Tutte le opere. Testo greco a fronte 8830104655, 9788830104655

Filosofo neoplatonico, ambasciatore, capo militare e vescovo cristiano, multiforme come il mitico Proteo, Sinesio di Cir

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Italian Pages 1008 [985] Year 2024

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Sommario
Introduzione di Francesco Monticini
Ringraziamenti
Nota editoriale
Mappe
Lettere
All'imperatore, sul regno
Racconti egizi, sulla provvidenza
A Peonio, sul dono
Elogio della calvizie
Dione, su come vivere secondo il suo modello
Trattato sui sogni
Catastasi
Omelie
Inni
Note ai testi
Apparati
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei concetti
Indice generale
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Tutte le opere. Testo greco a fronte
 8830104655, 9788830104655

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BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE Collana fondata da

GIOVANNI REALE diretta da

MARIA BETTETINI

SINESIO DI CIRENE TUTTE LE OPERE

Testo greco a fronte

A cura di Francesco Monticini

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

In copertina: Johann Bernhard Fischer von Erlach, Incisione raffigurante il faro di Alessandria, 1721 Progetto grafico generale: Polystudio Copertina: Zungdesign

ISBN 978-88-301-0465-5 Realizzazione editoriale: Alberto Bellanti – Milano Le mappe alle pp. LXXI-LXXII sono state realizzate da Marco Zung, Zungdesign. www.giunti.it www.bompiani.it © 2024 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani  Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia  Via G.B. Pirelli 30 - 20124 Milano - Italia  ISBN: 9788858790168 Prima edizione digitale: gennaio 2024

Sommario

Introduzione 

vii

di Francesco Monticini

Ringraziamenti Nota editoriale Mappe

Lettere

lxix lxx lxxi

1

All’imperatore, sul regno

329

Racconti egizi, sulla provvidenza

403

A Peonio, sul dono

495

Elogio della calvizie

511

Dione, su come vivere secondo il suo modello

567

Trattato sui sogni

627

Catastasi

691

Omelie

709

Inni

719

Note ai testi

821

Apparati

865

INTRODUZIONE di Francesco Monticini

Io ho ammirazione per Proteo di Faro, il quale, pur sapiente nelle grandi questioni, esibiva fatti mirabili alla maniera dei sofisti e appariva nelle vesti più disparate a coloro che capitavano ad ascoltarlo.

Così Sinesio si esprime nel Dione,1 riferendosi al mitico Proteo, divinità marina figlia di Oceano e Teti: straordinario veggente, sarebbe vissuto, secondo Omero,2 sulla piccola isola egiziana di Faro, non lontano dalle foci del Nilo, proprio dinanzi al sito dove sarebbe sorta Alessandria. La sua caratteristica principale era quella di sapere assumere qualunque forma, così da dissimulare la propria presenza a tutti coloro che si mettevano alla sua ricerca per apprendere il futuro. È stato scritto3 che Sinesio finì per somigliare a Proteo di Faro, presentandosi al suo lettore sotto forme sempre nuove e diverse. Non si può discordare su questo: esiste un Sinesio iniziato ai misteri neoplatonici, un Sinesio dedito – spesso suo malgrado – agli eventi politici e militari della propria epoca; un Sinesio uomo religioso, nella fattispecie vescovo cristiano, un Sinesio retore, appassionato di stile e delle forme della comunicazione letteraria. Possiamo fermarci qua, ma l’elenco sarebbe certo molto più lungo. Compiendo un passo ulteriore, è lecito chiedersi se, sotto questo aspetto e più in generale, Sinesio sia ancora in grado di parlare al nostro mondo; e, in caso di risposta affermativa, quale insegnamento vi sia, per l’attualità, nella sua opera. 1

 Nel capitolo 5.  Cfr. Odissea, 4, vv. 351-570. 3  Toulouse 2016, p. 642. Per un inquadramento generale dell’autore si tengano presenti, oltre a questa voce enciclopedica, le voci Bregman 2010 e Viltanioti 2020, nonché le due raccolte di saggi Seng – Hoffmann 2012 e Criscuolo – Lozza 2016, i cui contributi analizzano vari aspetti della vita, delle dottrine e delle opere di Sinesio. 2

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Senza alcun dubbio, egli fu figlio del proprio tempo, della cosiddetta tarda antichità. Solo per citare un fatto epocale – del quale ovviamente Sinesio non poté avere una piena coscienza storica –, fu testimone della fine di un unico impero romano, irreversibilmente scisso nel 395 d.C. nelle sue due metà orientale e occidentale. Visse tutte le problematiche di un turbolento periodo di faglia storica; conobbe le incertezze di una società in rapida evoluzione, profondamente incrinata – dal punto di vista sociale, religioso, militare, etnico – dalle spinte della Völkerwanderung da un lato e dall’esplosione di contraddizioni interne dall’altro. Il lascito di Sinesio è, allora, una voce che si leva da un’età propriamente critica, per parlarci di complessità. Di una complessità superflua, vacua, fine a se stessa, contro cui lo stesso autore non mancò di scagliarsi, ma pure di una complessità ricca, feconda, restia a ogni avventata semplificazione. Siamo convinti che la lettura della sua opera sia ancora molto preziosa: non soltanto per quegli aspetti in cui Sinesio e la sua epoca riuscirono, ma pure per quelli in cui, piuttosto, fallirono.

1. I tempi e i luoghi Sinesio visse fra la seconda metà del IV secolo d.C. e i primi anni del V. La sua data di nascita non ci è nota e siamo costretti a ricostruirla per congettura;4 dovette comunque cadere, grosso modo, intorno all’anno 370.5 Morì fra la fine del 412 e l’inizio del 413. 4

 Gran parte delle congetture si fonda sull’interpretazione di alcuni passi specifici (inno 8, vv. 12-14, e lettere 116 e 123; vd. Lacombrade 1978, p. 94; Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 249, 255-256), sulla base di come si vuole intendere il riferimento di Sinesio a se stesso, se come a un giovane o come a un uomo maturo. Si capisce, dunque, che si tratta di letture, in linea di massima, piuttosto soggettive (cfr. Bregman 1982, p. 17, n. 1). 5  Come proposto da Christian Lacombrade (Lacombrade 1951a, p. 13), sebbene Jay Bregman (Bregman 1982, p. 17) affermi di preferire il 365; in ogni caso, tutti gli studiosi concordano nel far cadere la nascita di Sinesio non molti anni dopo la morte dell’imperatore Giuliano (363).

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Sinesio era originario di Cirene, posta nei pressi della costa nord-orientale della Libia odierna. A eccezione di alcuni soggiorni ad Alessandria, di un viaggio ad Atene e di un periodo di permanenza, durato alcuni anni, nella capitale dell’impero – oramai d’Oriente –, Costantinopoli, l’autore trascorse tutta la vita nella propria regione natale. Vale dunque la pena di spendere qualche parola sull’assetto politico, amministrativo, militare e religioso del territorio, così da rendere anche più comprensibili alcuni riferimenti geografici e storici che si ritrovano nelle sue opere.

1.1. Geografia e amministrazione civile Cirene era un’antica colonia greca prossima alla costa africana del Mediterraneo, risalente al VII secolo a.C. Sinesio faceva risalire le proprie origini addirittura ai fondatori della città,6 la cui stirpe era spartana (parlavano infatti un dialetto dorico), sebbene provenissero da Thera, l’odierna isola di Santorini. Cirene non si affacciava direttamente sul mare, ma si trovava alcuni chilometri nell’interno; il suo porto era stato per secoli la città di Apollonia, che tuttavia al tempo di Sinesio aveva assunto il nome di Sozusa7 (“Salvatrice”) ed era stata rimpiazzata in quel ruolo da Ficunte,8 posta un poco più a occidente. Fino alla riforma amministrativa dell’imperatore Diocleziano (284-305), la Cirenaica era un’unica provincia di rango senatorio che si estendeva, all’incirca, dalla costa orientale del golfo della Sirte fin quasi ad Alessandria, includendo l’isola di Creta (la sua denominazione ufficiale era infatti Creta et Cyrenaica); il capoluogo era il centro cretese di Gortina, sebbene talvolta il governatore della provincia risiedesse anche a Cirene.9 Con l’età tetrarchica, non solo la Cirenaica fu divisa da Creta – 6  Questo elemento ricorre varie volte nella produzione letteraria di Sinesio: cfr. ad esempio lettera 41 e Catastasi maggiore, 5 (dove l’autore fa risalire la propria stirpe addirittura a Eracle, da cui i re di Sparta affermavano di discendere). Cirene fu fondata da Batto, capostipite della dinastia dei Battiadi, nel VII secolo a.C. 7  Attuale Susah. 8  Cfr. lettera 101. Si tratta dell’attuale Al Hamamah. 9  Cfr. Roques 1987, pp. 84, 163.

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furono addirittura annesse a due diverse diocesi: l’isola a quella delle Mesie e la parte continentale a quella dell’Oriente10 –, ma fu ripartita al suo interno in due province: a ovest la Libia Superiore (o Pentapoli) e a est la Libia Inferiore (o Libia Secca).11 Le due province libiche passarono poi nella seconda metà del IV secolo a far parte della neo-fondata diocesi d’Egitto (sottoposta alla prefettura del pretorio dell’Oriente), retta da un prefetto augustale di stanza ad Alessandria.12 Quando Sinesio si definisce “libico”13 fa riferimento alla propria appartenenza amministrativa alla Libia Superiore (all’epoca con il termine “Libia” si poteva intendere anche, indistintamente, l’intera costa settentrionale dell’Africa, dalle foci del Nilo fino all’oceano Atlantico14). Non si deve quindi credere che si tratti di un aggettivo con una qualche valenza di tipo etnico: a prescindere dalle effettive origini – come abbiamo visto, Sinesio riteneva di discendere dai primi coloni greci di Cirene –, la popolazione libera della provincia si distingueva dagli altri popoli che abitavano la regione settentrionale dell’Africa (additati come “barbari”) essenzialmente per il fatto di essere grecofona. La Pentapoli era ovviamente composta da cinque città: Cirene, Tolemaide,15 Sozusa, Teuchira16 (l’antica Arsinoe) e Berenice.17 A partire dalla riforma di Diocleziano, il capoluogo della provincia – nonché, quindi, città metropolitana – era divenuta Tolemaide, posta sulla costa un poco più a occidente dello scalo navale di Ficunte. Qui risiedeva un governatore civile, rappresentante dell’imperatore sul territorio, che aveva il compito di amministrare la provincia, in particolare di riscuotere le imposte e di 10  Il cui capoluogo era la città siriaca di Antiochia. Si trovava sottoposta al controllo dell’augusto d’Oriente. 11  Il confine si trovava tra la località di Eritro (attuale Athrun) e la città di Derna. Il capoluogo della Libia Inferiore era Paraitonion (attuale Marsa Matruh, in Egitto). 12  Cfr. lettera 29. 13  Ad esempio nella lettera 124. 14  Roques 1987, pp. 56-57. 15  Presso l’attuale Tulmaythah. 16  Attuale Tocra. 17  Attuale Bengasi.

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sovrintendere alla giustizia. Per legge, non poteva essere originario della provincia stessa.18 Non siamo in grado di dire quanto tempo durasse esattamente il suo mandato all’altezza cronologica in cui visse Sinesio.19 Il suo potere doveva comunque essere bilanciato da degli organi locali, ovvero dalle curie municipali. Queste erano composte dai cosiddetti curiali, ovvero dai maggiorenti (perlopiù proprietari fondiari), che erano tenuti, fra le altre cose, a farsi carico di alcune spese per la comunità.20 Sinesio cita anche i chiarissimi (lamprotatoi in greco),21 che però appartenevano piuttosto all’ordine senatorio e svolgevano quindi i loro compiti politici nella capitale dell’impero.22 Una volta all’anno si riuniva nel capoluogo – quindi, nel caso della Pentapoli, a Tolemaide – il concilio provinciale, composto dai membri più in vista delle curie municipali.23 Il suo obbiettivo era quello di discutere delle questioni comuni: come vedremo, Sinesio sarà inviato in ambasceria a Costantinopoli al cospetto dell’imperatore Arcadio, per ragioni di natura fiscale, proprio su mandato del concilio provinciale. Dalle opere di Sinesio, in particolare dall’epistolario, emergono i nomi di alcuni governatori civili della provincia coevi all’autore.24 Per gli ultimissimi anni del IV secolo viene citato Erode,25 del quale, però, non si conosce il successore. In alcune lettere compare poi il nome di Trifone, per il periodo precedente al 406.26 Più tardi, fu forse governatore civile Costante27 e molto probabilmente Eliodoro.28 Seguì forse un personaggio anonimo, 18

 Come si ricava dall’epistolario di Sinesio, vd. infra.  Roques 1987, p. 174. 20  Si tratta delle cosiddette leitourgiai: si veda a questo proposito la lettera 100. Si veda anche Roques 1987, pp. 132-133. 21  Cfr. lettera 35. 22  Roques 1987, p. 138. 23  Ivi, p. 163. 24  Cfr. ivi, p. 173. 25  Cfr. lettera 35. 26  Cfr. lettera 134. 27  Il destinatario della lettera 27. 28  Il destinatario delle lettere 17, 25, 116. 19

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da identificare con il destinatario della lettera 21.29 Sarà quindi la volta di Gennadio30 – proveniente dalla Siria – e poi, tra il 411 e il 412, di Andronico, con cui Sinesio, ormai eletto al soglio episcopale di Tolemaide, avrà un aspro scontro, che porterà fino alla scomunica del governatore.31 Sebbene il nostro autore dipinga Andronico come il tipico politico corrotto, quasi strumento di una demonica follia, dal punto di vista storico è d’obbligo la massima prudenza, non disponendo noi di fonti alternative per valutare il suo effettivo operato. Sinesio gli rinfacciò, tra le altre cose, di essersi comprato la carica, peraltro ricoperta illegalmente, trattandosi di un Cirenaico (Andronico era originario di Berenice; a questo proposito, Sinesio scrisse pure al suo amico Troilo, di stanza a Costantinopoli, perché chiedesse a suo nome al prefetto del pretorio dell’Oriente Antemio di far rispettare la legge32). D’altronde, dietro il confronto tra i due si deve leggere, in controluce, lo scontro tra il potere civile e quello ecclesiastico,33 nonché, almeno per quanto riguarda il caso di Sinesio, lo scontro tra il potere centrale rappresentato da Andronico e il potere locale dei curiali, raccoltisi attorno all’autorità della cattedra vescovile.34 L’ultimo governatore civile di cui Sinesio dia notizia è Cledonio,35 successore di Andronico.

1.2. Situazione militare A partire dalla riforma di Diocleziano, la gestione militare della regione era stata affidata a un unico dux Aegypti et Thebaidos utrarumque Libyarum, che risiedeva ad Alessandria, a circa settecen29

 Cfr. Roques 1987, p. 171.  Cfr. lettera 73. 31  Si vedano, a questo proposito, le lettere 41, 42, 72, 73, 77, 79, 90. 32  Vd. lettera 73. 33  Infatti, Andronico, affiggendo alla porta della chiesa i propri editti, con cui negava agli avversari politici di chiedere asilo presso la cattedra del vescovo (cfr. lettera 42), cercava in ogni modo di limitare l’ingerenza ecclesiastica nel proprio operato. 34  Roques 1987, p. 195. 35  Il destinatario delle lettere 39 e 62. 30

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tocinquanta chilometri a est della Cirenaica.36 È evidente che le due province libiche non erano considerate all’epoca particolarmente esposte al pericolo, provenendo le più consistenti minacce per l’impero dalle popolazioni germaniche nel Nord Europa e dai Persiani in Asia. Sul finire del IV secolo, però, la situazione mutò improvvisamente. Nel 397 infatti il generale Gildone, comes Africae, dette vita nella provincia dell’Africa Proconsolare (che faceva parte dell’impero d’Occidente e che includeva la Tripolitania e l’odierna Tunisia) a una rivolta contro Stilicone, reggente dell’imperatore Onorio a Milano. Per compiere la propria impresa – che dal punto di vista economico si fondava sul blocco del rifornimento del grano africano all’Italia – era riuscito ad assicurarsi l’appoggio di alcune popolazioni berbere, in particolare i Maceti e gli Ausuriani. Nel 398, tuttavia, fu sconfitto dalle truppe di Stilicone; quei contingenti rimasero allora sul suolo dell’impero d’Occidente senza una precisa funzione, rappresentando però, ovviamente, una potenziale minaccia. Il governo di Milano decise dunque di liberarsene: dal momento che Gildone era stato sostenuto nella sua rivolta dall’eunuco Eutropio, uomo di punta alla corte di Costantinopoli, si optò per una ritorsione e si inviarono quelle popolazioni oltre confine, verso oriente. Fu così che a partire dal maggio 398 iniziarono delle migrazioni di nomadi che andarono a colpire anzitutto la Pentapoli, regione, come abbiamo visto, piuttosto sguarnita di soldati e, per la sua stessa posizione geografica, alquanto impreparata a invasioni esterne. Il governo di Costantinopoli reagì inviando sul territorio delle truppe guidate dal comes et magister militum per Orientem Simplicio, con il quale pare si debba identificare il misterioso Conte citato da Sinesio in alcune sue lettere.37 La mutata condizione portò probabilmente in quell’anno a rivedere l’organizzazione militare della regione, provocando la separazione della competenza del territorio libico da quella dell’Egitto e l’istituzione della figura di un dux Libyarum 36

 Roques 1987, p. 219.  Ovvero nelle numero 98, 99, 142, 144, 146 (cfr. anche Roques 1987, pp. 221-222). 37

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di stanza a Tolemaide. Come si legge in una lettera di Sinesio risalente al 407,38 a quella data il nostro autore ancora rimpiangeva il vecchio assetto, rivendicando – in polemica con Giulio, un suo avversario politico in seno al concilio provinciale – la proposta di riportare il comando militare della Pentapoli all’interno delle competenze del dux di Alessandria. Nel corso della propria missione, Simplicio esautorò il governatore militare in carica di Egitto e Libia, Eracliano, per gestire in prima persona le operazioni in Cirenaica e per avere la possibilità di procedere a una riorganizzazione delle funzioni.39 La sua presenza nella Pentapoli non durò che pochi mesi, sufficienti a dare una soluzione provvisoria alla situazione; la minaccia proveniva difatti da popolazioni berbere nomadi alla ricerca di nuove terre, piuttosto lente negli spostamenti a causa del loro seguito di vecchi, donne e bambini, non da contingenti militari, rapidi a muoversi sul territorio. La convivenza fra questi popoli e i Cirenaici negli anni successivi dovette procedere a fasi alterne: Sinesio definisce i Maceti dei “semibarbari”,40 lasciando quindi supporre che avessero almeno parzialmente adottato i costumi della cultura cittadina greco-romana. Solo nel 405, come vedremo, si apriranno davvero le ostilità. Dopo appena alcuni mesi, quindi, Simplicio affidò l’inedito ruolo di dux Libyarum a un personaggio proveniente dall’Isauria,41 benché armeno di nascita, Artabazaco.42 Non sappiamo chi gli succedette; di certo, al principio del 405 assunse quella carica Ceriale, un uomo fidato di Simplicio, del quale tuttavia Sinesio non ebbe alcuna stima.43 Il suo mandato non durò che pochi mesi, venendo rapidamente rimpiazzato da Diogene, cugino di Sinesio 38

 Si tratta della numero 95.  Sull’organizzazione militare della Pentapoli al tempo di Sinesio, cfr. de Francisco Heredero 2014, in particolare pp. 166-182. 40  Cfr. lettera 130. 41  Si trattava di una regione posta nel centro-sud della penisola anatolica. 42  Cfr. lettera 135. Per la lista dei governatori militari in Libia, cfr. Roques 1987, p. 231. 43  Cfr. lettere 130 e 132 e Catastasi maggiore, 2. 39

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(quindi cirenaico44). Successivamente, si dovettero alternare alcuni personaggi di cui ignoriamo il nome, fatto salvo il caso di Uranio.45 Nel 410 fu la volta di Anisio, al quale Sinesio riconobbe una notevole abilità di gestione delle truppe, che gli permise di riportare importanti vittorie sui Barbari.46 Gli ultimi due duces Libyarum citati dal nostro autore sono Innocenzio47 e Marcellino.48 Dalle opere di Sinesio emerge una società molto varia dal punto di vista etnico, un vero e proprio caleidoscopio di razze e lingue diverse. In particolare, vengono menzionati molti popoli stranieri combattenti sotto le insegne imperiali romane. Tra questi ricorrono i Dalmati, che secondo il nostro autore avrebbero composto, al momento della sua elezione al soglio episcopale, parte della popolazione di Tolemaide;49 verosimilmente, si erano stanziati in città nei primi anni del V secolo, per fare fronte alle continue incursioni dei nomadi.50 Si citano poi dei cavalieri arabi, un piccolo contingente dei quali sarebbe giunto nella Pentapoli da Alessandria, compiendo un viaggio per mare assieme a Sinesio.51 Ma vengono ricordati pure i Traci,52 che avevano la reputazione di soldati valorosi;53 i Marcomanni, una popolazione proveniente dalla Germania che, viceversa, quanto a destrezza bellica, si attirò l’ironia dell’autore.54 E poi gli Unnigardi, un esercito – molto efficace in battaglia – di cavalieri unni, inizialmente 44

 Esattamente come Andronico in campo civile (vd. supra), allora, Diogene ricoprì l’incarico illegalmente, vietando gli editti del prefetto del pretorio Antemio che i governatori fossero originari della provincia da loro amministrata (vd. a questo proposito la lettera 73). In merito al fatto che Diogene e Sinesio fossero cugini, vd. lettera 119. 45  Si tratta del destinatario della lettera 37. 46  A proposito di Anisio, vd. le lettere 6, 14, 34, 59, 77, 78, 94 e le due Catastasi. 47  Vd. la Catastasi maggiore. 48  Vd. lettera 62. 49  Cfr. lettera 87. 50  Roques 1987, p. 245. 51  Cfr. lettera 5. 52  Vd. Catastasi maggiore, 2. 53  Roques 1987, p. 246. 54  Cfr. lettera 110.

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di stanza a Costantinopoli, ma di cui un piccolo contingente di quaranta uomini era stato inviato in Libia sotto il comando di Anisio.55 Infine, Sinesio menziona i Balagriti,56 gruppo di arcieri a cavallo, molto probabilmente autoctono, stanziato a Balagre, circa venti chilometri a ovest di Cirene.57 Tra i nemici, come sappiamo, l’autore cita i Maceti e gli Ausuriani, gli stessi popoli berberi che avevano combattuto al soldo di Gildone in Occidente e avevano iniziato una migrazione verso l’Oriente, appunto, nel 398.

1.3. Situazione religiosa Dall’età tolemaica fino agli inizi del II secolo d.C. la Cirenaica era stata caratterizzata dalla presenza di un’ampia comunità ebraica, che parrebbe aver intrattenuto relazioni costanti con la Palestina. Questo fattore, forse, agevolò la diffusione del cristianesimo nella regione, sebbene, tra il 115 e il 117, una rivolta, nel contesto della seconda guerra giudaica, portò all’eliminazione di tale comunità.58 Apprendiamo da Sinesio che, al tempo della sua infanzia, durante il regno dell’imperatore Valente (364-378), era ampiamente diffuso in Cirenaica l’arianesimo,59 soprattutto nella sua variante eunomiana.60 In seguito sarebbe stato sconfitto. La Chiesa della Pentapoli era una Chiesa dipendente. Il metropolita che risiedeva a Tolemaide dipendeva nelle sue decisioni dal patriarca di Alessandria. Avremo modo di riprendere più avanti la questione dell’identità religiosa di Sinesio; in questa sede basti accennare al fatto che fu eletto, sul finire della sua vita, vescovo di Tolemaide mentre sul soglio alessandrino siedeva Teofilo. Quest’ul55

 Cfr. lettera 78 e Catastasi minore, 2.  Cfr. lettere 104 e 132. 57  Vd. Roques 1987, pp. 250-252. Balagre è l’attuale città di Beida (chiamata Beda Littoria durante l’occupazione coloniale italiana della Libia). 58  Ivi, pp. 322-323. 59  Cfr. lettera 66. 60  Vd. lettera 4. Eunomio, vissuto nel IV secolo e divenuto vescovo di Cizico nella Propontide, fu promulgatore di una versione radicale dell’arianesimo, secondo il quale il Figlio non sarebbe sullo stesso piano ontologico del Padre. 56

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timo viene ricordato principalmente per la sua politica intransigente e per essere stato il responsabile, nel 391 – a seguito dei decreti teodosiani, che avevano vietato ogni pratica rituale diversa da quella cristiana –, della distruzione del Serapeo di Alessandria, luogo di religione e di cultura pagane.61 Al di là del soglio metropolitano, apprendiamo da Sinesio che dei vescovi risiedevano non soltanto nelle altre quattro città della provincia, ma pure in alcune località minori, come Eritro e Palebisca-Idrace,62 villaggi posti a oriente di Cirene, prossimi al confine con la Libia Inferiore.

2. La vita Come detto, Sinesio nacque a Cirene attorno al 370. Proveniva da una famiglia aristocratica di ricchi possidenti terrieri, sicuramente una delle più in vista della Cirenaica, se proprio lui fu scelto dal consiglio provinciale per guidare un’ambasceria nella capitale, a nome di tutta la Pentapoli. Sappiamo che il padre di Sinesio molto probabilmente si chiamava Esichio,63 mentre il suo unico fratello,64 minore di età,65 Evopzio. Sappiamo anche che Evopzio succederà al fratello sul soglio episcopale di Tolemaide, partecipando in quel ruolo, nel 431, al primo concilio di Efeso, dove difenderà le tesi miafisite del patriarca alessandrino Cirillo, nipote di Teofilo.66 Apprendiamo dall’epistolario che Sinesio ebbe anche delle sorelle, 61

 Il tempio di Serapide era stato fondato ad Alessandria da Tolomeo I Soter, tra il IV e il III secolo a.C. Questa divinità parrebbe derivare il suo nome da un’ellenizzazione delle parole Osor-Api, una delle manifestazioni terrestri post mortem di Osiride; in breve assunse però anche i tratti tradizionali di Zeus e di Asclepio (vd. a questo proposito, in primis, Burkert 1991, pp. 11-12). 62  Cfr. lettera 66. 63  Così ha ipotizzato Paul Maas, sulla base dell’inno 7, v. 32, e del nome del primogenito di Sinesio (Maas 1913; cfr. Schmitt 2001, p. 147). 64  Cfr. lettera 119. 65  Cfr. lettera 95. 66  Toulouse 2016, p. 650. Il miafisismo era una versione meno estrema del monofisismo, disposta a riconoscere divinità e umanità in Cristo, sebbene riunite in un’unica natura.

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delle quali, però, non fa il nome, a eccezione della sola Stratonice: di lei sappiamo che era sposata a un soldato della guardia imperiale di nome Teodosio;67 di un’altra sappiamo che era sposata a un certo Amelio.68 Infine, l’autore ebbe tre figli: il primo di nome Esichio, probabilmente come il nonno, gli altri due gemelli;69 tutti e tre morirono disgraziatamente in giovanissima età, precedendo il padre.70 L’educazione di Sinesio dovette essere quella tipica della classe sociale elevata, come dimostra del resto la sua scrittura, intrisa di cultura classica. È lui stesso a riferirci di avere avuto una grande passione per i libri, accompagnata da un’altra, non inferiore, per i cavalli e per la caccia. Scrive nel Trattato sui sogni: [...] Ho speso la mia vita tra i libri e la caccia, a eccezione di quando mi sono recato in ambasceria.71

E al fratello: In ogni circostanza io divido il mio tempo in due parti, il piacere e lo studio: nello studio sono da solo con me stesso, specialmente quando si tratta di questioni divine, nel piacere mi apro agli altri. Tu sai infatti quanto, una volta alzata la testa dai libri, io sia incline a ogni genere di svago. [...] Poiché sono un amante dello svago e fin dall’infanzia sono stato accusato di oltrepassare la giusta misura nella mia passione per le armi e per i cavalli, mi cruccerò (che cosa proverò infatti alla vista dei miei adorati cani privati della caccia e dei miei archi corrosi dai tarli?), ma resisterò, se Dio così ha disposto.72

Intorno al 393 Sinesio si recò ad Alessandria per perfezionare la propria formazione. Qui divenne uno dei discepoli della filosofa 67

 Cfr. lettera 75. A lei Sinesio dedicherà un epigramma, vd. infra, 4.  Cfr. lettera 145. 69  Cfr. lettera 55. 70  Vd., in particolare, la lettera 126. Per una circostanziata ricostruzione cronologica del concepimento, la nascita e la morte dei tre figli di Sinesio vd. Seng 2001. 71  Trattato sui sogni, 14. 72  Lettera 105. 68

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pagana e neoplatonica Ipazia, figlia di Teone, cattedratico presso il Museo. Sinesio si legherà profondamente alla maestra, come pure a molti compagni della scuola, mantenendo un contatto epistolare con loro per tutta la vita.73 Scriverà a Ipazia: Se poi ci si scorda dei morti a casa di Ade, io invece anche là mi ricorderò della cara Ipazia.74 Sto dettando questa lettera mentre giaccio nel mio letto, ma spero che tu sia in buona salute quando la riceverai, tu che sei mia madre, mia sorella, mia maestra e da tutti questi punti di vista mia benefattrice, l’essere e il nome che più mi sono cari al mondo.75

E a uno dei suoi compagni alla scuola alessandrina, Erculiano: Se Omero disse che il guadagno che Odisseo aveva tratto dal suo vagare era di aver incontrato molti uomini e di aver visto le loro città e di aver conosciuto la loro indole, [...] allora il poeta avrebbe certamente celebrato con versi ammirevoli i nostri rispettivi viaggi all’estero, che ci hanno consentito di verificare ciò che, a sentirlo raccontare, ci lasciava increduli. Abbiamo infatti 73  Per il rapporto intrattenuto fra Ipazia e la cerchia più ristretta dei suoi allievi all’interno della scuola, fortemente condizionato dalla secolare tradizione platonica, vd. Watts 2017, pp. 65-74, e soprattutto Ronchey 2023, pp. 156180, 336-370. 74  Lettera 124. 75  Lettera 16. Sia Fritz Mauthner, nel suo romanzo Ipazia, che Mario Luzi, nei suoi poemetti Ipazia e Il messaggero, hanno immaginato che Sinesio fosse profondamente innamorato della maestra e che le fosse sopravvissuto, divenendo vescovo solo dopo il lutto: “Oh lei è andata dritta al suo termine,/ ha adempiuto cosciente il suo destino di vittima/ con pena ma senza ombre. Ma dopo,/ che senso avrà dopo, per noi,/ per gli altri che verranno questo sacrificio?/ E intanto il suo cuore dolcissimo,/ il suo cuore represso di bambina/ che mi celava i suoi battiti, chi sa,/ increspato dai suoi rimpianti ha atteso l’ultimo guizzo” (Luzi 19802, p. 81). Allora, ormai ineffabile e irraggiungibile, secondo entrambi gli autori Ipazia sarebbe divenuta per Sinesio una sorta di simbolo dell’aspirazione al divino e alla filosofia (per tutto questo cfr. Harich-Schwarzbauer 2020, p. 62; Ronchey 2023, pp. 111-113): “Un luogo, alto, dove annidare la mente,/ questo fu per te Ipazia e nient’altro” (Luzi 19802, p. 106).

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visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie colei che legittimamente presiede ai misteri della filosofia.76

Alla fine del primo soggiorno alessandrino Sinesio rientrò nella Pentapoli, dove svolse il proprio ruolo di curiale. Fu sempre attratto dalla vita di campagna; i suoi possedimenti si trovavano nell’entroterra di Cirene, piuttosto lontani dal mare, anche se non oltre i trenta chilometri di distanza dalla città.77 Qui l’autore, come abbiamo visto, alternava l’attività della caccia all’ozio filosofico.78 In questa proprietà farà ritorno anche dopo il soggiorno costantinopolitano: Abito in una tale campagna, lontano dalla città, dalle strade, dal commercio [...]. Ho del tempo a disposizione per dedicarmi alla filosofia, ma non ne ho affatto per comportarmi in modo sbagliato. Tutti i miei incontri sono cordiali, ci aiutiamo l’un l’altro nell’agricoltura, nella gestione dei pastori e delle greggi, nella caccia a ogni specie animale che la nostra terra produce.79

Ammiccando – dichiaratamente – al genere bucolico e attingendo a piene mani dal topos del locus amoenus, Sinesio scrive al fratello (che abitava sulla costa, allo scalo marittimo di Ficunte): Cosa c’è di piacevole nel distendersi sulla sabbia del litorale, che poi è l’unico svago che avete? In effetti, dove vi potreste dirigere altrimenti? Qui invece ci si può mettere all’ombra sotto un albero (e se non sei soddisfatto, puoi spostarti di albero in albero o anche di bosco in bosco), si può attraversare il corso di 76

 Lettera 137.  Difatti, oltre quella distanza, in direzione sud, il territorio si fa desertico e non è più coltivabile (cfr. Roques 1987, p. 137). 78  Dell’aspetto fisico di Sinesio non sappiamo nulla, se non che divenne calvo piuttosto giovane. Come notato da Denis Roques (Garzya – Roques 2000, vol. II, pp. LXXXIV-LXXXV), il nostro autore fu però assai diverso dal ritratto che ne fecero i Bizantini molti secoli dopo in una miniatura, nella quale compare anziano, con la lunga barba del sapiente, nell’atto di scrivere le prime parole della lettera 1 (per approfondire vd. Monticini 2022). Il vero Sinesio morì poco dopo i quarant’anni e fu un uomo molto più attivo che meditativo. Per un tentativo di ricostruzione della sua personalità a partire dalle opere, vd. Roos 1991. 79  Lettera 148. 77

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un ruscello. Com’è dolce lo zeffiro quando smuove lievemente i rami.80

In quel periodo Sinesio dovette compiere il suo viaggio ad Atene, vista come la capitale storica della filosofia greca. A quell’epoca nella città dell’Attica si trovava ancora una delle due più importanti scuole neoplatoniche del mondo (l’altra era quella alessandrina, dove Sinesio si era formato). A questo proposito, celeberrima è la lettera 136, nella quale l’autore – non senza una punta polemica, ma d’altronde tra le due scuole esisteva una diversa impostazione e una certa rivalità81 – esprime tutta la sua delusione rispetto alla trasferta in Grecia, descrivendo l’Atene del tempo come una città in piena decadenza, non più all’altezza della sua storia: Che possa morire malamente il maledetto capitano di nave che mi ha condotto sin qui: l’Atene attuale non ha niente di venerabile, a parte i celebri nomi delle località. [...] Dopo che la filosofia se ne è andata da qui, rimane soltanto di andarsene in giro ad ammirare l’Accademia, il Liceo e, per Zeus, il Portico dipinto che ha dato il nome alla filosofia di Crisippo e che adesso non è più neanche dipinto. [...] Adesso, in questa nostra epoca, è l’Egitto che permette alla semenza ricevuta da Ipazia di svilupparsi; Atene invece, che in passato è stata la capitale dei pensatori, allo stato attuale riceve prestigio soltanto dagli apicultori.82

Successivamente, ebbe luogo il già citato soggiorno di Sinesio nella capitale d’Oriente. Il concilio provinciale della Pentapoli aveva infatti incaricato l’autore di presentare all’imperatore Arcadio una richiesta di alleggerimento dell’imposta fiscale. L’ambasceria avvenne in occasione dell’offerta dell’aurum coronarium al sovrano: si trattava di un omaggio, solo formalmente volontario, derivato dalle corone d’oro porte ai generali romani vittoriosi. In genere veniva recato al momento dell’acclamazione e nelle successive ricorrenze quinquennali, sebbene, più raramente, anche in 80

 Lettera 114.  Cfr. Di Pasquale Barbanti 1994, pp. 35-41. 82  Per un’analisi del riuso di molti passi di questa lettera in età medio- e tardo-bizantina vd. Rhoby 2003. 81

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occasioni speciali, come nel caso di importanti vittorie militari.83 La cronologia di questo evento è stata oggetto di dibattito tra gli studiosi. Ad ogni modo, per quanto l’esatta datazione resti incerta, Sinesio dovette trovarsi a Costantinopoli all’incirca tra il 399 e il 402, giacché pare riconducibile proprio a quest’ultimo anno il violento terremoto che – come apprendiamo dall’epistolario – pose fine al suo soggiorno.84 Scrive Sinesio: Dio scosse la terra più volte al giorno e le persone erano tutte intente a rivolgere preghiere, prosternate perlopiù, poiché il suolo tremava. In quelle circostanze, io, ritenendo il mare più sicuro della terra, discesi di corsa al porto, senza dire nulla a nessuno eccetto che al defunto Fozio, e comunque gridandogli da lontano e facendogli segno con la mano che sarei partito.85

In quegli anni trascorsi a corte Sinesio ebbe modo di conoscere molte persone, cui continuerà a scrivere anche in seguito, come il letterato Nicandro, l’avvocato Pilemene, il filosofo Troilo, il potente Peonio e il prefetto del pretorio Aureliano. L’autore ebbe anche l’opportunità di assistere a tutti gli eventi che turbarono la capitale d’Oriente in quel periodo. In particolare, prese parte allo scontro avvenuto tra la fazione favorevole e la fazione ostile ai Goti. Questi, insediatisi in qualità di foederati all’interno del 83

 Barnes 1986a, p. 105; per approfondire vd. Klauser 1944, pp. 129-153.  Sostanzialmente, circa la cronologia del viaggio di Sinesio a Costantinopoli, gli studiosi si sono divisi su due possibili ipotesi. Da un lato si sono schierati i sostenitori della datazione 397-400 (ovvero Druon 1859, pp. 17-20; Druon 1878, p. 19; Barnes 1986a, pp. 110-112; Cameron – Long 1993, p. 405, n. 4; Schmitt 2001, pp. 243-250; Petkas 2018, p. 125), sulla base, tra gli altri dati, della ricorrenza di Arcadio (il quindicennale del suo impero cadeva nel 398 e questo avrebbe potuto giustificare l’omaggio dell’aurum coronarium). Dall’altro lato, si sono invece schierati i sostenitori del periodo 399-402 (cioè Seek 1894; Lacombrade 1951a, pp. 99-101; Roques 1995; Liebeschuetz 1985, p. 147; Garzya 1989, pp. 10-11), soprattutto sulla base, appunto, della datazione del terremoto narrato da Sinesio, riportato al 402 dal Chronicon del Conte Marcellino. Per tutta la questione nel dettaglio, ad ogni modo, si rinvia a Lamoureux – Aujoulat 2008a, pp. 11-26 (si veda anche Schuol 2012, pp. 144-147). 85  Lettera 61. 84

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limes danubiano già per volontà dell’imperatore Teodosio, che si era dimostrato incapace di ricacciarli oltre il confine dopo la disfatta di Adrianopoli, rappresentavano all’epoca un elemento estremamente rilevante e in seno alla società e all’interno dell’esercito. Sinesio si schierò dalla parte del partito ostile ai Germani, secondo la linea politica del proprio protettore a corte, Aureliano, a sua volta affine alla posizione dell’imperatrice Eudossia, la quale, secondo il parere di alcuni storici,86 era in quel momento la vera detentrice del potere, a discapito del debole Arcadio. Nel 400 il generale goto Gainas, dopo aver causato la caduta in disgrazia del già citato eunuco Eutropio e l’esilio di Aureliano, riuscì, de facto, ad assumere il controllo dell’impero. Poté conservarlo, d’altronde, solo per pochi mesi, perché poi un’insurrezione della popolazione di Costantinopoli contro i Goti – era il 12 luglio del 400 – pose fine alla parentesi del suo governo. Rientrato in Africa, Sinesio trascorse un secondo periodo ad Alessandria (probabilmente fra il 403 e il 404), dove quasi certamente prese moglie, ottenendola, come lui stesso dice, “da Dio, dalla legge e dalla sacra mano di Teofilo”.87 In concomitanza con la nascita del primo figlio, se ne tornò nei propri possedimenti nella Pentapoli. Qui si trovava certamente nel 405, al momento dello scoppio delle ostilità con gli Ausuriani. La guerra – o piuttosto, come si evince dallo stesso Sinesio, una serie di incursioni che resero estremamente insicura la regione – durò, sebbene a fasi alterne, da quell’anno fino al 412, almeno. La provincia, impreparata dal punto di vista militare, subì inizialmente un duro colpo: le campagne furono razziate, i campi bruciati, le mandrie e le greggi depredate. La popolazione si rifugiò in massa nelle città, dove fu organizzata una difesa. Scrive il nostro autore: L’incapacità dei nostri governatori militari ha consegnato la regione ai nemici senza neanche combattere e soli siamo ancora vivi quanti abbiamo potuto raggiungere dei luoghi fortificati, mentre quanti sono restati nelle pianure sono stati sgozzati come 86

 Dagron 1974, p. 499, n. 5.  Lettera 105.

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vittime sacrificali. Temiamo che, prolungandosi l’assedio sotto il quale ci tengono, la maggior parte delle roccaforti cederà per la sete.88

E poi ancora: [...] Non appena sorge il giorno, percorro a cavallo delle lunghe distanze, cercando di coprire quanto più territorio mi è possibile e con le orecchie e con gli occhi mi do da fare per ricavare tutte le informazioni su questi ladri di bestiame. Non è infatti giusto definirli nemici, ma briganti o ladroni o un altro termine del genere, assolutamente meschino, giacché non si contrappongono a nessun attacco portato con forza contro di loro, ma attaccano solo persone impaurite, che sgozzano come animali sacrificali e poi depredano. Di notte, assieme a dei giovani, perlustro la collina e consento così di dormire tranquille alle donne, che sanno che ci sono persone che vegliano su di loro.89

Il dux Libyarum Ceriale, stando al nostro autore, non avrebbe saputo condurre una controffensiva efficace; al contrario, avrebbe impartito i suoi ordini standosene ormeggiato su una barca, al largo.90 La rapida sostituzione di Ceriale con Diogene – come già detto, peraltro, originario della Pentapoli e quindi buon conoscitore del territorio – consentì di riportare delle vittorie sui nomadi.91 Dopo alcuni anni per i quali non abbiamo notizie, sappiamo che gli Ausuriani tornarono a minacciare seriamente la popolazione cirenaica intorno al 410, venendo però sconfitti dal governatore militare Anisio, alla guida di un contingente di Unnigardi.92 La situazione precipitò di nuovo con la sostituzione di Anisio con Innocenzio, tra il 411 e il 412, quando gli Ausuriani, approfittando della situazione,93 tornarono a razziare le 88

 Lettera 133.  Lettera 132. 90  Lettera 130. 91  Lettera 131. 92  Cfr. lettera 78 e Catastasi minore, 2. 93  Innocenzio infatti, per quanto animato da buona volontà, era anziano e malato (cfr. Catastasi maggiore, 3). 89

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campagne e a cingere d’assedio la popolazione nelle roccaforti e nelle città: Fino a quando sorveglierò il tratto di cinta compreso fra le torri? [...] Io che molte volte in passato me ne sono rimasto sveglio a osservare il sorgere degli astri, adesso sono spossato dalle veglie a causa delle incursioni nemiche.94

Le ostilità terminarono, molto probabilmente, con il governatorato militare di Marcellino, nel corso del 412.95 Nel frattempo, però, la vita di Sinesio si era ulteriormente complicata. Tra il 410 e il 411, infatti, era stato chiamato a ricoprire la carica di vescovo metropolita di Tolemaide, sia per volontà del popolo che per iniziativa del patriarca Teofilo.96 Nonostante una serie di tentennamenti, di ordine sia pratico che dottrinale, come vedremo meglio in seguito, Sinesio finì con l’accettare l’incarico.97 Dopo l’elezione da parte degli abitanti di Tolemaide, la consacrazione avvenne ad Alessandria, presso il soglio di Teofilo, probabilmente nell’estate del 411. L’accettazione dell’episcopato portò Sinesio ad assumersi il fardello dei molti mali che affliggevano la popolazione della Pentapoli, dal punto di vista sia religioso che politico. Risale a questo periodo, ad esempio, il già citato scontro con il governatore civile Andronico, ma anche la sua trasferta (narrata nella lettera 66) nei villaggi di Palebisca e Idrace per dirimere delle controversie tra vescovi rivali. Come se non bastasse, proprio in questi anni Sinesio perse tutti i suoi figli, deceduti a poca distanza cronologica l’uno dall’altro: [...] Dopo la perdita improvvisa del più caro dei miei figli mi sarei potuto anche suicidare, sopraffatto dal dolore (tu sai che rispetto a questo ho una sensibilità femminile, ben oltre il ne94

 Ivi, 5.  Roques 1987, p. 284. 96  Vd. su questo punto Barnes 1986b e Liebeschuetz 1986. 97  Al momento dell’elezione di Sinesio a vescovo, suo fratello Evopzio avrebbe dovuto prendere il suo posto all’interno della curia di Cirene; tuttavia, preferì lasciare la Pentapoli (per l’esattezza Ficunte, dove viveva) e recarsi ad Alessandria (vd. lettera 93; cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 85, n. 2). 95

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cessario). Adesso, però, sono io che ho sopraffatto il dolore, non con il ragionamento, ma perché Andronico mi ha distolto e mi ha portato a prestare attenzione alle sventure pubbliche. Disgrazie sono diventate conforto ad altre disgrazie, attirandomi a loro, poiché il dolore scaccia il dolore e la collera mista alla tristezza ha scacciato la tristezza provocatami dalla morte di mio figlio.98

Sinesio morì, come detto, tra la fine del 412 e i primi mesi del 413, sicuramente prima del linciaggio di Ipazia, ordito dal nuovo patriarca di Alessandria, Cirillo, nel 415.99 Proprio all’adorata maestra Sinesio scrisse un’ultima lettera: La mia debolezza fisica ha una causa psicologica: poco a poco mi consuma il ricordo dei giovani figli che mi hanno abbandonato. La vita non valeva la pena di essere vissuta per Sinesio che per quel tempo in cui non aveva ancora provato i mali dell’esistenza. Poi, come un torrente prima trattenuto, essi si sono riversati in massa su di me e la mia esistenza ha perduto ogni dolcezza. Vorrei far cessare o la mia vita o il ricordo della tomba dei miei figli. Ma a te auguro una buona salute. [...] Se ti interessi un poco della mia condizione, fai bene; se non te ne curi, allora neppure a me importa.100

3. Sinesio e la filosofia Sinesio pose la filosofia al centro della propria esistenza. Fu felice solo quando ebbe la possibilità di dedicarvisi a tempo pieno, libero da impegni politici, militari, religiosi, ai quali, certo, in quanto curiale – e di alto rango – non poté sottrarsi, ma che in cuor suo detestava. Il viaggio ad Atene, pure concepito come una sorta di pellegrinaggio filosofico, lo deluse. Dell’esperienza a Costantinopoli, costellata di intrighi di corte e di sconvolgimenti politici, serbò un pessimo ricordo (“Non avrei mai dovuto vedere quei 98

 Lettera 79.  Sulla vicenda di Ipazia, si veda in primis Ronchey 2023. 100  Lettera 16. 99

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tre anni nefasti”101). Lo stesso possiamo dire per l’ultimo periodo della sua vita, durante il quale, vuoi per le scorrerie degli Ausuriani vuoi per l’incarico ecclesiastico, lamentò poco tempo e concentrazione per dedicarsi alla filosofia. Ma di quale filosofia stiamo parlando? Sinesio si formò alla scuola neoplatonica della pagana Ipazia; al contempo, però, fu sposato e consacrato vescovo da uno dei più intransigenti patriarchi di Alessandria, lo stesso Teofilo102 distruttore del Serapeo e zio e predecessore di Cirillo, mandante della barbara uccisione proprio di Ipazia. Non pare che Sinesio si sia mai convertito dal paganesimo al cristianesimo.103 Era quasi certamente battezzato nel momento in cui Teofilo celebrò il matrimonio (è molto arduo pensare a una cerimonia mista104) e senza alcun dubbio lo era quando fu ordinato vescovo.105 In più, per quanto affermi di “essere stato allevato nel peccato al di fuori della Chiesa”106 – intendendo semplicemente con questo di non essere stato educato per ricoprire un ruolo pastorale107 –, è probabile che i templi di Costantinopoli cui fa cenno nell’inno 1, dove si sarebbe recato a pregare al tempo dell’ambasceria, fossero delle chiese cristiane:108 101

 Trattato sui sogni, 14.  Erede del soglio dell’evangelista Marco, veniva chiamato il “Nuovo Faraone”; pretese di ricoprire il primato ecclesiastico in Oriente, ruolo che teoricamente spettava al patriarca di Costantinopoli, all’epoca Giovanni Crisostomo, con il quale entrò in contrasto, contribuendo anche a farlo esiliare (Lacombrade 1988, p. 21). Cfr. a questo proposito la lettera 67 di Sinesio. 103  Pace Coman 1987. Cfr. Roos 1991, pp. 140-144. 104  Marrou 1952, p. 477. Non pare dunque molto attendibile la testimonianza di Evagrio Scolastico (Storia ecclesiastica, 1, 15; vd. infra, 5), secondo cui Sinesio sarebbe stato battezzato al momento della sua consacrazione a vescovo di Tolemaide (cfr. Cameron – Long 1993, p. 34). 105  Stéphane Toulouse (Toulouse 2016, p. 661) interpreta due riferimenti di Sinesio al “pentimento” (Trattato sui sogni, 8; inno 1, v. 646) come altrettante allusioni al rito battesimale (ma si veda su questo anche Susanetti 1992, p. 137). 106  Lettera 66. 107  Cfr. Cameron – Long 1993, pp. 24-25. 108  Come congetturato soprattutto da Cameron e Long (ivi, p. 30). 102

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Così, sovrano/ dell’immenso universo,/ vengo a pagarti il mio/ debito, di ritorno dalla Tracia,/ dove per tre anni/ ho risieduto/ nelle vicinanze del palazzo che domina/ la terra./ [...] Quanti templi/ sono stati edificati, Signore,/ per i tuoi santi/ misteri:/ in tutti mi sono recato/ prono, supplice,/ bagnando il suolo/ con le lacrime delle mie palpebre,/ perché il viaggio che stavo compiendo/ non si rivelasse vano.109

Eppure, al contempo, Sinesio avanza dei seri dubbi a proposito della propria candidatura al soglio episcopale. Certo, pone delle riserve in merito alla pesantezza del fardello che lo attende, che teme essere un ineluttabile diversivo rispetto all’ozio speculativo: Chiamo a testimone la divinità venerata dalla filosofia e dall’amicizia: avrei preferito mille volte la morte piuttosto che il sacerdozio. Poiché però Dio non ha imposto ciò che io auspicavo ma la sua volontà, lo supplico, lui che mi ha dato la vita, di farsi protettore di quanto mi ha donato, affinché questo compito non mi appaia come un regresso dalla filosofia ma come un’ascesa verso di essa.110

Avanza pure la richiesta di non separarsi dalla moglie: Ho una moglie, datami da Dio, dalla legge e dalla sacra mano di Teofilo. Lo dichiaro pubblicamente e chiamo tutti a testimoni: non mi separerò mai da lei né la incontrerò mai clandestinamente come un adultero [...], ma, al contrario, il mio proposito e la mia volontà sono di avere molti e buoni figli.111

Eppure, a prescindere da tutto questo, Sinesio elenca dei dubbi dottrinali che non paiono di poco conto. Nella ben nota lettera 105, scrive infatti: C’è un’altra questione che Teofilo deve, non dico apprendere, ma tenere a mente, e ne parlerò diffusamente: rispetto a essa, infatti, tutte le altre assumono una scarsa importanza. È difficile, se non addirittura impossibile, far vacillare delle convinzioni che 109

 Inno 1, vv. 428-435, 449-458.  Lettera 96. 111  Lettera 105. 110

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sono state dimostrate scientificamente: si sa che spesso la filosofia si oppone a credenze diffuse a livello popolare. Senza alcun dubbio, non riterrò mai degno di fede che l’anima sia nata dopo il corpo. Non ammetterò mai che il cosmo e tutte le sue parti siano destinate a perire. Quanto alla resurrezione, che rientra tra le credenze popolari, la considero qualcosa di sacro e di ineffabile, su cui sono molto distante dal condividere le opinioni della massa. D’altronde, uno spirito filosofico iniziato alla conoscenza della verità ammette il ricorso alla finzione. [...] Se le leggi che regolano il ministero sacrale che mi si propone accettano questo genere di convinzioni, allora posso esercitare il sacerdozio: non ho problemi a perseguire la filosofia in privato e a trasmetterla all’esterno nelle sembianze del mito (senza stravolgerlo, ma consentendo a ciascuno di conservare le proprie credenze). Se invece le leggi affermano che debba essere il sacerdote a mutare le sue convinzioni e a fare proprie quelle del popolo, non tarderei a rendere manifesto a tutti chi sono veramente. Che rapporto può mai esserci tra il popolo e la filosofia?

Sulla scorta di tutti questi elementi la figura di Sinesio è stata variamente interpretata: un autentico padre della Chiesa, un pagano sotto le mentite spoglie di un vescovo cristiano, un convertito, un semplice opportunista.112 Nessuna proposta, però, pare corretta fino in fondo, per il semplice fatto che si pretende di applicare a questo personaggio dei criteri che non gli appartengono. In altri termini, quella che potrebbe sembrare un’irriducibile contraddizione in altri momenti storici non era tale per la maggior parte dei membri dell’intelligencija dell’età di Sinesio.113 Questo fattore non dovrebbe coglierci del tutto impreparati. Rispetto ad altri lettori di questo autore, risalenti a epoche diverse, 112  Per una sintesi delle varie posizioni assunte dagli studiosi, vd. Toulouse 2016, p. 658 ss. Si tengano comunque senz’altro presenti, assieme al resto della bibliografia citata, sebbene su posizioni molto divergenti, Marrou 1968 e Tanaseanu-Döbler 2008, pp. 155-294. Possiamo aggiungere che nella Costantinopoli del XIV secolo, un importante erudito come Niceforo Gregora riteneva che Sinesio, a un certo punto della sua vita, fosse effettivamente passato dal paganesimo al cristianesimo (così lascia intendere nella prefazione del suo commento al Trattato sui sogni: Monticini 2023, p. 149). 113  Cfr. Tanaseanu-Döbler 2010, pp. 149-150.

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dovremmo infatti avere – reduci della stagione postmodernista – strumenti alquanto affinati, adatti alla comprensione di una simile complessità.114 Il contesto storico di Sinesio – un’età ancora in gran parte “di angoscia”, per riprendere una nota definizione riferita al primo periodo della cosiddetta tarda antichità115 – aveva la peculiarità di far convivere sovente elementi altrimenti avvertiti come incompatibili. Certo, già a partire dalla crisi del III secolo e l’affermazione del dominato avevano fatto la loro comparsa forti spinte di sintesi, di semplificazione, di estremismo, che avrebbero finito per mutare profondamente la civiltà romana, in senso teocratico; tuttavia, caratterizzata pure da una forma di opposizione a tale tendenza, l’epoca di Sinesio si configurava ancora, almeno in parte, alla stregua di una babele eclettica e sincretica. Nella personalità del nostro autore, allora, non vi fu alcun contrasto tra l’adesione al cristianesimo e l’iniziazione a quei misteri esoterici pagani116 cui, nella sua opera, abbondano i riferimenti117 e che emerge in primis dalla dimestichezza che dimostra con un classico dell’occultismo quale erano gli Oracoli Caldaici. Quest’o114  L’associazione del IV-V secolo d.C. con l’età postmoderna è giustificata, in questo senso, dalla comune libertà delle due epoche nella produzione di alcuni accostamenti – sul piano simbolico religioso, politico, culturale – che, altrimenti, sarebbero considerati inammissibili. 115  Da Eric R. Dodds (Dodds 1970). 116  Si è molto discusso, nel corso degli ultimi decenni, su quale fosse l’esatto indirizzo filosofico della scuola alessandrina di Ipazia, da quando Henri-Irénée Marrou ha escluso che questa accogliesse al suo interno pratiche religiose di tipo teurgico, sostenendo che “allontanarsi da Giamblico (e su un punto così importante come quello della teurgia), tornare a Porfirio, significava voltare le spalle al paganesimo contemporaneo e avviarsi verso il cristianesimo” (Marrou 1968, p. 153; cfr. anche Watts 2017, p. 37 ss.). Per una sintesi del dibattito rinviamo a Monticini 2021, pp. 24-25, 38-39, con la bibliografia ivi citata (per la posizione del nostro autore rispetto alla teurgia, specialmente per come essa emerge da un’analisi del Trattato sui sogni, si veda adesso anche Seng 2020a); ma si consideri che pure in seno alla divisione fra le diverse correnti del neoplatonismo l’atteggiamento di Sinesio fu improntato al sincretismo, come sottolineato di recente anche da Markus 2021, in particolare pp. 59-61. 117  Basti pensare, ad esempio, ad alcune lettere indirizzate a Erculiano (137 e 143).

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pera, cui Sinesio fa sovente ricorso nella stesura del suo Trattato sui sogni e degli inni, era una raccolta, risalente al II secolo d.C., di rivelazioni di un medium. È estremamente probabile che sia stata Ipazia a iniziarlo a un simile testo, che aveva ampiamente intriso di sé il pensiero neoplatonico fin da Porfirio118 e che era stato messo all’indice, nel corso del IV secolo, dai vari provvedimenti antipagani seguiti all’editto di Costantino.119 Nella Spätantike, del resto, il grande calderone del paganesimo aveva fagocitato in sé i culti più disparati, quasi tutti di provenienza orientale, dai misteri di Iside a quelli di Ammone, dal culto di Mitra a quello del Sol Invictus. E il cristianesimo, agli occhi dei contemporanei delle classi più elevate, poteva benissimo rientrare tra questi. Tale concetto emerge molto chiaramente dalle parole di Sinesio che abbiamo riportato poco sopra, tratte dalla lettera 105: la tolleranza nei confronti delle diverse credenze popolari, delle superstitiones – che fossero cristiane, zoroastriane, mitraiche, ebraiche o altro –, si era sempre accompagnata a un certo distacco, dal punto di vista del consenso intellettuale, nelle menti delle classi agiate, imbevute di paideia classica. In altre parole, da un lato si poneva la “nobile bugia”120 di ascendenza platonica per le anime più semplici, dall’altro la vera sapienza, coltivata e trasmessa solo all’interno di un circolo selezionato ed esoterico. Per non fare che un esempio, si può menzionare il caso dell’imperatore Alessandro Severo, che, oltre a conservare nel proprio larario privato le statue di certi spiriti santi come Apollonio di Tiana, Cristo, Abramo e Orfeo, avrebbe manifestato l’intenzione 118  Sugli Oracoli Caldaici vd. anzitutto des Places 1971; per la ricezione di quest’opera in Sinesio, vd. principalmente Di Pasquale Barbanti 1998 e Tanaseanu-Döbler 2012 (nonché, infra, 4). 119  Cfr. Cameron – Long 1993, p. 50, ma anche Ronchey 2023, p. 176. 120  Ivi, p. 167. Nella più volte citata epistola 105, Sinesio scrive: “Come l’oscurità è più utile a chi ha problemi agli occhi, allo stesso modo, a mio avviso, la finzione è utile al popolo, mentre la verità è un danno per chi non abbia la forza di fissare lo sguardo nella luminosità delle essenze”; come abbiamo letto, la filosofia poteva essere trasmessa all’esterno “nelle sembianze del mito” (cfr., a questo proposito, Gruber – Strohm 1991, p. 13).

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di fare erigere un tempio alla divinità cristiana sul Campidoglio.121 Lo stesso Sinesio, nel Dione, non esita a citare, tra i più grandi sapienti di tutti i tempi, il padre degli eremiti cristiani Antonio accanto ai profeti Ermete Trismegisto e Zoroastro.122 Di conseguenza, riteniamo che non abbia senso cercare di inquadrare Sinesio sulla base di categorie che lo stesso autore non sentiva proprie; sulle quali non basava il suo pensiero. Egli era certamente cristiano; ma era pure pagano, neoplatonico, seguace delle dottrine ermetiche e caldaiche. Se si vuole trovare una definizione complessiva legittima, che sintetizzi il suo status, è da lui che dobbiamo necessariamente trarla. Lo potremmo allora forse chiamare un “Elleno”,123 secondo la definizione che del termine si dà nel Dione: Io ritengo infatti che il filosofo non debba essere né incapace né rozzo in nessun campo; al contrario, credo che debba essere iniziato ai misteri delle Cariti e risultare in tutto e per tutto un Elleno, ovvero sempre in grado di relazionarsi con gli uomini, per il fatto di non ignorare alcuna opera letteraria meritevole.124 121  Lo stesso progetto sarebbe stato preso in considerazione, un secolo prima, da Adriano (Marcone 2019, p. 40). L’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, durante i pochi anni del suo regno aveva tentato di imporre nuovamente il culto degli antichi dèi, promuovendo una politica religiosa tutt’altro che tollerante, ma senza omettere di riconoscere una qualche divinità, sebbene non universale, anche al Dio dell’Antico Testamento (si pensi soprattutto all’opera Contro i Galilei, frammenti 19 e 86: Masaracchia 1990, pp. 109110, 181). 122  Dione, 10. Non condividiamo l’ipotesi di Lacombrade (Lacombrade 1988), avallata anche da Noël Aujoulat (Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 332333, n. 90), secondo cui in Zoroastro ed Ermete andrebbero riconosciuti due gnostici cristiani, l’uno vissuto all’epoca di Plotino, l’altro contemporaneo di Sinesio. Vd., su questo, anche Toulouse 2016, p. 652. 123  Cfr. Chuvin 2011, p. 15. Sul termine “elleno”, vd. anche Bowersock 1990, pp. 9-11; Lieu 2004, pp. 286-289; Johnson 2013, pp. 1-9. La parola, che mantenne un senso dispregiativo – analogo a quello di “pagano” – per tutti i secoli medievali, fu riabilitata nella Bisanzio dell’età dei Paleologi (vd. Monticini 2021, p. 80). 124  Dione, 4. Poco più avanti (ivi, 5), Sinesio affermerà: “Questo nostro discorso [...] definisce filosofo [...] chi realizza l’armonia dell’insieme di tutte le scienze e riconduce la moltitudine all’unità”. All’“Elleno” si contrappone il

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Del resto, Sinesio e la sua epoca non concepivano il contrasto tra pagani e cristiani125 alla stregua della semplice antitesi tra politeismo e monoteismo. Al contrario, vi erano posizioni abbastanza vicine sulla natura del Dio supremo, sotto l’egida della filosofia platonica: incorporeo, privo di passioni, immutabile.126 Ben prima di Costantino gli imperatori romani avevano iniziato a favorire delle espressioni religiose fondamentalmente monoteistiche – si pensi ad esempio al culto solare –, tese a giustificare quella tendenza alla teocrazia cui accennavamo poco sopra.127 Se dunque una vera incompatibilità – almeno a livello dottrinale e intellettuale, a prescindere dalle concrete forme del rito – non esisteva tra queste due realtà religiose – tant’è che Sinesio poté essere al contempo allievo di Ipazia e prescelto di Teofilo –, dove si annidava il contrasto? Ce lo ha detto lo stesso autore, ancora nella lettera 105. Risulta chiaro che il timore è quello di dovere accondiscendere a delle credenze che non si reputano veritiere, le quali, tuttavia, non vengono in alcun modo attribuite a Teofilo o alle gerarchie ecclesiastiche. Sinesio non dice di non condividere le dottrine della Chiesa, dice di non credere – e di non volersi piegare – alle dottrine “del popolo”. Se le riserve di Sinesio avessero implicato un netto contrasto con il pensiero di Teofilo, non solo il nostro autore sarebbe stato forse più reticente a esporle, ma lo stesso patriarca non lo avrebbe accettato nel ruolo di metropolita. Quantomeno, si sarebbe dato vita a un dibattito sul merito, a una controversia fra teologi. Invece, come detto, è con la superstitio popolare – almeno laddove quella pretenda di competere con l’au“Barbaro”, ovvero colui che, pur magari aspirando altrettanto alla verità, non è in possesso della paideia (ivi, 7-8). 125  Sull’argomento si vedano Athanassiadi 2010 e Brown – Lizzi Testa 2011; si tenga presente Marcone 2020, p. 80; ma si consideri pure Siniossoglou 2008, specialmente per gli sforzi di Teodoreto di Cirro di conciliare il platonismo con il cristianesimo. 126  Per il fatto che il confronto fra pagani e cristiani colti nell’età tardoantica si sia basato sempre sul comune retroterra della paideia classica, si veda, oltre al classico Dodds 1970, pp. 101-136, almeno Frede 1999 e Elm 2012, pp. 9-11. Vd. anche Marcone 2019, pp. 36-37. 127  Vd. Ensslin 1943, pp. 36-61, nonché Gallina 2016, pp. 7-27, con l’ulteriore bibliografia ivi citata.

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tentica filosofia, destinata a una speculazione privata – che Sinesio sente una totale incompatibilità.128 L’affermazione di una verità unica alla portata di tutti, avente come estremo referente l’autorità costituita,129 era di vitale sostegno per la tenuta sociale, politica e militare dell’impero. Tuttavia, il nostro autore, come accennato, avvertì sempre tale deriva semplificatoria e vertiginosamente verticistica come pericolosa, sconsigliando agli stessi sovrani – come si vedrà trattando dell’opera All’imperatore, sul regno – un’autorappresentazione troppo elevata e distaccata dalla propria umanità.

4. Le opere Di Sinesio ci restano centocinquantasei lettere, alcune operette in prosa e, per quanto riguarda la produzione in versi, nove inni.130 Perdute sono invece le Cinegetiche, opera giovanile della cui esi128  Per il dibattito coevo attorno alla valenza pubblica o esoterica della dimensione filosofica e religiosa, vd. Sandwell 2007, in particolare pp. 277-281, che analizza i casi esemplari dei due retori antiocheni Libanio e Giovanni Crisostomo. Per un’analisi più approfondita della lettera 105 di Sinesio (ivi comprese le tre dottrine filosofiche rifiutate, di cui trattano anche Marrou 1968, pp. 159-160; Criscuolo 2012; Wagner 2014, in particolare pp. 140-166; Criscuolo 2016, in particolare pp. 39-46; Nardiello 2021, in particolare pp. 126-147), vd. Monticini 2020, pp. 126-130. 129  Secondo la concezione teocratica tipica del dominato (vd. Marcone 2020, pp. 14-15). 130  Sotto il nome di Sinesio vengono trasmessi dalla cosiddetta Appendix Planudea anche due epigrammi, entrambi composti di un solo esametro. Uno è quello, già ricordato, che ricorre nella lettera 75, tratto da un’incisione posta su una statuetta dorata ritraente una delle sorelle di Sinesio, Stratonice, cui il nostro autore l’aveva molto probabilmente donata: “Dorata effigie, di Cipride o Stratonice” (Antologia Palatina, 16, 79). L’altro è invece un verso che non compare da nessuna parte all’interno delle opere di Sinesio e che è stato, quindi, quasi certamente a lui attribuito in quanto seguente, nel manoscritto marciano di Massimo Planude (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 481 [coll. 0863], f. 46v, l. 16), a quello dedicato a Stratonice (Conca – Marzi – Zanetto 2005-2011, vol. III, pp. 395-396, n. 76, 1). Questo il verso, anch’esso sicuramente tratto da una rappresentazione figurativa (Pontani 1978-1981, vol. IV, p. 500): “Οἱ τρεῖς Τυνδαρίδαι, Κάστωρ, Ἑλένη, Πολυδεύκης” (“I tre Tindaridi, Castore, Elena, Polluce”; Antologia Palatina, 16, 76; per il testo greco vd. Conca – Marzi – Zanetto 2005-2011, vol. III, p. 394).

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stenza siamo informati dallo stesso autore per il tramite delle allusioni che ne fa nelle lettere 101 e 154. Perduto pare anche un trattato matematico che Sinesio cita in A Peonio, sul dono, 5. Esiste poi un commento allo Pseudo-Democrito, giuntoci peraltro in una versione incompleta, scritto sotto forma di dialogo e intitolato A Dioscoro sacerdote del gran Serapeo d’Alessandria. In una pubblicazione del 1887131 i due studiosi francesi Marcellin Berthelot e Charles-Émile Ruelle si sono sforzati di far coincidere il suo autore, un altrimenti ignoto Sinesio alchimista, con il filosofo di Cirene.132 Sebbene la datazione dell’opera sia molto incerta, l’ipotesi più probabile è che essa risalga a un’epoca anteriore alla distruzione del Serapeo; a un periodo, quindi, in cui il nostro Sinesio non aveva nemmeno iniziato la propria formazione alessandrina presso la scuola neoplatonica di Ipazia. Per quanto la questione non sia stata definitivamente risolta,133 non si può tuttavia ignorare il fatto che nessun alchimista bizantino presenti il Sinesio autore del commento allo Pseudo-Democrito come il filosofo di Cirene.134

4.1. Lettere L’epistolario è il lascito che più ha garantito a Sinesio la notorietà presso i posteri. Per tutto il millennio bizantino le sue lettere furono intensamente copiate, studiate, commentate.135 L’arco 131

 Berthelot – Ruelle 1887.  Cfr. Lacombrade 1951a, pp. 67-68. 133  Si dichiara assolutamente contrario Lacombrade (ivi, pp. 64-71). Risulta più possibilista Garzya (Garzya 1989, pp. 13, 33), il quale sottolinea il fatto che il Sinesio alchimista sarebbe stato inventore di uno strano modello di alambicco, proprio come il Sinesio filosofo fu tra coloro che realizzarono, su istruzioni di Ipazia, dei macchinari, in particolare un idroscopio (lettera 15) e – probabilmente – un astrolabio (A Peonio, sul dono, 4). Esiste poi la linea di pensiero sostenuta da Alan Cameron e Jacqueline Long (Cameron – Long 1993, pp. 52-54), che vede nel Sinesio alchimista né un omonimo anteriore né l’allievo di Ipazia in persona, bensì una voluta quanto indebita attribuzione posteriore. 134  Martelli 2011, pp. 117-118. Per una breve introduzione al Sinesio alchimista, vd. Martelli 2016. 135  Oltre che dagli autori bizantini, le epistole di Sinesio furono più o 132

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cronologico da queste coperto va all’incirca dal 395 alla morte dell’autore. L’intero epistolario ammonta a centocinquantasei missive, sebbene alcune non siano altro che dei semplici biglietti.136 Come abbiamo avuto modo di accennare – e talvolta di citare – in precedenza, è attraverso le lettere che Sinesio ci informa degli eventi principali della sua vita, dal rapporto con Ipazia e con i suoi compagni ad Alessandria, fino ai due viaggi ad Atene e a Costantinopoli, quindi alla consacrazione al soglio episcopale di Tolemaide. Non siamo in grado di stabilire con certezza se fu lo stesso autore a dare alle lettere l’ordine attuale, che è poi quello trasmessoci dal ramo principale della tradizione,137 ma siamo portati a escludere questa ipotesi, causa la pressoché totale assenza di un criterio ordinatore.138 Come notato da Antonio Garzya, solo il gruppo delle lettere indirizzate a Erculiano (137-146) rappresenta un insieme coerente.139 I personaggi che più spesso compaiono come destinatari sono il fratello Evopzio (quarantuno lettere), l’amico Pilemene140 (sedici), i vecchi compagni presso la scuola neoplatonica alessandrina Erculiano (dieci) e il siriano Olimpio (otto), il patriarca di Alessandria Teofilo (otto), Ipazia141 (sette). meno letteralmente citate anche da Poliziano (assieme ai Racconti egizi, in genere ricorrendo all’ausilio ermeneutico di scoli greci: vd. per questo Megna 2020), Erasmo da Rotterdam e François Rabelais: Garzya 1989, pp. 60-61. 136  È il caso, ad esempio, delle lettere 63 e 64. 137  Vd. Garzya 1958 e Garzya 1973. 138  Non condividiamo in effetti la tesi promossa da Martin Hose (Hose 2003), poi ripresa da Henriette Harich-Schwarzbauer (Harich-Schwarzbauer 2012, Harich-Schwarzbauer 2020), Giuseppina Matino (Matino 2016) ed Edward Watts (Watts 2019), secondo cui il corpus delle epistole di Sinesio sarebbe il frutto di un’accurata e coerente progettazione letteraria (scettica nei confronti di questa tesi si dimostra invece Katharina Luchner: vd. Luchner 2010, p. 21), benché certamente non sia scorretto affermare che “Die „leitende Idee” über den Briefen ist die literarische Bildung” (Hose 2003, p. 141), in sostanziale accordo con le riflessioni poste da Sinesio nel Dione (vd. infra). 139  Garzya 1989, p. 60. Per questo insieme di lettere vd. anche Schmitt 2001, pp. 497-563; Seng 2020b, pp. 30-35. 140  Per un’analisi di questo gruppo di epistole vd. Schmitt 2001, pp. 388-496. 141  Per una lettura delle missive in cui la maestra è evocata, o che sono a lei indirizzate, vd. Seng 2020b, pp. 39-49.

