, dear heart, of this large privilege: The hardest knife ill used doth lose his edge.
5
10
2084
Shakespeare IV.indb 2084
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 94-95
94 Chi ha potere di ferire eppure arretra, o chi non fa la cosa più evidente, commuove te, ma resta come pietra, freddo, apatico e come indifferente: questi ha del cielo tutto il suo favore e non spreca il meglio di natura; della sua faccia è padrone e signore, e gli altri, schiavi addetti alla sua cura. Il fiore dell’estate è molto amato pure se per sé solo vive e muore, ma se poi il fiore viene contagiato è vinto da una pianta a lui inferiore. Più è dolce, più una cosa cambia faccia: puzzano i gigli marci più di erbaccia.
95 Quanto dolce e amabile sai fare la vergogna che, verme nella rosa, il bocciolo del tuo nome va a intaccare! Oh, in che dolcezza il tuo vizio riposa! Chi dei tuoi giorni poi dirà la storia, con qualche oscenità sui tuoi amori, non potrà darti critiche ma gloria: col tuo nome un giudizio lo migliori. Oh, che dimora i vizi si son dati scegliendo proprio te come abitato, se la bellezza copre i tuoi peccati e rende tutto quanto più aggraziato! Ma il privilegio tuo non sia uno sbaglio, male usato un coltello perde il taglio.
2085
Shakespeare IV.indb 2085
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 96-97
96 Some say thy fault is youth, some wantonness; Some say thy grace is youth and gentle sport. Both grace and faults are loved of more and less; Thou mak’st faults graces that to thee resort. As on the finger of a thronèd queen The basest jewel will be well esteemed, So are those errors that in thee are seen To truths translated and for true things deemed. How many lambs might the stern wolf betray If like a lamb he could his looks translate! How many gazers mightst thou lead away If thou wouldst use the strength of all thy state! But do not so: I love thee in such sort As, thou being mine, mine is thy good report.
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10
97 How like a winter hath my absence been From thee, the pleasure of the fleeting year! What freezings have I felt, what dark days seen, What old December’s bareness everywhere! And yet this time removed was summer’s time, The teeming autumn big with rich increase, Bearing the wanton burden of the prime Like widowed wombs after their lords’ decease. Yet this abundant issue seemed to me But hope of orphans and unfathered fruit, For summer and his pleasures wait on thee, And thou away, the very birds are mute; Or if they sing, ’tis with so dull a cheer That leaves look pale, dreading the winter’s near.
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10
2086
Shakespeare IV.indb 2086
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 96-97
96 Chi t’incolpa di eccessi o gioventù, chi vede grazia nell’età e gli amori. Amano grazia e colpe i pochi e i più, e tu in grazia sai volgere gli errori. Come al dito di una regina in trono ogni gioiello sembra rarità, così gli errori tuoi, che chiari sono, cambiano e sono detti verità. Quanti agnelli il lupo ingannerebbe se in agnello si sapesse mutare! Gli ammiratori che corromperebbe il tuo rango, se lo volessi usare! Ma non lo fare: io ti amo tanto, come sentissi mio persino il tuo buon nome.
97 Mi è parsa inverno la separazione da te, mia gioia di un anno che fugge! Che freddo ho avuto, che giornate grigie! Sempre dicembre, che desolazione! Eppure a fine estate noi si era: fertile autunno, dai doni assortiti, covava i semi della primavera, grembi vedovi, in morte dei mariti. Ma l’abbondanza a me sembrava che dei frutti senza padre avrebbe avuti: estate e gioia dipendono da te e, senza, anche gli uccelli sono muti; o cantano con aria così stanca che ogni foglia teme l’inverno e sbianca.
2087
Shakespeare IV.indb 2087
30/11/2018 09:34:13
SONNETS, 98-99
98 From you have I been absent in the spring When proud-pied April, dressed in all his trim, Hath put a spirit of youth in everything, That heavy Saturn laughed and leapt with him. Yet nor the lays of birds nor the sweet smell Of different flowers in odour and in hue Could make me any summer’s story tell, Or from their proud lap pluck them where they grew; Nor did I wonder at the lily’s white, Nor praise the deep vermilion in the rose. They were but sweet, but figures of delight Drawn after you, you pattern of all those; Yet seemed it winter still, and, you away, As with your shadow I with these did play.
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10
99 The forward violet thus did I chide: Sweet thief, whence didst thou steal thy sweet that smells, If not from my love’s breath? The purple pride Which on thy soft cheek for complexion dwells In my love’s veins thou hast too grossly dyed. The lily I condemnèd for thy hand, And buds of marjoram had stol’n thy hair; The roses fearfully on thorns did stand, One blushing shame, another white despair; A third, nor red nor white, had stol’n of both, And to his robb’ry had annexed thy breath; But for his theft in pride of all his growth A vengeful canker ate him up to death. More flowers 1 noted, yet I none could see But sweet or colour it had stol’n from thee.
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10
2088
Shakespeare IV.indb 2088
30/11/2018 09:34:13
SONETTI, 98-99
98 E anche a primavera fui distante, quando aprile, tutto in tiro e fierezza, con il duro Saturno in risa e danze spargeva intorno un brio di giovinezza. Ma né canti di uccelli o mille fiori diversi per aromi e per colori mi hanno ispirato mai un canto d’estate, né a cogliere le gemme appena nate; non mi stupì del giglio il suo candore, né il rosso profondo della rosa; erano cose dolci, ma figure di te che sei il modello d’ogni cosa. Sembrava ancora inverno, tu lontano: erano la tua ombra, e ci giocavo.
99 Quello che dissi alla viola precoce: “Dolce ladra, a chi hai tolto il buon odore, al fiato del mio amore? E lo sprezzante rosso, che alla tua gota dà colore, l’hai preso alle sue vene certamente”. Per la tua mano il giglio ha avuto accuse, l’origano per la capigliatura; sulle spine tremavano due rose: rossa in vergogna e bianca di paura; ne vidi un’altra che le rapinava e pure il tuo respiro derubò, ma per quel furto, mentre lei cresceva, fece giustizia un verme e la mangiò. Vidi altri fiori, e non ce n’era uno che non t’avesse preso il tuo profumo.
2089
Shakespeare IV.indb 2089
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 100-101
100 Where art thou, muse, that thou forget’st so long To speak of that which gives thee all thy might? Spend’st thou thy fury on some worthless song, Dark’ning thy power to lend base subjects light? Return, forgetful muse, and straight redeem In gentle numbers time so idly spent; Sing to the ear that doth thy lays esteem And gives thy pen both skill and argument. Rise, resty muse, my love’s sweet face survey If time have any wrinkle graven there. If any, be a satire to decay And make time’s spoils despisèd everywhere. Give my love fame faster than time wastes life; So, thou prevene’st his scythe and crookèd knife.
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10
101 O truant muse, what shall be thy amends For thy neglect of truth in beauty dyed? Both truth and beauty on my love depends; So dost thou too, and therein dignified. Make answer, muse. Wilt thou not haply say ‘Truth needs no colour with his colour fixed, Beauty no pencil beauty’s truth to lay, But best is best if never intermixed’? Because he needs no praise wilt thou be dumb? Excuse not silence so, for’t lies in thee To make him much outlive a gilded tomb, And to be praised of ages yet to be. Then do thy office, muse; I teach thee how To make him seem long hence as he shows now.
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10
2090
Shakespeare IV.indb 2090
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 100-101
100 Dove sei tu, mia musa, che da tanto tralasci chi ti dona il tuo vigore? Perché ti perdi in qualche indegno canto, ti oscuri per dar luce a chi è inferiore? Tu smemorata, torna a riscattare in buoni versi il tempo che hai sprecato; canta all’orecchio che ti sa apprezzare e alla tua penna dà materia e afflato. Su, pigra, al viso amato va’ vicino, vedi se il tempo qualche ruga ha inciso, e, se c’è, sii una satira al declino e l’assalto del tempo rendi inviso. Più veloce del tempo dagli fama, prima di quella falce e quella lama.
101 Oziosa musa, quali scuse avrai se scordi, tinta in bello, una virtù? Virtù e bello dipendono da lui, e in lui ritrovi un merito anche tu. Rispondi, musa. O vorrai replicare: “Non vuole tinte un colore sicuro, né ritocchi per potersi affermare, ma il meglio è meglio solo quand’è puro”? Tacerai perché a lui non serve un coro? Non ti scusare, solo tu puoi fare che duri più di un bel sepolcro d’oro e sia apprezzato dalle età future. Fa’ il tuo dovere, e io ti farò scuola perché appaia ai futuri com’è ora.
2091
Shakespeare IV.indb 2091
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 102-103
102 My love is strengthened, though more weak in seeming. 1 love not less, though less the show appear. That love is merchandized whose rich esteeming The owner’s tongue doth publish everywhere. Our love was new and then but in the spring When I was wont to greet it with my lays, As Philomel in summer’s front doth sing, And stops her pipe in growth of riper days — Not that the summer is less pleasant now Than when her mournful hymns did hush the night, But that wild music burdens every bough, And sweets grown common lose their dear delight. Therefore like her I sometime hold my tongue, Because I would not dull you with my song.
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103 Alack, what poverty my muse brings forth That, having such a scope to show her pride, The argument all bare is of more worth Than when it hath my added praise beside! O blame me not if I no more can write! Look in your glass and there appears a face That overgoes my blunt invention quite, Dulling my lines and doing me disgrace. Were it not sinful then, striving to mend, To mar the subject that before was well? — For to no other pass my verses tend Than of your graces and your gifts to tell; And more, much more, than in my verse can sit Your own glass shows you when you look in it.
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2092
Shakespeare IV.indb 2092
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 102-103
102 Forte è il mio amore, anche se stanco appare. Se non lo mostro, non è meno amore. È mercato l’amore il cui valore il proprietario è in giro a pubblicare. In primavera, nuovo il nostro amore, lo salutavo con una canzone, come usignolo canta in prima estate e nei giorni maturi invece tace; quest’estate non ha meno richiamo di quella notte muta al suo dolore, ma un grande chiasso pesa su ogni ramo: gioie comuni perdono valore. Come usignolo, se taccio ogni tanto è per non annoiarti col mio canto.
103 Ahimè, che povertà crea la mia musa e avrebbe tanto modo di mostrarsi, ma la cosa è più preziosa nuda di quando del mio elogio può vantarsi! Non biasimarmi se di più non scrivo! Guarda lo specchio, ti mostrerà un viso che assai va oltre questa stanca vena, mi annebbia i versi e mi dà grande pena. Peccato, se a volerlo migliorare si sciupasse un soggetto che era buono, e il mio verso non sa desiderare che cantare le grazie e ogni tuo dono. E più, assai più di quanto il verso parli, te lo mostra il tuo specchio, se vi guardi.
2093
Shakespeare IV.indb 2093
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 104-105
104 To me, fair friend, you never can be old; For as you were when first your eye I eyed, Such seems your beauty still. Three winters cold Have from the forests shook three summers’ pride; Three beauteous springs to yellow autumn turned In process of the seasons have I seen, Three April perfumes in three hot Junes burned Since first I saw you fresh, which yet are green. Ah yet doth beauty, like a dial hand, Steal from his figure and no pace perceived; So your sweet hue, which methinks still doth stand, Hath motion, and mine eye may be deceived. For fear of which, hear this, thou age unbred: Ere you were born was beauty’s summer dead.
5
10
105 Let not my love be called idolatry, Nor my belovèd as an idol show, Since all alike my songs and praises be To one, of one, still such, and ever so. Kind is my love today, tomorrow kind, Still constant in a wondrous excellence. Therefore my verse, to constancy confined, One thing expressing, leaves out difference. ‘Fair, kind, and true’ is all my argument, ‘Fair, kind, and true’ varying to other words, And in this change is my invention spent, Three themes in one, which wondrous scope affords. Fair, kind, and true have often lived alone, Which three till now never kept seat in one.
5
10
2094
Shakespeare IV.indb 2094
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 104-105
104 Per me, mio amico, non sarai mai vecchio: la prima volta che vidi il tuo occhio, sei ancora quello. Tre inverni gelati hanno scosso dagli alberi tre estati; tre primavere in tre autunni accesi ho visto in questo scorrere di mesi, tre aromi che da aprile giugno sperde: ti vidi in fiore, e sei ancora verde. Ma la bellezza, ombra sui quadranti, sfugge via e non pare andare avanti, così il tuo dolce aspetto pare inerte, ma ha un moto che lo sguardo non avverte. Perciò, ascoltate, età ancora non nate: morì prima di voi la bella estate.
105 Non si dica il mio amore idolatria, né appaia un idolo il mio adorato, se ho sempre uguali lodi e la poesia, per uno, di uno, sempre, anche in passato. Gentile, lo è il mio amore oggi e domani, sempre costante nella sua eccellenza. Perché il mio verso sdegna cambi strani, si vuole limitare alla coerenza. “Bello, gentile e vero”, ecco il mio tema, “bello, gentile e vero”, o altre parole, e in questo cambio è tutta la mia vena: tre temi in uno trova un’occasione. Tre qualità che fanno vita sola, finora mai nella stessa persona.
2095
Shakespeare IV.indb 2095
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 106-107
106 When in the chronicle of wasted time I see descriptions of the fairest wights, And beauty making beautiful old rhyme In praise of ladies dead and lovely knights; Then in the blazon of sweet beauty’s best, Of hand, of foot, of lip, of eye, of brow, I see their antique pen would have expressed Even such a beauty as you master now. So all their praises are but prophecies Of this our time, all you prefiguring, And for they looked but with divining eyes They had not skill enough your worth to sing; For we which now behold these present days Have eyes to wonder, but lack tongues to praise.
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10
107 Not mine own fears nor the prophetic soul Of the wide world dreaming on things to come Can yet the lease of my true love control, Supposed as forfeit to a confined doom. The mortal moon hath her eclipse endured, And the sad augurs mock their own presage; Incertainties now crown themselves assured, And peace proclaims olives of endless age. Now with the drops of this most balmy time My love looks fresh, and death to me subscribes, Since spite of him I’ll live in this poor rhyme While he insults o’er dull and speechless tribes; And thou in this shalt find thy monument When tyrants’ crests and tombs of brass are spent.
5
10
2096
Shakespeare IV.indb 2096
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 106-107
106 Se nelle cronache di tempi persi trovo i migliori animi di ieri, bellezza che fa belli antichi versi in morte di madonne e cavalieri; nello sfoggio di tante cose care, di mani, labbra, occhi, fronti e piedi, so che l’antica penna vuol mostrare la bellezza che oggi tu possiedi. Del nostro tempo tutti i loro canti son profezie e anticipano te; ma avendo occhi solo divinanti, del tuo meglio non dicono gran che. Noi invece abbiamo occhi per guardarti, ma non ci è data lingua per lodarti.
107 Né le paure né l’indagatore mondo intero che scruta l’avvenire fisseranno la data del mio amore, pensandolo destinato alla fine. Un’eclissi di luna è superata e il cattivo profeta sta ridendo; l’incertezza col certo è coronata, la pace chiede ulivi senza tempo. In gocce di momenti ora più tersi rinnovo amore e morte mi s’immola, ché, a suo dispetto, io vivrò tra i versi, lei tra ottuse tribù senza parola. Qui trovi un monumento per domani, persi il bronzo e corone di sovrani.
2097
Shakespeare IV.indb 2097
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 108-109
108 What’s in the brain that ink may character Which hath not figured to thee my true spirit? What’s new to speak, what now to register, That may express my love or thy dear merit? Nothing, sweet boy; but yet like prayers divine I must each day say o’er the very same, Counting no old thing old, thou mine, I thine, Even as when first I hallowed thy fair name. So that eternal love in love’s fresh case Weighs not the dust and injury of age, Nor gives to necessary wrinkles place, But makes antiquity for aye his page, Finding the first conceit of love there bred Where time and outward form would show it dead.
5
10
109 O never say that I was false of heart, Though absence seemed my flame to qualify — As easy might I from myself depart As from my soul, which in thy breast doth lie. That is my home of love. If I have ranged, Like him that travels I return again, Just to the time, not with the time exchanged, So that myself bring water for my stain. Never believe, though in my nature reigned All frailties that besiege all kinds of blood, That it could so preposterously be stained To leave for nothing all thy sum of good; For nothing this wide universe I call Save thou my rose; in it thou art my all.
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10
2098
Shakespeare IV.indb 2098
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 108-109
108 Che ho più nel cervello da dettare che non t’abbia già espresso con il cuore? Che dire ancora, cosa registrare per dire del mio amore o il tuo valore? Niente, caro. Come preghiere, io devo dire ogni giorno stesse cose, e vale ancora quell’“Io tuo, tu mio”, come la volta che adorai il tuo nome. L’eterno amore, anche in nuovi disegni, non teme oblio o del tempo l’oltraggio e né gli inesorabili suoi segni: trasforma la vecchiaia in un suo paggio. Lui è sempre lì, appena generato, pur se il tempo lo vorrebbe passato.
109 Che fui falso di cuore non lo dire, forse l’assenza smorzò un po’ l’affetto: più da me stesso io potrei partire che dall’anima mia, che è nel tuo petto. È la mia casa d’amore. E se ho vagato viaggiando, torno poi tutte le volte giusto in tempo, dal tempo non cambiato, con l’acqua per lavarmi dalle colpe. Non pensare, anche dovessi avere tutte le debolezze nel mio sangue, che assurdamente mi possa macchiare da perdere il tuo bene per un niente. Credo che l’universo un niente sia, ma in esso sei il mio tutto, rosa mia.
2099
Shakespeare IV.indb 2099
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 110-111
110 Alas, ’tis true, I have gone here and there And made myself a motley to the view, Gored mine own thoughts, sold cheap what is most dear, Made old offences of affections new. Most true it is that I have looked on truth Askance and strangely. But, by all above, These blenches gave my heart another youth, And worse essays proved thee my best of love. Now all is done, have what shall have no end; Mine appetite I never more will grind On newer proof to try an older friend, A god in love, to whom I am confined. Then give me welcome, next my heaven the best, Even to thy pure and most most loving breast.
5
10
111 O, for my sake do you with fortune chide, The guilty goddess of my harmful deeds, That did not better for my life provide Than public means which public manners breeds. Thence comes it that my name receives a brand, And almost thence my nature is subdued To what it works in, like the dyer’s hand. Pity me then, and wish I were renewed, Whilst like a willing patient I will drink Potions of eisel ’gainst my strong infection; No bitterness that I will bitter think, Nor double penance to correct correction. Pity me then, dear friend, and I assure ye Even that your pity is enough to cure me.
5
10
2100
Shakespeare IV.indb 2100
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 110-111
110 È vero, fui qui e là a vagabondare e ho fatto di me stesso un gran buffone, sporcato idee, svenduto cose care, offeso affetti per cose più nuove. Più vero è che guardai la fedeltà di traverso e assai male. Eppure, cielo, questo dette al mio cuore nuova età, confermandomi che sei l’amore vero. Finito. A te andrà invece ogni infinito. Il mio appetito non vorrò affi lato con nuove prove, solo il vecchio amico, un dio in amore, in cui son confinato. Dammi l’abbraccio, quasi benedetto, nel tuo puro e assai amoroso petto.
111 Per amor mio tu sgrida la fortuna, la dea colpevole dei miei errori, che non mi diede dignità alcuna, del pubblico serbandomi i favori. Da lì deriva un marchio sul mio onore, l’anima s’è macchiata nel frattempo, quasi fosse la mano di un tintore. Abbi pietà, chiedimi un cambiamento, intanto io berrò, bravo paziente, dosi di aceto per la mia infezione; non dirò che l’amaro è troppo ardente, né due castighi, a doppia correzione. Abbi pietà, ti posso assicurare, la sola tua pietà mi può curare.
2101
Shakespeare IV.indb 2101
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 112-113
112 Your love and pity doth th’impression fi ll Which vulgar scandal stamped upon my brow; For what care I who calls me well or ill, So you o’er-green my bad, my good allow? You are my all the world, and I must strive To know my shames and praises from your tongue — None else to me, nor I to none alive, That my steeled sense or changes, right or wrong. In so profound abyss I throw all care Of others’ voices that my adder’s sense To critic and to flatterer stoppèd are. Mark how with my neglect I do dispense: You are so strongly in my purpose bred That all the world besides, methinks, they’re dead.
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113 Since I left you mine eye is in my mind, And that which governs me to go about Doth part his function and is partly blind, Seems seeing, but effectually is out; For it no form delivers to the heart Of bird, of flower, or shape which it doth latch. Of his quick objects hath the mind no part, Nor his own vision holds what it doth catch; For if it see the rud’st or gentlest sight, The most sweet favour or deformèd’st creature, The mountain or the sea, the day or night, The crow or dove, it shapes them to your feature. Incapable of more, replete with you, My most true mind thus makes mine eye untrue.
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10
2102
Shakespeare IV.indb 2102
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 112-113
112 Pietà e il tuo amore annullano la fama che voci mi stamparono alla fronte: perché che importa chi loda e chi infama, se tu scopri il mio buono e copri le onte? Tu sei il mio mondo e devo indovinare dalle sole tue labbra pregi e vizi, e non esiste un altro che indirizzi la mia dura coscienza al bene o al male. Getto in un tale abisso ogni mia cura delle altrui voci che, come il serpente, al male e al bene l’orecchio si tura. Si sappia perché sono indifferente: tu sei in me radicato così forte che tutto il mondo intorno è cose morte.
113 Da che ti lasciai, vedo con la mente. Quell’occhio che mi guida nell’andare un po’ funziona e un po’ non vede niente, è spento pure se sembra guardare; al cuore più figure non spedisce di uccello, o fiore, o forme che lui scorga. Gli oggetti col cervello non spartisce, né trattiene alla vista ciò che colga: sia rozzo o delicato ciò che appare, la creatura più dolce o più deforme, il giorno oppure notte, il monte o il mare, colomba o corvo, tutto fa a tue forme. E, strapiena di te fino al traguardo, mente sincera fa l’occhio bugiardo.
2103
Shakespeare IV.indb 2103
30/11/2018 09:34:14
SONNETS, 114-115
114 Or whether doth my mind, being crowned with you, Drink up the monarch’s plague, this flattery, Or whether shall I say mine eye saith true, And that your love taught it this alchemy, To make of monsters and things indigest Such cherubins as your sweet self resemble, Creating every bad a perfect best As fast as objects to his beams assemble? O, ’tis the first, ’tis flatt’ry in my seeing, And my great mind most kingly drinks it up. Mine eye well knows what with his gust is ’greeing, And to his palate doth prepare the cup. If it be poisoned, ’tis the lesser sin That mine eye loves it and doth first begin.
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115 Those lines that I before have writ do lie, Even those that said I could not love you dearer; Yet then my judgement knew no reason why My most full flame should afterwards burn clearer. But reckoning time, whose millioned accidents Creep in ’twixt vows and change decrees of kings, Tan sacred beauty, blunt the sharp’st intents, Divert strong minds to th’ course of alt’ring things — Alas, why, fearing of time’s tyranny, Might I not then say ‘Now I love you best’, When I was certain o’er incertainty, Crowning the present, doubting of the rest? Love is a babe; then might I not say so, To give full growth to that which still doth grow.
5
10
2104
Shakespeare IV.indb 2104
30/11/2018 09:34:14
SONETTI, 114-115
114 Forse la mente, da te incoronata, beve dei re i veleni, le lusinghe? O posso dire che l’occhio non finge, e dal tuo amore apprese un’alchimia per trasformare mostri e cose strane in cherubini uguali a un dolce te, e cose brutte in un perfetto bene con la luce dei raggi dentro sé? No, è nello sguardo stesso un lusingare, e la mente la beve regalmente: lui lo sa bene lei cosa vuol bere, e le offre il calice più seducente. Se è veleno, sarà minor peccato se primo l’occhio mio l’avrà assaggiato.
115 Mentono i versi che ho scritto finora, dissi che meglio non potevo amare, perché la mente non credeva allora che la fiamma potesse anche aumentare. Ma, ripensando al tempo, ai mille eventi che sfanno i giuramenti e ogni sentenza, spengono il sacro bello e i fermi intenti, portando salde menti all’incostanza: perché, temendo il tempo che è sovrano, io non avrei dovuto dire “Ti amo al meglio”, quando invece ne ero certo, coronando il presente, e di altro incerto? L’amore è un bimbo. Non sapevo allora, credevo adulto quel che cresce ancora.
2105
Shakespeare IV.indb 2105
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 116-117
116 Let me not to the marriage of true minds Admit impediments. Love is not love Which alters when it alteration finds, Or bends with the remover to remove. O no, it is an ever fixèd mark That looks on tempests and is never shaken; It is the star to every wand’ring barque, Whose worth’s unknown although his height be taken. Love’s not time’s fool, though rosy lips and cheeks Within his bending sickle’s compass come; Love alters not with his brief hours and weeks, But bears it out even to the edge of doom. If this be error and upon me proved, I never writ, nor no man ever loved.
5
10
117 Accuse me thus: that I have scanted all Wherein I should your great deserts repay, Forgot upon your dearest love to call Whereto all bonds do tie me day by day; That I have frequent been with unknown minds, And given to time your own dear-purchased right; That I have hoisted sail to all the winds Which should transport me farthest from your sight. Book both my wilfulness and errors down, And on just proof surmise accumulate; Bring me within the level of your frown, But shoot not at me in your wakened hate, Since my appeal says I did strive to prove The constancy and virtue of your love.
5
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2106
Shakespeare IV.indb 2106
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 116-117
116 Per chi è sincero, non ho impedimenti di matrimonio. Amore non è amore, se muta quando scopre mutamenti o cede ai capricci dell’umore. Oh no, amore è un faro sempre fisso che guarda la tempesta e non ne è scosso; stella polare alla barca perduta: certa la posizione, è forza ignota. Non cambia al tempo, pure se sfiorisce bocca o guancia rosa a quella lama; non muta in brevi ore o a settimana, fino all’ultimo giorno lui resiste. Se questo è errore e mi sarà provato, non ho mai scritto, e mai nessuno ha amato.
117 Accusami di non aver pagato come dovevo il tuo grande valore, trascurando il carissimo tuo amore a cui ogni giorno sono più legato; di essermi dato a sconosciute menti sprecando un tuo diritto ben pagato; di aver alzato vele a tutti i venti, che alla tua vista mi hanno allontanato. Registra ostinatezze e ogni mio sbaglio, somma i sospetti con la giusta prova; delle tue occhiate fammi anche bersaglio, ma non ferirmi di una rabbia nuova: la mia difesa è che volli provare la costanza e la forza del tuo amare.
2107
Shakespeare IV.indb 2107
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 118-119
118 Like as, to make our appetites more keen, With eager compounds we our palate urge; As to prevent our maladies unseen We sicken to shun sickness when we purge: Even so, being full of your ne’er cloying sweetness, To bitter sauces did I frame my feeding, And, sick of welfare, found a kind of meetness To be diseased ere that there was true needing. Thus policy in love, t’anticipate The ills that were not, grew to faults assured, And brought to medicine a healthful state Which, rank of goodness, would by ill be cured. But thence I learn, and find the lesson true: Drugs poison him that so fell sick of you.
5
10
119 What potions have I drunk of siren tears Distilled from limbecks foul as hell within, Applying fears to hopes and hopes to fears, Still losing when I saw myself to win! What wretched errors hath my heart committed Whilst it hath thought itself so blessèd never! How have mine eyes out of their spheres been fitted In the distraction of this madding fever! O benefit of ill! Now I find true That better is by evil still made better, And ruined love when it is built anew Grows fairer than at first, more strong, far greater. So I return rebuked to my content, And gain by ills thrice more than I have spent.
5
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2108
Shakespeare IV.indb 2108
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 118-119
118 Come, se hai un appetito da affi lare, stimoli il tuo palato col piccante o, a prevenzione di un futuro male, ti dài la malattia vera col purgante, pieno della tua mai troppa dolcezza, anch’io condii il mio cibo in salse amare, malato di salute, ebbi prontezza di ammalarmi anche prima di ammalare. La stessa strategia, ma nell’amore, da falsi mali creò colpe reali, e al medico affidò quel mio vigore che, ricco in bene, ebbe per cura i mali. Così imparo, che chi di te è ammalato dai farmaci è soltanto avvelenato.
119 Che pianti di sirene avrò bevuto da un alambicco sporco che le versa, dando paure ai sogni e viceversa: mi vedevo vincente, ero perduto! Il cuore mio ha commesso tali errori, mentre molto felice si è pensato! E gli occhi dalle sfere avevo fuori nella febbre di un delirante stato! Benefici del male! Ora io trovo che, dopo un male, il meglio è migliorato, e che un amore infranto, messo a nuovo, cresce più dolce, grande e rafforzato. Ritorno dal mio amato e sono offeso, ma guadagno tre volte quanto ho speso.
2109
Shakespeare IV.indb 2109
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 120-121
120 That you were once unkind befriends me now, And for that sorrow which I then did feel Needs must I under my transgression bow, Unless my nerves were brass or hammered steel. For if you were by my unkindness shaken As I by yours, you’ve past a hell of time, And I, a tyrant, have no leisure taken To weigh how once I suffered in your crime. O that our night of woe might have remembered My deepest sense how hard true sorrow hits, And soon to you as you to me then tendered The humble salve which wounded bosoms fits! But that your trespass now becomes a fee; Mine ransoms yours, and yours must ransom me.
5
10
121 ’Tis better to be vile than vile esteemed When not to be receives reproach of being, And the just pleasure lost, which is so deemed Not by our feeling but by others’ seeing. For why should others’ false adulterate eyes Give salutation to my sportive blood? Or on my frailties why are frailer spies, Which in their wills count bad what I think good? No, I am that I am, and they that level At my abuses reckon up their own. I may be straight, though they themselves be bevel; By their rank thoughts my deeds must not be shown, Unless this general evil they maintain: All men are bad and in their badness reign.
5
10
2110
Shakespeare IV.indb 2110
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 120-121
120 Mi aiuta che una volta mi hai tradito, perché, per il dolore che ho provato, al peso dei miei vizi ora mi sdraio: non ho i nervi di bronzo, né d’acciaio. Se dall’infedeltà fosti insultato quanto me, un inferno sarà stato, e io, tiranno, neanche ho preso il peso di quello che soffrii quando m’hai offeso. Se quella nostra notte di sconforto m’avesse ricordato del dolore, come facesti tu io t’avrei porto il balsamo per le ferite al cuore! Ma la tua colpa ha un suo compenso in sé: la mia paga la tua, e la tua me.
121 Meglio aver vizi che essere accusato ingiustamente quando non ne hai, e perdere un piacere giudicato non da te stesso, da vedute altrui. Perché dovrebbero occhi bugiardi ammiccare al mio sangue sensuale? O, dietro i vizi miei, viziosi sguardi condannare ciò che non credo un male? Sono quello che sono, ma colui che cerca in altri trova in sé il peccato. Posso esser retto, mentre è obliquo lui; perciò il mio agire non gli sia mostrato. A meno che non pensi, in generale, che l’uomo è indegno e regna sul suo male.
2111
Shakespeare IV.indb 2111
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 122-123
122 Thy gift, thy tables, are within my brain Full charactered with lasting memory, Which shall above that idle rank remain Beyond all date, even to eternity; Or at the least so long as brain and heart Have faculty by nature to subsist, Till each to razed oblivion yield his part Of thee, thy record never can be missed. That poor retention could not so much hold, Nor need I tallies thy dear love to score; Therefore to give them from me was I bold, To trust those tables that receive thee more. To keep an adjunct to remember thee Were to import forgetfulness in me.
5
10
123 No, time, thou shalt not boast that I do change! Thy pyramids built up with newer might To me are nothing novel, nothing strange, They are but dressings of a former sight. Our dates are brief, and therefore we admire What thou dost foist upon us that is old, And rather make them born to our desire Than think that we before have heard them told. Thy registers and thee I both defy, Not wond’ring at the present nor the past; For thy records and what we see doth lie, Made more or less by thy continual haste. This I do vow, and this shall ever be: I will be true despite thy scythe and thee.
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10
2112
Shakespeare IV.indb 2112
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 122-123
122 Il tuo dono, un taccuino, ho nella mente, tutto scritto nella mia memoria, che più a lungo di rima inconsistente durerà per l’eterno, oltre la storia; o, per lo meno, finché a mente e cuore darà natura facoltà di vita o non cadrai all’oblìo cancellatore, la tua memoria non andrà perduta. Povera cosa, non ti conteneva, né ha bisogno di appunti questo amore: ecco perché a gettarlo mi spingeva, per la mente, miglior contenitore. Se tenessi un diario per ricordo, sarebbe dire che di te mi scordo.
123 No, tempo, mai tu mi vedrai cambiare! Le piramidi nuove che hai alzato non sono niente di particolare, abiti su qualcosa già guardato. Breve è la vita, così ci stupiamo di cose vecchie che sai rifilare, fatte a nostro piacere le crediamo, e invece ne sentimmo già parlare. Tempo, io te e i tuoi registri sfido: non mi sorprende l’oggi né il passato, perché tu menti e mente quel che vedo, fatto o sfatto dal tuo andare infuriato. Io resterò me stesso anche a dispetto di te e della tua falce, lo prometto.
2113
Shakespeare IV.indb 2113
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 124-125
124 If my dear love were but the child of state It might for fortune’s bastard be unfathered, As subject to time’s love or to time’s hate, Weeds among weeds or flowers with flowers gathered. No, it was builded far from accident; It suffers not in smiling pomp, nor falls Under the blow of thrallèd discontent Whereto th’inviting time our fashion calls. It fears not policy, that heretic Which works on leases of short-numbered hours, But all alone stands hugely politic, That it nor grows with heat nor drowns with showers. To this I witness call the fools of time, Which die for goodness, who have lived for crime.
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10
125 Were’t aught to me I bore the canopy, With my extern the outward honouring, Or laid great bases for eternity Which proves more short than waste or ruining? Have I not seen dwellers on form and favour Lose all and more by paying too much rent, For compound sweet forgoing simple savour, Pitiful thrivers in their gazing spent? No, let me be obsequious in thy heart, And take thou my oblation, poor but free, Which is not mixed with seconds, knows no art But mutual render, only me for thee. Hence, thou suborned informer! A true soul When most impeached stands least in thy control.
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10
2114
Shakespeare IV.indb 2114
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 124-125
124 Fosse soltanto figlio di alto stato, potrebbe essere orfano il mio amore, coccolato dal tempo oppure odiato, erba tra l’erba, o in mezzo ai fiori un fiore. No, crebbe lontano da accidenti; lui non si guasta a corte, e neanche teme i colpi dei sociali malcontenti con cui i tempi cambiano il costume. Né teme la politica, eresia che dura un breve numero di ore; ma resta solo, in gran fi losofia, e non lo smuove pioggia né calore. Per testimoni chiamo quei buffoni vissuti criminali e morti buoni.
125 Perché mai tenere un baldacchino, venerando qualcosa solo esterno, gettare fondamenta per l’eterno, che è più breve di spreco e di rovina? Non vidi già chi gode di favori perdere tutto e più per troppo osare, dandosi a dolci intrugli e non sapori: arrivisti, persi a desiderare? No, è il tuo cuore quello che io adoro. Povera e vera è l’offerta da me, senz’altri fini, sa solo il lavoro del mutuo scambio, solo me per te. E tu vattene, spia! Cuore fedele, più tu l’accusi, meno è in tuo potere.
2115
Shakespeare IV.indb 2115
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 126-127
126 O thou my lovely boy, who in thy power Dost hold time’s fickle glass, his sickle-hour; Who hast by waning grown, and therein show’st Thy lovers withering as thy sweet self grow’st — If nature, sovereign mistress over wrack, As thou goest onwards still will pluck thee back, She keeps thee to this purpose: that her skill May time disgrace, and wretched minutes kill. Yet fear her, O thou minion of her pleasure! She may detain but not still keep her treasure. Her audit, though delayed, answered must be, And her quietus is to render thee.
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10
127 In the old age black was not counted fair, Or if it were, it bore not beauty’s name; But now is black beauty’s successive heir, And beauty slandered with a bastard shame: For since each hand hath put on nature’s power, Fairing the foul with art’s false borrowed face, Sweet beauty hath no name, no holy bower, But is profaned, if not lives in disgrace. Therefore my mistress’ eyes are raven-black, Her brow so suited, and they mourners seem At such who, not born fair, no beauty lack, Sland’ring creation with a false esteem. Yet so they mourn, becoming of their woe, That every tongue says beauty should look so.
5
10
2116
Shakespeare IV.indb 2116
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 126-127
126 Ragazzo mio, che hai nelle tue mani la falce del tempo e le sue ore; e gli amici, tu che calando sali, mostri sfioriti quando sbocci in fiore: se natura, sovrana di razzia, mentre tu avanzi indietro ti rivuole, lo fa solo affinché la sua maestria vinca il tempo e le miserabili ore. Temila, pur se sei il suo favorito! Terrà, ma non per sempre, il suo adorato. Il conto pur infine andrà saldato e, a sua quietanza, andrai restituito.
127 Un tempo il nero non pareva bello o nome di beltà non gli era dato; è erede di bellezza invece adesso, mentre bastardo il bello è svergognato: il potere di natura oggi è usurpato, fa bello il brutto con dell’arte falsa, il bello non ha nome o un sacro nido, ma è profanato o vive disgraziato. Perciò neri corvini ha la mia donna gli occhi, come di prefiche in lamenti per chi, non nata chiara, si schiarisce contronatura con rifacimenti. Ma portano quel lutto in tale grazia che uguale dovrebbe essere bellezza.
2117
Shakespeare IV.indb 2117
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 128-129
128 How oft, when thou, my music, music play’st Upon that blessèd wood whose motion sounds With thy sweet fingers when thou gently sway’st The wiry concord that mine ear confounds, Do I envy those jacks that nimble leap To kiss the tender inward of thy hand Whilst my poor lips, which should that harvest reap, At the wood’s boldness by thee blushing stand! To be so tickled they would change their state And situation with those dancing chips O’er whom thy fingers walk with gentle gait, Making dead wood more blessed than living lips. Since saucy jacks so happy are in this, Give them thy fingers, me thy lips to kiss.
5
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129 Th’expense of spirit in a waste of shame Is lust in action; and till action, lust Is perjured, murd’rous, bloody, full of blame, Savage, extreme, rude, cruel, not to trust, Enjoyed no sooner but despisèd straight, Past reason hunted, and no sooner had Past reason hated as a swallowed bait On purpose laid to make the taker mad; Mad in pursuit and in possession so, Had, having, and in quest to have, extreme; A bliss in proof and proved, a very woe; Before, a joy proposed; behind, a dream. All this the world well knows, yet none knows well To shun the heaven that leads men to this hell.
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10
2118
Shakespeare IV.indb 2118
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 128-129
128 Quando tu, musica mia, fai musica su quel beato legno che risponde sotto le dolci dita, e poi gentile fai un’armonia di corde che confonde, io invidio quei tasti che sobbalzano per baciare l’incavo alla tua mano, le mie labbra ne sognano la messe e all’ardore del legno si fan rosse! Vorrebbero, pur di essere toccate, cambiar natura con quei ballerini, sui quali le tue dita fan felice un morto legno più che labbri vivi. Se son così felici quegli audaci, da’ loro le tue dita, a me i tuoi baci.
129 Di spirito è una spesa vergognosa la lussuria se è in atto, e finché dura è spergiura, bugiarda, sanguinosa, selvaggia, estrema, da averne paura; non appena appagata è disprezzata, pazzamente cercata e appena avuta pazzamente odiata, un’esca astuta che rende pazzo chi l’avrà ingoiata; pazzo sia nel possesso che al bisogno: prima, durante e dopo è sempre estrema; beatitudine in prova, poi gran pena; prima promette gioia, e dopo è un sogno. Questo il mondo lo sa, e non sa evitare un cielo che all’inferno può portare.
2119
Shakespeare IV.indb 2119
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 130-131
130 My mistress’ eyes are nothing like the sun; Coral is far more red than her lips’ red. If snow be white, why then her breasts are dun; If hairs be wires, black wires grow on her head. I have seen roses damasked, red and white, But no such roses see I in her cheeks; And in some perfumes is there more delight Than in the breath that from my mistress reeks. I love to hear her speak, yet well I know That music hath a far more pleasing sound. I grant I never saw a goddess go: My mistress when she walks treads on the ground. And yet, by heaven, I think my love as rare As any she belied with false compare.
5
10
131 Thou art as tyrannous so as thou art As those whose beauties proudly make them cruel, For well thou know’st to my dear doting heart Thou art the fairest and most precious jewel. Yet, in good faith, some say that thee behold Thy face hath not the power to make love groan. To say they err I dare not be so bold, Although I swear it to myself alone; And, to be sure that is not false I swear, A thousand groans but thinking on thy face One on another’s neck do witness bear Thy black is fairest in my judgement’s place. In nothing art thou black save in thy deeds, And thence this slander, as I think, proceeds.
5
10
2120
Shakespeare IV.indb 2120
30/11/2018 09:34:15
SONETTI, 130-131
130 L’occhio della mia donna non è il sole, più rosso del suo labbro hanno i coralli. E, se la neve è bianca, grigi ha i seni, e come crini neri ha i suoi capelli. Vidi rose screziate, rosse e bianche, ma non ne vedo sopra le sue guance; molti profumi più delizia danno dell’alito che emana la mia donna. Io l’amo quando parla ma so bene che la musica ha un più gradito suono. Non ho mai visto incedere una dea: la mia donna, se avanza, pesta il suolo. Pure, è ugualmente rara la mia amata di chi nei paragoni è assai falsata.
131 Così come tu sei, tiranna sei come chi la bellezza fa crudele, perché tu sai che al mio cuore amoroso tu sei il gioiello più bello e prezioso. Ma c’è chi dice in buona fede che il tuo viso non lo fa sospirare. Anche se me lo giuro tra me e me, non ho il coraggio a dire che un errore. E, a farmi certo di non spergiurare, pensando al viso tuo, mille sospiri li ho tutti al collo per testimoniare che per me il nero è il chiaro tra i colori. Sei nera in niente, solo quando agisci: da lì, credo, calunnia partorisci.
2121
Shakespeare IV.indb 2121
30/11/2018 09:34:15
SONNETS, 132-133
132 Thine eyes I love, and they, as pitying me — Knowing thy heart torment me with disdain — Have put on black, and loving mourners be, Looking with pretty ruth upon my pain; And truly, not the morning sun of heaven Better becomes the gray cheeks of the east, Nor that full star that ushers in the even Doth half that glory to the sober west, As those two mourning eyes become thy face. O, let it then as well beseem thy heart To mourn for me, since mourning doth thee grace, And suit thy pity like in every part. Then will I swear beauty herself is black, And all they foul that thy complexion lack.
5
10
133 Beshrew that heart that makes my heart to groan For that deep wound it gives my friend and me! Is’t not enough to torture me alone, But slave to slavery my sweet’st friend must be? Me from myself thy cruel eye hath taken, And my next self thou harder hast engrossed. Of him, myself, and thee I am forsaken — A torment thrice threefold thus to be crossed. Prison my heart in thy steel bosom’s ward, But then my friend’s heart let my poor heart bail; Whoe’er keeps me, let my heart be his guard; Thou canst not then use rigour in my jail. And yet thou wilt; for I, being pent in thee, Perforce am thine, and all that is in me.
5
10
2122
Shakespeare IV.indb 2122
30/11/2018 09:34:16
SONETTI, 132-133
132 Amo i tuoi occhi, e quelli, a compatirmi, visto che mi torturi col tuo sdegno, hanno indossato il nero e il dolce lutto guardando la mia pena con pietà; e in vero né il sole alle prime ore migliora il volto grigio dell’aurora e né la prima stella della sera regala al buio tramonto il suo splendore quanto i tuoi occhi a lutto sulla faccia. Lascia allora che pianga anche il tuo cuore per me, perché il tuo lutto ti dà grazia, e indossa di pietà il vestito intero. E giurerò che il bello stesso è nero, e brutto ciò che non ha il tuo colore.
133 Dannato il cuore che al mio dà lamento e una ferita affonda a me e al mio amico! Non ti basta torturare me soltanto, senza far schiavo il mio più caro amico? Il tuo occhio a me stesso m’ha rubato, e poi l’altro me stesso, tu feroce. Da lui, da me e da te abbandonato: ho tre tormenti per tre volte in croce. Chiudimi il cuore nel tuo ferreo petto, che lui riscatti del mio amico il cuore; pure in catene, qui sarà protetto, e dentro me non gli userai rigore. Ma lo farai perché, rinchiuso in te, tuo sono io e tutto quel che è in me.
2123
Shakespeare IV.indb 2123
30/11/2018 09:34:16
SONNETS, 134-135
134 So, now I have confessed that he is thine, And I myself am mortgaged to thy will, Myself I’ll forfeit, so that other mine Thou wilt restore to be my comfort still. But thou wilt not, nor he will not be free, For thou art covetous, and he is kind. He learned but surety-like to write for me Under that bond that him as fast doth bind. The statute of thy beauty thou wilt take, Thou usurer that putt’st forth all to use, And sue a friend came debtor for my sake; So him I lose through my unkind abuse. Him have I lost; thou hast both him and me; He pays the whole, and yet am I not free.
5
10
135 Whoever hath her wish, thou hast thy Will, And Will to boot, and Will in overplus. More than enough am I that vex thee still, To thy sweet will making addition thus. Wilt thou, whose will is large and spacious, Not once vouchsafe to hide my will in thine? Shall will in others seem right gracious, And in my will no fair acceptance shine? The sea, all water, yet receives rain still, And in abundance addeth to his store; So thou, being rich in Will, add to thy Will One will of mine to make thy large Will more. Let no unkind no fair beseechers kill; Think all but one, and me in that one Will.
5
10
2124
Shakespeare IV.indb 2124
30/11/2018 09:34:16
SONETTI, 134-135
134 Ora che ho confessato che lui è tuo e alle tue voglie leghi anche me stesso, mi darò in pegno purché l’altro io vorrai ridarmi per conforto mio. Non vuoi, né lui si vuole liberare, perché tu sei bramosa e lui cortese. Ma fu a mia garanzia che t’ha firmato quel contratto che lo tiene legato. E chiedi la penale di bellezza, tu che fai solo prestiti ad usura, e un amico in mio aiuto tu hai citato, così lo perdo perché ne ho abusato. Lui l’ho perso, tu hai insieme lui e me, lui paga tutto, ma non scioglie me.
135 Ciascuna ha la sua voglia, e tu hai il tuo Will, e ancora un Will, e un Will in sovrappiù. Son sufficiente io, che t’importuno per aggiungermi alla tua dolce voglia. Tu, che hai larga e spaziosa la tua voglia, nasconderai la mia dentro la tua? O le altrui voglie sono più gradite e solo io non brillo di consenso? Il mare d’acqua ancora accetta piogge, e in abbondanza accresce le sue scorte; così tu, ricca in Will, dài al tuo Will ancora il mio per ingrandire il tuo. Il tuo no non uccida i tuoi aspiranti: pensaci uno, e un Will per tutti quanti.
2125
Shakespeare IV.indb 2125
30/11/2018 09:34:16
SONNETS, 136-137
136 If thy soul check thee that I come so near, Swear to thy blind soul that I was thy Will, And will, thy soul knows, fc admitted there; Thus far for love my love-suit, sweet, fulfil. Will will fulfi l the treasure of thy love, Ay, fill it full with wills, and my will one. In things of great receipt with ease we prove Among a number one is reckoned none. Then in the number let me pass untold, Though in thy store’s account I one must be; For nothing hold me, so it please thee hold That nothing me a something, sweet, to thee. Make but my name thy love, and love that still, And then thou lov’st me for my name is Will.
5
10
137 Thou blind fool love, what dost thou to mine eyes That they behold and see not what they see? They know what beauty is, see where it lies, Yet what the best is take the worst to be. If eyes corrupt by over-partial looks Be anchored in the bay where all men ride, Why of eyes’ falsehood hast thou forgèd hooks Whereto the judgement of my heart is tied? Why should my heart think that a several plot Which my heart knows the wide world’s common place? — Or mine eyes, seeing this, say this is not, To put fair truth upon so foul a face? In things right true my heart and eyes have erred, And to this false plague are they now transferred.
5
11
2126
Shakespeare IV.indb 2126
30/11/2018 09:34:16
SONETTI, 136-137
136 Se la tua anima dice che t’incalzo, di’ a quella cieca che ero io, il tuo Will, e lì una voglia è ammessa, lei lo sa; sazia la mia preghiera, mia dolcezza. Will riempirà il forziere del tuo amore, sì, pieno di voglie, e anche la mia. Nei gran ritrovi questo lo si sa, che uno in più non conta in mezzo a tanti. Fammi entrare nel numero non visto, pure se nella scorta sono uno; pensami un nulla, basta che ti piaccia quel nulla, io, qualcosa che ti è caro. Ama il mio amore, dagli sempre amore, e mi amerai perché Will è il mio nome.
137 Tu cieco pazzo amore, cosa fai all’occhio mio che guarda ma non vede? Conosce la bellezza, dove alloggia, eppure scambia il meglio con il peggio. Se occhi corrotti da parziali sguardi sono ancorati in un golfo affollato, perché da quell’inganno hai fatto uncini e il senno del mio cuore l’hai agganciato? Dovrà pensare pascolo privato un dominio che al mondo intero è aperto? O gli occhi miei negare che è così, per dare a un viso impuro aspetto onesto? Il cuore e gli occhi hanno sbagliato via, precipitando in questa malattia.
2127
Shakespeare IV.indb 2127
30/11/2018 09:34:16
SONNETS, 138-139
138 When my love swears that she is made of truth I do believe her though I know she lies, That she might think me some untutored youth Unlearnèd in the world’s false subtleties. Thus vainly thinking that she thinks me young, Although she knows my days are past the best, Simply I credit her false-speaking tongue; On both sides thus is simple truth suppressed. But wherefore says she not she is unjust, And wherefore say not I that I am old? O, love’s best habit is in seeming trust, And age in love loves not to have years told. Therefore I lie with her, and she with me, And in our faults by lies we flattered be.
5
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139 O, call not me to justify the wrong That thy unkindness lays upon my heart. Wound me not with thine eye but with thy tongue; Use power with power, and slay me not by art. Tell me thou lov’st elsewhere, but in my sight, Dear heart, forbear to glance thine eye aside. What need’st thou wound with cunning when thy might Is more than my o’erpressed defence can bide? Let me excuse thee: ‘Ah, my love well knows Her pretty looks have been mine enemies, And therefore from my face she turns my foes That they elsewhere might dart their injuries.’ Yet do not so; but since I am near slain, Kill me outright with looks, and rid my pain.
5
10
2128
Shakespeare IV.indb 2128
30/11/2018 09:34:16
SONETTI, 138-139
138 Quando lei giura d’essermi fedele, anche se so che mente, io le credo, perché mi pensi un giovane inesperto che ignora la sottile arte del falso. E, vanamente, penso che mi creda pure se sa di me che il meglio è andato, e ingenuo accetto la sua falsa lingua: così da entrambi il vero è cancellato. Ma perché non mi dice che è infedele, e perché non le dico d’esser vecchio? Oh, amore ama finta la fiducia, e a un vecchio amante non contare gli anni. Così ho le sue menzogne, lei ha le mie, e giaciamo lusingati da bugie.
139 Non mi chiedere di scusare i mali che la tua crudeltà infligge al mio cuore. Non con gli occhi, feriscimi a parole; usa forza con forza, e non inganni. Dimmi che hai il cuore altrove, ma con me, cuore caro, non dare occhiate intorno. Perché ingannarmi quando puoi più offesa di quanto può la stanca mia difesa? Fatti scusare: “Il mio amore sa bene che i suoi sguardi mi furono fatali, e mi toglie dal viso i miei nemici perché altrove lancino gli strali”. Non farlo. Se quasi m’hai ammazzato, fammi ucciso di sguardi e liberato.
2129
Shakespeare IV.indb 2129
30/11/2018 09:34:16
SONNETS, 140-141
140 Be wise as thou art cruel; do not press My tongue-tied patience with too much disdain, Lest sorrow lend me words, and words express The manner of my pity-wanting pain. If I might teach thee wit, better it were, Though not to love, yet, love, to tell me so — As testy sick men when their deaths be near No news but health from their physicians know. For if I should despair I should grow mad, And in my madness might speak ill of thee. Now this ill-wresting world is grown so bad Mad slanderers by mad ears believèd be. That I may not be so, nor thou belied, Bear thine eyes straight, though thy proud heart go wide.
5
10
141 In faith, I do not love thee with mine eyes, For they in thee a thousand errors note; But ’tis my heart that loves what they despise, Who in despite of view is pleased to dote. Nor are mine ears with thy tongue’s tune delighted, Nor tender feeling to base touches prone; Nor taste nor smell desire to be invited To any sensual feast with thee alone; But my five wits nor my five senses can Dissuade one foolish heart from serving thee, Who leaves unswayed the likeness of a man, Thy proud heart’s slave and vassal-wretch to be. Only my plague thus far I count my gain: That she that makes me sin awards me pain.
5
10
2130
Shakespeare IV.indb 2130
30/11/2018 09:34:16
SONETTI, 140-141
140 Sii saggia quanto dura, non pressare la mia muta pazienza col tuo sdegno, al mio dolore lascia le parole per spiegare il perché della mia pena. A insegnarti saggezza, converrebbe, pur se non m’ami, dirmi che mi ami: per malati scontrosi, sul finire, il medico ha notizie di speranza. Perché, se disperassi, impazzirei e, pazzo, potrei di te dir male. Oggi il mondo malato è incattivito, pazzi bugiardi vengono creduti. Perché non sia, e tu offesa non sia, tu guarda dritto anche se il cuore svia.
141 Io non ti amo coi miei occhi, in fede, perché notano in te mille difetti; ma il cuore ama ciò che detestiamo, e a dispetto degli occhi lui stravede. Né alla tua voce si gioia il mio udito, e né il tatto a carezze sconvenienti; né gusto o olfatto cercano l’invito a un banchetto dei sensi con te sola; ma né i miei spiriti o i miei cinque sensi possono dissuadere un pazzo cuore che lascia in giro il fantasma di un uomo, schiavo e vassallo di un superbo amore. Solo dolore mi fa guadagnare, se è lei a farmi peccare, e poi pagare.
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SONNETS, 142-143
142 Love is my sin, and thy dear virtue hate, Hate of my sin grounded on sinful loving. O, but with mine compare thou thine own state, And thou shalt find it merits not reproving; Or if it do, not from those lips of thine That have profaned their scarlet ornaments And sealed false bonds of love as oft as mine, Robbed others’ beds’ revenues of their rents. Be it lawful I love thee as thou lov’st those Whom thine eyes woo as mine importune thee. Root pity in thy heart, that when it grows Thy pity may deserve to pitied be. If thou dost seek to have what thou dost hide, By self example mayst thou be denied!
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143 Lo, as a care-full housewife runs to catch One of her feathered creatures broke away, Sets down her babe and makes all swift dispatch In pursuit of the thing she would have stay, Whilst her neglected child holds her in chase, Cries to catch her whose busy care is bent To follow that which flies before her face, Not prizing her poor infant’s discontent: So runn’st thou after that which flies from thee, Whilst I, thy babe, chase thee afar behind; But if thou catch thy hope, turn back to me And play the mother’s part: kiss me, be kind. So will I pray that thou mayst have thy Will If thou turn back and my loud crying still.
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SONETTI, 142-143
142 Amore è il mio peccato, tua virtù è l’odio del mio amore peccatore. Ma confronta col mio il tuo stesso stato, scoprirai che non merita un richiamo; o, se lo merita, non dalle tue labbra che hanno violato quel proprio scarlatto, e come me pattuito falsi amori sottraendo piaceri ad altrui letto. Sia mio diritto amarti, come tu ami chi vuoi con gli occhi quanto io voglio te. Radica in te pietà che, quando cresca, meriti essa la pietà a sua volta. Se ne cerchi, e la tua non la dài mai, per il tuo stesso esempio non ne avrai!
143 Come massaia corre ad acchiappare un suo amato pennuto che è scappato, posa il suo bimbo e rapida si getta a inseguire e fermare l’animale, mentre il bimbo trascurato poi l’insegue, e strilla mentre quella è tutta presa a inseguire chi sfugge sotto al naso, incurante dell’affanno del piccino: così anche tu insegui chi ti sfugge e io, bambino, seguo da lontano; ma, se prendi chi insegui, poi ritorna, fammi da mamma, baciami, sii buona. E pregherò che tu abbia ciò che vuoi, se torni indietro e quieti i pianti miei.
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SONNETS, 144-145
144 Two loves I have, of comfort and despair, Which like two spirits do suggest me still. The better angel is a man right fair, The worser spirit a woman coloured ill. To win me soon to hell my female evil Tempteth my better angel from my side, And would corrupt my saint to be a devil, Wooing his purity with her foul pride; And whether that my angel be turned fiend Suspect I may, yet not directly tell; But being both from me, both to each friend, I guess one angel in another’s hell. Yet this shall I ne’er know, but live in doubt Till my bad angel fire my good one out.
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145 Those lips that love’s own hand did make Breathed forth the sound that said ‘I hate’ To me that languished for her sake; But when she saw my woeful state, Straight in her heart did mercy come, Chiding that tongue that ever sweet Was used in giving gentle doom, And taught it thus anew to greet: ‘I hate’ she altered with an end That followed it as gentle day Doth follow night who, like a fiend, From heaven to hell is flown away. ‘I hate’ from hate away she threw, And saved my life, saying ‘not you.’
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SONETTI, 144-145
144 Due amori ho, a conforto e dannazione, come due spiriti che mi governano. L’angelo migliore è un uomo chiaro, il peggiore è una donna molto scura. Per portarmi all’inferno, quella furia tenta l’angelo buono a allontanarsi e del mio santo vuole far demonio sporcando la purezza con lussuria; che l’angelo si sia già trasformato, io lo sospetto, non posso saperlo; coi due lontani e tra di loro amici, li immagino scambiarsi il loro inferno. Mai lo saprò, nel dubbio sempre sono, finché il cattivo poi non scacci il buono.
145 Quelle labbra che amore stesso fece dettero un suono che diceva “Io odio” a me, che per lei invece languivo; ma, quando vide il mio penoso stato, subito in cuore scese la pietà richiamando la lingua che assai dolce soleva dare miti i suoi giudizi, e la fece parlare un’altra volta: “Io odio”, lo cambiò con un finale che ne seguì come giorno sereno segue la notte che, pari a un demonio, è scacciata dal cielo e va all’inferno. Da quell’“Io odio” tolse ogni odio in sé, e mi salvò dicendomi “non te”.
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SONNETS, 146-147
146 Poor soul, the centre of my sinful earth, […………] these rebel powers that thee array; Why dost thou pine within and suffer dearth, Painting thy outward walls so costly gay? Why so large cost, having so short a lease, Dost thou upon thy fading mansion spend? Shall worms, inheritors of this excess, Eat up thy charge? Is this thy body’s end? Then, soul, live thou upon thy servant’s loss, And let that pine to aggravate thy store. Buy terms divine in selling hours of dross; Within be fed, without be rich no more. So shalt thou feed on death, that feeds on men, And death once dead, there’s no more dying then.
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147 My love is as a fever, longing still For that which longer nurseth the disease, Feeding on that which doth preserve the ill, Th’uncertain sickly appetite to please. My reason, the physician to my love, Angry that his prescriptions are not kept, Hath left me, and I desperate now approve Desire is death, which physic did except. Past cure I am, now reason is past care, And frantic mad with evermore unrest. My thoughts and my discourse as madmen’s are, At random from the truth vainly expressed; For I have sworn thee fair, and thought thee bright, Who art as black as hell, as dark as night.
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SONETTI, 146-147
146 Povera anima, centro alla mia terra peccaminosa, e tra forze ribelli; perché dentro ti struggi e soffri fame ma con sfarzo gli esterni li vuoi belli? Un alto prezzo per un breve accesso spendi per una casa che scompare? Tutto andrà ai vermi, eredi dell’eccesso? Sarà questa la fine del tuo corpo? Anima, sfrutta ciò che perde il servo, fallo patire e aumenta le tue scorte. Compra l’eterno, vendi le ore scorie; nutrita dentro e non più ricca fuori. Mangerai morte che mangia gli umani, e, morta lei, non c’è morte domani.
147 Il mio amore è una febbre, cerca sempre ciò che più a lungo ne alimenta il male, nutrendosi di ciò che lo conserva per appagare una morbosa fame. La mia ragione, medico al mio amore, furiosa per ricette non seguite, m’ha lasciato e ora scopro disperato che desiderio è morte, e era vietato. Sono incurabile, la mente è persa, pazzo furioso, sempre più in delirio. Dei pazzi ho sia i discorsi che i pensieri, tutti sconnessi, vani e poi non veri. Ti pensai bella e ti ho giurato pura: sei nero inferno, sei la notte oscura.
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SONNETS, 148-149
148 O me, what eyes hath love put in my head, Which have no correspondence with true sight! Or if they have, where is my judgement fled, That censures falsely what they see aright? If that be fair whereon my false eyes dote, What means the world to say it is not so? If it be not, then love doth well denote Love’s eye is not so true as all men’s. No, How can it, O, how can love’s eye be true, That is so vexed with watching and with tears? No marvel then though I mistake my view: The sun itself sees not till heaven clears. O cunning love, with tears thou keep’st me blind Lest eyes, well seeing, thy foul faults should find!
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149 Canst thou, O cruel, say I love thee not When I against myself with thee partake? Do I not think on thee when I forgot Am of myself, all-tyrant, for thy sake? Who hateth thee that I do call my friend? On whom frown’st thou that I do fawn upon? Nay, if thou lour’st on me, do I not spend Revenge upon myself with present moan? What merit do I in myself respect That is so proud thy service to despise, When all my best doth worship thy defect, Commanded by the motion of thine eyes? But, love, hate on; for now I know thy mind. Those that can see thou lov’st, and I am blind.
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SONETTI, 148-149
148 Quali occhi mi ha messo in fronte amore, che non rispondono alla vera vista! Se invece sì, dov’è fuggito il senno, che intende male ciò che vedo giusto? Se è bello quel che piace a un falso sguardo, perché il mondo dice “Non è vero”? L’amore allora mostra chiaramente che occhio d’amore poi non è sincero. No. Come può quell’occhio dire il vero, se è turbato da lacrime e da veglie? Non meraviglia se la vista sbaglia: il sole stesso è cieco in cielo nero. Furbo amore, di lacrime mi abbagli perché gli occhi non vedano i tuoi inganni!
149 Come, crudele, dici che non t’amo se sempre sto con te contro di me? Dici che non ti penso, mia tiranna, quando scordo me stesso in tuo favore? Dico forse mio amico chi ti odia? Lusingo chi tu guardi con il broncio? E, se con me t’imbronci, non rivolgo vendetta su di me con gran lamenti? Che merito potrei trovare in me, superbo da sdegnare i tuoi servizi, se il meglio in me adora il tuo difetto a comando di un cenno dei tuoi occhi? Odiami, amore, ora che ho imparato: vuoi chi ti ammiri, e io sono accecato.
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SONNETS, 150-151
150 O, from what power hast thou this powerful might With insufficiency my heart to sway, To make me give the lie to my true sight And swear that brightness doth not grace the day? Whence hast thou this becoming of things ill, That in the very refuse of thy deeds There is such strength and warrantise of skill That in my mind thy worst all best exceeds? Who taught thee how to make me love thee more The more I hear and see just cause of hate? O, though I love what others do abhor, With others thou shouldst not abhor my state. If thy unworthiness raised love in me, More worthy I to be beloved of thee.
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151 Love is too young to know what conscience is, Yet who knows not conscience is born of love? Then, gentle cheater, urge not my amiss, Lest guilty of my faults thy sweet self prove. For, thou betraying me, I do betray My nobler part to my gross body’s treason. My soul doth tell my body that he may Triumph in love; flesh stays no farther reason, But rising at thy name doth point out thee As his triumphant prize. Proud of this pride, He is contented thy poor drudge to be, To stand in thy affairs, fall by thy side. No want of conscience hold it that I call Her ‘love’ for whose dear love I rise and fall.
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SONETTI, 150-151
150 Da che potenza attingi il tuo potere di dominarmi con le tue carenze, di farmi sbugiardare la mia vista, giurando che la luce non fa giorno? Da dove il dono di far bello il male, così che anche negli ultimi tuoi atti c’è tale forza e prova di destrezza che per me il peggio supera il tuo meglio? Chi t’insegnò a far sì che io più ti ami quante più vedo le ragioni d’odio? Oh, pur se amo quel che un altro aborre, tu non devi con lui aborrire me. Se, pur indegna, amore hai risvegliato, più sono degno d’essere riamato.
151 Troppo giovane è amore per sapere che da amore nasce la coscienza. Mia infedele, non incolparmi troppo, potrei provarti che sei tu la colpa. Perché, se mi tradisci, io tradisco la parte nobile, e mi do alla carne. L’anima le predice un gran trionfo, e questo corpo non aspetta altro: drizzandosi al tuo nome indica te, premio e trionfo. Poi gonfio d’orgoglio si contenta di essere il tuo schiavo, di starti accanto, di caderti ai piedi. Non è incoscienza se “amore” la chiamo, se per amore suo mi drizzo e cado.
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Shakespeare IV.indb 2141
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SONNETS, 152-153
152 In loving thee thou know’st I am forsworn, But thou art twice forsworn to me love swearing: In act thy bed-vow broke, and new faith torn In vowing new hate after new love bearing. But why of two oaths’ breach do I accuse thee When I break twenty? I am perjured most, For all my vows are oaths but to misuse thee, And all my honest faith in thee is lost. For I have sworn deep oaths of thy deep kindness, Oaths of thy love, thy truth, thy constancy, And to enlighten thee gave eyes to blindness, Or made them swear against the thing they see. For I have sworn thee fair — more perjured eye To swear against the truth so foul a lie.
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153 Cupid laid by his brand and fell asleep. A maid of Dian’s this advantage found, And his love-kindling fire did quickly steep In a cold valley-fountain of that ground, Which borrowed from this holy fire of love A dateless lively heat, still to endure, And grew a seething bath which yet men prove Against strange maladies a sovereign cure. But at my mistress’ eye love’s brand new fired, The boy for trial needs would touch my breast. I, sick withal, the help of bath desired, And thither hied, a sad distempered guest, But found no cure; the bath for my help lies Where Cupid got new fire: my mistress’ eyes.
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SONETTI, 152-153
152 Amando te, tu sai che io spergiuro, ma tu due volte se mi giuri amore: tu hai tradito il patto e nuova intesa giurando odio dopo una promessa. Ma accuso te d’infrangere due voti quando ne rompo venti? Io più spergiuro perché i miei voti non sono che inganni, e ogni mia onesta fede in te si perde. Ho giurato sul tuo profondo affetto, sul tuo amore, l’onestà, la tua costanza, per darti luce la tolsi ai miei occhi, contro se stessi li forzai a giurare. Ti giurai bella e io più spergiurai, se contro il vero una follia giurai.
153 Cupido posò il fuoco e prese sonno. La ninfa di Diana approfittò, tuffando la sua torcia infiammacuori in una fredda fonte nella valle, così dal sacro fuoco l’acqua attinse un eterno calore, inesauribile, e fu bagno bollente, che si dice sia la sovrana cura a malattie. Ma, rinfuocati gli occhi alla mia amata, per prova il bimbo mi toccò sul petto. Dolente, cercai aiuto in quella fonte ma, triste, non ne ebbi cura alcuna. Dove Cupido accese nuova fiamma c’è la mia cura: gli occhi della donna.
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Shakespeare IV.indb 2143
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SONNETS, 154
154 The little love-god lying once asleep Laid by his side his heart-inflaming brand, Whilst many nymphs that vowed chaste life to keep Came tripping by; but in her maiden hand The fairest votary took up that fire Which many legions of true hearts had warmed, And so the general of hot desire Was sleeping by a virgin hand disarmed. This brand she quenchèd in a cool well by, Which from love’s fire took heat perpetual, Growing a bath and healthful remedy For men diseased; but I, my mistress’ thrall, Came there for cure; and this by that I prove: Love’s fire heats water, water cools not love.
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Shakespeare IV.indb 2144
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SONETTI, 154
154 Il bimbo dio d’amore, addormentato, depose la sua torcia infammacuori mentre ninfe votate a castità vennero in danza. Con la casta mano la vergine più bella rubò il fuoco che scaldò molti eserciti di cuori, e così il Generale di passioni fu disarmato in sonno da una donna. Spense la torcia in una fredda fonte, che divenne calore con quel fuoco, bagno termale e cura per malati. Ma io, schiavo di lei, ci andai e vi dico: fuoco d’amore all’acqua dà calore, invece l’acqua non raffredda amore.
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Shakespeare IV.indb 2145
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Venus and Adonis Venere e Adone Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di LUCA MANINI
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Shakespeare IV.indb 2148
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Nota introduttiva
Nel luglio del 1592 (e sino all’estate del 1594, con una sola breve interruzione) i teatri londinesi furono chiusi a causa di un’epidemia di peste. Fu in questo periodo di forzata inattività come autore teatrale che Shakespeare scrisse il poemetto narrativo Venere e Adone, pubblicato nel 1593 da Richard Field, anch’egli proveniente da Stradford, il quale andava costruendosi la fama di stampatore di opere d’alta qualità letteraria. Il poemetto ebbe molto successo, tanto da raggiungere, prima del 1640, le sedici ristampe. Che Shakespeare lo scrivesse in questo periodo non significa però che egli non avesse ambizioni di presentarsi (e di farsi conoscere e apprezzare) anche in veste di poeta; teste ne sia la dedica a un personaggio importante: “All’eccellentissimo Henry Wriothesley, Conte di Southampton e Barone di Titchfield”, al quale, dopo essersi (come di prassi) scusato per la pochezza dei propri versi, Shakespeare promette “una fatica ben più seria”, che si pensa sia il componimento Lucrezia violata, pubblicato l’anno successivo. È una promessa che apre la via a future composizioni in versi. Non esistono testimonianze su come (e se) Wriothesley accettasse la dedica; ma a lui Shakespeare dedicò anche Lucrezia violata. Nulla di più si può dire. Altrettanto indicativa è l’epigrafe scelta da Shakespeare, tratta dagli Amores di Ovidio (I, 15, vv. 35-36): Vilia miretur vulgus: mihi flavus Apollo Pocula Castalia plena ministret aqua.
Ossia: “Si piaccia il volgo di cose meschine; a me Apollo dorato / porge una coppa ricolma dell’acqua della fonte castalia”. [Tutte le traduzioni 2149
Shakespeare IV.indb 2149
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VENERE E ADONE
sono mie.] Si è letta, in quest’epigrafe, la volontà di Shakespeare di entrare nel mondo delle lettere con un’opera di alta poesia, che si distanziasse dalla qualità più popolare (tale era almeno il sentimento dell’epoca) della scrittura per il teatro; e non è privo di significato che Shakespeare, il quale non si preoccupò molto di dare alle stampe i propri lavori teatrali, pare abbia seguito in prima persona la pubblicazione di questo suo primo libro di versi. Giova inoltre ricordare che Apollo è il dio della poesia, che la fonte castalia è sacra alle Muse e che questi versi chiudono l’ultima poesia del primo libro degli Amores, una poesia dove Ovidio, scagliandosi contro l’invidia, preannuncia con tono profetico l’immortalità della propria opera, che accosta a quella, già eterna, di poeti del passato e quella, in fieri, dei poeti del presente. Il genere cui Venere e Adone appartiene è, per comune convenzione, quello dell’epillio (va notato che il termine epillio non fu usato dai poeti elisabettiani ma iniziò a essere usato per designare questi brevi poemi solo nel diciannovesimo secolo). Il termine significa di per sé “piccola epica”, anche se, invero, più che epici questi componimenti narrativi in versi sono di carattere amoroso e hanno come proprio modello non tanto l’epica classica di Omero e Virgilio quanto la poesia di Ovidio, sia le Metamorfosi, con l’inesausta ricchezza di storie che il poema presenta, sia la raccolta d’immaginarie epistole amorose Heroides. Contemporanea alla voga per i canzonieri (o sonnet sequences) di stampo petrarchesco, posta in atto con la pubblicazione (postuma) di Astrophel e Stella di Sir Philip Sidney nel 1591, l’inizio della voga dell’epillio si fa risalire al 1589, anno in cui Thomas Lodge pubblicò il poemetto La metamorfosi di Scilla (per il quale Lodge utilizzò la stanza di sei versi che anche Shakespeare impiegò), poi seguito, tra gli altri, da Enone e Paride di Thomas Heywood (1594), Il banchetto dei sensi di Ovidio di George Chapman (1595), Ero e Leandro di Christopher Marlowe (pubblicato postumo nel 1598), Salmacide e Ermafrodito di Francis Beaumont (1602). Il modello remoto è Callimaco, col suo fastidio verso l’epica lunga, espresso nell’epigramma XXVIII, cui si può accostare Catullo, del quale si legga il carmen 64, ossia l’epillio di Arianna abbandonata; com’è stato dimostrato, forte è l’influsso dell’epillio di Lodge sul Venere e Adone di Shakespeare, come numerosi sono i punti di contatto con Ero e Leandro di Marlowe (lunga è stata e non ancora risolta è la diatriba sulla precedenza di composizione fra Ero e Leandro e Venere e Adone); an2150
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NOTA INTRODUTTIVA
noto per il momento che, sull’abito di Ero, è raffigurata una scena nella quale è Venere che corteggia un Adone sdegnoso (I, vv. 10-14). La fonte prima di Shakespeare si può indicare nell’episodio di Venere e Adone nelle Metamorfosi di Ovidio, nel libro X (vv. 519-59 e 708-39); mentre, però, nel testo ovidiano l’amore tra la dea e il fanciullo cacciatore è un amore sereno e ricambiato, non così lo rappresenta Shakespeare, il quale mette in scena una Venere innamorata (o pazza e malata d’amore, come dice il testo) che vanamente corteggia un Adone restio e ritroso. Questo elemento fa sì che, per situazione e per tono, più vicini all’epillio di Shakespeare siano altri due episodi delle Metamorfosi, quello di Eco e Narciso (III, vv. 340-500) e quello di Salmacide ed Ermafrodito (IV, vv. 287-390), storie, entrambe, di una fanciulla che inutilmente cerca di conquistare a sé l’amore di un giovane uomo che la fugge. La figura di Adone riluttante all’amore, del cacciatore dedito solo alla caccia, è stata inoltre ricollegata a quella di Ippolito, il quale rifiuta le profferte amorose della matrigna Fedra, come è stato narrato in Grecia da Euripide e a Roma da Ovidio e da Seneca. Il poemetto consta di 1194 versi, divisi in 199 strofe di sei versi ciascuna, con lo schema di rime ababcc. La scelta può esser stata dettata a Shakespeare dal fatto che questa forma metrica era usata, in ambito cortigiano e aristocratico, da poeti quali Sir Philip Sidney e Walter Raleigh, nonché da Edmund Spenser nelle egloghe che aprono e chiudono l’opera Il calendario del pastore, del 1579; inoltre, la struttura metrica dei sei versi ricalca la sestina del sonetto secondo la forma che, distanziandosi da quella italiana, divenne dominante in Inghilterra; il che sarebbe un segno che, nel mentre ricorda la situazione tipica di tanta poesia petrarchesca (l’amante che vanamente insegue l’amata), Shakespeare questa situazione rovescia (l’amante Venere rifuggita dall’amato Adone). Sequenza narrativa Corteggiamento di Venere (vv. 1-258); intermezzo: i cavalli (vv. 259-324); continuazione del corteggiamento (vv. 325-462); svenimento di Venere e addolcimento di Adone (vv. 463-576); notte: Adone decide di andarsene e nomina il cinghiale (vv. 577-587); paura di Venere che cerca di dissuaderlo dalla caccia (vv. 588-816); Venere sola: lamento (vv. 817-846); mattino: ansia di Venere per la sorte di Adone a caccia (vv. 847-930); contumelie contro Morte e ritrattazione (vv. 931-1008); Adone morto (vv. 1009-1134); 2151
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VENERE E ADONE
profezia di Venere sull’amore (vv. 1135-1164); metamorfosi di Adone in fiore (vv. 1165-1187); Venere si rifugia sull’isola di Pafo (ultima stanza). Una lettura di Venere e Adone Il poemetto, seguendo in ciò le indicazioni dell’Ars poetica di Orazio, inizia in medias res, nel momento in cui Venere principia a corteggiare Adone. Si volesse porre un verso che dia conto di quanto è accaduto prima, questo potrebbe essere un verso delle Metamorfosi di Ovidio: cum puerum vidit visumque optavit habere, ossia, “ella vide il ragazzo e, vistolo, volle averlo” (IV, v. 316): come Salmacide vede Ermafrodito e subitamente se ne innamora, così è per Venere; in un solo verso, Ovidio concentra (e, con l’ausilio del –que enclitico, unifica) il momento del vedere e del desiderare; Shakespeare imprime al poemetto un andamento rapido che presuppone una subitaneità dell’innamoramento da parte di Venere; è ciò che accade anche a Eco (III, vv. 370-371): Ergo ubi Narcissum per devia rura vagantem / vidit et incaluit, “quando vide Narciso vagare per solitari sentieri, e arse d’amore”. Rispetto alla fonte (come già ricordato, il canto X delle Metamorfosi) Shakespeare evita qualunque antefatto; tace della nascita di Adone, tace della ferita che Cupido, inconsapevolmente, apre nel petto della madre Venere (vv. 525-528); e, soprattutto, trasforma la figura di Adone da quella di un ragazzo che accetta l’amore della dea in quella di un giovane cacciatore che quest’amore cocciutamente rifiuta; come scrive Marlowe nell’epillio Ero e Leandro, l’abito di Ero ha maniche orlate da un ricamo dove si vede un boschetto “ove Venere, gloriosamente nuda, cercava / di compiacere i distratti e sdegnosi occhi / dell’altero Adone, che dinanzi a lei giace” (I, vv. 12-14). Se in Ovidio vediamo Adone col capo abbandonato sul grembo di Venere, legati i due dal sentimento del reciproco amore (Metamorfosi X, vv. 554-560), in Shakespeare Adone è un amato restio; in Ovidio, ella lo segue nella caccia (X, vv. 533-541), mentre in Shakespeare Adone da solo vuole cacciare e in pieno sprezzo tiene l’amore: “La caccia amava e dell’amore rideva” (v. 4). Un verso unisce Shakespeare a Ovidio, là dove Ovidio scrive (Metamorfosi X, v. 532) che Venere abstinet et caelo; caelo praefertur Adonis: per amore, Venere “abbandona persino il cielo e al cielo è preferito Adone”: ella si lega alla terra (e la terra pare attrarla: si vedano le sue cadute ai vv. 43 e 594 del testo di Shakespeare). Solo nell’ultima strofa Venere tornerà a essere una dea, una dea che riprende i propri attributi: il carro alato, le 2152
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NOTA INTRODUTTIVA
colombe (cigni in Ovidio, v. 708) che ad esso aggioga, il volo per l’aria. È con l’immagine di questo volo che Shakespeare congeda noi lettori da Venere, diretta all’isola di Pafo, uno dei luoghi dedicati al suo culto, un luogo che, ci dice ancora Ovidio, ella aveva abbandonato, dopo essersi innamorata di Adone: capta viri forma non iam Cythereia curat / litora, non alto repetit Paphon, “ormai vinta dalla bellezza dell’uomo, ella non cura più le prode citeree, non s’accosta più a Pafo circondato dal mare” (vv. 529-530). Sulla terra si svolge l’intero poemetto, così come sulla terra si svolge, nell’altro componimento narrativo di Shakespeare, Lucrezia violata, il dramma di Lucrezia, e sulla terra si eleva il lamento dell’anonima innamorata, si dipanano le vicende dei tre amanti dei Sonetti. Certo, la situazione di un amore ricambiato non offre il destro a una drammatizzazione; poco si può trarre di tragico da una scena idillica quale descritta in questi versi, quando Venere, stanca, si pone all’ombra di un pioppo: inque sinu iuvenis posita cervice reclinis / sic ait mediis interserit oscula verbis, “in grembo al giovane reclina ella il capo e così disse, unendo alle parole i baci” (vv. 558-559). Shakespeare muta radicalmente il tutto: se non esiste dramma senza un contrasto, Shakespeare questo contrasto lo crea contrapponendo l’amour fou di Venere all’indifferenza di Adone. Così facendo, opera anche un altro, fondamentale mutamento, che contraddice l’immagine tradizionale dell’uomo che corteggia e della donna che ricusa; Shakespeare capovolge i ruoli (che, nel Cinquecento, erano stati codificati dagli stilemi petrarcheschi) di amante e amata: è Adone ora a essere l’amato ritroso, mentre Venere è l’amante che inutilmente muove alla conquista. Gli attributi del corteggiamento sono invertiti, quelli maschili attribuiti a Venere, quelli femminili ad Adone. Ciò non è cosa nuova e, come già accennato, i modelli che Shakespeare poteva trovare nelle Metamorfosi sono quelli di Eco che invano corteggia Narciso e di Salmacide che assedia il riluttante Ermafrodito. Si veda la violenza con la quale Narciso respinge Eco (III, vv. 390-391) o Ermafrodito Salmacide (IV, vv. 335-336); ed Ermafrodito che arrossisce perché non conosce amore (IV, vv. 329-330); o, ancora, si consideri l’Ippolito cui la matrigna Fedra scrive una lettera d’amore, nelle Heroides di Ovidio; l’Ippolito di Ovidio ha più di un punto di contatto con l’Adone di Shakespeare: anche Ippolito preferisce la caccia all’amore (e Fedra l’invita a lasciar Diana per seguire Venere, vv. 85-88); anche lui arrossisce d’un rossore che incanta Fedra (v. 72). Né è nuova la caratterizzazione di 2153
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Adone come alieno all’amore, come cacciatore immerso in un universo pastorale: è così che egli fu raffigurato da Teocrito (Idillio 20, vv. 34-39) e da Virgilio (Bucoliche X, v. 18), almeno sino all’incontro con Venere. La quale Venere è, in Shakespeare, un’aquila (v. 56), una carceriera (vv. 225-230), una conquistatrice e un’assalitrice (vv. 549-550), un avvoltoio (v. 551), mossa, sempre, da un vivo e rapido desiderio (v. 547); mentre Adone è freddo (vv. 36 e 212), ritroso (v. 96), rude (v. 187), duro (v. 199), è una pietra priva di sentimenti (v. 212), è fatto d’acciaio (v. 375); ed è una preda (vv. 63, 547 e 553), un uccello preso in una rete (v. 67). E se la forza metamorfica dell’amore riesce a trasformare Marte da invitto dio della guerra in un mansueto e sottomesso amante, (vv. 103-106), come Venere si vanta d’aver fatto, ella non riesce a operare la medesima metamorfosi su Adone, rivelando così i propri limiti (così come, in Tutto è bene ciò che finisce bene, Elena non riesce a far innamorare il riluttante Bertram). È anzi Venere che subisce una metamorfosi, se, sotto l’urgenza dell’amore, si spinge a dare, lei, la dea dell’amore, una lezione di morale (v. 712) … Venere, la dea dell’amore, è inetta a perorare la propria causa (v. 220), è vittima della propria legge (vv. 250-251), proprio come Lucrezia non riesce a trattenere l’impeto della violenza di Tarquinio. Rispetto alla fonte ovidiana, Shakespeare trasforma dunque la storia dell’amore di Venere e Adone in movimento drammatico e teatrale, in un conflitto cinetico che vede opporsi la maturità della passione e la ritrosia dell’età immatura, che non è pronta ancora all’amore; il desiderio sensuale e un’età nella quale esso ancora deve nascere; la violenza della lussuria e l’innocenza. L’incontro tra Venere e Adone è un incontro tra due stadi dello sviluppo naturale: la piena maturità e l’immaturità: se Venere è, Adone è ancora in divenire; e la domanda che Shakespeare pare porre mettendo in scena il corteggiamento di Venere è: è giusto forzare il corso naturale? Venere è rappresentata come cieca (perché accecata dall’amore) dinanzi a questo sviluppo che deve seguire il proprio corso. È un corso che sarà, comunque, interrotto dal cinghiale: uccidendo Adone, esso ne impedisce la crescita, il percorso verso la maturità. E Shakespeare fa che Venere legga in modo personale questo accadimento: il cinghiale era innamorato di Adone, non voleva ucciderlo, no, solo baciarlo, inconsapevole, il cinghiale, della forza delle proprie zanne. Ciò che, tramite la lettura che Venere dà della morte di Adone, Shakespeare ci dice è la forza distruttiva dell’amore, un’idea sostenuta dall’inquie2154
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tante identificazione di Venere stessa col cinghiale, ai vv. 1117-1118: “Avessi io avuto denti come i suoi, oh, qui lo dico, / baciandolo lo avrei io prima ucciso. ” Vi è un verso che in sé concentra il dramma che Shakespeare fa vivere a Venere, il 610: She’s love, she loves and yet she is not loved, “Ella è amore, ella ama, ella amata non è”. È il dramma dell’identità e dell’incontro / scontro con l’altro e con l’alterità. Venere è la dea dell’amore; mediante suo figlio Cupido, ella è in grado di far innamorare chi vuole, come ci narrano infinite storie della classicità e delle riprese del mito classico; ma Cupido è il grande assente della storia che Shakespeare ci viene raccontando (se non per un cenno alle frecce d’oro dell’amore, al v. 947). Venere è travolta dal potere che ella incarna e che esercita e amministra, come ci dice il secondo segmento del verso, “lei ama”; la sua identità d’amore non resta chiusa in sé (ciò di cui ella anzi accusa Adone; e di cui il poeta dei Sonetti accusa il giovane amico, il fair youth) ma si apre (necessariamente) all’altro: l’io amante esce da sé per incontrare l’altro; ma, in questo caso, come in infiniti altri casi descritti dalla poesia d’amore, “ella non è amata”. Adone, come essere amato, resta ostile e sfuggente, l’alterità che egli rappresenta resta tale, Adone è l’ostacolo che non vuol farsi superare, il muro (di una metaforica città assediata) che non vuol farsi abbattere; egli è fonte di contrasto, di conflitto, di frustrazione; e di violenza da parte di Venere (seppur mai tanto forte quale sarà quella di Tarquinio contro Lucrezia nel secondo poemetto narrativo di Shakespeare). La breve, densissima frase “Ella è amore” indica una ben precisa identità, che pare, a una prima lettura, unica e fissa; ma l’essere Venere “amore” non coincide con l’essere Lucrezia “casta”: per Lucrezia la castità è precisa cifra identificativa, mentre esistono poche parole che abbiano l’ampia gamma di significati che si possano attribuire ad amore. Il paradosso che Shakespeare mette in scena è dunque nella raffigurazione della dea dell’amore che è travolta e dominata dal potere che ella stessa esercita; e questo fa sì che ella non sia dipinta da Shakespeare nelle sue qualità divine bensì attribuendole qualità squisitamente umane: Shakespeare sottopone Venere a un processo di de-divinizzazione, quasi riecheggiando i versi di Ovidio, riferiti a Giove innamorato: non bene conveniunt … maiestas et amor (Metamorfosi II, vv. 846-847: “non bene s’accordano … maestà e amore”). La terrestrità di Venere è messa in rilievo da Shakespeare con l’insistenza sulla sensualità e, specificamente, sui cinque sen2155
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si. Il corteggiamento / assedio cui Venere sottopone Adone è un invito a un “banchetto” dei sensi (v. 443). La teoria neoplatonica dell’amore aveva fissato una scala dei sensi, dal più basso (il tatto) al più alto (la vista): l’amante doveva distaccarsi dalla materialità legata al toccare un corpo per levarsi alla contemplazione della bellezza, la quale è sì fisica (poiché si mostra sul volto) ma anche (e soprattutto) spirituale, una bellezza colta con l’occhio fisico e con l’occhio dello spirito. Si leggano, fra i tanti testi possibili, il Commento a una poesia d’amore scritto da Giovanni Pico della Mirandola o il Commento al Simposio di Platone di Marsilio Ficino e li si pongano a confronto con il poemetto di Shakespeare, e si vedrà come quest’ultimo, mediante la figura di Venere, presenti una scala di valori inversa, dove i due sensi principe sono il tatto e il gusto, i più carnali; e ciò che ella celebra è, come si diceva, un banchetto dei sensi dove il gusto trionfa, essendo origine e sostegno degli altri quattro. Si leggano i vv. 433-446, là dove Shakespeare dona a Venere un discorso appassionato e ‘sensuale’: fosse lei cieca, udire la “voce di sirena” di Adone (v. 429) la farebbe comunque innamorare (e innamorare della sua bellezza interiore); fosse sorda, il vederlo la farebbe innamorare; fosse cieca e sorda, toccarlo sarebbe sufficiente a far nascere l’amore; perdesse il senso del tatto, l’olfatto basterebbe ad alimentare l’amore; ma il culmine è il gusto, come appare chiaro, sin dall’inizio, dalla sua volontà di toccarlo, stringerlo a sé, baciarlo, indurlo all’unione fisica. Venere invita Adone a vivere sul e nel suo corpo; Shakespeare le attribuisce il desiderio di creare, per sé e per Adone, uno spazio altro, sottratto allo scorrere del tempo, dove non vigano più le leggi spazio-temporali del reale; è un sogno accarezzato da molti amanti, realizzato per un breve (illusorio) periodo, come quando Tristano e Isotta (secondo la narrazione dei romanzi medievali, tra i quali ricordo solo quello di Goffredo di Strasburgo) si ritrovano, soli, lontani da tutto e da tutti, nella Gioiosa Guardia, ma che poi deve, necessariamente, arrendersi alla realtà del vero. Il sogno degli amanti è di creare uno spazio che sia soltanto loro, uno spazio nel quale il tempo sia sospeso nella gioia senza tempo dell’amore; dal quale il mondo sia escluso, con le sue costrizioni e contraddizioni; uno spazio nel quale regnino armonia, unione e fusione; e ciò che Venere promette è un amore che non sazi ma che anzi aumenti e affini in modo inesausto il desiderio. Lo vuole anche, in senso negativo ed egoistico, Tarquinio nella notte in cui viola Lucrezia, creando, per lo spazio di un’ora, 2156
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un “deserto senza leggi” (Lucrezia violata, v. 544); lo vuole qui Venere; ma il suo è un desiderio (come quello di Tarquinio) non condiviso dall’amato: in quel luogo Lucrezia non vuole stare, Adone ne vuole fuggire… È l’ostacolo, insormontabile, rappresentato dall’alterità: come Lucrezia è forzata a condividere il letto con Tarquinio, ma resta altra da lui, così Adone resta altro da Venere, fedele a sé, al proprio sprezzo per l’amore; e se a lei, alfine, cede, lasciando che ella lo baci, è solo per poi da lei districarsi e fuggire, come Ermafrodito fugge da Salmacide e Narciso da Eco. Nulla è fermo in questo poemetto. Il passo rapido che Shakespeare gli imprime sin dai primi versi (Adone che si affretta alla caccia, Venere che su di lui si avventa per corteggiarlo) è mantenuto sino alla fine; e come tutto si muove, tutto muta, tutto subisce una metamorfosi. Il destino di Adone è di divenire, da cacciatore, cacciato; egli, gli fa dire Shakespeare, ama solo la caccia; ma, nella prima parte, egli è preda di una Venere cacciatrice, nella seconda del cinghiale. In Ovidio, Venere segue Adone nelle sue battute di caccia e, annota il poeta (Metamorfosi X, v. 536), Venere indossa gli abiti di Diana, che è la dea della caccia ma anche, ricordiamolo, dea della verginità; la Venere di Ovidio (e di Shakespeare) è dea della caccia e dell’amore ma dea non della verginità; e Adone vuol essere fedele alla Diana cacciatrice e vergine, non a una Venere / Diana che egli identifica con la Venere solo terrena, disgiunta dalla Venere celeste. In questo contrasto tra amore e lussuria (si ricordi il sonetto 129), Adone definisce Venere come pura lust, lussuria, ossia le dà un’identità secondo il proprio sentire. E se per Lucrezia la notte è il tempo del male, per Venere (vv. 121-122) essa è il tempo del piacere, dove non esiste la vergogna. L’Adone che esce di scena ai versi 811-816 non è più l’Adone dell’inizio, non può più esserlo, poiché ha conosciuto la violenza della passione amorosa, è venuto in contatto con l’alterità aggressiva; ha conosciuto la forza della lussuria, tanto che Shakespeare gli pone sulle labbra l’accusa a Venere di essere non la Venere celeste bensì la mera Venere terrestre, quintessenza della lussuria e non essenza d’amore (vv. 793-798). La stessa Venere muta nella parte finale dell’epillio. Se nella prima sequenza ella è la cacciatrice aggressiva, la belva rapace, l’amante che rifiuta di accettare una ripulsa, nell’ultima ella si fa una fragile donna: dapprima, abbandonata, Venere lamenta, nella notte, la forzata separazione; poi, nel mattino in cui va a cercare Adone, il suo animo muta secondo le circostanze, passando 2157
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dalla speranza alla disperazione, dalla paura alla gioia. E questi mutamenti sono dovuti a oggetti esterni, a ciò che ella vede o sente, oppure a ciò che solo immagina: la solidità dell’io è infranta dalla molteplicità e dalla varietà del reale. È il reale che Venere legge, e interpreta, spesso erroneamente (come farà Lucrezia); i segni che il reale ci presenta, ci dice Shakespeare, suscitano in Venere un flusso mutevolissimo di sensazioni contrastanti e opposte, mutamenti repentini, pianto e riso, lamenti e imprecazioni e ritrattazioni (come quelle rivolte contro e verso la Morte), che dicono della instabilità e della fallacia della mente di cogliere il senso vero (se pure questo senso vero esiste) delle cose. Come Tarquinio legge erroneamente i segni che incontra lungo il cammino che lo conduce alla stanza di Lucrezia, così Venere erroneamente legge i segni che incontra nella sua ricerca di Adone, andato a caccia del cinghiale; e ciò che vede, ciò che ode è un riflesso della sua mente, la quale interpreta il reale in un’alternanza di speranza e di timore, in un gioco di variable passions, passioni variabili e variate, (v. 967); e ricordiamo come già Ovidio annoti di come multiformi siano le menti delle donne (Ars amatoria I, vv. 755-770). Lucrezia, nella prima parte del poemetto che ridice la sua storia, è incapace di leggere i segni sul volto dell’ospite / nemico Tarquinio e, nella seconda, mutata dalla violenza subita, legge troppo sul volto del servo. La fanciulla sedotta del Lamento di un’innamorata vede ma volontariamente rinuncia a vedere, ossia a leggere il vero (che pur percepisce) che è nell’aspetto e nel pianto del seduttore. Priamo, nell’arazzo descritto in Lucrezia violata, non riesce a leggere la falsità sul volto dell’infido Sinone. Così, Venere, ci mostra Shakespeare, nella prima parte non vuole vedere, ovvero riconoscere, la giovinezza immatura di Adone; quando, nella seconda, si trova dinanzi al corpo morto del giovane, invece, vorrebbe essere cieca, scegliere di non vedere, ossia di non accettare; crollato il mondo che voleva edificare per sé e per Adone, ella vorrebbe scegliere la cecità dinanzi al reale; ma il reale è, e non è, ci dice Shakespeare, eludibile; e Shakespeare colpisce Venere con una vista multipla, il reale la punisce dandole una visione raddoppiata e triplicata: non un solo Adone morto ella vede, non una ferita sola bensì due, tre, a suggerire la forza che gli oggetti concreti hanno in sé, la loro inevitabile presenza – e visione. Come Ovidio, con la storia di Salmacide ed Ermafrodito, dà una spiegazione del perché l’acqua della fonte infiacchisca le membra di chi vi ba2158
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gna, così Shakespeare, con la morte di Adone e con le parole profetiche di Venere, dà una spiegazione del perché l’amore non sia mai disgiunto dalla sofferenza (vv. 1135-1164); eppure, Venere ha già sperimentato in sé, nel corso del corteggiamento ad Adone, tutto questo e lo stesso Adone, che pur non conosce amore, ha sentito dire che amore è tormento (vv. 409-414). È così che l’amore è descritto da Lisandro nel Sogno di una notte di mezza estate (I, 1, 141-155). Che senso ha dunque profetizzare ciò che già è in atto? Non tanto d’una profezia si tratta, quindi, quanto di una presa di coscienza della realtà e dell’essenza delle cose: lei, cieca e ignara, è condotta da Shakespeare alla consapevolezza, mentre Adone sin dall’inizio sa (pur non avendolo mai provato) che amore è pena (vv. 409-414). Vi è un’altra profezia che non si avvera: il mondo non finisce con la morte di Adone, il caos temuto (v. 1020) non ridiscende, quasi Shakespeare denunciasse la fallacia e vanità di tante opinioni umane. Col mutamento in fiore, Adone entra nel ciclo della natura; se pure Shakespeare tace sul mito collegato ad Adone di morte e successiva rinascita, con l’immagine del fiore egli lo pone nello scorrere del ciclo naturale, della morte e della rinascita. Prima, però, di considerare la resa che Shakespeare dà della metamorfosi finale di Adone, occorre avere in mente il modo in cui la tratteggia Ovidio. Egli ci mostra una Venere che, dopo essersi strappata i capelli e percosso il petto, s’adira contro i fati, ai quali dice che non tutto è in loro potere (Metamorfosi, X, vv. 724-725); e, per vincerli, per mantenere viva la memoria della morte di Adone e del proprio dolore, ella sparge sul sangue del giovane ucciso gocce di nettare: (vv. 731-735). Ne nasce un fiore di breve durata (brevis usus, v. 737), come breve è stata la vita di Adone, che ogni anno riapparirà: la metamorfosi in fiore inserisce quindi Adone nel flusso inarrestabile che Ovidio è andato cantando nei primi dieci libri e che continuerà a cantare. In Shakespeare, invece, la metamorfosi avviene in modo spontaneo (vv. 1165-1170); il fiore che ne deriva ha in sé, una volta ancora, il duplice colore del bianco e del rosso (in Ovidio, esso è identificato con l’anemone, mentre Shakespeare ne tace la specie). Venere non lo lascia nel terreno: lo coglie (v. 1175) e Shakespeare annota che dalla breach, ossia dalla rottura del gambo spezzato, esce della linfa; ma breach è la parola che Shakespeare ha usato anche per le ferite mortali inferte ad Adone dal cinghiale (v. 1066): dobbiamo dunque intendere che Venere uccide il fiore? Ella se lo pone in seno, dove esso, scrive Shakespeare, 2159
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avvizzirà: il fiore è dunque unico? Non si rinnoverà esso nel tempo e nelle stagioni, come il fiore di Ovidio? Né il fiore è Adone bensì il figlio di Adone (v. 1778): Adone, alla fine, ha dunque ‘generato’ qualcuno (o qualcosa). Questo fiore rimarrà sul seno di Venere, il quale è detto sia ‘letto’ che ‘culla’ (vv. 1183 e 1185); Venere è madre e amante insieme? Ma se il fiore, in questo letto / culla, appassisce, essi assumono le sembianze inquietanti di una tomba… Venere, a questo punto, colto il fiore, riassume le proprie sembianze di dea; sale sul suo cocchio guidato da colombe e si avvia verso l’isola di Pafo (che, annota Ovidio, ella ha abbandonato per stare accanto ad Adone). Noi però non la vediamo raggiungere Pafo, non la vediamo murarsi in una solitudine luttuosa; e il verbo che Shakespeare usa è meant, ella ‘intendeva’ rinchiudersi nella solitudine a Pafo; ma porterà ella a compimento quest’intenzione? Potrà davvero la dea dell’amore vivere lungi dal mondo dove amore regna sovrano? La parte finale de Venere e Adone solleva più domande di quante risposte dia. LUCA MANINI
R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Fonti OVIDIO, Le metamorfosi, traduzione di G. Paduano, Torino, Einaudi, 2000; OVID, Metamorphoses, nella traduzione di Arthur Golding, a cura di M. Forey, London, Penguin 2002; Adone. Variazioni sul mito, a cura di A. Grilli, Venezia, Marsilio, 2014. Letteratura critica Edizioni commentate: J. CREWE (cur.), Narrative Poems, London, Penguin, 1999; C. BURROW (cur.), The Complete Sonnets and Poems, Oxford, Oxford U. P., 2002; B. A. MOWAT e P. WERSTINE (cur.), Shakespeare’s Sonnets and Poems, New York-London, Simon and Schuster, 2004; J. ROE (cur.), The Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2006; K. DUNCAN-JONES e H. R. WOUDHYSEN (cur.), Shakespeare’s Poems, London, The Arden 2160
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Shakespeare, 2007; R. LYNE e C. SHRANK (cur.), The Complete Poems of Shakespeare, London-New York, Routledge, 2018. Traduzioni italiane: di Decio Calvari, Alessandria, Tipografia e Litografia Chiari e Filippa, 1891; di Adolfo Mabellini (rivista da Mario Praz), in M. PRAZ (cur.), W. Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1964; di Roberto Sanesi, in W. Shakespeare, L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2000; di Gilberto Sacerdoti, in W. Shakespeare, I poemetti, Milano, Garzanti, 2000; di Valter Malosti, Torino, Torino Poesia, 2007. C. BURROW, Shakespeare and Classical Antiquity, Basingstoke, Palgrave-Macmillan, 2013; D. CALLAGHAN, “The Book of Change in a Time of Change: Ovid’s Metamorphoses in Pre-Reformation England and Venus and Adonis”, in D. DUTTON e J. E. HOWARD, A Companion to Shakespeare’s Works. Volume IV: The Poems, Problem Comedies, Late Plays, Oxford, Blackwell, 2003, pp. 27-45; P. CHENEY, Shakespeare, National Poet-Playwright, Cambridge, Cambridge U. P., 2004; A. GRILLI, Storie di Venere e Adone, Mimemis, Milano 2012; P. HAYLAND, An Introduction to Shakespeare’s Poems, Palgrave-Macmillan, Basingstoke 2003; H. JAMES, “Shakespeare and Classicism”, in P. CHENEY, The Cambridge Companion to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge, Cambridge U. P., 2007, pp. 202-220; C. KHAN, “Venus and Adonis”, in P. CHENEY, The Cambridge Companion to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge U. P., 2007, pp. 72-89; P. C. KOLIN (cur.), Venus and Adonis: Critical Essays, New York, Routledge, 1999; A. MORTIMER, Variable Passions. A Reading of Shakespeare’s Venus and Adonis, New York AMS Press, 2000; S. MUKHERJI, “Outgrowing Adonis, Outgrowing Ovid: The Disorienting Narrative of Venus and Adonis”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 396-412; R. R AMBUSS, “What if feels Like For a Boy: Shakespeare’s Venus and Adonis”, in D. DUTTON e J. E. HOWARD, A Companion to Shakespeare’s Works. Volume IV: The Poems, Problem Comedies, Late Plays, Oxford, Blackwell, 2003, pp. 240- 258; A. B. TAYLOR (cur.), Shakespeare’s Ovid. The Metamorphoses in the Plays and Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2000.
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VENUS AND ADONIS
Vilia miretur vulgus; mihi flavus Apollo Pocula Castalia plena ministret aqua. TO THE RIGHT HONOURABLE HENRY WRIOTHESLEY, EARL OF SOUTHAMPTON, AND BARON OF TITCHFIELD Right Honourable, I know not how I shall offend in dedicating my unpolished lines to your lordship, nor how the world will censure me for choosing so strong a prop to support so weak a burden. Only, if your honour seem but pleased, I account myself highly praised, and vow to take advantage of all idle hours till I have honoured you with some graver labour. But if the first heir of my invention prove deformed, I shall be sorry it had so noble a godfather, and never after ear so barren a land for fear it yield me still so bad a harvest. I leave it to your honourable survey, and your honour to your heart’s content, which I wish may always answer your own wish and the world’s hopeful expectation. Your honour’s in all duty, William Shakespeare
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VENERE E ADONE
Vilia miretur vulgus: mihi flavus Apollo Pocula Castalia plena ministret aqua1. ALL’ECCELLENTISSIMO HENRY WRIOTHESLEY, CONTE DI SOUTHAMPTON E BARONE DI TITCHFIELD2. Eccellentissimo, non so se recherò un’offesa nel dedicare a Vostra Signoria questi versi imperfetti, né se il mondo mi biasimerà per aver scelto un sostegno tanto possente per un peso tanto meschino; ma se Vostro Onore mostrerà anche solo un poco di contento, sarà per me motivo di alta lode e contentezza, e faccio voto di occupare le ore tutte che avrò libere al fine di onorarvi con una fatica ben più seria3. Se il primo parto del mio ingegno dovesse però mostrarsi deforme, proverò un grave scontento per averlo affidato a un padrino tanto nobile e prometto che mai più coltiverò un terreno tanto arido, per tema ch’esso produca ancora un raccolto tanto scarso4. L’affido al vostro giusto giudizio, così come Vostro Onore l’affiderà al proprio cuore generoso, e spero che questo possa risponder sempre ai Vostri desideri e alle speranze e aspettative del mondo. Il servitore vostro William Shakespeare
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Even as the sun with purple-coloured face Had ta’en his last leave of the weeping morn, Rose-cheeked Adonis hied him to the chase. Hunting he loved, but love he laughed to scorn. Sick-thoughted Venus makes amain unto him, And like a bold-faced suitor ’gins to woo him. ‘Thrice fairer than myself,’ thus she began, ‘The fields’ chief flower, sweet above compare, Stain to all nymphs, more lovely than a man, More white and red than doves or roses are — Nature that made thee with herself at strife Saith that the world hath ending with thy life. ‘Vouchsafe, thou wonder, to alight thy steed And rein his proud head to the saddle-bow; If thou wilt deign this favour, for thy meed A thousand honey secrets shalt thou know. Here come and sit where never serpent hisses; And, being sat, I’ll smother thee with kisses, ‘And yet not cloy thy lips with loathed satiety, But rather famish them amid their plenty, Making them red, and pale, with fresh variety; Ten kisses short as one, one long as twenty.
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Mentre, con purpureo volto, il sole dava l’estremo addio all’aurora lacrimosa5, Adone dalle rosee guance6 si affrettava alla caccia. La caccia amava e dell’amore rideva. Pazza d’amore, con impeto Venere gli è accanto e come sfrontato amante lo corteggia. Cominciò: ‘Di me, oh bellissimo, quanto più bello, fiore del prato sovrano, dolce oltre paragone, ombra alle ninfe7, più amabile di un uomo8, candido e rosso più che colombe e rose9, Natura, che te fece10 se stessa superando, dice: Finita la tua vita, il mondo finirà!11 Concedi, mirabile portento, di scender dal destriero e all’arcione fissane la testa fiera. Se di questo favore ti degni, a tua mercede mille segreti apprenderai il cui sapore è miele. Accostati, qui siedi, dove non sibila serpe12 e, qui seduti, io ti soffocherò di baci, senza però stancarti le labbra con sazietà che stucca; no, io le affamerò nell’abbondanza13, rosse le farò, poi smorte, con nuovo mutamento: brevi come uno dieci baci, uno lungo come venti. 2165
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VENUS AND ADONIS
A summer’s day will seem an hour but short, Being wasted in such time-beguiling sport.’ With this, she seizeth on his sweating palm, The precedent of pith and livelihood, And, trembling in her passion, calls it balm — Earth’s sovereign salve to do a goddess good. Being so enraged, desire doth lend her force Courageously to pluck him from his horse. Over one arm, the lusty courser’s rein; Under her other was the tender boy, Who blushed and pouted in a dull disdain With leaden appetite, unapt to toy. She red and hot as coals of glowing fire; He red for shame, but frosty in desire. The studded bridle on a ragged bough Nimbly she fastens — O, how quick is love! The steed is stallèd up, and even now To tie the rider she begins to prove. Backward she pushed him, as she would be thrust, And governed him in strength, though not in lust. So soon was she along as he was down, Each leaning on their elbows and their hips. Now doth she stroke his cheek, now doth he frown And ’gins to chide, but soon she stops his lips, And, kissing, speaks, with lustful language broken: ‘If thou wilt chide, thy lips shall never open.’ He burns with bashful shame; she with her tears Doth quench the maiden burning of his cheeks. Then, with her windy sighs and golden hairs, To fan and blow them dry again she seeks. He saith she is immodest, blames her miss; What follows more she murders with a kiss.
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Un’ora breve sembrerà il giorno estivo, trascorso in questo svago che inganna il tempo’. Dice, e gli abbranca il madido palmo14, segno dell’ardore di vita che ha nel corpo, e, tremante di passione, balsamo lo chiama, panacea terrena sì ma anche per lei, ch’è dea, ideale. Accesa com’è, il desiderio le dà la forza di strapparlo, ardita, giù dal cavallo. Su un braccio ha le redini del vivo corsiero, sotto l’altro era il tenero fanciullo, che arrossiva sdegnoso e s’imbronciava, inetto al gioco15, con plumbeo appetito; rossa lei, e calda come i tizzi d’un ardente fuoco, rosso di vergogna lui, algido nel desiderio. A un ramo nodoso l’ornata briglia agilmente ella fissa (tanto veloce è amore!); legato è anche il corsiero ed ella inizia ora a tentare di legare anche il cavaliere: indietro lo strattona (ma lo vorrebbe lei!) e con la forza lo domina, non col diletto16. E appena lui fu a terra, lei gli si stese a lato, poggiati entrambi sui gomiti e sui fianchi. La guancia ella gli sfiora e lui s’acciglia e inizia la rampogna; ella però il labbro ne frena e baciandolo parla col rotto linguaggio di chi brama17: ‘Se mi sgridi, mai s’apriranno le tue labbra!’ Riarde lui di schiva vergogna, ella col pianto gli mitiga l’ardore virginale delle guance18; poi, con ariosi sospiri, e coi capelli d’oro, facendo vento prova a rasciugarle. Egli la dice scostumata, e la rampogna. Ma ciò che in più direbbe, con un bacio ella l’uccide. 2167
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VENUS AND ADONIS
Even as an empty eagle, sharp by fast, Tires with her beak on feathers, flesh, and bone, Shaking her wings, devouring all in haste Till either gorge be stuffed or prey be gone, Even so she kissed his brow, his cheek, his chin, And where she ends she doth anew begin. Forced to content, but never to obey, Panting he lies and breatheth in her face. She feedeth on the steam as on a prey And calls it heavenly moisture, air of grace, Wishing her cheeks were gardens full of flowers, So they were dewed with such distilling showers. Look how a bird lies tangled in a net, So fastened in her arms Adonis lies. Pure shame and awed resistance made him fret, Which bred more beauty in his angry eyes. Rain added to a river that is rank Perforce will force it overflow the bank. Still she entreats, and prettily entreats, For to a pretty ear she tunes her tale. Still is he sullen, still he lours and frets ’Twixt crimson shame and anger ashy-pale. Being red, she loves him best; and being white, Her best is bettered with a more delight. Look how he can, she cannot choose but love; And by her fair immortal hand she swears From his soft bosom never to remove Till he take truce with her contending tears, Which long have rained, making her cheeks all wet; And one sweet kiss shall pay this countless debt.
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Come aquila famelica che, per lungo digiuno, strappa col becco e penne e carne e ossa, scuotendo le ali, in fretta divorando, sinché sia sazia o disfatta sia la preda, così lei gli baciava e fronte e gota e mento e là dove finisce là ecco che ricomincia19. Forzato a soddisfarla, non a obbedirla, egli rigiace ansante e sulla faccia le respira; di quell’alito ella, come di preda20, si nutre, e lo dice celestiale umore, aria che è grazia; e le guance vorrebbe avere come giardini e fiori, sì da irrorarle con quella rugiadosa pioggia21. Come un uccello che s’è intricato in rete, così, tra le sue braccia stretto, Adone giace. Lo scuotevano vergogna e pavida difesa, e ciò beltà aggiungeva agli occhi suoi, irati. La pioggia che s’aggiunge a un fiume in piena per forza lo costringe a oltrepassar la riva. Ella sempre lo implora, dolcemente lo implora, ché a un dolce orecchio armonizza ciò che dice. Ma lui s’imbroncia, s’agita, s’acciglia, rosso si fa di vergogna, bianco d’ira, cinereo; ella più l’ama quand’è rosso, ma quand’egli è bianco, oh, maggiore si fa amore, maggiore il diletto! Quale ne sia l’aspetto, ella non può che amarlo, e per la bella mano sua, immortale, giura che mai si toglierà dal suo morbido petto sin ch’egli non dia tregua a quelle lacrime di guerra che a lungo, bagnandole, le sono piovute sulle guance, con un bacio che, dolce, pareggerà quel debito immane.
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VENUS AND ADONIS
Upon this promise did he raise his chin, Like a divedapper peering through a wave Who, being looked on, ducks as quickly in — So offers he to give what she did crave. But when her lips were ready for his pay, He winks, and turns his lips another way. Never did passenger in summer’s heat More thirst for drink than she for this good turn. Her help she sees, but help she cannot get. She bathes in water, yet her fire must burn. ‘O pity,’ gan she cry, ‘flint-hearted boy! ’Tis but a kiss I beg — why art thou coy? ‘I have been wooed as I entreat thee now Even by the stern and direful god of war, Whose sinewy neck in battle ne’er did bow, Who conquers where he comes in every jar. Yet hath he been my captive and my slave, And begged for that which thou unasked shalt have. ‘Over my altars hath he hung his lance, His battered shield, his uncontrollèd crest, And for my sake hath learned to sport and dance, To toy, to wanton, dally, smile, and jest, Scorning his churlish drum and ensign red, Making my arms his field, his tent my bed. ‘Thus he that over-ruled I overswayed, Leading him prisoner in a red-rose chain. Strong-tempered steel his stronger strength obeyed, Yet was he servile to my coy disdain. O, be not proud, nor brag not of thy might, For mast’ring her that foiled the god of fight.
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A questa promessa egli solleva il mento, come un tuffolo che guati tra le onde e che, sentendosi osservato, ratto si rituffi; e offre allora di darle ciò che brama; ma quando le labbra di lei sono pronte al pagamento, lui chiude gli occhi e le labbra altrove volge. Mai un viandante, nella calura estiva, bramò di bere quant’ella quell’unico sorso. Vede il soccorso ma il soccorso non giunge; nell’acqua si bagna, ma deve ardere il suo fuoco! Grida: ‘Pietà, ragazzo dal cuore di selce!22 Solo un bacio io bramo: perché ti fai ritroso? Come ora t’imploro, fui corteggiata, io, dal truce, dal tremendo, dio della guerra23, il cui collo forte mai, combattendo, si piegò e in ogni luogo vinse in ogni lotta; pure fu mio prigioniero, fu mio schiavo e ciò implorò che tu, senza chiedere, puoi avere! Ai miei altari 24 appese egli la lancia e lo scudo ammaccato e l’invitto cimiero; per amor mio a giocare apprese, a danzare, a scherzare lascivo, e sorridere e celiare, sprezzando il discorde tamburo e le rosse insegne, tra le mie braccia ponendo il campo, la tenda nel mio letto25. Così io dominai chi sempre aveva prevalso e con catene di rose prigioniero lo condussi. L’acciaio più temprato ubbidiva alla sua forza, eppure fu servile innanzi al mio schivo disdegno. Non essere tu altero, non vantarti d’esser potente se domini colei che dominò il dio marziale!
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‘Touch but my lips with those fair lips of thine — Though mine be not so fair, yet are they red — The kiss shall be thine own as well as mine. What seest thou in the ground? Hold up thy head. Look in mine eyeballs: there thy beauty lies. Then why not lips on lips, since eyes in eyes? ‘Art thou ashamed to kiss? Then wink again, And I will wink. So shall the day seem night. Love keeps his revels where there are but twain. Be bold to play — our sport is not in sight. These blue-veined violets whereon we lean Never can blab, nor know not what we mean. ‘The tender spring upon thy tempting lip Shows thee unripe; yet mayst thou well be tasted. Make use of time; let not advantage slip. Beauty within itself should not be wasted. Fair flowers that are not gathered in their prime Rot, and consume themselves in little time. ‘Were I hard-favoured, foul, or wrinkled-old, Ill-nurtured, crooked, churlish, harsh in voice, O’er-worn, despisèd, rheumatic, and cold, Thick-sighted, barren, lean, and lacking juice, Then mightst thou pause, for then I were not for thee. But having no defects, why dost abhor me? ‘Thou canst not see one wrinkle in my brow. Mine eyes are grey, and bright, and quick in turning. My beauty as the spring doth yearly grow. My flesh is soft and plump, my marrow burning. My smooth moist hand, were it with thy hand felt, Would in thy palm dissolve, or seem to melt.
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Con le tue, che sono belle, sfiora le mie labbra (sono rosse le mie, se pur non così belle) e tuo sarà quel bacio e insieme sarà mio26. Che guardi mai lì, sulla terra? Solleva il capo, fissami nelle pupille, dove la tua beltà risiede27: e come occhi negli occhi perché non labbra su labbra? Sei di baciare pavido? Abbassa le palpebre e io le abbasserò, sì che notte parrà il giorno. Quando si è in due, oh, allora amor fa festa; ardisci di giocare: chi vede il nostro svago? Le viole screziate d’azzurro sulle quali giacciamo non possono ridire, non sanno il nostro atto! Acerbo ti mostra la fresca primavera che t’è sul labbro tentatore28: d’assaggiarti è però il tempo! Usa il tuo tempo, non far che l’occasione passi, non far che, chiusa in sé, la beltà si sciupi29: se il bel fiore non è colto appena sboccia marcisce e si consuma in breve ora30. Foss’io piena di grinze, deforme o brutta, fossi rozza, storta, villana, aspra di voce, disfatta, disprezzata, fredda e acciaccata, orba, secca, smunta e senza umori, allora sì che potresti esitare: non sarei per te! Ma io non ho difetti: perché mai mi aborri? Vedi che non ho grinze sulla fronte, celesti ho gli occhi, e brillanti, e vivi. Cresce la mia beltà di primavera in primavera; morbida ho la carne, e piena, con linfa ardente. La mia rorida31 e liscia mano, se alla tua s’unisse, dissolverebbe nella palma tua, o scioglierebbe.