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Al di là dell’interesse letterario e più propriamente storico, le lettere sanno offrire anche alcuni momenti di lettura leggera, presentando degli scorci immediati di realtà – benché senza dubbio letterariamente rielaborati –, come ad esempio il celebre viaggio per mare della lettera 5, in cui Sinesio racconta al fratello di uno scampato naufragio:142 L’antenna scricchiolava e noi cercavamo di tendere gli stralli della nave, ma allora quella si spezzò a metà e per poco non ci uccise tutti. Ma invece di causare la nostra morte questo incidente ci salvò, perché altrimenti non avremmo potuto sopportare la violenza del vento. Infatti, la vela si manovrava ancora con difficoltà e non era facile far ruotare le sartie per ammainarla. Così dunque, liberatici, contro ogni aspettativa, della violenza insaziabile della tempesta, continuammo a navigare il giorno e la notte seguente. Quando di questa fummo al secondo canto del gallo, ci trovammo a nostra insaputa nei pressi di una piccola sporgenza rocciosa del litorale, delle dimensioni di una modesta penisola.

Oppure, come la descrizione dell’abbigliamento di una giovane promessa sposa: Eschine era già stato sepolto da due giorni quando sua nipote è venuta per la prima volta alla tomba (suppongo quindi che non usi che le promesse spose seguano un corteo funebre). Ma anche allora portava una veste rossa, con una rete trasparente sulla testa e aveva dei monili d’oro e pietre preziose appese alle orecchie e disposte su tutto il corpo, perché il suo aspetto non fosse di cattivo augurio per lo sposo.143

4.2. All’imperatore, sul regno All’imperatore, sul regno è il primo dei tre opuscula di Sinesio riconducibile al soggiorno costantinopolitano. Ci viene presentato dall’autore come il discorso che pronunciò alla presenza di Arcadio nel corso della propria ambasceria, in occasione dell’of142

 La lettera è in verità cosparsa di molte citazioni omeriche e la sua stesura risulta tutt’altro che ingenua: cfr., a questo proposito, Pizzone 2006, pp. 97-117. 143  Lettera 3.

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ferta dell’aurum coronarium. Come detto, la datazione di questo evento è incerta, sebbene la più probabile sia il gennaio dell’anno 400.144 Pare difficile credere che Sinesio abbia effettivamente pronunciato alla presenza dell’imperatore e della corte il discorso nella sua versione integrale, così come ci è giunto. Si tenga conto, infatti, che per il retore Menandro il logos stephanotikos non doveva superare le duecento righe, mentre l’opera di Sinesio ne conta all’incirca milleduecento. In più, si è molto discusso145 del coraggio che l’autore avrebbe dimostrato in tale circostanza, rivolgendosi all’imperatore con una rudezza verbale che ricorda quasi quella di un filosofo cinico: Quando credi che l’impero romano abbia attraversato il suo periodo migliore? Forse da quando avete iniziato a rivestirvi di porpora e di oro, da quando vi adornate con pietre preziose provenienti da montagne e mari stranieri, che alcuni portate ai piedi, altri alla testa, altri appesi al corpo, altri incastonati, altri ancora come ornamento del seggio? Senza alcun dubbio costituite uno spettacolo estremamente policromo e vario, così come i pavoni [...].146

Eppure, è lo stesso Sinesio a dirci di aver pronunciato il discorso alla presenza di Arcadio (sebbene non si possa dire con sicurezza in quale versione) con una certa franchezza: [La divinazione onirica] mi consentì di pronunciare il discorso alla presenza dell’imperatore quanto più audacemente sia mai stato fatto presso i Greci.147

Come detto, Sinesio si recò a Costantinopoli – non sappiamo 144

 Vd. supra, 2.  Per ogni approfondimento su questo punto si rinvia a Lamoureux – Aujoulat 2008a, pp. 35-48. Alex Petkas (Petkas 2018, pp. 128-132) ha avanzato l’ipotesi che l’opera non sia stata concepita per essere veramente recitata alla presenza dell’imperatore, bensì letta dinanzi a un cenacolo ristretto di uditori, verosimilmente aderenti al partito di Aureliano. 146  All’imperatore, sul regno, 15. 147  Trattato sui sogni, 14. 145

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assieme a chi – inviato dal concilio provinciale della Pentapoli per ottenere un alleggerimento dell’imposta fiscale sulla regione. Arrivato in città, fu ricevuto dal prefetto del pretorio Aureliano, dal quale ottenne per se stesso, l’esenzione da ogni pubblico servizio, per la sua patria, la possibilità di espletare più agevolmente i propri doveri nei confronti del sovrano.148

Il discorso rivolto ad Arcadio, però, non ha nulla a che fare con l’incarico ufficiale che portò Sinesio nella capitale d’Oriente. In esso, l’autore espone piuttosto il ritratto del proprio sovrano ideale, seguace dei princìpi della filosofia,149 e non esita a presentare al giovane imperatore delle concrete proposte di riforma.150 In questo, come è stato giustamente notato,151 Sinesio non parla affatto da provinciale, ma da cittadino dell’impero, cui stanno a cuore le sorti della capitale non meno di quelle della propria regione. L’elemento centrale del discorso, infatti, è il nazionalismo e una forte polemica contro i Goti – che Sinesio chiama, qui e altrove, “Sciti”, ricorrendo al termine di ascendenza erodotea con 148  Così nei Racconti egizi, 1, 18, dove però Sinesio parla per allegorie. Probabilmente, in seguito, l’autore decise di non rinunciare al proprio contributo di curiale, ritenendo disonorevole approfittare personalmente di un servizio che aveva reso alla comunità con la propria ambasciata (vd. lettera 100; cfr. Roques 1987, p. 168). 149  Attraverso un percorso di imitazione della divinità (mimesis theou), l’imperatore ideale, secondo Sinesio, avrebbe potuto infine essere considerato a quella affine (homoios theo), esercitando la philanthropia: vd. Alvino 2019, pp. 36-43, 119-125; Nardiello 2021, in particolare pp. 17-66. Pur nel contesto teocratico proprio del dominato romano, l’autore tentò in quest’opera di porre un freno alla tendenza coeva di divinizzazione degli imperatori (per il concetto di regalità nel basso impero vd., fra gli studi più recenti, Gallina 2016, pp. 7-27). 150  Sebbene l’opera sia stata accostata al genere dello speculum principis (Garzya 1989, p. 15), si deve tenere presente che la definizione del Fürstenspiegel come genere letterario isolato è assai problematica da applicarsi alla letteratura greca medievale, ivi compresi i secoli della tarda antichità (Odorico 2009). 151  Lamoureux – Aujoulat 2008a, pp. 40-42. Gli studiosi si oppongono alla tesi di Gilbert Dagron (Dagron 1974, p. 205), secondo cui un discorso del genere, antibarbarico e nazionalista, sarebbe stato più facilmente pronunciato da un provinciale che da un cittadino costantinopolitano.

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cui a Bisanzio si sarebbero continuati a intendere, indifferentemente, tutti i popoli provenienti dalle steppe euro-asiatiche. In linea con il partito di Aureliano e dell’imperatrice Eudossia, ostile ai Germani, il nostro autore suggerisce al sovrano un’immediata eliminazione della componente barbarica dai settori più importanti della società, soprattutto l’esercito; ma consiglia pure di evitare il fasto e l’isolamento dei recenti sovrani (anche invitando Arcadio a porsi personalmente alla guida delle truppe), nel tentativo di arginare almeno in parte la deriva teocratica del potere imperiale; infine, raccomanda un’oculata scelta degli uomini da inviare come amministratori nelle regioni lontane.152 A proposito dei Goti, Sinesio scrive: Il pastore [...] non deve assolutamente mescolare ai cani i lupi, neppure se li avesse raccolti quando erano ancora cuccioli e dovessero sembrargli addomesticati, salvo non fare un grave errore nell’affidamento del proprio gregge. Non appena noteranno, infatti, una qualche stanchezza o distrazione nei cani, i lupi assaliranno loro, il gregge e i pastori. Allo stesso modo, il legislatore non deve concedere armi a coloro che non sono nati e non sono stati allevati al di sotto delle sue leggi, giacché da parte di tali persone non possiede garanzia alcuna di lealtà. Soltanto un temerario o un visionario possono non avere paura nel vedere così tanti giovani, educati in maniera diversa e seguaci di propri costumi, svolgere compiti guerreschi all’interno del nostro territorio.153

Secondo quanto ci è dato di ricostruire, al principio del 400 la situazione nella Pentapoli non era ancora particolarmente caratterizzata dalla presenza dell’elemento barbarico, né in veste di invasore, né in veste di mercenario difensore (abbiamo visto che, sebbene le migrazioni dei Maceti e degli Ausuriani avessero avuto inizio nel 398, fu solo nel 405 che si aprirono realmente le ostilità). Viceversa, il discorso rivolto da Sinesio ad Arcadio descrive bene 152  Ai quali dovrebbe essere auspicabilmente legato da un sentimento di amicizia, secondo il modello platonico (cfr. Schramm 2017, in particolare pp. 171-172). 153  All’imperatore, sul regno, 19.

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l’atmosfera – evidentemente tesa – della capitale, dove di lì a pochi mesi si sarebbe instaurato il breve regime di Gainas, seguito dalla rivolta dei cittadini e dal massacro dei Goti. Molti passi del discorso All’imperatore, sul regno sarebbe stati ripresi e riformulati – assieme ad altri tratti dall’orazione dedicata da Temistio a Costanzo II – nella Bisanzio di fine X secolo in un encomio rivolto a Basilio II e attribuito a Leone Diacono.154

4.3. Racconti egizi, sulla provvidenza Questo opusculum, il secondo concepito da Sinesio a Costantinopoli, consiste in un resoconto in chiave allegorica degli eventi di cui l’autore fu testimone nella Polis. La premessa ci avverte che l’opera è stata redatta in due tempi: il primo libro racconta dell’ascesa e della caduta in disgrazia degli uomini onesti; il secondo, aggiunto in seguito, intende concludere la storia, rendendo a quelli giustizia e narrandone il ritorno alla fine della tirannide dei loro nemici. Il mito si presenta come la storia di due fratelli, Tifone – il maggiore – e Osiride, incarnazione, rispettivamente, del male e del bene. Anche l’ambientazione è fittizia: la Tebe egizia posta sul fiume Nilo non è altro che una rappresentazione di Costantinopoli, posta sullo stretto del Bosforo. Alla morte del padre, Osiride viene eletto nuovo sovrano d’Egitto. Il vecchio re, assunto in cielo con gli dèi, illustra al figlio la struttura del cosmo, suddiviso in due parti in continua lotta fra di loro, la materia in basso e il mondo divino e intelligibile in alto.155 Nonostante il buongoverno di Osiride, Tifone riesce a rovesciarne il regime e ad appropriarsi del potere. Non raggiunge però l’obbiettivo basandosi sulle pro154  Vd. Cresci 1997. Per il più generico influsso di questo opusculum di Sinesio, invece, su vari autori di età comnena (Cecaumeno, Teofilatto di Ocrida, l’anonimo del Digenis Akritas, Nicola Kataskepenos, l’anonimo delle Muse di Alessio Comneno), vd. Reinsch 2012. 155  È stato osservato che, al di là delle indubbie suggestioni neoplatoniche, l’autore potrebbe essere stato influenzato nella redazione di questo mito, ambientato appunto in Egitto, dalla lettura di alcuni testi ermetici (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 19; cfr. anche Feder 2012, p. 187).

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prie forze: è in realtà manovrato dalla moglie,156 che dà vita a una congiura contro il cognato, riuscendo a portare dalla propria parte – peraltro ricorrendo all’inganno – l’esercito scitico, contingente mercenario al servizio del regno. Il governo di Tifone è ovviamente l’antitesi di quello del fratello; ma non durerà a lungo. Un essere divino si manifesta a un filosofo straniero di stanza nella capitale d’Egitto e gli rivela l’imminente intervento degli dèi, a seguito dell’empia introduzione da parte di Tifone di un culto eretico in città. Nel secondo libro si racconta quindi la ribellione della popolazione di Tebe/Costantinopoli contro gli Sciti, che sono l’unico vero perno su cui si regge il potere di Tifone. Dopo poco tempo quest’ultimo cadrà e Osiride potrà tornare al suo posto. Molti studiosi si sono dedicati negli anni a cercare di svelare le due maschere principali del racconto. Se infatti è evidente che il filosofo straniero rappresenta Sinesio stesso, che gli Sciti sono i Goti, che il loro comandante è Gainas e che il culto eretico non è altro che l’arianesimo – praticato da molte tribù germaniche –, risulta più difficile dare un nome sicuro a Osiride e a Tifone. Accanto alla proposta di individuare nei due fratelli egizi i due imperatori Arcadio e Onorio,157 si è pensato di riconoscere in Osiride Aureliano e in Tifone o Cesario o Eutichiano, tutti quanti prefetti del pretorio negli anni attorno al 400.158 Al di là delle varie proposte,159 che si muovono sul filo della cronologia, la soluzione pare molto difficile – se non impossibile – da individuare, considerando che lo stesso Sinesio, nella conclusione del­ l’opera, afferma:

156  Questo fattore lo rende agli occhi di Sinesio quasi doppiamente colpevole, secondo un topos dell’invettiva (Cameron – Long 1993, pp. 276-277). 157  Vd. Hagl 1997. 158  Per il fatto che gli elementi allegorici del racconto sono chiaramente riferiti al potere imperiale e non a quello dei prefetti del pretorio (a partire dalla proclamazione), vd. Pizzone 2001. 159  Cfr. Schuol 2012, p. 136 ss. Per il metodo allegorico di Sinesio vd. Bernard 2012.

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Gli eventi che sbocciarono in precedenza, così come quelli che sono sbocciati nel corso degli ultimi mesi, si accordano alla perfezione con quanto è stato rivelato dal racconto [...]. Di cosa si tratti, però, non mi è in alcun modo lecito rivelarlo; ciascuno darà la propria lettura; gli uomini, le cui orecchie il mito frastornerà, si getteranno su questi racconti egizi per la brama di conoscere il futuro, cercando di trarne una dissimulata rassomiglianza con gli accadimenti presenti. Ma la verità del mito e la verità degli eventi non coincidono perfettamente fra di loro.160

Quello che vale la pena sottolineare a nostro avviso è piuttosto il fatto che i Racconti egizi rappresentano un singolare mélange tra un resoconto allegorico di eventi di cronaca e un trattato filosofico. A questo proposito, in seno all’ispirazione neoplatonica, si riscontrano notevoli influenze stoiche, come la dottrina finale dei cicli universali e dell’eterno ritorno. Viceversa – come è stato notato161 –, a dispetto della dualità descritta, non emergono degli influssi chiaramente riconducibili allo gnosticismo e al manicheismo, poiché risulta assente un reale scontro tra forze contrapposte. Il dualismo presentato non è infatti perfettamente simmetrico; soprattutto, sia il male che il bene paiono guidati da una provvidenza superiore, che rende ineluttabile l’uno (Tifone dimostra di non avere facoltà di libero arbitrio) e corregge, anche suo malgrado,162 l’altro. Certo, dal punto di vista letterario, il male possiede uno spessore molto maggiore del bene; basti pensare alla moglie di Tifone, che è un personaggio a tutto tondo, con una marcata identità, se confrontato con la moglie di Osiride, che è poco più di un’ombra.163 Eppure, allo stesso modo, il regista della commedia 160

 Racconti egizi, 2, 7.  Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 89. 162  Osiride infatti, al contrario del fratello, dimostra di disporre di libero arbitrio. Ad esempio, decide sua sponte, peraltro contro le raccomandazioni del padre e degli dèi, di non esiliare il fratello, causando indirettamente la propria rovina e il regno di Tifone; la provvidenza, però, alla fine interverrà per ristabilire l’ordine gradito agli dèi. 163  Cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 90. Per il ruolo delle donne nei Racconti egizi, vd. Elm 1997. In generale per questa opera vd. Hose 2012. 161

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universale – come lo stesso Sinesio definisce la natura –, che è poi la provvidenza divina, muove le due maschere del bene e del male a suo totale piacimento, secondo il proprio, aprioristico e ineffabile, disegno.

4.4. A Peonio, sul dono Questo breve trattatello consiste, nella prima parte, in un omaggio alla persona di Peonio, che Sinesio scrive di considerare un valente militare e un vero filosofo; nella parte finale diviene invece la presentazione di un dono che l’autore intende offrirgli. Peonio è un personaggio per noi misterioso. L’ipotesi che potesse coincidere con il Conte citato nella lettera 142, sulla base del comune riferimento a un’abilità che si esprime tanto nell’arte della guerra quanto nella filosofia (che però pare un’espressione formulare), è da considerarsi superata.164 Tutto quello che possiamo dire sull’identità di Peonio è quanto ci riferisce Sinesio stesso, in chiusa alla lettera 154: Per ottenere il numero perfetto, aggiungo il discorso Sul dono, che risale a diverso tempo fa, all’epoca della mia ambasciata, e che dedicai a un potente personaggio vicino all’imperatore; e dal discorso e dal dono, la Pentapoli ha ottenuto qualche vantaggio.

È chiaro dunque che Sinesio conobbe Peonio a Costantinopoli; si trattò quasi certamente di un potente militare, che il nostro autore riuscì a ingraziarsi per mezzo del suo discorso e del suo dono. Non sappiamo con esattezza in cosa consistesse quest’oggetto: ci è noto soltanto che si trattava di uno strumento astronomico in argento, con incisi in oro due epigrammi, uno di Tolomeo e uno dello stesso Sinesio. L’autore ne fa una descrizione sommaria, rivelandoci però che aveva appreso a costruirlo da Ipazia. Lo studio dell’astronomia, in effetti, non aveva alla scuola alessandrina una valenza meramente tecnica, ma addirittura esoterica e sacrale. Scrive Sinesio: 164

 Cfr. Roques 1987, p. 258.

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L’astronomia è di per sé una scienza illustre, ma può forse servire ad ascendere a qualcosa di più alto: a mio avviso, è il tramite più appropriato per accostarsi all’ineffabile teologia.165

Varie ipotesi sono state formulate a proposito di questo strumento astronomico: si è pensato, principalmente, a un planisfero celeste, oppure a un astrolabio. Questa seconda opzione pare più probabile, in quanto Niceforo Gregora, erudito bizantino del XIV secolo, afferma in due sue lettere di essersi basato sulle indicazioni di Sinesio per redigere il suo Trattato sulla costruzione dell’astrolabio.166 Gregora considera inoltre Sinesio il primo, dopo Ipparco, ad avere studiato la proiezione di una sfera su un piano – secondo quanto riferisce il filosofo di Cirene proprio nel discorso A Peonio –, omettendo però del tutto il probabile apporto di Ipazia.167

4.5. Elogio della calvizie La datazione di quest’opera risulta quanto mai incerta e molte sono le ipotesi avanzate dagli studiosi nel corso del tempo.168 In sintesi, si possono riassumere i dati più significativi. È assai probabile che l’Elogio della calvizie sia precedente al matrimonio di Sinesio,169 poiché l’autore scrive: Che ingiustizia ho compiuto io per apparire più sgradevole alle donne? Poco male se si tratta delle donne a me prossime [...]. Ma anche la madre, ma anche le sorelle, si dice, prestano una qualche attenzione alla bellezza dei maschi di famiglia.170

Come si nota, non vi è alcun accenno alla moglie. In più, si ha un probabile riferimento a quest’opera nell’epistolario, nella lettera 1, 165

 A Peonio, sul dono, 4.  Si tratta delle lettere 114 e 148 dell’edizione Leone 1982. 167  Cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 171. 168  Vd., per questo, anzitutto, Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 1-10. 169  Come già notato da Henri Druon (Druon 1878, p. 176, n. 3). 170  Elogio della calvizie, 1. 166

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che pare una dedica dell’Elogio della calvizie al letterato Nicandro, conosciuto a Costantinopoli. Quest’elemento, però, non può risultare decisivo, per due motivi: anzitutto, non si ha la certezza che Sinesio stia alludendo proprio a quell’opera; in seconda battuta, come è stato scritto,171 non è affatto detto che la redazione della lettera sia cronologicamente prossima a quella dell’opusculum. In tempi assai recenti, poi, Filip Horáček ha ritenuto di collocare cronologicamente la redazione dell’Elogio della calvizie fra il 403 e l’inizio del 405, fornendo due argomenti a sostegno del proprio terminus post quem e tre di quello ante quem.172 Se nel secondo caso le considerazioni dello studioso ceco risultano a nostro avviso assolutamente condivisibili (la scrittura dell’Elogio della calvizie è precedente allo scoppio della guerra contro i Maceti e gli Ausuriani, risale a un periodo ancora spensierato della vita di Sinesio ed è prossima alla redazione del Dione173), per quanto riguarda la definizione del terminus post quem, le sue argomentazioni non ci paiono risolutive. Egli propone infatti di riconoscere nell’opera scherzosa inviata da Sinesio a Pilemene assieme alla lettera 74 proprio l’Elogio della calvizie, escludendo tutti gli altri opuscula, comprese le Cinegetiche. Per fare questo, però, si basa su di una lettura errata dell’epistola 154, ritenendo che Sinesio consideri le Cinegetiche un’opera in versi,174 mentre in realtà in quel passo il nostro autore cita – assieme alle Cinegetiche – delle sue differenti composizioni poetiche, probabilmente degli inni.175 Il secondo argomento di Horáček è che Sinesio fosse già sposato al momento della redazione dell’Elogio della calvizie. Per dimostrarlo, lo studioso 171

 Cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 4.  Vd. Horáček 2019. 173  Per quest’ultimo punto, Horáček si basa essenzialmente su uno studio di Helmut Seng (Seng 2006a): cfr. Horáček 2019, p. 894 ss. 174  “Die Identifizierung von Κυνηγετικαί und dem unbekannten Buch ist jedoch unmöglich, denn das Jagdbuch war ausdrücklich poetischer Natur (τινα τῶν ἐκ ποιητικῆς ... ἔχοντα, Ep. 154, 16), während die versandte Schrift ein λόγος war und überdies in dem für zeitgenössische Dichtung nicht gewöhnlichen attischen Dialekt (ἀττικουργής, Ep. 74, 1)”: ivi, p. 885. 175  Vd. infra. 172

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ritiene il passo in cui Sinesio fa allusione alle donne a lui prossime176 (da noi poco sopra citato) come un parallelismo retorico a quanto l’autore scrive più avanti nell’opera: [...] Quelle per le quali noi ci esponiamo ai pericoli in combattimento, per evitare che siano violentate, intendo le nostre figlie e le nostre mogli [...].177

Horáček abbina peraltro questo passaggio alla lettera 132, in cui Sinesio descrive al fratello le operazioni di ronda notturna da lui compiute, assieme ad altri, proprio per vegliare sulla sicurezza delle donne contro le incursioni dei nemici.178 Come detto in precedenza, tuttavia, il passo del primo capitolo dell’Elogio della calvizie ci pare più probabilmente implicare il contrario; quello del ventunesimo, invece, deve essere considerato più verosimilmente come un’espressione retorica generica, poco accostabile a quanto Sinesio confida al fratello nella lettera 132, in cui l’autore si dimostra molto preoccupato per la sorte della moglie e del suo unico – a quella data – figlio maschio.179 Complesso, per di più – e per le stesse ragioni portate in seguito da Horáček180 –, ritenere la redazione dell’Elogio della calvizie assai prossima a quella della lettera 132, senz’altro databile al 405 inoltrato, in una fase ormai tutt’altro che spensierata della vita di Sinesio. Se, insomma, alcuni elementi indiziari per la datazione possono essere assunti, resta, a nostro parere, una complessiva incertezza. Quello che si può aggiungere è che il tono dell’Elogio della calvizie pare molto prossimo a quello della lettera 104, in cui Sinesio racconta al fratello l’episodio di un certo Giovanni, stigmatizzato come “capelluto”, che avrebbe dimostrato tutta la sua codardia nel corso di una scaramuccia con dei predoni del deserto. Se davvero si trattava di un contingente di Maceti o Ausuriani, come 176

 Elogio della calvizie, 1.  Ivi, 21. 178  Un passo di questa lettera è stato già citato anche in questa Introduzione: vd. supra, 2. 179  Come sappiamo, inoltre, Sinesio non ebbe mai delle figlie femmine. 180  Horáček 2019, pp. 890-893. 177

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pare probabile, allora è verosimile che l’opera sia stata redatta in Cirenaica o alla vigilia (398) o all’indomani (dopo il 402) del soggiorno costantinopolitano di Sinesio, comunque in seguito all’inizio delle migrazioni di quei popoli e prima dello scoppio vero e proprio delle ostilità (successivo al matrimonio dell’autore). L’opera in questione rientra nel genere letterario dell’elogio – in questo caso paradossale –, molto praticato dai retori della Seconda Sofistica. Nasce infatti come risposta semiseria al discorso intitolato Elogio della chioma181 di Dione di Prusa detto Crisostomo, retore vissuto a cavallo fra il I e il II secolo d.C. L’elemento più peculiare dell’opera, che ci preme sottolineare, è che in essa, in mezzo ai numerosissimi artifici retorici e accanto agli aspetti più leggeri e giocosi, si ritrovano sparse riflessioni profonde, come nel caso dell’ottavo capitolo, dedicato al tema cosmologico.182 Ci pare dunque che, al di là della cronologia, l’Elogio della calvizie vada inteso come una sorta di prova generale – ancora, se si vuole, per molti aspetti immatura – di quella forma di scrittura esoterica la cui elaborazione teorica Sinesio doveva avere appreso alla scuola alessandrina e che riuscirà a esprimere compiutamente soltanto con il Trattato sui sogni. Il Dione, come vedremo, sarà il manifesto di questo suo modo di intendere la scrittura.183 Vale la pena, da ultimo, di accennare al fatto che ci è pervenuto pure un più tardo Elogio della chioma, attribuito all’erudito bizantino di età paleologa Giorgio di Cipro, poi divenuto patriarca con il nome di Gregorio II.184 Il testo, forse incompleto, fu redatto in risposta polemica all’opera di Sinesio.185 181  Questo discorso, oltre a non esserci giunto (sebbene Sinesio ne faccia una citazione), non ci è neppure altrimenti attestato. Per la questione, ad ogni modo, rinviamo a Elogio della calvizie, 1. 182  Per questo capitolo Garzya è ricorso al termine excursus (Garzya 1989, p. 17, 22), concependolo come avulso dal resto dell’opera; questa lettura è stata però contestata da Aujoulat (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 24). 183  Si tenga presente, a questo proposito, l’articolo Toulouse 2011-2012. 184  Pérez Martín 1996, pp. 362-397. 185  Vd. Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 33-46. Gli studiosi francesi ritengono l’opera anonima, ma dimostrano anche di non conoscere la citata monografia di Inmaculada Pérez Martín.

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4.6. Dione, su come vivere secondo il suo modello Il Dione è un’opera dedicata da Sinesio al figlio primogenito. Si legge: Mi sono ritrovato a scrivere queste cose su Dione per il mio futuro figlio, giacché la profezia della nascita mi giunse proprio nel periodo in cui stavo leggendo i suoi vari discorsi. Mi sento già padre e ho già il desiderio di stare con lui e insegnargli tutte quelle cose su cui mi risulta gradito riflettere circa ciascun scrittore e opera letteraria, presentandogli gli autori più cari, ognuno accompagnato da un rispettivo giudizio: tra questi vi è senz’al­tro Dione di Prusa, uomo straordinario nel parlare e nel conoscere.186

Per quanto riguarda la cronologia, dunque, possiamo collocarlo nel 404, considerando che Esichio era già nato allo scoppio della guerra contro i Maceti e gli Ausuriani, come apprendiamo dalla lettera 132. Al 404-405 risale pure la lettera 154 a Ipazia, in cui Sinesio afferma di avere appena finito di redigere il Dione e il Trattato sui sogni, dei quali domanda alla maestra l’opportunità di una pubblicazione. Le due opere sono state dunque vergate – e a nostro avviso anche concepite – assieme. Nella medesima lettera a Ipazia Sinesio chiarisce che il Dione è stato scritto anzitutto in risposta a dei suoi detrattori, che lo avrebbero attaccato a seguito della lettura delle Cinegetiche, accusandolo di essere un sofista “adatto solo alle bazzecole”. Questi uomini si dividono in due categorie, ovvero “certi col mantello bianco e altri col mantello nero”. Si è molto discusso a proposito dell’esatta identità di questi personaggi;187 ad ogni buon conto, si tende a concludere – anche basandosi sulla lettera 147 – che si sia trattato nel primo caso di alcuni filosofi neoplatonici, nel secondo di monaci cristiani.188 Sinesio accusa gli uni 186

 Dione, 4.  Cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 101-103, per una sintesi. 188  Benché sia stata difesa pure l’ipotesi che il riferimento fosse a dei filosofi cinici, specialmente sulla base della diversa considerazione che Sinesio dimostra di avere avuto, nel Dione (vd., rispettivamente, 7-9 e 10), dei monaci cristiani – appellati “Barbari” – e di altri personaggi, senz’altro da assimilare ai detrattori “col mantello nero”, ma per alcuni commentatori appartenenti a una cate187

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per la loro alterigia di maniera, la cui condanna di tutto ciò che è forma espressiva tradirebbe una sostanziale vacuità filosofica; gli altri per il loro continuo predicare rozzo e ignorante. A entrambi il nostro autore contrappone l’esoterismo platonico, rappresentato da Socrate, che si fa quasi allegoria di quella paideia, di quella cultura, “ellena” – al tempo stesso letteraria, retorica e speculativa – che Sinesio desidera trasmettere in eredità al proprio figlio.189 Con lui [mio figlio] intendo sia giocare sia essere serio. Poiché desidero che anche lui diventi abile in entrambi i campi, che sia “un buon dicitore di parole e un conoscitore degli enti”.190

Sinesio, dunque, auspica che Esichio diventi un buon Elleno, un uomo di cultura, un autentico filosofo, certamente elitario, ma capace di occultare la propria sapienza dietro eleganti artifici, goria diversa, quella, appunto, dei cinici (vd. su questo, da ultimo, Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 425-426, n. 19). È stata poi di recente avanzata la proposta di riconoscere nei detrattori “col mantello nero” dei monaci origenisti, sulla base della comparazione delle parole di Sinesio con alcune lettere festali di Teofilo risalenti ai primissimi anni del V secolo (vd. Pizzone 2012). Il patriarca alessandrino, che in un primo tempo aveva appoggiato l’origenismo, vi era entrato infatti in forte contrasto proprio in quel periodo, dando origine alla questione dei “Fratelli lunghi” (cfr. lettera 67). Recentemente si è anche proposto di riconoscere nei detrattori “col mantello bianco” ancora dei cristiani, solo superficialmente letterati e dunque privi di vera e propria paideia (Petkas 2020, pp. 13-15); eppure, a una lettura attenta della lettera 154 pare in effetti più probabile che Sinesio si riferisca a dei filosofi, la cui maggiore colpa – tendenziosamente intesa come copertura di una scarsa attitudine alla materia – consiste nel non accettare la comunicazione, benché in forma esoterica, di precetti speculativi. Ancora a proposito dei detrattori “col mantello bianco”, Ilinca Tanaseanu-Döbler ha proposto un’identificazione di questi con dei filosofi neoplatonici della scuola di Atene (Tanaseanu-Döbler 2014, p. 155); questa proposta è stata avallata di recente da Seng (Seng 2020a, pp. 268-271), il quale ha ipotizzato che Sinesio nel Trattato sui sogni, laddove prende le distanze da certe pratiche teurgiche, intendesse polemizzare proprio con degli allievi di Plutarco di Atene (cfr. lettera 136). 189  Per la finalità formativa dell’utilizzo delle opere di Dione di Prusa da parte di Sinesio, soprattutto nel Dione e nell’All’imperatore, sul regno, vd. Menchelli 2017. 190  Dione, 15.

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senza dissimularla in un austero mutismo. La produzione letteraria, dunque, è concepita come un’attività dal risvolto filosofico decisamente profondo – si direbbe etopoietico, per citare Michel Foucault.191

4.7. Trattato sui sogni Se nel Dione Sinesio aveva esposto la sua idea di cultura, nel Trattato sui sogni tentò di applicarla. Lo dice lui stesso nella premessa: Credo che sia antico, e soprattutto platonico, l’uso di occultare le questioni filosofiche importanti sotto l’apparenza di argomenti più leggeri, così che gli uomini non perdano di nuovo quanto conquistato a fatica e le dottrine non vengano contaminate, come accadrebbe se fossero accessibili ai non iniziati. Questo, dunque, è quel che più mi sono sforzato di ottenere nel presente trattato.

Questa operetta – che si presenta come un libello retorico sul tema dell’oniromanzia – è allora il risultato più felice di un percorso di scrittura, inteso come coniugazione di filosofia e retorica, inseguito in una certa misura nei Racconti egizi, palesato nell’Elogio della calvizie e forse – con esiti più incerti – nelle Cinegetiche, apprezzate dall’amico Pilemene e dagli Elleni della Libia,192 ma attaccate dai “Telchini”193 in abito bianco e in abito nero. Quest’opera è l’unico vero trattato filosofico di Sinesio. In questo senso, è quindi forse anche la più importante. Tra le sue pagine, come rivelato dall’autore nella lettera 154 a Ipazia, si trovano addirittura alcune “dottrine non ancora affrontate dalla filosofia degli Elleni”. Eppure, l’aspetto è modesto. Anche nella lettera alla maestra, in cui si promette di presentare entrambe le opere inviate per un giudizio, al Trattato sui sogni non sono dedicate che poche righe 191

 Cfr. Munarini 2016, pp. 176-177.  Vd. lettera 101. 193  Così Sinesio denomina i propri detrattori nella lettera 154. Propriamente si trattava di demoni del mito, ma già Callimaco, nel primo libro degli Aitia, era ricorso a questo termine per indicare in tono polemico chi lo criticava. 192

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conclusive, mentre al Dione e alla discussione della sua genesi e del suo contenuto era stata assegnata la quasi totalità della missiva. Lo stesso Sinesio, però, aveva detto: Chiunque non sia poco esercitato a cogliere dei tratti divini nascosti al di sotto di un aspetto piuttosto modesto, come facevano gli artisti ad Atene, che coprivano Afrodite e le Cariti e tali bellezze divine con statue di Sileni e di Satiri, non mancherà di notare che la mia scrittura contiene molte sacre dottrine, che sfuggiranno invece agli altri perché camuffate e perché disseminate in modo assolutamente casuale e, si direbbe, ingenuo all’interno del discorso.194

Dell’operetta dedicata ai sogni, in effetti, si dice nella lettera soltanto che è stata scritta interamente sul finire di una notte, a seguito di un sogno divino. Lo stesso trattato sarebbe stato ispirato dalla divinità e Sinesio si sarebbe limitato a prestare lo stilo. Il tema centrale dell’opera, sempre secondo la presentazione dell’autore, sarebbe il concetto di immaginazione, già affrontato, seppure con delle differenze, da alcuni filosofi neoplatonici, in particolare da Porfirio.195 Partendo dunque dall’analisi delle immagini oniriche, tra le quali alcune – secondo Sinesio, in accordo con la tradizione antica – capaci di svelare il futuro,196 si giunge a trattare della psicologia umana, in particolare della capacità cognitiva.197 Discepolo dell’emanatismo platonico, Sinesio sostiene che l’essere dimori nel pro194

 Lettera 154.  Per il concetto di immaginazione nel neoplatonismo e in particolare in Sinesio, vd. anzitutto Aujoulat 1988, Di Pasquale Barbanti 1998 e Sheppard 2014. Ma in generale per una lettura attenta del Trattato sui sogni, tenere presente la traduzione commentata di Davide Susanetti (Susanetti 1992), nonché Susanetti 2020, pp. 89-115. 196  Vd. Neil 2021, pp. 81-84. Peraltro, si consideri che la concezione dei sogni di Sinesio può essere accostata soltanto, in seno alla patristica, a quella di Atanasio di Alessandria (Neil 2015, pp. 31-35). 197  Per un’analisi del contenuto del Trattato sui sogni e per le divergenze nell’approccio al tema onirico tra Sinesio e i pensatori antichi e bizantini, rinviamo a Monticini 2017. Per un approfondimento sulle principali dottrine filosofiche riposte nell’opera, si veda pure Wagner 2019. Si consulti, per il rapporto fra il trattato di Sinesio e l’Onirocritica di Artemidoro di Daldi, anche Perrin 1999. 195

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fondo dell’intelletto, giungendo per il tramite dell’anima e del suo rivestimento, definito “spirito immaginativo”, a plasmare e a vivificare la materia.198 Eppure, la fine della caduta può anche farsi premessa di nuova ascesa: per quelle anime che compiano il loro ciclo terreno con una sola incarnazione, rifiutandosi di bere l’acqua del Lete di platonica memoria,199 rispettando la legge di natura200 ma dimostrandosi insensibili alle lusinghe del mondo materiale, possono dunque aprirsi scenari inediti, come la possibilità di conservare nella risalita certi elementi della propria individualità terrena, secondo alcune suggestioni caldaiche.201 Il Trattato sui sogni è stato l’unico opusculum di Sinesio ritenuto degno di un commento sistematico a Bisanzio. In particolare, dopo avere conosciuto una qualche fortuna nell’XI secolo,202 divenne oggetto di uno studio puntuale nella Costantinopoli dei primi imperatori Paleologi, per l’esattezza tra gli anni venti e trenta del XIV secolo.203 Più tardi, in Occidente, sarebbe stato tradotto in latino, a distanza di alcuni decenni, da Marsilio Ficino204 e Giovanni Cornario; sarebbe stato ripreso da Gerolamo Cardano nel suo Synesiorum somniorum omnis generis insomnia explicantes libri IIII. 198

 Vd. Tanaseanu-Döbler 2014. Vd. pure Aujoulat 1983-1984.  Ovvero l’acqua del fiume dell’oblio con cui si disseterebbero, secondo il mito di Er narrato nel decimo libro della Repubblica di Platone, le anime in procinto di reincarnarsi. 200  Cioè la necessità, definita da Sinesio “legge di Adrastea” (Trattato sui sogni, 8). 201  In particolare il frammento 158 (tutti i riferimenti agli Oracoli Caldaici presenti in questo volume si basano sull’edizione des Places 1971): Trattato sui sogni, 9. Per la questione, si veda in primis Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 222 ss., e Seng 2006b, pp. 854-860. 202  Nell’opera di Michele Psello e del suo allievo Giovanni Italo (vd. su questo Pizzone 2006, pp. 154-167). 203  Quando fu commentato da Niceforo Gregora (cfr. Pietrosanti 1999; Monticini 2023) e, parzialmente, da un erudito della famiglia degli Eudaimonoioannes (cfr. Monticini 2021, in particolare pp. 125-131). 204  Vd. Moreschini 2016. Per alcuni echi di testi di Sinesio in Ficino e Pico della Mirandola vd. Munarini 2019. 199

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4.8. Catastasi Molto è stato scritto sul perché la tradizione ci abbia trasmesso questi due pezzi retorici civili sotto la dizione di “catastasi”.205 In retorica, propriamente, la catastasi è la parte narrativa di un discorso. Nel caso di Sinesio, però, il termine sembra piuttosto da intendersi come complementare a diegesis: se questa infatti consiste nel resoconto neutro di un fatto, la katastasis si definisce come un’interpretazione dello stesso, ovvero come un discorso mirato a predisporre l’uditorio a una lettura tendenziosa dell’evento. Ad ogni modo, la catastasi minore fu pronunciata da Sinesio dinanzi al concilio provinciale della Pentapoli, a Tolemaide, nei primi mesi del 411. L’autore era già stato eletto vescovo, ma non aveva ancora ricevuto la consacrazione dal patriarca Teofilo ad Alessandria. Sinesio si congratula col governatore militare Anisio che, alla guida di un piccolo contingente di Unnigardi, è riuscito a mettere in fuga i nomadi. Si propone di inviare subito al prefetto del pretorio a Costantinopoli la richiesta di ulteriori uomini,206 assieme a una proroga del mandato di Anisio. Nessuna delle due istanze sarà però accordata. La catastasi maggiore fu pronunciata ugualmente dinanzi al concilio provinciale e ancora nel 411, alcuni mesi dopo la minore (trattandosi di un evento ordinariamente a ricorrenza annuale, è stato ipotizzato che si trattasse di una seduta straordinaria 207). Anisio è stato rimpiazzato da Innocenzio; si lamenta il fatto che i Barbari siano tornati all’attacco, devastando la Pentapoli e rendendo inermi anche i valorosi Unnigardi.

4.9. Omelie Di Sinesio ci restano anche due omelie, databili entrambe al 412, quando l’autore aveva già assunto le vesti di metropolita. Si trattava, propriamente, di spiegazioni che il vescovo apportava per i 205

 Per una sintesi, vd. Lamoureux – Aujoulat 2008b, pp. 193-194.  Cfr. lettera 78. 207  Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 201. 206

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fedeli a seguito della lettura, in genere effettuata dal diacono, di alcuni passi delle Scritture. La prima omelia intende interpretare in senso allegorico un versetto del Salmo 74, che a una mera analisi letterale risulta, per stessa ammissione di Sinesio, incomprensibile. È stato giustamente notato208 che la spiegazione che il nostro autore apporta – intrisa di concetti filosofici – non solo doveva risultare alquanto complessa per il fedele semplice, ma pone come fine supremo della parola di Dio l’intelletto dei neoplatonici.209 La seconda omelia si compone di due parti completamente avulse fra di loro. La prima è un discorso rivolto ai neobattezzati in occasione della vigilia di Pasqua. La seconda, invece, è una sezione di un discorso in cui si lamenta il comportamento degli abitanti di Leontopoli, città del delta del Nilo, in merito alla vendita dell’acqua. Non è nota la ragione per la quale la tradizione manoscritta abbia giustapposto questo testo all’omelia di Sinesio. Non si tratta quasi certamente di un pezzo autentico, risultando davvero molto arduo spiegare il motivo per il quale il nostro autore, nelle vesti di curiale o vescovo, comunque cirenaico, avrebbe dovuto interessarsi di questioni territoriali egiziane, distanti centinaia di chilometri dalla Pentapoli.

4.10. Inni La produzione poetica di Sinesio ammonta a nove inni. In verità, la tradizione manoscritta ce ne tramanda dieci, ma l’ultimo è senz’altro spurio, essendo stato redatto da tale Giorgio, detto “Scellerato” sulla base dell’epiteto che egli stesso si attribuisce al quinto verso del componimento.210 I nove pezzi autentici sono molto vari sia dal 208

 Ivi, p. 186.  Elemento notato anche da Bregman (Bregman 1982, pp. 165-166). 210  Secondo un’interpretazione che risale a Nicola Terzaghi (Terzaghi 1938), Giorgio lo Scellerato sarebbe stato un copista bizantino, vissuto verosimilmente nel X secolo, che avrebbe apposto questo suo componimento in vece di subscriptio alla raccolta innodica di Sinesio (cfr. anche Garzya 1989, p. 798, n. 1). Idalgo Baldi ha invece di recente proposto di considerare Giorgio come un vero e proprio monaco poeta imitatore di Sinesio, a lui non molto posterio209

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punto di vista metrico che per la loro lunghezza (si passa infatti dai settecentotrentaquattro versi del primo inno ai trentasette del quarto; come si vedrà, anche questo fattore ha contribuito alla formulazione della recente ipotesi secondo cui la disposizione originale degli inni sarebbe stata molto diversa dall’attuale). Gli schemi metrici in uso sono ancora quelli antichi, basati sulla quantità vocalica: non compaiono esempi dei nuovi sistemi bizantini, basati sulla tonicità degli accenti.211 Tutti gli inni, a eccezione dell’ottavo, presentano grosso modo la struttura tradizionale, suddivisa in adorazione e successiva supplica.212 Dal punto di vista linguistico, diversamente dalle opere in prosa, redatte in dialetto attico, questi componimenti sono tutti scritti in dorico, forse ancora compreso senza eccessivo sforzo dagli abitanti coevi della Cirenaica.213 Proprio per la loro complessità metrica e per la difficoltà linguistica, gli inni di Sinesio non conobbero una grande fortuna a Bisanzio;214 è molto improbabile che abbiano mai avuto un uso liturgico.215 In queste opere si riscontra una perfetta fusione di filosofia e poesia, tese, entrambe, ad avvicinare il mistero divino.216 I primi due componimenti sono principalmente dedicati al tema trinitare (V-VI secolo), considerato l’uso dei monometri anapestici. Il componimento di Giorgio lo Scellerato sarebbe stato dunque il prologo di una sua raccolta poetica oggi perduta, che in un’antologia innografica verosimilmente monastica avrebbe seguito la sezione di Sinesio (Baldi 2012a, pp. 151-157). 211  Per una descrizione della varietà metrica adottata da Sinesio negli inni, vd. Lacombrade 1978, pp. 22-25, e soprattutto Seng 1996, pp. 339-365; cfr. anche Gruber – Strohm 1991, pp. 34-35, e Baldi 2012b, p. 39. L’autore pare avere sempre composto poesie in metri antichi: come si ripeterà (vd. infra), nella lettera 141 Sinesio fa riferimento a un breve componimento in giambi e in chiusa all’opusculum A Peonio, sul dono (5) riporta quattro distici elegiaci. 212  Lacombrade 1978, p. 9. 213  Come parrebbero testimoniare alcune epigrafi, infatti, l’antico dialetto sarebbe in qualche modo sopravvissuto nella regione fino all’epoca imperiale (Garzya 1989, p. 20). 214  Nel XV secolo Giorgio Scolario, futuro patriarca di Costantinopoli con il nome di Gennadio II, ne parafrasò una parte (ivi, p. 54). 215  Ibidem. 216  Cfr. Lacombrade 1978, p. 10.

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rio. Tuttavia, la Trinità di Sinesio – nella quale non esiste alcun rapporto gerarchico fra le tre persone divine e la seconda di queste (ovvero la volontà del Padre di generazione del Figlio) assume i tratti femminili della madre – risulta alquanto distante sia dalla triade di Plotino (Uno-intelletto-anima), nella quale ogni ipostasi è ontologicamente inferiore, ovvero subordinata, a quella che la precede,217 sia dalla Trinità cristiana di Agostino218 e dei Padri cappadoci. In quest’ultima, infatti, la seconda persona, mediatrice, è il Figlio219 e, quanto al rapporto fra le ipostasi, si preferisce parlare di relazione anziché di effusione,220 come invece si riscontra in Sinesio: Nel Figlio ti sei effuso/ con la tua sapiente volontà,/ e quella volontà/ è germogliata, intermedia,/ indicibile natura.221

Su questo tema, dunque, il nostro autore pare dipendere piuttosto dalla Trinità degli Oracoli Caldaici,222 introdotta nella scuola neoplatonica quasi certamente da Porfirio.223 217

 Giacché ogni ipostasi generata è tale per partecipazione (cfr. Di Pasquale Barbanti 2008, pp. 430-431). Cionononostante, la seconda e la terza ipostasi di Sinesio mantengono i ruoli di intelletto e di anima del mondo tipici della triade plotiniana (ivi, pp. 427, 429). 218  Vd. Hadot 1993, p. 421. 219  Cfr. il saggio di Salvatore Lilla (Lilla 1997, pp. 176-177), per il quale la seconda posizione nella triade riconosciuta allo Spirito Santo non soltanto distanzierebbe Sinesio dalla teologia dei Padri del IV secolo, ma anche dalla tradizione cristiana delle origini. Per l’incompatibilità fra la Trinità di ascendenza caldaico-porfiriana, ripresa da Sinesio, e quella cristiana, cfr. anche Vollenweider 1985, pp. 119-124. 220  Ivi, p. 125 ss.; Toulouse 2016, p. 668. L’immagine dell’effusione delle ipostasi è caratteristica di Plotino, oltreché degli Oracoli Caldaici (Lilla 1997, p. 175). 221  Inno 1, vv. 217-221. 222  Anche il dio caldaico infatti, al pari di quello cristiano, è descritto come una triade: vi è il Padre, rappresentato come un fuoco immateriale, che è al tempo stesso anche Figlio o Intelletto (una figura creatrice accostabile al Demiurgo di Platone) ed Ecate o Potenza, una sorta di intermediario tra le prime due componenti (cfr. Majercik 1989, pp. 16-19). Per l’uso della terminologia caldaica negli inni, vd. Seng 1996, pp. 119-170 (in particolare, per le espressioni legate alla Trinità, pp. 130-135); per le espressioni riconducibili piuttosto alla tradizione cristiana, vd. pp. 277-292. 223  Per primo Willy Theiler (Theiler 1942), seguito da Pierre Hadot (Ha-

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Il terzo e il quarto inno sono dedicati piuttosto alla glorificazione del Figlio: Con la santa sorgente in sé generata,/ al di là delle ineffabili unità,/ il Dio immortale, illustre Figlio di Dio,/ solo Figlio emesso da unico Padre,/ coronerò coi sapienti fiori degli inni.224

Il quinto componimento è un inno mattutino con delle belle immagini astronomiche. Il sesto è dedicato all’Epifania e all’interpretazione allegorica dei doni dei Magi. Nel settimo inno Sinesio chiede la protezione divina per tutti i membri della sua famiglia. Nell’ottavo si fa riferimento alla discesa di Cristo negli inferi. Nel nono, infine, si riprende in sintesi il tema della Trinità; l’autore prega perché la sua anima possa ascendere fino a cogliere l’essenza di Dio: Orsù, anima mia, dissetandoti/ alla fonte da cui scorre il bene,/ supplicando il Padre,/ ascendi, non indugiare,/ lascia alla terra ciò che le appartiene;/ presto, unita al Padre,/ Dio, in Dio danzerai.225

Come accennavamo, un’analisi attenta del corpus degli inni consente di asserire che, con ogni verosimiglianza, esso non è mai stato organizzato dal suo autore nella forma che la tradizione ha trasmesso. Uno studio recente226 ha ipotizzato che il quadro sia in realtà molto più problematico e variegato di quanto non appaia a un primo sguardo: si potrebbe infatti, secondo questa linea di ricerca, circoscrivere un inno indipendente all’interno dell’inno 1, dal v. 549 al v. 734; il nono inno potrebbe concludersi al v. 127, dot 1993), ha ritenuto che Porfirio sia stato per la dottrina trinitaria il punto di riferimento comune a Mario Vittorino e a Sinesio (cfr. a questo proposito, per quanto riguarda Sinesio, Vollenweider 2012). In generale per la Trinità di Sinesio, vd. anche Garzya 1983, pp. 226-231 (= Garzya 1989, pp. 22-26), e Toulouse 2016, pp. 666-668. 224  Inno 4, vv. 1-5. 225  Inno 9, vv. 128-134. 226  Baldi 2012b.

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includendo poi l’incipit (vv. 128-134) di un diverso inno in gran parte andato perduto; forse anche l’inno 8 potrebbe essere suddiviso in due componimenti distinti (vv. 1-30 e vv. 31-71). Quanto alla cronologia, risulta quanto mai incerta: gli unici due riferimenti sicuri – entrambi interni –, che possono essere assunti come termini post quem, sono quello all’ambasciata costantinopolitana per il primo inno227 (vv. 428 ss.) e quello all’avvenuto matrimonio per il settimo (vv. 33-41). Si può poi intravedere nella più volte citata lettera 154 a Ipazia (404-405) un riferimento a (quantomeno) una prima edizione di alcuni inni.228 Infine, in due lettere all’amico Erculiano (141 e 143), databili entrambe grosso modo al 399, ovvero al periodo immediatamente successivo al primo soggiorno alessandrino, Sinesio fa menzione di un “quaderno dei giambi”229 (tetradion), nel quale si troverebbe un breve componimento “in cui l’autore si rivolge alla propria anima”230 e, appuntati alla fine, i due epigrammi posti successivamente in chiusa all’operetta A Peonio, sul dono. È possibile che il componimento in metri giambici cui Sinesio fa allusione fosse uno degli inni: non, probabilmente, una prima versione dell’inno 1, come è stato ipotizzato,231 bensì uno degli inni il cui metro è riconducibile al giambo, ovvero il quinto o il nono; con qualche possibilità in più per il componimento che forse iniziava con l’ultimo scampolo dell’attuale inno 9, considerato che in quella sede si affronta proprio il tema dell’anima. In ogni caso, se questa lettura fosse corretta, potremmo affermare che il nostro autore si cimentò con la poesia filosofica già prima di recarsi in ambasceria a Costantinopoli.232

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 Vd. supra, 3.  Baldi 2012b, pp. 26-35. Si vedano su questo punto anche le valutazioni contenute in una recensione al volume di Baldi (De Stefani 2018, pp. 238-239). 229  Lettera 143. 230  Lettera 141. 231  Da Lacombrade 1978, p. 15 e n. 4 (ripreso da Schmitt 2001, pp. 502, 504). 232  Baldi 2012b, pp. 40-45. 228

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5. In conclusione Sinesio è una voce lontana sedici secoli. La sua non è l’eco di una personalità di primissimo livello, di un Platone, di un Aristotele, di un autore che abbia condizionato profondamente il nostro modo di essere e di pensare; eppure, non cessa di parlare.233 Per i Bizantini Sinesio fu anzitutto un modello di stile; nelle sue lettere ritrovarono un bell’esempio di prosa atticistica, da imparare a scuola e da imitare nelle prove letterarie. Fu anche, specialmente nella tarda Bisanzio, un’icona di un modello culturale rimpianto, di un’identità perduta, di una sapienza curiosa e umanistica.234 Per noi Sinesio rappresenta in prima analisi un’importante fonte storica, che getta notevole luce sugli eventi che interessarono l’impero romano d’Oriente nei primissimi anni della sua esistenza, parlandoci dei fatti della Libia (lettere e Catastasi), di Costantinopoli (lettere, All’imperatore, sul regno, Racconti egizi), dell’Alessandria di Ipazia e di Teofilo (lettere). Ma l’autore è certo anche un considerevole testimone per quanto riguarda la storia del pensiero – e anzitutto per questo, senza alcun dubbio, avrebbe desiderato essere ricordato: si pensi ad alcuni passi dei Racconti egizi e dell’Elogio della calvizie, al Dione, ma soprattutto al Trattato sui sogni e agli inni. Sinesio fu in effetti un rappresentante non minore del neoplatonismo, di quella corrente filosofica che, con il suo sospetto verso la materia e il mondo corporeo, con la sua venerazione per la dimensione puramente speculativa e intellettuale, avrebbe intriso di sé, nel profondo, il cristianesimo. Ci piace ricordare Sinesio anche per la sua capacità di rappresentare stati psicologici inusuali o alterati. Avviene nella let233  A proposito del Fortleben di Sinesio, per un prospetto dei suoi principali lettori dal VI secolo ai nostri giorni, con una particolare attenzione al mondo bizantino e alla Francia moderna, vd. Roques 2012; per le riprese della sua figura, così sospesa fra neoplatonismo pagano e cristianesimo, nel mondo anglofono dell’età contemporanea, vd. Bregman 2016. 234  Cfr. Monticini 2021, pp. 208-210.

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tera 154, quando espone la sua condizione – sorta di vera e propria depersonalizzazione, quasi autoscopia – nell’atto di redigere il Trattato sui sogni: L’opera è stata composta in una sola notte, anzi sul finire della notte, la stessa che mi ha recato la visione che mi ha spinto a scrivere. E in qualche passo, due o tre, mi è capitato di sentirmi come se fossi un altro me, come fossi divenuto, assieme ad altri presenti, l’ascoltatore di me stesso.235

Altrettanto avviene quando descrive lo stato depressivo e gli incubi di Tifone, nei Racconti egizi: Non appena Osiride prese il potere, ci mancò poco che Tifone non morisse, sbattendo la sua testa perversa contro il suolo e contro delle colonne; per molti giorni non assunse alcun cibo, sebbene fosse estremamente vorace, e rifiutò ogni bevanda, sebbene fosse solito bere molto vino. Pur essendo un amante del sonno, seguitava a non dormire; era in preda all’insonnia, per quanto cercasse di allontanarla in svariati modi, anche chiudendo gli occhi appositamente per liberare l’anima dai pungoli della memoria. Ma la memoria è estremamente combattiva nei confronti di chi intende riporla; così che, anche quando chiudeva gli occhi, gli si presentava l’immagine delle sue sventure, e se mai il sonno lo coglieva, un sogno lo avrebbe reso ancora più angosciato, ripresentandosi ai suoi occhi quella collina, quei voti, tutte quelle mani rivolte verso il fratello [...]. Egli si sarebbe giustamente ucciso, essendo ormai completamente in preda al male; ma proprio allora la sua scellerata moglie, fin troppo donna anche nella sventura, risollevò se stessa e il marito – si era sempre servita di lui facilmente – e gli impedì di piangere facendolo concentrare su di lei, scacciando la sofferenza con la sofferenza e sbarrando la via al dolore con il godimento. Così egli si riprese, cedendo in maniera alternata agli opposti estremi. Quanto in precedenza si disperava, tanto ora era frenetico; dei giovani ancora più dissoluti di prima affluirono in nu235  Con queste parole, naturalmente, Sinesio sta ricorrendo al topos dell’ispirazione divina giunta alla fine della notte (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 431, n. 53).

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mero ancora maggiore in casa sua, e furono festini e bevute, per poter con loro ammazzare il tempo e attenuare la bruma della sua anima.236

E ancora, nei Racconti egizi, Sinesio descrive la follia divina che si impossessa dei soldati sciti come dei veri e propri attacchi di panico: Nessuna azione umana sembrava poter giungere in soccorso da alcuna parte, giacché i Barbari utilizzavano la città come loro accampamento. Tuttavia, il loro comandante era soggetto a degli spaventi notturni, perché, credo, era assalito dai Coribanti, mentre durante il giorno degli attacchi di panico colpivano l’esercito. Questo fenomeno si ripeté più volte, facendoli sembrare privi di senno, come se avessero completamente perso il controllo del proprio raziocinio; vagavano in ogni direzione, singolarmente o in gruppo, tutti simili a dei posseduti. Ora provavano a sguainare la spada, come se desiderassero fare la guerra, ora, viceversa, parlavano come per suscitare compassione e chiedevano di essere risparmiati; poi, di nuovo, si lanciavano in una corsa, ora come per fuggire, ora come per inseguire, quasi fosse penetrata in città una qualche forza nemica occulta. Eppure, in città non vi erano né armi né alcuno in grado di utilizzarle [...].237

Non possiamo poi qui tacere di un curioso episodio riportato da Giovanni Mosco (monaco bizantino vissuto fra VI e VII secolo) nel suo Prato spirituale,238 che risulta a nostro parere particolarmente illuminante per comprendere come la figura di Sinesio, con la sua intrinseca molteplicità, sia stata vista e ripresa dalla tradizione successiva.239 Giovanni Mosco afferma che questa storia gli sarebbe stata riferita ad Alessandria da Leonzio di Apamea, uomo di Chiesa che da tempo soggiornava in Cirenaica e che quasi cer236  Racconti egizi, 1, 13,14. Per un’analisi della simbologia dello status psico-fisico di Tifone, vd. Pizzone 2001, p. 179 ss. 237  Racconti egizi, 2, 1. 238  Al capitolo 195. Vd., per il testo greco, Migne 1856-1866, vol. LXXXVII, 3, coll. 3077-3080; per una traduzione italiana, Maisano 20022, pp. 208-210. 239  Per approfondire su questo episodio, vd. Monticini 2020.

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tamente si trovava nella capitale egiziana proprio per essere nominato vescovo di Cirene dal patriarca Eulogio.240 Secondo il suo racconto, Sinesio, una volta assurto al soglio episcopale di Cirene, avrebbe incontrato in città un suo vecchio amico e compagno di studi, il filosofo pagano Evagrio. Nonostante i numerosi tentativi di conversione al cristianesimo da parte di Sinesio, Evagrio si sarebbe ostinato a non abbandonare le sue convinzioni. Un giorno avrebbe anche espresso all’amico le ragioni principali della sua reticenza: In effetti, vescovo, signore, fra tutto ciò che affermate voi cristiani c’è una dottrina che proprio non condivido, ovvero che questo cosmo abbia una fine e che dopo di essa tutte le persone che sono esistite dall’inizio dei tempi risorgano nel loro corpo e, dotate di carne incorruttibile e immortale, vivano per l’eternità e ottengano la loro ricompensa; e che chi faccia la carità a un mendicante abbia un credito con Dio e chi elargisca ricchezze ai poveri e agli indigenti accumuli un tesoro nei cieli e riceva tutto indietro da Cristo moltiplicato per cento assieme alla vita eterna, al momento della rinascita. Tutto questo per me è un imbroglio, una facezia, una favola, alla stregua delle tante storie che si raccontano.

Trascorso ancora del tempo, Evagrio si sarebbe tuttavia convertito, assieme a tutti i suoi parenti, e avrebbe fatto dono alla Chiesa di tre monete d’oro da destinare ai poveri, chiedendo d’altronde a Sinesio un documento che attestasse la sua donazione, affinché potesse poi farla valere nell’aldilà.241 Giunto in punto di morte, il filosofo avrebbe comandato ai suoi figli di essere inumato con quella ricevuta fra le mani. Tre giorni dopo il suo decesso, sarebbe dunque apparso in sogno a Sinesio affermando con soddisfazione che il suo credito era stato saldato e che, a riprova di ciò, avrebbe potuto trovare il documento da lui controfirmato nel suo sepolcro. Al risveglio, Sinesio avrebbe chiesto spiegazioni ai figli di Eva240

 Eulogio fu patriarca di Alessandria dal 580 al 608. Cfr. Roques 1987, p. 97.  Questa tradizione di donare un obolo per la salvezza di un defunto, tipica del primo cristianesimo, è attestata soprattutto in ambienti manichei (Brown 2008). 241

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grio; insieme, si sarebbero recati presso la tomba del filosofo e, in presenza di numerosi testimoni, avrebbero trovato sul documento una postilla aggiunta e firmata dallo stesso Evagrio, che ribadiva la sua soddisfazione e sollevava Sinesio da qualunque debito nei suoi confronti. A imperitura memoria del miracolo – concludeva il suo racconto Leonzio a Giovanni Mosco – si conservava ancora fra i cimeli della chiesa di Cirene la ricevuta autografata da Evagrio.242 A parte l’imprecisione storica in merito alla sede episcopale – sappiamo che Sinesio non fu vescovo di Cirene ma di Tolemaide – e a parte la ricorrenza di numerosi topoi dei racconti agiografici (come l’apparizione in sogno dopo la morte243), quello che ci pare più interessante rimarcare è il rapporto tra la figura narrativa di Sinesio e quella di Evagrio. Non è immediato comprendere, infatti, chi o cosa si nasconda dietro tale maschera. In tutta l’opera di Sinesio quel nome ha una sola occorrenza, per l’esattezza nella lettera 79, dove è riferito a un prete che il nostro autore non sarebbe riuscito a proteggere dalla prepotenza di Andronico. Sulla base dei pochi elementi forniti dal racconto di Giovanni Mosco, Evagrio parrebbe più somigliante a uno dei vecchi compagni di Sinesio alla scuola di Ipazia, come ad esempio Erculiano. Eppure, forse, la corretta chiave di interpretazione di questo personaggio sta tutta nella ragione della sua reticenza ad accettare il cristianesimo, quindi nella sua – pur cauta e interessata – conversione. Si potrebbe allora ipotizzare che, in realtà, le figure narrative di Sinesio ed Evagrio non siano altro che delle maschere per delle differenti “identità” della sola e unica persona storica di Sinesio. In altre parole, Evagrio rappresenterebbe il Sinesio “pagano”, il filosofo neoplatonico allievo di Ipazia, mentre il vescovo di Cirene rappresenterebbe il Sinesio maturo, l’uomo di Chiesa, succeduto al primo dopo una presunta conversione.244 Per questo, forse, Evagrio avanza al suo omologo già cristiano quasi tutte le riserve filo242

 L’episodio è citato anche da Siniossoglou 2008, pp. 172-173.  Si tratta di un elemento che ritorna anche in alcune leggende legate al culto delle immagini acheropite (cfr. Monticini 2017, pp. 80-81). 244  La rielaborazione del materiale biografico e agiografico, in un contesto sia letterario che iconografico, è un fenomeno ampiamente attestato nella civiltà 243

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sofiche che il vero Sinesio – lo sappiamo – avanzò nell’accettazione della carica episcopale nella lettera 105.245 E per questo, forse, il personaggio Evagrio muore – comunque convertitosi – prima del personaggio Sinesio, al quale dà una conferma postuma della propria fede. In fondo, come abbiamo visto, proprio il nostro autore, riferendosi alla redazione della sua opera più filosofica, il Trattato sui sogni, parlava di uno sdoppiamento onirico, in seno al quale si poneva un ego scrittore ispirato da Dio e un ego ascoltatore di quel se medesimo. Sinesio, dunque, risulta importante per noi soprattutto perché – come dicevamo in apertura – seppe trattare la complessità. Perché dimostrò di non averne paura. Fu un uomo elitario vissuto in tempi “globali”: alle forti spinte semplificatorie e di sintesi, che pure caratterizzarono la sua epoca, non esitò mai a contrapporsi. I suoi “Telchini”, in abito bianco come in abito nero, non comprendevano infatti la complessità. Che tenessero lunghi sermoni o che tacessero, pretendevano piuttosto di ridurre il mondo a una verità univoca, immediata, semplicistica. Intendevano farne, per così dire, una proiezione bidimensionale; abbozzarne, a malapena, uno schizzo. Da buon discepolo di Plotino, invece, Sinesio sapeva bizantina. Si pensi, ad esempio, al caso emblematico di Dionigi Areopagita (cfr. Walter 1990). 245  D’altra parte, sarebbe stato senz’altro determinante per Leonzio di Apamea – come per qualunque altro metropolita della Cirenaica successivo a Sinesio – eliminare ogni ombra di paganesimo dalla figura del proprio autorevole predecessore, anche al fine di elevare, in chiave quasi agiografica, la dignità della tradizione della sede episcopale. Si pensi, a questo proposito, che, appena alcuni anni prima della redazione del Prato spirituale di Giovanni Mosco, Evagrio Scolastico aveva scritto nella sua Storia ecclesiastica (1, 15; vd. supra, 3): “Sinesio [...] praticò la filosofia a un livello talmente elevato che fu ammirato dai cristiani, che non giudicano quello cui assistono sulla base dell’affinità e dell’avversione. Ritennero che Sinesio fosse degno della salvifica rigenerazione [ovvero il battesimo] e di assumere il fardello del sacerdozio, sebbene non accettasse la dottrina della resurrezione, né fosse disponibile a discuterne. I cristiani immaginarono infatti assai correttamente che alle altre virtù dell’uomo sarebbe seguita anche questa, poiché la grazia divina non ammette nulla di incompiuto; e non furono delusi nella loro speranza” (per il testo greco, vd. Migne 1856-1866, vol. LXXXVI, 2, col. 2464).

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bene che il mondo è composito, contraddittorio, molteplice, poiché necessariamente espresso a parole umane: solo cogliendolo – e accettandolo – nella sua apparente incoerenza, allora, era per lui possibile elevarsi sino a compiere un discorso divino, dove tutte le barriere decadono e dimora, assoluta, l’unità. Tuttavia, se una società umana ridotta a una penuria di forme espressive è una società impoverita, una società complessa non è necessariamente una società ricca. Sinesio, come il mitico Proteo, amò la complessità come manifestazione di sapienza. Dimostrò di detestare, viceversa, la complessità fine a se stessa, quella vuota e narcisistica dei sofisti. È una riflessione importante: tanto attuale in una società della parola, orale come scritta, in cui la sofistica si esprimeva in forma letteraria, letta o decantata, tanto in una società dell’immagine, dove la varietà – come Proteo – è piuttosto un’alternata sequenza di forme e colori. Il grande limite di Sinesio – e della classe dirigente di cui fece parte – fu senza alcun dubbio il suo elitarismo. L’incapacità di spiegare quella stessa complessità che non faticava a capire. L’autore si dimostrò tanto aperto nell’accogliere le varie forme del reale, nel non selezionarle, nel comprenderne la sottostante unità, quanto chiuso nel condividerle. Tanto inclusivo con le idee, insomma, quanto esclusivo con le persone. Colse la ricchezza, ma la ritenne sempre un patrimonio esoterico, per pochi eletti. Questo atteggiamento, purtroppo, avrebbe vanificato ogni suo sforzo contro la semplificazione tipica dell’intolleranza. D’altronde, una società complessa, una società “globale”, non può che ridursi a società “complicata” per chi non abbia i mezzi per comprenderla, per chi non abbia, in definitiva, interesse a preservarla.

R ingraziamenti

Desidero anzitutto rivolgere un pensiero in ricordo dei professori Giovanni Reale e Maria Tilde Bettetini, ai quali va la mia gratitudine per avere accolto questo progetto editoriale nella Collana da loro diretta. Un debito di riconoscenza ho anche contratto con i professori Silvia Ronchey e Giuseppe Girgenti, cui devo molte osservazioni e preziosi consigli. Sono grato alla dottoressa Alessandra Matti per il supporto logistico fornito nel corso della redazione del volume. Non da ultimo, un sentito grazie a Elena per l’aiu­to e per il costante sostegno.

Nota editoriale

Per la traduzione di Sinesio ci si è basati sul testo critico apparso nella più recente edizione degli opera omnia dell’autore, pubblicata da Les Belles Lettres: il testo è stato approntato, per le lettere, da Antonio Garzya (Garzya – Roques 2000); per gli opuscula – ivi comprese le Catastasi e le Omelie –, da Jacques Lamoureux (Lamoureux – Aujoulat 2004, 2008a, 2008b); per gli inni, infine, da Christian Lacombrade (Lacombrade 1978). L’edizione delle lettere di Garzya riprende con minime variazioni quella, dello stesso autore, già apparsa in Garzya 1979 e in Garzya 1989. L’edizione delle operette in prosa di Lamoureux rimpiazza quella precedente di Nicola Terzaghi (Terzaghi 1944), ripresa anche in Garzya 1989. L’edizione degli inni di Lacombrade (già ripresa, anch’essa, in Garzya 1989) rimpiazza invece quella precedente di Antonio Dell’Era (Dell’Era 1968); entrambe queste edizioni degli inni sono state successivamente riprese e parzialmente riviste da Joachim Gruber e Hans Strohm (Gruber – Strohm 1991). La maggior parte di queste edizioni sono corredate di traduzioni, in lingua italiana (Dell’Era 1968, Garzya 1989), francese (Lacombrade 1978, Garzya – Roques 2000, Lamoureux – Aujoulat 2004, 2008a, 2008b) o tedesca (Gruber – Strohm 1991). Altre traduzioni in lingue moderne degli opera omnia di Sinesio sono quella francese di Henri Druon (Druon 1878), quella inglese di Augustine Fitzgerald (Fitzgerald 1926, 1930) e quella spagnola di Francisco A. García Romero (García Romero 1993, 1995).

BERENICE

TEUCHIRA

MIRSINITIDE

capoluogo di provincia città villaggio

ERITRO

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La Pentapoli all’epoca di Sinesio

IDRACE

0

DERNA

Capo Naustathmos

PALEBISCA

BALAGRE

CIRENE

LIBIA SUPERIORE (PENTAPOLI)

BARCA

TOLEMAIDE

FICUNTE AUSIGDA

SOZUSA

Capo Ficunte

50 km

LIBIA INFERIORE (LIBIA SECCA)

Mar Mediterraneo

BERENICE

N

CIRENE

SOZUSA

0

DERNA

città capoluogo di provincia capoluogo di provincia e diocesi

OASI DI AMMONE

LIBIA INFERIORE (LIBIA SECCA)

PARAITONION

TEBAIDE

OSSIRINCO

ARCADIA

EGITTO

LEONTOPOLI

PALESTINA SALUTARE

PELUSIO

AUGUSTAMNICA

TAFOSIRIDE

CANOPO

ALESSANDRIA

La diocesi d’Egitto agli inizi del V secolo

100 km

LIBIA SUPERIORE (PENTAPOLI)

TEUCHIRA

TOLEMAIDE

Mar Mediterraneo

o

Nil

TRIPOLITANIA

Testo didascalia.

Sinesio nello studio, nell’atto di redigere le parole iniziali della prima lettera. Paris, Bibliothèque nationale de France, Suppl. gr. 660, f. 26v (fonte: BnF)

ΕΠΙΣΤΟΛΑΙ

LETTERE

1

ΝΙΚΑΝΔΡΩΙ

Παῖδας ἐγὼ λόγους ἐγεννησάμην, τοὺς μὲν ἀπὸ τῆς σεμνοτάτης φιλοσοφίας καὶ τῆς συννάου ταύτῃ ποιητικῆς, τοὺς δὲ ἀπὸ τῆς πανδήμου ῥητορικῆς. Ἀλλ’ ἐπιγνοίη τις ἂν ὅτι πατρός εἰσιν ἑνὸς ἅπαντες, νῦν μὲν εἰς σπουδήν, νῦν δὲ εἰς ἡδονὴν ἀποκλίναντος. Ὁ δὴ παρὼν οὗτος λόγος ἧστινος μέν ἐστι μερίδος, ἀπὸ τῆς ὑποσχέσεως αὐτοῦ κατερεῖ· παρ’ ἐμοῦ δὲ οὕτως ἠγαπήθη διαφερόντως ὡς ἥδιστ’ ἂν αὐτὸν εἰσποιῆσαι φιλοσοφίᾳ καὶ τοῖς γνησίοις ἐγκρῖναι. Ἀλλὰ τοῦτο μὲν οὔ φασιν ἐπιτρέψειν οὐδὲ οἱ νόμοι τῆς πολιτείας· δεινοὶ γάρ εἰσιν εὐγενείας προστάται· ἔχει δὲ κέρδος ὅ τι ἂν αὐτῷ λάθρᾳ χαρίσωμαι, καὶ πολλὰ τῆς σπουδαίας μερίδος εἰς αὐτὸν συνεισήνεγκα. Ἂν μὲν οὖν καὶ σοὶ δοκῇ, κοίνωσαι τὸν λόγον τοῖς Ἕλλησιν, ἀποψηφισθεὶς δὲ ἐπανίτω παρὰ τὸν πέμψαντα· τὰς πιθήκους γάρ φασιν, ἐπειδὰν τέκωσιν, ὥσπερ ἀγάλμασιν ἐνατενίζειν τοῖς βρέφεσιν, ἀγαμένας τοῦ κάλλους (οὕτως ἐστὶν ἡ φύσις φιλότεκνον), τὰ δὲ ἀλλήλων ὁρῶσιν ἅπερ ἐστί, πιθήκων παιδία. Ἑτέροις οὖν ἐπιτρεπτέον ἐξετάζειν τὰ ἔκγονα· αἱ γὰρ εὔνοιαι δειναὶ δεκάσαι τὰς ψήφους. Διὰ τοῦτο Λύσιππος Ἀπελλῆν εἰς τὰς γραφὰς εἰσῆγε, καὶ Λύσιππον Ἀπελλῆς.

1

A Nicandro Da Cirene1 a Costantinopoli, 4052

Ho generato i miei discorsi come dei figli; alcuni li ho avuti dalla venerabile filosofia e dalla poesia che condivide il suo tempio, altri dalla retorica che si offre a chiunque.3 Eppure, si avverte che tutti provengono da un unico padre, che talvolta è stato più incline alla scrittura seria, talvolta più a quella dilettevole. A quale genere appartenga il presente discorso,4 sarà spiegato nel dettaglio nell’introduzione. Per quanto mi riguarda, gli ho dedicato una passione così particolare che sarei estremamente felice di vederlo adottato dalla filosofia e da quella riconosciuto tra i suoi figli legittimi. D’altronde, le leggi dello Stato affermano già che non lo permetteranno: sono intransigenti se c’è da garantire una nobile nascita. Cionondimeno, resta il fatto che il discorso custodisce tutto l’impegno che vi ho segretamente profuso e che le riflessioni che vi ho inserito lo rivelano come appartenente alla metà seria. Perciò, se sei d’accordo, trasmetti il mio discorso agli Elleni; in caso di giudizio negativo, che ritorni pure a chi lo ha inviato. Si dice che le scimmie, dopo aver partorito, fissino il loro sguardo sui loro piccoli come su delle statue per ammirarne la bellezza (tanto è naturale amare i propri figli), mentre vedono i figli dei propri simili per quello che sono, cioè dei cuccioli di scimmia.5 È necessario dunque che affidiamo ad altri il compito di giudicare la nostra prole, poiché le benevole predisposizioni sono molto efficaci a corrompere i giudizi. Ecco il motivo per cui Lisippo mostrava le sue opere ad Apelle e Apelle a Lisippo.6

4

sinesio di cirene

2

ΙΩΑΝΝΗΙ

Ἀφοβία μεγίστη τὸ φοβεῖσθαι τοὺς νόμους, σὺ δὲ αὐτοὺς ᾐσχύνθης ἀεὶ φανῆναι φοβούμενος. Τοιγαροῦν δέδιθι τοὺς ἐχθρούς, καὶ μετὰ τούτων τοὺς δικαστάς, ἂν μὴ κλέπτωσι. Κἂν κλέπτωσι μέν, μὴ σὺ δὲ ᾖς ὁ τὰ πλείω διδούς, οὐδὲν ἧττον εὐλαβητέον· μάχονται γὰρ ὑπὲρ τῶν νόμων ὅταν καὶ μισθοδότας προσλάβωσιν. 3

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ ΕΥΟΠΤΙΩΙ  

Τρίτη μὲν ἦν Αἰσχίνῃ κειμένῳ, ἡ δὲ ἀδελφιδῆ τότε πρῶτον ἧκεν ἐπὶ τὸν τάφον (οὐ γάρ, οἶμαι, νομίζεται νυμφευτρίαις βαδίζειν ἐπ’ ἐκφορᾷ), ἀλλ’ ἐν φοινικίδι καὶ τότε, καὶ διαφανὴς ὁ κεκρύφαλος, καὶ χρυσία καὶ λίθους ἐξήρτητό τε καὶ περιέκειτο, ἵνα μὴ τῷ νυμφίῳ σύμβολος ἀπαίσιος γένηται. Καθεζομένη οὖν ἐπ’ ἀμφικεφάλου καθέδρας – φασίν – ἀργυρόποδος πολλὰ κατεμέμφετο τὴν ἀκαιρίαν τῆς συμφορᾶς, ὡς ἢ πρότερον ἐχρῆν ἢ μετὰ τὸν γάμον ἀποθανεῖν, καὶ πρὸς ἡμᾶς ἐφ’ οἷς ἐδυστυχοῦμεν ἐμηνία. Μόλις δ’ οὖν περιμείνασα τὴν ἑβδόμην καθ’ ἣν ἡμεῖς εἱστιάκειμεν τὸ δεῖπνον τὸ ἐπιτάφιον, αὑτήν τε καὶ τὴν φλήναφον γραῦν τὴν τιτθίδα ἐπὶ τὸ ζεῦγος ἀναβιβασαμένη τὸ ὀρικόν, πληθούσης ἀγορᾶς, ἅπασι τοῖς παρασήμοις ἐπόμπευεν εὐθὺ Τευχείρων ἐλαύνουσα· μέλλει γὰρ καὶ εἰς τὴν ἐπιοῦσαν ἑβδόμην ταινιώσεσθαί τε καὶ πυργοφόρος καθάπερ ἡ Κυβέλη περιελεύσεσθαι. Τούτοις ἡμεῖς μὲν οὐδὲν ἀδικούμεθα, πλὴν τοῦ καταφανεῖς γεγονέναι λίαν ἀναισθήτους ἔχοντες συγγενεῖς· ὁ δὲ ἀδικούμενος Ἁρμόνιός ἐστιν ὁ τοῦ θυρωροῦ πατήρ, ὡς ἂν εἴπῃ Σαπφώ, τὰ μὲν

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lettere 2-3, a giovanni

5

- al fratello evopzio

2

A Giovanni7 Da Cirene a Cirene, 407

Non si ha nulla da temere quando si temono le leggi; eppure, tu hai sempre vergogna a mostrare di averne timore. Dovresti piuttosto aver paura dei tuoi nemici e, assieme a loro, dei giudici,8 qualora non siano corruttibili. E se anche lo fossero, guardatene comunque e vedi di non essere tu quello che paga di più; infatti, proprio quando accolgono i corruttori si schierano a favore delle leggi. 3

Al fratello Evopzio Da Tolemaide a Ficunte o ad Alessandria, 411 o 413

Eschine9 era già stato sepolto da due giorni quando sua nipote è venuta per la prima volta alla tomba (suppongo quindi che non usi che le promesse spose seguano un corteo funebre). Ma anche allora portava una veste rossa, con una rete trasparente sulla testa e aveva dei monili d’oro e pietre preziose appese alle orecchie e disposte su tutto il corpo, perché il suo aspetto non fosse di cattivo augurio per lo sposo. Seduta dunque su di un seggio a due teste e – dicono – dai piedi d’argento, si lamentava diffusamente dell’inopportunità di quella disgrazia, come se Eschine fosse dovuto morire o prima o dopo il suo matrimonio, e si adirava con noi ai quali era accaduta quella sventura. Attese a stento il settimo giorno, quello in cui presso di noi si celebra il banchetto funebre; allora salì assieme a quella vecchia pettegola della sua nutrice sul proprio cocchio trainato da muli e, all’ora in cui la piazza è piena di gente, se ne partì in processione con tutti i suoi ornamenti verso Teuchira; là, infatti, tra sei giorni dovrà cingersi il capo di bende e pavoneggiarsi, col capo turrito come Cibele.10 Questi comportamenti non ci causano personalmente alcuna offesa, se non quello di avere tra i nostri parenti, alla conoscenza e alla vista di tutti, delle persone di cattivo gusto. Al contrario, chi si è offeso è Armonio, il padre del “portiere” come direbbe Saffo,11

6

sinesio di cirene

ἄλλα σώφρων καὶ μέτριος ἐν τῷ καθ’ ἑαυτὸν βίῳ γενόμενος, ἀλλ’ ὑπὲρ εὐγενείας ἀμφισβητῶν τῷ Κέκροπι διετέλεσε. Τούτου τοῦ πλέον ἢ Κέκροπος τὴν θυγατριδῆν ὁ θεῖος Ἡρώδης καὶ θυρωρὸς εἰς Σωσίας καὶ Τιβίους ἀπέδοτο, πλὴν εἰ μή τι λέγουσιν ὅσοι καὶ τὸν νυμφίον ἡμῖν μητρόθεν ἀποσεμνύνουσι, γενεαλογοῦντες αὐτὸν ἀπὸ τῆς ἐν φήμῃ Λαΐδος. Ἡ γὰρ Λαΐς – ἔφη τις ἤδη λογογράφος – ἀνδράποδον ἦν Ὑκκαρικὸν ἐκ Σικελίας ἐωνημένον, ὅθεν ἡ καλλίπαις ἡ τεκοῦσα τὸν περιβόητον. Καὶ αὐτὴ πάλαι μὲν ἐπαλλακεύετο ναυκλήρῳ δεσπότῃ, ἔπειτα μέντοι ῥήτορι, καὶ τούτῳ δεσπότῃ· τρίτῳ μετ’ ἐκείνους ὁμοδούλῳ, καὶ λάθρᾳ τῇ πόλει, ἔπειτα λαμπρῶς τῇ πόλει, καὶ προὔστη τῆς τέχνης. Ἧς ἐπειδὴ τὴν ἐργασίαν ὑπὸ χαλαρᾷ ῥυτίδι κατέλυσε, τὰς ἐν ἡλικίᾳ παιδοτριβεῖ καὶ τοῖς ξένοις ἀντικαθίστησιν. Ὁ γὰρ υἱὸς ὁ ῥήτωρ ἀφεῖσθαί φησι τῆς ἀνάγκης τοῦ νόμου μητέρα τρέφειν ἑταίραν. Ἄπαγε τοῦ νόμου· τοῖς γὰρ οὕτω γεγονόσιν ἀποδέδεικται μὲν ἡ μήτηρ, ὁ δὲ λοιπὸς τῶν γονέων ἀμφισβητήσιμος. Ὅσον οὖν ἀμφοτέροις παρὰ τῶν εὖ γεγονότων ὀφείλεται, τοῦτο πᾶν ἥκειν ἔδει παρὰ τῶν ἀπατόρων εἰς τὰς μητέρας. 4

ΤΟΙΣ ΠΡΕΣΒΥΤΕΡΟΙΣ  

«Ἀγαθὸν πεποιθέναι ἐπὶ κύριον ἢ πεποιθέναι ἐπ’ ἄνθρωπον.» Ἀλλὰ τοὺς ἐκ τῆς ἀθεωτάτης αἱρέσεως Εὐνομίου πυνθάνομαι, Κυντιανὸν ὄνομα καὶ τὴν ἐπὶ στρατοπέδου θρυλλουμένην ὑπ’ αὐτῶν δυναστείαν προστησαμένους, μοιχᾶσθαι πάλιν τὴν ἐκκλησίαν, καὶ ψευδοδιδασκάλους τινὰς ἐφιστάναι παγίδα ταῖς τῶν ἀκεραιοτέρων ψυχαῖς, οὓς ἔναγχος οἱ παρὰ Κυντιανοῦ σταλέντες ἐπ’ αὐτὸ τοῦτο καταπεπλεύκασιν ἄγοντες. Ἡ γὰρ δίκη πρόσχημα τῆς

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lettere 4, ai sacerdoti

7

lui che ha sempre condotto una vita in tutto e per tutto misurata ed equilibrata e che non cessa di competere con Cecrope12 in quanto a nobiltà. La nipote di quest’uomo superiore a Cecrope è stata venduta da Erode, suo zio e “portiere”, a dei Sosii e dei Tibii,13 a meno che non si dia credito a quelli che ci gloriano l’origine materna dello sposo, facendolo discendere dalla famosa Laide. Questa, infatti, era – l’ha già ricordato un logografo – una schiava comprata a Iccara in Sicilia: tale è l’origine di colei che ha dato alla luce, madre dalla bella prole, il nostro celebre sposo.14 Un tempo questa viveva come concubina con un capitano di nave, che era il suo padrone; poi con un retore, a sua volta il suo padrone; dopo di loro, per terzo, stette assieme a un suo compagno di schiavitù, all’inizio all’insaputa della città, poi alla luce del sole, primeggiando nella sua arte. Quando poi la pelle si è fatta molle e rugosa ha smesso di praticare la sua attività e ha iniziato a istruire delle giovani dell’età giusta, proponendole al suo posto agli stranieri. Suo figlio infatti, il retore, afferma di essere esonerato dall’obbligo legale di nutrire sua madre, in quanto è una meretrice. Ma si lasci stare la legge: quando uno ha una simile origine sa bene chi è sua madre, è piuttosto l’altro genitore a essere oggetto di controversia. Perciò, tutta l’assistenza che le persone nate da un’unione legittima sono tenute a prestare allo stesso modo al padre e alla madre, dovrebbe essere interamente prestata, da coloro che non hanno un padre, alla sola madre. 4

Ai sacerdoti Da Tolemaide a Tolemaide, 412 o 413

“È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo”.15 Mi accorgo che i seguaci dell’eresia assolutamente sacrilega di Eunomio,16 avvalendosi del nome di Quinziano17 e di una millantata influenza a corte,18 ricominciano a imbrattare la Chiesa, così come alcuni falsi dottori, fatti recentemente sbarcare con questo preciso scopo dagli emissari di Quinziano, tendono insidie alle anime di uomini più puri. La loro giustizia serve soltanto a mascherare

8

sinesio di cirene

ἀσεβείας ἐστί, μᾶλλον δὲ ἀγὼν ὑπὲρ ἀσεβείας. Οὗτοι τοίνυν οἱ νόθοι πρεσβύτεροι, οἱ νεήλυδες ἀπόστολοι τοῦ διαβόλου τε καὶ Κυντιανοῦ, μὴ λάθωσιν ὑμᾶς ἐμπηδήσαντες ᾧ ποιμαίνετε ποιμνίῳ, μὴ λάθωσιν ὑμᾶς τῷ σίτῳ τὸ ζιζάνιον παρασπείροντες. Κατάδηλοι πᾶσίν εἰσιν αἱ τούτων καταφυγαί. Ἴστε τίνες ἀγροὶ δέξαιντ’ ἂν αὐτούς, ἴστε τίνες οἰκίαι τοῖς λῃσταῖς ἀνεῴγασι. Μετέλθετε τοὺς φῶρας ῥινηλατοῦντες, ζηλωταὶ γίνεσθε τῆς εὐλογίας τῆς Μωσαϊκῆς, ἣν εὐλόγησε τοὺς ἄνδρας οἳ κατὰ τῶν ἠσεβηκότων ἐν τῇ παρεμβολῇ καὶ γνώμην καὶ χεῖρας ἐκίνησαν. Ἐκεῖνο δὲ εἰπεῖν ἄξιον πρὸς ὑμᾶς, ἀδελφοί. Τὰ καλὰ καλῶς γινέσθω, ἡ ὑπὲρ κέρδους ἔρις ἀνῃρήσθω, ἅπαντα διὰ τὸν θεὸν ἐγκεχειρήσθω. Οὐ δεῖ τὴν αὐτὴν ἀρετῆς εἶναι καὶ πονηρίας ὑπόθεσιν. Ὑπὲρ εὐσεβείας ὁ δρόμος, ὑπὲρ ψυχῶν ἀγωνιστέον, μή τινας ἀπὸ τῆς ἐκκλησίας συλήσωσιν, ὅπερ ἔθος ἤδη πεποίηνται. Ὃς δ’ ἂν τὴν ἐκκλησίαν προστησάμενος αὔξῃ βαλάντιον καὶ διὰ τὸ δοκεῖν εἶναι χρήσιμος ἐν καιροῖς ἀπαιτοῦσι δριμύτητα δυναστείαν ἑαυτῷ κατεργάζηται, οὗτός ἐστιν ὃν ἡμεῖς συνόδου Χριστιανῶν ἐκκηρύττομεν. Οὐκ ἐποίησεν ὁ θεὸς ἀτελῆ τὴν ἀρετήν, οὐ δεῖται πονηρίας συμμάχου, οὐκ ἐπιλείψουσι στρατιῶται τῷ θεῷ πρέποντες ἐκκλησίαις· εὑρήσει συμμάχους ἐνταῦθα μὲν ἀμίσθους, ἐν οὐρανῷ δὲ ἐντελομίσθους. Ὑμεῖς οὗτοι γίνεσθε· καλὸν καὶ κατορθοῦσι συνεύξασθαι καὶ παραβαίνουσιν ἐπαράσασθαι. Ὅστις ἂν οὖν μαλακίσηται καὶ προδῷ καὶ ὅστις ἂν ἐπεξέλθῃ μέν, ἁρπάσῃ δέ τι τῶν ἀλλοτρίων, μὴ ἀναίτιος γένοιτο τῷ θεῷ. Ἓν τοῦτο μόνον εἰς μέσον ἑλκύσατε καὶ τοὺς τραπεζίτας τοὺς πονηροὺς τοὺς καθάπερ νόμισμα τὸ δόγμα τὸ θεῖον παραχαράττοντας περιενέγκατε· πᾶσι ποιήσατε καταφανεῖς οἵτινές εἰσι. Κᾆθ’ οὕτως ἄτιμοι τῶν Πτολεμαΐδος ὅρων ἀπεληλάσθωσαν, ὅ τι σὺν αὐτοῖς ἥκει χρῆμα πᾶν ἀμειαγώγητον ἀποφέροντες.

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lettere 4, ai sacerdoti

9

la loro empietà, o piuttosto consente loro di combattere per l’empietà. Prestate dunque attenzione che questi falsi sacerdoti, questi nuovi apostoli del diavolo e di Quinziano, non si gettino a vostra insaputa sul gregge che voi pascolate e che non seminino a vostra insaputa zizzania assieme al buon grano. Tutti sanno bene dove trovano rifugio. Voi conoscete le terre che possono accoglierli, conoscete le case che sono aperte a questi banditi. Inseguite questi ladri fiutandone le tracce e conquistatevi quella benedizione che Mosè conferì agli uomini che avevano mosso i loro cuori e le loro braccia per lottare contro gli empi. Ma questo ancora ho da dirvi fratelli e vale la pena di dirlo. Si compiano bene le buone azioni, si eliminino le contese generate dall’interesse e che Dio sia la causa di tutto ciò che fate. Le fondamenta della virtù e della perversità non devono essere le stesse. La corsa ha come obbiettivo la pietà, bisogna combattere per le anime, per paura che questa gente non ne strappi via qualcuna alla Chiesa, come è già da tempo loro consuetudine. Chiunque, sotto la copertura della Chiesa, impinguerà la propria borsa e, con il pretesto di rendersi utile in delle circostanze che richiedono un’aspra risolutezza, si procurerà un potere personale sarà escluso, lo proclamiamo solennemente, dalla comunità dei cristiani. Dio non ha dotato la virtù di imperfezioni, non sollecita l’alleanza con la perversità e non sarà mai manchevole di soldati degni delle Chiese; gli alleati che troverà non domanderanno in questo mondo la loro ricompensa, ma la riceveranno integralmente in cielo. Siate dunque tali: è bello accompagnare con le proprie preghiere chiunque segua la retta via, come lo è maledire chiunque se ne discosti. Possano dunque tutti coloro che per debolezza avranno tradito, tutti coloro che non avranno combattuto che per rubare i beni altrui, non sfuggire alle proprie responsabilità dinanzi a Dio. Questo solo concetto dovete diffondere; quanto a quei furfanti che, come dei banchieri che falsificano la moneta, alterano il dogma divino, divulgate ovunque la loro identità, mostrate a tutti che persone sono. E che, disonorati, essi vengano in seguito espulsi dal territorio di Tolemaide, portandosi via intatto ciò che vi hanno portato.

10

sinesio di cirene

Ὁ δὲ παρὰ ταῦτα ποιῶν ἐπάρατος τῷ θεῷ. Ὅστις ἀσεβῆ σύνοδον ἰδὼν παρεῖδεν ἢ ἀκούσας παρήκουσεν ἢ κέρδει παρ’ αὐτῶν ἐμολύνατο, τούτους ἡμεῖς Ἀμαληκίτας εἶναι διαταττόμεθα, παρ’ ὧν οὐκ ἔξεστι κομίσασθαι λάφυρον. Περὶ δὲ τοῦ λαβόντος φησὶν ὁ θεός· «Μεταμεμέλημαι ὅτι ἐβασίλευσα τὸν Σαούλ.» Ἀλλ’ ὑμῶν ἐπὶ μηδενὶ μεταμέλοιτο, ἀλλὰ μέλοι μὲν ὑμῶν τῷ θεῷ, μέλοι δὲ ὑμῖν τοῦ θεοῦ. 5

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Λύσαντες ἐκ Βενδιδείου πρὸ δείλης ἑῴας, μόλις ὑπὲρ μεσοῦσαν ἡμέραν τὸν Φάριον Μύρμηκα παρηλλάξαμεν, δίς που καὶ τρὶς ἐνσχεθείσης τῆς νεὼς τῷ τοῦ λιμένος ἐδάφει. Εὐθὺς μὲν οὖν καὶ τοῦτο κακὸς οἰωνὸς ἐδόκει, καὶ σοφὸν ἦν ἀποβῆναι νεὼς ἐκ πρώτης ἀφετηρίας οὐκ εὐτυχοῦς· ἀλλὰ φυγεῖν παρ’ ὑμῖν ἔγκλημα δειλίας ᾐσχύνθημεν, καὶ διὰ τοῦτο «οὔπως ἔτι ἔσκεν ὑποτρέσαι οὐδ’ ἀναδῦναι». Ὥστε, κἄν τι καὶ συμβαίη, δι’ ὑμᾶς ἀπολούμεθα. Καίτοι τί δεινὸν ἦν ὑμᾶς τε γελᾶν καὶ ἡμᾶς ἔξω κινδύνων ἑστάναι; Ἀλλὰ τῷ Ἐπιμηθεῖ – φασί – «τὸ μὲν μέλειν οὐκ ἦν, τὸ δὲ μεταμέλειν ἐνῆν,»

ὥσπερ ἡμῖν· τότε γὰρ ἐξὸν σώζεσθαι, νῦν πρὸς ἐρήμοις ἀκταῖς συναυλίαν ὀλοφυρόμεθα, καὶ πρὸς Ἀλεξάνδρειαν ὁρῶντες ὡς οἷόν τε καὶ πρὸς τὴν μητέρα Κυρήνην, ὧν τὴν μὲν ἔχοντες ἀπελίπομεν, τὴν δὲ εὑρεῖν οὐ δυνάμεθα, ἰδόντες τε καὶ παθόντες ἃ μηδὲ ὄναρ ἠλπίσαμεν. Ἄκουε γάρ, ἵνα μηδὲ σὺ πάνυ χαίρειν σχολάζῃς καὶ πρῶτόν γε, ὅπως ἡμῖν εἶχε τὰ τοῦ πληρώματος. Ὁ μὲν ναύκληρος ἐθανάτα

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lettere 5, al fratello

11

Maledetto sia davanti a Dio chi si comporterà diversamente. Chiunque, dopo aver visto un’empia assemblea, abbia finto di non averla vista o che dopo averla sentita abbia fatto finta di non averla sentita, o che, spinto dall’interesse, si sia fatto corrompere, dispongo che venga trattato come gli Amaleciti,19 dei quali non è permesso neanche prendere i beni. Di colui che se ne era impadronito Dio dice: “Mi pento di aver dato la regalità a Saul”.20 Possa dunque Dio non avere alcun pentimento riguardo a voi, ma possa, al contrario, avere cura di voi, così come voi di lui. 5

Al fratello Da Azarion21 ad Alessandria, 407

Siamo salpati dal Bendidio22 prima dell’alba, ma abbiamo doppiato appena a mezzogiorno la “Formica”23 di Faro, poiché la nostra nave aveva per due o tre volte toccato il fondo del porto. In verità ciò apparve subito un cattivo presagio e sarebbe stato saggio abbandonare quella nave che fin dalla partenza non era stata fortunata; ma ci vergognammo di essere da voi accusati di codardia e per questo “ormai non si poteva più né avere paura né tornare indietro”.24 Così, nel caso in cui ci capiti qualcosa, saremo periti per causa vostra. Ma che ci sarebbe stato di male se voi vi foste burlati di noi e se noi fossimo stati fuori pericolo? Si dice di Epimeteo: “non aveva preoccupazioni, ma pentimenti”.25

Lo stesso vale per noi, poiché se allora potevamo salvarci, adesso ci diamo a un “concerto di lamenti”26 su delle rive deserte rimirando, per quanto possibile, verso Alessandria, così come verso nostra madre Cirene (l’una l’abbiamo abbandonata, l’altra non possiamo ritrovarla), dopo aver visto o vissuto delle scene che neanche in sogno ci saremmo aspettati. Ascolta dunque, affinché tu non abbia a goderti troppo il tuo tempo libero, quale era la composizione del nostro equipaggio. Il capitano della nave aspirava alla morte da quanto era indebitato. I

12

sinesio di cirene

κατάχρεως ὤν. Ναυτῶν δὲ ὄντων δυοκαίδεκα τῶν παρόντων (τρισκαιδέκατος γὰρ ὁ κυβερνήτης ἦν) ὑπὲρ ἥμισυ μὲν καὶ ὁ κυβερνήτης ἦσαν Ἰουδαῖοι, γένος ἔκσπονδον καὶ εὐσεβεῖν ἀναπεπεισμένον ἢν ὅτι πλείστους ἄνδρας Ἕλληνας ἀποθανεῖν αἴτιοι γένωνται· τὸ δὲ λοιπὸν ἀγελαῖοι γεωργοί, πέρυσιν οὔπω κώπης ἡμμένοι· κοινῇ δὲ οὗτοί τε κἀκεῖνοι πεπηρωμένοι πάντως ἕν γέ τι μέρος τοῦ σώματος. Τοιγαροῦν ὡς μὲν οὐδὲν δεινὸν ἦν ἡμῖν, πάντες ἐκομψεύοντο καὶ ἐκάλουν ἀλλήλους οὐκ ἀπὸ τῶν ὀνομάτων, ἀλλ’ ἀπὸ τῶν ἀτυχημάτων, ὁ χωλός, ὁ κηλήτης, ὁ ἀριστερόχειρ, ὁ παραβλώψ· ἕκαστος ἕν γέ τι εἶχε τοὐπίσημον, καὶ ἡμῖν τὸ τοιοῦτον οὐ μετρίαν παρεῖχε διατριβήν. Ἐν τῇ χρείᾳ δὲ οὐκέτι γέλως ἦν, ἀλλ’ ἐπὶ τούτοις αὐτοῖς ἀποιμώζομεν, ὄντες ἐπιβάται πλεῖν ἢ πεντήκοντα, τριτημόριά που μάλιστα γυναῖκες, αἱ πλείους νέαι καὶ ἀγαθαὶ τὰς ὄψεις. Ἀλλὰ μὴ φθόνει· παραπέτασμα γὰρ ἡμᾶς ἀπετείχιζε, καὶ τοῦτο ἐρρωμενέστατον, οὐ πάλαι διερρωγότος ἱστίου τεμάχιον, σωφρονοῦσιν ἀνθρώποις τὸ τεῖχος τὸ Σεμιράμιδος. Ἴσως δὲ κἂν ὁ Πρίαπος ἐσωφρόνησεν Ἀμαράντῳ συμπλέων, ὡς οὐκ ἔστιν ὁπότε ἡμᾶς σχολάζειν εἴασεν ἀπὸ τοῦ δεδιέναι τὸν ἔσχατον κίνδυνον. Ὅστις πρῶτον μέν, ἐπειδὴ τὸν παρ’ ὑμῖν τοῦ Ποσειδῶνος νεὼν κατεκάμψαμεν, ἄρας ὅλοις ἱστίοις, ἠξίου πλεῖν εὐθὺ Ταφοσίριδος καὶ ἀπεπειρᾶτο τῆς Σκύλλης ἣν ἐν τοῖς γραμματείοις ἀποτροπιαζόμεθα· συννενοηκότων δὲ ἡμῶν καὶ ἀνακεκραγότων, οὐ πρὶν ἢ ἐν χρῷ γενέσθαι τοῦ κινδύνου μόλις ἐκβιασθείς, ἀπέστη τοῦ διαναυμαχῆσαι πρὸς τὰς σπιλάδας. Ἐντεῦθεν ἀποστρέψας ὥσπερ ἐκ μετανοίας, ἐπαφίησι τῷ πελάγει, τέως μὲν ὡς ἐδύνατο καὶ πρὸς κῦμα παραβαλλόμενος· ἔπειτα δὲ καὶ νότος συνεπιλαμβάνει λαμπρός, ὑφ’ οὗ ταχὺ μὲν τὴν γῆν ἀπεκρύπτομεν, ταχὺ δὲ μετὰ τῶν ὁλκάδων ἦμεν τῶν διαρμένων αἷς οὐδὲν ἔδει Λιβύης τῆς καθ’ ἡμᾶς, ἀλλὰ πλοῦν ἕτερον ἔπλεον. Σχετλιαζόντων δὲ ἡμῶν καὶ ἐν δεινῷ ποιουμένων

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lettere 5, al fratello

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marinai presenti erano dodici, tredici con il capitano,27 e più della metà di loro, oltre al capitano, erano Ebrei, ovvero appartenevano a quella razza esclusa dall’Alleanza che è profondamente convinta di compiere un atto pio causando la morte del più alto numero possibile di Greci. Il resto consisteva in un gruppo di contadini che fino all’anno passato non avevano neanche toccato un remo. Nell’insieme, gli uni come gli altri, avevano almeno una parte del loro corpo menomata. Così scherzavano tutti tra di loro quando nessun pericolo ci minacciava e si chiamavano con dei nomi che, lontani dall’essere i loro, erano quelli della loro menomazione: “zoppo”, “ernia”, “mano sinistra”, “strabico”. Ciascuno di loro aveva almeno un tratto distintivo e noi non ci divertivamo poco in una simile situazione. Ma quando abbiamo avuto bisogno di loro non abbiamo avuto più motivo di ridere e per gli stessi motivi ci siamo lamentati, essendo noi passeggeri più di cinquanta, un buon terzo dei quali donne, la maggior parte peraltro giovani e belle a vedersi. Ma non essere invidioso: un sipario ci divideva ed era assai resistente, si trattava di un lembo di vela squarciatosi da poco, un vero muro di Semiramide28 per uomini virtuosi. Ma senza alcun dubbio anche lo stesso Priapo29 sarebbe stato virtuoso sulla nave di Amaranto, poiché in nessun momento questo ci teneva immuni dalla paura dei peggiori pericoli. Fu lui, anzitutto, che, quando avevamo doppiato nella vostra regione il tempio di Poseidone,30 ha deciso di puntare a vele spiegate dritto su Tafosiride,31 come se volesse misurarsi con quella Scilla che rifuggiamo nei libri di scuola. Noi ce ne accorgemmo e ci mettemmo a gridare, ma quello non si lasciò convincere prima di giungere nelle immediate vicinanze del pericolo, astenendosi solo allora dall’ingaggiare uno scontro navale con gli scogli. Cambiò quindi direzione, come preso da una nuova idea, e guadagnò il largo, procedendo, quanto più poté, in direzione contraria alle onde. Poi un forte vento del sud ci prese con sé, facendoci ben presto perdere di vista la terra e facendoci ben presto ritrovare in compagnia delle navi da carico a due vele che non hanno nulla a che fare con la nostra Libia, ma che seguivano una rotta differente. Noi ci lamentavamo ed esprimevamo il nostro disappunto

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sinesio di cirene

τὸ ἀπηρτῆσθαι τοσοῦτον τῆς γῆς, ὁ Ἰαπετὸς Ἀμάραντος ἐπὶ τῶν ἰκρίων ἑστὼς ἐτραγῴδει τὰς παλαμναιοτάτας ἀράς. «Οὐ γὰρ δὴ πτησόμεθα» ἔφη· «ὑμῖν δὲ πῶς ἄν τις καὶ χρήσαιτο, οἳ καὶ τὴν γῆν καὶ τὴν θάλατταν ὑποπτεύετε;» «Οὐκ, ἤν γέ τις αὐταῖς χρῷτο καλῶς, ὦ λῷστε Ἀμάραντε» πρὸς αὐτὸν ἔφην. ‹Ἡμῖν δὲ οὐδὲν Ταφοσίριδος ἔδει· «ζῆν» γὰρ «ἔδει.» Καὶ νῦν τοῦ πελάγους τί δεῖ; Ἀλλὰ πλέωμεν› ἔφην «εὐθὺ Πενταπόλεως, ἀπέχοντες τῆς γῆς ὅσον μέτριον, ἵν’ εἴ τι καὶ χαλεπὸν οἷα δὴ τὰ τῆς θαλάττης (ἄδηλον δὲ δήπου καὶ ἔστι καὶ παρ’ ὑμῖν λέγεται) λιμήν τις ἡμᾶς ἐκ τοῦ σχεδὸν ὑποδέξοιτο.» Οὔκουν ἔπειθον λέγων, ἀλλ’ ἐξεκεκώφει τὸ κάθαρμα ἕως ἄνεμος ἀπαρκτίας ἐπαράσσει πολύς, κῦμα ἐλαύνων ὑψηλὸν καὶ τραχύ. Οὗτος ἄφνω προσπεσὼν τὸ ἱστίον ἔμπαλιν ὤθησε καὶ τὰ κυρτὰ κοῖλα πεποίηκεν, ἡ δὲ ναῦς ἐγγὺς ἦλθεν ἐπὶ πρύμναν ἀνατετράφθαι. Μόλις δ’ οὖν αὐτὴν κατεστήσαμεν καὶ ὁ βαρύστονος Ἀμάραντος «Τοιοῦτον» ἔφη «τὸ τέχνῃ ναυτίλλεσθαι»· προσδέχεσθαι γὰρ αὐτὸς πάλαι τὸν ἐκ πελάγους ἄνεμον καὶ διὰ τοῦτο μετέωρος πλεῖν· κατιέναι γὰρ νῦν ἐγκάρσιος, ἐνδιδόντος τοῦ διαστήματος προστιθέναι τῷ μήκει· τοῦτον δὲ εἶναι τὸν πλοῦν τὸν ἡμέτερον οὐκ ἄν, εἴ γε παρὰ τὰς ἀκτὰς ἐπλέομεν· προσαναπεπλάσθαι γὰρ ἂν τῇ γῇ. Καὶ ἡμεῖς ἀπεδεχόμεθα λέγοντος ἕως ἡμέρα τε ἦν καὶ τὰ δεινὰ οὔπω παρῆν· ἤρξατο μὲν γὰρ δὴ μετὰ τῆς νυκτός, ἀεὶ προϊόντος ἐπὶ μεῖζον τοῦ κλύδωνος. Ἡμέρα μὲν οὖν ἦν ἥντινα ἄγουσιν Ἰουδαῖοι παρασκευήν· τὴν δὲ νύκτα τῇ μετ’ αὐτὴν ἡμέρᾳ λογίζονται καθ’ ἣν οὐδενὶ θέμις ἐστὶν ἐνεργὸν ἔχειν τὴν χεῖρα, ἀλλὰ τιμῶντες διαφερόντως αὐτὴν ἄγουσιν ἀπραξίαν. Μεθῆκεν οὖν ἐκ τῶν χειρῶν ὁ κυβερνήτης τὸ πηδάλιον, ἐπειδὴ τὸν ἥλιον εἴκασεν ἀπολελοιπέναι τὴν γῆν, καὶ καταβαλὼν ἑαυτὸν «πατεῖν παρεῖχε τῷ θέλοντι ναυτίλων.»

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per essere stati portati così lontani dalla terraferma, ma quel Giapeto32 di Amaranto, fermo sul ponte, lanciava, come un attore tragico, le più tremende maledizioni: “Di certo non potremo volare” – diceva – “Come si deve fare con voi, che diffidate sia del mare che della terra?”. “Non è così, purché ci si comporti con il mare e con la terra come si conviene, carissimo Amaranto” – ribattevo io – “Non ci preme di andare a Tafosiride, ci preme piuttosto di restare vivi. E adesso perché guadagnare l’alto mare? Piuttosto navighiamo – continuai – verso la Pentapoli tenendoci a una ragionevole distanza dalla costa, affinché, se pure dovessimo incontrare qualche difficoltà (il mare infatti è imprevedibile, lo hai detto anche tu), vi sia un porto vicino che possa accoglierci”. Ma parlando così non lo convincevo, faceva il sordo il maledetto. A un certo punto giunse un impetuoso vento del nord, che sollevava delle onde alte e violente. Questo vento si abbatté bruscamente su di noi e ribaltò la vela in senso contrario, facendola divenire, da convessa che era, concava, e la nave fu sul punto di capovolgersi sulla poppa. Durammo una gran fatica a farle mantenere l’assetto. Allora, con la sua voce profonda, Amaranto diceva: “Questo è navigare con arte”. Si aspettava infatti da tempo quel vento venuto dal largo e anzi proprio per questo si era messo a navigare in alto mare. Ora poteva mantenere una rotta obliqua,33 poiché la distanza a cui eravamo ci consentiva più lunghe bordate; la stessa rotta non l’avremmo potuta adottare se avessimo navigato lungo il litorale, perché ci saremmo fracassati sulla costa. Noi accettammo le sue spiegazioni finché fu giorno e il pericolo non fu presente. Questo in effetti non iniziò che con la notte, mentre le onde non cessavano di diventare sempre più grandi. Era quel giorno in cui gli Ebrei celebrano la Preparazione.34 Calcolano la notte assieme al giorno seguente e durante questo lasso di tempo nessuno può praticare alcuna attività manuale; è proprio proibendo ogni occupazione che onorano particolarmente quel giorno. Dunque, il capitano tolse le mani dal timone quando gli parve che il sole avesse lasciato la terra e, prostrandosi al suolo, “permetteva a qualunque marinaio lo volesse di calpestarlo”.35

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Ἡμεῖς δὲ τὴν μὲν οὖσαν αἰτίαν οὐκ εὐθὺς ἐπὶ νοῦν ἐβαλόμεθα, ἀπόγνωσιν δὲ τὸ πρᾶγμα οἰόμενοι, προσήειμεν, ἐλιπαροῦμεν μὴ καταπροέσθαι μηδέπω τὰς ἐσχάτας ἐλπίδας· καὶ γὰρ δὴ καὶ ἐπεῖχον αἱ τρικυμίαι, τοῦ πελάγους καὶ πρὸς ἑαυτὸ στασιάσαντος. Γίνεται δὲ τὸ τοιοῦτον ὅταν μὴ τῷ λήξαντι πνεύματι καὶ τὰ παρ’ αὐτοῦ συναναπαύσηται κύματα, ἀλλ’ ἰσχῦον ἔχοντα τὸ ἐνδόσιμον τῆς κινήσεως ὑπαντιάζῃ τῇ τοῦ πνεύματος ἐπικρατείᾳ καὶ ἀντεμβάλλῃ ταῖς ἐμβολαῖς. Ἔδει γάρ μοι καὶ φλεγμαινόντων ὀνομάτων ἵνα μὴ τὰ μεγάλα κακὰ μικροπρεπέστερον διηγήσωμαι. Τοῖς οὖν ἐν τῷ τοιῷδε πλέουσιν «ἀπὸ λεπτοῦ» φασί «μίτου τὸ ζῆν ἠρτῆσθαι.» Εἰ δὲ καὶ ὁ κυβερνήτης νομοδιδάσκαλος εἴη, τίνα δεῖ ψυχὴν ἔχειν; Ἐπεὶ δ’ οὖν συνήκαμεν τὸν νοῦν τῆς ἀπολείψεως τῶν πηδαλίων (δεομένων γὰρ ἡμῶν σώζειν ἐκ τῶν ἐνόντων τὴν ναῦν, τὸ βιβλίον ἐπανεγίνωσκε), πειθοῦς ἀπογνόντες, ἀνάγκην ἤδη προσήγομεν. Καί τις στρατιώτης γεννάδας (συμπλέουσι δὲ ἡμῖν Ἀράβιοι συχνοὶ τῶν ἀπὸ τοῦ τάγματος τῶν ἱππέων) τὸ ξίφος σπασάμενος ἠπείλησε τἀνθρώπῳ τὴν κεφαλὴν ἀποκόψειν εἰ μὴ ἀντιλήψοιτο τοῦ σκάφους· ὁ δὲ αὐτόχρημα Μακκαβαῖος οἷος ἦν ἐγκαρτερῆσαι τῷ δόγματι. Μεσούσης δὲ ἤδη τῆς νυκτὸς ἀναπείθεται παρ’ ἑαυτοῦ πρὸς τῇ καθέδρᾳ γενέσθαι. «Νῦν γάρ» φησίν «ὁ νόμος ἐφίησιν, ἐπειδὴ νῦν σαφῶς τὸν ὑπὲρ τῆς ψυχῆς θέομεν.» Πρὸς τοῦτο αἴρεται θόρυβος ἐξ ἀρχῆς, ἀνδρῶν οἰμωγή, γυναικῶν ὀλολυγή· ἅπαντες ἐθεοκλύτουν, ἐποτνιῶντο, τῶν φιλτάτων ὑπεμιμνήσκοντο· μόνος Ἀμάραντος εὔθυμος ἦν ὡς αὐτίκα ἂν περιγράψων τοὺς δανειστάς. Ἐμὲ δὲ ἐν τοῖς δεινοῖς (ὄμνυμί σοι θεὸν ὃν φιλοσοφία πρεσβεύει) τὸ Ὁμηρικὸν ἔθραττεν ἐκεῖνο μὴ ἄρα ἀληθὲς εἴη τὸν καθ’ ὕδατος θάνατον ὄλεθρον εἶναι καὶ αὐτῆς τῆς ψυχῆς. Λέγει γὰρ ἔστιν ὅπου τῶν ἐπῶν «Αἴας δ’ ἐξαπόλωλεν, ἐπεὶ πίεν ἁλμυρὸν ὕδωρ»,

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Noi non comprendemmo subito la reale causa di quel comportamento: credendo a un gesto di sconforto, ci dirigemmo verso di lui e lo supplicammo di non abbandonare ancora le nostre ultime speranze; in realtà c’erano dei grossi flutti che colpivano la nave e il mare s’era messo a fare la lotta con se stesso. Questi fenomeni si producono ogni volta che il vento si placa ma le onde che ha sollevato non fanno altrettanto; conservando al contrario tutta la forza dell’impulso che quello ha dato loro, si ribellano al suo dominio e rimpiazzano i suoi assalti con i loro (sono dovuto ricorrere a termini tanto ampollosi affinché non raccontassi così grandi mali in modo troppo mediocre). Quando ci si trova in mare nella situazione in cui eravamo, la vita è appesa, come dicono, “a un filo sottile”;36 ma se poi si ha come capitano un dottore della legge, in quale stato d’animo si deve essere? Comunque sia, quando cogliemmo la ragione per la quale aveva abbandonato il timone (mentre noi lo pregavamo di fare di tutto per salvare la nave quello leggeva il suo libro37), rinunciammo a utilizzare la persuasione e passammo alla costrizione. Un valente soldato (sulla nostra nave ci sono molti Arabi della sezione della cavalleria) sguainò la sua spada e lo minacciò di tagliargli la testa se non si fosse rimesso alla guida dell’imbarcazione. Amaranto, tuttavia, era un autentico Maccabeo38 e ben deciso a ostinarsi nel suo dogma. Ma verso la metà della nottata si decise da solo a riprendere il suo posto: “adesso infatti” – diceva – “la legge me lo consente, perché adesso stiamo davvero correndo un pericolo di vita”. A queste parole si levò immediatamente un gran frastuono: gemiti di uomini, lamenti di donne, tutti invocavano gli dèi, imploravano il loro soccorso, nominavano tutto ciò che avevano di più caro. Solo Amaranto restava fiducioso, all’idea che si sarebbe sbarazzato a breve dei suoi creditori. Per quanto mi riguarda, in mezzo a queste difficoltà – prendo a testimone quella divinità che la filosofia venera – temevo che potesse essere vera l’affermazione di Omero secondo la quale la morte in acqua coincide con la morte dell’anima. Egli dice infatti a un certo punto nei suoi poemi “Aiace scomparve quando bevve l’acqua salmastra”,39

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τὸν ἐν θαλάττῃ θάνατον ἀκριβεστάτην ἀπώλειαν εἶναι τιθέμενος. Οὐδένα γὰρ ἄλλον ἐξαπολωλέναι φησίν, ἀλλ’ ἕκαστος ἀποθνήσκων «Ἅιδόσδε βεβήκει.» Ταῦτ’ ἄρα καὶ ἐν δυοῖν Νεκύαιν ὁ μικρὸς Αἴας οὐδαμοῦ τοῦ δράματος εἰσενήνεκται ὡς τῆς ψυχῆς οὐκ οὔσης ἐν Ἅιδου· καὶ Ἀχιλλεύς, ἀνὴρ εὐψυχότατός τε καὶ φιλοκινδυνότατος, ἀποδειλιᾷ πρὸς τὸν ἐν ὕδασι θάνατον, ὅν γε καὶ λευγαλέον καλεῖ. Τούτους ἑλίττων τοὺς λογισμούς, ὁρῶ τοὺς στρατιώτας ἅπαν­ τας ἐσπασμένους μαχαίρας, καὶ πυθόμενος ἐμάνθανον παρ’ αὐτῶν ὡς καλὸν ἐπὶ τοῦ καταστρώματος ὄντας ἔτι πρὸς τὸν ἀέρα τὴν ψυχὴν ἐρυγεῖν, ἀλλὰ μὴ πρὸς κῦμα χανόντας. Τούτους αὐτοφυεῖς Ὁμηρίδας ἐνόμισα καὶ ἐθέμην τῷ δόγματι. Εἶτα κηρύττει τις ἐξαρτᾶσθαι χρυσίον, οἷς ἐστι· καὶ οἷς ἦν, ἐξήρτητο καὶ χρυσίον καὶ ὅ τι ἄξιον χρυσίου. Καὶ αἱ γυναῖκες αὐταί τε ἐσκευάζον­ το καὶ τοῖς δεομένοις ἁρπεδόνας διένεμον· πάλαι καταδεδειγμένον τοῦτο ποιεῖν, νοῦν δὲ ἔχει τοιοῦτον· φέρειν δεῖ τιμὴν ἐντάφιον τὸν ἐκ ναυαγίου νεκρόν. Ὁ γὰρ προστυχὼν καὶ κερδάνας νόμους Ἀδραστείας αἰδέσεται, μὴ οὐχὶ μικρόν τι μέρος ἀποδάσασθαι τῷ χαρισαμένῳ τὸ πολλαπλάσιον. Καὶ οἱ μὲν ἦσαν πρὸς τούτοις, ἐγὼ δέ, παρακαθήμενος, τὸ παλαμναῖον βαλάντιον τὴν παρακαταθήκην τοῦ ξένου ἔκλαιον, ὡς οἶδεν ὁ Ξένιος, οὐκ εἰ τεθνηξοίμην, ἀλλ’ εἰ ὁ Θρᾲξ ἀποστερήσοιτο τῶν χρημάτων ὃν καὶ ἀποθανὼν ἂν ᾐσχυνόμην. Ἐνταῦθα μέν γε τὸ ἐξαπολωλέναι κέρδος ἦν καὶ συναπολωλέναι καὶ συναποδρᾶναι τὴν αἴσθησιν. Ὃ δὲ ἐποίει παρὰ πόδας τὸν κίνδυνον, οὐχ ἕτερον ἦν ἀλλ’ ὅτι πᾶσιν ἱστίοις ἡ ναῦς ἐφέρετο, ὑποτεμέσθαι δὲ οὐκ ἦν, ἀλλὰ πολλάκις ἐπιχειρήσαντες τοῖς καλωδίοις ἀπηγορεύκειμεν, τῶν τροχῶν ἐν-

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mostrando che la morte in mare costituisce la maniera più certa di sparizione totale: infatti, di nessun altro che muoia egli afferma che è sparito, ma che “se ne è sceso nell’Ade”.40 Probabilmente, nelle due evocazioni dei morti,41 l’Aiace minore non compare mai nel racconto perché per Omero la sua anima non era nell’Ade; e anche Achille, uomo estremamente coraggioso e sprezzante del pericolo, dimostra di aver paura della morte in acqua, che definisce “miserevole”.42 Mentre tali pensieri si muovevano nella mia testa, vidi che tutti i soldati avevano sguainato le spade; informatomi, venni a sapere che pareva loro preferibile esalare l’anima sul ponte della nave, mentre si trovavano ancora all’aria libera, piuttosto che stare con la bocca spalancata tra le onde. Pensai che fossero degli autentici seguaci di Omero e condivisi il loro parere. Allora, qualcuno proclamò che era opportuno appendersi al collo dell’oro, se se ne aveva; tutti se lo appesero, oro o qualsiasi altro oggetto che avesse il suo valore; quanto alle donne, anche loro si adornarono e distribuirono a chiunque lo chiedesse dei pezzi di corda. Si tratta di una pratica che esiste sin dal tempo antico e che ha questo significato: chiunque muoia in un naufragio deve portare su di sé il costo della sua sepoltura, poiché chi si imbatterà nel suo cadavere e ne trarrà un guadagno avrà rispetto delle leggi di Adrastea43 e avrà timore a non rendere una piccola parte del suo guadagno a colui che gliene ha procurato uno molto maggiore. Mentre i soldati avevano tali preoccupazioni, io mi trovavo seduto da una parte e pensavo alla maledetta borsa che mi aveva affidato il mio ospite; e piangevo (il dio dell’ospitalità lo sa bene) non per la mia prossima morte, ma per il fatto di aver privato di quel denaro quel Trace davanti al quale, anche dopo morto, mi sarei dovuto vergognare. A quel punto, dunque, sarebbe stato un vantaggio, pensavo, scomparire totalmente, perire e perdere coscienza assieme agli altri. D’altra parte, ciò che rendeva il pericolo imminente era semplicemente il fatto che la nostra imbarcazione navigava a vele spiegate, ma non era assolutamente possibile ammainarle e dopo vari tentativi di manovrare le sartie avevamo dovuto rinunciare, poiché si intrigavano nei paranchi; e avevamo anche un’altra paura, non meno viva,

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δακόντων, καὶ ὑφώρμει δέος οὐκ ἔλαττον, εἰ καὶ διαγενοίμεθα ἐκ τοῦ κλύδωνος, οὕτως ἔχοντας ἐν νυκτὶ πελάζειν τῇ γῇ. Φθάνει δὲ ἡμέρα καὶ ὁρῶμεν τὸν ἥλιον ὡς οὐκ οἶδα εἴ ποτε ἥδιον, τό τε πνεῦμα ῥᾷον ἐγένετο, τῆς ἀλέας ἐπιδιδούσης, καὶ ἡ δρόσος ἐξισταμένη παρεῖχεν ἡμῖν κεχρῆσθαι τοῖς καλωδίοις καὶ τὸ ἱστίον μεταχειρίζεσθαι. Ὑπαλλάττειν μὲν οὖν ἱστίον ἕτερον νόθον οὐκ εἴχομεν (ἠνεχυρίαστο γάρ), ἀνελαμβάνομεν δὲ αὐτὸ καθάπερ τῶν χιτώνων τοὺς κόλπους καί, πρὶν ὥρας εἶναι τέτταρας, ἀποβαίνομεν οἱ τὸ τεθνάναι προσδοκήσαντες ἐν ἐσχατιᾷ τινι πανερήμῳ καὶ οὔτε πόλιν οὔτε ἀγρὸν ἐχούσῃ γείτονα, σταδίους ἑκατόν που πρὸς τοῖς τριάκοντα κατόπιν ἀγροῦ. Ἡ μὲν οὖν ναῦς ἐσάλευεν ἐπὶ μετεώρου (λιμὴν γὰρ ὁ τόπος οὐκ ἦν) καὶ ἐσάλευεν ἐπ’ ἀγκύρας μιᾶς· ἡ ἑτέρα γὰρ ἀπημπόλητο, τρίτην δὲ ἄγκυραν Ἀμάραντος οὐκ ἐκτήσατο. Ἡμεῖς δὲ ἐπειδὴ τῆς φιλτάτης ἡψάμεθα γῆς, περιεβάλλομεν ὥσπερ ἔμψυχον οὖσαν μητέρα καί, ἀποθύσαντες ὕμνους τῷ θεῷ χαριστηρίους ὥσπερ εἰώθειμεν, προσεθήκαμεν αὐτοῖς καὶ τὴν ἔναγχος τύχην ἀφ’ ἧς παρὰ δόξαν ἐσώθημεν, δύο ἑξῆς ἐπιμείναντες ἡμέρας, ἕως ἂν ἀφυβρίσῃ τὸ πέλαγος. Ἐπεὶ δὲ ἄπορον ἦν ὁδῷ χρήσασθαι, μηδενὸς ἀνθρώπων ὁρωμένου, πάλιν ἐπετολμήσαμεν τῇ θαλάσσῃ· καὶ ἄραντες εὐθὺς ἀρχομένης ἡμέρας ἐπλέομεν ἐκ πρύμνης ἀνέμῳ πᾶσαν αὐτὴν καὶ τὴν ἐπιγενομένην ἡμέραν, ἧς ἤδη ληγούσης τὸ πνεῦμα ἀπέλιπεν ἡμᾶς καὶ ἡμεῖς ἠνιάθημεν, ἐμέλλομεν δὲ ἄρα ποθήσειν γαλήνην. Ἦν μὲν οὖν τρισκαιδεκάτη φθίνοντος, ἐπῃωρημένου δὲ τοσούτου κινδύνου, μελλούσης εἰς ταὐτὸ συνδραμεῖσθαι τῆς τε συνόδου [τῶν ἄστρων] καὶ τῶν πολυθρυλλήτων στοιχείων ἃ μηδείς – φασί – πλέων ἐθάρσησε, καὶ δέον ἡμᾶς ἐλλιμενίζειν, οἳ δ’ ἐλελήθειμεν αὖθις ἀναδεδραμηκότες ἐπὶ τὸ πέλαγος. Ἡ δὲ στάσις ἤρξατο μὲν ἀπὸ τῶν ἀρκτικῶν πνευμάτων καὶ ὗσέ γε πολλὰ κατὰ τὴν συνοδικὴν νύκτα, ἔπειτα ἠκόσμει τὰ πνεύματα καὶ ἡ θάλαττα

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che si insinuava in noi, la quale era, ammesso che fossimo scampati alla tempesta, di accostarci alla terra in quelle condizioni, in piena notte. Ciononostante arrivò il giorno e noi scorgemmo il sole forse con il più grande piacere di sempre. Mentre l’aria si faceva più calda e il vento calava, la scomparsa dell’umidità ci permise di utilizzare i cordami e di manovrare la vela. Non potendo sostituirla con un’altra di ricambio (era stata presa in pegno), la riparammo come si fa con le pieghe di una tunica, e prima che fossero trascorse quattro ore, dopo essere stati ad attendere di morire, sbarcammo in una landa completamente deserta, nei cui pressi non vi era alcuna città o campo coltivato, che avevamo piuttosto lasciato alle nostre spalle, a circa centotrenta stadi.44 Giacché questo luogo non era un porto, la nostra nave beccheggiava in mare e per di più su di una sola àncora: la seconda era stata venduta e la terza Amaranto non l’aveva comprata. Quanto a noi, non appena avemmo toccato l’amatissima terra, l’abbracciammo come fosse nostra madre in carne e ossa e dedicammo a Dio, secondo la nostra tradizione, inni di ringraziamento, ricordando per di più il colpo di sfortuna che avevamo subito e al quale eravamo, contro ogni aspettativa, scampati. Restammo là per due giorni, nell’attesa che il mare si placasse; poi, siccome non era possibile trovare una strada giacché non si vedeva anima viva, avemmo di nuovo l’audacia di tentare per mare. Tolta l’àncora sul far del giorno, navigammo col vento in poppa per tutta quella giornata e per la seguente, ma, quando eravamo ormai giunti alla fine di questa, il vento ci abbandonò e ciò non poté che contrariarci. Eppure ben presto, in verità, avremmo rimpianto la bonaccia. Era il tredicesimo giorno di luna calante. Un notevole pericolo ci minacciava, poiché venivano a coincidere la congiunzione sinodica,45 da una parte, e dall’altra quelle famigerate costellazioni che non ispirano mai fiducia, si dice, ai navigatori; e noi che avremmo dovuto restare in porto, avevamo, senza essercene accorti, guadagnato di nuovo il mare aperto. I flutti iniziarono a sollevarsi sotto l’effetto dei venti del nord; piovve molto quella notte, che era quella della congiunzione sinodica. Poi i venti soffiarono in tutte le dire-

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κυκεὼν ἐγεγόνει. Τὰ δὲ περὶ ἡμᾶς οἷα εἰκὸς ἐν τοιούτοις, ἵνα μὴ πάθη παραπλήσια δὶς ἀφηγώμεθα. Ἐν οἷς ἦν, ὤνησέ τι τὸ μέγεθος τοῦ χειμῶνος. Τὸ κέρας ἐτετρίγει καὶ ἡμεῖς ᾠόμεθα προτονίζειν τὴν ναῦν· εἶτα κατεαγὸς μέσον ἐγγὺς μὲν ἦλθεν ἀπολέσαι πάντας ἡμᾶς· ἐπεὶ δὲ οὐκ ἀπολώλεκεν, αὐτὸ δὴ τοῦτο καὶ περιέσωσεν· οὐ γὰρ ἦν ἄλλως ἐνέγκαι τὴν βίαν τοῦ πνεύματος. Πάλιν δὲ δυσπειθὲς ἦν τὸ ἱστίον καὶ οὐκ εὔτροχον εἰς καθαίρεσιν. Οὕτως οὖν, παρὰ δόξαν ἀποφορτισάμενοι τὴν ἀπληστίαν τῆς βιαίας φορᾶς, ἡμέραν ἑξῆς καὶ νύκτα ἠνέχθημεν. Ἧς ἤδη περὶ δευτέραν οὔσης ὀρνίθων ᾠδήν, ἐλάθομεν ἐγχρίμψαντες ἀκαρῆ πέτρᾳ προβεβλημένῃ τῆς γῆς ὅσον εἶναι βραχεῖαν χερρόνησον. Βοῆς δὲ γενομένης ἐπειδή τις παρενηγγύησεν αὐτῇ γῇ πελάσαι, θροῦς ἤρθη πολὺς καὶ ἥκιστα ξύμφωνος, τῶν μὲν ναυτῶν πεφροντικότων, ἡμῶν δὲ ἐξ ἀπειρίας τὼ χεῖρε ἐπικροτούντων καὶ περιβαλλόντων ἀλλήλους καὶ οὐκ ἐχόντων ὅπως χρησόμεθα τῷ πλήθει τῆς χαρᾶς. Ἐλέγετο δὲ ὁ μέγιστος αὐτὸς εἶναι τῶν περιστάντων ἡμᾶς κινδύνων. Ἤδη δὲ ὑποφαινομένης ἡμέρας, κατασείει τις ἄνθρωπος χωρικῶς ἐσταλμένος καὶ δείκνυσι τῇ χειρὶ τόπους ὑπόπτους καὶ ἑτέρους οὓς ἔδει θαρρῆσαι. Καὶ τέλος μόνος ἦλθεν ἐπὶ κελητίου δισκάλμου, ὅπερ ἐξάψας τοῦ πλοίου μεταχειρίζεται τὸ πηδάλιον (ὁ δὲ Σύρος ἄσμενος ἐξέστη τῆς προεδρίας), ἀναλύσας δὲ σταδίους οὐ πλείους ἢ πεντήκοντα τήν τε ναῦν ἐνορμίζει λιμενισκίῳ χαρίεντι (Ἀζάριον, οἶμαι, καλοῦσιν αὐτό) καὶ ἡμᾶς ἐπὶ τῆς ἠϊόνος ἀπεβίβασε σωτὴρ καὶ δαίμων ἀγαθὸς ἐπικαλούμενος. Καὶ μετὰ μικρὸν ἑτέραν ὁλκάδα εἰσήλασε καὶ πάλιν ἄλλην, καὶ πρὶν ἑσπέραν εἶναι πέντε γεγόναμεν ὑπὸ τοῦ θεσπεσίου πρεσβύτου περισωθεῖσαι φορτίδες, πρᾶγμα μὲν ἐναντιώτατον τῷ Ναυπλίῳ ποιοῦντος (καὶ γὰρ οὐχ ὁμοίως ἐκεῖνος τοὺς ἀπὸ τοῦ χειμῶνος ἐδέξατο). Ἐς δὲ τὴν ὑστεραίαν ἄλλοι κατῆραν, ὧν ἔνιοι τῶν προλαβόντων ἦσαν

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zioni e il mare fu tutto in ebollizione. Quanto a noi, ci trovavamo in quelle condizioni che si possono immaginare per simili circostanze, non voglio ripeterti due volte sofferenze simili. Nella condizione in cui eravamo, la mole della tempesta ci fu di qualche utilità. L’antenna scricchiolava e noi cercavamo di tendere gli stralli della nave, ma allora quella si spezzò a metà e per poco non ci uccise tutti. Ma invece di causare la nostra morte questo incidente ci salvò, perché altrimenti non avremmo potuto sopportare la violenza del vento. Infatti, la vela si manovrava ancora con difficoltà e non era facile far ruotare le sartie per ammainarla. Così dunque, liberatici, contro ogni aspettativa, della violenza insaziabile della tempesta, continuammo a navigare il giorno e la notte seguente. Quando di questa fummo al secondo canto del gallo, ci trovammo a nostra insaputa nei pressi di una piccola sporgenza rocciosa del litorale, delle dimensioni di una modesta penisola. Ci fu un grido e qualcuno annunciò che ci stavamo avvicinando alla terra. Un gran chiasso, assolutamente cacofonico, si alzò, poiché, mentre i marinai si mostravano preoccupati, noi, privi d’esperienza, applaudivamo e ci abbracciavamo a vicenda, incapaci di trattenere l’ampiezza della nostra gioia; ma si può dire che quello era il più grande dei pericoli che ci avevano insidiato. Sul far del giorno un uomo vestito alla maniera indigena iniziò a farci dei segnali e a mostrarci con la mano i luoghi di cui non bisognava fidarsi, nonché quelli di cui, invece, ci potevamo fidare. Infine venne avanti, solo, su di una barca a due remi, che legò alla nostra nave prima di prenderne il timone (il nostro Siriano46 gli cedette ben volentieri la conduzione della nave). Poi, dopo essere ritornato indietro di cinquanta stadi o più,47 ormeggiò la nave in un grazioso porticciolo (si chiama, credo, Azarion48); dopodiché ci fece sbarcare sulla spiaggia, mentre noi lo acclamavamo salvatore e buon genio. Poco dopo, egli condusse là una seconda nave, poi ancora un’altra: prima di sera eravamo cinque imbarcazioni da trasporto a essere state salvate da questo vecchio prodigioso, le cui azioni erano esattamente opposte a quelle di Nauplio (che aveva, in effetti, un modo assai differente di accogliere le persone scampate alle tempeste).49 Il giorno seguente altre navi sbarcarono in quel luogo, tra le quali alcune

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ἀπὸ Ἀλεξανδρείας ἡμέραν· καὶ νῦν ὁλόκληρός ἐσμεν στόλος ἐν νεωρίῳ μικρῷ. Ἐπεὶ δὲ ἡμῖν ἤδη καὶ τὰ ἐφόδια κατεδήδοτο (οὐ γὰρ ὄντες ἐθάδες ἀτυχεῖν οὐδὲ ἐλπίσαντες ὑπερήμεροι γενέσθαι μέτριά γε ἐνετιθέμεθα καὶ οὐδὲ τούτοις μετρίως ἐχρώμεθα), ὁ δὲ πρεσβύτης καὶ τοῦτο ἠκέσατο, διδοὺς μὲν οὐδέν (οὐδὲ γὰρ οὐδ’ ὅμοιος ἦν ἔχοντι), δείξας δὲ πέτρας ἐν αἷς ἄριστον ἔφη καὶ δεῖπνον ἑκάστης ἡμέρας κεκρύφθαι τοῖς βουλομένοις πονεῖν. Ἐντεῦθεν ἰχθυώμενοι ζῶμεν ἡμέραν ἑβδόμην ἤδη, οἱ μὲν ἐντελεῖς μυραίνας τε καὶ καράβους εὐμεγέθεις αἱροῦντες, τὰ δὲ μειράκια κωβιοῖς εὐτυχεῖ καὶ ἰούλοις, ἐγὼ δὲ καὶ ὁ θρησκευτὴς ὁ Ῥωμαῖος ἐπὶ ταῖς λεπάσι ῥωννύμεθα (ἡ δὲ λεπὰς ὄστρεόν ἐστι κοῖλον ὅπερ, ἐπειδὰν λάβηται πέτρας, ἀπισχυρίζεται). Τὰ μὲν οὖν πρῶτα γλίσχρως ἐζῶμεν ἀπὸ τῆς θήρας, περιεχόμενος ἕκαστος ὅτου καὶ λάβοιτο, ἐδίδου δὲ δῶρα οὐδεὶς οὐδενί· νυνὶ δὲ ἐν ἀφθονωτέροις ἅπαντες ἀπὸ τοιᾶσδε αἰτίας. Αἱ γυναῖκες ταῖς γυναιξίν, αἱ Λίβυσσαι ταῖς πλεούσαις, βούλοιντο μὲν οὖν καὶ τὸ «ὀρνίθων γάλα» παρασχεῖν· παρ­έχουσι δὲ ὅσα αὐταῖς ἀήρ τε φέρει καὶ γῆ, τυρούς, ἄλευρα, πέμματα ἐκ κριθῶν, κρέα ἄρνεια, ἀλεκτορίδας, ᾠὰ ἀλεκτόρεια. Ἤδη δέ τις καὶ ὠτίδα ἔδωκεν, ὄρνεον ἐκτόπως ἡδύ· ἰδὼν ἂν ἀγροῖκος ἐπείπῃ ταών. Αὗται δὴ κατακομίζουσιν ἐπὶ ναῦν τὰ δῶρα, αἱ δὲ δεχόμεναι κοινοῦνται τοῖς βουλομένοις. Οἱ δὲ ἡμῖν ἤδη τὰ ἀπὸ τῆς θήρας δωροῦνται, καὶ ἥκει τις ἄλλος ἐπ’ ἄλλῳ, παῖς ἐπ’ ἀνδρὶ καὶ ἀνὴρ ἐπὶ παιδί, φέρων ἀεί τί μοι ξένιον, ὁ μὲν ἠγκιστρωμένον ἰχθύδιον, ὁ δὲ ἄλλος ἄλλο τι, πάντως ἕν γέ τι ἀγαθὸν ὧν φέρουσι πέτραι. Ἐμοὶ γὰρ οὐκ ἔστι βουλομένῳ τὰ παρὰ τῶν γυναικῶν δέχεσθαι, σὴν χάριν καὶ τοῦτο, ἵνα μή τις ἐκεχειρία μοι πρὸς αὐτὰς γένηται κᾆτα, ἐπειδὰν ἐξόμνυσθαι δέῃ, διαποροίην