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VENUS AND ADONIS
‘Bid me discourse, I will enchant thine ear; Or like a fairy, trip upon the green; Or like a nymph, with long, dishevelled hair, Dance on the sands, and yet no footing seen. Love is a spirit all compact of fire, Not gross to sink, but light, and will aspire. ‘Witness this primrose bank whereon I lie: These forceless flowers like sturdy trees support me. Two strengthless doves will draw me through the sky From morn till night, even where I list to sport me. Is love so light, sweet boy, and may it be That thou should think it heavy unto thee? ‘Is thine own heart to thine own face affected? Can thy right hand seize love upon thy left? Then woo thyself, be of thyself rejected; Steal thine own freedom, and complain on theft. Narcissus so himself himself forsook, And died to kiss his shadow in the brook. ‘Torches are made to light, jewels to wear, Dainties to taste, fresh beauty for the use, Herbs for their smell, and sappy plants to bear. Things growing to themselves are growth’s abuse. Seeds spring from seeds, and beauty breedeth beauty: Thou wast begot; to get it is thy duty. ‘Upon the earth’s increase why shouldst thou feed Unless the earth with thy increase be fed? By law of nature thou art bound to breed, That thine may live when thou thyself art dead; And so in spite of death thou dost survive, In that thy likeness still is left alive.’
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Ordina che io parli: t’incanterò l’orecchio! O lieve muoverò sull’erba, quasi fata; o come ninfa, coi lunghi capelli disciolti, sulla rena danzerò, senza lasciare impronte32. È uno spirito Amore fatto di solo fuoco, non precipita grave ma lieve s’innalza33. Teste ne sia la proda di primule ove io mi giaccio: come alberi forti, i deboli fiori mi sostengono; per il cielo mi conducono due fragili colombe, da mane a sera, là dove di svagarmi mi piace. Se così lieve è amore, dolce ragazzo, com’esser può che tu lo senta un peso? Forse il tuo cuore del volto tuo s’innamorò? Unendo le tue mani avrai tu forse amore? Corteggia te stesso, allora, da te sii disdegnato: ruba la libertà a te stesso e lagnati poi del furto. Così Narciso se stesso perdette e nel rivo morì per baciar la sua ombra. Fatte sono le torce a dare luce, a indossarsi i gioielli, a gustarsi le chicche; a usarsi la fresca beltà; a odorarsi le erbe, a dar frutti le piante ricche di linfa. Ciò che solo per sé cresce va contro la natura; da seme nasce seme, beltà nutre beltà; tu fosti generato: generare è il tuo dovere34.
Come puoi nutrirti dei frutti della terra se coi tuoi frutti poi non nutri tu la terra? Per legge di natura, sei legato a procreare, sì che, tu morto, vivano i tuoi figli; ancora tu vivrai, a dispetto della morte, perché in vita rimane il tuo sembiante’.
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VENUS AND ADONIS
By this, the lovesick queen began to sweat, For where they lay the shadow had forsook them, And Titan, tired in the midday heat, With burning eye did hotly overlook them, Wishing Adonis had his team to guide So he were like him, and by Venus’ side. And now Adonis, with a lazy sprite And with a heavy, dark, disliking eye, His louring brows o’erwhelming his fair sight, Like misty vapours when they blot the sky, Souring his cheeks, cries, ‘Fie, no more of love! The sun doth burn my face; I must remove.’ ‘Ay me,’ quoth Venus, ‘young, and so unkind? What bare excuses mak’st thou to be gone? I’ll sigh celestial breath, whose gentle wind Shall cool the heat of this descending sun. I’ll make a shadow for thee of my hairs; If they burn too, I’ll quench them with my tears. ‘The sun that shines from heaven shines but warm, And lo, I lie between that sun and thee. The heat I have from thence doth little harm; Thine eye darts forth the fire that burneth me, And were I not immortal, life were done Between this heavenly and earthly sun. ‘Art thou obdurate, flinty, hard as steel? Nay, more than flint, for stone at rain relenteth. Art thou a woman’s son, and canst not feel What ’tis to love, how want of love tormenteth? O, had thy mother borne so hard a mind, She had not brought forth thee, but died unkind.
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Ora il sudore imperla la regina patita d’amore, ché l’ombra ha abbandonato il luogo dov’erano, e Titano35, stracco nel caldo del meriggio, con occhio infocato li riguarda ardendo e bramando che Adone fosse alla guida del carro e lui al posto suo, a Venere d’accanto. E ora Adone, con umore infiacchito, con occhi gravi, cupi e dispiacenti, col bell’aspetto sciupato dal cipiglio, come foschi vapori che offuscano il cielo, storce la bocca e grida: ‘Basta parlare d’amore! Il sole mi brucia la faccia, voglio spostarmi!’ ‘Ahimè’ Venere disse ‘sì giovane e sì rude; qual mai pretesto è questo per andare? Sospirerò celesti sospiri e il loro alito gentile, in questo meriggio, attenuerà il calore del sole; ti farò ombra con i miei capelli e, se anch’essi ardono, con lacrime li spegnerò. Il sole che dal cielo splende, splende e riscalda; e guarda: tra il sole e te io mi distendo; poco mi nuoce il caldo che di là ricevo: dai tuoi occhi dardeggia il fuoco che mi brucia! E non fossi immortale, distrutta sarebbe la mia vita, posta così tra un sole celeste ed un terreno sole! Sei cocciuto, duro come selce o acciaio? Ah, più della selce, ché alla pioggia anche la pietra cede36; sei tu figlio di donna e non sai provare ciò ch’è l’amore, e come lacera d’amore la mancanza? Se altrettanto ostinata fosse stata tua madre, sarebbe morta sterile, senza generarti.
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‘What am I, that thou shouldst contemn me this? Or what great danger dwells upon my suit? What were thy lips the worse for one poor kiss? Speak, fair; but speak fair words, or else be mute. Give me one kiss, I’ll give it thee again, And one for int’rest, if thou wilt have twain. ‘Fie, lifeless picture, cold and senseless stone, Well painted idol, image dull and dead, Statue contenting but the eye alone, Thing like a man, but of no woman bred: Thou art no man, though of a man’s complexion, For men will kiss even by their own direction.’ This said, impatience chokes her pleading tongue, And swelling passion doth provoke a pause. Red cheeks and fiery eyes blaze forth her wrong. Being judge in love, she cannot right her cause; And now she weeps, and now she fain would speak, And now her sobs do her intendments break. Sometime she shakes her head, and then his hand; Now gazeth she on him, now on the ground. Sometime her arms enfold him like a band; She would, he will not in her arms be bound. And when from thence he struggles to be gone, She locks her lily fingers one in one. ‘Fondling,’ she saith, ‘since I have hemmed thee here Within the circuit of this ivory pale, I’ll be a park, and thou shalt be my deer. Feed where thou wilt, on mountain or in dale; Graze on my lips, and if those hills be dry, Stray lower, where the pleasant fountains lie.
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Che mai io sono che tu tanto tu mi sprezzi? Qual rischio è mai se io sì ti corteggio? Un misero bacio guasterebbe le tue labbra? Parla, mio caro, ma dimmi cose belle, o resta muto. Dammi un bacio, uno solo: io te lo renderò, più uno come interessi, se due ne vorrai. Ahi, ritratto senza vita37, freddo sasso insensibile, idolo dipinto, effigie opaca e morta, statua che gioia dà soltanto all’occhio38, d’uomo hai l’aspetto, ma non ti generò una donna! Uomo non sei, sebbene d’uomo abbia tu la forma, perché nell’uomo baciare è un naturale istinto’. Disse; e l’impazienza le soffoca preghiera e voce, e muta la rende la passione che monta. Il torto che subisce lo dicono le guance e gli occhi ardenti; non sa drizzare la propria causa, lei che pure è giudice d’amore. E ora piange e ora parlare vorrebbe e ora i singhiozzi le troncano ciò che vorrebbe dire. Scuote ella a tratti il capo, poi la mano di lui; ora fissa gli occhi su lui, poi sulla terra; a tratti con le braccia lo stringe come un laccio: ella vuole così, egli quel legame non vuole; e quando se ne svincola e vuole andare, ella le dita sue di giglio una all’altra intreccia. ‘Sciocco’ lei dice ‘ormai ti ho qui rinchiuso, tra i confini di questo recinto d’avorio: un parco io sarò e tu sarai il mio cervo; nutriti dove vuoi, su monti oppure in valli; bruca sulle mie labbra e, se aridi ritrovi i colli, vaga più in basso, dove sgorgano dolci sorgenti.
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VENUS AND ADONIS
‘Within this limit is relief enough, Sweet bottom-grass, and high delightful plain, Round rising hillocks, brakes obscure and rough, To shelter thee from tempest and from rain. Then be my deer, since I am such a park; No dog shall rouse thee, though a thousand bark.’
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At this Adonis smiles as in disdain, That in each cheek appears a pretty dimple. Love made those hollows, if himself were slain, He might be buried in a tomb so simple, Foreknowing well, if there he came to lie, Why, there love lived, and there he could not die.
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These lovely caves, these round enchanting pits, Opened their mouths to swallow Venus’ liking. Being mad before, how doth she now for wits? Struck dead at first, what needs a second striking? Poor queen of love, in thine own law forlorn, To love a cheek that smiles at thee in scorn! Now which way shall she turn? What shall she say? Her words are done, her woes the more increasing. The time is spent; her object will away, And from her twining arms doth urge releasing. ‘Pity,’ she cries; ‘some favour, some remorse!’ Away he springs, and hasteth to his horse. But lo, from forth a copse that neighbours by A breeding jennet, lusty, young, and proud, Adonis’ trampling courser doth espy, And forth she rushes, snorts, and neighs aloud. The strong-necked steed, being tied unto a tree, Breaketh his rein, and to her straight goes he.
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Tra questi confini v’è cibo a sufficienza, dolci erbe di valle, amenissimi altipiani, tonde colline che s’innalzano, scuri, aspri boschetti che riparo ti daranno dalla burrasca e la pioggia. Sii tu il mio cervo, allora, ché io a te sono tal parco. Non un cane ti sniderà, se pure mille abbaiassero’. A questo, sprezzante, Adone sorride, sì che ogni guancia mostra una fossetta: questi incavi Amore li creò, sì che, s’egli39 fosse ucciso, verrebbe sepolto in questa semplice tomba, sapendo invero che, se lì giacesse, morire non potrebbe, là dove visse amore. Queste amabili grotte, questi tondi pozzi che incantano, la bocca aprirono per inghiottire di Venere la brama. Già era pazza: qual senno ora le resta? Già era colpita a morte: a che pro questo secondo colpo? Misera regina d’Amore, perduta dalla tua stessa legge: ami una guancia che sorridendoti ti sdegna! Dov’ella volgerà, ora? Che mai dirà? Ha esaurito le parole; crescono le pene; passato è il tempo, l’amato oggetto vuole andare: già a forza si districa dalle avvolgenti braccia. ‘Pietà’ lei grida ‘compatiscimi, ti prego!’ Ma egli balza in piedi e al cavallo s’avvia. Ma ecco che, da un boschetto vicino, una vivace cavalla40, giovane e altera, sbircia lo scalpitante destriero d’Adone e innanzi corre e soffia e alto nitrisce. Legato a un albero, il destriero dal collo sì forte spezza le redini e verso lei ratto si slancia.
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VENUS AND ADONIS
Imperiously he leaps, he neighs, he bounds, And now his woven girths he breaks asunder. The bearing earth with his hard hoof he wounds, Whose hollow womb resounds like heaven’s thunder. The iron bit he crusheth ’tween his teeth, Controlling what he was controllèd with. His ears up-pricked, his braided hanging mane Upon his compassed crest now stand on end; His nostrils drink the air, and forth again, As from a furnace, vapours doth he send. His eye, which scornfully glisters like fire, Shows his hot courage and his high desire. Sometime he trots, as if he told the steps, With gentle majesty and modest pride. Anon he rears upright, curvets, and leaps, As who should say, ‘Lo, thus my strength is tried, And this I do to captivate the eye Of the fair breeder that is standing by.’ What recketh he his rider’s angry stir, His flattering ‘Holla’, or his ‘Stand, I say!’? What cares he now for curb or pricking spur, For rich caparisons or trappings gay? He sees his love, and nothing else he sees, For nothing else with his proud sight agrees. Look when a painter would surpass the life In limning out a well proportioned steed, His art with nature’s workmanship at strife, As if the dead the living should exceed: So did this horse excel a common one In shape, in courage, colour, pace, and bone.
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VENERE E ADONE
Imperioso balza nitrisce e salta, e strappa in due il sottopancia intrecciato. Ferisce col duro zoccolo la fertile41 terra, il cui grembo cavo come tuono rimbomba. Morde fra i denti il ferreo morso, ciò che lo dominava dominando ormai. Dritte ha le orecchie e l’intrecciata, pendula criniera ora si erge sull’arcuato ciuffo. Le nari bevono l’aria, e la rigettano: come da una fornace emette esso vapori. Lo sguardo che, fiero, riluce qual fuoco, ne mostra l’ardente coraggio e l’alto desiderio. Quasi contasse i passi, ora trotta con nobile maestà e alterigia modesta; e ora s’erge sulle zampe, s’avanza e poi salta, quasi dicesse: ‘Vedete che provata è la mia forza; e quest’io faccio per catturar lo sguardo della bella cavalla che m’è accanto!’ Che conta per lui la ruvida rabbia del padrone, i suoi blandi richiami, i suoi: ‘Fermo, ti dico’? Che gl’importa del morso e dei pungenti sproni, delle ricche gualdrappe, dei finimenti ornati? Vede il suo amore e null’altro vede, ché null’altro s’accorda alla sua fiera vista. Come quando un pittore vuol superare la vita dipingendo le perfette proporzioni d’un destriero e pone l’arte sua a scontro con quella di natura42, come se i morti potessero mai vincere i vivi, così questo cavallo ogni altro superava in forma, coraggio, colore, passo e struttura.
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VENUS AND ADONIS
Round-hoofed, short-jointed, fetlocks shag and long, Broad breast, full eye, small head, and nostril wide, High crest, short ears, straight legs, and passing strong; Thin mane, thick tail, broad buttock, tender hide — Look what a horse should have he did not lack, Save a proud rider on so proud a back.
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Sometime he scuds far off, and there he stares; Anon he starts at stirring of a feather. To bid the wind a base he now prepares, And whe’er he run or fly they know not whether; For through his mane and tail the high wind sings, Fanning the hairs, who wave like feathered wings. He looks upon his love, and neighs unto her; She answers him as if she knew his mind. Being proud, as females are, to see him woo her, She puts on outward strangeness, seems unkind, Spurns at his love, and scorns the heat he feels, Beating his kind embracements with her heels. Then, like a melancholy malcontent, He vails his tail that, like a falling plume, Cool shadow to his melting buttock lent. He stamps, and bites the poor flies in his fume. His love, perceiving how he was enraged, Grew kinder, and his fury was assuaged. His testy master goeth about to take him, When lo, the unbacked breeder, full of fear, Jealous of catching, swiftly doth forsake him, With her the horse, and left Adonis there. As they were mad unto the wood they hie them, Outstripping crows that strive to overfly them.
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VENERE E ADONE
Zoccoli tondi, mobili giunture, lunghi nodelli irsuti, petto ampio, occhio vivo, testa piccola e ampie nari, alto ciuffo, orecchie corte, zampe dritte e possenti, criniera fine, coda spessa, natiche ampie e morbido manto. Nulla gli manca di ciò che un cavallo aver dovrebbe, se non un fiero cavaliere su un così fiero dorso. Ora si slancia lontano, poi sosta e guarda, poi trasale se sente una piuma che muove; eccolo pronto a sfidare il vento a gara e dire non si può dov’esso corra o voli, ché canta il vento per la coda e la criniera che, così carezzate, ondeggiano come penne d’ali. Guarda fisso il suo amore e verso lei nitrisce; quasi capisse il suo pensiero, essa gli risponde. Fiera, come sono le femmine, d’esser corteggiata, assume un’aria scontante e scortese, spregia l’amor di lui, ne sprezza l’ardore, con gli zoccoli ributtandone le dolci carezze43. Come un malinconico e scontento amante44, allora lui abbassa la coda e questa, piuma cadente, dà fresca ombra alle sue natiche ardenti. Pesta la terra, le povere mosche morde con ira. L’amore suo, vedendolo così pieno di furia, si fece più gentile e ne placò il furore. Irritato, il padrone s’accosta per riprenderlo, ma ecco che la cavalla, ombrosa e non doma, restia a farsi prendere, veloce si allontana e con lei se ne va il cavallo; e là Adone resta. Come colti da follia, si precipitano i due nel bosco, più rapidi dei corvi che si sforzavano di superarli.
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VENUS AND ADONIS
All swoll’n with chafing, down Adonis sits, Banning his boist’rous and unruly beast; And now the happy season once more fits That lovesick love by pleading may be blessed; For lovers say the heart hath treble wrong When it is barred the aidance of the tongue. An oven that is stopped, or river stayed, Burneth more hotly, swelleth with more rage. So of concealèd sorrow may be said Free vent of words love’s fire doth assuage. But when the heart’s attorney once is mute, The client breaks, as desperate in his suit. He sees her coming, and begins to glow, Even as a dying coal revives with wind, And with his bonnet hides his angry brow, Looks on the dull earth with disturbèd mind, Taking no notice that she is so nigh, For all askance he holds her in his eye. O, what a sight it was wistly to view How she came stealing to the wayward boy, To note the fighting conflict of her hue, How white and red each other did destroy! But now her cheek was pale; and by and by It flashed forth fire, as lightning from the sky. Now was she just before him as he sat, And like a lowly lover down she kneels; With one fair hand she heaveth up his hat; Her other tender hand his fair cheek feels. His tend’rer cheek receives her soft hand’s print As apt as new-fall’n snow takes any dint.
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Frustrato e deluso, Adone là si siede e maledice quell’arrogante e indocile animale. Ed ecco, alla dea d’amore malata d’amore, propizio si fa il tempo per parlare e sperare; perché, dicono gli amanti, è inerme il cuore quando l’ausilio della lingua gli è negato. Come un forno serrato o un ingabbiato fiume brucia più caldo o con più ira si gonfia, così dire si può del duolo che celato si serba. Con espresse parole si placa il fuoco d’amore; ma se muto rimane l’avvocato del cuore45, ah, il cliente si dispera ché disperato n’è il caso. Egli la vede tornare e riardere si sente, pari a un tizzone smorto che il vento ravviva, e col berretto celando l’aggrondata fronte fissa la grigia terra con mente turbata, senza voler notare ch’ella gli è già presso, poiché in tralice appena egli la guarda. Raro spettacolo era vedere con quale struggimento ella al fanciullo scontroso ora striscia e s’accosta! Notarle in viso i colori in lotta46, come il bianco il rosso distrugge, e poi l’inverso; ora è pallida la sua guancia e poi, di colpo, emana fuoco, qual lampo in mezzo al cielo. Ed eccola innanzi a lui, a lui seduto, ed ecco: s’inginocchia, umile amante; gli solleva il berretto con la bella mano e con l’altra, lieve, la bella guancia gli sfiora. La molle gota riceve l’impronta della dolce mano, come la neve nuova ritiene in sé ogni pesta.
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VENUS AND ADONIS
O, what a war of looks was then between them, Her eyes petitioners to his eyes suing! His eyes saw her eyes as they had not seen them; Her eyes wooed still; his eyes disdained the wooing; And all this dumb play had his acts made plain With tears which, chorus-like, her eyes did rain.
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Full gently now she takes him by the hand, A lily prisoned in a jail of snow, Or ivory in an alabaster band; So white a friend engirds so white a foe. This beauteous combat, wilful and unwilling, Showed like two silver doves that sit a-billing.
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Once more the engine of her thoughts began: ‘O fairest mover on this mortal round, Would thou wert as I am, and I a man, My heart all whole as thine, thy heart my wound; For one sweet look thy help I would assure thee, Though nothing but my body’s bane would cure thee.’ ‘Give me my hand,’ saith he. ‘Why dost thou feel it?’ ‘Give me my heart,’ saith she, ‘and thou shalt have it. O, give it me, lest thy hard heart do steel it, And, being steeled, soft sighs can never grave it; Then love’s deep groans I never shall regard, Because Adonis’ heart hath made mine hard.’ ‘For shame,’ he cries, ‘let go, and let me go! My day’s delight is past; my horse is gone, And ’tis your fault I am bereft him so. I pray you hence, and leave me here alone; For all my mind, my thought, my busy care Is how to get my palfrey from the mare.’
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Ah, qual guerra di sguardi ci fu tra loro! Supplici gli occhi di lei, oh sì: imploranti; gli occhi di lui li vedono e non vedono, e gli occhi di lei corteggiano quegli occhi disdegnosi; e questa pantomima era illustrata dal pianto di lei che, quasi coro, dagli occhi le piove. Con quanta dolcezza gli prende ora la mano, giglio prigioniero in una cella di neve, o avorio in un fregio d’alabastro; un così bianco amico accerchia un così bianco nemico: oh, bella lotta tra il volere e il disvolere, simile a due argentee colombe che si beccano. E di nuovo s’avvia la macchina della sua mente: ‘Oh tu che bellissimo muovi su questa sfera mortale47, fossi tu quale io sono, e fossi io un uomo, col cuore sano come il tuo, se il tuo fosse ferito, per un dolce tuo sguardo io ti darei aiuto, sì, pur se il mio corpo morto fosse l’unica cura’. ‘Ridammi la mano’ lui dice. ‘Perché mai la tocchi?’ ‘Ridammi il mio cuore’ lei dice ‘e la riavrai. Ridammelo prima che lo indurisca il tuo duro cuore e che, sì indurito, non più lo incidano i soavi sospiri. Non più, allora, mi curerò dei gravi lamenti d’amore perché il cuore d’Adone ha reso il mio di pietra’. ‘Basta’ grida lui. ‘Lascia la mano, e me. Svanito è il piacere dell’oggi, fuggito è il cavallo, e tua è la colpa s’io ne sono così privato. Vattene, ti prego, e lasciami qui, da solo, perché mio unico pensiero, mio solo affanno è ora liberare dalla cavalla il palafreno’48.
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Thus she replies: ‘Thy palfrey, as he should, Welcomes the warm approach of sweet desire. Affection is a coal that must be cooled, Else, suffered, it will set the heart on fire. The sea hath bounds, but deep desire hath none; Therefore no marvel though thy horse be gone.
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‘How like a jade he stood tied to the tree, Servilely mastered with a leathern rein! But when he saw his love, his youth’s fair fee, He held such petty bondage in disdain, Throwing the base thong from his bending crest, Enfranchising his mouth, his back, his breast.
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‘Who sees his true-love in her naked bed, Teaching the sheets a whiter hue than white, But when his glutton eye so full hath fed His other agents aim at like delight? Who is so faint that dares not be so bold To touch the fire, the weather being cold? ‘Let me excuse thy courser, gentle boy; And learn of him, I heartily beseech thee, To take advantage on presented joy. Though I were dumb, yet his proceedings teach thee. O, learn to love! The lesson is but plain, And, once made perfect, never lost again.’ ‘I know not love,’ quoth he, ‘nor will not know it, Unless it be a boar, and then I chase it. ’Tis much to borrow, and I will not owe it. My love to love is love but to disgrace it; For I have heard it is a life in death, That laughs and weeps, and all but with a breath.
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Così ella risponde: ‘Il palafreno, come deve, accoglie il caldo tocco del dolce desiderio. La passione è un tizzo che dev’esser raffreddato; ché, se attizzato, incendierà il cuore intero49. Confini ha il mare, non ne ha il profondo desiderio: non meravigliarti se il cavallo se n’è andato. Come un ronzino, era legato a un albero, oppresso come un servo da redini di cuoio; ma quando vide il suo amore, premio alla gioventù, sdegnoso riguardò quel vincolo sì vile e via gettò dal collo arcuato il meschino legame ed affrancò la bocca, il dorso, il petto. Chi mai, se nel nudo letto vede l’amata, che ai bianchi lini un nuovo bianco insegna, una volta che abbia saziato gli occhi ingordi, non volge gli altri sensi verso un ugual piacere? Chi è tanto debole da non aver l’ardire di toccare il fuoco, quando freddo è il tempo? Lascia ch’io scusi il destriero, dolce ragazzo, e, col cuore te ne prego, da esso impara a cogliere d’un subito la gioia che ti è offerta. Se pure io fossi muta, le sue azioni te lo insegnano! Oh, apprendi ad amare: semplice è la lezione e, una volta appresa, mai si disimpara’. Disse: ‘Amore io non conosco, né conoscerlo voglio, se non per un cinghiale ch’io possa cacciare. Non voglio essere astretto a un debito sì grande. Solo amo amore per sprezzare amore! Oh, bene udii che esso è vita in morte, che in un sospiro solo e piange e ride50.
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‘Who wears a garment shapeless and unfinished? Who plucks the bud before one leaf put forth? If springing things be any jot diminished, They wither in their prime, prove nothing worth. The colt that’s backed and burdened being young, Loseth his pride, and never waxeth strong. ‘You hurt my hand with wringing. Let us part, And leave this idle theme, this bootless chat. Remove your siege from my unyielding heart; To love’s alarms it will not ope the gate. Dismiss your vows, your feignèd tears, your flatt’ry; For where a heart is hard they make no batt’ry.’ ‘What, canst thou talk?’ quoth she. ‘Hast thou a tongue? O, would thou hadst not, or I had no hearing! Thy mermaid’s voice hath done me double wrong. I had my load before, now pressed with bearing: Melodious discord, heavenly tune harsh sounding, Ears’ deep-sweet music, and heart’s deep-sore wounding. ‘Had I no eyes but ears, my ears would love That inward beauty and invisible; Or were I deaf, thy outward parts would move Each part in me that were but sensible. Though neither eyes nor ears to hear nor see, Yet should I be in love by touching thee. ‘Say that the sense of feeling were bereft me, And that I could not see, nor hear, nor touch, And nothing but the very smell were left me, Yet would my love to thee be still as much; For from the stillitory of thy face excelling Comes breath perfumed, that breedeth love by smelling.
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Chi indosserebbe un abito sformato e mal cucito? Chi coglie il boccio prima che i petali dischiuda? Se la pianta, crescendo, troppo è potata d’un subito avvizzisce e perde il suo valore. Il puledro che, giovane, è sellato e oppresso perde il vigore e mai si farà forte51. Mi stritoli la mano! Mi fai male! Separiamoci, cessa da queste parole vuote e vane. Togli l’assedio al cuore mio: esso non cede! Agli assalti d’amore non aprirò le porte! Cessa l’adulazione, le promesse, le lacrime fasulle, vano ne è l’assalto contro un cuore duro’. ‘Cosa?’ lei disse; ‘sai parlare? Tu hai la lingua? Vorrei tu non l’avessi o non potessi io udire. Doppio torto m’ha fatto la tua voce di sirena52: se prima ero oppressa, la pena ora mi schiaccia: melodia discorde, aspro suono celestiale, musica dolce agli orecchi e aspra ferita al cuore. S’io non avessi occhi, ma orecchi soltanto, essi amerebbero quell’intima, invisibile beltà; se fossi sorda, l’aspetto tuo smuoverebbe ogni parte di me che prova sensazioni. Se poi io non avessi occhi, orecchi, a vedere, a sentire, solo toccandoti mi sarei di te innamorata. Immagina ch’io fossi privata del senso del tatto, e che vedere non potessi, o udire o toccare; che solo l’olfatto mi fosse lasciato: oh, non minore sarebbe l’amor mio, perché dall’alambicco del tuo volto eccelso emana un alito soave che, se odorato, nutre l’amore.
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‘But O, what banquet wert thou to the taste, Being nurse and feeder of the other four! Would they not wish the feast might ever last And bid suspicion double-lock the door Lest jealousy, that sour unwelcome guest, Should by his stealing-in disturb the feast?’ Once more the ruby-coloured portal opened Which to his speech did honey passage yield, Like a red morn that ever yet betokened Wrack to the seaman, tempest to the field, Sorrow to shepherds, woe unto the birds, Gusts and foul flaws to herdmen and to herds. This ill presage advisedly she marketh. Even as the wind is hushed before it raineth, Or as the wolf doth grin before he barketh, Or as the berry breaks before it staineth, Or like the deadly bullet of a gun, His meaning struck her ere his words begun, And at his look she flatly falleth down, For looks kill love, and love by looks reviveth; A smile recures the wounding of a frown, But blessèd bankrupt that by loss so thriveth! The silly boy, believing she is dead, Claps her pale cheek till clapping makes it red, And, all amazed, brake off his late intent, For sharply he did think to reprehend her, Which cunning love did wittily prevent. Fair fall the wit that can so well defend her! For on the grass she lies as she were slain, Till his breath breatheth life in her again.
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Oh, qual mai banchetto saresti per il gusto, che è balia e nutrice degli altri quattro sensi. E non vorrebbero che eterno durasse il banchetto, che Sospetto serrasse la porta a due mandate, sì che Gelosia53, quell’ospite sgradita e amara, non potesse intrufolarsi a rovinare il pasto?’
S’aprì di nuovo il portale color del rubino54 che alle parole di lui offriva una mielata uscita, come un rosso mattino che sempre annuncia burrasca al marinaio, tempesta sui campi, angustie ai pastori, affanni agli uccelli, maligno vento a raffiche a mandrie e a mandriani. Quest’amaro presagio ella, acuta, ricoglie, sì come tace il vento prima della pioggia o come il lupo mostra i denti prima d’ululare o la bacca si rompe prima di macchiare o il proiettile che mortale esce da un’arma: prima ch’egli parli, ciò che dirà già la colpisce. E per lo sguardo di lui a terra ella ricade, ché uno sguardo uccide l’amore e per uno sguardo amore rinasce. Cura un sorriso la ferita aperta da un cipiglio: ma felice bancarotta se, fallendo, prospera di poi!55 L’ingenuo fanciullo56, credendola già morta, le colpisce le pallide guance, sino a farle rosse. Il suo proposito, ora, attonito, abbandona: riprenderla voleva con asprezza, ma scaltramente lo impedì l’astuto Amore: fortunato l’ingegno che così la difende! Poiché ella giace a terra, come uccisa, sin che il respiro di lui il vitale respiro le renda57.
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He wrings her nose, he strikes her on the cheeks, He bends her fingers, holds her pulses hard; He chafes her lips; a thousand ways he seeks To mend the hurt that his unkindness marred. He kisses her; and she, by her good will, Will never rise, so he will kiss her still. The night of sorrow now is turned to day. Her two blue windows faintly she upheaveth, Like the fair sun when, in his fresh array, He cheers the morn, and all the earth relieveth; And as the bright sun glorifies the sky, So is her face illumined with her eye, Whose beams upon his hairless face are fixed, As if from thence they borrowed all their shine. Were never four such lamps together mixed, Had not his clouded with his brow’s repine. But hers, which through the crystal tears gave light, Shone like the moon in water seen by night. ‘O, where am I?’ quoth she; ‘in earth or heaven, Or in the ocean drenched, or in the fire? What hour is this: or morn or weary even? Do I delight to die, or life desire? But now I lived, and life was death’s annoy; But now I died, and death was lively joy. ‘O, thou didst kill me; kill me once again! Thy eyes’ shrewd tutor, that hard heart of thine, Hath taught them scornful tricks, and such disdain That they have murdered this poor heart of mine, And these mine eyes, true leaders to their queen, But for thy piteous lips no more had seen.
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Le torce il naso, le batte le guance, le piega le dita, le stringe forte il polso, le labbra le strofina e mille modi cerca per riparare al male che scortesia58 arrecò. E poi la bacia ed ella, di propria volontà, non vuole destarsi, no: ancora lui così la bacerà! S’è volta al giorno ormai la notte della pena. Le due azzurre finestre, debolmente, ella solleva come il bel sole quando, negli abiti suoi freschi, rallegra il mattino e ravviva già la terra. E come il sole di luce fa rifulgere il cielo, così a lei dagli occhi il volto è illuminato, e sul volto glabro di lui se ne posano i raggi, quasi da esso traessero lo splendore loro. Se offuscati non fossero dal cipiglio quelli di lui, qual rara unione sarebbe, quella, di lumi! Quelli di lei, ch’erano luce e lacrime di cristallo, lucevano come fa la luna sull’acqua della notte. ‘Ah, dove sono?’ disse. ‘In terra o in cielo? Nell’oceano immersa o in mezzo al fuoco? Che ora è questa? È il mattino o già l’esausta sera? Mi piaccio di morire oppure bramo la vita? Or non è molto vivevo e la vita era noiosa morte; or non è molto morii e viva gioia era la morte. Ah, tu mi uccidesti: uccidimi ancora! Lo scaltro tutore dei tuoi occhi, il tuo duro cuore, loro insegnò lo sdegno, e trucchi e dileggi, tanto da uccidere questo mio povero cuore. E gli occhi miei, fedeli guide della regina loro, ciechi sarebbero, non fosse stato per le tue care labbra.
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‘Long may they kiss each other, for this cure! O, never let their crimson liveries wear, And as they last, their verdure still endure To drive infection from the dangerous year, That the star-gazers, having writ on death, May say the plague is banished by thy breath! ‘Pure lips, sweet seals in my soft lips imprinted, What bargains may I make still to be sealing? To sell myself I can be well contented, So thou wilt buy, and pay, and use good dealing; Which purchase if thou make, for fear of slips Set thy seal manual on my wax-red lips. ‘A thousand kisses buys my heart from me; And pay them arthy leisure, one by one. What is ten hundred touches unto thee? Are they not quickly told, and quickly gone? Say for non-payment that the debt should double, Is twenty hundred kisses such a trouble?’ ‘Fair queen,’ quoth he, ‘if any love you owe me, Measure my strangeness with my unripe years. Before I know myself, seek not to know me. No fisher but the ungrown fry forbears. The mellow plum doth fall, the green sticks fast, Or, being early plucked, is sour to taste. ‘Look, the world’s comforter with weary gait His day’s hot task hath ended in the west. The owl, night’s herald, shrieks ’tis very late; The sheep are gone to fold, birds to their nest, And coal-black clouds, that shadow heaven’s light, Do summon us to part and bid good night.
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Che a lungo ora si bacino, e mi guariscano! Che mai se ne consumino le rosse livree! Che perseverino e mantengano la freschezza loro, sì da scacciare l’infezione dell’anno del pericolo, onde dica l’astrologo che predisse morte: Bandita è, per l’alito tuo, ora la peste. Caste labbra, dolci sigilli impressi sulle mie, sì molli, che affare tratterò perché ancora suggelliate? Di vendere me stessa sono ben contenta, se vorrai comprare, pagare, usare di me con cura. E se hai paura di acquistare falsi oggetti, poni il sigillo sulle labbra mie, che rosse sono come cera. Mille baci comprano il mio cuore e senza fretta puoi pagarli, uno a uno: che sono mai per te, oh, mille baci? Non li si contano in fretta e già non sono andati? Se poi non pagherai e il debito raddoppia, sono duemila baci forse a te gravosi?’ ‘Bella regina’ disse ‘se provi per me amore, commisura questa ritrosia agli anni miei acerbi. Me non voler conoscere prima ch’io me conosca: il pescatore risparmia i pesci non cresciuti; cade la prugna matura, sul ramo resta l’acerba che, se anzitempo colta, ha un gusto acre. Guarda: con passo stanco chi al mondo dà conforto conclude ad occidente il compito suo ardente59; il gufo, araldo della notte, stride che già è tardi; nel recinto sono le pecore, nel nido gli uccelli, e le nubi nere che avvolgono nell’ombra il chiaro cielo c’invitano a lasciarci, a dirci: Buonanotte!60
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‘Now let me say good night, and so say you. If you will say so, you shall have a kiss.’ ‘Good night,’ quoth she; and ere he says adieu The honey fee of parting tendered is. Her arms do lend his neck a sweet embrace. Incorporate then they seem; face grows to face,
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Till breathless he disjoined, and backward drew The heavenly moisture, that sweet coral mouth, Whose precious taste her thirsty lips well knew, Whereon they surfeit, yet complain on drought. He with her plenty pressed, she faint with dearth, Their lips together glued, fall to the earth.
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Now quick desire hath caught the yielding prey, And glutton-like she feeds, yet never filleth. Her lips are conquerors, his lips obey, Paying what ransom the insulter willeth, Whose vulture thought doth pitch the price so high That she will draw his lips’ rich treasure dry, And, having felt the sweetness of the spoil, With blindfold fury she begins to forage. Her face doth reek and smoke, her blood doth boil, And careless lust stirs up a desperate courage, Planting oblivion, beating reason back, Forgetting shame’s pure blush and honour’s wrack. Hot, faint, and weary with her hard embracing, Like a wild bird being tamed with too much handling, Or as the fleet-foot roe that’s tired with chasing, Or like the froward infant stilled with dandling, He now obeys, and now no more resisteth, While she takes all she can, not all she listeth.
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Lascia ch’io dica buonanotte, e tu ridillo. Se ridirlo vorrai, da me avrai un bacio’. Lei disse: ‘Buonanotte’ e prima ch’egli dica addio soavemente è pagato il prezzo del lasciarsi. Un dolce abbraccio le braccia sue gli prestano: un solo corpo appaiono essi: i due volti uniti si fondono61 sin ch’egli, senza fiato, si disgiunse e indietro trasse quel celeste umore, la dolce bocca di corallo, il cui raro sapore conobbero le assetate labbra di lei che, seppur saziate, di siccità si dolgono62. Carico lui dell’opulenza sua, lei fiacca d’arsura, con le labbra incollate cadono a terra, insieme. Il vivo desiderio ha catturato la preda, che s’arrende; avida ella si nutre e mai sé, no, non sazia! Alle labbra vincitrici obbediscono le labbra di lui e paga il riscatto che l’assalitore esige: e tanto accresce il prezzo il suo pensiero rapace ch’ella disseccherà il ricco tesoro delle labbra sue. E ora che ha assaggiato la dolcezza della preda, con furia cieca inizia ella a nutrirsene63. Le fuma, acceso, il volto, il sangue le bolle, la voglia impetuosa le dà un coraggio disperato che genera oblio, ributta la ragione, scorda il pudico rossore e la rovina dell’onore64. Accaldato, fiacco, esausto dei suoi forti abbracci, come un selvaggio uccello a forza domato, o un cervo piè veloce straccato dalla caccia, o un bimbo capriccioso che si calma se cullato, egli obbedisce, ora, e ora più non resiste, mentr’ella coglie ciò che può ma non il tutto ch’ella vuole.
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VENUS AND ADONIS
What wax so frozen but dissolves with temp’ring And yields at last to every light impression? Things out of hope are compassed oft with vent’ring, Chiefly in love, whose leave exceeds commission. Affection faints not, like a pale-faced coward, But then woos best when most his choice is froward.
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When he did frown, O, had she then gave over, Such nectar from his lips she had not sucked. Foul words and frowns must not repel a lover. What though the rose have prickles, yet ’tis plucked! Were beauty under twenty locks kept fast, Yet love breaks through, and picks them all at last.
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For pity now she can no more detain him. The poor fool prays her that he may depart. She is resolved no longer to restrain him, Bids him farewell, and look well to her heart, The which, by Cupid’s bow she doth protest, He carries thence encagèd in his breast. ‘Sweet boy,’ she says, ‘this night I’ll waste in sorrow, For my sick heart commands mine eyes to watch. Tell me, love’s master, shall we meet tomorrow? Say, shall we, shall we? Wilt thou make the match?’ He tells her no, tomorrow he intends To hunt the boar with certain of his friends. ‘The boar!’ quoth she; whereat a sudden pale, Like lawn being spread upon the blushing rose, Usurps her cheek. She trembles at his tale, And on his neck her yoking arms she throws. She sinketh down, still hanging by his neck. He on her belly falls, she on her back.
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VENERE E ADONE
Qual cera è tanto gelata che, se stretta, non si scioglie e alfine non cede a pressione pur lieve? Le cose di cui si dispera spesso s’ottengono provando, specie in amore, al quale è lecito ogni eccesso. La passione non cede come un pallido codardo e meglio corteggia quanto più restio ne è l’oggetto. Quand’egli s’accigliava, oh, si fosse lei arresa, questo nettare mai gli avrebbe succhiato dalle labbra; aspre parole e cipigli non debbono scoraggiar l’amante. Che importa quante spine abbia la rosa? La si coglie; fosse beltà serrata da venti chiavistelli65, irrompendo l’amore tutti li disserra. Con la pietà non può più trattenerlo66, e ora il piccolo caro implora che lo lasci andare. Ella ha deciso: con sé più non lo tiene, gli dice addio, e che abbia cura del cuore di lei perché, per l’arco di Cupido ella così protesta, nella gabbia del petto egli con sé lo porta via. ‘Dolce fanciullo’ dice ‘nel duolo trascinerò la notte ché il cuore infermo ordina agli occhi miei: Vegliate. Dimmi, padrone dell’amore, domani ci vedremo? Dimmelo: ci vedremo? Vuoi farne la promessa?’67 Di no egli però le dice, perché domani intende, con altri amici, dare la caccia al cinghiale. ‘Il cinghiale?’ disse lei; e il pallore, di colpo, come un velo che sia disteso su una rosa rossa, le usurpa le guance. Alla notizia trema e al collo gli getta, come un giogo, le braccia; ella, aggrappatagli al collo, s’abbatte ed egli le cade sul grembo, lei sulla schiena cade.
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Shakespeare IV.indb 2203
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VENUS AND ADONIS
Now is she in the very lists of love, Her champion mounted for the hot encounter. All is imaginary she doth prove. He will not manage her, although he mount her, That worse than Tantalus’ is her annoy, To clip Elysium, and to lack her joy.
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Even so poor birds, deceived with painted grapes. Do surfeit by the eye, and pine the maw; Even so she languisheth in her mishaps As those poor birds that helpless berries saw. The warm effects which she in him finds missing She seeks to kindle with continual kissing.
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But all in vain, good queen! It will not be. She hath assayed as much as may be proved; Her pleading hath deserved a greater fee: She’s Love; she loves; and yet she is not loved. ‘Fie, fie,’ he says, ‘you crush me. Let me go. You have no reason to withhold me so.’ ‘Thou hadst been gone,’ quoth she, ‘sweet boy, ere this, But that thou told’st me thou wouldst hunt the boar. O, be advised; thou know’st not what it is With javelin’s point a churlish swine to gore, Whose tushes, never sheathed, he whetteth still, Like to a mortal butcher, bent to kill. ‘On his bow-back he hath a battle set Of bristly pikes that ever threat his foes. His eyes like glow-worms shine; when he doth fret His snout digs sepulchres where’er he goes. Being moved, he strikes, whate’er is in his way, And whom he strikes his crooked tushes slay.
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Shakespeare IV.indb 2204
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VENERE E ADONE
Ora ella si trova nelle lizze d’amore, il suo campione è in sella, pronto al focoso incontro. Frutto di fantasia è ciò che ella sente. Seppur egli la monti, non la cavalcherà, e supera quella di Tantalo68 la sua pena: stringere Elisio69 e non averne gioia. È così che i miseri uccelli, ingannati da uva dipinta, saziano gli occhi e affamano il ventre; è così che ella, nella miseria sua, là langue, come quei miseri uccelli innanzi agli acini vacui70. I caldi stimoli che in lui non ritrova d’accendere ella cerca con baci, e baci. Ma tutto è vano; buona regina, non sarà come vuoi71. Quel che tentare si poteva, lei l’ha tentato; implorando non meritò una miglior mercede. Ella è amore, ella ama, ella amata non è. ‘Basta’ egli dice ‘mi schiacci. Lasciami andare; motivo non hai di trattenermi ancora’. Disse: ‘Saresti andato già, dolce fanciullo, se non m’avessi detto: Caccerò il cinghiale. Sta’ in guardia, tu non sai cosa vuol dire ferire con punta di lancia quel ruvido verro che sempre affi la le zanne e mai le rinfodera, come un beccaio pronto ad ammazzare. Sul dorso arcuato ha una schiera armata d’irsute picche, minaccia perenne ai suoi nemici; quando scalpita, come lucciole gli brillano gli occhi e col muso scava sepolcri ovunque vada; provocato, colpisce ciò che incontra sul cammino e chi esso colpisce, l’uccide con ritorte zanne72.
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Shakespeare IV.indb 2205
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VENUS AND ADONIS
‘His brawny sides with hairy bristles armed Are better proof than thy spear’s point can enter. His short thick neck cannot be easily harmed. Being ireful, on the lion he will venture. The thorny brambles and embracing bushes, As fearful of him, part; through whom he rushes.
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‘Alas, he naught esteems that face of thine, To which love’s eyes pays tributary gazes, Nor thy soft hands, sweet lips, and crystal eyne, Whose full perfection all the world amazes; But having thee at vantage — wondrous dread! — Would root these beauties as he roots the mead.
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‘O, let him keep his loathsome cabin still. Beauty hath naught to do with such foul fiends. Come not within his danger by thy will. They that thrive well take counsel of their friends. When thou didst name the boar, not to dissemble, I feared thy fortune, and my joints did tremble. ‘Didst thou not mark my face? Was it not white? Sawest thou not signs of fear lurk in mine eye? Grew I not faint, and fell I not downright? Within my bosom, whereon thou dost lie, My boding heart pants, beats, and takes no rest, But like an earthquake shakes thee on my breast. ‘For where love reigns, disturbing jealousy Doth call himself affection’s sentinel, Gives false alarms, suggesteth mutiny, And in a peaceful hour doth cry, “Kill, kill!”, Distemp’ring gentle love in his desire, As air and water do abate the fire.
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Shakespeare IV.indb 2206
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VENERE E ADONE
I fianchi nerboruti, armati di setole dure, sono più tenaci della punta della tua lancia; né ferire si può il suo breve e duro collo; contro il leone s’avventa quando è infuriato; quando vi passa attraverso, quasi ne avessero paura, s’aprono i rovi spinosi e i cespugli intricati. Un nulla, ahimè, esso stima il tuo volto, al quale Amore, con gli occhi, paga il tributo; e le tue mani delicate, le dolci labbra, gli occhi di cristallo, la cui perfezione incanta il mondo intero; e se esso t’avesse in suo potere (ahi, terrore immane!) devasterebbe le bellezze tue, come devasta i campi. Lascia che stia nella sua lercia tana: nulla ha a che fare la bellezza con demoni sì oscuri; non esporti, di tua volontà, al pericolo che è. Chi prospera accetta il consiglio degli amici. Quando il cinghiale nominasti, in verità lo dico, temetti per il tuo futuro e in ogni fibra tremai. Non notasti il mio volto, e com’esso era pallido? Non vedesti segni di paura affacciarmisi agli occhi? Non mi feci io debole? Non caddi forse a terra? Qui nel mio seno, qui dove tu giaci, il presago mio cuore ansima e batte e non ha requie e come un terremoto scuote te, qui, sul mio petto! Perché, là dove regna amore, l’ansia turbata chiama se stessa sentinella della passione; dà falsi allarmi, incita alla rivolta, e in un’ora di pace grida: Uccidi! Uccidi! E inquina il dolce desiderio d’amore, sì come l’aria e l’acqua estinguono il fuoco.
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Shakespeare IV.indb 2207
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VENUS AND ADONIS
This sour informer, this bate-breeding spy, This canker that eats up love’s tender spring, This carry-tale, dissentious jealousy, That sometime true news, sometime false doth bring, Knocks at my heart, and whispers in mine ear That if I love thee, I thy death should fear; ‘And, more than so, presenteth to mine eye The picture of an angry chafing boar, Under whose sharp fangs on his back doth lie An image like thyself, all stained with gore, Whose blood upon the fresh flowers being shed Doth make them droop with grief, and hang the head. ‘What should I do, seeing thee so indeed, That tremble at th’imagination? The thought of it doth make my faint heart bleed, And fear doth leach it divination. I prophesy thy death, my living sorrow, If thou encounter with the boar tomorrow. ‘But if thou needs wilt hunt, be ruled by me: Uncouple at the timorous flying hare, Or at the fox which lives by subtlety, Or at the roe which no encounter dare. Pursue these fearful creatures o’er the downs, And on thy well-breathed horse keep with thy hounds. ‘And when thou hast on fool the purblind hare, Mark the poor wretch, to overshoot his troubles, How he outruns the wind, and with what care He cranks and crosses with a thousand doubles. The many musits through the which he goes Are like a labyrinth to amaze his foes.
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Shakespeare IV.indb 2208
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VENERE E ADONE
Questo fosco delatore, questa spia che crea tumulto, questo verme che divora i germogli d’amore, quest’ansia maldicente che fomenta discordia, che reca nuove ora vere e ora false73, bussa al mio cuore e all’orecchio mi bisbiglia che, se io t’amo, paventare debbo la tua morte. E ancora e più agli occhi mi presenta l’effigie di un cinghiale scatenato e irato: sotto le acuminate zanne, sulla schiena giace un’immagine di te, oh sanguinosa, e il sangue che n’è sparso sui fiori rinati di duolo li fa piegare e, sì, chinare il capo74. Che mai farei, se così invero ti vedessi, io che già tremo a ciò che la mia mente finge? Al solo pensiero, sanguina il mio debole cuore e la paura gli dà il dono della profezia: la tua morte predico, pena alla mia vita, se tu domani incontrerai il cinghiale. Ma se proprio vuoi cacciare, ascolta ciò che dico: sguinzaglia i cani contro la lepre che timida fugge o contro la volpe che vive d’astuzia, o contro il cerbiatto, che non osa accostarsi. Queste pavide creature insegui tu per i colli e resta coi segugi, sul vivace cavallo75. E quando avrai stanato l’orba lepre, osserva come la sventurata, per far perdere le tracce, più del vento corre veloce, e con che cura attraversa e devia e prende mille vie, sì che i molti covi in cui si insinua pari sono a un labirinto per confondere i nemici.
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Shakespeare IV.indb 2209
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VENUS AND ADONIS
‘Sometime he runs among a flock of sheep To make the cunning hounds mistake their smell, And sometime where earth-delving comes keep, To stop the loud pursuers in their yell; And sometime sorteth with a herd of deer. Danger deviseth shifts; wit waits on fear. ‘For there his smell with others being mingled, The hot scent-snuffing hounds are driven lo doubt, Ceasing their clamorous cry till they have singled, With much ado, the cold faull cleanly out. Then do they spend their mouths. Echo replies, As if another chase were in the skies. ‘By this, poor Wat, far off upon a hill, Stands on his hinder legs with list’ning ear, To hearken if his foes pursue him still. Anon their loud alarums he doth hear, And now his grief may be comparèd well To one sore sick that hears the passing-bell. ‘Then shalt thou see the dew-bedabbled wretch Turn, and return, indenting with the way. Each envious brier his weary legs do scratch; Each shadow makes him stop, each murmur stay; For misery is trodden on by many, And, being low, never relieved by any. ‘Lie quietly, and hear a little more; Nay, do not struggle, for thou shalt not rise To make thee hale the hunting of the boar Unlike myself thou hear’st me moralize, Applying this to that, and so to so, For love can comment upon every woe.
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Shakespeare IV.indb 2210
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VENERE E ADONE
Corre talvolta tra un gregge di pecore, onde confondere l’olfatto ai cani astuti; talaltra là dove stanno i conigli che scavano la terra, onde fermare chi la segue alto latrando; a un branco di cervi essa poi s’unisce: il pericolo crea diversivi, l’astuzia accompagna la paura! Ché là il suo odore, ad altri mischiato, incerti rende gli affannati segugi che seguono la traccia, e cessa il loro clamore sinché, con sforzo grande, non ricolgono la traccia che avevano smarrito; grandi grida escono allora dalla bocca ed Eco76 risponde, quasi nel cielo fosse in corso un’altra caccia. La povera lepre, intanto, sta su un rialzo, ritta sulle zampe, con l’orecchio attento, a udire se il nemico ancora la insegue. E presto ancora ne ode gli alti gridi: e qui la pena sua ben si può comparare a quella d’un malato che oda i funebri rintocchi. Vedrai la sventurata, allora, di rugiada molle, volgersi di qua, di là, incerta su che via imboccare. Ogni rovo invidioso le graffia le zampe ora stanche, ogni ombra la ferma, ogni sussurra la blocca: poiché da molti è calpestato l’infelice e, quando cade in basso, sollievo non riceve. Giaci tranquillo e ascoltami, ancora: non ti dibattere: non ti lascio alzare! Per farti odiare la caccia al cinghiale, da me, contro la mia natura, udrai una morale77 e questo significherò con quello, sì, proprio così, perché ogni pena amore può commentare.
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Shakespeare IV.indb 2211
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VENUS AND ADONIS
‘Where did I leave?’ ‘No matter where,’ quoth he; ‘Leave me, and then the story aptly ends. The night is spent.’ ‘Why what of that?’ quoth she. ‘I am,’ quoth he, ‘expected of my friends, And now ’tis dark, and going I shall fall.’ ‘In night,’ quoth she, ‘desire sees best of all. ‘But if thou fall, O, then imagine this: The earth, in love with thee, thy fooling trips, And all is but to rob thee of a kiss. Rich preys make true men thieves; so do thy lips Make modest Dian cloudy and forlorn Lest she should steal a kiss, and die forsworn. ‘Now of this dark night I perceive the reason. Cynthia, for shame, obscures her silver shine Till forging nature be condemned of treason For stealing moulds from heaven, that were divine, Wherein she framed thee, in high heaven’s despite, To shame the sun by day and her by night ‘And therefore hath she bribed the destinies To cross the curious workmanship of nature, To mingle beauty with infirmities, And pure perfection with impure defeature, Making it subject to the tyranny Of mad mischances and much misery; ‘As burning fevers, agues pale and faint, Life-poisoning pestilence, and frenzies wood, The marrow-eating sickness whose attaint Disorder breeds by healing of the blood; Surfeits, impostumes, grief, and damned despair Swear nature’s death for framing thee so fair.
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Shakespeare IV.indb 2212
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VENERE E ADONE
Cosa dicevo?’ ‘Non importa’ disse lui, ‘lascia ch’io vada; la storia può finire qui. Trascorse già la notte’. ‘Che dici mai?’ diss’ella. Rispose: ‘M’attendono gli amici, ed è buio ormai; andando, inciamperò’. Disse: ‘Nella notte il desiderio ha vista acuta. Ma se cadrai, tu questo nella mente fingi: la terra, di te innamorata, ti crea un inciampo per null’altro che da te rubare un bacio78. Le ricche prede rendono ladri gli onesti; e le tue labbra affannano e disperano Diana modesta, che teme di rubarti un bacio e di morir spergiura79. Di questa notte oscura colgo ora la ragione: per vergogna offusca Cinzia80 l’argenteo suo lucore, in attesa che Natura, la falsaria, sia detta rea di tradimento, sì, per aver sottratto al cielo gli stampi divini coi quali, a dispetto dell’alto cielo, foggiò te, per umiliare il sole nel giorno, e lei nella notte. È per questo che essa81 ha corrotto i Fati perché funestino le opere perfette di Natura, e uniscano infermità alla bellezza e sfigurino, bruttandola, la pura perfezione, rendendola schiava di tiranniche, pazze sventure, di miserie e di malanni. Febbri ora ardenti e ora pallide, emaciate, pazze frenesie e pestilenze che avvelenano la vita, e la malattia che, intaccando il midollo, infetta e crea disordine surriscaldando il sangue; e poi eccessi e ascessi e pena e maledetta ambascia che a morte condannano Natura per averti creato così bello!
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Shakespeare IV.indb 2213
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VENUS AND ADONIS
‘And not the least of all these maladies But in one minute’s fight brings beauty under. Both favour, savour, hue, and qualities, Whereat th’impartial gazer late did wonder, Are on the sudden wasted, thawed, and done, As mountain snow melts with the midday sun. ‘Therefore, despite of fruitless chastity, Love-lacking vestals and self-loving nuns, That on the earth would breed a scarcity And barren dearth of daughters and of sons, Be prodigal. The lamp that burns by night Dries up his oil to lend the world his light. ‘What is thy body but a swallowing grave, Seeming to bury that posterity Which, by the rights of time, thou needs must have If thou destroy them not in dark obscurity? If so, the world will hold thee in disdain, Sith in thy pride so fair a hope is slain. ‘So in thyself thyself art made away, A mischief worse than civil, home-bred strife, Or theirs whose desperate hands themselves do slay, Or butcher sire that reaves his son of life. Foul cank’ring rust the hidden treasure frets, But gold that’s put to use more gold begets.’ ‘Nay, then,’ quoth Adon, ‘You will fall again Into your idle, over-handled theme. The kiss I gave you is bestowed in vain, And all in vain you strive against the stream; For, by this black-faced night, desire’s foul nurse, Your treatise makes me like you worse and worse.
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VENERE E ADONE
Basta l’infimo di questi malanni e la lotta d’un minuto abbatte la beltà; e l’avvenenza, la fragranza, il colore, la qualità, ciò che stupivano pur l’indifferente, sono d’un subito disfatti e in nulla disciolti, come sui monti si scioglie la neve al sole del meriggio. Quindi, sfidando la sterile castità, vestali cui l’amore manca, monache che amate solo voi stesse e sulla terra generate mancanza e arida penuria di figli e figlie, siate voi prodighe! Il lume che arde di notte consuma l’olio per dar luce al mondo. Che cosa è mai il tuo corpo se non una tomba che inghiotte, atta a seppellire la posterità che tu, per diritto del tempo, devi avere ma che tu annienti in una cieca oscurità? Se così farai, il mondo ti disdegnerà, ché per orgoglio uccidi una tal viva speranza82. In te stesso, così, tu annulli te stesso, crimine più malo d’una guerra civile in patria83 o di quello di chi s’uccide con mano disperata, o di padri assassini che privano i figli della vita. L’orrenda ruggine corrode i tesori nascosti, ma l’oro, quando è usato, genera nuovo oro’84. ‘Oh no’ Adone disse ‘vuoi riprendere il vacuo tema che già a lungo hai discusso? Invano fu dato allora il bacio che ti diedi, e invano t’affatichi contro la corrente: ché, per questa notte scura, balia cattiva della brama, da te sempre di più il tuo discorso m’allontana.
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Shakespeare IV.indb 2215
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VENUS AND ADONIS
‘If love have lent you twenty thousand tongues, And every tongue more moving than your own, Bewitching like the wanton mermaid’s songs, Yet from mine ear the tempting tune is blown; For know, my heart stands armèd in mine ear, And will not let a false sound enter there, ‘Lest the deceiving harmony should run Into the quiet closure of my breast, And then my little heart were quite undone, In his bedchamber to be barred of rest. No, lady, no. My heart longs not to groan, But soundly sleeps, while now it sleeps alone. ‘What have you urged that I cannot reprove? The path is smooth that leadeth on to danger. I hate not love, but your device in love, That lends embracements unto every stranger. You do it for increase — O strange excuse, When reason is the bawd to lust’s abuse! ‘Call it not love, for love to heaven is fled Since sweating lust on earth usurped his name, Under whose simple semblance he hath fed Upon fresh beauty, blotting it with blame; Which the hot tyrant stains, and soon bereaves, As caterpillars do the tender leaves. ‘Love comforteth, like sunshine after rain, But lust’s effect is tempest after sun. Love’s gentle spring doth always fresh remain; Lust’s winter comes ere summer half be done. Love surfeits not; lust like a glutton dies. Love is all truth, lust full of forgèd lies.
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VENERE E ADONE
Se amore ti avesse prestato ventimila lingue, e ogni lingua fosse più persuasiva della tua, fascinosa come i canti delle lascive sirene85, pure da me s’allontana l’armonia rapinosa, ché nell’orecchio mi sta armato il cuore e sbarra la via ad ogni falso suono, per timore che l’ingannevole armonia entri scorrendo nel chiostro quieto del mio petto; e il mio povero cuore sarebbe disfatto se impedito gli fosse il riposo nella camera ch’è sua. No, no, signora: gemere non desidera il mio cuore, il quale profondamente dorme, ora che dorme da solo. C’è forse un solo tuo invito ch’io possa non biasimare?86 Piano è il sentiero che mena al pericolo. Non odio l’amore, ma gli amorosi tuoi modi che donano a chiunque abbracciamenti. Lo fai per dare prole? Ah, ben bizzarra scusa se la ragione è la mezzana di lascivi abusi87. Non chiamarlo amore: amore al cielo s’è involato quando Lussuria sudata il nome ne usurpò qui, sulla terra, e si nutrì, sotto sembianza d’innocenza, di fresca beltà, che la tiranna macchia di vergogna e corrompe e deturpa, come fa il bruco con le tenere foglie. L’amore conforta come fa, dopo la pioggia, il sole, ma la lussuria porta tempesta dopo il sole88; la dolce fonte d’amore fresca si mantiene, sempre, ma l’inverno della lussuria precede la fine dell’estate; Amore non sazia89, Lussuria muore ingozzandosi; Amore è verità, Lussuria è fatta di foggiate menzogne90.
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Shakespeare IV.indb 2217
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VENUS AND ADONIS
‘More I could tell, but more I dare not say; The text is old, the orator too green. Therefore in sadness now I will away; My face is full of shame, my heart of teen. Mine ears that to your wanton talk attended Do burn themselves for having so offended.’ With this he breaketh from the sweet embrace Of those fair arms which bound him to her breast, And homeward through the dark laund runs apace, Leaves love upon her back, deeply distressed. Look how a bright star shooteth from the sky, So glides he in the night from Venus’ eye, Which after him she darts, as one on shore Gazing upon a late-embarkèd friend Till the wild waves will have him seen no more, Whose ridges with the meeting clouds contend. So did the merciless and pitchy night Fold in the object that did feed her sight. Whereat amazed, as one that unaware Hath dropped a precious jewel in the flood, Or stonished, as night wand’rers often are, Their light blown out in some mistrustful wood: Even so, confounded in the dark she lay, Having lost the fair discovery of her way. And now she beats her heart, whereat it groans, That all the neighbour caves, as seeming troubled, Make verbal repetition of her moans; Passion on passion deeply is redoubled. ‘Ay me,’ she cries, and twenty times ‘Woe, woe!’ And twenty echoes twenty times cry so.
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Shakespeare IV.indb 2218
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VENERE E ADONE
Potrei dire di più, ma di più non oso; il tema è stantio, inesperto è l’oratore91; con spirito grave ora io me ne vado. Di vergogna ho tinto il viso92, di duolo il cuore, gli orecchi che hanno ascoltato le tue lascive parole bruciano per l’errore che hanno commesso’. Disse; e si sciolse dal soave abbraccio di quelle belle braccia che al petto lo serravano e lesto corre verso casa, per la landa bruna, nell’ambascia lasciando lei, che là rigiace. Sì come stella luminosa sfreccia nel cielo93, via, nella notte, egli dagli sguardi di Venere si allontana, ch’ella verso di lui dardeggia, come colui che dalla riva segue l’amico da poco imbarcato, sino a che alla vista lo sottrae l’onda selvaggia, le cui creste combattono con le nubi che si adunano; così, quella notte buia, quella notte spietata, ravvolse in sé colui che la vista le aveva nutrito. Al che, stordita come un uomo cui di mano sia sfuggita nel rivo una gemma preziosa, o attonita come i viandanti notturni il cui lume si spegne in un bosco infido, confusa così nel buio ella rigiace, avendo smarrito il bel lume che le indicava la via. E ora si batte il petto e questo ne geme sì che le circostanti caverne, quasi fossero turbate, verbo a verbo di lei ripetono il lamento94: raddoppia la passione che a passione s’aggiunge. ‘Ahimè’ grida; e venti volte: ‘Io soffro!’ E venti echi venti volte così rigridano.
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Shakespeare IV.indb 2219
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VENUS AND ADONIS
She, marking them, begins a wailing note, And sings extemporally a woeful ditty, How love makes young men thrall, and old men dote, How love is wise in folly, foolish-witty. Her heavy anthem still concludes in woe, And still the choir of echoes answer so. Her song was tedious, and outwore the night; For lovers’ hours are long, though seeming short. If pleased themselves, others, they think, delight In such-like circumstance, with such-like sport. Their copious stories oftentimes begun End without audience, and are never done. For who hath she to spend the night withal But idle sounds resembling parasites, Like shrill-tongued tapsters answering every call, Soothing the humour of fantastic wits? She says ‘’Tis so’; they answer all ‘’Tis so’, And would say after her, if she said ‘No’. Lo, here the gentle lark, weary of rest, From his moist cabinet mounts up on high And wakes the morning, from whose silver breast The sun ariseth in his majesty, Who doth the world so gloriously behold That cedar tops and hills seem burnished gold. Venus salutes him with this fair good-morrow: ‘O thou clear god, and patron of all light, From whom each lamp and shining star doth borrow The beauteous influence that makes him bright: There lives a son that sucked an earthly mother May lend thee light, as thou dost lend to other.’
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Shakespeare IV.indb 2220
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VENERE E ADONE
Udendoli, ella dà inizio a melodia che è di lagno e là improvvisa un canto di dolore: di come amore sia schiavitù ai giovani, delirio ai vecchi; di come amore è saggio e pazzo, e pazzamente arguto. Sempre quel grave canto95 si conclude in pianto e il coro degli echi sempre a lei risponde. Continuo fu il canto suo, e consumò la notte, ché sono lunghe, pur parendo brevi, le ore degli amanti. Pensano, quando sono felici, che anche gli altri si beino di udire le loro storie, le loro gioie; ma i loro elaborati racconti, una volta iniziati, finiscono senza pubblico, e restano incompiuti96. Con chi altri può trascorrere ella la notte se non con suoni inani, servili parassiti, come osti dalla voce acuta che rispondono ai clienti blandendo l’umore di allegri giovanotti? Lei dice: ‘Così è’. Ed essi ridicono: ‘Così è’ e ‘No’ direbbero s’ella dicesse: ‘No’. Ma ecco che l’allodola gentile, stanca del riposo, lascia il rugiadoso nido e, alto levandosi, ridesta il mattino, dal cui petto d’argento risorge il sole in tutto il suo splendore; esso osserva il mondo con tale fulgore che rivestiti d’oro paiono cedri e colli. Con un lieto buongiorno Venere lo saluta: ‘Oh luminoso nume, signore d’ogni luce, dal quale ogni lume e stella che brilla trae il benefico influsso che dà loro luce, qui vive un figlio allattato da madre terrena97: e luce egli può darti, come agli altri tu la doni’.
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Shakespeare IV.indb 2221
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VENUS AND ADONIS
This said, she hasteth to a myrtle grove, Musing the morning is so much o’erworn And yet she hears no tidings of her love. She hearkens for his hounds, and for his horn. Anon she hears them chant it lustily, And all in haste she coasteth to the cry. And as she runs, the bushes in the way Some catch her by the neck, some kiss her face, Some twine about her thigh to make her stay. She wildly breaketh from their strict embrace, Like a milch doe whose swelling dugs do ache, Hasting to feed her fawn hid in some brake. By this she hears the hounds are at a bay, Whereat she starts, like one that spies an adder Wreathed up in fatal folds just in his way, The fear whereof doth make him shake and shudder; Even so the timorous yelping of the hounds Appals her senses, and her spirit confounds. For now she knows it is no gentle chase, But the blunt boar, rough bear, or lion proud, Because the cry remaineth in one place, Where fearfully the dogs exclaim aloud. Finding their enemy to be so curst, They all strain court’sy who shall cope him first. This dismal cry rings sadly in her ear, Through which it enters to surprise her heart, Who, overcome by doubt and bloodless fear, With cold-pale weakness numbs each feeling part; Like soldiers when their captain once doth yield, They basely fly, and dare not stay the field.
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Disse; e a un boschetto di mirti98 ella s’affretta, pensando che avanzato è già il mattino ed ella notizie non ha di lui che ama; tende l’orecchio: i suoi segugi? Il corno? Ecco: ne ode presto il vivace latrare e in tutta fretta a quel clamore si accosta. E mentre corre, i cespugli che incontra le si abbrancano al collo, le baciano la faccia, le s’aggrappano alle cosce per farla restare99. Ella, impaziente, si districa da quello stretto abbraccio, come una cerva dalle mammelle doloranti e gonfie, ansiosa di nutrire il piccolo che in fratte si nasconde100. Ecco che ode i cani abbaiare furiosi e fermi ed ella trasale come colui che innanzi a sé vede una serpe ravvolta nelle spire sue, fatali, e per paura rabbrividisce e trema. Il latrare dei segugi, pauroso, similmente le strazia i sensi e la mente le confonde. E ora sa che nobile non è quella cacciata preda: è il rude cinghiale o l’orso crudo o l’altero leone101, perché fermo rimane in un sol luogo l’abbaiare, là dove con paura a voce alta latrano i cani; tanto è feroce il nemico che ognuno, cortese, a un altro lascia l’onore di attaccar per primo. Quel grido fatale cupo le rimbomba nell’orecchio, e v’entra poi e le sorprende il cuore che, sopraffatto da dubbi e da paura che raggela, con pallida fralezza ottunde ogni sua fibra, come soldati che, quando s’arrende il capitano, fuggono vili e sul campo non osano restare.
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Thus stands she in a trembling ecstasy, Till, cheering up her senses all dismayed, She tells them ’tis a causeless fantasy And childish error that they are afraid; Bids them leave quaking, bids them fear no more; And with that word she spied the hunted boar,
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Whose frothy mouth, bepainted all with red, Like milk and blood being mingled both together, A second fear through all her sinews spread, Which madly hurries her, she knows not whither. This way she runs, and now she will no further, But back retires to rate the boar for murder.
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A thousand spleens bear her a thousand ways. She treads the path that she untreads again. Her more than haste is mated with delays, Like the proceedings of a drunken brain, Full of respects, yet naught at all respecting; In hand with all things, naught at all effecting. Here kennelled in a brake she finds a hound, And asks the weary caitiff for his master; And there another licking of his wound, ’Gainst venomed sores the only sovereign plaster. And here she meets another, sadly scowling, To whom she speaks; and he replies with howling. When he hath ceased his ill-resounding noise, Another flap-mouthed mourner, black and grim, Against the welkin volleys out his voice. Another, and another, answer him, Clapping their proud tails to the ground below, Shaking their scratched ears, bleeding as they go.
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Ella così rimane, in tremebondo stupore, sino a che, scuotendo gli sgomentati sensi, dice loro: ‘Non è che vana fantasia: v’atterrite per l’errore d’un bambino!’ Ordina che cessino il tremore, che non temano più; e mentre così dice, scorse il cinghiale cacciato, la cui bocca bavosa, macchiata di rosso, come latte e sangue mescolati insieme, un secondo spavento le diffonde in corpo e le intima d’affrettarsi, neppure lei sa dove. Da questa parte corre, poi più non s’avanza e torna indietro per accusare il cinghiale d’omicidio. Mille sensi diversi per mille vie la menano. Percorre un sentiero, all’inverso lo percorre. Ha fretta, fretta, ma s’indugia e s’arresta, come cammina un uomo ottenebrato dal vino, che muove gli occhi ovunque e nulla vede, che tutto far vorrebbe e non conclude nulla. Qui, riparato da un cespuglio, trova un segugio e all’infelice chiede dove sia il padrone; eccone un altro, là, che si lecca le ferite, cura sovrana e rara per i tagli infetti, e qui ne incontra un altro, che mesto guaisce: ella gli parla, lui con guaiti risponde. Quand’esso cessa il lamentoso grido, un altro, cupo e nero, in lutto, con pendulo labbro, contro il cielo scaglia la sua voce; un altro gli risponde, e un altro, e ognuno abbatte a terra la coda superba e scuote gli orecchi graffiati, e sanguinando va.
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VENUS AND ADONIS
Look how the world’s poor people are amazed At apparitions, signs, and prodigies, Whereon with fearful eyes they long have gazed, Infusing them with dreadful prophecies: So she at these sad signs draws up her breath, And, sighing it again, exclaims on death. ‘Hard-favoured tyrant, ugly, meagre, lean, Hateful divorce of love’ — thus chides she death; ‘Grim-grinning ghost, earth’s worm: what dost thou mean To stifle beauty, and to steal his breath Who, when he lived, his breath and beauty set Gloss on the rose, smell to the violet? ‘If he be dead — O no, it cannot be, Seeing his beauty, thou shouldst strike at it. O yes, it may; thou hast no eyes to see, But hatefully, at random dost thou hit. Thy mark is feeble age; but thy false dart Mistakes that aim, and cleaves an infant’s heart. ‘Hadst thou but bid beware, then he had spoke, And, hearing him, thy power had lost his power. The destinies will curse thee for this stroke. They bid thee crop a weed; thou pluck’st a flower. Love’s golden arrow at him should have fled, And not death’s ebon dart to strike him dead. ‘Dost thou drink tears, that thou provok’st such weeping? What may a heavy groan advantage thee? Why hast thou cast into eternal sleeping Those eyes that taught all other eyes to see? Now nature cares not for thy mortal vigour, Since her best work is ruined with thy rigour.’
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Come i poveri abitatori del mondo sono atterriti da segni e prodigi e apparizioni che a lungo hanno fissato con occhi di terrore, leggendo in essi infauste profezie: così, a questi tristi segni, ella trattiene il fiato e, sospirando poi, contro Morte inveisce102: ‘Tiranna malcreata, scarna magra e deforme, tu, odiosa, dissolvi l’amore’ così ella rampogna Morte. ‘Spettro che ghigni truce, verme della terra, a che tu mai soffochi la bellezza e a lui rubi il respiro? A lui che, quand’era vivo, con bellezza e respiro alla rosa dava colore, profumo alla viola!103 Se egli è morto… No, essere non può, non può! Vedendone la beltà, non lo avresti colpito! E invece sì, perché non hai occhi per vedere104 e a caso, sì, odiosamente, tu colpisci. Alla vecchiezza miri ma il dardo tuo fallace manca il bersaglio e spacca il cuore d’un bambino. Se tu gli avessi detto: ‘Attento!’, egli avrebbe parlato e, udendolo, il tuo potere avrebbe perso ogni potere. Per questa morte i Fati105 ti malediranno: ti dissero di tagliare un’erba mala e tu cogliesti un fiore. A lui era destinata la freccia d’oro dell’amore106, non l’eburneo dardo della morte, che l’ha ucciso. T’abbeveri di lacrime, tu che così causi il pianto? Che vantaggio ti porta un gravoso lamento? Perché hai gettato in un perpetuo sonno quegli occhi che a ogni occhio insegnavano a vedere?107 Ora Natura più non si cura della tua forza mortale, ché il tuo rigore ne ha disfatto l’opera più alta’.
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Here overcome, as one full of despair, She vailed her eyelids, who like sluices stopped The crystal tide that from her two cheeks fair In the sweet channel of her bosom dropped. But through the flood-gates breaks the silver rain, And with his strong course opens them again. O, how her eyes and tears did lend and borrow! Her eye seen in the tears, tears in her eye, Both crystals, where they viewed each other’s sorrow: Sorrow, that friendly sighs sought still to dry, But, like a stormy day, now wind, now rain, Sighs dry her cheeks, tears make them wet again. Variable passions throng her constant woe, As striving who should best become her grief. All entertained, each passion labours so That every present sorrow seemeth chief, But none is best. Then join they all together, Like many clouds consulting for foul weather. By this, far off she hears some huntsman hollo; A nurse’s song ne’er pleased her babe so well. The dire imagination she did follow This sound of hope doth labour to expel; For now reviving joy bids her rejoice And flatters her it is Adonis’ voice. Whereat her tears began to turn their tide, Being prisoned in her eye like pearls in glass; Yet sometimes falls an orient drop beside, Which her cheek melts, as scorning it should pass To wash the foul face of the sluttish ground, Who is but drunken when she seemeth drowned.
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Qui, sopraffatta come un uomo che di tutto disperi, le palpebre abbassò; e queste, quali chiuse, bloccarono il rivo di cristallo che lungo le sue belle guance gocciava nel dolce canale del suo seno; ma tra le chiuse irrompe l’argentea pioggia e col suo corso violento le spalanca ancora. Occhi e lacrime, oh come insieme prestano e ricevono! Nelle lacrime sé vedono gli occhi, sé le lacrime negli occhi, specchi che riflettono la pena gli uni delle altre, la pena che fraterni sospiri di rasciugare tentavano; ma come un giorno di burrasca, con pioggia, con vento, se i sospiri asciugano le guance, di nuovo le lacrime le irrorano. Variate passioni s’accalcano alla tenace pena, quasi a contesa di quale al duolo meglio s’addica. Assecondate tutte, ogni passione tanto s’affatica che ogni pena presente pare la maggiore; ma non essendo alcuna la più adatta, assieme s’uniscono, come tante nuvole che architettano il maltempo. Ma ecco che sente, lontano, il grido lieto d’un cacciatore: oh, mai un bambino amò di più il canto della balia! Le fantasie tremende ch’ella aveva inseguito quel suono di speranza ora disperde a forza; e la gioia che ridà la vita nuova gioia le infonde, e l’illude che sia d’Adone quella voce. Prende allora a ritrarsi la marea delle lacrime, prigioniere degli occhi come perle nel vetro; cade, a tratti, una goccia color dell’oriente, ma la discioglie la guancia, a sdegno che scorra a lavar la faccia sporca della terra impudica, la quale ne è ebbra soltanto, mentre ella vi affoga.
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O hard-believing love — how strange it seems Not to believe, and yet too credulous! Thy weal and woe are both of them extremes. Despair, and hope, makes thee ridiculous. The one doth flatter thee in thoughts unlikely; In likely thoughts the other kills thee quickly.
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Now she unweaves the web that she hath wrought. Adonis lives, and death is not to blame. It was not she that called him all to naught. Now she adds honours to his hateful name. She clepes him king of graves, and grave for kings, Imperious supreme of all mortal things.
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‘No, no,’ quoth she, ‘sweet death, I did but jest. Yet pardon me, I felt a kind of fear Whenas I met the boar, that bloody beast, Which knows no pity, but is still severe. Then, gentle shadow — truth I must confess — I railed on thee, fearing my love’s decease. ‘’Tis not my fault; the boar provoked my tongue. Be wreaked on him, invisible commander. ’Tis he, foul creature, that hath done thee wrong. I did but act; he’s author of thy slander. Grief hath two tongues, and never woman yet Could rule them both, without ten women’s wit.’ Thus, hoping that Adonis is alive, Her rash suspect she doth extenuate, And, that his beauty may the better thrive, With death she humbly doth insinuate; Tells him of trophies, statues, tombs; and stories His victories, his triumphs, and his glories.
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Amore, che a fatica credi, quanto par strano essere insieme credulo ed incredulo! Estremi tuoi sono la gioia e il tormento, speranza e disperanza ridicolo ti fanno, ché l’una ti seduce con pensieri irreali, con reali pensieri l’altra ratta t’uccide. E ora ella distesse l’intessuta tela: è vivo Adone, non è da biasimare Morte, no: non era lei che tanto ella insultava. Ora ella eleva onori a quell’odiato nome: regina delle tombe la chiama, e tomba per i re, dominatrice suprema d’ogni essere mortale. ‘No’ disse ‘no: Morte gentile, io scherzavo, e tu porgi il perdono; perché ebbi paura quando incontrai il cinghiale, sanguinoso animale, che, inesorabile, non conosce pietà. Allora, oh dolce ombra (sincera lo confesso) temendo morto l’amor mio, io contro te parlai. Non mia è però la colpa: mi provocò il cinghiale. Su lui scatena la vendetta, invisibile sovrana. È lui, immonda creatura, che ti ha fatto oltraggio. Io fui solo la voce, lui della calunnia fu l’autore. Il dolore ha due lingue e, senza il senno di dieci, mai donna governarle poté entrambe’. Così, sperando che ancora viva Adone, l’avventato timore vuole giustificare; e, perché più splenda la beltà di lui, con umiltà prende a blandire Morte. E le dice di trofei, di statue, di tombe; le narra le vittorie sue, le glorie ed i trionfi.
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VENUS AND ADONIS
‘O Jove,’ quoth she, ‘how much a fool was I To be of such a weak and silly mind To wail his death who lives, and must not die Till mutual overthrow of mortal kind! For he being dead, with him is beauty slain, And beauty dead, black chaos comes again. ‘Fie, fie, fond love, thou art as full of fear As one with treasure laden, hemmed with thieves. Trifles unwitnessèd with eye or ear Thy coward heart with false bethinking grieves.’ Even at this word she hears a merry horn, Whereat she leaps, that was but late forlorn. As falcons to the lure, away she flies. The grass stoops not, she treads on it so light; And in her haste unfortunately spies The foul boar’s conquest on her fair delight; Which seen, her eyes, as murdered with the view, Like stars ashamed of day, themselves withdrew. Or as the snail, whose tender horns being hit Shrinks backward in his shelly cave with pain, And there, all smothered up, in shade doth sit, Long after fearing to creep forth again; So at his bloody view her eyes are fled Into the deep dark cabins of her head, Where they resign their office and their light To the disposing of her troubled brain, Who bids them still consort with ugly night, And never wound the heart with looks again, Who, like a king perplexèd in his throne, By their suggestion gives a deadly groan,
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Disse: ‘Oh Giove, non fui io pazza, debole e ingenua, quando lamentai la morte di colui che vive e non morrà se non quando si sfaccia ogni vivente? Ché, morto lui, morta è la bellezza e, se bellezza muore, il nero caos ripiomba. Vergognati, sciocco amore, sei pieno di timori, come un uomo carico di tesori e circondato dai ladri. Sciocchezze non viste e non udite ti fanno dolere il cuore codardo con false fantasie’. E ode, mentre parla, un corno allegro e di gioia sobbalza, lei che era derelitta. Come un falco richiamato dall’esca, ella va, vola, l’erba non piega tanto lieve ha il passo ma mentre corre, la sciagura ahi vede: l’orrido cinghiale ha vinto lui che le è delizia! Vede; e gli occhi suoi, da quella vista uccisi, si ritraggono quali stelle che, di giorno, provano vergogna, o come la chiocciola che, se le toccano le antenne, con pena si ritrae nel guscio che a lei è rifugio e, là rinchiusa, rimane nell’ombra, a lungo, paurosa di mostrarsi di nuovo. E gli occhi suoi, vedendo lui nel sangue, fuggono così, nei cupi e profondi incavi del capo, e là dismettono mansione e luce, e le cedono al controllo del cervello108 che, turbato, ordina loro d’allearsi con la brutta notte e di non più ferire, guardando, il cuore109; il quale, come un re confuso sul suo trono, per quella rivolta dà un gemito di morte;
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Whereat each tributary subject quakes, As when the wind, imprisoned in the ground, Struggling for passage, earth’s foundation shakes, Which with cold terror doth men’s minds confound. This mutiny each part doth so surprise That from their dark beds once more leap her eyes,
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And, being opened, threw unwilling light Upon the wide wound that the boar had trenched In his soft flank, whose wonted lily-white With purple tears that his wound wept was drenched. No flower was nigh, no grass, herb, leaf, or weed, But stole his blood, and seemed with him to bleed.
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This solemn sympathy poor Venus noteth. Over one shoulder doth she hang her head. Dumbly she passions, franticly she doteth. She thinks he could not die, he is not dead. Her voice is stopped, her joints forget to bow, Her eyes are mad that they have wept till now.
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Upon his hurt she looks so steadfastly That her sight, dazzling, makes the wound seem three; And then she reprehends her mangling eye, That makes more gashes where no breach should be. His face seems twain; each several limb is doubled; For oft the eye mistakes, the brain being troubled. ‘My tongue cannot express my grief for one, And yet,’ quoth she, ‘behold two Adons dead! My sighs are blown away, my salt tears gone, Mine eyes are turned to fire, my heart to lead. Heavy heart’s lead, melt at mine eyes’ red fire! So shall I die by drops of hot desire.
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trema allora ogni suddito legato all’ubbidienza, sì come quando il vento, prigioniero della terra, si sforza di uscirne ed in profondità la scuote110, facendo tremare di freddo orrore agli uomini la mente. Questa ribellione tanto ogni organo sorprende che dai loro letti bui di nuovo escono gli occhi e, una volta aperti, gettano una luce restia sull’ampia ferita che, nel molle fianco, il cinghiale aperse: bagnato n’era l’usato biancore di giglio dalle rosse lacrime che la ferita pianse. E ogni fiore, ogni erba e pianta e foglia suo faceva quel sangue e con esso piangere pareva. Quest’affinità111 solenne la misera Venere nota. Sopra una spalla reclina il capo. Mutamente si strazia; follemente delira. Pensa: non poteva morire; no, non è morto! Bloccata è la voce, non si flettono le giunture, furiosi sono gli occhi d’aver già pianto d’altro pianto112. Con tanta fissità fissa ella la ferita che la vista, offuscata, vede tre ferite. E allora sgrida l’occhio che così la strazia perché più squarci vede dove non breccia essere dovrebbe. Doppio le appare il volto di lui, doppie le sue membra, ché spesso l’occhio s’inganna se la mente è turbata. ‘Non può la lingua mia dire il dolore per un solo Adone’ disse ‘ma due morti Adoni io vedo qui! Tutti sono esalati i sospiri, seccate le mie lacrime salse; mutati in fuoco sono gli occhi, in piombo il cuore. Al fuoco degli occhi si sciolga il piombo del cuore: morrò così, mentre giù goccia il desiderio ardente.
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VENUS AND ADONIS
‘Alas, poor world, what treasure hast thou lost, What face remains alive that’s worth the viewing? Whose tongue is music now? What canst thou boast Of things long since, or anything ensuing? The flowers are sweet, their colours fresh and trim; But true sweet beauty lived and died with him. ‘Bonnet nor veil henceforth no creature wear: Nor sun nor wind will ever strive to kiss you. Having no fair to lose, you need not fear. The sun doth scorn you, and the wind doth hiss you. But when Adonis lived, sun and sharp air Lurked like two thieves to rob him of his fair; ‘And therefore would he put his bonnet on, Under whose brim the gaudy sun would peep. The wind would blow it off, and, being gone, Play with his locks; then would Adonis weep, And straight, in pity of his tender years, They both would strive who first should dry his tears. ‘To see his face the lion walked along Behind some hedge, because he would not fear him. To recreate himself when he hath sung, The tiger would be tame, and gently hear him. If he had spoke, the wolf would leave his prey, And never fright the silly lamb that day. ‘When he beheld his shadow in the brook, The fishes spread on it their golden gills. When he was by, the birds such pleasure took That some would sing, some other in their bills Would bring him mulberries and ripe-red cherries. He fed them with his sight, they him with berries.
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Ahi, povero mondo, qual mai tesoro hai perso? Qual volto resta vivo che uno sguardo valga? Qual voce adesso è musica? Potrai tu mai vantare antiche, passate cose o cose che verranno? Dolci sono i fiori, sì, belli e freschi i loro colori, ma la vera, soave beltà visse con lui, e con lui morì. Non indossate più, no, berretto o velo, perché sole o vento mai cercheranno di baciarvi; non avendo più beltà da perdere, nulla più temete: il sole vi sprezza e vi deride il vento sibilando; ma quand’era vivo Adone, il sole e l’aspra aria per rubargli la beltà erano ladri in agguato. Ecco perché sempre portava un berretto sotto la cui tesa sbirciava il sole lucente; voleva strapparglielo il vento e, toltolo, giocare coi suoi ricci. Piangeva allora Adone e d’un subito, pietosi dei suoi teneri anni, facevano a gara i due a rasciugargli le lacrime. Per vederne il volto, piano camminava il leone dietro le siepi, per non spaventarlo; quando, per divagarsi, egli cantava, doma restava la tigre e placida l’ascoltava. Se parlava, il lupo lasciava la preda né più atterriva, quel giorno, il mite agnello113. Quando l’ombra di sé guardava nel ruscello, l’indoravano i pesci con le loro scaglie; quando vagava, lieti ne erano gli uccelli, sì che alcuni cantavano, altri col becco gli portavano more e rosse ciliegie mature: egli li nutriva con l’aspetto, lui, essi, con bacche.
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VENUS AND ADONIS
‘But this foul, grim, and urchin-snouted boar, Whose downward eye still looketh for a grave, Ne’er saw the beauteous livery that he wore: Witness the entertainment that he gave: If he did see his face, why then, I know He thought to kiss him, and hath killed him so. ‘’Tis true, ’tis true; thus was Adonis slain; He ran upon the boar with his sharp spear, Who did not whet his teeth at him again, But by a kiss thought to persuade him there, And, nuzzling in his flank, the loving swine Sheathed unaware the tusk in his soft groin. ‘Had I been toothed like him, I must confess With kissing him I should have killed him first; But he is dead, and never did he bless My youth with his, the more am I accursed.’ With this she falleth in the place she stood, And stains her face with his congealèd blood. She looks upon his lips, and they are pale. She takes him by the hand, and that is cold. She whispers in his ears a heavy tale, As if they heard the woeful words she told. She lifts the coffer-lids that close his eyes, Where lo, two lamps burnt out in darkness lies; Two glasses, where herself herself beheld A thousand times, and now no more reflect, Their virtue lost, wherein they late excelled, And every beauty robbed of his effect. ‘Wonder of time,’ quoth she, ‘this is my spite, That, thou being dead, the day should yet be light.
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Ma quest’osceno, feroce cinghiale dal muso di riccio, il cui sguardo chino è sempre in cerca di una fossa114, non vide lo splendore che lo rivestiva: testimone ne sia il modo in cui lo ha trattato! E se ne vide il volto, ah sono sicura che baciarlo voleva! E col bacio lo ha ucciso115. È vero, è vero, così fu ucciso Adone: con la lancia aguzza egli si avventò al cinghiale e questi non rispose su di lui affilandosi i denti, ma con un bacio volle a sé tenerlo; ma mentre s’appoggiava al fianco suo, l’innamorata bestia, sbadatamente, il lombo molle penetrò col dente. Avessi io avuto denti come i suoi, oh, qui lo dico, baciandolo lo avrei io prima ucciso. Ma egli è morto e con sua gioventù la mia mai egli benedisse. Maledizione a me maggiore!’ Disse; e nel luogo ove ristava cadde e col sangue di lui, ormai rappreso, si sporca il viso. Guarda le labbra sue: esse sono smorte; la mano gli prende ed essa è fredda; negli orecchi gli sussurra un’aspra storia, come se udir potessero le dolenti sue parole. Solleva le palpebre che gli celano gli occhi e là nel buio giacciono, ahi, due consumati lumi. Specchi ove sé ella riguardò, oh, mille volte; ma essi non riflettono oramai più nulla; svanita è la virtù che in loro era sublime, ogni efficacia è tolta alla beltà. Disse: ‘Portento del tempo, questo è il mio affanno: che, con te morto, abbia il giorno ancora la sua luce.
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VENUS AND ADONIS
‘Since thou art dead, lo, here I prophesy Sorrow on love hereafter shall attend. It shall be waited on with jealousy, Find sweet beginning, but unsavoury end; Ne’er settled equally, but high or low, That all love’s pleasure shall not match his woe.
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‘It shall be fickle, false, and full of fraud, Bud, and be blasted, in a breathing-while: The bottom poison, and the top o’erstrawed With sweets that shall the truest sight beguile. The strongest body shall it make most weak, Strike the wise dumb, and teach the fool to speak.
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‘It shall be sparing, and too full of riot, Teaching decrepit age to tread the measures. The staring ruffian shall it keep in quiet, Pluck down the rich, enrich the poor with treasures; It shall be raging-mad, and silly-mild; Make the young old, the old become a child. ‘It shall suspect where is no cause of fear; It shall not fear where it should most mistrust. It shall be merciful, and too severe, And most deceiving when it seems most just. Perverse it shall be where it shows most toward, Put fear to valour, courage to the coward. ‘It shall be cause of war and dire events, And set dissension ’twixt the son and sire; Subject and servile to all discontents, As dry combustious matter is to fire. Sith in his prime death doth my love destroy, They that love best their loves shall not enjoy.’
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VENERE E ADONE
E, poiché tu sei morto, questo io profetizzo: pena di poi ad amore sempre si unirà. Ad esso gelosia sarà compagna; un dolce inizio avrà, e fine asperrima. Mal corrisposto, ora fiacco, ora intenso, mai in amore il piacere eguaglierà la pena. Instabile sarà, falso, pieno d’inganno, sbocciato e in un istante già avvizzito; di veleno il fondo ne sarà, cosparsa la cima di dolcezza, sì da ingannare la vista pur acuta. Debole farà il corpo anche più forte, muti i saggi farà, darà lingua agli sciocchi. Parco sarà e insieme dedito ai bagordi, e ai decrepiti insegnerà l’arte del ballo. Il furfante impudente ridurrà al silenzio, i ricchi umilierà, di tesori i poveri arricchirà. Sarà pazzo furioso, e calmo e mite; vecchi renderà i giovani, bambini i vecchi. Sospetterà dove non nulla è da temersi116, là dove diffidar si dovrebbe non temerà; sarà pietoso e poi sarà spietato e più ingannerà dove parrà più retto. Sarà testardo quando arrendevole si mostra, darà paura al valoroso, coraggio al codardo. Sarà causa di guerre e di tremendi eventi, porrà inimicizia tra il figlio e il padre; sarà soggetto e servo a ogni malcontento, sì come al fuoco è esca la materia secca. Poiché morte l’amor mio giovane disfece, chi più ama non godrà colui che ama’.
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VENUS AND ADONIS
By this, the boy that by her side lay killed Was melted like a vapour from her sight, And in his blood that on the ground lay spilled A purple flower sprung up, chequered with white, Resembling well his pale cheeks, and the blood Which in round drops upon their whiteness stood. She bows her head the new-sprung flower to smell, Comparing it to her Adonis’ breath, And says within her bosom it shall dwell, Since he himself is reft from her by death. She crops the stalk, and in the breach appears Green-dropping sap, which she compares to tears. ‘Poor flower,’ quoth she, ‘this was thy father’s guise — Sweet issue of a more sweet-smelling sire — For every little grief to wet his eyes. To grow unto himself was his desire, And so ’tis thine; but know it is as good To wither in my breast as in his blood. ‘Here was thy father’s bed, here in my breast. Thou art the next of blood, and ’tis thy right. Lo, in this hollow cradle take thy rest; My throbbing heart shall rock thee day and night. There shall not be one minute in an hour Wherein I will not kiss my sweet love’s flower.’ Thus, weary of the world, away she hies, And yokes her silver doves, by whose swift aid Their mistress, mounted, through the empty skies In her light chariot quickly is conveyed, Holding their course to Paphos, where their queen Means to immure herself, and not be seen.
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VENERE E ADONE
Disse; e il fanciullo che morto le giaceva accanto dinanzi agli occhi suoi si sciolse come un fumo, e dal suo sangue, sulla terra là versato, un fiore nacque, purpureo117, di bianco screziato, che ricordava le sue smorte gote e il sangue che quel biancore imperlava di rotonde gocce118. China ella il capo, odora quel fiore sbocciato, all’alito del suo Adone lo compara e dice che nel petto esso le vivrà, poi ch’egli a lei dalla morte ora è strappato. Ne spezza il gambo e dalla ferita goccia una linfa verde ch’ella compara a pianto. ‘Povero fiore’ disse ‘tu sei pari a tuo padre, oh dolce figlio d’un più aulente padre, cui ogni pena insidiava gli occhi119. Solo per sé egli crescere voleva, e così tu vuoi; ma sappi che tanto vale avvizzire nel mio petto quanto nel sangue suo. Qui era il letto di tuo padre, qui nel mio petto. Come suo discendente, ora tuo ne è il diritto. Prendi riposo quindi in questa culla cava: notte e giorno ti cullerà il cuore mio che palpita. Non ci sarà, in un’ora, un sol minuto che io non baci il fiore del mio dolce amore’. Stanca allora del mondo via ella s’affretta e aggioga le sue candide colombe: con ratto volo ella, signora loro, là per i cieli vuoti sull’alto cocchio velocemente è portata; Pafo120 è la sua meta, dove la regina loro chiusa vuole in se stessa, invisibile, restare.
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The Rape of Lucrece Lucrezia violata Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di LUCA MANINI
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Nota introduttiva
Data, fonti, struttura Il secondo dei poemetti narrativi di Shakespeare, Lucrezia violata, fu pubblicato nel 1594 da Richard Field, lo stesso editore che, l’anno precedente, aveva dato alle stampe Venere e Adone; il successo di questa seconda prova poetica di Shakespeare non fu pari a quello della prima ed ebbe solo sei ristampe negli anni che precedono la morte del poeta. Il titolo sul frontespizio è, semplicemente, Lucrezia ma, nelle pagine interne, esso è sempre Lucrezia violata. Il poemetto è dedicato, come Venere e Adone, “All’eccellentissimo Henry Wriothesley, Conte di Southampton e Barone di Titchfield”, ed è con tutta probabilità la “fatica ben più seria” promessagli nella dedica che precede Venere e Adone. Il poemetto è di 1855 versi (pentametri giambici), divisi in 265 stanze di sette versi ciascuna, secondo lo schema di rime ababbcc. Questo tipo di stanza era definita rhyme royal ed era stata creata da Geoffrey Chaucer, il quale la utilizzò nel suo poema Troilo e Criseide (una storia d’amore tragica ambientata durante l’assedio di Troia, alla quale lo stesso Shakespeare dedicherà un’opera teatrale, il Troilo e Cressida) e nel poemetto Il parlamento degli uccelli. Shakespeare la userà nuovamente nel Lamento di un’innamorata, il compianto pubblicato in appendice ai Sonetti. La vicenda di Lucrezia era già usata in senso paradigmatico dagli autori latini, emblema della castità e delle virtù della matrona romana: come tale è descritta da Tito Livio nella Storia di Roma e da Ovidio nei Fasti e come tale giunse agli autori medievali. Se, nel Venere e Adone, Venere 2247
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LUCREZIA VIOLATA
è amore (v. 610), Lucrezia è, già al verso 7, presentata come “Lucrezia la casta”, e con questo aggettivo Shakespeare ne definisce, chiaramente e senz’ombre, l’identità, la cui essenza umana (e sociale) è racchiusa nella sua castità di sposa fedele, di matrona romana che fa della virtù e del decoro sociale e morale la propria cifra, e il proprio essere; tanto che si potrebbe riassumere l’essenza di tutto il poemetto prendendo a prestito un verso del Riccardo III, là dove Lady Anne lamenta la morte di Enrico VI, e sostituendo “Lucrece” a “Lancaster”: ciò che Shakespeare ci narra è the untimely fall of vertuous [Lucrece], ossia “l’immatura caduta della virtuosa Lucrezia”. Lucrezia è quindi la casta, la sua identità è stabile, formata, è l’incarnazione della virtus muliebre romana che Augusto porrà, secoli dopo, come modello assoluto; mentre le mogli degli altri condottieri romani si dedicano a feste, ella fila la lana (particolare che però Shakespeare trascura) con le ancelle, come una paziente Penelope in attesa del marito assente. Scrive Livio del castissimum … sanguinem di Lucrezia, Ovidio la dice nupta pudica (v. 794, aggettivo già usato per designarla al verso 757) e ne descrive le matronales genae che si fanno rosse di vergogna (v. 828). Questa castità è violata dalla lussuria di Tarquinio e, come nei testi latini, Shakespeare accompagna il lettore in un percorso che dalla realtà storica porta al caso personale, il quale però non è disgiunto da precisi riflessi sulla storia: la violenza da lei subita si tradurrà nella cacciata dei Tarquini e nel passaggio dalla Roma monarchica alla Roma repubblicana. Giovanni Boccaccio la pone come esempio di virtù e castità nel suo De claris mulieribus (“De Lucretia Collatini coniuge”), dove la presenta con le parole: Lucretia romane pudicitie dux exgregia atque sanctissimum vetuste parsimonie decus; Geoffrey Chaucer ne descrive la vicenda nell’opera in versi La leggenda delle donne oneste (V, vv. 1680-1885), e per lui ella è la trewe Lucresse (v. 1686; la fedele Lucrezia), le cui virtù sono la steadfastenesse (v. 1687), ossia la fermezza e la costanza, un immutable wille (v. 1875), ossia una volontà incrollabile; e uno stable herte (v. 1876), un cuore fermo. Concorde è la presentazione che ne fa il poeta John Gower nell’opera Confessio Amantis (vv. 4763-5130). Un discorso a parte richiede la riflessione che sul suicidio di Lucrezia intessé Sant’Agostino nel primo libro (capitolo 19) del De civitate Dei. Secondo i principi della dottrina cristiana, il suicidio è un peccato mortale (all’inferno pone Dante i suicidi). Lucrezia, se innocente, ragiona Agostino, non aveva motivo di 2248
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NOTA INTRODUTTIVA
togliersi la vita, perché vittima incolpevole della violenza di Tarquinio; se ella si è uccisa, continua Agostino, ciò significa che ella si sentiva colpevole, correa dell’atto sessuale, e quindi non andrebbe presa a modello. Shakespeare aveva con tutta probabilità presenti queste opere, seppur le sue fonti dirette vadano ricercate in due autori latini, Tito Livio e Ovidio. Il primo trattò la storia di Lucrezia nel I libro della Storia di Roma dalla sua fondazione (capp. 57-60); il secondo nel poema Fasti, libro II, vv. 685852. Sono fonti che Shakespeare, secondo il modo che gli è proprio, usa liberamente, modificandole. Sequenza narrativa L’azione si svolge nell’arco breve di una notte e di una mattina. Questi ne sono i punti fondamentali: corsa di Tarquinio verso Collazia (stanza I); motivo (come flashback) del suo desiderio di violare Lucrezia (vv. 8-49); arrivo e accoglienza a casa di Lucrezia (vv. 50-119); lotta interiore di Tarquinio (vv. 120-357); Tarquinio entra nella camera di Lucrezia e la guarda dormire (vv. 358-441); Lucrezia si desta; dialogo tra i due; vana perorazione di Lucrezia (vv. 442-673); violenza; fuga di Tarquinio e sua resipiscenza; inizio del tormento interiore di Lucrezia (vv. 674-749); assilli di Lucrezia, suo senso d’esser stata contaminata e suo senso di colpa (vv. 750-763); suo inveire contro Notte (vv. 764 -874), contro Opportunità (vv. 875-924) e contro Tempo (vv. 925-966); sua maledizione contro Tarquinio (vv. 967-1015); sua decisione di uccidersi (vv. 1016- 1078); mattino: dibattito interno di Lucrezia; sua decisione di rivelare tutto al marito Collatino (vv. 1079-1211); dialogo con la fantesca; Lucrezia scrive una lettera al marito; la invia tramite un messo (vv. 1212-1365); attesa; descrizione dell’arazzo che raffigura l’assedio e la caduta di Troia (vv. 1366-1582); arrivo di Collatino e del padre di Lucrezia; rivelazione della violenza subita; loro giuramento di vendicarla uccidendo Tarquinio; suicidio di Lucrezia (vv. 1583-1729); lamenti e dolore di Collatino e del padre di Lucrezia; mutamento di Bruto; giuramento di vendetta ripetuto (vv. 1730-1848); il corpo di Lucrezia è portato a Roma e mostrato alla folla; annuncio della cacciata dei Tarquini (ultima stanza). Una lettura di Lucrezia violata Ogni atto di violenza è un atto di hybris; è la tracotanza che, facendosi violenza, colpisce l’innocente e ne ferisce il corpo, la mente, l’integrità 2249
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fisica e spirituale. Di hybris si macchia Tarquinio nel violare Lucrezia; e se, secondo il mito greco, a hybris sempre risponde Nemesi (la “nera Nemesi” di Enrico VI, parte prima, IV, 7, 78), dalla nemesi Tarquinio è colpito, mediante la cacciata della sua stirpe da Roma. Prima della cacciata (che non è descritta ma solo nominata), però, Shakespeare gli fa vivere un intimo tormento che manca nelle fonti e che si può presumere gli sia stato suggerito da un verso di Ovidio: Quid, uictor, gaudes? Haec te uictoria perdet: “Di che cosa mai ti compiaci e godi? Questa vittoria ti perde” (v. 811). È un tormento (fisico e intimo) che vive anche Lucrezia, la vittima dell’hybris, della violenza. Il poemetto è costruito da Shakespeare secondo una chiara cesura, un prima e un dopo: il tempo prima dello stupro e il tempo dopo lo stupro; il momento della violenza (non descritta) interrompe il corso della vita sia di Tarquinio sia di Lucrezia: nulla, per loro, in questo dopo potrà essere com’era prima. Se l’azione del Venere e Adone si svolge tutta all’aperto, in un’immersione nel rigoglio della natura, la vicenda di Lucrezia si svolge in spazi chiusi, con le sole eccezioni della prima stanza (con la forsennata cavalcata di Tarquinio da Ardea a Collazia) e dell’ultima (con l’esposizione del cadavere di Lucrezia in Campidoglio). Se il sole risplende e arde su Venere e su Adone (a parte la parentesi della notte), il buio domina in Lucrezia violata; dice Ovidio che, nel momento in cui Tarquinio entra a Collazia, il sole cela il proprio volto, per non vedere il male di cui Tarquinio è latore (vv. 785-786); e le vicende sono ambientate in spazi che si fanno a mano a mano più ristretti: dalla tenda degli assedianti attorno alla città di Ardea alla casa di Lucrezia a Collazia, dalla camera di Lucrezia al suo letto, chiuso da cortine. Anche lo stimolo che spinge Tarquinio a voler violare Lucrezia viene da un oggetto chiuso, il metaforico scrigno che, in Shakespeare, Collatino sventatamente apre nel momento in cui celebra la perfetta virtù della moglie (vv. 16-17), quasi fosse, Collatino, una novella Pandora che apre il vaso da cui solo il male esce. Nel poemetto Il lamento di Rosamond, pubblicato nel 1592 in coda alla raccolta di sonetti Delia, Samuel Daniel immagina che Re Enrico II mandi all’amante Rosamond uno scrigno ricolmo di gioielli e sul quale sono istoriate vicende mitiche di seduzione (vv. 379-420): accettando il dono, Rosamond accetta la corte del re e dà inizio alla propria rovina. Ma se Rosamond sceglie, abbagliata dall’incanto della ricchezza e dalla posizione di essere amante del re, Lucrezia è vittima dell’apertura dello 2250
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scrigno da parte di Collatino, tanto che si può dire che anche lui, al pari di Tarquinio, paradossalmente, si macchia del peccato di hybris, nel momento in cui si vanta della superiorità di Lucrezia sulle mogli degli altri condottieri romani; e lo fa usando termini dell’ambito economico, quasi Lucrezia fosse un suo possesso; è un concetto che ritorna prepotentemente nella scena del duello verbale tra lui e il padre di Lucrezia, là dove entrambi proclamano: “Ella è mia” (v. 1795). (Ricordiamo che, in una tarda opera di Shakespeare, il Cimbelino, anche Postumo Leonato si vanta della casta fedeltà di Innogene, il che lo porta a una sfida con il villain Giacomo, in I, 5). In questo poemetto, Shakespeare ci narra di tre assedi, uno storico, uno mitico e uno fisico. Il primo, storico, è l’assedio di cui Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma, cinse la città di Ardea, posta a pochi chilometri a est di Roma, e che era, all’epoca (la data degli eventi è fissata nel 509 a. C.), la capitale del popolo dei Rutuli. Il secondo, mitico, è l’assedio posto alla città di Troia dai principi greci, i quali vogliono riprendere Elena, la sposa di Menelao rapita da Paride. Il terzo, fisico, è l’assedio che la matrona romana Lucrezia subisce da parte dal figlio di Tarquinio il Superbo, Sesto Tarquinio. Il primo assedio giunse a termine per la cacciata dei Tarquini; il secondo si concluse con la vittoria greca e la conquista e distruzione di Troia; il terzo con la violenza inflitta sul corpo di Lucrezia. L’idea dell’assedio domina sull’intero poemetto e contribuisce a crearne l’atmosfera di chiusura claustrofobica. Questi tre assedi sono tutti, già, nella prima strofa, assieme ai motivi che sono alla base del discorso poetico che Shakespeare sta per intessere: Da Ardea, l’assediata, con fretta, con furia, tratto dall’ala infida d’istigata brama, ansimante, lascivo, Tarquinio lascia le romane schiere e a Collazia reca un fuoco senza lume che, in smorte ceneri celato, d’ergersi s’attende e cingere, con avvolgenti fiamme, la vita del dolce amore di Collatino, Lucrezia la casta.