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lettere 5, al fratello

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erano salpate da Alessandria un giorno prima di noi; adesso eravamo un’intera flotta in quella sorta di piccolo cantiere navale. I nostri viveri, però, si erano a quel punto esauriti. Non eravamo abituati a simili disavventure e non avevamo previsto quegli ulteriori giorni di viaggio: inoltre, avevamo portato una quantità moderata di provviste, che pure non avevamo consumato con moderazione. Anche a questo il vecchio pose rimedio, senza darci alcunché – non aveva proprio nulla di simile a qualcuno che possiede qualcosa – ma mostrandoci degli scogli dove, diceva, chiunque avesse voluto prendersene la briga avrebbe trovato nascosti ogni giorno il proprio pranzo e la propria cena. Così, viviamo della nostra pesca in questo luogo da sei giorni: gli adulti prendono delle murene e delle aragoste di notevole dimensione, mentre i giovani si divertono a prendere ghiozzi e iulidi; quanto a me e al monaco romano, ci fortifichiamo con delle patelle (la patella è una conchiglia concava che, una volta che si apprende agli scogli, vi aderisce solidamente). In questa situazione, all’inizio vivevamo della nostra pesca piuttosto a stento: ognuno si teneva per sé tutto ciò che prendeva e nessuno dava niente a nessuno. Ma adesso viviamo tutti in una certa abbondanza, per la seguente ragione. Le donne libiche vorrebbero offrire alle donne giunte qua a bordo delle imbarcazioni del “latte d’uccello”.50 Di fatto, offrono loro tutti i prodotti dell’aria e della terra che possiedono: formaggi, farina, dolci di orzo, carni d’agnello, galline e le loro uova; una ha già donato anche un’ottarda, uccello straordinariamente buono che un contadino potrebbe scambiare a prima vista per un pavone. Queste donne, dunque, portano i loro doni alla nave; le nostre li ricevono, poi li condividono con chiunque voglia. Quanto agli uomini, adesso ci donano anche loro i prodotti della loro pesca e vengono l’uno dopo l’altro, il ragazzo dopo l’adulto e l’adulto dopo il ragazzo, e mi portano sempre dei regali: l’uno con un piccolo pesce preso all’amo, l’altro con qualche altra cosa, ma comunque con uno dei buoni prodotti che forniscono gli scogli. Per quanto mi riguarda infatti, non voglio ricevere i doni portati dalle donne, anche questo per riguardo nei tuoi confronti, nonché per evitare che dopo aver dato vita a un qualche rapporto con loro mi trovi

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sinesio di cirene

ἀρνούμενος. Ἐπεὶ τί ἐκώλυε τό γε ἐπὶ τοῖς ἐπιτηδείοις τρυφᾶν; Οὕτω πολλὰ πολλαχόθεν συρρεῖ. Σὺ μὲν οὖν ἀρετῇ λογιῇ τὴν φιλοφροσύνην τῶν ἐγχωρίων ἣν εἰς τὰς ἐπιξενουμένας ἐνδείκνυνται· τὸ δὲ ἑτεροῖόν ἐστιν οἷον ἄξιον εἶναι καὶ διηγήσασθαι, καὶ ταῦτα ἐπὶ τῆς νῦν ἡμῖν παρούσης σχολῆς. Μήνιμα Ἀφροδίτης, ὡς εἰκάσαι, κατέχει τὴν χώραν· δυστυχοῦσι γοῦν ὅπερ αἱ Λήμνιαι· αὗται γὰρ ὑπερμαζῶσι καὶ ἀσυμμέτρως ἔχουσι τῶν στέρνων, ὥστε τὰ βρέφη μὴ διὰ μάλης ἀλλὰ δι’ ὤμων σπᾶν, τῆς θηλῆς ἀναβεβλημένης· εἰ μή τις εἴπῃ τὸν Ἄμμωνα καὶ τὴν Ἄμμωνος γῆν οὐ μᾶλλον εἶναι μηλοτρόφον ἢ κουροτρόφον ἀγαθήν, ἀνεῖναι δὲ τὴν φύσιν ἀνθρώποις ὁμοίως καὶ κτήνεσι δαψιλεστέρας καὶ ἁδροτέρας τὰς τοῦ γάλακτος πίδακας καὶ εἰς τοῦτο δεῖν ἁδροτέρων οὐθάτων τε καὶ θυλάκων. Μανθάνουσαι δὴ παρὰ τῶν ἀνδρῶν, οἷστισι συμβόλαιον γέγονε πρὸς ἄνθρωπον ὑπερόριον, ὅτι μὴ πᾶν τὸ θῆλυ τοιοῦτόν ἐστιν ἀπιστοῦσι· καὶ ἐπειδὰν λάβωνται γυναικὸς ξένης, φιλοφρονοῦνται καὶ πάν­τα δρῶσιν ἔστ’ ἂν τὰς ἀγκάλας διερευνήσωνται. Ἡ δὲ ἰδοῦσα λέγει πρὸς ἄλλην καὶ καλοῦσιν ἀλλήλας ὥσπερ οἱ Κίκονες· αἳ δὲ συμφοιτῶσιν ἐπὶ τὴν θέαν καὶ ἐπὶ τούτῳ δωροφοροῦσιν. Ἡμῖν δὲ ἦν τι καὶ τῶν ἐκ Πόντου θεραπαινίδιον ὃ συνελθοῦσαι τέχνη καὶ φύσις ὑπὲρ τοὺς μύρμηκας ἔντομον ἔδειξαν. Ἀμφὶ τοῦτο ἦν ἅπασα σπουδὴ καὶ τοῦτο παρὰ τῶν γυναικῶν πλεῖστα ἐνεπορεύετο καὶ μετεπέμποντο αὐτὸ πρότριτα ἄλλη παρ’ ἄλλης γυναῖκες τῶν ἀγρογειτόνων εὐδαίμονες· τὸ δὲ οὕτω τοι σφόδρα ἰταμὸν ἦν ὥστε καὶ ἀποδύσασθαι. Τοῦτό σοι δρᾶμα ἐκ τραγικοῦ κωμικὸν ὅ τε δαίμων ἡμῖν ἐνήρμοσε κἀγὼ τοῖς πρὸς σὲ γράμμασι. Καὶ οἶδα μὲν ἐκτείνας τὴν ἐπιστολὴν τοῦ μετρίου μεῖζον, ἀλλ’ ὥσπερ τοῦ συνεῖναί σοι κατὰ πρόσωπον, οὕτω καὶ τοῦ γράφειν ἀπλήστως ἔχων, ἅμα δὲ οὐδὲ ἐλ-

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lettere 5, al fratello

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in difficoltà quando dovrò giurare il contrario. Poiché altrimenti quale ostacolo potrebbe impedirmi di godere delle loro vettovaglie? A tal punto sono numerose e affluiscono da molte parti. Attribuirai senza alcun dubbio alla virtù la benevolenza che queste donne manifestano nei confronti dei loro ospiti. Ma la verità è un’altra e tale che vale la pena di raccontarla, visto il tempo libero di cui dispongo attualmente. La collera di Afrodite, si può ipotizzare, colpisce questa terra; in ogni caso, queste donne subiscono i suoi danni, esattamente come quelle di Lemno.51 Hanno infatti un seno troppo sviluppato e sproporzionato rispetto al busto, al punto che i loro figli non succhiano il latte dal davanti, ma dalle spalle, dove si trova rivoltato il seno materno. A meno che non si dica che Ammone e la terra di Ammone52 nutrono le bestie non più dei bambini e che la natura ha dato agli esseri umani come agli animali della regione delle fonti di latte più abbondanti e più generose del normale e che dunque per questo le donne devono avere delle mammelle e dei serbatoi più capienti. Queste donne, quando apprendono dagli uomini che hanno dei contatti con le persone esterne che non tutto il genere femminile è fatto come loro, non ci credono assolutamente; perciò, non appena incontrano una straniera, la accolgono amichevolmente e fanno di tutto fino a che non riescano a osservarle con precisione il petto. La prima che lo ha visto lo dice a un’altra, poi, come i Ciconi,53 si chiamano a vicenda. Allora tutte accorrono per vedere quello spettacolo e, a tale scopo, portano dei doni. Noi avevamo con noi, sulla nave, una piccola schiava del Ponto54 alla quale l’arte e la natura assieme avevano dato una taglia più fine di quella di una formica. L’attenzione generale si concentrava su di lei ed ella riceveva da quelle donne una notevole quantità di beni e le più benestanti della regione le hanno anche chiesto a turno due giorni prima di recarsi da loro; lei è stata così sfrontata da spogliarsi di ogni vestito. Tale è stato il dramma tragicomico che la divinità ci ha predisposto e che io ti ho raccontato in questa lettera, che ti è destinata. Ho perfetta coscienza di aver esteso la missiva oltre misura, ma come non mi sazio della tua compagnia quando mi trovo in tua presenza, altrettanto non mi sazio di scriverti; al tempo stesso,

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sinesio di cirene

πίσας ἔτι σοι διαλέξεσθαι, νῦν ἐπειδὴ ἐξόν, ἐμφοροῦμαι. Ἀλλὰ κἂν ταῖς ἐφημερίσι, περὶ ἃς ἐσπούδακα, τὴν ἐπιστολὴν ἐναρμόσας ὡς συχνῶν ἡμερῶν ἔχοιμ’ ἂν ὑπομνήματα. Ἔρρωσο καὶ τὸν υἱὸν Διόσκορον κέλευε μετὰ τῆς μητρὸς καὶ τῆς τήθης, ἃς ἐγὼ καὶ φιλῶ καὶ ἐν ἀδελφαῖς ἄγω. Ἄσπασαι τὴν σεβασμιωτάτην καὶ θεοφιλεστάτην φιλόσοφον, καὶ τὸν εὐδαίμονα χορὸν τὸν ἀπολαύοντα τῆς θεσπεσίας αὐδῆς, ἐκ πάντων δὲ μάλιστα τὸν ἱερώτατον πατέρα Θεότεκνον καὶ τὸν ἑταῖρον ἡμῶν Ἀθανάσιον. Τὸν δὲ ὁμοψυχότατον ἡμῖν Γάιον εὖ οἶδ’ ὅτι φρονῶν ὅσα ἐγὼ μετὰ τῶν συγγενῶν τάττεις. Μετ’ ἐκείνων γοῦν προσειρήσθω καὶ ὁ θαυμάσιος γραμματικὸς Θεοδόσιος ὅς, εἰ καὶ μάντις ὤν, ἔκρυπτεν ἡμᾶς (προγνοὺς γὰρ ἐν οἷς ἔσομαι κατέβαλε τὴν προθυμίαν τῆς σὺν ἡμῖν ἀποδημίας), ἀλλ’ οὖν ἔγωγε αὐτὸν καὶ φιλῶ καὶ ἀσπάζομαι. Σὺ δὲ μηδέποτε πλεύσειας. Εἰ δέ ποτε πάντως δεήσοι, ἀλλὰ μήτοι φθίνοντός γε μηνός. 6

ΑΝΥΣΙΩΙ  

Ὁ δὲ Καρνᾶς ἔτι μέλλει καὶ οὔθ’ ἑκὼν οὔθ’ ὑπ’ ἀνάγκης γίνεται δίκαιος. Χρὴ δὲ ἥκειν αὐτὸν ἵνα εἰδῶμεν ὅ τι καὶ λέγει καὶ οἷστισιν ὀφθαλμοῖς ἡμᾶς ἀντιβλέψεται, παρ’ ὧν ἠξίωσε καὶ ἀκόντων ὃν κέκλοφεν ἵππον ὠνήσασθαι, ἵνα μὴ στρατιώτης, φησίν, ἄνιππος ᾖ. Προτείνει δὲ κομιδῇ σμικρὸν ἀργύριον καὶ μὴ ἀποδιδομένοις οὐκ ἀποδίδωσιν, ἀλλ’ οἴεται σὺν δίκῃ τὸν ἵππον ἔχειν, καὶ ταῦτα οὐκ ὢν Ἀγαθοκλῆς ἢ Διονύσιος, οἷς αἱ τυραννίδες ἐπέτρεπον οὕτω πάνυ πονηροῖς εἶναι, ἀλλὰ Καρνᾶς ὁ Καπφαροδίτης, ὃν οὐ χαλεπὸν ἐπαναγαγεῖν εἰς τοὺς νόμους. Ἂν οὖν διαγάγῃ τις

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lettere 6, ad anisio

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dato che non speravo più di poterti parlare ancora, cedo, adesso che lo posso fare, alla mia ingordigia. Del resto, quando avrò inserito questa lettera nel diario che ho cura di redigere, potrò trovarci il ricordo di una quantità considerabile di giornate. Ti auguro una buona salute e lo stesso augurio porgi a tuo figlio Dioscoro, a sua madre e a sua nonna, che amo entrambe e che considero delle sorelle. Saluta la filosofa tanto venerabile e tanto cara a Dio, così come la beata schiera che gode della sua divina voce, tra gli altri, in particolare, il santissimo padre Teotecno e il nostro compagno Atanasio.55 Quanto al nostro grande amico Gaio, so bene che la pensi esattamente come me e che lo annoveri tra i parenti. Oltre a loro, salutami anche, certamente, l’ammirabile grammatico Teodosio, che peraltro mi ha tenuto nascosto di essere anche un indovino (aveva effettivamente previsto la nostra sorte quando rinunciò ad assecondare il desiderio di accompagnarci nel nostro viaggio). Non di meno mi è caro e lo abbraccio. Per quanto riguarda te, ti auguro di non avventurarti mai per mare. Se proprio un giorno ti sarà inevitabile, che non sia, almeno, alla fine del mese.56 6

Ad Anisio Da Tolemaide a Tolemaide, 411

Carnàs indugia ancora e non ritrova né di sua volontà né sotto costrizione il senso della giustizia. Tuttavia, la sua venuta è necessaria affinché io apprenda ciò che ha da dire e con quale sguardo sosterrà il mio, dopo avermi voluto acquistare, contro la mia volontà, un cavallo che mi aveva rubato per evitare, diceva, di essere un militare che ne era privo. Per quello mi ha offerto una somma ridicola e poi, davanti al mio rifiuto di vendere l’animale, si è rifiutato di rendermelo e si è al contrario considerato come il suo legittimo proprietario, e questo senza essere né Agatocle né Dionisio,57 che, in quanto tiranni, si permisero di compiere le peggiori nefandezze, ma solo Carnàs caffarodita,58 che senza difficoltà può essere condotto in tribunale. Perciò, se per caso lo portano al tuo

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sinesio di cirene

αὐτὸν ὡς σέ, μηδὲ ἡμεῖς ἀγνοήσωμεν, ἵνα τοὺς κατὰ πρόσωπον αὐτὸν ἐξελέγξοντας ἀπὸ Κυρήνης καλέσωμεν. 7

ΘΕΟΔΩΡΩΙ ΚΑΙ ΤΗΙ ΑΔΕΛΦΗΙ  

Πῶς δοκεῖτε «δέδηγμαι τὴν καρδίαν» ἐκδεδομένου λόγου κατὰ τὴν πόλιν ὅτι δεινῇ τινι καὶ πέρα δεινῆς ὀφθαλμίᾳ παλαίεις, ἀπειλούσῃ ταῖς ὄψεσι κίνδυνον; Ἔπειτα πέφηνεν ὁ λόγος ψευδής, καὶ οἶμαί τις παμπόνηρος ἄνθρωπος, προφάσεως εἰλημμένος τοῦ τῆς ὀφθαλμίας ὀνόματος, ᾖρεν ἐπὶ μέγα τὴν φήμην καὶ ἐτραγῴδησε. Τράποιτο μὲν οὖν εἰς ἐκεῖνον αὐτὸν ἅττα ὑμῶν κατεψεύσατο, τῷ δὲ θεῷ χάρις ὅτι παρέσχεν ἡμῖν ἀκοῦσαι καλλίονα. Χρῆν δὲ μή – τὸ λεγόμενον – ἄστροις τὰ καθ’ ὑμᾶς σημαίνεσθαι μηδ’ ὅ τι λέγει φήμη πυνθάνεσθαι, ἀλλὰ μάλιστα μὲν ἔχειν συνόντας· εἰ δὲ μή, γράμμασιν ὑμετέροις ἐντυγχάνειν καὶ παρ’ ὑμῶν τὰ περὶ ὑμῶν εἰδέναι. Ἀλλ’ ὑμεῖς ἡμῶν λίαν ἀμελεῖτε, ὥσπερ ἴσως ὁ θεὸς βούλεται. 8

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Οὐ μὴ ἐρεῖς ὡς ἔλαθεν ὑμᾶς ὁ διακομιστὴς τῶν πανηγυρικῶν γραμμάτων, ἀλλ’ ἰδόντες παρεωράκατε καὶ οὐκ ἔδοξεν ὑμῖν ἄξιον εἶναι τὸν ἀδελφὸν ἐν μνήμῃ ποιήσασθαι καὶ ἐπιθεῖναι πρὸς αὐτὸν γράμμα μηνύον ὅπως ἔχετε καὶ ἐν τίσιν ἐστέ. Ἐμοὶ γὰρ οὐκ ἀμελές ἐστιν εἰδέναι τὰ περὶ ὑμῶν, ἀλλ’ ἐπείπερ ἐν ἅπασι λυποῦμαι τοῖς ἐμαυτοῦ, βουλοίμην ἂν ἐν τοῖς ὑμετέροις εὐφραίνεσθαι. Ὑμεῖς δὲ καὶ ταύτης με τῆς παραμυθίας ἀφῄρησθε. Χρῆν δὲ οὐχί· καὶ

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lettere 7-8, a teodoro e a sua sorella

- al fratello

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cospetto, fammelo sapere, così che mando da Cirene i testimoni che potranno smentirlo di persona. 7

A Teodoro e a sua sorella Dalla Pentapoli a Costantinopoli

Potete immaginare “quale morso al cuore”59 quando si è sparsa per la città la voce che tu lottavi contro una grave, e più che grave, oftalmia, che insidiava pericolosamente la tua vista. Ma in seguito questa voce si è rivelata falsa: un uomo scellerato, penso, aveva preso a pretesto la parola “oftalmia” per esagerare la notizia e volgerla al tragico. Che tutte queste false voci sul tuo conto si rivoltino contro di lui e che sia reso grazie a Dio per avermi fatto giungere delle notizie migliori. Avresti comunque dovuto evitare di affidare agli astri, come si dice, la cura di rendermi informato della tua situazione e di farmi ricavare le informazioni dalle voci della gente; al contrario, avresti dovuto permettermi di condividere al massimo la tua compagnia o, in mancanza di questo, di leggere le tue lettere e di apprendere da te direttamente le novità che ti riguardano. Ma sei un po’ troppo indifferente nei miei confronti, e forse questa è la volontà di Dio. 8

Al fratello Dalla Pentapoli ad Alessandria, 412 o 413

Non mi dirai che il portatore della lettera festale60 è sfuggito alla tua attenzione. No, tu l’hai visto, ma non ci hai fatto caso e non hai pensato che fosse bene ricordarti di tuo fratello né di fargli sapere per lettera il tuo stato di salute e la tua situazione. Non mi è affatto indifferente di ricevere tue notizie, al contrario, anche perché, siccome nell’insieme della mia vita personale non provo che afflizione, vorrei trovare della gioia nella tua. Ma tu non mi dai neppure questa consolazione. Eppure non dovresti: anche se non

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sinesio di cirene

γὰρ εἰ μὴ γεγόνειμεν ἀπὸ τῶν αὐτῶν, ἀλλὰ τροφαὶ κοιναὶ καὶ παιδεῖαι κοιναὶ καὶ τί γὰρ οὐχὶ κοινόν; Πάντα διὰ πάντων ἡμᾶς ἀλλήλοις ᾠκείωσεν. Ἀλλὰ γάρ ἐστιν, ὥσπερ λέγεται, δυσημερία πρᾶγμα δεινόν· καὶ ὅταν ἥκῃ τινὶ χρόνος ἀντίξους, ἐνταῦθα τά τε ἄλλα πάντα καὶ ἀδελφῶν γνῶμαι καὶ φίλων ἐλέγχονται. Ἐμοὶ δὲ ἀποχρήσει καὶ παρ’ ἑτέρων πυνθάνεσθαι περὶ ὑμῶν. Μόνον ὁ θεὸς ἀγαθῶν εἴη νομεύς· τοιούτου γὰρ ἐρῶμεν ὑμῶν ἀκροάματος. 9

ΘΕΟΦΙΛΩΙ ΑΡΧΙΕΠΙΣΚΟΠΩΙ  

Βαθύ σε γῆρας καὶ λιπαρὸν περιμείνειεν, ἁγιώτατε καὶ σοφώτατε· τά τε γὰρ ἄλλα τῷ βίῳ κέρδος ἂν εἴης σωζόμενος καὶ μεγίστη προσθήκη τῷ διδασκαλείῳ τοῦ Χριστοῦ γίνεται ὁ τῶν πανηγυρικῶν βιβλίων ἀριθμὸς τοῖς ἐνιαυτοῖς συνεναυξανόμενος. Ὡς ὅ γε τῆτες καταπεμφθεὶς λόγος καὶ ἧσε τὰς πόλεις καὶ ὤνησε, τὸ μὲν τῷ μεγέθει τῶν νοημάτων, τὸ δὲ τῶν ὀνομάτων τῇ χάριτι. 10

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ ΥΠΑΤΙΑΙ  

Αὐτήν τέ σε καὶ διὰ σοῦ τοὺς μακαριωτάτους ἑταίρους ἀσπάζομαι, δέσποινα μακαρία. Πάλαι μὲν ἂν ἐγκαλέσας ἐφ’ οἷς οὐκ ἀξιοῦμαι γραμμάτων, νῦν δὲ οἶδα παρεωραμένος ὑφ’ ἁπάντων ὑμῶν ἐφ’ οἷς ἀδικῶ μὲν οὐδέν, ἀτυχῶ δὲ πολλὰ καὶ ὅσα ἄνθρωπος ἀτυχῆσαι δύναται. Ἀλλ’ εἴπερ εἶχον ἐντυγχάνειν ὑμετέραις ἐπιστολαῖς καὶ μανθάνειν ἐν οἷς διατρίβετε (πάντως δὲ ἐν ἀμεί-

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lettere 9-10, all’arcivescovo teofilo

- alla filosofa ipazia

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avessimo avuto gli stessi genitori, abbiamo almeno una formazione comune, un’educazione comune, e, in effetti, che cos’è che non abbiamo in comune? Tutto ci ha sempre intimamente unito l’uno all’altro. Ma, come si dice, l’avversità è una brutta cosa; quando infatti per qualcuno giungano giorni difficili, allora tutto è messo alla prova e soprattutto i sentimenti dei fratelli e degli amici. Per quanto mi riguarda, mi accontenterei di avere, anche per il tramite di altri, tue notizie. Ti auguro che Dio ti elargisca solo cose positive, perché questo è il genere di informazioni che desidero ardentemente ricevere sul tuo conto. 9

All’arcivescovo Teofilo Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Che una vecchiaia lunga e brillante sia riservata a te, illustre santità e saggezza. Se infatti da svariati punti di vista la prolungazione della tua vita non può esserci che di vantaggio, le tue lettere festali, il cui numero si accresce con il passare degli anni, costituiscono un potente contributo all’insegnamento di Cristo. E in effetti il discorso che ci hai inviato quest’anno ha comportato per le città delizie e benefici, questi ultimi per l’ampiezza della tua riflessione, le altre per l’eleganza della tua espressione. 10

Alla filosofa Ipazia Da Tolemaide ad Alessandria, 412 o 413

Ti porgo i miei saluti, beata maestra, e per tuo tramite li porgo ai miei beati compagni. Un tempo vi avrei rimproverato di non ritenermi degno di una lettera, ma adesso so di essere stato abbandonato da voi tutti, e non certo a causa di qualche ingiustizia da parte mia, ma a causa delle molte sfortune che ho subito, tante quante un uomo possa subire. Ma se almeno potessi leggere le vostre lettere e conoscere la vostra situazione (senza dubbio state in circostanze

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sinesio di cirene

νοσίν ἐστε καὶ καλλίονος πειρᾶσθε τοῦ δαίμονος), ἐξ ἡμισείας ἂν ἔπραττον πονήρως ἐν ὑμῖν εὐτυχῶν. Νῦν δὲ ἕν τι καὶ τοῦτο τῶν χαλεπῶν ἐστιν ἅ με κατείληφεν· ἀπεστέρημαι μετὰ τῶν παιδίων καὶ τῶν φίλων καὶ τῆς παρὰ πάντων εὐνοίας καί, τὸ μέγιστον, τῆς θειοτάτης σου ψυχῆς, ἣν ἐγὼ μόνην ἐμαυτῷ ἐμμένειν ἤλπισα κρείττω καὶ δαιμονίας ἐπηρείας καὶ τῶν ἐξ εἱμαρμένης ῥευμάτων. 11

ΤΟΙΣ ΠΡΕΣΒΥΤΕΡΟΙΣ  

Οὔτε πρότερον ὑμῶν ἐγὼ περιῆν ἁπάσῃ ῥώμῃ καὶ μηχαναῖς ἐκκλίνας ἱερωσύνην οὔτε νῦν ὑμεῖς ἐμοῦ κεκρατήκατε, ἀλλὰ θεῖον ἄρα ἦν καὶ τὸ μήπω τότε καὶ τὸ νῦν ἤδη. Ἐγὼ δὲ πολλοὺς ἂν θανάτους ἀντὶ τῆσδε τῆς λειτουργίας εἱλόμην· οὐ γὰρ κατ’ ἐμαυτὸν εἶναι τὸν κόσμον ἐλογιζόμην τοῦ πράγματος. Θεοῦ δὲ ἐπενεγκόντος οὐχ ὅπερ ᾔτουν, ἀλλ’ ὅπερ ἐβούλετο, εὔχομαι τὸν γενόμενον νομέα τοῦ βίου γενέσθαι καὶ τοῦ νεμηθέντος προστάτην. Ὁ γὰρ ἐννεάσας τῇ κατὰ φιλοσοφίαν σχολῇ καὶ θεωρίᾳ τῶν ὄντων ἀπράγμονι καὶ τοσοῦτον ὁμιλήσας φροντίσιν ὅσον ἀφοσιώσασθαι τῷ μετὰ σώματος βίῳ καὶ τῷ πολίτης γεγονέναι πόλεως πῶς ἀρκέσω μερίμναις ἐχούσαις συνέχειαν; Ἢ πῶς ἐμαυτὸν ἐπιδοὺς ὄχλῳ πραγμάτων ἔτι προσβαλῶ τοῖς νοῦ κάλλεσιν, ἃ μόνης ἐστὶ καρποῦσθαι τῆς μακαρίας σχολῆς, ἧς χωρὶς ἐμοὶ καὶ τοῖς ὁμοίοις ἐμοὶ ἅπας «ὁ βίος ἀβίωτος»; Ἐγὼ μὲν οὐκ ἂν εἰδείην· τῷ θεῷ δὲ – φασί – πάντα δυνατά, καὶ τὰ ἀδύνατα. Αὐτοί τε οὖν ὑπὲρ ἐμοῦ χεῖρας ἱκέτιδας ἄρατε πρὸς θεὸν καὶ τῷ τε ἐν ἄστει δήμῳ καὶ ὅσοι κατ’ ἀγροὺς ἢ κωμητικὰς ἐκκλησίας αὐλίζονται τὰς ὑπὲρ ἡμῶν εὐχὰς καὶ κοινῇ καὶ καθ’ ἕνα πᾶσι παρεγγυήσατε. Εἰ γὰρ μὴ ἔρημος ἀπολειφθείην θεοῦ,

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lettere 11, ai sacerdoti

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migliori delle mie e godete di una sorte migliore), la mia infelicità si dimezzerebbe, in quanto proverei gioia per voi. Invece, adesso, tra le pene che si abbattono su di me c’è anche quella di venire privato, assieme con i miei figli, pure dei miei amici e della benevolenza di tutti, nonché, soprattutto, della tua anima assai divina che sola avevo sperato mi restasse fedele, più forte delle ingiurie della sorte e dei flussi del destino. 11

Ai sacerdoti Da Tolemaide a Tolemaide, 412

In passato, quando ho rifiutato con tutte le mie forze e con tutti i mezzi il sacerdozio, non sono stato in grado di prevalere su di voi; adesso, però, voi non riuscite ad avere la meglio su di me. Il mio rifiuto passato e la mia accettazione attuale sono da ricondurre in verità a Dio. Per quanto mi riguarda avrei preferito mille volte la morte piuttosto che assumere questo pubblico servizio, poiché non mi ritenevo all’altezza del prestigio che comporta questa funzione. Ciononostante, dal momento che Dio ha imposto non i miei desideri ma la sua volontà, lo prego, giacché si è fatto pastore della mia vita, di essere protettore anche del compito affidatomi, poiché io che ho trascorso la mia giovinezza nell’ozio filosofico e nell’astratta contemplazione degli enti, io che ho conosciuto preoccupazioni soltanto quanto basta per soddisfare la vita corporea e la mia appartenenza civica a una città, come potrò essere all’altezza di prove continue? E come, se mi dedico a un grande quantità di questioni, potrò ancora rivolgermi alle bellezze dell’intelletto, delle quali non si può gioire che nella felicità dell’ozio, senza il quale, per me e per quelli come me “la vita non è degna di essere vissuta”?61 Io non saprei dirlo ma per Dio tutto è possibile, si dice,62 anche l’impossibile. A voi dunque di elevare verso di lui, per me, le vostre mani supplicanti e di ordinare ai fedeli della città come a quelli che abitano nelle campagne e frequentano le chiese dei villaggi di pregare, tutti quanti sono, per me, collettivamente o individualmente. Se infatti Dio non mi abbandona, riconoscerò che il

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sinesio di cirene

τότε γνώσομαι τὴν ἱερωσύνην οὐκ ἀπόβασιν οὖσαν φιλοσοφίας, ἀλλ’ εἰς αὐτὴν ἐπανάβασιν. 12

ΚΥΡΙΛΛΩΙ  

Ἴθι παρὰ τὴν μητέρα τὴν ἐκκλησίαν, ἀδελφὲ Κύριλλε, ἧς οὐκ ἀπεκόπης, ἀλλ’ εἰς καιρὸν ἐχωρίσθης, ὃ καὶ ταῖς τῶν ἁμαρτημάτων ἀξίαις διώρισται. Δοκῶ γὰρ εἰδέναι σε σαφῶς ὅτι τοῦτ’ ἂν πάλαι καὶ ὁ κοινὸς ἡμῶν πατὴρ ὁ τῆς ὁσίας μνήμης ἐποίησεν εἰ μὴ τὸ χρεὼν ἔφθασε· τὸ γὰρ ἐν μέτρῳ τάξαι τὴν τιμωρίαν γνώμης ἦν εὐθὺς ὑπισχνουμένης συγγνώμην. Αὐτὸν οὖν ἐκεῖνον τὸν ὅσιον ἱερέα νόμιζέ σοι δεδωκέναι τὴν κάθοδον καὶ πρόσελθε τῷ θεῷ καθαρευούσῃ πάθους ψυχῇ καὶ ἀμνηστίαν ἐχούσῃ κακῶν. Ἀλλὰ καὶ διὰ πάσης εὐφήμου μνήμης ἄγε τὸν ἱερὸν ἐκεῖνον καὶ θεοφιλῆ πρεσβύτην τὸν ἀποδείξαντά σε πρόεδρον δήμου. Πάντως σοι καὶ τοῦτο οὐκ ἀποθύμιον. 13

ΠΕΤΡΩΙ ΠΡΕΣΒΥΤΕΡΩΙ  

Θεὸς ἡγείσθω παντὸς ἔργου καὶ λόγου. Τὸν δὲ διακομιστὴν τῶν πανηγυρικῶν γραμμάτων ἃ καταγγέλλει τὴν κυρίαν τῆς ἑορτῆς ἡμέραν ἐννεακαιδεκάτην τοῦ Φαρμουθὶ μηνὸς ὡς τῆς ἐπὶ ταύτην ἀγούσης νυκτὸς τὸ ἀναστάσιμον ἐχούσης μυστήριον, τοῦτον καὶ προσιόντα καὶ ἐπανιόντα φιλανθρωπίας ἁπάσης ἀξιώσατε καὶ ἀμοιβῇ ζῴων ἐφ’ ἑκάτερα πέμψατε ὅστις ὑπὲρ τοῦ μὴ γενέσθαι ταῖς ἐκκλησίαις ἐκλιπὲς ἔθος ἀρχαῖον καὶ πάτριον μέσοις ἑαυτὸν τοῖς τῶν πολεμίων ὅπλοις ἐπέδωκεν, ὑποστὰς ὁδοιπορῆσαι δι’ ὑπόπτου τῆς χώρας. Ταῦτα καὶ πείθει τὴν πόλιν ὑπὲρ ἡμῶν εὔχεσθαι· δεῖ γὰρ αὐτὴν ἐντεῦθεν ἤδη τὴν τῆς ἐφ’ ἡμῖν ἀβουλίας αἴσθησιν δέξασθαι, ἥτις

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lettere 12-13, a cirillo

- al sacerdote pietro

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sacerdozio non costituisce, rispetto alla filosofia, un regresso ma un progresso e un’ascesa verso di essa. 12

A Cirillo Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Vieni presso tua madre la Chiesa, fratello Cirillo: tu non ne sei stato bandito, ma temporaneamente allontanato, per un periodo proporzionato all’entità dei tuoi peccati. Tu sai bene, io credo, che anche il nostro comune padre63 di santa memoria avrebbe agito alla stessa maniera, se il destino non lo avesse preceduto: l’aver stabilito una pena misurata era infatti un segno evidente della sua volontà a concederti un pronto perdono. Considera quindi che sia stato quel santo sacerdote ad accordarti il ritorno e avvicinati a Dio con un’anima pura priva di passione e incapace di ricordare ogni male. Ma conserva anche un ricordo sempre pio di quell’eccellente sacerdote, di quel vecchio caro a Dio, che ti aveva nominato per dirigere il popolo dei fedeli. Di certo neppure questo ti risulterà sgradito. 13

Al sacerdote Pietro Da Palebisca o Idrace a Tolemaide, 412

Che Dio guidi ogni mia azione e ogni mia parola. Ritenete degno, all’andata come al ritorno, di tutta la vostra benevolenza colui che reca la lettera pasquale, che fissa il giorno principale della festa al diciannove Farmutì,64 giacché la notte che precede è quella del mistero della resurrezione, e procurategli ogni volta un cambio di monta, considerando che è per evitare che non venga interrotta una vecchia usanza di origine ancestrale delle Chiese che egli si è esposto alle armi dei nemici e si è offerto di attraversare il nostro infido territorio. Questa lettera mira inoltre a persuadere la città di pregare in mio favore. Essa deve in effetti rendersi conto fin da ora dell’im-

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sinesio di cirene

ἐκάλεσεν εἰς ἱερωσύνην οὐχ ᾧ παρρησία τίς ἐστι πρὸς θεὸν ὅλου δήμου διαβάντι προεύξασθαι, ἀλλ’ ὅστις αὐτὸς ὑπὲρ τοῦ σωθῆναι δεῖται γενέσθαι δημαίτητος· ἐπεὶ καὶ τῆς ἐνθάδε συνόδου (πλῆθος δὲ συχνῶν ἱερέων) συντυχία τις ἦν ἣν ὁ νῦν καιρὸς ἤθροισεν ἐπιθεμένων ἡμῶν γράψαι πρὸς ὑμᾶς. Εἰ δὲ μηδὲν ἔσχον εἰπεῖν οἷον ἀκούειν εἰώθατε, συγγνώμη μὲν ἐμοὶ τοῦτο, ἔγκλημα δὲ ὑμῖν, ὅτι τὸν οὐκ εἰδότα τὰ λόγια τοῦ θεοῦ τῶν εἰδότων ἀνθείλεσθε. 14

ΑΝΥΣΙΩΙ  

Οὕτως ἀμύνουσι γονεῦσι παῖδες. Ἀπέχω τὴν χάριν. Καρνᾶς ἱκέτης μου γέγονεν, οὗ τὴν ἱκεσίαν ὁ θεὸς αἰδεσιμωτέραν ἐποίησε· ποῦ γὰρ ἱερέως εἰς ἰδίαν ὑπόθεσιν περιιδεῖν ἀγώγιμον ἄνθρωπον ἐν νηστίμοις ἡμέραις; Ὅστις οὖν ἦγεν αὐτόν, οὐκ ἀφῆκεν, ἀλλ’ ἀφῃρέθη τὸν ἄνθρωπον. Ἂν οὖν ὑπὲρ τοῦ βεβιάσθαι σοι δῶ δίκην, περιέστημεν ἡμεῖς εἰς τὸ τοῖς μὲν ἠδικηκόσι γενέσθαι φιλάνθρωποι, αὐτοὺς δὲ τοὺς οὐδὲν ἀδικοῦντας ἠδικηκέναι. 15

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ  

Οὕτω πάνυ πέπραγα πονήρως ὥστε ὑδροσκοπίου μοι δεῖ. Ἐπίταξον αὐτὸ χαλκευθῆναί τε καὶ συνενωθῆναι. Σωλήν ἐστι κυλινδρικὸς αὐλοῦ καὶ σχῆμα καὶ μέγεθος ἔχων. Οὗτος ἐπί τινος εὐθείας δέχεται τὰς κατατομὰς αἷς τῶν ὑδάτων τὴν ῥοπὴν ἐξετάζομεν· ἐπιπωματίζει γὰρ αὐτὸν ἐκ θατέρου κῶνος κατὰ θέσιν ἴσην

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lettere 14-15, ad anisio

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- alla filosofa

prudenza che ha commesso nei miei confronti, chiamando al sacerdozio uno che non ha sufficiente confidenza per presentarsi a Dio e pregarlo in favore dell’intero popolo dei fedeli, ma che necessita lui stesso della loro intercessione per ottenere la propria salvezza. È anche avvenuta, imposta dalle circostanze, la riunione improvvisa di un sinodo sul posto (c’era un gran numero di sacerdoti), proprio mentre mi trovavo in procinto di scrivervi.65 Se non sono stato in grado di dire nulla che rassomigliasse a quanto udite di solito, vi domando perdono, ma non potete prendervela che con voi stessi, poiché avete preferito un uomo che non conosceva la parola di Dio ad altri che la conoscevano. 14

Ad Anisio Da Tolemaide a Tolemaide, 411

Così dunque i figli soccorrono i loro genitori. Te ne ringrazio. Carnàs è venuto a supplicarmi e Dio ha accresciuto il rispetto che era dovuto alla sua supplica. Come potrebbe infatti un sacerdote, per delle ragioni personali, valutare con indifferenza l’arresto di un uomo in questi giorni di digiuno? Così, l’uomo che mi ha portato Carnàs66 non lo ha lasciato andare di sua iniziativa, ma vi è stato costretto.67 Quindi, se tu dovessi ritenermi degno di punizione per aver fatto ricorso alla coercizione, allora mi sarò ridotto a essere benevolente verso i colpevoli e a compiere dei torti nei confronti di coloro che non hanno nessuna colpa. 15

Alla filosofa Dalla Pentapoli ad Alessandria, 412 o 413

La situazione è talmente difficile che ho bisogno di un idroscopio.68 Fammene costruire uno, di bronzo e tutto di un pezzo. Si tratta di un tubo cilindrico, della forma e della misura di un flauto. Ha degli intagli allineati che permettono di determinare il peso dei liquidi;69

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sinesio di cirene

ἐγκείμενος ὡς εἶναι κοινὴν βάσιν ἀμφοῖν, τοῦ κώνου τε καὶ τοῦ σωλῆνος (αὐτὸ δὴ τοῦτό ἐστι τὸ βαρύλλιον). Ὅταν οὖν εἰς ὕδωρ καθῇς τὸν αὐλόν, ὀρθὸς ἑστήξει καὶ παρέξει σοι τὰς κατατομὰς ἀριθμεῖν, αἳ δὲ τῆς ῥοπῆς εἰσι γνωρίσματα. 16

ΤΗΙ ΑΥΤΗΙ  

Κλινοπετὴς ὑπηγόρευσα τὴν ἐπιστολὴν ἣν ὑγιαίνουσα κομίσαιο, μῆτερ καὶ ἀδελφὴ καὶ διδάσκαλε καὶ διὰ πάντων τούτων εὐεργετικὴ καὶ ἅπαν ὅ τι τίμιον καὶ πρᾶγμα καὶ ὄνομα. Ἐμοὶ δὲ τὰ τῆς σωματικῆς ἀσθενείας ψυχικῆς αἰτίας ἐξῆπται· κατὰ μικρόν με δαπανᾷ τῶν παιδίων τῶν ἀπελθόντων ἡ μνήμη. Μέχρις ἐκείνου ζῆν ἄξιον ἦν Συνέσιον μέχρις ἦν ἄπειρος τῶν τοῦ βίου κακῶν. Εἶτα ὥσπερ ῥεῦμα ἐπισχεθὲν ἀθρόον ἐρρύη, καὶ μετέβαλεν ἡ γλυκύτης τοῦ βίου. Παυσαίμην ἢ ζῶν ἢ μεμνημένος τῶν υἱέων τοῦ τάφου. Σὺ δὲ αὐτή τε ὑγιαίνοις καὶ ἄσπασαι τοὺς μακαρίους ἑταίρους ἀπὸ τοῦ πατρὸς Θεοτέκνου καὶ ἀπὸ τοῦ ἀδελφοῦ Ἀθανασίου ἀρξαμένη, πάντας ἑξῆς· καὶ εἴ τις αὐτοῖς προσγέγονεν ὡς εἶναί σοι καταθύμιος, ἐμὲ δὲ δεῖ χάριν ὀφείλειν αὐτῷ διότι σοι καταθύμιός ἐστι, κἀκεῖνον ὡς φίλων φίλτατον ἄσπασαι παρ’ ἐμοῦ. Τῶν ἐμῶν εἴ τί σοι μέλει, καλῶς ποιεῖς· καὶ εἰ μὴ μέλει, οὐδὲν ἐμοὶ τούτου μέλει. 17

ΗΛΙΟΔΩΡΩΙ  

Πολλὰ κἀγαθὰ γένοιτο τῷδε, δι’ εὐφήμου μνήμης τὴν σὴν ἄγον­ τι σεμνοπρέπειαν καὶ τὰς ἁπάντων ἀκοὰς ἐμπεπληκότι τῶν ἐπαίνων τῶν κατὰ σοῦ, ὀφειλομένων τῇ χρυσῇ σου ψυχῇ καὶ γλώττῃ. Πλὴν ἀλλὰ παρὰ πόδας ἀποδίδως τὴν χάριν τῆς εὐλογίας. Ἀντευ-

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lettere 16-17, alla filosofa

- a eliodoro

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a una delle sue estremità è otturato da un cono di circonferenza uguale, infilato all’interno del tubo in modo che il cono e il tubo abbiano una sola e stessa base (è questo il barillio70). Così, quando avrai immerso nel liquido il tubo, quello resterà in posizione verticale e tu potrai contare gli intagli, che danno le indicazioni sul peso. 16

Alla stessa Dalla Pentapoli ad Alessandria, 412 o 413

Sto dettando questa lettera mentre giaccio nel mio letto, ma spero che tu sia in buona salute quando la riceverai, tu che sei mia madre, mia sorella, mia maestra71 e da tutti questi punti di vista mia benefattrice, l’essere e il nome che più mi sono cari al mondo. La mia debolezza fisica ha una causa psicologica: poco a poco mi consuma il ricordo dei giovani figli che mi hanno abbandonato. La vita non valeva la pena di essere vissuta per Sinesio che per quel tempo in cui non aveva ancora provato i mali dell’esistenza. Poi, come un torrente prima trattenuto, essi si sono riversati in massa su di me e la mia esistenza ha perduto ogni dolcezza.72 Vorrei far cessare o la mia vita o il ricordo della tomba dei miei figli. Ma a te auguro una buona salute. Saluta i beati compagni, a partire dal padre Teotecno e dal fratello Atanasio e poi tutti gli altri.73 E se si è aggiunto un nuovo venuto che ti sia caro, devo rendergli grazie per esserti tale; ti prego di portagli i miei saluti come a un amico carissimo. Se ti interessi un poco della mia condizione, fai bene; se non te ne curi, allora neppure a me importa. 17

A Eliodoro Da Cirene a Tolemaide, tra il 405 e il 410

Che ogni bene vada all’uomo che reca questa lettera, il quale custodisce, attraverso un religioso ricordo, la tua magnificenza e riempie le orecchie di tutti con gli elogi della tua persona, dovuti alla

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sinesio di cirene

φημεῖται γὰρ ὑπὸ μυρίων ὅσων τῶν σῶν ἐραστῶν, οἷς ἅπασιν ἐγὼ τῶν πρωτείων ἀμφισβητῶ, μᾶλλον δὲ οὐκ ἀμφισβητῶ· συγχωροῦσι γὰρ ἅπαντες. 18

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ὁ δεῖνα βουλευτὴς μέν ἐστι πόλεως ἐν ᾗ τοὺς παῖδας ἐγεννησάμεθα (τρόπον οὖν τινα πάντας Ἀλεξανδρέας ὡς πολίτας ὑφ’ ἡμῶν τιμᾶσθαι καὶ ὁρᾶσθαι προσήκει)· τῷ δὲ ὑπάρχει συγγενεῖ τε εἶναι τοῦ μακαρίτου Θεοδώρου σφόδρα διὰ μνήμης ἡμῖν ἀνδρὸς γενομένου καὶ μηδὲν ἀμελεῖσθαι παρὰ τῶν τῇδε τὰ πρῶτα ἐχόν­ των ἐν τῷ πολιτεύεσθαι. Οὗτοί μοι προσήγαγον αὐτὸν χρυσίον ὡς ὑμᾶς νομὴν στρατιώταις κομίζοντα καὶ ἐδεήθησαν ἐμοῖς ἐφοδίοις γράμμασι παραπέμψαι πρὸς ὑμᾶς, ἡγούμενοι πάντα καλῶς ἕξειν αὐτῷ, τυχόντι τοῦ παρ’ ἐμοῦ σοί τε καὶ τῷ δεῖνι συστῆναι. Ἐγὼ μὲν ὅπερ ᾔτησαν ἔδωκα· εἰ δὲ μὴ μάτην, ὑμεῖς δείξετε. 19

ΗΡΩΔΗΙ ΚΑΙ ΜΑΡΤΥΡΙΩΙ  

Οὐκ ἐν αἰτίᾳ μοι δοκῶ πεποιῆσθαι τὴν κοινωνίαν τῆς ἐπιστολῆς, ἀλλ’ εἰ διῴκισα γράμμασι τοὺς συνημμένους τῇ γνώμῃ, τοῦτο ἂν ἦν τὸ ὑπαίτιον. Προσείρησθε δή, θαυμάσιοι, καὶ τὸν ἐπιδιδόντα τὴν ἐπιστολὴν ὃς ἐπὶ χρυσίου διακομιδῇ παρ’ ὑμᾶς ἐστάλη δημοσίαν ὁδόν, θάλψατε τὸν ἐνόντα τρόπον, ἐπειδή μοι παρὰ παν­ τὸς συνέστη τοῦ βουλευτηρίου καὶ βουλοίμην μὲν ἀγαθοῦ τινος αἴτιος αὐτῷ γενέσθαι. Οὐ μὴν οἶδα ὅτι μᾶλλον ὑμῶν ἑτέροις μέλειν ἄξιον ἡμῶν τε καὶ ὧν ἂν ἡμεῖς ἐπιβάλλωμεν.

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lettere 18-19, al fratello

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- a erode e martirio

tua anima e alla tua lingua d’oro. Tu comunque ricambi subito il favore dell’elogio. Egli è infatti a sua volta lodato dalla massa infinita di quelli che ti amano, tra i quali io rivendico il primo posto, anzi, non lo rivendico: me lo concedono tutti. 18

Al fratello Da Alessandria a Ficunte, 407

Quest’uomo è un curiale della città in cui noi abbiamo generato i nostri figli (in qualche modo, dunque, dobbiamo onorare e considerare tutti gli Alessandrini come dei concittadini). Egli ha peraltro un legame di parentela con il beato Teodoro, quel cittadino di cui noi abbiamo sempre serbato un vivo ricordo e che non deve essere dimenticato da coloro che qui ricoprono i più importanti ruoli nella vita politica. Costoro me lo hanno mandato perché vi portasse l’oro destinato come paga ai soldati e mi hanno domandato di mandarvelo munito di una mia lettera di raccomandazione, pensando che tutto gli sarebbe andato bene dopo aver ottenuto da parte mia una presentazione all’indirizzo tuo e di tale altra persona. Gli ho dato quanto mi hanno richiesto; se non invano, dimostratelo voi. 19

A Erode e Martirio Da Alessandria a Cirene, 407

Non credo di dover essere incolpato se indirizzo questa lettera a entrambi. Sarebbe stato piuttosto colpevole introdurre una distinzione epistolare tra amici legati da un comune affetto. Ricevete dunque il mio saluto, ammirabili amici. Quanto a colui che reca questa lettera, che per consegnarvi dell’oro è stato inviato in questa pubblica missione, circondatelo di tutta l’attenzione possibile, poiché mi è stato raccomandato da tutta la curia e mi piacerebbe che ricavasse un qualche bene da me. Non conosco nessuno che più di voi sia degno di prendersi cura di me e dei miei propositi.

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sinesio di cirene

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ΔΙΟΓΕΝΕΙ  

Ἕως ἔτι περιῆν ὁ μακαρίτης Θεόδωρος, κοινὸς μὲν ἦν ἁπάντων Πενταπολιτῶν πρόξενος, διαφερόντως δὲ τοὺς ἡμετέρους γονέας ἐξήρτητο τῇ τε εἰς ἅπαντα σπουδῇ καὶ τῇ τῆς γλώττης εὐστομίᾳ καὶ χάριτι. Τῶν οὖν παρ’ ἐκείνῳ πολλῶν καὶ ἡδίστων εἰς Ἀμμώνιον τὸν ἀνεψιὸν τὴν χάριν ἀπομνημονεύσωμεν. Ἐγὼ μὲν οὖν τοὐμὸν μέρος ἀπέτισα (τί δὲ ἦν ἀπόντος ἔργον ἢ τοῖς παροῦσι τὸν ἄνδρα συστῆσαι;), τὸ δὲ μὴ βαρεῖαν αὐτῷ τὴν αὐτόθι γενέσθαι διατριβὴν ὑμέτερον ἔργον. 21

ΤΩΙ ΗΓΕΜΟΝΙ  

Εἰ τοῦ Θεοδώρου μνήμη παρὰ τῇ σεμνοπρεπείᾳ τῇ σῇ (πῶς δὲ οὔ;) μέλλει, χάρισαι τοῖς εἰς τὸν ἀπελθόντα καθήκουσι τὴν εἰς τὸν ἀνεψιὸν τὸν ἐκείνου τιμήν. Καὶ γὰρ ἄνδρα ἀγαθὸν εὖ πεποιηκὼς ἔσῃ καὶ τῷ τῆς μεγάλης Ἀλεξανδρείας βουλευτηρίῳ χαρισάμενος· ὡς ἀθρόοι γενόμενοι, προσαγηόχασιν ἐμοὶ τὸν ἄνδρα καὶ ἐδεήθησαν ὄνασθαί τι τῶν ἡμετέρων γραμμάτων. Τὸ μὲν οὖν δοῦναι τὰς ἐπιστολὰς ἡμέτερον ἦν, τὸ δὲ εἰς ὄνησιν αὐτῷ γενέσθαι παρ’ ὑμῶν ἐπιζητεῖται. 22

ΑΝΑΣΤΑΣΙΩΙ  

Ἥσθην. Ἀλλὰ πῶς οἴει; Πάνυ μὲν οὖν ἀπὸ βαθείας τῆς γνώμης ἥσθην μαθὼν τὼ χρυσᾶ παιδία τῇ τοῦ βασιλέως φωνῇ νόμῳ σοι

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lettere 20-22, a diogene

– al governatore – ad anastasio

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A Diogene Da Alessandria a Cirene, 407

Fino a che non è venuto meno, il beato Teodoro è stato pubblico ospite di tutti i Pentapolitani e si era particolarmente attaccato ai miei genitori, sia per la cura che applicava in tutti i campi sia per il fascino e la grazia del suo linguaggio. Il ricordo delle sue numerose e così gradite qualità deve dunque indurci a riportare la nostra riconoscenza verso suo cugino Ammonio. Per quanto riguarda me, ho fatto la mia parte (infatti, assente, che cosa potevo fare se non raccomandarlo a coloro che gli si trovavano vicini?), ma adesso evitare che il suo soggiorno là sia sgradevole è compito vostro. 21

Al governatore 407

Se il ricordo di Teodoro dimora nella tua magnificenza (come non potrebbe?), applica a suo cugino la stessa stima che senti di dovere a lui che è defunto. Così avrai agito bene nei confronti di un uomo buono e avrai reso servizio alla curia della potente Alessandria; si sono riuniti tutti insieme i suoi membri per presentarmelo e per domandarmi di agire affinché ricavasse un qualche beneficio da una mia lettera. Il mio compito consisteva dunque nel dargli questa missiva; che ne ricavi un qualche beneficio, quello si richiede a te. 22

Ad Anastasio74 Da Cirene a Costantinopoli, 407 o 408

Mi sono rallegrato; ma perché, ti chiederai? Mi sono veramente rallegrato dal profondo del cuore alla notizia che “i figli d’oro”,75 per decisione dell’imperatore, sono divenuti figli tuoi; mi sono

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sinesio di cirene

παιδία γενόμενα· μάλιστα μὲν ὅτι σε φιλῶ (τίνα γὰρ ἂν δικαιότερον;), εἶθ’ ὅτι πονηροὺς ἀνθρώπους μισῶ, ὧν τὰς ἐν σκότῳ καὶ γωνίαις ἐλπίδας ἡ χρηστὴ τύχη τῶν παιδίων ὑπετέμετο. 23

ΔΙΟΓΕΝΕΙ  

Τοιοῦτόν ἐστιν ἡ Σύρων τρυφή· καὶ συγγενῶν καὶ φίλων ἐπιλήσμονας ἀποδείκνυσι· μὴν γὰρ οὑτοσὶ πέμπτος ἀφ’ οὗ γράμμασιν ἡμᾶς οὐκ ἠσπάσω, καὶ ταῦτα δούσης σοι τῆς φύσεως οὐ μόνον πρὸς χρείαν, ἀλλὰ καὶ πρὸς ἔνδειξιν καὶ φιλοτιμίαν ὑπαγορεύειν ἐπιστολάς. Ἀλλ’ ἂν αὐτὸς ὑγιαίνοις καὶ τὰ χρυσᾶ παιδία καὶ ἡ καλλίπαις μήτηρ αὐτῶν, ἡμῖν καὶ τοῦτο ἅλις ἔχει. 24

ΣΙΜΠΛΙΚΙΩΙ  

Ἔδει μέντοι ταῖς τύχαις τὰς γνώμας μὴ συνεξαίρεσθαι μηδὲ τὸ μεμνῆσθαι τῶν πάλαι φίλων ἔλαττον ἡγεῖσθαι τῆς παρούσης ἀξίας. Σὺ δὲ ἡμῶν ἐπιλήσμων ἐγένου χρόνου συχνοῦ· χρῆν δὲ οὐχί, καίτοι σφοδρᾶς διαθέσεως συναψάσης ἡμᾶς ἀλλήλοις. 25

ΗΛΙΟΔΩΡΩΙ  

Ἐμοὶ μὲν συμπρόεισι τοῖς ἐνιαυτοῖς ἡ τοῦ φίλτρου προσθήκη· σὺ δὲ εἰ μέν, ὁμοίως ἔχων, οὐκ ἄγεις σχολὴν ὑπὸ τοῦ τῶν πραγμάτων ὄχλου γράμμασι τιμᾶν, ὡς εἰκός, ἅπαξ ποτὲ καὶ οὓς εἰκός, κλέψας σαυτὸν ἀπὸ τῶν δημοσίων χρόνον ὅσον ἀρκέσαι πρὸς μέτρον

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lettere 23-25, a diogene

– a simplicio – a eliodoro

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rallegrato quindi anzitutto e soprattutto per affetto nei tuoi confronti (nei confronti di chi infatti avrei potuto farlo più opportunamente?), poi per odio verso i malvagi, le cui speranze, formatesi in angoli oscuri, sono state recise dalla buona sorte dei ragazzi. 23

A Diogene Da Cirene alla Siria, 408

Tale è la mollezza dei Siriani: fa loro dimenticare parenti e amici. Sono già passati quattro mesi da quando ci hai inviato un saluto per lettera, nonostante tu abbia il dono naturale di dettare delle lettere che mirano non soltanto all’utilità, ma anche a essere lette in pubblico e alla gloria. Ma se avete la salute, tu, i tuoi “ragazzi d’oro”76 e la loro madre dalla bella prole, questo per me è sufficiente. 24

A Simplicio Da Cirene a Costantinopoli, 405

Non si dovrebbe esaltare la mente con il volgere in positivo della sorte, né considerare il ricordo dei vecchi amici meno importante dell’attuale dignità. Tu mi hai ormai da molto tempo dimenticato: ma non avresti dovuto, talmente grande era l’affetto che ci teneva reciprocamente uniti. 25

A Eliodoro Da Cirene a Tolemaide, tra il 405 e il 410

Il passare degli anni accompagna in me un aumento d’affetto. Se lo stesso capita a te, ma la massa dei tuoi impegni non ti concede il tempo di onorare con una lettera, come sarebbe doveroso, una volta o l’altra coloro che sarebbe doveroso, sottraendoti ai tuoi impegni pubblici giusto il tempo di un’epistola conforme alla

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sinesio di cirene

ἐπιστολῆς, αὐτὸ τοῦτο μήνυσον. Εἰ δὲ ἐπιγινώσκεις ἀληθευομένην κατὰ σοῦ τὴν ὑποψίαν τῆς λήθης, διόρθωσαι μετανοίᾳ καὶ σαυτὸν ἡμῖν ἐπανάγαγε. 26

ΤΡΩΙΛΩΙ  

Ἀλλ’ εἰ μήτε Κυρηναῖοι μήθ’ αἱ πόλεις ἀστυγειτόνων ἀποτίσουσί σοι χάριν ἀξίαν ἀνθ’ ὧν ὁ θαυμάσιος Ἀναστάσιος αὐταῖς γράφει, πάντως γε ἡ τοῦ θεοῦ σοι πρόσεσται χάρις, ᾧ σαυτὸν οἰκειοῖς τῇ κοινωνίᾳ τῆς εὐεργετικῆς προαιρέσεως. Εὐδαιμονοίης, ἄριστε φιλοσόφων· οὕτω γὰρ ἐμοί σε φίλον καλεῖν, ὥσπερ ὑπαγορεύει τὰ πράγματα. 27

ΚΩΝΣΤΑΝΤΙ  

Εἰ δὲ φιλοσοφίας τιμᾷς ἀρετήν, οὐ μόνον ἐν παροῦσι τοῖς μετασχοῦσιν αὐτῆς, ἀλλὰ καὶ ἐν τοῖς ἀποῦσι τιμήσεις. Ὁ δὲ θεσπέσιος Ἀμυντιανὸς ὁ παρ’ ἡμῖν ποτε τυχὼν ἀμείνονος λήξεως, ἐμοὶ δοκεῖ, πάρεστι καὶ ἀπεῖναι δοκῶν. Τούτου συγγενῆ σφόδρα αὐτανέψιον ὁ παρ’ ὑμῖν Σωτήριχος ἀδικεῖ. Δεῖξον ὅτι κήδῃ Διονυσίου, καὶ πέπαυται Σωτήριχος ἀδικῶν. 28

ΣΙΜΠΛΙΚΙΩΙ  

Ἀφιέναι φησὶ δεῖν ὁ θεὸς τὰ ὀφειλήματα. Ὀφείλει δὲ ὁ μέν τις δάνεισμα χρυσίου, ὁ δὲ τὸ δοῦναι δίκην. Ὁ τοῦ λαβεῖν οὖν δίκην ὑπεριδὼν ὑπήκουσε τοῦ θεοῦ.

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lettere 26-28, a troilo

– a costante – a simplicio

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misura, allora fammelo sapere. Se invece riconosci come vero il sospetto di dimenticanza nei miei confronti, allora correggiti con il pentimento e restituiscimi la tua compagnia. 26

A Troilo Da Cirene a Costantinopoli, 405 o 406

Se né gli abitanti di Cirene né le città vicine ti dimostrano una riconoscenza proporzionata ai benefici che l’ammirabile Anastasio segnala loro per lettera, beneficierai comunque della riconoscenza di Dio, al quale ti accosta la comune volontà di fare del bene. Ti auguro di essere felice, tu che sei il migliore dei filosofi. Così infatti mi piace chiamarti, come dettano le tue azioni. 27

A Costante Da Cirene a Tolemaide

Se onori le virtù della filosofia, non le onorerai soltanto presso coloro che ancora le praticano nel presente, ma anche presso coloro che adesso sono assenti. Il divino Aminziano, che era un tempo presso di noi, è passato a miglior vita ma resta, mi sembra, presente, sebbene paia assente. Un suo parente stretto, un suo cugino, subisce ingiustizie da parte di Soterico, che si trova presso di voi. Mostra il tuo interesse per Dionisio e Soterico cesserà di offenderlo. 28

A Simplicio Dalla Pentapoli a Costantinopoli, 412

Dobbiamo rimettere i nostri debiti, dice Dio. Uno deve del denaro che gli è stato prestato, l’altro ha un debito nei confronti della giustizia. Colui che rinunciasse a ottenere giustizia non farebbe altro che obbedire a Dio.

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sinesio di cirene

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ΠΕΝΤΑΔΙΩΙ ΑΥΓΟΥΣΤΑΛΙΩΙ  

Τοῦ παρ’ ἡμῶν ὄχλου καὶ τῶν πραγμάτων αὐτὸς σὺ σαυτὸν αἰτιῶ· φιλοτιμηθεὶς γὰρ πᾶσι γενέσθαι καταφανὴς ὅτι με διὰ πάσης ἄγεις τιμῆς, ἅπασι τοῖς καταπονουμένοις ἐπ’ ἐμὲ τὸν δρόμον ἀνέῳξας. Οἶσθ’ οὖν ὅπως ποιήσεις εἰ δεῖ ποτε πεπαῦσθαι κἀμὲ κοπτόμενον ὑπὸ πολλῶν καὶ σὲ περὶ πολλῶν ὑπ’ ἐμοῦ; Εἰ καὶ πάνυ δεῖται μετρίων καὶ φιλανθρώπων ὑπὲρ οὗ γράφω καὶ τυχεῖν ἐστιν ἀξιώτατος, ὡς ἅπαντες ἴσασιν, ἀποτυγχανέτω σου μηδὲν ἧττον ἢ εἰ παμπόνηρός τε ἦν καὶ παμπονήρων ἐδεῖτο πραγμάτων. Τότε οὖν καὶ ὅταν ἀφίκωμαι παρὰ σὲ δῆθεν αἰτιασόμενος, πρόσταττε τοῖς ὑπηρέταις ἐπιζυγῶσαί μοι κατὰ τοῦ προσώπου τὰς θύρας. Ἂν τοῦτο γενόμενον οἱ μὲν ἴδωσιν, οἱ δὲ τῶν ἰδόντων ἀκούσωσι, τοὐντεῦθεν ἐγὼ καὶ σὺ βαθεῖαν εἰρήνην ἄξομεν ὡς οὐδεὶς ἔτι τοῦ λοιποῦ προσδραμεῖταί μοι καὶ προσανακλαύσεται. Εἰ δὲ ἀποδειλιάσεις καὶ οὐκ ἐθελήσεις ταῦτά σοι τοὺς ἀνθρώπους συγγνῶναι, ἀνέχου πολλάκις τῆς ἡμέρας ἀγαθόν τι ποιεῖν ἀνθρώπους ἱκέτας σου γενομένους δι’ ἐμοῦ τε καὶ τοῦ θεοῦ. Ἀλλ’ εὖ οἶδ’ ὅτι οὐκ ἀπαγορεύσεις εὖ ποιῶν. Οὔκουν οὐδὲ ἐγώ, πρεπούσας ὑποθέσεις τῇ φύσει σου ποριζόμενος. 30

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἐγὼ καὶ σοῦ κήδομαι καὶ τοῦδε· σοῦ μὲν ὡς μὴ ἀδικοίης, τοῦδε δὲ ὡς μὴ ἀδικοῖτο. Εἰ δὲ καὶ σοὶ δοκεῖ μετὰ τοῦ Πλάτωνος τὸ ἀδικεῖν τοῦ ἀδικεῖσθαι μεῖζον εἶναι κακόν, ἔοικά σοι μᾶλλον ἢ

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lettere 29-30, a pentadio augustale

51 29

A Pentadio augustale77 Da Alessandria ad Alessandria, 403

Se tante persone si recano da te da parte mia con un gran numero di questioni, prenditela con te stesso; infatti, da quando ti sei prodigato a mostrare a tutti che hai una grande stima nei miei confronti, hai aperto la strada verso di me a tutti quelli che hanno qualche problema. Sai dunque come fare se fosse opportuno porre fine un giorno al mio essere importunato da tutte queste persone e al tuo esserlo a tua volta per mio tramite? Sebbene la persona per la quale io scrivo presenta delle richieste assolutamente ragionevoli e piene di umanità ed è degnissimo di ottenerle, come tutti sanno, tu rifiutati di incontrarlo, esattamente come se si trattasse di un delinquente che ti fa delle turpi richieste. Se anche dovessi venire io stesso da te per lamentarmi, ordina ai tuoi servitori di chiudermi la porta in faccia. Qualora qualcuno dovesse assistere a questo, e altri sentirne parlare da chi ha visto, allora io, come te, guadagneremmo una profonda pace, perché nessuno accorrerà neppure più da me in futuro con le sue lamentele. Tuttavia, se hai paura a comportarti così e non vuoi che la gente risappia di un tuo simile comportamento, accetta di fare del bene più volte al giorno alle persone che ti vengono a supplicare in nome mio e in nome di Dio. So bene infatti che non rinuncerai a fare del bene, come neppure io a procurarti delle occasioni d’azione che siano conformi alla tua natura. 30

Allo stesso Da Alessandria ad Alessandria, 403

Sono preoccupato e per te e per colui che reca questa lettera; per te perché vorrei evitarti di commettere un’ingiustizia, per lui perché vorrei evitargli di subire un’ingiustizia. Se anche tu, con Platone, pensi che “commettere un’ingiustizia è peggio che subirla”,78 ti parrà che stia facendo un favore più a te che a lui nel sollecitare

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sinesio di cirene

τῷδε χαρίζεσθαι, δεόμενος ὑπὲρ αὐτοῦ πραττομένου δίκας ὑπὲρ ὧν οὐκ ἐξήμαρτεν. 31

ΑΥΡΗΛΙΑΝΩΙ  

Εἴ τινές εἰσι ψυχαὶ τῶν πόλεων, ὥσπερ οὖν εἰσιν, ἔφοροι θεῖαί τε καὶ δαιμόνιοι, πάσας ἡγοῦ σοι χάριν εἰδέναι καὶ ἀπομεμνῆσθαι τῶν ἀγαθῶν ὧν ἐπὶ τῆς μεγάλης ἀρχῆς ἅπασιν ἔθνεσιν αἴτιος γέγονας. Αὐτάς τε οὖν ταύτας παρὰ τοὺς καιροὺς ἑκάστους οἴου σοι παρεστάναι συνηγόρους τε καὶ συμμάχους καὶ τοῦ κοινοῦ θεοῦ δεῖσθαι γενέσθαι σοι πρεπούσας ἀμοιβὰς τῆς ἐνδεχομένης ἐκείνου μιμήσεως· τὸ γὰρ εὖ ποιεῖν ἓν τοῦτο μόνον ἔχουσι κοινὸν ἔργον ἄνθρωπος καὶ θεός, ἡ δὲ μίμησις οἰκείωσίς ἐστι καὶ συνάπτει πρὸς ὃ μιμεῖται τὸ μιμούμενον. Διάκεισο τοίνυν ὡς ἀπειργασμένος οἰκεῖος τῷ θεῷ τῇ κοινωνίᾳ τῆς εὐεργετικῆς προαιρέσεως καὶ σύνεσο γλυκείαις ἐλπίσιν, ὁποῖαι τῇ τοιαύτῃ τῆς ψυχῆς διαθέσει προσήκουσιν, ὦ μεγαλοπρεπέστατε μόνος ἢ μετ’ ὀλίγων σὺ μόνος δικαίως καλούμενε. Ἀσπάζομαι διὰ τῆς σεμνοτάτης φωνῆς τοῦ πατρὸς τὸν νέον Ταῦρον τὰς ἀγαθὰς Ῥωμαίων ἐλπίδας. 32

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ἐπιτομωτάτην ὁδὸν ἐπὶ τὸ πλουτεῖν ἐβάδισεν Ἀθανάσιος. Ἔγνωκεν ὁμόσε ἰτέον εἶναι τοῖς ἀποθνήσκουσι καὶ πρακτέον αὐτοὺς πειθοῖ καὶ βίᾳ πᾶν ὅ τι ἂν δύναιτο. Οὐκ ἂν οὖν αὐτὸν λάθῃ δημόσιος ἐπὶ διαθήκῃ καλούμενος, ἀλλὰ συνεισάλλεται.

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lettere 31-32, ad aureliano

– al fratello

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il tuo intervento a favore di una persona, quale è lui, che viene punita per un fatto che non ha commesso. 31

Ad Aureliano Da Costantinopoli a Costantinopoli, 399

Se esistono, ed esistono certamente, delle anime di natura divina e demonica che vegliano sulle città, tutte senza dubbio conservano un ricordo riconoscente dei benefici che al tempo della tua alta magistratura hai procurato a tutte le province. Dunque, queste saranno in ogni occasione al tuo fianco, sappilo, per sostenere la tua causa e le tue battaglie e pregano il Dio supremo di ricompensarti come si conviene per il fatto che te ne sei fatto imitatore, per quanto ti era possibile. Infatti, fare del bene è la sola e unica prerogativa che l’uomo abbia in comune con Dio e l’imitazione è una forma di affinità tra imitatore e imitato. Manifesta dunque attraverso il tuo comportamento la tua somiglianza con Dio, effetto della comune volontà di fare del bene, e vivi nella dolcezza delle speranze che si addicono a una tale disposizione spirituale, tu che solo, o solo assieme a qualcun altro, meriti di essere definito magnifico. Mando un saluto per il tramite della venerabile voce del padre al giovane Tauro,79 bella speranza dei Romani. 32

Al fratello Da Cirene a Ficunte

Atanasio ha intrapreso il cammino più breve per raggiungere la ricchezza. Ha capito che deve attaccare i moribondi ed esigere da loro, con la persuasione o con la forza, tutto ciò che può. Non c’è notaio chiamato per un testamento che possa sfuggirgli, ma irrompe nelle case assieme a lui.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἑκκαιδεκάτῃ μηνὸς Ἀθὺρ ὁ μακαρίτης Καστρίκιος αὐτὸ τοῦτο ἐγένετο, φάσμα χαλεπὸν ἰδών τε καὶ διηγησάμενος. 34

ΑΝΥΣΙΩΙ  

Ἰωάννης, ὃν ὅτι σε φιλεῖ δι’ αὐτὸ τοῦτο φιλῶ, νόσῳ χαλεπῇ προσ­ επάλαισεν. Ἦν δὲ αὐτῷ δεινὸν οὐχ ἡ νόσος, ἀλλὰ τὸ σοῦ τῆς ἱερᾶς ἀπεῖναι κεφαλῆς ἐπεὶ καὶ νῦν ἐν τοῖς ὁμοίοις ἐστί. Τούτῳ δέ τι καὶ τρίτον προσὸν χαλεπωτέραν τὴν νόσον ποιεῖ. Ἐρᾷ τοῦ τι ποιεῖν στρατιώτῃ πρέπον καὶ δυσκόλως ἔχει πρὸς τὴν ἐξ ἀνάγκης ἀργίαν. 35

ΑΥΡΗΛΙΑΝΩΙ  

Οἶμαί σου τὴν θεσπεσίαν ψυχὴν ἐπ’ αὐτῷ τούτῳ καταπεμφθεῖσαν ἐφ’ ᾧ κοινὸν ἀγαθὸν ἀνθρώπων εἶναι, καὶ χάριν εἰδέναι τοῖς συν­ ιστᾶσι τοὺς δεομένους δικαίων ὅτι σου πρεπούσας ὑποθέσεις τῇ φύσει πορίζονται. Οὐ γὰρ ὅτι συγγενής ἐστιν Ἡρώδης ἐμός, ἀλλ’ ὅτι δεῖται δικαίων, διὰ τοῦτό σοι τὸν νεανίσκον συνίστημι, ὅστις ἐκ προγόνων λαμπρότατος ὢν καὶ τὴν πατρῴαν βῶλον ὑποτελῆ τῇ συγκλήτῳ διαδεξάμενος, ἐπειδὴ γέγονεν ἡγεμών, ἀξιοῦται συν­ τελεῖν ὥσπερ οἱ νεόβουλοι καὶ γενέσθαι διπλοῦς λειτουργός, τὸ μέν τι διὰ τὴν οὐσίαν, τὸ δὲ δι’ ἣν ἦρξεν ἀρχήν.

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lettere 33-35, al fratello

– ad anisio – ad aureliano

55

33

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, tra il 405 e il 410

Il sedici Athyr Castricio è divenuto beato, dopo aver visto e raccontato una terribile visione. 80

34

Ad Anisio Da Cirene a Tolemaide, 411

Giovanni, che amo proprio perché ti ama, ha affrontato una grave malattia. Ma la sua sofferenza derivava meno dalla malattia che dall’allontanamento dalla tua santa persona, perché anche adesso rimane nel medesimo stato. Una terza ragione si aggiunge alle precedenti e accentua la gravità della malattia: egli brama di comportarsi come si conviene a un soldato e sopporta a fatica la sua inazione forzata. 35

Ad Aureliano Da Costantinopoli a Costantinopoli, 399

Credo che la tua anima divina sia stata inviata in questo mondo con un preciso scopo, quello di essere il bene comune dell’umanità e manifestare della riconoscenza a coloro che ti raccomandano delle persone che ti chiedono giustizia, dal momento che ti procurano delle occasioni per agire in maniera conforme alla tua natura. Non è assolutamente la mia parentela con Erode ma il suo desiderio di ottenere giustizia che mi porta a raccomandarti questo giovane uomo, che in virtù dei propri antenati ha il rango di chiarissimo e ha ereditato le terre senatoriali, suscettibili di un’imposta senatoria.81 In ragione del suo accesso alla funzione di governatore civile lo si reputa degno di essere tassato come i neo-senatori e di essere quindi sottoposto a un doppio carico, che valga cioè e per il suo patrimonio e per la funzione di comando che ha assunto.

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sinesio di cirene

36

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ἕλκει με παρὰ σὲ πόθος καὶ χρεία. Πυνθάνομαι τοίνυν εἴπερ μενεῖς ἥξοντα. 37

ΟΥΡΑΝΙΩΙ  

Ἔπεμψά σοι δῶρον ἵππον ἀκροφυέστατον εἰς ἅπασαν ἀρετὴν ἵππῳ προσήκουσαν, ᾧ χρήσῃ μὲν ἐν ἁμίλλαις δρόμων, χρήσῃ δὲ ὅταν ἐπὶ θήραν ἐξάγῃς καὶ ἐν ἀγῶσι πολεμικοῖς καὶ ὅταν κατάγῃς ἐπὶ τῷ Λιβυκῷ τροπαίῳ πομπὴν ἐπινίκιον· οὐ γὰρ οἶδα ὅ τι μᾶλλόν ἐστι, κυνηγέτης ἢ κέλης ἐναγώνιος ἢ πομπεὺς ἢ πολεμιστήριος. Εἰ δὲ Νισαίων ἵππων ἰδεῖν ἐστιν ἀηδέστερος, ὀχθώδης τε ὢν τὸ κρανίον καὶ λιπόσαρκος τὴν ὀσφῦν, τάχα μὲν οὐδὲ τοῖς ἵπποις, ὥσπερ οὐδὲ τοῖς ἀνθρώποις, «ἅμα πάντα» δίδωσιν ὁ θεός. Μήποτε δὲ τοῦτο καὶ πρὸς ἐκείνας αὐτῷ τὰς ἀρετὰς συντελεῖ εἰ τὰ μαλακὰ τῶν σκληρῶν ἐλάττω παρὰ τῆς φύσεως ἐκληρώσατο· πρός γέ τοι τοὺς πόνους ὀστέα σαρκῶν διαρκέστερα. Οἱ μὲν οὖν παρ’ ὑμῖν ἵπποι ταῖς σαρξὶ πλείους εἰσίν, οἱ δὲ ἡμέτεροι τοῖς ὀστέοις. 38

ΕΤΑΙΡΩΙ  

Ἐμισθωσάμην σοι ναῦν ἀνθρώπων εὐγενῶν καὶ πλεόντων τὴν θάλατταν μετὰ πλείονος τέχνης ἢ τύχης. Ὡς αἵ γε Καρπαθίων ὁλκάδες φήμην ἔχουσι διανοίᾳ κεχρῆσθαι, καθάπερ αἱ Φαιάκων τῶν πάλαι πρὶν ἐπὶ τὴν νῆσον γενέσθαι τὸ δαιμόνιον μήνιμα.

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lettere 36-38, al fratello

– a uranio – a un amico

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36

Al fratello Da Cirene a Ficunte

Il desiderio e il bisogno di vederti mi attirano verso di te. Ti chiedo dunque se attenderai il mio arrivo. 37

A Uranio Da Cirene a una provincia indeterminata dell’impero romano d’Oriente, tra il 406 e il 410

Ti ho inviato in regalo un cavallo che la natura ha dotato al massimo grado di tutte le qualità che si convengono a quell’animale. Lo utilizzerai per gare di corsa, per battute di caccia, combattimenti contro i nemici e quando condurrai una processione trionfale in seguito alla tua vittoria in Libia, giacché io non so se le sue qualità si addicano di più alla caccia, alle gare di corsa, alle processioni o alla guerra. Se in effetti è meno bello dei cavalli di Nisa82 in quanto ha la testa grossa e i fianchi magri, forse è perché anche ai cavalli, e non solo agli uomini, Dio non dà “tutto insieme”.83 Del resto, non so se l’avere per costituzione le parti molli meno sviluppate delle solide non si aggiunga ai pregi di questo cavallo, poiché in verità, se si tratta di resistere alla fatica, le ossa sono più adatte della carne. I vostri cavalli sono più in carne, i nostri hanno le ossa più robuste. 38

A un amico Da Ficunte a Cirene

Ho noleggiato per te un’imbarcazione con un equipaggio esperto, che nella navigazione in mare si affida più al mestiere che al caso. Il fatto è che le navi delle genti di Carpato84 hanno la reputazione di essere costruite con intelligenza, così come un tempo quelle dei Feaci, prima che sulla loro isola si abbattesse l’ira degli dèi.

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sinesio di cirene

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ΚΛΗΔΟΝΙΩΙ  

Συγγενὴς ἐμὸς ἀδικεῖται, σὺ δὲ καὶ φίλος εἶ καὶ δικάζειν ἔλαχες. Ἐκ μιᾶς οὖν προσοχῆς ὑπάρξει σοι κἀμοὶ καὶ τοῖς νόμοις χαρίσασθαι. Ἐπανίτω τοίνυν Ἀσφάλιος εἰς τὸ δεσπότης εἶναι τῶν κεραμίων, τῇ τοῦ πατρὸς διαθήκῃ προσλαβὼν τὴν ἀπόφασιν, τῆς κατηγορίας οὐκ ἐσομένης ἐμποδὼν τῷ παραυτίκα τῆς ἀκροάσεως. Πότε γὰρ δεῖ δικαιοδοτεῖν ἢ τὸν χρόνον ἐν ᾧ μάλιστα τυγχάνομεν δεόμενοι τοῦ θεοῦ; 40

ΑΝΑΣΤΑΣΙΩΙ  

Σωσηνᾶν τις ἔπεισεν ἢ θεὸς ἢ λόγος ἢ δαίμων ὅτι καὶ παρὰ τὰ χωρία τι γίνεται τοῖς ἀνθρώποις εἰς τὸ τυγχάνειν τε καὶ ἀποτυγχάνειν εὐμενοῦς τοῦ θεοῦ. Πράττων οὖν πονήρως παρ’ ἡμῖν καὶ τῶν πατρῴων ἀκριβῶς ἐκκοπείς, «ἔγνωκε πλεῖν εἰς τἀπὶ Θρᾴκης χωρία, ἐκεῖ διαλλαγησόμενος πρὸς τὴν Τύχην.»

Εἰ δή σοι φίλα πρὸς τὴν δαίμονα, σύστησον αὐτῇ τὸν νεανίσκον καὶ ἐξευρέτω τινὰ πόρον αὐτῷ χρημάτων. Ῥᾴδιον δὲ βουλομένῃ. Καὶ γὰρ τὰ Νόννου τοῦ Σωσηνᾶν φύσαντος οὐ χαλεπῶς εἰς ἑτέρους μετέθηκεν· ἀποφηνάτω δὴ καὶ Σωσηνᾶν κληρονόμον ἀλλοτρίου πατρός· γένοιτο γὰρ ἂν οὕτως ἐξ ἀδικίας τὸ δίκαιον.

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lettere 39-40, a cledonio

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– ad anastasio

39

A Cledonio Da Tolemaide a Tolemaide, 412

Uno dei miei parenti è vittima di un’ingiustizia. Tu sei mio amico e al tempo stesso ti sei ritrovato a fare da giudice. Perciò, con uno stesso provvedimento potrai soddisfare le esigenze mie e quelle della legge. Che Asfalio ritorni dunque padrone delle proprie anfore, una volta che avrà beneficiato di una sentenza che confermi il testamento di suo padre, senza che l’accusa possa impedire un dibattimento immediato. Difatti, quando mai si deve far giustizia, se non nel tempo in cui le nostre preghiere si rivolgono con più trasporto a Dio? 40

Ad Anastasio Da Cirene a Costantinopoli, tra il 405 e il 407

Sosenàs si è lasciato convincere – da Dio, da degli argomenti o da un demone – che i luoghi esercitano una qualche influenza sulla maniera in cui Dio accorda o rifiuta la sua benevolenza agli uomini. Viste le difficoltà che stava attraversando presso di noi, dove è stato completamente escluso dal patrimonio di famiglia “ha scelto di navigare verso la regione di Tracia, volendo riconciliarsi là con la Fortuna”.85

Se tu sei in buoni rapporti con la dea, raccomandale questo giovane uomo, in modo che gli trovi una qualche maniera per guadagnarsi del denaro. Per lei è facile, se lo vuole. Difatti, non ha avuto alcuna difficoltà a trasferire ad altri i beni di Nonno, il padre di Sosenàs. Che dunque faccia di questo l’erede del padre di un altro. Da un’ingiustizia, allora, si produrrebbe qualcosa di giusto.

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sinesio di cirene

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ΚΑΤΑ ΑΝΔΡΟΝΙΚΟΥ ΤΟΙΣ ΕΠΙΣΚΟΠΟΙΣ  

Αἱ κακοποιοὶ δυνάμεις ἐν κόσμῳ συντελοῦσι μὲν τῇ χρείᾳ τῆς προνοίας (κολάζουσι γὰρ τοὺς ἀξίους κολάζεσθαι), εἰσὶ δὲ ὅμως θεομισεῖς τε καὶ ἀποτρόπαιοι. Ἐγερῶ – φησίν – ἔθνος ἐφ’ ὑμᾶς ἀφ’ οὗ πείσεσθε τόσα καὶ τόσα, καὶ τελευτῶν αὐτοῖς ἐκείνοις οἷς ἐπιστρατεύει φησὶν ἐπεξελεύσεσθαι ὅτι παραλαβόντες ὑμᾶς οὐκ ἠλέησαν οὐδὲ ἀνθρωπίνως ἐχρήσαντο. Αὐτὰς μὲν γὰρ οὐκ ἐξεμελέτησα τὰς ἱερὰς συλλαβάς, ἰσχυρίζομαι δὲ ὡς ἔστιν οὗ τῶν βιβλίων ὁ θεὸς ταῦτα λέγων πεποίηται. Καὶ οὐκ εἶπε μὲν οὕτως, οὐκ ἐποίησε δέ· ἀλλὰ Βαβυλώνιος βασιλεὺς Ἱερουσαλὴμ μὲν τὴν πόλιν κατέσκαψε, τὸ δὲ ἔθνος ἠνδραποδίσατο, ὁ δὲ αὐτὸς οὗτος οὐκ εἰς μακρὰν ἐμεμήνει καὶ γέγονε δίκῃ θεοῦ ἐξερημωθῆναι τὴν πόλιν ὡς εἰ καὶ γέγονεν ἐν τῷ τόπῳ πόλις ἀπιστηθῆναι. Ἆρα τολμητέον ἔρεσθαι θεόν· «Διὰ τί σὺ μὲν ἀνίστης ἄνδρας ἐπὶ τοὺς ἡμαρτηκότας σοι τιμωρούς, ὅταν δὲ ὑπηρετήσωσι τῷ θείῳ βουλήματι καὶ γένωνται δήμιοι τούτοις ἐφ’ οὓς καταπέμπονται, δέον ἐκτῖσαι χάριν τῆς ὑπουργίας, τότε δὴ μάλιστα καὶ κολάζονται;» Ἀλλ’ ἦ κεκίνηκεν ἡμᾶς εἰς ἀπόκρισιν ὧν αὐτοῦ πυνθανόμεθα. Ἐπειδὴ γὰρ βεβλαμμένου τῇδε τοῦ θείου νόμου παρῆλθεν εἰς ἀνθρώπους κακά, τὰ δὲ κακοποιὰ διαφερόντως κακά· περιουσίᾳ γὰρ φύσεως καὶ δραστήρια γίνονται. Ἐπειδὴ δ’ οὖν ἅπαξ γέγονε τὰ κακά (τῆς γὰρ θείας σοφίας καὶ ἀρετῆς καὶ δυνάμεως ἔργον ἐστὶν οὐ μόνον τὸ ἀγαθοποιεῖν – φύσις γάρ, ὡς εἰπεῖν, αὕτη θεοῦ ὡς τοῦ πυρὸς τὸ θερμαίνειν καὶ τοῦ φωτὸς τὸ φωτίζειν –, ἀλλὰ κἀκεῖνο μάλιστα τὸ διὰ κακῶν ἐπινοηθέντων πρός τινων ἀγαθόν τι καὶ χρηστὸν τέλος ἀποτελεῖν καὶ ὠφελίμως τοῖς δοκοῦσι φαύλοις χρῆσθαι), σοφίας ἐστὶν εὐμηχάνου καὶ τοῖς

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lettere 41, contro andronico, ai vescovi

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41

Contro Andronico, ai vescovi Da Tolemaide a Tolemaide,86 412

Le potenze malefiche contribuiscono nell’universo ai disegni della provvidenza (puniscono infatti chi si merita di essere punito), ma non di meno esse sono in odio a Dio e abominevoli. “Solleverò contro di voi” – dice – “una razza” che vi farà soffrire in ogni modo e che infine, prosegue, attaccherà anche coloro con i quali ha condotto la guerra, poiché “dopo avervi avuti nelle loro mani, non hanno avuto pietà di voi e non vi hanno trattato con umanità”.87 Non ho riportato le parole esatte della Sacra Scrittura, ma sono sicuro che in un passo di questa si trova Dio che afferma tali cose. E non è vero che, dopo aver parlato così, non abbia agito di conseguenza: dopo che il re di Babilonia ebbe distrutto la città di Gerusalemme e ridotto la sua popolazione in schiavitù fu a sua volta, poco dopo, preso dalla follia e, conformemente alla giustizia divina, accadde che la sua città fu trasformata in un deserto, al punto che se ci si reca in quel luogo si fa fatica a credere che là vi sia mai stata una città. Bisogna avere il coraggio di porgere a Dio la seguente domanda: “Perché sollevi degli uomini per punire coloro che peccano contro di te e poi, una volta che questi hanno eseguito la volontà divina e si sono fatti carnefici di coloro contro i quali sono stati mandati, li colpisci con una punizione proprio al momento in cui dovresti ricompensarli?”. Ma in realtà Dio ci ha spinti a dare una risposta a ciò che gli chiediamo. Infatti, una volta che in questo mondo la legge divina è stata violata e che i mali si sono sparsi nell’umanità, le potenze malefiche sono particolarmente nocive perché l’esuberanza della loro natura le rende ancora più efficaci. Il male colpisce dunque una volta per tutte. Il compito della saggezza, della perfezione e della potenza divine non è solamente di fare il bene – questa è, per così dire, la natura di Dio, come quella del fuoco è di riscaldare e quella della luce di illuminare – ma anche e soprattutto di pervenire a un esito buono e onesto attraverso quanto alcuni hanno meditato di malvagio, nonché di utilizzare in maniera vantaggiosa ciò che sembra cattivo. È pro-

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sinesio di cirene

κακοῖς ἐν δέοντι χρήσασθαι. Ὅταν οὖν δέηται κολαστῶν, χρῆται νῦν μὲν ἀγελάρχαις ἀκρίδων δαίμοσι, νῦν δὲ ὧν ἔργα λοιμοί, καὶ νῦν μὲν ἔθνει βαρβάρων, νῦν δὲ ἄρχοντι πονηρῷ· καὶ καθάπαξ εἰπεῖν, ταῖς ἐπιτηδείοις εἰς τὸ ποιῆσαι κακὰ δημόσια φύσεσι. Μισεῖ δ’ ὅμως αὐτὰς ὅτι πρὸς τοῦτο γεγόνασιν ἐπιτήδειοι· οὐ γὰρ ἐποίησεν ὁ θεὸς ὄργανα συμφορῶν, ἀλλ’ ὑφ’ ἑαυτῶν εἰς τοῦτο ταχθεῖσιν ἑτοίμως ἐχρήσατο. Καὶ διατὶ πρὸς τοῦτο σὺ γέγονας χρήσιμος, αὐτὸ τοῦτ’ ἔστιν ὃ καί σε παντάπασιν ἀποκόπτει θεοῦ. Οὕτω καὶ σκεῦος τὸ μὲν ἄτιμον, τὸ δὲ τίμιόν ἐστί τε καὶ νομίζεται· κρίνεται γὰρ ἑκάτερον πρὸς ἥντινα τὴν χρείαν παρέχεται· τράπεζα μὲν ἱερὸν χρῆμα δι’ ἧς ὁ θεὸς τιμᾶται φίλιός τε καὶ ξένιος (καὶ τὸν Ἀβραὰμ ἡ φιλοξενία θεοῦ πεποίηκεν ἑστιάτορα), μάστιξ δὲ ἀποτρόπαιον (θυμῷ γὰρ ὑπηρετεῖται) καί τις ἤδη χρησάμενος αὐτῇ μετενόησε. Τῶν μέντοι κολαζομένων ὁ θεὸς κήδεται· οὐδὲ γὰρ οὐδὲ τοῦτο μικρόν, ἐπισκοπῆς ἀξιωθῆναι θεοῦ καὶ καθήρασθαι διὰ δίκης τὰ ἁμαρτήματα. Αἱ δὲ τιμωροὶ φύσεις εἰσὶν αἱ παντάπασιν ἀπόστροφοι τοῦ θεοῦ· τὸ γὰρ ἀφανιστικὸν τῷ δημιουργῷ δήπου πολέμιον. Οὐδὲ γὰρ οὐδὲ διάκειται τὴν γνώμην ὁ τιμωρὸς ἢ δαίμων ἢ ἄνθρωπος ὡς λειτουργίαν τινὰ ταύτην εἰσφέρων θεῷ, ἀλλὰ τῇ μοχθηρίᾳ τῆς φύσεως χαριζόμενος ταῖς κοιναῖς συμφοραῖς ἐπεξέρχεται. Οὐ τοίνυν ἐπειδὴ δυστυχεῖν ἔδει τὴν πόλιν, σὺ δὲ τοῦτ’ εἰργάσω, παρὰ τοῦτό σε δεῖ διαδρᾶναι τὴν δίκην· ταύτην γὰρ ἂν τὴν ἀπολογίαν καὶ Ἰούδας ἀπελογήσατο. Ἔδει γὰρ ὑπὲρ τῆς ἁπάντων ἁμαρτίας σταυρωθῆναι Χριστόν, ἀλλ’ ἔδει μέν – φησίν – οὐαὶ δὲ δι’ οὗ γίνεται, καὶ καλὸν ἦν τῷ ἀνθρώπῳ ἐκείνῳ, εἰ μὴ ἐγένετο. Οὐκοῦν τὸ μὲν ὁρώμενον ἀγχόνη τὴν προδοσίαν αὐτοῦ διεδέξατο, τὸ δὲ οὐχ ὁρώμενον οὐδ’ ἂν ἐπινοήσειέ τις. Οὐ γὰρ ἔστιν ἐπινοίᾳ ἀνθρώπου

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lettere 41, contro andronico, ai vescovi

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prio di una sapienza ingegnosa la capacità di utilizzare opportunamente anche il male. Quando Dio ha bisogno di castigatori, si serve tanto dei demoni che portano le locuste che di quelli che si occupano delle pestilenze, tanto di popolazioni barbariche che di un governatore cattivo; in una parola, di tutte le nature in grado di produrre delle sventure collettive. D’altra parte, egli ha in odio queste ultime, proprio in quanto sono in grado di fare ciò. Egli non è stato il creatore di questi strumenti di sventura, ma con decisione se ne serve, in quanto, di loro spontanea volontà, sono divenuti adatti a simili azioni. Tu ti sei reso utile a un compito di tale genere e questo ti esclude definitivamente da ogni rapporto con Dio. Allo stesso modo, esistono dei vasi senza valore e altri che sono ritenuti e sono davvero preziosi: si giudica ciascuno in base all’uso che se ne vuol fare. La tavola è un oggetto sacro, poiché con questa si onora la divinità dell’amicizia e dell’ospitalità (fu proprio la propensione all’ospitalità che ha fatto di Abramo un commensale di Dio), mentre la frusta è una cosa orribile (infatti è uno strumento d’ira) e chi l’ha usata se ne è poi pentito. Eppure Dio si prende cura di coloro che sono stati puniti: e non è davvero cosa da poco essere giudicati degni della sua attenzione e di sentirsi purificati dai propri peccati per il tramite della sua giustizia. Tuttavia, le nature vendicatrici sono in totale opposizione a Dio, poiché ogni forza distruttrice è ostile, appunto, a colui che crea. Infatti il vendicatore, demone o essere umano, non ha assolutamente la consapevolezza di rendere un servizio a Dio con le proprie azioni, ma è per compiacere alla malvagità della sua natura che procura pubbliche sventure. Non è dunque perché la nostra città doveva conoscere la sfortuna, e tu ne sei stato lo strumento, che devi sfuggire alla giustizia, perché tale sarebbe stata la giustificazione che avrebbe potuto portare anche Giuda. Era necessario, infatti, che Cristo fosse crocifisso per espiare i peccati del mondo, ma al contempo, dice la Scrittura, “guai a colui che ne sarà la causa, meglio per lui sarebbe stato se non fosse mai nato”.88 Se dunque nel campo del visibile l’impiccagione fu la conseguenza del suo tradimento, nel campo del non visibile non la si saprebbe neppure immaginare. L’imma-

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sinesio di cirene

χωρῆσαι τίνα γένοιτ’ ἂν τῷ Χριστοῦ προδότῃ τὰ κολαστήρια. Τὸ γὰρ ᾗ δεῖ γενέσθαι ὑπηρετῆσαι τῷ χρεὼν οὐκ ἀστείας ἀπολογίας ἐστίν. Δεῖ τοίνυν ὅσον οὐδέπω καὶ Αὐσουριανοὺς καὶ Ἀνδρόνικον, ὑπὲρ ὧν εἰς ἡμᾶς εἰργάσαντο δίκην ἀξίαν κομίσασθαι. Καὶ γὰρ τὴν ἀκρίδα τὴν λυμηναμένην ἡμῶν τοὺς καρποὺς καὶ μέχρι μὲν καλάμης τὸ λήϊον, μέχρι δὲ φλοιοῦ τὰ φυτὰ δαπανήσασαν καταποντιστὴς ἄνεμος ἄρας ὦσεν εἰς μέσον τὸ πέλαγος· ταύτῃ μὲν οὖν τῇ πληγῇ τὸν νότον ἀντέταξεν ὁ θεὸς καὶ ἐπ’ Αὐσουριανοὺς ἤδη τις ᾕρηται παρ’ αὐτοῦ στρατηγός. Ὡς εἴη γε τοῦτον ἡμῖν εἶναι τῶν παρ’ αὐτοῦ πώποτε στρατηγῶν εὐσεβέστατόν τε καὶ δικαιότατον. Τοῦτον ἐπὶ τῷ κατ’ αὐτῶν τροπαίῳ μακαρίσαι μοι γένοιτο. «Μακάριος – φησὶν – ὃς ἀνταποδώσει τὸ ἀνταπόδομα» αὐτοῖς, «μακάριος ὃς ἐδαφιεῖ τὰ νήπια αὐτῶν πρὸς τὴν πέτραν.» Τίς δὲ ἄρα, τίς ὄλεθρος περιμενεῖ τὸν παλαμναῖον τῆς χώρας Ἀνδρόνικον; Τίς ἀξία γένοιτ’ ἂν δίκη ψυχῆς κακεργάτιδος; Ὡς ἐμοὶ τῶν πληγῶν ἁπασῶν αἷς μετῆλθεν τὰς ἁμαρτίας ἡμῶν ὁ θεὸς Ἀνδρόνικός ἐστι μακρῷ πάντων βαρύτερος· πρὸς γὰρ ταῖς κοιναῖς συμφοραῖς οὗτος ἐμόν ἐστι κακὸν ἴδιον. Διὰ τούτου μέτεισιν ὁ πειράζων ἵνα δραπετεύσω τοῦ θυσιαστηρίου τὴν λειτουργίαν. Ἐπανακτέον δέ μοι μικρὸν ἄνω τὸν λόγου ἵν’ οἷς ἴστε προσθεὶς ἃ μὴ πάντες γινώσκετε ἀκόλουθον ὑμῖν τὴν διδασκαλίαν τῶν περὶ ἐμὲ πραγμάτων ποιήσωμαι· καὶ γὰρ πρὸς τὰ μετὰ ταῦτά μοι καλῶς ἔχει τούτων ὑμᾶς ἀκροατάς μοι γενέσθαι. Ἐμοὶ παιδόθεν παρέστη θεῖον ἀγαθὸν εἶναι σχολὴ καὶ τοῦ ζῆν εὐμάρεια, τοῦθ’ ὃ ταῖς θείαις φύσεσι προσήκειν τις ἔφη· αὐτὸ τοῦτ’ εἶναι τὸ τὸν νοῦν ἐκτρέφειν καὶ συνιστᾶν τῷ θεῷ τὸν ἔχοντά τε αὐτὴν καὶ καρπούμενον. Ὅσα δὴ παισίν ἐστιν ἢ γίνεται πράγματα, τούτων ἐλάχιστον ἐγὼ μετέσχον, καὶ ὅσα μειρακίοις καὶ ὅσα νέοις. Καὶ εἰς ἄνδρα παραγγείλας οὐδέν τι παιδαρίου πρὸς ἀπραγμοσύνην παρήλλαξα, ἀλλ’ ὥσπερ ἐν πανηγύρει σεμνῇ

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ginazione dell’uomo, infatti, è incapace di concepire i castighi per il traditore di Cristo. Dire che seguendo il compiersi necessario delle cose si è servito il destino non è una buona giustificazione. Bisogna dunque che gli Ausuriani e Andronico ricevano rapidamente la punizione che meritano per quanto ci hanno causato. Per quanto riguarda le cavallette, che avevano danneggiato i nostri raccolti e divorato le messi fino allo stelo e gli alberi fino alla corteccia, si è alzato un vento che le ha gettate fino alla costa e precipitate in mezzo al mare. Se Dio ha opposto a quel flagello il vento del sud, per quanto riguarda gli Ausuriani, ha già fatto la scelta di un governatore militare.89 Gli auguro di essere, tra tutti i comandanti che Dio ci ha mai donato, il più pio e il più giusto. Che possa io felicitarmi con lui per il trionfo che riporterà sui nemici! “Beato” – dice la Scrittura – “chi renderà loro quel che ci hanno dato”, “beato chi sbatterà la loro genie sulla pietra”.90 Ma quale morte, dunque, attenderà il flagello della nostra regione Andronico? Quale punizione potrebbe essere degna della sua anima malvagia? Di tutte le catastrofi cui Dio ha fatto ricorso per punire i nostri peccati, Andronico è a mio avviso di gran lunga la peggiore: oltre alle sciagure comuni costui è per me un male personale. È per suo tramite che il tentatore mi aggredisce affinché io diserti il servizio dell’altare. Ma è necessario che torni un poco indietro con il mio discorso, cosicché possa presentarvi, aggiungendo a quanto sapete di già, ciò che voi non conoscete tutti, un resoconto ordinato delle questioni che mi riguardano; è opportuno che udiate da me queste cose, per poi comprendere ciò che seguirà. A partire dall’infanzia ho ritenuto dei beni divini l’ozio e la facilità dell’esistenza, beni che, appunto, come dice la parola stessa, si convengono a nature divine e consistono nel coltivare l’intelletto e nell’unirlo a Dio, quando si possa disporre di ozio e se ne possa godere. Quindi per tutte quelle cose che normalmente attraggono i bambini o che si aggiungono col tempo, col divenire adolescenti e poi giovani, io ho sempre nutrito scarso interesse. Divenuto adulto, non è cambiato in nulla quell’atteggiamento che avevo sin da piccolo e che mi guidava verso la quiete; ho quindi trascorso la vita come in una festa solenne,91 mantenendo per tutta

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διεξάγων τὸν βίον, διὰ πάσης ἡλικίας ἵλεω καὶ ἀκύμαντον τῆς ψυχῆς ἐτήρησα τὴν διάθεσιν. Οὐ μὴν διὰ τοῦτο ἀνθρώποις ἀσυντελῆ με πεποίηκεν ὁ θεός, ἀλλὰ πολλάκις ἡμῖν καὶ ἰδιῶται καὶ πόλεις εἰς δέον ἐχρήσαντο· ἐδίδου γὰρ ὁ θεὸς δύνασθαί τε τὰ μέγιστα καὶ τὰ κάλλιστα βούλεσθαι. Τούτων οὐδὲν ἐμὲ φιλοσοφίας ἀφεῖλκεν οὐδὲ τὴν εὐδαίμονά μοι σχολὴν ὑπετέμνετο· τὸ γὰρ ὠθισμῷ καὶ μόχθῳ καὶ μόλις ποιεῖν, τοῦτ’ ἔστιν ὃ δαπανᾷ τὸν χρόνον καὶ τὴν ψυχὴν ἐμβαπτίζει μερίμναις πραγμάτων. Ὅτῳ δὲ εἰπεῖν μόνον καθήκει, ἡ πειθὼ δὲ ἕπεται καὶ ὁ λόγος ἀνυσιμώτατός ἐστι παρὰ τοῖς ἀκούουσι, τίς φειδὼ ῥημάτων ἵνα δυστυχίας τις ἐλευθερωθῇ; Τίμιον ζῷον ὁ ἄνθρωπος· τίμιον γὰρ εἰ δι’ αὐτὸν ἐσταυρώθη Χριστός. Ἐμοὶ δὴ τὸ πείθειν ἀνθρώπους εἰς τὸν μέχρι τοῦ παρόντος ἐνιαυτὸν τάχα μὲν θεῖος κλῆρος ἐγένετο, τάχα δὲ μόλις πραγμάτων ἁπτόμενος ἐπετύγχανον· νῦν γὰρ δὴ τὸ πρᾶγμα ἔοικεν ἐξελέγχεσθαι. Μετὰ πολλῶν, ἅτινα σαφῶς ἦν τοῦ θεοῦ, καὶ τοῦτ’ ἀνετίθουν αὐτῷ καὶ ἔζων μετ’ ἀγαθῶν τῶν ἐλπίδων, ὥσπερ ἐν ἱερῷ περιβόλῳ τῷ κόσμῳ ζῷον ἄφετον ἀνειμένον, εὐχῇ καὶ βιβλίῳ καὶ θήρᾳ μερίζων τὸν βίον· ἵνα γὰρ ὑγιαίνῃ ψυχή τε καὶ σῶμα, τὸ μέν τι δεῖ πονεῖν, τὸ δὲ αἰτεῖν τὸν θεόν. Μετὰ τοιαύτης εὐμαρείας εἵλκυσα τοὺς ἐνιαυτοὺς τοὺς μέχρι τῆς ἱερωσύνης αἱρέσεως, πρὸς ἣν ἐγὼ παρὰ τοὺς πώποτε δειλότατος γέγονα. Μαρτύρομαι τὸν ἐπὶ πᾶσι θεόν, οὗ δι’ ὑμᾶς ἐγὼ τὰς ἀπορρήτους ἐβάστασα τελετάς· δίχα τῶν ἀνθρωπίνων περιόδων τε καὶ σπουδῶν αὐτῷ κατὰ μόνας ἐν πολλοῖς καιροῖς τε καὶ τόποις προσῆλθον θεῷ καὶ πρηνὴς καὶ γονυπετὴς ἱκέτης γενόμενος θάνατον ἀνθ’ ἱερωσύνης ᾑρούμην. Αἰδὼς γάρ τίς με καὶ φιλία κατεῖχε τῆς ἐν φιλοσοφίᾳ σχολῆς, ὑπὲρ ἧς ἅπαντα δεῖν ᾤμην ποιεῖν τε καὶ λέγειν. Ἀλλ’ ἐπειδὴ τῶν μὲν ἀνθρώπων ἐκράτουν, τοῦ θεοῦ δὲ ἡττώμην, ὡς κοινὴ φήμη τὸν ἀξιούμενον εἶναι γνώριμον θεοῦ, ἔφερον, ἀλλὰ δυσηνιάστως,

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la durata della mia esistenza una disposizione dell’anima serena e tranquilla. Questo non significa tuttavia che, in verità, Dio m’abbia reso inutile agli uomini. Spesso infatti sia privati che città sono ricorsi a me quando ne avevano bisogno: Dio mi ha donato di riuscire nelle imprese più grandi e di desiderare le più belle. Niente di tutto questo mi ha allontanato dalla filosofia, né ha impedito l’ozio che costituisce la mia felicità. Agire nelle lotte, negli affanni e nelle difficoltà, questo è ciò che divora il tempo e getta l’anima nelle preoccupazioni materiali. Quando però è sufficiente parlare, e la persuasione ne consegue, e il discorso è estremamente efficace nei confronti degli uditori, perché risparmiare le parole, se si può liberare qualcuno dalla sventura? L’uomo è un essere prezioso; prezioso, senza dubbio, se per lui Cristo si è fatto crocifiggere. Questa capacità di persuadere gli uomini che dunque io ho avuto fino all’anno presente, forse mi è stata assegnata da Dio, e forse sono anche riuscito, seppure con qualche difficoltà, nelle imprese cui mi dedicavo (adesso infatti tutto questo pare essere smentito dai fatti). Assieme ad altre cose che chiaramente mi giungevano da Dio, gli attribuivo anche quelle capacità e vivevo allora pieno di felici speranze e il mondo mi sembrava un recinto sacro: ero un animale libero e senza vincoli, e suddividevo la mia vita tra la preghiera, i libri e la caccia, poiché per ottenere al tempo stesso la salute dell’anima e del corpo bisogna congiuntamente faticare e pregare Dio. In tale serenità ho vissuto la mia vita fino al giorno della mia elezione al sacerdozio, dinanzi alla quale ho provato più paura di qualsiasi altro. Ne sia testimone il Dio supremo, del quale a causa vostra ho sopportato i sacri misteri: lontano dalle ambizioni e dalle passioni umane, mi sono accostato a Dio in solitudine in una moltitudine di occasioni e di luoghi, prosternandomi davanti a lui, cadendo in ginocchio, supplicandolo, poiché preferivo la morte al sacerdozio. Un certo pudore mi tratteneva, così come l’amore per l’ozio della filosofia, per la difesa del quale credevo di dover fare e dire di tutto. Ma se riuscivo a vincere gli uomini, Dio aveva ragione di me e siccome, secondo la credenza comune, l’uomo giudicato degno dell’episcopato vive in affinità con Dio, ho sopportato, anche se con molta reticenza, questo cam-

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τὴν καινοτομίαν τοῦ βίου· δρασμῷ γὰρ ἐπιθέμενον ἐλπὶς ἀγαθῶν καὶ φόβος χειρόνων ἀνέκοψε. Καὶ λεγόντων ἤκουσα γερόντων ἱερῶν ὅτι με θεὸς ποιμαίνει. Καί τις ἐπὶ λέξεως εἶπεν ὡς ἱλαρόν ἐστι τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον καὶ ἱλαρύνει τοὺς μετόχους αὐτοῦ· καὶ προσέθηκεν ὡς ἠμφισβήτησαν ἡμῶν πρὸς θεὸν δαίμονες οὓς λυπῶ προσχωρήσας τῇ μερίδι τῇ κρείττονι· ἀλλὰ κἄν τι προσβάλωσι χαλεπόν, οὐκ ἀμελεῖται, φησί, φιλόσοφος ἱερωμένος. Ἐγὼ μὲν οὖν (οὐ γὰρ ῥᾴδιός εἰμι χαυνωθῆναι καὶ λαμπρόν τι λογίσασθαι περὶ ἐμαυτοῦ) τὴν ἀτυχίαν ᾐτιασάμην, ἀλλ’ οὐχ ὑπὸ φθόνου δαίμονος (οὐ γὰρ οἶμαί μοι προσήκειν ἀρετὴν ἥτις ἂν τοὺς βασκάνους ἐκίνησεν)· ἀλλ’ ἐφόβει με μᾶλλον δίκας ὄφλοντα παρ’ ἀξίαν ἅψασθαι μυστηρίων θεοῦ. Καὶ ταύτην τὴν ἀτυχίαν ἐμαντευόμην εἰς ἣν οὐ κατὰ μικρὸν ὤλισθον· ἀλλ’ ἅμα τε παρῆν ἐνθάδε καὶ τὰ δεινὰ πάντα παρῆν καὶ χορηγὸς πάντων Ἀνδρόνικος, δαίμων ἀρήιος, ἄπληστος συμφορῶν, τῆς πόλεως τοῖς λειψάνοις ἐγκείμενος. Ἔα, πανταχοῦ τῆς ἀγορᾶς ἀνδρῶν οἰμωγαί, γυναικῶν ὀλολυγαί, παίδων ὀλοφυρμοί. Σχῆμα πόλεως ἑαλωκυίας αὐτῇ περιτέθεικεν, ἧς τὸ κάλλιστον μέρος ἀποτεμόμενος «τίσεως χωρίον» ὀνομασθῆναι γέγονεν αἴτιος, τὴν στοὰν τὴν βασίλειον, τὸ πάλαι κριτήριον, ἀποδείξας βασανιστήριον. Ταύτην δαίμοσι ποινίμοις οἷς ἑαυτὸν ἄρα προσένειμε βωμὸν καὶ τράπεζαν παρέθηκεν. Ὢ πόσοις αὐτοὺς πολιτῶν εἱστίασε δάκρυσι. Ποῖοι Ταυροσκύθαι, τίνες Λακεδαιμόνιοι τοσούτῳ τῷ διὰ τῶν μαστίγων αἵματι τὴν παρ’ αὐτοῖς ἐτίμησαν Ἄρτεμιν; Δρόμος ἁπάντων εὐθὺς ἐπ’ ἐμέ καὶ πανταχόθεν εὐθὺς ἐβαλλόμην ἀκοῇ καὶ θέᾳ κακῶν. Νουθετήσας οὐκ ἔπεισα, ἐπιτιμήσας ἠρέθισα. Ὁ παρὼν καιρὸς ἤλεγξεν ἡμῶν τὴν ἀσθένειαν ἣν μέχρι νῦν ἔκρυψεν ἀπὸ τῶν ἀνθρώπων θεός· συγχωρουμένων γὰρ ἀεὶ τιμὴν καρπωσάμενος, παρέσχον ὑποψίαν τῇ πατρίδι δυνάμεως. Καὶ τοῦτο τὸ χαλεπώτατον τῶν συμβεβηκότων ἐστί μοι· πρὸς γὰρ τὴν ἐλπίδα τῶν ἠγνοηκότων με κρίνομαι. Οὐδὲ γὰρ πείθω αὐτοὺς λέγων ὡς οὐ δύναμαι, ἀλλ’ ἀξιοῦμαι πάντα τὰ δίκαια δύνασθαι. Περίεστιν οὖν αἰσχύνεσθαι

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biamento di vita: desideravo fuggire, ma la speranza del bene e la paura del peggio mi bloccarono. Ascoltai dei sacri anziani dirmi che Dio era il mio pastore. Uno di questi mi disse, con queste esatte parole, che lo Spirito Santo è uno spirito di gioia e rende lieti coloro che ne partecipano. Aggiunse che i demoni avevano conteso a Dio il mio possesso e che io li avevo afflitti scegliendo il partito migliore; anche se quelli procurano qualche difficoltà, Dio, diceva, non si disinteressa di un filosofo che si consacra a lui. Io dunque (che non sono facile a inorgoglirmi né ad avere una brillante opinione di me stesso) accusai la mala sorte, ma senza vederci la gelosia di un demone (non penso infatti di avere una virtù tale da stimolare delle invidie): temetti piuttosto, essendo colpevole, di non essere degno di accostarmi ai misteri di Dio. Prevedevo la mia sventura attuale, nella quale in breve tempo sarei incappato; non appena giunsi qui tutti i mali comparvero e il loro corego Andronico, demone bellicoso, insaziabile di sventure, insediatosi sulle rovine della città. Ahimè, dappertutto nella piazza ci furono lamenti di uomini, grida di donne, gemiti di bambini. La città assunse l’aspetto di una presa d’assalto, di cui Andronico staccò la parte più bella per farne ciò che è stato chiamato, a causa sua, il “quartiere della vendetta”, poiché ha trasformato il portico imperiale, ovvero l’antico tribunale del governatore civile, in una camera di tortura. Questo è l’altare, la tavola che ha offerto ai demoni della vendetta, ai quali ha aggiunto anche se stesso. Di quante lacrime dei cittadini li ha nutriti! Quali Taurosciti,92 quali Spartani hanno onorato la loro Artemide con altrettanto sangue procurato dalle fruste? Tutti accorsero subito da me, e subito da ogni parte ero colpito dall’ascolto e dalla vista dei mali. Ammonendolo non lo convinsi, minacciandolo lo irritai. Le circostanze attuali hanno dimostrato la mia impotenza, che Dio ha fino a ora nascosto agli uomini; avendo infatti raccolto il merito sempre prima dei successi, avevo dato alla mia patria l’impressione di essere potente. E ciò che in questi frangenti c’è di peggiore per me è questo: essere giudicato sulla base delle speranze di coloro che non mi conoscono. Non riesco a convincerli dicendo loro che non ho potere, al contrario si pensa che io possa tutto quello che è

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καὶ λυπεῖσθαι. Πάθος εὐθὺς ἐν ψυχῇ καὶ ποικιλία φροντίδων καὶ εἰδωλοποιΐα πραγμάτων, καὶ μακρὰν ὁ θεός. Εἰ δαιμόνων εἰσὶ προσβολαὶ τὰ γινόμενα δι’ Ἀνδρόνικον, πᾶν ἐποίησαν ὅσον ἐβούλοντο. Οὐκέτι τῆς συνήθους ἐν εὐχαῖς γλυκυθυμίας ᾐσθόμην, ἀλλὰ τὸ μὲν σχῆμα εὐχῆς, ἐγὼ δὲ περιηνέχθην ἁπανταχοῦ τῶν πραγμάτων ὀργῇ καὶ λύπῃ καὶ πᾶσι πάθεσι μεριζόμενος. Καίτοι διὰ νοῦ τῷ θεῷ συγγινόμεθα, γλῶττα δὲ ἀνθρώποις τὰ πρὸς ἀνθρώπους ὑπηρετεῖ. Εἰ τοίνυν ἐν εὐχαῖς ἀπροσεξίαν ἠτύχηκα, καὶ παρὰ πόδας ἡ πεῖρα, τῆς γέ τοι τοῦ βίου μεταβολῆς οὐ ταύτῃ μόνον εἰς κακὸν ἀπολέλαυκα, ἐξ ἀπροσεξίας εὑράμενος πράγματα, ἀλλ’ ἀπενθὴς τὸ μέχρι πρῴην διαγενόμενος νεκρὸν ἐπεῖδον οὗ προαποθανεῖν ηὐχόμην· οὕτω πικροῖς ἡμᾶς ἡ πόλις ἐπιβατηρίοις ἐξένισεν. Ὡς ἅμα τοῖς ἀνθρώποις τὰ πράγματα νῦν μὲν ἄνω, νῦν δὲ κάτω χωρεῖ καὶ ῥοῦς ἥκει εἰκῇ φέρων ἀθρόα πολλά, νῦν μὲν αἴσια, νῦν δὲ ἀπαίσια. Ἀλλ’ ἐπειδή μοι συνέπεσεν ἀποβαλεῖν τῶν παιδίων τὸ φίλτατον, κἂν εἰργασάμην τι δεινὸν αὐτὸς ἐμαυτόν· οὕτως ἑαλώκειν τοῦ πάθους. Ἔγωγέ τοι τὰ μὲν ἄλλα ἄρρην εἰμί (λέγω δὲ ἐν εἰδόσι) καὶ πολλά δοῦλα τοῦ λόγου, συνηθείας δὲ οὕτω τοι ἥττων ὡς ταύτῃ κρατεῖν τὴν ἀλογίαν τοῦ λόγου. Οὔκουν οὐδὲ τοῖς ἐκ φιλοσοφίας δόγμασι τοῦ παρόντος πάθους ἐκράτησα, ἀλλ’ Ἀνδρόνικος ἀντιπεριήγαγε καὶ πρὸς ταῖς κοιναῖς συμφοραῖς τὸν νοῦν ἔχειν ἐποίησε. Καὶ γεγόνασί μοι συμφοραὶ παραμυθίαι τῶν συμφορῶν, πρὸς ἑαυτὰς ἀνθέλκουσαι καὶ πάθει πάθος ἐκκρούουσαι. Συνεπιτίθεται δή μοι τῇ πικρᾷ τῶν παρόντων αἰσθήσει μνήμη τῶν παρελθόντων ἀγαθῶν ἐξ οἵων ἄρα ἐν οἵοις γεγόναμεν, καὶ ζῶ πονήρως ἅμα πάντων ἀφῃρημένος. Τὸ μὲν οὖν μέγιστον τῶν κακῶν, ὅ μοι καὶ δύσελπιν εἶναι τὸν βίον ποιεῖ, οὐκ εἰωθὼς ἀποτυγχάνειν

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giusto. Non mi resta altro, dunque, che la vergogna e la tristezza; subito nell’anima si insinuano il dolore, le più diverse preoccupazioni, presagi di difficoltà; e Dio è lontano. Se quanto avviene per l’intermediazione di Andronico sono davvero degli assalti di demoni, essi hanno fatto tutto quello che desideravano. Non sento più la dolcezza che provavo normalmente nel pregare; della preghiera resta solo la forma, poiché da tutte le parti sono stato assalito, diviso tra la collera, la tristezza e ogni emozione passionale. Ma se noi siamo in contatto con Dio per il tramite dell’intelletto, è la parola che serve agli uomini per relazionarsi con gli altri uomini. Se le mie preghiere non mi permettono più di farmi udire, e di questo faccio prova adesso, il mio cambiamento di vita non ha avuto come solo effetto quello di farmi conoscere, per mia sfortuna, le difficoltà conseguenti a questa mancanza d’udienza, ma pure di far sì che io, che fino a un’epoca assai recente ignoravo il lutto, vedessi il cadavere di colui che desideravo precedere nella morte: tanto amare furono le cerimonie con cui la città mi accolse al mio ritorno!93 Così vanno le vicende umane, ora verso l’alto, ora verso il basso, e il loro corso giunge a caso portando una moltitudine di eventi, ora favorevoli, ora sfavorevoli. Tuttavia, dopo la perdita improvvisa del più caro dei miei figli, sarei giunto sino a commettere un atto terribile contro me stesso: a tal punto ero preso dal dolore. In altri casi sono di tempra virile (lo dico a voi che lo sapete) e il più delle volte sottomesso alla ragione, ma nel campo degli affetti vengo dominato e la parte irrazionale è più forte di quella razionale. Neppure le convinzioni filosofiche mi permisero di vincere il dolore che provavo allora, eppure Andronico mi ha distolto e mi ha portato a rivolgere il mio pensiero ai mali collettivi; ecco come delle sventure sono divenute per me consolazioni ad altre sventure, attirandomi a loro e scacciando la sofferenza con la sofferenza.94 All’amarezza che sento nel mio stato attuale si aggiunge il ricordo della mia felicità trascorsa, nel comparare ciò che ero allora e che sono divenuto adesso, e vivo nel dolore, privato di ogni cosa in un attimo solo. Il più grande dei miei mali, quello che mi fa perfino disperare della vita, è che, sebbene non sia stato abituato

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ἐν ἱκεσίαις θεοῦ, νῦν πρῶτον οἶδα μάτην εὐξάμενος, εἶτα τὴν μὲν οἰκίαν κακῶς πράττουσαν ὁρῶ, τὴν δὲ πατρίδα δυστυχοῦσαν οἰκεῖν ἀναγκάζομαι. «Πᾶσι δὲ ἐκκείμενος» ἐφ’ ᾧ προσανακλάεσθαι καὶ τὰ κατ’ αὐτὸν ἕκαστον ὀλοφύρεσθαι, ἔλεον αὐτοὺς ἀνόνητον ἐλεῶ. Καὶ πρόσεστι τὸ αἰσχύνεσθαι ὅτι πολίτην ἄνδρα χρησάμενον συμφοραῖς καὶ κλαπέντα χρυσίον δημόσιον, ἀπαιτήσας ὑπὲρ στατῆρας μυρίους, ἔγνωκεν, ἀναβολὴν μὴ διδούς, ἀποκτεῖναι διὰ χιλίους, μᾶλλον δὲ δι’ ἐμέ· δι’ ἐμὲ γὰρ αὐτὸν ἔχει καθείρξας εἰς ἀνεπιχείρητον φρούριον, ἐν οἵῳ τοὺς Τιτᾶνας δεδέσθαι ποιητῶν παῖδες φαντάζονται. Καὶ ἵνα μὴ ἀφαιρεθῇ, φησί, παρ’ ἐμοῦ, δεῖ πέμπτην ταύτην ἡμέραν ἀπόσιτον εἶναι τὸν ἄνθρωπον, εἰσαγωγῆς ἄρτων ἀπηγορευμένης τοῖς δεσμοφύλαξιν. Ἀλλὰ πρώην αὐτοῦ κεκραγότος ἅπαντες ἤκουσαν ὡς ὠφελιμώτερος ἔσται τῶν χιλίων στατήρων ἀποθανὼν ὁ πολιτευόμενος. Διὸ καὶ τοὺς προσιόντας αὐτῷ τῇ τῶν χωρίων ὠνῇ φοβεῖ καὶ ταράττει καὶ πάντα τρόπον ἀφίστησιν· οὐ γάρ, οἶμαι, δεῖ τοῦ χρυσίου, τοῦ δὲ τεθνάναι τὸν ἄνθρωπον δεῖ. Ἐγὼ δὲ οὔτε ἰσχυρός εἰμι πρὸς τὸ τείχεσιν ἐρυμνοῖς προσβαλεῖν οὔτ’ εὐμήχανος προσερπύσαι καὶ τῆς συμφορᾶς ἐξελέσθαι τὸν ἄνθρωπον. «Παρίησι δέ – φασί τινες – οὐδεὶς οὐδένα»· οἱ γὰρ ὑπηρέται φύσει μέν εἰσιν οἵτινές εἰσι, νῦν δὲ καὶ πρὸς παράδειγμα ζῶσιν Ἀνδρόνικον, ὃς ἐπὶ τῷ τὴν ἐκκλησίαν ἀτιμοῦν προκαθέζεται. Τῶν μὲν οὖν εἰς ἡμᾶς αὐτοῦ λόγος οὐδείς· ὡς ἐγὼ κἂν χάριν εἰδείην αὐτῷ, τὴν διὰ θεὸν ἀτιμίαν δεχόμενος ὡς μαρτύριον. Ἀναμνήσθητε γὰρ ὑμεῖς τίς ἦν πρώην (πρὸς ἐμὲ τόν, εἰ μηδὲν ἄλλο, ἐξ ἐκείνων γενόμενον ὧν ἀπ’ Εὐρυσθένους τοῦ καταγαγόν­ τος Δωριέας εἰς Σπάρτην μέχρι τοὐμοῦ πατρὸς αἱ διαδοχαὶ ταῖς δημοσίαις ἐνεκολάφθησαν κύρβεσιν) ἄνθρωπος οὐκ ἔχων εἰπεῖν ὄνομα πάππου, ἀλλ’ οὐδὲ πατρός, φασί, πλὴν ὅσον εἰκάσαι, ἀπὸ θυννοσκοπείου δὲ ἐπὶ τὴν ἡγεμονικὴν ἀπήνην ἁλάμενος. Οὗτος οὖν τὴν ἐν πόλει λαμπρότητα τεθαυμακὼς αἰσχυνέσθω

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a restare inascoltato nelle mie preghiere rivolte a Dio, adesso so, e per la prima volta, che la mia preghiera è stata vana. In più, vedo la mia famiglia in difficili condizioni, sono costretto ad abitare in una patria in sofferenza. “Messomi a disposizione di tutti”95 per piangere e gemere sulle sventure di ciascuno, non offro loro che un’inutile pietà. Mi vergogno anche del fatto che a un curiale che aveva avuto delle sventure e a cui era stato rubato del denaro pubblico Andronico ha richiesto più di diecimila stateri,96 per poi decidere, senza accordargli una proroga, di ucciderlo per mille residui, o piuttosto a causa mia: a causa mia, infatti, lo ha rinchiuso in una fortezza inespugnabile, simile a quella in cui i poeti immaginano che si trovino incatenati i Titani. Affinché non sia da me liberato, dice, è necessario che l’uomo resti senza cibo (come avviene da ormai quattro giorni, essendo stato proibito ai carcerieri di dargli del pane). Ma l’altro ieri tutti lo hanno sentito gridare che la morte di questo funzionario sarebbe più utile di mille stateri. Per questo dunque spaventa, turba e allontana in ogni modo quelli che si presentano da quel funzionario per l’acquisto di terre; infatti, io credo, non ha bisogno dell’oro, ha bisogno che quell’uomo muoia. Ma io non sono né abbastanza vigoroso per attaccare così solide mura né abbastanza ingegnoso per penetrarvi di nascosto e strappare quell’uomo alla sventura. Come si dice, “nessuno lascia entrare nessuno”:97 i servitori, che per natura sono quel che sono, vivono adesso per di più secondo l’esempio di Andronico, il quale governa per disonorare la Chiesa. Io non tengo in alcuna considerazione quanto quello potrebbe compiere contro di me: potrei addirittura essergli grato se dovessi ricevere un oltraggio a causa di Dio, come fosse un martirio. Ricordatevi infatti chi era fino a poco tempo fa Andronico (al confronto con me che, se non altro, discendo da antenati dei quali a partire da Euristene,98 che guidò i Dori a Sparta, fino a mio padre la genealogia è scritta sui registri pubblici), ovvero un uomo che non sa dire il nome di suo nonno e neppure, si dice, di suo padre, se non per congettura, e che dal posto di guardia per la pesca del tonno è saltato direttamente al carro di governatore civile. Che costui dunque, ammirando la nobiltà della città, si vergogni delle pro-

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τοῖς ἐλλείμμασιν. Ἀλλ’ ἔγωγε τὸ μέχρι τῆς ἱερωσύνης καὶ τιμῆς ἐνεφορήθην καὶ ἀτιμίας οὐκ ἐγευσάμην, νυνὶ δὲ οὔτε ἂν ἡσθείην τιμώμενος οὔτε καταφρονούμενος ἄχθομαι· οὐδέτερον γὰρ αὐτῶν ἔτι παρὰ τοῦ ποιοῦντος εἰς ἐμὲ δοκεῖ γίνεσθαι, ἀλλ’ ἑκάτερον εἰς ἀναφορὰν τοῦ θεοῦ. Διόπερ ὁ πάντα τολμῶν οὗτος ἄνθρωπος, ὡς οὐδὲν οὔτε λέγων οὔτε ποιῶν παρεκίνησεν, ἀρθεὶς ἀφ’ ἡμῶν αὐτῷ διακυρίττεται τῷ θεῷ, καὶ φωνὰς ἀφῆκεν ἐπὶ συνεστώτων καὶ περιεστώτων λαῶν ἃς αὐτίκα τῆς πρὸς τὰς ἁπανταχοῦ γῆς ἐκκλησίας ἐπιστολῆς ἀναγινωσκομένης ἀκούσεσθε. Τοιοῦτόν ἐστι φύσις ἀπαίδευτος ἐπειλημμένη δυνάμεως· τῇ κεφαλῇ τὸν οὐρανὸν ἐξαράσσειν ἐπιχειρεῖ. Ἔστω, δυνάσθω, κεχρήσθω τῇ φύσει τῷ καιρῷ, ἀποκτιννύτω καὶ δείτω τῶν πολιτῶν ὅντινα βούλεται· ἡμῖν δὲ ἀπόχρη, μένουσιν ἐπὶ τῆς τάξεως ἐφ’ ἧς ἡμᾶς ἔταξεν ὁ θεός, ἀπηλλάχθαι μὲν τῆς κοινωνίας τῶν πονηρῶν, «ἁγνεῦσαι δ’ ἀκοὰς βλασφημοσύνης ἀλεγεινῆς»,

ἀπογνῶναι δὲ προστασίας ἀδικουμένων, ἀπολελογημένοις ὑμῖν καὶ τῷ δήμῳ διὰ τῆς μάτην ἐπιχειρήσεως. Ὃ νοῦ μέγεθος ἔχοντος ἦν καὶ πρὸ πείρας ποιῆσαι· νυνὶ δὲ περιεμείναμεν ὑμᾶς ἐκ τῶν πραγμάτων συμψήφους ποιήσασθαι ὅτι πολιτικὴν ἀρετὴν ἱερωσύνῃ συνάπτειν συγκλώθειν ἐστὶ τὰ ἀσύγκλωστα. Ὁ πάλαι χρόνος ἤνεγκε τοὺς αὐτοὺς ἱερέας τε καὶ κριτάς· καὶ γὰρ Αἰγύπτιοι καὶ τὸ Ἑβραίων ἔθνος χρόνον συχνὸν ὑπὸ τῶν ἱερέων ἐβασιλεύθησαν. Εἶτ’ ἐπειδή, μοι δοκεῖ, τὸ θεῖον ἔργον ἀνθρωπίνως ἐπράττετο, διῴκισεν ὁ θεὸς τοὺς βίους καὶ ὁ μὲν ἱερός, ὁ δὲ ἡγεμονικὸς ἀπεδείχθη· τοὺς μὲν γὰρ εἰς ὕλην ἐπέστρεψε, τοὺς δὲ συνέταξεν ἑαυτῷ· τετάχαται δὲ οἱ μὲν ἐν τοῖς πράγμασιν, ἡμεῖς δὲ ἐν εὐχαῖς εἶναι. Τὸ δὲ καλὸν ἀπαιτεῖ παρ’ ἀμφοῖν ὁ θεός. Τί οὖν ἐπανάγεις; Τί δὲ συνάπτειν πειρᾷ τὰ κεχωρισμένα

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prie mancanze. Ma io che, fino al mio sacerdozio, sono stato ricoperto di lodi e non ho mai assaggiato il disonore, adesso non sarei capace di rallegrarmi se onorato e di rattristarmi se disprezzato; nessuna delle due cose infatti, provenendo dal loro dispensatore, si indirizzano più, credo, a me, ma entrambe direttamente a Dio. Perciò, quest’uomo che tutto osa, poiché ha capito che né a parole né a fatti avrebbe potuto cambiare alcunché, ha mirato più in alto che contro di me e si scontra direttamente con Dio e ha proferito dinanzi a una cerchia di persone riunite in assemblea delle parole che udirete tra poco, al momento della lettura della lettera destinata a tutte le chiese della terra. Così si comporta una natura rozza quando ha messo le mani sul potere: tenta di infrangere, dando colpi con la propria testa, persino il cielo!99 E sia, che abbia il potere, che tragga profitto dalla propria natura e dalle circostanze, che uccida e metta in carcere qualunque cittadino. Per quanto mi riguarda, restando al posto in cui Dio mi ha messo, è sufficiente evitare la compagnia dei malvagi, “di mantenere le orecchie pure dalla penosa blasfemia”,100

e di rinunciare alla protezione delle vittime, invocando, per giustificarmi dinanzi a voi e ai fedeli, l’inefficacia del mio intervento. Sarebbe stato proprio di un uomo intelligente agire così persino prima di fare questa esperienza, ma in effetti ho voluto attendere che l’evidenza della realtà vi portasse a considerare che associare la virtù politica al sacerdozio significa conciliare l’inconciliabile. Nei tempi antichi vi furono delle persone che coniugarono le funzioni del sacerdozio e del giudice, e infatti gli Egizi e il popolo degli Ebrei sono stati governati per lungo tempo dai loro sacerdoti. In seguito, quando, mi pare, l’opera divina ha iniziato a essere compiuta in maniera umana, Dio ha separato questi due tipi di esistenza, e l’uno fu definito come sacro, l’altro come politico. Infatti, Dio attribuiva a quelli il campo della materia e associava a se stesso i sacerdoti; è stato stabilito che gli uni si occupassero degli affari politici e noi delle preghiere; ma da entrambe le categorie Dio esige il bene. E allora perché tornare indietro? Perché cercare di unire ciò che Dio ha separato, non intendendo

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παρὰ θεοῦ, ὃς οὐδὲ διοικεῖν ἡμᾶς, ἀλλὰ παραδιοικεῖν ἀξιοῖς, οὗ τί γένοιτ’ ἂν ἀθλιώτερον; Προστάτου σοι δεῖ; Βάδιζε παρὰ τὸν ἐπιτροπεύοντα τῶν νόμων τῆς πολιτείας. Τοῦ θεοῦ σοί τι δεῖ; Ἴθι παρὰ τὸν ἱερέα τῆς πόλεως· οὐχ ὡς ἐνταῦθ’ ἐνὸν τὸ πάντως ἐπιτυχεῖν, ἀλλ’ ὡς ἐγὼ προθυμήσομαι· ἂν δ’ ἐπιτρέπῃ τις ἠρεμεῖν, τάχα ποτὲ καὶ δυνήσομαι· ἅμα γὰρ ἀποστρέφεταί τις τὴν ὕλην καὶ πρὸς θεὸν ἐπιστρέφεται. Θεωρία τέλος ἐστὶν ἱερωσύνης μὴ ψευδομένης τὸ ὄνομα, θεωρία δὲ καὶ πρᾶξις οὐκ ἀξιοῦσι συγγίνεσθαι. Ὁρμὴ μὲν γὰρ ἀρχὴ πράξεων, οὐδεμία δὲ ἀπαθής, ἀλλὰ δεῖ κενὴν εἶναι παθῶν τὴν ψυχὴν τὴν μέλλουσαν ἔσεσθαι δοχεῖον θεοῦ· «Μὴ καθαρῷ γάρ – φησί – καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ οὐ θεμιτὸν ᾖ.» «Σχολάσατε καὶ γνῶτε ὅτι ἐγώ εἰμι ὁ θεός»· σχολῆς δεῖ τῷ μετὰ φιλοσοφίας ἱερατεύοντι. Οὐ καταδικάζω τῶν ἐπισκόπων τοὺς ἐν τοῖς πράγμασιν, ἀλλ’ ἐμαυτὸν εἰδὼς μόλις εἰς θάτερον ἐξικνούμενον ἄγαμαι τῶν δυναμένων ἑκάτερα. Ἐμοὶ δύναμις οὐκ ἔστι «δυσὶ κυρίοις δουλεύειν»· εἰ δ’ εἰσί τινες οἳ μηδὲ ἀπὸ τῆς συγκαταβάσεως βλάπτονται, δύναιντο ἂν καὶ ἱερᾶσθαι καὶ πόλεων προστατεῖν. Ἀκτὶς ἡλίου κἂν ὁμιλήσῃ βορβόρῳ, μένει καθαρὰ καὶ ἀμόλυντος· ἐγὼ δὲ ταὐτὸ τοῦτο παθών, πηγῶν καὶ θαλάττης δεήσομαι. Καὶ εἰ δυνατὸν ἦν ἀγγέλῳ πλεῖν ἢ τριάκοντα ἐνιαυτοὺς συνανθρωπεύσαντι μηδὲν ἀπολαῦσαι τῆς ὕλης κακὸν εἰς προσπάθειαν, τί ἔδει καταβῆναι τὸν υἱὸν τοῦ θεοῦ; Ἀλλ’ ἔστι περιουσία δυνάμεως ὁμιλοῦντα τοῖς χείροσι μένειν ἐπὶ τῆς φύσεως καὶ μηδένα τρόπον παθαίνεσθαι. Τοῦτο θεοῦ μὲν ὕμνος ἐστίν, ἀνθρώπῳ δὲ παραίτησις γίνεται διευλαβουμένῳ τῆς φύσεως αὐτοῦ τὴν ἀσθένειαν.

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più far governare, ma far governare male, della qual cosa nulla potrebbe essere più funesto? Si ha bisogno di protezione? Ci si rechi da chi amministra le leggi dello Stato. Si ha bisogno di qualcosa che ha a che fare con Dio? Ci si rechi dal sacerdote della città, non pensando però di poter trovare tutto ciò che si desidera, ma soltanto che, almeno per quanto riguarda me, mi impegnerò al massimo. Se mi si lascia la tranquillità, forse sarò in grado di farlo; infatti, già nel momento in cui ci si distoglie dalla materia, ci si rivolge verso Dio. La finalità di un sacerdozio che non smentisca il proprio nome è la contemplazione. Ma la contemplazione e l’azione rifiutano di coesistere, poiché all’origine dell’azione vi è la passione, e nessuna azione può esserne priva, ma viceversa è l’assenza di passione che è richiesta dall’anima che intende ricevere Dio. “All’impuro – dice – non sia lecito toccare ciò che è puro”.101 “State in ozio e sappiate che io sono Dio”;102 necessita dunque di tempo libero colui che eserciti il sacerdozio filosofando. Non condanno i vescovi che partecipano agli affari politici, ma ho consapevolezza, per quanto mi riguarda, di riuscire a stento a soddisfare uno solo di questi due campi e ammiro coloro che riescono in entrambi. Non sono capace insomma di “servire due padroni”;103 ma se esistono delle persone che non restano danneggiate da una discesa dall’alto,104 possono benissimo, al contempo, esercitare il sacerdozio e governare le città. Un raggio di sole, anche se va a posarsi sul fango, resta comunque puro e incontaminato. Ma io, dopo aver vissuto un’esperienza identica, avrò bisogno, per purificarmi, dell’acqua di molte fonti e anche del mare. E se un angelo avesse potuto condividere la vita degli uomini per più di trent’anni senza subire alcun danno da parte della materia, ovvero senza essere soggetto alla notevole attrazione che per essa si prova, perché il figlio di Dio avrebbe dovuto discendere tra di noi? Al contrario è segno di una grande potenza frequentare gli esseri inferiori senza perdere nulla della propria natura, né subire in alcun modo gli effetti della passione. Un simile comportamento è un inno a Dio, ma l’uomo deve astenersene, guardandosi piuttosto dalla debolezza della propria natura.