La cavalcata frenetica di Tarquinio verso Collazia preannuncia la rapidità dell’azione, tutta consumata nello spazio di una notte e di un matti2251
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no; l’aggettivo “infido” (trustless) presenta il suffisso negativo che indica mancanza e assenza, qui la negazione della fiducia, la falsità, l’ipocrisia di chi, Tarquinio, finge il bene e medita il male; il suo allontanarsi dall’esercito romano è un tradire il suo status di guerriero; il fuoco senza luce preannuncia il buio che dominerà la scena (poca sarà la luce, opaca e fragile, nella stanza di Lucrezia); il circondare riprende l’immagine dell’assedio; le fiamme, le fiamme che distruggeranno Troia (e si ricordino le parole di Cassandra nel Troilo e Cressida, quando Shakespeare le fa dire che Paride è il fuoco che distruggerà Troia; “Troia non più deve essere, non più si reggerà Ilio la splendida; tutti noi, noi brucia Paride, nostro fratello, il tizzone ardente!” (II, 2, 110-111). Ma anche il nome di Ardea evoca immagini di distruzione, poiché il suo nome, oltre all’assedio, porta alla mente il passo delle Metamorfosi dove Ovidio descrive la distruzione della città al tempo in cui Turno ne era il re: è Enea a sconfiggere Turno e a ordinare che la città sia incendiata e rasa al suolo (libro XIV, vv. 572-580); e, annota Ovidio, nei Fasti, e lo fa anche Livio nella Storia di Roma, la volontà di conquistare Ardea fu dettata a Tarquinio il Superbo dalla ricchezza della città; e, annota Shakespeare, Lucrezia è il tesoro, la priceless wealth, l’inestimabile ricchezza di Collatino, il suo “ricco gioiello” (vv. 16-17 e 33). Shakespeare narra di due tipi di guerra: da un lato, la guerra aperta tra due nemici (Lucrezia e Tarquinio, il quale è detto da Livio hostis pro hospite (58, 8) e da Ovidio hostis et hospes (v. 787); e in Shakespeare, Tarquinio è sempre il foe, il nemico, come ai vv. 1608 e 1646; è il “lupo in abito s’agnello” di Enrico VI. Parte prima (I, 2, 55), il lupo che ha alla propria mercé l’inerme agnello, secondo i versi di Ovidio, quando egli descrive Lucrezia tremante nel letto: Sed tremit, ut quondam stabulis deprensa relictis / Parua sub infesto cum iacet agna lupo, vv. 800-801); dall’altro lato, Shakespeare descrive la guerra civile che si scatena nella mente e nell’intimo, prima di Tarquinio e poi di Lucrezia. Negli anni nei quali compone i due poemetti narrativi, Shakespeare è reduce dalla scrittura della prima tetralogia storica, le tre parti dell’Enrico VI e il Riccardo III. In questi drammi egli ricrea il periodo tormentato della Guerra dei Cent’Anni e della Guerra delle Due Rose, e lo fa mettendo in scena una dovizia di combattimenti e di assedi (si pensi in modo particolare alla seconda parte dell’Enrico VI). Se in questi drammi lo scontro era tra 2252
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Francia e Inghilterra e, poi, tra la fazione dei Lancaster e quella degli York in ambito inglese, in Lucrezia violata Shakespeare porta combattimenti e assedi da una dimensione storica a una dimensione personale: dai campi di battaglia in Francia e in Inghilterra alla camera di Lucrezia, dagli scontri tra Lancaster e York in campo aperto all’animo di Tarquinio e di Lucrezia. Se in Venere e Adone Shakespeare aveva operato un rovesciamento dei ruoli del maschile e del femminile, presentato una Venere aggressiva e un Adone restio e pudico, in Lucrezia violata egli ci presenta un maschio predatore e una femmina preda. Tarquinio è assimilato a immagini di animali predatori e rapaci, proprio come lo era stata Venere nell’altro poemetto; ed egli è, di volta in volta, un ariete (v. 464), ossia un animale che forza e abbatte, un falco (v. 506), ossia un uccello che s’abbatte sulla preda, un basilisco (v. 540), mitico animale che può uccidere con il solo sguardo, un grifone (v. 543), un gatto che gioca col topo (v. 554), un avvoltoio (v. 556), un lupo (v. 677). Mentre Lucrezia è un uccello da preda (v. 457), una cerva cacciata (v. 543), un topo (v. 555), un agnello (v. 677); e il suo corpo è una cittadina, un forte (vv. 469 e 1175), assediato da Tarquinio, che è un soldato armato di spada; il quale Tarquinio, per la posizione sociale che occupa, è un tiranno che ha come propria guida la volontà, un tiranno che, come viola lo stato, così vuole violare il corpo di Lucrezia. Si ricordi ciò che Shakespeare fa dire ad Angelo, in Misura per misura, nel drammatico dialogo che ha con Isabella: “E ora io lascio sciolte le briglie alla corsa dei miei sensi” (II, 4, 159); e si pensi al lascivo Cloten del Cimbelino, il quale si precipita a Milford per violare Innogene, esprimendo il desiderio d’avere ali per volare là più rapidamente (III, 6, 152-153); e Innogene descrive il corteggiamento di Cloten come un assedio spaventoso (III, 4, 134). Nelle fonti, Tarquinio è colto dalla brama di possederla solo dopo averla vista, mentre Shakespeare, distaccandosi in ciò sia da Livio sia da Ovidio, attribuisce la nascita della sua brama sensuale al solo udire della bellezza e della castità della donna; così facendo, egli accentua il potere della parola, la quale, da sola, è in grado di smuovere l’animo umano (e si ricordi il fascino che le parole di Otello suscitano in Desdemona, quando lui narra della sua vita passata e delle sue imprese eroiche, in I, 3). In Misura per misura, Shakespeare mostra l’integerrimo Angelo mutare in 2253
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sé, colto da un impeto di lussuria, nel momento in cui (II, 2) vede Isabella, definita una “virtuosa fanciulla” (II, 2, 185); anche Angelo vive in sé il dramma del mutamento operato dal desiderio, quando Shakespeare gli fa dire: “Che cosa fai o chi mai tu sei, Angelo?” (II, 2, 173); è il mutamento che prova Proteo nel momento in cui vede Silvia nella commedia I due gentiluomini di Verona e, amandola e desiderandola, tradisce, in spirito, l’amico Valentino e l’amata Giulia (II, 4). Più vicino a Tarquinio è il Giacomo del Cimbelino: prima egli cade vittima del fascino di Innogene per averne udito le lodi intessute da Postumo Leonato, poi conferma il proprio desiderio nell’attimo in cui la vede (I, 7). La brama di Tarquinio si accende al vedere Lucrezia ed egli è delineato da Shakespeare (così come da Livio e da Ovidio) come colui il quale non riesce a trattenersi, a contenere l’impeto della passione; le fonti tacciono su ciò che accade in lui dopo l’atto dello stupro; solo Livio annota che egli si allontana dalla violata Lucrezia sentendosi ferox, aggettivo che ha in sé l’orgoglio maligno di chi va fiero del male compiuto. Shakespeare, invece, conduce i propri lettori dentro l’animo di Tarquinio, li fa assistere, come su un intimo palcoscenico, alla lotta, ossia alla guerra civile che in lui si scatena. Ciò che Shakespeare descrive nell’animo di Tarquinio è, ancora, il passaggio da un prima a un dopo; al centro, è l’attimo della violenza, dello stupro. La lotta che avviene nello spazio del prima (lussuria, desiderio, brama contro perdita dell’onore, senso dell’onta, percezione che dovrà in qualche modo pagare l’orrore di quell’atto) si ripete nello spazio del dopo, che è presa di coscienza della vanità del piacere che dura un attimo ed è già svanito. È quanto Shakespeare esprime nel sonetto 129, là dove descrive il disgusto che segue all’ardore cieco e affamato della brama. Il dramma che Shakespeare fa vivere a Tarquinio (e che riapparirà, in chiave femminile, nel Lamento di un’innamorata, con lo stesso verbo, il verbo, ‘vedere’, del v. 172 di Lamento e del verso 491 di Lucrezia violata), è il dramma di chi è pienamente consapevole di esser sul punto di commettere un errore cui non sarà possibile porre alcun rimedio e che è incapace di porre un freno al proprio desiderio. Come scrive Daniel nel già ricordato Lamento di Rosamond: “Non si previene il destino, seppur in anticipo lo si conosca” (v.418). Tarquinio, ci dice Shakespeare, sa che, violando Lucrezia, sta per infrangere le leggi sociali e morali, sa che perderà onore e posizione, sa che dovrà subire le conseguenze di una punizione; eppure, questa consapevolezza non è sufficiente ad 2254
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NOTA INTRODUTTIVA
arginare la brama dei sensi. Egli corre al galoppo da Lucrezia, dopo aver udito le parole celebrative di Collatino; e lo fa immediatamente, mentre Livio scrive che Tarquinio andò da lei dopo qualche giorno averla vista; seguendo Ovidio, invece, Shakespeare lo fa precipitarsi subito da lei. La vista conferma e rafforza il desiderio; e, nella notte, Tarquinio agisce. Nel dibattito interiore di Tarquinio (vv. 498-499), che segue alla coscienza di stare per andar contro la legge e il dovere (v. 497), Shakespeare usa le parole wrong, ossia torto, contro Lucrezia; shame e infamy, vergogna e infamia, contro il sé pubblico; sorrow, dolore spirituale che colpirà il suo animo (e, di riflesso, quello di Lucrezia). E si notino anche le repentant tears (v. 502) e l’inimicizia mortale che ci sarà d’ora innanzi tra lui e la famiglia di Lucrezia. Eppure, gli fa dire Shakespeare: “la mia infamia, ah!, io ardo d’abbracciare!’ (v. 504). Come, in Ovidio, si può leggere: Exitus in dubio est, ossia: incerto è l’esito (della mia azione); ma ciò che lo spinge ad andare avanti è il pensiero che audentes forque deusque iuvat (vv. 781-782). Nella notte, Tarquinio lascia la propria camera e si avvia verso quella di Lucrezia. Nelle fonti, egli impugna la spada; Shakespeare scrive che egli lascia che la punta scorra sul pavimento e che, da questo contatto, scocchino scintille, correlativo oggettivo della fiamma della sua passione e anticipazione delle fiamme che ardono Troia nell’arazzo che più tardi Lucrezia osserverà. Tarquinio è trattenuto da vari oggetti ma prosegue: egli non vuole coglierne il senso morale, la lezione, l’avvertimento che danno, li sente anzi come prove da superare per raggiungere l’oggetto del desiderio, in un rovesciamento del cavaliere medievale che supera prove per raggiungere la virtù e l’onore. Egli, volutamente, volontariamente, nega alla vista la sua capacità di lettura e di interpretazione del reale, accecato com’è dal desiderio: egli sa leggere e interpretare ma rifiuta di farlo. E giunge alla stanza di Lucrezia abbattendo chiavistello dopo chiavistello (e si ricordi il motivo classico dei chiavistelli, come nell’episodio di Ifi e Anassarete nelle Metamorfosi di Ovidio, XIV, vv. 698 e sgg; il catenaccio è citato al verso 710; e si rammenti come il Duca di Gloucester rimuova con ferocia tutti gli ostacoli che si frappongo tra lui e il trono, dove siederà come Riccardo III, secondo il piano da lui ordito e manifestato nel lungo monologo di Enrico VI, parte terza, III, 2). Poi, però, passato il momento del piacere, una nuova guerra civile si 2255
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scatena in lui. Il paradigma che Shakespeare costruisce è quindi: guerra civile / guerra di conquista / rinnovata guerra civile (come nella trilogia di Enrico VI). E, come accade all’eroe (o al villain) tragico, la presa di coscienza giunge troppo tardi; si può dire che essa giunga un attimo troppo tardi, come è nell’animo di Macbeth, quando egli esce con le mani insanguinate dalla camera di re Duncan (e ricordiamo che Tarquinio è nominato, in questa tragedia, in II, 1, 55). Tarquinio sente in sé la sazietà che stucca (vv. 698700), ciò che Venere promette ad Adone di non provare mai con lei e che, nelle parole di Enobarbo, la regina Cleopatra mai fa provare a chi la ama: “L’età non può appassirla, né l’abitudine renderla stantia; altre donne stuccano / gli appetiti che nutrono ma ella affama / là dove più ella dona”. (Antonio e Cleopatra, III, 3, vv. 235-238). Lo stato d’animo di Tarquinio è reso da Shakespeare mediante una serie di paradossi; la lussuria “ladra” che, pur avendo rubato, si ritrova ora più povera (vv. 693-694), in netto contrasto con la stessa immagine usata da Shakespeare per descrivere Cordelia quando ella si trova inetta a imitare le sorelle nel trovare parole d’adulazione: ella è sì più povera perché sa che perderà il ruolo di principessa reale, ma più ricca perché rimane fedele a sé stessa (Re Lear, I, 1, vv. 78-80); qui, invece, il conquistatore della cittadella di Lucrezia è ora un “mendico” (v. 711), è un “vincitore” che è, insieme, un “prigioniero” (v. 730); in Tarquinio la sazietà del male, del peccato, del piacere (quella sazietà che invece il duca Orsino, nella Dodicesima notte, invoca come medicamento alla propria malinconia d’amore, I, 1, vv. 1-3) e la sua degradazione sono segnalate da Shakespeare con un progressivo abbassamento dei paragoni animali: se prima Tarquinio era un “segugio” e un “falcone” (v. 694), ora egli è un “cane” (v. 736) che non vuole farsi vedere. E Shakespeare descrive la caduta morale di Tarquinio facendo riferimento a San Paolo, là dove questi compara il corpo umano a un tempio ove dimora lo spirito di Dio (Prima Lettera ai Corinzi, 3, 16): ai versi 719-721, è l’anima di Tarquinio a esser paragonata a un tempio ormai disfatto e in rovina, vinto dalla “volontà” del piacere che ha sopraffatto la Grazia (v. 712); e se il “muro consacrato” di questo tempio è stato abbattuto (v. 723) significa che il tempio dell’anima ha subito un assedio e che è stato preso. L’assedio del quale Tarquinio ha cinto Lucrezia è quindi duplicato da Shakespeare in un assedio che Tarquinio ha posto contro sé stesso, con ciò creando, Shakespeare, un’inquietante 2256
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identità tra assediante e assediata, tra violatore e violata. Al verso 742 Tarquinio esce di scena, per non più riapparire; e l’ultima parola con la quale Shakespeare lo qualifica è convertite, solitamente chiosato come “penitente”; e se non è dato sapere se Dio concederà il perdono al pentito Tarquinio, gli uomini non glielo concedono. Da notare è che la parola convertite indica propriamente un convertito ad altra fede; Shakespeare accenna quindi, con questa parola, a un’altra metamorfosi dell’io… Ma convertita è anche la fanciulla del Lamento di un’innamorata: e se lei è pronta a ripetere la propria caduta, forse anche Tarquinio ripeterebbe il proprio fallo. Se, nella conclusione del Cimbelino, Giacomo rinasce spiritualmente; se Proteo ritrova l’amicizia di Valentino nel finale dei Due gentiluomini di Verona, ciò non accade a Tarquinio, il quale è solo, cacciato, reietto. Nemico egli stesso a sé stesso, secondo quanto Shakespeare farà dire all’infelice Troilo: “Talvolta siamo noi diavoli a noi stessi” (Troilo e Cressida, IV, 4, 94). Siamo, ci ricorda continuamente Shakespeare, in un mondo caduto; rammentiamo le parole di Re Enrico V nel momento in cui scopre il tradimento dei tre nobili, quando l’esercito inglese è in procinto di partire per il suolo di Francia; rivolgendosi a Cambridge, gli dice: “Poiché questa tua ribellione, così mi pare / è come una seconda caduta dell’uomo” (II, 2, vv. 141-142). L’uomo è caduto una prima volta per il peccato di Adamo ed Eva e continua a cadere. L’atto di Tarquinio lo conduce a una caduta che ricorda la caduta di Coriolano nella tragedia che Shakespeare dedicherà al condottiero romano, il quale cade (come Tarquinio) per la propria hybris non una bensì due volte, la prima a Roma e la seconda nella città dei Volsci cui si è unito; così come cade, nella tragedia dedicata a Enrico VIII, il Cardinale Wolsey (si rilegga il discorso che Shakespeare gli fa pronunciare nel momento in cui egli prende coscienza che il suo tempo del successo è invero trascorso e che è impossibile tornare indietro, in III, 2, vv. 350-372, discorso che si chiude con le parole: “E quando egli cade, cade come Lucifero, / senza più speranza alcuna”). Il momento dello stupro coincide con il silenzio di Lucrezia; la voce è la prima cosa che Tarquinio le vieta, le toglie, le nega (vv. 613-622); la seconda cosa che le toglie è la castità (vv. 687, 1048-1050), ossia la sua identità, proclamata nel già ricordato verso 7, dove casta è invero un aggettivo qualificativo, che in sé racchiude l’essenza di Lucrezia, la quale, 2257
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al v. 692, è indicata con la metonimia “pura castità”. Si leggano i vv. 729746, là dove Shakespeare alterna la descrizione dei sensi e sentimenti di Tarquinio e Lucrezia; il primo aggettivo attribuito a lei è perplexed, ossia in uno stato di confusione mentale e spirituale; per due volte (vv. 739 e 744) ella è detta disperata, si graffia la carne, perché non è più pura, così come, poco dopo, cercherà di graffiare il colpevole Sinone (v. 1564); ella è “ansante”, perché non più naturale è il suo respiro (v. 737). E la prima reazione che Lucrezia manifesta per aver perduto sé stessa è il non accettare più il naturale alternarsi tra notte e dì, è il rifiuto della luce, il rifiuto del senso della vista (v. 757), del cuore stesso (vv. 759-760); e la voce recuperata la usa per inveire e maledire, per invocare mutamenti nell’ordine delle cose, a specchio del proprio intimo mutamento. Il suo stato di “perplessità” e di disperazione si riflette sul mondo esterno, lo investe e (vanamente) vorrebbe mutarlo (v. 774); ella si scaglia contro le proporzioni armoniose dell’ordine e invoca il caos, come caos è ora, nel suo sentire, il proprio io – un io gravato dal load of lust (v. 734), dal carico di lussuria che il corpo di Tarquinio su di lei le ha lasciato (e, forse, cenno al seme di lui che può averla resa incinta, v. 809): se lei è corrotta, che anche la luce del sole si corrompa (v. 777) e che perpetua si faccia la notte (v. 784), secondo l’invocazione che apre la prima parte dell’Enrico VI: “Che di nero si ammantino i cieli! Cedi, giorno, alla notte!” (I, 1, vv. 1-2). È il caos che invoca Lear in III, 2, 9; il caos che su Atene vorrebbe far cadere Timone dopo aver preso coscienza della vacuità delle persone che lo circondavano e adulavano (Timone d’Atene, IV, 1). Ma il desiderio di Lucrezia di mutare il corso delle cose naufraga contro lo scoglio della consapevolezza, amarissima, dell’ineluttabilità e della realtà che ella invero nulla è in grado di modificare (vv. 1016-1022). Ella è sola (v. 795) e le sue parole di invocazione e di maledizione sono solo un “vano fumo” (v. 1027). Tarquinio calpesta la torcia (v. 673) e, col piede, ne spegne la luce; è un atto che, nel contesto del poemetto, assume una valenza simbolica altamente suggestiva: egli non vuole la luce perché è il buio il luogo della violenza e del peccato, perché egli è ben conscio che la notte deve avvolgere la sua mala azione; al contempo, Shakespeare pare suggerire che con l’atto del calpestare Tarquinio calpesta anche Lucrezia e ne spegne la luce della virtù casta, ingenerando in lei un buio che la condurrà alla morte per suicidio, ossia allo spegnere volontariamente la propria vita, che era (e non è più) vita da vivere alla luce del sole. E ciò che Venere 2258
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e il cinghiale sono per Adone, Tarquinio è per Lucrezia: un agente di mutamento, prima, e di distruzione poi. Tarquinio non si limita a violare il corpo di Lucrezia, egli ne distrugge l’identità, come Shakespeare chiarisce in più punti: “sì com’io ero pura, prima, per lui, Collatino” (v. 826); “ma quando temetti, ero una moglie fedele, / come ora sono … No! Non sono più: / di quel nome puro Tarquinio m’ha spogliata” (vv. 1048-50); “e per amore di me, quand’ancora potevo ammaliarti, / per lei che era la tua Lucrezia, ascoltami” (vv. 1681-2). Dopo lo stupro subito, Lucrezia non è più sé stessa, perché non è più “la casta”; Shakespeare la fa pensare a sé usando il tempo verbale al passato. Come già accennato, Shakespeare la dice perplexed, un aggettivo che ha in sé qualcosa in più dell’italiano ‘perplesso’: Lucrezia è smarrita, confusa, sospesa in uno spazio dove non è la sé stessa di un tempo e non sa chi possa essere o diventare, non sa più chi era, non sa chi è, né chi potrà essere. Così come, nel Cimbelino, Innogene, alla vista del corpo morto che crede essere quello dello sposo Postumo Leonato, dice: “Io non sono nulla” senza di lui (IV, 2, 366). O come Troilo che, nel momento di recarsi al campo greco per spiare Cressida (e il suo tradimento con Diomede) assicura a Ulisse, che ve lo accompagna, che, nel vedere la scena, non sarà sé stesso (IV, 2, 64). Nel momento in cui si ritrova spossessata della propria identità, Lucrezia cerca di crearsene una nuova, nella consapevolezza che la vecchia è distrutta per sempre; il primo passo che Shakespeare le fa compiere è cercare equivalenti al proprio nuovo stato; ed ella li cerca dapprima nella figura mitica di Filomena e poi in un dipinto che è a casa sua, una raffigurazione dell’assedio e della caduta di Troia. Sono pagine bellissime, in cui la tecnica dell’ekphrasis si fa mise en abyme della storia personale di Lucrezia. La prima identificazione che ella sente come propria è quella con Filomena, anch’ella vittima di uno stupro, da parte del cognato Tereo. Il mito antico si fa portatore di senso, forse di consolazione, se è vero che condividere il proprio male lo allevia (secondo le parole del vecchio saggio nel Lamento di un’innamorata). Shakespeare usa questo mito anche in una tragedia giovanile, il Tito Andronico, e in un’opera tarda, il Cimbelino. Lucrezia è come Lavinia, l’infelice figlia di Tito, violata dai figli della regina Tamora; è come Innogene, desiderata dal maligno Giacomo (il quel però non arriva a violarla). La seconda identificazione è con Ecuba, l’infelice regina di Troia, che vede, nello stesso giorno, il 2259
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marito ucciso e la propria città distrutta; ella è raffigurata nel dipinto che Lucrezia osserva come l’emblema della pura essenza del dolore umano, e della caduta da uno stato alto a uno stato di degradazione. Nella descrizione di Ecuba come puro dolore siamo probabilmente allo stadio che in lei precede la pazzia, come Shakespeare ricorda nella tragedia (la cui composizione è più o meno contemporanea a quella del poemetto) Tito Andronico, la “Ecuba di Troia / impazzita per il dolore” di IV, 1, 20-21; e per Ecuba pazza per il dolore è scambiata Lavinia dopo aver subito la violenza carnale, la quale Lavinia raccoglie il libro lasciato cadere dallo studente: le Metamorfosi di Ovidio, là dove potrà trovare la storia dello stupro di Filomena. Anche Innogene, nel Cimbelino, è accostata a Filomena ma, a differenza di Lavinia e di Lucrezia, ella è solo osservata da Giacomo (in uno spazio chiuso e sacro, la camera di letto di lei, come in Lucrezia violata) e da lui solo calunniata; alla fine, poi, Innogene può tornare a unirsi a Postumo, ciò che è impossibile per la violata Lucrezia (e per Lavinia, uccisa dallo stesso suo padre, Tito, Lavinia che era stata definita di una “castità senza macchia”, V, 2, 176). Nonostante queste somiglianze, però, Lucrezia non è Filomena, non è Ecuba: le due donne valgono solo come pietre di paragone, non come una (impossibile) coincidenza di sé, sé che restano comunque diversi; il ‘tu’ permane come segno di separazione, come non colmabile differenza; tra loro può esservi solo una comunanza, una vicinanza: Lucrezia invita Filomena / usignolo a fare il nido sui suoi capelli (i quali sono, significativamente, scomposti, immagine del disordine che ella sente in sé, della sua ‘perplessità’) e se Filomena accettasse quest’invito ella sarebbe un’ospite, non una parte del sé di Lucrezia. Ciò che Lucrezia condivide con Filomena è l’atto dello stupro subito; ma, a differenza di Filomena, il violentatore di Lucrezia non le strappa la lingua, non le mozza le mani: egli le lascia insomma la possibilità di rivelare il crimine. Con Ecuba, condivide la caduta: Ecuba ha vissuto i lunghi anni dell’assedio (assedio concentrato, per Lucrezia, nello spazio di una sola notte, ma non per questo meno devastante e distruttore) e se Ecuba non è stata violata, lo è stata la sua città, Troia. Ma queste identificazioni non possono dare a Lucrezia ciò che ella ricerca – il suo io primigenio è svanito, nulla può renderglielo e certo, suggerisce Shakespeare, non può essere nell’io di un’altra. Solo nel suicidio Lucrezia potrà ritrovare sé: ricostruire sé, riconquistare sé distruggendo 2260
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sé stessa. E le due Lucrezie che ella sente ormai di essere, quella del prima e quella del dopo, ricordano le due Cresside che Troilo vede quando, entrato nel campo greco, vede l’amata cedere a Diomede; e Shakespeare gli fa esclamare: “È lei’ No, questa è la Cressida di Diomede” (V, 2, 140). E Lucrezia è insieme l’amica (in quanto moglie ancora fedele seppur violata) e la nemica di Collatino (in quanto, violata, non è più la sua moglie casta). Il suicidio diviene, per lei, paradossalmente, una dying life, una vita ottenuta morendo (v. 1055), una vita di fama per una castità offesa perduta non per colpa propria bensì per violenza altrui (vv. 1265-67); la morte diviene, alla vista di Lucrezia, una nuova nascita (come la Fenice rinasce dalle proprie ceneri: vv. 1188 e 1190: new born, “nata di nuovo”) e una riconquista del sé, tanto che Shakespeare le fa dire di voler ella essere la mistress of my fate, la padrona del proprio fato (v. 1069). L’io diviso, ormai, di Lucrezia, è da rinvenire nella separazione tra il corpo contaminato e l’anima ancora casta e pura. Ella è, al contempo, amica e nemica di Collatino, l’amica appartiene al prima dello stupro, la nemica al dopo: “il mio sé che ti è amico il sé che ti è nemico ucciderà” (v. 1196); e solo la morte potrà, paradossalmente, darle una vita nuova e ricomporre il suo io originario, quello di donna casta e non toccata dalla colpa; come novella Fenice, ella rinascerà e sarà esempio di purezza per le generazioni a venire: “perché, morendo, uccido il vergognoso scorno: / e morta l’onta, rinascerà il mio onore” (vv. 1188-1190). Se Lucrezia è stata incapace di leggere sul volto di Tarquinio i segni della falsità e del tradimento, ora usa tutto il suo acume interpretativo per leggere i volti che vede sull’affresco di Troia, e riconosce in Sinone ciò che prima era stata inetta a fare. Sinone diviene quindi figura di Tarquinio, il quale ha in sé molto dell’Aaron di Tito Andronico e dello Jago di Otello, il quale proclama “Io non sono ciò che sono” (I, 1, 65), così come Lucrezia dice a Tarquinio: “Tu non sei ciò che appari”, v. 600). In Lucrezia, l’aspetto e l’anima coincidono e corrispondono; in Tarquinio (come in Aaron e Jago) aspetto e anima divergono. E se troppo poco aveva letto sul volto di Tarquinio, troppo legge sul volto del messo (vv. 1338-1358): l’incapacità di vedere precedente è sostituita da una visione esasperata, che vede ciò che non c’è. Se per la fanciulla del Lamento di un’innamorata la tragedia sarà il vedere e lo scegliere di non vedere (il lato seduttivo e distruttore del giovane corteggiatore), la tragedia di Lucrezia è il non vedere, il non saper interpretare i segni sul volto di Tarquinio. Cosa ben 2261
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ardua, come Shakespeare ben esprime nelle parole che fa pronunciare a Buckingham nel Riccardo III: “Noi conosciamo i volti gli uni degli altri; ma quanto ai cuori / egli non conosce del mio più di quanto io conosca del vostro, / o io del suo, signore, o voi del mio” (III, 4, 10-12). Sia Tarquinio sia Lucrezia vogliono creare spazi e tempi altri: nella notte dello stupro, Tarquinio crea un mondo che è un “deserto dove non sono leggi” (v. 544) e, dopo la violenza, Lucrezia, come già detto, vorrebbe arrestare il tempo e creare una sospensione che lasci irrivelata la sua vergogna. Sia Lucrezia che Tarquinio sono destinati alla sconfitta: le leggi esistono, il tempo scorre, e un nuovo ordine (dopo la distruzione) è pronto a sorgere, qui grazie alla figura di Bruto e alla sua volontà di fondare una repubblica che cancelli la monarchia brutale dei Tarquini. Nel momento in cui Tarquinio perde, tradendolo, il proprio io regale e si abbassa e degrada allo stato di animale rapace; nel momento in cui Lucrezia è forzata a perdere il proprio ruolo di casta matrona romana, Bruto recupera invece il proprio io autentico o, meglio, lo svela alla luce: se Lucrezia invocava il buio perché la luce rivela il torto e il peccato, Bruto alla luce riporta la propria grandezza morale e civile, che egli (come, più che in Shakespeare, è chiaro in Livio) aveva celato sotto i panni della stoltezza per un motivo ‘onesto’ (come direbbe Torquato Accetto, l’autore del trattato secentesco Della dissimulazione onesta), ossia per aver salva la vita dalla violenta rapacità dei tiranni (appena esemplificata nella figura di Tarquinio) e poter essere integro e vivo nel momento del bisogno. Anche Bruto potrebbe ora, come Lucrezia, parlare con il tempo verbale del passato, dire “io ero” o “io fui”, ma per Bruto il mutamento è dal volontario esilio del sé alla rivelazione del proprio vero sé, mentre per Lucrezia è un mutamento non voluto e solo subito e sofferto; più vicino a Bruto è il Principe Hal dell’Enrico IV, nel momento in cui ripudia il proprio passato di dissolutezze per assumere il ruolo regale che è suo; e lo fa parlando di sé al passato, rivolgendosi a Falstaff: “Non presumere, no, ch’io sia l’essere che io ero, / poiché Dio sa, e il mondo lo saprà, / che io da me ho rigettato il mio io di un tempo” (Enrico IV, parte seconda, V, 5, vv. 55-57). Dal male, dalla disgrazia di Lucrezia incolpevole può nascere (e nasce) un ordine nuovo. Il quale non si fonda, però, sul giuramento fatto a Lucrezia, il giuramento espressamente da lei richiesto al marito e agli uo2262
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mini che sono presenti alla sua morte, ossia, di uccidere colui che l’ha violata. Ciò che Shakespeare annota nell’ultima strofa è, semplicemente, l’esilio cui i Tarquini sono condannati; la parola giurata a una donna pare poter esser quindi trascurata; i valori della cavalleria che Lucrezia invocava da Tarquinio sono disattesi (nonostante la solenne promessa prestata dal marito e da Bruto) da quanti si dichiaravano cavalieri. Entra qui in gioco il ruolo d’inferiorità della donna e la supremazia maschile, più volte sottolineata da Shakespeare con il tema del ‘possesso’: Lucrezia è posseduta, legittimamente, dal marito Collatino; è posseduta contro la sua volontà da Tarquinio; il suo corpo morto è lo strumento usato dagli uomini per convincere la folla romana a sostenere la cacciata dei tiranni. E si leggano con attenzione le tre strofe che Shakespeare dedica al dolore del padre di Lucrezia per la morte della figlia; egli lamenta sì la morte di Lucrezia, ma lo fa invero parlando di sé; il discorso che Shakespeare gli pone tra le labbra è un discorso incentrato su di sé, sulla perdita che egli ha subito. L’eloquenza femminile è mostrata da Shakespeare come inefficace: fallisce quella di Venere nel suo tentativo di sedurre Adone; fallisce qui quella di Lucrezia nel tentativo di convincere Tarquinio a non portare a termine la violenza: le donne non sono abili oratrici, non sono (ci mostra Shakespeare) capaci di convincere come invece fanno, ad esempio, Antonio e Bruto con la folla nel Giulio Cesare (III, 2) o Talbot con la duchessa di Auvergne nella prima parte dell’Enrico VI (II, 3), convincendola a mutar schieramento nella guerra che oppone francesi e inglesi. Poiché le donne sono come cera (v. 1240) dove gli uomini possono porre il loro pensiero e modellarle a proprio piacimento, perché le donne sono “tenere, dolci, pietose e malleabili” (Enrico VI, parte terza, I, 4, v. 141). Ciò che apprendiamo dall’ultima strofa del poemetto è che Tarquinio è punito col solo esilio. Livio non fa cenno a una richiesta da parte di Lucrezia, Ovidio le fa dire che siano gli altri a deciderne la sorte; Shakespeare specifica e poi annota uno spergiuro: come l’eloquenza dialettica, pur ricca e articolata, di Lucrezia ha fallito con Tarquinio, così la sua richiesta non è eseguita. Nel Tito Andronico, Ecuba (con la quale Lucrezia ha cercato un’identificazione) è evocata quale figura che riesce a compiere la propria vendetta contro Polimnestore che le ha ucciso il figlio Polidoro (I, 1, 135-138); non qui: la voce di donna di Lucrezia, ancora una volta, è indicata come irrilevante; e nella strofa finale ciò che Bruto 2263
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mostra ai concittadini romani è il corpo morto di Lucrezia: ella è ridotta a un oggetto da mostrare e da usare per uno scopo politico: cacciare la dinastia dei Tarquini e fondare la res publica. Il corpo che Lucrezia ha voluto distruggere per ricomporre il proprio io e per dare un rinnovato decoro a Collatino diviene la prima pietra per edificare un ordine nuovo, e maschile. LUCA MANINI
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TO THE RIGHT HONOURABLE HENRY WRIOTHESLEY, EARL OF SOUTHAMPTON AND BARON OF TITCHFIELD
The love I dedicate to your lordship is without end, whereof this pamphlet without beginning is but a superfluous moiety. The warrant I have of your honourable disposition, not the worth of my untutored lines, makes it assured of acceptance. What I have done is yours; what I have to do is yours, being part in all I have, devoted yours. Were my worth greater my duty would show greater, meantime, as it is, it is bound to your lordship, to whom I wish long life still lengthened with all happiness. Your lordship’s in all duty, William Shakespeare
THE ARGUMENT Lucius Tarquinius (for his excessive pride surnamed Superbus), after he had caused his own father-in-law Servius Tullius to be cruelly murdered, and, contrary to the Roman laws and customs, not requiring or staying for the people’s suffrages had possessed himself of the kingdom, went accompanied with his sons and other noblemen of Rome to besiege Ardea, during which siege the principal men of the army meeting one evening at the tent of Sextus Tarquinius, the King’s son, in their discourses after supper everyone commended the virtues of his own wife, among whom Collatinus extolled the incomparable chastity of his wife, Lucretia. In that pleasant humour they all posted to Rome, and, intending by their secret and sudden arrival to make trial of that which everyone had before avouched, only Collatinus finds his wife (though it were late in the night) spinning amongst her maids. The other ladies were all found dancing, and revelling, or in several disports. Whereupon the noblemen yielded Collatinus the victory and his wife the fame. At that time Sextus Tarquinius, being enflamed with Lucrece’ beauty, yet smothering his passions for the present, departed with the rest back to the camp, from whence he shortly after privily withdrew himself and 2266
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ALL’ECCELLENTISSIMO HENRY WRIOTHESLEY, CONTE DI SOUTHAMPTON E BARONE DI TITCHFIELD1
L’amore che rivolgo alla Signoria Vostra non ha fine e pertanto quest’opuscolo cha non ha inizio non ne è che una superflua aggiunta. Ciò che m’assicura che Voi lo vorrete accettare non è il valore dei miei poveri versi bensì la certezza della Vostra inclinazione verso di me. Ciò che ho fatto è Vostro, Vostro è tutto ciò che farò, e così è perché ogni cosa è parte del tutto che a Voi ho consacrato. Se maggiore fosse il mio merito, maggiore si mostrerebbe il mio dono ma, così com’è, esso è dedicato alla Signoria Vostra, alla quale auguro una lunga vita, la quale possa esser resa più lunga da ogni possibile felicità. Il Vostro umile servitore William Shakespeare
L’ARGOMENTO2 Lucio Tarquinio (soprannominato il Superbo per il suo orgoglio smisurato), dopo aver ordinato che il suocero Servio Tullio fosse barbaramente assassinato, andando contro le leggi e i costumi dei Romani, si era impossessato del regno senza richiedere o attendere i suffragi del popolo; accompagnato dai figli e da altri nobili romani andò poi ad assediare Ardea. Durante l’assedio, una sera, i capitani dell’esercito si radunarono nella tenda di Sesto Tarquinio, figlio del re, e, dopo aver cenato, i loro discorsi si volsero a lodare le virtù delle proprie consorti. Tra di loro, Collatino esaltò l’incomparabile castità della moglie Lucrezia. Lasciandosi guidare da un piacevole impulso, si recarono tutti velocemente a Roma3 per dimostrare la veridicità di quanto ognuno aveva poc’anzi lodato, ma solo Collatino trovò la moglie che, sebbene l’ora fosse tarda, stava fi lando assieme alle sue ancelle. Fu così che quei nobili assegnarono la palma della vittoria a Collatino e la palma della lode a sua moglie. Sesto Tarquinio si era subitamente infiammato per la bellezza di Lucrezia ma, per il momento, soffocò la passione e fece ritorno con gli altri al campo. Poco dopo, però, in gran segreto, se ne allontanò nuovamente e, secondo il suo rango, fu accolto e ospi2267
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was, according to his estate, royally entertained and lodged by Lucrece at Collatium. The same night he treacherously stealeth into her chamber, violently ravished her, and early in the morning speedeth away. Lucrece, in this lamentable plight, hastily dispatcheth messengers — one to Rome for her father, another to the camp for Collatine. They came, the one accompanied with Junius Brutus, the other with Publius Valerius, and, finding Lucrece attired in mourning habit, demanded the cause of her sorrow. She, first taking an oath of them for her revenge, revealed the actor and whole manner of his dealing, and withal suddenly stabbed herself. Which done, with one consent they all vowed to root out the whole hated family of the Tarquins, and, bearing the dead body to Rome, Brutus acquainted the people with the doer and manner of the vile deed, with a bitter invective against the tyranny of the King; wherewith the people were so moved that with one consent and a general acclamation the Tarquins were all exiled and the state government changed from kings to consuls.
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tato da Lucrezia, a Collazia, in modo regale. Quella stessa notte egli s’introdusse furtivamente nella camera di lei, la prese con la violenza e, la mattina presto, si allontanò. Trovandosi così, affl itta e disperata, Lucrezia mandò in tutta fretta due messaggeri, uno a Roma, da suo padre, l’altro al campo, da Collatino. Entrambi la raggiunsero, l’uno con Giunio Bruto, l’altro con Publio Valerio 4; trovando Lucrezia vestita a lutto, le chiesero la ragione del suo duolo. Ella pretese che essi giurassero di vendicarla 5, e poi rivelò chi era il colpevole e il modo in cui si era portato verso di lei; infine, d’improvviso, si pugnalò. Dopo questo fatto essi, tutti d’accordo, giurarono di estirpare completamente l’odiata famiglia dei Tarquini e, portando a Roma il corpo morto di lei, Bruto mise il popolo a conoscenza del vile atto e di chi lo aveva compiuto, pronunciando un’amarissima invettiva contro la tirannide del re. Il popolo fu a tal punto commosso dalle sue parole che, con consenso unanime e un’acclamazione generale, tutti i Tarquini furono mandati in esilio e la forma di governo fu mutata, passando dalle mani dei re a quelle dei consoli.
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From the besieged Ardea all in post, Borne by the trustless wings of false desire, Lust-breathèd Tarquin leaves the Roman host And to Collatium bears the lightless fire Which, in pale embers hid, lurks to aspire And girdle with embracing flames the waist Of Collatine’s fair love, Lucrece the chaste. Haply that name of chaste unhapp’ly set This bateless edge on his keen appetite, When Collatine unwisely did not let To praise the clear unmatchèd red and white Which triumphed in that sky of his delight, Where mortal stars as bright as heaven’s beauties With pure aspects did him peculiar duties. For he the night before in Tarquin’s tent Unlocked the treasure of his happy state, What priceless wealth the heavens had him lent In the possession of his beauteous mate, Reck’ning his fortune at such high-proud rate That kings might be espousèd to more fame, But king nor peer to such a peerless dame.
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Da Ardea7, l’assediata, con fretta, con furia8, tratto dall’ala infida d’istigata brama, ansimante, lascivo, Tarquinio lascia le romane schiere e a Collazia9 reca un fuoco senza lume che, in smorte ceneri celato, d’ergersi s’attende e cingere, con avvolgenti fiamme, la vita del dolce amore di Collatino, Lucrezia la casta. Il dirla ‘casta’, sciaguratamente, forse fu un pungolo acuminato all’appetito suo, già vivo, ché Collatino sventato non s’impedì di lodare il bianco e il rosso, impareggiabili e puri10, che nel cielo trionfano11 di lei che gli è delizia, là dove le stelle mortali, lucenti pari alle celesti, donano a lui soltanto limpidi aspetti12. Egli aveva, la notte prima13, nella tenda di Tarquinio, schiuso lo scrigno del proprio stato beato14, l’inestimabile ricchezza concessagli dai cieli: il possesso della bellissima sposa, fortuna valutata a tal tasso di vanto15, che i re possono esser sposati, sì, alla fama ma nessun re o pari a una tal donna senza pari.
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O happiness enjoyed but of a few, And, if possessed, as soon decayed and done As is the morning’s silver melting dew Against the golden splendour of the sun, An expired date cancelled ere well begun! Honour and beauty in the owner’s arms Are weakly fortressed from a world of harms. Beauty itself doth of itself persuade The eyes of men without an orator. What needeth then apology be made To set forth that which is so singular? Or why is Collatine the publisher Of that rich Jewel he should keep unknown From thievish ears, because it is his own? Perchance his boast of Lucrece’ sov’reignty Suggested this proud issue of a king, For by our ears our hearts oft tainted be. Perchance that envy of so rich a thing, Braving compare, disdainfully did sting His high-pitched thoughts, that meaner men should vaunt That golden hap which their superiors want. But some untimely thought did instigate His all-too-timeless speed, if none of those. His honour, his affairs, his friends, his state Neglected all, with swift intent he goes To quench the coal which in his liver glows. O rash false heat, wrapped in repentant cold, Thy hasty spring still blasts and ne’er grows old!
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Oh felicità invero da pochi goduta e, se posseduta, presto avvizzita e morta, pari alla molle, argentea rugiada del mattino che il sole colpisce d’un brillio dorato, scadenza prima raggiunta che concessa. Onore e beltà, tra le braccia di chi le possiede, sono mal difese fortezze16 contro un mondo di mali. La beltà stessa, senza un oratore, di sé persuade gli occhi dell’uomo. A che dunque pronunciarne l’apologia, onde abbellire ciò che già è sì raro? Perché mai Collatino s’è fatto banditore del ricco gioiello che, perché suo, occulto doveva preservare dagli orecchi di chi vorrà rubarlo?17 Fu il vanto, forse, dell’eccellenza di Lucrezia che male ispirò18 quell’altero figlio di re, perché è per l’udito che spesso si corrompe il cuore. L’invidia, forse, di sì raro, impareggiabile oggetto punse di sdegno l’arrogante suo pensiero: che uomini più vili possano vantare la fortuna dorata che manca ai superiori loro19. Se non questi, altro mal proprio pensiero istigò la furia che spazio e tempo ora divora; onore, uffici, condizione, amici: tutto egli trascura e con unico, spedito intento a spegner va l’incendio che il fegato20 gli arde21. Ahi, subito e vuoto ardore ravvolto in freddo rimorso22: avvizzirà incresciuta la tua precoce primavera!
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When at Collatium this false lord arrived, Well was he welcomed by the Roman dame, Within whose face beauty and virtue strived Which of them both should underprop her fame. When virtue bragged, beauty would blush for shame; When beauty boasted blushes, in despite Virtue would stain that or with silver white. But beauty, in that white entitulèd From Venus’ doves, doth challenge that fair field. Then virtue claims from beauty beauty’s red, Which virtue gave the golden age to gild Their silver cheeks, and called it then their shield, Teaching them thus to use it in the fight: When shame assailed, the red should fence the white. This heraldry in Lucrece’ face was seen, Argued by beauty’s red and virtue’s white. Of either’s colour was the other queen, Proving from world’s minority their right. Yet their ambition makes them still to fight, The sovereignty of either being so great That oft they interchange each other’s seat. This silent war of lilies and of roses Which Tarquin viewed in her fair face’s field In their pure ranks his traitor eye encloses, Where, lest between them both it should be killed, The coward captive vanquishèd doth yield To those two armies that would let him go Rather than triumph in so false a foe.
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Quando a Collazia 23 giunse l’infido signore con favore24 l’accolse la matrona romana, sul cui volto competono beltà e virtù, per dire al mondo chi le dia più fama. Se virtù sé lodava, arrossiva, modesta, beltà, e se beltà, lodata, arrossiva, indispettita virtù quel rosso tinge col bianco e con l’argento. Ma la beltà, che al bianco ha diritto per le colombe di Venere25, sfida quel bel campo, e da beltà virtù reclama il rosso di beltà, che virtù diede all’età dell’oro ché ne indorasse le loro argentee gote, chiamandolo loro scudo e loro insegnando a usarlo nella lotta: se il pudore attacca, il rosso protegge il bianco. Erano sul volto di Lucrezia queste araldiche insegne, espresse dal rosso di beltà e il bianco di virtù; di entrambi i colori ognuna era regina e dal principio dei tempi loro ne era il diritto; per ambizione però lottano sempre, esse, e grande è tanto la maestà d’entrambe che spesso l’una con l’altra si scambiano il seggio sovrano. La lotta silente dei gigli e delle rose, che Tarquinio vide sul campo del bel viso, tra i propri ranghi rinchiuse quegli occhi traditori, e là, temendo d’esser ucciso, il vinto prigioniero, codardo, s’arrende a entrambi gli eserciti, i quali lo vorrebbero in fuga piuttosto che trionfare su un nemico tanto falso.
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Now thinks he that her husband’s shallow tongue, The niggard prodigal that praised her so, In that high task hath done her beauty wrong, Which far exceeds his barren skill to show. Therefore that praise which Collatine doth owe Enchanted Tarquin answers with surmise In silent wonder of still-gazing eyes. This earthly saint adorèd by this devil Little suspecteth the false worshipper, For unstained thoughts do seldom dream on evil. Birds never limed no secret bushes fear, So guiltless she securely gives good cheer And reverent welcome to her princely guest, Whose inward ill no outward harm expressed, For that he coloured with his high estate, Hiding base sin in pleats of majesty, That nothing in him seemed inordinate Save sometime too much wonder of his eye, Which, having all, all could not satisfy, But poorly rich so wanteth in his store That, cloyed with much, he pineth still for more. But she that never coped with stranger eyes Could pick no meaning from their parling looks, Nor read the subtle shining secrecies Writ in the glassy margins of such books. She touched no unknown baits nor feared no hooks, Nor could she moralize his wanton sight More than his eyes were opened to the light.
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Ora egli pensa che la sterile lingua del marito, avaramente prodiga nel lodarla, nell’alto compito abbia fatto un torto alla beltà di lei, eccelsa troppo per il suo misero eloquio. E il debito di lode che a Collatino resta ora col pensiero Tarquinio incantato lo onora, con gli occhi fissi in muta meraviglia. Questa santa terrena, da questo diavolo adorata26, dell’infido adoratore non sospetta: i puri pensieri raramente immaginano il male; non teme le fratte l’uccello che mai provò la pania. Così, lieta e senza sospetto, l’innocente lo saluta e cortese l’ospite accoglie, quel principe la cui intima infamia in nulla traspariva. Egli la velava con l’alto suo stato, in pieghe di maestà ammantando il vile peccato, sì che nulla in lui appariva scomposto, se non, negli occhi, una troppo avida ammirazione: pur tutto avendo essi, non li saziava il tutto27. Ricco insieme e povero, indigente nella dovizia, brama egli d’avere di più e già è satollo. Ella, però, che mai incontrava occhi ignoti, di quegli sguardi eloquenti non colse il senso, non lesse i segreti che, sottili e lucenti, sono scritti sui chiari margini di certi libri28. Non sentì le esche celate, non temette gli ami, né interpretare29 poté quello sguardo lubrico: altro non vide se non occhi che si aprono alla luce.
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He stories to her ears her husband’s fame Won in the fields of fruitful Italy, And decks with praises Collatine’s high name Made glorious by his manly chivalry With bruisèd arms and wreaths of victory. Her joy with heaved-up hand she doth express, And wordless so greets heaven for his success. Far from the purpose of his coming thither He makes excuses for his being there. No cloudy show of stormy blust’ring weather Doth yet in his fair welkin once appear Till sable night, mother of dread and fear, Upon the world dim darkness doth display And in her vaulty prison stows the day. For then is Tarquin brought unto his bed, Intending weariness with heavy sprite; For after supper long he questionèd With modest Lucrece, and wore out the night. Now leaden slumber with life’s strength doth fight, And everyone to rest himself betakes Save thieves, and cares, and troubled minds that wakes. As one of which doth Tarquin lie revolving The sundry dangers of his will’s obtaining, Yet ever to obtain his will resolving, Though weak-built hopes persuade him to abstaining. Despair to gain doth traffic oft for gaining, And when great treasure is the meed proposed, Though death be adjunct, there’s no death supposed.
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Al suo orecchio egli narra la gloria del marito, vinta sui campi della fertile Italia, e l’alto nome di Collatino orna di lodi, come sia reso famoso da gesta virili, dalle armi ammaccate30, dai serti di vittoria. Gioia ella esprime levando le mani e del successo mute grazie rende al cielo. Lungi dal palesar lo scopo della sua venuta, egli si scusa anzi d’essere lì giunto. Nel cielo suo sereno31 non appare ancora la nube nunzia di burrasca e di rovina; vi sarà quando la notte tetra, madre del terrore32, sul mondo distenderà l’opaca oscurità e il giorno chiuderà nella sua arcuata cripta33. A letto è accompagnato poi Tarquinio34, il quale esausto si finge, ed assonnato; a lungo conversò, dopo la cena, con Lucrezia modesta e parte della notte è consumata. Plumbeo lotta il sonno con la forza e con la vita e ciascuno al riposo si avvia; ma non i ladri o gli assilli o le menti turbate: loro è la veglia! Tarquinio, uno tra loro, giace e tra di sé rivolta i molti rischi che porta l’appagare il suo volere; ma sempre al suo volere compiacer risolve. Parlano le malcerte speranze: ‘Raffrena!’ ‘Ottieni!’ gli insinua l’ansia di ottenere. E quando un gran tesoro è il premio ambito, non si pensa alla morte, se pur morte lo segua.
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Those that much covet are with gain so fond That what they have not, that which they possess, They scatter and unloose it from their bond, And so by hoping more they have but less, Or, gaining more, the profit of excess Is but to surfeit and such griefs sustain That they prove bankrupt in this poor-rich gain. The aim of all is but to nurse the life With honour, wealth, and ease in waning age, And in this aim there is such thwarting strife That one for all, or all for one, we gage, As life for honour in fell battle’s rage, Honour for wealth; and oft that wealth doth cost The death of all, and all together lost. So that, in vent’ring ill, we leave to be The things we are for that which we expect, And this ambitious foul infirmity In having much, torments us with defect Of that we have; so then we do neglect The thing we have, and all for want of wit Make something nothing by augmenting it. Such hazard now must doting Tarquin make, Pawning his honour to obtain his lust, And for himself himself he must forsake. Then where is truth if there be no self-trust? When shall he think to find a stranger just When he himself himself confounds, betrays To sland’rous tongues and wretched hateful days?
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Colui che molto brama avido è tanto d’altro che ciò che non ha, ossia ciò che possiede35, egli sparge e disperde e sciupa tanto che, sperando di più, possiede poi di meno; o, più ottenendo, il profitto dell’eccesso36 è mera sazietà e nutrice di pena; ed egli si rovina per guadagnare ciò che gli par poco. Fine d’ognuno è nutricare la vita d’onori, di ricchezze e d’agi, quando poi s’invecchia; per questo fine sosteniamo la frustrante lotta che ci fa porre a rischio una cosa per averne un’altra: la vita per l’onore in battaglie crude e feroci, l’onore per la ricchezza; e il prezzo della ricchezza spesso è la morte di tutto, e tutto va perduto. Sì che, malamente rischiando, lasciamo le cose che siamo per quelle che speriamo; e quest’infermità d’oscura ambizione, quando molto abbiamo, ci tormenta con ciò che manca a quanto abbiamo e, non considerando la cosa che abbiamo, per difetto di ragione, aumentandolo rendiamo un nulla il qualcosa che abbiamo37. Tale è l’azzardo di Tarquinio in delirio: arrischiare l’onore per soddisfare la foia: per appagare se stesso, deve perder se stesso! Ma dov’è la verità se di sé manca la fiducia? Quando mai troverà egli un uomo onesto quand’egli stesso sé stesso rovina e tradisce, consegnandosi alla calunnia e a giorni sventurati?
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Now stole upon the time the dead of night When heavy sleep had closed up mortal eyes. No comfortable star did lend his light, No noise but owls’ and wolves’ death-boding cries Now serves the season, that they may surprise The silly lambs. Pure thoughts are dead and still, While lust and murder wakes to stain and kill. And now this lustful lord leapt from his bed, Throwing his mantle rudely o’er his arm, Is madly tossed between desire and dread. Th’one sweetly flatters, th’other feareth harm, But honest fear, bewitched with lust’s foul charm, Doth too-too oft betake him to retire, Beaten away by brainsick rude desire. His falchion on a flint he softly smiteth, That from the cold stone sparks of fire do fly, Whereat a waxen torch forthwith he lighteth, Which must be lodestar to his lustful eye, And to the flame thus speaks advisedly: ‘As from this cold flint I enforced this fire, So Lucrece must I force to my desire.’ Here pale with fear he doth premeditate The dangers of his loathsome enterprise, And in his inward mind he doth debate What following sorrow may on this arise. Then, looking scornfully, he doth despise His naked armour of still-slaughtered lust, And justly thus controls his thoughts unjust:
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Trascorse il tempo e fonda fu la notte, chiusi nel sonno grave gli occhi dei mortali. Non v’è stella che dia benigna luce; non suono se non, nunzi di morte, gridi di lupi e gufi; è questa l’ora adatta a sorprendere i miti agnelli. Immoto e muto giace il retto pensiero; desti, a uccidere e guastare, sono delitto e foia38. E dal letto balzò l’infoiato signore, con atto brusco coprendosi d’un manto; pazzamente lo scuotono desiderio e terrore, ché l’uno lusinga, l’altro prospetta il male; ma l’onesta paura, stregata dal malo incanto della brama, se spesso, spesso vorrebbe indietreggiare, dal pazzo e bruto desiderio è poi travolta. Con la spada, piano, egli sfiora la selce39, sì che scoccano scintille dalla fredda pietra, e con esse egli accende una torcia di cera, che stella polare sarà all’occhio suo lascivo; e così, con piena intenzione, parla alla fiamma: ‘Come a forza dalla fredda selce io trassi il fuoco, così al mio desiderio forzerò Lucrezia!’40 E qui, pallido di paura, ripensa ancora ai perigli di quell’oscena impresa, e nell’intima mente egli dibatte sulle pene che a sé ne possono venire. Ma poi, con pieno spregio, egli disprezza la nuda corazza della foia che sé sempre consuma, ed equamente controlla gli iniqui suoi pensieri41.
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‘Fair torch, burn out thy light, and lend it not To darken her whose light excelleth thine; And die, unhallowed thoughts, before you blot With your uncleanness that which is divine. Offer pure incense to so pure a shrine. Let fair humanity abhor the deed That spots and stains love’s modest snow-white weed. ‘O shame to knighthood and to shining arms! O foul dishonour to my household’s grave! O impious act including all foul harms! A martial man to be soft fancy’s slave! True valour still a true respect should have; Then my digression is so vile, so base, That it will live engraven in my face. ‘Yea, though I die the scandal will survive And be an eyesore in my golden coat. Some loathsome dash the herald will contrive To cipher me how fondly I did dote, That my posterity, shamed with the note, Shall curse my bones and hold it for no sin To wish that I their father had not been. ‘What win I if I gain the thing I seek? A dream, a breath, a froth of fleeting joy. Who buys a minute’s mirth to wail a week, Or sells eternity to get a toy? For one sweet grape who will the vine destroy? Or what fond beggar, but to touch the crown, Would with the sceptre straight be strucken down?
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‘Consuma, viva torcia, la tua luce e non usarla a oscurare lei che la tua luce supera di molto; e voi perite, sconsacrati pensieri, prima di sporcare con la vostra lordura ciò che è divino. A un tempio sì puro offrite invece incensi. E che la vera umanità aborra un fatto che tanto macchia, e sporca, la candida veste del più puro amore. Ah, onta alla cavalleria e alle armi lucenti! Ah, buio disonore alla cripta di famiglia! Ah, empio atto che ha in sé ogni male! Io, un soldato, schiavo ai molli capricci d’amore!42 Il vero valore dovrebbe mostrare un vero ossequio, e allora è bassa, è vile la mia perversione e sul mio volto essa vivrà, scolpita43. Sì, io morrò, ma sopravviverà lo scandalo e la divisa mia, dorata, chiazzerà. L’araldo inventerà un segno disgustoso che me indicherà qual vaneggiante, e folle, sì che i posteri miei, macchiati da quel segno, malediranno le mie ossa e non riterranno peccato desiderare che mai fosse nato il padre loro44. Che vinco mai se ottengo ciò che cerco?45 Un alito, un sogno, la spuma d’una gioia che si fugge. Chi compra un minuto di gioia per piangere più giorni? Chi vende mai l’eterno in cambio di un balocco? O per un sol grappolo dolce, chi distrugge la vigna? Qual pazzo mendico, solo per toccar la corona, dallo scettro vorrebbe essere poi subito abbattuto?
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‘If Collatinus dream of my intent Will he not wake, and in a desp’rate rage Post hither this vile purpose to prevent? — This siege that hath engirt his marriage, This blur to youth, this sorrow to the sage, This dying virtue, this surviving shame, Whose crime will bear an ever-during blame. ‘O what excuse can my invention make When thou shalt charge me with so black a deed? Will not my tongue be mute, my frail joints shake, Mine eyes forgo their light, my false heart bleed? The guilt being great, the fear doth still exceed, And extreme fear can neither fight nor fly, But coward-like with trembling terror die. ‘Had Collatinus killed my son or sire, Or lain in ambush to betray my life, Or were he not my dear friend, this desire Might have excuse to work upon his wife As in revenge or quittal of such strife. But as he is my kinsman, my dear friend, The shame and fault finds no excuse nor end. ‘Shameful it is — ay, if the fact be known. Hateful it is — there is no hate in loving. I’ll beg her love — but she is not her own. The worst is but denial and reproving; My will is strong past reason’s weak removing. Who fears a sentence or an old man’s saw Shall by a painted cloth be kept in awe.’
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Se del mio intento Collatino sogna, non si ridesterà? Qui non si affretterà46 con furia disperata, a prevenire quest’atto vile? Quest’assedio che cinge ora le sue nozze, questo scempio alla gioventù, e pena ai saggi, questa virtù che muore, quest’onta che vivrà e il cui delitto porterà vergogna eterna! Ah, quale scusa inventerà la fantasia quando m’accuserai47 d’un fallo tanto nero? Non starà muta la mia lingua, non tremerà ogni mia fibra, non avrò spenti gli occhi, non sanguinerà questo cuore bugiardo? Quando grave è la colpa, più grande è la paura, e l’estrema paura non può lottare, non può volare ma solo, codarda, tremante di terrore, può morire! Avesse Collatino ucciso il padre, il figlio mio, se avesse in un agguato posto a rischio la mia vita, se caro amico non mi fosse, questa mia brama motivo avrebbe d’avventarsi su sua moglie, a vendetta o rivalsa del mal fatto. Ma egli mi è parente48, egli mi è caro amico: né scusa né scopo hanno la colpa e l’onta. È un atto vergognoso; se sarà risaputo, ah, che atto odioso! Ma non v’è odio nell’amare. Amore implorerò … ma ella a sé non più appartiene49. Rifiuterà, sì, redarguirà; ma il mio volere è forte più del fragile opporsi di ragione50. Chi teme una sentenza o l’adagio di un vecchio avrà terrore di ogni telo che è dipinto’51.
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Thus graceless holds he disputation ’Tween frozen conscience and hot-burning will, And with good thoughts makes dispensation, Urging the worser sense for vantage still; Which in a moment doth confound and kill All pure effects, and doth so far proceed That what is vile shows like a virtuous, deed. Quoth he, ‘She took me kindly by the hand, And gazed for tidings in my eager eyes, Fearing some hard news from the warlike band Where her belovèd Collatinus lies. O how her fear did make her colour rise! First red as roses that on lawn we lay, Then white as lawn, the roses took away. ‘And how her hand, in my hand being locked, Forced it to tremble with her loyal fear, Which struck her sad, and then it faster rocked Until her husband’s welfare she did hear, Whereat she smilèd with so sweet a cheer That had Narcissus seen her as she stood Self-love had never drowned him in the flood. ‘Why hunt I then for colour or excuses? All orators are dumb when beauty pleadeth. Poor wretches have remorse in poor abuses; Love thrives not in the heart that shadows dreadeth; Affection is my captain, and he leadeth, And when his gaudy banner is displayed, The coward fights, and will not be dismayed.
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Empiamente52, tra sé e sé, egli fa disputare agghiacciata coscienza e volere fiammante, e sé dispensa dai buoni pensieri, volgendo il senso peggiore a proprio vantaggio; e ciò, in un soffio, distrugge e uccide ogni pensiero puro; e tanto in là si spinge che l’atto vile a lui si mostra qual atto virtuoso. Disse: ‘Gentilmente mi prese la mano e notizia cercò, negli occhi miei accesi, temendo qualche male tra i soldati in lotta, là dov’è anche Collatino, a lei sì caro. Ah, i mutevoli colori che il timore le diede! Il rosso delle rose che su un lino poniamo, poi il bianco del lino quando tolte sono le rose. E come la sua mano, stretta nella mia, la mia forzò a tremare col leale suo timore! Ella mesta si fece, più forte fremette la mano sinché udito non ebbe: Egli sta bene! E sorrise allora con un riso sì beato che se vista l’avesse Narciso in quell’istante, per amor di sé non si sarebbe nell’acqua affogato53. Perché inseguo io scuse, perché pretesti? Ammutisce l’oratore se perora Beltà54; solo ai vili rimordono le colpe lievi e amore non prospera in un cuore che teme un’ombra. Mio capitano, mia guida è la passione e, quando nel vento ne sarà lo sgargiante stendardo, anche il codardo lotterà e non sarà sgomento.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Then childish fear avaunt, debating die, Respect and reason wait on wrinkled age! My heart shall never countermand mine eye, Sad pause and deep regard beseems the sage. My part is youth, and beats these from the stage. Desire my pilot is, beauty my prize. Then who fears sinking where such treasure lies?’ As corn o’ergrown by weeds, so heedful fear Is almost choked by unresisted lust. Away he steals, with open list’ning ear, Full of foul hope and full of fond mistrust, Both which as servitors to the unjust So cross him with their opposite persuasion That now he vows a league, and now invasion. Within his thought her heavenly image sits, And in the selfsame seat sits Collatine. That eye which looks on her confounds his wits, That eye which him beholds, as more divine, Unto a view so false will not incline, But with a pure appeal seeks to the heart, Which once corrupted, takes the worser part, And therein heartens up his servile powers Who, flattered by their leader’s jocund show, Stuff up his lust as minutes fill up hours, And as their captain, so their pride doth grow, Paying more slavish tribute than they owe. By reprobate desire thus madly led The Roman lord marcheth to Lucrece’ bed.
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Dissolviti, paura di bimbo; dispute, morite! Prudenza e ragione servono l’età matura: mai indocile all’occhio sarà il mio cuore. Ai saggi s’addice la gravità che esita e rispetta, ma gioventù è il mio ruolo, e dal palco essa la scaccia. M’è pilota il desiderio, la beltà è il mio bottino: chi teme d’affondare se un tesoro giace al fondo?’ Come il grano dalle male erbe, così l’accorta paura quasi è soffocata dall’irrefrenabile lussuria. Egli cammina cauto, attento a ogni rumore, pieno d’empia speranza e di pazza sfiducia, servitrici entrambi di quell’iniquo; esse tanto lo tengono incerto con opposte persuasioni ch’egli ora una tregua vorrebbe, ora un’invasione. Gli siede nella mente l’immagine di lei, celeste, e sullo stesso scranno Collatino siede. L’occhio che guarda lei la mente gli confonde, l’occhio che osserva lui, essendo più divino55, a distorta visione non si piega e un puro appello rivolge al suo cuore; ma questo, ormai corrotto, prende la via peggiore, e ivi i propri bassi istinti rincuora, i quali, blanditi dal gaio aspetto del loro duce, gli inturgidiscono la brama, come i minuti un’ora56, e in loro, come nel capitano, cresce l’orgoglio ed essi pagano un tributo più alto del dovuto. Pazzo, e sospinto da reproba brama, marcia il duce romano verso il letto di Lucrezia.
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THE RAPE OF LUCRECE
The locks between her chamber and his will, Each one by him enforced, retires his ward; But as they open they all rate his ill, Which drives the creeping thief to some regard. The threshold grates the door to have him heard, Night-wand’ring weasels shriek to see him there. They fright him, yet he still pursues his fear. As each unwilling portal yields him way, Through little vents and crannies of the place The wind wars with his torch to make him stay, And blows the smoke of it into his face, Extinguishing his conduct in this case. But his hot heart, which fond desire doth scorch, Puffs forth another wind that fires the torch, And being lighted, by the light he spies Lucretia’s glove wherein her needle sticks. He takes it from the rushes where it lies, And gripping it, the needle his finger pricks, As who should say ‘This glove to wanton tricks Is not inured. Return again in haste. Thou seest our mistress’ ornaments are chaste.’ But all these poor forbiddings could not stay him; He in the worst sense consters their denial. The doors, the wind, the glove that did delay him He takes for accidental things of trial, Or as those bars which stop the hourly dial, Who with a ling’ring stay his course doth let Till every minute pays the hour his debt.
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I chiavistelli tra la camera di lei e il volere di lui, da lui forzati, cedono i risalti ad uno ad uno, ma mentre s’aprono sgridano il suo male intento; più cauto avanza allora quel furtivo ladro. La porta gratta sulla soglia, sì che altrui lo oda, vedendolo stridono le notturne donnole erranti 57. Egli ne ha terrore ma, in compagnia della paura, avanza. Al suo passaggio s’apre, restio, ogni portale e, per gli interstizi e le fessure del luogo, per avversarlo lotta il vento con la torcia, e sulla faccia gliene soffia il fumo, spegnendo a tratto a tratto la sua guida; ma il cuore ardente, bruciato dalla pazza brama, emette un altro vento che la torcia alimenta. E a quella luce scorge, illuminato, il guanto di Lucrezia, con infisso l’ago. Ai giunchi 58 lo toglie, là dov’è posato e, nell’afferrarlo, l’ago gli punge il dito, quasi dicesse: ‘Non è avvezzo questo guanto a giochi di lascivia; torna indietro in fretta! Vedi che sono casti gli oggetti della mia padrona’. Ma non lo trattengono questi piccoli inciampi. Malignamente egli ne interpreta il diniego: le porte il guanto il vento che lo frenano egli legge come accidenti che lo mettono alla prova o come le lancette che intralciano le ore: col loro indugio, ne impediscono il corso, sinché ogni minuto non paghi il suo debito all’ora.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘So, so,’ quoth he, ‘these lets attend the time, Like little frosts that sometime threat the spring To add a more rejoicing to the prime, And give the sneaped birds more cause to sing. Pain pays the income of each precious thing. Huge rocks, high winds, strong pirates, shelves, and sands The merchant fears, ere rich at home he lands.’ Now is he come unto the chamber door That shuts him from the heaven of his thought, Which with a yielding latch, and with no more, Hath barred him from the blessèd thing he sought. So from himself impiety hath wrought That for his prey to pray he doth begin, As if the heavens should countenance his sin. But in the midst of his unfruitful prayer Having solicited th’eternal power That his foul thoughts might compass his fair fair, And they would stand auspicious to the hour, Even there he starts. Quoth he, ‘I must deflower. The powers to whom I pray abhor this fact; How can they then assist me in the act? ‘Then love and fortune be my gods, my guide! My will is backed with resolution. Thoughts are but dreams till their effects be tried; The blackest sin is cleared with absolution. Against love’s fire fear’s frost hath dissolution. The eye of heaven is out, and misty night Covers the shame that follows sweet delight.’
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Disse: ‘Sono inciampi che appartengono al tempo, come la brina che a tratti minaccia primavera, solo per dar più gioia ai fiori poi, e agli uccelli infreddoliti dare motivo di più canto. Ogni cosa preziosa paga un dazio al dolore: immani scogli, burrasche, pirati, secche e sabbie teme il mercante che poi ricco se ne torna a casa.’ Ecco, ora è giunto alla camera, alla porta, a ciò che gli sbarra il cielo ch’egli pensa; un chiavistello che s’arrende, nulla più, si frappone alla beatitudine che cerca. L’empietà tanto da sé lo ha diviso che prende a pregare, sì, per ottener la preda, quasi i cieli favorire potessero il peccato. Ma nel mezzo di quella sterile preghiera, mentr’egli le potenza eterne implora che il malo suo pensiero abbracci quella bella donna e ch’esse a lui si mostrino propizie, egli trasale e dice: ‘Deflorare debbo; e le potenze che prego aborrono il fatto: come in quest’atto mai m’assisteranno? Mi siano guide e dei, allora, Fortuna e Amore. Il mio volere è risoluto, è forte; sinché non sono atto, sogni sono i pensieri; l’assoluzione lava il peccato più nero; all’amoroso fuoco dissolve il gelo del timore. Spento è l’occhio del cielo59 e la notte fosca vela l’onta che segue al dolce, oh dolce piacere’.
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This said, his guilty hand plucked up the latch, And with his knee the door he opens wide. The dove sleeps fast that this night-owl will catch. Thus treason works ere traitors be espied. Who sees the lurking serpent steps aside, But she, sound sleeping, fearing no such thing, Lies at the mercy of his mortal sting. Into the chamber wickedly he stalks, And gazeth on her yet-unstainèd bed. The curtains being close, about he walks, Rolling his greedy eye-balls in his head. By their high treason is his heart misled, Which gives the watchword to his hand full soon To draw the cloud that hides the silver moon. Look as the fair and fiery-pointed sun Rushing from forth a cloud bereaves our sight, Even so, the curtain drawn, his eyes begun To wink, being blinded with a greater light. Whether it is that she reflects so bright That dazzleth them, or else some shame supposed, But blind they are, and keep themselves enclosed. O had they in that darksome prison died, Then had they seen the period of their ill. Then Collatine again by Lucrece’ side In his clear bed might have reposèd still. But they must ope, this blessèd league to kill, And holy-thoughted Lucrece to their sight Must sell her joy, her life, her world’s delight.
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Disse; e, posta la mano rea al saliscendi, col ginocchio spinge la porta; e l’apre. Dorme la colomba che questo gufo ghermirà. Si attua il tradimento prima che visto sia il traditore! Scarta di lato chi scorge la serpe in agguato, ma lei, che placida dorme e nulla teme, alla mercé rigiace del morso suo, mortale. Maligno avanza l’uomo nella stanza, e fissa quel letto, immacolato ancora. Chiuse ne sono le cortine; egli vi gira attorno e non fissi nelle orbite stanno gli avidi suoi occhi. Dal loro tradimento traviato è il cuore e questi alla mano ingiunge e comanda: ‘Scosta la nube che cela l’argentea luna!’ Come quando il bel sole lacera una nube e dardeggiando fuoco ci abbacina la vista, così, scostata la cortina, gli occhi di lui, accecati da una più viva luce, si serrano. Forse è il riflesso di lei, lucente, che gli occhi abbaglia, forse la figurata infamia; ma ciechi sono ed essi stanno chiusi. Ah, fossero morti in quell’oscura cella, avrebbero visto la fine della propria infamia. Collatino, ancora, al fianco di Lucrezia, in letto immacolato avrebbe riposato! Ma essi debbono aprirsi, uccidere la sacra unione, e a loro Lucrezia, che ha pensieri puri, deve vendere e gioia e vita; e il piacere del suo mondo.
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THE RAPE OF LUCRECE
Her lily hand her rosy cheek lies under, Coz’ning the pillow of a lawful kiss, Who therefore angry seems to part in sunder, Swelling on either side to want his bliss; Between whose hills her head entombèd is, Where like a virtuous monument she lies To be admired of lewd unhallowed eyes. Without the bed her other fair hand was, On the green coverlet, whose perfect white Showed like an April daisy on the grass, With pearly sweat resembling dew of night. Her eyes like marigolds had sheathed their light, And canopied in darkness sweetly lay Till they might open to adorn the day. Her hair like golden threads played with her breath — O modest wantons, wanton modesty! — Showing life’s triumph in the map of death, And death’s dim look in life’s mortality. Each in her sleep themselves so beautify As if between them twain there were no strife, But that life lived in death, and death in life. Her breasts like ivory globes circled with blue, A pair of maiden worlds unconquerèd, Save of their lord no bearing yoke they knew, And him by oath they truly honourèd. These worlds in Tarquin new ambition bred, Who like a foul usurper went about From this fair throne to heave the owner out.
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Giace la mano liliale sotto la rosea guancia, sottraendo al guanciale il bacio dovuto, ed esso, con rabbia, pare che in due si divida; e, privo del suo piacere, ai due lati si gonfia e tra i due dossi giace il capo di lei, sepolto, e là, effigie di virtù, ella riposa, prona all’ammirazione d’impuri occhi lascivi. Fuori del letto era l’altra sua bella mano, sulla verde coltre, e il bianco suo, perfetto, era come margherita d’aprile tra l’erba, con stille di sudore pari a rugiada della notte. Come calendule60, gli occhi celavano la loro luce e, sotto il buio baldacchino, dolcemente giacevano in attesa d’ornare, aprendosi, il giorno. Col respiro giocavano i fi li d’oro dei capelli, modesti e lascivi: oh, lascivamente modesti! In un’effigie di morte mostrano il trionfo della vita e, nella mortalità della vita, il viso opaco della morte. Entrambe erano sì belle in quel suo sonno quasi che lotta mai fosse tra loro, e in morte vita vivesse, e morte in vita61. Come eburnei globi cerchiati d’azzurro, i seni erano vergini mondi non conquistati mai62; altro giogo non sanno se non dello sposo, ché, per promessa, solo a lui danno fedele onore. Per Tarquinio quei mondi sono un’ambizione nuova: e, quale usurpatore crudo, ecco cospira per cacciare da quel bel trono il legittimo re.
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What could he see but mightily he noted? What did he note but strongly he desired? What he beheld, on that he firmly doted, And in his will his wilful eye he tired. With more than admiration he admired Her azure veins, her alabaster skin, Her coral lips, her snow-white dimpled chin. As the grim lion fawneth o’er his prey, Sharp hunger by the conquest satisfied, So o’er this sleeping soul doth Tarquin stay, His rage of lust by gazing qualified, Slaked not suppressed for standing by her side. His eye which late this mutiny restrains Unto a greater uproar tempts his veins, And they like straggling slaves for pillage fighting, Obdurate vassals fell exploits effecting, In bloody death and ravishment delighting, Nor children’s tears nor mothers’ groans respecting, Swell in their pride, the onset still expecting. Anon his beating heart, alarum striking, Gives the hot charge, and bids them do their liking. His drumming heart cheers up his burning eye, His eye commends the leading to his hand. His hand, as proud of such a dignity, Smoking with pride marched on to make his stand On her bare breast, the heart of all her land, Whose ranks of blue veins as his hand did scale Left their round turrets destitute and pale.
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Quant’egli vide violentemente annota; quanto notò ardentemente brama; quant’osservò fu esca alla passione: e volendo già strema il volitivo sguardo. Con più che ammirazione egli rimira le vene azzurre, la pelle d’alabastro, le labbra di corallo, il niveo mento leggiadro. Come sulla preda si bea, feroce, il leone quando, vincitore, l’acuta fame ha vinto, così resta Tarquinio su quell’anima che dorme e tempera, riguardando, la furiosa brama. La mitiga ma non l’annulla, ché là, al suo fianco, gli occhi che prima trattennero l’assalto a ben più aspro tumulto tentano le vene. Ed esse, soldataglia pronta al saccheggio, bruti vassalli proni ad efferati atti, le cui delizie sono sangue morte e rapina, sordi a lacrime e pianti di donne e di bambini, si gonfiano d’arroganza e attendono l’attacco. Ed ecco, il cuore gli batte forte e grida: ‘All’armi!’; dà l’ordine e comanda: ‘Seguite il piacer vostro!’ Il cuore, come un tamburo, incita gli occhi ardenti, gli occhi alla mano affidano il comando; e quella mano, come superba di sì alta dignità, d’orgoglio ribollendo, marciò per poi posare sul nudo petto di lei63, cuore di quel paese; e mentre la mano avanza, retrocedono i ranghi delle azzurre vene, lasciando sguarnite le pallide e tonde torri.
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They, must’ring to the quiet cabinet Where their dear governess and lady lies, Do tell her she is dreadfully beset, And fright her with confusion of their cries. She much amazed breaks ope her locked-up eyes, Who, peeping forth this tumult to behold, Are by his flaming torch dimmed and controlled. Imagine her as one in dead of night From forth dull sleep by dreadful fancy waking, That thinks she hath beheld some ghastly sprite Whose grim aspect sets every joint a-shaking. What terror ’tis! But she in worser taking, From sleep disturbed, heedfully doth view The sight which makes supposèd terror true. Wrapped and confounded in a thousand fears, Like to a new-killed bird she trembling lies. She dares not look, yet, winking, there appears Quick-shifting antics, ugly in her eyes. Such shadows are the weak brain’s forgeries, Who, angry that the eyes fly from their lights, In darkness daunts them with more dreadful sights. His hand that yet remains upon her breast — Rude ram, to batter such an ivory wall — May feel her heart, poor citizen, distressed, Wounding itself to death, rise up and fall, Beating her bulk, that his hand shakes withal. This moves in him more rage and lesser pity To make the breach and enter this sweet city.
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Essi, rifugiandosi nello stanzino quieto64 dove giace la loro amata signora e padrona, l’avvisano dell’assedio, che è tremendo, e confusamente gridando le infondono terrore. Ella spalanca, sobbalzando, gli occhi serrati che ansiosi subito cercano la causa del tumulto; li abbacina, però, li acceca quella torcia in fiamme. A lei pensate come a donna che, nel mezzo della notte, tratta dal grave sonno da un sogno che atterrisce, pensa di vedere un orrido fantasma, feroce aspetto che la scuote in ogni fibra. Ahi, qual terrore! Ma in qual maggiore subbuglio, lei, che, strappata al sonno, scorge, cosciente, ciò che già vero rende il terrore presunto. Da mille paure avvolta, da esse sopraffatta, giace ella e trema, come uccello che muore. Guardare non osa ma, se schiude appena gli occhi, mutevoli figure le appaiono, brutte alla vista. Ombre, finzioni della fragile mente che, irata con gli occhi che ricusano la luce, con più tremendi aspetti nel buio li atterriscono. Là, ferma sul suo petto, la mano di lui, (ariete duro per abbattere eburnee mura!) sente sconvolto il cuore, sgomento cittadino, che, ferendosi a morte, s’innalza e poi ricade, scuotendole il corpo, tanto che ne trema quella mano. Questo in lui accende non pietà ma furia d’aprirsi una breccia ed entrare nella città felice.
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THE RAPE OF LUCRECE
First like a trumpet doth his tongue begin To sound a parley to his heartless foe, Who o’er the white sheet peers her whiter chin, The reason of this rash alarm to know, Which he by dumb demeanour seeks to show. But she with vehement prayers urgeth still Under what colour he commits this ill. Thus he replies: ‘The colour in thy face, That even for anger makes the lily pale And the red rose blush at her own disgrace, Shall plead for me and tell my loving tale. Under that colour am I come to scale Thy never-conquered fort. The fault is thine, For those thine eyes betray thee unto mine. ‘Thus I forestall thee, if thou mean to chide: Thy beauty hath ensnared thee to this night, Where thou with patience must my will abide, My will that marks thee for my earth’s delight, Which I to conquer sought with all my might. But as reproof and reason beat it dead, By thy bright beauty was it newly bred. ‘I see what crosses my attempt will bring, I know what thorns the growing rose defends; I think the honey guarded with a sting; All this beforehand counsel comprehends. But will is deaf, and hears no heedful friends. Only he hath an eye to gaze on beauty, And dotes on what he looks, ’gainst law or duty.
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La sua lingua, come fosse tromba, inizia a parlamentare col nemico scorato, il quale dal lino bianco sporge un più bianco volto, onde sapere il perché di questo brusco assalto, ch’egli con gesti muti cerca di rappresentare. Con preghi veementi ella lo sollecita a dire sotto il vessillo di chi egli commetta il male. Così egli risponde: ‘Il colore del tuo volto, che il giglio rende pallido di rabbia e, per l’umiliazione, fa arrossire la rosa rossa, perorando dirà per me la mia amorosa storia. Per quel colore io venni a scalare le mura del tuo forte, che fu sempre invitto: è tua la colpa, perché i tuoi occhi ti consegnano ai miei! I tuoi rimproveri io qui prevengo: la tua beltà ti rese prigioniera in questa notte; qui, ora, obbedirai paziente al mio volere, volere che te trasceglie a mia terrena delizia; di dominarlo cercai con tutto il mio potere e se rampogna e ragione pur l’uccisero, risorgere lo fece la fulgente tua bellezza! Vedo i gran danni che quest’assalto arrecherà; so quali spine difendono la rosa che sboccia, conosco il pungiglione che protegge il miele; appieno la mente ravvisa e anticipa ciò che sarà. Ma sordo è il volere, non porge orecchio al cauto amico; ha solo occhi per ammirare la beltà; e ciò che vede, contro la legge ed il dovere brama.
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Shakespeare IV.indb 2305
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THE RAPE OF LUCRECE
‘I have debated even in my soul What wrong, what shame, what sorrow I shall breed; But nothing can affection’s course control, Or stop the headlong fury of his speed. I know repentant tears ensue the deed, Reproach, disdain, and deadly enmity, Yet strive I to embrace mine infamy.’ This said, he shakes aloft his Roman blade, Which like a falcon tow’ring in the skies Coucheth the fowl below with his wings’ shade Whose crooked beak threats, if he mount he dies. So under his insulting falchion lies Harmless Lucretia, marking what he tells With trembling fear, as fowl hear falcons’ bells. ‘Lucrece,’ quoth he, ‘this night I must enjoy thee. If thou deny, then force must work my way, For in thy bed I purpose to destroy thee. That done, some worthless slave of thine I’ll slay To kill thine honour with thy life’s decay; And in thy dead arms do I mean to place him, Swearing I slew him seeing thee embrace him. ‘So thy surviving husband shall remain The scornful mark of every open eye, Thy kinsmen hang their heads at this disdain, Thy issue blurred with nameless bastardy, And thou, the author of their obloquy, Shalt have thy trespass cited up in rhymes And sung by children in succeeding times.
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A lungo dibattei, nel fondo dell’anima, il male l’onta la pena cui darò vita, ma nulla più arresta ormai l’impeto e la brama; nulla, no, nulla questa furia precipite raffrena. Seguiranno, lo so, al mio atto, lacrime pentite, e rimbrotti e sdegni e mortale nemistà: ma la mia infamia, ah!, io ardo d’abbracciare!’ Disse; e in alto scuote la lama romana che, come un falco che nel cielo si libra, atterrisce la preda all’ombra delle ali, minacciandole morte con l’arcuato becco se essa volerà; così, sotto quella spada che oltraggia, giace l’innocente Lucrezia e l’ascolta, tremante di paura come quando la preda ode i campanelli del falco. ‘Lucrezia’ disse ‘io debbo stanotte goderti. Se tu ricusi, la forza m’aprirà la via; lo giuro: t’ammazzerò su questo letto, e poi ucciderò un infimo tuo schiavo, per annientarti insieme e vita e onore; fra le tue morte braccia intendo porlo, giurando d’averlo ucciso perché stringerti lo vidi. E tuo marito sarà, per la vita che gli resta, oggetto di scherno a chi lo guardi; a capo chino andranno i tuoi parenti, vergognosi, e bastardi senza nome saranno marchiati i tuoi figli; e tu, autrice dell’onta che li macchia, sarai con la tua colpa messa in rime che i bimbi canteranno nel tempo che verrà.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘But if thou yield, I rest thy secret friend. The fault unknown is as a thought unacted. A little harm done to a great good end For lawful policy remains enacted. The poisonous simple sometime is compacted In a pure compound; being so applied, His venom in effect is purified. ‘Then for thy husband and thy children’s sake Tender my suit; bequeath not to their lot The shame that from them no device can take, The blemish that will never be forgot, Worse than a slavish wipe or birth-hour’s blot; For marks descried in men’s nativity Are nature’s faults, not their own infamy.’ Here with a cockatrice’ dead-killing eye He rouseth up himself, and makes a pause, While she, the picture of pure piety, Like a white hind under the gripe’s sharp claws, Pleads in a wilderness where are no laws To the rough beast that knows no gentle right, Nor aught obeys but his foul appetite. But when a black-faced cloud the world doth threat, In his dim mist th’aspiring mountains hiding, From earth’s dark womb some gentle gust doth get Which blows these pitchy vapours from their biding, Hind’ring their present fall by this dividing; So his unhallowed haste her words delays, And moody Pluto winks while Orpheus plays.
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LUCREZIA VIOLATA
Se invece cedi, sarò l’amico tuo segreto: la colpa ignota è un pensiero che non si è reso atto. Un torto lieve compiuto per un fine buono sempre come legittimo sarà approvato. Un’essenza velenosa, a volte, è unita a una miscela pura e, quand’è usata, annullato è l’effetto del veleno. Concedi dunque, per amore di marito e figli, ciò che io chiedo. Al loro futuro non lasciare l’onta che nessun mezzo poi potrà lavare, la macchia che nessuno scorderà giammai, acre più del marchio d’uno schiavo, o d’una voglia, perché dei segni che alla nascita riceve un uomo è colpevole natura, non la sua infamia’. Qui, con occhi ferali di basilisco65, egli si erge ed un momento sosta, mentr’ella, compassionevole figura, come candida cerva tra le grinfie del grifone66, implora, in un deserto senza legge, la cruda bestia che non sa il nobile diritto, e solo è prona al sordido appetito. Come quando una nube nera minaccia il mondo e tra nebbie oscure cela gli alti monti e dall’atro ventre della terra spira un soffio lene che dal loro luogo caccia quei vapori di pece e, disperdendoli, ne impedisce la presta caduta: così, parlando, ella ritarda la sua fretta oscena e il cupo Plutone chiude gli occhi quando suona Orfeo67.
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THE RAPE OF LUCRECE
Yet, foul night-waking cat, he doth but dally While in his holdfast foot the weak mouse panteth. Her sad behaviour feeds his vulture folly, A swallowing gulf that even in plenty wanteth. His ear her prayers admits, but his heart granteth No penetrable entrance to her plaining. Tears harden lust, though marble wear with raining. Her pity-pleading eyes are sadly fixed In the remorseless wrinkles of his face. Her modest eloquence with sighs is mixed, Which to her oratory adds more grace. She puts the period often from his place, And midst the sentence so her accent breaks That twice she doth begin ere once she speaks. She conjures him by high almighty Jove, By knighthood, gentry, and sweet friendship’s oath, By her untimely tears, her husband’s love, By holy human law and common troth, By heaven and earth and all the power of both, That to his borrowed bed he make retire, And stoop to honour, not to foul desire. Quoth she, ‘Reward not hospitality With such black payment as thou hast pretended. Mud not the fountain that gave drink to thee; Mar not the thing that cannot be amended; End thy ill aim before thy shoot be ended. He is no woodman that doth bend his bow To strike a poor unseasonable doe.
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Egli, però, maligno gatto nottivago, si trastulla mentre tra le sue grinfie ansima il topo; molto la doglia di lei nutre la sua foga d’avvoltoio, abisso di brama che, pur sazio, ancora vuole. All’orecchio gli giungono le preci, ma il cuore non concede ingresso a quei lamenti: se la pioggia scava il marmo, il pianto indurisce la voglia. Gli occhi di lei, che implorano pietà, sono fissi su quel volto, che è torvo e spietato. All’umile eloquenza ella unisce sospiri, che grazia aggiungono alla sua oratoria. Spesso, pone malamente il punto fermo e il discorso interrompe a metà frase, sì che due volte inizia prima di parlare. Per l’alto, onnipotente Giove lo scongiura, per la cavalleria, la nobiltà, l’amicizia che dolce lega, per quelle lacrime non dovute, per l’amore del marito, per la sacra legge umana e l’umana lealtà, per il cielo, per la terra, per il potere d’entrambi, di far ritorno al letto che gli è stato offerto e d’inchinarsi all’onore, non alla sudicia lussuria. Disse: ‘Non compensare l’ospitalità col nero pagamento che hai proposto; non infangare la fonte che t’abbeverò68, ciò non sciupare che più non s’aggiusta; muta la mira prava prima di scoccare il colpo. Non piega l’arco un vero cacciatore per colpire, fuori stagione, il daino indifeso.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘My husband is thy friend; for his sake spare me. Thyself art mighty; for thine own sake leave me; Myself a weakling; do not then ensnare me. Thou look’st not like deceit; do not deceive me. My sighs like whirlwinds labour hence to heave thee. If ever man were moved with woman’s moans, Be movèd with my tears, my sighs, my groans. ‘All which together, like a troubled ocean, Beat at thy rocky and wreck-threat’ning heart To soften it with their continual motion, For stones dissolved to water do convert. O, if no harder than a stone thou art, Melt at my tears, and be compassionate. Soft pity enters at an iron gate. ‘In Tarquin’s likeness I did entertain thee. Hast thou put on his shape to do him shame? To all the host of heaven I complain me. Thou wrong’st his honour, wound’st his princely name. Thou art not what thou seem’st, and if the same, Thou seem’st not what thou art, a god, a king, For kings like gods should govern everything. ‘How will thy shame be seeded in thine age When thus thy vices bud before thy spring? If in thy hope thou dar’st do such outrage, What dar’st thou not when once thou art a king? O be remembered, no outrageous thing From vassal actors can be wiped away; Then kings’ misdeeds cannot be hid in clay.
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LUCREZIA VIOLATA
T’è amico mio marito; per amor suo, risparmiami! Tu sei possente: per amore di te, lasciami andare! Io sono debole: non mi porre in trappola! Non hai l’aspetto di chi inganna: non m’ingannare! Sono vortici i miei sospiri a sospingerti via: se mai uomo si mosse a querele di donna, ti muovano queste lacrime, i sospiri, i lamenti! Come turbato oceano essi, insieme, battono al tuo cuore, roccia che minaccia il naufragio, per ammollirlo con continuo moto: sé muta in acqua lo scoglio che si sbriciola! E se più di una pietra non sei duro, al pianto mio disciogli e mostra compassione: per un ferreo portale pur entra la pietà! T’accolsi perché avevi l’aspetto di Tarquinio: per dargli onta ne hai assunto la forma? Alle schiere celesti levo io il lamento: così ne sfregi tu l’onore, il principesco nome. Tu non sei ciò che appari69; e se lo sei non sembri ciò che sei, un dio, un re, perché i re, come dei, tutto governar dovrebbero. Negli anni tuoi, che mai genererà la tua vergogna se gemmano i tuoi vizi innanzi a primavera? Se ora, nell’attesa, osi tanto oltraggio, che mai non oserai quando sarai tu re? Ricorda: dilavare non si può la mala azione compiuta da persone di non alto rango; né l’argilla può celare gli errori dei re70.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘This deed will make thee only loved for fear, But happy monarchs still are feared for love. With foul offenders thou perforce must bear When they in thee the like offences prove. If but for fear of this, thy will remove; For princes are the glass, the school, the book Where subjects’ eyes do learn, do read, do look. ‘And wilt thou be the school where lust shall learn? Must he in thee read lectures of such shame? Wilt thou be glass wherein it shall discern Authority for sin, warrant for blame, To privilege dishonour in thy name? Thou back’st reproach against long-living laud, And mak’st fair reputation but a bawd. ‘Hast thou command? By him that gave it thee, From a pure heart command thy rebel will. Draw not thy sword to guard iniquity, For it was lent thee all that brood to kill. Thy princely office how canst thou fulfil When, patterned by thy fault, foul sin may say He learned to sin, and thou didst teach the way? ‘Think but how vile a spectacle it were To view thy present trespass in another. Men’s faults do seldom to themselves appear; Their own transgressions partially they smother. This guilt would seem death-worthy in thy brother. O, how are they wrapped in with infamies That from their own misdeeds askance their eyes!
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LUCREZIA VIOLATA
Se compi quest’azione, ti ameranno per paura71, ma per amore sono temuti i più felici re. Tollerare dovrai i più pravi malfattori, perché vedranno in te i delitti che sono i loro. Per questa paura, non volere ciò che vuoi! Perché i principi sono specchio, scuola, libro, dove ogni suddito legge, impara, guarda. Vuoi essere la scuola dove lascivia impara? Avrà da te lezioni di una tal vergogna? Vuoi essere lo specchio dove vedrà che il peccato è esempio, tollerata è l’infamia, che in nome tuo ha privilegi il disonore? Così, anteponi alla lode che dura il vituperio e trasformi il buon nome in un mezzano. Hai tu il comando? Per Lui che te lo diede72, con cuore puro comanda al volere ribelle. Non trarre la spada a guardia dell’iniquità, perché ti fu data per ucciderne la schiatta. Come compirai i doveri di un principe se, istruito dalla colpa, potrà l’osceno peccato dire: ‘Appreso il peccato, egli a me l’insegnò’? Pensa che vile spettacolo sarebbe vedere in altri il crimine che compi ora: a chi la commette, colpa non pare la colpa, e a sé questa sua violazione sminuisce e scusa. Questo delitto sarebbe degno di morte in tuo fratello: ahi, quanto è invischiato nell’abiezione chi distoglie lo sguardo dalle proprie infamie!
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THE RAPE OF LUCRECE
‘To thee, to thee my heaved-up hands appeal, Not to seducing lust, thy rash relier. I sue for exiled majesty’s repeal; Let him return, and flatt’ring thoughts retire. His true respect will prison false desire, And wipe the dim mist from thy doting eyne, That thou shalt see thy state, and pity mine.’ ‘Have done,’ quoth he; ‘my uncontrollèd tide Turns not, but swells the higher by this let. Small lights are soon blown out; huge fires abide, And with the wind in greater fury fret. The petty streams, that pay a daily debt To their salt sovereign, with their fresh falls’ haste Add to his flow, but alter not his taste.’ ‘Thou art,’ quoth she, ‘a sea, a sovereign king, And lo, there falls into thy boundless flood Black lust, dishonour, shame, misgoverning, Who seek to stain the ocean of thy blood. If all these petty ills shall change thy good, Thy sea within a puddle’s womb is hearsed, And not the puddle in thy sea dispersed. ‘So shall these slaves be king, and thou their slave; Thou nobly base, they basely dignified; Thou their fair life, and they thy fouler grave; Thou loathed in their shame, they in thy pride. The lesser thing should not the greater hide. The cedar stoops not to the base shrub’s foot, But low shrubs wither at the cedar’s root.
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A te, a te s’appellano le mani mie, in alto levate, non all’avventata lussuria, che a te s’affida. Prego che in te la maestà ritorni dall’esilio: lascia che torni, e scaccia i pensieri che ti lusingano. Il vero rispetto porrà in gabbia il falso desiderio e dai tuoi occhi deliranti caccerà la nebbia: così vedrai il tuo stato e del mio avrai pietà!’ ‘Smetti’ disse. ‘A quest’intoppo, incontrollata, si gonfia e non recede la marea che monta in me. Facile è spegnere i flebili lumi ma i grandi fuochi, nel vento, con più grande furia crescono agitandosi. Torrenti e rivi, che ogni giorno pagano il tributo al salso signore loro, col rapido scorrere ne aumentano la piena, ma non ne alterano il gusto’. ‘Tu sei’ diss’ella ‘un mare, un re sovrano, e nell’infinita tua distesa ecco s’abbattono lussuria nera e disonore, tirannia ed onta, che cercano d’inquinare l’oceano del tuo sangue. Se questi mali muteranno ciò che è buono in te, il tuo mare sarà sepolto nel grembo d’una pozza, e non sarà la pozza a perdersi nel tuo mare! Re saranno questi schiavi allora, tu loro schiavo, tu nobilmente vile, essi vilmente nobilitati, tu la loro lieta vita, essi la tua tomba maledetta; tu sprezzato per l’onta loro, essi pieni dell’orgoglio ch’è tuo. Le cose inferiori non dovrebbero celare le maggiori: non s’inchina il cedro al basso cespuglio, ma alla radice del cedro appassisce l’arbusto.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘So let thy thoughts, low vassals to thy state’— ‘No more,’ quoth he, ‘by heaven, I will not hear thee. Yield to my love. If not, enforcèd hate Instead of love’s coy touch shall rudely tear thee. That done, despitefully I mean to bear thee Unto the base bed of some rascal groom To be thy partner in this shameful doom.’ This said, he sets his foot upon the light; For light and lust are deadly enemies. Shame folded up in blind concealing night When most unseen, then most doth tyrannize. The wolf hath seized his prey, the poor lamb cries, Till with her own white fleece her voice controlled Entombs her outcry in her lips’ sweet fold. For with the nightly linen that she wears He pens her piteous clamours in her head, Cooling his hot face in the chastest tears That ever modest eyes with sorrow shed. O that prone lust should stain so pure a bed, The spots whereof could weeping purify, Her tears should drop on them perpetually! But she hath lost a dearer thing than life, And he hath won what he would lose again. This forcèd league doth force a further strife, This momentary joy breeds months of pain; This hot desire converts to cold disdain. Pure chastity is rifled of her store, And lust, the thief, far poorer than before.
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Lascia che i tuoi pensieri, vassalli del tuo rango…’ ‘Basta, in nome del cielo’ disse. ‘Non più t’ascolterò73. Cedi al mio amore; se no, con violenza sarai lacerata dall’odio che forza, non dal timido tocco d’amore. Ciò fatto, con pieno sprezzo vorrò poi menarti nel meschino letto d’un tuo servo villano, sì che ti sia compagno nel tuo destino d’onta’. Disse; e col piede calpesta la luce, perché acerrime nemiche sono luce e lussuria. Quando l’onta s’involge nell’oscura notte che asconde, e non è vista, ahi, come si fa tiranna allora! Il lupo ha ghermito la preda; grida il misero agnello sinché, col niveo suo vello74 domata la voce, le grida interra nella dolce piega delle labbra sue. Perché coi panni notturni che la coprono egli le chiude in gola le pietose strida, mentre lacrime gli raffreddano l’ardente viso le più caste che piansero mai occhi virtuosi. Ahi, che la prona lussuria infami un letto così puro! Se il pianto potesse dilavarne le macchie, in perpetuo ella vi verserebbe stille di pianto. Cosa più cara della vita ella ha perduto, egli a sé vinse ciò che perdere ora vorrebbe75. A nuova lotta76 induce questa lega forzata; genera mesi di pena la gioia d’un momento; la brama ardente, ecco, si muta in freddo sdegno. Spogliata è la pura castità del suo tesoro e lussuria, la ladra, più povera si ritrova.
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THE RAPE OF LUCRECE
Look as the full-fed hound or gorgèd hawk, Unapt for tender smell or speedy flight Make slow pursuit, or altogether balk The prey wherein by nature they delight, So surfeit-taking Tarquin fares this night. His taste delicious, in digestion souring, Devours his will that lived by foul devouring. O deeper sin than bottomless conceit Can comprehend in still imagination! Drunken desire must vomit his receipt Ere he can see his own abomination. While lust is in his pride, no exclamation Can curb his heat or rein his rash desire, Till like a jade self-will himself doth tire. And then with lank and lean discoloured cheek, With heavy eye, knit brow, and strengthless pace, Feeble desire, all recreant, poor, and meek, Like to a bankrupt beggar wails his case. The flesh being proud, desire doth fight with grace, For there it revels, and when that decays, The guilty rebel for remission prays. So fares it with this faultful lord of Rome Who this accomplishment so hotly chased; For now against himself he sounds this doom, That through the length of times he stands disgraced. Besides, his soul’s fair temple is defaced, To whose weak ruins muster troops of cares To ask the spotted princess how she fares.
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Come segugio sazio o falcone satollo, cui difettano olfatto fine o ratto volo, tardi inseguono e si lasciano sfuggire la preda che pure è il loro naturale piacere, così passa Tarquinio la notte, il quale troppo prese: nello stomaco s’inacidisce il gusto delizioso e divora il volere che, per mal divorare, voleva. Ah, peccato più profondo di quanto il pensiero senza fondo possa, contemplando, abbracciare! L’ebbro desiderio già vomita ciò che ingollò, ben prima di vedere l’abominio che compì. Mentre lussuria s’erge, nessun rimbrotto può imbrigliarne l’ardore e la furiosa brama; poi, come un ronzino, si stracca la volontà proterva. Allora, con guance pallide, emaciate, spento lo sguardo, basse le ciglia e incerto il passo, il frale desiderio, sconfitto, misero e mite, come un povero mendico piange la propria sorte. Quando fiera è la carne, il desiderio lotta con la Grazia77, perché vuole gioire; ma quando svigorisce, il reo ribelle implora di ricevere il perdono. Così è per il signore di Roma, che la colpa grava, che con tanto ardore perseguì questa conquista; egli contro di sé pronuncia ora il verdetto: su lui l’onta starà sino a che il tempo dura. Dell’anima di lui il bel tempio è deturpato e alle misere rovine truppe s’affollano di assilli e chiedono: ‘Principessa oltraggiata78, come stai?’
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THE RAPE OF LUCRECE
She says her subjects with foul insurrection Have battered down her consecrated wall, And by their mortal fault brought in subjection Her immortality, and made her thrall To living death and pain perpetual, Which in her prescience she controlled still, But her foresight could not forestall their will. Ev’n in this thought through the dark night he stealeth, A captive victor that hath lost in gain, Bearing away the wound that nothing healeth, The scar that will, despite of cure, remain; Leaving his spoil perplexed in greater pain. She bears the load of lust he left behind, And he the burden of a guilty mind. He like a thievish dog creeps sadly thence; She like a wearied lamb lies panting there. He scowls, and hates himself for his offence; She, desperate, with her nails her flesh doth tear. He faintly flies, sweating with guilty fear; She stays, exclaiming on the direful night. He runs, and chides his vanished loathed delight. He thence departs, a heavy convertite; She there remains, a hopeless castaway. He in his speed looks for the morning light; She prays she never may behold the day. ‘For day,’ quoth she, ‘night’s scapes doth open lay, And my true eyes have never practised how To cloak offences with a cunning brow.
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LUCREZIA VIOLATA
Dice ella79 che i sudditi, con cruda sedizione, hanno abbattuto il suo muro consacrato e con peccato mortale hanno soggiogato la sua immortalità, facendola schiava della morte che vive e di un dolore che non cesserà; con la prescienza80 sempre li controllava ma, pur cosciente, frenare non ne poté il volere. Così pensando, nella notte egli furtivamente va, vincitore e prigioniero che guadagnando perse81; reca con sé la ferita che nulla sanerà, la cicatrice che starà, oltre ogni cura; e la preda abbandona, dolentissima e confusa. Su di sé ella ha il peso della foia ch’egli le lascia, egli ha il fardello del pensiero e della colpa. Come un cane furtivo, triste egli striscia via, lei giace ansante come agnello stracco. Lui, tetro per quel delitto, odia se stesso; lei, disperata, si lacera la carne con le unghie. Sudando di colpevole paura, lui timoroso fugge; ella si resta e inveisce contro la tremenda notte; egli corre e maledice l’aborrito piacere, già svanito. Egli di là si parte, oppresso penitente82, ella rimane là, reietta e disperata. Nella sua fretta, ricerca lui la luce del mattino83, di non riveder più il giorno supplica lei. ‘La luce’ disse ‘disvela le colpe della notte e gli occhi miei sinceri mai hanno appreso come si vela il crimine con più falsi sguardi84.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘They think not but that every eye can see The same disgrace which they themselves behold, And therefore would they still in darkness be, To have their unseen sin remain untold. For they their guilt with weeping will unfold, And grave, like water that doth eat in steel, Upon my cheeks what helpless shame I feel.’ Here she exclaims against repose and rest, And bids her eyes hereafter still be blind. She wakes her heart by beating on her breast, And bids it leap from thence where it may find Some purer chest to close so pure a mind. Frantic with grief, thus breathes she forth her spite Against the unseen secrecy of night: ‘O comfort-killing night, image of hell, Dim register and notary of shame, Black stage for tragedies and murders fell, Vast sin-concealing chaos, nurse of blame! Blind muffled bawd, dark harbour for defame, Grim cave of death, whisp’ring conspirator With close-tongued treason and the ravisher! ‘O hateful, vaporous, and foggy night, Since thou art guilty of my cureless crime, Muster thy mists to meet the eastern light, Make war against proportioned course of time. Or if thou wilt permit the sun to climb His wonted height, yet ere he go to bed Knit poisonous clouds about his golden head.
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LUCREZIA VIOLATA
Convinti sono, sì, che ogni occhio veda quell’oltraggio che videro essi stessi; nel buio quindi vorrebbero restare, sempre, sì che non detto resti quel non visto errore: perché essi, piangendo, sveleranno la colpa e sulle mie guance incideranno, come l’acqua che corrode il ferro, la vergogna che non potei evitare’. E qui inveisce contro il sonno che dona il riposo e ordina agli occhi d’essere d’ora innanzi ciechi85. Ridesta il cuore battendosi sul petto e gli intima: ‘Esci di qui, esci e ricerca petto più puro che chiuda in sé una più pura mente’. Così, con frenesia di pena, sfoga il rancore contro la notte reticente e oscura. ‘Notte86, fantasma dell’inferno, che il conforto uccidi, sbiadito registro e catalogo d’infamie, nero palcoscenico per tragedie e per delitti truci, vasto caos che cela il peccato, del biasimo nutrice, scura mezzana travisata, oscuro ricetto d’abomini, tetro antro di morte, cospiratore che bisbiglia al muto tradimento ed a colui che stupra. Notte fosca e odiosa, colma di vapori, tua è la colpa dell’insanabile mio delitto: aduna allora nebbie contro la luce dell’oriente, muovi guerra all’ordine che governa il tempo!87 O, se vorrai che il sole all’usata altezza ancora s’innalzi, fa’ che, prima che si corichi, nubi avvelenate gli cingano il capo dorato.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘With rotten damps ravish the morning air, Let their exhaled unwholesome breaths make sick The life of purity, the supreme fair, Ere he arrive his weary noon-tide prick; And let thy musty vapours march so thick That in their smoky ranks his smothered light May set at noon, and make perpetual night. ‘Were Tarquin night, as he is but night’s child, The silver-shining queen he would distain; Her twinkling handmaids too, by him defi led, Through night’s black bosom should not peep again. So should I have co-partners in my pain, And fellowship in woe doth woe assuage, As palmers’ chat makes short their pilgrimage. ‘Where now I have no one to blush with me, To cross their arms and hang their heads with mine, To mask their brows and hide their infamy, But I alone, alone must sit and pine, Seasoning the earth with showers of silver brine, Mingling my talk with tears, my grief with groans, Poor wasting monuments of lasting moans. ‘O night, thou furnace of foul reeking smoke, Let not the jealous day behold that face Which underneath thy black all-hiding cloak Immodestly lies martyred with disgrace! Keep still possession of thy gloomy place, That all the faults which in thy reign are made May likewise be sepulchred in thy shade.
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Con fumi malsani vìola l’aria del mattino fa’ che gli aliti loro, marci ed impuri, ammalino la vita che dà purezza, il bello supremo88, prima che stanco giunga al picco del meriggio; e ancora fa’ che i tuoi rancidi vapori marcino fitti sì che nei fumosi ranghi soffochi la sua luce e tramonti a mezzo il giorno: e sia perpetua notte. Fosse Tarquinio la notte, lui che della notte è il figlio, ammorberebbe la regina che argentea risplende; e le fulgenti ancelle di lei, da lui corrotte89, più non s’affaccerebbero dal buio grembo della notte. Avrei così compagne al mio dolore e il patire insieme lenisce il patire90, come parlare abbrevia il viaggio ai pellegrini91. Ma nessuno è qui che con me arrossisca, che le braccia incroci, che con me reclini il capo, che il volto travisi per celarne l’infamia. Sola, sola io debbo, seduta qui, languire, salando la terra con scrosci di un argenteo pianto, unendo lacrime alle parole, gemiti alla pena, sbrecciati monumenti di durevoli lamenti. Notte, oh tu fornace d’acri fumi e di vapori92, fa’ che il giorno geloso non riguardi il viso che sotto il tuo nero manto, il quale tutto asconde, giace impudico, martire fatto dall’infamia. Mantieni tu il possesso del tuo luogo oscuro, sì che gli errori compiuti nel tuo regno dell’ombra tua si facciano un sepolcro.
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Shakespeare IV.indb 2327
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Make me not object to the tell-tale day: The light will show charactered in my brow The story of sweet chastity’s decay, The impious breach of holy wedlock vow. Yea, the illiterate that know not how To cipher what is writ in learnèd books Will quote my loathsome trespass in my looks. ‘The nurse to still her child will tell my story, And fright her crying babe with Tarquin’s name. The orator to deck his oratory Will couple my reproach to Tarquin’s shame. Feast-finding minstrels tuning my defame Will tie the hearers to attend each line, How Tarquin wronged me, I Collatine. ‘Let my good name, that senseless reputation, For Collatine’s dear love be kept unspotted; If that be made a theme for disputation, The branches of another root are rotted, And undeserved reproach to him allotted That is as clear from this attaint of mine As I ere this was pure to Collatine. ‘O unseen shame, invisible disgrace! O unfelt sore, crest-wounding private scar! Reproach is stamped in Collatinus’ face, And Tarquin’s eye may read the mot afar, How he in peace is wounded, not in war. Alas, how many bear such shameful blows, Which not themselves but he that gives them knows!
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Shakespeare IV.indb 2328
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LUCREZIA VIOLATA
Non espormi al giorno che tutto rivela: la luce mostrerà, scrittami in volto, la storia di come la dolce castità cadde in sfacelo, lo sfregio empio al sacro nodo delle nozze. Sì, l’analfabeta che pur non è capace di decifrare i libri scritti dai sapienti quest’osceno delitto mi leggerà negli occhi. Per calmare il bambino che piange, la balia dirà la mia storia, e lo spaventerà col nome di Tarquinio; per meglio ornare il suo discorso, l’oratore accoppierà l’onta ch’è mia al biasimo per Tarquinio. I menestrelli erranti, intonando la mia ignominia, legheranno chi ascolta perché segua, nota per nota, di come me macchiò Tarquinio, e Collatino io. Che siano immacolati, per amor di Collatino, il mio buon nome, la casta mia reputazione. Se questo sarà messo in discussione, marciranno i rami di un’altra radice93 e un non meritato biasimo a lui toccherà, che intoccato è invece da questa macchia mia, sì com’io ero pura, prima, per lui, Collatino. Onta mai vista, invisibile vergogna! Pena mai provata, privato sfregio all’insegna familiare! Stampato è il biasimo sul volto di Collatino e da lungi Tarquinio può leggerne il motto: Non in guerra fu ferito bensì in pace. Ahi, quanti portano questi segni di vergogna, a loro ignoti, ma noti a chi li ha incisi!
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THE RAPE OF LUCRECE
‘If, Collatine, thine honour lay in me, From me by strong assault it is bereft; My honey lost, and I, a drone-like bee, Have no perfection of my summer left, But robbed and ransacked by injurious theft. In thy weak hive a wandering wasp hath crept, And sucked the honey which thy chaste bee kept. ‘Yet am I guilty of thy honour’s wrack; Yet for thy honour did I entertain him. Coming from thee, I could not put him back, For it had been dishonour to disdain him. Besides, of weariness he did complain him, And talked of virtue — O unlooked-for evil, When virtue is profaned in such a devil! ‘Why should the worm intrude the maiden bud, Or hateful cuckoos hatch in sparrows’ nests, Or toads infect fair founts with venom mud, Or tyrant folly lurk in gentle breasts, Or kings be breakers of their own behests? But no perfection is so absolute That some impurity doth not pollute. ‘The agèd man that coffers up his gold Is plagued with cramps, and gouts, and painful fits, And scarce hath eyes his treasure to behold, But like still-pining Tantalus he sits, And useless barns the harvest of his wits, Having no other pleasure of his gain But torment that it cannot cure his pain.
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Se il tuo onore in me posava, Collatino, un crudo assalto a forza me l’ha tolto; perso è il mio miele94 e a me, ape simile a un fuco, nulla rimane della mia perfetta estate, perché con malo furto fu essa spogliata, devastata. Nel tuo fragile alveare s’insinuò una vespa errante e succhiò il miele che l’ape tua, casta, guardava. Mia è però la colpa dello scempio del tuo onore; per rispettare te, però, io qui lo accolsi. Da parte di te veniva, ricusarlo non potevo, perché un’offesa grave sarebbe stata disdegnarlo. Lamentò inoltre d’esser molto stanco, e parlò di virtù … ahi, non ricercato male quando virtù è profanata da un demonio tale! Perché deve il verme penetrare nel vergine boccio? O l’odioso cuculo deporre l’uovo nel nido del passero? O i rospi intorbidare le fonti con velenosa mota? O celarsi nei nobili petti la lascivia tiranna? O i re disobbedire ai comandi che essi stessi danno? Ahi, non esiste una perfezione tanto eccelsa che non l’inquini qualche impurità. Il vecchio che nel forziere tiene chiuso l’oro è afflitto da crampi, gotta e altri malanni, e, debole di vista, a stento scorge il suo tesoro; eppure, come Tantalo languente95, egli là siede, vanamente ammassa il raccolto del suo ingegno e dal guadagno altro piacere non trae se non tormento; e ciò il male suo non cura.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘So then he hath it when he cannot use it, And leaves it to be mastered by his young, Who in their pride do presently abuse it. Their father was too weak and they too strong To hold their cursèd-blessèd fortune long. The sweets we wish for turn to loathed sours Even in the moment that we call them ours. ‘Unruly blasts wait on the tender spring, Unwholesome weeds take root with precious flowers, The adder hisses where the sweet birds sing, What virtue breeds, iniquity devours. We have no good that we can say is ours But ill-annexèd opportunity Or kills his life or else his quality. ‘O opportunity, thy guilt is great! ’Tis thou that execut’st the traitor’s treason; Thou sets the wolf where he the lamb may get; Whoever plots the sin, thou points the season. ’Tis thou that spurn’st at right, at law, at reason; And in thy shady cell where none may spy him Sits sin, to seize the souls that wander by him. ‘Thou mak’st the vestal violate her oath, Thou blow’st the fire when temperance is thawed, Thou smother’st honesty, thou murd’rest troth, Thou foul abettor, thou notorious bawd; Thou plantest scandal and displacest laud. Thou ravisher, thou traitor, thou false thief, Thy honey turns to gall, thy joy to grief.
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LUCREZIA VIOLATA
È suo quando più non può usarlo: ne lascia l’amministrazione ai figli96, i quali, arroganti, subito lo spendono male; troppo debole il padre, troppo forti i figli per preservare a lungo quella mal-benedetta fortuna. Le dolcezze cui aspiriamo si fanno acri ed amare nel momento stesso in cui diciamo: Sono nostre! Nella dolce primavera sono aspre le burrasche97; erbe malsane si radicano tra i bei fiori; sibila il serpe là dove gli uccelli cantano98; ciò che nasce da virtù, l’iniquità lo divora. Non v’è bene che possiamo dire nostro, perché Occasione, che nefasta s’insinua, la vita ne uccide, oppure l’essenza. Ahi, Occasione, grande è la tua colpa: del traditore attui il tradimento, tu poni il lupo là dove l’agnello è preda99; a chi trama il delitto tu indichi il momento. Tu irridi diritto legge e ragione; e nella tua buia cella, dove nessuno lo vede, siede il peccato e abbranca ogni anima che passa100. Tu spingi la vestale a rompere il voto101, quando la temperanza si scioglie, soffi sul fuoco; soffochi l’onestà, la fedeltà tu uccidi, tu abietta istigatrice, tu notoria mezzana! Pianti lo scandalo, estirpi la lode, tu violatrice, traditrice, ladra e bugiarda: in bile si muta il tuo miele, in dolore la gioia.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Thy secret pleasure turns to open shame, Thy private feasting to a public fast, Thy smoothing titles to a ragged name, Thy sugared tongue to bitter wormwood taste. Thy violent vanities can never last. How comes it then, vile opportunity, Being so bad, such numbers seek for thee? ‘When wilt thou be the humble suppliant’s friend, And bring him where his suit may be obtained? When wilt thou sort an hour great strifes to end, Or free that soul which wretchedness hath chained, Give physic to the sick, ease to the pained? The poor, lame, blind, halt, creep, cry out for thee, But they ne’er meet with opportunity. ‘The patient dies while the physician sleeps, The orphan pines while the oppressor feeds, Justice is feasting while the widow weeps, Advice is sporting while infection breeds. Thou grant’st no time for charitable deeds. Wrath, envy, treason, rape, and murder’s rages, Thy heinous hours wait on them as their pages. ‘When truth and virtue have to do with thee A thousand crosses keep them from thy aid. They buy thy help, but sin ne’er gives a fee; He gratis comes, and thou art well appaid As well to hear as grant what he hath said. My Collatine would else have come to me When Tarquin did, but he was stayed by thee.
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LUCREZIA VIOLATA
Il tuo segreto piacere si fa onta palese; il tuo banchetto privato un pubblico digiuno, i titoli lusinghieri un nome fatto a pezzi, la tua lingua mielosa un gusto amaro d’assenzio; le tue violente vanità non possono durare. E come accade allora, vile Occasione, che tanti cerchino te, che sei sì abietta? Quando sarai amica dell’umile postulante e là lo porterai dove avrà ciò che chiede? Quando l’ora deciderai che termina le lotte? Quando darai libertà all’anima incatenata alla sventura? E balsami ai malati, e sollievo agli afflitti? Gli storpi, i ciechi, i poveri t’invocano strisciando: ma essi mai incontrano Occasione! Muore il paziente se il medico dorme; l’orfano langue mentre l’oppressore s’ingozza; banchetta la giustizia mentre la vedova piange; la medicina si svaga mentre l’epidemia si espande. Alle opere di carità tu non concedi tempo. D’invidia, ira, tradimento, stupro e omicidio le tue ore odiose sono paggi e valletti. Quando con te hanno a che fare verità e virtù, dal tuo aiuto le discostano mille intoppi; comprano il tuo aiuto, ma gratis l’ottiene il peccato. Gratuitamente esso viene e solo ascoltarlo, solo dargli ragione già pienamente ti appaga. Il mio Collatino sarebbe qui venuto, non Tarquinio, ma tu l’hai trattenuto!
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Guilty thou art of murder and of theft, Guilty of perjury and subornation, Guilty of treason, forgery, and shift, Guilty of incest, that abomination: An accessory by thine inclination To all sins past and all that are to come From the creation to the general doom. ‘Misshapen time, copesmate of ugly night, Swift subtle post, carrier of grisly care, Eater of youth, false slave to false delight, Base watch of woes, sin’s pack-horse, virtue’s snare, Thou nursest all, and murd’rest all that are. O hear me then, injurious shifting time; Be guilty of my death, since of my crime. ‘Why hath thy servant opportunity Betrayed the hours thou gav’st me to repose, Cancelled my fortunes, and enchainèd me To endless date of never-ending woes? Time’s office is to fine the hate of foes, To eat up errors by opinion bred, Not spend the dowry of a lawful bed. ‘Time’s glory is to calm contending kings, To unmask falsehood and bring truth to light, To stamp the seal of time in agèd things, To wake the morn and sentinel the night, To wrong the wronger till he render right, To ruinate proud buildings with thy hours And smear with dust their glitt’ring golden towers;
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LUCREZIA VIOLATA
Sei rea d’omicidio, sei rea di furto, rea di spergiuro, rea d’istigazione, rea di tradimento, di falsità e d’inganno; sei rea d’incesto, di quell’abominio, complice sei, per tua natura, dei peccati passati e di quelli venturi, dalla creazione prima al giudizio fi nale. Tempo deforme, correo della notte orrenda, corriere astuto e veloce, latore d’acri assilli, divoratore della gioventù102, schiavo bugiardo dei bugiardi piaceri, vile nunzio di pene e di peccato, trappola per la virtù; coloro che sono, tutti li nutri e tutti li uccidi. Odimi, allora, oh Tempo reo che mai non posi: se del mio peccato sei reo, siilo anche della morte mia! Perché la tua serva, Occasione, ha tradito le ore che hai concesso al mio riposo, cancellando la mia buona sorte, incatenandomi per sempre a pene che un termine non hanno? Compito del Tempo è punire l’odio dei nemici, disfare gli errori nutriti dalla maldicenza, non sperperare la dote di un legittimo letto. Gloria del tempo è metter pace tra i re nemici, smascherare la falsità, portare alla luce il vero, porre il sigillo del tempo sulle cose antiche, destare il dì e far da sentinella alla notte103, dannare l’impostore fino a farlo onesto, con le ore far crollare gli edifici alteri e appannarne di sabbia le dorate torri fulgenti104.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘To fill with worm-holes stately monuments, To feed oblivion with decay of things, To blot old books and alter their contents, To pluck the quills from ancient ravens’ wings, To dry the old oak’s sap and blemish springs, To spoil antiquities of hammered steel, And turn the giddy round of fortune’s wheel; ‘To show the beldame daughters of her daughter, To make the child a man, the man a child, To slay the tiger that doth live by slaughter, To tame the unicorn and lion wild, To mock the subtle in themselves beguiled, To cheer the ploughman with increaseful crops, And waste huge stones with little water drops. ‘Why work’st thou mischief in thy pilgrimage, Unless thou couldst return to make amends? One poor retiring minute in an age Would purchase thee a thousand thousand friends, Lending him wit that to bad debtors lends. O this dread night, wouldst thou one hour come back, I could prevent this storm and shun thy wrack! ‘Thou ceaseless lackey to eternity, With some mischance cross Tarquin in his flight. Devise extremes beyond extremity To make him curse this cursèd crimeful night. Let ghastly shadows his lewd eyes affright, And the dire thought of his committed evil Shape every bush a hideous shapeless devil.
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LUCREZIA VIOLATA
Riempire di tarli i monumenti eccelsi, nutrire l’oblio con le cose che si sfanno, macchiare i vecchi libri e mutarne la storia, strappare le penne alle ali dei vecchi corvi, rasciugar la linfa delle vecchie querce e nutrire i germogli, del ferro battuto spogliar gli oggetti antichi, e volgere della Fortuna la vorticante ruota. Mostrare all’ava le figlie della figlia, rendere uomo il bambino, bambino l’uomo, uccidere la tigre che di strage si vive, domare l’unicorno e il leone selvaggio, far sì che i traditori per colpa propria cadano, rallegrare l’aratore con raddoppiate messi e disfare le rocce immani con minuscole gocce. Perché tu, pellegrino, compi il male se poi non torni indietro a farne ammenda? Se d’un solo minuto retrocedesse un’era, ah, ciò t’acquisterebbe amici a mille e mille, e doneresti il senno a chi s’indebitò. Retrocedessi tu, notte tremenda, di un’ora sola, preverrei la burrasca, eviterei il naufragio! Ah, lacchè che mai non posa, tu, dell’Eternità, poni un inciampo a Tarquinio che fugge. Atroci casi, e più tremendi ancora, tu ricrea, ché maledica lui questa notte delittuosa e maledetta: con ombre orrende atterriscigli gli occhi lascivi e per l’aspro ricordo del compiuto male prenda ogni fratta la forma d’un demone deforme.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Disturb his hours of rest with restless trances; Afflict him in his bed with bedrid groans; Let there bechance him pitiful mischances To make him moan, but pity not his moans. Stone him with hardened hearts harder than stones, And let mild women to him lose their mildness, Wilder to him than tigers in their wildness. ‘Let him have time to tear his curlèd hair, Let him have time against himself to rave, Let him have time of time’s help to despair, Let him have time to live a loathèd slave, Let him have time a beggar’s orts to crave, And time to see one that by alms doth live Disdain to him disdainèd scraps to give. ‘Let him have time to see his friends his foes, And merry fools to mock at him resort. Let him have time to mark how slow time goes In time of sorrow, and how swift and short His time of folly and his time of sport; And ever let his unrecalling crime Have time to wail th’abusing of his time. ‘O time, thou tutor both to good and bad, Teach me to curse him that thou taught’st this ill; At his own shadow let the thief run mad, Himself himself seek every hour to kill; Such wretched hands such wretched blood should spill, For who so base would such an office have As sland’rous deathsman to so base a slave?
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Turbagli le ore del sonno con inquiete veglie, affliggilo nel letto con lamenti d’infermo. Procuragli accidenti degni di pietà, ma pietà non mostrare: lascia che gema! Lapidalo con cuori induriti, più duri che pietra, e che le miti donne a lui non mostrino mitezza, ma più feroci gli siano che tigri nella loro ferocia. Dagli il tempo di strapparsi gli arricciati capelli! Dagli il tempo d’infuriare contro di sé, dagli il tempo di disperare dell’aiuto del Tempo, dagli il tempo di vivere quale infimo schiavo, dagli il tempo d’implorare gli scarti ad un mendico, e il tempo di vedere un uomo che di carità si vive rifiutargli gli avanzi che lui stesso schifa. Dagli il tempo di vedere gli amici fatti nemici, buffoni che lo incontrano e lo beffano, salaci, dagli il tempo di vedere come lento avanza il tempo nel tempo del dolore, e com’è ratto e breve il tempo del piacere e il tempo dello svago; e fa’ che l’inappellabile suo delitto abbia il tempo di piangere il mal uso del suo tempo. Tempo, tutore tu del bene e anche del male, insegnami a maledire lui cui tu il crimine insegnasti. Fa’ che la propria ombra renda pazzo questo ladro, che ad ogni ora tenti egli d’uccidere se stesso: mani sì atroci dovrebbero versare un sì atroce sangue; ché qual uomo pur vile mai s’accollerebbe il compito d’essere il boia infame di sì spregevole schiavo?
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THE RAPE OF LUCRECE
‘The baser is he, coming from a king, To shame his hope with deeds degenerate. The mightier man, the mightier is the thing That makes him honoured or begets him hate, For greatest scandal waits on greatest state. The moon being clouded presently is missed, But little stars may hide them when they list. ‘The crow may bathe his coal-black wings in mire And unperceived fly with the filth away, But if the like the snow-white swan desire, The stain upon his silver down will stay. Poor grooms are sightless night, kings glorious day. Gnats are unnoted wheresoe’er they fly, But eagles gazed upon with every eye. ‘Out, idle words, servants to shallow fools, Unprofitable sounds, weak arbitrators! Busy yourselves in skill-contending schools, Debate where leisure serves with dull debaters, To trembling clients be you mediators; For me, I force not argument a straw, Since that my case is past the help of law. ‘In vain I rail at opportunity, At time, at Tarquin, and uncheerful night. In vain I cavil with mine infamy, In vain I spurn at my confirmed despite. This helpless smoke of words doth me no right; The remedy indeed to do me good Is to let forth my foul defiled blood.