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Κατὰ τούτους ὑμῖν ἐγὼ τοὺς ὅρους συνέσομαι. Οὐ μὴν τό γε κρίνειν καιροὺς ἐμαυτὸν ἀφαιρήσομαι ὡς, ὅταν ἐξῇ, «κατιόντα μὴ κατιέναι», τοῦτ’ ἔστι διὰ τῆς τυχούσης ἐπιστροφῆς ἀγαθόν τι μέγα ποιεῖν (οὕτω καὶ ὁ θεὸς πολιτεύεται). Τὸ προστετηκέναι δέ ἐστι τὸ δεινόν, οὗ μήτε θεοῦ φύσις ἀνέχεται μήτε ὅστις ἑαυτὸν ἀπευθύνει πρὸς τὸν θεόν. Εἰ γέγονα χρημάτων ἢ κτημάτων ἐπιμελής, εἰ σύνιστέ μοι λογισμοὺς δεχομένῳ τῆς καθ’ ἡμέραν ἢ κατ’ ἔτος δαπάνης, εἶτα ἐν τοῖς ὑμετέροις τοῦ χρόνου φείδομαι, ἀλαζών εἰμι καὶ οὐκ ἀξιῶ συγγινώσκεσθαι· εἰ δὲ ἀμελήσας τῶν οἴκοι πρότερον τῇ κατὰ νοῦν ἐνεργείᾳ συνέταξα τὴν ζωήν, τί δεινὸν εἰ τῶν ἴσων ὑμᾶς ἀξιῶ; Ἀλλ’ ἐπεὶ τούτοις ὑμᾶς οὐκ ἀρέσκομεν ὡς ὄντων ἑτέρων οἳ δύνανται κατὰ ταὐτὸν ἐν ἀμφοῖν εὖ διαγίνεσθαι, ἔξεστι βουλεύσασθαι τὸ λῷον τῇ τε πόλει καὶ ταῖς ἐκκλησίαις κἀμοί. Οὐκ ἐξομοῦμαι τὴν ἱερωσύνην· μήποτε δυνηθείη τοσοῦτον Ἀνδρόνικος. Ἀλλ’ ὥσπερ οὐδὲ φιλόσοφος ἐγενόμην δημόσιος οὐδὲ θεατροκοπίαις ἐπεθέμην οὐδὲ διδασκαλεῖον ἤνοιξα (καὶ οὐδὲν ἧττον ἦν τε καὶ εἴην φιλόσοφος), οὕτως οὐδὲ ἱερεὺς δημόσιος εἶναι βούλομαι. Οὐχ ἅπας ἅπαντα δύναται. Ἐγὼ συγγενόμενος ἐμαυτῷ καὶ διὰ νοῦ τῷ θεῷ, καταβὰς ἀπὸ θεωρίας, δύναμαι συνουσίας οὐκ ἀχρήστους ποιεῖσθαι πρὸς ἕνα καὶ δύο, καὶ οὐδὲ τούτους ἀγελαίους, ἀλλ’ εἴ τινες εἶεν ἢ φύσεως λαχόντες ἢ ἀγωγῆς εὐτυχήσαντες ὥστε νοῦν τεθαυμακέναι πρὸ σώματος. Ἀλλὰ καὶ διὰ πολλοῦ πραγμάτων ἁπτόμενος μετὰ τῆς ἐμαυτοῦ ῥᾳστώνης γενοίμην ἂν τῷ καιρῷ χρήσιμος· καταχωννύμενος δὲ ὑπ’ αὐτῶν ἐμαυτοῦ τε ἐπιλήσμων εἰμὶ καὶ τῶν πραγμάτων ζημίαν ποιῶ· οὐ γὰρ ἔστι μισοῦντα καλῶς τι ποιεῖν. Ἀλλ’ ὁ μὲν μὴ πάσῃ τῇ γνώμῃ δεδογμένα ποιῶν ἄθυμος ἔρχεται πρὸς τὴν πρᾶξιν ἧς προστῆναι δεῖ· ὅστις δὲ πρὸς μὲν σχολὴν ἀνοικείως ἔχει καὶ οὐκ ἔστιν ὅπως τῷ σχολάζοντι χρήσαιτο, αὐτὸ δὲ τὸ πᾶν, ὅπερ ἐστί, δημωφελέστατος ἄν-

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Secondo questi princìpi mi rapporterò con voi. Cionondimeno, non mi priverò del diritto di valutare le circostanze, così da poter, quando sarà possibile, “discendere senza discendere”,105 cioè di fare, attraverso una torsione occasionale, qualche gran bene (così, infatti, anche Dio governa). Logorarsi nella realtà, invece, è cosa terribile che né la natura divina né chiunque prenda Dio come modello può sopportare. Se non mi sono occupato che delle mie ricchezze e delle mie proprietà, se ritenete che mi occupi di tenere il conto delle mie spese quotidiane e annuali, ma che poi lesini il mio tempo per risolvere le vostre difficoltà, allora sono un impostore e non invoco alcun perdono; ma se è vero che in passato ho trascurato i miei affari privati per consacrare la mia vita a null’altro che all’attività dell’intelletto, che cosa c’è di straordinario se chiedo lo stesso da parte vostra? Ma poiché con queste mie parole non vi sono gradito e poiché ci sono altri che sono in grado di ben riuscire al contempo in entrambi i campi, avete la facoltà di decidere il meglio per la città, per le chiese, per me. Dal canto mio, non rinuncerò al sacerdozio: non possa mai così tanto Andronico! Ma come non sono stato un filosofo pubblico, né ho cercato gli applausi dei teatri, né ho aperto una scuola (eppure, nondimeno, ero un filosofo, come vorrei essere ancora), mi rifiuto di essere un sacerdote pubblico. Non tutti possono tutto. Io ad esempio, che ho vissuto con me stesso e, per il tramite dell’intelletto, con Dio, scendendo dalla contemplazione, posso frequentare con profitto non più di una o due persone, e che non siano persone qualunque, ma delle persone che, per un dono naturale o per un fortunato effetto dell’educazione, ammirino più l’intelletto del corpo. Eppure, se con la tranquillità che mi è propria mi dedico agli affari della politica, posso tornare utile al momento opportuno; ma se da questi mi lascio sommergere, mi dimentico di me stesso e faccio un torto agli affari, poiché non si può far bene ciò che si ha in odio. Chi non mette tutta la sua determinazione nella realizzazione delle decisioni prese si approccia senza ardore all’azione che deve condurre; al contrario, chi non è abituato all’ozio e non sa neppure cosa farsene del tempo libero, costui è da tutti i punti di vista l’uomo giusto, ovvero il più dedito agli interessi del popolo, nonché un’anima

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θρωπος, πολυχωροτάτη ψυχὴ ταῖς ἁπάντων ἀρκοῦσα φροντίσιν· ὅστις δὴ πέφυκεν οὕτω καὶ βούλεται, ὁ τοιοῦτος κἂν χάριν εἰδείη ταῖς ἑλκούσαις αὐτὸν ὑφ’ ἑαυτὰς περιστάσεσιν· ὑποθέσεις γὰρ αὐτοῦ τῇ φύσει χαρίζονται καὶ μέγιστον εἰς τὸ κατορθοῦν ἐφόδιον ἡ φιλία τοῦ πράγματος. Ἐξαιρετέος οὖν ἅπασιν ἡμῖν ὁ λυσιτελέστερος ἄνθρωπος καὶ ἀνθαιρετέος ἡμῶν, οἳ μόνοι μόλις σωζόμεθα. Τί κεκράγατε; Οὐ διότι μήπω γέγονεν ἄξιόν ἐστι μηδὲ νῦν γενέσθαι; Πολλὰ τῶν δεόντων ὁ χρόνος ἐξεῦρε καὶ διωρθώσατο· οὐχ ἅπαντα πρὸς παράδειγμα γίνεται. Καὶ τῶν γενομένων ἕκαστον ἀρχὴν ἔσχε καὶ πρὶν γενέσθαι μήπω γενόμενον ἦν. Ἀξιώτερόν ἐστι προτιμηθῆναι τῆς συνηθείας τὸ χρήσιμον· ἡμεῖς ἀρχὴν δῶμεν εἴδει βελτίονι. Ἀνθαιρετέος οὖν ἡμῶν ἢ μεθ’ ἡμῶν αἱρετέος, πάντως δὲ αἱρετέος ὁ ἄνθρωπος· ὅστις ἂν ᾖ, πάντως ἐμοῦ τὰ πολιτικὰ μακρῷ φανεῖται σοφώτερος καὶ δυνήσεται τὰ δύστηνα ταῦτ’ ἀνθρώπια ὑπὲρ ὑμῶν ἐξομιλεῖν καὶ μεταχειρίζεσθαι. Οὐκοῦν εἰ μήπω δοκεῖ, τοῦτο μὲν εἰσαῦθις ἀναθώμεθα· ἔξεστι γὰρ ὑπὲρ αὐτοῦ κατὰ μόνας καὶ μετ’ ἀλλήλων βουλεύσασθαι. Νυνὶ δὲ οἷς τὸ συνέδριον μετῆλθε τὴν Ἀνδρονίκου μανίαν, ἀκούσατε. 42

ΠΡΟΣ ΤΟΥΣ ΕΠΙΣΚΟΠΟΥΣ  

Ἀνδρόνικον τὸν Βερονικέα τὸν κακῇ Πενταπόλεως μοίρᾳ καὶ φύν­ τα καὶ τραφέντα καὶ αὐξηθέντα καὶ τὴν ἀρχὴν τῆς ἐνεγκούσης αὐτὸν ὠνησάμενον μήτε ἡγείσθω τις μήτε καλείτω Χριστιανόν, ἀλλ’ ὡς ἀλιτήριος ὢν τοῦ θεοῦ πάσης ἐκκλησίας ἀπεληλάσθω πανέστιος, οὐ διότι γέγονε Πενταπόλεως ἐσχάτη πληγὴ μετὰ σεισμόν, μετὰ ἀκρίδα, μετὰ λιμόν, μετὰ πῦρ, μετὰ πόλεμον ἐπεξελθὼν ἀκριβῶς τοῖς ἐκείνων ἐγκαταλείμμασιν, ἄτοπα κολαστηρίων

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lettere 42, ai vescovi

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abbastanza grande da contenere i problemi di tutti. Chi ha una simile natura e una simile volontà può giungere perfino a ringraziare le circostanze che lo attirano a sé, in quanto queste forniscono alla sua natura dei motivi di azione; e in effetti il miglior modo per arrivare al successo è l’amore per ciò che si fa. Adesso bisogna che noi, tutti assieme, scegliamo un uomo più utile per questo incarico di me, che a stento riesco a salvare me stesso. Perché protestate? Perché ciò non è ancora accaduto, allora non dovrebbe accadere nemmeno adesso? Il tempo ha scoperto e corretto molte situazioni che era necessario che accadessero e non è assolutamente vero che tutto esiste secondo un modello prestabilito. Ogni situazione esistente ha avuto un inizio e prima di esistere non esisteva. È giusto preferire l’utilità alla consuetudine: diamo dunque avvio a una situazione migliore. Comunque sia, che voi scegliate qualcuno da mettere in mia vece o al mio fianco, sempre qualcuno dovete scegliere: chiunque sia, si dimostrerà in ogni caso molto più saggio di me nel gestire gli affari pubblici e potrà, nel vostro interesse, incontrare e gestire questi miserabili omuncoli. Se ancora non dovesse sembrarvi bene agire così, rimandiamo la questione a più tardi, giacché si può su questo riflettere individualmente e insieme. Ma adesso ascoltate le motivazioni che hanno indotto il consiglio106 a reprimere la follia di Andronico. 42

Ai vescovi Da Tolemaide a tutte le comunità cristiane, 412

Andronico di Berenice, che è nato, è stato allevato, è cresciuto per la disgrazia della Pentapoli, che ha comprato il governo della sua patria, non deve essere né ritenuto né chiamato cristiano. Che egli sia, viceversa, scacciato come peccatore contro Dio, con tutta la sua famiglia, da tutte le chiese. E questo non perché egli sia l’ultimo flagello della Pentapoli dopo un terremoto, un’invasione di cavallette, una carestia, un incendio, una guerra, e non perché abbia metodicamente terminato di distruggere tutto ciò che queste pia-

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καὶ γένη καὶ σχήματα πρῶτος εἰς τὴν χώραν εἰσενεγκών, εἴη δὲ εἰπεῖν, καὶ μόνος χρησάμενος, δακτυλήθραν καὶ ποδοστράβην καὶ πιεστήριον καὶ ῥινολαβίδα καὶ ὠτάγραν καὶ χειλοστρόφιον, ὧν οἱ προλαβόντες τὴν πεῖράν τε καὶ τὴν θέαν καὶ τῷ πολέμῳ προαπολόμενοι παρὰ τῶν κακῶς περισωθέντων ἐμακαρίσθησαν, ἀλλ’ ὅτι καὶ πρῶτος παρ’ ἡμῖν καὶ μόνος ἔργῳ καὶ λόγῳ τὸν Χριστὸν ἐβλασφήμησεν· ἔργῳ μὲν ἀφ’ οὗ τῇ θύρᾳ τῆς ἐκκλησίας προσεπαττάλευσεν ἑαυτοῦ διατάγματα, τοῖς μὲν ὑπ’ αὐτοῦ παρανομουμένοις τῆς ἀσύλου τραπέζης ἀποκλείων τὴν ἱκετείαν, ἀνατεινόμενος δὲ τοῖς ἱερεῦσι τοῦ θεοῦ ταῦτα ἃ κἂν Φάλαρις ὁ Ἀκραγαντῖνος κἂν Κεφρὴν ὁ Αἰγύπτιος κἂν Σεναχηρεὶμ ὁ Βαβυλώνιος ὤκνησεν, ὁ πέμψας εἰς Ἱερουσαλὴμ τοὺς ὀνειδιοῦντας Ἐζεκίᾳ καὶ τῷ θεῷ. Ἐκείνην ἐγὼ τὴν ἡμέραν ἐνηνοχέναι φημὶ τὸν δεύτερον σταυρὸν τοῦ θεοῦ· ἐπὶ γὰρ ὀνειδισμῷ τοῦ Χριστοῦ τὸ λοίδορον ἐκεῖνο βιβλίον ἀπὸ τῆς ἱερᾶς θύρας ἐκρέματο. Καὶ ταῦτα ἐπεῖδεν ἥλιος καὶ ἀνέγνωσαν ἄνθρωποι, οὐ Τιβερίου Κλαυδίου τῆς πολιτείας ἐπιτροπεύοντος, ἐφ’ οὗ Πιλάτος ἐπὶ τὴν Ἰουδαίων ἡγεμονίαν ἐστάλη, ἀλλὰ τῆς εὐσεβοῦς Θεοδοσίου γενεᾶς τὰ σκῆπτρα Ῥωμαίων ἐχούσης, ἀφ’ ἧς ἔλαθεν Ἀνδρόνικος ἑαυτῷ μνηστεύσας ἀρχὴν ὑπὸ τῷ Πιλάτου φρονήματι. Γέλως ἦν τοῖς παριοῦσι τῶν ἑτεροδόξων τὰ γράμματα καθάπερ Ἰουδαίοις τὰ παραγεγραμμένα τῷ σταυρῷ τοῦ Χριστοῦ. Καίτοι τὸ ἐπίγραμμα τοῦ σταυροῦ, γεγονὸς ἀπὸ γνώμης οὐκ εὐσεβοῦς, σεμνὸν ἦν ἐπὶ λέξεως δι’ οὗ βασιλεὺς ὁ Χριστὸς ἐκηρύττετο· ἐνταῦθα δὲ ἡ γλῶττα τῇ γνώμῃ συνέβαινε. Τὰ δὲ δὴ μετὰ ταῦτα τῶν πρώην ἐστηλιτευμένων βαρύτερα. Ἐπειδὴ γὰρ ἦν τινα κατ’ ἐχθροῦ πρόφασιν εὑράμενος (ἔχθρα δὲ ἦν αὐτοῖς ὅτι γάμους ὁ μὲν ἐσπούδαζεν, ὁ δὲ διεκώλυεν), ἐκείνοις αὐτὸν τοῖς ἀποτροπαίοις κολαστηρίοις ᾐκίζετο ἃ μὴ παραδοθείη τῇ διαδοχῇ τοῦ χρόνου, μετ’ αὐτοῦ δὲ ὥσπερ ἤρξατο παύσαιτο καὶ γένοιτο τοῖς μεθ’ ἡμᾶς ἀκοὴ ταῦτα τῆς ἡγεμονίας Ἀνδρονίκου συνθήματα.

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ghe avevano risparmiato, o perché abbia introdotto, per primo nel paese, delle specie e delle forme mai viste di strumenti di tortura (e magari si potesse dire che è stato il solo a servirsene): anelli a vite, torcipiedi, strumenti per comprimere le membra, afferrare il naso, deformare le orecchie e le labbra. Tutti quelli che riuscirono a evitare l’esperienza e la vista di questi strumenti, magari perché morti prima in guerra, suscitarono l’invidia di quelli che, per loro sfortuna, si erano salvati. Insomma non per questi motivi deve essere cacciato: ma perché è stato il primo e il solo nella nostra provincia a bestemmiare con le parole e con i fatti contro Cristo. Con i fatti, il giorno in cui ha affisso alla porta della chiesa i suoi editti, con i quali negava alle vittime delle sue angherie il diritto di chiedere asilo sull’altare e lanciava contro i ministri di Dio delle minacce che avrebbero esitato a lanciare persino Falaride di Agrigento, Cefren d’Egitto e Senacherim di Babilonia, il quale inviò a Gerusalemme degli uomini per oltraggiare Ezechia e Dio stesso.107 In quel giorno, lo affermo, egli ha provocato la seconda crocifissione di Cristo, poiché è per oltraggiare Cristo che quel libello infame fu attaccato alla santa porta. Tale cosa il sole vide e gli uomini lessero; e non sotto il regno di Tiberio Claudio, all’epoca in cui Pilato fu inviato a governare la Giudea, ma sotto quello della famiglia del pio Teodosio, che detiene lo scettro dei Romani, a dispetto della quale, furtivamente e con la stessa ambizione di Pilato, Andronico ha ottenuto la propria carica. I non credenti che passavano davanti a quella lettera ne ridevano, come i Giudei dell’iscrizione apposta sulla croce di Cristo. Ciononostante, l’iscrizione della croce, seppure emessa con un intento empio, era formulata in termini rispettabili perché Cristo vi era proclamato re: qui, al contrario, la lingua era in accordo col pensiero. Ma ciò che è seguito è stato ancora più grave dell’affissione dell’altro ieri; infatti, quando il governatore trova un pretesto contro uno dei suoi nemici (la loro inimicizia può derivare dal fatto che quello desidera sposarsi e Andronico glielo proibisce), lo colpisce con quei terribili strumenti di tortura che si spera non siano mai trasmessi alla posterità e che scompaiano con lui così come sono apparsi, in modo che di questi simboli del potere civile di Andronico non resti alle generazioni successive che il ricordo.

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sinesio di cirene

Ἐπειδὴ οὖν ἀνὴρ εὐγενὴς οὐκ ἀδικῶν, ἀλλ’ ἀτυχῶν ὑπ’ αὐτοῖς κατετείνετο, καὶ ταῦτα τῷ τῆς μεσημβρίας ἐδρᾶτο σταθερωτάτῳ, ἵν’ ὑπὸ μόνοις μάρτυσι τοῖς δημίοις ἀπόλοιτο, καὶ τὴν ἐκκλησίαν ἔγνω γινομένην αὐτῷ συμπαθῆ, κατ’ ἄλλο μὲν οὐδέν, ὅτι δὲ μαθόντες εὐθὺς ὡς εἴχομεν ἐξεδράμομεν ἐφ’ ᾧ παρακαθιζῆσαι καὶ συνδιενέγκαι τὴν συμφοράν, λυττᾷ πρὸς τὴν ἀκοὴν εἴ τις ἐπίσκοπος ὢν ἐλεῆσαι τετόλμηκεν ἄνθρωπον ἀπηχθημένον αὐτῷ. Καὶ πολλὰ καὶ παράνομα νεανιευσάμενος, τοῦ θρασυτάτου τῶν ὑπηρετῶν Θόαντος αὐτὸν ἐρεθίζοντος ᾧ χρῆται πρὸς τὰς δημοσίας συμφορὰς ὀργάνῳ, πέρας ἐπέθηκε τῇ μανίᾳ τὴν ἀθεωτάτην φωνήν, εἰπὼν ὅτι μάτην ἐπὶ τὴν ἐκκλησίαν ἤλπισε καὶ οὐδεὶς ἂν ἐξαιρεθείη τῶν Ἀνδρονίκου χειρῶν, οὐδ’ ἂν εἴ τις τὸν πόδα κρατήσειεν αὐτοῦ τοῦ Χριστοῦ. Ταύτην ἀπαιδεύτῳ γνώμῃ τρὶς ἀνεφθέγξατο τὴν φωνήν, μεθ’ ἣν οὐκέτι νουθετητέος ὁ ἄνθρωπος, ἀλλ’ ὥσπερ μέλος ἀνιάτως ἔχον ἀποκοπτέος ἡμῶν ἵνα μὴ τῇ κοινωνίᾳ καὶ τὸ ὑγιαῖνον συμφθείρηται. Ὁ γὰρ μολυσμὸς διαδόσιμος γίνεται, καὶ ὁ θίγων ἐναγοῦς ἀπολαύει τῆς προστροπῆς. Δεῖ δὲ εἶναι καὶ γνώμῃ καὶ σώματι καθαροὺς τῷ θεῷ. Ἐπὶ τούτοις ἡ Πτολεμαΐδος ἐκκλησία τάδε πρὸς τὰς ἁπανταχοῦ γῆς ἑαυτῆς ἀδελφὰς διατάττεται. «Ἀνδρονίκῳ καὶ τοῖς αὐτοῦ, Θόαντι καὶ τοῖς αὐτοῦ μηδὲν ἀνοιγνύσθω τέμενος τοῦ θεοῦ· ἅπας αὐτοῖς ἱερὸς ἀποκεκλείσθω καὶ σηκὸς καὶ περίβολος. Οὐκ ἔστι τῷ διαβόλῳ μέρος ἐν παραδείσῳ, ὃς κἂν λάθῃ διαδύς, ἐξελαύνεται. Παραινῶ μὲν οὖν καὶ ἰδιώτῃ παντὶ καὶ ἄρχοντι μήτε ὁμωρόφιον αὐτῷ μήτε ὁμοτράπεζον γίνεσθαι, ἱερεῦσι δὲ διαφερόντως οἳ μήτε ζῶντας αὐτοὺς προσεροῦσι μήτε τελευτήσαντας συμπροπέμψουσιν. Εἰ δέ τις ὡς μικροπολῖτιν τὴν ἐκκλησίαν ἀποσκυβαλίσει καὶ δέξεται τοὺς ἀποκηρύκτους αὐτῆς ὡς οὐκ ἀνάγκη τῇ πένητι πείθεσθαι, ἴστω σχίσας τὴν

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lettere 42, ai vescovi

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Con questi strumenti dunque un nobile cittadino, esente da ogni colpa ma non dalla sfortuna, fu torturato a mezzogiorno, nel momento più caldo della giornata, così che solo i carnefici fossero testimoni della sua esecuzione. Andronico apprese della compassione della Chiesa per le sofferenze di quell’uomo, poiché per nessun’altra ragione, una volta ricevuta quell’informazione, ero subito accorso così come mi trovavo da lui, ovvero per assisterlo e condividere la sua sfortuna. Allora l’ira prese Andronico, non appena sentì dire che un vescovo aveva osato avere pietà di un uomo che lui odiava. E, dopo aver pronunciato con insolenza molte empietà, pure istigato dal più arrogante dei suoi sottoposti, Toante, di cui si serve come strumento per la rovina pubblica, e al massimo della sua follia, proferisce l’espressione più empia, affermando che vanamente quell’uomo ha riposto le proprie speranze nella Chiesa e che nessuno si sottrarrà alle mani di Andronico, neppure se stia abbracciato ai piedi di Cristo. Tali parole ha pronunciato per tre volte la sua mente ignorante. Dopo ciò, egli non è più da considerarsi qualcuno che deve essere ammonito, ma qualcuno che, come un arto incurabile, deve essere reciso dal corpo dei fedeli per evitare che il suo contatto infetti anche le parti sane. Difatti, l’infezione si trasmette, e quando si è toccato l’impuro ci si attira la maledizione celeste. Quindi bisogna, fisicamente come spiritualmente, essere puri davanti a Dio. Ecco perché la Chiesa di Tolemaide indirizza a tutte le Chiese sorelle della terra le seguenti disposizioni: “Che Andronico e i suoi, che Toante e i suoi non vedano aprirsi dinanzi alcun santuario di Dio. Che ogni spazio sacro, santuario e peribolo, gli sia chiuso. Il diavolo non ha posto in paradiso e se vi si introduce clandestinamente ne viene scacciato. Esorto dunque ogni privato cittadino e ogni funzionario dello Stato a rifiutare di condividere con lui lo stesso tetto e la stessa mensa e in particolare esorto i sacerdoti a non rivolgere la parola a queste persone durante la loro vita e neppure a seguire il loro funerale dopo la loro morte. Se poi qualcuno dovesse non prendere sul serio la nostra Chiesa in quanto appartiene a una piccola città e dovesse accogliere quelli che essa ha scomunicato pensando che non sia neces-

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sinesio di cirene

ἐκκλησίαν, ἣν μίαν ὁ Χριστὸς εἶναι βούλεται. Ὁ δὲ τοιοῦτος, εἴτε λευΐτης ἐστὶν εἴτε πρεσβύτερος εἴτε ἐπίσκοπος, παρ’ ἡμῖν ἐν Ἀνδρονίκου μοίρᾳ τετάξεται καὶ οὔτε ἐμβαλοῦμεν αὐτῷ δεξιὰν οὔτε ἀπὸ τῆς αὐτῆς ποτε σιτησόμεθα, πολλοῦ δὲ δεήσομεν κοινωνῆσαι τῆς ἀπορρήτου τελετῆς τοῖς ἐθελήσασιν ἔχειν μερίδα μετὰ Ἀνδρονίκου καὶ Θόαντος.» 43

ΙΩΑΝΝΗΙ  

Ὥσπερ ἄλλοτε πολλάκις ἐπὶ τῶν καιρῶν ἐγενόμην σοι χρήσιμος, καὶ παρεμυθησάμην δυσχέρειαν τύχης τὰ μὲν λέγων, τὰ δὲ ποιῶν, ὡς ἑκάστοτε ἡ δύναμις ὑπηγόρευσε, καὶ νῦν περὶ τῶν καταλαβόν­ των σε πραγμάτων δοκεῖ μοι συνεισενέγκαι τινὰ γνώμην ἐπειδὴ μὴ ἔργον δύναμαι. Συνέσιον γὰρ οὐ θέμις, ἕως ἐμπνεῖ τε καὶ δύναται, μὴ οὐχὶ παντὶ τρόπῳ πρόθυμον εἶναι τοὺς φίλους ἀγαθόν τι ποιεῖν. Ἄκουε τοίνυν ἅ μοι καλῶς ἔχει διαλεχθῆναι πρὸς σέ. Εἰ μὲν θεός ἐστιν ἡ φήμη κατά τινα τῶν παρ’ ἡμῖν ποιητῶν, σὺ διεχρήσω τὸν μακαρίτην Αἰμίλιον, οὐ πράξας, ἀλλὰ βουλεύσας τὸν φόνον, καὶ βαρβαρικὸν μὲν δρᾶμα συνθείς, τὸν σφαγέα δὲ καθεὶς ἐκ τῶν σαυτοῦ λοχιτῶν τὸν ὠμότατον. Λέγει μὲν γὰρ ἡ φήμη ταῦτα, ψεύδεσθαι δὲ οὐ θέμις, οὖσαν θεόν. Εἰ δὲ Ἡσίοδος μὲν οὐδὲν λέγει, πολλὰ δὲ λέγεται μάτην καὶ τοῦτο περὶ σοῦ τῶν πολλῶν ἐστιν ἕν (ὡς ἔγωγε βουλοίμην ἄν· περὶ ἐλάττονος γὰρ ποιοῦμαι τὴν ἐν ἀργυρίῳ ζημίαν ἢ τὴν ἐν φίλῳ), καὶ νῦν ἂν οὐχ ὑπαίτιος ὢν ἀκούῃς κακῶς, ἀτυχεῖς μὲν ἄρα, ἀλλ’ οὐκ ἀδικεῖς (ὡς ὤφελες μηδὲ ἀτυχεῖν). Ἀλλ’ ἐκείνως μὲν ἄν σοι καὶ μῖσος ὠφείλετο δίκαιον, οὕτω δὲ ἔλεος. Ἐγὼ δέ μοι δοκῶ, λίαν ὑπὸ συνηθείας ἁλώσιμος ὤν, κἀκείνως ἂν τὴν μὲν πρᾶξιν μισεῖν, σὲ

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lettere 43, a giovanni

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sario ubbidire ai poveri, sappia che sta dividendo la Chiesa, che Cristo stesso vuole unita. Costui, che sia diacono, prete o vescovo, riceverà lo stesso trattamento di Andronico da parte nostra: non porgeremo la mano, non mangeremo alla stessa tavola e non permetteremo di partecipare ai sacri misteri a coloro che avranno avuto a che spartire con Andronico e Toante”. 43

A Giovanni Da Cirene a Cirene, 407

Come in altri tempi spesso mi è capitato, a seconda delle circostanze, di esserti utile e di addolcire l’amarezza del destino e con le mie parole e con le mie azioni, in base a quanto, in quel momento, le mie capacità mi hanno consentito, mi sembra bene aiutarti ancora una volta, dinanzi ai dilemmi che si sono abbattuti su di te, con un consiglio, giacché non posso farlo con l’azione. Non è ammesso infatti che Sinesio, finché vive e ha un qualche potere, non ricorra a tutti i mezzi possibili per fare del bene ai propri amici. Ascolta dunque ciò che mi sembra bene dirti. Se la fama è veramente, come dice uno dei nostri poeti,108 una dea, sei tu il responsabile della morte del beato Emilio,109 non come autore ma come istigatore del suo delitto, poiché avresti escogitato una trama veramente crudele e gettato nell’azione l’assassino, ovvero l’uomo più crudele tra i tuoi accoliti. Questo infatti è ciò che dice la fama e non è possibile che menta in quanto è una divinità. Ma se viceversa Esiodo non dice nulla di fondato, se gran parte di queste notizie sono vane e non costituiscono che una delle tante voci che corrono su di te (come io vorrei, poiché ritengo meno grave perdere del denaro che perdere un amico) e se, nonostante le accuse, adesso non sei incriminabile, allora sei sfortunato, ma non colpevole (e piacesse a Dio che tu non fossi nemmeno sfortunato). Nel primo caso meriteresti un odio giusto, altrimenti della pietà. Per quanto mi riguarda, io che mi lascio troppo prendere dall’amicizia, credo che anche se, nel primo caso, odierei la tua azione, avrei comunque per te della pietà. Avere della pietà

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δὲ ὅμως ἐλεεῖν. Τοῦ δὲ ἐλεοῦντός ἐστι βοηθεῖν ὅση δύναμις καὶ ἐξευρίσκειν ὅθεν ἂν οἴηται ὀνῆσαί τι. Οὐκοῦν καθ’ ἑκάτερόν μοι προσήκει συμβουλεῦσαί σοι τὸ φαινόμενον βέλτιστον. Ἔοικε δὲ ταὐτὸν εἶναι συμφέρον αἰτίῳ τε ὄντι καὶ ἀναιτίῳ. Ἴθι παρὰ τοὺς νόμους καὶ σαυτὸν ἐπίδος τῷ δικαστῇ μετὰ ἀθρόων τῶν λοχιτῶν, εἴ τι κήδῃ κἀκείνων. Καὶ εἰ μὲν ἐπράχθη τὸ δεινόν, δεήθητι, καθικέτευσον, ἀντιβόλησον, μὴ ἀνῇς προκαλινδούμενος πρὶν ἂν διαπράξῃ τὸ παρὰ τῆς ψήφου συστῆναι δημίῳ καὶ δοῦναι τὴν δίκην. Ἐν καλῷ σοι κείσεται παρὰ τοῖς κάτω δικαστηρίοις τὸ προκαθηράμενον ἀπελθεῖν, ἑταῖρε Ἰωάννη. Μὴ λόγον ἄλλως οἰηθῇς τὴν παραίνεσιν μηδὲ προσπαίζειν με νομίσῃς σαυτῷ (οὕτω τῆς ἱερᾶς φιλοσοφίας ὀναίμην καὶ προσέτι τῶν παιδίων τῶν ἐμαυτοῦ)· οὐκ ἂν μὴ φιλτάτῳ σοι τυγχάνοντι συνεβούλευσά τι τοιοῦτον ὅ γε ἀπεύχομαι τοῖς ἐχθροῖς τοῖς ἐμοῖς· καὶ μήποτε αὐτῶν ἐπὶ νοῦν ἀναβαίη τὸ κάλλιον εἶναι τὸν ἀδικοῦντα δοῦναι τιμωρίαν αὐθαίρετον, ἀλλὰ μηδὲ παύσαιντο εὐτυχοῦντες ἐν οἷς ἀδικοῦσιν ἵνα πλείω τε χρόνον εἶεν κακοὶ καὶ πάσας ἐκεῖ τὰς δίκας ὀφείλοιεν. Πρὸς σὲ δὲ διὰ φιλίαν κινδυνεύω τι καὶ τῶν ἀπορρήτων εἰπεῖν, ὡς ἀνόμοιόν ἐστιν ἐν παχεῖ σώματι καὶ ἐν εἰδώλῳ δοῦναι τὴν δίκην. Ἰσχυρότερον μὲν γὰρ ἀνθρώπου θεός, τοῦ δὲ θείου παντὸς διακόσμου σκιὰ τὸ ἀνθρώπινον. Ἀλλ’ ὅπερ εἰσὶν ἐν ταῖς πολιτείαις οἱ δήμιοι, χεῖρες τῶν νόμων, τὴν αὐτὴν αἱ ποιναὶ χρείαν τῇ φύσει τοῦ κόσμου παρέχονται. Δαίμονές εἰσι καθαρτήριοι, τέχνην ἔχοντες ἐπὶ ταῖς ψυχαῖς ἣν οἱ κναφεῖς ἐπὶ τοῖς ἱματίοις τοῖς πιναροῖς. Ἀλλ’ εἴ τις ἱματίοις αἴσθησις ἦν, τί ἂν οἴει πάσχειν αὐτὰ λακτιζόμενα καὶ νιτρούμενα καὶ πάντα τρόπον κναπτόμενα; Διὰ πόσων δ’ ἂν ὀδυνῶν ἐκπεπλύσθαι κηλῖδας ἀρχαίας καὶ προστετηκότα ὀμόργματα; Ἐῶ γὰρ λέγειν ὅτι πολλοῖς ὁ ῥύπος οὕτως ἐνέφυ σφόδρα διὰ τοῦ βάθους ὡς ἀναπάλλακτος εἶναι, καὶ φθάνει

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significa fare tutto il possibile per aiutare e trovare le soluzioni con cui si crede di rendersi utili. Conviene dunque, in ciascuno dei due casi, che ti dia il consiglio che mi sembra il migliore. Credo che ti sia utile il medesimo suggerimento, sia che tu sia responsabile, sia che tu non lo sia. Presentati davanti alle leggi e mettiti spontaneamente a disposizione del giudice insieme a tutti i tuoi accoliti, se ti stanno a cuore. Se il crimine è stato commesso prega, supplica, implora e non smettere di prostrarti fino a che tu non abbia ottenuto, al momento in cui sarà emessa la sentenza, di consegnarti al boia e di scontare il tuo castigo. Giovanni, amico mio, sarà un bene per te affrontare i tribunali di questo mondo e morire purificato. Non credere che questa esortazione sia un pensiero vano, né che io intenda prenderti in giro (possa così io trarre beneficio dalla sacra filosofia e, ancora di più, dai miei figli). Se tu non mi fossi stato molto a cuore non ti avrei mai dato un tale consiglio, che d’altronde rifiuterei ai miei avversari: possa non venire mai loro in mente che ogni colpevole ha l’interesse a subire spontaneamente la propria espiazione e che viceversa non cessino di trovare piacere nei loro atti colpevoli, così che possano essere malvagi per un tempo più lungo e poi scontare laggiù110 tutte quante le loro pene. Ma nel tuo caso l’amicizia mi spinge a correre dei rischi al punto di svelarti una delle nostre dottrine segrete: non è la stessa cosa subire una pena nello spessore del corpo o nell’inconsistenza del simulacro.111 Dio infatti è più potente dell’uomo e tutto ciò che è umano non è che l’ombra dell’ordine divino. Ma il ruolo che gli esecutori pubblici rivestono nello Stato, quello di bracci della legge (e le pene offrono la medesima utilità alla natura dell’universo), nell’altro caso è espletato da demoni purificatori che lavorano le anime come fanno i cardatori con gli indumenti sporchi. Se i vestiti fossero dotati di sensibilità, quali pensi che sarebbero le loro sofferenze quando vengono calpestati, lavati con il nitro e straziati in ogni modo? Quanti dolori non soffrirebbero prima che siano stati puliti delle macchie vecchie e della sporcizia che vi si è incrostata? È del tutto evidente che nel caso di molti indumenti la sporcizia è divenuta a tal punto parte integrante del tessuto da non poter essere più levata e che sono compromessi prima

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διαφθαρέντα πρὶν εἰς τὴν φύσιν ἐπανελθεῖν ὅτι τὸ πάθος αὐτοῖς γέγονε φύσις ἢ διὰ χρόνου πλῆθος ἢ διὰ μέγεθος· οὕτω δὲ ἐχούσῃ ψυχῇ καλῶς ἂν εἶχεν εἶναι φθαρτῇ. Νῦν δὲ τὰ μὲν ἁμαρτήματα λόγον ἔχει πρὸς τὰς ἀνεκπλύτους κηλῖδας, ἡ ψυχὴ δὲ οὐκέτι πρὸς θοιμάτιον ἐκεῖνο τὸ πιναρόν τε καὶ οὐκ ἀντέχον, ἀλλ’ ἀθάνατος οὖσα τίνει δίκην ἀθάνατον ὅταν ἁμάρτῃ δευσοποιά τε καὶ ἀναπόνιπτα. Ἀλλ’ ἐν ᾧ γάρ τις ἥμαρτε βίῳ δίκας διδούς, οὔπω πάνυ προστετηκὸς ἔχει καὶ προσιζῆσαν τὸ πάθος, ἀλλ’, ὡς ἂν εἴποι τις, ἀρτιβαφὴς οὖσα ψυχὴ τάχιστα πλύνεται. Διὸ δοτέον ἐστὶν ὡς ἔνι διὰ τάχους τὴν δίκην, καὶ τιμωροῖς ἀνθρώποις, ἀλλὰ μὴ δαίμοσι. Λέγεται δέ τις λόγος ὅς με πείθει τοὺς ἠδικημένους κυρίους εἶναι μακροτέρας τε ποιεῖν καὶ ἐπιτέμνειν τὰς τιμωρίας. Διὸ παραπλήσιόν ἐστιν ἕνα κακόν τι μέγα ἐργάσασθαι καὶ πολλοὺς κατὰ μικρὸν ἀδικῆσαι· ἐπέξεισι γὰρ ἕκαστος ἐν τῷ μέρει, καὶ δεῖ πᾶσιν ὑπηρετῆσαι τὴν δίκην. Ὅταν δέ τις ἰάσιμος ᾖ, μέγα παρὰ τῷ δικαστῇ δύναται τὸ τοσαῦτα προπεπονθέναι τὴν ψυχήν, ὡς ἤδη καὶ παρ’ αὐτῶν τῶν ἠδικημένων ἔλεον εὕρασθαι. Πότε τοίνυν εἰκός ἐστι τῆς μακαρίτιδος Αἰμιλίου ψυχῆς συγγνωμονεστέρας τυχεῖν; Ἐγὼ μὲν οἶμαι, μᾶλλον δὲ οἶδα σαφῶς ὡς ἅπας ἱκέτης αἰδέσιμος ὅστις ἑαυτὸν τετιμώρηται. Καί τις ἤδη παρ’ ἡμῖν εἰς ἀπολογίαν ὑπὲρ ἁμαρτήματος καταστάς, αὐτῷ τῷ φθάσαι τὴν αἰτίαν ὁμολογῆσαι καὶ φῆσαι κολάσεως ἄξιος εἶναι, τὴν κόλασιν ἐξωνήσατο. Τὸ δὲ ἐνευωχηθῆναι τοῖς δι’ ἅ τις ἠδίκησεν, εἴτε χρήμασιν εἴτε σώμασι, βαρυθυμότερον τὸν ἠδικημένον καθίστησι. Καὶ τίς ἂν γένοιο, τοῦ σώματος ἐξελθών, εἴθ’ ὑπὸ βιαίας δίκης εἴτε ἕτερον τρόπον, κἄπειτα αὐτὴν τὴν ψυχὴν αὐτῇ τῇ ψυχῇ θεασάμενος, οὐκ οὔσης ἀρνεῖσθαί σοι γλώττης, ἀλλ’ ἐγκεκολαμμένον ἔχων τοὐπίσημον τὸ τῆς πράξεως; Οὐκ ἰλιγγιάσεις; Οὐκ ἀπο-

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ancora di tentare di ritrovare la loro natura iniziale, in quanto è il loro stesso stato corrotto a essersi fatto natura, o per effetto del lungo tempo trascorso o dell’entità del danno. Un’anima di questo genere avrebbe tutto l’interesse a farsi annientare. Tuttavia, se i peccati hanno una qualche analogia con le macchie che non si possono pulire, l’anima non ne presenta con un vestito sporco e incapace di reagire: la sua immortalità le impone di subire un castigo immortale ogni volta che commette dei peccati indelebili, che non possono essere lavati. Viceversa, se durante la vita la persona subisce il castigo per il suo peccato, non avrà più il male completamente incrostato e impiantato in sé e la sua anima è, per così dire, macchiata da poco e si lava rapidamente. Per questo bisogna scontare la propria pena il prima possibile e riceverla dagli uomini e non dai demoni. Si dice pure, e ne sono convinto anch’io, che le vittime abbiano la facoltà di accrescere o ridurre le punizioni. Quindi è sostanzialmente lo stesso che si sia commessa una grave colpa nei confronti di una sola persona o meno grave nei confronti di molti: ciascuno, per la sua parte, cercherà di ottenere soddisfazione e bisogna che la giustizia li accontenti tutti. Qualora tuttavia la colpa sia rimediabile, molto influirà sul giudice il fatto che l’anima abbia già subito in precedenza una quantità di sofferenze tali da ottenere la pietà delle stesse vittime. Quando potresti trovare, nell’anima beata di Emilio, una migliore disposizione al perdono? Io credo, o piuttosto so bene, che sia degno di rispetto ogni supplice che abbia già punito se stesso. Presso di noi è già accaduto che un malfattore che si era autoaccusato di un delitto sia stato, per il solo fatto di essersi affrettato ad ammettere la propria colpa e a dichiararsi degno di castigo, sottratto alla sua pena. Viceversa, trarre un gran profitto dalle ragioni che hanno spinto a compiere un’ingiustizia, non importa se nei confronti di cose o persone, non fa altro che aumentare l’irritazione di chi l’ingiustizia ha subito. E che cosa ti succederà quando, per un’esecuzione capitale o in altro modo, avrai abbandonato il corpo e quindi la tua anima dovrà contemplare se stessa, senza avere la lingua per negare ma avendo impresso su di sé il marchio dell’atto? Non avrai le ver-

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ρήσεις; Ἕλξῃ σιγῶν καὶ ἐκκείσῃ τῇ δίκῃ, καὶ σὺ κἀγὼ καὶ πᾶς ὃν οὐ προκαθαίρει μετάνοια δημοσιευθεῖσα. Ἀλλ’ ἀνδριστέον, ὦ γενναῖε, γενναῖος γὰρ εἴης, καὶ τῶν μὲν ἡδονῶν ὑπεροπτέον ἃς ἀδικοῦντες ἐπορισάμεθα· τοὺς δὲ ἀνθρώπους οὐκ αἰσχυντέον, ἀλλὰ τῷ δικαστῇ μὲν ὁμολογητέον τὴν πρᾶξιν, ἐξιλαστέον δὲ τῇ παραυτίκα τίσει τὰς κάτω ποινάς. Μεγίστου γὰρ ὄντος ἀγαθοῦ τοῦ μὴ ἁμαρτεῖν, δεύτερον ἀγαθὸν τὸ δικαιωθῆναι. Ὅστις δὲ χρόνον πολὺν ἀδικῶν ἀκόλαστος μένει, τοῦτον δεῖ νομίζειν τὸν ἀτυχέστατον, οὗ μήτε θεὸς μήτ’ ἄνθρωπος κήδεται. Σκόπει γὰρ καὶ ταύτῃ. Τὸ ἀκόλαστον εἶναι πρὸς κακοῦ καὶ λέγεται καὶ ἀκούεται. Οὐκοῦν τὸ κεκολάσθαι πρὸς ἀγαθοῦ· τῷ γὰρ ἐναντίῳ τὸ ἐναντίον ὁ λόγος νέμει. Εἰ μὲν οὖν ἐγὼ παρὼν ἐτύγχανον, οὐδὲν ἂν ἔδει σε πρᾶγμα σχεῖν ἀπερυθριῶντα καὶ σαυτὸν καταγγέλλοντα, ἀλλ’ ἐμαυτὸν ἂν ἔταξα συνηγορήσοντά σοι καὶ προσήγαγον ἄν σε καθάπερ ἰατροῖς τοῖς νόμοις. Ἀνόητος μὲν γὰρ ἄν τις εἶπεν ὡς Συνέσιος Ἰωάννου κατηγορεῖ, σὺ δ’ ἂν ἠπίστασο τἀληθὲς ὅτι φειδοῖ καὶ κηδεμονίᾳ τῇ σῇ τὴν κατηγορίαν εἱλόμην ἵν’ ὡς ἐν κακοῖς ἄμεινον πράξειας. Ἀλλὰ ταῦτα μὲν εἰ τἀδίκημα γέγονεν (ὃ μὴ γένοιτο, σοῦ τε εἵνεκα καὶ τῆς πόλεως· ἅπασα γὰρ ἂν εἴη μιαρὰ τῷ φόνῳ, τολμηθέντος αἵματος ὁμογνίου). Εἰ δὲ σὺ καθαρὸς καὶ χεῖρα καὶ γνώμην (εἴη δὲ οὕτως), ἐπάρατοι μὲν οἱ ταῦτα συνθέντες ἐπὶ σοί· κἀκείνους δὲ περιμένει τὰ κατὰ γῆς κολαστήρια ὡς οὐχ ἕτερος οὕτω τρόπος θεομισὴς ὡς ὁ λογοποιὸς ὁ τιτρώσκων ἐξ ἀφανοῦς· ἀγεννέστατος γὰρ ὢν μέγιστα κακὰ διαπράττεται καὶ λέγεταί τις αὐτοῖς μοῖρα κιναίδοις προσκεῖσθαι καὶ τῶν ἐν τῇ τέχνῃ τοῦτ’ εἶναι τὸ κράτιστον ἐπεὶ καὶ πρὸς ἄλλα πολλὰ σοφισταὶ γίνονται καὶ εὐμήχανοι. Ὥστε ἄν τις ἁλῷ φήμας ἐπὶ τοῖς οὐκ οὖσι ποιῶν, τοῦτο ἐκεῖνο, μὴ ἐπανέρῃ μηδὲ διστάσῃς,

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tigini? Non sarai in difficoltà? Silente sarai trascinato e presentato alla giustizia e come te anch’io e chiunque non sia stato purificato da un pubblico pentimento. Bisogna avere coraggio nobile amico (infatti tale vorrei che tu fossi) e rifiutare i piaceri che le nostre ingiustizie ci hanno procurato. Non devi avere alcun ritegno davanti agli uomini ammettendo il tuo atto al giudice e devi alleggerire con un castigo immediato le pene che ti attendono nel mondo sotterraneo. Infatti, se il sommo bene è non peccare, il secondo è quello di sottomettersi alla giustizia. Chiunque resti impunito per le ingiustizie che ha commesso per lungo tempo è da ritenersi l’individuo più disgraziato, di cui non si curano né Dio né gli uomini. Considera d’altronde anche questo. Si parla e si sente parlare dell’impunità come di un male. Si concepisce dunque la punizione come un bene, poiché la ragione attribuisce ai contrari effetti contrari. Se mi fossi trovato adesso lì con te, nulla ti avrebbe impedito di vincere la vergogna e di autodenunciarti, ma io per primo avrei appoggiato la tua difesa e ti avrei presentato alle leggi come a dei medici. Qualche sciocco avrebbe detto che Sinesio era l’accusatore di Giovanni, ma tu avresti saputo la verità e cioè che ti avrei accusato per cura e per sollecitudine nei tuoi riguardi, affinché, pur nel male, la tua sorte potesse essere migliore. Questo naturalmente se è stata commessa quell’ingiustizia (mi auguro di no e per te e per la città: tutta quanta infatti sarebbe macchiata da un tale delitto, nel caso in cui tu avessi osato versare il sangue di un parente). Ma se la tua mano e la tua coscienza sono pure (possano esserlo!), siano maledetti coloro che hanno tramato contro di te. Anche loro i castighi del mondo sotterraneo attendono, poiché non vi è comportamento che Dio detesti quanto quello dei calunniatori, che colpiscono restando nell’ombra. Sono gli uomini così ignobili, infatti, a compiere i mali più grandi e si dice che la loro sorte sia quella di essere legati ai cinedi e che tra quanti si adoperano a tale arte la calunnia sia l’attività predominante, per quanto anche in altri campi essi siano abili e astuti. Così che se si scopre che un tale ha fabbricato dicerie del tutto infondate, i fatti sono già chiari, e non c’è bisogno di fare domande o di avere dubbi, ma per quanto forte possa sem-

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ἀλλὰ κἂν στερεώτατος εἶναι δοκῇ, θαρρῶν ἀποφαίνου τὸν ἄνδρα ἡμίγυνον, αὐτόχρημα θιασώτην τῆς Κότυος. Σοὶ δὲ ἔξεστιν ἀπὸ τῶν λόγων τούτων ἀποφῆναι συκοφαντοῦσαν τὴν δόξαν εἰ σαυτόν τε καὶ τοὺς σοὺς ἐπιδοίης τῇ δίκῃ. Εἰπὲ γὰρ εἰσελθὼν ὡς· «Ἐμοῦ κατήγοροί τινές εἰσιν ἀφανεῖς οἳ προκατεγνωκότες αὑτῶν ἀξιοῦσι λανθάνειν, κατηγοροῦσι δὲ ὅμως πολλὰ καὶ χαλεπὰ καὶ κινδυνεύουσι πείθειν ἐνίους· οὕτως εἰσὶν ἐπίβουλοι καὶ δεινοὶ παραδοῦναι λόγον τῇ φήμῃ». Κᾆτα διεξελθὼν τὰς αἰτίας ἐφ’ αἷς ἀκούεις κακῶς, γάμον καὶ φόνον ἀνόσιον, ἐπειδὴ Σπάταλον, οἶμαι, τινά φασι παρὰ σοῦ κάθετον ἐξειργάσθαι τὸν φόνον, τοῦτον ἅμα προσάγων δεήθητι τοῦ δικαστηρίου, λιπαρῶν καὶ προσπίπτων, μὴ ἀνεξέταστος ἀπελθεῖν μηδὲ ἐρήμην ἁλῶναι. «Οὐ γὰρ δή, κράτιστε τῶν ἡγεμόνων, ἐρεῖς διότι γραφὴν εἰς τοὐμφανὲς οὐδεὶς ἀπηνέγκατο, παρὰ τοῦτό σε δεῖ ποιήσασθαι τὸ μὴ διὰ πάσης ἐλθεῖν βασάνου, μετιόντα καὶ θηρώμενον τὴν ἀλήθειαν. Ὁ διαβεβοημένος Σπάταλος οὗτός ἐστιν. Ἔχεις τὸν ἄνδρα· χρῶ τῷ σώματι. Τοῦτον, εἴ τι γέγονε, τήμερον ἀναφανῆναί γε δεῖ κατήγορον αὐτοῦ τε κἀμοῦ». Κἂν μὲν οὕτω σοῦ λέγοντος μὴ πείθηταί σοι, καὶ τοῦθ’ ἅλις ἔχει πρός γε ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους· εἰ δὲ φιλάνθρωπός τε εἴη καὶ χαρίσαιτό σοι τὴν περὶ τούτων ἀκρόασιν, ἅπαν ἐνταῦθά ἐστι τὸ λαμπρῶς ἀπολογήσασθαι καὶ τοὺς λογοποιοὺς καταισχῦναί τε καὶ κατασιγάσαι. Τὸν γὰρ δὴ Σπάταλον τοῦτον οὐ δεήσει τρυφᾶν, ἀλλὰ καὶ δεθήσεται καὶ κρεμήσεται καὶ τὼ πλευρὼ διορυγήσεται· δεινοὶ γὰρ ἐλέγξαι προσποίησιν οἱ βασανισταί, καί τινες αὐτοῖς ὄνυχές εἰσιν ἐξευρημένοι, συλλογισμῶν ἐπιστημονικῶν ἔχοντες δύναμιν ὥσθ’ ὅ τι ἂν ἐκείνων κρατούντων ἀναφανῇ, τοῦτ’ ἔστιν αὐτὸ τἀληθές. Ἂν οὕτως ἀπολυθῇς μηδὲν ἀδικῶν, ἄπει τοῦ δικαστηρίου νενικηκὼς καὶ γαῦρος, εὐαγὴς ὤν τε καὶ δοκῶν. Εἰ δὲ ἐγὼ μὲν εἰσηγησάμην ἅττα σοι λυσιτελεῖν οἶμαι, σὺ δὲ οὐ ποιήσεις οὐδὲ πρὸς

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brare bisogna avere il coraggio di rivelare quest’uomo per quello che è, un effeminato, un vero seguace di Cotis.112 Ma tu puoi, sulla base di tutto questo che ti ho detto, mostrare che si tratta di dicerie diffamatrici consegnandoti, assieme ai tuoi accoliti, alla giustizia. Presentandoti, di’ così: “Ci sono alcuni miei accusatori occulti i quali, pur condannandosi da sé, ritengono appunto bene di restare nascosti; e tuttavia c’è il rischio che lanciando così tante e gravi accuse possano persuadere qualcuno: a tal punto sono insidiosi e abili a dare credibilità alle loro dicerie”. Dopo aver esposto le accuse che ti vengono ingiustamente rivolte, un matrimonio e un omicidio scandaloso, e poiché alcuni dicono che un certo Spatalo, così mi sembra, è stato da te ingaggiato per commettere il delitto, porta quest’individuo con te e chiedi al tribunale, supplicando e mettendoti in ginocchio, di non lasciarlo andare senza averlo interrogato e di non condannare in contumacia. “Degnissimo governatore” – dirai – “non perché nessuno ha ufficialmente rivolto un’accusa contro di me tu non devi fare ricorso a ogni genere di tortura nella ricerca e nella caccia della verità. Ecco lo Spatalo di cui tutti parlano: è nelle tue mani, procedi pure a torturare il suo corpo. Se un delitto c’è stato, costui oggi deve apparire apertamente come l’accusatore di se stesso e di me”. Se anche così dicendo non dovessi riuscire a persuadere, comunque ciò è abbastanza, almeno per noi uomini. Se viceversa il governatore dovesse mostrarsi benevolo e concederà di ascoltarti su quanto è accaduto, avrai tutta la possibilità di presentare con chiarezza la tua giustificazione per ridurre al disonore e al silenzio i tuoi calunniatori. E Spatalo non dovrà cavarsela con poco, ma sarà legato e appeso e gli si spezzeranno le costole. I torturatori sono abili a smascherare le simulazioni e hanno inventato una sorta di artigli che hanno lo stesso potere dei sillogismi scientifici, nel senso che le rivelazioni ottenute sotto la loro presa sono null’altro che la pura verità. Se, così, sarai prosciolto come innocente, lascerai il tribunale da vincitore e fiero, senza alcuna macchia e ritenuto da tutti tale. Se al contrario, dopo questo mio discorso su ciò che io ritengo

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τὸν δικαστὴν πρόσει, τὸ μὲν ἀληθὲς εἶδέ τε καὶ οἶδεν ἡ Δίκη. Πάν­ τως ὁ διὰ πάντων ἥκων ὀφθαλμὸς τοῦ θεοῦ καὶ Λιβύην ἑώρα καὶ φάραγγα ἐκείνην καὶ θροῦν ἐκεῖνον, εἴτε τὸν ὄντα εἴτε τὸν ἐπιποίητον, καὶ τὸν Αἰμιλίου δρόμον καὶ ὅ τι πέπονθε καὶ ὑφ’ οὗ καὶ ὅ τι εἶπε καὶ ὅ τι ἤκουσεν, εἰ δή τι καὶ εἶπε καὶ ἤκουσε. Καὶ οἶδεν ὅτι, εἰ καὶ τύχοις μὲν ἀναίτιός σοι καὶ καθαρὸς τῷ θεῷ, μήτε πράξας μήτε βουλεύσας ἔργον ἐξάγιστον, ἀλλ’ ἡμῖν γε τοῖς ἀνθρώποις οὔπω καθαρός, ἕως ἂν ἀπολόγητος ᾖς. Οὐδὲ ἐμβαλοῦμέν σοι δεξιὰν οὐδὲ ἀπὸ τῆς αὐτῆς σιτησόμεθα· τοὺς Αἰμιλίου γὰρ ἀλάστορας δέδιμεν εἰ θιγγάνων ἡμῶν ἐναπομόρξῃ τὴν προστροπήν. Εἰσὶ καὶ ἡμῖν οἰκεῖαι κηλῖδες· οὐ δεῖ καὶ προσερανίζεσθαι. 44

ΟΛΥΜΠΙΩΙ  

Λυποῦσι τὴν ἐκκλησίαν ἀλλότριοι πονηροί. Διάβηθι κατ’ αὐτῶν· «Οἱ πάτταλοι γὰρ παττάλοις ἐκκρούονται.» 45

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ὁ καὶ τοὔνομα δοῦλος καὶ τὴν προαίρεσιν, ὃν ἀγνοήσας ὡς παιδοτρίβην παρὰ τῶν Θεοδώρου κληρονόμων ἐώνημαι, πάλαι μέν ἐστι πονηρός (καὶ γὰρ ἔφυ καὶ τέθραπται κακῶς καὶ ἀγωγῆς οὐκ ἀπέτυχεν ἀξίας τῆς φύσεως, ἐκ παιδὸς ἐν τηλίᾳ καὶ κύβοις καὶ καπηλείοις καλινδηθείς), «ἀλλὰ νῦν – Λυσίας ἂν εἶπεν – ἐξείργασται καὶ τέλος ἔχει καὶ πέρας ἀηδίας ἐστίν.» Ἑρμῇ μὲν γὰρ καὶ Ἡρακλεῖ τοῖς παλαίστρας ἐφόροις οὐδὲ κατὰ μικρὸν πρέπει, Κοτυττοῖ δὲ καὶ τοῖς ἄλλοις Ἀττικοῖς κονισάλοις νεωκορεῖ, καὶ εἰ

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lettere 44-45, a olimpio

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– al fratello

essere il tuo interesse, non agisci di conseguenza e non ti rechi dal giudice, sappi che la giustizia ha visto la verità e che la sa. L’occhio della dea, che tutto penetra, osservava la Libia e quella gola e quella diceria, vera o falsa che sia, la corsa di Emilio e ciò che egli subì e per mano di chi e ciò che ha detto e ciò che ha sentito, se mai ha detto o sentito qualcosa. La dea sa pure che, anche se tu ti senti a posto con la tua coscienza e puro di fronte a Dio, anche se non hai commesso né premeditato alcuna azione criminale, non sarai puro davanti a noi, gli uomini, finché non ti sarai giustificato. Non ti porgeremo la mano destra e non mangeremo alla tua stessa tavola: temiamo infatti i demoni vendicatori di Emilio se mai, toccandoti, dovessimo risultare contaminati. Abbiamo già le nostre macchie, non c’è bisogno di aggiungere quelle degli altri. 44

A Olimpio Da Tolemaide alla Siria, 412 o 413

Dei miserabili venuti da fuori tormentano la Chiesa. Marcia contro di loro: “chiodo scaccia chiodo”.113 45

Al fratello Da Tolemaide a Ficunte, 412

Costui ha dello schiavo e il nome e le inclinazioni; senza saperlo, l’ho acquistato come maestro di ginnastica dagli eredi di Teodoro. È un miserabile non da ora (infatti è nato e cresciuto in un brutto ambiente e non ha mancato di ricevere un’educazione degna della sua natura, spendendo tutto il suo tempo tra i combattimenti dei galli, i dadi e le taverne), “ma adesso” – come direbbe Lisia – “è compiuto, perfetto, è al culmine della sgradevolezza”.114 Non ha la minima affinità con quei protettori della palestra che sono Ermes ed Eracle, mentre è un devoto di Cotis e delle altre oscene divinità attiche,115 le quali, assieme a quanti altri demoni vi sono della

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sinesio di cirene

δή τινές εἰσι τούτου τοῦ κόμματος ἕτεροι δαίμονες, ἅπασιν αὐτοῦ μέλει καὶ πάντων αὐτῷ. Δίκην μὲν οὖν ἑτέραν οὐκ ἂν λάβοιμι παρ’ αὐτοῦ (ἀποχρῶσα γὰρ ἡ πονηρία δίκη τῷ πονηρῷ)· δοκιμασθεὶς δ’ ἀνεπιτήδειος εἶναι συμβιοτεύειν φιλοσόφοις δεσπόταις, ὧν οἰκουρούντων αἰσχύνη περινοστεῖ, ἐχέτω τὴν ἐνεγκοῦσαν αὐτὸν πόλιν. Ὁ γὰρ ἰδὼν τὸν πορνότριβα σοβοῦντα διὰ τῆς ἀγορᾶς, ἐν στεφάνῳ καὶ μύροις μεθύοντα καὶ κωμάζοντα καὶ πάσης ἀκολασίας κατεμπιμπλάμενον καὶ ᾠδὰς ᾄδοντα πρεπούσας τῷ βίῳ, ἐπὶ τοὺς ἔχοντας αὐτὸν τὴν αἰτίαν ἀνήγαγεν. Ὅπως οὖν αὐτὸν παραδοὺς τῷ ναυκλήρῳ πλεῖν ἀναγκάσεις εὐθὺ τῆς ἐνεγκούσης αὐτόν· ἐκείνη γὰρ αὐτοῦ καὶ ἀνάσχοιτο δικαιότερον. Πλείτω δὲ δεδεμένος ἐπὶ τοῦ καταστρώματος· μὴ γὰρ εἰς κοίλην ναῦν καταβαίη ἐπεὶ μὴ θαυμάσῃς εἰ συχνὰ τῶν κεραμίων ἡμιδεῆ σοι ποιήσειεν. Εἰ δὲ ὁ πλοῦς παρατείνοιτο, καὶ μέχρι τρυγὸς ἂν ἐκροφοῖτο τὸν ἀνθοσμίαν καὶ τοὺς ναύτας δ’ ἂν αὐτὰ ταῦτα ποιεῖν ἀναπείσειε· πρὸς γὰρ τοῖς ἄλλοις καὶ πιθανώτατον τὸ κακὸν εἰς ἀπολαύσεις ἡγήσασθαι. Καὶ τίς οὕτως ἐμβριθής ἐστι τῶν μισθῷ πλεόντων τὴν θάλατταν ὡς μὴ διαχυθῆναι τοῦ καθάρματος κορδακίσαντος ἐν τῇ τοῦ ποτηρίου περιφορᾷ; Καὶ ἄλλα πολλὰ βωμολοχεύεται πρὸς ἃ δεῖ πεφράχθαι τὸν ναύκληρον. Ὁ μὲν οὖν Ὀδυσσεύς, ἵνα μὴ ὑφ’ ἡδονῆς διαφθαρείη, τὴν Σειρήνων ἀκτὴν δεδεμένος παρήμειβεν· οὑτοσὶ δέ, ἵνα μὴ τοὺς πλέοντας ἡδονῇ διαφθείρειεν, ἂν ἐκεῖνοι σωφρονῶσι, δεθήσεται. 46

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ  

Ἠχοῦς ἔοικα πρᾶγμα ποιεῖν. Ἅσπερ εἴληφα φωνὰς ἀντιδίδωμι, τὸν θαυμαστὸν Ἀλέξανδρον ἐπαινῶ παρὰ σοί.

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lettere 46, alla filosofa

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stessa specie, tutte si curano di lui, e altrettanto lui di loro. Non potrei dunque punirlo altrimenti (infatti è sufficiente la meschinità a punire il meschino). Eppure, poiché alla prova dei fatti si è dimostrato incapace di vivere assieme ai filosofi che ha per padroni, i quali sono costretti a vergognarsi nella propria casa, che se ne ritorni nella città in cui è nato. Chi ha visto questo frequentatore di postriboli incedere pavoneggiandosi per la piazza incoronato e profumato, ubriaco e facendo baldoria, colmo di ogni intemperanza, intonando canzoni che si addicono al suo stile di vita, ne ha dato la colpa ai suoi padroni. Vedi dunque di consegnarlo a un capitano di nave e di costringerlo a navigare verso la città che gli ha dato i natali: che possa tollerarlo quella, come è più conforme a giustizia. Che trascorra la navigazione incatenato sul ponte e che gli si proibisca di scendere nella parte interna della nave o che non ci si stupisca, poi, se lascerà gran parte delle anfore semivuote. Se il viaggio si dovesse prolungare, si scolerà fino alla feccia quel vino profumato e convincerà anche i marinai a fare la stessa cosa: questo scellerato è infatti estremamente persuasivo nell’indurre gli altri ai godimenti. E chi, tra coloro che navigano per mare dietro compenso, è così serio da non lasciarsi andare, mentre questo rifiuto della società danza il cordace116 e fa girare da bere? Ma egli conosce molte altre buffonate contro cui è opportuno che il capitano della nave si premunisca. Odisseo, per non farsi sopraffare dal piacere, costeggiò incatenato il lido delle Sirene; anche costui, perché non rovini i marinai con il piacere, e se questi sono saggi, dovrà essere legato. 46

Alla filosofa Da Cirene ad Alessandria, tra il 405 e il 406

Sembra che io faccia la parte di Eco. Ti rinvio le parole che ho ricevuto e lodo l’ammirabile Alessandro,117 che si trova accanto a te.

100

sinesio di cirene

47

ΑΥΡΗΛΙΑΝΩΙ  

Οὔπω τῇ προνοίᾳ μέλει Ῥωμαίων, ἀλλὰ μελήσει ποτὲ καὶ οὐκ εἰς ἅπαν οἰκουρήσουσιν οἱ τὰ κοινὰ σώζειν δυνάμενοι. Ἀλλὰ τῷ γε ῥήτορι τῷ συντρόφῳ καὶ ἡ παροῦσά σοι δύναμις ἀρκεῖ πρὸς ὅ τι τυγχάνει δεόμενος. Ἀπολαυέτω δὴ νῦν μὲν αὐτὸς μόνος ταύτης, ἔπειτα μετὰ τῶν ἐθνῶν ἁπάντων κἀκείνης. 48

ΑΝΑΣΤΑΣΙΩΙ  

Οὐδὲ Ἄμασις μὲν καλός, φυλαξάμενος ἐπιδακρῦσαι τοῦ Πολυκράτους ταῖς συμφοραῖς ἃς ἐσομένας προείδετο· ἀλλ’ οἷς εὐτυχοῦντι κήρυκα πέμψας τὴν φιλίαν ἀπείπατο, δῆλον ἐποίησεν ὅτι κἂν ἐδάκρυσεν εἰ προὔλαβεν ἡ συμφορὰ τὴν ἀπόρρησιν. Σὺ δὲ ἡμῖν, ἕως μὲν οὐ προσεκόπτομεν, τῇ τύχῃ συνέμεινας, ἔπειτα συν­ απῆρας αὐτῇ· λέγει γὰρ ἡ φήμη διὰ τῶν ἀπὸ Θρᾴκης ἡκόντων οὐδὲν οὔτε φρονεῖν σε περὶ ἡμῶν οὔτε λέγειν ἐπιεικές. Τοῦτο μὲν οὖν οὐκ ἔστιν ὅλως φιλίαν ἀπειπεῖν, ἀλλ’ ἔχθραν ἀνειπεῖν· ἤρκει δέ, εἴπερ ἄρα, τὸ μὴ συνανιᾶσθαι· τὸ δὲ καὶ προσανιᾶσαι πόρρω δεινῶν καὶ οὔτε Ἀμάσιδος οὔτε ὅλως ἀνθρώπινον. Ἀλλὰ σοὶ γὰρ ἴσως ὑπὲρ τῶν σεαυτοῦ πραγμάτων ἔσκεπται κάλλιον. Ποίει τὸ ποιητέον μόνον εἰ χαίρων ποιεῖς· ἥμισυ γὰρ ἂν εἴη κακὸν εἰ καὶ οἷς πάσχω κακῶς ἡδὺς εἴην τοῖς φίλοις.

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lettere 47-48, ad aureliano

– ad anastasio

101

47

Ad Aureliano Da Costantinopoli a Costantinopoli, 399

La provvidenza non si cura ancora dei Romani, ma se ne curerà un giorno e allora gli uomini in grado di salvare lo Stato non se ne resteranno chiusi in casa. Quanto a questo retore, compagno d’infanzia, il potere di cui tu disponi attualmente è sufficiente a soddisfare le sue richieste. Che per adesso benefici lui solo di questo tuo attuale potere, in attesa che, in futuro, possa beneficiare, assieme a tutte le province, di un potere ben maggiore. 48

Ad Anastasio Da Tolemaide a Costantinopoli, 412

Non fu bello da parte di Amasi guardarsi dal versare lacrime per le sventure di Policrate, che peraltro aveva previsto; d’altronde, il fatto che Amasi avesse inviato a Policrate, quando ancora si trovava nel pieno della felicità, un araldo per respingere la sua amicizia aveva reso chiaro che avrebbe pianto soltanto se la sventura avesse preceduto questo rifiuto.118 Così tu, finché non sono incappato in delle avversità, hai accompagnato la mia buona sorte, per poi allontanarti, sempre assieme a lei. Le voci di coloro che vengono dalla Tracia affermano che né ti dai alcun pensiero né parli bene di me. Ora, questo, nel suo complesso, non significa rifiutare un’amicizia, ma piuttosto annunciare un’inimicizia. Sarebbe stato sufficiente, se proprio, che tu non condividessi i miei dolori; ma accrescerli va al di là di ogni cattiveria e non appartiene né ad Amasi né in generale ad alcun uomo. Ma forse in questo modo ti sei occupato più efficacemente dei tuoi interessi. Agisci come devi agire, purché tu tragga beneficio dalle tue azioni: sarebbe infatti un male a metà per me se anche con le sventure riuscissi a dare piacere agli amici.

102

sinesio di cirene

49

ΘΕΟΤΙΜΩΙ  

Ἀρίθμει καὶ Πέτρον ὀργὴν Πενταπόλεως ἄνθρωπον οὐ τέχνῃ μετ­ ιόντα τὸ λύειν τοὺς νόμους. Καίτοι καὶ τὸν οὕτω μετιόντα μισῶ, καὶ ὁ θεὸς σύνοιδε καὶ ὁ Διοσκουρίδης. Ἀλλ’ οὗτός ἐστι νεανικώτερος ἐκείνου τἀνδρός. Ὅτου γὰρ ἐπιθυμήσει χρήματος, πρῶτον ἁρπάσας καὶ ὑφ’ ἑαυτὸν ποιησάμενος, ἔπειτα πράττει τὴν δίκην· κἂν ἁλῷ τῇ ψήφῳ, κρατεῖ τῇ χειρί. Οὕτως ἐποίησε. Πρῶτον ἥρπασε κεράμιον, ἐγράψατό τις αὐτόν· ὁ μὲν ἤλεγξεν, ὁ δὲ οὐκ ἀπέδωκεν, ἀλλὰ καὶ προσηπείλησε τοῖς δημίοις πληγάς. Πρὸς ὃ νεμεσήσας ἐγὼ καὶ νομίσας οὐκ εἶναι βιώσιμον ὅπου τινὲς ἰδιῶται χεῖρας ἔχουσι μείζους τῶν νόμων, παρεσκεύασα λαμπροτάτους ἄνδρας εἴξαντας ἀποφάσει βοηθῆσαι τῇ καταστάσει τῆς πολιτείας· εἰ γὰρ προὐχώρησεν αὐτῷ, πολλοὺς ἂν ἐντὸς ὀλίγου Πέτρους ἐθεασάμεθα. Ἐν ᾧ χάριν ἔχω τῷ θαυμαστῷ Μαρτυρίῳ, καὶ συν­ ηγανακτηκότι μάλιστα καὶ προθυμότατα πάντων ὑπηρετήσαντι. Ἀνθ’ ὧν ἀγαθὸν αὐτῷ τι γένοιτο παρὰ τοῦ θεοῦ· παρὰ δὲ Ἀνθεμίου καλῶς ἂν ἔχοι τὸ μὴ κακόν τι λαβεῖν εἰ Πέτρος αὐτόν, ὥσπερ ἠπείλησεν, ἀπαιτήσειεν. Ἀλλ’ ἵνα μὴ γένηται τοῦτο, δέομαι, πάνυ δέομαι σοῦ τε αὐτοῦ καὶ διὰ σοῦ τοῦ θαυμασίου ἀνδρὸς καὶ φιλοσόφου Τρωΐλου, κωλύσατε τὸν ἀλιτήριον ἄνθρωπον τὴν διὰ τῶν νόμων ἐπὶ τοὺς νόμους ἐλθεῖν. Ἐμοὶ καὶ Πενταπόλεως μέλει καὶ τοῦ μὴ γεγονέναι φίλῳ συμφορᾶς αἴτιον· τὸ δὲ πῶς ἂν συκοφάντης ἀνακοπείη, οὐκ ἐμὸν εὑρεῖν, ἀλλὰ σόν, ὦ πρὸς τὰ καλὰ πάντων σὺ ποριμώτατε.

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lettere 49, a teotimo

103 49

A Teotimo119 Da Cirene a Costantinopoli, 411

Conta tra i mali della Pentapoli anche Pietro, un uomo che non si fa alcuno scrupolo di violare le leggi. In realtà, io detesto chiunque agisca così, e lo sa Dio e lo sa anche Dioscoride. Ma il primo è molto più sfrontato di quest’ultimo. Se infatti ha brama di una qualche ricchezza, prima se la prende e se ne appropria, poi intenta una causa: se anche dovesse perdere il processo, si guadagna la vittoria con la forza. Si è comportato così pure adesso. Dapprima si è preso un’anfora, poi qualcuno lo ha denunciato; è stato condannato, ma non ha restituito il maltolto, anzi ha minacciato di colpire gli agenti pubblici. Indignato da tutto questo, e ritenendo che non vi sia possibilità di vivere laddove dei privati cittadini hanno braccia più forti delle leggi, ho esortato dei chiarissimi120 a venire in soccorso della costituzione dello Stato, aderendo alla sentenza; se infatti costui dovesse avere la meglio, in breve tempo vedremo molti altri Pietri. In questo frangente, rendo omaggio all’ammirabile Martirio, che ha totalmente condiviso la mia indignazione e mi ha aiutato con più determinazione di tutti. Che possa avere in cambio un qualche bene da parte di Dio! Sarebbe bene che Martirio non incontrasse un qualche ostacolo da parte di Antemio,121 nel caso in cui Pietro, come ha minacciato di fare, facesse appello a lui. Ma affinché questo non avvenga, ti prego – e la mia sentita preghiera si rivolge al contempo a te e, per tuo tramite, all’ammirabile filosofo Troilo –: impedite a quest’uomo scellerato di andare contro le leggi con il favore delle leggi stesse. Quanto a me, ho a cuore gli interessi della Pentapoli e di non divenire causa di sciagure per un amico. Come poi fermare questo sicofante, non sta a me di trovarlo, ma a te, tu che, per ottenere il bene, sei il più abile degli uomini.

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sinesio di cirene

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ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Καλῶς ποιεῖς εἰς τὴν ἔχουσαν τὸν βασιλέα πόλιν ἐπανελθών· εἰ γὰρ κἀν τοῖς Ἰσαύρων ὄρεσιν ἡ ἀγαθή σοι τύχη συνῆν, ἀλλ’ ἔστιν εὐτυχία παρὰ τὸν τόπον ἀτυχεστέρα. Ἐμοὶ δέ τι καὶ ἰδίᾳ διαφέρει τὸ παρ’ αὐτά σε πράττειν εὖ τὰ βασίλεια, οὗ διατρίβων καὶ λήψῃ καὶ πέμψεις ἐπιστολάς, τὸ τιμαλφέστατον ἐμοὶ τῶν ἀπὸ Θρᾴκης ἀγωγίμων. 51

ΘΕΟΤΙΜΩΙ  

Πλείω καλὰ τῆς Σιμωνίδου συνουσίας Ἱέρων ἀπέλαυσεν ἢ Σιμωνίδης Ἱέρωνος. Καὶ ναὶ «μὰ τὸν Φίλιον τὸν ἐμόν τε καὶ σόν», οὔτε σε πλέον ἐμακάρισα τῆς Ἀνθεμίου τοῦ μεγάλου φιλίας ἢ τῆς σῆς αὐτὸν ἐκεῖνον τὸν μέγαν Ἀνθέμιον· ἀνδρὶ γὰρ ἔχοντι δύναμιν τί «κτῆμα κάλλιον ἢ φίλος» ἦθος ἀκαπήλευτον παρεχόμενος, οἷον ἐγὼ Θεότιμον οἶδα τὴν πραοτάτην καὶ θεοφιλῆ κεφαλήν; Ἀλλὰ τοῦτο μὲν σὺ Σιμωνίδου πλέον ποιεῖς (Σιμωνίδης γὰρ αὐτὸς ὡμολόγει πρὸς ἀργύριον διαλέγεσθαι), ἐκεῖνο δὲ κοινὸν ὅτι καὶ Σιμωνίδης Ἱέρωνα τῇ διαδοχῇ τοῦ χρόνου συνέστησε καὶ διὰ τῆς Θεοτίμου ποιήσεως, ἔστ’ ἂν Ἕλληνες ὦσι, πολὺς Ἀνθέμιος ἐν ταῖς τῶν λόγων διατριβαῖς. Ἀλλὰ τὰ μὲν Ῥωμαίων ἐκεῖνος αὔξοι, σὺ δὲ ἐκείνου τὸ ὄνομα· ποιητικῇ γὰρ ἔδωκεν ὁ θεὸς ταμιεύειν τὴν εὔκλειαν, ἧς τὸ καλὸν εἰς σὲ περιήκει.

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lettere 50-51, a pilemene

105

– a teotimo

50

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 408

Fai bene a tornare nella città dove ha sede l’imperatore;122 se anche la buona sorte ti accompagnava in mezzo ai monti dell’Isauria,123 tuttavia questa non può dirsi del tutto fortunata, dato il luogo. D’altronde, anch’io ho un interesse personale rispetto al fatto che tu ti sistemi bene nella capitale imperiale, giacché, risiedendovi, tu riceverai e invierai delle lettere, per me la più preziosa delle mercanzie che giungono dalla Tracia. 51

A Teotimo Da Cirene a Costantinopoli, 411

Ha ottenuto più giovamento Ierone dalla frequentazione di Simonide che Simonide da quella di Ierone. E, “in nome del dio dell’amicizia che entrambi onoriamo”,124 non ti ho ritenuto felice per l’amicizia del grande Antemio più di quanto ho ritenuto felice lui, il grande Antemio, per la tua amicizia; per un potente infatti quale “possesso è più bello di un amico”125 che abbia un carattere sincero, quale io so essere Teotimo, persona estremamente mite e cara a Dio. Tu da tale punto di vista sei superiore a Simonide (lui stesso ammetteva di parlare per denaro), ma questo avete in comune: come Simonide ha trasmesso alla posterità Ierone, così, per il tramite della poesia di Teotimo, finché gli Elleni esisteranno, Antemio sarà celebre nelle conversazioni letterarie. Dunque, che quello possa accrescere la potenza dei Romani, tu il suo nome; Dio ha donato infatti alla poesia la facoltà di dispensare la gloria, e la bellezza di questa ti contorna.

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sinesio di cirene

52

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ἀπέκτονε, φησί τις, Ἰωάννης Αἰμίλιον, ἕτερος δέ τις τοὺς πολιτευομένους ἐχθροὺς ἐπ’ αὐτῷ ταῦτα συμπλάσαι. Τὸ μὲν οὖν ἀληθὲς οἶδεν ἡ Δίκη καὶ ὁ χρόνος εὑρήσει, ἐγὼ δέ, καίπερ ἀδήλου τοῦ πράγματος ὄντος, οἶμαι δεῖν ἅπαντας ἑξῆς ἀποτροπιάζεσθαι, τὸν μέν, ὅτι τοιοῦτός ἐστιν, ὥστ’ εἰ καὶ μὴ πεποίηκεν, ἀλλ’ ἐποίησεν ἂν καὶ τοῖς ἑαυτοῦ τρόποις πρέπουσαν αἰτίαν ἐδέξατο· τοὺς δὲ καὶ μὴ πλάσαντας ὅτι συνέπλασαν ἂν καὶ πρὸς αὐτῶν τὸ ἐγχείρημα. Ὡς ἔστιν ἦθος ἀνοίκειον ὑποψίᾳ τινί, κἂν εἰ συνωμόται πολλοὶ μαρτυροῖεν, οὐδὲν αὐτοῖς ἔσται πλέον εἰς πίστιν. Οἷον εἴ τις ἑταιρήσεως διώκοι τὸν Αἴαντα, γέλως ἂν εἴη πλατύς· ὁ δὲ Ἀλέξανδρος, εἰ μὴ θῆλυς, ἀλλὰ θηλυδρίας γε ἦν καὶ τὴν αἰτίαν ἐχώρει. Τὸν Σίσυφον δὲ καὶ τὸν Ὀδυσσέα μισῶ. Καὶ γὰρ εἴ τι καὶ λέγοιεν ἀληθές, ἀλλὰ τοιοῦτοί γε ἦσαν οἷοι τὰ πλείω ψεύδεσθαι. Ἐγὼ δὲ οἷς ἀτυχῶ λίαν εὐτυχῶ, πολιτῶν τοιούτων ἐχθρῶν καὶ φίλων στερούμενος. Διατετειχίσθω μοι τὰ πρὸς ἅπαντας, οὐδὲν ἐμοὶ πρὸς ἐκείνων οὐδένα. Ξένος ἐν ξένοις βιῴην. Ὁ τρόπος ἡμᾶς πρὸ τοῦ τόπου διῴκισεν. Ὀδύρομαι δὲ τὸ κλεινὸν ἔδαφος τῆς Κυρήνης, ὃ πάλαι μὲν εἶχον Καρνεάδαι τε καὶ Ἀρίστιπποι, νυνὶ δὲ Ἰωάνναι τε καὶ Ἰούλιοι, μεθ’ ὧν οὐκ εὐκαίρως γενόμενος εὐκαίρως ἀποδημῶ. Σὺ δὲ ἀλλὰ μηδὲ γράφειν ἔτι μοι περὶ τῶν ἐκεῖθεν πραγμάτων τινός· μηδὲ συνιστάναι τοὺς ἔχοντας δίκας· οὐ γὰρ ἂν ἐπιδοίην ἐμαυτὸν ἔτι τούτων τινί. Ἀτυχέστατος μεντἂν εἴην εἰ τῶν μὲν ἀγαθῶν τῆς φιλτάτης πατρίδος στεροίμην, μετέχοιμι δὲ ἀντιλογιῶν καὶ πραγμάτων ἀφελκόντων με τῆς ἐν φιλοσοφίᾳ ῥᾳστώνης, καὶ πενίαν ἐξ ἀπραξίας ὡς κέρδος ἑλόμενος τἀλλότρια κακὰ προῖκα περιεργάσομαι.

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lettere 52, al fratello

107 52

Al fratello Da Ficunte a Ficunte o Tolemaide, 407

L’uno dice che a uccidere Emilio sia stato Giovanni; l’altro, che si tratta di accuse create ad arte contro di lui dai suoi nemici politici.126 Comunque la giustizia conosce la verità e il tempo la rivelerà. Per quanto mi riguarda, sebbene la faccenda sia oscura, credo che sia necessario tenersi a distanza da tutti costoro, l’uno perché, anche se non ha commesso il delitto, avrebbe potuto commetterlo e si è attirato un’accusa degna della sua condotta; gli altri perché, anche se non si sono inventati quest’accusa, avrebbero potuto inventarsela, è un’impresa degna di loro. Se qualcuno ha una condotta al di sopra di ogni sospetto, quand’anche in molti dovessero congiurare per testimoniargli contro, non riceverebbero un notevole credito di fiducia. Se per esempio qualcuno accusasse Aiace di prostituirsi, provocherebbe un gran riso; viceversa Alessandro, anche se non era una donna, comunque era effeminato ed era certo esposto a una simile accusa. Quanto a Sisifo127 e a Odisseo, li ho in odio. Se infatti hanno detto pure qualcosa di vero, erano tali che il più delle volte mentivano. Io mi rallegro moltissimo degli eventi sfortunati, quando mi privano di tali concittadini, amici o nemici. Che un muro mi separi da tutti costoro, non voglio avere più alcun rapporto con loro. Che possa vivere come uno straniero in mezzo a degli stranieri. Il modo di vivere ci ha separato ancor più della residenza geografica. Piango l’illustre suolo di Cirene, che un tempo ospitava i Carneadi e gli Aristippi,128 adesso i Giovanni e i Giulii:129 la loro compagnia non mi era opportuna, è stato opportuno allontanarmi. Quanto a te, non scrivermi più su alcuna delle faccende di laggiù e non raccomandarmi più nessuno che abbia dei conti in sospeso con la giustizia: non voglio più spendermi per nessuno di loro. Toccherei l’apice dell’infelicità se, privato dei beni della mia adorata patria, fossi coinvolto in controversie e in faccende che mi distolgono dalla serenità che è propria della filosofia, e se, pur considerando la povertà che deriva dall’inattività come un guadagno, mi intromettessi nei mali altrui, dai quali non otterrei alcuna ricompensa.

108

sinesio di cirene

53

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἄραντες ἐκ Φυκοῦντος ἀρχομένης ἑῴας, δείλης ὀψίας τῷ κατ’ Ἐρυθρὰν κόλπῳ προσέσχομεν· ἐνδιατρίψαντες δὲ ὅσον ὕδωρ πιεῖν καὶ ὑδρεύσασθαι (πηγαὶ δὲ ἐπ’ αὐτὴν ἐκδιδόασι τὴν ἠϊόνα καθαροῦ καὶ ἡδίστου νάματος), ἐπισπευδόντων τῶν Καρπαθίων αὖθις ἀνήχθημεν· πνεύματι δὲ χρησάμενοι μετρίῳ μὲν ἀλλ’ ἐκ πρύμνης ἀεὶ καὶ μέγα οὐδὲν ἐφ’ ἑκάστης ἡμέρας ἀνύειν ἐλπίσαν­τες, ἐλάθομεν ἐξηνυκότες ὅσον ἔδει, καὶ πεμπταῖοι τόν τε φρυκτὸν ἰδόντες ὃν αἴρουσιν ἀπὸ πύργου τοῖς καταγομένοις σύνθημα καὶ θᾶττον ἢ λόγος ἀποβιβασθέντες ἦμεν ἐν τῇ νήσῳ τῇ Φάρῳ. Λυπρὰ δὲ ἡ νῆσος ἐν ᾗ μήτε δάσος ἐστὶν αὐτοφυὲς μήτε καρπός, ἀλλ’ ἅλες τινές. 54

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἥκειν τις Ἀθήνηθεν λέγεται κρηπιδοπώλης ἄνθρωπος, παρ’ οὗ μοι δοκεῖς καὶ πέρυσιν ἐωνῆσθαι τὰς ἀνατρήτους ἐμβάδας. Νῦν δέ φασιν αὐτὸν ἐπὶ μεῖζον ἐμπορεύεσθαι, κομίζοντα στολὰς ἀττικουργεῖς, σοί τε θέριστρα πρέποντα καὶ ἡμῖν ἀναβολὰς εἰς τὴν ὥραν τοῦ ἔτους. Πρὶν ἂν οὖν ἁπάσας φθάσειεν ἀποδόμενος ἢ τὰς τῆς καλλίονος ἐργασίας (οἱ γὰρ προεντυγχάνοντες οὐχ ὑπὲρ τῶν κατόπιν, ἀλλ’ ὑπὲρ ἑαυτῶν δήπουθεν ἀξιοῦσι βουλεύεσθαι), εἰσ­ κάλει τοι τὸν ξένον καὶ πρίω μοι τρεῖς ἢ τέτταρας τῶν ἀναβολῶν. Πάντως ὅ τι ἂν ὑπὲρ τῆς τιμῆς καταθῇ παρ’ ἐμοῦ σοι πολλαπλάσιον κείσεται.

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lettere 53-54, al fratello

109 53

Allo stesso Da Faro a Ficunte, prima del 398

Dopo aver levato l’àncora da Ficunte all’alba, a tarda sera approdammo nel golfo di Eritro: ci fermammo quanto bastava per bere dell’acqua e per farne scorta (proprio sulla riva sgorgano delle sorgenti d’acqua pura ed estremamente dolce), poi, pressati dai marinai di Carpato, abbiamo subito ripreso il mare.130 Sfruttando un vento moderato ma sempre in poppa e credendo di non compiere un gran tragitto per giorno, abbiamo percorso a nostra insaputa quanto era necessario e al quinto giorno dalla partenza abbiamo visto la lampada che elevano sulla cima di una torre come segnale per quelli che si accingono ad approdare; e in men che non si dica siamo sbarcati sull’isola di Faro. L’isola è brulla, non vi è nessuna vegetazione spontanea, né si coltiva alcun albero da frutto; solo alcune saline. 54

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, prima del 399 o 406 o tra il 409 e il 411

Si dice che sia giunto da Atene un venditore di calzature, quello a cui, mi pare, tu hai acquistato l’anno scorso delle scarpe forate. Adesso dicono che abbia esteso il proprio campionario e che sia giunto con delle vesti prodotte in Attica, sia degli abiti leggeri come stanno bene a te sia dei mantelli corti come piacciono a me, da portare nella bella stagione. Prima che abbia venduto tutte le sue merci, o perlomeno quelle di qualità migliore (i primi che le trovano non vogliono certo pensare a quelli che arrivano dopo, ma solo a loro stessi), manda a chiamare lo straniero e compra per me tre o quattro di quei mantelli. Ovviamente, quanto avrai speso per acquistarli te lo restituirò moltiplicato molte volte.

110

sinesio di cirene

55

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Μῆκος ἐπιστολῆς ἀνοικειότητα κατηγορεῖ τοῦ διακομίζοντος. Ἀλλ’ ὁ θαυμαστὸς Ἀκάκιος οἶδε μὲν ὅσα κἀγώ, ἐρεῖ δὲ καὶ ὧν οἶδε πλείονα τῷ τε σὸς ἐραστὴς εἶναι καὶ τῷ γλῶτταν ἔχειν νικῶσαν τὰ πράγματα ὥστε τὴν ἐπιστολὴν τῷ νόμῳ τοῦ προσειπεῖν σε πλέον ἢ τῇ χρείᾳ χαρίζομαι. Τὸ δὲ ἀπαγγεῖλαί σοι περὶ τοῦ υἱοῦ Διοσκορίου τοῦτο μὲν ὡς ὑγιαίνει, τοῦτο δὲ ὡς ἀναγινώσκει καὶ πρόσ­ κειται τοῖς βιβλίοις, τοῦτο τῆς ἐπιστολῆς αὐτῆς ὑπαρχέτω τιμή. Ἡμεῖς δὲ αὐτῷ συμμορίαν ἀδελφῶν παρεσχόμεθα, προσθέν­ τες Ἡσυχίῳ ζεῦγος ἀδελφῶν ἀρρένων, οὓς εὐτυχεῖς ποιήσειεν ὁ θεὸς αὐτοῖς τε καὶ ἀδελφοῖς καὶ γονέων οἴκῳ καὶ λοιπῷ γένει καὶ ταῖς πατρίοις πόλεσιν. 56

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Συχνοὶ παρ’ ἡμῖν καὶ ἰδιῶται καὶ ἱερεῖς πλαττόμενοί τινας ὀνείρους, οὓς αὐτοὶ καλοῦσιν ἀποκαλύψεις, ἐοίκασιν ὕπαρ μοι δώσειν κακὸν ἂν μὴ τάχιστα τὰς ἱερὰς Ἀθήνας καταλαβεῖν μοι γένηται. Ὁσάκις ἂν οὖν ἐντυχεῖν σοι γένοιτο ναυκλήρῳ Πειραϊκῷ, γράφε πρὸς ἡμᾶς· ἐκεῖ γὰρ ἐντευξόμεθα ταῖς ἐπιστολαῖς. Ὀνήσομαι δὲ οὐ μόνον τοῦτο τῆς ἐπὶ τὰς Ἀθήνας ὁδοῦ, τὸ τῶν παρόν­ των ἀπηλλάχθαι δεινῶν, ἀλλὰ καὶ τὸ μηκέτι τοὺς ἐκεῖθεν ἥκον­ τας ἐπὶ λόγοις προσκυνεῖν, οἳ μηδὲν μὲν ἡμῶν τῶν θνητῶν διαφέρουσιν (οὔκουν εἰς σύνεσίν γε τῶν Ἀριστοτέλους καὶ Πλάτωνος), ἀναστρέφονται δὲ ἐν ἡμῖν ὥσπερ ἐν ἡμιόνοις ἡμίθεοι διότι τεθέανται τὴν Ἀκαδημίαν τε καὶ τὸ Λύκειον καὶ τὴν ἐν ᾗ Ζήνων ἐφιλοσόφει Ποικίλην, νῦν οὐκέτ’ οὖσαν ποικίλην· ὁ γὰρ ἀνθύπατος τὰς σανίδας ἀφείλετο, ἔπειτα ἐκώλυσεν αὐτοὺς ἐπὶ σοφίᾳ μεῖζον φρονεῖν.

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lettere 55-56, al fratello

111 55

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405

Una lunga lettera tradisce la scarsa intimità di chi la reca con l’autore.131 Ma l’ammirabile Acacio è informato quanto me e ti dirà anche di più di ciò che sa, sia perché nutre affetto nei tuoi confronti sia perché la sua lingua sorpassa i fatti. Così, ti invio in dono questa lettera più per l’abitudine di salutarti che per necessità. Annunciarti che tuo figlio Dioscoro sta bene, che legge e che è tutto dedito ai libri, sia questo a dare valore a questa lettera. Abbiamo offerto a Dioscoro una compagnia di fratelli, giacché abbiamo aggiunto a Esichio una coppia di maschietti.132 Possa Dio renderli felici, per la gioia loro, dei loro fratelli, della casa dei genitori, del resto della famiglia e delle città dei loro antenati. 56

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 399

Molti nella nostra regione, privati cittadini e sacerdoti, si creano delle specie di sogni, che loro chiamano rivelazioni, e che sembra proprio che mi daranno dei problemi – nella veglia beninteso – qualora non riesca a raggiungere la sacra Atene al più presto. Perciò, ogni volta che ti capiti di incontrare un capitano di nave del Pireo, scrivimi: è là, infatti, che riceverò le tue lettere. Questo viaggio ad Atene non mi porterà come guadagno soltanto di sfuggire ai mali presenti, ma anche quello di non prosternarmi più dinanzi a coloro che di là giungono qui per trattare di letteratura, che in nulla sono superiori a noi comuni mortali (e di certo non per la conoscenza delle opere di Aristotele e Platone), anche se si aggirano tra di noi come dei semidei in mezzo a dei muli,133 in quanto hanno sempre negli occhi l’Accademia, il Liceo e il Portico dipinto in cui filosofava Zenone,134 che adesso non è neanche più dipinto: il proconsole infatti ha rimosso tutte le tavole, impedendo così che quelli si vantassero della loro sapienza.135

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἔλυσας τὸ πρυμνήσιον κἀγὼ τὰς ἡμιόνους ἔστησα παρὰ τὴν ζεφυρῖτιν ἠϊόνα· τῆς ἀπήνης δὲ ἀποβαίνοντος, ἤδη σοι τὸ ἱστίον ἦρτο καὶ κατὰ πρύμναν ὁ ἄνεμος. Ἀλλὰ τοῖς τε ὀφθαλμοῖς ὑμᾶς ἐφ’ ὅσον ἐξικνοῦντο προὔπεμψα καὶ πολλὰ τοῖς ἀνέμοις ὑπὲρ τῆς ἐρωμένης ψυχῆς διείλεγμαι, συνιστὰς αὐτοῖς τὸ σκάφος ὅτι μοι τὸ τιμαλφέστατον φορτίον πεπίστευτο· οἱ δέ (οὐ γάρ εἰσιν ἀνέραστοι τῶν καλῶν) ὑπέσχοντό μοι τὴν σὴν κομιδήν τε καὶ ἀνακομιδήν. Οὗτοι μὲν οὖν ἀγαθοὶ δαίμονες ὄντες οὐκ ἄν ποτε ψεύσαιντο, σὺ δέ, ὥσπερ αὐτῶν ἐδεήθης ἐντεῦθεν ἐκεῖσε πορθμεύων, δεήθητι κἀκεῖθεν ἐνθάδε· πολὺ γὰρ ἂν ἡδίους τότε σοι παραγένοιντο. 58

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἀδικεῖς με, ὦ θεία καὶ ἱερὰ κεφαλή, ψυχὴν ἁπλῆν καὶ ὑπὸ συνηθείας ἁλώσιμον ἐνσείσας μὲν εἰς τὸ διαφερόντως ἀγαπᾶν σέ τε καὶ τὴν ἀδελφιδῆν, ἀφελόμενος δὲ σαυτοῦ τε καὶ τῆς ἀδελφιδῆς. Ἐκείνην μὲν οὖν ἔχων διπλῆν ἐθεώμην εἰκόνα καὶ παρῆν μοι διὰ τῆς νεάνιδος ὁ θεῖος αὐτῆς· νῦν δὲ ἅπαντα τὰ φίλα φροῦδα καὶ μέμφομαι τῇ φύσει διὰ τὴν ἀμετρίαν τῆς εἰς τὸ ἀδικεῖσθαι ῥοπῆς. Καὶ εἴ τι φιλοσοφίας ὄφελος, εἰς ἀρρενωπότερον ἀνακτήσομαι καὶ τοῦ λοιποῦ σφενδαμνίνῳ μοι καὶ ἀκλινεστέρῳ συνέσεσθε.

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lettere 57-58, al fratello

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Allo stesso Da Ficunte ad Alessandria, 399

Avevi appena levato l’àncora quando io fermai i miei muli sulla riva occidentale: mentre io discendevo dal carro, la tua vela era già issata e il vento la gonfiava da poppa. Ma vi ho accompagnato con i miei occhi fin dove hanno potuto e ho parlato molto ai venti in favore della tua anima, che amo, raccomandando loro la nave poiché a essa era stato affidato il carico per me in assoluto più prezioso; i venti (che non sono affatto privi di amore nei confronti delle cose buone) mi promisero per te un buon viaggio, all’andata come al ritorno. Poiché si tratta di buoni demoni, non potrebbero mai mentire. Ma tu, come hai loro rivolto una preghiera quando sei partito da qui per là,136 rivolgigliela di nuovo anche da là per qua: potrebbero allora esserti molto più favorevoli. 58

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, non oltre il 399

Mi hai fatto un torto, tu che per me sei una persona divina e sacra, poiché hai spinto un’anima semplice e che facilmente si lascia conquistare dalla frequentazione ad amare straordinariamente te e nostra nipote, togliendole poi la compagnia e tua e della nipote. Quando stavo con lei io avevo dinanzi agli occhi un’immagine doppia perché, per il tramite della ragazza, mi era presente suo zio. Adesso tutte le cose care si sono dileguate e io biasimo la mia natura per la sproporzione della sua tendenza a sentirsi vittima di un torto. Se la filosofia ha una qualche utilità, acquisterò un atteggiamento più virile e in futuro avrete a che fare con un uomo resistente e più stabile.

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sinesio di cirene

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ΑΝΥΣΙΩΙ  

Ὧι δέδωκα τὴν ἐπιστολήν, εἰ καὶ φιλόσοφός ἐστι τὴν ψυχήν, ἀλλὰ ῥήτωρ τὴν τέχνην. Ἕως μὲν οὖν Ἀνύσιός τε παρῆν καὶ Πεντάπολις ἦν, ἔτι παρ’ ἡμῖν ταύτην εἰργάζετο· ἐπεὶ δὲ ὁ μετὰ σὲ χρόνος, τοῖς πολεμίοις ἡμᾶς ἀποδόμενος, δικῶν εἰρήνην ἐποίησεν, ἔγνωκε πλεῖν εἰς ἑτέραν ἀγοράν, ὅπου γλῶττα ὤνιος, τὸ ῥητόρων ἀγώγιμον, τὸν ῥήτορα γνώριμον ποιεῖ. Μνήστευσον αὐτῷ φιλίαν ἀνδρὸς λαχόντος ἄρχειν ἐθνῶν καί, ναὶ «μὰ τὸν Φίλιον τὸν ἐμόν τε καὶ σόν», ὃν αἰτεῖς τὴν χάριν εἴσεταί σοι χάριν ὅταν ἐπανήκῃ μετὰ τὴν πεῖραν. 60

ΑΥΞΕΝΤΙΩΙ  

Ἂν γράψωμαί σε φιλίας ἀδικουμένης, καὶ θεοῦ καὶ θείων ἀνδρῶν δικαζόντων, ἁπάσαις αἱρήσω· τίς γὰρ παρενθήκη σοι γέγονα τῆς πρὸς τὸν ἀδελφὸν δυσμενείας; Ἐπειδὴ γὰρ ἐκεῖνος οὐδ’ ἐμοὶ δοκοῦν ἐπολιτεύετο κατὰ Σαββατίου τῷ μακαρίτῃ Φάῳ, σὺ δὲ αὐτὸν λέγων οὐκ ἔπειθες, ἔτρεψας ἐπ’ ἐμὲ τὴν ὀργὴν καὶ ἐποίεις κακὸν ὅσον ἠδύνω. Κἀγώ (τότε γὰρ ἐξῆν) ἐδεξάμην τὴν πρόκλησιν τῆς διαφορᾶς, νυνὶ δὲ οὔτε ἔξεστιν οὔτε βούλομαι. Ἥ τε γὰρ ἡλικία καλῶς ποιοῦσα μαραίνει μοι τὸ φιλότιμον καὶ ἱεροί, φασί, νόμοι κωλύουσιν. Ἅμα δὲ ὑπομιμνήσκομαι καὶ κοινῶν τροφῶν καὶ παιδείας καὶ τῆς ἐν Κυρήνῃ διατριβῆς, ἃ χρὴ νομίσαι τῶν Σαββατίου δικῶν ἰσχυρότερα. Ἔχου δὴ φιλίας ἀγαθοῦ πράγματος καὶ χαῖρε παρ’ ἐμοῦ ζημίαν ἡγουμένου τὸν χρόνον ὃν ἐσιώπησα (πῶς οἴει;) καὶ τότε δακνόμενος. Ἀλλ’ ἐνεκαρτέρουν ὡς οἷόν τε· τοιοῦτόν ἐστι τὸ διαφιλοτιμεῖσθαι κακόν.

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lettere 59-60, ad anisio

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– ad aussenzio

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Ad Anisio Da Cirene a Costantinopoli, 411

L’uomo cui ho affidato questa lettera, sebbene sia un filosofo nell’anima, di professione fa l’avvocato. Finché era presente Anisio ed esisteva la Pentapoli, ha esercitato la sua professione presso di noi; ma poiché il periodo successivo alla tua partenza, essendo noi stati ceduti ai nemici, ha portato la pace nei tribunali,137 ha deciso di far vela verso un altro foro, dove la parola in vendita, cioè la merce degli avvocati, fa il professionista celebre. Procuragli l’amicizia di un uomo che si è ritrovato a comandare delle province e, “in nome del dio dell’amicizia che entrambi onoriamo”, colui al quale domanderai il favore te ne sarà grato, dopo che lo avrà messo alla prova. 60

Ad Aussenzio Da Cirene o Tolemaide a Cirene, 412

Se ti accusassi di fare un torto all’amicizia, sotto il giudizio di Dio e degli uomini divini, vincerei da ogni punto di vista: che cosa infatti ha fatto sì che io fossi coinvolto nell’avversione che hai verso mio fratello? Quando quello, contro il mio parere, prendeva le parti del defunto Fao contro Sabbazio138 e tu con i tuoi discorsi non lo persuadevi, rivolgesti la tua ira contro di me e mi facesti tutto il male che ti era possibile. E io accettai (allora infatti mi era possibile) la dichiarazione della rottura, ma adesso né lo posso né lo voglio. L’età infatti, e agisce bene, spegne in me lo spirito di contesa e le sacre leggi, si dice, lo vietano. Al tempo stesso, mi ricordo la nostra comune infanzia, la comune educazione e la comune vita a Cirene, tutte cose che devono essere reputate più forti dei processi di Sabbazio. Tienti stretto quel bene prezioso che è l’amicizia e ricevi i miei saluti. Vale come mia punizione (non puoi capire quanto dolorosa) il tempo in cui sono stato in silenzio; allora mi rodevo, ma resistevo alla tentazione di scriverti con tutte le mie forze: un tale male è la contesa.

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sinesio di cirene

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ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Δάπιδα μεγάλην τῶν Αἰγυπτίων, οὐχ οἵαν ὑποβεβλῆσθαι στρωμνῇ, ἀλλ’ οἵαν αὐτὴν εἶναι καὶ μόνην στρωμνήν, Ἀστέριος ὁ ταχυγράφος ἰδὼν ᾔτησε παρ’ ἡμῶν ὁπηνίκα με πρὸ τῶν μεγάλων ἀρχείων ἔδει καθεύδειν. Ταύτην ὑπεσχόμην ἐξιὼν ἀπολείψειν αὐτῷ δῶρον· οὐ γὰρ ἦν πρὸς τὴν Θρᾳκῶν χιόνα παραβαλλόμενον τοιαῦτα χαρίζεσθαι. Νῦν οὖν ἐκπέμπω, τότε γὰρ οὐ κατέλιπον· σὺ δὲ δώσεις αὐτῷ μετὰ τῆς ἀπολογίας ἧς αὐτὸς ἔσῃ μάρτυς ἂν ὑπομνησθῇς τῶν καιρῶν καθ’ οὓς ἀνεχώρουν τοῦ ἄστεος. Ἔσειεν ὁ θεὸς τῆς ἡμέρας πολλάκις καὶ πρὸς ἱκετηρίας ἦσαν οἱ ἄνθρωποι πρηνεῖς οἱ πλείους· τὸ γὰρ ἔδαφος ἐκραδαίνετο. Ἐν ᾧ νομίσας ἐγὼ τὴν θάλατταν τῆς γῆς ἀσφαλέστερον κατατείνω δρόμον ἐπὶ τὸν λιμένα, μηδενὶ λόγον δοὺς ὅτι μὴ τῷ μακαρίτῃ Φωτίῳ, καὶ τοῦτον πόρρωθεν ἐγκραγὼν καὶ τῇ χειρὶ σημάνας ὅτι οἰχήσομαι. Ὁ δὲ Αὐρηλιανὸν φίλον ἄνδρα καὶ ὕπατον ἀφεὶς ἀπροσαύδητον ἀπολελόγηται περὶ τῶν αὐτῶν πρὸς τὸν ὑπηρέτην Ἀστέριον. Τότε μὲν οὕτως ἐγένετο· εἰ δὲ μετὰ τὴν ἐμὴν ἐκεῖθεν ἀποδημίαν τρίτον τουτονὶ στόλον ἡ ναῦς εἰς τἀπὶ Θρᾴκης χωρία στέλλεται, ἀλλὰ νῦν πρῶτον ὑπ’ ἐμοῦ στέλλεται. Νῦν οὖν ὅτε πρῶτον ἔξεστιν, ἀποδίδωμι διὰ σοῦ τὸ χρέος. Χάρισαί μοι τὸν ἄνθρωπον ἐξευρών. Τοὔνομα μὲν δὴ καὶ τὸ ἐπιτήδευμα φθάνω δηλώσας, ἀλλὰ δεῖ πλείω προσθεῖναι γνωρίσματα· γένοιτο γὰρ ἄν τις ὁμώνυμος καὶ ὁμότεχνος. Χαλεπῶς δὲ ἅπαντα ταὐτῷ συγκυρεῖ, ἀλλὰ γένοιτο γὰρ ἐν τῷ χρόνῳ Σύρος τὸ γένος, μέλας τὸ χρῶμα, τὸ πρόσωπον ἰσχνός, τὸ μέγεθος μέτριος. Οἰκεῖ παρὰ τὴν βασιλικὴν οἰκίαν, οὐ τὴν δημοσίαν, ἀλλὰ τὴν κατόπιν αὐτῆς ἥτις Ἀβλαβίου μὲν πρότερον ἦν, νῦν δὲ Πλακιδίας ἐστὶ τῆς τοῖν βασιλέοιν ἀδελφῆς. Εἰ δὲ μετῴκησε (γινόμενον γάρ), σὺ δὲ ἀλλὰ Μάρ-

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lettere 61, a pilemene

117 61

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 405

Avevo un gran tappeto egizio, non da mettersi sotto a una coperta, ma tale da fungere esso stesso, solo, da coperta. Avendolo visto, il tachigrafo139 Asterio me lo chiese quando mi trovai costretto a dormire davanti alla grande prefettura.140 Gli promisi che glielo avrei lasciato in dono quando me ne fossi andato: esposto alla neve della Tracia, non mi era infatti possibile fargli un tale regalo. Te lo invio adesso dunque, perché allora non glielo lasciai: tu glielo darai assieme alle mie scuse, di cui sarai tu stesso testimone se ti ricordi le circostanze in cui lasciai la città. Dio scosse la terra più volte al giorno e le persone erano tutte intente a rivolgere preghiere, prosternate perlopiù, poiché il suolo tremava. In quelle circostanze, io, ritenendo il mare più sicuro della terra, discesi di corsa al porto, senza dire nulla a nessuno eccetto che al defunto Fozio,141 e comunque gridandogli da lontano e facendogli segno con la mano che sarei partito. Uno che se ne è andato senza dire una parola ad Aureliano, amico e console, può essere scusato di aver fatto lo stesso con un lavoratore dipendente come Asterio. Così andarono le cose allora: se dalla mia partenza di là questa è la terza volta che la nave salpa, in una flotta diretta verso le terre di Tracia, tuttavia questa è la prima occasione in cui io spedisco qualcosa. Adesso dunque, che è la prima volta in cui mi è possibile farlo, per tuo tramite estinguo il mio debito. Fammi il favore di trovare quell’uomo. Ti ho già detto il suo nome e la sua occupazione, ma bisogna aggiungere molti altri segni di riconoscimento: potrebbe esistere un altro che ha lo stesso nome e fa lo stesso mestiere. Difficilmente invece potrebbe accadere che tutti i segni distintivi si ritrovino nella stessa persona, la quale sarebbe, al tempo stesso, originaria della Siria, scura di pelle, dal volto sottile, di statura media. Abita nei pressi della residenza imperiale, ma non di quella ufficiale, piuttosto di quella che si trova dietro, dove un tempo abitava Ablabio e adesso Placidia, la sorella degli imperatori.142 Se si fosse trasferito (cosa possibile), tu allora cerca

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sinesio di cirene

κον ζητήσεις, φανερώτατον ἄνδρα, τῶν ἐκ τῆς ὑπάρχου τάξεως (οὗτος ἦν ὁ τότε τῆς συμμορίας ἄρχων τῶν ταχυγράφων τῆς τὸν Ἀστέριον ἐχούσης). Εὑρήσεις οὖν διὰ Μάρκου τὴν συμμορίαν ἧς οὐκ ἦν Ἀστέριος ἔσχατος, ἀλλ’ ἐν αὐτοῖς τρίτος ἢ τέταρτος· νυνὶ δὲ κἂν πρῶτος ἂν εἴη. Τούτῳ δώσεις τὴν παχεῖαν ταύτην δάπιδα καὶ πρὸς αὐτὸν ἐρεῖς ἅττα ἡμεῖς περὶ τοῦ χρόνου πρὸς σέ. Εἰ δὲ βούλει, καὶ τὴν ἐπιστολὴν αὐτὴν ἀναγνώσεις· σχολὴν γὰρ ἡμῖν ὁ πόλεμος οὐ δίδωσι τοῦ καὶ πρὸς ἐκεῖνον ἐπιστεῖλαι, εἶναι δὲ δικαίους οὐδὲν ἴσως κωλύει. Μήποτε τοσοῦτον δυνηθείη τὰ ὅπλα. 62

ΤΩΙ ΗΓΕΜΟΝΙ  

Μισθὸς ἀρετῆς ἔπαινος ὃν εἰσφέρομεν Μαρκελλίνῳ τῷ λαμπροτάτῳ νῦν ὅτε πέπαυται τῆς ἀρχῆς, νῦν ὅτε σχολάζει κολακείας ἁπάσης ὑπόνοια. Ὅστις παραλαβὼν πολεμουμένας τὰς πόλεις, ἔξωθεν μὲν ὑπὸ πλήθους καὶ μανίας βαρβαρικῆς, ἔνδοθεν δὲ ὑπὸ στρατιωτικῆς ἀταξίας καὶ τῆς τῶν ταξιαρχῶν πλεονεξίας, ὥσπερ θεὸς ἐπιφανείς, μάχῃ μὲν μιᾷ τοὺς πολεμίους, ἐπιμελείᾳ δὲ καθημερινῇ τοὺς ὑπηκόους σωφρονεστέρους ἐποίησε καὶ παρεσκεύασεν ἀπ’ ἀμφοῖν τῶν δεινῶν εἰρήνην ταῖς πόλεσιν. Ὑπερεῖδε κερδῶν ἃ δοκεῖν εἶναι νόμιμα πεποίηκεν ἡ συνήθεια· οὐκ ἐπεβούλευσε πλούτῳ, πενίαν οὐχ ὕβρισε, τὰ πρὸς θεὸν εὐσεβής, τὰ πρὸς πολιτευομένους δίκαιος, τὰ πρὸς δεομένους φιλάνθρωπος. Διὰ τοῦτο φιλόσοφος ἱερεὺς ἐπαινῶν αὐτὸν οὐκ αἰσχύνεται, παρ’ ᾧ μηδεὶς εὕρετο μαρτυρίαν χάριτι δεδεκασμένην. Παρεῖναι μὲν οὖν ἡμῖν καὶ τὸ δικαστήριον ἐβουλόμεθα, καὶ κοινῇ καὶ καθ’ ἕνα Πτολεμαίων ἕκαστος ἀντεισηνέγκαμεν ἂν αὐτῷ τὸν δυνατόν, εἰ μὴ τὸν δίκαιον ἔρανον ὅτι λόγος ἔργου παρὰ πολύ πως ἥττων ἐστί. Πάν­

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lettere 62, al governatore civile

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di Marco, un uomo molto in vista, tra quelli che lavorano nell’ufficio del prefetto143 (all’epoca era il capo della sezione dei tachigrafi, che comprendeva Asterio). Attraverso Marco, dunque, troverai quella sezione, di cui Asterio non occupava l’ultimo posto, ma il terzo o il quarto: adesso potrebbe anche essere il primo. Gli darai questo tappeto spesso e gli riferirai tutto ciò che ti ho detto in merito alle circostanze in cui mi sono ritrovato. Se vuoi, puoi anche leggergli questa lettera: la guerra non mi concede infatti il tempo di inviarne una anche a lui, ma, cionondimeno, nulla mi impedisce di essere corretto. Che le armi possano non avere mai un tale potere. 62

Al governatore civile144 Da Tolemaide a Tolemaide, 412 o 413

La ricompensa del valore è la lode; e una lode noi rivolgiamo all’illustrissimo Marcellino, ora che termina il suo incarico e che viene meno ogni sospetto di adulazione. Trovò le città in guerra, all’esterno a causa della moltitudine e della furia dei Barbari, all’interno per l’indisciplina dei soldati e l’avidità dei loro comandanti. Il suo arrivo fu come un’epifania divina: con una sola battaglia rese più ragionevoli i nemici e con l’impegno quotidiano i sottoposti, procurando, con il superare entrambe le sciagure, la pace alle città. Ha avversato, tra i guadagni, quelli che la consuetudine ha fatto sembrare legali: non ha insidiato la ricchezza, non ha oltraggiato la povertà, si è dimostrato pio nei confronti di Dio, giusto con i concittadini, benevolo con i supplici. Per questo la sua lode non disonora affatto il filosofo sacerdote che sono, presso il quale nessuno ha mai trovato una testimonianza estorta per compiacenza. Avrei voluto che si associasse a me anche il tuo tribunale,145 e allora noi tutti, abitanti di Tolemaide, assieme e individualmente, avremmo contraccambiato alle sue azioni con il contributo che ci era possibile – che sarebbe comunque stato insufficiente, giacché, d’altronde, le parole valgono molto meno dei fatti. Senza alcun dubbio, in tale circostanza, io stesso avrei parlato a nome della collet-

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sinesio di cirene

τως ἂν ἐγὼ καὶ τότε τοῦ κοινοῦ προηγόρευσα. Ἐπεὶ δὲ τυγχάνει ὢν ὑπερόριος, ἐν γράμμασιν αὐτῷ τὴν μαρτυρίαν κατατιθέμεθα, οὐκ ἐνοχληθέντες, ἀλλ’ ἐνοχλήσαντες. 63

ΙΩΑΝΝΗΙ  

Χρῆσθαι δεῖ ταῖς τῶν δυνατῶν φιλίαις, οὐ καταχρῆσθαι. 64

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Μὴ αἴτει μεγάλα ἵνα μὴ δυοῖν θάτερον ἢ τυγχάνων λυπῇς ἢ μὴ τυγχάνων λυπῇ. 65

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ἄμφω τοὺς Διονυσίους ἀπέστειλα ἵνα τῶν βιβλίων τὸ μὲν ᾖς εἰληφώς, τὸ δ’ ἀπειληφώς. 66

ΘΕΟΦΙΛΩΙ  

Ἐγὼ καὶ βούλομαι καὶ ἀνάγκη μοι θεία νόμον ἡγεῖσθαι πᾶν ὅ τι ἂν ἐκεῖνος ὁ θρόνος θεσπίσῃ. Διὰ τοῦτο, καὶ πένθιμον ἀσχολίαν παραιτησάμενος καὶ νοσοκομούμενον ἔτι τὸ σῶμα πρὸς τοὺς πόνους ἐκβιασάμενος καὶ διοδεύσας τὴν ὕποπτον ὡς ἀνύποπτον, ἣν διετείχισεν ὅπλα πολέμια, γέγονα κατὰ Παλαίβισκάν τε καὶ Ὕδρακα· κῶμαι δὲ αὗται Πενταπόλεώς τε καὶ τῆς διψηρᾶς Λιβύης αὐτὰ τὰ μεθόρια.

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lettere 63-66, a giovanni

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– al fratello – a teofilo

tività. Ma poiché adesso Marcellino si trova al di là dei nostri confini, affido la mia testimonianza a una lettera, io che, senza aver subito da parte sua alcuna molestia, l’ho anzi importunato. 63

A Giovanni Da Cirene a Cirene, 407

Bisogna ricorrere all’amicizia dei potenti, ma non abusarne. 64

Allo stesso Da Cirene a Cirene, 407

Non pretendere grandi cose, perché altrimenti incapperai in uno di questi due mali: o le otterrai e sarai molesto agli altri, o non le otterrai e sarai molesto a te stesso. 65

Al fratello Ti ho inviato entrambi i Dionisii,146 così che, di questi libri, tu l’uno lo prenda e l’altro lo riprenda. 66

A Teofilo Dalle zone rurali orientali della Pentapoli ad Alessandria, 412

È mia volontà personale, nonché una divina necessità, considerare legge tutto ciò che il tuo scranno decreta. Per questo, dopo aver messo da parte la mia occupazione funebre,147 aver forzato alle fatiche il corpo ancora convalescente e aver attraversato, come se non fosse pericolosa, una regione assai insidiosa che le armi nemiche hanno trincerato,148 sono giunto a Palebisca e a Idrace, villaggi della Pentapoli posti sul confine della Libia Secca.149

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sinesio di cirene

Ἐν αἷς τόν τε δῆμον ἐκκλησιάσας καὶ γράμματα τὰ μὲν ἀναγνούς, τὰ δὲ ἀποδούς (τὰ μὲν γὰρ ἦν πρὸς αὐτούς, τὰ δὲ περὶ αὐτῶν πρὸς ἐμέ) καὶ λόγους διεξελθὼν ἐπιτηδείους εἰς ἀρχαιρεσίαν εἰς τὸ καὶ πεῖσαι καί, εἰ προχωροίη, βιάσασθαι προθέσθαι τὴν περὶ ἐπισκόπου σκέψιν, οὐκ ἐξενίκησα τοῦ δήμου τὴν περὶ τὸν εὐλαβέστατον Παῦλον σπουδήν. Ἀξιῶ πιστεύεσθαι παρὰ πατρός· οὐκ ἦν μοι βουλομένῳ μάτην δεδραμηκέναι. Πολλὰ τιμῶντί με τῷ δήμῳ προσέκοψα· τοὺς φανερωτάτους αὐτῶν, εἴ τις ἀνέκραγε μεῖζον, εἴ τις ἀράμενος κρηπῖδα καὶ ἐπαναβὰς αὐτῇ προήγορος ἠξίωσεν εἶναι καὶ λόγον ἀπέτεινεν, ὡς ὠνίους, ὡς συνωμότας ὑπηρετῶν χερσὶ παραδιδοὺς ἐκκυλισθῆναι τῆς ἐκκλησίας ὠθουμένους προσ­ έταξα. Συγχυθέντα δὲ αὖθις καὶ πολλάκις ἀναλαβών τε καὶ καταστήσας τὸν δῆμον διὰ πάσης ἦλθον ἐν λόγοις ὁδοῦ, τὸν ἀρχιερατικὸν ἐκεῖνον θρόνον ἀποσεμνύνων καὶ πείθων ὅτι διὰ τῆς εἰς ὑμᾶς ἀθετήσεως καὶ τιμῆς ὁ θεὸς ἀθετεῖταί τε καὶ τιμᾶται. Οἱ δὲ εὐφήμῳ τε φωνῇ τὸ μακάριον ὄνομα τῆς σῆς θεοσεβείας ἐπεκαλέσαντο καὶ πεσόντες ἱκέτευον, ὡς πρὸς παρόντα τὰς ἐκβοήσεις καὶ τὰς ὀλοφύρσεις ποιούμενοι. Τὸ μὲν οὖν τῶν ἀνδρῶν, εἰ καὶ πέρα προσδοκίας, ἀλλ’ ἔλαττον ἦν· αἱ δὲ γυναῖκες, πρᾶγμα δυσ­ μεταχείριστον, χεῖρας αἴρουσαι, βρέφη προτείνουσαι καὶ μύουσαι τοὺς ὀφθαλμοὺς ἵνα μὴ εἰς ἔρημον τοῦ συνήθους προστάτου τὸν θρόνον ἐνατενίζοιεν, μικρὸν ἐδέησαν τοὺς τἀναντία πολιτευομένους ἡμᾶς εἰς πάθος παραπλήσιον ἐκκαλέσασθαι. Ὅπερ ἵνα μὴ πάθω, φοβηθείς (ᾐσθανόμην γὰρ ἀγόμενος) ἔλυσα τὴν ἐκκλησίαν καὶ εἰς τετάρτην ἥκειν ἐπήγγειλα, ἐπαρασάμενος τὰς παλαμναιοτάτας ἀρὰς εἴ τις ἐμμίσθως, εἴ τις κατὰ χρείαν ἢ χάριν ἢ ὅλως ἰδίᾳ τι διαφέρον αὐτῷ φθέγξαιτό τι τῶν ἀγόντων εἰς τὴν τῆς ἐκκλησίας παρακοήν. Ἧκεν ἡ κυρία καὶ ὁ δῆμος παρῆν πάλιν ἐνστάτης καὶ ἐναγώνιος, ὃς οὐδὲ περιέμεινε πεῦσιν, ἀλλ’ εὐθὺς ἦν ἅπαντα κυκεών, φωνὴ παμμιγής, ὑπὸ τοῦ λίαν ἐνηχεῖν ταῖς ἀκοαῖς ἀδιάκριτος. Κα-

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lettere 66, a teofilo

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Lì, ho chiamato a raccolta i fedeli e ho letto la prima lettera e ho consegnato la seconda (infatti una era per loro, una, sebbene riguardasse loro, era per me), quindi ho pronunciato le parole che si convengono a un’elezione, così da persuaderli o, se necessario, costringerli a procedere alla scelta del vescovo, non riuscendo a vincere il loro attaccamento nei confronti del devotissimo Paolo.150 Domando, padre, che mi si creda: non avrei mai voluto fare questo viaggio inutilmente. Ho scontentato un gruppo di fedeli che mi stimava molto: quando alcuni tra i più in vista di loro hanno alzato la voce, sono saliti sul palco che era stato tirato su per l’occasione, hanno inteso farsi i portavoce degli altri e si sono dilungati in arringhe, come dei corrotti, come dei congiurati, sono stati consegnati alle mani dei miei subalterni,151 dopo che ho ordinato che fossero fatti scendere e che fossero espulsi dall’assemblea. Si è generata molta confusione fra i fedeli e ho dovuto riprenderli più volte e riportarli all’ordine, battendo ogni possibile strada argomentativa per esaltare il tuo trono episcopale e per convincerli che disprezzando o onorando te si disprezza o si onora Dio. Quelli, allora, con voce rispettosa, invocarono il nome beato della tua santità e prostrandosi ti supplicarono, come se le loro grida e i loro lamenti avvenissero in tua presenza. Il comportamento degli uomini, se anche era al di sopra di quanto mi aspettassi, era nulla a confronto di quello delle donne, genere ben difficile da gestire, le quali alzavano le mani, elevavano i figli e chiudevano gli occhi per non vedere lo scranno vuoto del suo abituale occupante. Ci mancò poco che provocassero in me, che pure tengo usualmente un atteggiamento opposto, un sentimento molto prossimo al loro. Per evitare un simile stato d’animo, temendo un contagio (infatti mi sentivo influenzato da loro), sciolsi l’assemblea e la riconvocai per tre giorni dopo, lanciando le più terribili maledizioni contro chiunque per guadagno, opportunità, compiacenza, in breve per delle ragioni personali, dicesse alcunché che spingesse alla disobbedienza verso la Chiesa. Giunse il giorno stabilito e i fedeli si presentarono di nuovo ostili e agitati. Non attesero neanche di essere interrogati ma tutto fu subito disordine e voci confuse, che l’eccessivo rumore rendeva

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τασιγαζόντων δὲ τῶν ἱεροκηρύκων, εἰς θρῆνον αὐτοῖς ἀπετελεύτησεν ἡ βοή, καὶ ἦν ἄκουσμα σκυθρωπόν, ἀνδρῶν οἰμωγαί, γυναικῶν ὀλολυγαί, παίδων ὀλοφυρμοί· ὁ μὲν ἔφη πατέρα ποθεῖν, ὁ δὲ υἱόν, ὁ δὲ ἀδελφόν· οὕτως ἐμερίζετο ταῖς ἡλικίαις τὰ τῆς συγγενείας ὀνόματα. Ἐμοῦ δέ τι μεταξὺ λέγειν ἐπιχειροῦντος, ἀναδείκνυται γραμμάτιον ἐκ μέσου τοῦ πλήθους καὶ ἐνεύχεταί τις εἰς κοινὸν αὐτὸ πᾶσιν ἀναγνωσθῆναι. Τὸ δὲ ἦν ἐνορκισμὸς πρὸς ἐμέ· παύσασθαι σὺν βίᾳ τοῦ πλήθους ἀποπειρώμενον καὶ ἀναθέσθαι τὸ σκέμμα μέχρις ἂν αὐτοῖς γένηται πρὸς τὴν μακαριωτάτην σου κεφαλὴν ὑπὲρ τούτου ψήφισμα πέμψαι καὶ πρεσβευτήν· μᾶλλον δὲ ἐμοῦ κατεδέοντο ποιήσασθαι συνηγορίαν ἐν γράμμασιν, ἅπερ ἐδιδάχθην διδάσκοντα. Ἐλέγετο τοίνυν καὶ ἐν συνεδρίῳ παρὰ τῶν πρεσβυτέρων καὶ δημοσίᾳ παρὰ τοῦ πλήθους, καὶ τὸ γραμμάτιον αὐτὰ ταῦτα καθ’ ἕκαστον διεξῄει, πάτριον εἶναι καὶ ἀποστολικὸν Ἐρυθρίτιδας εἶναι καὶ ταύτας τὰς ἐκκλησίας, ἀποστασιάσαι δὲ αὐτὰς πρὸς Ὠρίωνα τὸν μακάριον, πορρωτέρω τε ὄντα πρεσβύτην καὶ αἰτίαν ἔχοντα πραότατον εἶναι (τοῦτο γὰρ ἤδη καὶ λοιδόρημα γέγονεν ὑπὸ τῶν ἀξιούντων ἱερωσύνην προστάτιν εἶναι τὰ εἰς ἀνθρώπους καὶ πολυπράγμονα). Καὶ ἐπειδὴ παρέτεινε ζῶν, οὐκ ἀνασχέσθαι περιμεῖναι τοῦ δικαίου τὴν τελευτήν, ἀλλὰ προβαλέσθαι τὸν μακαρίτην Σιδήριον· ἐδόκει γὰρ οὗτος νέος τε εἶναι καὶ ῥέκτης ἀνήρ, ἀπὸ τῆς παρὰ βασιλεῖ Βάλεντι στρατείας ἥκων κατὰ χρείαν ἀγρῶν αἰτηθέντων ἐπιμελείας, οἷος ἐχθρούς τε κακῶσαι καὶ φίλους ὀνῆσαι. Τότε δὲ καὶ ἐκράτει τὰ τῶν αἱρέσεων· πλήθει γὰρ περιῆσαν καὶ καιρὸν ἔσχεν ἡ δεινότης ὄργανον οὖσα φρονήσεως· τοῦτον οὖν ἕνα καὶ μόνον ἀποδεδεῖχθαι Παλαιβίσκης ἐπίσκοπον. Ἀλλ’ οὐδὲ τοῦτον ἐνθέσμως· ἐκθέσμως μὲν οὖν, ὅσα γε τῶν γερόντων ἠκούσαμεν, εἰ μήτε ἐν Ἀλεξανδρείᾳ κατέστη μήτε παρὰ τριῶν ἐνθάδε καὶ εἰ τὸ σύνθημα τῆς χειροτονίας ἐκεῖθεν ἐδέδοτο. Μόνον γὰρ δή φασι

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indistinguibili. Quando gli araldi sacri imposero il silenzio, le loro grida divennero lamento, un ascolto sconsolato: pianti di uomini, urli di donne, gemiti di bambini; l’uno rimpiangeva il padre, l’altro il figlio, l’altro il fratello; così si ripartivano, in base all’età, il titolo di parentela con Paolo. Mentre io, in tutto questo, tentavo di dire qualcosa, dal mezzo della folla mi si mostra una petizione e mi si chiede di leggerla pubblicamente. Si trattava di una richiesta indirizzata a me: mi si scongiurava di smettere di influenzare il popolo con la forza e di rimandare l’analisi della questione a quando fosse stato loro possibile inviare alla tua beatissima persona una decisione in merito al problema assieme a un delegato; o piuttosto, mi domandavano di prendere le loro parti in una lettera, in cui ti riferivo ciò di cui ero stato a mia volta informato. Ecco quanto veniva affermato dai sacerdoti in assemblea e dal popolo dei fedeli in pubblico, e la petizione lo esponeva punto per punto. Per antica tradizione, addirittura apostolica, queste Chiese facevano parte di quella di Eritro, dalla quale si erano separate a causa del beato Orione, perché era divenuto troppo vecchio e si era attirato l’accusa di essere troppo arrendevole (e questo è sempre stato un demerito per chi ritiene che il sacerdozio abbia il dovere di sovrintendere alle faccende umane e comporti quindi molteplici attività152). Poiché quello continuava a vivere, i fedeli non si erano rassegnati ad attendere la morte di quel giusto, ma avevano scelto il beato Siderio: aveva infatti l’apparenza di un uomo giovane e dinamico, che era giunto sul posto, dopo essersi congedato dall’esercito dell’imperatore Valente,153 per prendersi cura di alcuni campi che aveva rivendicato, dimostrandosi capace di recare danno ai nemici e vantaggio agli amici. In quel momento la fazione degli eretici154 dominava, giacché era superiore per numero di seguaci: fu quello il momento giusto per l’abilità, che è strumento dell’intelligenza. Perciò, Siderio fu eletto solo e unico vescovo di Palebisca. Ma non fu affatto un’elezione legale: fu assolutamente illegale, stando a quanto abbiamo udito dagli anziani,155 giacché Siderio non era stato ordinato né ad Alessandria né da tre vescovi locali, anche se sul posto aveva ottenuto il riconoscimento dell’elezione.156 Infatti, dicono che

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τὸν μακάριον Φίλωνα θαρρῆσαι τὴν τοῦ συνιερέως ἀνάρρησιν. Φίλων ἐγένετο Κυρηναῖος ἔτι παλαιότερος, ὁ τοῦ νεωτέρου θεῖός τε καὶ ὁμώνυμος, τὰ μὲν ἄλλα ὁποῖον ἂν γένοιτο παίδευμα τοῦ Χριστοῦ, τὰ δὲ εἰς τὸ ἄρχειν καὶ ἄρχεσθαι θαρραλεώτερος μᾶλλον ἢ νομιμώτερος. Ἀλλὰ γὰρ αἰτοῦμαι συγγνώμην ἐπὶ τῷ λόγῳ τὴν ἱερὰν τοῦ πρεσβύτου ψυχήν· τοῦτον ἥκοντα μόνον ἀποδεῖξαί τε καὶ ἐπὶ τοῦ θρόνου καθίσαι τὸν μακαρίτην Σιδήριον. Ἀλλ’ ἀνάγκη γὰρ ἐν καιροῖς ἀπαρρησιάστοις τὴν ἀκρίβειαν παραβαίνεσθαι. Διὰ τοῦτο τὸν πάμμεγαν Ἀθανάσιον συγχωρῆσαί τε τῷ καιρῷ καὶ μετ’ οὐ πολύ, δεῆσαν ἐν Πτολεμαΐδι τὸν ἐνόντα σμικρὸν ἔτι τῆς ὀρθοδοξίας σπινθῆρα θάλψαι τε καὶ ἐπὶ πλέον ἐξάψαι, τὸν ἄνδρα τοῦτον ὡς μείζοσι πράγμασιν ἐπιτήδειον ἐκεῖ διαβῆναι κελεῦσαι, τὴν μητροπολῖτιν ἐκκλησίαν ἐπιτροπεύσοντα. Γῆρας δ’ αὐτὸν εἰς τὰς κωμήτιδας ἐπανήγαγεν· οὗ καταλύσας, οὐκ ἔσχε διάδοχον, ὃς οὐδὲ αὐτὸς ὑπῆλθεν ἑτέρου διαδοχήν. Παλαίβισκα δὲ καὶ Ὕδραξ εἰς τὴν ἀρχαίαν τάξιν ἐτάχθησαν καὶ πρὸς τὸ Ἐρυθρὸν ἀνελήφθησαν, δόγματι, φασί, τῆς σεβασμίας σου κεφαλῆς. Καὶ τούτῳ δὴ μάλιστα πάντων ἐνέκειν­το, τῷ μὴ δεῖν ἀθετεῖσθαι τὸν παρὰ σοῦ θρονισμόν. Γράμματα μὲν οὖν, ᾔτησα γάρ, οὐκ εἶχον ἀποδεικνύναι, ἐπισκόπους δὲ τῶν συνέδρων ἀνίστασαν μάρτυρας. Οὗτοι δὲ ἔφασαν, ἐπιστολῇ πειθαρχοῦντες ἐκεῖθεν ἡκούσῃ, πεῦσιν περὶ Παύλου προτεῖναι τῷ δήμῳ· καὶ δόξαν ἅπασιν ἐπίσκοπον ἔχειν, ἀνενέγκαι περὶ αὐτοῦ, τοὺς δὲ θρονιστὰς ἑτέρους γενέσθαι. Καὶ εἴ μοι δίδως εἰπεῖν, πάτερ σεβασμιώτατε, ἐκεῖνος ἦν ὄντως ὁ καιρὸς ὁ τῆς σκέψεως· τὸ γὰρ ἀφελέσθαι τοῦ μὴ χαρίσασθαι λυπηρότερον. Ἀλλὰ κρατείτω καὶ νῦν ὅ τι ἂν δόξειε τῇ πατρικῇ σου κεφαλῇ. Εἰ γὰρ τὸ δόξαν τότε δίκαιον αὐτοῖς γέγονε, καὶ τοῦτο προΐσχονται, τὸ μηκέτι δοκεῖν τὸ δίκαιον μετατίθησιν· ὥσθ’ ὅ τι

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solo il beato Filone abbia osato proclamare vescovo il suo collega nel sacerdozio. Si tratta del Filone di Cirene più anziano, zio e omonimo del più giovane Filone, un uomo che in generale si atteneva agli insegnamenti di Cristo, ma che nel comandare e nell’ubbidire era più audace che rispettoso della legge. E chiedo perdono per ciò che ho detto alla sacra anima del vecchio. Quello arrivò, ordinò da solo il beato Siderio e lo pose sul trono episcopale. È inevitabile che in circostanze in cui non si può parlare liberamente si trasgredisca la rigida disposizione della legge. Per questo il grande Atanasio157 aveva ceduto alle circostanze e per questo dopo non molto tempo, rendendosi necessario a Tolemaide rinvigorire la piccola fiammella dell’ortodossia che ancora esisteva e accenderla ancora di più, comandò che quell’uomo,158 che gli pareva adatto a più alti compiti, si trasferisse là, per governare la Chiesa metropolitana. Ma la vecchiaia lo ha portato nelle chiese dei villaggi, dove è morto e dove non ha avuto successori, giacché neppure lui era succeduto a nessuno. Palebisca e Idrace se ne tornarono alla loro vecchia condizione e furono riannesse a Eritro per una decisione, si dice, della tua venerabile persona. Su questo punto in particolare insistevano moltissimo i fedeli, cioè che l’investitura a vescovo proveniva da te e che non dovevi annullarla. Non sono stati in grado di presentare un documento scritto – gliel’ho chiesto –, ma hanno portato dei vescovi che partecipavano all’assemblea come testimoni. Questi hanno detto che, ubbidendo a una lettera giunta da Alessandria, avevano sottoposto la questione relativa a Paolo al popolo dei fedeli; siccome era stato deciso all’unanimità di accettarlo come vescovo, quelli riferirono su di lui con un rapporto, altri procedettero a investirlo. Se mi concedi di esprimere la mia opinione, reverendissimo padre, era proprio quello il momento adatto a valutare la questione: il togliere infatti è più doloroso del non concedere. Ma che anche adesso prevalga quanto sembra meglio alla tua paterna persona. Se infatti ciò che ti parve giusto allora lo fu anche per loro – e infatti questo essi adducono come giustificazione –, il fatto che adesso non ti sembri più tale sposta altrove ciò che è giusto: la tua decisione, quale che sia, coincide infatti con la giustizia per la folla

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ἂν γνῷς, τοῦτο τῷ πλήθει δίκαιον γίνεται. Ἀκοὴ γὰρ ζωὴ καὶ θάνατος ἡ παρακοή. Διόπερ οὐκ ἀνταίρουσι χεῖρας, ἀλλ’ ἱκετεύουσι μὴ γενέσθαι ζῶντος αὐτοῖς ἔτι τοῦ πατρὸς ὀρφανοί· οὕτω γὰρ ἐπὶ λέξεως λέγουσι. Κἀγὼ τὸν νεανίσκον οὐκ οἶδα πότερον ἐπαινέσαιμ’ ἂν τῆς παρὰ πάντων εὐνοίας ἢ μακαρίσαιμι· ἢ γὰρ τέχνης ἐστὶ καὶ δυνάμεως ἢ χάριτος θείας οὕτω τοὺς ἀνθρώπους ἐξομαλίσαι καὶ καταδημαγωγῆσαι τὸ πλῆθος, ὥστε τὸν χωρὶς αὐτοῦ «βίον ἀβίωτον» ἅπασιν εἶναι. Διὸ δόξει μὲν περὶ αὐτῶν τῇ φιλανθρώπῳ σου φύσει φιλανθρωπότερα, ἐμοὶ δὲ ἐπανιτέον εἰς ἄστυ κἀκεῖ περιμενῶ τοῦ ποιητέου τὸ σύνθημα. Ἃ δ’ οὖν ἐν ταῖς τέτρασιν ἡμέραις διῳκησάμην ἃς ἐν τοῖς τῇδε τόποις διέτριψα, τούτων οὐκ ἀγνοήσεις ὅντινα τύπον ἕκαστον εὕρετο· καὶ μὴ θαυμάσῃς εἴ ποτε τὸν αὐτὸν εὖ τε καὶ κακῶς εἰπεῖν μοι συμβαίη. Οὐ γὰρ ἐπὶ τοῖς ἀνθρώποις ἑκάτερα· τὰ πράγματα δὲ ἐπαινεῖται καὶ ψέγεται. Στάσις ἐν τοῖς κατὰ Χριστὸν ἀδελφοῖς καλὸν μὲν εἰ μηδέποτε φύοιτο· φῦσα δὲ καλὸν εἰ μετὰ μικρὸν παύοιτο. Δι’ αὐτὸ δὴ τοῦτο καὶ γράμματι καταπεμφθέντι πειθόμενος, διαιτᾶν ἠνεσχόμην καὶ δέδωκα τὰς ἀκοὰς ἀμφισβητήσει τοιᾷδε. Ἐν Ὕδρακι τῇ κώμῃ χωρίον ἐστὶ τῆς κώμης αὐτὸ τὸ μετεωρότατον, ὃ πάλαι μὲν ἦν φρούριον ἐρυμνότατον, κατασείσαντος δὲ τοῦ θεοῦ γέγονεν ἐκλελειμμένον ἐρείπιον. Τέως μὲν οὖν ὀλίγοις τισὶ τῶν ἑαυτοῦ μερῶν εἰς ἑκατέρας χρείας διεσχημάτιστο· οἱ δὲ παρόντες οὗτοι τῶν πολέμων καιροί, διότι δύναιτ’ ἂν ἐκτειχισθῆναι καὶ εἰς τὴν ἀρχαίαν χρείαν ἐπανελθεῖν, τοῦ παντὸς ἄξιον αὐτὸ τοῖς κεκτημένοις παρέχονται. Τοῦτο τοῖς ἀδελφοῖς ἡμῶν (ἤδη δὲ καὶ ἄλλοις) τοῖς εὐλαβεστάτοις ἐπισκόποις Διοσκόρῳ καὶ Παύλῳ τὸ περιμάχητον ἦν. Ἐν αἰτίᾳ γὰρ ἐπεποίητο τὸν Ἐρυθρίτην ὁ Δαρνίτης ἐπιβουλότατα σκέψασθαι ὅπως ἂν τὸ μὴ προσῆκον περιποιήσαιτο· καθοσιώσαντα μὲν τῷ θεῷ τόπον ἀλλότριον, ἁρπάσαντα δὲ οὕτω τὴν τῆς εὐσεβείας ὑπόθεσιν, ἤδη χειρὶ βιαίᾳ προστῆναι τοῦ πανουργήματος. Πρὸς ταῦτα ὁ εὐλαβέστατος Παῦλος ἐπεχείρησε μὲν ἀντιλογίας κομίσαι τινάς· ὅτι τε προκατεσχήκοι