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LUCREZIA VIOLATA
Ancor più vile è lui, perché figlio di re, e con atti degeneri ha lordato il suo futuro. Più l’uomo è potente, più potente è la cosa che gli dà onore, o che verso di lui genera odio: il maggior stato maggior scandalo chiama. Di colpo svanisce la luna se una nube la copre, ma le stelle minori a piacer loro possono celarsi. Se nel fango le ali nere immerge il corvo, quando poi vola, sporco, nulla si vede; ma se lo stesso fare volesse il niveo cigno, spiccherebbe la macchia sulle candide piume! Notte invisibile sono i servi, i re giorno di luce; inosservato vola ovunque il moscerino, ma ogni occhio ben scruta l’aquila che vola. Cessate, vane parole, serve di menti sciocche, suoni infruttuosi, arbitri inetti, agite nelle scuole dove con l’eloquenza si contende: là dibattete con agio contro avversari pedanti. Siate mediatori per timidi postulanti; ogni argomentazione a me è un nulla, poiché legge non v’è che aiuta il caso mio. Contro Occasione invano io inveisco, e contro il Tempo, Tarquinio, e questa triste notte; cavillo invano con la mia ignominia, invano contro l’onta irreversibile m’adonto: un nulla sono a me queste inani parole di fumo105. L’unico rimedio che mi può giovare è far che scorra quest’infettato mio sangue.
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Shakespeare IV.indb 2343
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Poor hand, why quiver’st thou at this decree? Honour thyself to rid me of this shame, For if I die, my honour lives in thee, But if I live, thou liv’st in my defame. Since thou couldst not defend thy loyal dame, And wast afeard to scratch her wicked foe, Kill both thyself and her for yielding so.’ This said, from her betumbled couch she starteth, To find some desp’rate instrument of death. But this, no slaughterhouse, no tool imparteth To make more vent for passage of her breath, Which thronging through her lips so vanisheth As smoke from Etna that in air consumes, Or that which from dischargèd cannon fumes. ‘In vain,’ quoth she, ‘I live, and seek in vain Some happy mean to end a hapless life. I feared by Tarquin’s falchion to be slain, Yet for the selfsame purpose seek a knife. But when I feared I was a loyal wife; So am I now — O no, that cannot be, Of that true type hath Tarquin rifled me. ‘O, that is gone for which I sought to live, And therefore now I need not fear to die. To clear this spot by death, at least I give A badge of fame to slander’s livery, A dying life to living infamy. Poor helpless help, the treasure stol’n away, To burn the guiltless casket where it lay!
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LUCREZIA VIOLATA
Perché tremi, povera mano, a questa sentenza?106 Se mi liberi dall’onta, ne avrai onore; perché, se muoio, in te vivrà il mio onore; ma se vivo, della mia infamia tu vivrai. Inetta fosti a difendere la tua signora fedele, e avesti paura di graffiare il nemico crudele: per avere così ceduto, uccidi ora te stessa, e lei!’ Disse, e balzò dal letto inordinato, onde trovare un disperato arnese che le desse morte; ma non è in un mattatoio, non v’è strumento che nuova breccia squarci al suo respiro, il quale, alle sue labbra ansante, svanisce come fumo dall’Etna che nell’aria si consuma o ch’esce da un cannone che appena abbia sparato. ‘Invano’ disse ‘vivo e invano cerco felice mezzo per porre fine all’infelice vita. Temetti m’uccidesse la spada di Tarquinio, e ora, per lo stesso fine, cerco un pugnale; ma quando temetti, ero una moglie fedele, come ora sono… No! Non sono più: di quel nome puro Tarquinio m’ha spogliata. Svanito è ciò per cui io vivere volevo, quindi nessun timore ho ora di morire. Con la morte pulendo questa macchia, uno stemma di gloria darò alla livrea della calunnia, una vita che muore a un’infamia che vive: ben misero rimedio, quando rubato è il tesoro, bruciare l’incolpevole scrigno ov’era posto.
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Shakespeare IV.indb 2345
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Well, well, dear Collatine, thou shalt not know The stainèd taste of violated troth. I will not wrong thy true affection so To flatter thee with an infringèd oath. This bastard graft shall never come to growth. He shall not boast, who did thy stock pollute, That thou art doting father of his fruit, ‘Nor shall he smile at thee in secret thought, Nor laugh with his companions at thy state. But thou shalt know thy int’rest was not bought Basely with gold, but stol’n from forth thy gate. For me, I am the mistress of my fate, And with my trespass never will dispense Till life to death acquit my forced offence. ‘I will not poison thee with my attaint, Nor fold my fault in cleanly coined excuses. My sable ground of sin I will not paint To hide the truth of this false night’s abuses. My tongue shall utter all; mine eyes, like sluices, As from a mountain spring that feeds a dale Shall gush pure streams to purge my impure tale.’ By this, lamenting Philomel had ended The well-tuned warble of her nightly sorrow, And solemn night with slow sad gait descended To ugly hell, when lo, the blushing morrow Lends light to all fair eyes that light will borrow. But cloudy Lucrece shames herself to see, And therefore still in night would cloistered be.
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LUCREZIA VIOLATA
No, tu non conoscerai, amato Collatino, il gusto corrotto d’una fedeltà violata: non farò torto al tuo sincero affetto, ingannandoti con un giuramento infranto. Quest’innesto bastardo non crescerà107; non si vanterà chi corruppe la tua schiatta che tu sia l’affettuoso padre del suo frutto. Né, nel fondo della mente, di te sorriderà, né, con gli amici, riderà di te o del tuo stato; perché saprai che il tuo diritto non fu acquistato con oro vile, bensì rubato forzando la tua porta. Quanto a me, sono io la padrona della sorte mia e da questo peccato mai mi assolverò sinché vita con morte non espii il crimine a me imposto. Non t’avvelenerò col mio disdoro, non avvolgerò la colpa in scuse di falso conio; non dipingerò l’oscuro sfondo del peccato per celare il vero di questa mendace notte brutale. Tutto dirà la mia lingua; e dai miei occhi, pari a chiuse o a sorgente montana che nutre la valle, sgorgheranno puri ruscelli a mondare la mia storia immonda’. Aveva intanto posto fine, Filomena gemente, all’intonato lai del suo notturno dolore108 e la notte, con passi lenti e mesti, scendeva solenne al brutto inferno, mentre il mattino rosato prestava luce ai chiari occhi che vogliono la luce; ma l’offuscata Lucrezia prova vergogna a vedersi e ancora vorrebbe il buio chiostro della notte.
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Shakespeare IV.indb 2347
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THE RAPE OF LUCRECE
Revealing day through every cranny spies, And seems to point her out where she sits weeping; To whom she sobbing speaks, ‘O eye of eyes, Why pry’st thou through my window? Leave thy peeping, Mock with thy tickling beams eyes that are sleeping, Brand not my forehead with thy piercing light, For day hath naught to do what’s done by night.’ Thus cavils she with everything she sees: True grief is fond and testy as a child Who, wayward once, his mood with naught agrees; Old woes, not infant sorrows, bear them mild. Continuance tames the one; the other wild, Like an unpractised swimmer plunging still, With too much labour drowns for want of skill. So she, deep drenchèd in a sea of care, Holds disputation with each thing she views, And to herself all sorrow doth compare; No object but her passion’s strength renews, And as one shifts, another straight ensues. Sometime her grief is dumb and hath no words, Sometime ’tis mad and too much talk affords. The little birds that tune their morning’s joy Make her moans mad with their sweet melody, For mirth doth search the bottom of annoy; Sad souls are slain in merry company; Grief best is pleased with grief’s society. True sorrow then is feelingly sufficed When with like semblance it is sympathized.
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Shakespeare IV.indb 2348
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LUCREZIA VIOLATA
Da ogni interstizio già s’insinua il giorno e pare indichi lei, lei che là seduta piange. Singhiozzando gli parla: ‘Occhio supremo109, perché sbirci alla finestra? Cessa di spiare, e con i raggi tuoi solletica gli occhi di chi dorme. Non marchiarmi la fronte con luce che trafigge, perché il giorno nulla ha da spartire coi fatti della notte’. Ella così cavilla con ogni cosa che vede: l’autentico dolore fa i capricci come un bimbo irritabile e testardo cui nulla va più a genio. Le pene antiche, non le giovani, sopportano: la persistenza doma le prime, le altre, impetuose, come un nuotatore inesperto che pur si tuffa, si agitano e annegano perché inette. Ella, così, in un mare affondata d’angustie, con ogni cosa che vede disputa e discute e ogni dolore al proprio va comparando. Ogni oggetto rinnova forza alla sua pena e se sposta lo sguardo, subito un altro ne vede. Muta è a tratti la pena e parole non trova110; delirante è talaltra e parla troppo, allora. Soavemente intonanti la gioia del mattino, gli uccelli rendono stonati i suoi lamenti, perché la felicità è specillo nella piaga. Tra gente allegra muore l’anima infelice. Si placa la pena quand’è con altra pena. Trova ristoro il dolore profondo quando da altrui che soffre è compatito.
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THE RAPE OF LUCRECE
’Tis double death to drown in ken of shore; He ten times pines that pines beholding food; To see the salve doth make the wound ache more; Great grief grieves most at that would do it good; Deep woesroll forward like a gentle flood Who, being stopped, the bounding banks o’erflows. Grief dallied with nor law nor limit knows. ‘You mocking birds,’ quoth she, ‘your tunes entomb Within your hollow-swelling feathered breasts, And in my hearing be you mute and dumb; My restless discord loves no stops nor rests; A woeful hostess brooks not merry guests. Relish your nimble notes to pleasing ears; Distress likes dumps when time is kept with tears. ‘Come, Philomel, that sing’st of ravishment, Make thy sad grove in my dishevelled hair. As the dank earth weeps at thy languishment, So I at each sad strain will strain a tear, And with deep groans the diapason bear; For burden-wise I’ll hum on Tarquin still, While thou on Tereus descants better skill. ‘And whiles against a thorn thou bear’st thy part To keep thy sharp woes waking, wretched I, To imitate thee well, against my heart Will fix a sharp knife to affright mine eye, Who if it wink shall thereon fall and die. These means, as frets upon an instrument, Shall tune our heart-strings to true languishment.
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LUCREZIA VIOLATA
È doppia morte affogare in vista della riva; dieci volte languisce chi languendo vede il cibo; vedere il balsamo accresce il male alla ferita; duole il duolo di più dinanzi a ciò che gioverebbe; le pene profonde scorrono come un fiume gentile che, se bloccato, le rive strette tracima: il dolore cui s’indulge non conosce limiti né legge. ‘Irridenti uccelli’ disse ‘seppellite il canto nei vostri petti pennuti che, cavi, rigonfiate, e all’orecchio mio siate muti e silenti. Non ama pause o armonie la mia nenia discorde. Un’ospite dolente non tollera ospiti allegri. Abbellite per orecchi lieti queste lievi note: musica triste ama l’angoscia quando il tempo è pianto. Vieni, Filomena, tu che di violenza canti: mesto nido ti siano gli scomposti miei capelli111. Come l’umida terra piange del tuo patimento, una mia lacrima goccerà ad ogni tua triste nota; e con gemiti profondi il diapason terrò112: io piano canterò, continua, di Tarquinio mentre con maggior maestria tu discanti113 di Tereo114. E mentre il canto prolungherai, con lo spino che tiene desti gli aspri tuoi lamenti115, io, sventurata, per imitarti meglio, contro al mio cuore acuminata lama metterò, terrore agli occhi; e se essi si chiudono, esso su essa cadrà e morrà. Questi mezzi116, come tocchi bruschi su uno strumento, al vero patire accorderanno le corde del nostro cuore.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘And for, poor bird, thou sing’st not in the day, As shaming any eye should thee behold, Some dark deep desert seated from the way, That knows not parching heat nor freezing cold, Will we find out, and there we will unfold To creatures stern sad tunes to change their kinds. Since men prove beasts, let beasts bear gentle minds.’ As the poor frighted deer that stands at gaze, Wildly determining which way to fly, Or one encompassed with a winding maze, That cannot tread the way out readily, So with herself is she in mutiny, To live or die which of the twain were better When life is shamed and death reproach’s debtor. ‘To kill myself,’ quoth she, ‘alack, what were it But with my body my poor soul’s pollution? They that lose half with greater patience bear it Than they whose whole is swallowed in confusion. That mother tries a merciless conclusion Who, having two sweet babes, when death takes one Will slay the other and be nurse to none. ‘My body or my soul, which was the dearer, When the one pure the other made divine? Whose love of either to myself was nearer, When both were kept for heaven and Collatine? Ay me, the bark peeled from the lofty pine His leaves will wither and his sap decay; So must my soul, her bark being peeled away.
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LUCREZIA VIOLATA
E poiché, povero uccello, tu non canti nel giorno, quasi a vergogna che qualcuno ti guardi, un buio deserto, lungi dai sentieri percorsi, che il caldo non conosce, afoso, o il gelo acuto, noi troveremo e là dispiegheremo noi, ad aspre creature, melodie meste che ne mutino l’animo; se gli uomini sono bestie, che nobili menti abbiano le bestie’. Come povero, atterrito cervo che incerto sta, inetto a scegliere per quale via fuggire, o uomo perso in labirintici meandri, che presto non sa come ritrovar l’uscita, così ella ristà, in sé malcerta e confusa se vivere o morire: qual è la via migliore quando onta è vivere, biasimo il morire? Disse: ‘Uccidermi, ahimè, che mai sarebbe se non, dopo il corpo, contaminare anche l’anima misera? Chi solo metà perde con più pazienza sopporta di quanti il tutto si ritrovano distrutto. A spietata risoluzione giunge quella madre che, se morte le toglie uno dei due figli, anche l’altro uccide e nessuno ne alleva. Tra corpo e anima, qual era a me più caro, se puro era l’uno e l’altra, quindi, divina? Quale dei due amavo io più caramente quand’entrambi erano per il cielo, e Collatino? Ahi, che la corteccia strappata al pino eccelso ne farà avvizzire le foglie, seccare la linfa: tanto, strappatane la corteccia117, accadrà all’anima mia.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Her house is sacked, her quiet interrupted, Her mansion battered by the enemy, Her sacred temple spotted, spoiled, corrupted, Grossly engirt with daring infamy. Then let it not be called impiety If in this blemished fort I make some hole Through which I may convey this troubled soul. ‘Yet die I will not till my Collatine Have heard the cause of my untimely death, That he may vow in that sad hour of mine Revenge on him that made me stop my breath. My stainèd blood to Tarquin I’ll bequeath, Which by him tainted shall for him be spent, And as his due writ in my testament. ‘My honour I’ll bequeath unto the knife That wounds my body so dishonourèd. ’Tis honour to deprive dishonoured life; The one will live, the other being dead. So of shame’s ashes shall my fame be bred, For in my death I murder shameful scorn; My shame so dead, mine honour is new born. ‘Dear lord of that dear jewel I have lost, What legacy shall I bequeath to thee? My resolution, love, shall be thy boast, By whose example thou revenged mayst be. How Tarquin must be used, read it in me. Myself, thy friend, will kill myself, thy foe; And for my sake serve thou false Tarquin so.
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Saccheggiata ne è la casa118, la quiete è disfatta, la dimora è bombardata dal nemico; macchiato n’è il sacro tempio, spogliato, corrotto, assediato da un’infamia che troppo ha osato. Non si dica allora che è un atto empio se apro io una breccia in questa fortezza guasta, per la quale uscir possa l’anima affannata. Morire non voglio, però, sinché il mio Collatino udito non abbia la causa dell’immatura mia morte, sì ch’egli possa giurare, nell’ora a me più triste, di vendicarsi su colui che m’arrestò il respiro. A Tarquinio io lascio questo sangue infettato che, da lui corrotto, per lui sarà sparso, e siccome è suo, per testamento glielo legherò. Il mio onore lo lascio al pugnale che ferirà questo disonorato mio corpo; lodevole è eliminare una disonorata vita: l’uno vivrà quando morta sarà l’altra. La mia fama si nutrirà con le ceneri dell’onta perché, morendo, uccido il vergognoso scorno: e morta l’onta, rinascerà il mio onore119. Signore del prezioso gioiello che ho perduto120, qual mai legato lascerò io a te? La mia decisione, amor mio, sarà il tuo vanto: essa sarà un modello e ti darà vendetta. Leggi ora in me come usare con Tarquinio: il mio sé che ti è amico il sé che ti è nemico ucciderà121, e, per amor mio, a Tarquinio fa’ tu lo stesso.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘This brief abridgement of my will I make: My soul and body to the skies and ground; My resolution, husband, do thou take; Mine honour be the knife’s that makes my wound; My shame be his that did my fame confound; And all my fame that lives disbursèd be To those that live and think no shame of me. ‘Thou, Collatine, shalt oversee this will. How was I overseen that thou shalt see it! My blood shall wash the slander of mine ill; My life’s foul deed my life’s fair end shall free it. Faint not, faint heart, but stoutly say “So be it”. Yield to my hand, my hand shall conquer thee; Thou dead, both die, and both shall victors be.’ This plot of death when sadly she had laid, And wiped the brinish pearl from her bright eyes, With untuned tongue she hoarsely calls her maid, Whose swift obedience to her mistress hies; For fleet-winged duty with thought’s feathers flies. Poor Lucrece’ cheeks unto her maid seem so As winter meads when sun doth melt their snow. Her mistress she doth give demure good-morrow With soft slow tongue, true mark of modesty, And sorts a sad look to her lady’s sorrow, For why her face wore sorrow’s livery; But durst not ask of her audaciously Why her two suns were cloud-eclipsèd so, Nor why her fair cheeks over-washed with woe.
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LUCREZIA VIOLATA
È questo il sunto del mio testamento: l’anima e il corpo al cielo ed alla terra; accetta, sposo mio, ciò che ho risolto; il coltello che m’apre la ferita sia il mio onore, la mia vergogna sia di lui che la mia fama sfece. E la mia fama, che ancora vive, sia dispensata a quanti vivono e di me pensano bene. Delle mie volontà, Collatino, sarai l’esecutore; e come fui ingannata tu vedrai, oh sì! Il mio sangue laverà la calunnia e il male, una giusta fine assolverà il misfatto di mia vita. Non cedere, debole cuore ma, risoluto, di’: ‘Così sia’: cedi alla mia mano e la mia mano ti vincerà. Quando morrai, entrambi morirete vincitori’. Dopo aver, con rigore, ordito il piano di sua morte e aver tolto le salse perle dagli occhi lustri, con voce aspra e rotta chiama la fantesca, che, presta a ubbidire, accorre alla padrona: con le penne del pensiero vola il dovere dalle ali veloci. E alla fantesca le gote della povera Lucrezia paiono campi d’inverno quando il sole la neve discioglie. Alla padrona augura, composta, il buongiorno, con voce dolce e piana, che di modestia è segno, e al dolore della padrona informa mestamente il volto, poiché indossava il suo viso la livrea della pena; ma non ebbe ardire a chiedere perché così da nubi eclissati fossero i suoi due soli, né perché di duolo dilavate fossero le belle guance.
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THE RAPE OF LUCRECE
But as the earth doth weep, the sun being set, Each flower moistened like a melting eye, Even so the maid with swelling drops gan wet Her circled eyne, enforced by sympathy Of those fair suns set in her mistress’ sky, Who in a salt-waved ocean quench their light; Which makes the maid weep like the dewy night. A pretty while these pretty creatures stand, Like ivory conduits coral cisterns filling. One justly weeps, the other takes in hand No cause but company of her drops’ spilling. Their gentle sex to weep are often willing, Grieving themselves to guess at others’ smarts, And then they drown their eyes or break their hearts. For men have marble, women waxen minds, And therefore are they formed as marble will. The weak oppressed, th’impression of strange kinds Is formed in them by force, by fraud, or skill. Then call them not the authors of their ill, No more than wax shall be accounted evil Wherein is stamped the semblance of a devil. Their smoothness like a goodly champaign plain Lays open all the little worms that creep; In men as in a rough-grown grove remain Cave-keeping evils that obscurely sleep. Through crystal walls each little mote will peep; Though men can cover crimes with bold stern looks, Poor women’s faces are their own faults’ books.
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LUCREZIA VIOLATA
E come la terra piange quando tramontato è il sole e ogni fiore s’inumidisce come un occhio in pianto, così, con gocce stillanti, la fantesca bagnò gli occhi che cerchiava sororale pietà per i bei soli tramontati nel cielo della padrona, la cui luce è spenta in un oceano d’onde salse; e così, come una notte rugiadosa, la fantesca piange. Per un po’ rimangono così le gentili creature, come canali d’avorio che riempiono vasche di corallo. L’una ha ragione di piangere, l’altra altra causa non ha se non far da compagna a quelle gocce versate. Disposto spesso al pianto è il sesso gentile e una donna si duole indovinando il male d’altra donna; e allora copiosamente piange, o le si spezza il cuore. Di marmo è la mente dell’uomo, le donne l’hanno di cera, ecco perché è formata sì come il marmo vuole: debole, oppressa, l’altrui natura vi si imprime con la forza, con l’inganno o con la frode. Non dite allora che ree sono le donne di male: malvagio non si può definire ciò su cui è stampata l’effigie del demonio. La levigatezza della loro mente, come una ricca piana, è esposta a ogni vermiciattolo che striscia; ma negli uomini, come in aggrovigliato sottobosco, oscuramente, in buie caverne, riposano gli errori. Spicca sui muri di cristallo122 la pur minima macchia; se sotto austero aspetto l’uomo può celare il delitto, il volto delle povere donne è il libro aperto della colpa.
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THE RAPE OF LUCRECE
No man inveigh against the withered flower, But chide rough winter that the flower hath killed. Not that devoured, but that which doth devour Is worthy blame. O, let it not be held Poor women’s faults that they are so full-filled With men’s abuses. Those proud lords, to blame, Make weak-made women tenants to their shame. The precedent whereof in Lucrece view, Assailed by night with circumstances strong Of present death, and shame that might ensue By that her death, to do her husband wrong. Such danger to resistance did belong That dying fear through all her body spread; And who cannot abuse a body dead? By this, mild patience bid fair Lucrece speak To the poor counterfeit of her complaining. ‘My girl,’ quoth she, ‘on what occasion break Those tears from thee that down thy cheeks are raining? If thou dost weep for grief of my sustaining, Know, gentle wench, it small avails my mood. If tears could help, mine own would do me good. ‘But tell me, girl, when went’ — and there she stayed, Till after a deep groan — ‘Tarquin from hence?’ ‘Madam, ere I was up,’ replied the maid, ‘The more to blame my sluggard negligence. Yet with the fault I thus far can dispense: Myself was stirring ere the break of day, And ere I rose was Tarquin gone away.
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LUCREZIA VIOLATA
Nessuno inveisce contro il fiore che è appassito ma insulta il crudo inverno che quel fiore uccise; non ciò ch’è divorato, no: ciò che divora merita censura. Ah, non s’incolpino allora le povere donne se esse sono colmate degli abusi degli uomini: questi alteri esecrabili signori rendono la fragile donna affittuaria delle colpe loro. Vedetene l’esempio qui, in Lucrezia, che fu assalita in questa notte avversa, latrice di morte quasi certa, e dell’ignominia ch’ella, morendo, avrebbe lasciato allo sposo. Tale è il pericolo insito nel voler resistere, che di terrore le agghiacciò il corpo intero: e chi abusare non può d’un corpo morto? Ora la mite pazienza invitò la bella Lucrezia a parlare a colei che ne imita il lamento: ‘Ragazza’ disse ‘per qual motivo mai scendono a te le lacrime che lungo le guance ti piovono? Se per il dolore piangi che m’affligge sappi, gentile, che poco giovano al mio sentire; se le lacrime fossero d’aiuto, le mie già basterebbero. Ma dimmi, ragazza, quando se ne andò (e s’interruppe; poi, dopo un gemito profondo) di qua Tarquinio?’ ‘Prima, signora, che io fossi levata’ rispose; ‘e degna di biasimo è la mia pigra negligenza. La mia colpa però posso così giustificare: prima dell’alba ero già in piedi, e prima che m’alzassi Tarquinio se ne andò.
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Shakespeare IV.indb 2361
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THE RAPE OF LUCRECE
‘But lady, if your maid may be so bold, She would request to know your heaviness.’ ‘O, peace,’ quoth Lucrece, ‘if it should be told, The repetition cannot make it less; For more it is than I can well express, And that deep torture may be called a hell When more is felt than one hath power to tell. ‘Go, get me hither paper, ink, and pen; Yet save that labour, for I have them here. What should I say? One of my husband’s men Bid thou be ready by and by to bear A letter to my lord, my love, my dear. Bid him with speed prepare to carry it; The cause craves haste, and it will soon be writ.’ Her maid is gone, and she prepares to write, First hovering o’er the paper with her quill. Conceit and grief an eager combat fight; What wit sets down is blotted straight with will; This is too curious-good, this blunt and ill. Much like a press of people at a door Throng her inventions, which shall go before. At last she thus begins: ‘Thou worthy lord Of that unworthy wife that greeteth thee, Health to thy person! Next, vouchsafe t’afford — If ever, love, thy Lucrece thou wilt see — Some present speed to come and visit me. So I commend me, from our house in grief; My woes are tedious, though my words are brief.’
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LUCREZIA VIOLATA
E, signora, se tanto può osare la vostra serva, ella la pena conoscere vorrebbe che tanto v’affligge’. ‘Taci’ disse Lucrezia; ‘se pure io l’esprimessi, dicendola non meno grave la farei; è più, ben più di quant’io possa dire! E inferno si chiama l’abissale tortura di quando ciò che si prova parole non trova. Va’, portami carta, inchiostro e penna. No, risparmiati la pena, li ho già qui. (Che mai dirò?) Ordina che stia pronto e presto uno degli uomini del mio sposo, per portare una lettera al mio caro, all’amato mio signore. Digli che si appresti a portarla veloce: fretta richiede il motivo, e in fretta sarà scritto’. Andata è la fantesca; a scrivere ella s’appresta, ma sul foglio la penna rimane sospesa. Tra parola e assillo la lotta è feroce; e la passione cancella ciò che lo stile detta; troppo elaborato è questo, questo aspro e sgraziato. Come gente che alla porta s’accalca in folla, così si pigiano i suoi pensieri: quale scrivere prima? Alfine, così principia: ‘Degno signore della moglie che, indegna, te saluta, salute a te; e voglia tu concedere (se mai, amore, la tua Lucrezia rivedrai) di qui venire a trovarmi con premura. E così ti saluto, da questa casa d’affanno: gravoso è il mio dolore, seppur brevi le parole’.
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THE RAPE OF LUCRECE
Here folds she up the tenor of her woe, Her certain sorrow writ uncertainly. By this short schedule Collatine may know Her grief, but not her grief’s true quality. She dares not thereof make discovery, Lest he should hold it her own gross abuse, Ere she with blood had stained her stain’s excuse. Besides, the life and feeling of her passion She hoards, to spend when he is by to hear her, When sighs and groans and tears may grace the fashion Of her disgrace, the better so to clear her From that suspicion which the world might bear her. To shun this blot she would not blot the letter With words, till action might become them better. To see sad sights moves more than hear them told, For then the eye interprets to the ear The heavy motion that it doth behold, When every part a part of woe doth bear. ’Tis but a part of sorrow that we hear; Deep sounds make lesser noise than shallow fords, And sorrow ebbs, being blown with wind of words. Her letter now is sealed, and on it writ ‘At Ardea to my lord with more than haste’. The post attends, and she delivers it, Charging the sour-faced groom to hie as fast As lagging fowls before the northern blast. Speed more than speed but dull and slow she deems; Extremity still urgeth such extremes.
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LUCREZIA VIOLATA
Ed ecco, piega la carta che dice il suo male, l’affanno certo incertamente scritto. Da questa nota breve Collatino apprenderà la pena sua, ma non della pena la natura vera. Non osa discoprirla ancora intera, per tema ch’egli la ritenga colpa di lei, prima ch’ella macchi col sangue ogni macchiata scusa123. Ciò che della sua vita resta, e del tormento, ella lo serba per spenderlo poi, quando lui lì sarà, e i sospiri, i lamenti, il pianto potranno abbellire la sua sventura, sì da meglio dilavarla dal sospetto di cui potrebbe offuscarla il mondo. Per evitare la macchia, non vuol macchiare il foglio con parole, poiché coi gesti poi saprà meglio spiegare. Se vista, una triste nuova muove più che se è udita, perché allora l’occhio è interprete all’orecchio della forte emozione ch’esso osserva, quando ogni lineamento porta in sé parte del duolo124. Della pena solo una parte noi invece udiamo. Viene dal mare meno rumore che dai bassi guadi e cala il dolore se sospinto da un vento di parole. Sigillata è la lettera; e vi si legge: ‘Ad Ardea, in gran fretta, al mio signore’. Già pronto è il messo, ella gliela consegna e ordina al servo dal volto rozzo d’andar veloce, come i pigri uccelli quando li spinge il vento del nord. La più ratta velocità lenta le pare, e tarda: la pena estrema suscita estremi pensieri!
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Shakespeare IV.indb 2365
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THE RAPE OF LUCRECE
The homely villain curtsies to her low, And blushing on her with a steadfast eye Receives the scroll without or yea or no, And forth with bashful innocence doth hie. But they whose guilt within their bosoms lie Imagine every eye beholds their blame, For Lucrece thought he blushed to see her shame, When, silly groom, God wot, it was defect Of spirit, life, and bold audacity. Such harmless creatures have a true respect To talk in deeds, while others saucily Promise more speed, but do it leisurely. Even so this pattern of the worn-out age Pawned honest looks, but laid no words to gage. His kindled duty kindled her mistrust, That two red fires in both their faces blazed. She thought he blushed as knowing Tarquin’s lust, And blushing with him, wistly on him gazed. Her earnest eye did make him more amazed. The more she saw the blood his cheeks replenish, The more she thought he spied in her some blemish. But long she thinks till he return again, And yet the duteous vassal scarce is gone. The weary time she cannot entertain, For now ’tis stale to sigh, to weep, and groan. So woe hath wearied woe, moan tired moan, That she her plaints a little while doth stay, Pausing for means to mourn some newer way.
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LUCREZIA VIOLATA
Il dimesso servitore profondamente s’inchina e, fissandola con sguardo leale, arrossisce mentre riceve il plico; e senza dire sì o no, via s’affretta con innocenza schiva. Ma quanti nel petto celano la colpa credono che ogni sguardo questo delitto osservi; e pensa Lucrezia: Per la vergogna mia egli arrossì! Invece, lo sa Dio, privo era il semplice servo di spirito e d’acume e pronta audacia: esseri ingenui come lui mostrano zelo non con parole, bensì con gli atti, mentre altri, insolenti, promettono rapidità, e poi con lentezza fanno. Quest’usanza del tempo passato prestava sguardi onesti e non dava parole a garanzia. L’accesa deferenza di lui in lei accese malafede e rossi fuochi arsero sul volto d’entrambi. Ella pensava lui arrossisse per la lascivia di Tarquinio e, assieme a lui arrossendo, lo guardava intensamente. Lo sguardo severo di lei di più lo confuse; più ella vedeva il sangue colorirgli le guance, più pensava ch’egli vedesse in lei un qualche fallo. Lungo le pare il tempo: lui non ritorna! Ma è appena andato il vassallo fedele; quest’arduo tempo ella non sa passare, perché vani sono i sospiri, i gemiti, il pianto; la pena ha stancato la pena, il lamento il lamento, sì ch’ella cessa un poco il suo compianto e nuovi modi cerca per sfogare la luttuosa pena.
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Shakespeare IV.indb 2367
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THE RAPE OF LUCRECE
At last she calls to mind where hangs a piece Of skilful painting made for Priam’s Troy, Before the which is drawn the power of Greece, For Helen’s rape the city to destroy, Threat’ning cloud-kissing Ilion with annoy; Which the conceited painter drew so proud As heaven, it seemed, to kiss the turrets bowed. A thousand lamentable objects there, In scorn of nature, art gave lifeless life. Many a dry drop seemed a weeping tear Shed for the slaughtered husband by the wife. The red blood reeked to show the painter’s strife, And dying eyes gleamed forth their ashy lights Like dying coals burnt out in tedious nights. There might you see the labouring pioneer Begrimed with sweat and smearèd all with dust, And from the towers of Troy there would appear The very eyes of men through loop-holes thrust, Gazing upon the Greeks with little lust. Such sweet observance in this work was had That one might see those far-off eyes look sad. In great commanders grace and majesty You might behold, triumphing in their faces; In youth, quick bearing and dexterity; And here and there the painter interlaces Pale cowards marching on with trembling paces, Which heartless peasants did so well resemble That one would swear he saw them quake and tremble.
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LUCREZIA VIOLATA
Alfine le sovviene che altrove pende un dipinto perfetto125 che la Troia di Priamo figura126; la potenza di Grecia le sta innanzi onde abbattere, per Elena rapita127, la città, minacciando di rovina Ilio128 che le nubi bacia: a dipingerne la superbia maestro fu il pittore, tanto che pare il cielo si chini a baciarne le torri129. A mille oggetti di pena, a scorno di Natura, l’Arte là dava una vita senza vita130; molte gocce secche131 parevano fresche lacrime versate dalla sposa per lo sposo ucciso. Fumava il rosso sangue, a dire lo sforzo del pittore, e gli occhi dei morenti brillavano di cinerei lumi, come i tizzoni che si consumano nelle lunghe sere. Vedevi là un soldato che con fatica scava, sporco di polvere e sudicio di sudore; e dalla torri troiane apparivano, come veri, gli occhi di chi da quelle feritoie guata, con poca gioia osservando quella greca armata; tanta era stata l’amorosa cura nel lavoro che l’ansia piena leggevi in quegli occhi distanti. Sui volti dei grandi condottieri vedevi, poi, il trionfo della grazia e della maestà, nei giovani, destrezza e agile sveltezza, e qui e là il pittore frammischia pallidi codardi che avanzano marciando col passo che trema, appieno somiglianti a contadini pavidi, tanto che giureresti di vederli fremere e tremare.
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Shakespeare IV.indb 2369
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THE RAPE OF LUCRECE
In Ajax and Ulysses, O what art Of physiognomy might one behold! The face of either ciphered either’s heart; Their face their manners most expressly told. In Ajax’ eyes blunt rage and rigour rolled, But the mild glance that sly Ulysses lent Show I deep regard and smiling government. There pleading might you see grave Nestor stand, As ’twere encouraging the Greeks to fight, Making such sober action with his hand That it beguiled attention, charmed the sight. In speech it seemed his beard all silver-white Wagged up and down, and from his lips did fly Thin winding breath which purled up to the sky. About him were a press of gaping faces Which seemed to swallow up his sound advice, All jointly list’ning, but with several graces, As if some mermaid did their ears entice; Some high, some low, the painter was so nice. The scalps of many, almost hid behind, To jump up higher seemed, to mock the mind. Here one man’s hand leaned on another’s head, His nose being shadowed by his neighbour’s ear; Here one being thronged bears back, all boll’n and red; Another, smothered, seems to pelt and swear, And in their rage such signs of rage they bear As but for loss of Nestor’s golden words It seemed they would debate with angry swords.
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LUCREZIA VIOLATA
In Aiace, in Ulisse, oh qual mai arte di fisionomia era da ammirare! Il volto d’ognuno era cifra del suo cuore, della natura loro era espressione il volto. Balenavano gli occhi d’Aiace d’ira e di durezza, mentre lo sguardo mite dell’astuto Ulisse mostrava vigile cautela e calma autorità132. E là, in veste d’oratore, ecco Nestore severo, che pareva incitasse i greci alla battaglia; muoveva la mano con gesto tanto austero che attenzione e sguardi a sé traeva e affascinava. Sembrava che, mentre parlava, l’argentea barba in su e in giù s’agitasse, e dalle labbra emanasse un respiro sottile che s’aggira al cielo133. Attentissima, una folla gli si premeva attorno, e pareva inghiottire i suoi saggi consigli; uniti nell’ascolto, diversi nell’espressione, quasi una sirena incantasse il loro orecchio; alcuni alti, altri bassi: preciso era stato il pittore! Le teste di molti, quasi nascoste più dietro, parevano allungarsi, in ingannevole prospettiva. Qui, la mano di uno poggiava sul capo di un altro, che aveva il naso in ombra per l’orecchio del vicino; qui, sentendosi schiacciato, uno si ritrae, rosso e stizzito, e un altro, soffocato dalla ressa, impreca e grida; della rabbia, rabbiosi, portano tanti segni che, non fosse per non perdere di Nestore le dorate parole, con furiose spade pare vorrebbero discutere.
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THE RAPE OF LUCRECE
For much imaginary work was there; Conceit deceitful, so compact, so kind, That for Achilles’ image stood his spear Gripped in an armèd hand; himself behind Was left unseen save to the eye of mind; A hand, a foot, a face, a leg, a head, Stood for the whole to be imaginèd. And from the walls of strong-besiegèd Troy When their brave hope, bold Hector, marched to field, Stood many Trojan mothers sharing joy To see their youthful sons bright weapons wield; And to their hope they such odd action yield That through their light joy seemèd to appear, Like bright things stained, a kind of heavy fear. And from the strand of Dardan where they fought To Simois’ reedy banks the red blood ran, Whose waves to imitate the battle sought With swelling ridges, and their ranks began To break upon the gallèd shore, and then Retire again, till meeting greater ranks They join, and shoot their foam at Simois’ banks. To this well painted piece is Lucrece come, To find a face where all distress is stelled. Many she sees where cares have carvèd some, But none where all distress and dolour dwelled Till she despairing Hecuba beheld Staring on Priam’s wounds with her old eyes, Which bleeding under Pyrrhus’ proud foot lies.
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LUCREZIA VIOLATA
Era là all’opera la fantasia che crea, un’arte ingannevole, ma così vera, così naturale, che Achille era raffigurato dalla sola lancia134, stretta da una mano armata, e lui era celato, invisibile se non all’occhio della mente: una mano, un piede, un volto, una gamba, una testa lasciavano immaginare il corpo intero. E sulle mura di Troia assediata, quand’Ettore audace, loro viva speranza135, marciava alla battaglia, stavano le madri troiane, unite nella gioia di vedere i giovani figli impugnare armi lucenti; ma la loro speranza si mostrava in gesti strani, sì che da quella chiara gioia pareva trasparire una paura oscura, pari a una macchia su lucenti cose. E dalla sponda del Dardano136, dove si combatte, scorre il rosso sangue sino alle rive del Simoenta137, ricche di canne, e le sue onde, della battaglia imitatrici, si gonfiano in alte creste e i loro ranghi s’abbattono sull’estenuata riva; poi, ritraendosi, s’incontrano con più grandi ranghi, a loro s’uniscono e precipitano spumosi sulle rive del Simoenta. Innanzi a quest’opera dipinta ad arte è ora Lucrezia, onde trovare un volto ove ogni ambascia si raccolga. In molti vede i segni che essa ha inciso, ma nessuno dove l’ambascia sola viva, ed il dolore; sinché non vide Ecuba, la disperata, che fissava coi vecchi occhi le ferite di Priamo, sanguinante sotto il piede di Pirro il superbo138.
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THE RAPE OF LUCRECE
In her the painter had anatomized Time’s ruin, beauty’s wreck, and grim care’s reign. Her cheeks with chaps and wrinkles were disguised; Of what she was no semblance did remain. Her blue blood changed to black in every vein, Wanting the spring that those shrunk pipes had fed, Showed life imprisoned in a body dead. On this sad shadow Lucrece spends her eyes, And shapes her sorrow to the beldame’s woes, Who nothing wants to answer her but cries And bitter words to ban her cruel foes. The painter was no god to lend her those, And therefore Lucrece swears he did her wrong To give her so much grief, and not a tongue. ‘Poor instrument,’ quoth she, ‘without a sound, I’ll tune thy woes with my lamenting tongue, And drop sweet balm in Priam’s painted wound, And rail on Pyrrhus that hath done him wrong, And with my tears quench Troy that burns so long, And with my knife scratch out the angry eyes Of all the Greeks that are thine enemies. ‘Show me the strumpet that began this stir, That with my nails her beauty I may tear. Thy heat of lust, fond Paris, did incur This load of wrath that burning Troy doth bear; Thine eye kindled the fire that burneth here, And here in Troy, for trespass of thine eye, The sire, the son, the dame and daughter die.
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LUCREZIA VIOLATA
Notomizzato aveva in lei il pittore la rovina del tempo, la beltà in sfacelo e l’aspro assillo. Sfigurate erano le guance da grinze e da crepe: del primo aspetto di lei non v’era traccia. L’azzurro sangue, fattosi nero in ogni vena, perché secche ne erano le fonti in quei canali, mostrava la vita imprigionata in un corpo morto. Su quest’ombra misera indugia l’occhio di Lucrezia, e il proprio male accorda al duolo della donna, cui nulla manca ché a lei risponda, se non grida e parole a dannare, aspre, il nemico crudele. Ciò, non essendo un dio, non le diede il pittore: ecco perché Lucrezia giura ch’egli le fece un torto, sì: la straziò di dolore e le negò la voce! ‘Povero strumento’ disse ‘senza suono; con la mia lingua dolente, intonerò la tua pena e dolci balsami verserò sulla ferita di Priamo dipinta, e Pirro insulterò, che gran torto gli ha fatto, e col pianto spegnerò il lungo fuoco di Troia e col coltello caverò gli occhi rabbiosi dei greci tutti che a te sono nemici. Mostrami la sgualdrina che iniziò il conflitto, sì che con le unghie la beltà possa io disfarne: Paride pazzo, la tua calda foia qui trascinò il peso di quest’ira che grava su Troia in fiamme139; il tuo sguardo appiccò il fuoco che qui riarde, e qui, a Troia, per il peccato del tuo sguardo140, col figlio muore il padre, la madre con la figlia.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Why should the private pleasure of someone Become the public plague of many moe? Let sin alone committed light alone Upon his head that hath transgressèd so; Let guiltless souls be freed from guilty woe. For one’s offence why should so many fall, To plague a private sin in general? ‘Lo, here weeps Hecuba, here Priam dies, Here manly Hector faints, here Troilus swoons, Here friend by friend in bloody channel lies, And friend to friend gives unadvisèd wounds, And one man’s lust these many lives confounds. Had doting Priam checked his son’s desire, Troy had been bright with fame, and not with fire.’ Here feelingly she weeps Troy’s painted woes; For sorrow, like a heavy hanging bell Once set on ringing, with his own weight goes; Then little strength rings out the doleful knell. So Lucrece, set a-work, sad tales doth tell To pencilled pensiveness and coloured sorrow. She lends them words, and she their looks doth borrow. She throws her eyes about the painting round, And who she finds forlorn she doth lament. At last she sees a wretched image bound, That piteous looks to Phrygian shepherds lent. His face, though full of cares, yet showed content. Onward to Troy with the blunt swains he goes, So mild that patience seemed to scorn his woes.
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LUCREZIA VIOLATA
Perché mai dovrebbe il piacere d’un singolo uomo farsi la peste che è comune a molti? Che il peccato commesso da uno solo solo ricada sul capo di colui che lo commise! Libere da colpevole pena siano le anime innocenti: perché in tanti debbono cadere per la colpa di uno solo? Perché tutti punire per il peccato di un solo uomo? Guarda, qui piange Ecuba, qui Priamo muore, sviene qui Ettore virile, qui Troilo viene meno141, tra rivi di sangue giace l’amico qui presso l’amico, e senza volerlo l’amico ferisce l’amico, e tante vite, queste, le disfà la foia di uno solo! Se il folle Priamo avesse trattenuto la brama del figlio, la fama avrebbe illuminato Troia, non questo fuoco!’ E col cuore ella piange i mali dipinti di Troia, poiché il dolore è come una pesante campana che pende: sospinta che sia, solo per il suo peso il suono si diffonde; poca forza fa allora riecheggiare il mesto rintocco. Lucrezia, così, preso l’aire, meste storie ridice a quel duolo dipinto, a quella disegnata pena; a loro ella presta le parole, e l’aspetto ne prende. Gira, ella, e rigira gli occhi sul dipinto e d’ognuno che vede compiange l’afflizione; scorge alfine l’effigie d’un misero in catene che ai pastori di Frigia strappa pietosi sguardi: pur d’ansia pieno, il volto suo mostra contento. Cammina verso Troia coi semplici pastori, tanto mite che la pazienza sua pare sdegnar le pene142.
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THE RAPE OF LUCRECE
In him the painter laboured with his skill To hide deceit and give the harmless show An humble gait, calm looks, eyes wailing still, A brow unbent that seemed to welcome woe; Cheeks neither red nor pale, but mingled so That blushing red no guilty instance gave, Nor ashy pale the fear that false hearts have. But like a constant and confirmèd devil He entertained a show so seeming just, And therein so ensconced his secret evil That jealousy itself could not mistrust False creeping craft and perjury should thrust Into so bright a day such blackfaced storms, Or blot with hell-born sin such saint-like forms. The well skilled workman this mild image drew For perjured Sinon, whose enchanting story The credulous old Priam after slew; Whose words like wildfire burnt the shining glory Of rich-built Ilion, that the skies were sorry, And little stars shot from their fixèd places When their glass fell wherein they viewed their faces. This picture she advisedly perused, And chid the painter for his wondrous skill, Saying some shape in Sinon’s was abused, So fair a form lodged not a mind so ill; And still on him she gazed, and gazing still, Such signs of truth in his plain face she spied That she concludes the picture was belied.
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LUCREZIA VIOLATA
La propria perizia in lui dispiegò il pittore, onde celar l’inganno e dare a quell’innocua effigie un passo umile, quieti sguardi, occhi dolenti, una fronte non china che pare accogliere la pena, e guance né rosse né bianche, ma variate sì che il rossore non mostrasse indizio di colpa né il cinereo pallore la paura d’un cuore bugiardo. Egli, come un diavolo perseverante e saldo, manteneva un aspetto di apparente onestà, e in sé tanto celava la segreta infamia, che neppure il dubbio poteva sospettare che insinuante astuzia e spergiuro potessero scatenare, in sì limpido giorno, burrasche così scure, o macchiare con peccato d’inferno forme sì sante. Questa figura di mitezza tracciò l’abile artista per Sinone spergiuro143, la cui storia incantatrice il credulo e vecchio Priamo uccise poi; e le cui parole, pari a fuoco, arsero la gloria splendente d’Ilio ricca e bella, tanto che mesti ne furono i cieli e le stelle minori precipitarono dai luoghi loro quando lo specchio s’infranse ove sé stesse esse vedevano144. Quest’immagine con cura ella lesse, rilesse, e il pittore sgridò per la mirabile sua abilità, dicendo ch’era un’offesa dipingere così Sinone: mente sì mala non poteva abitare forma sì bella! E ancora lo guardò e ancora riguardando colse in quel semplice volto segni di tale verità che concluse: Quest’immagine è mendace.
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THE RAPE OF LUCRECE
‘It cannot be,’ quoth she, ‘that so much guile’ — She would have said ‘can lurk in such a look’, But Tarquin’s shape came in her mind the while, And from her tongue ‘can lurk’ from ‘cannot’ took. ‘It cannot be’ she in that sense forsook, And turned it thus: ‘It cannot be, I find, But such a face should bear a wicked mind. ‘For even as subtle Sinon here is painted, So sober-sad, so weary, and so mild, As if with grief or travail he had fainted, To me came Tarquin armèd, too beguiled With outward honesty, but yet defiled With inward vice. As Priam him did cherish, So did I Tarquin, so my Troy did perish. ‘Look, look, how list’ning Priam wets his eyes To see those borrowed tears that Sinon sheds. Priam, why art thou old and yet not wise? For every tear he falls a Trojan bleeds. His eye drops fire, no water thence proceeds. Those round clear pearls of his that move thy pity Are balls of quenchless fire to burn thy city. ‘Such devils steal effects from lightless hell, For Sinon in his fire doth quake with cold, And in that cold hot-burning fire doth dwell. These contraries such unity do hold Only to flatter fools and make them bold; So Priam’s trust false Sinon’s tears doth flatter That he finds means to burn his Troy with water.’
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LUCREZIA VIOLATA
‘Esser non può’ diss’ella ‘che tanto inganno …’ Voleva dire: ‘celar si possa in tale aspetto’; ma allora in sé riebbe la forma di Tarquinio e dalla lingua si strappò quel ‘non’ e non trovò più senso in quell’ ‘Esser non può’ e così lo mutò: ‘Oh, sì, essere può che un volto tale celi una sì infame mente!’ Poiché, come lo scaltro Sinone è qui dipinto, tanto serio, provato e tanto mite (come fosse spossato da fatiche e pene) da me, d’inganno armato, venne Tarquinio, con l’aspetto sincero ma già corrotto da un’interna infamia; come Priamo accolse lui, accolsi io Tarquinio: e la mia Troia rovinò145. Guarda, guarda come Priamo ascolta e bagna gli occhi a vedere le false lacrime che Sinone versa. Perché, Priamo, sei vecchio eppure non sei savio? Per ogni lacrima che versa, sanguina un troiano; dagli occhi suoi non esce acqua, no: fuoco egli sparge! Quelle chiare e tonde perle che ti muovono a pietà sono palle d’inesausto fuoco che arderanno la città! Diavoli pari a lui rubano forme al buio inferno, ché nel suo fuoco trema Sinone di freddo, un freddo ch’è dimora d’un fuoco caldo, ardente. Questi contrari s’uniscono e compenetrano solo per lusingare gli sciocchi e farli arditi; Priamo fidente è lusingato dal pianto di Sinone il falso, e questi trova il mezzo per ardere Troia con l’acqua’.
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THE RAPE OF LUCRECE
Here, all enraged, such passion her assails That patience is quite beaten from her breast. She tears the senseless Sinon with her nails, Comparing him to that unhappy guest Whose deed hath made herself herself detest. At last she smilingly with this gives o’er: ‘Fool, fool,’ quoth she, ‘his wounds will not be sore.’ Thus ebbs and flows the current of her sorrow, And time doth weary time with her complaining. She looks for night, and then she longs for morrow, And both she thinks too long with her remaining. Short time seems long in sorrow’s sharp sustaining. Though woe be heavy, yet it seldom sleeps, And they that watch see time how slow it creeps. Which all this time hath overslipped her thought That she with painted images hath spent, Being from the feeling of her own grief brought By deep surmise of others’ detriment, Losing her woes in shows of discontent. It easeth some, though none it ever cured, To think their dolour others have endured. But now the mindful messenger come back Brings home his lord and other company, Who finds his Lucrece clad in mourning black, And round about her tear-distainèd eye Blue circles streamed, like rainbows in the sky. These water-galls in her dim element Foretell new storms to those already spent.
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LUCREZIA VIOLATA
E qui, forsennata, è colta da una tal passione che ogni pazienza è cacciata dal suo cuore. Con le unghie dilacera Sinone, che però nulla sente, e all’ospite suo infausto lo compara, il cui atto all’odio di se stessa l’ha portata. S’arrende alfine e, con l’ombra di un sorriso: ‘Sciocca’ dice ‘non proverà dolore per queste ferite!’ Come marea fluisce e rifluisce in lei la pena e, mentr’ella geme, il tempo estenua il tempo. Ella cerca la notte, poi spasima per il giorno, e, mentre così resta, entrambi le appaiono lontani. Se aspro è l’affanno, sembra lungo il tempo breve; perché, quand’è gravosa, dorme poco la pena; e chi veglia sa bene che lentamente passa il tempo. Il tempo che ha trascorso con le immagini dipinte quasi inavvertito è stato al suo pensiero, distratta dal senso della propria pena col meditare l’ambascia di persone altre, e in immagini di duolo il proprio smarrendo; se pur non sia una cura, allevia alquanto pensare che altri abbiano provato un pari dolore. Ma ora torna lo zelante nunzio, con sé portando il suo signore, e altri146. Egli trova la sua Lucrezia vestita in nero lutto, con, attorno agli occhi che il pianto ha devastato, archi bluastri, come arcobaleni in cielo. E nel suo scuro cielo quegli equorei aloni annunciano, dopo le trascorse, burrasche nuove.
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Shakespeare IV.indb 2383
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THE RAPE OF LUCRECE
Which when her sad beholding husband saw, Amazedly in her sad face he stares. Her eyes, though sod in tears, looked red and raw, Her lively colour killed with deadly cares. He hath no power to ask her how she fares. Both stood like old acquaintance in a trance, Met far from home, wond’ring each other’s chance. At last he takes her by the bloodless hand, And thus begins: ‘What uncouth ill event Hath thee befall’n, that thou dost trembling stand? Sweet love, what spite hath thy fair colour spent? Why art thou thus attired in discontent? Unmask, dear dear, this moody heaviness, And tell thy grief, that we may give redress.’ Three times with sighs she gives her sorrow fire Ere once she can discharge one word of woe. At length addressed to answer his desire, She modestly prepares to let them know Her honour is ta’en prisoner by the foe, While Collatine and his consorted lords With sad attention long to hear her words. And now this pale swan in her wat’ry nest Begins the sad dirge of her certain ending. ‘Few words,’ quoth she, ‘shall fit the trespass best, Where no excuse can give the fault amending. In me more woes than words are now depending, And my laments would be drawn out too long To tell them all with one poor tired tongue.
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LUCREZIA VIOLATA
Quando questo vide lo sposo, gravemente nel mesto viso la fissò, con sospeso stupore: gli occhi di lei, pur molli di pianto, parevano duri, rossi, ucciso da pene mortali il colore della vita. Di chiederle: ‘Come stai?’ egli non ha la forza. E ristettero attoniti, come due che lungi da casa s’incontrano e pensino uno al destino dell’altro. La gelida, bianca mano egli le prende, alfine, e inizia: ‘Qual mai tremendo e malo caso t’ha colpito, che ancora così ne tremi? Amore dolce, quale offesa ti tolse ogni colore? Perché così ti sei vestita di sgomento? Disvela, amore, quest’afflizione cupa e, sì che vi poniamo rimedio, di’ la pena tua. Per tre volte sulla miccia della pena ella sospira147, ma le dolenti parole non possono prorompere. Alfine, pronta a rispondere al volere di lui, con modestia s’appresta a rivelare come il suo onore fu fatto prigioniero dal nemico, mentre Collatino e i suoi compagni bramano, con vigile ascolto, d’udire quelle parole. Ed ecco, dal nido lacrimoso il pallido cigno principia il mesto lai della sua fine certa148. ‘Questo peccato’ disse ‘lo dicono poche parole; è colpa cui è negata e scusa ed espiazione. Ristanno in me più pene che parole e troppo lunghi sarebbero i miei lamenti perché dire li possa la mia lingua, che è sì stanca.
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Shakespeare IV.indb 2385
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Then be this all the task it hath to say: Dear husband, in the interest of thy bed A stranger came, and on that pillow lay Where thou wast wont to rest thy weary head; And what wrong else may be imaginèd By foul enforcement might be done to me, From that, alas, thy Lucrece is not free. ‘For in the dreadful dead of dark midnight With shining falchion in my chamber came A creeping creature with a flaming light, And softly cried, “Awake, thou Roman dame, And entertain my love; else lasting shame On thee and thine this night I will inflict, If thou my love’s desire do contradict. ‘“For some hard-favoured groom of thine,” quoth he, “Unless thou yoke thy liking to my will, I’ll murder straight, and then I’ll slaughter thee, And swear I found you where you did fulfil The loathsome act of lust, and so did kill The lechers in their deed. This act will be My fame, and thy perpetual infamy.” ‘With this I did begin to start and cry, And then against my heart he set his sword, Swearing unless I took all patiently I should not live to speak another word. So should my shame still rest upon record, And never be forgot in mighty Rome Th’adulterate death of Lucrece and her groom.
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LUCREZIA VIOLATA
Il compito suo è questo, solo questo deve dire: marito caro, nel letto che è tuo per diritto venne un nemico e giacque sul guanciale dove stanco usavi tu posare il capo; e da ogni torto che immaginare si può a me sia stato fatto con violenza oscena, da esso, ahimè, libera non è la tua Lucrezia. Perché nell’ora più buia della buia notte in camera mia venne, con spada che riluce, un essere strisciante149, con la face accesa, e piano disse: ‘Destati, matrona di Roma, e l’amor mio ricevi; se no, onta sempiterna a te e ai tuoi in questa notte infliggerò, se alla brama del mio amore tu t’opponi. Perché’ disse ‘uno dei tuoi più brutti servi, se al mio volere non aggioghi il tuo consenso, ammazzerò; e te, poi, massacrerò e giurerò d’averti trovata là dove compivi l’atto dell’oscena lussuria; sì che, colti sul fatto, io uccisi i lussuriosi. Quest’azione a me fama darà, a te perpetua infamia’. Presi a tremare, allora, e piansi; ma contro il cuore mi pose la spada, giurando che, se quieta non avessi assentito, vita mi mancherebbe a dire altre parole. E incisa per sempre sarebbe stata la vergogna mia, mai dimenticata nella possente Roma la morte adultera di Lucrezia e del suo servo!
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Shakespeare IV.indb 2387
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THE RAPE OF LUCRECE
‘Mine enemy was strong, my poor self weak, And far the weaker with so strong a fear. My bloody judge forbade my tongue to speak; No rightful plea might plead for justice there. His scarlet lust came evidence to swear That my poor beauty had purloined his eyes; And when the judge is robbed, the prisoner dies. ‘O teach me how to make mine own excuse, Or at the least this refuge let me find: Though my gross blood be stained with this abuse, Immaculate and spotless is my mind. That was not forced, that never was inclined To accessory yieldings, but still pure Doth in her poisoned closet yet endure.’ Lo, here the hopeless merchant of this loss, With head declined and voice dammed up with woe, With sad set eyes and wreathèd arms across, From lips new waxen pale begins to blow The grief away that stops his answer so; But wretched as he is, he strives in vain. What he breathes out, his breath drinks up again. As through an arch the violent roaring tide Outruns the eye that doth behold his haste, Yet in the eddy boundeth in his pride Back to the strait that forced him on so fast, In rage sent out, recalled in rage being past; Even so his sighs, his sorrows, make a saw, To push grief on, and back the same grief draw.
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Shakespeare IV.indb 2388
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LUCREZIA VIOLATA
Forte era il nemico, debole io ero e, per paura sì forte, più debole ancora. M’impedì la parola quel giudice sanguinario: non vi fu spazio per un giusto appello! La sua scarlatta lascivia presentò la prova che la mia povera beltà gli occhi gli aveva rubato: e quando il giudice è il derubato, il prigioniero muore. Oh, insegnami a presentare una scusante; o lascia che dica questo, almeno, a mia discolpa: se pure il mio sangue sia ormai corrotto dall’oltraggio, ancora immacolata, e pura, è la mia mente150. Essa non fu violata, mai essa concesse consenso alla caduta, e chiara resta ancora nell’ammorbato suo recesso’. Ecco, l’afflitto mercante151 che tutto ha perduto, col capo chino, con la pena che alla voce è diga152, con occhi fissi e spenti, conserte le braccia, dalle smorte labbra prende a esalare l’affanno che il parlare gli vieta; invano tenta poiché, sventurato com’è, ciò ch’egli esala nella strozza gli torna153. Come quando, sotto un’arcata, l’impetuosa corrente che rugghia corre più ratta dell’occhio che la segue, ma poi con forza rimbalza indietro in onda verso la strettoia che l’impeto le impresse, sospinta con furia, con furia indietro spinta; così i dolenti sospiri di lui, come una sega mossa, vogliono esalare l’affanno che indietro è poi ritratto.
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Shakespeare IV.indb 2389
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THE RAPE OF LUCRECE
Which speechless woe of his poor she attendeth, And his untimely frenzy thus awaketh: ‘Dear lord, thy sorrow to my sorrow lendeth Another power; no flood by raining slaketh. My woe too sensible thy passion maketh, More feeling-painful. Let it then suffice To drown on woe one pair of weeping eyes. ‘And for my sake, when I might charm thee so, For she that was thy Lucrece, now attend me. Be suddenly revengèd on my foe — Thine, mine, his own. Suppose thou dost defend me From what is past. The help that thou shalt lend me Comes all too late, yet let the traitor die, For sparing justice feeds iniquity. ‘But ere I name him, you fair lords,’ quoth she, Speaking to those that came with Collatine, ‘Shall plight your honourable faiths to me With swift pursuit to venge this wrong of mine; For ’tis a meritorious fair design To chase injustice with revengeful arms. Knights, by their oaths, should right poor ladies’ harms.’ At this request with noble disposition Each present lord began to promise aid, As bound in knighthood to her imposition, Longing to hear the hateful foe bewrayed. But she that yet her sad task hath not said The protestation stops. ‘O speak,’ quoth she; ‘How may this forcèd stain be wiped from me?
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Misera ella osserva quel muto dolore e così da quell’inopportuno stupore lo ridesta: ‘Signore amato, la tua pena alla mia pena porge rinnovata forza: per la pioggia non cala la piena. Acutissimo rende il mio duolo il tuo patire, più carico d’un intenso strazio. Che basti allora, ad affogare il dolore, un solo paio d’occhi lacrimosi. E per amore di me, quand’ancora potevo ammaliarti154, per lei che era la tua Lucrezia, ascoltami: cada presta la vendetta sul mio nemico155, tuo, mio e suo proprio. Immagina di potermi difendere da ciò che ormai è stato. L’aiuto che mi presterai giunge oh troppo tardi: ma che muoia il traditore, perché affamare la giustizia nutre l’iniquità. Ma prima che ne dica il nome, nobili signori’ disse rivolta a quanti erano con Collatino giunti, ‘a me voi legherete e fede e onore, onde rapidi vendicare il torto che mi è stato fatto: poiché meritorio e nobile fine è inseguire l’iniquità con vindici armi. I cavalieri sempre dovrebbero proteggere le infelici dame’. A questa richiesta, con animo nobile, ognuno dei signori ch’era là promise aiuto, per cavalleria156 legandosi all’incarico dato, e ansiosi d’udire chi fosse quell’odioso nemico. Ella però, ancora non rivela quel solenne ufficio, frena quei giuramenti e dice: ‘Ditemi: come togliere si potrà la macchia su di me forzata?
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‘What is the quality of my offence, Being constrained with dreadful circumstance? May my pure mind with the foul act dispense, My low-declinèd honour to advance? May any terms acquit me from this chance? The poisoned fountain clears itself again, And why not I from this compellèd stain?’ With this they all at once began to say Her body’s stain her mind untainted clears, While with a joyless smile she turns away The face, that map which deep impression bears Of hard misfortune, carved in it with tears. ‘No, no,’ quoth she, ‘no dame hereafter living By my excuse shall claim excuse’s giving.’ Here with a sigh as if her heart would break She throws forth Tarquin’s name. ‘He, he,’ she says — But more than he her poor tongue could not speak, Till after many accents and delays, Untimely breathings, sick and short essays, She utters this: ‘He, he, fair lords, ’tis he That guides this hand to give this wound to me.’ Even here she sheathèd in her harmless breast A harmful knife, that thence her soul unsheathed. That blow did bail it from the deep unrest Of that polluted prison where it breathed. Her contrite sighs unto the clouds bequeathed Her wingèd sprite, and through her wounds doth fly Life’s lasting date from cancelled destiny.
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Qual mai è la natura del mio delitto, se a me fu imposto con tremendo caso? Può la mia pura mente annullare quest’atto infame e l’onore risollevare dal suo abisso? Esiste un argomento che da questa sventura mi assolva? La fonte avvelenata può tornare pura: perché non io dall’onta su di me forzata?’ Disse; e ognuno rispose allora che lo spirito suo, puro, puro rendeva il corpo pur violato; ma ella, sorridendo senza gioia, rivolge altrove il volto, mappa che mostra la traccia profonda dell’aspra sua sventura, incisa là col pianto. ‘No’ disse ‘no: nessuna donna che dopo me vivrà potrà a sua discolpa portare ciò che me scuserebbe’. Qui, con un sospiro che parve le spezzasse il cuore, ella pronuncia il nome di Tarquinio. ‘Lui’ dice ‘lui’ ma più che ‘lui’ dir non poté quella povera lingua; poi, dopo suoni vacui, esitazioni, rotti respiri d’affanno, tentativi brevi e malfermi, così lei parla: ‘Lui, lui, nobili signori, è lui che così guida questa mano che così mi ferisce!’ Dicendo, fece dell’innocente petto il fodero d’un reo pugnale, che di là l’anima trasse. La liberò quel colpo dal profondo affanno di quell’infetta prigione dove respirava. I suoi contriti sospiri verso le nubi portarono l’alato suo spirito e per le ferite via se ne fugge l’anima eterna, liberata dal destino terreno.
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Stone-still, astonished with this deadly deed Stood Collatine and all his lordly crew, Till Lucrece’ father that beholds her bleed Himself on her self-slaughtered body threw; And from the purple fountain Brutus drew The murd’rous knife; and as it left the place Her blood in poor revenge held it in chase, And bubbling from her breast it doth divide In two slow rivers, that the crimson blood Circles her body in on every side, Who like a late-sacked island vastly stood, Bare and unpeopled in this fearful flood. Some of her blood still pure and red remained, And some looked black, and that false Tarquinstained. About the mourning and congealèd face Of that black blood a wat’ry rigol goes, Which seems to weep upon the tainted place; And ever since, as pitying Lucrece’ woes, Corrupted blood some watery token shows; And blood untainted still doth red abide, Blushing at that which is so putrefied. ‘Daughter, dear daughter,’ old Lucretius cries, ‘That life was mine which thou hast here deprived. If in the child the father’s image lies, Where shall I live now Lucrece is unlived? Thou wast not to this end from me derived. If children predecease progenitors, We are their offspring, and they none of ours.
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Impietriti, attoniti innanzi a quell’atto mortale stettero Collatino e il gruppo dei signori; il padre di Lucrezia, poi, vedendo il sangue, si gettò sul corpo di colei che s’era uccisa e dalla purpurea sorgente Bruto trasse il pugnale assassino; mentr’esso usciva dal corpo, il sangue di lei, a misera vendetta, lo inseguì, e, gorgogliandole dal petto, si divide in due lenti rivi, sì che il sangue cremisi da ogni lato il corpo le circonda; e questo, pari a un’isola devastata, desolato restava, e spoglio e spopolato in quell’orrido mare. Era rosso, ancora, e puro, parte di quel sangue, ma nero in parte: lo corruppe Tarquinio infido! Dal luttuoso sangue che si raddensa, nero, si stacca un equoreo grumo, il quale sembra pianga per quel corpo corrotto; e da allora, a pietà delle pene di Lucrezia, il sangue corrotto mostra segni d’acqua, mentre rosso rimane l’incorrotto sangue, vergognoso di quello che è stato infamato157. ‘Figlia, cara figlia’ grida il vecchio Lucrezio158, ‘mia era la vita che tu hai qui sottratto. Se nel figlio si scorge la paterna effigie, dove vivrò, ora che Lucrezia è spenta? Tu non fosti da me creata a questo fine! Se i figli precedono i padri nella morte, noi siamo loro figli ed essi a noi tali non sono!
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‘Poor broken glass, I often did behold In thy sweet semblance my old age new born; But now that fair fresh mirror, dim and old, Shows me a bare-boned death by time outworn. O, from thy cheeks my image thou hast torn, And shivered all the beauty of my glass, That I no more can see what once I was. ‘O time, cease thou thy course and last no longer, If they surcease to be that should survive! Shall rotten death make conquest of the stronger, And leave the falt’ring feeble souls alive? The old bees die, the young possess their hive. Then live, sweet Lucrece, live again and see Thy father die, and not thy father thee.’ By this starts Collatine as from a dream, And bids Lucretius give his sorrow place; And then in key-cold Lucrece’ bleeding stream He falls, and bathes the pale fear in his face, And counterfeits to die with her a space, Till manly shame bids him possess his breath, And live to be revenged on her death. The deep vexation of his inward soul Hath served a dumb arrest upon his tongue, Who, mad that sorrow should his use control, Or keep him from heart-easing words so long, Begins to talk; but through his lips do throng Weak words, so thick come in his poor heart’s aid That no man could distinguish what he said.
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Povero specchio infranto, spesso io rimiravo, rinata nel tuo dolce aspetto, l’età mia antica159; ma quel vivo specchio, ora invecchiato e buio, mi mostra un teschio ossuto che il tempo ha consunto. Dalle guance ti sei strappata la mia effigie, a pezzi hai fatto la bellezza del mio specchio, sì che non posso più vedere ciò che ero un tempo. Ferma, Tempo, il tuo corso, più non durare, se dalla vita cessa chi vivere dovrebbe. Deve la marcia morte vincere i più forti e lasciar vivo chi esita e vacilla? Morte le api vecchie, alle giovani passa l’arnia; allora vivi, dolce Lucrezia, vivi di nuovo e guarda morire tu tuo padre, non te tuo padre!’ Come da un sogno, si riscuote allora Collatino e intima a Lucrezio: ‘Io debbo dolermi!’ Cade poi nel gelido rivo del sangue di Lucrezia e bagna il pallore sgomento che gli è sul viso e, quasi morto, con lei rigiace un poco; sinché virile orgoglio gli comanda di respirare ancora e vivere per far vendetta della morte di lei. L’ambascia profonda dell’anima sua una muta sosta aveva imposto alla sua lingua; ma ora, irato che la pena l’abbia raffrenata, impedendo le parole che danno sollievo al cuore, prende a parlare; alle labbra gli si affollano però parole stentate, giunte con troppo impeto a dare aiuto al cuore, e nessuno poté distinguere ciò ch’egli disse.
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Yet sometime ‘Tarquin’ was pronouncèd plain, But through his teeth, as if the name he tore. This windy tempest, till it blow up rain, Held back his sorrow’s tide to make it more. At last it rains, and busy winds give o’er. Then son and father weep with equal strife Who should weep most, for daughter or for wife. The one doth call her his, the other his, Yet neither may possess the claim they lay. The father says ‘She’s mine’; ‘O, mine she is,’ Replies her husband, ‘do not take away My sorrow’s interest; let no mourner say He weeps for her, for she was only mine, And only must be wailed by Collatine.’ ‘O,’ quoth Lucretius, ‘I did give that life Which she too early and too late hath spilled.’ ‘Woe, woe,’ quoth Collatine, ‘she was my wife. I owed her, and ’tis mine that she hath killed.’ ‘My daughter’ and ‘my wife’ with clamours fi lled The dispersed air, who, holding Lucrece’ life, Answered their cries, ‘my daughter’ and ‘my wife’. Brutus, who plucked the knife from Lucrece’ side, Seeing such emulation in their woe Began to clothe his wit in state and pride, Burying in Lucrece’ wound his folly’s show. He with the Romans was esteemèd so As silly jeering idiots are with kings, For sportive words and utt’ring foolish things.
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Ma ‘Tarquinio’ fu a tratti detto chiaramente, stretto tra i denti, quasi lacerasse egli quel nome. La ventosa burrasca che poi si scioglie in pioggia trattenne, per aumentarla, la piena della pena. E piove alfine, quando l’alto vento cessa. A gara piangono e figlio e padre160: piangere si deve di più la figlia oppure la sposa? Sua la chiama l’uno, sua l’altro la chiama, ma nessuno avrà più ciò che dichiara suo. Il padre dice: ‘È mia’. ‘È mia’ lo sposo risponde. ‘Non togliermi il diritto al mio dolore; nessuno può dire di piangere per lei, perché ella era soltanto mia e solo da Collatino dev’essere compianta’. ‘Ah’ disse Lucrezio ‘io le diedi quella vita che troppo presto e troppo tardi ella si tolse’161. ‘Ahimè’ disse Collatino ‘era la mia sposa, era mio possesso, mio è ciò che ella uccise’. ‘Mia figlia’ e ‘Mia moglie’ di clamore empivano l’aria dispersa che, tenendo la vita di Lucrezia, rispondeva a quei gridi: ‘Mia figlia’ e ‘Mia moglie’. Bruto, colui che trasse il pugnale dal fianco di Lucrezia, vedendoli rivali nel dolore, d’una fiera dignità prese a rivestir la mente, nel vulno di Lucrezia seppellendo la finta stoltezza162. Nella stima dei Romani egli era al pari degli sciocchi buffoni che divertono i re, perché solo diceva stolte parole di scherzo.
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But now he throws that shallow habit by Wherein deep policy did him disguise, And armed his long-hid wits advisedly To check the tears in Collatinus’ eyes. ‘Thou wrongèd lord of Rome,’ quoth he, ‘arise. Let my unsounded self, supposed a fool, Now set thy long-experienced wit to school. ‘Why, Collatine, is woe the cure for woe? Do wounds help wounds, or grief help grievous deeds? Is it revenge to give thyself a blow For his foul act by whom thy fair wife bleeds? Such childish humour from weak minds proceeds; Thy wretched wife mistook the matter so To slay herself, that should have slain her foe. ‘Courageous Roman, do not steep thy heart In such relenting dew of lamentations, But kneel with me, and help to bear thy part To rouse our Roman gods with invocations That they will suffer these abominations — Since Rome herself in them doth stand disgraced — By our strong arms from forth her fair streets chased. ‘Now by the Capitol that we adore, And by this chaste blood so unjustly stained, By heaven’s fair sun that breeds the fat earth’s store, By all our country rights in Rome maintained, And by chaste Lucrece’ soul that late complained Her wrongs to us, and by this bloody knife, We will revenge the death of this true wife.’
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Ma ora da sé discosta quell’abito vacuo, dove per scelta precisa163 il suo vero sé aveva celato, e con senno arma la mente, a lungo travisata, per raffrenare il pianto negli occhi di Collatino. ‘Sorgi’ disse ‘oltraggiato signore di Roma. E lascia che il mio io, creduto sciocco ché insondato, sia maestro alla tua mente, che pur sa l’esperienza. Forse che, Collatino, lo strazio curerà lo strazio? Le ferite aiutano le ferite, aiuta il dolore ciò che fece male? Tu colpisci te stesso: è questa la vendetta per l’atto atroce per cui sanguina la bella sposa? Umore sì infantile vive nelle menti deboli: la sventurata tua sposa malintese il fatto sì da uccidere se stessa: ma il nemico era da uccidere! Romano ardito, non affossare il cuore nella sfibrante rugiada del lamento ma piega con me il ginocchio, fai la tua parte nel levare quest’invocazione agli alti dei di Roma, sì che essi concedano che questi abomini (in essi giace la sventurata Roma) siano scacciati dalle sue vie dalle nostre braccia forti. Per il Campidoglio che noi adoriamo, per questo casto sangue ingiustamente corrotto, per il bel sole che dal cielo nutre la fertile terra, per i diritti che Roma, nostra patria, difende, per l’anima casta di Lucrezia che, poc’anzi, a noi svelò il subito torto, e per questo sanguinoso pugnale, vendicheremo noi la morte di questa sposa fedele’.
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This said, he struck his hand upon his breast, And kissed the fatal knife to end his vow, And to his protestation urged the rest, Who, wond’ring at him, did his words allow. Then jointly to the ground their knees they bow, And that deep vow which Brutus made before He doth again repeat, and that they swore. When they had sworn to this advisèd doom They did conclude to bear dead Lucrece thence, To show her bleeding body thorough Rome, And so to publish Tarquin’s foul offence; Which being done with speedy diligence, The Romans plausibly did give consent To Tarquin’s everlasting banishment.
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Disse; e la mano premendo sul petto, sigillò il giuramento baciando il pugnale fatale164; poi spronò gli altri a giurare lo stesso ed essi, colti da meraviglia165, ne approvarono le parole. Insieme, poi, a terra piegano i ginocchi e il solenne giuramento che Bruto prima prestò egli ripete ancora e lo stesso essi giurarono. Quando su questa risoluzione ebbero giurato, decisero di portar via di là Lucrezia, morta, e di mostrarne a Roma il corpo sanguinoso, pubblicando così l’atroce oltraggio di Tarquinio; così fu fatto, con presta diligenza, e i Romani con plauso diedero l’assenso a che Tarquinio per sempre fosse di là bandito166.
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Nota introduttiva
La silloge Il pellegrino appassionato (o, semplicemente, innamorato, avendo la parola passion, nell’epoca elisabettiana, una forza minore rispetto all’uso presente) fu assemblata e pubblicata, nel 1599, dall’editore William Jaggard; essa ebbe una seconda edizione già nello stesso 1599 (l’unica differenza rispetto alla prima è l’introduzione di una pagina che separa i primi quattordici componimenti dai restanti sei, recante il titolo Sonnets for Sundry Notes of Music, ossia “Sonetti scritti per vari tipi di melodia”. Una terza edizione seguì nel 1612; questa fu ampliata con l’aggiunta di due poesie legate alla guerra di Troia (due lettere scambiate tra Elena e Paride, scritte da Thomas Heywod secondo il modello delle epistole delle Heroides di Ovidio) più altre sue nove liriche, tratte dalla silloge Troia Britannica (1609). Il frontespizio attribuisce l’opera a William Shakespeare, quando, in verità, solo cinque delle venti poesie che compongono la prima versione del Pellegrino appassionato sono sicuramente sue; le altre sono o d’autore ignoto o attribuibili a Bartholomew Griffin, Richard Barnfield, Walter Raleigh e Christopher Marlowe (come si darà esatto riscontro nelle note). La rilevanza di questa raccolta non sta quindi nel suo, diseguale, valore letterario ma nel suo porsi come testimonianza del definitivo consolidarsi della fama di Shakespeare quale poeta d’amore, sulla scia del continuo successo del poemetto Venere e Adone, un successo del quale Jaggard pare volersi approfittare. Va dato atto, quindi, a Jaggard (il quale ha ricevuto, nel corso dei secoli, più contumelie che lodi per questa sua operazione, giudicata troppo spregiudicata) di aver saputo cogliere il clima letterario del tempo e aver capito come Shakespeare era percepito, e amato, dai lettori di poesia, ossia quale poe2407
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ta d’amore; ed è innegabile che Jaggard abbia dimostrato molta sapienza e abilità nel costruire questa silloge. Nulla si sa di una (eventuale) reazione di Shakespeare dinanzi a quest’operazione editoriale; l’unico accenno ci viene da Thomas Heywood, quando le sue poesie apparvero nell’edizione del 1612 del Pellegrino appassionato; nel testo An Apology for Authors, (“Apologia per gli scrittori”), anch’essa pubblicata nel 1612, Heywood si lamenta dell’appropriazione dei suoi testi e annota anche che Shakespeare “si era sentito grandemente offeso da Mr. Jaggard”. Nulla di più si può dire. Se alcuni editori moderni ristampano l’intera sequenza (e altri la escludono in toto), l’edizione Oxford del 2005 ne mantiene undici ed espunge queste (le quali sono state invece reinserite nell’edizione del 2017): n. 1: di Shakespeare, è una prima versione di quello che sarà il sonetto 138; n. 2: di Shakespeare, una versione del sonetto 144; n. 3: di Shakespeare, il sonetto letto da Longueville in Pene d’amor perdute (IV, 3, 57-70); n. 5: di Shakespeare, il sonetto letto da Nathaniel nella medesima opera (IV, 2, 106-118); n. 8: una poesia di Richard Barnfield (pubblicata nel suo volume, del 1598, Poems: In Divers Humours (“Poesie, secondo umori variati”); n. 11: una poesia di Bartholomew Griffin, tolta dalla sua sequenza di sonetti Fidessa, del 1596; n. 16: di Shakespeare, il sonetto letto da Dumaine in Pene d’amor perdute (IV, 3, 99-118); n. 19: una poesia che riprende un testo di Christopher Marlowe (The Passionate Shepherd to His Love, “Il pastore innamorato al suo amore”) e uno di Sir Walter Raleigh (The Nymph’s Reply to the Shepherd, “La risposta della ninfa al pastore”); n. 20, ancora di Barnfield, dalla raccolta Fidessa, come il n. 8. Il titolo non ha alcun legame preciso con le poesie che costituiscono la silloge, dove non appare invero alcun pellegrino; esso ne riassume, semplicemente, la tematica amorosa. Vi si sono visti riferimenti a una scena del Romeo e Giulietta (messo in scena nel corso degli anni ‘90 del 2408
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Cinquecento), là dove Romeo, al primo incontro con Giulietta, durante la festa in maschera nella casa dei Capuleti, ha, toccandole la mano, questo scambio di battute con lei: Se con questa indegnissima mano io profano questo sacro santuario, ecco un più nobile peccato: le labbra mie, due pellegrini che arrossiscono, sono pronti a levigare con un tenero bacio quel ruvido tocco.
Al che, Giulietta risponde: Buon pellegrino, fai un torto invero troppo grande alla tua mano, la quale in questo mostra una garbata devozione. Ché i santi hanno mani che le mani dei pellegrini toccano, e palmo contro palmo è il bacio che i palmieri si danno.
E Romeo: “I santi non hanno forse labbra, e non le hanno i palmieri?” E Giulietta: “Sì, pellegrino, labbra che essi per pregare debbono usare” (I, 5, vv. 92-101. Tutte le traduzioni sono mie.) Ancora, si può ricordare che, nel Mercante di Venezia, Shakespeare definisce il corteggiamento di Bassanio a Porzia come “un pellegrinaggio pieno di zelo” (I, 1, 120) e che, nel Troilo e Criseide di Geoffrey Chaucer, Troilo, per vedere l’amata, si travisa da pellegrino (V, vv. 1577-1578). Alla voce ‘Romeo’ nell’opera A World of Words, “Un mondo di parole”, del 1598, John Florio scrive che il nome equivale a un uomo errante, a un palmiere (ossia, a un pellegrino che ritorna dalla Terra Santa recando con sé un ramo di palma). Una lettura del Pellegrino innamorato Come si diceva, si deve riconoscere a Jaggard la volontà (e l’abilità) di costruire, partendo da materiali così disparati nella loro origine, una sequenza che come tale si potesse leggere, teste il successo delle sonnet sequences organizzate secondo un preciso ordine e secondo precisi echi intratestuali. Sullo sfondo, vi è l’idea di un culto d’amore: come un pellegrino si reca a un santuario per rendere grazie a un santo, così un uomo innamorato si rivolge alla donna amata considerandola alla pari di una dea, di un essere divino (anche se poi non sempre la donna ha invero 2409
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in sé le qualità divine che l’amante crede ella possegga). La sequenza costruita da Jaggard si pone sulla scia di una tradizione che affonda le proprie radici nella poesia amorosa medievale, per giungere a Petrarca e ai suoi imitatori cinquecenteschi; ma che risale più indietro, alla poesia erotica di colui che era visto, nel Rinascimento, come un maestro di tale arte, ossia Ovidio, l’Ovidio dell’Ars amatoria e delle Heroides. E, ancora, importante punto di riferimento è la poesia pastorale, con la figura del passionate shepherd, del pastore innamorato. Quindici dei venti componimenti sono scritti in prima persona (non lo sono i numeri 4, 6, 9, 13 e 16): la voce dell’innamorato è resa udibile mediante i versi ed è una voce che, il più delle volte, lamenta la propria condizione d’amante non ricambiato; ed ecco allora la tradizione del compianto, che Shakespeare metterà in atto nel Lamento di un’innamorata, il poemetto pubblicato in coda ai Sonetti del 1609. Il tono della silloge è dato dal componimento che la apre, una poesia di sicura attribuzione shakespeariana, poiché è una versione di ciò che sarà il sonetto 138 (i Sonetti furono pubblicati nel 1609 ma, com’è noto, essi circolarono manoscritti ben prima di quella data, come si evince dalla famosa frase di Frances Mere nel suo Palladis Tamia, là dove parla degli ‘zuccherosi’ sonetti di Shakespeare già nel 1598). Lo riporto (in una mia traduzione) per completezza del discorso: Quando giura il mio amore: ‘Son fedele’, io so che mente, eppur le presto fede, sì ch’ella creda me giovane e ingenuo, ignaro di tutto ciò che al mondo è falso. Così, vano pensando che giovane mi pensi (ma so passati gli anni miei migliori) alla sua falsa lingua do sorrisi e assensi e alle pecche d’amor volgo non scuro volto. Perché dice il mio amor: ‘Giovane sono’? Perché non dico io: ‘Io sono vecchio’? Uso è d’Amore lingua che blandisca: e il vecchio amante tace gli anni suoi. All’amata io mento, a me l’amata, sì che d’amor l’errore resti muto.
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La silloge inizia sotto il segno dell’inganno e dell’auto-inganno; della consapevolezza della separazione e dell’illusione che possibile sia un’unione d’amore; cifra del sonetto è l’imperfezione dell’amore umano e della conseguente fallacia dei rapporti umani. L’amore è falsità, l’amante si presenta come ingenuo quando ingenuo non è; l’amata di dice fedele quando fedele non è; in amore (o in un’illusione d’amore) meglio una lingua adulatrice che la verità. La mancata (e voluta) conoscenza della verità è tema anche del secondo componimento, il futuro sonetto 144, nel quale è introdotto il tema della duplicità, che larga parte avrà nel libro: Amo due amori, di conforto e d’agonia, spiriti tentatori sempre a me: un uomo bello è l’angelo mio buono, spirto maligno è donna di bruno dipinta. Per vincermi all’inferno ella, maligna, lungi tenta da me l’angelo buono e, corrotto, lo vorrebbe angelo malo, con altera beltà traviando sua purezza. Che l’angelo mio un demone sia fatto io lo sospetto, non lo so per certo: essi mi sono, e son tra loro amici, e un angelo io vedo nell’inferno altrui; senza il vero saper vivrò nel dubbio, sinché l’angelo malo il buono scaccerà.
Domina, in questo sonetto, il sospetto ma manca la volontà di dissipare questo sospetto; continuando il discorso del primo componimento, Jaggard pone qui la consapevole volontà dell’amante di non voler sapere, il suo preferire una vita d’attesa e, quindi, di sospensione, piuttosto che una vita di certezza che porterebbe con sé la fine dell’illusione; anche se, certo, la consapevolezza ha in sé già la fine di questa illusione caparbiamente (e inutilmente, amaramente) tenuta viva. La duplicità non è solo tra amante e amata ma anche nell’intimo dell’amante stesso, lacerato tra conforto e agonia, là dove il conforto è dato dal sogno di una (impossibile) purezza del sentimento. L’amante vive nel dubbio, con ciò già negando uno dei principi che stanno alla base dell’amore sincero, se2411
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condo la dottrina amorosa espressa da autori come Andrea Cappellano nel suo De amore, opera nella quale dedica un lungo capitolo al sospetto, ossia a uno degli elementi che più avevano il potere di minare l’autentico sentimento d’amore. Il terzo componimento, come poi i numeri 5 e 16, sono tratti dalla commedia Pene d’amor perdute, e Jaggard può averli tolti o dalla prima stampa (non autorizzata) del testo, nel 1598, o da copie che circolavano manoscritte. Se l’auto-inganno è rilevante nelle due poesie che aprono la silloge, qui il tema si fa l’auto-giustificazione d’esser spergiuro; l’amante dichiara di non poter essere accusato di spergiuro perché, se pure ha rotto un voto, l’ha fatto per amore non di una donna bensì di una dea. Il ragionamento condotto nei quattordici versi è serrato e sottile, e anche convincente; ma sempre di un’auto-assoluzione si tratta. Il tema è ribadito nell’altro sonetto tratto da Pene d’amor perdute (il numero 5), dove l’amante, nella piena consapevolezza d’aver tradito una promessa, dichiara comunque che all’amata sarà fedele: ma come credere (pare suggerire Shakespeare) alla dichiarazione di fedeltà di uno spergiuro? E chi leggeva la silloge al tempo della sua pubblicazione poteva ben avere in mente la messa in scena a teatro della commedia, uno dei temi della quale è proprio lo spergiuro. I giovani che si rinchiudono volontariamente in un castello per dedicarsi in modo esclusivo allo studio non riescono a vincere a lungo il naturale istinto che li spinge verso le donne che giungono alla loro dimora; e il lettore cinquecentesco poteva ben evocare la scena in cui i sonetti sono recitati, la scena mossa in cui, uno dopo l’altro, i giovani protagonisti si mostrano sul palcoscenico, declamano i propri versi e poi, sentendo giungere un altro innamorato, si nascondono e, non visti, odono, in un gioco brillantissimo di nascondimento e di rivelazione. Stesso clima, stesso tono nel terzo componimento tratto da Pene d’amor perdute, il n. 16. Tolti, però, dal loro contesto, i tre sonetti assumono nell’ambito del Pellegrino appassionato echi nuovi e consonanze particolari; in tutti e tre, la donna è paragonata a una dea, il che li ricollega all’angelo e, per gioco antifrastico, alla donna demonio del testo numero 2. L’accenno alla donna come dea, poi, porta sulla scena della raccolta, nel componimento successivo (il numero 4), una vera dea, Venere; la quale, però, come già nel poemetto Venere e Adone, ha in sé più della donna terrena (simile per questa terrestrità alla Dark Lady del secondo componimento) che della dea. I componimenti 4, 6, 9 e 11 costruiscono 2412
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NOTA INTRODUTTIVA
un Venere e Adone in miniatura, dov’è messo in scena il desiderio continuamente frustrato di Venere, la quale invano corteggia uno sdegnoso Adone. Se Jaggard voleva approfittare della continuata fortuna del Venere e Adone, questa poesia, che inizia col verso “La molle Citerea, presso d’un rivo”, ne riecheggia l’atmosfera d’accesa sensualità e ripropone un ‘banchetto dei sensi’ simile a quello approntato da Shakespeare nel suo epillio, facendo Venere ricorso a vista, udito e tatto per sedurre Adone; il quale è però “acerbo” e rifugge dalle amorose profferte della dea. Il contrasto tra maturità e acerbezza richiama i primi due componimenti, dove l’amore è tutto fuorché acerbo, e dove anzi l’ingenuità è volutamente creata e finta per un (amaro ma intimamente necessario) gioco amoroso. La separatezza che disgiunge Venere da Adone è ribadita nel sonetto successivo, “Seccato il sole non aveva ancora la rugiada” e nel numero 9, “Bello il mattino in cui d’amor la regina”, nel quale appaiono gli attributi di Adone come cacciatore e la premonizione di Venere della sua morte per opera del cinghiale. La sequenza dei sonetti dedicati a Venere e Adone si conclude con il numero 11: Venere, con Adone accanto, all’ombra d’un mirto così lo corteggiò, al giovane dicendo: ‘Mi volle il dio della guerra e così m’assalì, così gli cedetti. Così’ disse ‘m’abbracciò il dio guerriero.’ E tra le braccia a sé Adone strinse. ‘E così’ poi disse ‘mi discinse il dio’, quasi che il giovane usar dovesse eguali ed amorosi incanti. ‘E così’ lei disse ‘le labbra egli mi prese’ e con le labbra le labbra a sé ella prese. Ma mentr’ella riprendeva fiato, egli va via, rifiutando i sottintesi di lei, il suo piacere. Ah, così mi braccasse la mia donna, baciandomi e abbracciandomi sinché io non fugga!
Vi sono qui ulteriori riferimenti al poemetto di Shakespeare, con la presenza del dio della guerra, Marte, sedotto e conquistato dalla dea dell’amore, e un’ulteriore fuga di Adone. Ma vi è qualcosa di più. Il di2413
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stico finale passa dal discorso puramente mitologico (dal quale non ci si distacca nei precedenti tre componimenti) al discorso personale: la voce del poeta / amante crea un parallelo tra la vicenda di Venere e Adone e la propria, invidiando Adone corteggiato in tal modo mentre lui dalla donna che ama è trascurato e ignorato. Il che apre nuovi spazi al discorso amoroso che la silloge declina e sottilmente intesse. Il tema dell’incostanza d’amore si unisce a quello della transitorietà delle cose umane (componimenti numero 10 e 13), dell’amore come attesa e del tempo soggettivo degli amanti (numeri 14 e 17). La poesia su giovinezza e vecchiezza (la numero 12) può apparire un divertissment ma ha un suo senso ben preciso nella silloge, nel suo presentare l’inconciliabilità tra due età della vita dell’uomo, che è, più in generale, l’inconciliabilità e l’impossibilità d’unione ribadita ancora e ancora, di componimento in componimento, nell’intero Pellegrino appassionato. Il componimento numero 18, che inizia col verso “Quando il tuo occhio ha trascelto la dama”, può considerarsi una Ars amatoria ovidiana in miniatura; ma è un manuale i cui precetti si rivelano, nell’ambito della silloge, inefficaci. Tanto che la poesia conclusiva mette in scena la solitudine dolente del pastore Coridone, il pastore della prima egloga di Virgilio, e il mesto canto di Filomena, con il quale la voce poetica sente consonanza, poiché, come si legge ai versi 27-28: Quando sorrise l’incostante Fortuna, colpì noi due, ahimè, l’inganno.
Vi è un sogno d’armonia, nella poesia numero 8: Se la musica al verso, com’esser deve, s’accorda (sorella sono e fratello), l’amor tra noi dev’esser grande, allora, poiché l’una ami tu, io amo l’altro. T’è caro Dowland che, con tocco celeste, ogni senso col liuto rapisce; Spenser è caro a me, i cui concetti, di tutti i più profondi, non vogliono difesa. La dolce melodia tu ami che il liuto di Febo fa, che di musica è il re; 2414
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NOTA INTRODUTTIVA
pur io nella delizia mi profondo quand’egli al canto si protende. Un dio è dio d’entrambi (sì fingono i poeti); entrambi li ama un cavaliere, ed essi in te riposano.
Ma è un sogno che, nell’insieme della silloge, rimane allo stato di sogno. Si diceva prima dei tre sonetti tolti a Pene d’amor perdute: se nella commedia il finale suggerisce, dopo il tempo dell’attesa, la conclusione dell’unione matrimoniale dei giovani e delle giovani, nel Pellegrino appassionato il tempo dell’attesa rimane tale, un tempo di sospensione in cui la speranza dell’amore ricambiato non otterrà alcun premio; qui, la divisione prevale, la separazione, l’inconciliabilità. Il lettore che si abbandoni al fluire dei versi di questi venti poesie si trova immerso in un’atmosfera d’incertezza, trascinato in una corrente di sospiri, partecipe di un’attesa che tale rimane, irretito da un’aspirazione all’unione d’amore che ostinatamente, però, rimane separatezza; l’armonia tra poesia e musica prospettata, nel numero 8, come possibilità di un’armonia tra gli amanti rimane nell’ambito di un sogno la cui realizzazione è, di continuo, negata dal reale. Il sogno è continuamente spezzato; e lo è in modo significativo dalla risposta che l’amata dà nel n. 19: Fossero giovanetti amore e mondo, e fosse franca la lingua del pastore, m’alletterebbero questi piaceri e allora con te vivrei e sarei il tuo amore.
Tra cielo e terra, la terra prevale, con la sua imperfezione e impossibilità di perfettibilità. Il due rimane due; non vi è, qui, l’annullamento del numero attuato nella fusione mistica della fenice e della tortora nel testo che Shakespeare pubblicherà nella raccolta di Chester nel 1611. L’avverbio più frequente, ‘lontano’, si fa emblema di una separazione e di un allontanamento che non prevedono alcun ritorno. LUCA MANINI
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R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Letteratura critica Edizioni commentate: J. CREWE (cur.), Narrative Poems, London, Penguin, 1999; C. BURROW (cur.), The Complete Sonnets and Poems, Oxford, Oxford U. P., 2002; B. A. MOWAT e P. WERSTINE (cur.), Shakespeare’s Sonnets and Poems, New York-London, Simon and Schuster, 2004; J. ROE (cur.), The Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2006; K. DUNCAN-JONES e H. R. WOUDHYSEN (cur.), Shakespeare’s Poems, London, The Arden Shakespeare, 2007; R. LYNE e C. SHRANK (cur.), The Complete Poems of Shakespeare, London-New York, Routledge, 2018. Traduzioni italiane: di Adolfo Mabellini (rivista da Mario Praz), in M. PRAZ (cur.), W. Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1964 (traduzione parziale); di Roberto Sanesi, in L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2000. J. P. BEDNARZ, “The Passionate Pilgrim and The Phoenix and Turtle”, in P. CHENEY, The Cambridge Companion to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge U. P., 2007, pp. 108-124; P. CHENEY, Shakespeare, National Poet-Playwright, Cambridge, Cambridge U. P., 2004 (capitolo 5: “W. Shakespeare in Jaggard’s The Passionate Pilgrim”, pp. 151-172); P. HAYLAND, An Introduction to Shakespeare’s Poems, Palgrave-Macmillan, Basingstoke 2003; J. KERRIGAN, “Shakespeare, Elegy, and Epitaph: 15571640”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 225-244; M. SCHOENFELD, The Cambridge Introduction to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge U. P., 2010.
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POEMS FROM THE PASSIONATE PILGRIM
4 Sweet Cytherea, sitting by a brook With young Adonis, lovely, fresh, and green, Did court the lad with many a lovely look, Such looks as none could look but beauty’s queen. She told him stories to delight his ear, She showed him favours to allure his eye; To win his heart she touched him here and there — Touches so soft still conquer chastity. But whether unripe years did want conceit, Or he refused to take her figured proffer, The tender nibbler would not touch the bait, But smile and jest at every gentle offer. Then fell she on her back, fair queen and toward: He rose and ran away — ah, fool too froward!
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41 La molle Citerea 2, presso d’un rivo, Adone bello, giovane e virente con molti dolci sguardi corteggiò, sguardi che solo ha la regina di bellezza. Con storie gli blandiva ella l’orecchio, con dolci doni gli allettava gli occhi3; per vincere il suo il cuore, lo toccava4: soavi tocchi cui cede pure castità! Ma in chi ancora è acerbo5 difetta acume; e ciò che è solo alluso egli rifiuta. Non vuole il roditore l’esca toccare e prende a gioco6 ciò che sì gli è offerto. Cade supina la bella regina7 e s’offre, e lui si leva e fugge: ahi, sì caparbio!8
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THE PASSIONATE PILGRIM, 6
6 Scarce had the sun dried up the dewy morn, And scarce the herd gone to the hedge for shade, When Cytherea, all in love forlorn, A longing tarriance for Adonis made Under an osier growing by a brook, A brook where Adon used to cool his spleen. Hot was the day, she hotter, that did look For his approach that often there had been. Anon he comes and throws his mantle by, And stood stark naked on the brook’s green brim. The sun looked on the world with glorious eye, Yet not so wistly as this queen on him. He, spying her, bounced in whereas he stood. ‘O Jove,’ quoth she, ‘why was not I a flood?’
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 6
69 Seccato il sole non aveva ancora la rugiada10, né raggiunto l’ombra delle siepi il gregge, quando Citerea11, derelitta d’amore12, a lungo s’indugiò: attendeva Adone sotto d’un salice, presso d’un rivo, là dove sovente Adone l’arsura13 sua placava. Caldo era il giorno, ma più calda lei nell’attesa di lui, che spesso là veniva. Ed ecco, viene, e il manto getta a terra e nudo sta su quella verde riva14. Il sole, con splendente sguardo, riguardava il mondo; ma quanto desiderio in quello della regina! Quando la scorse, nell’acqua egli si getta ed ella disse: ‘Perché non sono io, Giove, quell’onda?’
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THE PASSIONATE PILGRIM, 7
7 Fair is my love, but not so fair as fickle, Mild as a dove, but neither true nor trusty, Brighter than glass, and yet, as glass is, brittle; Softer than wax, and yet as iron rusty; A lily pale, with damask dye to grace her, None fairer, nor none falser to deface her. Her lips to mine how often hath she joined, Between each kiss her oaths of true love swearing. How many tales to please me hath she coined, Dreading my love, the loss whereof still fearing. Yet in the midst of all her pure protestings Her faith, her oaths, her tears, and all were jestings. She burnt with love as straw with fire flameth, She burnt out love as soon as straw out burneth. She framed the love, and yet she foiled the framing, She bade love last, and yet she fell a-turning. Was this a lover or a lecher whether, Bad in the best, though excellent in neither?
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 7
715 Bella è colei che amo, bella e incostante; mite come colomba, ma non così fedele; più lucente del vetro, e fragile altrettanto; molle più che cera, ma di ruggine coperta in lei pallor di giglio e color di rosa: nulla è più bello, nulla più sconcio e falso. Quante volte alle mie unì le labbra, tra i baci giurando: ‘Oh quanto io t’amo!’ Quante storie coniò per compiacermi, temendo per l’amor mio e paventando di non più averlo. Ma nel mezzo di tante promesse scherni erano fede, lacrime e voti. D’amore ardeva come paglia in fiamma, e rapida l’amor consumava come paglia; creava amore e insieme discreava; ‘Dura!’ all’amore diceva; e intanto, lo tradiva. Era ella amante, o forse era sgualdrina? Amante mala; e non miglior sgualdrina.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 10
9 Fair was the morn when the fair queen of love, [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .] Paler for sorrow than her milk-white dove, For Adon’s sake, a youngster proud and wild, Her stand she takes upon a steep-up hill. Anon Adonis comes with horn and hounds. She, seely queen, with more than love’s good will Forbade the boy he should not pass those grounds. ‘Once,’ quoth she, ‘did I see a fair sweet youth Here in these brakes deep-wounded with a boar, Deep in the thigh, a spectacle of ruth. See in my thigh,’ quoth she, ‘here was the sore.’ She showèd hers; he saw more wounds than one, And blushing fled, and left her all alone.
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10 Sweet rose, fair flower, untimely plucked, soon faded — Plucked in the bud and faded in the spring; Bright orient pearl, alack, too timely shaded; Fair creature, killed too soon by death’s sharp sting, Like a green plum that hangs upon a tree And falls through wind before the fall should be. I weep for thee, and yet no cause I have, For why: thou left’st me nothing in thy will, And yet thou left’st me more than I did crave, For why: I cravèd nothing of thee still. O yes, dear friend, I pardon crave of thee: Thy discontent thou didst bequeath to me.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 10
916 Bello il mattino in cui d’amor la regina17, [. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .] di duolo pallida più che colomba bianca, per l’amor del non domo, altero Adone ecco s’arresta su di un erto colle. Ed ecco Adone, coi segugi e il corno18; e lei, dolente regina, mossa non da semplice affetto, il giovane fermò: ‘Qui tu non passi! Io qui’ lei disse ‘un giovane leggiadro vidi, fra queste piante: un cinghiale ferita profonda gli fece nella coscia; spettacolo pietoso! Guarda la coscia mia’ lei disse. ‘Qui era il male.’ Mostrò la coscia e vide lui più di una ferita19 e arrossendo fuggì; e la lasciò là da sola.
1020 Rosa, fiore dolcissimo, fuori tempo colto e già vizzo, colto nel boccio ancora e vizzo in primavera; perla d’oriental lucore21 prima del tempo opaca, bell’essere che presto Morte estinse con acuto spino, simile a verde prugna, dall’albero pendente, che prima del suo tempo il vento fa cadere. Piango per te così, senza ragione, ché nulla in lascito tu mi hai legato, pur lasciandomi più di quanto io chiedevo, ché nulla io chiedevo a te, davvero. A te chiedo perdono, dolce amica: il tuo scontento solo m’hai lasciato.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 13
12 Crabbèd age and youth cannot live together: Youth is full of pleasance, age is full of care; Youth like summer morn, age like winter weather; Youth like summer brave, age like winter bare. Youth is full of sport, age’s breath is short. Youth is nimble, age is lame, Youth is hot and bold, age is weak and cold. Youth is wild and age is tame. Age, I do abhor thee; youth, I do adore thee. O my love, my love is young. Age, I do defy thee. O sweet shepherd, hie thee, For methinks thou stay’st too long.
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13 Beauty is but a vain and doubtful good, A shining gloss that fadeth suddenly, A flower that dies when first it ’gins to bud, A brittle glass that’s broken presently. A doubtful good, a gloss, a glass, a flower Lost, faded, broken, dead within an hour. And as goods lost are seld or never found, As faded gloss no rubbing will refresh, As flowers dead lie withered on the ground, As broken glass no cement can redress, So beauty blemished once, for ever lost, In spite of physic, painting, pain, and cost.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 13
1222 Stizzosa vecchiezza e gioventù non possono, no, vivere insieme: colma di piacere è giovinezza, colma d’assilli la vecchiaia. L’una è un mattino d’estate, un aspro inverno è l’altra; come l’estate si veste giovinezza, come l’inverno nuda va vecchiezza; piena è l’una d’energia, l’altra affannata e fioca. Agile è giovinezza, zoppa vecchiezza; calda è l’una, e audace, debole l’altra, e fredda. Selvaggia è giovinezza, doma la vecchiaia. Vecchiezza, io t’aborro! T’adoro, oh giovinezza! Perché giovane, giovane è l’amor mio. E io, vecchiezza, ti sfido! E tu t’affretta, dolce pastorello: troppo a lungo, mi pare, qui t’indugi.
1323 Beltà è un bene dubitoso e vano, un lucor vano che presto svanisce, un fiore che sboccia e già si muore, un vetro fragile che subito s’infrange; dubbioso bene, lucore, vetro, fiore, entro un’ora perduto, svanito, infranto e morto. Ben raro è ritrovar bene perduto, poiché svanito lucor nulla ravviva, poiché giacciono vizzi i fiori morti, poiché colla non v’è che riunisca i cocci. E quando, così, beltà si guasta, essa è perduta né medico vale o pittore, sforzo o moneta.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 14
14 Good night, good rest — ah, neither be my share. She bade good night that kept my rest away, And daffed me to a cabin hanged with care To descant on the doubts of my decay. ‘Farewell,’ quoth she, ‘and come again tomorrow.’ Fare well I could not, for I supped with sorrow. Yet at my parting sweetly did she smile, In scorn or friendship nill I conster whether. ’Tmay be she joyed to jest at my exile, ’Tmay be, again to make me wander thither. ‘Wander’ — a word for shadows like myself, As take the pain but cannot pluck the pelf. Lord, how mine eyes throw gazes to the east! My heart doth charge the watch, the morning rise Doth cite each moving sense from idle rest, Not daring trust the office of mine eyes. While Philomela sings I sit an’d mark, And wish her lays were tunèd like the lark. For she doth welcome daylight with her dite, And daylight drives away dark dreaming night. The night so packed, I post unto my pretty; Heart hath his hope, and eyes their wishèd sight, Sorrow changed to solace, and solace mixed with sorrow, Forwhy she sighed and bade me come tomorrow. Were I with her, the night would post too soon, But now are minutes added to the hours. To spite me now each minute seems a moon, Yet not for me, shine sun to succour flowers! Pack night, peep day; good day, of night now borrow; Short night tonight, and length thyself tomorrow.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 14
1424 Buona notte e buon riposo: cose a me negate. Dicendo buona notte, a me ella tolse il riposo e nel luogo mi gettò dell’atro assillo, del rovello, del dubbio, e di mia morte. Mi disse: ‘Stai bene; e torna pur domani.’ Bene star non potei, perché a me cibo fu l’ansia. Quando n’andai, ella sorrise, dolce, in amicizia o sprezzo (io non risolsi quale): forse rideva a scherno del mio esilio, forse voleva ch’errabondo25 poi tornassi. Errabondo, giusta parola per l’ombra che io sono, che soffre il duolo e mai non ha mercede. Come i miei occhi guardano l’Oriente, oh Dio! È sentinella il mio cuore: l’alba sollecita i sensi fuori dalle oziose piume, ché non so fidarmi dei miei occhi soli. E mentre Filomena canta 26, io desto siedo e i lai di lei vorrei pari a quelli dell’allodola27. Ché col suo canto ella la luce accoglie, scacciando l’atra notte che dà sogni; e se la notte va, io dalla bella mia m’affretto. Il cuore ha la speranza e gli occhi la vista desiata; mutato il dolore in gioia, gioia mista a pena, ché ella sospirando disse: ‘Torna domani!’ Fossi con lei, come correrebbe la notte! Ma qui alle ore s’aggrappano i minuti e a mio dispetto pare un minuto un mese, e non per me risplende il sole a consolare i fiori. Vattene, notte, mostrati, giorno, e togli la notte: sii breve notte, stanotte, e ben più lunga sii tu domani!
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THE PASSIONATE PILGRIM, 15
Sonnets to Sundry Notes of Music
15 It was a lording’s daughter, the fairest one of three, That likèd of her master as well as well might be, Till looking on an Englishman, the fairest that eye could see, Her fancy fell a-turning. Long was the combat doubtful that love with love did fight: To leave the master loveless, or kill the gallant knight. To put in practice either, alas, it was a spite Unto the seely damsel.
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But one must be refusèd, more mickle was the pain That nothing could be usèd to turn them both to gain. For of the two the trusty knight was wounded with disdain — Alas, she could not help it. Thus art with arms contending was victor of the day, Which by a gift of learning did bear the maid away. Then lullaby, the learned man hath got the lady gay; For now my song is ended.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 15
Sonetti scritti per vari tipi di melodia28
1529 Era figlia di un signore, di tre figlie la più bella; e amava il suo maestro con perfetto atto d’amore; scorse poi un bell’inglese, oltre ogni dire bello, e con la mente divagò. Lotta lunga, dubitosa: amore contro amor lottò: privo d’amor lasciare il maestro? Dar morte all’audace cavaliere? Non sapeva risolvere l’ingenua fanciulla e n’era afflitta. Da rifiutare era però uno fra i due! Aspra la pena, molto, che non vi fosse modo di per sé averli entrambi e, dei due, con sprezzo fu ferito il fedele cavaliere; null’altro ella poté. Contro le armi lottò l’arte; e vinse: fu vinta la fanciulla col dono del sapere. E allora, buona notte: con sé il dotto ha la lieta fanciulla; e qui cessa il mio canto.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 17
17 My flocks feed not, my ewes breed not, My rams speed not, all is amiss. Love is dying, faith’s defying, Heart’s denying causer of this. All my merry jigs are quite forgot, All my lady’s love is lost, God wot. Where her faith was firmly fixed in love, There a nay is placed without remove. One seely cross wrought all my loss — O frowning fortune, cursèd fickle dame! For now I see inconstancy More in women than in men remain. In black mourn I, all fears scorn I, Love hath forlorn me, living in thrall. Heart is bleeding, all help needing — O cruel speeding, freighted with gall. My shepherd’s pipe can sound no deal, My wether’s bell rings doleful knell, My curtal dog that wont to have played Plays not at all, but seems afraid, With sighs so deep procures to weep In howling wise to see my doleful plight. How sighs resound through heartless ground, Like a thousand vanquished men in bloody fight!
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 17
1730 Non bruca la gregge, non mangiano i capri, non crescono gli arieti: tutto è guasto, qui; morente è amore, declina la fede, e tutto nega il cuore che tutto causò. Scordati sono i lieti canti, perduto (lo sa Dio) è l’amore della donna mia; là dove ferma restava la fede sua d’amore immutabile solo un ‘no’ ormai si resta; ogni cosa per uno sciocco sbaglio io persi; ahi, accigliata Fortuna, tu muti, maledetta; e l’incostanza, ora capisco, più nelle donne vive che nell’uomo. Nel lutto avvolto, ogni paura sprezzo; m’abbandonò l’amor, ma resto schiavo; vuoto d’aiuto mi sanguina il cuore: ahi, destino amaro che solo sai di fiele! Non suona più la mia siringa di pastore, dell’ariete il sonaglio è una campana a morto, e il cane mio, che tanto un dì giocava, non gioca più, timoroso e strano. Sospira forte (invito al pianto!) e latra nel vedermi derelitto. Riecheggiano i sospiri per la terra insensata; come mille sconfitti in sanguinosa lotta.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 18
Clear wells spring not, sweet birds sing not, Green plants bring not forth their dye. Herd stands weeping, flocks all sleeping, Nymphs back peeping fearfully. All our pleasure known to us poor swains, All our merry meetings on the plains, All our evening sport from us is fled, All our love is lost, for love is dead. Farewell, sweet lass, thy like ne’er was For a sweet content, the cause of all my moan. Poor Corydon must live alone, Other help for him I see that there is none.
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18 Whenas thine eye hath chose the dame And stalled the deer that thou shouldst strike, Let reason rule things worthy blame As well as fancy, partial might. Take counsel of some wiser head, Neither too young nor yet unwed, And when thou com’st thy tale to tell, Smooth not thy tongue with filèd talk Lest she some subtle practice smell: A cripple soon can find a halt. But plainly say thou lov’st her well, And set her person forth to sale, And to her will frame all thy ways. Spare not to spend, and chiefly there Where thy desert may merit praise By ringing in thy lady’s ear. The strongest castle, tower, and town, The golden bullet beats it down.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 18
Non sgorgano le fonti, non cantano gli uccelli, non rinverdiscono più le verdi piante; piange ogni gregge, dorme la mandria, guata ogni ninfa pavida alle spalle. Ogni piacere noto a noi pastori, ogni lieto convegno nelle valli, ogni serale svago, ahimè, è svanito: perduto è amore, perché morto è amore. Addio, mio dolce amore, unico a dar la gioia, ormai fonte di pena. Vivrà da solo Coridone31 ormai, perché per lui non v’è l’altrui soccorso.
1832 Quando il tuo occhio ha trascelto la dama e fermato la cerva che vuoi colpire, di ciò che è biasimevole lascia il governo alla ragione, e della fantasia che tutto distorce. A chi è più saggio chiedi consiglio: ai non più giovani, ai coniugati. E quando t’accosti a dire il tuo cuore, non usar parole troppo raffinate, ch’ella non subodori un qualche inganno (lo zoppo lo storpio riconosce!) e con sincerità dille che l’ami, e loda lei come se fosse mercanzia. Adatta al suo volere ogni tuo gesto, e non ti risparmiare, specie negli atti che meritare possono sua lode quando riecheggiano al suo orecchio. Ogni castello forte ogni torre ogni città, sono abbattuti se i proiettili sono d’oro.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 18
Serve always with assurèd trust, And in thy suit be humble-true; Unless thy lady prove unjust, Press never thou to choose anew. When time shall serve, be thou not slack To proffer, though she put thee back. What though her frowning brows be bent, Her cloudy looks will calm ere night, And then too late she will repent That thus dissembled her delight, And twice desire, ere it be day, That which with scorn she put away. What though she strive to try her strength, And ban, and brawl, and say thee nay, Her feeble force will yield at length When craft hath taught her thus to say: ‘Had women been so strong as men, In faith you had not had it then.’ The wiles and guiles that women work, Dissembled with an outward show, The tricks and toys that in them lurk The cock that treads them shall not know. Have you not heard it said full oft A woman’s nay doth stand for nought? Think women still to strive with men, To sin and never for to saint. There is no heaven; be holy then When time with age shall them attaint. Were kisses all the joys in bed, One woman would another wed.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 18
Servi tu sempre con salda fedeltà, e corteggia con umiltà sincera; e s’ella infedele non si mostra, oh non voler cercare un’altra! Se il tempo è a tuo favore, non mostrarti fiacco al servizio, seppur ella rifiuti. Non badare ai bronci suoi ritrosi: prima di notte svanirà la nube dal suo sguardo; e tardi, troppo, si pentirà di poi, d’aver dissimulato il suo piacere. E due volte vorrà, prima dell’alba, ciò che con sdegno rifiutò di già. Che importa se vorrà con parole di rabbia mostrar sua forza, dicendoti di no? La debole sua forza presto cederà, quando l’esperienza le avrà insegnato a dire: ‘Se una donna fosse forte come un uomo invero mai m’avresti avuta vinta.’ Le ingannevoli reti tessute dalle donne le dissimula l’aspetto che mostrano; i capricci, i trucchi che in esse sono non li saprà l’uccello che le prende. Non hai mai sentito che si dice spesso: ‘Se una donna dice ‘no’, vuol dire invero ‘sì’? Rammenta: una donna vuol superare un uomo nel peccato, non nel bene. Non v’è un paradiso: diventa santo allora quando il tempo le avrà rese vecchie! Se i baci fossero l’unica gioia che si ha nel letto, una donna sposerebbe un’altra donna.
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THE PASSIONATE PILGRIM, 18
But soft, enough — too much, I fear, Lest that my mistress hear my song She will not stick to round me on th’ear To teach my tongue to be so long. Yet will she blush (here be it said) To hear her secrets so bewrayed.
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IL PELLEGRINO APPASSIONATO, 18
Ma già troppo io dissi, e ora temo che la mia amata questo canto oda. Non si tratterrà dal darmi un bel ceffone per insegnarmi a trattener la lingua. Ma so che arrossirà, e qui sia detto, i segreti udendo che io qui svelai.
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The Phoenix and Turtle La Fenice e la Tortora Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di LUCA MANINI
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Nota introduttiva
Data, fonti, temi Per unanime giudizio critico, questa è la poesia più misteriosa, criptica e sfuggente del corpus shakespeariano. Essa apparve in una silloge, Il martire d’Amore (Love’s Martyr), pubblicata nel 1601, il cui autore è Robert Chester, poeta ignoto, non fosse per quest’unico volume, che deve la sua fama alla presenza del testo di Shakespeare. La prima parte del volume è occupata dalla lunga poesia di Chester che dà il titolo alla raccolta (un poemetto allegorico sulla castità dell’amore coniugale) più altre sue poesie; la seconda parte, introdotta dal titolo Vari saggi poetici (Diverse Poeticall Essaies), contiene una serie di sette componimenti: due testi anonimi raccolti sotto l’indicazione ‘Vatum Chorus’, una poesia d’ignoto autore, il poemetto di Shakespeare (che non ha titolo), poesie di John Marston e George Chapman e, ultimo, un testo di Ben Jonson. Nulla di preciso si sa sul modo in cui Shakespeare giunse a collaborare a questa raccolta, il cui valore è molto diseguale, per non dire basso (in particolare, il poemetto dello stesso Chester). L’antichissimo mito della fenice è legato al culto solare e ai miti della generazione e della rigenerazione; nato, pare, nell’ambito delle religioni dell’antico Egitto (la fenice era adorata a Eliopoli, appunto ‘città del sole’), esso si diffuse nel mondo antico e, in ambito enciclopedico e poetico, è ricordato da Plinio nella sua Storia naturale (X, 2: Arabiae phoenicem). In epoca cristiana, esso fu letto come emblema di Cristo, giungendo i compilatori a identificare la Fenice con Gesù e la sua morte e rinascita con la sua resurrezione. A parte le inevitabili variazioni 2443
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LA FENICE E LA TORTORA
legate a ogni mito, la vicenda della fenice segue alcune linee essenziali: dopo una vita lunghissima (che supera i cinquecento anni) la fenice (di cui esiste un solo esemplare al mondo e che ha il suo nido su un albero di palma) vola tra gli alberi del Libano per trarne aromi di cui si profuma; annuncia poi il proprio arrivo al sacerdote supremo di Eliopoli, il quale appronta per lei un rogo, sul quale la fenice sale e, accendendo da sola il fuoco, arde e si consuma tra le fiamme. Il giorno dopo fra le ceneri giace un piccolo verme che, mutatosi il giorno seguente in piccolo uccello, già al terzo riassume le forme dell’uccello adulto, il quale vola via, verso la propria lontana dimora. Per poi, trascorso il medesimo lasso di tempo, ripetere la propria morte e rinascita tra le fiamme. Se ne possono leggere le versioni date in ogni bestiario del Medioevo, quali il Fisiologo (che ebbe un’ampia diffusione nella traduzione latina); nel Bestiario di Philippe de Thäun, nel Libro della natura degli animali, nel Bestiario moralizzato, nell’Acerba di Cecco d’Ascoli, là dove si legge della fenice: “Al mondo non è mai più che una; / nell’oriente splende il suo volato” (capitolo II, vv. 35-36). È questa sua unicità (la fenice è avis … unica nel poemetto De ave phoenice di Pseudo-Lattanzio, v. 31), è “immortal, rinascente, unico augello” secondo Torquato Tasso, il quale rinarra la sua storia nel poema Il mondo creato (vv. 1278-1591) che ha affascinato letterati e poeti, quali Petrarca che compara la bellezza e l’unicità della fenice alla bellezza e all’unicità di Laura (nel sonetto CCCXXI egli, rivolgendosi all’amata, dice. “Sol’ eri in terra”, v. 8), sola e unica come la mitica fenice (si vedano anche i componimenti CLXXXV, CCX, CCCXX, CCCXXIII). Il primo mutamento che Shakespeare impone al mito è che egli ci presenta una fenice non più sola e a sé sufficiente bensì una fenice unita per amore alla tortora. La tortora, nei bestiari medievali, è simbolo di fedeltà in amore; si legge, per esempio, nel già ricordato Fisiologo (XXIX) che la femmina ama molto il proprio compagno, vive con lui in castità e, se esso muore, ella rimane a lui fedele, senza cercare altri. Quest’immagine di fedeltà è usata dallo stesso Shakespeare. Nel Racconto d’inverno, Florizel (travisato da Doricle, “il pastore senza macchia” [IV, 4, 149 – tutte le traduzioni sono mie;]) dice a Perdita “Venite: è il nostro ballo, vi prego / La vostra mano, mia Perdita: così s’uniscono le tortore / che mai hanno intenzione di lasciarsi” (IV, 4, 153-155). E si 2444
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NOTA INTRODUTTIVA
ricordino le parole che Shakespeare fa pronunciare, nella stessa opera, a Paolina: “Io, una vecchia tortora, / volerò su qualche avvizzito ramo e là / il mio compagno, che mai ritroverò, / lamenterò fi nché sarò perduta” (V, 3, 133-136). In tono più scherzoso, in Pene d’amor perdute, Biron chiede (riferendosi a Costard e Jaquenetta): “E dove se ne vanno queste tortore?” (IV, 3, 209), così come tortora chiama ironicamente Petruccio Caterina nella Bisbetica domata (II, 1, 207-208). Nelle Allegri comari di Windsor, si legge che è più facile trovare venti tortore lascive che un solo uomo casto (I, 1, 77-78). E, come si legge nel Cantico dei Cantici, 2, 10-12: “Ora l’amato mio prende a dirmi: / “Alzati, amica mia … / e vieni, presto! / Perché, ecco, l’inverno è passato / … / e la voce della tortora ancora si fa sentire”. Prima di giungere a questa compiuta rivisitazione del mito della fenice, Shakespeare ne accennò in dodici dei suoi testi teatrali, in uno dei Sonetti e nel Lamento di un’innamorata, caricando, di caso in caso, l’uccello mitico di significazioni variate e variamente più o meno profonde e sottili. In alcuni casi tratta di un semplice elemento esornativo che evoca qualche suggestione (come nella Commedia degli errori, I, 2, 75 e 88 e II, 2, 11; o nella Dodicesima notte, V, 1, 56-57); nei drammi storici, la fenice è usata da Shakespeare come figura di rinascita, a significare un ricomporsi di forze sconfitte che, in futuro, otterranno la loro rivalsa contro i nemici per il momento vittoriosi (come nell’Enrico VI. Parte prima, IV, 7, 92-93; nell’Enrico VI. Parte terza, I, 4, 35-36; e nel Riccardo III, IV, 4, 423-425); ora la fenice è elemento di bellezza (come in Tutto è bene ciò che finisce bene, I, 1, 164-165; nel Lamento di un’innamorata, v. 92), ora di unicità (nel Come vi piace, IV, 3, 17; in Antonio e Cleopatra, III, 2, 12; nel Cimbelino, I, 7, 17; e nell’Enrico VIII, V, 4, 40, dove la fenice è Elisabetta I), ora di meraviglia (nel Timone d’Atene, II, 2, 31-32; e nella Tempesta, III, 3, 22-24). Più legato al discorso che Shakespeare costruisce in questo poemetto, è il riferimento contenuto nel sonetto 19, il cui tema è il tempo divoratore; al verso 4, la voce del poeta annota come il tempo abbia il potere di distruggere per sempre la fenice, senza consentirle più la sua rigenerazione: “e ardi nel suo sangue la Fenice che a lungo, a lungo ha vissuto”. Ed è qui che Shakespeare anticipa la seconda grande novità della sua lettura del mito, ossia la morte priva di rinascita della fenice. Ciò che Shakespeare 2445
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mette in scena nel poemetto sono le esequie, congiunte, della fenice e della tortora, unite nella morte come unite sono state in vita, e nel reciproco amore. È un requiem funebre celebrato da uccelli che può avere un suo antecedente in Ovidio, nel sesto componimento del secondo libro degli Amores, là dove il poeta invita gli uccelli a partecipare al funerale di un pappagallo: exsequias ite frequenter, aves (v. 2). Shakespeare trasforma dunque il mito della fenice in un mito d’amore e morte. È il mito d’un amore che è perfetta fusione e perfetta coincidenza d’identità, che pare realizzare il verso di Ovidio Nec duo sunt sed forma duplex (Metamorfosi VI, 378); in Ovidio, però, la fusione fra Salmacide ed Ermafrodito è forzata e costretta, cosa che non appartiene al poemetto di Shakespeare, ove egli opera un superamento dell’incipit del sonetto 36: “Lascia che lo confessi: noi due due restare dobbiamo / sebbene uno solo siano i nostri indivisi amori” (vv. 1-2); o di quanto il poeta dice nel sonetto 39: “Viviamo noi per questo, oh, divisi / e perda il nostro caro amore il nome dell’esser uno” (vv. 5-6). Il poemetto realizza il verso di Venere e Adone, là dove, per un momento, nell’abbraccio, i due sembrano “incorporate”, “un solo corpo” (v. 540); ma il verbo che Shakespeare usa è, appunto, seem, sembrare; così com’è nel sonetto 42: “Ecco la gioia ch’è mia: uno siamo l’amico mio ed io. Oh, dolce lusinga! (vv. 13-14). Qui, nella Fenice e la Tortora, invece, vera e unica è la fusione dei due amanti. In Venere e Adone, Venere vuole creare un mondo d’armonia che sia soltanto per sé e per Adone; in Lucrezia violata, Tarquinio edifica un mondo d’orrore dal quale bandisce ogni legge; la fanciulla del Lamento costruisce e poi devasta il mondo che, illusoriamente, s’è creato; la Fenice e la Tortora, invece, vivono veramente in un mondo loro e in un mondo altro, pur morti, essi vivranno. Venere vorrebbe operare su Adone una metamorfosi; Tarquinio e Lucrezia, dopo la violenza compiuta e subita, non sono più sé stessi, come non più sé stessa è la fanciulla del Lamento. Solo la Fenice e la Tortora rimangono uguali a sé stessi. E Shakespeare stesso opera una metamorfosi al mito della Fenice: egli non parla più di una sua rinascita bensì di una sua eternità in un altrove non meglio definito. (E ricordiamo che già nei Sonetti Shakespeare ha tratteggiato la morte della Fenice). E ciò che resta dopo la loro morte è il mondo imperfetto, dove solo (riecheggiando in ciò la profezia pronunciata da Venere) resteranno la finzione dell’amore e la finzione della verità (Venere e Adone, vv. 1135-1164). 2446
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NOTA INTRODUTTIVA
Ciò che una traduzione italiana non riesce a rendere è la differenza sessuale dei due uccelli che sono i protagonisti della poesia; la fenice è femmina, la tortora è maschio (mentre femmina è nei versi del Troilo e Cressida prima ricordati, così come solitamente della tortora femmina si parla nei bestiari). Così, lo stesso titolo (ma si ricordi che la poesia non ha titolo) andrebbe reso con La Fenice e Tortora, a significare l’unione indissolubile dei due uccelli, non separati neppure dalla ‘e’ copulativa. Il poemetto consta di settantasette versi, divisi in tredici quartine con rima abba e cinque terzine con rima aaa. È suddivisa in due parti, la seconda introdotta dalla titolazione di Trenodia. Una lettura de La Fenice e la Tortora Questo poemetto riecheggia, nella sua solennità di carattere religioso, i misteri medievali. In esso, Shakespeare mette in scena le esequie della Fenice e della Tortora e lo fa orchestrando (in un testo polifonico) una serie di voci che, poco a poco, conducono il lettore nelle profondità di un amore unico e, probabilmente, irripetibile. La prima voce non è qualificata; è una voce esterna: la voce del poeta stesso? Quel che conta è che una voce che ordina, nel doppio significato che questa parola ha: comandare e mettere ordine. Questa voce invita un uccello ad annunciare, col canto, la prossimità delle esequie della Fenice e della Tortora; e impartisce ordini su chi possa prendere parte al rito. Il ‘mistero’ che mette in scena il ‘mistero’ dell’amore tra la Fenice e la Tortora si apre con un enigma (il che non è fuori luogo in un testo che fa dell’ambiguità e del paradosso la propria cifra), ossia chi sia l’uccello che la voce poetica invita a farsi banditore delle esequie della Fenice e della Tortora: chi tra gli uccelli ha la voce più acuta? Chi più alto leva il proprio canto? L’elemento che rende perplesso il lettore è che questo non identificato uccello è appollaiato su un albero ben specifico: un albero posto in Arabia e che si erge solitario. Ora, l’albero arabo è proprio l’albero dove i miti pongono il nido della Fenice; essa, però, giace morta, come appare chiaro nei versi successivi, sino alla chiusa, nella quale Shakespeare non dà alcun indizio di una sua resurrezione. Si tratta forse di una seconda Fenice? Ciò appare strano, perché tutte le fonti sono concordi nel designarla come unica, unica avis. Un uccello che in qualche modo ne condivide le qualità? No, una volta ancora, 2447
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LA FENICE E LA TORTORA
perché la Fenice non ha eguali. Non v’è risposta. Lasciamo il mistero, l’enigma, e il loro fascino poetico. O suggeriamo la risposta più semplice: è un uccello che si posa, da araldo, sull’albero che la Fenice morta ha lasciato vuoto … Chiare sono però le parole pronunciate da questa prima voce: la cerimonia funebre non è aperta a tutti gli uccelli, poiché solo gli eletti possono prendervi parte. La prima indicazione è che solo gli uccelli “dalle ali caste” saranno accolti; e non può essere altrimenti in una poesia che celebra la castità dell’unione d’amore (anche nella già ricordata poesia di Amores II, 6, Ovidio scrive che debbono andare i piae volucres [v. 3]). Il principio d’esclusione bandisce quindi la lussuria e, al verso 10, la rapacità, due tratti che Shakespeare ha discusso continuamente nelle sue opere (per restare nell’ambito delle poesie, si rammenti la rapacità di Venere verso Adone e quella di Tarquinio verso Lucrezia). Tra gli uccelli ammessi, sono l’aquila, re e non tiranno (ben diversa dunque dall’innamorata Venere in Venere e Adone, vv. 56-56 [“Come aquila famelica che, per lungo digiuno, / strappa col becco e penne e carne e ossa”] e dal tiranno Riccardo III, il quale è privo di ogni fair proportion, “proporzione armoniosa”, è deformed e unfinished “deforme” e “non fi nito” [I, 1, vv. 18-20]); il cigno, che unisce in sé le qualità della bellezza e del canto; e il corvo, il quale, secondo le credenze antiche, si riproduceva non mediante l’atto sessuale bensì mediante uno scambio di aliti. Ciò che la voce crea è un cerchio d’eletti, in un’operazione di selezione attenta che ricorda le scene fi nali della Tempesta, là dove Prospero non ammette, nell’armonia ritrovata e ricreata, i troppo bassi e vili Stefano e Trinculo; o le scene fi nali di Molto rumore per nulla, quando Don Pedro, mai pentito della sua mala azione, è arrestato ed escluso dalla celebrazione del doppio matrimonio che sancisce il ritorno all’equilibrio e all’ordine. Così come, in altro contesto, Falstaff è ripudiato da Enrico IV, dopo gli anni di bagordi trascorsi insieme: “Non ti conosco, vecchio … Io ti bandisco, pena la morte” (Enrico IV, parte seconda, V, 5, vv. 47 e 63). Ordine e purezza sono i principi che reggono la cerimonia funebre, principi che edificano e conservano, e non distruggono, come invece fanno lussuria e rapacità. Si pensi al potere distruttivo che questi due elementi hanno in Tarquinio; o alla lussuria che agita e muove i figli di Tamora nel Tito Andronico, lussuria che porta alla distruzione del 2448
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corpo di Lavinia e che, come conseguenza, porta con sé la morte di Tito e il bagno di sangue che chiude la tragedia. O, ancora, alla condanna che il popolo romano muove contro Antonio, caduto vittima del fascino ‘orientale’ della regina Cleopatra, di un amore eccessivo che porta a scordare il proprio dovere di soldato e di governante (Antonio e Cleopatra, I, i, vv. 1-10). La seconda voce è quella del coro degli uccelli, un motivo topico già nella commedia antica di Aristofane e nel Medioevo, con, ad esempio, Il parlamento degli uccelli di Geoffrey Chaucer. Questo coro intona un inno alle qualità della Fenice e della Tortora, ossia la loro costanza, fedeltà, bellezza, grazia, amore perfetto. La terza voce è quella di Ragione; ed è la voce di un’ammissione di sconfitta: l’amore della Fenice e della Tortora sfida ogni capacità razionale, così come sconfitta è una scienza esatta come la matematica. Esistono al mondo, ci dice Shakespeare, cose che superano la capacità della comprensione umana e di espressione. Anche la lingua, infatti, esce in qualche modo sconfitta: la lingua creata dall’uomo, pare dirci Shakespeare, ha in sé dei limiti; com’è possibile rendere con parole fi nite e create dall’uomo, essere fi nito, l’ineffabile e l’inesprimibile? Occorrerebbe una lingua nuova che non sia legata e vincolata al principio del singolare e del plurale, all’uno e al due, all’uno e all’altro; ma una lingua che superi le divisioni, le classificazioni e le differenze per esprimere, invece, l’indifferenziato, l’unico, la fusione che trascende l’essenza dell’uno e dell’altro, le qualità della separatezza e della singola identità. Questo è il mistero di quest’amore: essere sì distinti ma essere, al contempo, uno; essere due entità (la Fenice e la Tortora) ma, nel medesimo tempo, un essere solo; essere due corpi ma anche uno solo – e una sola mente, un solo spirito. Il massimo che la lingua umana possa fare è scrivere due soggetti e mettere il verbo alla forma del singolare, come al verso 22. È stato colto un legame con la concezione d’amore espressa da Giordano Bruno nell’opera Gli eroici furori, nella poesia dedicata alla fenice, chiamata “Unico augel del sol, vaga Fenice” (nel “Dialogo quinto”); in essa, Bruno descrive il moto ascensionale che spinge il furioso, ossia l’innamorato, a staccarsi dalla materialità del mondo per farsi un tutt’uno con la fenice, per fondersi con essa nelle fiamme dell’amore. Per farlo, deve abbandonare i lacci della ragione, onde raggiungere uno 2449
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stato mentale e spirituale in cui disciolta sia ogni connessione raziocinante: Sia chiar o fosco il ciel, fredd’o ardente, Sempr’un sarò con l’unica fenice. Mal può disfar altro destin o sorte Quel nodo che non può sciorre la morte. (vv. 4-8)
Ciò che in Bruno rimane come tensione e aspirazione è invece pienamente e misteriosamente (misticamente) realizzato nell’unione tra la Fenice e la Tortora. E sempre a Ragione appartiene la voce che chiude la poesia, la sezione che porta il titolo di Trenodia, ossia di canto funebre vero e proprio. È un canto diviso in quattro strofe, dove Shakespeare, rovesciando il mito, fa proclamare a Ragione la morte defi nitiva della Fenice: non risorgerà essa dalle proprie ceneri, se, assieme alla Tortora fedele, giace in un’urna funeraria. Né avrà essa eredi, poiché il casto amore con la tortora non ha prodotto prole alcuna. E con ciò, Shakespeare cancella con un verso i primi diciassette dei Sonetti, là dove la voce poetica ammonisce il bel giovane sulla necessità di generare e di procreare; e cancella anche le parole che Venere rivolge ad Adone per convincerlo a cedere alle sue profferte d’amore, parole che traggono la loro forza dall’essenza naturale del desiderio di unirsi fisicamente. La Fenice e la Tortora non sono più in questo mondo, o di questo mondo; i due esseri (che erano un solo essere) sono ora in un altrove indicato con ‘morte’ e con ‘eternità’. Shakespeare usa due parole diverse: suggerisce forse due luoghi diversi? Sono i due uccelli forse separati nella morte? Ciò parrebbe in contraddizione con quanto detto sino ad ora; e uniti essi sono nell’urna e nel sepolcro. Non sono più qui, in questo mondo che, una volta ancora, è il mondo della caduta, ossia dell’imperfezione. In un’eco della profezia che Venere ha pronunciato dopo la morte di Adone, la voce di Ragione preconizza che, d’ora innanzi, non esisteranno più, nel mondo, né bellezza né fedeltà, perché esse sono morte assieme alla Fenice e alla Tortora. Ciò che rimane sulla terra è solo un’apparenza di bellezza, una fi nzione di fedeltà. Ricordiamo la profezia che il poeta dei Sonetti pronuncia per il giovane amico: “La morte tua sarà fatale destino per verità e per bellezza” (14, v. 14). 2450
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NOTA INTRODUTTIVA
E se con un enigma si apriva la poesia, con un paradosso (un altro) essa si chiude. Dice la voce di Ragione che solo chi è bello e fedele potrà accostarsi all’urna dove giacciono i due spenti amanti. Ma essa ha appena preconizzato che nessuno sarà invero bello, nessuno intimamente sincero. Chi dunque si accosterà all’urna? Chi visiterà i due morti amanti? Resterà forse disertato il loro monumento funebre? Sarà dimenticato? Se così è, una volta ancora, Shakespeare celebra il potere della poesia di donare l’immortalità. La Fenice e la Tortora vivranno (come vivono) nei versi del poeta, più forti di un’urna che nessuno visita, di un monumento di cui non rimane traccia. LUCA M ANINI
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LA FENICE E LA TORTORA
R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Fonti B. BASILE (cur.), La Fenice. Da Claudiano a Tasso, Roma, Carocci, 2004; L. MORINI (cur.), Bestiari medievali, Torino, Einaudi, 1996. Letteratura critica Edizioni commentate: J. CREWE (cur.), Narrative Poems, London, Penguin, 1999; C. BURROW (cur.), The Complete Sonnets and Poems, Oxford, Oxford U. P., 2002; B. A. MOWAT e P. WERSTINE (cur.), Shakespeare’s Sonnets and Poems, New York-London, Simon and Schuster, 2004; J. ROE (cur.), The Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2006; K. DUNCAN-JONES e H. R. WOUDHYSEN (cur.), Shakespeare’s Poems, London, The Arden Shakespeare, 2007; R. LYNE e C. SHRANK (cur.), The Complete Poems of Shakespeare, London-New York, Routledge, 2018. Traduzioni italiane: di Adolfo Mabellini (rivista da Mario Praz), in M. PRAZ (cur.), W. Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1964; di Roberto Sanesi, in W. Shakespeare, L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2000; di Gilberto Sacerdoti, in W. Shakespeare, I poemetti, Milano, Garzanti, 2000. J. P. BEDNARZ, “The Passionate Pilgrim and The Phoenix and Turtle”, in P. CHENEY, The Cambridge Companion to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge U. P., 2007, pp. 108-124; J. B. BEDNARZ, Shakespeare and the Truth of Love. The Mystery of “The Phoenix and Turtle”, Palgrave-Macmillam, Basingstoke 2012; P. CHENEY, Shakespeare, National Poet-Playwright, Cambridge, Cambridge U. P., 2004 (capitolo 6); P. CHENEY, “The Author’s Voice in The Phoenix and Turtle: Chaucer, Spenser and Shakespeare”, in C. PERRY e J. WATKINS (cur.), Shakespeare and the Middle Ages, Oxford, Oxford U. P., 2009, pp. 103-125; L. ENTERLINE, “The Phoenix and the Turtle. Renaissance Elegies and the Language of Grief”, in P. CHENEY, A. H ADFIELD, G. A. SULLIVAN (cur.), Early Modern English Poetry. A Critical Companion, New York-Oxford, Oxford U. P., 2007, pp. 147-159; R. ERIKSEN, L’edificio testuale. Da Alberti a Shakespeare a Milton, Milano, Mimesis, 2014 (capitolo 5: “La poesia come cappella. ‘La fenice e la tortora’: barocco shakespeariano”?, 2452
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NOTA INTRODUTTIVA
pp. 157-189); P. H AYLAND, An Introduction to Shakespeare’s Poems, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2003; J. K ERRIGAN, “Reading ‘The Phoenix and Turtle’”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 540-559; J. K LAUSE, “The Phoenix and Turtle in Its Time”, in T. MOISAN e D. BRUSTER (cur.), In the Company of Shakespeare, Madison, Farleigh Dickinson U. P., 2002, pp. 206-230; M. SCHOENFELD, The Cambridge Introduction to Shakespeare’s Poetry, Cambridge U. P., Cambridge, 2010; G. WILSON KNIGHT, The Mutual Flame: On Shakespeare’s Sonnets and The Phoenix and the Turtle, London, Methuen, 1955.
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Let the bird of loudest lay On the sole Arabian tree Herald sad and trumpet be, To whose sound chaste wings obey. But thou shrieking harbinger, Foul precurrer of the fiend, Augur of the fever’s end — To this troupe come thou not near. From this session interdict Every fowl of tyrant wing Save the eagle, feathered king. Keep the obsequy so strict. Let the priest in surplice white That defunctive music can, Be the death-divining swan, Lest the requiem lack his right. And thou treble-dated crow, That thy sable gender mak’st With the breath thou giv’st and tak’st, ’Mongst our mourners shalt thou go.
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Chi, tra gli uccelli, leva più alto il canto su quell’arabo albero raro2, grave araldo e tromba sia cui dia ascolto ogni ala casta. Ma tu, stridulo messaggero, messo osceno del demonio3, augure di come finirà la febbre4, non t’accostare a questo stormo. Bandito è da questa cerimonia ogni uccello con ali rapaci5, non l’aquila, però, pennuto sovrano6. Per gli eletti sia il funereo rito. Sacerdote con la veste bianca7, sapiente di funebre musica, sia il cigno che annuncia morte8: perfetto dev’essere il requiem. E tu, corvo che lunghissima hai la vita9, che i neri tuoi figli generi con l’alito che dai e che togli10, sarai parte alla luttuosa schiera.
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Here the anthem doth commence: Love and constancy is dead, Phoenix and the turtle fled In a mutual flame from hence. So they loved as love in twain Had the essence but in one, Two distincts, division none. Number there in love was slain. Hearts remote yet not asunder, Distance and no space was seen ’Twixt this turtle and his queen. But in them it were a wonder. So between them love did shine That the turtle saw his right Flaming in the Phoenix’ sight. Either was the other’s mine. Property was thus appalled That the self was not the same. Single nature’s double name Neither two nor one was called.
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Reason, in itself confounded, Saw division grow together To themselves, yet either neither, Simple were so well compounded That it cried ‘How true a twain Seemeth this concordant one! Love hath reason, reason none, If what parts can so remain.’
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Principia qui il compianto: nella morte è Costanza e Amore11, fuggite la Fenice e la Tortora, lungi, sì, in comune fiamma12. Così s’amarono che l’essenza d’amore, in due, era una sola; distinti, sì, ma non divisi. Ucciso fu il numero da quell’amore. Discosti i cuori, ma non disgiunti; non mai distanza si vedeva tra la Tortora e la sua regina13. Solo in loro ciò miracolo non fu. Fra loro amore sì rifulse che la Tortora vide ciò ch’era suo ardere in fiamma negli occhi della Fenice. Il sé dell’uno il sé dell’altro era. Ne agghiacciò l’Identità14 perché il sé non era più se stesso. Unica la natura e doppio il nome: arduo chiamarli o uno o due. La Ragione, vinta e prostrata, vide ciò che è diviso crescere insieme singolarmente eppure senza essere sé stesso: i semplici perfettamente erano composti15. Tanto che essa gridò: “Una coppia fedele appare questa concorde unità: Amore ha ragione, non ne ha Ragione, se ciò che si scinde uno può restare”.
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Whereupon it made this threne To the phoenix and the dove, Co-supremes and stars of love, As chorus to their tragic scene.
Threnos Beauty, truth, and rarity, Grace in all simplicity, Here enclosed in cinders lie.
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Death is now the phoenix’ nest, And the turtle’s loyal breast To eternity doth rest. Leaving no posterity ’Twas not their infirmity, It was married chastity.
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Truth may seem but cannot be, Beauty brag, but ’tis not she. Truth and beauty buried be. To this urn let those repair That are either true or fair. For these dead birds sigh a prayer.
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LA FENICE E LA TORTORA
Essa allora la trenodia16 intonò alla Fenice e alla Tortora, congiunti sovrani e stelle dell’amore, e fu il coro della tragedia loro.
Trenodia Beltà fedeltà e rarità17 e Grazia in tutta semplicità, incenerite giacciono qui18, chiuse. Morte è ora il nido della Fenice19 e il cuore della Tortora devota nell’eternità ora riposa. Discendenza non lasciano ma non fu difetto loro: fu così per caste nozze. Fedeltà solo apparenza ora sarà, si vanterà bellezza, ma tale non sarà 20: nel sepolcro sono fedeltà e bellezza! A quest’urna solo si accosti chi è fedele oppure è bello21; e ai morti uccelli sospiri una prece.
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A Lover’s Complaint Lamento di un’innamorata Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di LUCA MANINI
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Nota introduttiva
Data, struttura, contenuto Il poemetto Il lamento di un’innamorata fu pubblicato nel 1609 in coda ai Sonetti. La sua attribuzione a Shakespeare è da sempre materia di discussione; esso è stato o accettato come di sua mano, o inserito con cautela nel canone, oppure decisamente rifiutato e attribuito ad altri (il poeta che più ha riscosso consensi come l’autentico autore è Sir John Davies). I giudizi dei critici variano quindi da un’attribuzione a Shakespeare a una totale negazione di essa, con, nel mezzo, un’area di sostanziale indifferenza al problema. Ciò che conta dire è che il lettore che avesse acquistato il volume nel 1609 si sarebbe trovato dinanzi a una struttura cui già era familiare, perché coincidente con quella, per esempio, degli Amoretti di Spenser, ovvero una sequenza di sonetti, un intermezzo mitologico e una coda. Il libro di Spenser è costruito secondo una tripartizione: 89 sonetti nei quali il poeta ripercorre la sua storia d’amore con Elizabeth, dapprima mostrata nel suo essere ritrosa e sprezzante, poi nel suo divenire donna che ricambia l’amore; un intermezzo di versi scritti alla maniera di Anacreonte, di carattere mitologico; e, infine, un poemetto, l’Epitalamio, un canto nuziale che celebra (caso unico nella storia dei canzonieri petrarcheschi) il matrimonio tra l’amante e l’amata. E così è per il libro di Sakespeare: 152 sonetti che dicono dei tormentati amori dell’io narrante, due composizioni (i sonetti 153 e 154, che tanto hanno imbarazzato certi critici) d’ispirazione mitologica (Cupido e la torcia amorosa) e, infine, Il lamento dell’innamorata. Era voga del tempo far seguire alla sequenza di sonetti un poemetto; i casi più frequentemente citati ne sono Il lamento di Rosamond che 2463
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segue Delia di Samuel Daniel (1592), Il tragico lamento di Elstred, posto in coda a Phillis di Thomas Lodge (1593) e il già ricordato Epitalamio, che chiude il ciclo degli Amoretti di Spenser (1595). Sono casi in cui chiaro è il nesso che lega questi poemetti ai sonetti che li precedono. Nel Lamento di Rosamond, diretti sono i riferimenti che Daniel fa sia all’amante sia all’amata, Delia, così come la storia tragica dell’amore di Rosamond per Re Enrico II si fa riflesso dell’infelice amore vissuto dall’amante per Delia. Passando al Lamento di un’innamorata, occorre invece chiedersi quali siano questi nessi, se essi invero esistono; se questo lamento fu davvero pensato da Shakespeare come complemento ai Sonetti o se, invece, non si tratti di una costruzione editoriale, di un testo sistemato lì per rispondere all’uso del tempo. Mancando, al momento, una qualunque prova certa, queste domande rimangono senza risposta e val la pena allora interrogarsi e darsi (parziali) risposte. Come nei Sonetti, Shakespeare ci propone un’altra riflessione sul desiderio sessuale, sulla seduzione e le sue conseguenze; una meditazione sul tempo che rovina; sulla fi nzione, sull’inganno e sull’auto-inganno; sull’umana debolezza; e, infi ne, sul potere seduttivo delle parole. Se si volesse instaurare un rapporto di paragone con la coda degli Amoretti di Spenser, si potrebbe senz’altro dire che il Lamento di un’innamorata è un anti-Epitalamio. Il poemetto appartiene al genere del compianto, di ascendenza classica e medievale; in epoca elisabettiana, ne fu maestro Edmund Spenser, con la ricchissima raccolta dei Compianti, pubblicata nel 1591 (tra essi, spiccano Le rovine del tempo e Le lacrime delle Muse). Qui, nel Lamento di Shakespeare, il compianto è duplice: si lamenta sì la fanciulla sedotta e poi abbandonata ma si lamenta anche il seduttore. Siamo dinanzi quindi a un doppio compianto, uno pronunciato da una voce femminile e uno da una voce femminile. La storia che Shakespeare ci narra è molto semplice. Una giovane donna (di cui ben poco veniamo a sapere) è stata sedotta e abbandonata da un giovane uomo tanto affascinante quanto falso; ella, pur consapevole della falsità di lui, gli ha ceduto, per poi sfogare il proprio dolore, e la propria disillusione, dapprima in solitudine, poi raccontando ciò che le è accaduto a un vecchio che la invita ad aprirsi con lui, perché parlare di un dolore è già un po’ alleviarlo. Il tutto è osservato e udito da una (innominata) terza persona. Se semplice è la storia, complessa è la 2464
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struttura (nonché la lingua) con cui Shakespeare la narra, così come complesse sono le personalità che crea per i protagonisti della vicenda, in particolare per lei: un’altra vittima, dopo Lucrezia, della violenza insidiosa del maschio. Ma, lo anticipiamo subito, ella è sottilmente diversa da Lucrezia: se questa subisce la violenza e ne muore, la fanciulla del Lamento è, in qualche modo, correa del fatto; e il dramma rappresentato da Shakespeare è il dramma della consapevolezza che non riesce a vincere la propria debolezza; è il dramma di una sconfitta e di una caduta in qualche modo volute e, come tali, non espiabili e, anzi, reiterabili. È, insomma la tragedia della caducità umana irredimibile. Altrettanto complesso è il coro delle molteplici voci che Shakespeare usa per narrarci la storia di questa infelice. Il poemetto si apre con la voce narrante di qualcuno che non è identificato; il quale ode il lamentarsi della fanciulla (anch’ella senza nome), poi la voce del vecchio che a lei si rivolge (non sappiamo molto di lui, e non ne sappiamo il nome) e, infine, riportata dalla fanciulla, la voce del seduttore (la quale voce è dunque riportata due volte: prima dalla fanciulla poi da chi narra la sua storia dopo averla udita). I discorsi diretti sono dunque tutti riportati, facendosi quindi, sottilmente, indiretti (il che risulta più vero leggendo il testo secondo le stampe cinquecentesche, là dove non era ancora invalso l’uso di identificare con l’uso delle virgolette il discorso diretto); le parole effettivamente pronunciate si fanno lontane, e sempre più lontane a mano a mano che Shakespeare ci fa addentrare, come lettori / uditori (il lettore diviene, per il tramite del testo, un ulteriore uditore) nella narrazione. Il riverbero delle voci è subito presente nel testo, al v. 3: chi per primo narra sente un’eco, ossia una doppia voce: quella della ragazza e quella dell’eco… Ed essendo tutti i discorsi riportati da qualcun altro, che cosa veramente è riportato? Quale ne è il livello di sincerità? La fanciulla ammette che, nonostante tutto, nonostante la propria coscienza d’aver errato, ripeterebbe l’errore; il vecchio, all’inizio, le promette parole di consolazione e di saggezza; Shakespeare le nega queste parole perché il poemetto s’interrompe in modo brusco, prima di ridare la parola al vecchio; avrebbe la fanciulla ascoltato le parole promesse? Avrebbe porto orecchio alla saggezza? Il poemetto è di 329 versi (pentametri giambici), divisi in stanze di sette versi ciascuna, secondo lo schema di rime ababbcc. il metro giù usato da Shakespeare per Lucrezia violata. 2465
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Una lettura de Il lamento di un’innamorata Il poemetto si apre con l’immagine di una valle degli echi; e su una serie di voci e di echi Shakespeare costruisce la narrazione. Il racconto è affidato a una voce narrante, a un io non identificato: l’io poetico, com’è suggerito da verbo reworded (v. 1): la poesia ri-dice, ri-ordina ciò che questo io ode (e ascolta): ossia, ciò che narrano la voce della fanciulla, la voce del vecchio e la voce del seduttore (a nessuno dei quali Shakespeare dà un nome); nelle stampe secentesche, la mancanza, come già accennato, delle virgolette che isolino il discorso diretto da quello indiretto fa sì che il tutto scorra come un’unica unità verbale, come un fiume di parole alla corrente delle quali Shakespeare invita il lettore ad abbandonarsi. L’ambientazione è, all’inizio, vagamente bucolica ma si fa poi cittadina, se non cortigiana; e un ex-cortigiano è il vecchio che si accosta alla fanciulla innamorata; egli conosce, per averli vissuti in prima persona, i meccanismi della vita di corte (dai quali si è ora distaccato) e viene alla mente l’incontro di Erminia con il pastore che ha rinunciato ai fasti e alle pompe della corte per la vita campestre, stanco del vuoto, del gioco dell’apparenza, degli equilibrismi sociali di quell’ambiente (Gerusalemme liberata, canto VII). La prima immagine che Shakespeare ci dà della fanciulla è di lei che lacera carte e spezza anelli, devastando ciò che Shakespeare definisce il suo mondo: l’aggettivo possessivo suggerisce che ella si sia costruito un proprio mondo, che ora, però, va distruggendo. Negli altri poemetti di Shakespeare, Venere avrebbe voluto chiudere Adone in mondo da lei concepito, Tarquinio edificare un mondo senza leggi e Lucrezia mutare il mondo, cancellando la luce del dì; essi falliscono e così fallisce la fanciulla; e ora non le resta che spezzare e lacerare. Nella commedia I due gentiluomini di Verona (I, 2), Giulia lacera, per dispetto, la lettera scrittale da Proteo; ma, in una commedia, Shakespeare può far sì che Giulia raccolga i frammenti, li ricomponga e legga (almeno parzialmente) ciò che vi è scritto; e noi lettori / spettatori leggiamo / udiamo assieme a lei, così come accade nelle lettere disseminate nelle opere di Shakespeare. Non qui: le lettere sono stracciate e gettate nel ruscello e noi non veniamo a sapere quanto vi era scritto. L’unico indizio che Shakespeare ci dà è quello della firma vergata col sangue e l’accenno che il loro contenuto è solo falsità. Lo stesso è per i fazzoletti, sui quali sono ricamati simboli e non meglio identificate cifre. 2466
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Anche gli anelli hanno il loro rilievo, poiché simbolo di fedeltà. Si ricordino gli anelli che, nel Mercante di Venezia, Porzia e Nerissa danno come pegno a Bassanio e Graziano; o l’anello che, nel Cimbelino, Innogene dà a Leonato (I, 2). E se, in queste due opere, alla fine, vi è una ricomposta armonia, suggellata da questi anelli, essa non è raggiunta nel Lamento di un’innamorata. I pegni d’amore che la fanciulla trae dal cestino e getta nel corso d’acqua sono più vicini alla manica che Troilo riceve in dono da Cressida nella tragedia che porta il loro nome e che lei, nel campo greco, donerà a Diomede, rompendo la promessa fatta a Troilo (V, 2). E di promesse tradite, di giuramenti infranti, d’inganni è intessuto questo compianto. È un testo al quale Shakespeare dà chiare qualità teatrali: il seduttore è un attore, un istrione che domina la scena, una persona nel senso che la parola aveva nel teatro antico, ossia, una maschera. Come un attore, egli è proteiforme (vv. 302-308); nella commedia I due gentiluomini di Verona, uno dei protagonisti si chiama Proteo, e proteica è la sua mutazione da innamorato di Giulia a innamorato di Silvia, la donna amata dall’amico Valentino; se, nella tessitura della commedia, è possibile che Proteo, alla fi ne, riconosca il proprio errore e rinneghi la propria qualità proteica, ciò non accade qui, nel Lamento, dove da notare sono le parole tragic shows (v. 308) che sono sì le scene che suscitano pietà e orrore (scene dinanzi alle quali il seduttore / attore fi nge, recitando il ruolo del momento, pietà e orrore) ma che in sé hanno l’idea di uno spettacolo teatrale di genere tragico; sotto l’apparenza d’uomo innamorato e sincero nel dichiarare il proprio amore, il seduttore è un naked and concealed fiend, “demone celato e nudo” (v. 317), in ciò simile a Jago, in Otello, al quale Shakespeare fa dire, in una battuta celeberrima (I, 1, 65), I am not what I am, “Io non sono ciò che sono”, e simile ad altri villain del teatro di Shakespeare, all’Angelo di Misura per misura o all’Aaron del Tito Andronico. Shakespeare lo raffigura come un homme fatal che presenta sé come ingenuo, inesperto degli inganni del mondo, quando invece di essi egli è perfettamente esperto e consapevole. Il suo gioco (tragico per la fanciulla, dilettoso per lui) è fatto di seduzione, di una fascinazione che si poggia sulla beltà fisica, sui bei modi e, soprattutto, sulla suasorietà della parola. Si potrebbero porre a lui le domande che Ero pone a Leandro nel poemetto di Marlowe: “Chi t’insegnò la retorica per ingannare una fanciulla? / Ahimè, aborrire io 2467
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dovrei parole così foggiate, / eppure, oh, le amo per colui che le dice” (vv. 338-340). E si ricordi l’incipit del sonetto che Longueville scrive per Maria nella commedia Pene d’amor perdute (IV, 3, 57-70; incluso da Jaggard nella silloge Il pellegrino appassionato); “La celeste retorica degli occhi, / che il mondo mai a contraddir non riesce, / mi mosse ad essere, nel cuor, spergiuro”. Quando egli le narra delle donne che appartengono ormai al suo passato, Shakespeare gli fa dire che esse l’hanno sì invitato all’amore ma che lui mai ha invitato. Come la fanciulla si mostra restia al suo corteggiamento (in una replica dell’atteggiamento di Adone verso Venere nel primo epillio di Shakespeare) così lui le si mostra come un amato restio, facendo propri i topoi dell’amata di tanti canzonieri d’ispirazione petrarchesca. Lui, che ha in sé la malizia e la spregiudicatezza della Dark Lady dei Sonetti, ( e anche i suoi capelli bruni) si atteggia ora al restio fair youth ora a una casta Laura; le chiede di prestargli una credent soul, “un’anima fidente” (v. 279) ed ella gli presta una soft audience, “un dolce orecchio” (v. 278), dove l’aggettivo soft rimanda all’immagine di Lucrezia quando ella dice che la mente delle donne è fatta di cera, quindi facilmente malleabile alla volontà maschile (vv. 1240-1241). Shakespeare ci mostra qui un’altra Lucrezia sotto assedio (v. 177); ma se Tarquinio è un nemico armato di spada, questo seduttore è armato del fascino della parola e da lei invoca una feeling pity, “una sincera pietà” (v. 178), una pietà che invero nasca dal profondo, e ad essa egli, se la riceverà, accompagnerà holy vows, “santi voti” (v. 179), lui che invero è un demonio (v. 317). L’invocare pietà dalla crudele donna amata è di chiara derivazione petrarchesca, ma Shakespeare rovescia la situazione: qui, la donna ha tutte le ragioni per non mostrarsi pietosa, perché sa la verità su di lui, sa che egli ha vinto a sé, per il solo piacere di farlo e per il solo gusto del piacere dei sensi, un numero imprecisato di donne, poi messe da parte; ed è qui il tragico della situazione: il sapere e il non saper resistere. Si leggano i vv. 169-177: Io ben sapevo che egli era mendace e conoscevo i modi dei suoi inganni impuri; che in giardini d’altrui crescevano le sue piante, vedevo la frode negli indorati suoi sorrisi; agenti di putredine ne sapevo i voti, 2468
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capivo che frutti dell’arte erano lettere e parole, bastarde del suo cuore traditore e impuro.
I verbi usati da Shakespeare indicano una percezione esatta del reale, una consapevolezza piena della verità che riguarda il giovane; ma ella cede, ella, come dice nella penultima strofa (v. 321) cade, ripetendo in sé la caduta di Eva, di Adamo, di ogni essere che si trova a vivere nel mondo della caduta. Shakespeare usa i medesimi verbi che aveva usato per descrivere la guerra civile che si scatena nell’animo di Tarquinio (il quale sa che cosa perderà ma che deve comunque violare Lucrezia); e questa vicinanza lessicale tra Tarquinio e la fanciulla crea un’inquietante vicinanza tra seduttore e sedotto. Ed ella cede nel momento in cui prova pietà, nel momento in cui Shakespeare descrive il seduttore in lacrime ed ella è indotta a piangere, come la fantesca dinanzi a Lucrezia dopo la violenza. La pietà è ciò che fa capitolare la fanciulla; la pietà che nasce in lei nel momento in cui vede il corteggiatore piangere, così come Priamo (come Shakespeare ci ricorda in Lucrezia violata) era stato ingannato dalle lacrime del traditore Sinone. Questi sono i versi (295-301) con i quali Shakespeare descrive la resa della fanciulla: Ed ecco che la sua passione, ingegnoso simulacro, in lacrime dissolse il mio intelletto; allora rigettai la bianca stola della castità, ogni attenta difesa, ogni timor civile da me scossi e a lui apparvi com’egli a me appariva, tutta piangente, seppur diverse fossero le nostre gocce: mi avvelenarono le sue, le mie gli diedero salute.
Centrale vi è il verbo appear: se lei appare, ossia si mostra, quale ella è, egli si mostra quale sembra, con un’eco potente di Jago e di Angelo (in Misura per Misura). E il verbo I daffed, “rigettai, mi tolsi”, ci riporta alla scena del balcone in Romeo e Giulietta, dove Romeo invita Giulietta a gettar via la livrea da vestale (II, 2, 8-9); ma mentre l’invito di Romeo era sincero, e Giulietta cede a un innamorato sincero nelle proprie dichiarazioni, qui così non è: la fanciulla innamorata cede alla lussuria del seduttore, alla sua menzogna, al suo apparire. E la domanda che 2469
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ella pone al vecchio è: “Oh padre, qual mai inferno stregonesco giace / nel piccolo mondo d’una lacrima sola?” (vv. 288- 289): dove la parola orb indica certo la forma di una lacrima ma è anche l’orbe della terra. Ella se ne stava al sicuro nel proprio mondo e lo scambia con un altro mondo fatto di sola menzogna, per ritrovarsi a devastarlo … Poiché il momento della fusione (melting, v. 300) si fa immediata separazione e diversità. In un gioco sottilissimo, Shakespeare fonde le voci del seduttore e della sedotta, perché è lei a riportarne le parole; e la voce di lei si fa voce di lui; e mentre le parole di lui la vincono, ella ci dice che è vinta. La voce del seduttore si fa una con la voce della sedotta, indistinguibile; al verso 301 ella usa il verbo ‘avvelenare’: la voce di lui contamina la voce della fanciulla, la sua anima, come lo stupro subito da Lucrezia contamina il suo sangue. La voce di chi resiste si fonde con la voce di chi quella resistenza vuole abbattere. Il momento in cui la fanciulla cede e cade ricorda un episodio delle Metamorfosi di Ovidio, quello del corteggiamento di Vertunno, il dio della natura e della metamorfosi, a Pomona, figura femminile legata alla terra e alla coltivazione. Anche lei, come la fanciulla del Lamento, se ne sta chiusa nei suoi giardini, dedita solo alle sue piante; e Vertumno, travisato da vecchia, le parla, le parla delle qualità di Vertumno (il quale, sotto mentite spoglie, celebra sé, come il seduttore) tanto da convincerla e da vincerla, suscitando la sua pietà. Scrive Ovidio: miserere ardentis et ipsum / quod petit ore meo praesentem crede precari, “Abbi pietà del suo ardente amore e credi che sia lui stesso, presente, a pregarti di ciò che per la mia bocca ti prega” (XIV, vv. 691-692). Ma qui, nell’episodio narrato da Ovidio, l’apparire coincide con l’essenza dell’intimo, non è un’apparenza che cela l’inganno. In Shakespeare, la lacrima (fasulla) versata dal giovane è il momento culminante della finzione ingannatrice. La retorica del seduttore è, dunque, convincente ed efficace, mentre non altrettanto efficace è la retorica femminile, come Shakespeare ha già mostrato sia nella figura di Venere che in Lucrezia. La fertilità suggerita dai primi due versi, con la collina, il grembo, la valle sorella, si risolve alla fine in sterilità, non casta e voluta come quella tra la Fenice e la Tortora (si vedano i vv. 59-61 della poesia) bensì macchiata dal contatto carnale che non porta alla generazione ma che è fine a sé stesso; che è il disgusto del dopo del sonetto 129, già provato da Tarquinio ma non, possiamo ben immaginarlo, dal seduttore. 2470
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Il finale è sospeso. Il vecchio aveva promesso un aiuto, un sostegno; ma il lamento s’interrompe bruscamente, con un’amara constatazione che Shakespeare pone sulle labbra della fanciulla innamorata, ossia che ella di nuovo cederebbe e cadrebbe. Ed è questa la tragedia che Shakespeare ci pone dinanzi agli occhi: il sapere di compiere il male e il volerlo compiere comunque; il volerlo anzi reiterare. E l’aggettivo “ravveduta” che chiude il componimento indica un ravvedimento temporaneo e illusorio, l’indicazione di una fragilità cui non è possibile dare un sostegno duraturo. Certo, il vecchio aveva promesso parole di consolazione al compianto della fanciulla; ma esse, è lecito chiederci, avrebbero avuto un qualche effetto sul suo animo? La chiusa brusca del poemetto, assieme allo sparire dalla scena del vecchio (ma anche della voce narrante che riporta tutti i discorsi che siamo andati ascoltando) e del seduttore, lasciano la fanciulla in uno stato di solitudine e di sospensione, in uno stato di abbandono che l’interruzione dei versi oggettivano e rendono drammaticamente privo di vie d’uscita. LUCA MANINI
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Letteratura critica Edizioni commentate: J. KERRIGAN (cur.), The Sonnets and A Lover’s Complaint, London, Penguin 1995; J. CREWE (cur.), Narrative Poems, London, Penguin, 1999; C. BURROW (cur.), The Complete Sonnets and Poems, Oxford, Oxford U. P., 2002; J. ROE (cur.), The Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2006; K. DUNCAN-JONES e H. R. WOUDHYSEN (cur.), Shakespeare’s Poems, London, The Arden Shakespeare, 2007; R. LYNE e C. SHRANK (cur.), The Complete Poems of Shakespeare, London, New York, Routledge, 2018. Traduzioni italiane: di Adolfo Mabellini (rivista da Mario Praz), in M. PRAZ (cur.), W. Shakespeare, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1964; di Roberto Sanesi, in W. Shakespeare, L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2000. C. BATES, “The Enigma of A Lover’s Complaint”, in M. SCHOENFELDT (cur.), A Companion to Shakespeare’s Sonnets, Oxford, Blackwell, 2006, pp. 426-440; P. CHENEY, “Deep-brai’d sonnets and tragic shows: Shakespeare’s late Ovidian art in A Lover’s Complaint”, in ID., Shakespeare National Poet-Playwright, Cambridge, Cambridge U. P., 2004, pp. 239-266; K. A. CRAIK, “A Lover’s Complaint and Early Modern Criminal Confession”, Shakespeare Quarterly, 53, 2002, pp. 437-459; K. A. CRAIK, “Poetry and Compassion in Shakespeare’s ‘A Lover’s Complaint’”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 522-539; M. H EALY, “Making the quadrangle round: Alchemy’s Protean Forms in Shakespeare’s Sonnets and A Lover’s Complaint”, in M. SCHOENFELDT (cur.), A Companion to Shakespeare’s Sonnets, Oxford, Blackwell, 2006, pp. 405-425; J. KERRIGAN, Motives of Woe: Shakespeare and ‘Female Complaint’, Oxford, Oxford U. P., 1991; K. ROWE, “A Lover’s Complaint”, in P. CHENEY, The Cambridge Companion to Shakespeare’s Poetry, Cambridge, Cambridge U. P., 2007, pp. 144-160; M. E. SANCHEZ, “The Poetics of Feminine Subjectivity in Shakespeare’s Sonnets and ‘A Lover’s Complaint’”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 505-521; M. SCHOENFELD, The Cambridge In2472
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NOTA INTRODUTTIVA
troduction to Shakespeare’s Poetry, Cambridge U. P., Cambridge 2010; S. ZISSER, (cur.), Critical Essays on Shakespeare’s A Lover’s Complaint, Aldershot, Ashgate, 2006; B. VICKERS, A Lover’s Complaint and John Davies of Hereford, Cambridge, Cambridge U. P., 2007.
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A LOVER’S COMPLAINT
From off a hill whose concave womb re-worded A plaintful story from a sist’ring vale, My spirits t’attend this double voice accorded, And down I laid to list the sad-tuned tale; Ere long espied a fickle maid full pale, Tearing of papers, breaking rings a-twain, Storming her world with sorrow’s wind and rain. Upon her head a plaited hive of straw Which fortified her visage from the sun, Whereon the thought might think sometime it saw The carcass of a beauty spent and done. Time had not scythèd all that youth begun, Nor youth all quit; but spite of heaven’s fell rage, Some beauty peeped through lattice of seared age. Oft did she heave her napkin to her eyne, Which on it had conceited characters, Laund’ring the silken figures in the brine That seasoned woe had pelleted in tears, And often reading what contents it bears; As often shrieking undistinguished woe In clamours of all size, both high and low.
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Là, su una collina il cui concavo grembo ridiceva una dolente storia da sorella valle1, accordai l’animo2 a udire questa doppia voce e sedetti per ascoltare la mesta melodia narrata; scorsi di poi un’irrequieta3, pallida fanciulla che lacerava carte e in due spezzava anelli, devastando il suo mondo4 con burrascoso duolo. Sul capo aveva un cappello di paglia intrecciata5 che contro il sole le era scudo al volto; e là il pensiero pensar poteva di vedere i resti d’una beltà svanita e spenta; falciato non aveva il tempo ancora i segni di giovinezza né gioventù disfatto: a dispetto dell’ira del cielo, fra quella griglia di grinze qualche beltà filtrava6. Agli occhi portava spesso il fazzoletto, sul quale erano lettere ed emblemi; e quei serici segni ella bagnava col pianto che la matura7 pena modellava in gocce; quelle righe, quei segni rileggeva spesso e spesso, in grida confuse, erompeva la sua pena in note ora alte, ora profonde.
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A LOVER’S COMPLAINT
Sometimes her levelled eyes their carriage ride As they did batt’ry to the spheres intend; Sometime diverted their poor balls are tied To th’orbèd earth; sometimes they do extend Their view right on; anon their gazes lend To every place at once, and nowhere fixed, The mind and sight distractedly commixed. Her hair, nor loose nor tied in formal plait, Proclaimed in her a careless hand of pride; For some, untucked, descended her sheaved hat, Hanging her pale and pinèd cheek beside. Some in her threaden fillet still did bide, And, true to bondage, would not break from thence, Though slackly braided in loose negligence. A thousand favours from a maund she drew Of amber, crystal, and of beaded jet, Which one by one she in a river threw Upon whose weeping margin she was set; Like usury applying wet to wet, Or monarch’s hands that lets not bounty fall Where want cries some, but where excess begs all. Of folded schedules had she many a one Which she perused, sighed, tore, and gave the flood; Cracked many a ring of posied gold and bone, Bidding them find their sepulchres in mud; Found yet more letters sadly penned in blood, With sleided silk feat and affectedly Enswathed and sealed to curious secrecy.
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Come cannoni, gli occhi puntano talvolta alle celesti sfere, quasi a volerle tempestare; poi, proiettili inefficaci, di là si distraggono e si legano all’orbe della terra; dinanzi a sé, poi, configgono lo sguardo; e poi d’attorno ruotano verso ogni luogo insieme, ossia verso nessuno; mentre vista e mente confusamente si fondono8. I capelli, non sciolti e non legati in ordinata treccia, dicono di una mano che vanità non cura; alcuni, ribelli fuggiti al cappello di paglia, pendono lungo le guance smunte e smorte; altri restavano fermi nel nastro intessuto e, schiavi fedeli, libertà non cercavano, seppur con molle negligenza fossero legati9. Mille piccoli doni10 traeva da un cestino: cristalli d’ambra e perle di giaietto, e uno a uno li gettava in un ruscello sulla cui sponda piangente11 ella sedeva, acqua aggiungendo all’acqua, come un’usuraia; o come un re che mostri avare mani a chi, misero, implora, e dona a chi più ha e più vuole. Aveva con sé molti fogli piegati e, sospirando, li leggeva, strappava e consegnava al rivo; e anelli incisi, d’oro e d’avorio, che spezzava, loro ordinando: ‘Sia il fango a voi sepolcro!’ Trasse altre lettere, mestamente vergate col sangue12, ravvolte con studio e amore in filami di seta e sigillate in sorvegliata segretezza.
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These often bathed she in her fluxive eyes, And often kissed, and often ’gan to tear; Cried ‘O false blood, thou register of lies, What unapprovèd witness dost thou bear! Ink would have seemed more black and damnèd here!’ This said, in top of rage the lines she rents, Big discontent so breaking their contents. A reverend man that grazed his cattle nigh, Sometime a blusterer that the ruffle knew Of court, of city, and had let go by The swiftest hours observèd as they flew, Towards this afflicted fancy fastly drew, And, privileged by age, desires to know In brief the grounds and motives of her woe. So slides he down upon his grainèd bat, And comely distant sits he by her side, When he again desires her, being sat, Her grievance with his hearing to divide. If that from him there may be aught applied Which may her suffering ecstasy assuage, ’Tis promised in the charity of age. ‘Father,’ she says, ‘though in me you behold The injury of many a blasting hour, Let it not tell your judgement I am old; Not age, but sorrow over me hath power. I might as yet have been a spreading flower, Fresh to myself, if I had self-applied Love to myself, and to no love beside.
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Spesso le bagnò col suo copioso pianto e spesso le baciò e a strapparle principiò, gridando: ‘Sangue bugiardo, verbale di menzogne, è falsa la testimonianza che qui riporti! Qui ci voleva inchiostro, che è più nero e più dannato!’13 Disse; e al colmo della furia quelle righe straccia, e l’ira sua grande ciò ch’è scritto infrange. Un uomo venerando che lì vicino pascolava il gregge, un vanesio un tempo, cui furono note le vuote pompe di corti e di città e che, osservandole14, della vita aveva sprecato le ore più leste e fuggitive15, rapido s’accostò a quell’afflitta fantasia16 e, per il privilegio che gli dà l’età, apprender vuole le cause della pena sua, le sue ragioni. Sorretto dal saldo bastone, egli s’avanza e a conveniente distanza presso lei si siede17, e poi le chiede, una volta seduto, di dividere con lui, narrandola, la pena18; e se da lui un qualche rimedio19 può venire che possa placare il forsennato duolo20, in virtù dei suoi anni, egli lo promette. ‘Padre’ risponde ‘sebbene in me tu veda lo sfregio di molte ore rovinose, non dica il tuo giudizio ch’io sia vecchia: non l’età m’è signora, ma la pena. Potrei ben essere un fiore che or ora sboccia, fresco a me sola 21, se l’amor rivolto a me sola avessi, non ad amare altrui22.
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‘But, woe is me, too early I attended A youthful suit — it was to gain my grace — O, one by nature’s outwards so commended That maidens’ eyes stuck over all his face. Love lacked a dwelling and made him her place, And when in his fair parts she did abide She was new-lodged and newly deified. ‘His browny locks did hang in crookèd curls, And every light occasion of the wind Upon his lips their silken parcels hurls. What’s sweet to do, to do will aptly find. Each eye that saw him did enchant the mind, For on his visage was in little drawn What largeness thinks in paradise was sawn. ‘Small show of man was yet upon his chin; His phoenix down began but to appear, Like unshorn velvet, on that termless skin Whose bare outbragged the web it seemed to wear; Yet showed his visage by that cost more dear, And nice affections wavering stood in doubt If best were as it was, or best without. ‘His qualities were beauteous as his form, For maiden-tongued he was, and thereof free. Yet if men moved him, was he such a storm As oft twixt May and April is to see When winds breathe sweet, unruly though they be. His rudeness so with his authorized youth Did livery falseness in a pride of truth.
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Ma troppo presto, ahimè, io diedi ascolto a un giovane che vincere voleva il mio favore, un pretendente fatto sì bello da natura che sul suo volto fermava lo sguardo ogni fanciulla23. Cercando una dimora, Venere in lui la trovò e, albergandosi nella beltà di lui, una nuova casa rinvenne: e fu due volte dea 24. La chioma bruna 25 gli si avvitava in ricci e l’alito minuto d’ogni vento sulle labbra gli spingeva quei fili di seta: le dolci cose trovano il modo di compiersi 26. L’occhio che lo vedeva ammaliava la mente27 ché sul suo volto, in miniatura, era dipinto ciò che, grande, si pensa fosse inciso in paradiso28. Quasi glabro era il mento di segni virili, se non per rada peluria di fenice29 che, velluto non rifinito, tenue appariva sulla rara pelle30, la quale, spoglia, superava in beltà quella sottile tela; quella traccia preziosa più vago però rendeva il viso e chi, amante, lo guardava, stava dubbioso e incerto: era più vago con o era più vago senza?31 Leggiadro il corpo, leggiadri i modi; era generoso, e con lingua di fanciulla32; se provocato, si faceva però burrasca, quale si vede tra il maggio e l’aprile33, quando, seppur impetuosi, dolci soffiano i venti. Legittimata da gioventù, la ruvidezza sua vestiva falsità in sfoggio di franchezza34.
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‘Well could he ride, and often men would say “That horse his mettle from his rider takes; Proud of subjection, noble by the sway, What rounds, what bounds, what course, what stop he makes!” And controversy hence a question takes, Whether the horse by him became his deed, Or he his manège by th’ well-doing steed. ‘But quickly on this side the verdict went: His real habitude gave life and grace To appertainings and to ornament, Accomplished in himself, not in his case. All aids, themselves made fairer by their place, Came for additions; yet their purposed trim Pieced not his grace, but were all graced by him. ‘So on the tip of his subduing tongue All kind of arguments and question deep, All replication prompt, and reason strong, For his advantage still did wake and sleep. To make the weeper laugh, the laugher weep, He had the dialect and different skill, Catching all passions in his craft of will, ‘That he did in the general bosom reign Of young, of old, and sexes both enchanted, To dwell with him in thoughts, or to remain In personal duty, following where he haunted. Consents bewitched, ere he desire, have granted, And dialogued for him what he would say, Asked their own wills, and made their wills obey.
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Cavalcava bene e spesso, dice la gente, dal cavaliere trae il cavallo la sua forza, fiero d’essere domo, nobile per quel dominio che lo fa girare, balzare, correre, bloccare. E qui la controversia pone la questione35: era grazie a lui che il cavallo sì bene si portava o era il corsiero che faceva di lui un cavaliere? Presto, però, a favore di lui era il verdetto: il portamento suo, regale, dava grazia e vita a ogni cosa che, sua, l’adornava: era perfetto in sé, non per gli orpelli; posto su lui, più bello era ogni oggetto e se lo scopo ne pareva d’abbellirlo, invero non la grazia di lui bensì la loro s’accresceva. E sulla punta della lingua sua, suadente, ogni qual tema, ogni questione ardua, ogni pronto motteggio o solida ragione vegliava e dormiva a suo vantaggio. Per far ridere chi piangeva, piangere chi rideva aveva una dialettica trascelta e variata, onde vincere al suo volere ogni passione36. Sì che, incantandolo, egli regnava in ogni petto, di giovani e di vecchi37, dell’uno e l’altro sesso38; col pensiero in lui dimoravano, oppure a lui erano accanto per servirlo, là dov’egli andava. Prima che desideri, già l’accontenta chi ne è stregato e, anticipando ciò che lui direbbe, ognuno chiede al proprio volere e già esso obbedisce.
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‘Many there were that did his picture get To serve their eyes, and in it put their mind, Like fools that in th’imagination set The goodly objects which abroad they find Of lands and mansions, theirs in thought assigned, And labour in more pleasures to bestow them Than the true gouty landlord which doth owe them. ‘So many have, that never touched his hand, Sweetly supposed them mistress of his heart. My woeful self, that did in freedom stand, And was my own fee-simple, not in part, What with his art in youth, and youth in art, Threw my affections in his charmèd power, Reserved the stalk and gave him all my flower. ‘Yet did I not, as some my equals did, Demand of him, nor being desirèd yielded. Finding myself in honour so forbid, With safest distance I mine honour shielded. Experience for me many bulwarks builded Of proofs new bleeding, which remained the foil Of this false jewel and his amorous spoil. ‘But ah, who ever shunned by precedent The destined ill she must herself assay, Or forced examples ’gainst her own content To put the by-past perils in her way? Counsel may stop a while what will not stay, For when we rage, advice is often seen, By blunting us, to make our wills more keen.
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Ci furono molte che, per rimirarlo, ne vollero il ritratto; e in esso smarrirono la mente, come lo sciocco la cui fantasia ispeziona i begli oggetti che d’intorno scorge, terreni e proprietà che finge suo possesso, e dall’amministrarli trae più piacere che il proprietario vero, afflitto dalla gotta39. Molte mai gli toccarono la mano, eppure vollero credersi padrone del suo cuore. Il mio dolente io, che in libertà si stava, che apparteneva a me, e a me soltanto40, per l’arte e giovinezza sue, per sue giovinezza e arte, gettò i miei sensi all’ammaliante suo potere, a me tenendo il gambo e a lui, intero, dando il mio fiore41. Nulla, però, come fecero invece altre mie pari, a lui richiesi, né, pur bramata, cedetti; sentendo che l’onore mi poneva un veto, con la distanza feci scudo all’onor mio42. Più baluardi43 m’edificò l’esperienza mostrandomi sanguinose e nuove prove, che davano risalto al falso gioiello che è lui, e alle sue amorose spoglie44. Ma, ahimè, qual donna mai, pur avvisata da altri esempi, poté evitare il male destinato che deve pur provare? O alla gioia sbarrare la via con aspri esempi di subìti perigli? Il consiglio frena ciò che non vuol fermarsi, ma per un solo istante ed esso, spesso, quando bramiamo, smussa il desiderio e pur lo accresce45.
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‘Nor gives it satisfaction to our blood That we must curb it upon others’ proof, To be forbod the sweets that seems so good For fear of harms that preach in our behoof. O appetite, from judgement stand aloof! The one a palate hath that needs will taste, Though reason weep, and cry it is thy last. ‘For further I could say this man’s untrue, And knew the patterns of his foul beguiling; Heard where his plants in others’ orchards grew, Saw how deceits were gilded in his smiling, Knew vows were ever brokers to defi ling, Thought characters and words merely but art, And bastards of his foul adulterate heart. ‘And long upon these terms I held my city Till thus he gan besiege me: “Gentle maid, Have of my suffering youth some feeling pity, And be not of my holy vows afraid. That’s to ye sworn to none was ever said; For feasts of love I have been called unto, Till now did ne’er invite nor never woo. ‘“All my offences that abroad you see Are errors of the blood, none of the mind. Love made them not; with acture they may be, Where neither party is nor true nor kind. They sought their shame that so their shame did find, And so much less of shame in me remains By how much of me their reproach contains.
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Né dà soddisfazione al nostro sangue doverlo imbrigliare per avvisi altrui, proibirci le dolcezze che ci appaiono sì buone, per tema dei mali che al nostro bene invitano: Appetito, resta lontano dal giudizio! Tu hai un palato che vuol sentire il gusto46, seppur pianga ragione e gridi: È la tua fine! Io ben sapevo che egli era mendace e conoscevo i modi dei suoi inganni impuri; che in giardini d’altrui crescevano le sue piante47, vedevo la frode negli indorati suoi sorrisi; agenti di putredine ne sapevo i voti, capivo che frutti dell’arte erano lettere e parole, bastarde del suo cuore traditore e impuro. E a lungo, così armata, la mia città difesi; ma lui ad assediarmi prese48, così: ‘Fanciulla gentile, abbi una sincera pietà della mia gioventù che soffre, e non temere, no, i miei santi voti49. Ciò ch’io ti giuro50, a nessun’altra mai lo dissi; a banchetti d’amore io spesso fui invitato, non sino ad ora mai io invitai, mai corteggiai. Gli errori miei che vedi sparsi ovunque sono frutti del mio sangue, non della mente51; non creature d’amore, bensì semplici atti dove né io né l’altra amanti eravamo, o sinceri. Cercavano esse l’onta e l’onta esse trovarono, e tanto meno a me di vergogna rimane quanto più esse a me muovono rampogna.
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A LOVER’S COMPLAINT
‘“Among the many that mine eyes have seen, Not one whose flame my heart so much as warmèd Or my affection put to th’ smallest teen, Or any of my leisures ever charmèd. Harm have I done to them, but ne’er was harmèd; Kept hearts in liveries, but mine own was free, And reigned commanding in his monarchy. ‘“Look here what tributes wounded fancies sent me Of pallid pearls and rubies red as blood, Figuring that they their passions likewise lent me Of grief and blushes, aptly understood In bloodless white and the encrimsoned mood — Effects of terror and dear modesty, Encamped in hearts, but fighting outwardly. ‘“And lo, behold, these talents of their hair, With twisted mettle amorously impleached, 1 have received from many a several fair, Their kind acceptance weepingly beseeched, With th’annexations of fair gems enriched, And deep-brained sonnets that did amplify Each stone’s dear nature, worth, and quality. ‘“The diamond? — why, ’twas beautiful and hard, Whereto his invised properties did tend; The deep-green em’rald, in whose fresh regard Weak sights their sickly radiance do amend; The heaven-hued sapphire and the opal blend With objects manifold; each several stone, With wit well blazoned, smiled or made some moan.
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Tra le tante che i miei occhi videro, la fiamma di nessuna tanto m’accese il cuore, o tanta pena diede al mio sentire, o di malia riempì i tempi miei oziosi. Male io feci loro, ma nessun male io ne ebbi; soggetti tenevo i cuori, libero il mio restava52, pari ad un re che comandi nel suo regno. Guarda i tributi che mi resero quelle ferite fantasie53: pallide perle, rubini rossi come il sangue, coi quali suggerivano le passioni loro, le pene ed i rossori, con arte sottintesi nel bianco esangue e nell’arrossata forma; erano manifestazioni del terrore54 e del pudore che, accampati nel cuore, lottavano sul volto55. E guarda il tesoro dei loro capelli, con amore intrecciati a lavorata cornice56; li ho ricevuti da molte donne belle, le quali piansero perché io, con favore, li tenessi; li arricchirono di gemme bellissime e d’ispirati sonetti che di ogni pietra magnificavano natura, valore e qualità. Il diamante? Oh, era così duro e bello, in sé ricolmo di virtù non viste ancora; il verde smeraldo, alla cui viva vista si ravvivano i raggi degli occhi indeboliti57; e poi l’opale e lo zaffiro color del cielo, uniti a variati oggetti; ogni singola pietra, argutamente descritta, così sorrideva, così gemeva.
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A LOVER’S COMPLAINT
‘“Lo, all these trophies of affections hot, Of pensived and subdued desires the tender, Nature hath charged me that I hoard them not, But yield them up where I myself must render — That is to you, my origin and ender; For these of force must your oblations be, Since I their altar, you enpatron me. ‘“O then advance of yours that phraseless hand Whose white weighs down the airy scale of praise. Take all these similes to your own command, Hallowed with sighs that burning lungs did raise. What me, your minister for you, obeys, Works under you, and to your audit comes Their distract parcels in combined sums. ‘“Lo, this device was sent me from a nun, A sister sanctified of holiest note, Which late her noble suit in court did shun, Whose rarest havings made the blossoms dote; For she was sought by spirits of richest coat, But kept cold distance, and did thence remove To spend her living in eternal love. ‘“But O, my sweet, what labour is’t to leave The thing we have not, mast’ring what not strives, Planing the place which did no form receive, Playing patient sports in unconstrainèd gyves! She that her fame so to herself contrives The scars of battle scapeth by the flight, And makes her absence valiant, not her might.
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Questi trofei di sì ardenti passioni, doni di desideri repressi e pensosi, ora Natura mi ordina di non conservarli, ma di cederli a colei cui arrendere mi debbo58: ovvero a te, che sei mio inizio, e sei mia fine59; necessaria oblazione essi ti siano, ché io sono l’altare60, tu la mia santa patrona. Porgimi allora l’incomparabile tua mano, il cui candore rovescia l’aerea bilancia della lode61, e prendi al tuo servizio queste similitudini62, tutte, consacrate dai sospiri ch’esalano da polmoni ardenti; e chi a me, che sono tuo ministro, obbedisce, a te obbedisce e opera per te; e a te presenta questi sparsi doni uniti in ricco insieme. Quest’omaggio mi fu dato da una monaca, una devotissima suora, già consacrata; dei cortigiani un tempo ella schivò la corte, i quali dalle rare sue virtù erano presi; da uomini di antica nobiltà era cercata, ma fredda ella restava, distante; e il mondo poi abbandonò63, per spendere il suo tempo nell’amore che non ha fine64. Ma, amor mio, che sforzo v’è nel lasciare ciò che non abbiamo, nel domare ciò che non s’oppone, nel recintare un luogo dove non fu mai un’orma, nel restare pazienti in volontari ceppi? Colei che il suo buon nome in sé rinserra le cicatrici della lotta evita fuggendo e fa valer l’assenza, non la sua potenza.
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A LOVER’S COMPLAINT
‘“O, pardon me, in that my boast is true! The accident which brought me to her eye Upon the moment did her force subdue, And now she would the cagèd cloister fly. Religious love put out religion’s eye. Not to be tempted would she be immured, And now, to tempt, all liberty procured. ‘“How mighty then you are, O hear me tell! The broken bosoms that to me belong Have emptied all their fountains in my well, And mine I pour your ocean all among. I strong o’er them, and you o’er me being strong, Must for your victory us all congest, As compound love to physic your cold breast. ‘“My parts had power to charm a sacred nun, Who disciplined, ay dieted in grace, Believed her eyes when they t’ assail begun, All vows and consecrations giving place. O most potential love: vow, bond, nor space In thee hath neither sting, knot, nor confine, For thou art all, and all things else are thine. ‘“When thou impressest, what are precepts worth Of stale example? When thou wilt inflame, How coldly those impediments stand forth Of wealth, of filial fear, law, kindred, fame. Love’s arms are peace, ’gainst rule, ’gainst sense, ’gainst shame; And sweetens in the suff’ring pangs it bears The aloes of all forces, shocks, and fears.
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Perdonami, ma il mio è un giusto vanto; il caso che mi mise innanzi agli occhi suoi subito la privò d’ogni sua forza, e ora sfuggire vorrebbe al chiuso chiostro: l’amore devoto ha spento l’occhio della devozione65. Per non esser tentata volle essere murata, per tentare s’è ora procurata la libertà. Ascoltami se dico quanto sei potente! I petti infranti che ormai a me appartengono66 nel mio pozzo hanno versato le sorgenti loro, e la mia io riverso nell’oceano ch’è tuo. Se io domino loro, tu domini me: e per la tua vittoria io e loro dobbiamo unirci ed essere un composto d’amore che cura l’algido tuo petto67. La mia beltà, potente, una santa monaca ammaliò, la quale, salda e nutrita dalla grazia, credette agli occhi suoi quand’essi iniziarono l’assalto; e voti e ordinazione batterono in ritirata. Oh potentissimo Amore! Voti, obblighi e luoghi per te non hanno forza o nodi o confini, perché tu sei tutto e le cose tutte ti appartengono. Quando conquisti, qual mai valore hanno i precetti degli esempi stantii? Quando tu infiammi, con qual riluttanza s’avanzano, a ostacolarti, ricchezza, timor filiale, legge, buon nome e famiglia!68 Contro legge, onta e ragione leva Amore armi di pace e, fra le pene e le ambasce che reca, addolcisce il fiele della violenza, degli urti e dei timori.
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A LOVER’S COMPLAINT
‘“Now all these hearts that do on mine depend, Feeling it break, with bleeding groans they pine, And supplicant their sighs to you extend To leave the batt’ry that you make ’gainst mine, Lending soft audience to my sweet design, And credent soul to that strong-bonded oath That shall prefer and undertake my troth.” ‘This said, his wat’ry eyes he did dismount, Whose sights till then were levelled on my face. Each cheek a river running from a fount With brinish current downward flowed apace. O, how the channel to the stream gave grace, Who glazed with crystal gate the glowing roses That flame through water which their hue encloses. ‘O father, what a hell of witchcraft lies In the small orb of one particular tear! But with the inundation of the eyes What rocky heart to water will not wear? What breast so cold that is not warmèd here? O cleft effect! Cold modesty, hot wrath, Both fire from hence and chill extincture hath. ‘For lo, his passion, but an art of craft, Even there resolved my reason into tears. There my white stole of chastity I daffed, Shook off my sober guards and civil fears; Appear to him as he to me appears, All melting, though our drops this diff’rence bore: His poisoned me, and mine did him restore.
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Questi cuori che al mio sono legati, ora che lo sentono spezzarsi, sanguinanti, gementi69, con suppliche e sospiri a te si volgono perché cessi d’assaltare, tu, il mio cuore, e porga un dolce orecchio al vago mio disegno e un’anima fidente al vincolo che io giuro saldo e che sostegno e valore darà alla mia fede.’ Disse; e gli occhi abbassò, lacrimosi, che sino allora fissi m’erano stati in viso; ogni guancia fu un rivo che esce da una fonte e il cui salso corso rapido trascorre: oh, quale grazia il greto70 donava a quel rivo! Esso era un velo cristallino su purpuree rose71, fiammeggianti nell’acqua che il colore ne serra. Oh padre, qual mai inferno stregonesco giace nel piccolo mondo d’una lacrima sola? Ma se inondati di pianto sono gli occhi, all’acqua qual mai non cederà cuore di pietra? Qual petto sarà freddo sì da non scaldarsi allora? Oh, duplice effetto! La fredda modestia e l’ira calda ne traggono il fuoco e il gelo che le estingue. Ed ecco che la sua passione, ingegnoso simulacro, in lacrime dissolse il mio intelletto; allora rigettai la bianca stola della castità, ogni attenta difesa, ogni timor civile72 da me scossi e a lui mi mostrai com’egli a me appariva, tutta piangente, seppur diverse fossero le nostre gocce: mi avvelenarono le sue, le mie gli diedero salute73.
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A LOVER’S COMPLAINT
‘In him a plenitude of subtle matter, Applied to cautels, all strange forms receives, Of burning blushes or of weeping water, Or swooning paleness; and he takes and leaves, In either’s aptness, as it best deceives, To blush at speeches rank, to weep at woes, Or to turn white and swoon at tragic shows, ‘That not a heart which in his level came Could scape the hail of his all-hurting aim, Showing fair nature is both kind and tame, And, veiled in them, did win whom he would maim. Against the thing he sought he would exclaim; When he most burned in heart-wished luxury, He preached pure maid and praised cold chastity. ‘Thus merely with the garment of a grace The naked and concealèd fiend he covered, That th’unexperient gave the tempter place, Which like a cherubin above them hovered. Who, young and simple, would not be so lovered? Ay me, I fell, and yet do question make What I should do again for such a sake. ‘O that infected moisture of his eye, O that false fire which in his cheek so glowed, O that forced thunder from his heart did fly, O that sad breath his spongy lungs bestowed, O all that borrowed motion seeming owed Would yet again betray the fore-betrayed, And new pervert a reconcilèd maid.’
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LAMENTO DI UN’INNAMORATA
Una pienezza in lui di duttile materia, volta alla frode, variatissime forme assume74, d’ardenti rossori o di pianto che scende, o di fragile pallore; egli le indossa e se ne spoglia, ricorre all’una, all’altra, come meglio gli preme, e arrossisce a salaci parole, o per l’altrui pena piange, o impallidisce e sviene innanzi a scene di tragedia. Sì che nessun cuore su cui posava gli occhi evitare poteva i colpi delle sue mire prave, mostrando che la beltà è dolce e mite; simulando così, vinceva quanti egli guastar voleva. Inveiva contro ciò che invero ricercava; e quando di foia gli bruciava il cuore, con tono verginale la fredda castità lodava75. Così, semplicemente, con un abito di grazia, il demone celato e nudo egli copriva76, e le inesperte al tentatore tutte cedevano77, a lui che quale cherubino78 su loro si librava. Chi, giovane e ingenua, non ne sarebbe amante? Ahimè, io caddi; e ora mi domando che cosa ancora non farei per amor suo79. Oh, quell’umore infetto dei suoi occhi; oh, il fuoco mendace che gli ardeva il viso; oh, il calcolato lampo che saettava dal cuore; oh, i tristi aliti che gli uscivano dai polmoni porosi; oh l’emozione fasulla che pareva vera, di nuovo ingannerebbero chi fu già ingannata e ancora travierebbero una ravveduta fanciulla.’
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Various Poems Poesie occasionali Testo inglese a cura di STANLEY WELLS Nota introduttiva, traduzione e note di LUCA MANINI
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Nota introduttiva
Parlare delle poesie (non incluse in alcuna raccolta) attribuite a Shakespeare significa entrare nel campo, incerto, del dubbio, del forse, del discorso sull’autorialità e sulla percezione, da parte dei lettori, di ciò che può essere stato scritto da Shakespeare. Le poesie che qui si presentano appaiono in una raccolta di tutti i testi shakespeariani perché, nel corso dei secoli, se n’è riconosciuta possibile la paternità di Shakespeare; e occorre accentuare l’aggettivo ‘possibile’, poiché si è nel campo delle supposizioni, si è in una regione in cui importanti sono testimonianze antiche (spesso uniche), il desiderio di raccogliere, una volta affermata l’importanza di Shakespeare, ogni singola parola che dalla sua penna può essere uscita; e, ancora, dove conta la compilazione, da parte di singoli, di miscellanee poetiche destinate o a un uso privato o a una limitata circolazione manoscritta; e, ancora, dove appare il gusto di viaggiare per le varie zone dell’Inghilterra alla ricerca d’iscrizioni e di epitaffi, nonché di aneddoti da trascrivere in diari. Non ci si debbono quindi aspettare certezze assolute nelle note che accompagnano questi componimenti, il numero dei quali varia (come sempre è variato) da edizione a edizione, secondo le opinioni dei vari curatori. Si tratta di poesie occasionali, di bozzetti, di epigrafi e di epitaffi, tutti testi che sì Shakespeare avrebbe potuto scrivere ma che sarebbe stato in grado di scrivere qualsiasi altro poeta o, considerato lo scarso valore poetico di alcuni, qualsiasi persona colta dell’epoca. La poesia nota o come “Una canzone” o, dal suo primo verso, “Morirò?”, mette in scena il male d’amore d’un giovane, il quale vorrebbe trovare 2501
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POESIE OCCASIONALI
il coraggio di dichiararsi alla donna che ama, donna che rimane da lui distante, se non in un sogno che la realtà, poi, inevitabilmente, infrange. La poesia, forse destinata a essere messa in musica, è stata tramandata da due manoscritti, due miscellanee di componimenti poetici: la prima, anonima, compilata, si suppone, negli anni trenta del diciassettesimo secolo e la seconda, forse assemblata da Tobias Alston, trascritta verso il 1639. Solo il primo manoscritto pone il nome di Shakespeare in calce alla poesia. Di più (sempre che non si voglia ripercorrere la diatriba tra critici favorevoli e critici contrari all’attribuzione) non si può dire. I tre versi dedicati ai guanti donati si trovano in una miscellanea di poesie assemblata verso il 1629 da Sir Francis Fane, fratello del poeta Midmay Fane. Si suppone potessero essere stati scritti su un biglietto che accompagnava il dono dei guanti (sui guanti come pegno d’amore, si veda la commedia Pene d’amor perdute V, 2, 47-50); il che ha fatto pensare al giovane Shakespeare che aiutasse il padre nella sua attività di guantaio (se invero guantaio era il padre di Shakespeare). Prove però non ve ne sono. È stata rinvenuta un’eco con il Pericle (III, 4, 18), ma l’espressione ha una valenza proverbiale e non dimostra più di tanto. Infinite le speculazioni. Alexander Aspinall, un maestro di Stratford, sposò nel 1594 la vedova Anne Shaw, la quale aveva già due figli, uno dei quali di nome William (l’altro, July, era amico di Shakespeare); William era un guantaio; forse che Aspinall ordinò i guanti al figlio della donna che intendeva sposare? Poiché la poesia è chiusa con la firma di Aspinall, ne è lui forse l’autore? La parte preponderante dei versi attribuiti a Shakespeare sono epigrafi ed epitaffi. Essi erano raccolti e trascritti da studiosi di storia locale e di antichità; a volte rimanevano allo stato di manoscritto, altre volte erano pubblicati. Tra coloro che si dedicarono a questo, si possono menzionare John Stow, William Camden e, in particolare, John Weever. Due sono quelli che ricordano membri della famiglia Stanley e sono incisi sulla tomba di famiglia posta nella chiesa di San Bartolomeo a Tong, nello Shropshire; furono trascritti una prima volta da John Weever (1575?1632), il quale raccoglieva materiale per il suo volume Monumenti funebri. Il bozzetto che ha come protagonisti Shakespeare e Ben Jonson appare in un manoscritto miscellaneo messo insieme da Nicholas Burgh verso il 1650; e in un altro, di mano di Sir Francis Fane, compilato qualche anno più tardi (1655?). L’epitaffio per Elias James si trovava inciso su 2502
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NOTA INTRODUTTIVA
una tomba nella chiesa londinese di Sant’Andrea, la quale fu distrutta nell’incendio del 1666. I versi sono conservati in un manoscritto (dov’è anche la canzone “Morrò?”) che li attribuisce a Shakespeare. La prima pubblicazione è nell’opera Una descrizione di Londra, a cura di vari, pubblicata nel 1633. I due epitaffi per l’usuraio John Combe compaiono in vari manoscritti e furono attribuiti a Shakespeare da Richard Brathwait nel suo Ciò che resta dopo la morte, del 1618. La quartina dedicata al re, ossia a Giacomo I, apparve a stampa nell’edizione delle opere di Giacomo I pubblicata nel 1616, il che ha fatto pensare che non sia di mano di Shakespeare. Se però, suggerisce qualcuno, si retrodatasse la composizione, si potrebbe pensare che Shakespeare l’abbia scritta quand’ancora egli faceva parte della compagnia d’attori protetta dal re stesso, i King’s Men, gli Uomini del Re. Nessuna certezza può esservi né per l’una né per l’altra ipotesi. La quartina era molto diffusa perché era inscritta nel margine inferiore sinistro di un ritratto di Giacomo I che circolò molto. L’epitaffio funebre che si legge sulla lapide della tomba di Shakespeare a Stratford, nella chiesa di Holy Trinity pare sia invero stato scritto da Shakespeare stesso, il quale, secondo alcune testimonianze, avrebbe chiesto di vederlo inciso sulla propria tomba. L’epitaffio ha in sé il senso del definitivo. Esso ha la funzione di fissare, in modo ultimo, il ricordo di una persona defunta; e lo fa in forma epigrammatica. Nella brevità dev’essere racchiusa l’essenza di una vita intera. Come nell’epitaffio di Ero in Molto rumore per nulla (V, 3, 3-11; mia traduzione): Alla morte portata da calunniose lingue fu l’Ero che giace qui: Morte, a mercede dei torti subiti, le dona imperitura fama. La vita che con vergogna morì nella morte ora vive con gloriosa fama. Resta qui appeso su questa tomba e loda tu lei quand’io sono muto. Suona, musica, adesso, e canta l’inno tuo solenne.
Compito dell’epitaffio è rendere eterna la memoria, imperitura la fama. Ironicamente, però, per parlare di questi epitaffi attribuiti a Shake2503
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POESIE OCCASIONALI
speare, non si è certi quali membri della famiglia Stanley essi ricordino… Forse Sir Thomas Stanley, morto nel 1576, e suo figlio Edward, il quale morì nel 1632; il che, se si accetta la paternità di Shakespeare, implica che l’epitaffio sia stato scritto ben prima della morte di Edward Stanley, forse in concomitanza con la dipartita del padre e al momento della costruzione del monumento funebre. È un’ironia che questi due epitaffi condividono con il sonetto 55: il poeta afferma che il giovane amato vivrà, sinché durerà il tempo, nei propri versi: ma chi è il giovane che il verso di Shakespeare rende e renderà immortale? E la fama promessa perdura invero? Chi ricorda più questi Stanley? Chi ne citerebbe il nome se i loro epitaffi non fossero stati detti di mano di Shakespeare? Vi è, nei versi qui raccolti, la fragilità delle cose terrene, che è la fragilità delle costruzioni edificate dagli uomini, fossero pure fatte con i materiali più resistenti e duraturi, come Shakespeare ricorda nel sonetto 55; e John Combe sarà ricordato, sì, ma solo sinché sarà in vita un povero da lui beneficiato… Come testimoniano le opere che sono andate perdute nel corso dei millenni, neppure la parola scritta può avere la presunzione di durare. Lo stesso monumento funebre degli Stanley non è più nella posizione in cui in origine era stato posto; esso fu spostato in un’altra parte della chiesa, più defilata, per lasciar spazio a un altro sepolcro. Se, anziché spostarlo, il monumento fosse stato distrutto, non leggeremmo oggi i due epitaffi… È la fragilità della vita dell’uomo e delle sue opere, siano esse in muratura o stampate su carta; è la fragilità che Shakespeare pare voler scongiurare nell’epitaffio che si legge sulla sua tomba. Le parole rivolte a chi passi dinanzi al luogo dove egli giace chiedono simpatia e comprensione, promettono maledizione a chi tocchi le ossa e benedizioni a chi si asterrà dal farlo. Si legge, in questi versi, il timore che qualcuno possa toccare le ossa di chi giace nella tomba, una paura pare comune, quella di sapere che esse potrebbero essere tolte e gettate in una fossa comune, oppure poste in un ossario, senza alcun segno di riconoscimento; il che è una cancellazione che il poeta voleva evitare. Un epitaffio in prima persona suona come l’ultimo appello di chi è morto, la voce estrema di chi sa che non avrà più voce, cui mancherà la possibilità di dire altre parole. L’uomo è polvere – ma è una polvere che, essendo stata uomo, va rispettata. LUCA MANINI 2504
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NOTA INTRODUTTIVA
R IFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Letteratura critica Edizioni commentate: Edizioni commentate: C. BURROW (cur.), The Complete Sonnets and Poems, Oxford, Oxford U. P., 2002; J. ROE (cur.), The Poems, Cambridge, Cambridge U. P., 2006; K. DUNCAN-JONES e H. R. WOUDHYSEN (cur.), Shakespeare’s Poems, London, The Arden Shakespeare, 2007; R. LYNE e C. SHRANK (cur.), The Complete Poems of Shakespeare, London-New York, Routledge, 2018. Traduzione italiana di Roberto Sanesi, in L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2000. A. BRADY, English Funeral Elegy in the Seventeenth Century: Laws in Mournig, Palgrave, Basingstoke, 2006; P. HAYLAND, An Introduction to Shakespeare’s Poems, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2003; J. KERRIGAN, “Shakespeare, Elegy, and Epitaph: 1557-1640”, in J. F. S. POST, The Oxford Handbook of Shakespeare’s Poetry, Oxford, Oxford U. P., 2013, pp. 225-244; M. SCHOENFELD, The Cambridge Introduction to Shakespeare’s Poetry, Cambridge U. P., Cambridge 2010. NOTA. Nell’edizione Oxford del 2017, i curatori hanno aggiunto, tra le opere attribuite a Shakespeare, la canzone “To the Queene”.
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A SONG 1 Shall I die? Shall I fly Lovers’ baits and deceits, sorrow breeding? Shall I tend? Shall I send? Shall I sue, and not rue my proceeding? In all duty her beauty Binds me her servant for ever. If she scorn, I mourn, I retire to despair, joining never.
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2 Yet I must vent my lust And explain inward pain by my love conceiving. If she smiles, she exiles All my moan; if she frown, all my hopes deceiving — Suspicious doubt, O keep out, For thou art my tormentor. Fie away, pack away; I will love, for hope bids me venture.
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UNA CANZONE 1 Morrò? Fuggirò degli amanti le esche e gli inganni il cui frutto è la pena? Attenderò? Cercherò?1 M’esporrò2 e del mio agire non mi pentirò? La sua beltà, ch’io servo, a lei per sempre, schiavo, mi lega. S’ella mi sprezza, io mi dolgo disperato e m’allontano e a lei non m’accompagno3. 2 Il mio desidero dichiarare devo, però, e spiegare l’intima pena che nutrisce il mio amore. Se sorride, bandisce ogni mio lagno; se s’acciglia, delusa è ogni speranza. Tu, sospettoso dubbio4, stai lontano, perché mi sei tormento. Vattene, svanisci: io amerò, perché: ‘Osa!’ m’intima la speranza. 2507
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VARIOUS POEMS, A SONG
3 ’Twere abuse to accuse My fair love, ere I prove her affection. Therefore try! Her reply Gives thee joy — or annoy, or affliction. Yet howe’er, I will bear Her pleasure with patience, for beauty Sure will not seem to blot Her deserts, wronging him doth her duty.
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4 In a dream it did seem — But alas, dreams do pass as do shadows — I did walk, I did talk With my love, with my dove, through fair meadows. Still we passed till at last We sat to repose us for pleasure. Being set, lips met, Arms twined, and did bind my heart’s treasure.
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POESIE OCCASIONALI, UNA CANZONE
3 Errore sarebbe accusare la bella che amo, prima ch’io l’affetto ne provi. Tenta, allora! La sua risposta gioia ti darà, o forse duolo, forse afflizione. Qual che si sia, con pazienza sopporterò il suo volere: ché la beltà ai suoi meriti non è macchia; esser scostante è suo dovere5. 4 Mi parve, in un sogno… (ahi, che passano i sogni come passa ogni ombra…) di camminare col mio amore, di parlare con la colomba mia per verdi prati. Sempre andammo sinché, per riposo e piacere, sedemmo e, seduti, incontro di labbra, braccia intrecciate: ah, io strinsi chi è tesoro al mio cuore.
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VARIOUS POEMS, A SONG
5 Gentle wind sport did find Wantonly to make fly her gold tresses. As they shook I did look, But her fair did impair all my senses. As amazed, I gazed On more than a mortal complexion. You that love can prove Such force in beauty’s inflection.
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6 Next her hair, forehead fair, Smooth and high; neat doth lie, without wrinkle, Her fair brows; under those, Star-like eyes win love’s prize when they twinkle. In her cheeks who seeks Shall find there displayed beauty’s banner; O admiring desiring Breeds, as I look still upon her.
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POESIE OCCASIONALI, UNA CANZONE
5 Si piaceva la brezza capricciosa e gentile di muovere i suoi capelli d’oro. Muoversi li guardavo e la sua beltà i sensi mi rapiva. Sopraffatto miravo una carnagione più che umana. Voi che amate sapete la forza che è nell’inflessione6 della bellezza. 6 Presso ai capelli, la bella fronte, liscia e alta; e, accanto, senza grinze, le belle sopracciglia, sotto cui occhi stellanti vincono il premio d’amore quando rilucono. Chi lo cerca, sulle sue guance troverà lo stendardo di beltà; e mentre fisso la guardo, oh, come il mirarla nutre il desiderio!
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VARIOUS POEMS, A SONG
7 Thin lips red, fancy’s fed With all sweets when he meets, and is granted There to trade, and is made Happy, sure, to endure still undaunted. Pretty chin doth win Of all their culled commendations; Fairest neck, no speck; All her parts merit high admirations.
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8 Pretty bare, past compare, Parts those plots which besots still asunder. It is meet naught but sweet Should come near that so rare ’tis a wonder. No mis-shape, no scape Inferior to nature’s perfection; No blot, no spot: She’s beauty’s queen in election.
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POESIE OCCASIONALI, UNA CANZONE
7 Rosse labbra sottili… si nutre la fantasia d’ogni dolcezza che incontra e le è concesso là d’indugiare ed è resa felice, e sicura di continuare, senza mai sconfortarsi. Vince il mento grazioso ciò che si dice trascelto elogio; bello il collo senza pecche: ogni sua parte chiama a sé ammirazione. 8 Oh, parti scoperte e incomparabili, luoghi che stordiscono nella loro lontananza7. È giusto che dolcezza soltanto s’accosti a un prodigio sì raro. Nulla è deforme, nulla è in difetto, o inferiore a ciò che in natura è perfetto; non pecche, non nei: di beltà è lei l’eletta regina.
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VARIOUS POEMS, UPON A PAIR OF GLOVES
9 Whilst I dreamt, I, exempt From all care, seemed to share pleasure’s plenty; But awake, care take — For I find to my mind pleasures scanty. Therefore I will try To compass my heart’s chief contenting. To delay, some say, In such a case causeth repenting.
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‘UPON A PAIR OF GLOVES THAT MASTER SENT TO HIS MISTRESS’ The gift is small, The will is all: Alexander Aspinall
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POESIE OCCASIONALI, SOPRA UN PAIO DI GUANTI
9 Mentre sognavo, libero io d’ogni pensiero, di condividere mi parve la pienezza del piacere; ma poi, desto, ecco la pena, ché nella mente provai, del piacere la penuria. Ecco che allora cercherò di raggiunger la piena gioia del cuore. Rimandare, si dice, è in questi casi causa di rimpianto.
SOPRA UN PAIO DI GUANTI CHE L’AMANTE MANDÒ ALL’AMATA Piccolo è il dono, grande è il pensiero8: Alexander Aspinall9.
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VARIOUS POEMS, ON BEN JONSON
VERSES UPON THE STANLEY TOMB AT TONG Written upon the east end of the tomb Ask who lies here, but do not weep. He is not dead; he doth but sleep. This stony register is for his bones; His fame is more perpetual than these stones, And his own goodness, with himself being gone, Shall live when earthly monument is none.
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Written upon the West end thereof Not monumental stone preserves our fame, Nor sky-aspiring pyramids our name. The memory of him for whom this stands Shall outlive marble and defacers’ hands. When all to time’s consumption shall be given, Stanley for whom this stands shall stand in heaven.
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ON BEN JONSON Master Ben Jonson and Master William Shakespeare being merry at a tavern, Master Jonson having begun this for his epitaph: Here lies Ben Jonson That was once one, he gives it to Master Shakespeare to make up who presently writes: Who while he lived was a slow thing, And now, being dead, is nothing.
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POESIE OCCASIONALI, SU BEN JONSON
VERSI SULLA TOMBA DEGLI STANLEY A TONG10 Scritti sulla parete orientale della tomba Chiedete chi giace qui, ma non piangete. Egli morto non è, no: egli dorme. Questa pietra serba la scritta delle sole ossa: più perpetua di queste pietre è la sua fama; e, pur dipartita con lui, la sua bontà ancora vivrà quando un nulla sarà questo terreno monumento. Scritti sulla parete occidentale della tomba Non preservano pietre e monumenti la nostra fama, né il nostro nome le piramidi che aspirano al cielo. La memoria di colui per cui s’erge questa tomba più del marmo vivrà, più degli atti di chi distrugge. Quando tutto sarà preda del tempo che consuma, Stanley, per cui s’erge questa tomba, nel Cielo s’ergerà.
SU BEN JONSON11 I signori Ben Jonson e William Shakespeare sedevano allegri in una taverna; il signor Jonson, dopo aver iniziato a scrivere il proprio epitaffio: Qui giace Ben Jonson, che un tempo fu un uomo, lo porse al signor Shakespeare affinché lo completasse, e questi scrisse: Che mentre in vita fu, fu un uomo lento12 e che ora, morto, non è nulla più.
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VARIOUS POEMS, ANOTHER EPITAPH ON JOHN COMBE
AN EPITAPH ON ELIAS JAMES When God was pleased, the world unwilling yet, Elias James to nature paid his debt, And here reposeth. As he lived, he died, The saying strongly in him verified: ‘Such life, such death’. Then, a known truth to tell, He lived a godly life, and died as well.
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AN EXTEMPORARY EPITAPH ON JOHN COMBE, A NOTED USURER Ten in the hundred here lies engraved; A hundred to ten his soul is not saved. If anyone ask who lies in this tomb, ‘O ho!’ quoth the devil, ‘’tis my John-a-Combe.’
ANOTHER EPITAPH ON JOHN COMBE He being dead, and making the poor his heirs, William Shakespeare after writes this for his epitaph: Howe’er he livèd judge not, John Combe shall never be forgot While poor hath memory, for he did gather To make the poor his issue; he, their father, As record of his tilth and seed Did crown him in his latter deed.
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POESIE OCCASIONALI, UN ALTRO EPITAFFIO PER JOHN COMBE
EPITAFFIO PER ELIAS JAMES13 Quando a Dio piacque, ma ancor nolente il mondo, alla natura pagò il suo debito Elias James, che qui riposa. Come visse, così morì, il detto confermando appieno ‘Come si vive, così si muore.’ Per dir la verità, visse devota vita e devotamente morì.
EPITAFFIO ESTEMPORANEO PER JOHN COMBE, UN NOTO USURAIO14 Sepolto giace qui il signor dieci per cento15; e, cento a dieci, salva non ha l’anima! Se qualcuno chiede chi giace in questa tomba, ‘Oh’ dice il diavolo ‘ma è il mio John-a-Combe!’
UN ALTRO EPITAFFIO PER JOHN COMBE Essendo egli morto e avendo fatto eredi dei suoi beni i poveri, William Shakespeare scrive per lui questo epitaffio. Non giudicate lui per come visse: John Combe scordato mai sarà sinché un povero avrà memoria, perché egli ammassò per far suoi figli i poveri16; egli, loro padre, per ricordar la fatica e la semina, incoronò sé stesso con gli ultimi suoi atti.
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VARIOUS POEMS, EPITAPH ON HIMSELF
UPON THE KING At the foot of the effigy of King James I, before his Works (1616) Crowns have their compass; length of days, their date; Triumphs, their tombs; felicity, her fate. Of more than earth can earth make none partaker, But knowledge makes the king most like his maker.
EPITAPH ON HIMSELF Good friend, for Jesus’ sake forbear To dig the dust enclosed here. Blessed be the man that spares these stones, And cursed be he that moves my bones.
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POESIE OCCASIONALI, EPITAFFIO PER SE STESSO
SUL RE Sotto l’effigie di Re Giacomo I, sul frontespizio delle sue Opere (1616) Le corone hanno confini, un limite ha la durata dei giorni; i trionfi una tomba, la gioia il suo destino… A nessuno la terra dà se non altra terra; rende però la sapienza il re pari a Lui che lo creò.
EPITAFFIO PER SE STESSO17 Non volere, amico caro, per amore di Cristo, trarre dalla fossa la polvere qui chiusa. Benedetto sia l’uomo che queste pietre risparmia; maledetto colui che smuove le mie ossa.
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Il mercante di Venezia Titolo 1
L’ed. Oxford sceglie di dare al dramma un doppio titolo, combinando quello della prima inserzione nel registro delle opere autorizzate (Stationers’ Register) il 22 luglio 1598, The Merchant of Venice or Otherwise Called the Jew of Venice, con quello della prima pubblicazione del 1600, The Comical History of the Merchant of Venice. Personaggi
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Molte le congetture sull’origine di questo nome: D. Lasocki e R. Prior, in The Bassanos: Venetian Musicians and Instrument Makers in England, 1531-1665, Aldershot, Macmillan, 1995, ipotizzano una derivazione dal nome della famiglia di questi celebri musicisti italiani. Aggiunge interesse la congettura (mai provata) che i Bassano fossero ebrei, e che in Emilia, figlia minore di Battista Bassano e nel 1594 amante del Ciambellano Lord Hunsdon, sia da individuare la Dark Lady dei “Sonetti” shakespeariani.
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Nelle varie edizioni originali del dramma (Q1, Q2 e F) alcuni personaggi di contorno compaiono con nomi abbreviati e variabili: es. “Salarino”, “Salerino”, “Saler.”, “Sal.” ecc., e “Solanio”, “Salanio”, “Sol.”
ecc. L’ed. Oxford 2005, a cura di William Montgomery, segue l’impostazione data da John Dover Wilson nel 1926, considerando Salerino e Salerio come un personaggio unico, e identificandolo con il “Salerio” che parla in III, 2, 218 sgg. 4
Più problematici ancora i nomi di Lancetta e Gobbo. Il primo ricorre come “Launcelot”, “Launcelet” ecc., ed è anche accreditato come “Lancelet”, nome di uno strumento usato in chirurgia per tagliare e salassare, un bisturi (v. il moderno lancet), che potrebbe indicare la funzione demistificante che ha il personaggio. Nella nostra edizione seguiamo quest’ultima ipotesi, seguendo il giusto rilievo di Rory Loughnane nell’ed. New Oxford Shakespeare, I, p. 929, che considera “assurda ogni allusione al cavaliere eroe della leggenda arturiana in questo contesto”. 5
“Gobbo” viene interpretato da John Dover Wilson come una velatura di “Giobbe” (inglese Job). In Q, il passo in II, 2, 3-5 inizia “Iobbe, Launcelet Jobbe”, mentre F ha “Iobbe”, e F3 “Iob”, facendo supporre che il personaggio alluda alla figura biblica, con riferimento alle sofferenze fisiche imposte da Dio per provarne la fede (tra l’altro, la quasi cecità che Gobbo o Giobbe denuncia in II, 2, 32-33). Si ricordi che un padre e un figlio di nome “Gobbo” compaiono in un documento cinquecentesco
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della repubblica di Venezia, come guardiani del Ghetto: cfr. B. Pullan nella Nota introduttiva, nei Riferimenti bibliografici e anche qui sotto, II, 2, 1 sgg.; una ipotesi alternativa è proposta da M. M. Mahood, per cui il nome deriverebbe dal famoso Gobbo di Rialto, una scultura di Pietro Grazioli da Salò che sostiene un piccolo palco dal quale venivano gridati bandi della Repubblica, e che è tuttora visibile in Campo San Giacometto.
cato sul tema un poemetto intitolato appunto Nosce Teipsum. 11
Argosy: un tipo di nave usato nel Cinquecento per carichi ingenti. Il nome, dall’italiano ragusea, deriva dalla città di Ragusa in Dalmazia. I mercantili di Antonio sono anche defi niti col termine ship (es. I, 3, 180): questa traduzione distingue i due termini secondo la loro rilevanza per la comprensione del discorso.
Atto I, sc. 1
12 Il pageant era un corteo che, per le vie o per i corsi d’acqua della città, segnava varie celebrazioni e spettacoli di dimostrazione ed affermazione dei poteri della comunità, insomma una vera e propria istituzione civica, molto curata e colorata.
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Si rende così il termine “magnifico”, ora desueto, con il quale si designavano i nobili della città.
La scena: assente una precisa indicazione nei testi originali, viene variamente indicata come “una strada” o “un molo a Venezia”.
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All’enigmatica battuta di Antonio risponderà una simile ammissione da parte di Porzia, in I, 2, 1-2, ciò che fa pensare, più che alla caratterizzazione dei personaggi, alla centralità al sentimento della tristezza in tutto il dramma, esso stesso espressione di interrogativi e incertezze di fondo sulle relazioni di ciascuno con il prossimo. All’opposto, un dialogo successivo (I, 1, 119 sgg.) può far pensare al turbamento di Antonio all’idea che Bassanio lo abbandoni per il progettato “pellegrinaggio segreto” alla volta di Porzia; una terza spiegazione si ricava dal prossimo scambio fra Salerio e Solanio (I, 1, 8 sgg.): a gravare su Antonio sarebbe la preoccupazione per gli ingenti interessi affidati alle sue navi, in rotta per mari pericolosi.
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Want-wit: parola composita, corrispondente a “privo di intelligenza”, “tardo di comprendonio”, “ottuso”. 10
La conoscenza di sé è un leitmotiv della fi losofia rinascimentale, molto presente nella drammaturgia shakespeariana: cfr. soprattutto i Saggi di Montaigne (1580). Nel 1599 Sir John Davies avrebbe pubbli-
Andrew: le navi del periodo avevano spesso nomi di persone (o di santi, se preceduti dal suffisso). Nell’edizione Arden del 1955, 19713, John Russell Brown menziona “il San Andrés, un galeone spagnolo catturato nel porto di Cadice” da una flotta corsara inglese condotta dal Conte di Essex. L’evento, nel 1596, suscitò grande emozione nel pubblico, e servirebbe anche a datare il dramma shakespeariano.
14 Si intrecciano in queste battute alcuni proverbi correnti ai tempi di Shakespeare. 15
Nella mitologia latina, il dio Giano era dotato di due facce, una che guarda al passato e una che guarda al futuro. Qui diventa segnale della duplicità di tristezza e allegria.
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Ossimoro: la vana allegria di un pappagallo associata al tono malinconico della zampogna.
17 Nell’Iliade e nell’Odissea Nestore, re di Pilo, è celebrato come il più vecchio e più saggio dei greci impegnati nella guerra di Troia. 18 Il mondo come teatro è un luogo comune shakespeariano. Cfr., più estesamente e significativamente, anche Come vi piace, II, 7, 136-140; e Enrico V, Prologo. 19
Nella medicina galenica il fegato era
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considerato l’organo dove si forma il sangue, e le passioni con esso. Cfr. anche sotto, III, 2, 86. 20 L’alabastro era usato come materiale per le statue mortuarie di personaggi importanti.
quasi omofonia con person, fra la riproduzione delle sostanze fi nanziarie cui provvede l’interesse, cioè l’usura, e la riproduzione umana cui provvede il sesso: l’analogia tornerà a farsi notare soprattutto nell’episodio degli scrigni (II, 1; II, 7; II, 9 e III, 2).
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La frase è gergale, quindi poco connotata sia in un senso di rispetto sia in un senso familiare; tuttavia, è da registrare che qui il testo passa dal “voi” (you) al “tu” (thou, complemento thee) instaurando un rapporto di maggiore familiarità. Qui e dopo, i rapporti fra Antonio, Bassanio e Graziano sembrano attestarsi su questo livello di franca amicizia, anche se spesso ritorneranno al più formale you – cosa che noi trascureremo. 22
Si individua qui la presenza di proverbi popolari, ispirati da testi biblici. Cfr. Esodo, 11, 7: “Contro gli Israeliti neppure un cane muoverà la lingua, né contro uomini, né contro bestie”. Tutte le cit. bibliche (questa adattata) dalla Bibbia Tob, Leumann (Torino), Elledici, 1992. 23 Cfr. Proverbi, 17, 18: “Anche lo stolto, se tace passa per saggio, e se tiene chiuse le labbra, per intelligente”. 24 Cfr. Matteo, 5, 22: “Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello ‘stupido’ sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli dice ‘pazzo’ sarà sottoposto al fuoco della Geenna”. 25 La traduzione vuol portare in superficie i sottintesi mercantili di questi scambi: l’ampia semantica del silenzio consente uno strambo parallelo fra una prelibatezza culinaria, la lingua di bue affumicata, e una zitella improponibile sul mercato matrimoniale (ambedue ormai impossibilitate a “parlare”). 26
Il termine purse nasconde un doppio senso, che si riverbera per tutto il dramma, comprendente sia la “borsa” che contiene denari, sia lo “scroto” dei genitali maschili: si instaura così un legame, accentuato dalla
Il nome della residenza della “ricca ereditiera” è ricavato dal Pecorone di ser Giovanni Fiorentino; ma John Drakakis, nell’ed. Arden del dramma (2010), nota che in italiano Bel e Monte possono alludere a “un bel monte di quattrini”. 28
Il nome di Porzia sarebbe stato attribuito, tre anni dopo il Mercante, alla moglie di Marco Giugno Bruto nella tragedia shakespeariana del Giulio Cesare.
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Si riferisce al mitico viaggio degli Argonauti, un manipolo di eroi greci capitanati da Giasone. Per conquistare il Vello dorato custodito dal re Eeta della Colchide attraversarono il Mar Nero sulla nave Argo fi n sulla costa oggi georgiana. Giasone riuscì nell’impresa grazie all’aiuto della maga Medea, figlia di Eeta, facendone la sua sposa. Medea sarebbe poi stata protagonista della tragedia trattata da numerosissimi autori fra cui Euripide, Ovidio e Pasolini.
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La traduzione cerca di seguire le insistenti implicazioni economiche presenti anche nel discorso dei sentimenti. Nella frase ipotetica, si intende che l’avv. but modifichi il sintagma one of them piuttosto che the means, di significato problematico. Atto I, sc. 2
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La scena: la casa di Porzia a Belmonte.
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Prosecuzione del tema implicito avviato da Antonio all’inizio: la stanchezza e la tristezza che gravano come un’ombra sui protagonisti (ma che solo Porzia riesce a spiegare). Dal punto di vista della lingua, Porzia avvia qui una serie di battute dal forte sapore proverbiale, cui risponde Nerissa amplificando.
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33 Nella simbologia animale del tempo, la lepre rappresentava le forze scatenate della natura. È proverbiale l’espressione mad as a March hare.
dea Diana. Così era diventata talmente decrepita e minuscola da essere contenuta in una gabbietta – un’ampolla secondo altri – nella quale, consumato del tutto il corpo, sarebbe rimasta solo la sua voce. Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XIV, 100-153 e Virgilio, Ecloga IV, in cui la profezia della Sibilla è connessa con il ritorno di Astrea, dea delle giustizia – un motivo che riguarderà Porzia alla fi ne del dramma. Nel Novecento T. S. Eliot pone il lamento della Sibilla – “voglio morire”, ricavato dal Satyricon di Petronio – a epigrafe della Terra desolata (1922), per significare il desiderio di morte proprio della decadenza moderna.
34 Il “Conte Palatino”, Comes Palatii, era una carica prestigiosa nelle corti medievali, spesso con funzioni giudiziarie. 35
Allusione a Eraclito di Efeso, fi losofo detto “l’oscuro” per lo stile impervio, e “del pianto” per il pessimismo dimostrato fi n da giovane, e perciò opposto a Democrito, il “fi losofo del riso”.
36 Intraducibile omofonia con il bone (in his mouth) di I, 2, 51, che associa il nome francese all’osso in bocca al teschio. 37 Dumb show: la pantomima era uno spettacolo mimato, molto popolare, sia rappresentato a sé come azione unica, sia come parte di un dramma parlato. Un celebre esempio si ha in Amleto, III, 2, 129130, quando gli attori istruiti dal principe mimano la scena-clou dell’uccisione del padre, portando alla luce una verità fi nora solo sospettata. 38
Il riferimento è alla tradizionale alleanza di Francia e Scozia in funzione anti inglese. 39 Si traduce uno scrigno invece che lo scrigno dell’originale, perché di scrigni “sbagliati” ce ne sono due (i commentatori sono divisi fra l’ipotesi di un errore di trascrizione dal copione originario al testo a stampa, o che nella sua prima formulazione il dramma prevedesse due scrigni invece di tre). Ciò fa comunque supporre che Porzia conosca già il contenuto degli scrigni, e manipoli il risultato della “lotteria” con la destrezza che mostrerà anche nella scena del giudizio (IV, 1). 40
Nella mitologia greca e latina la Sibilla Cumana era una profetessa e sacerdotessa di Apollo, che aveva ricevuto dal dio l’immortalità, ma non la giovinezza – questa le sarebbe stata donata se avesse rinunciato alla propria verginità, cosa che lei non volle fare, ottemperando al precetto della
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La scena: una strada di Venezia.
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La zona del mercato, in cui all’inizio del Cinquecento era stato costruito il palazzo dei Camerlenghi, sede delle magistrature mercantili. ll ponte venne inaugurato nel 1591.
43
Cfr. Matteo, 8, 30-34, in cui i demoni che agitavano due indemoniati vennero ricacciati da Cristo in una mandria di porci, che si buttarono in mare. In seguito a questo episodio i cittadini di Gadara pregarono Cristo di allontanarsi dalla città.
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Shylock traccia la divisione, spesso praticata dalle comunità ebraiche nell’Occidente cristiano, fra spazio pubblico riservato agli affari, e spazio privato riservato al nutrimento del corpo e della coscienza personale.
45 “Pubblicani” erano ebrei che raccoglievano le tasse sotto la dominazione romana, e come tali odiati dai loro confratelli. (Un pubblicano era Matteo, l’evangelista). 46
Upon the hip: lett. “sull’anca”, posizione di svantaggio nella lotta.
47 Shylock sembra qui alludere ad un uso speciale della parola, come se i cristiani la usassero con ipocrisia, per evitare il più impegnativo e moralmente riprovevo-
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le “usura”. Tutto il dialogo testimonia un sottile gioco sulla scelta e persino sulla pronuncia delle parole, implicando valutazioni diverse del loro significato e peso morale – prudente e sfumata quella dei cristiani, più risoluta e consapevole quella dell’ebreo: forse, una accurata riflessione storica. Si vedano anche le sottili distinzioni introdotte da Martin Lutero nel suo trattato Von Kauffshandlung und Wucher (“Della mercatura e dell’usura”), 1524.
indiano malato che, prossimo alla morte, chiedeva di essere “marchiato come uno degli agnelli di Cristo”. Cfr. Historical Collections of the Indians in New England (1674), trad. it. Gli indiani convertiti della Nuova Inghilterra, a cura di M. Salari, Perugia, Morlacchi, 2014, pp. 126-127.
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Excess, in quanto “parte eccedente il capitale”, è in defi nitiva “interesse” e quindi parte delle pratiche di “usura” (così in OED), ma qui può implicare la riluttanza di Antonio a pronunciare la parola interest quando sia riferita a sé stesso (mentre la pronuncia con decisione quando deve gettarla in faccia a Shylock: cfr. I, 3, 70).
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Genesi, 27-29: Rebecca, moglie di Isacco, figlio di Abramo, con un sotterfugio riuscì a sostituire il secondo figlio Giacobbe nella benedizione del vecchio Isacco, e con essa nella successione a capo della tribù di Israele. Giacobbe fu dunque a capo della terza generazione del suo popolo. Poi Isacco lo mandò presso suo zio Labano, e durante il tragitto Giacobbe fece un sogno nel quale Dio prometteva a lui e alla sua discendenza di assegnargli tutta la terra e tutte le nazioni.
50
Il lungo discorso con cui Shylock paragona il mondo della fi nanza alle pratiche di allevamento del racconto biblico è a volte interpretato come una digressione tesa a spiazzare Antonio (cfr. D. Margolies 2012, p. 90), altre volte come un più impegnato tentativo di convincere Antonio che le Sacre Scritture ammettono, attraverso la metafora della procreazione animale (ricavata dalla Genesi, 29-30), la riproduzione della ricchezza fi nanziaria, se onesta. Esistono memorie di un ampio uso metaforico dell’episodio, per esempio da parte dei missionari puritani in America nell’opera di conversione degli indiani: Daniel Gookin racconta di un bambino
51
Antonio si riferisce alla legge ebraica: cfr. Deuteronomio, 23, 19-20: “non presterai a usura al tuo fratello… a un estraneo puoi prestare a usura”; cfr. M. Shell 1982, pp. 51 sgg.
52 Kind: la traduzione letterale sarebbe “è natura quella che offro!”. Nel testo si riaffaccia così l’eco del deed of kind, l’accoppiamento degli animali, e quindi di un possibile raggiro. 53 Single bond: è la simplex obligatio, documento contenente la somma, il luogo e la data in cui deve essere corrisposta una somma di denaro. 54
Tutto lo scambio fra i cristiani e l’ebreo in questa scena fi nale del primo atto è giocato su aspetti paradossali e enantiosemici del linguaggio, come se ciò che viene detto contenesse anche il proprio opposto. Atto II, sc. 1
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Moor: era il nome generico per i popoli dell’Africa e del Vicino Oriente; il colore della pelle designa il personaggio come un arabo.
56 La scena: sala dei ricevimenti nel palazzo di Belmonte. 57 Nella mitologia greca e latina Febo era un epiteto di Apollo, dalla tarda antichità dio del sole. Si credeva che generasse il colore bruno o nero della pelle. 58 Thee: che qui Marocco usi il “tu” familiare piuttosto che il formale you, comunque mescolando i due modi, fa pensare alla volontà di “rompere il ghiaccio” con un atteggiamento confidenziale, ma anche di paternalistica superiorità – che Porzia si affretta a rintuzzare.
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59 Con fair Porzia sviluppa due tracciati semantici, uno esplicito che si adatta ai voleri del padre: le chances di Morocco sono equivalenti a quelle degli altri pretendenti; e uno sottointeso, che veicola il desiderio proprio e rovescia il primo: le chances di Morocco sono equivalenti a quelle di chi è già fuori gioco, cioè nulle.
chiesa di Belmonte con il termine “tempio”, il luogo di culto pagano (cfr. anche dopo, II, 7, 13): mostrando comprensione per la suscettibilità di chi non è cristiano, in realtà ancora una volta lo esclude dalla “lotteria”.
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Sophy: dall’arabo sàfawi, nome ereditario della dinastia che regnò in Persia dal 1500 alla metà del 1700. Con il nome di Sofì o Sufì vennero conosciuti i Safavidi dall’Occidente nella prima modernità. 61
Il soggetto della frase è stato variamente interpretato: potrebbe essere la scimitarra, impiegata da Marocco nelle conquiste di Solimano, o il principe persiano, vincitore delle tre campagne contro Solimano. Risolviamo pensando alla prosopopea di Marocco, incline ad attribuire gesta eroiche a sé piuttosto che ad altri.
62
Suleiman il Magnifico portò l’impero ottomano alla sua massima espansione. Dopo le conquiste nell’Europa centrale condusse tre campagne contro l’impero persiano in Medio Oriente, prendendo Baghdad nel 1534.
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Lica era un servo di Ercole o Eracle, cui Deianira, moglie del semidio, affidò la camicia del centauro Nesso pensando che fosse un fi ltro d’amore, mentre si trattava invece di un micidiale strumento di morte. Indossatala, Ercole impazzì per il dolore, e scagliò Lica nel mare. La storia di Ercole ha attinenza con l’episodio che si sta commentando: anche Deianira era corteggiata da molti pretendenti, che si dileguarono alla comparsa di Ercole – tutti salvo il mostruoso Acheloo che Ercole sconfisse. Anche il tema della morte per amore, accennato da Marocco, è presente nel mito.
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L’Alcide è Ercole stesso, così chiamato dal nome del nonno Alceo. Il riferimento è alla tragedia Hercules Furens di Seneca, in cui l’eroe è preda della follia.
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Un’altra ironia di Porzia, che indica la
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Atto II, sc. 2 66
La scena: davanti alla casa di Shylock. Nelle prime rappresentazioni la parte di Lancetta era recitata da Will Kemp, clown molto popolare, spesso richiesto a gran voce dal pubblico. 67
La psicomachia, cioè la contesa fra il diavolo e l’angelo, ovvero fra i principi del male e del bene, era un luogo comune dell’iconografia e del teatro medievale europeo, e del morality play inglese. Qui è messa in scena come il dialogo interiore del personaggio, chiaramente improntato alle espressioni e alle cadenze della comicità popolare, ed ai luoghi comuni dell’antisemitismo del tempo (per le cui caratteristiche si veda la Nota introduttiva).
68 Come si è accennato (sopra, n. 5), un padre e un figlio di nome Gobbo, guardiani del Ghetto, esistevano davvero a Venezia nell’ultimo Cinquecento. Si veda l’articolo di Brian Pullan, nei Riferimenti bibliografici di questa edizione. Un’altra (meno realistica) possibilità è che Shakespeare abbia avuto notizia dell’esistenza del Gobbo di Rialto, piccola statua opera di Pietro Grazioli da Salò, che era ed è ancora visibile a Venezia in Campo San Giacometto. 69 Smack: si mantiene l’onomatopea inglese, oggi molto usata nel fumetto, che qui sta a significare l’incrocio di allusioni alimentari e sessuali che tutta la frase originale comporta. Per il lettore è comunque necessario immaginare il contesto di atti e vezzi teatrali che rende comicamente impagabile questa scena. 70 Lancetta approfitta di un’antica licenza del buffone, rivolgendosi direttamente al pubblico qui e sotto, II, 2, 36.
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NOTE
71 Sand-blind, gravel-blind: gradi varianti di cecità, il cui ultimo stadio sarebbe stoneblind. L’OED dà come prima ricorrenza di gravel-blind questa scena del Mercante.
della mano, o 2) che Lancetta abbia lui linee migliori. La traduzione mantiene la confusione comica.
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Master: allora e per molto tempo, un titolo di riguardo riservato ai gentiluomini. Oggi si può usare come segno di rispetto affettuosamente esagerato per un bambino.
73 Modo di dire per un pianto a dirotto, e più generalmente per un’accentuata confusione; ma sembra alludere anche alla potenza di Mosè nel separare le acque del Mar Rosso per propiziare l’Esodo (Esodo, 14, 21). 74
Ergo: in retorica la congiunzione che inizia la conclusione di un discorso. Il senso: se Gobbo pensa di interloquire con un gentiluomo, tale deve essere Lancetta stesso, che però continua a storpiare le convenzioni della conversazione dotta.
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Qui e poco sotto, una serie di proverbi.
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Lancetta mostra di averne abbastanza di quella conversazione rovesciando l’ordine del discorso e della cronologia e mescolando parole strampalate alla formula liturgica “com’era nel principio, e ora e sempre…” 77
Fill-horse è variazione di thill-horse, “cavallo da tiro”.
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Queste battute stanno a indicare che Gobbo sta accarezzando la testa, e non la barba del figlio. 79
To set up one’s rest significa “puntare” nel gioco d’azzardo.
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Solecismo per affection, “volontà” ecc.
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Dal proverbio The Grace of God is gear enough, “La grazia di Dio è proprietà sufficiente”, da San Paolo, 2 Corinzi, 12, 9: “Il Signore mi ha detto: ti basta la mia grazia”.
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Table: termine tecnico della chiromanzia; generico per “il palmo della mano”. La frase combina e storpia comicamente due possibili significati: 1) che la fortuna arrida a chi ha linee più promettenti sul palmo
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Wives: svolgiamo questa frase per renderla comprensibile: le linee del matrimonio, che indicano gli affari di cuore, sarebbero localizzate sotto il dito mignolo.
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Allude a qualche scaramuccia con una delle tante mogli… Atto II, sc. 3 85
La scena: La casa di Shylock.
Atto II, sc. 4 86
La scena: una strada di Venezia.
87
Si traduce nel linguaggio “alto” che Lancetta presume di adoperare, storpiandolo; ma anche alludendo, sotto traccia, a una fantasia erotica sull’unione degli innamorati. 88 Il masque costituiva l’evento fi nale di una celebrazione festiva, di origine popolare ma presto adottato dalle corti rinascimentali europee, in cui un gruppo mascherato entrava nella sala della festa per unirsi agli spettatori in un grande ballo generale. Nel teatro elisabettiano, particolarmente in quello di Shakespeare, era spesso utilizzato per richiamare un clima gioioso, assecondando così i gusti di un pubblico ancora legato ai riti comunitari. Leo Salingar colloca questo ed altri momenti strategici della commedia-tipo shakespeariana “al confi ne fra la vita quotidiana e il palcoscenico”, e li caratterizza come “giochi di società improvvisati, con precedenti nei riti stagionali” (1974, p. 9).
Atto II, sc. 5 89
La scena: casa di Shylock.
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Bidding: verbo di notevole ampiezza semantica, che Lancetta usa nel senso attivo di “chiamare”, volendo usarlo nel senso passivo di “essere chiamato”.
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NOTE
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91 Reproach: termine ancora comicamente incongruo. La forma corretta dovrebbe essere approach, “venuta” – donde, in traduzione, la storpiatura di “comparsa”.
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In una frase come al solito confusa, il buffone si riferisce a un lunedì di Pasqua (detto Lunedì Nero per il ricordo di una terribile gelata occorsa nel 1360) e al mercoledì delle Ceneri di un anno bisestile, che ricorre ogni quattro anni.
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Marocco è caratterizzato come pagano all’inizio, e anche alla fi ne del suo episodio. Cfr. II, 1, 44.
104
Il regno di Poseidone, o Nettuno, le cui onde sono come sputi verso il cielo.
105
Angel: moneta d’oro inglese del valore di dieci scellini, che raffigurava l’arcangelo Michele che uccide il drago.
106
Evidentemente un teschio, simbolo della morte.
Wry-neckedfife: uno strumento a fiato che si suonava piegando il collo, o che aveva l’imboccatura a collo di cigno, come alcuni moderni.
107
94
108
Cfr. Genesi, 32, 10.
95
Jewe’s eye: anche jew’s eye, in gergo una pietra preziosa. 96
Agar: la schiava egizia che diede ad Abramo un figlio, Ismaele, e venne esiliata con lui per la gelosia di Sara. Anche al figlio di Agar Dio promise che avrebbe dato origine a una “grande stirpe”. Cfr. Genesi, 21, 9-28.
97
Drones: i maschi delle api, la cui unica funzione è di impregnare la regina. To hive: far parte dell’alveare.
pp. 89-117
Atto II, sc. 8 La scena: una strada di Venezia.
Si tenga presente che qui Solanio sta parodiando Shylock.
109 Stones: “pietre” ma anche “testicoli”, significato certamente implicito nelle grida dei ragazzi. 110 Ancora il linguaggio biblico: cfr., nella Authorized Version, Revelation, XIV, 15: “the time is come for thee to reap; for the harvest of the earth is ripe”; e nell’Apocalisse, “è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura”.
Atto II, sc. 9 Atto II, sc. 6
111
98
112
La scena: il palazzo di Belmonte.
99
Chaff: chast in Q, chaffe in F = “pula, lolla”, l’involucro dei chicchi di grano o riso, preferito dall’ed. Oxford.
100
113
La scena: una strada (ma in certe produzioni un canale) di Venezia. Le colombe simboli di purezza (doves, qui ridotte a comuni “piccioni”), fanno parte da sempre all’iconologia di Venere. Nelle didascalie di regia, “in alto” e “in basso” indicano la posizione del personaggio sulla galleria che sovrasta la scena del teatro elisabettiano, o sulla scena stessa.
101
Light: aggettivo (“leggero”) ma con il possibile scambio di significato con il sostantivo “luce”. L’ambiguità viene sfruttata spesso (cfr. V, 1, 129).
Atto III, sc. 1 La scena: una strada di Venezia.
114
Narrow seas era il nome comune per lo Stretto della Manica. Goodwinks era un banco di sabbia di proverbiale pericolosità, sulla costa del Kent e davanti al porto di Sandwich, nel medioevo uno dei Cinque Ports.
115
Atto II, sc. 7
I grandi velieri medievali e rinascimentali, dotati di castelli a poppa, come le caracche genovesi.
102
116
La scena: il palazzo di Belmonte.
Si cerca di rendere il pesante disprez-
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pp. 119-131
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NOTE
zo rivolto dal cristiano alla sessualità del vecchio ebreo.
rente dell’Ebro dalle donne dei Ciconi, possedute dalle Erinni. Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 1-50.
117
Il rapporto cristiani/ebreo viene improvvisamente rovesciato: alla retorica del profitto Shylock oppone ora la retorica dell’umanità irredenta – e della reciprocità nell’agire male.
118
Cfr. nota a I, 1, 9.
Atto III, sc. 2 119
La scena: il palazzo di Belmonte.
120
La traduzione cerca di rendere lo stato di agitazione in cui si trova Porzia, molto evidente nel testo: la forma some month or two ripete l’one day or two da lei usata all’inizio.
121 Rack: la “ruota”, strumento di tortura che disarticolava il corpo del torturato per fargli confessare un delitto. Una notoria falsificazione della verità, oltre che negazione dei diritti dell’uomo (e Porzia ne è ben consapevole: cfr. sotto, III, 2, 32-33). 122
Inversione del proverbio confess and be hanged, riferito al rito prima dell’impiccagione, nella parlata comune prossimo a “sbrigati”.
123
Porzia assume le funzioni del regista di una scena solenne e in qualche modo arcana, come spesso in Shakespeare accompagnata dalla musica.
124 Anche questo un proverbio popolare. Cfr. Platone, Fedone, XXXV: “i cigni cantano quando muoiono, rallegrati dalla promessa di raggiungere il dio Apollo che è il loro protettore”; cfr. anche Ovidio, Metamorfosi, XII, 71-145: “Cigno era figlio di Nettuno, invulnerabile alle armi. Achille riuscì a ucciderlo soffocandolo, e il padre lo tramutò nell’uccello bianco”. Può interessare la recitazione che le parole di Porzia si prestino a un doppio senso erotico, con il parallelo fra lo svanire nella musica e il venir meno della potenza virile. 125 Un’eco sinistra della morte di Orfeo, le cui membra vennero disperse nella cor-
126
Ercole, nipote di Alceo, salvò Esione figlia del re troiano Laomedonte, che per punizione di Nettuno era destinata a essere preda di un mostro marino. L’impresa non fu compiuta per amore di Esione ma per un compenso di cavalli promesso dal re. Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 212-215.
127
Porzia immerge la scena nell’atmosfera del mito, rappresentandosi pronta come Esione al sacrificio (per volere del padre), con le ancelle che lamentano l’evento.
128 Si cerca di rendere la qualità neoplatonica di questa canzone: l’amore nasce in virtù dello sguardo, ma deperisce per il troppo nutrimento (indotto dalla musica, unita al pensiero). Cfr. Robert Burton, The Anatomy of Melancholy, III, 85-91, dove l’occhio e lo sguardo hanno funzioni primarie nell’innamoramento, ma se nutriti all’eccesso fanno deperire il sentimento. Nel corpus shakespeariano cfr. tra l’altro La dodicesima notte, I, 1, 1-3: “Se la musica nutre l’amore, continuate a suonare fi no a saziarmene, e che il desiderio, una volta sazio, si ammali e muoia”. 129
Sulla forte connotazione negativa che il termine ornament acquistò soprattutto nella letteratura religiosa del tempo si veda Russ McDonald, Shakespeare’s Late Style, Cambridge U. P., 2006, pp. 235-36.
130 Ieri come oggi, il fegato rappresentava l’organo del coraggio (cfr. sopra, I, 1, 81). Un fegato bianco significava scarsezza di sangue, e quindi di coraggio. 131
Gioco di parole sull’aggettivo light, “leggero”, espressivo sia della mancanza di peso corporeo sia alla mancanza di serietà di carattere. Più generalmente, il riferimento è qui all’uso dei cosmetici da parte della donna, che più se ne appesantisce, e meno seria diventa.
132
Indian: l’estetica elisabettiana prediligeva nella donna il colorito pallido.
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NOTE
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re di Porzia, che grazie alle sue ricchezze passa da oggetto di contesa a soggetto di iniziativa e di risoluzione.
Nuccio Ordine accosta questa scena alla dichiarazione di amore intellettuale che Alcibiade fa nei confronti di Socrate nel Simposio di Platone, 215 e sgg., paragonandolo con la figura del Sileno, brutta all’esterno ma bella internamente: un topos ripreso infi nitamente durante il Rinascimento (Pico, Erasmo, Rabelais e Bruno). Cfr. L’utilità dell’inutile, Milano, Bompiani, 2013, p. 53.
134
Cfr. Otello, III, 3, 169-171.
135
Bassanio si chiede quale artista abbia potuto rendere così fedelmente il volto di Porzia.
136 Alcune edizioni aggiungono qui e alla fi ne del discorso di Bassanio le didascalie per uno scambio di baci, che sanziona contrattualmente l’unione dei due innamorati. 137
In tutto il passo, le ripetizioni di termini economici e relativi all’usura sono naturalmente volute.
138
Boy, stake ecc.: Graziano scommette su chi riuscirà per primo ad avere un maschio. Si noti che anche questo augurio viene misurato in termini economici, e poi di azzardo, interesse ecc., e subito giocato in un doppio senso sessuale. 139
Cioè, sta male di spirito ma si aiuta grazie allo spirito che mantiene.
140 Traduciamo estate con “stato” per compatibilità con l’italiano, ma la parola ha anche il significato di “patrimonio”, “situazione fi nanziaria”, qui ugualmente pertinente. 141
Giasone è l’eroe mitico che conquista il vello d’oro attraversando il mare del Ponto (Mar Nero) a bordo della nave Argo. Cfr. sopra, I, 1, 170-171. 142 Nomi tramandati da diverse tradizioni, fra cui quella “sacerdotale” e quella “jahvista”. Tubal era figlio di Iafet, Cush di Cam: Genesi, 10, 6. 143 La traduzione passa dal linguaggio formale a quello familiare per rendere la svolta nel dramma (epitasi) e nel caratte-
pp. 131-155
Atto III, sc. 3 144
Davanti alla casa di Shylock.
145
Mercy diventa d’ora in poi parola centrale, alla quale fanno appello tutti i cristiani: la traduzione varia a seconda delle circostanze e del personaggio che la pronuncia, ma insiste soprattutto sulla “clemenza”: cfr. la perorazione di Porzia in IV, 1, 181-202. Atto III, sc. 4
146
La scena: il palazzo di Belmonte.
147
Una primitiva versione dell’“invidia del pene”(?) peraltro subito contraddetta dal successivo ritratto del comportamento maschile.
148 Nelle compagnie teatrali elisabettiane, il problema principale per i ragazzi che sostenevano le parti femminili (essendo proibito alle donne di recitare). 149
Nerissa gioca su un doppio senso: to turn to ha anche il significato di invito sessuale, che la traduzione cerca di mantenere in vista della reazione di Porzia. Atto III, sc. 5
150
La scena: il giardino del palazzo di Belmonte.
151
Cfr. i dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè nella Bibbia, Esodo, 20, 5.
152
Agitation: un probabile solecismo per cogitation, “riflessione”, che meglio si accorderebbe con il successivo matter.
153
Secondo la mitologia greca Scilla e Cariddi, una ninfa e una naiade, vennero trasformate in mostri dagli dei o dalla magia. Abitavano nello stretto di Messina, e costituivano un pericolo mortale per i naviganti. Ne ebbero grande timore sia gli Argonauti sia Ulisse (cfr. Odissea, XII).
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pp. 155-169
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NOTE
Cfr. S. Paolo, 1 Corinzi, 7, 14: “il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente, e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente”.
umori corporali secondo la teoria medica galenica.
154
155
Come spesso succede ai personaggi minori, Lancetta enuncia in forma farsesca il messaggio implicito del dramma: la distinzione fra cristiani ed ebrei è affidata a pratiche e costumi arbitrari, che esulano dall’esercizio comune della solidarietà.
156 Poco più che uno scioglilingua nell’originale (basato sull’alternarsi di much, “molto”; more, “più”; Moor, “la Mora” e less, “meno”): si tenta uno scioglilingua nella traduzione. 157
Dinner: il termine è usato genericamente, senza distinguere fra le varie fasi dell’azione. Nell’atto I, scena 1, dal v. 70 significa verosimilmente “pranzo”, se si ritiene che l’azione inizi di mattina. Qui invece è logico che l’azione si concluda con una “cena” serale, prima che la scena successiva, la prima dell’atto IV, si apra la mattina successiva – e allora dinner sarà “pranzo”. Atto IV, sc. 1 158
La scena: Il Senato di Venezia.
159 La pazienza e la sopportazione che Shylock rivendicava come prerogative sue e della sua etnia in ambiente cristiano sono ora professate dal cristiano Antonio nei confronti dell’ebreo come tiranno. 160
Nel teatro pre-elisabettianio, che aveva luogo in una sala in cui gli attori si aprivano la strada fra gli spettatori, al grido make room faceva irruzione il personaggio-tipo del Vice, negativo e comico. 161
Shabbat: è la festa concessa da Dio all’uomo perché ne ripeta il riposo durante la creazione del mondo. Si osserva ogni sabato.
162
Humour: “umore”, termine che rende il senso della volubilità del carattere, soggetto al continuo rimescolamento degli
163
Cioè imbandito sulla tavola per essere mangiato, cibo proibito dalla religione ebraica.
164 Woollen bagpipe: una difficoltà per i commentatori: si pensa a un rivestimento di lana dello strumento, o alla versione elisabettiana del termine irlandese uiellean pipe, che designava una zampogna gonfiata da un mantice che si teneva sotto l’ascella. 165
Il significato è: il soggetto dotato di un’umanità irriconducibile a un’unica legge sarà portato a offendere chi lo offende con pretese e insistenze come quelle che voi, autorità veneziane, state facendo a me.
166 Fra Shylock e Bassanio inizia una serie di battute improntate alla sticomitia, forma retorica per rendere il dialogo incalzante, derivata dalla tragedia senechiana. 167 Shylock parla spesso con frasi e termini di sapore biblico, come questi che ricalcano il Deuteronomio, 15, 12: “Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te, libero.” 168
Tutto il testo, e specialmente l’atto che stiamo seguendo, sono pervasi da riferimenti scritturali, che tendono a drammatizzare anche questo dialogo. Le parole di Antonio ci riportano al rito con cui si sacrificavano animali a Dio per una causa comunitaria, così frequentemente osservato nella Bibbia. Tainted wether era il capo castrato e ammalato, adatto al sacrificio: qui si traduce in un senso più generico di capro espiatorio, con chiaro riferimento al sacrificio di un innocente (come Gesù Cristo), per restituire la vita, spirituale e materiale, alla comunità. Cfr. René Girard et al., Des choses cachées depuis la fondation du monde (1978), trad. it. Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983.
169
Con questa traduzione si cerca di conservare l’omofonia fra sole, “suola (di
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NOTE
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cuoio)”, e soul, “anima”, già presente nelle altre traduzioni italiane moderne.
senso deve consistere nella lettera del contratto, ne viene escluso tutto ciò che vi era implicito, cioè la vendetta agognata dall’ebreo. È la rivincita del linguaggio figurato sul linguaggio letterale.
170 È la dottrina pitagorica della metempsicosi, presente, tra l’altro, in un testo molto caro a Shakespeare e ai suoi contemporanei, le Metamorfosi di Ovidio (XV). 171
È la frase più citata dalla critica moderna, come allusione all’impossibilità di distinguere realmente fra soggetti appartenenti alla comune umanità. Cfr. per es. Moisan 1987, in bibliografia.
172
Un luogo comune della trattatistica morale del secolo era il contrasto fra giustizia e misericordia. Si veda anche, in questo volume, lo scambio fra Isabella e Angelo in Misura per misura, II, 2, specialmente 5968; e le note relative di Caterina Ricciardi. 173 Una serie di reminiscenze bibliche: i commenti segnalano specialmente il Salmo VII, 17. 174
Daniele era un profeta, che il Vecchio Testamento defi nisce “saggio” (Ezechiele, 28, 3).
175 Ancora oggi la retorica distingue nella metafora il “tenore” e il “veicolo”, ovvero l’idea o l’argomento principale che viene sotteso, e l’unità linguistica che lo esprime (ne risulta un significato più complesso di quello che l’uno e l’altra raggiungono da soli: cfr. I. A. Richards, The Philosophy of Rhetoric, Oxford, Oxford U. P., 1971, pp. 96-97; e molti altri). Ma il senso della frase di Shylock è evidentemente quello di sostenere il veicolo, cioè la “lettera” del contratto scritto, come tenore, cioè come unica, totale e irrevocabile “sostanza” della sua rivendicazione. 176 Barabba era il bandito che Pilato offrì per il supplizio in alternativa a Gesù. Il popolo, ispirato dai sacerdoti, salvò Barabba e condannò Gesù alla crocefissione. Il nome era stato attribuito al demoniaco protagonista del dramma di Christopher Marlowe, L’ebreo di Malta (1589). 177
Porzia sconfigge Shylock estremizzando la sua posizione retorica: se tutto il
pp. 171-197
178
Scruple: era un peso di farmacista, approssimativamente equivalente a un grammo. Qui usato in senso figurato.
179
Cfr, sopra, I, 3, 42, tradotto con leggera variazione.
180
Dodici erano i membri di una giuria, per questo denominati “padrini della legge” in quanto testimoni del comportamento del giudicato.
181
Con una possibile allusione alla conoscenza carnale che Porzia e Bassanio devono ancora realizzare, essendo stato sospeso il loro matrimonio. Atto IV, sc. 2
182
La scena: una strada davanti alla corte.
Atto V, sc. 1 183
La scena: il giardino del castello di Belmonte.
184
Al registro mercantile-fi nanziario di quattro lunghi atti intonati alla sentenziosità biblica succede fi nalmente il registro lirico, con sostanziale ricorso alle immagini voluttuose della letteratura classica – mediata più di una volta dalle riprese dal Trecento inglese. Ma si noti l’ironia di usare storie tragiche (di amore, di equivoci, di abbandoni e tradimenti) nel contesto di una notte di apparente serena contemplazione (per cui si veda anche Ovidio, Metamorfosi, nell’episodio di Medea ricordato più sotto, VII, 180-181: “Postquam plenissima fulsit / et solidas terras spectavit imagine luna…”): è la luna come simbolo di volubilità e incostanza a gettare una luce obliqua su tutta la scena. Cfr. Romeo e Giulietta, II, 1, 149-153: “ROMEO Giuro, signora, per quella sacra luna che inargenta le cime del frutteto… GIULIETTA No, non
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giurare sulla luna, la luna incostante che ogni mese cambia la sua orbita: non sia il tuo amore altrettanto mutevole!” 185 Fitti gli echi dal poema Troilus and Cryseide di Geoffrey Chaucer: la luna splendente incanta l’innamorato Troilo (V, 648), che alla sua luce sale sulle mura di Troia per contemplare le tende greche, fra cui quella di Cressida (V, 666-669). Shakespeare avrebbe ripreso quella storia nel suo dramma d’amore e di tradimento, composto cinque anni dopo. 186 Se Lorenzo evoca il desiderio d’amore, Jessica risponde con la storia di una passione conclusasi tragicamente. Il riferimento è alle Metamorfosi (IV, 68-210), ripreso da Chaucer nella Legend of Good Women: essendo il loro amore avversato dalle rispettive famiglie, Piramo e Tisbe decidono di fuggire, ma una leonessa irrompe nel luogo del loro incontro, delle macchie di sangue provocano un equivoco, e l’uno e l’altra si uccidono. Reminiscenze di questa storia ricorrono anche in Romeo e Giulietta e, in forma farsesca, in Sogno di una notte di mezza estate. Gli episodi di Tisbe, Didone e Medea compaiono in quest’ordine nella Legend di Chaucer. 187
Alla tragedia di Jessica Lorenzo aggiunge il senso di perdita che succede alla fine dell’amore. L’origine di questa immagine è nell’Eneide (IV) di Virgilio, quando Enea, cercando scampo dopo la distruzione di Troia, approda a Cartagine; qui è conquistato dalla regina Didone, ma l’abbandona per perseguire il suo destino di fondatore di Roma. Il ramo di salice non è presente nella fonte, Chaucer e Shakespeare usano però quell’albero come simbolo di amore non corrisposto (cfr. Otello, IV, 3, 39-58).
188
Nel contrasto con Lorenzo, Jessica richiama ora la forza vitale dei sentimenti. Ancora un debito verso le Metamorfosi (VII, 163-293) e la Legend di Chaucer: la maga Medea, sposa di Giasone, ne ringiovanì il padre Esone sostituendo al suo sangue una pozione di erbe magiche, raccolte in una notte di luna piena.
NOTE 189
Il contrasto si attenua ironicamente, dopo aver svelato nei due innamorati quali soggettive propensioni e apprensioni siano ancora attive – ma prossime a sciogliersi in un solito e solido rapporto maritale, fatto di provocazioni e indulgenze.
190
Non avendo più esperienza, ahimè, del suono del corno della posta, né tanto meno del richiamo del falconiere (che, ci assicurano i commenti inglesi, vengono imitati dalle grida del buffone), traduciamo con un’onomatopea generica e con il nostrano incitamento alla bestia da soma.
191
In Q “M. Lorenzo”, ma in F2 “M. Lorenza”, che fa pensare ad alcuni commentatori, come John Drakakis nell’ed. Arden del 2010, che Lancetta cerchi Lorenzo ma anche Jessica, chiamandola “Lorenza” perché è passata dalla potestà paterna a quella del suo prossimo marito.
192
Un riferimento alla teoria cosmologica, già in Pitagora e Platone, e poi nella storia del pensiero occidentale fi no al XVII secolo, per cui il sole e i pianeti sono contenuti in sfere trasparenti che con il loro movimento producono un’armonia continua, che influenza la vita sulla terra. Nella sua versione magico-ermetica la teoria presupponeva che le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli fossero disposte verticalmente sul “monocordo”, alla cui accordatura provvedeva la mano di Dio.
193 Nell’Antico Testamento, la visione procurata da Dio al profeta Ezechiele contro gli ebrei idolatri presenta i cherubini come angeli di altissimo grado e dotati di ruote, e “tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote erano pieni di occhi tutt’intorno” (Ezechiele, 10, 12). 194
La scena del rientro a Belmonte viene circondata da un alone di alta ritualità, grazie all’evocazione di Diana, dea della luna e della verginità, e della musica. Più sotto, la luna (Selene per i greci) viene nuovamente evocata per il suo amore per Endimione, creando così un complesso nodo
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NOTE
TROILO E CRESSIDA
di significati simbolici del rapporto amoroso. Ancora, la frase introduce l’elemento musicale che ritorna puntuale nei momenti solenni della drammaturgia shakespeariana, a sottolineare la magia, e in questo caso la dolcezza, della conclusione felice dell’avventura.
Troilo e Cressida
195
Nella mitologia pagana Erebo è la personificazione dell’oscurità, che dà il nome alla regione intermedia fra la terra e l’Ade.
196 Nella mitologia greca Endimione è un giovane bellissimo di cui si innamora perdutamente Selene, dea della luna, che per poterlo visitare ogni notte gli concede eterno sonno ed eterna giovinezza. 197
Proverbio popolare, che riconosceva al cuculo un’unica variazione di canto – ma il testo implica l’equivalenza metaforica di “canto” e “voce”.
198
Porzia non risparmia ironie nei confronti dei maschi.
199 Come già segnalato (II, 6, 43), light contiene un doppio senso, come “luce” e, riferito alla donna, come “leggera”. Altre traduzioni scelgono, invece che il bisticcio di luminosità/cupezza, quello di leggerezza/pesantezza, con allusione alle corna che appesantiscono la testa del marito. 200
Un giuramento non proprio attendibile, se la luna è simbolo di incostanza (cui Graziano sembra comunque incline). Cfr. sopra, V, 1, 1.
201 Nuovo giuramento poco attendibile; la mano indicata è quella senza l’anello. 202
Allusione alla conoscenza carnale.
203
Prologo 1
Si ipotizza che il Prologo armato fosse recitato da uno degli attori (forse da Pandaro o Tersite). Anche il Poetaster di Jonson (1601), di poco precedente (cfr. Nota introduttiva), prevedeva un prologo satirico recitato da un personaggio armato, ma si tratta di casi molto singolari. Il linguaggio è antiquato e ridondante (in termini come orgulous per proud), e anticipa il contrasto, tipico di tutto il dramma, tra solennità di propositi e alti ideali eroici da una parte, e bassa corporeità, cibo, sessualità e malattia dall’altra.
2
Shakespeare allude all’episodio mitico del voto, stretto tra tutti i Greci al momento delle nozze tra Menelao e Elena, di portare guerra contro chiunque avesse tentato di sottrarre questa meravigliosa moglie a Menelao. Si veda la Nota introduttiva.
3
Il rischio, l’azzardo (hazard, v. 22), è un concetto nuovo rispetto alla tragedia antica, dove prevaleva l’idea di Fato. Ed è moderno in quanto richiama il calcolo razionale (e matematico) delle probabilità, e la sfida contro questo stesso calcolo, nonché le capacità machiavelliane di preveggenza.
4
Nella traduzione ho privilegiato “carnaio” su “contese”, più vicino all’etimologia del termine (OED) e più coerente con il lessico del dramma dove prevalgono, come già ricordato, metafore che si riferiscono all’ambito del cibo, della digestione, della corporeità. Il termine torna alla fi ne dell’atto per defi nire Achille, who broils in loud applause (I, 2, 378). Nelle parole dello stesso Prologo, si vedano anche disgorge al v. 12 e digested, al v. 29 (Hillman).
Nella mitologia greca Argo era un gigante dotato di cento occhi, che Era, gelosa di Zeus, pose a guardia di Io, ninfa che Zeus aveva tramutata in giovenca. Nel mito ritorna il fascino della musica, perché è grazie a una melodia che Ermes riesce a distrarre Argo, ed infi ne ad ucciderlo.
5
204
6
Degno sigillo di chiusura, l’allusione all’organo genitale femminile. FRANCO M ARENCO
pp. 203-247
Atto I, sc. 1 La scena: nella città di Troia.
Pandaro imprime il suo segno sull’intero dramma: Gear ha il significato di “ingranaggio”, e generalmente di “affare”, ma
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pp. 247-255
TROILO E CRESSIDA
è chiaro che qui viene impiegato nel doppio senso di “organo sessuale”. 7
Continuano i doppi sensi osceni di Pandaro. A partire da questi versi, egli presenta allo spettatore il personaggio di Cressida in forma di oggetto, attraverso l’immagine della torta che allude sia alla donna (cake, come dopo pie, potevano alludere all’organo sessuale femminile) sia, con la metafora della macinatura, alla tecnica di seduzione suggerita a Troilo per conquistarla. In questo senso Pandaro è come la moderna pubblicità, che offre il prodotto all’interlocutore e agli spettatori, suscitandone il desiderio prima ancora che essi l’abbiano visto. Un’analoga simbologia si trova nella Mandragola di Machiavelli, dove Callimaco si accende d’amore per Lucrezia dopo averne sentito cantare le lodi dall’intrigante cognato di lei che lo induce così, come un mercante, a lasciare Parigi per Firenze.
8
In questa prima parte, Troilo diffida del ruolo di Pandaro, che si identifica con il mezzano, l’“intermediario” o goer-between (si veda anche: III, 2, 197), come rende il testo inglese, o il “mercante di carne”, secondo l’immagine che chiude il dramma (good traders in the flesh: V, 10, 45). Qui il personaggio si diverte a stuzzicare l’infatuazione dell’innamorato, a solleticarlo (non meno dei soldati descritti dal Prologo: Now expectation, tickling skittish spirits…, v. 20) sfruttando la tensione dell’attesa e rendendo così più complesso l’intreccio.
9
Cressida è bella in un giorno qualsiasi come Elena abbigliata per la festa.
10
La sproporzione tra la futilità del pretesto (il rapimento di Elena) e le tragiche conseguenze della guerra è centrale fi n dall’Iliade (si vedano i commenti dei vegliardi sulla rocca di Troia: III, 139-160), e passa per Erodoto, Aristofane, etc. fi no a Jean Giraudoux per dimostrare l’assurdità di ogni guerra. Sarà proprio Troilo a rovesciare questa posizione nel discorso con gli altri troiani, facendo del desiderio la misura e la giustificazione di ogni scelta, in II, 2.
NOTE 11
Il mito dell’amore e della seduzione di Apollo per Dafne è narrato nel I libro delle Metamorfosi di Ovidio (vv. 452 sgg.). Alla Cressida qui descritta, con illusoria certezza, come stubborn-chaste against all suit, si collega l’immagine della Dafne che fugge dall’ardore del dio prima di essere trasformata in alloro.
12 Si allude al duello tra Paride e Menelao, descritto nel III e IV libro dell’Iliade, al quale erano state affidate le sorti della guerra. Omero narra che Paride era stato ferito e sconfitto, ma intervenne Afrodite a salvarlo. Il registro è abbassato dall’ironica allusione alle corna di Menelao, ricorrente, in seguito, nelle parole irriverenti di Tersite.
Atto I, sc. 2 13
La scena: le mura di Troia. Il “sopra” della didascalia designa la parte superiore del teatro elisabettiano, dalla quale i personaggi si affacciano guardando il proscenio. La scena si svolge in tre momenti (I, 2, 1-35: Cressida-Alessandro; 35-185: Cressida-Pandaro; 185-290: sfi lata dei soldati troiani commentata da Cressida e Pandaro) e riprende il modello antico della teichoscopia, cioè la visione dall’alto delle mura, frequente nell’epica classica. Anche nell’Iliade si succedono tre prospettive: Iris chiama Elena per assistere al duello tra Menelao e Paride (III, 120 sgg.); poco dopo gli anziani vedono i soldati di entrambe le parti e poi si volgono a guardare Elena (III, 130 sgg.); infi ne il re Priamo ed Elena assistono a una scena simile, con i soldati schierati a battaglia (III, 160 sgg.). Il motivo torna nelle Argonautiche di Valerio Flacco, dove Medea vede Giasone dall’alto delle mura e se ne innamora perdutamente (IV, 427-760). Qui la riscrittura assume toni evidentemente parodici, in quanto sia la visione dei soldati sia il personaggio di Troilo, presentato in termini enfatici da Pandaro, vengono ridimensionati dalla distaccata (e, talvolta, cinica) iro-
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NOTE
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nica di Cressida, che non si lascia incantare (Lombardi).
Tempo a diventare vero protagonista, accelerando progressivamente la sua corsa e facendo precipitare tutto verso la catastrofe fi nale (pur parziale, non tragica secondo i canoni aristotelici: cfr. Nota introduttiva).
14 Figlio di Urano (il Cielo) e Gea (la Terra), Briareo (anche chiamato Egemone) era, come gli altri uranidi, un mostro gigantesco e terribile, con cento braccia e cinquanta teste. Lo ricordano Virgilio, in Eneide X, 565, e Dante nel canto XXXI dell’Inferno, dove è defi nito “smisurato” (v. 98). Nel dramma shakespeariano evoca la forza bruta e presuntuosa, irrazionale, che diventa grottesca. Ciò rimarca la scelta da parte di Ulisse, di designare lui (in luogo di Achille) per sostenere la sfida dei troiani (T. & C., I, 3, 310 sgg.). 15
La domanda di Cressida potrebbe celare un doppio senso osé, invertendo maliziosamente i ruoli sessuali: gone può alludere alla gravidanza, mentre up può alludere all’erezione maschile. Anche se questi slittamenti del linguaggio sono propri delle situazioni, più che dei personaggi, Cressida appare subito nella luce della fi nta ingenua.
16
Dal momento che, di qui in poi, Alessandro non ha più battute per tutta la scena, si suppone che venga allontanato da un gesto di Pandaro, nonostante manchino indicazioni testuali.
17 Comincia un gioco di ambiguità e di doppi sensi nel dialogo tra Pandaro e Cressida. L’uno cerca di suscitare l’interesse della ragazza per Troilo, e l’altra sfugge con altrettanta doppiezza e ironia. 18
pp. 257-269
20 Si rimarca la giovinezza di Troilo, dato topico nei testi a lui dedicati, ma qui con allusione maliziosa alla maturazione sessuale. 21 Nella percezione degli elisabettiani, il naso di Troilo potrebbe essere rosso (copper) per il troppo bere, oppure per la sifi lide. La golden tongue di Elena, di conseguenza, ricorda l’epiteto dato ai sofisti, capaci di elogiare tutto e il contrario di tutto. L’“allegria” (v. 95) richiama la scarsa serietà, la sua discutibile condotta. 22
To lift, “alzare”, “inalberare” è qui usato nel senso che Cressida è pronta a cogliere nella sua risposta.
23
Lifter, sost. da to lift, è gergale per il ladro, il taccheggiatore, lo scassinatore, che la traduzione non mantiene per rispettare i giochi di parole maliziosi con cui Cressida continua a ridimensionare, se non a rovesciare, le lodi di Pandaro, fi ngendo di fraintendere le sue parole e puntando su uno slittamento dei significati percepibile dagli spettatori. Si notino anche la battuta sulla fossetta nel mento e quelle che seguono.
24
Nuovo doppio senso sulla sostenibilità di una prova sessuale da parte di Troilo.
25
Rack è la ruota, un tipo di tortura.
26
Altri proverbi e modi di dire. Ma qui il riso di Ecuba e di Cassandra ha un sapore grottesco e stride con le immagini di dolore e di atroce visionarietà che la tradizione (e il nostro testo, nel quinto atto) attribuisce alle due donne.
Pandaro allude al fatto che Troilo, con l’innamoramento, ha perduto il dominio su se stesso. È questa una caratteristica che il personaggio shakespeariano riprende da Boccaccio e da Chaucer. In generale, tutti i personaggi del dramma sono contraddittori e sembrano avere dimenticato l’imperativo della saggezza antica del “conosci te stesso”. È Tersite a metterlo ulteriormente in evidenza, nei suoi sfottò contro Aiace (II, 1, 69).
28 Si pensava i nati di aprile, mese piovoso, ne derivassero l’umore.
19
29
Nel corso del dramma sarà proprio il
27 Si tratta dei cinquantuno figli di Priamo. La “doppia punta” è naturalmente un’allusione al fatto che Elena ha due mariti.
Continua la visione dall’alto delle mura e
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pp. 271-287
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comincia la sfilata dei soldati. Nella rappresentazione della Royal Shakespeare Company del 1990, al teatro Swan, gli attori recitavano da un palco della galleria (Dawson), come del resto doveva avvenire nelle rappresentazioni al tempo di Shakespeare. 30 To give the nod significa sia “fare l’occhiolino” sia “fare fesso, dare a qualcuno del sempliciotto” (noddy). 31 Cressida non sembra apprezzare molto l’ingresso in scena di Troilo, che arriva quasi scivolando. Pandaro, per contro, cerca di confonderlo con Deifobo. 32 All’elenco di virtù proposto da Pandaro segue il commento di Cressida, che usa una delle tante metafore culinarie (la stessa, quella della torta, ricorrente nel primo dialogo tra Troilo e Pandaro) per indicare maliziosamente la virilità maschile, ovviamente omessa dall’elenco. Nell’Enrico IV, una battuta simile è messa in bocca a Falstaff che risponde al principe Enrico, il quale gli parla di uomini leali e buona coscienza, con la battuta: but their date is out (II, 4, 298). 33 La gravidanza è l’unico impedimento a godere in segreto dei piaceri amorosi. Nel Filostrato Criseida, dopo avere ascoltato analoghi tentativi di persuasione da parte di Pandaro, conclude il suo monologo interiore con la prospettiva di potere godere, con Troiolo, del piacere dell’“acqua furtiva” (II, 74, 1). 34
Le massime di Cressida dimostrano una visione consapevole e disincantata del sentimento amoroso. Ciò la distingue fi n dall’inizio dallo stereotipo della donna innamorata, come già avveniva nei testi di Boccaccio e di Chaucer. Il fatto che, poco dopo, Cressida smentisca il precetto di resistere non implica alcuna contraddizione: in questo dramma dove tutto è relativo (le qualità personali, i punti di vista, le tattiche belliche ecc.) conta non tanto la fedeltà a se stessi o a un ideale, quanto l’adattabilità alla nuova situazione che la vita impone.
NOTE
Atto I, sc. 3 35
La scena: il campo dell’esercito greco a ridosso delle mura di Troia.
36
Tutta la scena III ospita le grandi teorie dei Greci sulle sorti dell’assedio e della guerra, ispirate a princìpi platonici, stoici e cristiani. Ricche di ampollosità e di retorica, esse sollevano alcuni problemi fondamentali – come, in questo caso, la sproporzione tra la realtà e il pensiero che alimenta le più alte ambizioni – ma arrivano tutte a soluzioni inadeguate e parziali. Agamennone e Nestore fanno proprio non soltanto il concetto cristiano della cattiva sorte come prova di coraggio e di forza, ma anche l’idea machiavelliana che la virtus consista nella capacità dell’uomo di opporsi alla Fortuna (cfr. Machiavelli, Il principe, XXV).
37 La fi losofia che ispira queste considerazioni è di matrice senecana e stoica, e pone questioni etiche che saranno al centro del pensiero di Hobbes e di Shaftesbury. Le metafore dei pianeti e dell’alveare, in particolare, diventano un topos degli scritti sull’educazione dei regnanti e delle teorie dell’optimus princeps, da Seneca a Dione di Prusa (Sulla regalità) fi no a Jean Bodin. La rivendicazione dell’ordine da parte di Ulisse è però molto ambigua e confonde le norme del razionalismo antico con il concetto moderno di razionalità strumentale, guidata non dal valore, ma dall’utilità del particulare. Lo dimostra la scelta di Aiace, che sembra apparentemente contraddire queste affermazioni ma che ne rivela la più profonda ambiguità. 38
Si suppone una lacuna nel testo, che opponga un termine positivo al peggiorativo the unworthiest.
39 Shakespeare allude qui alla concezione tolemaica dell’universo. 40
La diagnosi di Ulisse e degli altri capi vede essi stessi conniventi. In realtà, infatti, è tutta la società ad essere corrotta, divisa tra la corsa alla conquista del potere
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NOTE
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e del denaro da una parte, e l’inettitudine dall’altra (rappresentata dall’anti-eroe Achille e, in forma più nobile, da Troilo). Si veda anche l’immagine di Albany nel King Lear, quando si scaglia contro Gonerill: Humanity must perforce prey on itself / Like monsters of the deep (“L’umanità fi nirà per diventare preda di se stessa, come i mostri dell’abisso”, IV, 2, 48-49). Per i rapporti con l’attualità, cfr. Grady.
di volumi, Nestore si interroga sulla funzione di Achille come eroe rappresentativo di tutti i Greci. Al centro sta sempre l’opinione, la reputazione, non la verità. Proprio in base a questa relatività dei punti di vista Ulisse, come il mercante (così si era definito anche Troilo: I, 1, 100 sgg.), vorrà mandare avanti non Achille, l’‘unità di misura’ più alta, ma quella mediocre, e cioè Aiace, con la spiegazione che perdere con il migliore significa perdere tutto, mentre perdere con chi è inferiore significa avere la possibilità di vincere con un’altra, inattesa, chance.
41
Nella mitologia greca Tifone era un mostro metà uomo e metà bestia, dall’aspetto terribile e composito, generatore di caos e nemico della gerarchia degli dei, e in primo luogo di Zeus.
pp. 289-311
49 Sorella delle Arpie e personificazione dell’arcobaleno.
42
Il gioco di specchi coinvolge anche la recitazione, in questo lungo scorcio metateatrale che riprende analoghi spunti sviluppati già in Amleto (III, 2, 1 sgg.). La squallida inconcludenza politica trova risonanza nei paradossi di Patroclo, che imita i generali come un attore maldestro, e in quelli di Tersite, che inveisce contro tutti diagnosticando una malattia per la quale non vi è cura. Il buon teatro stigmatizza il cattivo teatro e prende le distanze da una mimesi acritica.
43
La milza era considerata sede degli umori favorevoli alla gioia come alla tristezza e alla malinconia.
44
Il sole appena spuntato.
45
Enea si fa interprete di un linguaggio e di un cerimoniale antiquato, quello cavalleresco-cortese che si fonde con la tradizione epica omerica e virgiliana; in questa scena, egli rappresenta il messaggero di una sfida eroica che lascerà sospesi gli spettatori senza verificarsi mai secondo le attese. 46
Sunburnt significa letteralmente “annerite dal sole”, in riferimento alla carnagione chiara come segno di bellezza.
47
Il termine vantbrace si trova nei Troye Boke di Lydgate (III, 87) e indica la parte di armatura che copriva l’avambraccio (il “braccialetto”). 48
Attraverso questa metafora che mette in relazione le più piccole quantità ai più gran-
Atto II, sc. 1 50
La scena: il campo greco. I personaggi entrano da due porte differenti, oppure Tersite è già in scena quando arriva Aiace. Gli insulti di Tersite contro i potenti amplificano, estendendole all’intera durata del dramma, le parole del personaggio in Omero (si veda Iliade, II, 217 sgg.). Si pensa che Shakespeare leggesse il poeta greco nella traduzione di Chapman, nei drammi di Heywood The Iron Age e di Nicholas Udall Thersites (1537). Qui il personaggio gioca sull’espressività del linguaggio gergale e dei modi di dire.
51 Tersite prosegue con il suo discorso, apparentemente ignorando la presenza di Aiace. 52 Aiace si informa della sfida rivolta da Enea ai Greci nell’atto primo (3, 200 sgg.). 53
Qui F omette un verso di Q che appare del tutto inessenziale: “nelle sortite tu sei lento come chiunque altro”.
54 Cerbero era l’orrendo cane posto a guardia dell’ingresso dell’Ade. Prosepina (Persefone in greco) era la bellissima figlia di Zeus e Demetra. 55
Probabile allusione metateatrale. Nonostante Tersite, con la sua parola libera e la dissacrante scurrilità, assuma per tut-
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pp. 311-321
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NOTE
to il dramma una funzione molto simile a quella del fool, come Feste nella Dodicesima notte o Touchstone nel Come vi piace, qui è Aiace ad essere travestito da matto. Ciò crea un effetto straniante nel pubblico, che lo guarda alla luce della tradizione e si trova ora a confondere i due personaggi. È possibile che Shakespeare conoscesse l’episodio mitico della follia e del suicidio di Aiace presentato nell’Aiace di Sofocle.
nelle parole irriverenti di Tersite sia nelle diagnosi di Greci e Troiani.
56 Non è Tersite il matto, ma il saggio che conosce se stesso; Aiace e gli altri soldati, invece, agli occhi di Tersite sono matti perché, inconcludenti e contradditori, rivelano di non conoscersi. Cfr. I, 2, 73. 57 Le orecchie lunghe si riferiscono a quelle degli asini; la pia mater è il cervello o, più precisamente, la membrana che lo ricopre. 58 Possibile allusione oscena, come in molti altri drammi del periodo che usano immagini simili. 59
Tra le 10 e le 11.
Atto II, sc. 2 60
La scena: Troia, il palazzo di Priamo.
61
Torna nelle parole di Priamo l’immagine, già richiamata dal Prologo armato, della guerra come manifestazione di cannibalismo, riconducibile ai concetti di alimentazione e di digestione, di appetito e di avidità. Come lo universal wolf nelle parole di Ulisse (I, 3, 121) qui è il cormorano (da cui l’aggettivo cormorant) a connotare la guerra, grande uccello di mare noto per la sua voracità.
62
L’espressione surety secure enfatizza probabilmente l’etimologia latina che fa derivare securus da sine cura, “senza affanno”. Il motivo che l’eccessiva distensione possa contribuire a scatenare una guerra deriva dalla riflessione degli storici latini, ad esempio da Tacito. 63
Le metafore mediche sono ricorrenti nell’immaginario di questo dramma, sia
64
Ogni anima resa come decima (tithe era la decima parte del patrimonio pagata come tassa) alla guerra, fra le migliaia (di decime, dimes) versate, aveva il valore attribuito a Elena.
65 Il dibattito che si solleva tra i Troiani in questa scena è posto in corrispondenza con quello dei Greci che dibattono sulle ragioni della guerra in I, 3. Entrambe le parti orientano il loro discorso verso una riflessione sul concetto di ragione che diventa centrale nell’analisi del comportamento umano intorno alla guerra. Nelle parole di Ulisse razionalità antica e moderna razionalità strumentale si confrontano, mentre qui la ragione perde qualsiasi riferimento a un valore assoluto, ma viene relativizzata in base al desiderio e al prezzo. 66
Era il rimprovero mosso da protestanti e puritani alla religione cattolica (sulla base di Matteo, 23, 19). Per un ampiamento di questa prospettiva cfr. Grady.
67
Come in seguito sottolineato da Ettore (II, 2, 165), il linguaggio di Troilo ricalca quello della fi losofia aristotelica, cambiando però il significato dei termini. Nell’Etica Nicomachea, ad esempio, la volontà che guida la scelta è posta in stretto rapporto con l’uso corretto della ragione (III, 1110a-1115a); qui, invece – e l’episodio del tradimento di Cressida sarà una beffarda conferma della teoria ora espressa da Troilo – la volontà (will) che ispira la scelta (election) risulta guidata non già dalla ragione, ma dai sensi, occhi e orecchi, a loro volta pericolosamente in bilico tra will e judgement.
68 Esione, sorella di Priamo e figlia di Laomedonte, destinata ad essere sacrificata a un mostro marino, era stata liberata da Eracle e data poi in sposa al greco Telamone. È attraverso la genealogia di questa figura mitologica che Ettore e Aiace si scopriranno parenti e si asterranno dal combattimento
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(IV, 5, 120). Con il rapimento di Esione comincia The Iron Age di Thomas Heywood (cfr. Nota introduttiva). I primi versi, affidati a Priamo, fanno risalire le ostilità proprio a Esione: The Grecians may be forc’t to make repayre / Of our twice ruin’d walls, and of the rape / Done to our sister faire Hesione (Heywood 1979, ai vv. 5-8). “Zia” valeva anche, in gergo, “prostituta”.
77
69
La metafora mercantile richiama quella usata da Troilo nel primo atto per indicare Cressida (I, 1, 100).
70
Nell’Eneide (VII, 320 e X, 704) Ecuba, incinta di Paride, sogna che il nascituro sarà un tizzone ardente che farà bruciare Troia.
71 Anche qui la prospettiva è implicitamente rovesciata: Cassandra, che profetizza la verità (e manifesta così quella medesima “furia profetica” di cui si parla in Otello, III, 4, 72), è tacciata di follia da chi parla in nome della ragione e delle ragioni che ritiene soggettivamente più vere. 72
In base alle argomentazioni di Troilo e di Paride, l’onore, intorno al quale ruotava la tradizione epica, diventa un concetto vuoto e pretestuoso, accampato soltanto a difesa del proprio desiderio.
73 L’espressione The world’s large spaces colloca inevitabilmente la storia di Elena e Paride in un orizzonte più ampio, quello della modernità, dei viaggi per il commercio e per le conquiste, anche in riferimento all’immagine dei re trasformati in mercanti (II, 2, 82). 74
Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea I, 1095a.
75 Anche Ettore, come Ulisse, è un personaggio contraddittorio: la razionalità che guida la sua logica è presto smentita da una tale conclusione che lo allinea alla volontà degli altri.
pp. 321-335
Una parodia del monologo di Atreo nel Tieste senechiano, e di Amleto, II, 2, 527 sgg.: Tersite si rivolge a se stesso collocandosi in quella medesima follia in cui versano gli altri personaggi del dramma. A differenza dei matti delle commedie, però, questo rissoso anti-eroe omerico non ha forza di “ripulire il mondo”, ma la sua “furia” ricorda piuttosto la conclusione del Macbeth (V, 5, 26-28).
78
L’iconografia di Mercurio lo raffigurava con il caduceo, bastone intorno al quale sono attorcigliati due serpenti. Per gli antichi era il simbolo del commercio. Ritratti di Giove e di Mercurio si trovano ai lati del palco nella moderna ricostruzione del Globe. È possibile quindi che Tersite si rivolgesse alle immagini delle due divinità che fiancheggiavano la scena.
79
Alla sifi lide, la malattia su cui converge l’immaginario di guerra e lussuria, fanno continuo riferimento le parole di Tersite e di Pandaro.
80
Il termine placket può riferirsi sia alla gonna sia all’organo genitale femminile (Williams, s.v. placket).
81
Nell’elenco dei personaggi del dramma The Iron Age di Thomas Heywood Tersite compare come a raylor.
82
Al sangue, inteso come simbolo di irrazionalità, facevano continuamente riferimento le parole di Ettore nella scena precedente. Anche la successiva parodia della gerarchia di comando (vv. 50 sgg.) richiama la polemica di Ulisse contro lo stravolgimento dell’ordine gerarchico. Tuttavia, ben più acutamente, Tersite solleva qui il problema dell’identità dei personaggi, proprio attraverso il riferimento, a cui si è già accennato, alla conoscenza di sé e dell’altro. 83
È il privilegio concesso al matto, in virtù del quale Tersite stesso dà del matto agli altri.
84
Atto II, sc. 3 76
La scena: davanti alla tenda di Achille.
La diagnosi di Tersite è, senza mezzi termini, la più impietosa requisitoria contro l’assurdità di ogni guerra.
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pp. 337-353
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NOTE
85 Ulisse e Nestore giocano sull’ambiguità tra matter e argument, termini fi losofici che appartengono anche al dibattito forense. Tersite è la “sostanza” (matter: cfr. II, 1, 8) del vuoto Aiace. E ora è l’“argomento” dei suoi sfottò, Achille, a possedere questo “oggetto” di conversazione e, nonostante tutto, di divertimento.
gioca sull’idea di ego e sul termine che indica il grasso, è proposta sia da Luigi Squarzina (Melchiori 2005, p. 445) sia da Francesco Binni nell’ed. Garzanti (Binni 1994, p. 95).
86
L’Iliade si apriva con l’“ira funesta” di Achille, obbligato a consegnare la sua schiava Briseida al re Agamennone in cambio della restituzione di Criseida al padre Crise, sacerdote di Apollo, per fare cessare la pestilenza che aveva colpito il campo greco a Troia. Achille si rifiuta di combattere fi no al momento in cui per lui si impone la vendetta sulla morte di Patroclo, ucciso da Ettore. Qui, invece, le ragioni dell’allontanamento dal campo di Achille assumono tutt’altro significato, che si estende dalla superbia all’ipocondria, dalla malinconia all’inettitudine, nella sostanziale incapacità di riconoscersi, fuori dallo sguardo altrui, in quell’eroe glorioso in cui la tradizione l’aveva collocato.
87
Non solo questi personaggi non conoscono se stessi, ma è il sistema oggettivo di valutazione delle qualità umane (la stessa etica aristotelica, ad esempio) ad essere messo in discussione, reso relativo: la virtù si specchia nel giudizio altrui, e passa attraverso il capriccio dei sensi, degli umori e delle mode, la dimenticanza e il Tempo (si veda il dialogo tra Achille e Ulisse: III, 3, 65 sgg.).
88
In questo gioco degli a parte, Nestore e Ulisse cominciano a prendere in giro il tronfio Aiace, che si erge a giudice dello stesso Achille.
89
Il termine person richiama la maschera teatrale, il ruolo assunto sulla scena. 90 Ulisse mette in pratica il suo piano di adulazione/inganno di Aiace, rozzo e credulone. Si noti come le sue parole siano sempre doppie, ambigue. 91
La traduzione di seam con “sego”, che
92
Il Sole è spesso chiamato con il nome di Iperione, uno dei Titani figli di Urano e di Gea. La metafora astronomica di Ulisse richiama l’entrata del sole nella costellazione del Cancro (il 21 giugno), che secondo gli antichi Greci segnava il solstizio d’estate, cioè la stagione più calda. 93
Nella compagnia del Ciambellano (Lord Chamberlain’s Men) della quale faceva parte Shakespeare, ciascun componente possedeva dieci azioni. I dieci decimi costituivano quindi l’intero ricavato di una messinscena.
94
Milone era un atleta di Crotone, in Magna Grecia, vincitore di molte Olimpiadi. Lo ricordano Erodoto e Plinio il Vecchio, che menzionano anche la leggenda che si esercitasse sollevando tori. 95
Si allude qui ai “massicci” Achille e Aiace. Atto III, sc. 1 96
La scena: Troia, il palazzo di Priamo.
97
Come quello tra Pandaro e Cressida (I, 2, 37-304), anche questo dialogo è giocato su fraintendimenti e slittamenti di significati che compromettono la comunicazione tra i due personaggi. Pandaro allude a qualità e a titoli tutti terreni, legati alla sfera della società, del potere e del denaro, mentre il servo riferisce gli stessi termini a Dio e alla sfera del divino. 98
L’espressione è ambigua: in parts significa “parzialmente”, come anche, in termini musicali, “in contrappunto”. 99
Continua il fraintendimento: Pandaro intende chiedere quale sia il committente, colui che paga i musicisti, mentre il servitore insiste sul libero piacere e sul libero ascolto.
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NOTE
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100 Gioco di parole tra seethes (to seethe = “bollire”, “scottare”) e sodden (“scotto”, ma anche “guastato dalla sifi lide”).
“razza di vipere”, nel testo inglese generation of vipers.
101
Pandaro scherza variando sull’aggettivo fair.
102
Gioco di parole tra broken in riferimento a una musica composta su diverse linee armoniche, e broken, nel senso di “interrotta”. Riguardo all’uso del termine cousin, non c’è parentela tra Pandaro e Paride, ma si tratta di un modo di dire del registro cortese.
103
L’ironico soprannome con cui Paride chiama Elena ha la funzione di abbassare il registro epico, facendolo slittare verso la parodia.
104
Nel linguaggio musicale del tempo, in fits designava l’intreccio delle melodie nel contrappunto.
105
My cousin: riferibile sia a Paride (cfr. v. 46) che le “terrà il muso” se continua a interrompere, sia a Cressida, che le “terrà il muso” se continua a essere troppo curiosa.
106
Cfr. la nota al testo inglese.
107
Paride allude scherzosamente al gioco del rimpiattino (cfr. l’ed. di tutti i drammi di Shakespeare a cura di Samuel Johnson e George Steevens, Variorum, 10 voll., IX, 1778).
108
Ancora un polisenso, riferibile alle belle fattezze come segni di immodestia, o delle corna che incoronano chi viene tradito.
109
Omnia vincit Amor / et nos cedamus amori (“Tutto vince Amore / e noi cediamo all’amore”, Virgilio, Bucoliche, X, 60). 110 La canzone è deliberatamente sconcia, e prende in giro il rapporto tra amore e caccia tipico della letteratura rinascimentale; in evidenza i doppi sensi di doe/“donna” e to die/“raggiungere l’orgasmo” (Dawson). 111 Lo strano accostamento può derivare da una occasionale associazione di generation – qui tradotto “genesi” – con quanto segue in Matteo, 3, 7, quando Giovanni Battista condanna farisei e sadducei come
pp. 353-365
112
L’espressione allude all’imbarazzo di Pandaro, che non vuole rivelare a Elena il sentimento di Troilo e il suo imminente incontro con Cressida. Atto III, sc. 2
113
La scena: il giardino antistante la casa di Cressida.
114 Troilo accosta paesaggio infernale e paradisiaco. La Palude Stigia, dove sono puniti iracondi e accidiosi (cfr. Dante, Inferno, VII) è forse confusa con l’Acheronte (come in Eneide, VI, 369); il Paradiso è rappresentato dai gigli dei Campi Elisi, immagine che unisce la tradizione classica, ad esempio virgiliana e tibulliana, a quella biblica (si veda la canzone di Salomone, 6, 1). Il topos delle ali può invece derivare dalla tradizione platonica (Platone, Fedro, 249 d-e). Anche nel testo di Chaucer, Troilo esprime spesso l’estasi amorosa attraverso il richiamo, quasi blasfemo, al Paradiso: Thus in this hevene he gan hym to delite, / And therwithal a thousand tyme hire kiste (“Vagava per quel cielo, deliziato; / e mille e mille volte la baciava”, Troilo e Criseida, III, 1251-1252). La conoscenza della vicenda, da parte dello spettatore, rende però tutta la scena e le parole degli innamorati più ambigue. 115
Diventano sempre più espliciti i rapporti tra amore e guerra, poiché l’uno e l’altra risentono di quella sproporzione tra attese e riuscite già messa in evidenza nel discorso dei Greci. Secondo alcuni studiosi, qui il discorso avrebbe una risonanza metateatrale, basata sulle capacità di percepire, di distinguere, e quindi di agire, nella performance sessuale come in quella teatrale (Minton 2008; Freund 1985). “Mentre Troilo teme ciò che non sarà capace di rappresentare (eroici atti sessuali), Cressida teme ciò che inevitabilmente rappresenterà (l’infedeltà)” (Minton, cit.,
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pp. 365-375
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NOTE
p. 105). Entrambi, infatti, devono fare i conti con la tradizione letteraria che li ha costruiti.
personaggio shakespeariano più sfaccettato: Cressida è consapevole che l’amore è un delicatissimo equilibrio di forze, e resta quindi divisa tra il concedersi a un sentimento che potrebbe essere distruttivo, o mantenere la propria integrità adattandosi amaramente a ogni cambiamento (Minton).
116
L’affanno della donna che sta per essere posseduta ricorre anche in drammi giacomiani. Cfr. Thomas Middleton, Women Beware Women, II, 2, 321-323; e The Changeling, III, 4, 170.
117
Riferimento a una pratica della falconeria, di domare i falchi tenendoli svegli.
118
Nuovo paragone, questa volta con la pratica dei carrettieri di attaccare i cavalli al carro.
119
Nel Rinascimento era comune proteggere dalla luce i dipinti pregiati con tendaggi. L’allusione metateatrale che paragona i capelli che ricadono sul viso di una ragazza al sipario del teatro sarà ripresa nella Tempesta (I, 2, 406), quando Prospero scosta i capelli dal viso di Miranda per mostrarla a Ferdinando e al pubblico.
120
L’“aria” del respiro di Cressida.
121
Le espressioni usate attingono ai linguaggi più svariati e assumono la funzione di una dissacrante comicità: kiss the mistress è un modo di dire tratto dal gioco delle bocce e del bigliardo; a kiss in free farm si riferisce alla possibilità di edificare in libertà, senza vincoli di spazio e di tempo. 122
Pandaro, oltre alla semplice funzione di mezzano, suggella un giocoso contratto tra i due innamorati che sostituisce simbolicamente il matrimonio vero e proprio, dunque il contratto religioso e legale. In Chaucer questo ruolo era ulteriormente enfatizzato, proprio nella scena che precedeva l’incontro (Cfr. Troilus and Criseyd, III, 680 sgg.). 123
Tutto il dialogo è caratterizzato dalla forte ansia di Cressida, che non si avverte né nel testo di Boccaccio né in quello di Chaucer nei quali la giovane donna, dopo le esitazioni iniziali, si rivela intraprendente e risoluta a godersi i suoi piaceri. È questa stessa inquietudine, però, che rende il
124 Invece il pubblico poteva sapere che, ad esempio, nella Faerie Queen di Spenser (III, 12) il corteo di Cupido ospitava figure allegoriche mostruose come la Paura, il Sospetto, la Crudeltà. Qui il riferimento è piuttosto agli spettacoli di corte, in cui erano frequenti allegorie più addomesticate. 125 Jean Paul Sartre dirà che l’uomo è un “dio mancato” perché il suo pensiero è infi nito e la sua capacità di agire limitata. Qui la sentenza di Troilo tocca il problema fondamentale del dramma che attraversa guerra e amore, teorie politiche e tecniche di seduzione, performance erotica e teatrale, e che ha come esito frustrazione e scacco: la sproporzione mostruosa tra desiderio e adempimento, tra ambizioni e risultati. 126
L’allusione è al giacere della donna “conquistata”, ma qui è chiaro anche il riferimento a Elena, la cui conquista, tanto faticosa, opprime ancora i troiani. Pandaro ironizza sul termine bur, di non facile traduzione e spesso usato, in senso figurato, per indicare qualcosa che non si riesce a togliere facilmente. Si può pensare alla stoppa, oppure a quelle piante che si infi lano nei vestiti: “lappole”, e simili.
127
Pandaro sottolinea la precarietà della situazione, che caratterizza tutta la breve storia d’amore tra i due personaggi.
128 Cressida, come gli altri personaggi, fatica a mantenere intatta la propria integrità – di donna come di personaggio. E, come Troilo, si sente divisa dal sentimento amoroso, che toglie lucidità e dominio di sé. 129
Le parole di Cressida ricordano quelle di Giulietta quando si pente di essere sta-
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NOTE
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ta troppo sincera nel confessare il proprio amore a Romeo (cfr. Romeo e Giulietta, II, 2, 85 sgg.). La confessione di Giulietta, però, trovava piena aderenza nel sentimento di Romeo. Qui, invece, questa corrispondenza appare fragile e ambigua fi n dall’inizio.
superbia di Achille a vantaggio di Aiace (I, 3, 312 sgg.), trasformato in un mostro di stolida forza.
130 La crescita del raccolto nei campi veniva attribuita all’azione della luna. 131
Si vedano le note a I, 2, 77 e I, 2, 98. Il futuro dei due personaggi è inevitabilmente compromesso fi n da ora, anticipato con forte ambiguità dai loro giuramenti e da queste parole di Pandaro: “è come se i personaggi fossero consapevoli del loro passato letterario, e in esso si specchiassero” (Dawson).
132
Cfr. III, 2, 12. Il termine broker indica il ruolo di Pandaro come mezzano per antonomasia, ma si riferisce anche, in senso moderno, a un ambito di scambi e di mediazioni economiche.
133
Torna, con diverso significato, l’immagine iniziale del gear (I, 1, 6). Atto III, sc. 3
134
La scena: il campo greco.
135
Il discorso ricalca quello del personaggio nel Troilo e Criseida di Chaucer (IV, 64-126), già defi nito forknowynge wise all’inizio dell’opera (“lungimirante e saggio”, I, 79). Calcante, a partire da questi testi fi no al Cavallo di Troia di Morley (dove ha il ruolo di insigne economista), diventa simbolo di machiavelliana preveggenza, della capacità di valutare con razionale lucidità i pro e i contro di ogni situazione. Qui però il vero e proprio fulcro del dramma, dei rapporti di forza e dello sviluppo decisivo dell’intreccio è Antenore, such a wrest (il “pirolo” o “bischero”, chiave che serve ad accordare gli strumenti a corda) in their affaires. 136 Si rappresenta, a partire da questo momento, la tattica di Ulisse di abbassare la
pp. 375-395
137
La fortuna, nelle riflessioni che accompagnano il declino e lo stallo di Achille, non corrisponde più, come nell’epica antica, al valore dell’eroe e al disegno del dio, ma dipende dal frenetico passare del tempo – che tutto travolge e porta all’oblio, al capriccio delle mode e delle novità – e dalla relatività dei valori e dei punti di vista, a cui sono affidati il giudizio e la fama.
138
Questa nozione di riflessività segna il passaggio tra l’etica antica, platonica e aristotelica, che fissava un valore oggettivo e aprioristico al valore individuale, e l’etica moderna della relatività dei valori (poi ripresa da Hume e Montesquieu). 139
Il lucido discorso di Ulisse segna la moderna percezione del tempo in cui tutto passa con una rapidità sconcertante: travolge, consuma, consegna all’oblio, imponendo nuove mode. Esso trova corrispondenza nelle storia d’amore di Troilo e Cressida, destinata a fi nire non appena consumata (cfr. la Nota introduttiva: Nella morsa del tempo: interpretazioni e performance).
140 Nella mitologia latina il dio delle ricchezze. 141 La condotta di Achille, oltre a essere fi ltrata dalle riflessioni sviluppate nel dialogo con Ulisse, viene ricondotta a immagini di erotismo disordinato, che confonde l’amore per Polissena con quello per Patroclo, connotato da atteggiamenti che si colorano di ridicolo. Anche in questo senso, le identità sono fortemente compromesse. 142 Weeds of peace: abito di pace, cioè civile, cioè senza l’elmo e l’armatura che nascondono le vere fattezze dell’uomo. 143 Battuta generalmente interpretata in senso sarcastico nei riguardi di Tersite, appena entrato. 144
Cfr. II, 1, 55-60.
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pp. 395-417
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NOTE
Come in precedenza Ulisse con Achille e Patroclo (I, 3, 140 sgg.), qui Tersite mette in scena una parodia di Aiace.
economici. Diomede è un personaggio perfettamente disincantato: conosce le regole del gioco (in guerra come in amore) e sa che si vince solo giocando spietatamente. Il suo linguaggio cinico e volgare esprime perfettamente questa consapevolezza.
145
146
Tersite adotta le maniere di Aiace per portare avanti la pantomima, il pageant (v. 267). Achille, invece, adotta il linguaggio della parodia del genere eroico (vv. 268272). Atto IV, sc. 1
156 L’espressione fl at ’damèd piece si riferisce sia a una damigiana scolata ed evaporata, sia ad una donna strausata. 157
Cfr. I, 1, 103; I, 2, 68 e 82.
147
La scena si svolge prima dell’alba. Antenore resta silenzioso per tutta la scena, ma “la sua presenza silenziosa può avere un potente effetto teatrale, perché incarna le forze che separano Troilo e Cressida” (Dawson).
Atto IV, sc. 2-3 158
La scena: la casa di Cressida.
159
Nella simbologia dell’araldica, un segno di coraggio e di resistenza a oltranza.
La sintassi scorretta e il ragionamento inconsistente esprimono l’imbarazzo di Troilo, il quale in queste prime battute mostra tutta l’incertezza che egli stesso aveva previsto (e che, prima ancora, Cressida aveva temuto). Mostra, cioè, di avere perduto l’interesse per la donna dopo averla posseduta. Soltanto l’allontanamento di Cressida pareggerà, paradossalmente, gli equilibri e le forze.
151
160
Sottintesa: la notte.
161
Cfr. I, 2, 240 sgg.
148 Le imprese di Diomede sono riportate nel V libro dell’Iliade, che la più recente edizione (1990) riporta con il titolo Le gesta di Diomede (pp. 147-195). 149
In realtà, tutte queste sfide sono sempre sospese, oppure differite.
150
Venere e Anchise erano i genitori di Enea.
152
Sul rapporto paradossale tra l’amore più grande e il più intenso desiderio di uccidere è incentrata tutta la pièce teatrale di Giraudoux La guerra di Troia non si farà (cfr. qui, Nota introduttiva).
153
Paride allude (o indica) Diomede e Antenore, presenti ma rimasti in silenzio sullo scopo della loro visita.
154 Nel Filostrato, quando Pandaro gli offre la possibilità di vedere Criseida, Troilo lo abbraccia e lo bacia contento come se gli fossero state donate “mille Troia” (II, 81, 4); così per Chaucer: A thousand Troyes whoso that me yave [….] Ne myghte me so gladen; lo myn herte, / It spredeth so for joie it wol tosterte! (“…neppure mille Troia a dominare […] poteva rallegrarmi così tanto, ché sento il cuore prossimo allo schianto”, Chaucer, Troilo e Criseida, II, 977-980). 155
I costi di ogni guerra sono umani ed
162
Allusione maliziosa alla perdita della verginità o all’atto sessuale.
163
In italiano nel testo, per “sciocchina”, “sempliciotta”.
164
Al pubblico, le parole di Cressida suonano ambigue come i suoi giuramenti, vera e propria profezia avverata. Atto IV, sc. 4 165
La scena: davanti alla casa di Cressida.
166
La recitazione deve prevedere questa corsa affannosa che stringe i tempi, il ritmo, e muove tutto verso la fine (Cfr. Nota introduttiva: Nella morsa del tempo: interpretazioni e performance). 167 L’immagine anticipa quanto avverrà: Troilo involontariamente immola Cressida sull’altare di Diomede, che sarà il carnefice del loro amore.
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NOTE
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Atto IV, sc. 5
1488). Come nel Filostrato di Boccaccio e nel Troilo e Criseida, inoltre, Troilo viene meno alle proprie qualità di eroe: non raggiunge Cressida al campo greco e ridimensiona le proprie virtù eroiche fino a giustificare involontariamente il tradimento.
168
La scena: interno nella casa di Cressida. 169
L’amore che confessa Cressida è, almeno in questo momento, descritto come assoluto, privo di impurità (qualifying dross); e così il suo dolore. 170
Il tempo (suddenly … beguine … the rude brevity… injurious time) e il caso (chance) convergono nel separare gli innamorati. Anche la Storia irrompe in scena attraverso altre metafore che identificano i personaggi in merci rubate e ammassate. I baci diventano stelle, a loro volta paragonate alla refurtiva di un ladro frettoloso (cfr. Apocalisse, 3, 3: “se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te…”), ad alimenti guastati dal sale delle lacrime.
171
No remedye (Chaucer, Troilo e Criseida, V, 1270).
172
Il richiamo alla fedeltà è sempre ambiguo, doppio, perché i personaggi e gli spettatori interloquiscono con le attese suggerite dalla tradizione: Cressida deve essere infedele e Troilo deve essere tradito. Tale ambiguità non solo suggerisce che, contro la volontà dei due personaggi (e degli attori che li rappresentano), la storia andrà secondo i suoi modelli, ma indica anche il pericolo e l’inadeguatezza della parola, la difficoltà degli innamorati di comunicarsi sinceramente i loro sentimenti più profondi. 173 Sleeve, “manica”, ai tempi di Shakespeare era staccabile dal vestito. 174
Nel riferirsi alle virtù dei Greci, qui Shakespeare riscrive il testo di Chaucer: Ye shal ek seen so many and lusty knyght / Among the Greeks, ful of wortynesse, / And ech of hem with herte, wit, and might / To plesen yow don al his bisynesse, “E ancor vedrai gagliardi cavalieri, / nell’oste greca, e tutti valorosi, di grande cuore e possa, e molto fieri di esser piacenti e premurosi” (Chaucer, Troilo e Criseida, IV, 1485-
pp. 417-437
175 Semplicità e sincerità non sono più le qualità del nobile cavaliere, ma di chi è destinato ad essere sconfitto. Diomede spicca invece per scaltrezza e falsità. Troilo, inoltre, si rivolge a lui secondo le formule del codice cortese, mentre il suo antagonista dichiara provocatoriamente che risponderà soltanto alla propria voglia.
Atto IV, sc. 6-7 176 La scena: nella terra di nessuno, fra il campo greco e la città di Troia. 177
Si prepara in termini grotteschi quell’eroico duello che non si concluderà.
178
È passato poco tempo dalla separazione da Troilo, ma il personaggio di Cressida appare completamente trasformato, adeguandosi alla nuova situazione e tenendo testa ai soldati greci forse per non soccombere alla loro violenza.
179
I termini popped e hardiment contengono doppi sensi osceni.
180
Anche Cressida scherza sul tradimento di cui è stato vittima Menelao.
181
Secondo Rossiter qui l’espressione è giocata sullo slittamento di significato tra Trojans’ trumpet (“la tromba dei Troiani”) e Trojans’ strumpet (“la puttana dei Troiani”, commento corale alle parole di Ulisse).
182
Sono le norme tipiche dei duelli cavallereschi medievali.
183
Il duello tanto atteso tra Aiace ed Ettore sfuma perché i due soldati si scoprono cugini: la madre di Aiace è Esione, sorella di Priamo (cfr. II, 2, 79, e nota). L’edizione che seguiamo fa uscire i due contendenti al momento del loro duello, che potrebbe invece essere efficacemente rappresentato in scena.
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pp. 439-459
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NOTE
Come nei testi di Boccaccio e di Chaucer, Troilo trionfa in battaglia solo dopo l’abbandono e il tradimento di Cressida. Il ritratto serve a sottolinearne il valore, e dunque a rendere più stridente e ingiustificata l’offesa.
a un raccapricciante banchetto a cui seguirà, nell’atto seguente, il massacro di Ettore da parte dei Mirmidoni.
184
Atto V, sc. 1 194
185
L’edizione che seguiamo ripete due volte il suo nome (vv. 99 e 111), collegato per tradizione al destino di Troia.
186 La parentela di sangue scongiura il duello, perché l’immagine del sangue stesso unisce, supera le barriere di stirpe e di religione. Qui l’amore tra Ettore e Aiace assume però toni grotteschi e paradossali. 187
Neoptolemus è epiteto non di Achille, chiamato con il patronimico Pelide, ma del figlio Pirro. Tuttavia è a lui che ci si riferisce.
188
Tutti, spettatori compresi, sono ansiosi di sapere l’esito del duello perché ad esso è affidato il destino di Troia e del ritorno in patria.
189 Il tempo passato e futuro, strewed with husks / And formless ruin of oblivion, ha travolto anche le immagini di eroismo con cui era descritto Ettore. Nestore rappresenta spesso, non senza ironia, la memoria di questo passato. 190
Allusione agli amori di Venere e Marte, irregolari secondo un’etica post-pagana.
191
Laomedonte, che innalzò le mura di Troia.
192
Shakespeare può avere letto la profezia nei Recuyell of the Historyes of Troye di Caxton (III, 8). Qui i personaggi vedono già Troia alla luce delle sue rovine.
193
Nell’Iliade, la guerra di Troia si avviava alla conclusione con il duello tra Ettore e Achille, che uccideva l’avversario per vendicarsi della morte di Patroclo (XXII). In questo dramma il duello è sostituito dallo scontro, inconcludente, tra Aiace e Ettore, che nel testo omerico occupava il libro VII. Inoltre, l’epica sfida tra i due massimi eroi si limita a questa reciproca osservazione e
La scena: davanti alla tenda di Achille.
195
Se il vino serve ad “accendere il sangue”, accentuando gli aspetti irrazionali degli uomini (cfr. Antonio e Cleopatra, II, 7; Otello, II, 3, 45 sgg.), la scimitarra, per contro, ha la funzione di “raggelarlo” per la paura e la morte che può infl iggere. Tale arma appartiene al costume turco o persiano e suggerisce anche un accostamento tra la ‘grecità’ e la ‘barbarie’, come farà Tersite successivamente (the Grecians begin to proclaim barbarism: V, 6, 15).
196 Patroclo allude al rimprovero che veniva rivolto a Achille, di restarsene nella tenda rifiutando di combattere. Tersite però equivoca sulla presenza nelle tende degli ospedali da campo. 197
Nel quinto atto Tersite si fa più esplicito cantore di questi eroi incerti e corrotti, e delle degenerazioni della guerra. Quelle qui elencate sono tutte malattie veneree, nelle loro più raccapriccianti manifestazioni. 198
Con il termine water fly Amleto presenta Osric a Orazio (Amleto, V, 2, 83: Dost know this water fly?, “Conosci questa libellula?”).
199
Si allude sempre a Polissena, ma in realtà l’amore di cui parla la tradizione (Euripide, Ecuba e Troiane; Seneca, Troadi) è qui soltanto un pretesto per indicare gli amori disordinati di Achille e la sua inettitudine. Come le altre, infatti, per lo spettatore anche quest’attesa di eroismo è delusa e tradita. 200
Tersite indica i soldati, che arrivano con le torce, come spiega la didascalia successiva.
201
Si suppone che, dopo il banchetto, questi personaggi siano ubriachi e che, appunto, sbaglino strada.
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NOTE
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202 L’important business è l’incontro imminente con Cressida. Si veda il commento successivo di Tersite (vv. 80 sgg.).
209
203
Ho cercato di rendere così il modo di dire Brabbler the hound, usato per indicare un segugio dal nome parlante (brabble significa rumoroso bisticcio). Infatti, abbaiando a sproposito, non indica mai la preda giusta. Atto V, sc. 2 204 La scena: davanti alla tenda di Calcante. 205
Si può pensare che Calcante, nel suo ruolo di personaggio traditore e doppiogiochista, favorisca il rapporto tra Cressida e Diomede.
206
Dawson suggerisce che la scena si svolga su tre differenti piani, con Diomede e Cressida al centro, Troilo e Ulisse da una parte, e Tersite a poca distanza. Quest’ultimo tiene d’occhio sia Diomede e Cressida sia Troilo e Ulisse, con i quali comunica. In funzione metateatrale, inoltre, i tre personaggi che commentano la scena duplicano la reazione degli spettatori. La dislocazione visiva frantumata può costituire anche una metafora teatrale della successiva duplicazione di Cressida da parte di Troilo, con la dichiarazione della rottura dei principi di verità, unità, sacralità e fedeltà (V, 2, 135 sgg.).
207
Le parole di Tersite hanno la funzione di liberare il linguaggio di Diomede e di Cressida da ogni ipocrisia, lasciando emergere soltanto le forme della sessualità più diretta e volgare.
208 La pazienza, qui continuamente evocata, si impone come cura del pathos nei momenti di più intensa tragicità. I due termini hanno infatti la stessa radice etimologica: cfr. Re Lear, II, 2, 445 sgg.: You heavens, give me that patience, patience I need, “Cieli, datemi la pazienza, di pazienza ho bisogno!”.
pp. 461-477
La Lussuria (Lechery), uno dei sette peccati capitali, qui è personificata dall’immagine fisica del fondoschiena e di un dito della patata dolce, considerata un afrodisiaco. La lussuria dovrebbe friggere e bruciare nelle fiamme dell’Inferno. In Romeo e Giulietta, Mercuzio parlava dell’amore in termini simili, alludendo alla Regina Mab e al suo potere sugli innamorati (I, 4, 55 sgg.).
210
Cfr. IV, 5, 69-70. Questi oggetti diventano il simbolo dell’avvenuto tradimento e, in particolare, del passaggio della donna da un uomo all’altro. Come dimostra l’insistenza di Diomede per sapere di chi fosse, l’oggetto fi nisce per sostituire la persona.
211
Boccaccio insiste molto sull’invidia di Diomede quale motore della sua azione, fi n dal primo incontro con i due innamorati (cfr. Filostrato, V, 13, 4-8).
212
Le stelle sono ancelle della Luna, chiamata con il nome di Diana, dea della castità. 213 La prospettiva anamorfica condiziona sia la percezione della realtà e dei sentimenti per Cressida, sia la percezione del tradimento e di Cressida stessa da parte di Troilo (Thorne). 214
L’uso del verbo co-act ha una risonanza metateatrale: realtà e recitazione si confondono, come anche realtà e apparenza, menzogna e verità, evidenza e qualità morale.
215 Il discorso che Troilo propone come sillogismo, in nome del sistema di valori tramandato dalla tradizione a fondamento dell’etica, si rivela in realtà un paralogismo, ossia un sillogismo imperfetto. Come le teorie iniziali di Troilo e dei troiani mettevano in discussione l’etica classica (I, 2), così ora l’evidenza del tradimento di Cressida segna il crollo di tutti i valori (platonici e cristiani in primis) considerati alla base dei rapporti tra gli uomini e con la società che li unisce. La follia del discorso è che esso
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pp. 477-489
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NOTE
diventa reversibile, capace di dimostrare tutto e il contrario di tutto, come la parola dei sofisti. La ragione, in defi nitiva, non è più il punto di riferimento della verità.
221 L’episodio è una riscrittura dell’episodio omerico dell’incontro tra Ettore e Andromaca (cfr. Iliade, VI, 370 sgg.).
216
Passo oscuro, forse sul convergere di vicinanza e lontananza, di verità e menzogna, che utilizza la connessione, o confusione, di due miti dell’antichità, quello di Aracne e quello di Arianna: nel libro VI delle Metamorfosi si racconta di come Aracne, figlia del tintore di porpora Idmone di Colofone, abilissima nella tessitura, avesse sfidato Atena in quell’arte dipingendo un arazzo con gli amori degli dèi, e avesse poi tentato il suicidio perché la dea, invidiosa, le aveva distrutto il lavoro. La dea avrebbe poi trasformato Aracne in ragno, e la corda alla quale si era impiccata nella tela dell’insetto (Ovidio, Metamorfosi, VI, 5 sgg.; cfr. Virgilio, Georgiche, IV, 246 sgg.; Dante, Purgatorio, XII). È però possibile che il testo si riferisca anche ad Arianna, protagonista del celebre episodio del labirinto di Creta, colei che aveva liberato Teseo dal Minotauro (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 160 sgg.). È curioso che anche in questo passo, a proposito del labirinto, si parli di un effetto ottico capace di infrangere la visione realistica di una geniale opera di architettura dove l’occhio si perdeva in errorem variarum ambage viarum (“nell’erroneo vagare tra le diverse vie”, VIII, 161). 217 Here può alludere all’espressione della passione nella recitazione stessa, sul palcoscenico. Cfr. Amleto, II, 2, 550 sgg.
222 Cassandra e Andromaca diventano maschere ieratiche di un’etica affondata nel passato, per cui anche le motivazioni dei giuramenti (lo ha detto Troilo nella scena precedente: V, 2, 139-140) sono ormai svuotate. 223 Da una parte, Andromaca richiama il precetto cristiano sull’importanza dei voti (cfr. Dante, Paradiso, “Non prendan li mortali il voto a ciancia”, V, 63); dall’altra la donna vuole discostarsi dalla brutalità e dalla gratuità della pratica antica del sacrificio (di animali e di persone; si pensi all’episodio di Ifigenia, ricordato da Lucrezio come esempio di scellerata religio: Lucrezio, La natura, I, 80 sgg.). 224
Troilo non dice nulla, né la didascalia rivela questa intenzione, ma è il piglio, la furia del ragazzo, oltre all’armatura che indossa, a dare l’idea che voglia combattere. Come nel Filostrato e nel Troilo e Criseida, il vero eroismo di Troilo si scatena solo dopo l’abbandono, sia perché il personaggio comincia a nutrire un vero odio per il nemico sia perché riversa nella battaglia tutto quell’eros che gli è negato. Per questo Ulisse riferirà la sua straordinaria impresa in termini di Mad and fantastic execution (V, 5, 38) – quell’excution che egli stesso, in amore, aveva defi nito limited (III, 2, 79).
225 Si consideri il ricordo di Nestore (IV, 5, 185 sgg.). 226
Atto V, sc. 3
Cfr. Chaucer, Troilo e Criseida, V, 1800-1804: The wrath, as I bigan yow for to seye, / Of Troilus the Grekis boughten deere, / For thousandes his hondes maden deye, / As he that was withouten any peere, / Save Ector, in his tyme, as I kan heere (“Di Troilo quell’ira, quel furore, ai Greci assai caro ora costava, a mille a mille li colpiva al cuore ad in questo nessuno l’uguagliava se non Ettore, quando battagliava”).
220
227
218 Il parossismo di questa maledizione ricorda l’apostrofe di Lear, anche lui in preda al dolore e allo sconforto per il tradimento, al temporale che si sta scatenando (III, 2, 1 sgg.). 219
Altra allusione agli amori disordinati dei Greci.
La scena: il palazzo di Priamo.
Con questa battuta Troilo, che non
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NOTE
TROILO E CRESSIDA
vuole vedere la verità, si riferisce a Cassandra che la vede profeticamente. Il duro contrasto tra i due è presente anche nel Filostrato e nel Troilo e Criseida, in riferimento, però, al tradimento di Cressida (Cfr. Boccaccio, Filostrato, VII, 86-102; Chaucer, Troilo e Criseida, V, 1450 sgg. e 1520 sgg.).
234
228 La profezia di Cassandra descrive, attraverso una visionarietà allegorica, ciò che la tradizione ha già scritto (in un certo senso, ciò che è già avvenuto) e che puntualmente si verificherà alla fine del dramma. 229
Antics erano gli atti dei clown, o di personaggi grotteschi presenti in drammi come The Duchess of Malfi (1614) di John Webster e The Changeling (1622) di Thomas Middleton e William Rowley.
230 L’augurio stand about thee può essere ambiguo. Saranno poi i Mirmidoni a circondare Ettore. 231
Pandaro diventa il simbolico ricettacolo di tutte le malattie, le stesse diagnosticate da Tersite, che rappresentano la perversione di sentimenti e ambizioni che accomuna Greci e Troiani. Atto V, sc. 4-11
232
La scena: il campo di battaglia.
233
Il termine clapper-clawing ( lett. combinaz. di “applauso” con “artigliare”) non si riferisce soltanto al rumore delle armi, ma anche al battito delle mani del pubblico. Esso compare curiosamente nella prefazione all’in quarto del 1609, scritta – probabilmente non da Shakespeare – in forma di lettera da un never writer (“mai-scrittore”) a un ever reader (“sempre-lettore”): Eternal reader, you have a new play, never staled with the stage, never clapper-clawed with the palms of the vulgar… (“Eterno lettore, eccoti un nuovo dramma, mai consumato dal palcoscenico, mai applaudito da mani volgari…”). L’espressione ricorda anche il rumore dei diavoli dell’Inferno (III, 27).
pp. 489-497
Uno dei fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana.
235 L’immagine ricorda l’espressione di Ulisse dell’universal wolf (I, 3, 121) e riprende il Sonetto 129 di Shakespeare The expense of spirit in a waste of shame / is lust in action (“Sperpero dello spirito in profusione inutile di vergogna / è la lussuria in atto…”). 236 Come si capisce dopo, Diomede vanta una vittoria fasulla. Il tono cavalleresco è smaccatamente in contrasto con la sua viltà e le sue menzogne, e si riferisce sempre alla conquista di oggetti. Anche Agamennone, nella battuta successiva, si fregia della retorica e del linguaggio epico e cavalleresco. Tutte queste scene fi nali, comunque, sono caratterizzate dal contrasto grottesco tra il tono epico e il fallimento, totale o parziale, delle azioni compiute. 237
Nella mitologia (e ora fra le costellazioni celesti) un centauro armato di arco e frecce; il riferimento può essere a Ettore, che compare nelle parole di Nestore in groppa al suo cavallo, Galate.
238
La presenza del corpo morto di Patroclo in scena, che l’ed. Oxford rende evidente con l’aggiunta della didascalia, ha sicuramente un forte impatto emotivo nel pubblico, che trova nella teatralità espressione fisica delle parole di Omero. Per contro, l’incontro con Achille avviene fuori scena, senza che sia dato di vedere la sua reazione di fronte al corpo dell’amico come avviene invece nell’Iliade (Dawson). 239
La metafora è frequentissima nell’epica antica, proprio in riferimento alla morte di giovani eroi come Troilo (Q. Smirneo, Postomerica, IV, vv. 430-35), ed Eurialo (Virgilio, Eneide, IX, 435 sgg.).
240
I Mirmidoni, che sostituiranno questo vigliacco Achille nell’uccisione di Ettore, sono rappresentati come mostri, veri e propri emblemi della ferocia distruttiva della guerra: corpi mutilati, senza naso come la morte, ridotti a schegge umane, a zombi kamikaze.
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TROILO E CRESSIDA
NOTE
241 Ennesimo momento di sospensione di uno scontro, tra i due eroi stanchi e incapaci di combattersi.
no i versi successivi di Troilo: Frown on, you heavens; effect your rage with speed, X, 11, 6).
242 Shakespeare defi nisce l’eroismo di Ettore attraverso questo episodio dai toni allucinatori: non potendo scontrarsi con Achille, come tradizione vuole, Ettore si scatena contro un’armatura luminosa e vuota, simbolo o feticcio di un gusto per la guerra fi ne a se stesso, sempre più folle.
247 La divaricazione tra la scelta shakespeariana di fare uccidere Ettore dai Mirmidoni e il testo omerico (Iliade, XXII) si ricongiunge qui, nella scena topica del corpo di Achille trascinato dai cavalli.
243
Il comando rivolto da Achille ai Mirmidoni è tratto dal Recuyell of the Historyes of Troye di Caxton (638-639) e dai Troye Boke di Lydgate (IV, 2647-2667). In questi testi Achille impartisce loro questi stessi ordini quando, più avanti, intenderà uccidere Troilo.
244
Ma è chiaro, dalla frase precedente (V, 8, 4) che Menelao ha la meglio.
245 È interessante notare come nel dramma di Thomas Heywood The Iron Age, in una scena strutturalmente simile, Tersite incontri non il Bastardo né Margaretone, ma Troilo. I due personaggi si rivolgono battute che sottolineano l’antieroismo di Tersite: TROILUS: Stand if thou bee’st a souldier, do not shrinke; THERSITES: Are not thou Troilus, young and lusty Troilus?; TROILUS: I am, what then?; THERSITES: And I Thersites, lame and impotent, / What honour canst thou get by killing mee? / I cannot fight; TROILUS: What mak’st thou in the field then?; THERSITES: I came to laugh at mad-men, thou art one (“TROILO: stai in piedi se sei un soldato, non ritirarti; TERSITE: sei tu Troilo, il giovane e vigoroso Troilo?; TROILO: sì, sono io, e allora?; TERSITE: e io Tersite, zoppo e incapace. Quale onore potresti ricavare dall’uccidermi? Non so combattere; TROILO: che ci fai in campo, allora?; TERSITE: vengo per ridere dei matti, e tu sei tra quelli”, Heywood, p. 9). 246
L’immagine del contrasto tra brillante armatura e corpo in decomposizione anticipa tutto questo paesaggio di morte, dai toni sanguigni e apocalittici (si veda-
248
Queste figure mitologiche si riferiscono a forme di estrema devitalizzazione. Per il mito di Niobe, cfr. Ovidio, Metamorfosi, IV, 148 sgg. La pietrificazione si riferisce invece agli episodi di Perseo e di Medusa (ivi, IV, 782-786 e V 210 sgg.). 249
Achille.
250
La caduta è motivo topico essenziale del genere tragico, dalla Poetica di Aristotele al The Fall of Princes di Lydgate. Tuttavia, questa non-tragedia si conclude con la caduta di un non-potente, di un meschino trafficante di carne umana, divenuto fulcro involontario e complice di una catastrofe individuale (la separazione di Troilo e Cressida) e collettiva (la guerra di Troia) che avviene senza catarsi, tra il brusio dell’ape e questi versi un po’ folli che scendono sul pubblico come tetro testamento o squallida malattia.
251
Dall’avv. deittico here (v. 21) si desume che il dramma sia stato messo in scena nelle Inns of Court, i collegi per la professione forense (tuttora funzionanti), dove si depositavano i testamenti, e che la compagnia preparasse una replica fra due mesi. L’ipotesi è però indebolita dal fatto che gli avvocati non erano propensi a tematiche come quella di T&C; i soli testi shakespeariani che risultano essere stati presentati a quel pubblico sono due commedie, La commedia degli errori e La dodicesima notte.
252
Il riferimento a luoghi e abitudini manifestamente appartenenti all’Inghilterra contemporanea ricorre in parecchi inizi e anche in fi nali teatrali dell’epoca. CHIARA LOMBARDI
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nico) rispetto a uno dei nodi tematici del dramma: rivelare e nascondere, essere e apparire (sotto travestimento o ipocrisia), scoprire, insomma, il vero volto della natura umana e del buon governo.
Atto I, sc. 1 1 Sulla base dei riferimenti topografici interni al testo, la scena è da collocare a Vienna, nel palazzo del duca. 2
Strength = “forza”, qui vale per “potere intellettuale”.
3
Verso ipermetrico e corrotto. La maggior parte delle edizioni preferisce that a this. Tuttavia, “questo” (e non “quello”, ovvero strength) salva l’ambiguità del testo, perché lo si può riferire sia a quanto segue e dare enfasi alle capacità di Escalo, come propone l’edizione Oxford (Jowett), sia a quanto il duca ha spiegato in precedenza.
4
Nell’originale: pregnant = “pregno”, “ricco della conoscenza giusta”; il termine ritorna in II, 1, 23 con il significato di “è chiaro, evidente, palese”. Entrambi i valori ricorrono altrove in Shakespeare (cfr. C. T. Onions, A Shakespeare Dictionary, Oxford, 1953), e mai con connotazioni legate alla sfera sessuale. Parimenti, unpregnant, in IV, 4, 18, ha il senso di “svuotato, impotente”.
5
“Figura”: volto, immagine, tratto individuale o aspetto e modo del governare, come riprodotti nell’effigie del sovrano impressa, secondo l’uso antico e rinascimentale, su un sigillo, una moneta o una medaglia: di solito una testa, sineddoche, nella teoria organicistica dell’epoca, per il “corpo” dello Stato e dei suoi “organi”. Si innesta qui, e si espande poco avanti, il motivo del conio, che sarà affiancato dal concetto dello stampo divino sulla natura umana.
6
Soul, come più avanti al v. 66, è l’anima razionale. 7
Character = “scritta” o “marchio”.
8
Rispecchiandosi nel verso di apertura, il verbo to unfold = “spiegare”, “svelare”, per di più rafforzato da allitterazione (Fully unfold), si conferma in questa scena termine anaforico (e nel secondo caso iro-
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9
Le torce rimandano alla parabola della lucerna in Luca (8, 16) e in Matteo (5, 14-16). L’idea che la virtù deve illuminarsi nell’azione è di cultura classica. Nel suo trattato politico Basilikon Doron (1604) Giacomo I la riprende in termini che risuonano nel discorso del Duca: dovere dei governanti, scrive il re, è fare delle proprie persone “lampade luminose”; essi non devono trattenere “prigioniere in se stessi le buone qualità e le virtù di cui sono dotati, che devono invece impiegare e mettere in atto” (cfr. J. W. Lever in Riferimenti bibliografici).
10
Si espande la metafora monetaria nell’intreccio lessicale che coinvolge il prestito (lends), il credito e gli interessi (use). Secondo l’Oxford English Dictionary (d’ora innanzi: OED) solo nell’Ottocento il termine issue (reso qui con “esiti”) è stato applicato all’emissione monetaria, una referenzialità coerente con il contesto, che si mantiene in traduzione con un metaforico “conio” per touched = “testare metalli preziosi”, un senso sostenuto da scruple = un’unità di peso nell’oreficeria, l’“oncia”. Il concetto della natura che elargisce un credito a interesse (un’usura), diffuso nel discorso rinascimentale, è senechiano (De beneficiis). Shakespeare lo usa nei Sonetti (4, 6 e 9), in cui si illustra come la natura presti la vita all’uomo perché la investa nella procreazione (issue).
11
Gli porge il mandato dandogli confidenzialmente del “tu”. Lo farà ancora in un paio di occasioni con altro intento, ma in genere, con Angelo, il duca userà il più formale “voi”.
12 Mercy, qui reso con “misericordia” (e si noti la contiguità allitterativa e avversativa con mortality), copre sia la sfera religiosa che quella legislativa. Dato il doppio registro del dramma, in seguito, e a seconda
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del caso (non sempre univoco), la sua referenzialità sarà scissa in italiano in “misericordia”, divina o umana, e “clemenza”, termine più pertinente al registro linguistico della giustizia.
mento riguardi il tentativo di Giacomo I di porre fi ne alla guerra con la Spagna degli Asburgo. Come fa capire Lucio, una pirateria inglese, deprecata da Giacomo, aveva tratto profitti da quella situazione, depredando navi spagnole. La pace, che poneva fi ne a tali vantaggi e riportava a Londra un folto numero di avventurieri, fu firmata il 18 agosto 1604, una data che permette di collocare la scrittura del dramma nella seconda metà di quell’anno. Terri Bourus (2016), invece, sposta la referenzialità storica a eventi del 1621-1622, gli anni in cui Thomas Middleton avrebbe riadattato il testo.
13 In questi versi il paradigma costituito da “figura, metallo, stampo, conio” si chiude a grappolo. Come aggettivo noble si applicava anche a metalli resistenti all’ossidazione; come sostantivo designava un’antica moneta d’oro equivalente oggi a un terzo di una sterlina; metal (o mettle) era usato al tempo anche per indicare la “tempra”, il carattere di un uomo. Angelo sembra dubitare, forse per celia, della propria adeguatezza a rappresentare la figura regale in fi ne e inossidabile metallo. 14 Scope, fra i termini più ricorrenti, ha il senso di “spazio”, “potestà”, “raggio di azione”. Sarà reso variamente a seconda del contesto. Il passo è anaforico, perché le parole del duca annunciano la tensione principale del dramma: egli invita ad applicare la legge, che è cardine del consorzio sociale, ma con misura e secondo coscienza. 15
Una probabile allusione a Giacomo I, il quale rifuggiva da manifestazioni di pubblico entusiasmo verso la sua persona. Tuttavia, come Elisabetta, egli amava inscenare per sé una sovranità assoluta. A tal fi ne, l’uso di to stage (“mettere in scena”) qui è rilevante. Atto I, sc. 2
16 17
La scena: una strada di Vienna.
Secondo Dover Wilson l’allusione rimanderebbe al trattato di Zsitvatorok (1606), un insediamento allora nel regno di Ungheria, che dava tregua al confl itto Ottomano-Asburgico e assicurava per qualche tempo una stabilità di confi ni. Shakespeare avrebbe quindi rivisto la commedia nel 1606 (cfr. l’edizione di Measure for Measure, curata con A. Quiller-Couch, in bibliografia). È più probabile che il riferi-
18 Gioco di parole tra Hungary (Ungheria) e hungry (affamato). In traduzione si è cercato di mediare. In effetti, volontari inglesi malpagati erano allora di servizio in Ungheria nella guerra contro i Turchi. 19 Scambio di battute mirato velatamente alle controversie religiose in Inghilterra fra cattolici e riformatori protestanti che discordavano sulla teologia della grazia, dipendente dalle opere e dalla fede per gli uni, e dalla predestinazione per gli altri. Lucio allude alla questione, per poi risolverla in modo evasivo. 20 Kersey, rozzo tessuto di lana inglese: dal villaggio di Kersey nel Suffolk. 21 Si parla del “mal francese”, o sifi lide, introdotta probabilmente dalle Americhe, che procurava la calvizie: il liscio “velluto”. Pilled (participio passato di to pill = privare dei capelli) è pil’d in F, reso da altri curatori con piled, equivalente a peeled = pelato. La variante non cambia il significato. Se la si intende come “corona di calvizie”, anche la “corona francese” (una moneta) del v. 50 allude all’infezione. 22 La cura mercuriale per la sifi lide procurava piaghe sulla lingua. Ne consegue il “tocco doloroso”. 23
Nelle scarne didascalie di F, Madama Sfondata e Pompeo sono sempre introdotti come Bawde = “mezzana” e Clowne =
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NOTE
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“buffone”. Overdone: si dice di cosa che è stata sottoposta a un uso eccessivo. Varie le traduzioni italiane: “Strafatta” (Praz e Lombardo), “La Spanata” (Ludovici), “Stracotta” (Squarzina), “Sfondata” (Perosa e Serpieri). Baldini preferisce non tradurre né questo né gli altri nomignoli.
guerra con la Spagna, la peste e le malattie veneree. La “forca” rimanda alla punizione di comuni reati o, più contestualmente, alle esecuzioni per tradimento dei partecipanti al Main Plot e al Bye Plot (1603), i complotti politici e politico-religiosi, orditi contro Giacomo I, in cui fu coinvolto, fra gli altri, Walter Raleigh. In queste occasioni il re fece ricorso sia a teatrali (e crudeli) messe in scena di applicazione della sentenza capitale sia a varie soluzioni di clemenza. Le sudorazioni (sweat) erano cura per la sifilide.
24
Secondo l’OED questo è il primo esempio dell’uso di Madam per designare ironicamente una prostituta o la mezzana. “Mitigazione”: perché allevia le caldane dell’appetito sessuale.
25
Calembour fondato sull’omofonia tra dolours = “dolori” e dollars = “dollari”. Il dollaro era allora il tallero tedesco d’argento. Si veda anche La tempesta (II, 1, 19-20) e Re Lear (II, 2, 229). Per non perdere il nesso con l’elemento monetario, il conteggio e la “corona” francese, in italiano si sono mantenute le due valenze. 26
Gioco di parole su sound nel doppio senso di “sano” e di “suono”, o “suonato” in italiano, come di oggetto che risuona perché vuoto dentro. La sifi lide danneggiava le ossa.
27
Un eufemismo per indicare malattie veneree, come sopra le ossa “vuote”. 28 Allusione al proclama di re Giacomo del 16 settembre 1603 sulle demolizioni nei sobborghi di Londra, dove abbondavano le case di piacere. L’ordinanza non mirava apertamente a colpire i bordelli, come fanno capire il gentiluomo e Pompeo, bensì le case infettate dalla peste del 1603-1604. Le precauzioni contro i bordelli erano già state adottate nel 1596, quando il Privy Council ordinò di sopprimere ogni tipo di casa sospetta nei sobborghi, un’iniziativa poi ripresa da Elisabetta con un decreto del 22 giugno del 1602 che includeva nella prescrizione anche il centro di Londra. Se Shakespeare intende alludere a questi dati topici, fonde diversi provvedimenti legali scadenzati nel tempo. 29
Madama Sfondata si preoccupa dell’andamento dei suoi affari, messi in crisi dalla
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30 Da questo punto fi no all’uscita di scena di Madama Sfondata e Pompeo (v. 107) l’edizione Oxford propone la versione abbreviata del passo attribuita a Thomas Middleton, priva del ridondante annuncio di Pompeo dell’arresto di Claudio, una notizia di cui si è già fatta portavoce Madama Sfondata. Per la versione di F (più lunga di sette versi), che non dà conto dell’entrata in scena di Giulietta, si vedano le “Aggiunte al testo”. 31
Un comico rimando alla cecità di Cupido, la cui immagine era spesso usata come insegna delle case di prostituzione. 32 Un’eco dalla Lettera ai Romani (9, 146): “Che diremo dunque? Che c’è ingiustizia in Dio? No, certo. Egli disse infatti a Mosè: ‘Io userò misericordia a chi mostro misericordia, e avrò compassione di chi ho compassione’. Dunque non dipende da colui che vuole, né da colui che corre, ma da Dio che mostra misericordia”. Il problema della cattiva amministrazione della giustizia viene introdotto attraverso questa allusione al mistero della giustizia divina che non esclude il ricorso all’uso della misericordia, termine chiave nel dramma. Con audacia Claudio accosta velatamente la punizione stabilita da Angelo a un complesso nodo teologico (predestinazione, grazia, perdono), implicando tuttavia che la giustizia umana, rappresentata dal rigore di Angelo, non può essere misurata con l’imperscrutabilità del disegno divino. D’altro canto, l’idea che l’“Autorità” (“questa se-
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midea”), avesse attributi divini era parte dell’ideologia elisabettiana della regalità.
nite perché non usate da tempo, ovvero da diciannove anni, o giri dello zodiaco. In F gli anni sono quattordici, contraddittoriamente con quanto si dirà in I, 3, 21.
33
Restraint è un altro termine tematico nel dramma. Esso è contrapposto a liberty, surfeit, licence e scope. Qui include anche la restrizione fisica delle catene.
34
Surfeit è letteralmente “eccesso” o “dismisura” (o “ingordigia”, come in questo caso), un complesso di desideri (emozioni, libido) che rappresenta “la nuova hybris della creatura tragica” (N. Fusini in bibliografia, p. 38). Fusini rintraccia la fonte del termine nelle Confessioni di Agostino e nella Summa di Tommaso, dove esso traduce “abundantia, licentia, luxuria”. Al surfeit, “all’eccesso, dovrà corrispondere un forfeit, il fio” (N. Fusini, p. 194). Il termine forfeit è usato più volte nel dramma anche in rapporto alla colpevolezza dell’uomo a seguito del peccato originale (II, 2, 75). 35
Le parole di Claudio sono impastate di espressioni proverbiali in uso al tempo. Tutto il dramma è intessuto di sententiae, ben note al pubblico di allora, e oggi rintracciabili in A Dictionary of Proverbs in England in the Sixteenth and Seventeenth Centuries di M. P. Tilley (1950). Si segnaleranno solo i casi più significativi e meno vicini al repertorio italiano.
36
Si riferisce al contratto di matrimonio chiamato sponsalia per verba de praesenti, stipulato con giuramento e alla presenza di testimoni. Aveva pieno valore legale anche senza la ratifica della cerimonia religiosa (ma c’erano dispute a riguardo). Come si vedrà, il caso di Mariana e Angelo è lievemente diverso.
37
Secondo l’OED propagation ha il significato sia di “procreazione, riproduzione” sia quello più obsoleto di “aumento in quantità, fruttuosità”. Quest’ultimo sembra meglio applicarsi al caso del denaro. 38
Ampio campo metaforico in questo passo non perfettamente lineare. In sostanza: lo Stato è paragonato a un cavallo da domare, e le leggi sono come armature arruggi-
39 Evidente sottinteso osceno: il tick-tack era una sorta di backgammon, tric-trac in italiano e francese.
Atto I, sc. 3 40
La scena si ambienta nella cella di un frate di nome Thomas in F (in seguito Peter).
41
Wrinkled = “pieno di rughe” come una persona anziana. Il duca vuole dire che il problema lo ha esaminato e riesaminato più volte. 42
Il passo è contorto. Si potrebbe pensare che, nell’intento di proteggere la propria immagine, il duca, consapevole di aver governato con troppa indulgenza, sia mosso egli stesso (al pari, si vedrà, di Angelo) da una doppiezza poco limpida. La ragione vera del duca, che non intende rivelare tutti i suoi propositi al frate, va forse individuata nel distico finale: osservare non osservato sia gli effetti del potere sia ciò che Angelo è realmente sotto le apparenze.
43 Potrebbe trattarsi di un’allusione a Il principe di Machiavelli. 44 Precise: di “rigida morale” (spesso ipocrita), attribuita allora ai puritani. 45 envy (in maiuscolo, quindi personificata, in altre edizioni), non è “invidia” ma “malizia”, nel senso di malvolere: Angelo ci tiene alla sua reputazione. 46
Cfr. Matteo (3, 7): “E qual è quell’uomo fra voi che darà una pietra a suo figlio che gli chiede del pane”. Gli appetiti di Angelo, tuttavia, saranno sessuali. Atto I, sc. 4 47
Scena: un convento di suore.
48
Al pari del suo futuro antagonista Angelo, che è a man of stricture (I, 3, 12),
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Isabella “desidera” (si noti l’ambigua reiterazione: desiring, wishing) a more strict restraint, termine ormai ricorrente. Isabella ha scelto l’ordine di Santa Chiara, la cui regola è particolarmente severa, votata al silenzio (ella è, invece, un’ottima oratrice), alla povertà e all’astinenza. L’ordine delle Clarisse si diffuse in Inghilterra nel XIII secolo per essere dissolto nel 1559.
questa favola un apologo politico: il leone che dorme è il re che trascura i suoi doveri, e i topi sono il popolo che ne approfitta (cfr. N. W. Bawcutt in bibliografia, p. 109). Poco prima, parlando con il frate, anche il duca si è paragonato a un leone stanco e pigro.
49 Letteralmente: “fare la pavoncella”, o “fare scherzi da pavoncella”, espressione proverbiale per “fi ngere”, “ingannare”. La pavoncella strilla quando si allontana dal nido per ingannare i predatori. In italiano si è preferito un proverbio più familiare. 50
Enskied: letteralmente “incielata”, un neologismo di Shakespeare. È suggestiva la traduzione di Sergio Perosa (“s’inciela”) con il rimando a Piccarda Donati (una Clarissa) in Paradiso III, 95.
51 Lucio infioretta, fi no al ridicolo, il suo resoconto, da lui ritenuto non adatto alle orecchie di una vergine, la quale nella risposta mostra di aver capito bene la questione. Gioco di parole su husbandry = “coltivazione del suolo” e husband = “marito”: la metafora naturalistica della procreazione umana come aratura, seminazione e raccolto è erasmiana (cfr. anche Sonetti 3, v. 6). 52
Il termine ha un variegato raggio di significati nell’inglese elisabettiano; può indicare un vero legame di parentela, o di speciale amicizia, o di affi nità di qualche genere.
53
Due diverse costruzioni rette da bore: bore in hand = “deludere”, e bore in hope of action = “concedere promesse di servizio in guerra, poi vanificate”.
54 Shakespeare forse si rifà alla favola di Esopo del leone addormentato e disturbato dai topi. Il leone si sveglia e ne cattura uno che risparmia dalla morte. Per gratitudine, il topo lo aiuterà in seguito a liberarsi da una rete. Nelle sue Fables (1577), il poeta scozzese Robert Henryson fa di
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55 Pith / of business: il “nocciolo della questione”.
Atto II, sc. 1 56 La scena: un’aula della Corte di giustizia. La presenza del giudice, cui sono concesse poche, inefficaci battute in chiusura di scena, potrebbe essere un’aggiunta successiva. 57
Alcuni curatori mantengono our = “nostro”, come in F, generalizzando il referente. Ma “nostro” sarebbe inconsistente con i dominanti “voi” e “vostro”.
58 Anaforicamente, e per ipotesi – in realtà una domanda sottintesa –, Escalo annuncia quella che sarà l’effettiva situazione del dramma; allo stesso modo, la metafora della legge “tagliente” concorda con la modalità della punizione prevista per Claudio. Blood qui va inteso come “passione” o l’agostiniano “moto dei sensi” (motus animae). 59
Espressione proverbiale, o sententia.
60
Vice è più convincente di ice. L’immagine del ghiaccio, che nel monologo di Claudio (III, 1, 118-132) rimanda a una terribile pena infernale, appare qui forzata e straniante. 61
È un pun sul suo nome. Lean upon = “dipendere per supporto”, sostenersi, appoggiarsi, come si può fare con il gomito. Gomito intende dire che la legge gli dà da vivere.
62
È il primo dei numerosi strafalcioni di Gomito.
63
Precise = “preciso” è l’aggettivo attribuito allo stesso Angelo (con cui ora Gomito sta parlando) in I, 3, 50 e in III,
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1, 93, il che implicherebbe un’amara frecciata all’intransigenza dei puritani, di cui Angelo sarebbe un rappresentate. È anche possibile che Gomito voglia dire precious nel senso di “egregio”, come in Otello: Precious villain! (V, 2, 242). 64
Out at elbow: “fuori dai gomiti”, detto di abiti consunti. Ancora un bisticcio sul nome di Gomito per implicare che è uscito di testa, o ha poco senno e parla a vanvera. 65 “Professa” come si professa una fede religiosa. Madama Sfondata ha fatto presto a sostituire la sua casa da demolire nei sobborghi con una altrettanto equivoca di bagni turchi, oppure la struttura temporale qui, come altrove, zoppica. 66 Uno dei tanti quiproquo: si intende to protest = “attestare, dichiarare con forza”. 67
Naturalmente: “carnali”.
68 La posizione della moglie di Gomito in questa storia confusa non è molto chiara. Probabilmente, essendo incinta e con voglia di prugne, la signora entra in casa di Madama Sfondata, dove sa di trovarle. Forse perché ritenute una delle tante presunte cure per le malattie veneree, le prugne cotte erano associate ai bordelli; anzi, in gergo, il termine stew (“stufato”, “stracotto” come overdone) designava la prostituta. Ma si suggerisce anche che c’è stato un tentativo da parte di Pompeo di avviarla alla prostituzione. Di qui l’accusa. 69
In F2 instant, che sembra coerente (benché tautologico), a meno che non si tratti di malapropismo da parte di Pompeo, che si fa contaminare da Gomito, o lo scimmiotta comicamente.
70
Non è così depistante il discorso di Pompeo se si considera che la china (= “porcellana”) era al tempo un prodotto raffi nato di nuova importazione e, in gergo osceno, qualcosa di molto speciale.
71 Escalo afferra l’equivoco osceno giocato sul verbo to come.
NOTE 72
Lower: designava particolare riguardo.
73
Spesso le sale interne delle taverne erano intitolate con nomi di fantasia. 74
Perché d’inverno erano riscaldate non a pagamento.
75 Si gioca sul doppio senso di “causa”. Nella seconda occorrenza si intende “una buona ragione”. 76
Equivoco su once more = “ancora una volta”, “di nuovo”, o “torniamo al dunque”. Provando a sviare il discorso, Pompeo ripete il solo once, per insinuare che non era la prima volta che la moglie di Gomito circolava in quella casa poco raccomandabile. Nella traduzione si è usato “allora” nella doppia valenza di avverbio temporale (in quel momento) e di congiunzione esortativa.
77
To suppose per to depose = “deporre” sulla Bibbia (“un certo libro”). 78 To respect per to suspect = “sospettare”. Si traduce con “rispettoso”, invece di “rispettato”, sull’eco della Putain respectueuse di Sartre. 79
In altre edizioni “giustizia” e “iniquità” sono in maiuscolo, come figure di una Morality Play. In italiano si è adeguato.
80 Hannibal per cannibal. Si ridicolizza sulla romanità, facendone fonte di luoghi comuni, stereotipi o figure dell’antonomasia. Più avanti Pompeo sarà Pompeo inseguito da Cesare. 81
È un passo figurativamente molto compresso. Sono coinvolti i registri del bere, dello spillare soldi e spillare da una botte, e della pena per impiccagione. Quest’ultima spesso si accompagnava allo svisceramento (to draw) del condannato. Nella traduzione si è cercato di mediare intendendo “vi sbudelleranno” anche in senso ampio e metaforico.
82
Di solito, si usava l’impiccagione per il popolo e la decapitazione per i nobili. Norma che il dramma non rispecchia, perché la pena di Bernardino sarà la decapitazio-
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NOTE
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ne. L’osservanza della normativa può aver ceduto di fronte alla funzionalità dell’elemento “testa” nella concatenazione degli eventi.
92
83
Nella battaglia di Farsalo (48 a.C.). La fonte di Shakespeare è la Vita di Pompeo di Plutarco.
84
“Carne” nel senso biblico: la parte più debole della natura umana (Lettera ai Romani, 7, 11).
85
Espressioni proverbiali.
Atto II, sc. 2 86 La scena si svolge in un’altra sala della Corte di giustizia. 87
Questo è uno dei tre casi in cui il nome di Dio, sempre assente in F, nella presente edizione (Oxford 2005) viene ripristinato.
88
Una riformulazione del proverbiale: Hate not the person but the vice: “Si abbia in odio non la persona ma il vizio”. L’intelligenza di Isabella si appella, come può, a qualsiasi espediente.
89 L’uso del senso rovesciato del proverbio A word spoken cannot be called back (“La parola detta non torna indietro”) rientra nella strategia oratoria di Isabella, molto esperta, nonostante la sua giovinezza e l’innocenza. 90 Isabella fa ricorso allo stesso repertorio di immagini usato da Porzia nel suo appello a Shylock nel Mercante di Venezia, quando lo esorta a considerare la quality of mercy, la “natura della misericordia”. Essa ha sede, dice fra l’altro Porzia, nel “cuore dei re” ed è “attributo di Dio”, il quale se ne serve per temperare la “giustizia” (IV, 1, 181-202). 91 Isabella insiste, e insisterà, sul rovesciamento di ruoli e di luoghi comuni, sull’aggiustamento di apparenti paradossi, creandone magari di nuovi. Il suo procedimento logico è sillogistico per inversione, mentre gestisce con abilità – da novizia qual è – la sua competenza in materia teologica.
pp. 587-601
Ovvero “ricreato” dopo la caduta di Adamo con la redenzione dal peccato originale grazie alla misericordia di Dio. Chi è consapevole di essere stato toccato da quella misericordia, e quindi sollevato dalla colpa (risanato dalla condizione di forfeit), sarà capace – fa capire Isabella – di usare misericordia verso gli altri.
93
Il passo registra un duello verbale che Angelo conduce in termini pungenti, spostando, fra l’altro, il registro linguisticofigurativo al mondo della natura. Isabella si riferiva alla morte impietosa, perché fuori stagione, degli animali; Angelo alla gestazione di nuovi peccati. La metafora della cova venefica del male, e del suo schiudersi dal guscio (hatching an egg), ricorre anche altrove in Shakespeare. È proverbiale e biblica. In Isaia (59, 4-5), sui peccati degli uomini che evadono la giustizia, si legge: “Nessuno cita in giudizio, perché ha il diritto a suo favore, nessuno tratta una causa in buona fede; ma si basano nella vanità, dicono cose false, concepiscono l’intrigo e generano il male. Covano uova di vipere, e tessono tele di ragno. Chi mangia le loro uova muore, e se si aprono ne escono viperotti”. Tutto il passo rispecchia anaforicamente la figura che l’ipocrita Angelo va costruendo di se stesso. L’immagine delle “tele di ragno” in relazione al contesto giuridico sarà ripresa dal duca nel suo ultimo soliloquio (III, 1, 517-538). Cfr. n. 160.
94
Il riferimento, leggermente ritoccato, è a Ovidio in Tristia (2, 33-34): Giove tuona quando l’uomo commette il male.
95
La glassy essence (“la vitrea essenza”) è l’anima intellettiva dell’uomo, che è immagine di Dio, si specchia in Dio. In sostanza, Angelo, che amministra la giustizia per delega divina, ignora la propria essenza divina, facendosi caricatura di quella più alta essenza, una “scimmia bizzosa”. Sulla “vitrea essenza” cfr. N. Fusini, p. 196. 96
La milza era ritenuta la sede del riso.
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97 Pregevole gioco su “senso”: senso razionale, sensatezza, in Isabella; sensuale, libidinoso, in Angelo. Il verbo to breed enfatizza il traslato al registro sessuale. La stessa duplicità si ritrova nei Sonetti (35, 9).
appetiti sessuali. Paradossalmente, con la sua virtù, Isabella è sia la “violetta”, un fiore associato alla modestia e alla castità, sia il calore stimolante del “sole”.
98
“Sicli” anche in italiano, dallo shekel ebraico.
99
L’emendamento dell’edizione Oxford 2005 segue quello di J. W. Lever (Where prayer’s cross’d), il quale rimanda al Mercante di Venezia (II, 1, 19-29): Let me say amen betimes, lest the devil cross my prayer (“Fammi dire amen, prima che il diavolo si insinui nella mia preghiera”). Pur accettando la validità di questa soluzione, per una migliore resa in italiano, qui si propone il significato di be crossed in Timone (I, 2, 160): When all’s spent, he’d be crossed then (“Quando si sarà dato fondo al patrimonio, allora sì che vorrà sia fatto il possibile per cancellare i suoi debiti”). Su to cross nel senso di “cancellare” cfr. anche C. T. Onions (cit.). Questa lettura coincide con l’incapacità di Angelo a pregare nel suo secondo soliloquio (II, 4, 1-17): “il cielo”, egli dirà, “riceve parole vuote”.
100
Un’incoerenza: Angelo ha già dato ordine di giustiziare Claudio “domani mattina alle nove” (II, 1, 34).
101 Questo è il primo di tre tormentati soliloqui di Angelo. La tentazione, di cui egli inizia a essere schiavo, scava a fondo nell’autoanalisi, fi no a scoprire la sua intima fragilità, l’ipocrisia e la naturale disposizione alla caduta (si defi nisce una “carogna” che imputridisce al sole). Si noti la triplice ricorrenza del verbo “desiderare” (molto diffuso nell’intera scena) che abbatte i divieti del puritanesimo. 102 “Virtuosa”, “capace di produrre grandi effetti”, come la stagione fertile. Il termine, inconsueto in rapporto al mondo della natura, richiama la virtù di Isabella, la quale, come in precedenza con l’uso di una logica razionale (con il suo sense), diventa per Angelo una tentazione che risveglia i sensi, gli
103 Waste ground sarebbe letteralmente “discarica”, quindi, per via traslata, luogo di prostituzione, dove si discaricano gli stimoli della lussuria. Pitch our evils: espressione ambigua. Evil, il “male”, le cattive azioni, è anche “latrina” nel linguaggio elisabettiano. Entrambi i significati sono pertinenti al contesto, il secondo più sostenuto dal verbo to pitch. 104 Nella patristica e nell’iconografia il diavolo, l’“astuto nemico”, induce in tentazione sotto le spoglie di altri santi o di una donna virtuosa che, in questo caso, per Angelo, si identifica in Isabella.
Atto II, sc. 3 105
La scena: la prigione.
106
Flaws = “raffiche di vento”. È un’immagine metaforica per indicare l’impetuosità della giovinezza che provoca la caduta come può fare un colpo di vento tempestoso. Si pensi a Paolo e Francesca trascinati dal vento nel V Canto dell’Inferno. Blistered = “bruciare” e “marchiare a fuoco”. C’è chi vi vede l’uso puritano di marchiare prostitute e adultere con un segno sulla fronte. Tuttavia, questo non sarebbe il caso di Giulietta.
107
È criptica l’osservazione del duca. C’era molto dibattito all’epoca sul grado di responsabilità da attribuire all’uomo e alla donna nei reati di natura sessuale. L’uomo era considerato più colpevole ma la donna, mostrando la gravidanza, rendeva più grave la sua trasgressione.
108
Seguendo F, quasi tutti i curatori mantengono love = “amore”, perché più consonante con lo stato di gravidanza che, nonostante sia marchio di vergogna, salva la vita di Giulietta. Ma è più convincente l’emendamento: è la “legge” iniqua (injurious), non l’amore, che condanna Claudio
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e risparmia Giulietta. Il titolo del primo riadattamento di Misura per misura da parte di W. Davenant segue questa interpretazione, pur includendo abilmente la variante: The Law against the Lovers (1662).
116
Atto II, sc. 4
117
109
La scena: un’anticamera della Corte di giustizia. 110 Anche il re Claudio in Amleto non è più in grado di pregare dopo aver commesso il misfatto. Si noti qui l’inversione fra “pregare” e “pensare” e l’uso della figura dell’epanalessi, diffusa nell’eloquio di Angelo. Sono indici del deragliamento già in atto nel vicario, che inizia a perdere la coerenza di pensiero e di azione. 111 Secondo la lezione di F, che ha not e non now, il senso è: “non è questo il cimiero del demonio”, ovvero sul cimiero del demonio non può esservi incisa la parola “Angelo”. Difficile scegliere fra le due versioni. 112
Un’altra allusione all’insofferenza di Giacomo I per la folla. Nel 1604, durante una sua visita alla Borsa, si dovettero sbarrare le porte per proteggerlo dalla calca. In The Time Triumphant (1604), un trattato attribuito a Gilbert Dugdale, si riporta che in quell’occasione il re tacciò il popolo di “ignoranza”, costringendolo a considerare l’“affetto” dimostratogli come un’“offesa” patibile di punizione.
113
Evidenti le connotazioni sessuali di questa battuta.
114 Un ritorno della metafora del conio. La procreazione umana è atto divino, in quanto Dio ha coniato l’uomo a propria immagine (Genesi, 1, 26). Ma quell’atto è proibito se consumato fuori della legge del matrimonio. In tal caso si conia un falso stampo, uno stampo già corrotto. 115
I peccati commessi sotto costrizione non erano considerati peccati a tutti gli effetti: Compelled sins are no sins = “I peccati imposti non sono peccati”.
pp. 609-623
Isabella non ha ancora capito il fi ne ultimo di Angelo. Per lei il peccato di Angelo consisterebbe nel non applicare la legge. Si noti un nuovo velato doppio senso in sense e un equivoco su ignorant: “ignara”, inconsapevole, o “ignorante”. Le donne dell’aristocrazia indossavano maschere per proteggere la pelle dal sole. Enshield beauty: uso insolito del participio passato di to shield, “proteggere con lo scudo”.
118
Passo molto intricato, e soprattutto guasto; per di più consiste di una sola domanda a trabocchetto, costruita su una serie di ipotesi. La logica ormai contorta di Angelo riflette lo sbandamento del suo animo. Sulla verginità come tesoro cfr. your chaste treasury = “il tesoro della tua castità” in Amleto (I, 3, 31). Nella sua risposta, Isabella risponderà con i “rossi rubini” delle piaghe che si infl iggerebbe.
119
Isabella pensa al martirio di alcune sante, ma un’inconscia ambiguità di tono sessuale sembrerebbe aprirsi con strip myself = “denudarmi”.
120
Impressions: un’altra immagine pertinente al registro dello stampo e del conio.
121
Shakespeare usa spesso l’espressione double tongue per indicare inganno, menzogna, come nella lingua biforcuta del serpente. 122
La libertà concessa dal ruolo che Angelo ricopre. 123
La traduzione conserva l’ambiguità del testo. Se si tiene conto di quanto è stato affermato sulla “vitrea fragilità” delle donne e sulla “livrea” di sottomissione che è loro destinata, “ciò che vorrebbero”, detto dei “rossori prolissi”, può riferirsi sia alla clemenza di Angelo sia a un ipotetico desiderio di Isabella di cedere alla tentazione. Si mantiene il duplice “prolissi”. Prolixious non è “eccessivo”, “superfluo”, ma, come nel significato arcaico italiano, “protratto a lungo nel tempo”.
124 Avendo puntanto sulla parola “carità”, Angelo usa di nuovo una forma di ri-
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pp. 623-633
MISURA PER MISURA
NOTE
catto: rifiutandosi, Isabella si mostra poco sensibile verso la sorte di suo fratello. La responsabilità della morte di Claudio è, dunque, nelle sue mani, non in quelle di Angelo. La logica è perversa.
costretto a chiedere l’elemosina o a cercare un braccio che gli faccia da sostegno. 131
Atto III, sc. 1
Isabella sostiene che una vita riscattata al prezzo della sua umiliazione (i “vili rimedi” del v. 87) darebbe a Claudio solo un’esistenza disonorata, equivalente a una prigione.
125
132
La scena: la prigione. Nell’edizione Oxford 2005 l’intero atto è costituito da quest’unica scena. 126 Pur rivolto a Claudio (ma thee = “ti” e thou = “tu” si devono riferire anche alla “vita”, qui personificata), il discorso del duca segue la modalità del soliloquio. È una meditazione di impronta stoica (ciceroniana, senechiana) sulla serena accettazione della morte: sii risoluto ad accoglierla, si suggerisce a Claudio. Ma il duca, che veste i panni di un frate, allestisce anche un esercizio spirituale sulla cristiana ars moriendi, servendosi di una serie di argomenti che presentano la vita, e le sue attrattive materialistiche (epicuree), per negazione (“non sei”). Sul concetto della morte che tutto livella cfr. De ira di Seneca: “Venit ecce mors quae vos pares faciat” (III, 43, 1). 127
Un rimando alla creazione dell’uomo dalla polvere o dal fango in Genesi, 2, 7. Tuttavia, si ricordi anche l’idea di “anima” in Lucrezio, concepita come aggregato di “atomi”.
128 Bowells = “viscere” è da intendere nel senso biblico di “figli”. 129 Sire = “padre”. In italiano “vita”, cui è riferito sire, è femminile. Dunque, anche a spese di una piena coerenza figurale, qui si traduce “madre” e con “grembo” il successivo loins = “lombi”. 130 Passo discusso con vari emendamenti proposti per as agèd = “si fa vecchia” (assuaged = “si placa”, abased = “si fa umile”). Più ovvia invece l’omofonia fra alms = “elemosine” e arms = “braccia”. In sostanza, il senso è che un giovane, privo di sostegni economici, è come un vecchio paralitico
Il motivo della morte da incontrare su un mistico letto nuziale è già parzialmente annunciato da Isabella in II, 4, 101-104. Nei termini di un più esplicito connubio di Eros e Thanatos, esso segna il fi nale di Giulietta e Romeo (IV, 4, 60-66) e di Antonio e Cleopatra (IV, 15, 99-101).
133
Linguaggio tecnico della falconeria: Angelo è il falco che attacca la sua preda alla testa, costringendola nell’acqua.
134
Significativamente Isabella usa la parola “livrea”, la stessa che Angelo le ha attribuito poco prima.
135 Secondo un proverbio dell’epoca: Lechery is no sin = “La lussuria non è peccato”. Molti luoghi della trattatistica medievale giustificavano la lussuria come il minore dei sette peccati. Una teoria fortemente attaccata dal moralismo puritano. 136 Il concetto di una morte onorevole di fronte a una vita di disonore è senechiano. 137
Questa è la vitalistica risposta di Claudio al discorso/soliloquio del duca, le cui ‘negazioni’ hanno infi ne sortito un effetto contrario. Quella di Claudio è un’amara contemplatio mortis che, con poca convinzione, dovrebbe completare l’esercizio spirituale avviato dal precedente elogio dell’ars moriendi. Numerose sono le fonti (bibliche, classiche e patristiche) del repertorio usato per le pene degli Inferi, con una convergenza dantesca nell’immagine del lago di ghiaccio della Caina e nella violenza dei venti infernali. La “fredda ostruzione”, che segna l’inizio della visionaria discesa agli Inferi di Claudio, va intesa sia nel senso fisiologico della cessazione delle funzioni vitali, sia in quello fisico della costrizione corporea nella sepoltura, per di
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MISURA PER MISURA
più gravata dal tumulo di terra. Per l’urlo dei dannati cfr. Giulietta e Romeo (III, 3, 47-48) e Amleto (V, 1, 237).
dell’interesse al 10%), con disapprovazione della comunità puritana. Forse si allude anche all’abolizione nel 1603 delle Sumptuary Laws (le Leggi suntuarie), che regolamentavano l’abbigliamento a seconda della classe sociale o delle corporazioni.
138 Claudio pensa forse ai “liberi pensatori”, gli eretici, invisi alla cultura religiosa del tempo. Si pensi alla condanna di Giordano Bruno. 139
Il peccato e il disonore della procreazione illegittima sono suggeriti a più livelli a cominciare dal paventato (non ammesso) illegittimo concepimento di Claudio. La logica ormai esasperata di Isabella è giunta agli estremi. Sarebbe incesto per Claudio essere “ricreato” dal peccato di sua sorella, la quale, a sua volta, potrebbe concepire un figlio bastardo da Angelo. Sul termine “incesto”, usato solo in questa occasione, Mark Shell ha costruito un’affascinate, sia pur non sempre condivisibile, lettura di Misura per misura (cfr. The End of Kinship, in bibliografia).
140
La grazia divina.
141 La caduta di Adamo e – tramite Angelo – la caduta degli angeli. 142
Government è sia “condotta morale” che “governo”.
143 Il caso di Mariana e Angelo è lievemente diverso da quello di Claudio e Giulietta. Il loro è un contratto chiamato sponsalia per verba de futuro, anch’esso una promessa giurata, da ratificare tuttavia nel futuro. Poteva quindi essere sciolto prima della consacrazione definitiva. Come si vedrà, il duca in questo caso forzerà un po’ le regole. 144 Nonostante nelle didascalie di F sia solo Isabella a uscire, e non anche il duca, a questo punto quasi tutti i curatori, a partire da Edward Capell (1768), aprono una nuova scena. 145
Un vino spagnolo, il cui nome serve a Gomito per denunciare il commercio sessuale e la procreazione di figli bastardi.
146
Le due usure sono quella della prostituzione e quella del prestito di denaro a interesse. La seconda era stata legalizzata da Elisabetta nel 1570 (si fissava il limite
pp. 633-655
147
Si tratterebbe non di un grimaldello da ladro, come pensa Gomito, ma di una chiave per aprire le cinture di castità.
148 La battuta consiste di un distico che termina a chiasmo. Il duca riprende il tema dell’essere e dell’apparire riferiti, in questo caso, al mondo di una classe sociale inferiore. Un bel parallelo con la situazione precedente. Come sostiene Dover Wilson nell’edizione di Measure for Measure curata con A. Quiller-Couch (in bibliografia), l’onestà di Pompeo, peccatore e ruffiano confesso, è contrapposta all’ipocrisia di Angelo. 149
Pigmalione si innamora di una statua da lui stesso creata, le trasfonde la vita mutandola in una donna bellissima (Ovidio, Metamorfosi, X, 243-297). Il richiamo alto al classico qui è svilito dalla caduta del mito nel mondo della prostituzione. Il gesto del pugno chiuso rimanda al denaro da sborsare in un bordello.
150
Forse, l’editto su cui si parla nel I atto.
151
Barile per conservare la carne essiccata e salata e, al contempo, vasca per le sudorazioni curative delle malattie veneree.
152 Si gioca con mettle, che non ha solo il senso di “tempra”, come in I, 1, 49, ovvero di “coraggio” nella situazione ora sfortunata di Pompeo, ma di “metallo”, le “catene” che porterà in prigione. 153 Shy (“timido”, “riservato”) sarà attribuito ad Angelo da Isabella in V, 1, 54. Fa notare N. W. Bawcutt che questi sono gli unici due casi di uso del termine in Shakespeare. 154
Doppio peccato: il duca mangiava carne di venerdì e fornicava. Mutton qui vale anche “prostituta”.
155
L’emendamento di now (“ma ora gli è passata”) in not, accolto dall’edizione Ox-
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NOTE
ford 2005, perché più coerente con l’ultima battuta di Lucio, cambia molto il significato.
governo e alla equa amministrazione della legge. L’iconografia puntata sulla spada della Giustizia richiama alcuni ritratti ufficiali di Giacomo I e conî di monete. Su una più soppesata analisi testuale del soliloquio e del passaggio al IV atto cfr. “Aggiunte al testo”.
156 Si introduce con un doppio distico il tema della calunnia, deprecata anche da Giacomo I. 157
Con la denuncia dei tempi dissestati da una vasta corruzione morale, c’è chi vede nel dettato non lineare della battuta anche un riferimento alla situazione economicofinanziaria di quegli anni e alle responsabilità delle compagnie di assicurazioni. Security indicherebbe l’elargizione di credito o di prestiti e le fellowships sarebbero le corporazioni regolanti il mercato. 158
Il delfico “conosci te stesso” è principio caro al duca. Lo ribadirà nel soliloquio che conclude questo atto.
159
Le leggi sono come fi li di ragnatele che catturano piccole entità (Claudio) e lasciano fuori pesi più grandi (Angelo). Il concetto e l’immagine sono di origine classica e da attribuire al saggio scita Anacarsi in dialogo con Solone (Plutarco, Solone, 5, 4), secondo il quale le leggi scritte sono “come le ragnatele, avrebbero trattenuto, fra chi vi incappava, i deboli e gli umili, mentre i potenti e i ricchi le avrebbero spezzate” (cfr. M. Cacciari et al. Nomos Basileus. La legge sovrana, Rizzoli BUR, 2006). Thomas More ricorderà questa massima in prigione e la registra nel capitolo XII del libro III del Dialogue of Comfort against Tribulation (cfr. Lettere, a cura di A. Castelli e F. Rognoni, Edizioni Vita e Pensiero, 2008). I “fi li di ragnatele” fanno eco al passo già citato da Isaia (59, 4-6) sulla cattiva giustizia e la “cova delle uova” (cfr. n. 94). 160
Consistente di una successione di distici, di questi versi corrotti è stata messa in dubbio la paternità shakespeariana. Secondo alcuni commentatori, il soliloquio, posto qui, alla fi ne del terzo atto, quando gli esiti della vicenda tragica sono ancora irrisolti, avrebbe la funzione di esaltare la figura del duca che ricerca in se stesso il modello di grazia e virtù, necessarie al
Atto IV, sc. 1 161
La scena: una casa di campagna.
162
La lirica, quasi certamente frutto di interpolazione, è una libera resa della prima strofa di una poesia tardo-latina intitolata Ad Lydiam, molto popolare nell’età elisabettiana. Fu messa in musica da John Wilson. Nel Rollo (1617-1639) di John Fletcher è rinvenibile una seconda strofa. Lights vale sia per “luci dell’alba” che per “lumi notturni”. Sono questi ultimi a confondere il sorgere del mattino e a rendere mendaci gli occhi.
163
Secondo alcuni curatori, questo soliloquio, che ritorna inconsistentemente sulla calunnia, è troppo breve per coprire sulla scena la lunga spiegazione che nel frattempo intercorre fra Mariana e Isabella. Per primo, nel 1747, William Warburton suggerì che, nei vari passaggi di trascrizione, questi versi furono spostati qui dalla prima scena del III atto (vv. 444-447), dove, appunto, si introduce il tema della calunnia. Per la diversa soluzione della questione proposta dall’edizione Oxford 2005 cfr. “Aggiunte al testo”.
164
Ovvero, quello di sposa promessa per contratto, sia pure per verba de futuro. Sembrerebbe più corretto parlare di fidanzamento piuttosto che di matrimonio, qual è invece il caso del contratto stipulato da Claudio e Giulietta. Atto IV, sc. 2 165
La scena: la prigione.
166
Pompeo cita San Paolo, Lettera agli Efesini (5, 23): “Le donne siano soggette ai loro
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mariti come al Signore, perché il marito è il capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa, del cui corpo, egli è il Salvatore”.
174 Lo slittamento da travailer = “lavoratore” a traveller = “viandante, pellegrino” è facile. Le due ortografie si sovrapponevano nel Cinquecento. Ma qui si allude chiaramente all’Ecclesiaste (5, 11): “Dolce è il sonno del lavoratore”.
167 Il nome del boia è parola portmanteau: una contrazione di to abhor = “aborrire” e di whoreson = “figlio di prostituta”. 168
Mystery non nel senso di “mistero” (da latino mysterium), ma di “arte”, “mestiere”, un termine che l’inglese medievale deriva da etimologia diversa: misterie, dal latino ministerium. L’equivoco offre un’ottima occasione comica a Pompeo. Cfr. anche Otello, IV, 2, 32. 169
Gioco di parole: favour = “favore, piacere” è anche “faccia”, “fattezze” (cfr. C. T. Onions, cit.).
170
In altre edizioni questa battuta viene di solito attribuita a Abhorson a chiusura della precedente. I boia ereditavano gli abiti del giustiziato, e quindi, come i sarti, ne adattavano le misure. Sembra di capire che, secondo Abhorson, il ladro può diventare un uomo onesto e vestirne gli abiti. Pompeo rigira confusamente la questione, sostenendo che, a differenza delle persone oneste che si accontentano, i ladri sono sempre scontenti e in ristrettezze. 171
Faceva parte del codice di comportamento del boia chiedere perdono al condannato prima dell’esecuzione.
172 Perfido bisticcio su turn, da intendere al contempo come “il vostro turno” (per l’impiccagione), come la “stretta del nodo scorsoio”, e come “svolta di vita”, quella più onesta che ora intraprenderebbe Pompeo. Si è provato a giocare su “volta” e “svolta”, ma sulla scena l’attore deve accompagnare quella “svolta” con una gestualità eloquente (una bella tirata di collo), collegandola a “volta”. Resta implicita anche la memoria di un proverbio: one good turn deserves another = “cortesia chiama cortesia”. 173
Il bargello ha appena dato l’ordine per l’esecuzione alle quattro. L’ora della morte di Claudio è oggetto di numerose incongruenze.
pp. 669-683
175 La vita privata di Angelo e il suo ruolo come amministratore di giustizia corrono come due linee parallele. Molto, tuttavia, si è discusso sul significato da dare a line = “condotta di vita” e a stroke = l’“infl izione di una punizione”. Entrambi i termini sono riferibili anche alla scrittura di un documento o di una sentenza: “rigo” e “colpo di penna”. Per stroke qualcuno propone anche “colpo d’ascia”. 176 Se concede la grazia, pensa il duca, Angelo non può essere più condannato per lo stesso misfatto. 177
In altre edizioni emendato in dye = “tingere”. Atto IV, sc. 3
178
La scena: la prigione.
179
L’unico monologo di Pompeo consiste di un catalogo (‘omerico’) di carceratipeccatori, macchiette stereotipe che popolano un microcosmo sociale corrotto, le cui truffe e trasgressioni, di segno epocale oggi forse perduto, sono trasferite nei nomignoli comici e parodistici. 180
Con un tasso maggiore di quello legale (il 10%), l’usura si praticava anche con la merce. Ma era merce pagata cara e molto spesso, come qui si fa capire, di poca resa monetaria: cinque marchi di contro a 197 sterline (score = “venti”). Un marco valeva 13 scellini e 40 centesimi, due terzi di una sterlina. La sproporzione esagerata potrebbe anche sottintendere una denuncia di quel costume.
181
A quanto pare lo zenzero piaceva alle donne anziane, scomparse forse a causa della peste.
182
I carcerati dovevano pagare per il loro
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pp. 685-711
MISURA PER MISURA
NOTE
vitto. Di qui l’usanza di elemosinare dalle sbarre della prigione “per misericordia”.
vero perno della legge, la sua autoanalisi ha compiuto un completo giro di rivoluzione.
183
192
Nonostante la sua sonnolenta e ebbra apatia, Bernardino sa come sfuggire alla morte.
184
Altre edizioni emendano trasferendo l’ultima frase del duca al bargello. Il duca, infatti, in quanto frate, non avrebbe il potere di dare ordini. 185
Presumibilmente nativo di Ragusa, l’attuale Dubrovnik. Il decreto del re contro la pirateria (che riguardava comunque coste più vicine della Dalmazia) è del 1604.
186
Cioè, che abbia compiuto il tragitto di due giorni. 187
L’espressione “angoli oscuri”, usata negativamente da Lucio per insinuare i comportamenti ambigui del duca che avrebbe frequentato di nascosto ambienti moralmente equivoci, ha invece tutt’altro valore nell’“Epistola” introduttiva di George Whetstone a A Mirour for Magistrates of Cyties (1584). Al fi ne di risanare la città dal vizio e dal malcostume sarebbero state necessarie, scrive Whetstone, “Luci visibili in angoli oscuri”, ovvero informatori in incognito che avrebbero indicato all’autorità le aree o le situazioni su cui intervenire. Il modello di questa pratica si fa risalire all’imperatore Alessandro Severo, il quale usava travestirsi da mercante o fi losofo per indagare sulla corruzione di Roma. 188
La nespola diventa presto marcia. In gergo: “prostituta”.
Qui sense ha il senso di “passionalità”. Secondo Angelo, Claudio, come ha dimostrato nel suo rapporto con Giulietta, è da considerare uomo inaffidabile. Temendo un’impulsiva, futura vendetta, ha preferito venir meno alla promessa di liberarlo.
193 Anche Isabella si esprime negli stessi termini in II, 2, 33: “se non fossi in guerra fra volere e non volere”.
Atto IV, sc. 5 194
La scena: la cella di Frate Pietro.
195
È chiaro che – con una sola eccezione strategica nel fi nale – d’ora in poi il duca compare con l’abito della propria autorità, e non più col saio del frate. Atto IV, sc. 6
196
La scena: una strada di Vienna.
Atto V, sc. 1 197
Tutto l’atto consiste di quest’unica scena, la più lunga del dramma, da immaginare alle porte della città. 198
Un rovesciamento ironico di un tema caro ai Sonetti: l’eternità della poesia che sopravvive a principeschi monumenti e all’usura del tempo (cfr. sonetti 19 e 55).
199
Si intende fi no al giorno del Giudizio.
200
Più o meno le stesse parole dette da Angelo a Isabella in II, 4, 135.
La scena: un interno o un esterno a Vienna.
201 Un ragionamento simile in Amleto: Though this be madness, yet there is a method in it = “Sarà pure pazzia, ma c’è del metodo in essa” (II, 2, 205-06).
190
202
Atto IV, sc. 4 189
Alcune edizioni spostano il punto a dopo “domani mattina”.
191
Ecco il terzo soliloquio di Angelo, il quale, sempre più imbarazzato e tormentato, sa ormai di aver perso la grazia, di cui si riteneva munito. Ora, di fronte al ritorno del
Intricato sillogismo che riprende l’isotopia del vero e del falso, dell’essere e dell’apparire.
203
Countenance = alto “patronato, favore, protezione” come pure “volto”. Si noti la presenza strategica di unfold.
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NOTE
MISURA PER MISURA
204 Ghostly father è il “padre spirituale” in IV, 2, 46. Qualcuno preferisce pensare a un ammiccamento ironico da parte del duca, intendendo “padre fantasma”.
nomi, perché si rivolge alternativamente al duca, dandogli del tu, e ad altri, parlando di lui (“him”). Nel passato, qualcuno aveva cercato di restaurare una coerenza pronominale in questo passo. Fu James Boswell a ripristinare giustamente “his” (cfr. J. W. Lever, in Riferimenti bibliografici).
205
Ovvero, Isabella è assolutamente vergine.
206
La sintassi è contorta. “Quest’altra donna” è Mariana che sta per entrare in scena, e la “prima”, che sarà sconfessata, è Isabella. Si è cercato di esplicitare meglio nella traduzione.
207 Nella Dodicesima notte (V, 1, 351-52) Olivia pone Malvolio nella stessa situazione: giudicare e essere giudicato (Thou shalt be both the plaintiff and the judge / of thine own cause = “Tu sarai insieme il querelante e il giudice / della tua stessa causa”), con la differenza che Malvolio è la vittima e non, come Angelo, il colpevole. Di effetto per un pubblico elisabettiano sarà stato il rimando al proverbio No man ought to be judge in his own cause = “Nessuno dovrebbe essere il giudice della propria causa”. 208 Secondo la normativa, queste erano due buone ragioni per dissolvere un contratto de futuro. 209
L’equivoco creato da Lucio, non còlto o ignorato da Escalo, si conclude con un’ultima battuta sulla leggerezza delle donne che si accenderebbero sessualmente a notte fonda, quando si accendono le luci. C’è un doppio senso su light = “luce” e “leggero”.
210
Il tono imperioso del duca travestito di nuovo da frate rasenta il sacrilego: che si rispetti il maligno perché in fondo governa l’inferno. Ovvero, indirettamente, che si rispetti Angelo solo per la posizione che occupa. Ma il duca mira a esporre i pericoli diabolici che si nascondono nel potere.
211
Una variante del proverbio: Give not the wolf the sheep to keep = “Non affidare il gregge al lupo”. In contesti simili Shakespeare spesso sostituisce la volpe al lupo (si veda Two Gentlemen, IV, 4, 89-90).
212
Il “suo scopo” va riferito al duca travestito. Escalo pasticcia un po’ con i pro-
pp. 711-733
213
Like a hell-broth boil and bubble (“Bolli e gorgoglia come brodaglia infernale”) è detto del calderone delle streghe in Macbeth (IV, 1, 19); stew, come si è già visto nel caso delle prugne, aveva anche il significato di “bordello”. La corruzione a Vienna ribolle come in un bordello infernale.
214
Varie le interpretazioni di questa usanza del tempo. I barbieri erano anche cavadenti e usavano esporre i denti estratti. Più probabile invece l’altra lettura, secondo la quale essi affiggevano nelle loro botteghe elenchi di pene per reati minori.
215
Allude alla tonsura di un frate.
216
I cani che attaccavano le pecore venivano impiccati. 217
Mad’st: contrazione di madest, seconda persona del passato di to make = “fare” nel senso di “creare” qui riferito alla “scoperta” del duca appena avvenuta con la caduta del cappuccio. Un principe può essere “creato” solo da un padre sovrano (cfr. N. W. Bawcutt). J. W. Lever intende “investito del titolo di duca”, da cui la traduzione che si propone. 218 In casi come questi, nel codice elisabettiano il passaggio al tu è segno di disprezzo. 219
Undiscernible è registrato in questo senso nell’OED solo a partire dal 1624. È uno dei tanti apax, o neologismi, del dramma. 220
L’edizione Oxford 2005 chiude qui le virgolette.
221
L’elencazione del Duca riprende luoghi del Vecchio Testamento sulla “legge del taglione”, alcuni dei quali ormai proverbiali: Genesi, 9, 6 (“Chiunque spargerà il sangue dell’uomo, avrà il proprio sangue sparso dall’uomo”); Esodo, 21, 23 (“Ma se
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pp. 735-787
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
ne segue una disgrazia, allora tu pagherai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente”); Levitico, 24, 19 (“Chi farà qualche lesione al suo prossimo, sia trattato con ugual misura: piaga per piaga, occhio per occhio, dente per dente”). La fonte diretta è tuttavia il “Sermone della Montagna” in Matteo che riprende i passi veterotestamentari con una visione più cristiana: “Voi sapete che è stato detto: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra” (5, 38-39); e: “Non giudicate per non essere giudicati, perché secondo il giudizio col quale giudicate, sarete giudicati; e colla misura con la quale misurate, sarà rimisurato a voi. Perché osservi la paglia nell’occhio del tuo fratello, e non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?’” (7, 1-3). Il titolo del dramma incapsula un lungo percorso intertestuale attraverso la Bibbia per approdare a un dialogo fra Vecchio e Nuovo Testamento, da cui scaturisce, attraverso il perdono del duca, una misura evangelica nell’amministrazione dei mali del mondo. 222
Il duca non è così perfido, come è stato detto, sta solo provando a provocare in Isabella un mutamento che ne scuota il rigore. Tutti i personaggi dovrebbero uscire ‘rieducati’ dalla vicenda. Inoltre, egli vuole ritardare all’estremo lo svelamento di Claudio vivo, che è l’unica condizione veramente probante per poter concedere il perdono ad Angelo.
NOTE
Il pescar di frodo qui ha valore sessuale. Pompeo corregge Madama Sfondata con un eufemismo: una donna sverginata può essere incinta, ma non una vergine. CATERINA R ICCIARDI
Tutto è bene ciò che finisce bene Atto I, sc. 1 1
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte.
2
Nel Decameron leggiamo: “Morto il conte e lui nelle mani del re lasciato” (III, 9, 5). Anche nel dramma shakespeariano Bertram è minorenne: la sua persona e il suo patrimonio sono perciò posti sotto la tutela del re.
3
Alcuni commentatori moderni correggono lack con “slack”, “diminuire”, “disperdere”, considerando il re come soggetto; la presente traduzione riferisce invece il verbo lack a “worthiness”.
4
L’allusione alla conservazione, alla maturazione e al mantenimento di una qualità (qui metaforicamente, da cui la traduzione di brine, “acqua salata”) è un concetto ricorrente nel dramma.
5
Si tratta di un motivo di saggezza antica, diffusamente presente nel pensiero pagano e cristiano (cfr. Ecclesiaste, 38, 17; 20-2), e ripreso in Amleto (I, 2, 65 sgg.).
6
Si è discusso su subjects, che può essere inteso anche come “sudditi”. Ma con “soggetti” il senso generale non soffre, anzi, si addice alla dotta oratoria di Isabella: non c’è re che possa controllare le intenzioni o i pensieri.
I commentatori hanno faticato a comprendere a che cosa si riferisse questa battuta di Lafeu. Probabilmente è da intendersi come sollecito per la spiegazione successiva della contessa, che allude all’impresa di guerra alla quale Bertram sta per partecipare.
224
7
223
Nel doppio segno della giustizia e del perdono, confluenti nel matrimonio, anche formalmente il dramma si chiude nell’armonia di due distici e un chiasmo.
225
Maid, oltre che “vergine” o “fanciulla”, è anche il nome di un pesciolino.
Anche in queste battute è centrale il rapporto di complementarietà tra virtù ereditate e virtù acquisite ed esercitate. I consigli della contessa rimandano inoltre all’educazione dell’uomo di corte (cfr. la Nota introduttiva).
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NOTE
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
8
È una delle prime allusioni ambigue al personaggio di Bertram come cortigiano: immaturo, certo, sia nella condotta militare, sia soprattutto, come dimostrerà, nel comportamento sentimentale e matrimoniale.
9
Nella concezione tolemaica e geocentrica, il movimento delle sfere si svolgeva lungo la propria orbita perfetta, di cui seguiva il moto circolare uniforme intorno alla terra.
10
Ambition è parola chiave nel dramma perché è ciò che guida l’amore, evidentemente idealizzato, di Elena, ma al tempo stesso che lo rende ambiguo.
11
Il termine idolatrous, collegato all’amore, si trova anche nelle parole di Giulietta (cfr. Romeo e Giulietta, II, 1, 156).
12
Per la metafora delle reliquie, si veda Petrarca (“[…] et viene a Roma, seguendo ’l desio, / per mirar la sembianza di colui / ch’ancor lassú nel ciel vedere spera”, Canzoniere, XXVI, 9-11). In Shakespeare, il motivo si trova frequentemente nei Sonetti (cfr., ad es., 7 e 27) 13
Paroles, qui dal francese parole, ha le caratteristiche del fool, il matto shakespeariano. Come il nome vuole, la sua qualità principale è la vitalità affabulatoria, collegata alla menzogna, che ha però la prerogativa di svelare le mistificazioni e le ipocrisie sociali (cfr. la Nota introduttiva). Con le sue invettive, ricche di metafore militari ed economiche, contro la verginità, suggerisce a Elena come farne il miglior uso, ispirandole il piano per la conquista di Bertram. 14 Inizia tutta la serie di doppi sensi che animano il dialogo tra i due personaggi. 15 Blow up ha il significato di “fare saltare in aria”, ma anche “gonfiare”, quindi “mettere incinta”.
pp. 787-797
17 L’imprecazione Marry sta per by Mary, letteralmente “Maria Vergine”. 18 Nella metafora di Paroles, l’uso della verginità diviene una forma di increase (che qui si sposta dall’ambito naturale a quello economico, allo statuto di merce). 19 Così, al tempo della regina Elisabetta I, prescrivevano le leggi contro i suicidi. 20 Self-love è l’amore per sé narcisistico e non fruttuoso spesso accusato nei Sonetti (cfr. 1, 3, 4, 6, 9 etc.) 21 Anche la verginità serve a completare, sul piano metaforico, il ritratto del cortigiano, al centro del dramma (si veda la Nota introduttiva). 22 Doppi sensi osceni e allusioni alla vecchiaia. 23 Con questa elencatio ironica e ricca di ossimori, Elena sta al gioco di Paroles e rincara la dose, riassumendo le virtù di una verginità ben spesa e anticipando quella che sarà la sua strategia presto messa in atto nell’intreccio ed enfatizzata alla “scuola della corte” (cfr. I, 1, 173). 24
You go so much backward when you fight: si allude alla vigliaccheria del personaggio che si rivelerà in pieno nel corso del dramma; la traduzione rende liberamente il senso di un gioco di parole di non facile resa italiana.
25
Cfr. I, 1, 99 sgg. e nota.
26
I will return perfect courtier: sul ruolo di Paroles come (im)perfetto cortigiano, cfr. Lombardi 2017. 27 Altra prescrizione che, con ironia anticipatoria, non sarà disattesa. 28 I consigli paradossali di Paroles si sono trasformati in fiducia nella propria volizione e nella capacità di attuarla, riconfigurando il rapporto del personaggio tra virtù e fortuna in senso decisamente attivo.
16
Paroles continua il gioco di parole tra blow down, “abbattere”, e blow up, “esplodere”.
Atto I, sc. 2 29
La scena: il palazzo reale di Parigi.
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pp. 797-813
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
30 L’espressione by the ears equivale a quarrelling = “litigare”. Già nel Decameron si alludeva alle guerre tra le due città toscane, scoppiate più volte nel corso del XIII secolo (tra le quali una delle più conosciute è quella che si era conclusa con la battaglia di Montaperti del 1260). Ma il riferimento agli aiuti stranieri resta impreciso. 31
armed (= armoured): allude al rifiuto, da parte di Austria e Francia, di partecipare ufficialmente alla guerra. L’invito del re ai suoi nobiluomini è comunque a combattere per l’una o per l’altra parte. 32
Il termine haggish (da hag = “strega”) si riferisce a una piatto scozzese composto di interiora di pecora cotte nello stomaco dell’animale. 33 Il discorso del re, come le parole della contessa di Rossiglione nella prima scena del primo atto, tratteggia il modello del perfetto cortigiano (cfr. Nota introduttiva). 34
Possibile eco della parabola evangelica del seminatore (cfr. Matteo, 13, 1-23; Marco, 4, 1-20; Luca, 8, 4-15). 35
apprehensive: che recepiscono troppo rapidamente e, perciò, incostanti.
36
La metafora è di matrice stoica ed è ripresa da da Shakesepare nel Troilus and Cressida (I, 3, 75 sgg.). Atto I, sc. 3
37
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte. 38
La contessa si riferisce a Elena, come si chiarisce ai v. 95 sgg. 39 Anche la contessa, come Elena con Paroles (cfr. I, 1, 100 sgg.), è colpita dalla vitalità linguistica di Lavatch e scherza con il suo stesso linguaggio. 40
well: gioco di parole con il precedente Well pronunciato in altro senso dalla Contessa (v. 15).
41
I do beg: anche questo è un gioco di parole con beggar (v. 20).
42
NOTE
Allusione sconcia.
43
Il proverbio service is no heritage allude al rapporto carnale fuori dal matrimonio, da intendersi come infruttuoso. 44
È un altro proverbio: marry in haste and repent at leisure, “sposati in fretta e pentiti con comodo”.
45 Allusione ai futuri tradimenti della moglie. 46
Lavatch usa le espressioni del ragionamento fi losofico e religioso per sostenere le sue provocazioni. 47 Chairbonne è gioco di parole sul francese chair e bonne, “buona carne”, mentre Poisson allude al “pesce”. Questi nomi, ovviamente inventati, si riferiscono all’usanza dei cattolici (o papisti) di non mangiare carne, ma pesce, il venerdì, al contrario di quanto non facessero i puritani. Il senso paradossale è che, se condividessero la stessa moglie, cattolici e puritani andrebbero d’accordo. 48
Il clown Lavatch collega subito il nome di Elena alla sposa di Menelao. Questa irriverente canzoncina fonde le parole del Faust di Marlowe (Was this face that lauced a thousand ships…, V, 1, 90) ad alcuni proverbi citati nel Prologo della Wife of Bath nei Canterbury Tales di Chaucer (cfr. fr. III, 1 sgg.). In origine, la canzone si riferiva ai figli di Priamo e a Paride.
49 Al parroco spettava la decima parte dei prodotti di una fattoria. 50
Si allude all’ipocrisia dei puritani e all’uso dei sacerdoti di indossare l’abito nero dei calvinisti sotto la tonaca prescritta ai religiosi anglicani.
51
Knight indica qui la ministra o vestale al culto della dea, perché Elena si considera, almeno fi no a un certo punto, devolta al culto di Diana, dea della verginità (che poi per non casuale ironia della sorte sarà il nome della donna di Firenze).
52 Per questi epiteti di Iris, cfr. The Rape of Lucrece, vv. 1586 sgg.
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NOTE
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
53
La traduzione cerca di mantenere il legame retorico (anaforico, chiastico etc.) tra i pronomi di prima e terza persona singolare che defi niscono il legame tra Elena e Bertram.
54 In questa frase c’è già un’allusione al piano di Elena, che si rivelerà in seguito. 55 I termini captious e intenable contengono sottili giochi di parole: captious è da intendersi sia nel significato di capacious, “capiente”, sia in quello di deceitful, “ingannevole”; intenable è accolto da emend. successivo come sinonimo di unretentive, “permeabile”, oppure corretto in senso opposto, con intemible (F) non registrato in OED, = “impermeabile”. Il motivo del setaccio era molto praticato all’epoca come simbolo di castità, con riferimento alla leggenda della romana vestale Tuccia, che per provare la propria illibatezza riuscì a raccogliere acqua con un setaccio, e trasportarla senza perderne una goccia. Fu usato anche nell’iconografia, come testimoniano i diversi ritratti “del setaccio” eseguiti per la regina Elisabetta I, famosa per la sua contrarietà al matrimonio. (Il ritratto più influente è quello di Quentin Metsys (1583), conservato nella Pinacoteca nazionale di Siena). Va aggiunto che il testo capovolge sottilmente di termini di quella leggenda: nelle parole di Elena il setaccio non è più simbolo di verecondia, ma di impotenza di fronte al desiderio. 56 Elena allude alla differenza sociale e alla distanza che la divide da Bertram, sia realisticamente (con state) sia metaforicamente (qui ai vv. 200 e sgg.; cfr. I, 1, 78 sgg.). 57 Allusione al mito dell’araba fenice, presente in Ovidio (Met., XV, 393 sgg.) e nel Canzoniere di Petrarca (CLXXXV, 1).
Atto II, sc. 1 58
La scena: il palazzo reale di Parigi.
59 Il re si rivolge alle due schiere di soldati: l’una che sosterrà Firenze; l’altra Siena.
pp. 813-827
60 Those bated…monarchy: la frase, di difficile interpretazione, può riferirsi in generale agli italiani come a coloro che possiedono ciò che resta del Sacro Romano Impero, o nello specifico a coloro che hanno ereditato, senza merito, i territori imperiali. Quest’ultima interpretazione è più coerente con il motivo, frequente nel dramma, del rapporto tra virtù ereditate e merito. 61
Shrinks è usato con il doppio senso tipico del rapporto tra imprese belliche e sessuali (Fraser).
62
Comincia a profi larsi il ruolo di Paroles come miles gloriosus, soldato fanfarone.
63
Bravely: con gioco di parole tra courageously e showily.
64
the forehorse to a smock: la metafora è difficile da tradurre in italiano perché si riferisce a una carrozza guidata da una donna. 65
È il pavimento dei palazzi di corte, ovviamente ben diverso dal campo da guerra. Così l’accenno successivo alla spada (sword, v. 32) si riferisce al suo uso durante i balli e non in battaglia. 66
List è usato nel senso di boundary o limit.
67 Inizia l’opera di demistificazione, da parte di Paroles, dell’ipocrisia della corte e delle sue cerimonie basate sull’apparenza. 68
Pate = head.
69
Il riferimento è alla fiaba di Esopo, in cui la volpe rinuncia a cibarsi di un bel grappolo d’uva matura solo perché non riesce a raggiungerlo, e fi nisce per sentenziare, con dispetto, che quell’uva è ancora acerba.
70 Medicine allude per metonimia al dottore, cioè a Elena. 71 La canary dance era un ballo, rapido e un po’ lascivo, molto popolare in Europa tra XVI e XVII secolo. 72
Allusione ai famosi re Pipino il breve e
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pp. 829-845
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Carlomagno, suo figlio, con evidenti doppi sensi osceni. 73 I riferimenti alla meraviglia (nei termini admiration, wonder, wondering) suonano qui ironici, mentre si riveleranno veritieri, perché Elena risulterà davvero un prodigio per il re (cfr. II, 3, 7). 74
Lafeu si pone tra Elena e il re come Pandaro nel Troilus and Cressida, che aveva assunto fi n da Chaucer il ruolo di mezzano per antonomasia.
75 La nozione di terzo occhio rimanda probabilmente alla rappresentazione della Prudenza in Chaucer (Troilus and Criseyde, V, 744-749). 76 Cfr. Matteo, 11, 25; 1 Corinzi, 1, 27, Esodo, 14, 21; 17, 6. 77
La descrizione della reggia del Sole e del mito di Fetonte, citato anche in Romeo e Giulietta (III, 2, 1 sgg.), si trova nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 750 sgg., II, 1-332).
78
Anche in questa occasione la verginità è messa in palio e dunque usata fruttuosamente. 79
Collocati in un periodo storico di primo capitalismo, i drammi di Shakespeare fanno spesso riferimento alla nozione di azzardo, da intendersi in relazione alla teorie economiche e matematiche, e in senso fi losofico, come scommessa sulla propria vita. Si consideri l’iscrizione che reca lo scrigno di piombo in Il mercante di Venezia (“chi sceglie me deve dare e azzardare tutto ciò che possiede”).
80
Allusione alle figure dell’albero genealogico. Atto II, sc. 2 81
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte.
82
Breeding letteralmente indica l’atto del nutrire, ma qui si riferisce all’educazione.
83
Come accade spesso nei drammi shakespeariani, anche i personaggi di rango ele-
NOTE
vato, nei dialoghi con i clown, assumono il loro registro linguistico, i modi di dire e i giochi di parole. 84
Il termine quatch-buttock potrebbe venire dallo scozzese, dove si riferisce alla forma di una tazza (quaich). 85
Allusione al mal francese, in ingl. french disease, con cui era soprannominata la sifi lide. La corona francese indicava anche la perdita di capelli sul capo, dovuta alla malattia.
86 Tib è nome da contadinella, e Tom da contadino. Il gioco di parole si riferisce all’anellino di scarso valore che si scambiavano per le nozze o i fidanzamenti simulati. Ma in questa frase, come in tutta la battuta, c’è anche l’allusione alla penetrazione della donna da parte dell’uomo. 87
Morris è la danza che si svolgeva per le feste di maggio. 88
Lavatch mescola le parole del proverbio as fit as a pudding for a friar’s mouth.
89
Allusione oscena.
90
Altra presa in giro dell’ipocrisia di corte. L’espressione serve a eludere ogni risposta. Si vedano le considerazioni di Paroles in IV, 3, 259. 91 bound: qui il gioco di parole è tra i significati di “legato” e “obbligato”. 92 Lavatch gioca su under e stand, che può riferirsi all’erezione, rispondendo fruitfully nel senso di sexually fruitful (Fraser).
Atto II, sc. 3 93
La scena: il palazzo reale di Parigi.
94
artists = physicians, “medici”.
95
Fellow, con la lettera maiuscola, è un probabile riferimento al Royal College of Physicians. 96
So I say: come il clown nella scena precedente, anche qui Paroles sta interpretando una parodia del cortigiano. La frase, ripetuta in alcune varianti (so say I too etc.) a chiosa delle considerazioni di Lafeu, si
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NOTE
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presta a ogni contesto e mette in luce la saccenza egocentrica del personaggio. 97 Si allude a una ballata popolare dove si proclamava la guarigione di un re. 98
Delfi no, in questa metafora colloquiale, è simbolo di vivacità. Ma è anche gioco di parole sul delfi no di Francia.
99
the brief and the tedious: Paroles continua a parlare con l’affettazione di un cortigiano parvenu.
100
Lustig in tedesco vuole dire “allegro”.
101
Coranto, corrente in italiano, è il nome di una danza spagnola molto veloce dal ritmo formato di un triplo metro, che si ballava correndo e saltando. 102 Per fare da spalla a Lafeu e tenergli testa, Paroles continua a prendere in giro i francesi e i cortigiani; qui, con l’espressione mort du vinaigre, si riferisce in maniera blasfema alla crocifissione, durante la quale la fronte di Cristo era inumidita di aceto. 103
To repeal si riferisce, in questa metafora di difficile resa italiana, all’atto di revocare un bando, un esilio (cfr. banished al v. 49).
104
Writ = proclaimed, showed.
105 Maid qui come altrove è parola chiave, anche ambigua: non ricca, non nobile (e perciò presto rifiutata), Elena giocherà la sua carta più fortunata, quella della verginità. 106
Letteralmente “per un paio d’assi” (amb-ace).
107
Sono gli atti che Elena offre come moglie, ma la sua capacità di agire bene e pensare bene (l’industria boccacciana) andrà ben al di là di quello che ci si aspetta come i “servigi” di una moglie. 108
Liege è un termine del diritto feudale: è il signore che aveva diritto alla fedeltà dei vassalli.
109
Ironico con allusione oscena (raising), come si ricava anche dal paragone tra Lafeu e Pandaro (II, 1, 93).
110
pp. 845-861
Title è ellittico; si intenda lack of title.
111
Altra presa di posizione di Shakespeare contro una valutazione esteriore, non sostanziale, del valore o della virtù personale. Tutto il dramma mette in discussione questa distinzione tra nobiltà di sangue e di animo. Il motivo è anche frequentemente esposto nel Decameron (cfr. VI, 1) e nel Romeo e Giulietta (II, 1, 55 sgg), dove Giulietta, nel consacrasi a Romeo, separa il nome, mera convenzione, dalla sostanza della persona. 112 the rest = i titoli nobiliari. Cfr. II, 3, 117-118. 113
Il re usa la forma del pluralis maiestatis per enfatizzare il proprio ruolo e il potere che sta esercitando.
114
Dole = deal out, “distribuire”, “dare”.
115
Con i termini counterpoise e balance il re torna ancora (come al v. 155) a ribadire l’immagine della pesatura dei meriti e dei titoli. 116
Tra i significati di brief, l’OED segnala royal mandate. L’eccezionalità e la celerità del rito si devono quindi al volere del re.
117 Recantation si riferisce ad una pubblica ammissione di colpa. Indica l’atto di ricredersi, ritrattare, ma ha anche una sfumatura religiosa (che la presente traduzione ha scelto di sottolineare). 118
Companion = rascal.
119
Giochi di parole sulle gerarchie.
120
Sirrah si usa per apostrofare un uomo di rango inferiore.
121
The scarfs and the bannerets connotano Paroles come matto, caricatura del soldato e strambo cortigiano.
122 Window of lattice è una fi nestra con vetrate all’antica che caratterizza le case umili. 123
Dram letteralmente è la “dramma”, pari a gr. 1,77. Il termine è usato anche nelle bevande, come a indicare un “sorso”, un “goccio”. Scruple si riferisce a un terzo di
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pp. 865-879
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
grammo. Naturalmente è da intendersi in senso metaforico e paradossale. 124
Letters: plurale da intendersi al singolare, secondo il latino (litterae).
NOTE
Atto II, sc. 5 137
La scena: il palazzo reale di Parigi.
138
126 Bertram si riferisce a Elena, come più avanti con il termine present gift (II, 3, 286).
Con l’espressione this lark for a bunting Lafeu rovescia il proverbio: To take a bunting for a lark, che letteralmente significa “scambiare uno zigolo per un’allodola”, perché i due uccelli si somigliano nell’aspetto, ma non nel canto, ma in italiano non rende molto la comicità.
127
139
125 Jades sono cavalli di razza meno pura, “ronzini”. Si dice anche, come dispregiativo, per donne dappoco.
Si noti l’assonanza tra strife e strike.
128
In italiano nel testo. Fa parte del linguaggio colorito di Paroles e del suo vanto di essere uomo di mondo. 129
A man that’s marred: è rielaborazione del proverbio marrying is marring.
Atto II, sc. 4 130
La scena: il palazzo reale di Parigi.
131
“Stare bene” era un modo per dire “essere passati a miglior vita”. I clown giocano spesso sugli automatismi linguistici per metterli in discussione.
132
Lavatch allude al comportamento di Paroles, che si adatta alla sua maniera al protocollo cortigiano. Si vedano i consigli elargiti dalla contessa a Bertram (I, 1, 61 sgg.).
133
La formula before me è quella già usata per i giuramenti (upon my soul), ma qui Lavatch fa un gioco di parole per rovesciare l’accusa e dare a Paroles della canaglia.
134
I have found thee: “vi ho trovato” nel senso di “vi ho smascherato”. Ma sulla parola si gioca poi lo scherzo di Lavatch nella battuta successiva.
135
Lavatch scherza sul doppio senso: in yourself può essere inteso come “da solo con i vostri mezzi” o “presso di voi” (trovandovi ugualmente matto). Su questo secondo significato si basa la battuta ai vv. 35-37.
136
La metafora (curbèd time) allude al morso dei cavalli. Tutto il discorso di Paroles è ovviamente fitto di ironia.
Il linguaggio religioso usato da Lafeu accentua l’ironia.
140 Paroles si riferisce all’ultimo dialogo con Elena (II, 4, 38 sgg.); è evidente anche in questa occasione la viltà di Bertram, che non ha avuto il coraggio di congedare da sé la sua sposa. 141
Per giocare sulla parola che gli è stata suggerita da Paroles (ai vv. 15 e 16), Lafeu chiama il sarto Sir, “Signore” (e la presente edizione lo scrive tra virgolette): lo rende così ridicolo in quanto esecutore dall’abbigliamento bizzarro di Paroles, che compare in scena agghindato con sciarpe, bandierine e giarrettiere, come già è stato descritto. Si confronti l’espressione in Re Lear, II, 2, 54-55.
142 Ci si riferisce, con Custard, all’usanza di un clown di uscire dalla torta che si celebrava durante la festa annuale del Lord Mayor di Londra, finendo nella crema. 143 Gioco di parole tra token e mistaken (v. 40). 144 Il riferimento è alla Bibbia (si veda la Lettera ai Tessalonicesi, 5, 15). 145
Appointments = affairs.
146
Le battute di Elena manifestano una certa ambiguità in riferimento a quanto sta per accadere e alle sue premesse (per l’uso di stars, cfr. I, 1, 212 sgg.).
147
fain = willingly.
148
La minaccia con cui Bertram, qui in chiusura del secondo atto, esce di scena (I will never come…) anticipa le condizioni impossibili che detterà per lettera (cfr. III,
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NOTE
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
2, 57-60), poi realizzate grazie al piano perfetto di Elena. Atto III, sc. 1 149
La scena: Firenze, il palazzo del duca.
150
Mentre il re di Francia si mantiene distaccato dalle ragioni della guerra, i suoi soldati vi partecipano attivamente (cfr. I, 1, 2 sgg.).
151
Motion = agitation of the mind, “ipotesi”, “congettura”.
152
Le parole del duca di Firenze si riferiscono a quanto avverrà nella scena terza dell’atto III. Atto III, sc. 2
153
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte.
154
Lavatch riprende il proverbio to sell for a song (“svendere”, nel senso di vendere qualcosa in fretta e senza dare importanza al denaro), in relazione al ritratto del malinconico distratto e svogliato. Attribuita a Bertram come ad altri personaggi shakespeariani (ad esempio ad Antonio in apertura di The Merchant of Venice: cfr. I, 1, 1 sgg.), la malinconia è una condizione psicologica e fisica che, delineando la stranezza di un personaggio, apre a una più estesa indagine sull’io, nel rapporto con l’altro e con il mondo sociale.
155
Old lings è metafora per indicare il sesso maschile. Anche in questo caso (come nelle battute scambiate in precedenza con la contessa: cfr. II, 2, 1 sgg.) l’obiettivo è sempre la corte, spazio di malinconia, appunto, di cui Bertram è emblema, e di scarsa vitalità.
158
pp. 879-895
quirks = strokes.
159
Passport è il documento che le dà licenza di andarsene via da casa. 160
Il riferimento al rapporto tra doni di natura e virtù è molto frequente nel dramma (cfr. I, 1, 58 sgg.; I, 2, 19 sgg., etc.).
161
That si riferisce a inducement (v. 91). La traduzione lo rende liberamente.
162
Caitiff = wretch.
163
Raving: sta per ravening, “vorace”, “furioso”. Il leone rimanda al mito di Piramo e Tisbe, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (IV, 5 sgg.), ripreso da Shakespeare in Sogno di un notte di mezza estate e considerato tra le fonti di Romeo e Giulietta.
164
L’invocazione alla notte ricorda quella di Giulietta (cfr. Romeo e Giulietta, III, 2, 1 sgg.), ma con significato contrario. 165 Elena ha rubato il titolo di moglie e ha sottratto Bertram alla spensieratezza di corte. Ma l’eco può anche rimandare alle parole di Cristo nell’Apocalisse (16, 15-21).
Atto III, sc. 3 166
La scena: Firenze, il campo di battaglia.
Atto III, sc. 4 167 La scena: Rossiglione, il palazzo del conte. 168 Saint Jaques è Santiago di Compostela, dove Saint Jacques è sepolto. 169
Nell’Eneide la dea Giunone, irata con Enea e con i Troiani, tiene l’eroe lontano dal Lazio per i primi sette anni dopo la fuga da Troia. Il paragone tra Bertram ed Enea risulta però implicitamente ironico e dissonante.
156
Con there si allude al contenuto della lettera.
Atto III, sc. 5
157
170
La pronuncia di not è la stessa di knot, “nodo”, e questo crea un’implicita ambiguità che rende il messaggio leggibile (come in realtà sarà) anche in senso opposto.
La scena: Firenze, per le strade.
171
In tutta questa scena l’onore e l’onestà si riferiscono alla verginità e ne sono sinonimo.
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pp. 895-915
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
NOTE
172 Suggestions si riferisce alla seduzione e al precedente approccio (solicited, v. 15).
ves, Il tamburo stromento di prima necessità nel regolamento delle truppe, 1807.
173
Come in Middle English, il termine engine è usato nel senso etimologico (lat. ingenium), quindi non tanto come macchina, quanto come “astuzia”, “invenzione”, “strumento” (OED).
188
174
189
Twigs sono trappole per catturare gli uccelli; tutto il brano è molto ironico.
Paroles riprende la formula latina dell’iscrizione tombale. In tutta questa scena che prelude al suo smascheramento, il linguaggio è eccessivo e ridondante, parodico.
175
Cfr. III, 4, 3 sgg.
Mystery in stratagem si riferisce alle conoscenze tecniche e alle tattiche segrete dell’arte militare.
176
È il nome di una taverna fiorentina.
190
177
Il termine coarsely si riferisce a qualcosa di inferiore o che vale poco; in Middle English si riferisce a ordinate or inferior (OED), il che è coerente con la sottovalutazione, soprattutto sociale, da parte di Paroles. 178
Cfr. III, 5, 13 e 62.
Possibile riferimento alla sillabazione del nome di Paroles = “parole”, su cui si basa frequentemente l’ironia del dramma.
191
Anche in questo caso Paroles gioca sull’esagerazione paradossale dei concetti per sottolineare la difficoltà dell’impresa che promette di compiere.
192
179
La metafora è quella di un animale braccato, che continua ai vv. 102-103 e 107.
180
193 Letteralmente sprat è un pesciolino della famiglia delle aringhe.
Il temine rimanda al nome della nobile famiglia dei Della Scala. L’aspetto e l’abbigliamento di Paroles sono parte essenziale del suo personaggio (cfr. II, 5, 15).
181
Letteralmente malinconico (melancholy; cfr. III, 2, 1 sgg.). Atto III, sc. 6
182
194 In Middle English lass è, nello specifico, la ragazza non sposata. 195
I’th’wind vuole dire “sopravento”; perciò è da intendersi che non c’è nemmeno bisogno di fiutare l’aria per trovare le sue tracce.
La scena: Firenze, il campo di batta-
glia.
Atto III, sc. 7
183
196
to’t: Fraser suggerisce implicitamente to the test = “alla prova”. 184
hilding = coward, “codardo”.
185
John Drum’s entertainment è un proverbio per dire “mettere alla porta”; l’espressione gioca anche sulla parola Drum, “tamburo”, che la traduzione cerca di adattare al senso italiano con “trombone”. 186
Pox è sinonimo di plague, “peste”, “infezione grave”.
187
La tattica militare utilizzava la voce del tamburo per una grande varietà di compiti, fra cui quello di muovere e aggregare le truppe. Cfr. Vicente Requeno y Vi-
La scena: Firenze, a casa della vedova.
197
Intende la moglie del conte di Rossiglione. 198
È questo uno dei fulcri del ragionamento strumentale e dell’intelligenza di Elena. Il fatto che lei sia la legittima sposa la pone al riparo sia dall’illegalità sia dal peccato. Pur nel bilanciamento delle colpe si tratta, tuttavia, pur sempre di qualcosa di “cattivo” nel significato o nel fatto (wicked meaning o a wicked act), ed è questo uno dei motivi dell’irrisolta problematicità del dramma, sul piano intellettuale e morale (si veda la Nota introduttiva).
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NOTE
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
Atto IV, sc. 1 199
La scena: Firenze, fuori dell’accampamento presso l’accampamento militare. 200
Letteralmente, il termine lindseywoolsey indica un tessuto misto di lana e lino, ma qui si vuole indicare una sorta di patchwork linguistico, un impasto di lingue e dialetti utili per intrappolare e ingannare Paroles, ma anche per divertire il pubblico giocando sul nonsense e sullo scarto tra un linguaggio incomprensibile e una sapiente traduzione improvvisata. Una scena simile si trova negli Acarnesi di Aristofane (e su un medesimo tipo di comicità si gioca anche la falsa traduzione del tedesco nel fi lm La vita è bella di Benigni).
201 Le indicazioni del personaggio servono anche a guidare la recitazione; contrariamente ad altre, la presente traduzione ha modificato il testo per suscitare alla lettura o all’ascolto in italiano una maggiore comicità e un effetto più simile a quello prodotto dal linguaggio nell’originale. 202
Plausive sta per plausible = “plausibile”.
203
Con butter-woman Paroles si riferisce alla nomea delle lattaie come donne ciarliere, che spesso parlano a vanvera.
204 Bajazeth è un personaggio del Tamburlaine the Great di Marlowe, dove non risultano però allusioni a personaggi muti (o a muli, come nell’originale di F). È stato invece ipotizzato che Shakespeare volesse indicare le atrocità compiute dai Turchi ai danni dei prigionieri ritenuti spie del nemico (nominati anche nell’Enrico V, I, 2, 232), oltre che da un Bajazeth figlio di Solimano il Magnifico, nominato anche da Painter nell’ultimo racconto del Palace of Pleasure. 205
Fathom è “braccio”, misura che equivale a sei piedi e a circa mezzo metro. Trenta braccia sarebbero quasi diciotto metri.
206
La mia traduzione sceglie di riportare il termine “grullo”, usato nel dialetto toscano, che viene dallo spagnolo gruhla
pp. 915-931
(oche, gru) o dal tedesco grullan, “deridere”, “beffare”. 207
La parola hoodwinked vuole dire non solo “bendato”, ma anche “ingannato”. Cfr. Macbeth, IV, 3, 72. Atto IV, sc. 2
208
La scena: Firenze, casa della vedova e di Diana. 209
Il nome Fontibell allude all’organo sessuale femminile. Si potrebbe tradurre Vaginbella.
210 Giove (Jove) probabilmente sostituisce il nome di Dio, dato il divieto del 1606 di pronunciare a teatro il suo nome invano. 211
Malato (sick) e malinconico è il desiderio prima di essere soddisfatto. Ma Bertram è rappresentato come un personaggio di per se stesso malinconico (cfr. III, 2, 1 sgg).
212
L’Onore invocato da Bertram si mette ora, personificato e allegorizzato, al servizio della difesa della propria virtù da parte di Diana. 213
È l’anello che il re ha dato a Elena. In questo modo le parole di Diana anticipano allusivamente quanto accadrà alla fine, proprio grazie alla funzione dell’anello come testimone oggettivo, reale della verità.
214
Queste considerazioni si ricollegano a quelle di Elena alla fi ne del III atto e accentuano gli aspetti moralmente problematici del dramma. Atto IV, sc. 3
215
La scena: Firenze, per strada nei presso dell’accampamento fiorentino. 216
Con rebellion si allude agli appetiti sessuali, che si ribellano alla buona norma sociale. I due signori Dumaine colgono l’aspetto tutto esteriore del comportamento, poco nobile, di Bertram e non esitano a giudicarlo secondo i parametri della moderazione cortese.
217
Curiously sta per carefully (Fraser).
2580
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pp. 931-957
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
218 Counterfeit indica in questo caso una pietra, un gioiello fasullo (cfr. III, 6, 1 sgg.). 219
Si allude qui, e poco dopo con l’amarezza del re, al comportamento di Bertram con Elena. 220
Intende la conquista di Diana.
221 Per avere portato troppo a lungo gli speroni del soldato, senza essere capace di combattere e di essere coraggioso. 222
Gioco di parole tra carry = “comportarsi” e = “portare” (nella battuta successiva). 223
Il termine militarist è usato nel senso di “esperto in affari militari”.
224
Condition si riferisce al valore militare.
225
I commentatori (cfr. Fraser) suggeriscono di intendere botcher come patcher = “rattoppatore” (in riferimento al significato del verbo in Middle English). Ma to botch significa anche, in inglese moderno, to carry out (a task) badly (OED), “fare male un lavoro”, quindi botcher vuole anche dire “pasticcione”. 226
La traduzione cerca di riprodurre gioco di parole tra il verbo to count, “contare”, e Count = “conte”.
NOTE
che in relazione alla Centauromachia, la battaglia che aveva visto coinvolti Lapiti e Centauri, dopo che questi ultimi si erano ubriacati alla festa nuziale di Piritoo commettendo stupri e violenze. 230 A teatro il tamburo annunciava l’inizio della performance; ma si tratta di una funzione ben diversa da quella assunta nel contesto militare. 231
Miles-End è una località alla periferia est di Londra, dove si tenevano le esercitazioni militari, in particolare ai tempi delle lotte tra Inghilterra e Spagna. Atto IV, sc. 4
232
La scena: Firenze, casa della vedova.
233
Altro luogo comune sulla crudeltà e sui modi dei Tartari (cfr. IV, 1, 43).
234
Vicina al perfetto compimento del suo piano, Elena pronuncia, variandolo, il motto che dà il titolo al dramma e che, al tempo stesso, indica il particolare sviluppo ‘machiavellico’ del modello boccacciano che si limitava a valorizzare l’industria del personaggio.
227
Una pena per i malfattori era di esporli con sulla fronte un cartiglio che ne recitava le malefatte.
228
L’attaccamento alla vita e ai suoi valori materiali, contro ogni ideologia eroica e guerresca, è una caratteristica fondamentale del fool shakespeariano, che ne accentua la vitalità e la verve linguistica. Ed è un elemento comune anche a personaggi simili del teatro europeo, come il gracioso spagnolo (si pensi a Clarín in La vita è sogno di Calderón de la Barca). 229
Nesso era un centauro, figlio di Issione e Nefele, che traghettava i viaggiatori al di là delle sponde del fiume Eveno. Un giorno tentò di rapire e di violentare la moglie di Eracle, Deianira. Già il padre Issione aveva suscitato le ire di Zeus per avere cercato di sedurre Era. Il nome di Nesso è emblema di lussuria e sregolatezza an-
Atto IV, sc. 5 235
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte. 236 All’abbigliamento di Paroles si fa riferimento in tutto il dramma (cfr. II, 5, 15; III, 6, 87; IV, 5, 324, etc.). Qui si associano metafore culinarie e sessuali, anche in riferimento all’immaturità dei giovani su cui si era espresso anche il re (I, 3, 24 sgg.). 237
Continua il paragone tra Elena e una pianta preziosa; qui è la ruta, simbolo di pentimento, in un gioco di parole intraducibile tra grass e grace che prosegue nei versi successivi con la citazione dell’episodio biblico di Nabucodonosor che si nutrì d’erba dopo che perdette il suo regno (Daniele, 4, 33).
238
Letteralmente bauble è il bastone da
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NOTE
TUTTO È BENE CIÒ CHE FINISCE BENE
clown, dotato di un pomo all’estremità, qui con significato osceno. 239
Continua il gioco di parole osceno.
254
pp. 957-977
Cfr. IV, 5, 16 sgg.
Atto V, sc. 3
240
Perché infiammato dalla sifi lide, il mal francese.
255
241 Il clown mescola alla sua comicità espressioni bibliche ben note al pubblico. Il riferimento al diavolo come principe del mondo è in Giovanni, 12, 31 e 14, 30, mentre la metafora della casa con la porta stretta si trova in Matteo, 7, 13.
256 Nonostante dichiari di avere rimosso il rancore, il re avverte ancora la gravità del gesto di Bertram che ha causato l’allontanamento di Elena, ora creduta morta. Bertram non dovrà chiedere il perdono perché costringerebbe il re a dichiarare direttamente a lui di avere perdonato la sua colpa.
242
Cfr. Re Lear, II, 4, 125-6.
243
La traduzione cerca di riportare la comicità del clown sul piano della consonanza (tra “trucchi” e “brocchi” = jades). La metafora dei cavalli è ripresa nella successiva battuta della contessa.
244
Allude a qualche informatore.
245
Il clown scherza sul cerotto di velluto, usato per coprire le ferite di guerra, ma anche le cicatrici lasciate dalla sifilide, a cui si riferisce nella battuta successiva (IV, 5, 100).
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte.
257
Gli antichi rappresentavano il Kairós, o “momento opportuno”, personificato e, in alcuni casi, preso per il ciuffo dei capelli sulla fronte. Così, ad esempio, lo raffigura una scultura greca di Lisippo, ma anche un emblema di Geoffrey Whitney intitolato Occasion on her Wheel, in cui l’Occasione è rappresentata sulla ruota della Fortuna, con il ciuffo al vento. 259
Atto V, sc. 1 246
La scena: Marsiglia.
247
Cfr. IV, 4, 35-36.
Atto V, sc. 2 248
La scena: Rossiglione, il palazzo del conte.
249 La traduzione, libera, ha trasformato il gioco di parole nell’originale basato su strong; che la Fortuna sia sfavorevole lo si può evincere da ciò che si dice dopo. 250
Cfr. II, 3, 253 sgg.
258
Nel cuore.
260
Bertram sta descrivendo i motivi del suo disprezzo per Elena con i termini della tecnica pittorica dell’anamorfosi, che colloca un’immagine distorta all’interno della disposizione prospettica tradizionale, rendendola correttamente visibile soltanto da una certa posizione, con importanti implicazioni sul piano concettuale improntate al relativismo (cfr. Thorne, e Nota introduttiva). 261
Il re sovrappone metafore economiche e religiose. Il motivo della grazia attraversa il dramma, anche nelle sue sfumature comiche (cfr. IV, 5, 16).
Con il termine pur si può intendere sia il jack, il “fante” del gioco delle carte (OED) sia un escremento animale.
262 Scritto come si pronuncia il nome Magdalene, “Maddalena”.
251
263
Letteralmente carp è “carpa”, ma in italiano non rende l’accezione negativa come “scorfano”.
252
Cfr. IV, 3, 280.
253
Si rende liberamente l’imprecazione Cox (God) my passion!
Letteralmente “digerito”.
264
I termini usati qui da Bertram (ingaged, subscribed e course of honour) appartengono al lessico dei duelli, ma indicano il corteggiamento che il conte attribuisce a Diana nei suoi confronti.
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pp. 977-1033
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
265
Secondo leggende postclassiche Pluto, dio della ricchezza e della prosperità, possiede la perizia alchemica di tingere e cambiare i metalli in oro, moltiplicandone il valore.
266
L’immaturità di Bertram consiste proprio nel non conoscere se stesso, espressione che richiama il motto sapienziale greco.
267
Come nella tragedia l’ambiguità del linguaggio prelude al rovesciamento tragico, in questa commedia collega le vicende precedenti a quelle che si riveleranno, alla fi ne, risolutive.
268
È il falconiere della sc. I, atto V.
269
Il toll-book era il registro delle vendite dove i mercanti segnavano le merci vendute a prezzo pieno o scontate, per il successivo pagamento delle tasse.
270
Allude a Paroles.
271
Si riferisce a Lafeu.
272
Il termine quick sta per alive = “viva”.
273
Con il termine curtsies si intendono le cerimonie formali, le moine di corte, che vengono defi nitivamente liquidate come sconvenienti e volgari.
274
Il re, come un attore, va mendicando il plauso del pubblico. Ma commentatori ricordano anche la favola, ben nota a Shakespeare (è citata in Pene d’amor perdute, Romeo e Giulietta, Riccardo II, Enrico IV), del re Cofetua e della mendicante, divenuta sua sposa. Il racconto era tramandato anche in una ballata popolare, trascritta nell’antologia di Richard Johnson Crown Garland of Goulden Roses (1612). CHIARA LOMBARDI
Pericle, principe di Tiro Pericle viene iscritto nello Stationers’ Register il 20 maggio 1608 da Edward Blount, che però non lo pubblica. Verrà invece pubblicato, l’anno successivo, da Henry Gosson, a partire da un testo chiaramente
NOTE
degradato, probabilmente compilato a partire da una ricostruzione mnemonica fatta da due attori della compagnia (Q1: 1609). Nel 1608 viene dato alle stampe anche un testo in prosa, autore George Wilkins, dal titolo The Painfull Aduentures of Pericles Prince of Tyre (P.A.), che sostiene di rappresentare “la vera storia” del dramma e che di fatto, con tutta evidenza, è basato almeno in parte sul testo messo in scena. Ad ogni modo, il primo in-quarto, nonostante le evidenti lacune, le ripetizioni, le incertezze nella segmentazione dei versi e nella metrica, vedrà una prima ristampa nello stesso anno (Q2: 1609); a questa seguirà una nuova edizione in-quarto nel 1611 (Q3) e un’altra, ad opera di William Jaggard per Thomas Pavier, con qualche tentativo di modifica nel 1619 (Q4). Non incluso nel primo in-folio, Pericle entrerà nel canone shakespeariano solo nel 1664, con la ristampa del terzo in-folio da parte di Philip Chetwind, il cui testo, riprendendo Q6, si situa nella medesima linea genealogica che, con poche modifiche, discende da Q4 e in ultimo da Q1. F3 introduce la divisione in atti, ma non in scene, divisione comunque del tutto assente in Q1 e reintrodotta solo a partire dalle edizioni settecentesche. Testo guida: in mancanza di un manoscritto autografo, di un copione di scena (prompt book) o di un testo stabilizzato, questa edizione propone un testo “ricostruito” a partire da Q1 e P.A. e integrato da ogni variante delle edizioni successive, in particolare da quelle di Malone del 1780 e di Steevens-Reed del 1785, valide a emendare i refusi e le imprecisioni. Segnaliamo solo varianti con significati alternativi, non quelle – numerosissime – volte esclusivamente a restaurare la misura del verso; tra le indicazioni di scena, segnaliamo solo quelle più significative o con riscontri puntuali nel testo dei dialoghi. Le trascrizioni sono sempre modernizzate. Questa edizione ha adottato una suddivisione del testo in ventidue scene, numerate progressivamente, ma non in atti.
2583
Shakespeare IV.indb 2583
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NOTE
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
Scena 1 1
La scena: nessuna indicazione di luogo è presente in Q, mentre le edizioni moderne optano per situare questo inizio alternativamente in esterno, difronte al palazzo di Antioco, o all’interno, in una delle sue stanze. In entrambi i casi, elemento costante e imprescindibile per ogni messinscena resta l’esposizione sul palco scenico di teste mozzate e infi lzate su pali. Le edizioni moderne, a partire da quella curata da Malone, separano l’intervento di Gower, cui ritagliano uno spazio a sé, dalla prima scena, che avrebbe inizio con l’ingresso in scena di Antioco e della sua corte. Questa edizione al contrario fa una scelta di continuità, in linea con la funzione del personaggio di Gower, che non si esaurisce in quella del Prologo tradizionale, ma che, più simile a quella del coro della tragedia greca o di un moderno narratore “extradiegetico”, diviene elemento cruciale per la coerenza della storia, sia sotto il profi lo degli eventi che dei significati.
2
Figura storica, John Gower (1330-1408) è poeta medievale inglese, autore di quella che è considerata la fonte principale del dramma shakespeariano, la Confessio Amantis (scritta nel 1393, ebbe la prima versione a stampa nel 1483 e venne ristampata nel 1533 nel 1554). Nella fi nzione scenica, dunque, il “vecchio” poeta è richiamato dal regno dei morti per riesumare, raccontandola nuovamente, una storia che egli stesso aveva già “cantato” riprendendo e riadattando una lunga tradizione folklorica. Questa stratificazione storica lascia traccia nel linguaggio del personaggio, cui è volutamente data una patina “antica”. Frequente è l’uso di arcaismi, sia nel lessico che nella metrica dei versi che, pur varia nel corso del dramma, in taluni casi riecheggia quella della Confessio Amantis.
3
Adottando nuovamente, insieme al proprio corpo, tutte le prerogative della condizione mortale.
p. 1033
4
Ember-eves erano le vigilie dei quattro periodi di digiuno e preghiera prescritti per l’inizio di ognuno dei quattro tempora, le quattro stagioni del calendario liturgico cristiano. Ales erano feste agresti, che l’aggettivo holy (“sacro”) sembrerebbe ricondurre all’ambito religioso-liturgico. Va comunque segnalato che l’espressione holy-ales non è registrata. In traduzione si è reso liberamente con “sagre dei patroni”, a richiamare un tipo di festività ad un tempo popolare e ufficiale.
5
Come sottilmente registrato in queste parole, la vicenda presentata da Gower risale a un’antica e lunga tradizione e attraversa, nel corso dei secoli e da un adattamento all’altro, molteplici forme, “media” e tipologie di pubblico: originariamente affidato all’oralità del “canto” (old was sung), viene anche “letto”; appartiene tanto alla cultura folklorica e popolare che a quella colta di “dame e nobili signori” (lords and ladies).
6
The purchase … glorious: Gower accenna qui ad una doppia funzione del dramma, da un lato, come si evince dai due versi precedenti, la vicenda avrebbe un effetto ristoratore, di rigenerazione; dall’altro avrebbe una valenza edificante. L’Oxford English Dictionary (OED) cita questo passo per glossare l’aggettivo glorious nel significato, ora obsoleto, di “desideroso di gloria” (eager for glory, OED, 2).
7 Et bonum quo … meius: così nel testo, massima antica e risalente forse ad Aristotele. Letteralmente: “ciò che è buono, è tanto migliore quanto più è antico”. 8
Riecheggia qui l’espressione proverbiale A candle (a torch) lights others and consumes itself (Tilley c39) che equivale a “la candela (o la torcia) illumina gli altri e consuma se stessa”.
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Gower, ancora una volta, fa riferimento alla lunga storia della vicenda e, in particolare, richiama qui le sue fonti, o auctoritates, a dare validità al racconto; nello stesso
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modo in cui, come in un gioco di specchi, egli stesso è chiamato a fare dal drammaturgo Shakespeare/Wilkins. 10
Letteralmente: a lungo andare, a forza di ripetersi (with long use), l’abitudine, il senso comune, il costume (by custom) fi nì per non considerare peccato (account’ no sin) ciò che loro avevano cominciato (what they did begin). Il concetto, espresso anche dal Gower “storico” nella sua Confessio Amantis, risuona anche nel proverbio Custom makes sin no sin (Tilley, C934) “L’abitudine rende il peccato non peccato”.
11
The glory of her praise: torna il tema della “gloria”, che attraverserà tutto il dramma, qui declinato secondo un’accezione particolare: oltre a designare il più alto grado di fama e onore – o la ricerca di essi –, seguendo una tipica cadenza biblica (“la gloria di Dio”), il termine glory è infatti associato all’immagine della luce, del fulgore e della bellezza, e della magnificenza (OED, 6). In traduzione si è scelto di sciogliere questo termine, così denso di significati, nelle sue diverse componenti.
12
Lucina era un altro nome di Giunone, o Diana, dee protettrici delle nascite. 13 Il passo, probabilmente corrotto, sta probabilmente a significare che Natura, per tutto il tempo della gestazione, si sarebbe adoperata affi nché i pianeti si trovassero nella disposizione più favorevole alla nascita della figlia di Antioco. Pur nella versione non felice a nostra disposizione si intravedono le tracce di una metafora che si sviluppa lungo tutta la battuta di Antioco e che fa capo al tema dell’“abito”. Non solo la figlia è letteralmente “vestita come una sposa” (clothed like a bride), ma lei stessa è paragonata ad un vestito, o mantello, su cui i pianeti avrebbero intrecciato le loro migliori doti quali fi li di lana (in her … to knit). Si è tentati di leggere lo stesso verbo to glad nell’accezione di dress-up, “vestire/si in modo elegante”, che l’OED però registra solo come uso recente.
NOTE
14 Figure della mitologia greca, le Esperidi, figlie della Notte e di Erebo, abitavano i confini più occidentali del mondo ed erano custodi, con l’aiuto di un drago, di un giardino dai frutti dorati. Come già in Pene d’amore perduto, III. 3. 338 nel nome “Esperide” confluisce un doppio riferimento, alle mitiche ninfe e al giardino che esse custodisco. Nella battuta precedente, Pericle si dice spinto all’impresa dal desiderio di assaggiare il “frutto di quel celeste albero”. In questo paragone insistito Pericle ricopre la funzione di Eracle (Ercole), che secondo la leggenda riuscì a portare via i frutti. 15
Assume the lists (= “scendere in lizza”). List(s), come l’equivalente italiano “lizza”, indicava originariamente le palizzate con cui si circondavano i castelli o le piazzeforti e poi, per estensione, lo spazio da esse compreso, in particolare venne poi a designare i confini del campo in cui si affrontavano duellanti o i cavalieri nelle gare delle giostre. Vedi OED, 3° significato sostantivale (III b).
16
Si riferisce all’ultima condizione, “se viver vuoi, dì con parole tue”.
17 Lawful music, lett. “musica legittima”, ovvero rispettosa della legge (law), da intendere come legge naturale. Evidente il riferimento, per contrasto, all’incesto quale atto innaturale e dunque illegittimo. 18
Il passo è confuso, forse per ragioni di carattere testuale, forse perché Pericle non può dire ciò che vorrebbe in modo esplicito. Qui probabilmente egli analizza la propria situazione paragonandosi al vento: divulgando pubblicamente i vizi privati di Antioco, egli gli arrecherebbe fastidio, come polvere gettata negli occhi, ma ne guadagnerebbe poco e si esporrebbe a gran rischio. Placatosi il “soffio”, cioè il primo effetto della pubblica rivelazione, Antioco tornerebbe a veder chiaro, capirebbe cioè qual è la fonte del suo dolore e cercherebbe di sopprimerla.
19 Altro passo confuso e probabilmente, vista la metrica difettosa, mal riportato.
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NOTE
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Pericle cita, a mo’ di exemplum, la futile rivolta della talpa al cielo, contro l’oppressione umana, a dire in modo criptico e indiretto l’inutilità di mettersi contro i potenti, con evidente riferimento alla propria situazione a confronto con lo smisurato potere di Antioco. 20 Il tema della luce, che si dipana lungo tutto il dramma, in questa frase si incrocia a quello del peccato e della vergogna, attraverso le immagini antitetiche dell’oscurità legata alle azioni “nere più della notte” e della luce, appunto, visibile anche nel rossore della vergogna. (Il primo significato, seppur obsoleto, del termine blush, registrato dall’OED, è To shine forth = “brillare”, “spendere”). 21 L’inglese cropped (= “spuntare”, “cimare”, “potare”) si riferisce originariamente ad alberi e piante e tuttavia rimanda, attraverso la più ampia accezione di “mozzare”, all’immagine delle teste tagliate precedentemente mostrate da Antioco. Ritenendo troppo facilmente fraintendibili o troppo tecnici i participi passati italiani “potato”, “cimato” e “spuntato”, si è optato per “reciso”, mantenendo così il legame metaforico tra la pianta (poco prima era stato lo stesso Antioco a parlare di Pericle nei termini di fair tree, “bell’albero”) e il capo, ovvero la vita, di Pericle. 22
Level at Come segnalato dall’OED, in particolare nelle accezioni 7 e 8, il verbo è usato in riferimento al giusto posizionamento di un’arma da fuoco affinché il bersaglio sia raggiunto dal colpo. In effetti, nella battuta seguente, Taliardo passa dall’immagine della freccia a quella della pistola.
23 Molte didascalie come questa sono evidentemente rivolte a chi allestisce la scena e non al pubblico o al lettore.
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guenza confuso sia nelle entrate in scena che nelle uscite dei personaggi, oltre che nella concatenazione stessa degli eventi. 25 Misdread, termine non registrato dai dizionari in altre occorrenze, probabile intensificazione di dread (= “paura”) che l’OED spiega come fear or dread of evil (= “paura del male”). Il passo, attraverso l’immagine metaforica della “vita” delle passioni, dà conto di come la paura, di stazione in stazione, sia dapprima concepita, poi nutrita e cresciuta e di come infine essa si impadronisca della mente, sino a condizionarne obiettivi ed azioni: ciò che inizialmente è timore per un qualcosa di “eventuale”, fi nisce per essere “attiva” preoccupazione (da cui il gioco con il termine care, nel doppio valore verbale e sostantivale di “preoccuparsi”, “adoperarsi” e di “preoccupazione”). 26
Ancora una metafora arborea: Pericle, a capo del suo popolo, è come il “capo”, la “cima” degli alberi (tops of trees), che scherma il fusto e le radici su cui crescono. Si noti il gioco difficilmente traducibile tra fence (= “recintare”, “fare scherma”) e defend (= “difendere”).
27 Il passo è probabilmente corrotto: Malone sospetta che sia caduto un verso, il che spiegherebbe la strana costruzione e la rottura dello schema delle rime. Questo ipotetico verso mancante sarebbe responsabile tra l’altro del cambio inspiegato di soggetto, che qui passa al “noi”.
Scena 3 28 La scena: Tiro, palazzo reale, dove Taliardo giunge alla ricerca di Pericle, per ucciderlo. Assente nelle fonti, il dialogo tra Elicano e i nobili è materia d’invenzione inedita. 29
Scena 2 24
La scena: Tiro, città di Pericle. Palazzo di Pericle. Il testo è ampiamente corrotto, probabilmente mal trascritto e di conse-
Il riferimento è qui probabilmente al poeta Filippide, che interrogato dal re Lisimaco su quale dono potesse desiderare, rispose che avrebbe accettato qualsiasi cosa ad eccezione d’essere messo a parte
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dei segreti del re (vedi anche la Scena 19 v. 25). L’aneddoto deriva probabilmente dalle Vite di Plutarco, tradotte nel 1579 da Thomas North con il titolo di Lives of the Noble Grecians and Romans e in particolare dalla vita di Demetrio. Il testo è anche fonte principale di Antonio e Cleopatra e Coriolano, scritte negli stessi anni di Pericle.
magine di piccolezza: il dolore, le pene (griefs), sarebbero percepiti come di minore entità se visti attraverso i piccoli occhi del moscerino (midges’ eyes), ma sembrerebbero più grandi se comparati agli alberi, che crescono allorché sono potati, e ancor più se guardati dai piccoli insetti. Anche questa spiegazione convince solo parzialmente.
30 Indenture era il contratto che legava l’apprendista al mastro che lo introduceva alla propria arte, al proprio mestiere o al commercio (OED, 2b). In senso figurato, per estensione, qualsiasi contratto o mutuo impegno (OED, 2d).
36
31 L’originale risulta oscuro in questo passo, probabilmente corrotto. Si rende qui in traduzione un possibile significato.
Scena 4 32
La scena: Tarso, palazzo reale. Il dramma innova qui rispetto alle fonti, in particolare nell’ampiezza della descrizione della carestia. Il testo risulta abbastanza chiaro nel senso generale, ma incerto in più punti per quanto riguarda la resa verbale. 33 Cfr. il proverbio cit. da Dent [F251]: Do not blow the fire thou wouldst quench (= “Non soffiare sul fuoco che vuoi spegnere”). 34
To dig (genericamente = “scavare”) non è qui usato tanto nel senso di aprire un varco nelle profondità della terra, quanto in quello di “portare via terra” dalla cima di un monte, immagine equivalente a quella, che ritorna poco oltre, della potatura degli alberi. Dionisa sostiene che non si può lenire il dolore con il racconto dei dolori altrui, giacché sarebbe come spostare terra da un cumulo ad un altro. 35
Il senso del passo, probabilmente corrotto e difficilmente emendabile, è in parte oscuro. Questa edizione propone, al posto di mischief (= “sventura”, “cattiva sorte”), Midges (= “piccoli insetti”, “moscerini”), che ritiene più appropriato, in quanto im-
Qui, come spesso in Shakespeare, want[eth] vale “mancare di”, “avere bisogno”.
37 Cfr. il proverbio cit. da Dent [M1012]: [Evil] never [seldom] comes alone (= “il male non viene mai da solo”). 38
Cfr. Proverbio cit. da Pettie, A Petite Palace, in fairest speech is falsehood and feigning rifest (ed. Gollancz, 1908, I, 116, cit. da Tilley e Dent, C 732).
39 Probabile l’eco del proverbio registrato da Tilley [G 464] He that lies upon the ground can fall no lower (= “chi è a terra non può cader più in basso”). 40 Gratify può valere qui tano come sinonimo di grant (= “accordare”, “concedere”) che di show gratitude for (= “mostrare gratitudine”).
Scena 5 41
La scena: una spiaggia nei pressi di Pentapoli. 42
La scena si apre con un nuovo intervento di Gower che nel suo tipico linguaggio, ricco di arcaismi lessicali e forme desuete, introduce il nuovo cambio di ambientazione. Tornando nuovamente in scena dopo il Prologo, egli assolve qui – come anche in seguito – ad una fondamentale funzione meta-narrativa: con il proprio racconto, Gower tiene insieme le varie tappe dell’odissea di Pericle, colma i vuoti, condensa i tempi dell’azione.
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Awe-full sta qui per awe-inspiring, lett. “che ispira timore reverenziale”, “soggezione”, “stupore”.
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NOTE
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44 Necessity ha una doppia valenza nel testo d’origine: la parola – come notano i commentatori – può infatti essere intesa sia come “stato di privazione”, “mancanza”, sia come “patimenti dettati dalla sorte”. Gower, anticipando in qualche modo l’esito e il senso apologetico dell’intera vicenda, invita il pubblico ad aspettare che Pericle (he, nel testo inglese) superi il momento di travaglio (hath passed necessity) in cui è gettato dagli eventi, per giungere infi ne a maggior gloria. 45 Alcune edizioni correggono trouble’s in troubles ammettendo così una doppia lettura di reign, sia come sostantivo che come verbo. In quest’ultimo caso il verso verrebbe letto come “coloro che regnano nella tribolazione”. In fi ligrana, Malone intravede il riferimento al capitolo delle Gesta Romanorum in cui viene narrata la storia di Apollonius, il cui titolo recita: “De tribulatione temporali quae in gaudium sempiternum postremo commutabitur”. 46
The good sta per the good man (= “il buon uomo”). Conversation, come il suo equivalente italiano “conversazione”, al tempo di Shakespeare era per lo più sinonimo di “comportamento”, il saper stare in società (OED 6). Già allora era tuttavia presente il significato moderno (OED 7), che seguo qui per la traduzione.
47
Benison (= “benedizione”).
48
Writ (= “scrittura”) sta qui per Holy writ (= “sacra scrittura”), nel suo senso di “verità assoluta”.
49
La pantomima era una tipologia di rappresentazione associata a forme di teatro più arcaiche, in particolare al teatro medievale, per quanto trovasse impiego anche in opere contemporanee al Pericle. Se ne fa, ad esempio, ampio uso nel dramma The Travels of the Three English Brothers (1607), alla cui composizione aveva collaborato Wilkins. 50
Questo passaggio pare poco congruente, giacché la nomina a cavaliere di un mes-
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saggero recante notizie non buone è parsa a molti ricompensa eccessiva. 51 L’immagine, proverbiale (Dent d612.1), associa il “fuco” (drone), maschio dell’ape, ad un essere che vive sfruttando il lavoro altrui. 52
Soggetto sott’inteso è qui Pericle.
53
Si rende qui con “Pelliccia” l’inglese Pilch che sta ad indicare un indumento, per lo più una giacca o giubbotto, di pelle o pelliccia, o lana grezza. Con questo termine, usato come soprannome, i pescatori chiamano uno di loro, con evidente riferimento ai suoi rozzi indumenti. Discorso analogo va fatto per Patchbreech, lett. “Brache rattoppate”, reso qui con “Pezzalculo”. Tanto Pilch quanto Patchbreech sembrano per altro riferirsi alla stessa persona. 54 Imprecazione colloquiale e diffusa, ma di dubbia spiegazione: i commentatori ritengono l’espressione with a wanion equivalente a with a vengeance (= “vendetta”) o with a plague (= “la pestilenza”, “epidemia”). 55
Secondo la tradizione, che lascia traccia anche in espressioni proverbiali (cfr. Dent P483), la focena era segno di imminente tempesta. Il termine porpoise deriva – mediato dal francese – dal latino medievale porcopiscus (porcus “porco” e piscus “pesce”), da cui il riferimento, poco oltre nella stessa battuta del pescatore, all’essere half fish, half flesh (“metà pesce, metà carne”).
56 Il senso della battuta non è chiaro, né facile da ricostruire. Probabile, come suggeriscono alcuni commentatori, che il pescatore risponda ad una battuta, andata perduta, in cui Pericle augura ai tre il “buon giorno”. 57 L’espressione fish for sth., oltre al significato più ovvio e letterale di “catturare pesci”, ha anche quello figurato di “ottenere con artificio” o con mezzi illeciti. 58 Il Pudding era una grossa salsiccia, fatta di vari ingredienti, assimilabile al moder-
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no Black pudding, non molto diverso dal “sanguinaccio” italiano. 59 Sullo sfondo di questa battuta del pescatore sta il detto proverbiale “gli uomini devono fare come possono, e non come vogliono” (Men must do as they may [can], not as they would) (Dent M554), su cui poi si innesta l’idea che se un uomo non è in grado di procurarsi denaro con i propri mezzi, può arrangiarsi facendo prostituire la mogie, a costo della sua anima. 60
Il testo riporta qui la parola brace, che letteralmente indica la parte dell’armatura posta a protezione delle braccia. I commentatori fanno notare che si tratterebbe di eredità di ben scarso valore; il che fa pensare a un uso metonimico (la parte per indicare il tutto) o a corruzione del testo. In traduzione, si è optato per un sinonimo di “armatura”, per evitare la ripetizione del medesimo termine e, tuttavia, rendere più agevole la comprensione. 61
Il secondo pescatore, avvezzo allo scherzo e alle facezie, intende qui ricordare a Pericle che egli è in debito verso di loro; qui lo fa distorcendo, forse inconsapevolmente, espressioni troppo forbite. Ciò che intende è verosimilmente che ha delle “rimostranze” e che si attende un “compenso” in denaro.
62
Thy value: il “tuo” valore. Nel testo dell’in-quarto Pericle, con una torsione piuttosto brusca del discorso, sembra rivolgersi direttamente al “gioiello”. Non tutti i commentatori sono concordi nell’identificare questo “gioiello”: secondo alcuni Pericle si riferisce qui all’armatura del padre – o a un pezzo di essa – che il mare gli ha appena restituita; secondo altri si tratterebbe di un altro monile di valore che il naufragio ha risparmiato, un bracciale che egli intende scambiare per un cavallo in vista del torneo. A supporto di questa tesi essi citano un analogo passo di Wilkins: which horse he provided with a jewel, whom all the raptures of the sea could not bereave from his arm (“il quale cavallo
NOTE
egli si procurò con un gioiello che tutte le rapine del mare non riuscirono a portargli via dal braccio”). Scena 6 63
La scena: Persepoli. Corte del re Simonide. 64
Con questo nome Gower, nella sua Confessio amantis, chiama la figlia di Pericle, cui Shakespeare dà invece il nome di Marina. La figlia di Simonide non ha nome in Gower, mentre Twine la chiama Lucina, nome che veniva anche usato per indicare Diana, nella veste di dea protettrice dei parti e dei nascituri. Shakespeare manterrà, sviluppandolo, il legame tra la dea e il personaggio di Taisa.
65
Torna il termine glory che, con i suoi derivati (ad es. glorious), attraversa come leitmotiv tutto il dramma, dal prologo alla chiusura. Qui, come altrove, nel significato di “splendore”, “bellezza che rifulge”, spesso associato agli attributi del divino (OED 6).
66
In italiano nel testo.
67
“Chi mi accende mi estinugue”.
68
Per provare il grado di purezza dell’oro era uso strofi nare il minerale su del quarzo nero, pietra di paragone per l’appunto. Sullo sfondo, l’espressione proverbiale As the touchstone tries gold, so gold tries men (Dent T448), “Come la pietra di paragone mette alla prova l’oro, così l’oro mette alla prova gli uomini”.
69
“Vivo di questa speranza”.
70
Era uso rotolare le armature nella sabbia per preservarle dalla ruggine. Qui, il commento malevolo si appunta non solo sulla sciatteria dell’equipaggiamento di Pericle, ma anche sulla sua presunta scarsa preparazione nel combattimento, che lo avrebbe visto disarcionare e cadere in terra tra la polvere.
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NOTE
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Scena 7
Scena 8a
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La scena: Pentapolis, corte del re Smonide. 72
Ancora una volta torna qui il tema della gloria, associato ad immagini di luce.
73
Mistress, equivalente al significato di originario di “donna” (dal lat. Domina, “signora”, “padrona”) è termine tipico del linguaggio cortese e medievale, difficilmente traducibile nell’italiano moderno, che indica l’oggetto d’amore, devozione e sottomissione.
74
Il senso in parte oscuro di questa battuta, probabilmente mal trascritta, dovrebbe essere che solo una volta morti questi insetti mostrano quanto siano piccoli, nonostante il gran ronzio prodotto.
75
Era diffusa la credenza, che si riverbera anche in detti popolari italiani, che il vino “faccia buon sangue”. 76
Probabile pun con il termine arms, che vale tanto “armi” quanto “braccia”. 77
Le battute di Simonide son infarcite di doppi sensi a sfondo sessuale: il termine trip ad esempio vale sia “danzare” o “volteggiare” che “fare lo sgambetto”, “far cadere a terra” con riferimento all’atto sessuale. Similmente qui measures contiene accanto al significato di “tempo”, “battuta”, “passo di danza” anche un’allusione fallica. Scena 8
78
La scena: Tarso. Questa scena si inserisce male nella sequenza di Pentapolis e risulta ridondante rispetto al coro di Gower della scena 10, tant’è che molte delle produzioni moderne la omettono. I commentatori rilevano qui il maldestro intervento di Wilkins.
79
Sommi dei … un fuoco: si mantiene qui in traduzione il cambio di soggetto presente nell’originale.
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La scena: Pentapolis, palazzo reale, stanza di Pericle. Non presente nell’inquarto, questa scena, completamente ricostruita a partire dalla prosa di Wilkins, dà corpo ad un ritratto di Pericle ricalcato sull’ideale del principe, e più in generale dell’uomo, rinascimentale, esperto nell’uso delle armi e nelle arti. La scena ha anche funzione di raccordo con il resto della sequenza di Pentapoli. Alcune produzioni moderne la pongono prima della scena 8. 81
Bring on, “guidare”, “condurre avanti” (obsoleto, OED), dà seguito alla metafora militare. Scena 9
82
La scena: Pentapolis, corte del re Simonide.
83
Diana, dea della luna, è anche dea della castità. Il riferimento alle dodici lune per indicare il lasso temporale di un anno richiama chiaramente questi attributi della divinità cui Taisa si vota, impegnandosi a preservare la propria verginità.
84
Altro nome di Diana, qui con riferimento alla luna.
85 La vicinanza delle parole had / glad chiaramente in rima, fa supporre che il testo manchi di una frase in questo punto, probabilmente a causa di un difetto di memoria nella fase di trascrizione. 86 Questa battuta di Simonide e la successiva di Taisa sono ricostruite sulla base di Wilkins. Non compaiono nell’in-quarto.
Scena 10 87
La scena è occupata interamente dall’intermezzo di Gower, nella consueta funzione di narratore e commentatore degli eventi, e da una pantomima.
88
Il prefisso y – tanto qui davanti a slacked, quanto al v. 33 davanti a ravishèd – deriva dall’Old e Middle English: uno dei
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numerosi arcaismi usati per caratterizzare la parlata di Gower. 89 La pancia satolla degli invitati diviene qui, in metaforica trasposizione, attributo della festa stessa. 90
Dio del matrimonio.
91
Maidenhead, letteralmente “imene”, figurato “verginità”. 92
Dumb in show (“muto in scena”) gioca chiaramente con il successivo Dumbshow, lett. “spettacolo muto”, ovvero “pantomima”, una rappresentazione affidata alla pura gestualità.
93 Coign (“angolo”, in frasi come coign of vantage sta ad indicare una “posizione” favorevole per l’osservazione o l’azione, cfr. OED). Qui, in opposite coigns, probabile riferimento ai biblici “quattro angoli del mondo” (Isaia, 11: 12).
NOTE
100
Pericle si rivolge a Eolo, dio dei venti. Il termine brass (letteralmente “ottone”, lega di rame e zinco) è talvolta usato da Shakespeare come emblema di resistenza e forza, ma qui contiene probabilmente un riferimento al libro X dell’Odissea, in cui l’isola di Eolo è presentata come cinta da “un muro d’infrangibil rame” (vv. 3-4).
101
La bufera è talmente fragorosa che impedisce di sentire il fischio con cui il comandante impartisce istruzioni ai marinai. L’espressione in the ears of death, che qui si è scelto di tradurre letteralmente, può essere intesa come ‘figura’ ad indicare le orecchie “di un morto”, ovvero di chi non può sentire, ma rimanda anche in modo pregnante alla minaccia incombente, attraverso la personificazione della Morte, assecondando così il gusto allegorico tipico del tempo.
94
Personificazione della voce pubblica, che rapidamente si diffonde.
102 Diana, nel ruolo di dea protettrice dei parti e dei nascituri (vedi nota a 1, 51).
95
103
Come si è già visto nella scena 8, Elicano, che i nobili di Tiro vogliono incoronare re al posto di Pericle, temuto morto, chiede loro di aspettare ancora un anno, ovvero dodici mesi lunari, two times six moons, “due volte sei” il tempo impiegato dalla luna a tornare piena.
96 Sposando Taisa, figlia del re Simonide, Pericle diviene erede designato del regno di Persepoli. 97
Il soggetto è qui Pericle.
98
North sta per north wind (“vento del nord”), qualificato come grizzled, lett. “brizzolato”, ma che i commentatori leggono anche come variante di grisly (“terribile”). Scena 11
99
La scena: il ponte della nave di Pericle, in viaggio verso Tiro, in preda alla tempesta. Molti commentatori segnalano a partire da questa scena un netto cambiamento di stile e di linguaggio, percepibile nonostante i numerosi passi mal riportati.
Il termine piece è adoperato da Shakespeare nelle ultime opere spesso in modo altamente evocativo e pregnante, da un lato con il significato di “parte” e dall’altro come sinonimo di masterpiece (“capolavoro”). Non esistendo in italiano un termine equivalente si è scelto qui di optare per la parola “parto”, che rimanda da un lato all’ovvia sfera della nascita e dall’altro può essere applicato anche alla creazione artistica, conservando tra l’altro un’eco fonica del significato più immediato di “parte”.
104
Nativity, genericamente “nascita” nell’uso del tempo (ora obsoleto, cfr. OED, 3) è tradotto qui con “natali” per restituire, insieme al significato principale, anche il riverbero metaforico che rimanda alla sfera religiosa e alla natività di Cristo, come segnala, nella stessa battuta, anche l’uso del verbo herald (“annunciare”). 105
Quest’espressione, assente in Q, è ricavata da Wilkins. Inch (letteralmente “pollice”, l’unità di misura equivalente a 2,54 cm) indica qui una piccola quantità, una
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NOTE
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particola, a indicare la fragilità della creatura appena venuta al mondo. 106 Thy partage quit letteralmente “di quanto la tua quota possa ripagarti”, laddove partage può significare tanto la “parte (di vita) che ti è dato di vivere” quanto “ciò che (la vita) ha in serbo per te”, “ciò che ti spetta”. Si noti il linguaggio tipico dei commerci, che ben si adatta all’atmosfera del viaggio per mare. 107
In questa battuta il padrone si rivolge probabilmente alla tempesta, non ai marinai. Scena 12
108
La scena: Efeso.
109
Probabile qui l’eco del versetto evangelico Luca 12, 33-34: “33 Vendete i vostri beni, e fatene limosina: acquistatevi ne’ cieli delle borse che non invecchiano; un tesoro, che non viene giammai meno; ove il ladro non giunge, ove la tignuola non guasta. 34 Perciocché, dove è il vostro tesoro, quivi eziandio sarà il vostro cuore” (versione Diodati, 1607).
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Nome latino della divinità greca Asclepio, dio della medicina ed egli stesso venerato come divinità guaritrice. Scena 13
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La scena: Tarso, corte di Cleone e Dionisa. 115
Glance, associato ai “colpi” e alle “ferite”, è adoperato qui nel suo significato primo di “impatto o movimento rapido e obliquo” (OED), spesso usato in riferimento a proiettili.
116
L’aggettivo masted, proposto da questa edizione come emendamento di masked (“mascherato”, “ingannevole”), riferito a Nettuno, e dunque al mare, varrebbe come figura, ad indicare il suo essere solcato dalle navi. Mast è infatti l’“albero” della nave, ed è termine usato spesso da Shakespeare, per quanto l’uso aggettivale, nel senso qui proposto, non è registrato dall’OED prima del 1627. Scena 14
117
La scena: Efeso.
110
La frase contiene probabilmente un’allusione alla dance macambre e alle diverse raffigurazioni allegoriche del tempo in cui l’immagine del fool e quella del teschio divengono ‘figura’ della vanitas, della caducità, dei beni mondani. 111 Cerimone chiede al dio Apollo, protettore sia della medicina che delle lettere, di assisterlo nel decifrare il messaggio. 112 Il termine vial (“fiala”) è corretto da alcuni curatori del testo nell’assonante violl (“viola”), che pure sarebbe sensato visto il contesto musicale del passo. Tuttavia, una lettura parallela del passo corrispondente del romanzo di Wilkins, che descrive più dettagliatamente la somministrazione di un precious liquor, sembrerebbe confermare la scelta qui proposta. Purtroppo non è stato possibile mantenere l’ambiguità, data dall’omofonia, in traduzione.
Scena 15 118
La scena: Tarso.
119
Il linguaggio di Gower si fa qui, ancora una volta, elemento di centrale importanza scenica e strutturale: non solo esso contribuisce alla caratterizzazione del personaggio, ma più sottilmente sviluppa una sorta di commento meta-poietico del dramma stesso. Si veda, ad esempio, il cambio di metro nell’originale: i primi quattro versi, quasi a marcare una cesura rispetto al ritmo della scena (contrassegnato dal blank verse, reso in prosa in traduzione) sono insolitamente in giambi e volgono poi, con la presentazione di Marina, al consueto, arcaizzante, verso ottonario. Si veda anche, poco oltre, il riferimento ai “piedi zoppi dei miei versi” (the lame feet of my rhyme).
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pp. 1153-1165
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120
Il riferimento all’usignolo richiama il mito di Filomela, assai presente in Shakespeare. Il verbo record, di straordinaria pregnanza semantica, condensava al tempo di Shakespeare significati apparentemente lontani e in parte perduti nell’uso moderno: dal “tenere a mente”, “imparare a memoria” e dunque “ricordare” al significato più propriamente musicale, riferito al canto degli uccelli, di “cantare sommessamente”. Tutte queste sfumature, insieme a quella di “narrare”, “riportare”, sono qui presenti e in qualche modo attive a caratterizzare il dolce e malinconico canto di Marina-Filomela.
121
Il riferimento è alla bianca colomba sacra a Venere, che il mito vuole nata dalle acque presso Pafo, località dell’isola di Cipro. 122
Fanning love, così emendato da questa edizione, letteralmente “l’amore che soffia”. Notano i curatori che Shakespeare usa spesso il verbo to fan in accordo con love per indicare un vento o soffio che stempera, non ravviva, il calore. Dionisa si preoccupa qui che l’affetto (love) per Marina possa raffreddare l’ardore con cui Leonino si accinge a compiere l’omicidio a lui commissionato. 123
Marina si rivolge a Licorida, inumata in una tomba a Tarso.
124
Tellus è la dea romana della terra.
125
Era credenza diffusa che il dolore, e il pianto in particolare, drenassero gocce di sangue dal cuore, indebolendo così l’individuo. 126 Nella fisiologia antica, la combinazione in certa proporzione dei quattro umori o delle quattro qualità (caldo, freddo, umido, secco) che concorrono a determinare la natura dei corpi (umani e naturali). Si è scelto in traduzione di mantenere il termine “complessione” perché in esso confluiscono, senza le distinzioni cui siamo oggi abituati, elementi tanto esteriori quanto interiori: in una sorta di “materialismo
NOTE
dell’incorporeo”, la buona complessione indica uno stato di equilibrio psico-fisico, di “salute” del corpo e dell’anima, che si estrinseca nella “bellezza”. 127
Forse un’allusione a Don Pedro de Valdes, citato da Dekker in The Whores of Babylon [“Le puttane di Babilonia”] del 1607.
128
Didascalie come questa non sono rivolte al pubblico ma agli allestitori dello spettacolo. Scena 16 129
La scena: Mitilene, un bordello.
130
‘Boult’, il servitore dei tenutari del bordello, è un nome parlante, carico di allusioni: il termine da un lato infatti può significare “setaccio”, “setacciare”, con riferimento all’occupazione di reperimento delle ragazze da prostituire; dall’altro, essendo spesso confuso, anche in virtù di una simile pronuncia, con bolt (“vite”, “bullone”, ma anche “saetta”) porta in sé allusioni alla sfera sessuale. 131
Riprendendo la battuta della Ruffiana, Boult allude al fatto che il buon cuore vantato dalla donna nel “tirar su” (bring up) i figli bastardi – o presumibilmente le figlie avute accidentalmente dalle ragazze, si risolve nel “buttarle giù” (bring down), non appena esse raggiungono l’età (eleven) per potersi prostituire.
132 Sodden, letteralmente “stufata” (stewed), “bollita” contiene un implicito riferimento al trattamento per le malattie veneree contratte nei bordelli, chiamati anche stews, tramite bagni caldi, tipo saune, volti a produrre abbondante sudorazione. 133 Il termine pooped, che vale anche “imbrogliare”, “truffare”, è termine di derivazione nautica, marinara, e stava a significare il colpire una nave a poppa per affondarla. Qui è usato con ulteriore riverbero metaforico sulla sfera sessuale. 134
Hatch era una porta più piccola, parte di un portone di maggiori dimensioni, che
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NOTE
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si trovava spesso come ingresso nei bordelli (cfr. frontespizio di Holland’s Leaguer, 1632). 135
Mystery è termine con cui questa edizione emenda il trade dell’in-quarto, ritenuto ridondante rispetto a profession, di cui è sostanzialmente sinonimo. Usato da Shakespeare anche in Otello IV, 2, 32, con riferimento a un lenone, mystery ha un doppia valenza, appartenendo tanto al linguaggio ordinario quanto a quello religioso. Inoltre, con mystery per tutto il medioevo e oltre si indicavano le “gilde” o “corporazioni” di mestieri (OED, 3). Giocando su questa ampia stratificazione di significati, tra sacro e profano, il lenone sembra intendere che la sua professione, per quanto non “segreta” (any mystery), non appartiene ad alcuna congregazione (mystery) riconosciuta ufficialmente; né può essere considerata alla stregua di una “vocazione” (no calling). In fi ligrana, il rimando al proverbio ‘Everyone must walk (labour) in his own calling’ (Dent C23), “Ognuno deve mantenersi (camminare, lavorare) nel solco della sua propria vocazione”.
136 Probabilmente la ruffiana, accanto a sostenere che si “garantisce” la verginità di Marina, allude anche al fatto che la verginità della ragazza rappresenta una garanzia contro la sifi lide. 137
Il termine maidenhead sta al tempo stesso per la qualità astratta, “verginità”, che per il concretissimo riferimento corporeo all’“imene”. In traduzione si è cercato di rendere il significato più generale senza tuttavia rinunciare alla crudezza del linguaggio della tenutaria del bordello.
138
Sapling, lett. “arboscello”, “giovane pianta” traslato vale anche “persona giovane e inesperta”. 139 La battuta della ruffiana è giocata sul doppio senso e sul ribaltamento del significato sottinteso alla parola defend da Marina. To defend you by men non significa in-
pp. 1167-1173
fatti proteggere dalle avances degli uomini, come evidentemente intende Marina, ma “per mezzo degli u.”: le azioni conseguenti, to comfort, to feed, to stir up rimandano ad un tempo alla sfera semantica del “prendersi cura” e alla sfera sessuale. 140 Segno distintivo di chi è malato di sifilide. Letteralmente “che cammina tremando e con le gambe piegate”, ma qui Boult probabilmente gioca anche sulla relazione semantica tra hams (“prosciutti”, qui fig. per “cosce”) e cow (“mucca”), assonante con cower (“tremare”, “incurvare o piegare le gambe”). 141 Q riporta “Verolluss”, ma, trattandosi di un cavaliere francese, i curatori di questa e altre edizioni hanno corretto in Veroles; si tratta ad ogni modo di un nome ‘parlante’, benché forse non immediatamente decifrabile dal pubblico contemporaneo: vérole, la parola francese cui evidente allude, significa infatti “sifi lide”. 142 Crowns of the sun (lett. “corone del sole”) erano monete francesi in uso anche in Inghilterra. Il riferimento al sole (sun), omesso in traduzione per mancanza di un equivalente in italiano, è posto a contrasto con l’espressione in our shadow (“alla nostra ombra”). Ma le parole della ruffiana giocano anche sul doppio senso della stessa parola corona, che oltre ad indicare la moneta, allude anche alla calvizie procurata dalla sifi lide. 143 Sign sta qui per “segno”, “portento” ed è riferito alle attrattive di Marina; al tempo stesso, però, allude all’“insegna” caratteristica del bordello. 144
L’espressione good turn indica un atto di buona volontà, o che procura del bene a qualcuno (così l’OED). Do a good turn vale tutt’ora “fare un piacere”, ma qui probabilmente è usata anche con doppio senso allusivo dell’atto sessuale, non raro nell’opera di Shakespeare (cfr. Antonio e Cleopatra, II, 5, 58-9).
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pp. 1175-1185
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Scena 17 145
La scena: Tarso.
146
Si allude qui alla tradizione popolare secondo cui gli scriccioli – uccelli assai minuti dalla voce incredibilmente squillante – rivelassero gli omicidi nascosti.
147
Il termine cowed richiama per vicinanza fonica coward (“codardo”), ma piega il concetto verso la concretezza dell’immagine dell’animale (cow = “mucca”) reso docile dalla paura (to cow vale “intimidire” (OED), cowed down “impaurito”).
148 Not worth the time of day lett. “non degna del tempo del giorno”. I commentatori interpretano la frase come “non degna di saluto”, ovvero del tempo di un “buongiorno”. Siccome però malkin, o mawkin, era termine offensivo utilizzato per riferirsi a donne di bassa condizione, serve o sguattere, ma era anche equivalente di course wrench o slut, “donnaccia”, “puttana”, la frase potrebbe essere intesa in senso letterale come “donnaccia, non degna di trascorrerci insieme le ore del giorno”. 149
Intesa qui come immagine di doppiezza e in generale di malvagità, l’arpia era nella mitologia greca un creatura mostruosa, dal viso di donna e corpo – e artigli – d’uccello rapace.
150
In questo passo, il cui senso è in parte oscuro, Dionisa ribatte all’accusa di doppiezza rivoltale dal marito rinfacciandogli di nutrire una fede negli dei superstiziosa e puerile: che d’inverno le mosche muoiano è infatti un’ovvietà e un mero dato di natura. Scena 18
151
La scena: nel palazzo di Cleone entra Gower.
152
La tempesta che attraversa Pericle è qui tutta allegorica e il mortal vessel straziato dalle onde non è altro che il suo corpo. La metafora, non inedita, richiama ad esempio l’analoga immagine della
NOTE
“frale barca” utilizzata da Petrarca in più punti del Canzoniere (vedi ad es. RVF, CXXXII). 153
La versione dell’epitaffio riportata da Oxford è tratta dal romanzo di Wilkins, mentre Q riporta una versione più lunga, che i commentatori ritengono poeticamente e drammaticamente inferiore. Il testo di Wilkins viene utilizzato in quanto riprodurrebbe il testo rivisto per la scena da Shakespeare o dal suo collaboratore, mentre Q rappresenterebbe una versione precedente. Scena 19
154
La scena: Mitilene, presso il bordello.
155
Rutting, riferito ad animali, è l’“andare in calore”.
156
Dio della fertilità e simbolo di lussuria.
157
La parola cavalleria è in italiano nel testo originale e sta ad indicare i giovani e baldanzosi clienti, poco più avanti defi niti swearers – coloro che giurano (to swear) – qui tradotto con “fedeli”. 158 La ruffiana riprende letteralmente l’espressione usata dal lenone, ma mentre per il lenone Pox (“pestilenza”, “sifi lide” ma anche in generale qualsiasi malattia contagiosa) ha il valore di una generica imprecazione, la ruffiana usa il medesimo termine con riferimento specifico alla sifi lide e al contagio per via venerea. L’attività sessuale era infatti ritenuta il rimedio naturale contro la green-sickness o chlorosis, forma di anemia cui andavano soggette le fanciulle in età puberale (Gordon Williams). 159 L’emendamento proposto da questa edizione, custom per il plurale customers dell’in-quarto, suggerisce un gioco sul doppio senso della parola: custom è infatti tanto “clientela” quanto “usanza”. In traduzione, si sposta il gioco sulla doppia valenza del termine “uso”: secondo Boult, Marina dovrebbe cedere agli “usi” del luogo, e cioè ad essere “usata”.
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NOTE
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160 Ovvero “in salute” e con “gambe dritte.”, cioè non piegate dalla sifi lide. 161
Marina piega la parola honourable utilizzata dalla ruffiana a proprio uso: mentre la tenutaria del bordello si riferisce all’autorità ricoperta da Lisimaco e al rispetto a lui dovuto in quanto uomo di potere, Marina intende lo stesso termine in senso morale, per cui è persona degna di rispetto chi si comporta in modo virtuoso, chi è mosso dal senso dell’onore. Sulla medesima scia, Marina sfrutta la polivalenza dell’avverbio derivato honourably, con il quale intende dire sia che spera di riconoscere in Lisimaco una persona virtuosa, onorevole, sia che spera che sia onorevole il ‘modo’ della loro conoscenza. Fa buon gioco, in traduzione, che in italiano la parola “onorevole” designi, oltre alla qualità morale, anche il rappresentante eletto dal popolo in parlamento, e dunque una figura di responsabilità e di potere come Lisimaco.
162
Marina ribalta di nuovo le parole della Ruffiana, facendo assumer loro un significato non voluto: l’espressione to be bound to per la Ruffiana sta a significare il suo “sentirsi in obbligo” o “avere degli obblighi” nei confronti di Lisimaco in quanto cliente abituale e affezionato. Marina svela invece il significato più meschino e materiale che si cela dietro l’espressione, rivelatrice di un rapporto di sudditanza nei confronti del potere: to be bound è allora “essere vincolati”, “legati”, come avviene nelle relazioni tra sudditi e signori, servitori e padroni.
163
La parola apron – genericamente “grembiule” – indica un tipo di indumento utilizzato in particolare dalle prostitute.
164
Un altro sottile uso delle parole altrui, piegate a nuovo significato da Marina, che rivolta l’incoraggiamento di Lisimaco a “perseverare” sulla retta via in una preghiera rivolta agli dei affi nché “preservino” lui, cioè lo proteggano, dal male e da se stesso. Due parole dal suono quasi identico, to persever e to preserve, incarnano due opposte condotte morali.
165
pp. 1185-1203
Razza canina.
166
Si è tradotto executioner (il boia) con “ladro” per recuperare – seppur flebilmente – il gioco di parole di Boult basato sul doppio significato di maidenhead, parola composta che vale “verginità”, ma che letteralmente vuol dire “testa” (head) di “vergine, fanciulla” (maid); testa che Boult dice di voler portar via, tagliare (take off), prima che a farlo sia il boia. 167
Marry è come nota Maxwell una storpiatura di Mary, invocazione alla Vergine Maria, quanto mai significativa in questa scena.
168 Un modo di dire del tempo, con doppio senso a sfondo sessuale e che aveva assunto forma quasi proverbiale, diceva: “Rompi il ghiaccio in un punto e si romperà in molti altri”. L’immagine del ghiaccio in relazione alla castità è frequente in Shakespeare. Per questo motivo l’edizione Oxford corregge con ice il glass dell’in-quarto. 169
Con l’immagine del piatto ornato di rosmarino e alloro, che richiama le tavole imbandite della festa di Natale, secondo alcuni commentatori la ruffiana intende liquidare il comportamento di Marina come falsa ostentazione moralistica.
170
Tib è nome proprio, diffuso al tempo tra le figlie delle classi popolari e passato a indicare, per antonomasia, una donna di bassa condizione o di facili costumi. Scena 20
171
La scena: le acque di fronte a Mitilene, sull’imbarcazione di Pericle.
172 Nuovo intervento di Gower e nuova variante nel metro, che nell’originale passa dalla consueta coppia di ottonari in rima baciata a quartine in rima alternata. 173 Lays, letteralmente “lai”, termine di origine provenzale con cui nel medioevo si designavano componimenti lirici o narrativi, spesso di argomento storico, destinati alla recitazione e al canto.
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pp. 1203-1217
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NOTE
174
Come ottenuto grazie alla mediazione di Boult, a Marina è concesso di lasciare il bordello purché, con i suoi mezzi onesti, ella ripaghi i proprietari di quanto hanno speso per lei.
al contrario di Wilkins, che ne trascrive alcuni versi, presi da Twine. Per quanto non si tratti di versi particolarmente belli, si sono spesso rivelati un utile supporto per le messinscena.
175 Festeggiamenti in onore del dio del mare che si tenevano il 23 luglio. Vista la persistenza del tema del mare lungo tutto il dramma, la festa di Nettuno risulta essere un’ambientazione adeguata per il ricongiungimento di Pericle e Marina.
181
Scena 21
182
176
La scena: presso le coste di Mitilene, sulla nave di Pericle. Questa edizione apporta molti emendamenti al testo dell’inquarto, confuso sia nei dialoghi sia nelle indicazioni di ingresso e uscita dei personaggi in scena, soprattutto nella parte che precede l’entrata di Marina. 177
Distemperature era un disordine della mente o del corpo, una condizione di disequilibrio degli “umori” che si riteneva regolassero il benessere psico-fisico.
178
Elicano risponde alla domanda di Lisimaco riprendendo l‘immagine “naturale” del dolore che germoglia (spring) in un determinato terreno (ground). Accanto al significato più concreto e letterale, la parola ground infatti vale anche, figuratamente, per “causa”, “ragione”, sicché la domanda di Lisimaco può significare a un tempo “Qual è la causa del suo dolore” e “Da quale terreno nasce”.
179
Physic, dal Medioevo sin verso la metà del XVIII sec., designa i trattamenti medici e, per estensione, l’arte e la pratica curativa (the art and practice of healing, OED, 3). In traduzione si è preferito “arte medica” al più sintetico “medicina” per rimarcarne lo statuto pre-scientifico. L’aggettivo sacred può significare tanto il risultato “miracoloso” dei rimedi di Marina quanto il loro essere “benedetti” da – benvoluti a – Dio e dunque “sacri”.
180
Q non riporta il testo della canzone,
Pericle, in un accesso di rabbia per l’insistenza di Marina, la allontana, probabilmente colpendola. Le parole che poco oltre Marina stessa pronuncerà riguardo alla guancia che brucia potrebbero fare riferimento proprio a questo episodio, che la didascalia restituisce solo parzialmente.
Alcuni commentatori mettono in relazione il rossore sulle guance di Marina alla brusca reazione – forse uno schiaffo? – con cui Pericle poco prima la aveva allontanata. Altri, più semplicemente, spiegano il passo come l’espressione fisica di un moto interiore, un’incerta emozione, un presentimento che di qui a breve troverà conferma. 183
La Giustizia, a cui Marina è paragonata nelle parole di Pericle, era rappresentata nell’iconografia classica in figura di donna, la dea Astraea.
184
Il ritratto di Marina fatto da Pericle è intessuto di paragoni a figure della mitografia e iconografia classiche: qui il riferimento è alla Verità, rappresentata come una regina (crowned, “incoronata”), e alla sua residenza, il palazzo dove dimora, che sarebbe Marina stessa. 185
Pericle richiama il momento – solo accennato, velocemente, in didascalia – in cui, infastidito, allontana bruscamente Marina. Quel momento si trasforma però, significativamente, in un evento “epifanico”, in cui per la prima volta egli si ri-apre alla ‘percezione’ dell’altro. Il termine usato, perceive, spesso reso in senso visivo, è invece qui tradotto letteralmente, a rimarcare il senso di una percezione che coinvolge l’intera persona.
186
Le parole di Marina cui Pericle sembra far riferimento, in realtà, non compaiono nel testo, né compaiono in Q. Wilkins,
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NOTE
PERICLE, PRINCIPE DI TIRO
invece, inserisce questa stessa espressione – “I have bin tossed from wrong to iniurie” – in un passo che pare, per il resto, preso da Twine. 187
In questa immagine, densissima, Shakespeare sovrappone diversi livelli di significato. Paragonando Marina alle raffigurazioni allegoriche della Pazienza tipiche dei monumenti funebri del tempo, egli non si limita a dare plastica raffigurazione alla sua mitezza, mista a forza e capacità di sopportazione. Come ha notato Kenneth Muir, qui Shakespeare sembra condensare, in figura, il più profondo nocciolo tematico del dramma, la riunificazione dopo la tribolazione, il vicendevole riconoscimento basato sul comune sentire e sulla comune appartenenza di sangue, la rinascita a nuova vita. Il riferimento alla statua che vigila sulla “tomba dei re” richiama infatti, ad un tempo, lo stato di “morte spirituale” di Pericle e la sepoltura in mare di Taisa. Il sorriso mite (smiling) di Marina, personificazione della pazienza, riconduce l’estremo dolore (extremity) causato dai casi avversi della vita a sentimento più temperato, svuotato della forza dell’azione nel mondo. L’espressione smiling extremity out of act, di difficile traduzione, trae la sua forza poetica dall’insolito uso transitivo del verbo to smile, ridere, sorridere.
pp. 1217-1229
Marina, ripreso e commentato nella frase che segue. In questo caso, my own, si riferisce a Marina stessa. Altre edizioni segmentano il testo diversamente: Give me fresh garments, my own Helicanus. 190
Nell’astronomia tolemaica l’universo era composto dalle sfere in cui si muovevano nove pianeti, con al centro la terra. Nel loro moto, le sfere emettevano un suono celestiale.
191
La discesa di Diana dà plastica rappresentazione del sogno di Pericle, come già avveniva in Cimbelino, laddove Giove, comparso in sogno a Postumo, entra fisicamente in scena. In entrambi i casi, probabilmente, la divinità veniva calata su una sedia o su un trono dall’area direttamente soprastante il palco, attraverso un meccanismo ad argano.
192
Diana era dea della caccia, da cui l’arco, ma anche della castità e della luna, che può aver suggerito l’aggettivo “argenteo”. D’altra parte già Ovidio nelle Eroidi definisce Diana “Argentea”. Scena 22
193
La scena: Efeso, nei pressi del tempio di Diana. 194
Pericle chiede gli siano portate vesti pulite, chiaro simbolo di rinascita alla vita e ritorno alla salute fisica e spirituale forse di origine evangelica (cfr. Marco 5, 15 o la parabola del figliol prodigo in Luca 15, 22: “Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo”) e comunque presente già in Lear, IV, 7, 22.
Si è ormai esaurito il tempo del racconto, qui icasticamente rappresentato dallo scorrere dei grani di sabbia di una clessidra. Al termine, Gower, e con lui la storia, tacerà, si farà muto (dumb). Qui, come altrove nelle parti di Gower, la rima imperfetta run / dumb può essere segno di un ricercato arcaismo, con cui l’autore cerca di caratterizzare il linguaggio del vecchio poeta.
189
195
188
Il testo è qui oscuro. Lo si interpreta diversamente a seconda di come viene posizionata la punteggiatura. In base alle scelte adottate dalla presente edizione, l’espressione My own, Helicanus potrebbe riferirsi o alla frase immediatamente precedente – e significare, dunque, “i miei indumenti”, le mie vesti – o al resoconto di
Ancora una volta Gower condensa le parti della storia non funzionali al fluire del racconto e invita il pubblico a colmare i vuoti con l’immaginazione. L’effetto è duplice: da un lato gli interventi del vecchio poeta rendono evidente l’aspetto “artificioso” della rappresentazione, ne mostrano i meccanismi interni e gli ingranaggi,
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pp. 1231-1281
RACCONTO D’INVERNO
rompendo così la magia della fi nzione basata sul muto patto della “sospensione dell’incredulità”; al tempo stesso però lo spettatore è guidato dal “narratore” Gower a stipulare un nuovo accordo, che lo vede partecipe della costruzione del senso del dramma. 196
Il soggetto (sott’inteso) è qui Pericle, laddove prima era Lisimaco, governatore di Mitilene. Il cambio di soggetto, non segnalato, potrebbe essere dovuto a un errore di composizione/trascrizione del testo da parte di uno dei due copisti. 197
Qui Gower invita il pubblico a sbarazzarsi di ogni pensiero riguardante il tempo “di mezzo” (The int’rim), ovvero il tempo del viaggio di Pericle e i suoi verso Efeso. L’inglese confound ha sollevato dubbi d’interpretazione nei commentatori, che l’hanno inteso per lo più nel senso di “condensare” nei propri pensieri (accezione tuttavia non registrata), o di “distruggere”, e cioè liberarsi, sbarazzarsi del relativo pensiero. 198
L’immagine, estremamente concentrata, accosta il viaggio a vele (sails) spiegate, o rigonfie (filled) di vento, al volo di un uccello, segnalato metonimicamente dall’aggettivo feathered (= “coperto di piume”). Il termine di paragone, su cui poggia la metafora, è la “brevità” (briefness) del viaggio, ovvero la sua rapidità.
NOTE
Atto I, sc. 2 3
In questa scena Camillo non ha battute fi no al v. 210; può quindi assistere soltanto alla conversazione degli altri.
5
La luna, che comanda le maree. Nove mesi sono passati, ciò che consentirà il calcolo diffidente di Leonte.
6
Entrambi i re parlano di sé usando il plurale maiestatico.
7
Formule sofisticatissime per esprimere gratitudine. Cypher, o cipher, è il numero 0, senza valore in sé ma che moltiplica per dieci i numeri che lo precedono.
8
ANTONIO CASTORE
Sennight: abbreviazione di seven night(s).
9
Distaff: “conocchia”o “rocca”, strumento in legno per fi lare, qui usato metonimicamente. 10
Nell’originale (1623) queste battute senza indicazione dell’interlocutore: verosimilmente Ermione si rivolge prima (vv. 38-42) a Polissene, poi (vv. 42-44) a Leonte, poi ancora (fi ne v. 44) a Polissene. 11
Secondo la cosmologia tolemaica gli astri erano incastonati in sfere di cristallo che ruotavano intorno alla terra.
12 In Inghilterra era consuetudine che i prigionieri pagassero per il proprio mantenimento, anche se poi risultavano innocenti. 13
199
Il riferimento è all’attributo di Diana quale dea della castità: Marina cioè è ancora vergine.
La scena: come in I, 1.
4
Il peccato originale.
14
La successione delle battute implica che Leonte ascolti queste ultime parole e le interpreti sfavorevolmente, iniziando a sospettare della fedeltà della moglie. 15
Racconto d’inverno Atto I, sc. 1 1 2
La scena: la reggia di Leonte, in Sicilia.
Gli scambi di questi inizi avvengono fra monarchi e cortigiani, donde il linguaggio altamente elaborato.
La traduzione sostituisce termini astratti a quelli tecnici (furlong: 200 metri ca.; acre: “acro”, 4.000 mq.). C’è da avvertire che nel confronto fra maschile e femminile imbastito da Ermione le espressioni innocenti hanno nella percezione del pubblico una valenza subliminale infida, preparandolo così alla gelosia di Leonte.
16
In Shakespeare grace (“grazia”) è un
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Shakespeare IV.indb 2599
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NOTE
RACCONTO D’INVERNO
termine generico, usato anche come esclamazione.
per l’idea di doppiezza introdotta alla fi ne, che fa pensare, oltre che all’infedeltà della regina, anche all’indegnità delle corna per il re.
17 Si riferisce al suono (sospiroso) del corno che annuncia la morte della preda durante le battute di caccia.
pp. 1281-1307
18
Bawcock: dal francese beau coq, detto di un giovane gagliardo.
27 Knee-deep: “[immersa] fi no alle ginocchia”, qui reso con un modo di dire analogo.
19
28
Neat viene tradotto nel significato che conserva oggi, ma ne nasconde un altro, arcaico e intraducibile: il più temibile da Leonte, di “bestia cornuta”. Per avvicinarsi al testo, cioè per evocare i due significati, la traduzione si vale di un’aggiunta.
20 Questo passo è dominato dall’incoerenza in cui Leonte sta precipitando, e rimane oscuro per tutti gli interpreti. 21 Altre edizioni attribuiscono quest’ultima battuta a Polissene. 22 Unbreeched: privo dei pantaloni che evidentemente erano un segno di maturità. (Il galateo della corte inglese prescrive ancor oggi che i ragazzi non portino calzoni lunghi). 23
To take eggs for money: proverbiale per “accettare qualcosa di poco valore per un servizio impegnativo”. Si riferisce alla pratica, ancora in uso nei secoli successivi, di compensare con un uovo chi eseguiva una commissione. Qui Mamilio, da piccolo aristocratico, prende la domanda come un insulto. Ugualmente proverbiale è poi la risposta di Leonte, che ha visto confermata la sua fiducia nella legittimità del figlio.
24
Neb: in origine “becco” (quindi equivalente a bill) poi esteso nell’uso ai tratti del viso.
25
Gone already: riferito alla regina soltanto, o alla coppia, suggerisce il triplice significato di ciò che si allontana, o che è irraggiungibile all’osservazione, o è ormai caduto nel peccato, definitivamente. 26
Inch-thick: “spessa un pollice”, detto comunemente di assi o travi di legno. Queste battute si possono riferire a Ermione ma anche allo stesso Leonte, soprattutto
La battuta deve essere rivolta al pubblico.
29
Business: in Shakespeare è termine abbastanza generico da consentire di tradurre con questa estensione metateatrale (un aspetto che si intensificherà ancora, soprattutto negli atti quarto e quinto). Leonte e Camillo parlano per qualche battuta senza capirsi, tanto enorme appare l’accusa del re nei confronti della regina.
30 Priest-like: pare evidente il riferimento alla confessione, che la Riforma protestante aveva abolita. 31
Flax-wench: lett. “operaia di una fi landa”, che oggi di per sé non può essere rank, “licenziosa”, ed ha quindi bisogno di aggiornamento. 32 Troth-plight: è la promessa di matrimonio, che legittimava la prole anche prima della funzione in chiesa. 33
Il fegato era ritenuto sede delle passioni.
34
Il basilisco era un animale mitologico, mezzo rettile e mezzo uccello, dallo sguardo letale. 35
The Best: lett. “il Migliore”, cioè Gesù Cristo tradito da Giuda; un editto proibiva che il nome fosse pronunciato pubblicamente sulle scene. Atto II, sc. 1
36
La scena: come in I, 1 e 2.
37
Non è chiaro se la battuta sia uno scherzo infantile, o un riferimento alle conseguenze reali di infreddature o di malattie veneree. Ma tutta la scena è pervasa da una ventata di irrazionalità – una prova di suprema difficoltà per un traduttore. 38
Prince: non necessariamente di sesso
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pp. 1309-1337
RACCONTO D’INVERNO
NOTE
maschile: il titolo poteva essere riferito anche a una femmina.
50
39 Ovviamente, Mamilio si riferisce alle dame in scena, con il loro chiacchiericcio. È sintomatico che la crisi familiare abbia inizio proprio nel momento in cui Mamilio si accinge a narrare il suo “racconto d’inverno”.
51
Paolina si rivolge familiarmente a Ermione, assente in scena.
Atto II, sc. 3 52
40
Era credenza comune che un ragno potesse infettare una bevanda solo se chi beveva se ne accorgeva.
41
Without-door: il moderno outdoor.
42
Centre: usato con significato generico di centro dell’universo, del mondo, dell’uomo (il cuore, l’anima). Come in tante altre esternazioni di Leonte (e di Antigono poi), l’iperbole paradossale della terra che non può contenere il girovagare di una trottola è diretta a negare qualsiasi plausibilità per l’ipotesi che chi parla non abbia ragione. 43
Ermione si riferisce al fatto di essere incinta, e prossima al parto.
44
Tutto il passo resta oscuro, ma probabilmente va interpretato tenendo conto che nelle stalle i cavalli venivano separati dalle giumente.
45
I’ll go in couples with her: probabilmente riferito all’abitudine di far procedere a coppie i cani nelle battute di caccia.
46
Quasi una didascalia di scena: qui Leonte compie un gesto eloquente.
47 Delphos: per un errore comune nella letteratura del tempo, questo toponimo stava a indicare l’isola di Delo nell’arcipelago delle Cicladi, dove la mitologia greca situava la tomba di Apollo, che qui viene associata a Delfi, sede del più importante oracolo del dio nell’antichità. Cfr. T. Spencer, Modern Language Notes, 1952, xlvii, pp. 199-202. 48
Leonte indica qui Antigono.
Atto II, sc. 2 49
La scena: la prigione del palazzo di Leonte.
Emilia ripete l’invito espresso in II, 2,
46.
La scena: il palazzo di Leonte.
53
Nel suo vaneggiare solitario Leonte si riferisce prima a Mamilio, ma poi, qui, a quello che ritiene il seduttore di Ermione, Polissene.
54
L’entrata di Paolina e seguito deve avvenire in una parte della scena lontana da Leonte, che interrompe il suo soliloquio solo dopo alcune battute.
55
Il soggetto qui è Leonte.
56
Dame Partlet: “Madama Gallina”, un personaggio di racconti popolari arcaici, rielaborati e versificati in cicli medievali come il Roman de Renard (1148-49) e i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer (1387-1400), dove compare Lady Pertelote, cui Shakespeare accenna in più drammi. 57 I proverbi, echi della saggezza popolare di cui Paolina è chiaramente esponente, pervadono comunque questo testo. 58 Il giallo, colore della gelosia: gialla è la bile che genera la collera del geloso; è anche connessa al mito antico di Paride che dona la mela d’oro (gialla) del suo favore ad Afrodite, provocando la gelosia di Atena ed Era. 59 Un’ipotesi assurda, com’è assurda la costruzione di Leonte; Paolina fa sfoggio di sarcasmo. 60
Lady Margery è un altro appellativo per Lady Partlet. Come poco prima, Leonte si riferisce a Paolina con il nome dell’animale umanizzato dei racconti popolari. 61
Per alcuni commentatori qui Leonte si riferisce alla barba dell’anziano Antigono, tirandola, piuttosto che la propria che dev’essere ancora scura, dato che ha trentatré anni.
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NOTE
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Atto III, sc. 1
sono numerose le notizie di spettacoli popolari che esibivano queste povere bestie. Non ancora sopita è comunque la disputa se si trattasse di un orso vero o di un attore travestito. V. Snyder, ed. Cambridge 2007, pp. 30-31.
62
La scena: una strada in Sicilia, con una locanda.
63
Per i riferimenti all’isola di Delo, combinati con quelli a Delfi, sede tradizionale dell’oracolo di Apollo, si veda la nota a II, 1, 185. Per la storia, l’oracolo veniva pronunciato da una sacerdotessa, la Pizia, e non da sacerdoti. Atto III, sc. 2
64
La scena: un tribunale in Sicilia.
65
Level: il bersaglio del tiro con l’arco.
66 Nelle scene di concitazione si passa spesso dal modo formale al modo familiare, dal “voi” al “tu”. 67
Si riferisce alla pratica di comunicare l’identità del colpevole affiggendone il nome su pali (posts) destinati agli avvisi pubblici.
68 Stare all’aperto era considerato nocivo per i fisici più deboli o sofferenti. 69 Limit: il “tempo necessario” alla ripresa dell’organismo dopo il parto. 70
Flatness: richiama l’immensa estensione delle steppe caucasiche.
71
Cfr. III, 2, 86 e nota.
Atto III, sc. 3 72
La scena: le coste della “Boemia”: la geografia di Shakespeare è tutta d’invenzione.
73 Shrieks = “strida”: un cenno dal tradizionale repertorio della mitologia infernale? La traduzione si avvicina a questa pista, contando sul fatto che Antigono pensa che Ermione sia morta, e dannata come adultera. 74
Si riferisce a quanto consentirà di riconoscere Perdita nell’atto quinto.
75
Antigono avvista l’orso che sta per entrare in scena, un’apparizione che ha suscitato infi niti commenti e identificazioni:
pp. 1341-1371
76 Clown: la didascalia annuncia un contadino, ma non dobbiamo dimenticare che in teatro il clown era un personaggio rozzo ma furbo, beniamino delle platee per la sua eccentricità, qui forse riversata nella concitazione che anima le sue battute. 77
Flapdragon: un gioco che consisteva nell’immergere uvette in un liquore infiammato, ed ingoiarle spegnendone così il calore.
78
Bearing-cloth: la copertina con cui si avvolgeva il neonato per la cerimonia del battesimo.
79
Changeling: creatura del folclore nordeuropeo, appartenente al genere delle fate, che la usano per sostituire un bambino generato naturalmente, sano e vispo, con un folletto generato da loro, debole e inattivo. Atto IV, sc. 1
80
La scena: come III, 3. La funzione del coro è importante nell’Enrico V (15981599), dove apre tutti e cinque gli atti, poi nel Pericle, principe di Tiro (1607), dove compare come John Gower, narratore medievale e “presentatore” dell’azione. Qui appare come personificazione del Tempo, una ripresa dalla fonte, il romanzo di Robert Greene Pandosto, The Triumph of Time (1588). 81
Il Tempo compariva in scena come un vecchio munito di ali, simboli della rapidità del suo passo, e di clessidra e falce, simboli della inevitabilità del suo trascorrere e della morte. Atto IV, sc. 2
82
La scena: la reggia di Polissene in Boemia.
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pp. 1371-1377
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NOTE
Sixteen: F legge fifteen (mentre erano sedici nel monologo del Tempo), probabile errore di un compositore.
buiti a Robert Johnson (1583-1633). Per un utile panorama della questione si può consultare l’introduzione di J. Cunningham nel vol. I della Critical Reference Edition, New Oxford Shakespeare, Oxford, Oxford U.P., 2017, pp. lxv-lxxviii; e D. Lindley, “Blackfriars, music and masque: theatrical contexts of the last plays”, in C. M. S. Alexander (cur.), Shakespeare’s Last Plays, Cambridge U. P., 2009, pp. 29-45.
83
84
Anche Polissene, l’arcigno difensore dei privilegi di casta, deve sottostare al dovere primario di chi partecipa a una festa, travestendosi, cioè accettando di rappresentare una parte fittizia. Atto IV, sc. 3 85
La scena: la capanna del vecchio pastore in Boemia. 86 La prima canzone di Autolico segna l’ingresso nel dramma di un elemento fondamentale, la musica e specialmente la musica popolare, le canzoni “da osteria e da lavoro nei campi”, costellate di allusioni sessuali. Nel Racconto d’inverno Autolico ne canta, da solo o in trio, addirittura sei; e la musica costituirà un ingrediente indispensabile dell’ultima scena (V, 3, 98 sgg.), sottolineando la “miracolosa resurrezione” di Ermione. La ricerca moderna ha dibattuto a lungo sul problema se le canzoni contenute nei drammi shakespeariani fossero composte espressamente per un particolare testo, o derivate e adattate dall’esistente repertorio popolare. Come per tanti altri capitoli, anche per questo sembra che un anno importante sia stato il 1608, in cui la compagnia degli “Uomini del re” cominciò a recitare nel teatro di Blackfriars, ereditando parte della compagnia di attori ragazzi che vi aveva recitato fi no allora, tutti cantori e musicisti capaci di eseguire musiche fra un atto e l’altro delle loro recite, e di comporre canzoni. Fino allora è facile pensare che le musiche inserite nei testi teatrali fossero generalmente già esistenti e conosciute al pubblico, ma anche che dal 1608 in poi gli “Uomini del re” commissionassero nuovi testi musicali specialmente adatti alle loro produzioni, testi che comunque non si differenziavano molto da quelli della tradizione, parte integrante del folclore. Di alcune musiche sono sopravvissuti gli spartiti, oggi attri-
87
Il mestiere dichiarato dell’Autolico shakespeariano è quella di stagnino; a quei tempi lo si notava per una grossa borsa di cuoio con i ferri necessari. 88
Autolico si presenta meno oscuramente: campa col commercio di lenzuola (rubate).
89
Il nibbio ruba panni piccoli per fare il nido, per quelli grossi bisogna fare attenzione a Autolico.
90 Autolicus: nella mitologia classica era figlio del dio protettore dei ladri, Ermes o Mercurio, e progenitore di Ulisse, che ne ereditò l’astuzia. Shakespeare lo reinterpreta a misura dei suoi tempi e del suo pubblico, facendone un comune ladruncolo, dotato della simpatia e della voglia di vivere del vagabondo (o forse, più precisamente dal punto di vista delle influenze letterarie, del picaro): la sua figura unisce caratteri classici e popolari, e prolifererà ai tempi nostri, nel cinema (soprattutto in quello francese) e nella rivista musicale. Cfr. anche A. Ferrari, Dizionario di mitologia greca e latina. Torino, UTET, Torino, 1999, e C. Lombardi, in Dizionario dei personaggi, I, UTET, Torino, 2003. 91 Caparison sta per “bardatura”, “gualdrappa” di un cavallo. È verosimile che Autolico debba parlare in tono grandioso, ma che le parole assumano un significato contrario. 92
Tod: misura di peso, corrispondente di solito a 28 libbre. Shakespeare si intendeva del commercio della lana per via del mestiere del padre John, conciatore e guantaio.
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NOTE
RACCONTO D’INVERNO
93
101
Springe: trappola di corda per catturare piccoli volatili.
pp. 1377-1389
Le storie dalla Bibbia erano comunemente recitate dagli attori girovaghi.
94
Cock: il riferimento è al woodcock, “beccafico”, uccello considerato poco intelligente e facilmente catturabile.
95
Quella della tosatura era una importante festa osservata in tutto il paese alla fi ne di giugno (qui però sembra essere celebrata più tardi) e parecchio sontuosa, tanto da costare molto alle comunità contadine. 96
Una battuta di (garbata) satira antipuritana: i puritani erano ostili ai divertimenti, ed erano bersagliati dalle dicerie per leggere i salmi con voce nasale, che richiamava il suono della cornamusa.
97 Raisins of the sun: erano uvette più grosse di quelle comuni (currants). 98
Con le sue fi nzioni Autolico introduce il motivo dominante degli atti quarto e quinto, l’utilità del travestimento e della recita per risolvere i problemi dell’intreccio e più in generale della vita. Diventa così una figura centrale, di natura chiaramente metateatrale.
99
Dal seguito si capisce che Autolico qualcosa trova in quelle tasche, in tempo per rifiutare dal Contadino l’offerta d’aiuto.
100 Troll-madams: termine controverso. J. H. P. Pafford nell’ed. Arden (1963, 2008) e Terri Bourus nell’ed. New Oxford Shakespeare (2017) trascrivono troll-my-dames, un gioco simile alla bagatelle antenata del moderno fl ipper, per cui delle biglie venivano fatte rotolare su una tavola inclinata, attraverso ostacoli formati da chiodi e buche; Jean E. Howard nell’ed. Norton (1997 ecc.) lo riferisce a donne peripatetiche, in questo seguita da Barbara Mowat e Paul Werstine nell’ed. Folger Library Shakespeare (1998), e da Susan Snyder e Deborah T. Curren-Aquino nell’ed. Cambridge (2007). La traduzione si attiene a questa seconda interpretazione, più consona all’intento delatorio di Autolico.
Atto IV, sc. 4 102 La scena: davanti alla capanna che ospita il Vecchio pastore, il Contadino e Perdita. 103
Questo dialogo fa da preambolo al motivo portante dei due atti fi nali, la dialettica fra il valore del travestimento – e con esso, implicitamente, dello spettacolo teatrale – e il valore della semplicità e della naturalezza, che Perdita rappresenta fieramente, anche se affiora in lei, nei momenti cruciali, la consapevolezza che anche la sua è una recita. Cfr. IV, 4, 628.
104
Nella mitologia latina Flora è la dea di varie fioriture, poi intesa come dea della primavera. Molti commenti fanno anche riferimento alla figura di Proserpina ed al suo scomparire nel sottosuolo per poi rinascere, come allegoria della ciclicità delle stagioni e del continuo risveglio della natura. La vicenda di Perdita è per molti versi accostabile a quel mito, centrale in tutto il Rinascimento europeo; la sua fonte principale in Ovidio, Metamorfosi, V, 391 sgg.
105
Perdita è quasi in maschera, abbigliata da regina in una festa folcloristica.
106 Gillyvors: nome generico usato per numerosi tipi di fiori, ma specialmente per i garofani; qui è reso altrettanto genericamente per evitare ripetizioni. 107
Celeberrima disputa sul confronto fra arte e natura, ovvero se sia da privilegiare la spontaneità della seconda, o la ricercatezza e lo studio della prima. Il dialogo è variamente discusso e interpretato: al di sotto dell’argomento estetico, dibattuto nei millenni, si profila quello morale e civile della difesa della “naturalezza” (castità) di una giovane donna contro la più libera propensione all’esperimento in amore avanzata dalla voce della maturità maschile. Ne emergono comunque due personalità tracciate con grande perizia drammaturgica:
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pp. 1389-1401
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consapevolmente o no, presto Polissene smentirà se stesso, mentre Perdita conserverà fino in fondo la sua genuinità e forza. 108
Si ravvisa di solito in questo passo un’allusione sessuale, che contribuirebbe alla scena un sottofondo di commedia, come accade spesso nella drammaturgia elisabettiana e particolarmente in quella shakespeariana.
109 Secondo il mito Proserpina o Persefone, dea agreste figlia di Cerere, venne rapita da Dite o Plutone, dio degli inferi, che ne fece la sua sposa. Il rapimento avvenne mentre Proserpina raccoglieva fiori sulle sponde del lago di Pergusa, vicino a Enna. La fonte è quasi certamente Ovidio, Metamorfosi, V, 341-437, cui Shakespeare ricorre molto sovente. 110 Unmarried: alle soglie della primavera, gli insetti sono ancora troppo radi per impollinare il primo fiorire delle primule. 111 Oxlip: come Cowslip, una varietà di primule, qui tradotto con un nome alternativo (dal latino primula veris, francese primevère) per evitare la ripetizione. 112
Crown imperial: la fritillaria imperialis, pianta della famiglia delle liliacee.
113
Flower-de-luce: il “giaggiolo” o ”iris”, il “giglio di Francia”, della famiglia delle iridacee, diffuso in araldica. Spesso tradotto, per assonanza, “fiordaliso”, che è invece pianta asteracea.
114
Whitsun pastorals: feste campagnole del periodo dopo la Pasqua, cui partecipavano intere comunità. Pastorals non si riferisce solo ai mestieri della pastorizia, ma alle celebrazioni intermedie fra mondo contadino e mondo aristocratico, spettacoli e recite teatrali, che rappresentavano un impasto a quel tempo ancora vitalissimo. 115
Si intende: “le vesti di una dea mi fanno apparire diversa da quell’umile contadina che sono, e quale comparirei nelle pastorali”. Perdita prende atto che sta recitando, e si dichiara pronta al nuovo compito.
NOTE 116
In questa scena Florizel e Perdita dialogano adoperando il pronome you, più sostenuto del thou familiare. La traduzione tiene conto invece del discorso affettuoso fra due ragazzi, che l’amore e la poesia collocano ancora alla pari sulla scala sociale. Una situazione simile si avrà fra poco, nel dialogo fra i pastori e fra di loro e Autolico, che esclude un registro elevato.
117
La tortora era tradizionalmente simbolo di fedeltà coniugale. Cfr. anche V, 3, 133, e La Fenice e la tortora dello stesso Shakespeare, in questo volume.
118
Curds and cream: prodotti caseari (“cagliata e panna”), qui per un dolce contadino particolarmente ricercato. Il dialogo dei due aristocratici è tutto ironico, e come tale doveva essere ricevuto dal pubblico londinese. 119
La lode alla donna idealizzata della poesia aulica conosce un capovolgimento parodico in molti componimenti rinascimentali, in cui viene ironizzata l’avvenenza della popolana in gergo plebeo o addirittura dialettale, come per es. nella Nencia da Barberino di Lorenzo de’ Medici (anni ’70 nel XV secolo).
120
Tamburo e piffero sono tradizionalmente gli strumenti usati dai partecipanti a una morris dance, ballo folcloristico delle campagne inglesi, praticato anche a corte. 121
La traduzione intende mettere in risalto l’ingenuità del servitore, che sostiene l’uso di un linguaggio casto ex contrario, cioè con un esempio osceno che non capisce. 122
Points: nel doppio senso di “punti di ricamo” e di “cavilli in una causa legale”. 123
Le canzoni di Autolico sono tipiche delle fi lastrocche cantate dai venditori girovaghi del tempo, che devono aver prodotto un ricchissimo repertorio oggi attivamente ricercato e in parte ricostruito dai commentatori. Sono comunque state messe in musica nei secoli successivi.
124 Battute simili sono spesso citate come prova di un’antipatia di Shakespeare per
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NOTE
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la stampa, e di una sua preferenza per la scrittura manoscritta. Contro questa tesi si veda Lukas Erne, Shakespeare as Literary Dramatist, Cambridge, C.U.P., 2008.
131
125
La parodia degli spropositi di fantasia dei generi più popolari, e di canzonatura della mentalità e dei costumi del contado, dovevano avere grande successo presso il pubblico metropolitano. Insieme a passi come sopra, IV, 4, 162, erano comuni nel dramma giacomiano.
Al contrario di Polissene, Camillo evita i toni ironici, e sembra impressionato dallo slancio poetico di Florizel.
132
Mito greco equivalente a quello biblico del Diluvio universale. Deucalione e Pirra erano due anziani coniugi ai quali gli dei concessero di salvarsi dal diluvio, per dare origine a una nuova umanità. Rimasti soli al mondo, essi poterono ripopolarlo gettando dietro alla schiena i sassi che trovavano per terra.
126 Ancora una strizzata d’occhio alle due ragazze, Dorca e Mopsa, che si contendono i favori del Contadino, come si evince anche da quanto segue.
133
127
134
Westward: un possibile riferimento alle contee occidentali dell’Inghilterra, che rivelerebbe una volta di più la labilità della localizzazione in Boemia.
128
Occupation può contenere, come in Misura per misura, IV, 2, 37-38, un’allusione al mestiere di mezzano. 129 Saultiers: nel dare la notizia di un ballo di “satiri”, il servitore ignorante ne storpia la pronuncia, e tutto l’episodio è improntato a una benevola satira dei costumi e delle espressioni del contado. Si ricorda che una danza di satiri faceva parte del masque recitato a corte per il capodanno del 1611, alla presenza del re. Autori ne erano Ben Jonson per i testi, Inigo Jones per la coreografia, e Alfonso Ferrabosco con Robert Johnson per la musica. Era un evento molto dispendioso, a ulteriori spese del quale Shakespeare qui si diverte, abbassando l’alto simbolismo e sfarzo dello spettacolo cortigiano sul livello di un ballo di “mandriani”, si direbbe a beneficio dei groundlings che frequentavano non la corte ma i teatri pubblici. È probabile che si tratti di un passo inserito nel testo in un secondo tempo, difatti la “sarabanda” non lascia traccia di sé. 130
Forse ulteriori dettagli per far riconoscere e prendere in giro la sarabanda di satiri rappresentata a corte.
pp. 1401-1425
Si riferisce ovviamente a Florizel, che è ancora in scena, ammutolito: da Polissene è la maggiore concessione che possa venire, in questo momento critico. Queen: reginetta del sogno come della festa. Perdita si toglie la corona di fiori con cui è comparsa in scena.
135
Nel suo libro sullo stile tardo di Shakespeare, R. McDonald – tra gli altri – riflette su questi versi come un esempio di compressione e di economia grammaticale, che produce un suggestivo effetto di precipitazione e disagio (v. in bibliografia Shakespeare’s Late Style, pp. 91-92).
136 La traduzione conserva questo ondeggiamento fra la forma familiare e quella formale, come segno della incertezza del discorso di Camillo, e di quello nell’ipotetica scena immaginata da lui. 137
È possibile che questo scorcio di quarto atto sia un’aggiunta per introdurre il motivo sempre apprezzato del travestimento. Se lo accettiamo così come ci è pervenuto, non può nascondere una certa inclinazione ironica nei confronti delle convenzioni del genere romanzesco: di fronte alle infinite storie in cui l’eroe emerge dalle vicissitudini e dall’anonimato, magari coperto di stracci ma subito capace di ristabilire l’ordine gerarchico per nobiltà di carattere e/o prestanza fisica, ecco che Florizel si preoccupa di come sarà vestito di fronte a Leonte… e Camillo che rimedia a tutto affidandosi al cambio d’abito. Naturalmente l’ironia – l’autoironia in questo frangente
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pp. 1427-1441
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– è parte costitutiva del contrasto arte/natura sviluppato negli atti quarto e quinto, e più che mai nei travestimenti di cui si è detto. Tutto ciò può contribuire a esaltare la centralità di Perdita, l’avvocato della naturalezza, che infatti ha ben presente il suo compito metateatrale: “recitare una commedia”… Tutta la scena viene spesso letta in questo senso. Già S. L. Bethell in The Winter’s Tale. A Study, London, Staple Press, 1947, pp. 49-50, commentando gli andirivieni dei personaggi la defi niva “una deliberata sottolineatura comica di una tecnica fi n troppo grossolana”. Si veda anche B. Mowat, The Dramaturgy of Shakespeare’s Romances, Athens, The University of Georgia Press, 1976, pp. 59 sgg., che aggiunge altri commenti allo stesso fi ne. 138
L’autore (Shakespeare o chi per lui) scopre fi nalmente le carte, rendendo esplicito il meccanismo metateatrale così insistito nell’ultima parte del dramma. 139 Il venditore di indulgenze era una figura comune nel medioevo europeo, come dimostrano le storie di Boccaccio (Frate Cipolla), Chaucer (il Pardoner), ecc. 140 Camillo continua un discorso iniziato mentre Autolico recitava il suo sproloquio. 141 A questa battuta immaginiamo l’ilarità del pubblico, sempre più coinvolto nello scontro fra le qualità del personaggio e le esigenze dell’intreccio. 142
Adieu: è la forma francese, che connota molta lirica d’amore elisabettiana; e rappresenta un’altra incursione, illusoria all’ennesima potenza, di Autolico fra la “genìa” dei signori.
143 Secondo altre traduzioni “Sicilia” è semplicemente la regione, ma è giusto tener conto della prassi del tempo, generalmente seguita da Shakespeare, di riferirsi alla persona di un sovrano usando il nome dello stato. 144
Woman’s longing: proverbiale. La tradizione popolare assegnava alle donne questa intensità nel desiderare.
NOTE 145
Questa cinica battuta è riferita a Perdita. Per Autolico l’amore non esiste.
146
Changeling: v. sopra, III, 3, 117.
147
Brother-in-law: Il Vecchio pastore avrebbe dovuto dire his son’s father-in-law, “consuocero di un re”; dice però “cognato” per l’effetto comico.
148 Su quest’ultima battuta non c’è accordo: chi, come Hanmer (1743), aggiunge un not prima di had been, la interpreta come sostegno della linea gerarchica; chi (Pafford 1963) invece la inserisce nel tono ironico del contesto, attribuendo al Contadino una strizzata d’occhi di connivenza umoristica con il pubblico. 149 Non si dimentichi che Autolico sta portando i vestiti di Florizel, che ne fanno supporre l’autorità. 150
Il Contadino rileva che Autolico si è contraddetto, prima accusando i mercanti di raccontare storie, poi scagionandoli. Il passo è comunque controverso.
151
Autolico si riferisce pomposamente agli abiti che indossa.
152
Cap-à-pié: espressione francese presente nel cerimoniale inglese, che qui si preferisce all’italiano “da capo a piedi” per l’aria di importanza che Autolico vuole darsi.
153
Forse un riferimento all’usanza contadina di presentarsi in tribunale con un dono di selvaggina per l’avvocato.
154
L’uso dello stuzzicadenti era abitudine importata dai gentiluomini che viaggiavano nel continente.
155
Nelle arene dove si tenevano i combattimenti degli orsi, questi venivano introdotti con un anello infi lato nelle froge.
156
Case: nel doppio senso di “caso” e di “involucro” (la propria pelle).
157 Un diversivo per dire, da vero gentiluomo, che va a fare i suoi bisogni.
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NOTE
RACCONTO D’INVERNO
Atto V, sc. 1
Atto V, sc. 2
158
168
La scena: il palazzo di Leonte in Sici-
lia.
pp. 1443-1467
La scena: nei pressi del palazzo di Leonte in Sicilia.
159 La teoria del perdono divino secondo il Libro di Ezechiele, 18, 21-22, ripresa nel Messale anglicano.
169
160 È opinione comune che queste battute fossero inserite come omaggio indiretto a Giacomo I Stuart (d’Inghilterra e Scozia), successore di Elisabetta I. La regina, scomparsa nel 1603, per tutta la vita era rimasta contraria alla richiesta di sposarsi per assicurare una discendenza alla linea Tudor, e aveva indicato come suo successore Giacomo, figlio della regina di Scozia Mary Stuart, giustiziata nel 1587 con l’accusa di voler spodestare Elisabetta.
170 One eye declined… another elevated…: come in Amleto, I, 2, 11, il passo si richiama al proverbio To cry with one eye and laugh with another, che sopravvive nel folclore. Cfr. la fiaba di Pentolin delle lasagne, memorabilmente illustrata da Antonio Rubino in Finestra aperta, Milano, Vallardi, 1937, pp. 17-27.
161
Versi molto dibattuti, ma il senso appare chiaro, anche tenendo presente la più volte ribadita consapevolezza metateatrale che anima tutto il dramma, e in particolare il suo fi nale.
162
Viene ripresa qui l’invocazione delle ombre dall’aldilà che già era comparsa nelle ultime parole dell’Amleto padre al figlio: cfr. Amleto, I, 5, 91; con la differenza, evidenziata da un cenno di civetteria, che a parlare qui è una donna.
163
In maggioranza, le edizioni moderne assegnano la battuta “per me è tutto” al prossimo verso, cioè a Paolina, per la ragione che è nel suo carattere di fermare il discorso per poi riprenderlo a perdifiato…
164
Earth: il corpo umano, come la terra composto dai quattro elementi (aria acqua, fuoco, argilla) (Kittredge series, cur. I. Ribner, 1971). 165 Da semplice messo il Servitore diventa poeta: simili conversioni non sono rare nei testi shakespeariani. 166 A couple: una coppia di figli, cioè Mamilio e Perdita che Leontes crede appunto “perduta”. 167
This paragon: si riferisce a Perdita, in scena ancora silente accanto a Florizel.
All’epoca di Shakespeare le ballate erano come i gazzettini di epoche successive.
171
Si pensa che questa battuta fosse inserita in occasione di una recita a corte, con attori della corte stessa, estranei alla compagnia di Shakespeare.
172 Giulio Romano (1499 ca.-1546) è l’unico artista rinascimentale menzionato nelle opere di Shakespeare. Pittore, incisore e architetto, lavorò a Roma nella bottega di Raffaello e poi a Mantova, alla corte di Federico II Gonzaga; il suo gusto elaborato e fantasioso ebbe profonda influenza nelle corti europee. Non è accertato che fosse anche scultore, ma i suoi disegni erano conosciuti attraverso pubblicazioni di larga circolazione: più di un testo viene citato dagli studiosi moderni. 173 Come in altri casi, è possibile che in questo punto il testo non sia integro. Comunque, il possessivo her e il pronome she devono riferirsi a Paolina. Suo è il luogo di cui parla il Secondo gentiluomo. 174
Secondo molti commentatori questo passo è da leggersi come un’autoironia, in quanto nel 1596 Shakespeare aveva procurato il titolo di gentleman e uno stemma nobiliare a suo padre John, guantaio a Stratford, pervenendo così lui stesso dalla condizione di commoner, popolano, a quella di gentleman. Avvalora implicitamente questa interpretazione anche Gary Taylor, nel classificare la drammaturgia del tempo come “artigianato” improntato al “lavoro” ma-
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pp. 1469-1483
RACCONTO D’INVERNO
NOTE
nuale e intellettuale, all’opposto dei gentiluomini che disdegnavano il lavoro manuale. Cfr. “Artigianality”, in The New Oxford Shakespeare Authorship Companion, a cura di G. Taylor e G. Egan, Oxford, Oxford University Press, 2017, pp. 22-23.
La policromia marmorea fu pratica normale della scultura dai tempi arcaici, e continuò nella cultura rinascimentale come ancora testimoniano molti monumenti funebri nelle chiese inglesi.
175
Il Contadino incorre in due svarioni: prima smentendo il senso pessimistico della frase del padre (a sua volta mal concepita), poi dicendo preposterous (“sconsiderata”) per prosperous (“prosperosa”). Un madornale pasticcio. 176
Tall fellow of thy hands: “abile a menar le mani” in molti sensi, fra cui quello guerresco, può diventare, nel precario discorso del Contadino, quello del tagliaborse, il vero mestiere di Autolico. Atto V, sc. 3 177
La scena: casa di Paolina.
178
Avverte giustamente Richard McCoy come “la sopravvivenza di Ermione rovesci e mitighi i dubbi di Leonte: l’arte non simula la vita beffandola, ma la vita imita beffardamente l’arte, grazie alla sua maggiore vitalità”. Cfr. “Awakening faith in The Winter’s Tale”, in D. Loewenstein e M. Witmore (cur.), Shakespeare and Early Modern Religion, Cambridge, Cambridge U. P., 2015, p. 225.
179
Nell’Inghilterra protestante era proibito il culto delle immagini sacre, in ottemperanza al dettato del Decalogo biblico: “Non dovrai farti alcuna figura scolpita, né immagine alcuna delle cose che sono in alto nel cielo o in basso sulla terra o nelle acque al di sotto della terra”: Esodo 20, 4. Questo comandamento provocò una intensa campagna iconoclasta, che non risparmiò la quasi totalità dei luoghi di culto. Il passo shakespeariano non può non suggerire una memoria delle raffigurazioni della Vergine Maria.
180
Fixed: è possibile che sia da intendersi soltanto come “sistemata”, ma il seguito della frase legittima la nostra traduzione.
181
Polissene vuole che la colpa dell’incidente che sta all’origine del dramma sia addebitata solo a lui.
182
Leonte si chiede retoricamente quale straordinaria natura animasse l’esecutore della scultura. 183
La musica è elemento strategico in tutta la drammaturgia shakespeariana, ma soprattutto nel Racconto d’inverno, dove interviene a sottolineare prima il gusto popolare delle canzoni di Autolico, poi il momento magico e arcano dello scioglimento dell’intreccio.
184 Death: maschile (he, him) nelle lingue germaniche, femminile (lei) in quelle romanze. 185
Dopo la ripresa della storia di Pigmalione, Shakespeare si rifà a un altro mito trattato da Ovidio, quello di Orfeo che prima ottiene di sottrarre Euridice al regno dei morti, poi la perde una seconda volta per non riuscire a conformarsi, durante la fuga, al precetto di non voltarsi a guardarla. Cfr. Metamorfosi, X, 3 sgg., e spec. 53-63.
186
Si moltiplicano in questa scena le occasioni e le suggestioni metateatrali.
187
Fair madam… good lady: Paolina varia gli appellativi rivolgendosi prima a Perdita, poi a Ermione.
188
Cfr. IV, 4, 54.
189
Whose: alcuni commentatori riferiscono il pronome possessivo a Camillo, altri a Paolina. Anche se questi dubbi sono all’ordine del giorno per i testi del nostro autore, qui il fatto che il soggetto sia “garantito” da Leonte e Polissene, con entrambi i quali Camillo ha collaborato, decidono la questione a favore di quest’ultimo. FRANCO M ARENCO
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NOTE
CIMBELINO
Cimbelino
perché suggerisce un gioco di parole con il verbo defeat (“sconfiggere, superare”).
Atto I, sc. 1
8
1
La scena: Britannia. Il giardino del palazzo di Cimbelino.
2 L’espressione Our bloods si basa sul luogo comune che considerava il sangue come sede per antonomasia delle passioni e delle emozioni. 3
L’idea che i comportamenti e le attitudini degli uomini siano influenzati dai corpi celesti, con corrispondenze tra il microcosmo umano e il macrocosmo, era un topos rinascimentale che ritorna spesso nei testi dell’epoca, anche in chiave negativa.
4
La frase, più volte emendata dai curatori, rimane controversa. Le ripetute negazioni tradiscono una tortuosità di discorso che mette in guardia dalle interpretazioni troppo semplici: del resto, la conformità degli umori dei cortigiani a quelli del re viene defi nita dopo (vv. 11-14) come puramente “esteriore”, il che spiega la cautela del Primo gentiluomo.
5
Usare thing in riferimento alle persone aveva una valenza particolarmente offensiva (nel caso di una donna serviva anche per alludere volgarmente al suo sesso). Il termine ricorre anche in seguito con la medesima accezione ingiuriosa (v. I, 1, 126; I, 1, 133; I, 1, 152 e IV, 1).
6
Essere nominato Gentleman of the Bedchamber significava godere di uno speciale favore regale. In realtà il titolo è usato in modo anacronistico, poiché assunse questa connotazione durante il regno di Giacomo I.
7
Stando all’interpretazione congetturale proposta dall’Oxford English Dictionary, il verbo feated indica qui la proposta di un modello di decoro che mostra l’inadeguatezza di un altro: i cortigiani più maturi si sforzano inutilmente di rispettare l’etichetta di corte, mentre Postumo incarna naturalmente ciò che essi vorrebbero essere. È possibile che l’espressione sia stata scelta
pp. 1509-1517
Il termine election ha una chiara eco religiosa: come il fedele si salva per l’imperscrutabile volontà divina, così Postumo risulta un uomo veramente degno non tanto per i suoi meriti ma perché è stato prescelto da Innogene.
9
Le parole del Primo gentiluomo non solo introducono i nuovi personaggi ma potrebbero anche rivelare il modo in cui essi entrano in scena, con la regina significativamente posta tra i due sposi (almeno a livello simbolico, visto che la disascalia al v. 69 non conforta questa ipotesi). In F dopo queste parole viene inserito un cambio di scena, mentre l’edizione Oxford anticipa l’entrata dei tre personaggi per segnalare la continuità dell’azione.
10
L’espressione marry è piuttosto frequente nei testi shakespeariani come imprecazione attenuata (contrazione di “Per la vergine Maria”).
11
La frase è ambigua: un’altra traduzione potrebbe essere “a parte il rispetto per il mio voto matrimoniale, che mio padre potrebbe contrastare, non ho timore per quanto la sua rabbia possa farmi male”.
12 Nell’originale il verso è incompleto, forse per segnalare il pathos del momento e lascia immaginare al lettore (e all’interpretazione dell’attore) possibili gesti ed espressioni dei due personaggi. 13 Il termine seare di F (ortograficamente modificato in cere nell’edizione Oxford) allude alla pratica di avvolgere i cadaveri in teli incerati; altri invece preferiscono leggere seale (“sigillo”) ritenendo più plausibile un riferimento alla cera utilizzata per sigillare i documenti legali. In entrambi i casi, comunque, le parole di Postumo suonano come una appassionata promessa di fedeltà associata a un’immagine di morte (con una possibile eco da Romeo e Giulietta V, 3, 114-15). 14
Nel XVII secolo esisteva ancora la di-
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pp. 1519-1523
CIMBELINO
NOTE
stinzione tra la seconda persona singolare thou, usato per rivolgersi a familiari o a sottoposti, e la seconda plurale you, più cortese. Finora nel testo tutti i personaggi, compresi Postumo e Innogene, hanno utilizzato quest’ultima forma nei loro scambi, mentre il fatto che Cimbelino si rivolga a Postumo con thou indica il completo disprezzo nei suoi confronti. Nella traduzione si è mantenuta questa differenza di registro ricorrendo al “tu” e al “voi”, sebbene in alcuni casi essa suoni un po’ troppo formale.
fondo della scena nel teatro elisabettiano e giacomiano.
15
Lo scambio tra Cimbelino e Innogene gioca sul doppio significato del termine grace, che può significare sia “rispetto” sia “grazia divina”. Il re accusa la figlia di non dimostrare rispetto e obbedienza, Innogene risponde con un’allusione religiosa di matrice calvinista: poiché è senza speranza e nell’affl izione più profonda, ella è di conseguenza priva della grazia divina (la mancanza di speranza era considerata dalla chiesa medievale peccato contro lo Spirito Santo e quindi past grace, imperdonabile).
16
Secondo un detto popolare, ogni goccia di sangue versato corrispondeva a un sospiro.
17 La battuta della regina è stata variamente interpretata: qualcuno la considera rivolta a Cimbelino che sta uscendo (in tal caso la regina cercherebbe di convincere Innogene a ritenerla sua alleata), altri invece ritengono che sia rivolta a Innogene perché si rassegni e accetti il volere del re. 18
L’espressione usata da Innogene indica sia che Cloten “sta dalla parte” di Cimbelino, sia (ironicamente e metateatralmente) che egli “fa la sua parte”, quella che gli è più congeniale (cioè prendersela con chi è in difficoltà o di rango inferiore).
19 Pur non presente in F, l’indicazione convenzionale per indicare l’uscita dei personaggi in direzione diversa è solitamente riportata nelle edizioni moderne, in riferimento alle due uscite poste sulla parete di
Atto I, sc. 2 20 La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino. 21
Il figlio della regina è immediatamente connotato in modo negativo a causa del suo nome, modellato sul termine clot “stupido, zuccone”, sebbene egli appaia più malvagio e arrogante che stupido. La presenza dei due nobili rafforza questa impressione negativa: il secondo lo schernisce esplicitamente (ma sempre negli a parte), il primo lo adula, sebbene sia possibile leggere anche le sue parole come una raffinata forma di derisione.
22
L’espressione è una abbreviazione di in faith o by my faith, usata per enfatizzare ciò che viene detto.
23 Il Primo nobile utilizza passable con più significati contemporaneamente, come termine enfatico (“vera, reale” ma anche “passabile, accettabile”) e per indicare qualcosa “che può essere perforato” o “che è stato trapassato”. Da notare che la prima parte di ciascuna delle sue frasi contraddice ironicamente la seconda. 24
Le parole del Secondo nobile (letteralmente “Il suo acciaio era in debito – si è tenuto nelle strade secondarie”) alludono al fatto che i debitori di solito non percorrevano le vie principali per evitare l’arresto: sfruttando la contrapposizione con la “strada maestra” menzionata nel verso precedente, il Secondo nobile intende dire che in realtà la spada di Cloten non ha neppure sfiorato Postumo.
25
Tutto lo scambio è giocato sul doppio senso di stand: Cloten accusa Postumo di non aver tenuto il campo (sottintendendo ground; to stand one’s ground significa appunto “tener duro, non cedere terreno, fare resistenza”); il Primo nobile, invece, riprende il termine stand ma nel significato di “posto, posizione sociale”. Il Secondo
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NOTE
CIMBELINO
nobile poi, come di consueto, commenta subito dopo con un gioco di parole su inch, che indica una piccola isola (in contrapposizione agli “oceani”) ma anche l’unità di misura ancora in uso oggi.
anche perché viene menzionata l’ora sesta come se fosse diversa da quella che si recita a mezzogiorno.
26
La locuzione, probabilmente un conio shakespeariano, significa letteralmente “almeno fi nché tu non avessi misurato sul terreno il lungo scemo che sei”. Un’espressione analoga per alludere al cadere a terra si trova anche in Sogno di una notte di mezza estate III, 3, 17, e in Re Lear I, 1, 89-90.
27
Il termine election indica qui una “scelta” ma, essendo associato a damned, allude anche al problema della predestinazione come già in I, 1, 53. 28 Il termine sign significa qui “di bell’aspetto” ma implica anche “costellazione, segno”, donde il successivo gioco di parole su reflection: il Primo nobile la intende come “indicazione, traccia, insegna” o anche metaforicamente “scintilla, luce dell’intelletto”, il Secondo nobile come “fastidioso riflesso di una superficie” (in questo caso Cloten con la sua stupidità). 29
Alcuni interpreti suggeriscono un gioco di parole con ass (“asino” ma anche “sedere”, cfr. arse), donde la successiva considerazione che il cadere di uno sciocco (ma anche il cadere sul fondo schiena) non avrebbe provocato alcun danno grave.
pp. 1525-1531
33
L’espressione di Innogene viene di solito resa “perché è allora che prego per lui”, ma potrebbe anche essere letta come allusione al suo positivo stato d’animo quando prega per Postumo (quasi a dire “sono al settimo cielo per lui”). Nella traduzione si è cercato di mantenere l’ambiguità. Atto I, sc. 4 34
La scena: Roma. La casa di Filario.
35
Caratterizzata da un’atmosfera conviviale e pettegola che progressivamente diventa tesa e convulsa, la scena è in prosa, anche se una prosa tutt’altro che lineare. È notevole la presenza di due personaggi che non parlano mai, l’olandese e lo spagnolo, probabilmente inseriti per conferire alla scena un’atmosfera cosmopolita e realistica (per esempio, gli olandesi erano ritenuti grandi bevitori). Anche in seguito compaiono personaggi “pleonastici”: i carcerieri sono due ma il secondo pronuncia un’unica battuta (V, 5, 96); dei nobili al seguito di Cimbelino (IV, 3) solo uno parla. Tutto ciò potrebbe essere indice del fatto che l’allestimento di Cimbelino era pensato per compagnie grandi e per un teatro più borghese, come il Blackfriars.
36
Atto I, sc. 3 30
La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino.
31 Il verbo encounter è usato qui sia nel senso di “comunicare”, sia in quello di “sottomettersi” in atteggiamento di preghiera. 32 Molti commentatori ritengono che Innogene alluda qui a tre delle sette canoniche ore dell’ufficio divino. Le sue parole, però, sembrano semplicemente voler esprimere la preghiera continua nell’intero arco della giornata e non delle ore particolari,
Una delle prerogative tradizionalmente attribuite all’aquila, cui Postumo è già stato in precedenza associato. Qui, però, le parole del francese servono per sminuire Postumo e affermare che non è così superiore ad altri uomini.
37 Il termine colours allude ai “colori” della bandiera di uno schieramento militare ma anche ai “pretesti” di chi si ostina a mantenere opinioni discutibili. 38 La frase è assai involuta; in particolare la locuzione without less quality ha tradizionalmente creato molte perplessità visto che il senso della frase è chiaramente opposto (Innogene è accusata di non aver
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pp. 1531-1547
CIMBELINO
NOTE
scelto qualcuno con più qualità). Alcuni critici ipotizzano che l’espressione sottintenda una doppia negazione per ribadire l’indegnità di Postumo.
un agiato nobile italiano era di circa mille ducati all’anno.
39 La frase, che qui suona quasi offensiva, potrebbe essere un’espressione idiomatica o proverbiale. Tilley, Proverbs in England, K 49, cita il proverbio Kindness (Love, Kind) will creep where it cannot go (“La gentilezza si intrufola là dove non può entrare”), che compare con leggere modifiche anche in Due gentiluomini di Verona (IV, 2, 19-20). 40
Postumo di fatto afferma la stessa cosa pur usando due frasi grammaticalmente contrapposte (letteralmente: “Ho evitato di seguire ciò che udivo piuttosto che permettere a me stesso di essere guidato dall’esperienza di altre persone”). Del resto, egli stesso insinua subito dopo dei dubbi sulla propria lucidità mentale.
41
Lo slancio ingenuamente idealistico di Postumo è segnalato a livello testuale dal suo tentativo di parlare con un linguaggio e una prosodia poetica (o quasi poetica; cfr. anche i successivi vv. 73, 83, 120) che egli abbandonerà quando si adatterà al tono e ai valori mondani che lo circondano. 42
L’espressione è probabilmente una contrazione della frase proverbiale win and wear it (“Goditela una volta che l’hai conquistata”) spesso utilizzata in riferimento al corteggiamento di una donna (cfr. Tilley, Proverbs in England, W 408). Il termine title ha qui un’accezione commerciale per indicare ciò che conferisce il titolo di proprietà su un possedimento.
43
Un’immagine analoga, per alludere alla seduzione di una moglie, ritorna nelle parole di Leonte (cfr. Il racconto d’inverno I, 2, 196-97) e forse in Misura per misura (I, 2, 91; cfr. le aggiunte al testo). Il termine pond era spesso usato eufemisticamente per indicare i genitali, così come il successivo ring per alludere alla vagina.
44
Una somma volutamente esorbitante: è stato calcolato che all’epoca la rendita di
45 Alcune edizioni emendano il termine friend (che compare in F ed è seguito in questa edizione) in afraid, il che darebbe adito a una lettura diversa ma altrettanto interessante e legittima: nel primo caso Giacomo alluderebbe al fatto che Postumo è “amico” di Innogene (quindi la conosce bene, sa che potrebbe cedere e saggiamente non accetterà la scommessa) oppure che è “amico” suo (nel senso che ha la sua stessa opinione riguardo alla fragilità delle donne); nel secondo Giacomo insinuerebbe che Postumo ha “paura” ad accettare la scommessa, provocandolo ulteriormente per la sua apparente evasività. 46
Riprendendo un comune doppio senso dell’epoca, Postumo usa il termine voyage per intendere il viaggio in nave che Giacomo dovrà fare per raggiungere Innogene, ma anche volgarmente il “solcare” il corpo della donna. Nella traduzione si è cercato di mantenere questa doppia allusione. Atto I, sc. 5 47 La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino.
Atto I, sc. 6 48
La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino.
49 Alcuni considerano seasons come verbo (“condire, dare sapore”) e interpretano quindi: “sono esauditi nei loro onesti desideri, che danno gusto e intensificano la loro consolazione”. Grammaticalmente, però, sembra più giustificato leggere seasons come sostantivo per esprimere il concetto che anche chi è povero ha diritto ad avere desideri e, se questi sono onesti, prima o poi si realizzeranno. 50
Giacomo utilizza fi n dall’inizio un linguaggio allusivo e ambiguo: “cambiare colore” può voler dire sia “arrossire per la
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NOTE
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vergogna o l’eccitazione”, oppure “impallidire per la preoccupazione”. F non riporta il punto interrogativo, nel qual caso la frase di Giacomo sarebbe un invito a mutare espressione perché egli le porta buone notizie.
57 Il rimando è alla mitologica botte con il fondo bucato che le Danaidi erano state condannate a riempire nell’Ade, ma vi è anche un più nascosto richiamo alla “botte mercuriale” utilizzata per curare la sifi lide (i vapori di cinabro “riempivano” la botte ma allo stesso tempo ne “uscivano” dal foro superiore da cui usciva la testa del malato). Giacomo vi allude anche al v. 126.
51 Mitologico uccello di cui esisteva un solo esemplare e che ogni cinquecento anni si gettava nel fuoco per risorgere dalle proprie ceneri. Qui è ovviamente menzionato per sottolineare l’unicità di Innogene (cfr. Antonio e Cleopatra III, 2, 12). 52
I parti erano celebri per la loro tattica di evitare scontri corpo a corpo e attirare i nemici simulando una ritirata durante la quale scagliavano frecce verso il nemico con grande abilità.
53
Il verbo reflect usato qui è di solito parafrasato “guarda, considera” ma, alla luce delle parole del Primo nobile in I, 2, 30 e della retorica enfatica di Postumo, è anche possibile che il significato sia più ampolloso e iperbolico: “fa’ risplendere su di lui un po’ della radiosità del tuo favore”.
54 L’edizione Oxford emenda qui il testo, inserendo una canonica forma di commiato epistolare, mentre in F la frase prosegue acquisendo un significato leggermente diverso (“così come tu mantieni la tua lealtà come mia moglie”, o “così come tu reputi la fiducia che riponi in me”) che alcuni critici ritengono preferibile. 55
Come il testo lascia intendere, Giacomo accompagna le sue parole con dei gesti per distinguere tra “questa” (Innogene) e un’altra donna.
56 L’espressiva immagine è assai ambigua ed è stata variamente interpretata. Il senso generale sembra essere: di fronte al ricordo dell’eccellenza di Innogene, il desiderio stesso vomiterebbe e non spingerebbe un uomo a soddisfare il proprio appetito con altre donne. Tuttavia, essendo il desiderio proverbialmente insaziabile, esso non ha mai lo stomaco pieno e quindi può avere solo un conato e “vomitare nulla”.
pp. 1549-1555
58 La logica del discorso precedente di Giacomo viene qui capovolta, amplificando la sensazione di spaesamento: il desiderio sessuale si rivolge in primo luogo verso la donna innocente e inesperta (simboleggiata dall’agnello) ma poi si rivolge insaziabile anche verso una prostituta (l’immondizia). Giacomo, in tal modo, insinua che la lascivia di Postumo sia tale da indurlo a ricercare la soddisfazione senza distinguere tra bello e brutto. 59 Il termine peevish poteva avere molti significati (“folle”, “dal brutto carattere”, “capriccioso”, “ostinato”, “permaloso”) e qui è impossibile stabilirne con certezza l’accezione, visto che il personaggio in questione non compare mai. 60
“Questo oggetto” potrebbe indicare Innogene stessa o il suo occhio (in contrasto con quello meschino e spento della prostituta al v. 110); in ogni caso, esso sarebbe in grado di imprigionare e bloccare il naturale movimento degli occhi infiammandoli di desiderio (anche se il termine motion come in La dodicesima notte II, 4, 17 potrebbe indicare la “passione”). Giacomo descrive il proprio occhio come una stella vagante cui solo Innogene può dare un posto fisso e lo splendore, ma F2 emenda firing in fixing (forse per facilitarne la pronuncia sulla scena), nel qual caso il senso sarebbe che la perfezione di Innogene obbliga Giacomo a fissare lo sguardo solo su di lei. 61
Sede del tempio di Giove Capitolino a Roma. L’espressione di Giacomo ricalca quella già presente in 2Enrico IV, in cui si dice che la prostituta Doll Tearsheet è
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pp. 1557-1567
CIMBELINO
NOTE
“battuta come la strada tra Saint Albans e Londra” (II, 2, 159-60). L’allusività delle parole di Giacomo è rafforzata anche dal successivo termine hourly, che ha assonanza con whorely (“da sgualdrina”).
cato del termine (“puzzolente, di cattivo odore”) per l’ennesima sferzante battuta (letteralmente “avrebbe puzzato come un cretino”).
62
La “carne bollita” è quella dei malati di sifi lide che si curavano sudando nelle botti riscaldate e sature di vapori di mercurio (cfr. il riferimento analogo ai vv. 50-51). 63
L’ira di Innogene è segnalata dal repentino passaggio al “tu”, mentre ritornerà a un più rispettoso “voi” dopo la ritrattazione di Giacomo.
64
L’aggettivo romish, un hapax nella produzione shakespeariana, ha una chiara eco dispregiativa in inglese (“cattolico romano, papista”) che è difficile da cogliere per il lettore italiano, anche perché la vicenda è ambientata in un’epoca in cui non c’era ancora stata la Riforma. Il sostantivo stew indica propriamente uno “stufato” (associato al precedente saucy “piccante”), ma ha qui una chiara valenza sessuale visto che indicava popolarmente un “bordello”. Il termine quindi riprende le precedenti allusioni di Giacomo alle malattie veneree e alla loro cura, rafforzando al contempo la connotazione negativa del focoso corteggiatore italiano. Atto II, sc. 1
65
La scena: Britannia. Davanti al palazzo di Cimbelino. 66 I verbi to curtail e to crop hanno significato analogo, ma usando quest’ultimo il Secondo nobile allude in modo specifico alla pratica di accorciare la coda o le orecchie degli animali (tipicamente gli asini); come a dire che, fermando Cloten, quelle persone si sono solo limitate a fargli fare la figura dell’asino senza tagliargli le orecchie come si dovrebbe fare con questo genere di animali. 67 Cloten utilizza rank nel senso di “posizione sociale, status”, mentre il Secondo nobile gioca su un altro possibile signifi-
68
Poiché Cloten si è paragonato a un gallo (tradizionalmente associato a una sessualità prorompente, amplificata dall’uso di up and down), il Secondo nobile insinua forti dubbi sulla virilità di Cloten dandogli del cappone (un pollo castrato, spesso utilizzato anche come sinonimo di “sciocco”) e ribadisce la sua ridicola arroganza che lo porta a vantarsi stupidamente alzando la cresta come un galletto (con un altro gioco di parole plurimo: cock’s comb indicava infatti il cappello del giullare di corte, la cui forma ricordava la cresta del gallo, e lo stesso termine capon si può leggere cap on, “cappello in testa”). 69
Il gioco di parole sfrutta il doppio senso del termine stranger, che può indicare uno “straniero” ma è anche il comparativo di “strano” (qui nel senso di “sciocco”): il Secondo nobile, quindi, allude al fatto che Cloten è “straniero a se stesso” oltre che “sprovveduto”.
70
Le parole del Secondo nobile contengono una serie di giochi di parole: granted può voler dire “patentato, garantito” ma anche “concesso, protetto”. La seconda parte della frase, invece, riprende i molteplici sensi di derogate (“degenerare”, “compromettere”, “non rispettare il codice di comportamento previsto dal proprio rango sociale”) già sfruttati dal Primo nobile: Cloten può permettersi qualsiasi cosa perché, essendo uno sciocco, compiere atti insulsi non “deroga” dalle sue prerogative (anche perché non ha alcuna dignità che potrebbe essere “compromessa”); di conseguenza non avrà alcuna rilevanza neppure ciò che scaturirà da lui (con un un doppio senso su issues, “atti, azioni” ma anche “progenie, figli”: se i suoi figli saranno deformi o idioti non potranno essere considerati “degeneri”).
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NOTE
CIMBELINO
Atto II, sc. 2
come se si baciassero, anche sulla scorta di una frase analoga in Venere e Adone (v. 505). Nella traduzione si è cercato di mantenere l’ambiguità dell’originale.
71
La scena: Britannia. La camera da letto di Innogene. 72
Le parole di Innogene riecheggiano quelle di The thyrde Collecte for ayde, against all peryls dell’Ordinario nel Book of Common Prayer (1559), analoghe a quelle dell’Orazione che si recita ai Vespri del giovedì della I settimana nella liturgia delle Ore cattolica. Quanto alle fairies, nel folklore erano spiriti maligni e sinistri che recavano sciagure agli umani (cfr. per esempio La commedia degli errori IV, 2, 35). Per evitare ambiguità, si è preferito tradurre il termine con “folletti” e non con “fate” (cfr. anche V, 5, 227).
73 Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo, che avrebbe fatto violenza alla virtuosa Lucrezia, leggendaria figura della storia di Roma cui Shakespeare dedica il poemetto narrativo Lo stupro di Lucrezia. Associandolo all’aggettivo possessivo, Giacomo ricorda che anch’egli viene dall’Italia e adombra una possibile emulazione di quell’atto di violenza anche nella corte britanna. 74
La Venere qui invocata è Innogene stessa, che Giacomo contempla come divina personificazione dell’amore e che subito dopo diverrà un giglio, simbolo di castità e purezza, in grado, come in Venere e Adone (v. 398) di superare il biancore del lino. Le immagini utilizzate da Giacomo qui sono curiosamente simili a quelle di Perdita in Il racconto d’inverno IV, 4, 118 e sgg.
75 Alcuni interpreti ritengono che Giacomo baci effettivamente Innogene qui o nei versi immediatamente precedenti, il che renderebbe la scena drammaticamente più coinvolgente e giustificherebbe la successiva frase sul respiro in grado di profumare la stanza (che peraltro riecheggia quella in Venere e Adone 443 ed è piuttosto diffusa nella letteratura elisabettiana). Altri ritengono invece che Giacomo intenda dire che le labbra della principessa sono strette
pp. 1567-1573
76 Tereo, re della Tracia e marito di Procne, violentò la sorella della moglie, Filomela, tagliandole la lingua perché non potesse denunciarlo. Fu infine trasformato in upupa. La vicenda è narrata da Ovidio in Metamorfosi VI, 424-674 (le parole di Giacomo si riferiscono in particolare ai vv. 520-30). 77
Si riteneva che i corvi dormissero rivolti verso oriente e fossero quindi tra i primi animali a svegliarsi. L’immagine del carro della notte trainato da dragoni è di matrice classica (cfr. Metamorfosi VII, 218-19). Atto II, sc. 3
78
La scena: Britannia. L’anticamera dell’appartamento di Innogene.
79
In epoca elisabettiana il termine ace (“uno”, il punto minimo quando si gioca a dadi) era pronunciato come ass (“asino”, “stupido”) ed è dunque probabile che nelle parole del Primo nobile sia sottinteso l’ennesimo, ingiurioso gioco di parole ai danni di Cloten.
80 Il verbo contiene un’evidente allusione sessuale, presente anche nelle successive parole di Cloten. 81
F riporta qui soltanto la dicitura SONG (canzone) ed è quindi possibile che sia Cloten stesso a cantare questa serenata mattutina, anche se ciò renderebbe più difficile spiegare la sua ironia nei confronti della voce dell’eunuco.
82
Letteralmente “senza pietre”, cioè senza testicoli, espressione che l’Oxford English Dictionary registra come unica in questo senso. La propensione di Cloten ad alludere a mutilazioni (come in questo caso) è una caratteristica del suo personaggio (cfr. per esempio III, 5, 151).
83
La battuta di Cloten ricorda quella analoga di Sir Toby in La dodicesima notte:
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pp. 1575-1595
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NOTE
“Non essere a letto dopo mezzanotte vuol dire essersi alzati presto”, II, 3, 1-2.
no “in formazioni ordinate” (cfr. V, 5, 5). Parimenti, courages è probabilmente una licenza per il singolare courage e come tale compare nell’edizione Oxford.
84
La stoltezza di Cloten è ripetutamente sottolineata, in questo caso dal suo fraintendere il significato delle parole della regina. 85 Reminiscenza del mito di Atteone, giovane cacciatore tramutato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani, per aver casualmente visto la dea Diana nuda mentre si bagnava. Il “cacciatore di frodo ritto nel suo nascondiglio” – cioè Cloten stesso – serve a personalizzare l’immagine dell’assalto sessuale che lui sogna di compiere. 86 Alcuni critici suggeriscono che il termine case (“istanza, caso”) alluda qui in modo osceno anche al “contenitore, fodero” del corpo femminile, cioè alla vagina. Nella traduzione si è dunque scelto un registro colloquiale per non escludere questa doppia lettura. 87
Nella traduzione si è cercato di mantenere l’ambiguità dell’originale: probabilmente Innogene accusa se stessa di parlare troppo, ma di per sé verbal potrebbe anche essere riferito a Cloten che con le sue insistenti e verbose profferte amorose fa spazientire la principessa.
88
In epoca elisabettiana si riteneva che l’aria umida portata dal vento del sud (menzionata anche più avanti: cfr. IV, 2, 351) portasse malattie: si vedano al proposito gli espliciti insulti di Calibano in La tempesta (I, 2, 325-26).
91 F attribuisce questa battuta a Postumo, mentre l’edizione Oxford segue la maggior parte degli editor assegnandolo a Filario, forse per sottolineare che l’attenzione di Postumo è presa da altro. 92
Il Cidno, fiume della Cilicia dove avvenne l’incontro tra Antonio e Cleopatra, qui straripa iperbolicamente per la quantità di navi che lo solcano o per l’orgoglio di trasportare due personaggi così ragguardevoli (cfr. la celebre descrizione di Enobarbo in Antonio e Cleopatra II, 2, 197-224). 93
Il riferimento è alla classica immagine di Cupido bendato, che qui, però, si carica di un’allusività ironica, visto che propriamente winking singifica “ammiccante”. Nella traduzione si è cercato di mantenere l’ambiguità. 94
Alcuni editor sostengono che Shakespeare utilizzi qui il termine pale nel senso di “indifferente, distaccato”, nel qual caso le parole di Giacomo significherebbero: “Se riuscite a restare indifferente, nonostante ciò che vi ho detto, permettetemi di tirare fuori questo gioiello”.
95
Rettile mitologico dallo sguardo letale. L’imprecisione di Shakespeare (propriamente ciò che causava la morte non era guardare il basilisco ma lo sguardo del basilisco stesso) era piuttosto comune. 96
Atto II, sc. 4 89 90
La scena: Roma. La casa di Filario.
La frase ha da sempre causato difficoltà interpretative. In F2 la frase è emendata Now mingled with their courages (“ora unita al valore dei loro coraggiosi comandanti”). Tuttavia wing-led, sebbene Shakespeare lo utilizzi solo in questo testo, era un termine abbastanza comune in un’epoca in cui gli eserciti avevano le “ali” e si muoveva-
Al v. 98 Jove! era una semplice l’esclamazione, mentre qui si tratta di un giuramente solenne, donde la reazione di Postumo.
97 L’oltraggio provato da Postumo è reso ancora più evidente dal repentino passaggio dal “voi” al “tu”. 98
Un’espressione simile, che ben rende l’incoerenza di una mente ottenebrata dall’ira, ritorna in Re Lear (cfr. II, 2, 45455).
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NOTE
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Atto II, sc. 5
nogene perché avrebbe dovuto custodire la propria virtù opponendosi in modo più deciso alle profferte di Giacomo; al contrario, questi ha ricevuto solo quella soddisfacente “opposizione” che desiderava e che lei non ha impedito.
99
La scena: Roma. Una stanza della casa di Filario.
100
L’invettiva di Postumo contro le donne è un vero e proprio topos letterario, con molti antecedenti elisabettiani ed europei (emblematica la tirata di Rodomonte nell’Orlando Furioso XXVII, cxx-cxxi, che Shakespeare conosceva nella traduzione di Harrington). 101
Non è chiaro l’esatto significato di “giallo”: alcuni ritengono che indichi il colore bruno-olivastro della pelle di Giacomo, ma in Shakespeare e altri drammaturghi elisabettiano indica spesso chi è tormentato da invidia e gelosia, quindi è possibile che la mente sconvolta di Postumo attribuisca a Giacomo quel sentimento che in realtà sta sperimentando lui stesso. In ogni caso, il termine sembra avere qui una connotazione negativa e in traduzione si è optato per una forma un po’ desueta che però mantiene l’allitterazione dell’originale ed evoca al contempo la malignità di Giacomo.
102 Già nella Bibbia (cfr. Salmi 80, 13) il cinghiale è presentato come agente di caos e devastazione. In seguito, è stato spesso utilizzato come simbolo di prorompente sessualità; quello della bassa Germania, poi, era proverbialmente fiero, forte e grasso. Dunque, paragonando Giacomo a tale animale, e specificandone la nazionalità, Postumo intende dare alla presunta seduzione di costui una connotazione ancora più bestiale e dalle conseguenze esiziali per il proprio matrimonio. Pur senza menzionarlo apertamente, anche Claudio allude a tale animale in Molto rumore per nulla IV, 1, 56-61 e le sue parole presentano termini, rimandi e metafore analoghe a quelle utilizzate da Postumo. 103 Oltre al suo significato più comune, il termine opposition allude qui alla piacevole “frizione” che si produce durante la penetrazione. Postumo biasima dunque In-
pp. 1597-1605
Atto III, sc. 1 104
La scena: Britannia. Una sala del palazzo di Cimbelino.
105 Il termine liege era un modo particolarmente formale di rivolgersi a un superiore, qui utilizzato dalla regina come forma di cortesia e di adulazione nei confronti di Cimbelino. 106
L’edizione Oxford emenda in questo modo un termine piuttosto discusso: F ha Oakes “querce”, forse come metonimia per “navi”, altri critici optano invece per rocks “rocce”.
107
Stando alle cronache medievali, la Britannia era stata fondata da Bruto, pronipote di Enea, e aveva per capitale Troynovant o Trinovantum (“Nuova Troia”). Dopo che la città fu abbellita e ingrandita da un altro mitologico sovrano, Lud, nonno di Cimbelino, essa prese il nome di Caerlud (“città di Lud”), da cui (con una falsa etimologia) si faceva derivare London.
108
La frase deriva da Plutarco: Cesare fu il primo che navigò con una flotta militare sull’oceano Atlantico e, invadendo la Britannia (che secondo alcuni era un’isola inventata), egli “estese l’impero romano oltre i limiti del mondo abitato” (cfr. Vita di Cesare, XXIII).
109 In realtà queste ribellioni negli attuali Balcani erano avvenute in precedenza, ma Shakespeare non segue qui la cronaca di Holinshed, così che Cimbelino possa giustificare meglio la propria scelta.
Atto III, sc. 2 110 La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino.
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pp. 1605-1621
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NOTE
111 L’edizione Oxford istituisce un paragone tra i pensieri di Postumo e quelli di Innogene, mentre F riporta to her (“verso di lei, nei suoi confronti”), alludendo semplicemente all’opinione che Postumo ha verso la moglie.
che si toglie il cappello in segno di deferenza, mentre book uncrossed fa riferimento al libro contabile dal quale il debito di un creditore non è ancora stato depennato.
112
Propriamente si tratta di coloro che hanno firmato contratti rischiosi che, come le lettere, venivano sigillati con la cera (cfr. per un uso analogo della terminologia giuridica Il mercante di Venezia I, 3, 141 e sgg.).
113
Le parole di Innogene sono interpretate in modo diverso dai vari commentatori: probabilmente ella vuole dire che ha uno scopo ben chiaro davanti a sé (raggiungere Postumo a Milford Haven) mentre l’incertezza regna sovrana accanto a lei e anche in ciò che è alle sue spalle (what ensues). Un’altra interpretazione proposta è che lei vedrebbe davanti a sé una possibile via d’uscita dalla sua situazione, ma tutto intorno e anche in ciò che riserva il futuro (what ensues) percepisce una grande incertezza, come una nebbia impenetrabile che rende il viaggio a Milford necessario ma pieno di incognite. Quest’ultima lettura rafforzerebbe l’ironia del v. 70. Atto III, sc. 3
114
La scena: Galles. Una caverna.
115
Pur non esplicitamente menzionata nelle didascalie di F, la presenza della caverna è chiaramente sottintesa dalle parole di Belario. Nella messinscena era probabilmente realizzata con strutture posticce allestite nella parte posteriore del palcoscenico o appese al soffitto. È anche possibile che vi fossero degli alberi, registrati tra le proprietà degli Admiral’s Men dall’impresario Philip Henslowe nel suo diario.
116
Nella mentalità popolare i giganti erano associati ai saraceni, donde la menzione dei turbanti (“empi” perché indossati da non cristiani).
117 L’espressione gain the cap indica propriamente ottenere il rispetto di qualcuno
118
Riferimento all’usanza tipica della convenzione pastorale. Anche in Il racconto d’inverno (IV, 3, 39) Perdita è nominata “signora della festa”. 119
Alcuni critici ritengono che i vv. 99107 siano un’aggiunta autoriale successiva, inserita per fornire importanti dettagli narrativi, come il nome della nutrice e quello assunto da Belario durante la sua latitanza. Atto III, sc. 4
120
La scena: Galles. La campagna nei pressi di Milford Haven. 121
La ghiandaia era tradizionalmente associata alle prostitute a causa delle sue sgargianti piume (mentre Innogene, per contrasto, si paragonerà poco dopo a un abito fuori moda). Già nel 1367 il prevosto di Parigi, Hugues Aubriot, denunciava il modo di vestire troppo appariscente delle prostitute parigine e dettò un’ordinanza che vietava loro di indossare “cinture dorate, colletti rovesciati e piume di ghiandaia sui loro abiti variopinti”. 122
Stale indica sia qualcosa di stantio e privo di freschezza, sia un’amante di lunga data la cui devozione è oggetto di scherno da parte di una rivale, e in tal senso ritorna spesso nella produzione shakespeariana (cfr. in particolare La commedia degli errori, II, 1, 100, che usa di fatto le medesime parole). 123
Enea non è qui ricordato come l’eroico fondatore di Roma ma come l’amante traditore che ha abbandonato Didone e la patria: era un aspetto del poema virgiliano sviluppato nella tradizione medievale, in Inghilterra dal Troy Book di John Lydgate a Dido, Queen of Carthage di Marlowe. Il greco Sinone, menzionato poco dopo, è l’incarnazione stessa della simulazione e della falsità, poiché con le sue lacrime in-
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NOTE
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dusse i troiani a introdurre in città il famoso cavallo, causa della sua distruzione (cfr. Eneide, II, 57-198).
130 Sono state proposte interpretazioni anche molto fantasiose di queste parole di Pisanio: con ogni probabilità egli vuole blandire la principessa celebrandone la bellezza (tale da attirare persino Giove e quindi suscitando la gelosia Giunone) e allo stesso tempo ricordare anche al pubblico tutte le cose cui ella dovrà rinunciare.
124 Allusione alle pagine neotestamentarie in cui il lievito rappresenta l’elemento che corrompe l’impasto (cfr. Mt 16, 5-12 e 1Cor 5, 6-8). 125
Si è cercato di mantenere il doppio significato dell’originale, che gioca ovviamente con il significato religioso del termine: la scrittura di Postumo, che prima era sacra per Innogene, ora distrugge la sua fede in lui. 126
Il verbo to tire era usato nella falconeria per indicare il modo vorace con cui gli uccelli predatori si avventano sulle prede e le divorano. Il suo significato è dunque particolarmente appropriato in riferimento a Postumo, visto che molte volte nel dramma egli è stato associato all’aquila, sebbene qui sia ovviamente usato per rendere ancor più espressiva l’allusione oscena nella frase precedente (cfr. al proposito Amleto III, 2, 327 e Venere e Adone 55-56). 127
Il termine tent è utilizzato da Shakespeare anche come verbo, nel senso di “sondare, valutare” (cfr. Amleto II, 2, 599), mentre come sostantivo indicava un rotolo di stoffa impiegato per controllare l’entità di una ferita e ripulirla. Entrambi gli usi sono possibili qui, con un significato sostanzialmente identico: nulla può attenuare il dolore di Innogene.
128 Il verso è stato a lungo discusso ed emendato per ragioni metriche e per la presenza apparentemente immotivata di noble: esso sembra avere un senso ironico, ma alcuni lo ritengono specchio dell’incoerenza che ha il sopravvento su Innogene quando ella deve parlare di Cloten. 129
Il dio Helios, spesso identificato col titano Iperione, è qui defi nito lascivo perché “bacia” tutti indiscriminatamente. Ai tempi di Shakespeare, per le gentildonne era considerato sconveniente esporsi troppo al sole.
pp. 1621-1643
Atto III, sc. 5 131
La scena: Britannia. Una sala del palazzo di Cimbelino.
132
Il fiume segnava il confi ne fra Inghilterra e Galles.
133
Espressioni simili ricorrono altrove in Shakespeare (cfr., per esempio, Come vi piace, III, 2, 139-49, Il racconto d’inverno V, 1, 14-15, La tempesta III, 1, 46-48), probabilmente ispirate al carme LXXXVI di Catullo e all’aneddoto riportato da Plinio il Vecchio, secondo il quale Zeusi era riuscito a dipingere una donna meravigliosa riproducendo le parti più belle di cinque fanciulle (cfr. Naturalis Historia XXXV, 64).
134
Le glosse attribuiscono solitamente al verbo packing il significato di “tramare, ingannare” e tale interpretazione appare sensata nelle edizioni che omettono la virgola (o il punto esclamativo) dopo What. La punteggiatura adottata qui, che segue quella di F, lascia in dubbio questa spiegazione e potrebbe invece alludere al fatto che Cloten veda Pisanio (di ritorno da Milford Haven) in tenuta da viaggio o con dei bagagli e, insospettito, lo aggredisca (il termine sirrah era utilizzato per rivolgersi in modo rude a una persona di rango inferiore) temendo che voglia fuggire. Nella traduzione si è mantenuta l’ambiguità lasciando aperte entrambe le letture.
135 I mutes erano i servitori negli harem che subivano il taglio della lingua (e spesso dei testicoli) perché non ne rivelassero i segreti. 136 Pisanio allude a due frasi proverbiali, entrambe segnalate da Tilley, Proverbs in
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pp. 1643-1653
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NOTE
England, rispettivamente F 518 e L 1: nel primo caso a Fool’s haste is no speed (“La fretta degli stolti non va mai veloce”; qualche studioso ha ipotizzato che al medesimo detto si riferisca anche la frase interrotta di Cloten al precedente v. 79, sebbene non sia chiaro il proposito e il riferimento di una tale citazione); nel secondo caso a He has his labour for his pains (“La fatica è la ricompensa per i suoi sforzi”).
proposta onesta come quelle che faccio in tutti i miei acquisti”) che ha un senso leggermente diverso rispetto a quello dell’edizione Oxford.
Atto III, sc. 6 137
La scena: Galles. Davanti alla caverna di Belario.
138
Innogene allude alla città di Milford, le cui “fondamenta” sembrano allontanarsi (fly) come un miraggio, ma allo stesso tempo agli asili di carità (foundations) che dovrebbero alleviare le sofferenze dei poveri e che invece non sono mai vicini quando se ne ha bisogno. Nella traduzione si è scelto un termine che mantenesse il doppio senso originale. 139
La frase di Innogene, così ellittica, appare un po’ strana e riflette, secondo alcuni, il suo stato confusionale e la sua debolezza. Il significato sembra essere quello di una richiesta (sbrigativa, come si potrebbe fare con una persona rozza) di prendere (la vita o il denaro) o dare (il cibo o la morte).
140
Il verbo si riferisce agli animali che brucano la scarsa vegetazione che hanno a disposizione (come in Il racconto d’inverno III, 3, 66-67 e Antonio e Cleopatra I, 4, 66) ed è indice di quanto il linguaggio dei principi sia influenzato dall’ambiente circostante. 141 Il nome ha un evidente significato simbolico. Nella traduzione si è preferito lasciarlo alla latina perché sia esplicito ma non troppo (esattamente come “Innogene”, che deve evocare senza renderla troppo chiara l’innocenza del personaggio). 142 I versi sono assai oscuri e sono stati emendati e interpretati in vario modo: F ha I bid for you, as I do buy (“vi faccio una
Atto III, sc. 7 143
La scena: Roma. Una piazza pubblica.
144
Alcuni considerano questa scena interpolata, poco rilevante, inserita nel punto sbagliato del dramma e, seguendo la proposta di Alexander Pope, la espungono del tutto. Come già ricordato in precedenza, il riferimento alle ribellioni in Dalmazia e Pannonia sembra un deliberato anacronismo di Shakespeare per riportare alla mente la cornice storica e il tema bellico dell’opera. Atto IV, sc. 1 145
La scena: Galles. Nei pressi della caverna di Belario.
146
L’evidente allusività di questa parte iniziale del monologo di Cloten è rafforzata dalla polisemia di fit (“adatto, che si attaglia” di un vestito ma anche “adatto” sessualmente), fitness (qui “desiderio e disponibilità sessuale”) e by fits (“a strappi, in modo irregolare” ma anche “con attacchi improvvisi, a seconda dell’umore”).
147
Il termine imperceiverant, un hapax che molti considerano un conio shakespeariano, è stato assai discusso dai fi lologi. Solitamente viene interpretato nel senso di “ottusa, senza capacità di giudizio”, ma il significato resta dubbio. La forma di F (imperseuerant) sottolinea l’aspetto della perseveranza di Innogene e alcuni editor ricordano che spesso Shakespeare utilizza il prefisso im- con valore non negativo bensì intensivo; il termine quindi dovrebbe significare “eccessivamente perseverante, tetragona, ostinata”. L’edizione Oxford opta invece per la forma imperceiverant mettendo l’enfasi sullo scarso discernimento della principessa che non “percepisce”. È anche possibile che il termine sia un esempio di
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NOTE
CIMBELINO
“clotenismo”, cioè una sorta di inconsapevole storpiatura da parte di un uomo che nella sua arrogante stupidità non sembra neppure in grado di esprimersi correttamente. Nella traduzione si è scelto di mantenerne la rilevanza stilistica ricorrendo a una forma deviante.
154
Atto IV, sc. 2 148 La scena: Galles. Davanti alla caverna di Belario. 149
Nella contrapposizione tra imperious seas e poor tributary è possibile vedere, come qualcuno ha suggerito, un’allusione alla contingenza storica del dramma (l’impero e il pagamento del tributo).
150 Innogene utilizza bound nel senso di “obbligata”, una consueta formula per esprimere gratitudine; Belario lo interpreta invece come se esprimesse un legame affettivo. 151
Poco plausibilmente, F attribuisce qui due discorsi consecutivi ad Arvirago. L’edizione Oxford assegna i vv. 51-53 a Belario, ma altri editor suggeriscono che sia una semplice svista e sia Guiderio a continuare a parlare.
152
I montanari erano associati a ladri e malviventi visto che abitavano luoghi remoti e inospitali, come poco dopo ricorderà anche Belario (cfr. vv. 138-40).
153
Cloten, così ossessionato dagli abiti, sta indossando in realtà i panni di Postumo, quindi ironicamente la sua domanda è doppiamente mal posta. Guiderio lo insulta alludendo al proverbio The tailor makes the man (“È il sarto che fa l’uomo”; cfr. Tilley, Proverbs in England, T 17): l’idea è che se sono i vestiti a fare un uomo, allora il sarto, che fa i vestiti, è di fatto il nonno di quell’uomo e quindi Cloten è una vera nullità con ancora meno valore di costui. Una simile concatenazione in chiave denigratoria era già stata utilizzata da Amleto (cfr. IV, 3, 27-29).
pp. 1653-1671
Allusione anacronistica alla pratica di appendere lungo il London Bridge le teste dei criminali giustiziati.
155
La frase è stata variamente interpretata a causa del suo senso apparentemente contraddittorio: talvolta (come avviene nel New Oxford Shakespeare) il termine cause è emendato in cease (“la fi ne, il termine”); in alternativa, la frase di Belario sembra voler dire che la mancanza di giudizio porta a sottovalutare i pericoli. Un ulteriore elmento di ambiguità è rappresentato dal soggetto: lo he del v. 111 potrebbe, infatti, riferirsi sia a Guiderio, sia a Cloten.
156 Come spesso avviene nelle opere tarde di Shakespeare (cfr. per esempio Pericle 12, Il racconto d’inverno V, 3 e La tempesta, passim), la musica introduce un’atmosfera arcana, solenne e quasi soprannaturale alla scena e ben si adatta a introdurre questo momento in cui vita e morte sono così legate. Belario parla di uno “strumento ingegnoso” che Arvirago “ha azionato”, ma non è chiaro a che cosa egli si riferisca esattamente: esistevano strumenti che potevano essere azionati meccanicamente, ma è altrettanto plausibile che si ricorresse a strumenti tradizionali, magari impiegati in modo non convenzionale. 157 Questo passo è stato molto discusso dai critici, non solo per i vari emendamenti proposti (in particolare crare per care “cura” al v. 206) ma anche per l’apparente non sequitur tra la prima e la seconda parte. 158 Ferma restando l’evidente contrapposizione tra sorridere e deridere, alcuni danno una lettura diversa delle parole di Arvirago, intendendo che nella morte Innogene ha un’espressione serena come se deridesse la morte. 159 Come già ricordato nella nota a II, 2, 9, nel folklore il termine fairies indicava presenze sinistre se non maligne; qui, però, esso non sembra avere una connotazione negativa (forse perché si tratta di female fairies e quindi meno pericolo-
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pp. 1673-1679
CIMBELINO
NOTE
se) e pertanto si è preferito tradurlo con “fate”.
165 L’Oxford English Dictionary segnala come unico questo uso del verbo consign nel significato di “sottostare alle stesse condizioni di”.
160
Secondo una credenza popolare assai diffusa in Inghilterra, il pettirosso (qui indicato con il termine dialettale ruddock) ricopriva di foglie e rametti i cadaveri insepolti. 161 La locuzione winter-gown è stata molto discussa dagli studiosi. Essa è probabilmente un conio shakespeariano per indicare la pratica di proteggere una pianta dai rigori dell’inverno coprendola con paglia (qui il muschio). 162
F riporta la didascalia SONG prima del v. 259, ma le parole di Arvirago affermano che il successivo canto funebre viene solo recitato. Alcuni studiosi ritengono che ciò sia frutto di una revisione autoriale dettata da una contingenza (per esempio la scarsa propensione al canto dell’attore), oppure che si tratti di un’interpolazione procurata dalla trascuratezza del tipografo, o ancora che derivi dall’abitudine di etichettare come canto qualsiasi testo poetico in rima. Altri ipotizzano che Arvirago voglia attirare l’attenzione sul fatto che lui e il fratello sono ormai adulti e quindi la loro voce ha un timbro virile (la mannish crack del v. 237) che impedisce loro di cantare come in passato. Tuttavia, l’ipotesi più semplice e ovvia è che l’incapacità di cantare sia solo provocata dal grande dolore che attanaglia i due giovani. 163
I due celebri personaggi dell’Iliade, il soldato ingiurioso e deforme e quello più valoroso dopo Achille, sono messi in contrapposizione per indicare opposte qualità. In Troilo e Cressida, al contrario, vengono entrambi presentati in chiave satirica.
164 Questo riferimento all’usanza pagana di seppellire i morti orientando il loro corpo verso est ricorda l’ambientazione pre-cristiana del dramma, sebbene tutta questa sezione sia evidentemente permeata da concetti e idee di chiara ispirazione biblica, particolarmente evidenti nella “canzone” funebre che segue.
166 Il termine è qui utilizzato non per indicare chi scaccia gli spiriti maligni ma chi può risvegliare gli spiriti e comunicare con loro. 167 Si tratta degli spettri che non possono essere allontanati dagli esorcismi; l’Oxford English Dictionary ricorda che è il primo esempio di unlaid utilizzato con questo significato. 168
Il termine consummation è una chiara eco biblica del consummatum est giovanneo (cfr. Amleto III, 1, 65), che ritorna anche nel servizio per i defunti del Book of Common Prayer, donde il termine scelto per la traduzione.
169
La frase upon their Faces (“sui loro volti”) di F ha dato origine a un’infi nità di interpretazioni (anche perché il cadavere di Cloten non ha più la testa), risolte dall’emendamento proposto nell’edizione Oxford (th’earth’s face).
170 Il verso 289 è preceduto e seguito da due versi in rima e pertanto l’edizione Oxford congettura la presenza di un verso mancante che lo completerebbe (qui segnalato dalla parentesi quadra). 171
L’esclamazione è tratta dall’esordio di The Rare Triumphs of Love and Fortune forse per evocare una sorta di atmosfera antiquata. Come la precedente esclamazione ‘Od’s pitykins (una delle tante forme di imprecazione attenuata che alteravano il nome di Dio per non suonare apertamente blasfeme), essa segnala comunque un evidente scarto rispetto al consueto linguaggio usato da Innogene, probabilmente per rendere il suo stato ancora semicosciente.
172
Secondo la teoria degli umori, i sogni erano appunto provocati dai vapori che dallo stomaco salivano al cervello (cfr. per un’allusione analoga La tempesta V, 1, 6768).
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NOTE
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173 Popolarmente ritenuto l’uccello più piccolo (cfr. Macbeth IV, 2, 9-10).
non si traduca in vantaggio per loro (to the doer’s thrift), inducendoli al pentimento e alla salvezza. L’idea riprende un concetto tipicamente neotestamentario (cfr. Eb 12, 6 e Ap 3, 19) ribadito anche da Giove in V, 5, 195.
174
Il termine irregulous è un conio shakespeariano che, alcuni ipotizzano, è impiegato in riferimento a Cloten con un possibile gioco di parole con irreligious (“irreligioso, pagano”).
175
I nuovi personaggi entrano in scena continuando una conversazione già iniziata in precedenza, ma qualche editor suggerisce che il To them iniziale sia in realtà la fi ne della didascalia precedente (come in Coriolano I, 4), il che significherebbe che i Romani si uniscono “a loro” (Cloten e Innogene) sul palco. 176 È probabile che la scelta di questo nome sia un’allusione personale da parte di Shakespeare: Richard Field, infatti, era il nome di un suo amico di Stratford che, divenuto tipografo a Londra, aveva stampato Venere e Adone e Lucrezia violata.
pp. 1679-1699
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Seguendo F, molte edizioni moderne riportano qui mistress; peace (“pace” rivolto alla Britannia), enfatizzando così la volontà di riconciliazione di Postumo. L’espressione mistress-piece, meno comune ma comunque utilizzata anche in seguito (Edward Herbert di Cherbury, per esempio, lo utilizza per descrivere Elizabeth Blount nella sua Life and Reign of Henry VIII, 1649), non snatura il precedente significato ma, prestandosi al gioco di parole con masterpiece, sottolinea ulteriormente l’unicità di Innogene. Atto V, sc. 2 182
Atto IV, sc. 3
La scena: Britannia. Il campo di battaglia tra i due accampamenti.
177
183
La scena: Britannia. Una stanza del palazzo di Cimbelino. Atto IV, sc. 4
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La scena: Galles. Davanti alla caverna di Belario.
Il fatto che Giacomo parli di sé come un soldato di mestiere è sorprendente, ma ben testimonia la sovrapposizione imperfetta in tutto il dramma tra la Roma classica e quella rinascimentale. Atto V, sc. 3
Atto V, sc. 1 179
La scena. Britannia. L’accampamento romano.
180
Il passo è molto controverso ma l’emendamento proposto dall’edizione Oxford (ill al posto di it al v. 15) rende il senso più chiaro: recriminando contro quella che ritiene un’ingiustizia divina, Postumo denuncia la differenza tra coloro (come Innogene) cui gli dei tolgono la vita anche se hanno commesso piccole colpe per preservarli da futuri peccati, e quelli (come Postumo stesso) cui invece è concesso di vivere a lungo e compiere azioni sempre peggiori fi nché l’orrore per i propri peccati
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La scena: Britannia. Un’altra parte del campo di battaglia. Atto V, sc. 4 185
La scena: Britannia. Un’altra parte del campo di battaglia. Atto V, sc. 5
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La scena: Britannia. Un’altra parte del campo di battaglia. 187
F presenta la battaglia in modo molto più stilizzato, senza cambi di scena e senza indicazioni di suoni, come una lunga ed elaborata pantomima (si tratta sostanzial-
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pp. 1701-1713
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NOTE
mente del riassunto di un passo della Historie of Scotland di Holinshed che racconta la sconfitta dei danesi nella battaglia di Luncarty). Il fatto che gli eventi principali siano stati già, pur brevemente, presentati sul palcoscenico ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare che Shakespeare intendesse eliminare la parte precedente oppure questo lungo resoconto di Postumo. In realtà, il concitato racconto, involuto e a tratti oscuro, aggiunge alcuni importanti elementi esplicativi, come il fatto che Cimbelino sia stato effettivamente catturato durante gli scontri.
Le spiegazioni per questa evidente incongruenza sono state le più varie.
188
Il significato di questa frase è stato molto dibattuto a causa dell’ambiguità del termine breeding (variamente inteso “di essere mantenuto”, “di aver vissuto”, “di essere celebrato”).
189 F ha qui stopt (“fermarono”) che stravolgerebbe il senso della frase. L’emendamento proposto nell’edizione Oxford è comunque generalmente accettato, anche sulla scorta del successivo v. 210. 190
Il passo è stato dibattuto perché non è chiaro se il soggetto di being sia la morte o Postumo stesso. In ogni caso il senso generale sembra abbastanza chiaro: Postumo passerà di nuovo dalla parte dei romani, con i quali è arrivato, sperando di restare ucciso.
191
Letteralmente Postumo si riferisce all’azione di afferrare per le spalle qualcuno, che all’epoca era il gesto che indicava l’arresto formale. In La commedia degli errori (IV, 2, 37), per esempio, l’ufficiale è chiamato shoulder-clapper.
192
Questa sezione del dramma è quella che da sempre ha posto problemi editoriali: in F la scena V, 3 termina con questa didascalia (priva dell’ultima frase) e la scena successiva si apre con l’indicazione “Entrano Postumo e un carceriere” quando essi sono ancora sulla scena. Inoltre non viene segnalata la presenza di un secondo carceriere, cui però è affidata una battuta.
193 Il sarcasmo del carceriere lascia intendere che Postumo sia incatenato a una delle colonne di sostegno del tetto del palcoscenico (quindi nella parte anteriore e non, come sostiene qualcuno, in una cella nella parte posteriore). 194
I cold bonds indicano propriamente dei “contratti vincolati” (quindi Postumo intende “cancellate ogni traccia di questa nostra ‘transazione’ una volta fi nita”) ma anche i ceppi che lo imprigionano (quindi “liberatemi da queste catene”) e per estensione la prigione della vita mortale (quindi “cancellate questa mia vita”, come in Riccardo III, IV, 4, 77). Al v. 121 F ha una (forse voluta) ripetizione di take (nel qual caso il significato sarebbe “se accettate questo conteggio, prendete questa mia vita”). 195
Poiché Postumo non è di origine nobile, questa “sede della famiglia dei Leonati” probabilmente è da intendersi in senso figurato in relazione al suo esilio e al mancato riconoscimento degli onori che gli spettavano.
196 La zona superiore del palcoscenico elisabettiano e giacomiano era denominata the heavens (“i cieli”; per contrasto la zona sottostante la scena era the hell, “l’inferno”) e ospitava carrucole e dispositivi per far salire e scendere le varie “apparizioni”. Qui probabilmente Giove era fatto sedere su una sedia rivestita con pannelli di legno che rappresentavano un’aquila, così che sembrasse cavalcarla. Gli altri effetti speciali, come i tuoni e i fulmini, erano versomilimente ottenuti con fuochi d’artificio e grancasse. 197
Si è scelto un termine molto generico, visto che il medesimo ‘oggetto’ qui è chiamato tablet (la classica “tavoletta” scritta che compare nelle scene di agnizione del romance antico e medievale) ma diventa book nelle parole di Postumo (v. 227; del resto all’epoca di Shakespeare book pote-
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NOTE
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va indicare anche un singolo foglio, come sembrerebbe qui) e infi ne label (“foglio”) nell’ultima scena (V, 6, 431).
ai tre organi che nel periodo elisabettiano erano ritenuti le sedi rispettivamente della passione, dei sentimenti e della ragione.
198
205
Sicilio allude all’entrata in scena di Giove (lo zolfo era erroneamente associato ai tuoni e ai fulmini), ma in questo caso l’odore acre è anche quello letterale della polvere da sparo esplosa al momento dell’apparizione. La sua uscita, invece, è stata “più dolce” (cioè “meno violenta” ma anche “meno puzzolente”).
199 Lo scambio di battute allude all’impiccagione ricorrendo a una metafora culinaria (letteralmente ready, over-roasted, well cooked significano rispettivamente “pronto”, “stracotto” e “ben cotto”). Anche hanging, del resto, gioca con il significato di un verbo che indica l’impiccagione ma anche la pratica di appendere la carne per farla frollare. 200
L’espressione in a trice vuol dire “rapidamente, in un batter d’occhio” ma in questo caso anche “con un unico strattone” con riferimento all’impiccagione.
201 I termini si riferiscono all’intestazione delle colonne di un foglio contabile. La seconda parte della frase ricorre molto simile in La tempesta (cfr. II, 1, 258-59) ma con un differente significato. 202
La “promozione” di cui parla il carceriere è stata interpretata in modo molto vario: secondo alcuni potrebbe indicare un generico miglioramento della vita dell’uomo sulla terra, altri vi leggono un pio desiderio che potrebbe tradursi in un vantaggio anche per lui, altri ancora la intendono in senso più materiale come la speranza, in un mondo più virtuoso, di trovare un impiego migliore. Atto V, sc. 6
203
La scena: Britannia. La tenda di Cimbelino.
204
Questa espressione (quasi identica a quella in La dodicesima notte I, 1, 36) allude
pp. 1715-1737
I tre britanni vengono qui presentati come dei cavalieri medievali: ricevere il titolo direttamente sul campo di battaglia era considerato un onore particolarmente grande (cfr. Re Giovanni I, 1, 53-54).
206 Il termine delicate è qui utilizzato in due sensi, per alludere sia alla bellezza sia alla scaltrezza della regina. 207
Il verbo fitted è variamente interpretato dagli studiosi, che lo intendono nel senso di convincere (“dopo avervi plasmato” rendendovi adatto per il suo scopo), eliminare (“dopo avervi sistemato”, “dopo essersi liberata di voi”) o ancora torturare (“dopo avervi torturato” con la sua insistenza, quasi provocando in voi fitte o spasmi, sulla scorta del sonetto 119, vv. 7-8). A seconda dell’accezione che si dà a tale verbo, il successivo adoption può essere letto come un’effettiva adozione da parte di Cimbelino per trasmettere la corona a Cloten, o come un impossessarsi della corona da parte di Cloten.
208 La frase è piuttosto ellittica; qualcuno ha ipotizzato l’esistenza di una battuta che per qualche ragione non sarebbe stata trascritta, oppure si tratta semplicemente di scelta deliberata per evocare la perplessità di Arvirago. 209
L’immagine (che Shakespeare utilizza anche in Antonio e Cleopatra IV, 9, 28-9) allude alla descrizione del carro di Apollo fatta da Ovidio (cfr. Metamorfosi II, 107-10).
210
Secondo il luogo comune geograficonazionalistico di origine tolemaica, gli uomini delle nazioni settentrionali erano meno intelligenti e scaltri rispetto a quelli delle regioni meridionali. Alcuni suggeriscono di emendare Britain in Briton identificando quest’ultimo con Postumo.
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Poiché Innogene è paragonata a un tempio, il fatto che Pisanio l’abbia uccisa (nella convinzione di Postumo) lo rende
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pp. 1737-1787
LA TEMPESTA
NOTE
“sacrilego”, mentre è meno chiaro perché sia un “ladro”: per qualcuno significa semplicemente che ha “rubato” la vita di Innogene, altri ipotizzano un’allusione all’episodio delle Etiopiche di Eliodoro (I, xx) in cui il ladrone egiziano Tiamis cerca di uccidere la protagonista, Cariclea, che è sua prigion