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dei fedeli. L’ubbidienza è la vita, la disubbidienza la morte. Per questo non alzano le mani contro di te, ma ti supplicano di non renderli orfani mentre il loro padre è ancora vivo. Così si esprimono, alla lettera. Quanto a me, non so se lodare questo giovane per la benevolenza che tutti gli accordano o se ritenerlo beato: infatti, per accattivarsi e conquistarsi così la folla, al punto che per tutti senza di lui “la vita non è degna di essere vissuta”,159 o si può contare su abilità e capacità, oppure su una grazia divina. Quindi, che tu prenda in merito a questa faccenda, in accordo con la tua natura benevola, la decisione più umana, mentre io, che devo ritornare in città, aspetterò là le tue disposizioni sul da farsi. In merito alle decisioni che ho preso nei quattro giorni che ho trascorso in questi luoghi, non ignorerai la forma che ciascuna di esse ha assunto: non ti stupire se capita talvolta che dica bene e male della stessa persona. I differenti giudizi non si riferiscono agli uomini: sono le azioni che vengono lodate e biasimate. Sarebbe bene che non nascessero mai dissidi tra i fratelli in Cristo: se anche nascono, sarebbe bene che cessassero dopo poco tempo. Proprio per questo, ubbidendo alla lettera che mi è stata inviata, ho accettato quest’arbitrato e ho prestato ascolto a una controversia quale è quella che sto per dire. Nel villaggio di Idrace vi è un luogo, situato nel punto più alto del paese, che anticamente era una cittadella ben fortificata, divenuta un rudere abbandonato dopo che Dio ebbe provocato un terremoto. Finora, alcune sue parti sono state utilizzate per ogni tipo di impiego; ma l’attuale tempo di guerra l’ha resa estremamente preziosa per chi la possegga, perché può essere rifortificata e riportata alla sua antica funzione. Questo è l’oggetto della contesa tra i nostri fratelli (e lo era stato già per altri), ovvero i piissimi vescovi Dioscoro e Paolo. Il vescovo di Derna ha accusato quello di Eritro di disporre le peggiori insidie per appropriarsi di ciò che non gli appartiene: Paolo avrebbe infatti consacrato a Dio un luogo che era di altri, prendendosi così un pio pretesto, e avrebbe protetto con la forza il proprio imbroglio. A fronte di queste accuse, il reverendissimo Paolo ha cercato di portare degli argomenti con-

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τὸν λόφον καὶ ἐκκλησία παλαίτερον ἀποδέδεικτο πρὶν τὸν εὐλαβέστατον Διόσκορον ἀποδειχθῆναι τοῦ χωρίου δεσπότην. Ἀλλά, ἂν μὴ μαλακώτερόν τις ἅπτηται τῆς ζητήσεως, ταχὺ τἀληθὲς ἔνδηλον γίνεται. Ὥσπερ οὖν ἅπαν τοῦτο πέφηνεν ἕωλον. Τὸ γὰρ ἐν ἐπιδρομῇ τότε πολεμίων ἐκεῖ συμφυγόντας ἀνθρώπους εὔξασθαι τἀναγκαῖα, τοῦτο τὸν τόπον οὐ καθιεροῖ· ἢ πάντα μὲν ὄρη πᾶσαι δὲ φάραγγες ἐκκλησίαι καὶ οὐδὲν ὅ τι φρούριον ἐκφεύγει τὸ δημόσιον εἶναι, ἐν οἷς ἅπασιν, ὅταν οἱ πολέμιοι προνομεύσωσιν, εὐχαὶ καὶ μυστήρια γίνονται. Οἰκίαι δὲ ὅσαι κατὰ τοὺς ἀθέους τῶν ἐξ Ἀρείου καιροὺς εὐχὰς ἐδέξαντο καὶ μυστήρια, ἀλλ’ οὐδὲν ἧττόν εἰσιν ἰδιώτιδες· φυγὴ γὰρ κἀκεῖνο, καὶ γὰρ ἐκεῖνοι πολέμιοι. Ἀλλ’ ἐγὼ τὸν καιρὸν ἐζήτουν τῆς καθιδρύσεως, εἰ παρὰ διδόντων, εἰ παρὰ συγχωρούντων τῶν κυρίων ἐγένετο. Ἀπεδείχθη λαμπρῶς ἅπαντα τἀναντία. Τῶν ἐπισκόπων ὁ μὲν ᾔτει λαβεῖν, ὁ δὲ οὐκ ἐδίδου κύριος ὤν· τέλος ὁ μὲν ᾤχετο τὰς κλεῖς ἔχων, ὁ δὲ ἀνοίγνυσι καί, τράπεζαν εἰσφορήσας, καθιεροῖ σμικρὸν οἰκίσκον ἐν λόφῳ πλατεῖ. Ἀλλ’ οὐ γάρ ἐστι παριτητέον ἐπὶ τὸν οἰκίσκον εἰ μὴ δι’ ὁλοκλήρου τοῦ πλάτους, ὥστε τέχνη τις ἦν ἐφ’ ᾧ τὸν λόφον περιποιήσασθαι. Ἐδόκει δέ μοι τὸ πρᾶγμα δεινὸν εἶναι καὶ πέρα δεινοῦ, καὶ ἀγανακτητέον ὁμοῦ μὲν ὑπὲρ τῶν νόμων τῶν ἱερῶν, ὁμοῦ δὲ καὶ ὑπὲρ τῶν δικαίων τῆς πολιτείας. Συγχυθῆναι γὰρ ἅμα πάντα, τοῦτο μὲν εἰ τρόπος καινὸς ἐπινοηθείη δημεύσεως, τοῦτο δὲ εἰ διὰ τῶν παναγεστάτων τὰ ἐναγέστατα κρίνοιτο, εὐχὴ καὶ τράπεζα καὶ καταπέτασμα μυστικὸν ἐφόδου βιαίας ὄργανα· περὶ τούτων ἤδη καὶ ἐν ἄστει διέγνωστο. Καὶ συνέτυχε γὰρ οὕτως ὥστε παρ’ ὀλίγους ἅπαντας ἐπισκόπους ἐν τῇ Πτολεμαΐδι τότε συνδεδραμηκέναι κατά τινα σκέψιν πολιτικήν. Ἀκροώμενοι δέ, τὴν μὲν πρᾶξιν

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trari: ha affermato che sarebbe stato lui il primo possessore della collina, che sarebbe stata consacrata come chiesa molto tempo prima che il reverendissimo Dioscoro fosse ordinato signore del luogo. Ma qualora si conduca un’indagine non troppo fiaccamente la verità diviene chiara con rapidità. Così, tutto ciò si è rivelato privo di valore. Il fatto che in passato, nel corso di un’incursione nemica, degli uomini che vi avevano trovato rifugio vi abbiano recitato delle preghiere non è in effetti sufficiente a consacrare il posto; altrimenti, tutte le montagne, o tutte le gole sarebbero delle chiese, e nulla impedirebbe che una fortezza fosse una pubblica sede di culto, giacché in tutte, quando i nemici si stanno dando al saccheggio, si levano preghiere e si celebrano misteri. Quante case hanno ospitato preghiere e misteri ai tempi empi dei discepoli di Ario,160 ma nondimeno sono rimaste case private: anche in quel caso si trattava di una fuga, e anche quelli erano dei nemici. Ho comunque indagato sulla circostanza della consacrazione, per capire se era avvenuta a seguito di una donazione o col permesso dei proprietari. Risultò lampante l’esatto contrario. Dei due vescovi, mentre l’uno rivendicava il possesso della fortezza, l’altro non era disposto a cederla perché ne era il proprietario. Alla fine, il secondo se ne è andato con le chiavi, il primo ha fatto irruzione e, dopo avervi introdotto una tavola d’altare, ha consacrato una piccola edicola nella parte piana della collina. Ma non si può raggiungere l’edicola senza attraversare completamente questa parte pianeggiante: ecco come quello si era trovato un espediente per appropriarsi della collina. La faccenda mi era parsa grave, anzi più che grave, e mi ero dovuto irritare per far rispettare al contempo le leggi sacre e il diritto civile. Si sarebbe creata una totale confusione, se da un lato si fosse inventata una nuova forma di confisca e se dall’altro ci fossimo trovati a dover dirimere le cose più sacre con i comportamenti più impuri, se la preghiera, la tavola d’altare, il velo mistico161 si fossero fatti strumento di un’azione violenta; ma su tutto ciò era già stata presa una decisione in città. Per caso, infatti, vi era stato un incontro di tutti i vescovi, con poche eccezioni, a Tolemaide, in merito a una faccenda politica.162 Appresa la situazione, avevano

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ἐμίσουν, τὴν δὲ μετάστασιν ὤκνουν. Ἐγὼ δὲ τὴν δεισιδαιμονίαν ἀξιῶ διαστέλλειν ἀπὸ τῆς εὐσεβείας· κακία γάρ ἐστιν ἀρετῆς προσωπεῖον περικειμένη, ἣν φιλοσοφία τὸ τρίτον οὖσαν τῆς ἀθεΐας εἶδος ἐφώρασεν. Οὐδὲν οὖν ἱερὸν οὐδὲ ὅσιον ἥγημαι τὸ μὴ δικαίως τε καὶ ὁσίως γενόμενον. Οὔκουν ἐπῄει μοι πεφρικέναι τὴν λεγομένην καθίδρυσιν. Οὐδὲ γάρ ἐστι τὰ Χριστιανῶν ὡς ἐπάναγ­ κες εἶναι ταῖσδε ταῖς τελεστικαῖς ὕλαις τε καὶ φωναῖς ὥσπερ ὁλκαῖς τισι φυσικαῖς ἀκολουθῆσαι τὸ θεῖον (ὅπερ ἂν πάθοι πνεῦμα ἐγκόσμιον), ἀλλ’ ὥστε παρεῖναι ταῖς ἀπαθέσι καὶ ταῖς οἰκείαις τῷ θεῷ διαθέσεσιν. Ὅπου δὲ ὀργὴ καὶ θυμὸς ἀγνώμων καὶ δύσερι πάθος ἡγεῖται τῆς πράξεως, πῶς ἐκεῖ τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον παραγίνεται, ὧν ἐπεισελθόντων, κἂν συμβῇ προενῳκηκός, ἐξοικίζεται; Ἐγὼ μὲν οὖν εἶχον ὡς ἀποφανούμενος τὴν μετάθεσιν· ὁ δὲ καὶ ἐξηλέγχετο καὶ πρότερον ὑποσχόμενος, αὐτὴν ὅρκου τὴν ὑπόσχεσιν βεβαιώσαντος. Τούτου λαβόμενος ἀσμένως ἤδη τὴν ἀπόφασιν ἀπεδίδρασκον, ἀλλ’ ἐκεῖνον αὐτὸν ἀπέφαινον ἑαυτῷ δικαστὴν καὶ τὸν οἰκεῖον ὅρον ἐκβιβάζειν ἠνάγκαζον. Ἀνατιθεμένου δὲ καὶ διατρίβοντος, ἐπειδὴ τῆς ἐκκλησιαστικῆς ἕνεκα σκέψεως αὐτόθι παρεγενόμην, ἐδέησεν ἐπιβαλεῖν τὰς ὄψεις τῷ τόπῳ καὶ ἐπιδιαγνῶναι τὰ τὴς ὑποθέσεως. Καὶ πάλιν παρῆν ὅμιλος ἐπισκόπων ἐκ τῆς περιοικίδος, ἄλλου κατ’ ἄλλην χρείαν συνειλεγμένων· ἐφ’ ὧν ἁπάντων κἀμοῦ οἵ τε ὅροι διεδείκνυντο τὴν τοῦ Δαρνίτου μερίδα σαφῶς ἀποτεμνόμενοι καὶ μαρτυρία γερόντων καὶ συγκαταθέσεις τῶν τέως ἀντιλεγόντων τὸν εὐλαβέστατον Διόσκορον τοῦ χωρίου δεσπότην ἀπέφηναν. Ἐγκειμένου δὲ τἀδελφοῦ Διοσκόρου, γέγονεν ἀνάγκη καὶ τὸ γραμματεῖον τὸ λοίδορον εἰς κοινὸν ἅπασιν ἀναγνωσθῆναι ὃ πρὸς τὴν ἁγιότητα τὴν σὴν ὁ εὐλαβέστατος Παῦλος ἐπεποίητο ἐν ἐπιστολῆς εἴδει, κωμῳδίαν ἐπὶ τὸν ἀδελφὸν ἀνασεσυρμένην καὶ πλημμελῆ ἀφ’ ἧς αἰσχύνεσθαι περιῆν οὐ τῷ κακῶς ἀκούσαντι, τῷ δὲ κακῶς ἀγορεύσαντι.

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biasimato l’azione di Paolo, ma erano esitanti a rimuoverlo. Per quanto mi riguarda, reputo che la superstizione vada distinta dalla pietà: la prima è piuttosto un male che indossa la maschera della virtù, che la filosofia ha riconosciuto come terza forma dell’empietà.163 Credo che non vi sia nulla né di sacro né di santo che non sia conforme alla giustizia umana e divina. Perciò, non mi è venuto neppure in mente di aver paura dinanzi a tale presunta consacrazione. Non è infatti proprio dei cristiani credere che sia inevitabile che il divino si lasci guidare, nel corso delle cerimonie religiose, da oggetti materiali e formule, come per effetto di attrazioni fisiche (ciò potrebbe subirlo uno spirito interno al cosmo164), ma piuttosto che si trovi in quella disposizione che è priva di passioni e che è propria di Dio. Laddove l’ira, il desiderio irragionevole, il sentimento di contesa guidano l’azione, come potrebbe lo Spirito Santo risiedere, giacché, una volta sopraggiunte, queste emozioni lo espellono, anche qualora quello vi si trovasse? Io dunque avevo intenzione di dichiarare la rimozione: ma si venne a sapere che Paolo lo aveva già promesso, confermando tale promessa con un giuramento. Sulla base di ciò, con piacere mi evitavo la notificazione della sentenza, ma dichiaravo Paolo giudice di se stesso e lo costringevo a rispettare il limite che si era dato da solo. Poiché tuttavia quello rimandava e indugiava, giacché mi sono trovato sul posto per la mia ispezione ecclesiastica,165 mi è parso inevitabile dare un’occhiata al luogo ed esaminare gli elementi della questione. E di nuovo c’era con me un gruppo di vescovi della regione circostante, riuniti là chi per un motivo chi per un altro.166 In presenza di tutti loro, e mia, sono stati mostrati i confini che delimitano chiaramente la parte del vescovo di Derna; la testimonianza degli anziani e l’approvazione di coloro che fino ad allora si erano opposti dimostrarono che il reverendissimo Dioscoro era il proprietario del sito. Sollecitato dal fratello Dioscoro, mi è stato inevitabile leggere pubblicamente lo scritto oltraggioso cui il reverendissimo Paolo aveva dato forma di lettera rivolta alla tua santità, derisione nei confronti di un fratello sconcia e riprovevole, da cui la vergogna non ricadeva su chi era insultato ma su chi insultava.

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Ἀλλ’ ἔστιν ἄρα καὶ τοῦτο δεύτερον ἀγαθόν, τὸ αἰσχύνεσθαι· τὸ μὲν γὰρ ἀναμάρτητον θείας ἄντικρύς ἐστι καὶ μοίρας καὶ φύσεως, τὸ δὲ ἐπὶ τοῖς οὐκ εὖ γενομένοις ἐρύθημα σωφροσύνης τις ἂν ἀπεφήνατο. Ἅπερ ὑποστὰς ἐπὶ τοῦ παρόντος πράγματος, ὁ εὐλαβέστατος Παῦλος ἁπάσης ῥητορείας ἰσχυροτέραν ἀπέφηνε τὴν ἐξ οἰκείας γνώμης μετάνοιαν· τὸ γὰρ ὁμολογῆσαί τε ἁμαρτεῖν καὶ φανῆναι τὴν αἰσχρὰν λύπην τὴν ὡς ἐπὶ κακοῖς αὐθαιρέτοις λυπούμενον, πάντας ἡμᾶς εὔνους αὐτῷ καὶ συνδιατιθεμένους παρέσχετο. Καὶ τὸ μὲν ἡμέτερον οὐ θαυμαστόν, ἀλλ’ ὁ εὐλαβέστατος ἐπίσκοπος Διόσκορος ἐπειδὴ τὸν τέως διαφιλοτιμούμενον ταπεινότερον ἐθεάσατο, τῇ ψήφῳ κρατῶν ἡττήθη τῇ γνώμῃ, καὶ γέγονεν ἐπὶ τῷ εὐλαβεστάτῳ Παύλῳ ποιεῖν ὁπότερα βούλοιτο, κατασχεῖν ἢ παραδοῦναι τὸν λόφον, τοῦ θαυμαστοῦ Διοσκόρου πολλαῖς ἐνδόντος αἱρέσεσιν ὧν οὐδεμιᾶς ἂν ἀκοὴν πρὸ τῆς ἐκείνου μετανοίας ἠνέσχετο. Καὶ γὰρ ἀποδόσθαι μόνον τὸν λόφον καὶ ἀμοιβὴν δοῦναι πᾶν ἅμα τὸ κτῆμα καὶ ἄλλα πολλὰ προσεξεῦρεν, ἐπιδαψιλευόμενος αὐτῷ πόρους ἀφ’ ὧν ἄν τις προλήψει χαρίσαιτο. Ὁ δὲ ταῦτα μὲν ὤκνει, ἠξίου δὲ ὑπεισελθεῖν αὐτὸς τὴν εἰς τὸν ἀδελφὸν Διόσκορον γενομένην ὠνὴν καὶ ἐπὶ τοῖς αὐτοῖς ἀντικαταστῆναι δεσπότης τοῦ κτήματος. Ἐγένετο πρὸς τῷ λόφῳ καὶ τῶν ἀμπελώνων καὶ τῶν ἐλαιώνων ἐγκρατής. Τῷ δὲ ἡ μεγαλοφροσύνη κτῆμα ἀντὶ κτήματος, μεῖζον ἀντ’ ἐλάττονος· περιγέγονε κοινὸν ἀμφοῖν ἀγαθὸν ἡ φιλαδελφία καὶ τὸ εἴσω γενέσθαι τῶν νόμων τῶν εὐαγγελικῶν οἳ συνεκτικωτάτην τῶν ἐντολῶν τὴν ἀγαπητικὴν διάθεσιν ἀπεφήναντο. Ἓν τοῦτο μόνον ἔδει μνήμης ἀξιῶσαι μηνύσαντα τῶν ἀδελφῶν τὰς συμβάσεις καὶ τὴν ὁμόνοιαν, τἀν μέσῳ δὲ παραλιπεῖν, εἴ τις ἐπίσκοπος ὢν ἥλω τι πταίσας. Ἃ γὰρ οὐκ ἔδει πεπρᾶχθαι, ταῦτα καλῶς ἔχει διδόναι τῇ λήθῃ. Ἀλλ’ ἀντὶ ἵνα μὴ πάντα ἐκ πάντων ὁ ἀδελφὸς Διόσκορος ἀποτυγχάνῃ, ταῖς αἰτήσεσιν αὐτοῦ δέδω-

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Ma è comunque un secondo bene questo, cioè il vergognarsi: se infatti essere esenti da colpe è proprio di una sorte e di una natura in tutto e per tutto divine, il rossore successivo a delle cattive azioni si potrebbe dire sintomo di saggezza. Adeguandosi a tali riflessioni nel caso presente, il reverendissimo Paolo ha mostrato un pentimento nel suo modo di pensare più forte di qualunque discorso: infatti, l’aver ammesso di avere sbagliato e l’afflizione mista a vergogna provata per aver deliberatamente commesso delle cattive azioni hanno reso tutti noi benevoli e bendisposti verso di lui. Per quanto riguarda me, nulla di straordinario, ma quando il reverendissimo vescovo Dioscoro ha visto che quello che fino ad allora aveva rivaleggiato con lui si era fatto più umile, pur uscendo vincitore dalla sentenza, è stato sconfitto dalla propria coscienza, e ha concesso al reverendissimo Paolo di agire come voleva scegliendo tra due opzioni, conservare la collina o lasciarla, proponendogli delle concessioni che non avrebbe sopportato neanche di sentire prima del pentimento di Paolo. Gli ha proposto infatti di vendergli la sola collina o di cedergli, attraverso uno scambio, tutta la proprietà, nonché molte altre soluzioni, offrendogli generosamente delle possibilità per le quali chiunque avrebbe gioito prima di ottenerle, al solo pensiero. Ma l’altro esitava dinanzi a queste offerte, poiché voleva subentrare allo stesso prezzo di vendita che era stato concesso al fratello Dioscoro e succedergli alle stesse condizioni come padrone della proprietà. Accadde che, oltre alla collina, egli divenne proprietario anche dei vigneti e degli oliveti. Quanto a Dioscoro, la magnanimità fu un guadagno al posto di un altro guadagno, ma uno più grande al posto di uno più piccolo: bene comune a entrambi fu la fraternità e il rispetto delle leggi evangeliche che definiscono lo spirito di carità il più essenziale dei precetti. Questa è la sola cosa che avrei dovuto menzionare, dopo averti riferito della riconciliazione dei fratelli e del loro accordo, tralasciando tutto ciò che sta al centro del mio discorso, cioè che un vescovo è stato colto quando era caduto in errore. Le azioni che non si sarebbero dovute compiere è infatti bene consegnarle all’oblio. Ma affinché il fratello Dioscoro non risultasse perdente in

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κα τὸ πᾶσιν ἀκριβῶς ἐπεξελθεῖν ἵνα μηδὲν ἀγνοήσειεν ἡ σὴ θεοσέβεια, ἣν οὐ παρὰ φαῦλον, ἀλλ’ ἀντὶ παντὸς ἐποιεῖτο πεισθῆναι διὰ τῶν ἀποβάντων ὅτι μὴ ἐπ’ ἀδίκοις ἐφιλονείκησε. Κἀγὼ τὸν ἄνδρα τά τε ἄλλα ἐπαινῶ (πάνυ γάρ μοι πρὸς τρόπου) καὶ τῆς εἰς τὸν θρόνον ἐκεῖνον αἰδοῦς ὑπεράγαμαι. Καὶ ναὶ μὰ τὴν φίλην σου καὶ σεβασμίαν κεφαλήν, πολλὴν οἶμαι χάριν ὀφείλειν αὐτῷ τοὺς ἐν Ἀλεξανδρείᾳ συμπτώχους ὧν τοὺς ἀγροὺς ἐκπονεῖ, ταχὺ πανταχοῦ γινόμενος καὶ ἐξ ἀπόρων φόρους ἐκλέγων καὶ τοῖς καιροῖς παριστάμενος. Τὰ μὲν οὖν περὶ τὴν τῶν ἐπισκόπων στάσιν οὕτως ἐχώρησεν. Ἐπίταγμα δὲ ἦν ὅπως ἀκούσωμαι καὶ Ἰάσονος, ὃς ἔφη πολλὰ καὶ ἄδικα παρὰ συμπρεσβυτέρου παθεῖν. Οὕτως οὖν ἔχει κἀκεῖνα. Λαμπωνιανὸν Ἰάσων εἷλεν ἀδικίας, ὁ δὲ φθάσας ὁμολογίᾳ τὸν ἔλεγχον ἔχει τὴν δίκην, ἐκκλησιαστικῶν συνόδων εἰργόμενος. Καίτοι καὶ δάκρυον ἐκ μετανοίας ἀφῆκε καὶ δῆμος ἱκέτης αὐτὸν ἐξῃτήσατο. Ἀλλ’ ἐγὼ τῷ δεδογμένῳ ἐνεκαρτέρησα, τοῦ δὲ λῦσαι τὴν αὐθεντίαν εἰς τὴν ἱερατικὴν καθέδραν ἀνέπεμψα. Τοσοῦτον οὖν ἐμαυτῷ συνεχώρησα. Εἰ προσπελάσει Λαμπωνιανῷ τὸ χρεὼν καὶ ἡ κυρία παρεῖναι δοκεῖ, πᾶσιν ἐφῆκα τοῖς τότε παρεσομένοις πρεσβυτέροις κοινωνίας αὐτῷ μεταδοῦναι (μηδεὶς γὰρ ἀποθάνοι δεδεμένος ἐμοί)· ἀναρρωσθεὶς δέ, πάλιν ἐπὶ τοῖς αὐτοῖς ὑπόδικος ἔστω, καὶ παρὰ τῆς θεσπεσίας σου καὶ φιλανθρώπου ψυχῆς περιμενέτω τῆς συγγνώμης τὸ σύνθημα. Οὐδὲ γὰρ οὐδὲ Ἰάσων πάντα ἀναίτιος ἑαυτῷ. Προπετὴς ἄνθρωπος γλῶτταν ἐνέτυχεν ἀνδρὶ προπετεστέρῳ τὴν χεῖρα καί – τοῦτο δὴ τὸ λεγόμενον – κουφοτάτου πράγματος λόγου βαρυτάτην τὴν τιμωρίαν ἐξέτισε. Καὶ περὶ τῶν ἐγκλημάτων, ἃ διείληφα, ταῦτα Λαμπωνιανὸς ἔχειν ὁμολογεῖ, καὶ οὐδὲν ἀξιοῖ παρὰ τῆς ναυαγίας ὠφελεῖσθαι

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tutto e per tutto, gli ho dato quanto chiedeva, ovvero una relazione completa e precisa, affinché non risultasse all’oscuro di nulla la tua pietà, che quello riteneva non poco importante, bensì fondamentale, persuadere con i fatti che non era stato protagonista di una controversia per motivi ingiusti. Per quanto mi riguarda, lodo quell’uomo per vari motivi (il suo carattere mi si confà pienamente) e ammiro estremamente il rispetto che ha per il tuo prestigioso scranno. Te lo giuro sulla tua cara e veneranda persona, credo che gli debbano molta riconoscenza i poveri di Alessandria dei quali lavora i campi,167 poiché si reca rapidamente dappertutto e riesce a trarre frutti da terreni improduttivi, nonché a ricavare profitto da ogni circostanza. Così, dunque, si sono svolti i fatti in merito alla controversia tra vescovi. Ma il tuo incarico comprendeva anche di ascoltare Giasone, che disse di aver subito molte ingiustizie da parte di un suo collega di sacerdozio. Così si sono svolti questi fatti. Giasone aveva convinto Lamponiano di avere commesso un’ingiustizia: questo, senza attendere la prova, ha riconosciuto la propria colpa con una confessione, venendo quindi espulso dalle assemblee della Chiesa. In realtà è giunto fino a versare delle lacrime per il pentimento e il popolo dei fedeli mi ha supplicato di perdonarlo. Io mi sono però attenuto alla decisione presa e ho rimesso alla tua sacra cattedra il potere di assolverlo. Soltanto questo mi sono concesso. Se a Lamponiano dovesse approssimarsi la necessità estrema e il giorno fatale sembrasse imminente, ho concesso a tutti i preti che dovessero allora essere presenti di ammetterlo alla comunione (che nessuno infatti possa mai morire incatenato per causa mia); se invece dovesse guarire, che sia di nuovo punito e alle medesime condizioni, e che attenda dalla tua anima divina e colma di umanità il segnale del perdono. Ad ogni modo, neppure Giasone, neppure lui, è del tutto innocente. Quest’uomo dalla lingua avventata ha incontrato un tipo dalla mano ancora più avventata e – come si dice – “per la cosa più leggera, la parola, subì la pena più pesante”.168 Per quanto riguarda le somme dovute, di cui ho discusso a parte, Lamponiano ammette di possederle e non vuole affatto

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τῆς ποιησάσης ἀφανὲς τὸ συμβόλαιον, ἀλλὰ καιρὸν αἰτεῖ τοὺς καρποὺς ὠνίους γενέσθαι· καὶ ἔφη, πάντων ἀμελήσας, ἑνὶ τούτῳ προσέχειν τὸν νοῦν, ὡς ἂν τὰ πτωχικὰ κατάθειτο χρήματα. Νομίσματα δὲ ἦν ἑπτὰ καὶ πεντήκοντα πρὸς τοῖς ἑκατόν. Ἀνοιστέον ἐστὶ καὶ περὶ τῶνδε τῶν γινομένων παρ’ ἡμῖν ἵνα γινόμενα παύσηται. Ἱερεῖς ἱερέας παρανόμων διώκουσιν. Εἰ μὲν ἐπὶ ψεύδεσιν, οὔπω λέγω· πάντως δὲ μετ’ ἐπιβούλου τῆς προαιρέσεως· οὐ γὰρ ἵνα λάβωσι δίκας, ἀλλ’ ἵνα τοῖς ἄρχουσι τῶν στρατευμάτων ἄδικα κέρδη μνηστεύσωσιν. Ἐπὶ δὲ τοὺς ἐμοὺς ὤμους ἀναβαίνειν ἀνάγκη τὰ πάντων φορτία. Διό, δέομαι, γράφε καὶ διατάττου μηδενὶ μηδὲν ἐξεῖναι τοιοῦτο ποιεῖν. Καὶ γὰρ ἐμοὶ χαριῇ καὶ τοῖς ἀπραγμονεστέροις καὶ κακῶς πάσχουσιν ἀμυνεῖς καὶ πολὺ πλέον εὖ πεποιηκὼς ἔσῃ τοὺς ἀδικοῦντας αὐτούς, εἴπερ μεῖζον ἀγαθὸν τὸ μείζονος ἀπηλλάχθαι κακοῦ, κακὸν δὲ μεῖζον τοῦ ἀδικεῖσθαι τὸ ἀδικεῖν. Τὸ μὲν γὰρ ἴδιόν ἐστι κακόν, τὸ δὲ ἀλλότριον. Ἀλλ’ οὔτ’ ἐγὼ κατεμήνυσα τίνες εἰσὶ μήτ’ αὐτός, εἰ καὶ μάθοις, ἐπ’ ὀνόματος ἐξελέγξῃς τινά, ἵνα μὴ ἀπεχθοίμην ἀδελφοῖς οἷς, εἰ καὶ κατὰ πρόσωπον ἰδίᾳ λίαν ἐπιτετίμηκα, συγχωρήσει θεός. Ἀλλὰ φάνηθι τὸ πρᾶγμα μόνον μισῶν ἐν τοῖς πρὸς ἐμὲ γράμμασιν· εἴσομαι γὰρ σὺν θεῷ μετὰ τοῦ πᾶσιν ἀλύπου τὸ μηκέτι προελθεῖν περαιτέρω τὴν ἀσχημοσύνην ἡμῶν, μὴ γὰρ εἴποιμι τῆς ἐκκλησίας. Οἰκονομήσασθαι δὲ ἓν ἔτι λοιπὸν καὶ λόγου πεπαύσομαι. Περινοστοῦσί τινες βακάντιβοι παρ’ ἡμῖν· ἀνέξῃ γάρ μου μικρὸν ὑποβαρβαρίσαντος, ἵνα διὰ τῆς συνηθεστέρας τῇ πολιτείᾳ φωνῆς τὴν ἐνίων κακίαν ἐμφαντικώτερον παραστήσαιμι. Οὗτοι καθέδραν μὲν ἀποδεδειγμένην ἔχειν οὐ βούλονται, οἵ γε τὴν οὖσαν ἀπολελοίπασιν, οὐ κατὰ συμφοράν, ἀλλ’ αὐθαίρετοι μετανάσται γινόμενοι· καρποῦνται δὲ τὰς τιμάς, ἐκεῖ περινοστοῦντες

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trarre profitto dal naufragio che ha fatto sparire il contratto,169 ma chiede di aspettare il tempo propizio per procedere alla vendita dei suoi frutti; e ha detto che, trascurando ogni altra cosa, avrebbe dedicato la sua attenzione a questa sola questione, cioè a come avrebbe potuto restituire il denaro dei poveri. La somma ammontava a centocinquantasette monete d’oro. Devo anche riferirti di alcuni certi comportamenti che ho notato nella nostra provincia, affinché siano fatti cessare. Dei sacerdoti accusano altri sacerdoti di violare la legge. Se si tratti di menzogne, ancora non lo so dire: ma di certo la loro intenzione è insidiosa, non finalizzata a punire i colpevoli, ma a cercare di procurare ai comandanti dell’esercito dei guadagni illeciti. Io devo portare sulle mie spalle i fardelli di tutta la comunità. Perciò, te ne prego, scrivi una lettera e ordina che a nessuno sia lecito agire così. Allora farai un favore a me e presterai soccorso alle persone più pacate che subiscono il male, ma soprattutto renderai un servizio agli stessi colpevoli, se il bene è tanto maggiore quanto maggiore è il male di cui ci si è liberati e “il commettere ingiustizie è un male maggiore che subirle”.170 Nel primo caso, difatti, si tratta di un male proprio, nel secondo di un male altrui. Ma non ti ho rivelato chi sono costoro e tu, anche se li conosci, non accusarli facendone il nome, affinché io non mi attiri l’odio dei miei fratelli; se anche in privato, faccia a faccia, dovessi averli rimproverati eccessivamente, Dio mi perdonerà. Ma mostra che tu hai in odio soltanto il loro comportamento nella lettera che mi invierai: saprò infatti, con l’aiuto di Dio e senza recare dolore a nessuno, impedire che accresca questo mio disonore, per non dire quello della Chiesa. Mi rimane ancora un punto da esporre e poi porrò fine al mio discorso. Si aggirano per la nostra provincia alcuni “vaganti”: tollererai che io impieghi quest’espressione un po’ barbara, affinché ricorrendo a un termine più affine alla lingua ufficiale io possa presentare in maniera più enfatica la scelleratezza di alcuni.171 Costoro non vogliono avere una sede assegnata e abbandonando quella che hanno, non per una qualche sventura ma di propria spontanea volontà, divengono nomadi; vanno in cerca di profitti, girovagando verso quei luoghi dove maggiori sono le possibilità di

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ὅπου κερδαλεώτερον. Ἐμοὶ δὲ δοκεῖ, πάτερ σεβασμιώτατε, χρῆναι τούτοις ὅσοι τὰς οἰκείας ἐκκλησίας ἀπείπαντο πᾶσαν ἐκκλησίαν ἀπείπασθαι· καὶ πρὶν ἂν ἀπελθόντες ἐκεῖ καταστήσωνται, μηδένα δέχεσθαι θυσιαστηρίῳ μηδὲ εἰς προεδρίαν καλεῖν, ἀλλὰ περιορᾶν ἀγελαίους ἐν ταῖς δημοτικαῖς καθέδραις, ὅταν εἰς ἐκκλησίαν ἐμβάλωσι. Ταχὺ γὰρ ἐπανέλθοιεν εἰ περὶ τῆς τιμῆς κινδυνεύοιεν, ἧς ἀξιοῦσιν ἀπολαύειν ἁπανταχοῦ μᾶλλον ἢ οὗ προσ­ ήκει· δέξαιντο γὰρ ἂν ἐκεῖ μᾶλλον ἢ μηδαμοῦ. Καὶ δημοσίᾳ μὲν οὕτω προσοιστέον αὐτοῖς ὡς ἄντικρυς ἰδιώταις ἂν καὶ τῷ σεμνοτάτῳ σου θρόνῳ συνδοκῇ· ἰδίᾳ δὲ καὶ κατ’ οἶκον εἰσόμεθα πῶς ὅταν ἥκῃ παρὰ τῆς σῆς θεοσεβείας ἀπόκρισις ἐκείνης τῆς πεύσεως ἣν πρώην ἠρώτησα περὶ Ἀλεξάνδρου Κυρηναίου μὲν ἀνδρὸς τὸ γένος, ἱερατευσαμένου δὲ ἔν τινι πόλει τῶν Βιθυνῶν ἧς ἐκπεσὼν κατὰ δή τινα στάσιν, ἐξὸν ἐπανελθεῖν, οὐκ ἐπάνεισιν, ἀλλ’ ἡμῖν ἐπιχωριάζει. Περὶ τούτου γέγραφα πρὸς τὴν σὴν ἁγιότητα, πᾶσιν ἀκριβῶς ἐπεξελθὼν τοῖς περὶ αὐτὸν γενομένοις καὶ γνώμην αἰτῶν οἷ τακτέον τὸν ἄνδρα. Ἐπεὶ δὲ οὐδὲν ἥκει μοι περὶ τούτων ἀντίγραφον, ἀμφίβολος ὢν πότερον διαπέπτωκεν ἢ διεκομίσθη τὸ γράμμα μέχρι τῆς μακαρίας σου κεφαλῆς, διείλεγμαι περὶ τούτου πρὸς τὸν θαυμαστὸν Διόσκορον τὸν ἐπίσκοπον· καὶ τοῖς ταχυγράφοις τὰ ἀντίτυπα δοῦναι τῶν τότε γραφέντων ἐπέταξεν ἵνα, εἰ μὴ τυγχάνεις δεξάμενος τὴν ἐπιστολήν, ἔχοις παραναγνοὺς διαιτῆσαί τε καὶ πρὸς ἐμὲ διαπέμψασθαι τὰ ἀμοιβαῖα. Ἐπὶ πᾶσιν εὔχου περὶ ἐμοῦ· περὶ καταλελειμμένου γὰρ εὔξῃ καὶ τοῖς πᾶσιν ἐρήμου καὶ δεομένου συνεργίας τοιαύτης. Ὡς αὐτὸς ὀκνῶ περὶ ἐμαυτοῦ τι φθέγξασθαι πρὸς θεόν· ἅπαντα γὰρ εἰς τοὐναντίον μοι περιΐσταται διὰ τὴν ῥιψοκίνδυνον τόλμαν, ὅτι ἄνθρωπος ἐν ἁμαρτίαις ἀπότροφος ἐκκλησίας ἀγωγὴν ἑτέραν ἠγμένος θυσιαστηρίων ἡψάμην θεοῦ.

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guadagno. A mio avviso, padre reverendissimo, quelli che, come costoro, si sono allontanati dalla loro chiesa andrebbero tenuti lontani da ogni chiesa; quand’anche dovessero fare irruzione in una, fino a che, tornando sui loro passi, non si siano ristabiliti nella loro, nessuno dovrebbe accoglierli all’altare, né invitarli ai primi posti, ma ignorarli nella massa dei fedeli nei banchi riservati al popolo. Tornerebbero in fretta nel loro paese infatti, se rischiassero di perdere quella prerogativa di cui intendono godere dappertutto tranne che dove si conviene. Vorrebbero goderne là, a quel punto, piuttosto che da nessuna parte. In pubblico andrebbero trattati in tutto e per tutto come dei cittadini privati, se dovesse sembrare giusto anche al tuo venerabile trono. Viceversa, in privato e nelle nostre case sapremo come trattarli quando giungerà dalla tua pietà la risposta alla domanda che ti ho recentemente posto a proposito di Alessandro, cirenaico di origine, che era stato ordinato vescovo in una qualche città della Bitinia,172 dalla quale poi era stato scacciato per una qualche controversia e in cui, adesso che potrebbe farvi ritorno, non torna, ma resta qui presso di noi. Su questo ho scritto alla tua santità, esponendo con precisione tutti gli avvenimenti che lo riguardavano e domandando il tuo parere sul posto da assegnargli. Poiché non mi è giunta alcuna risposta riguardo a questo e poiché non so se la mia lettera è andata perduta o è stata consegnata alla tua beata persona, ho parlato della questione con l’ammirabile vescovo Dioscoro; questo ha ordinato ai tachigrafi di inviarti una copia della lettera che ti avevo mandato allora affinché, se per caso tu non l’avessi ricevuta, tu possa, dopo averla letta, prendere una decisione e inviarmi la tua risposta. Per concludere, ti chiedo di pregare per me: pregherai per un uomo completamente abbandonato, lasciato solo da tutti e bisognoso di un simile sostegno. Ho timore di parlare di me stesso a Dio: tutto si rivolge contro di me, ed è a causa della mia audacia spericolata, giacché, solo dopo essere stato allevato nel peccato al di fuori della Chiesa e dopo avere condotto un altro tipo di vita, sono venuto a contatto con i suoi altari.

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Πεῦσίν τινα πυθέσθαι σου προελόμενος, ὑπὲρ οὗ πεύσομαι προαφηγήσασθαι βούλομαι. Ἀλέξανδρος ἀπὸ βουλῆς Κυρηναῖος ἔτι μειράκιον ὢν εἰς μοναδικὸν βίον ἐτέλεσε. Τῇ δὲ ἡλικίᾳ συμπροϊούσης τῆς μοναδικῆς κατὰ τὸν βίον ἐνστάσεως, ἠξιώθη μὲν ἐκκλησιαστικῆς διακονίας, ἠξιώθη δὲ τοῦ πρεσβύτερος εἶναι. Κατὰ δέ τινα χρείαν ἐπὶ στρατοπέδου γενόμενος καὶ Ἰωάννῃ τῷ μακαρίτῃ συστάς (τιμάσθω γὰρ παρ’ ἡμῶν ἡ μνήμη τοῦ τελευτήσαντος, ὅτι πᾶσα δυσμένεια τῷ βίῳ τούτῳ συναποτίθεται) – τούτῳ συστὰς πρὶν μὲν στασιασθῆναι τὰς ἐκκλησίας, ὑπὸ τῶν ἐκείνου χειρῶν ἐπίσκοπος ἀπεδείχθη τῆς Βιθυνῶν Βασινουπόλεως. Συμβάσης δὲ τῆς διαφορᾶς, διέμεινε τῷ χειροτονήσαντι φίλος καὶ γέγονε τῶν ἐκείνου στασιωτῶν. Ἐπεὶ δὲ ἡ συνοδικὴ γνώμη κατίσχυσε, χρόνον μέν τινα συνέμεινεν ἡ στάσις. Τί δ’ ἂν διηγοίμην εἰδότι, μᾶλλον δὲ αὐτῷ διῳκηκότι τὰ περὶ τὰς γενομένας διαλλαγάς; Ἐπεί τοι καὶ βιβλίον ἀνέγνων σοφὸν ὃ πρὸς τὸν μακάριον, ἐμοὶ δοκεῖν, Ἀττικὸν ἔγραφες, ἐνάγων αὐτὸν τῇ καταδοχῇ τῶν ἀνδρῶν. Τὰ μὲν δὴ μέχρι τούτων Ἀλεξάνδρῳ πρὸς τοὺς συναποστάτας κοινά. Ἴδιον δὲ ἢ μετ’ ὀλίγων ὅτι τουτὶ μὲν ἔτος ἤδη τρίτον ἐξήκει μετὰ τὴν ἀμνηστίαν καὶ τὰς διαλλαγάς, ὁ δὲ οὐκ ἐβάδισε τὴν εὐθὺ Βιθυνίας οὐδὲ τῆς συλλαχούσης αὐτῷ καθέδρας ἐλάβετο· μένει δὲ παρ’ ἡμῖν ὥσπερ μηδὲν αὐτῷ διαφέρον ἂν καί τις ὡς ἰδιώτῃ προσφέρηται. Ἐγὼ μὲν οὖν οὔτε πόρρωθεν ἐνετράφην τοῖς νόμοις τοῖς ἱεροῖς οὔτε ἤδη μοι καθήκει πολλὰ μεμαθηκέναι πέρυσιν οὔπω γεγονότι τοῦ καταλόγου· αἰσθόμενος δὲ γέροντας ἐνίους οὐδ’ αὐτοὺς μέν τι σαφὲς εἰδέναι προσποιουμένους, ἀποδεδειλιακότας δὲ μὴ λάθωσι πρός τινα κανόνα τῆς ἐκκλησίας προσ­ κόψαντες καὶ διὰ τοῦτο παντάπασιν ἀπηνέστερον αὐτῷ προσενη-

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Allo stesso Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Desiderando apprendere da te un’informazione, voglio prima illustrarti perché vengo a chiedertela. Alessandro, un Cirenaico di rango senatoriale, ancora ragazzo aveva intrapreso la vita monastica. Accrescendosi con l’età la sua volontà di vivere da monaco, fu giudicato degno del diaconato ecclesiastico, quindi del sacerdozio. Per un certo incarico si ritrovò alla corte imperiale e qui incontrò il beato Giovanni173 (che la memoria del defunto sia da noi omaggiata, poiché ogni ostilità deve cessare con questa vita) – e dopo averlo incontrato, prima che vi fosse la controversia fra le Chiese,174 dalle mani di quello egli fu ordinato vescovo di Basinopoli in Bitinia. Sopravvenuta la controversia, rimase amico di quello che l’aveva scelto e diventò uno dei suoi partigiani. Anche quando poi la decisione sinodale175 prevalse, la fazione di Giovanni sopravvisse ancora per qualche tempo. Ma perché dovrei raccontare queste cose a te che già le sai, o, piuttosto, a te che hai condotto le trattative in merito all’avvenuta riconciliazione? Peraltro, ho letto un documento colmo di saggezza che, mi pare, hai scritto riferendoti al beato Attico,176 incitandolo a riammettere quegli uomini. Fin qui la sorte di Alessandro è stata la stessa dei suoi compagni di sedizione. Ma ecco cosa gli è peculiare, o che condivide con pochi altri: sono passati due anni interi dall’amnistia e dalla riconciliazione e non è ritornato dritto in Bitinia né ha preso possesso della cattedra che gli era stata assegnata; se ne resta presso di noi come se non gliene importasse nulla di venire trattato come un privato cittadino. Ora, io non sono dedito allo studio delle leggi sacre che da poco tempo e per adesso non sono certo giunto ad averne una padronanza ampia, giacché l’anno scorso non comparivo neppure nella lista dei vescovi; mi sono accorto però che alcuni anziani, che pure neanche loro simulavano di avere una conoscenza certa dell’argomento, avevano timore di infrangere involontariamente un qualche canone della Chiesa e che per questo si sono comportati con lui in maniera assolutamente troppo dura e che a causa

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νεγμένους καὶ ὑπὲρ ἀσαφοῦς ὑπονοίας ἀτιμίαν σαφῆ τοῦ ξένου κατασκεδάσαντας, οἳ μηδὲ κοινῆς στέγης ἠνέσχοντο, οὔτε ἐμεμψάμην οὔτε ἐμιμησάμην αὐτούς. Οἶσθ’ οὖν ὅπως ἐποίησα, πάτερ σεβασμιώτατε; Ἐκκλησίᾳ μὲν οὐκ ἐδεξάμην αὐτὸν οὐδὲ τραπέζης ἱερᾶς ἐκοινώνησα, οἴκοι δὲ ἴσα καὶ τοῖς ἀναιτίοις ἐτίμησα, ὅστις ὁ τρόπος καὶ ἐπὶ τῶν ἐπιχωρίων οὑμός. Ὅταν τις αὐτῶν ἐφέστιος ἡμῖν γένηται, παντὶ παν­ τὸς ἔργου καὶ λόγου τιμὴν ἔχοντος ἐξιστάμεθα, φλυαρεῖν ἡγούμενοι τοὺς δυσχεραίνοντας ὅτι τὰ μητρῷα τῆς πόλεως καταβάλλομεν δίκαια. Καίτοι διὰ τοῦτο τὰς ἁπάντων φροντίδας κατωμαδὸν ἀράμενος φέρω καὶ μόνος ὑπὲρ τῆς ἁπάντων ἀσχολοῦμαι σχολῆς. Ἀλλ’ ἐν καλῷ μοι κείσεται παρὰ τῷ θεῷ πλεονεκτεῖν μὲν πόνοις, μειονεκτεῖν δὲ τιμῶν. Καὶ τὸν Ἀλέξανδρον δὲ τοῦτον, ὅταν μὲν εἰς ἐκκλησίαν προΐω, βουλοίμην μὲν ἂν μηδαμόθι τῆς ἀγορᾶς ἰδεῖν· συμβὰν δὲ ἰδεῖν, ἑτέρωσέ ποι τρέπω τοὺς ὀφθαλμοὺς καὶ εὐθὺς ἐπανθεῖ μοι κατὰ τῆς παρειᾶς ἐρύθημα· ὑπερβάντα δὲ τὴν οἰκείαν αὐλὴν καὶ γενόμενον ὁμωρόφιον ἅπασι τοῖς εἰκόσι τιμῶ. Τί δήποτ’ οὖν ἀσύμφωνός εἰμι πρὸς ἑαυτὸν ἰδίᾳ καὶ δημοσίᾳ, ἐν οὐδετέρῳ τῶν καιρῶν δεδογμένα ποιῶ; Ἀλλὰ τὸ μὲν εἴκω τῷ νόμῳ, τὸ δὲ τῇ φύσει χαρίζομαι ῥεπούσῃ πρὸς τὸ φιλάνθρωπον. Καίτοι κἂν ἀπεβιασάμην τὴν φύσιν εἴ τι σαφὲς ἠπιστάμην ὑπὲρ τοῦ νόμου. Αὐτὸ δὴ τοῦτό ἐστι τὸ ἐρώτημα πρὸς ὃ δεῖ τὴν αὐθεντίαν τῆς ἀποστολικῆς διαδοχῆς ἀποκρίνασθαι ἁπλῶς καὶ σαφῶς, καὶ ἅπερ πυνθάνομαι· Ἀλέξανδρον ἐπίσκοπον χρὴ νομίζειν ἢ μή; 68

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ὧι δέδωκα τὴν ἐπιστολὴν στέλλεται μὲν ἐπὶ πρᾶξιν ἣν οὐχ ὅσιον ἐμοὶ διηγήσασθαι· ὅτι δὲ ἀρετὴν ἐκ νέας ἀσκεῖ, τοῦτο καὶ θέ-

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lettere 68, a teofilo

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di sospetti non sicuri hanno riversato sullo straniero un disonore sicuro, non accettandolo neppure sotto il loro tetto. Io non li ho né biasimati né imitati. Sai allora come mi sono comportato reverendissimo padre? Non l’ho accolto in chiesa né l’ho ammesso alla sacra mensa per la comunione, ma in casa mia l’ho onorato come si fa con gli innocenti, ovvero nello stesso modo in cui tratto i vescovi della provincia. Se qualcuno di loro viene ospite in casa mia, evitiamo sempre ogni azione e parola che implichi autorità, reputando che dicano sciocchezze quanti si indignano poiché calpesteremmo i diritti metropolitani della città. Proprio per questo motivo io porto, caricandomele sulle spalle, le preoccupazioni di tutti e io solo mi privo di tranquillità perché tutti gli altri possano averne. Ma sarà a mio merito di fronte a Dio essere ricco di fatiche e povero di onori. E quell’Alessandro di cui parlavo, quando mi reco in chiesa, non vorrei vederlo da nessuna parte nella piazza; ma se mi capita di vederlo, rivolgo i miei occhi da un’altra parte e subito il rossore mi si spande sulle guance. Non appena, però, supera la corte di casa mia e si viene a trovare sotto il mio tetto, gli rivolgo tutti i dovuti onori. Perché dunque sono in disaccordo con me stesso in privato e in pubblico, e in nessuna delle due circostanze faccio ciò che mi pare giusto? Da un lato cedo alla legge, dall’altro soddisfo la mia natura che è incline alla benevolenza. Tuttavia, avrei forzato la mia natura se avessi avuto una conoscenza sicura della legge. Questo dunque è il quesito al quale è necessario che chi detiene l’autorità della successione apostolica risponda in maniera univoca e chiara e che è appunto l’informazione che ti domandavo: bisogna considerare Alessandro un vescovo o no? 68

Allo stesso Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Colui al quale ho consegnato la lettera viene da te per un affare che è empio raccontare; ma che pratichi la virtù fin dalla giovinezza,

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sinesio di cirene

μις εἰπεῖν καὶ παντάπασιν ἀληθές. Ὡς μὲν οὖν ἀγαθὸν ἄνδρα τιμήσεις· ἣν δὲ ἐγράψατο γραφήν, οἰκείαν εἱμαρμένην πληρούτω. Μηδὲ γὰρ δικαίου ποτὲ φόνου προσάψοιο. 69

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Μέλει γάρ σοι, μέλει καὶ Πενταπόλεως. Οὐκοῦν ἐντεύξῃ μὲν ταῖς δημοσίαις ἐπιστολαῖς· ὅτι δὲ κακὰ πλείω καὶ μείζω γέγονεν ἢ φοβεῖ τὰ γράμματα, λέγοντος ἀκούσῃ τοῦ διακομιστοῦ. Στέλλεται μὲν γὰρ ἐπὶ συμμαχίαν ὡς ἐκεῖθεν αἰτήσων· τὰ δὲ τῶν πολεμίων οὐδὲ τὴν ἔξοδον αὐτοῦ περιέμεινεν, ἀλλ’ ἔφθασαν ἐκχυθέντες ἀθρόον κατὰ τῆς χώρας. Πάντα οἴχεται, πάντα ἀνῄρηται· αἱ πόλεις ἔτι λοιπαί, τὸ μέχρις οὗ γράφω λοιπαί, τὸ δὲ εἰς τὴν ἐπιοῦσαν, θεὸς οἶδε. Πρὸς ταῦτα εὐχῶν δεῖται τῶν σῶν, εὐχῶν λέγω τῶν ἐθάδων τοῦ δυσωπεῖν τὸν θεόν. Ἐγὼ πολλάκις ἤδη καὶ τὰ ἴδια καὶ τὰ κοινὰ μάτην ηὐξάμην. Τί λέγω μάτην; Εἰς τοὐναντίον μοι περιΐσταται. Τοιοῦτόν εἰσιν αἱ ἁμαρτίαι βαρεῖαί τε καὶ πολλαί. 70

ΠΡΟΚΛΩΙ  

Πέρυσιν οὐχ ἥκει μοι γράμματα παρὰ τῆς ἱερᾶς σου χειρός· ἠρίθμησα καὶ τοῦτο μετὰ τῶν συντυχόντων μοι κατ’ ἐκεῖνο καιροῦ δυσ­ χερῶν. Πολλὰ γὰρ ἐπὶ πολλοῖς ἐγὼ πέρυσιν ἠνιάθην· ἀλλὰ καὶ ὁ τῆτες χειμῶν ὅ τι μοι λοιπὸν ἦν τῶν εἰς ψυχαγωγίαν ἀφείλετο τὸ παιδίον. Εἵμαρτο γὰρ ἄρα συνόντι μὲν ὑμῖν εὐτυχεῖν, ἀπόντι δὲ χαλεποῦ πειρᾶσθαι τοῦ δαίμονος. Γενέσθω δή τις παραμυθία τὸ

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lettere 69-70, a teofilo

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– a proclo

questo è permesso dirlo ed è assolutamente vero. Lo onorerai dunque come un uomo buono; quanto al processo che è stato intentato, che segua il suo proprio destino. Che tu possa infatti non avere mai a che fare con un omicidio, per quanto giusto. 69

Allo stesso Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Tu hai a cuore, hai veramente a cuore la Pentapoli. Leggerai dunque le lettere ufficiali: i nostri mali sono più numerosi e più grandi di quanto paventino quelle lettere, come apprenderai dalla viva voce del messaggero. È stato inviato infatti per chiedere di inviarci dei soccorsi; le armate dei nemici non hanno neppure atteso la sua partenza, ma si sono riversate prima, in massa, nella regione. Tutto è finito, tutto è distrutto; le città ancora restano, fino a questo momento in cui sto scrivendo restano, ma che cosa sarà domani lo sa solo Dio. Dinanzi a questa situazione abbiamo bisogno delle tue preghiere, voglio dire di quelle preghiere che sono solite smuovere la divinità. Per quanto mi riguarda, gli ho già più volte rivolto le mie, sia a titolo personale che collettivo, ma invano. Che cosa dico? Invano? Mi si ritorcono piuttosto contro. A tal punto sono gravi e numerosi i miei peccati. 70

A Proclo Da Tolemaide a Costantinopoli, 412 o 413

L’anno scorso non mi è giunta nessuna lettera da parte della tua sacra mano; ho contato questo tra le sciagure che mi sono capitate in quel periodo. L’anno scorso, infatti, sono stato afflitto da molti mali e per diverse ragioni; ma l’inverno di quest’anno mi ha portato via l’ultimo conforto che mi era rimasto, mio figlio. Era destino che assieme a voi io dovessi conoscere la buona sorte, lontano da voi sperimentare la cattiva. Possa capitarmi, come consola-

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sinesio di cirene

δέξασθαι τῆς πατρικῆς σου κεφαλῆς γράμματα, τὸ τιμαλφέστατον ἀπὸ Θρᾴκης ἀγώγιμον. 71

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Διττοὶ δὴ λόγοι λέγονται περὶ σοῦ. Τοιγαροῦν ὁμοῦ μὲν ἐπὶ Θρᾴκης, ὁμοῦ δὲ εἰς Ἰσαύρους γράφω τοῦ περιτυχεῖν σε πάντως μιᾷ γέ τινι τῶν ἐπιστολῶν. Ὑπόθεσις δὲ ἀμφοῖν ἀσπάσασθαι τὴν φιλτάτην κεφαλήν, Πυλαιμένη τὸν φιλόσοφον· τοῦτο γάρ ἐστι, κἂν βούληται κἂν μὴ βούληται. Οὐ γὰρ μήποτε κατισχύσειε τοῦ πεφυκότος οὐδ’ οὐ μὴ σβέσῃ τὸν σπινθῆρα τοῦ θείου πυρός, ἀλλ’ ἀνάψει ποτέ, τῆς μοχθηρᾶς ἀγωγῆς ὑπεράνω γενόμενος. 72

ΤΟΙΣ ΕΠΙΣΚΟΠΟΙΣ  

Ἀνδρόνικος τὴν ἐκκλησίαν ψευσάμενος ἀληθευούσης αὐτῆς πειραθήτω. Πρώην, οὔπω πάνυ πρώην ἥμαρτεν εἰς θεόν, ἐξύβρισεν εἰς ἀνθρώπους. Ἐφ’ οἷς ἀποκλείσαντες αὐτῷ τὴν παρ’ ἡμῖν ἐκκλησίαν, ὑπηγορεύσαμεν πρὸς τὴν ὑμετέραν ἀδελφότητα γράμματα τὴν ἐπ’ αὐτῷ γνώμην μηνύοντα. Τούτων ἔφθασε τὴν ἀποστολήν, ἱκετείαν προσποιησάμενος καὶ μετάνοιαν ὑποσχόμενος ἣν ἅπαντες ἠξίουν με δέχεσθαι πλὴν ἐμοῦ· ἐγὼ γὰρ ἐδόκουν σαφῶς κατανενοηκέναι τὸν ἄνθρωπον πάντα ῥᾴδιον εἰπεῖν καὶ ποιῆσαι, καὶ προσεδεχόμην τε καὶ προὔλεγον ὡς ἐκ τῆς τυχούσης αἰτίας εἰς τὴν φύσιν ἐπανελεύσεται, ὅν γε εἰκὸς ἀτολμότερον ἔσεσθαι προσκεκυφότα ταῖς ἐκκλησίαις πολὺ μᾶλλον ἢ εἰ μηδὲν ὕποπτον αὐτῷ κατελείπετο. Διὰ ταῦτα μὲν οἷος ἦν ἐγκαρτερῆσαι τῷ δόγματι ὡς ἅμα τά τε πρὸς θεὸν εὐσεβέστερον βουλευσάμενος καὶ τὰ πρὸς τοὺς πολίτας ὠφελιμώτερον.

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lettere 71-72, a pilemene

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– ai vescovi

zione, di ricevere una lettera dalla tua paterna persona, il più prezioso carico che provenga dalla Tracia. 71

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 407

Sono stati scritti due messaggi per te. Scrivo infatti contemporaneamente in Tracia e in Isauria, così che almeno una delle due lettere ti raggiunga certamente. Argomento di entrambe è di salutare la carissima persona di Pilemene il filosofo: tale infatti egli è, che lo voglia o che non lo voglia. Non temo che possa mai sopraffare la sua natura, né che spenga la scintilla del fuoco divino, cui piuttosto un giorno ridarà vigore, quando si sarà liberato della sua sciagurata attività.177 72

Ai vescovi Da Tolemaide a tutte le comunità cristiane, 412

Che Andronico sperimenti la verità della Chiesa, dopo averla ingannata. Poco tempo fa, anzi pochissimo tempo fa,178 ha peccato contro Dio e ha commesso un oltraggio nei confronti degli uomini. Per questi motivi, gli ho interdetto le chiese della nostra provincia e ho dettato alla vostra comunità fraterna una lettera che vi comunicasse la sentenza pronunciata contro di lui. Ma quello ne precedette l’invio, fingendo di supplicare e promettendo un pentimento che tutti ritenevano che io dovessi accettare, tranne me. Io, infatti, credevo di conoscere bene l’individuo, facile al dire e al compiere qualunque cosa, e presagivo e al contempo predicevo che alla prima occasione sarebbe tornato alla sua inclinazione naturale e che era verosimile che fosse meno sfrontato se si doveva piegare a una sentenza delle Chiese179 piuttosto che se lo si assolveva da ogni sospetto. Perciò, ho ritenuto di persistere nella mia decisione, pensando che fosse più rispettosa nei confronti di Dio e più utile nei confronti dei miei concittadini.

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sinesio di cirene

Ἀλλ’ ἰταμὸν γὰρ ἀντισχεῖν ἕνα πολλοῖς, παλαιοτέροις νεώτερον, προδεδαπανηκόσι τὸν βίον ἱερωσύνῃ τὸν οὔπω πέρυσιν ἡμμένον τοῦ πράγματος. Εἶξα δεομένοις μήπω περιπέμψαι τὰ γράμματα, δέξασθαι δὲ ἐπὶ ῥητοῖς ἐφ’ ᾧ μηκέτι μανεῖται κατὰ τῶν ὁμοτίμων, ἐφ’ ᾧ νοῦν ἀντὶ πάθους τοῦ βίου προστήσεται. «Κἂν μέν, ἔφην, εἴσω μένῃς τῶν ὅρων οὓς ἔθου, νῦν τε ὑπερευξόμεθά σου τῆς ἁμαρτίας καὶ τοῦ λοιποῦ συνευξόμεθα· ἀναδυσαμένῳ δὲ τὰ τῆς ὁμολογίας ἡ δίκη μένει καὶ εἰς ἅπαντα δημοσιευθήσεται, τοσοῦτον ἀνατεθεῖσα χρόνον ὅσον ἐλέγξει σου τὸν τρόπον ἀνεπαν­όρθωτον.» Ἔδοξε ταῦτα, καὶ πεῖραν αὐτός τε ἔφη δώσειν καὶ ἡμᾶς λήψεσθαι. Δέδωκε καὶ εἰλήφαμεν. Ἐπεδαψιλεύσατο ταῖς ὑποθέσεσι τῆς ἀποκηρύξεως. Οὔπω τότε δήμευσις ἐτετόλμητο, οὔπω τότε φόνος ἐνεκεχείρητο. Πόσοι διὰ τοῦτον ἀλῆται; Πόσοι τῶν πρώην ἔτι κτηματικῶν διὰ τοῦτον πτωχεύουσιν; Ἀλλὰ μικρὸν ταῦτα πρὸς τὸν εὖ μὲν γεγονότα Μάγνον, κακῶς δὲ ἀπολόμενον. Κεῖται παῖς ἀνδρὸς λαμπροτάτου, ἅπασι τοῖς οὖσι λελειτουργηκὼς τῇ πόλει, τοῦ πρὸς ἕτερον φθόνου γεγονὼς παρανάλωμα. Ἠιτεῖτο χρυσίον, ὃ μὴ διδοὺς ἐτύπτετο· καὶ διδούς, ὅτι πόρον ἐξεῦρεν ἐτύπτετο. Τί γάρ; Οὐ τοῖς αὐτοῦ φίλοις, ἀλλὰ τῷ στρατηγῷ τὸν ἀγρὸν ἀπεδίδοτο. Δακρύω μὲν ἐγὼ καὶ τὴν παρανομηθεῖσαν νεότητα καὶ τὰς ἐπ’ αὐτῇ ματαίας ἐλπίδας τῆς πόλεως. Ἀλλὰ τῆς ἐκείνου νεότητος τὸ τῆς μητρὸς γῆρας ἐλεεινότερον ὅτι δυοῖν ἀρρένων ὁ μὲν οἴχεται φυγὰς δι’ Ἀνδρόνικον καὶ οὐδὲ οἶδεν οἷ γῆς, τὸν δὲ οἶδεν οἷ γῆς κατορώρυχε. Φεῦ τῶν νόμων τῶν συναδικουμένων παρ’ οὓς ἄρχουσι τῆς ἑαυτῶν, παρ’ οὓς ἐπ’ ἀρχῇ δανείζον­ται χρήματα. Τούτων μὲν οὖν ἑτέρους ἐπιμελητὰς ὁ θεὸς εἶναι

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lettere 72, ai vescovi

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Tuttavia, è arrogante che uno solo si opponga a molti, uno più giovane a degli anziani, un vescovo che è in carica da meno di un anno a dei vescovi che hanno speso la loro vita nel sacerdozio. Ho ceduto alla loro richiesta di non inviare la lettera e di accogliere Andronico a condizione che non infierisse più con la sua follia contro i suoi pari, a condizione che ponesse la sua vita sotto l’insegna della ragione anziché della passione. “Se resti” – gli dicevo – “nei limiti che ti sei posto, io pregherò adesso per i tuoi peccati e in futuro pregherò assieme a te; ma se non rispetti l’accordo la sentenza ti attende e sarà resa pubblica dappertutto, venendo protratta per tutto il tempo necessario a dimostrare che il tuo carattere non può essere corretto”. Così fu deciso e quello disse che avrebbe fornito delle prove del suo pentimento e che le avrei ricevute. Le ha fornite e le ho ricevute. Ovvero, mi ha dato, e in abbondanza, ulteriori elementi per procedere alla sua scomunica. Fino ad allora non aveva ancora osato alcuna confisca, fino ad allora non era stato commesso alcun omicidio. Quanti a causa sua sono ridotti a vagabondare? Quanti tra coloro che fino a poco tempo fa avevano delle proprietà sono a causa sua caduti in miseria? Ma tutto questo è poco rispetto a quanto è accaduto a Magno, nato in una buona famiglia e perito malamente. Giace, figlio di un uomo illustrissimo, dopo avere impiegato tutti i suoi beni per dei servizi per la propria città, vittima dell’invidia di Andronico verso il prossimo. Gli chiese del denaro, quello non glielo dette e fu picchiato; anche quando glielo dette, fu picchiato lo stesso perché in lui si era trovata una fonte di guadagno. E allora? Non aveva venduto la sua terra agli amici di Andronico, ma al governatore militare. Piango la sua giovinezza oltraggiata assieme alle vane speranze che la città aveva riposto in essa. Ma più della giovinezza di Magno bisogna piangere la vecchiaia di sua madre poiché dei suoi due figli uno a causa di Andronico se ne è andato in esilio ed ella non sa in quale parte della terra si trovi, l’altro invece sa in quale punto della terra si trova, sepolto. Ahimè, come sono violate le leggi a dispetto delle quali certi governano la loro provincia, a dispetto delle quali certi prendono a prestito del denaro per ottenere una carica. Dio esige, per

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sinesio di cirene

βούλεται· ἡμῖν δὲ ἀπόχρη καθαρεύειν ἐν καθαροῖς, ἐὰν ἄρα δυνώμεθα μένειν εἴσω τῶν περιβόλων τῶν ἱερῶν, ἀποκλείειν τε τοῖς ἐναγέσι τὰ παναγέστατα. 73

ΤΡΩΙΛΩΙ  

Σὺ γὰρ δὴ καὶ φιλόσοφος εἶ καὶ φιλάνθρωπος, σοί με δεῖ προσανακλάεσθαι τὰς τῆς ἐνεγκούσης με συμφοράς, ἣν τιμήσεις μὲν διὰ πολίτην φιλόσοφον, ἐλεήσεις δὲ διὰ τὸ τῆς σαυτοῦ φύσεως ἥμερον, δι’ ἀμφότερα δὲ πεσοῦσαν ἀνορθῶσαι πειράσῃ. Δύνασαι δὲ ἐπειδὴ σώζειν τὰς πόλεις Ἀνθέμιος καὶ φύσιν ἔχει καὶ τύχην καὶ τέχνην. Ὧι πολλῶν ὑπαρξάντων εἰς τοῦτο παρὰ θεοῦ, τὸ μέγιστον ἀγαθὸν οἱ φίλοι καὶ τούτων Τρωΐλος τὸ μέγιστον. Ὅπως οὖν μὴ μόνον τὰς ὄψεις ἐπιβάλῃς, ἀλλὰ καὶ τὸν νοῦν πάνυ σφόδρα προσ­έξεις τοῖς γράμμασιν ὧν ἐγὼ πολλὰ κατέσπεισα δάκρυα. Τί γὰρ δὴ Φοινίκων μὲν οὐκ ἄρχουσι Φοίνικες οὐδὲ Κοιλοσύρων Κοιλόσυροι, Αἰγύπτιοι δὲ πάσης μᾶλλον ἢ τῆς ἑαυτῶν, Λίβυες δὲ μόνοι τῆς ἑαυτῶν; Ἢ μόνοι Λίβυές εἰσιν ἀνδρειότατοι καὶ χωρεῖν ὁμόσε τοῖς νόμοις ἐγνώκεισαν; Ὧν ὅτε πλείω καὶ φοβερώτερα τοῖς παραβαίνουσι γέγονε τἀπιτίμια, τότε μᾶλλον αὐτοῖς αἱ πονηραὶ φύσεις ἐνεκυβίστησαν. Ἔδει μὲν ἄρδην ἀνῃρῆσθαι τὴν πρὸς Κυρήνην Πεντάπολιν· ὁ δὲ λιμὸς καὶ ὁ πόλεμος οὔπω πᾶν ὅσον ἔδει κατήνυσαν, ἀλλὰ διατρίβουσι καὶ κατὰ μικρὸν ἀπολλύουσιν. Οὐκοῦν τὸ λεῖπον εἰς τὸ ταχὺ κατειργάσθαι προσεξευρήκαμεν. Καίτοι τοῦτ’ ἔστιν ὃ τὸ παλαίφατον λόγιον ἐπεχρησμῴδησε τῇ τελευτῇ Πενταπόλεως. Πατέρων αὐτὸ καὶ πάππων ἠκούσαμεν ὅτι· «Φθερεῖ τὰ Λιβύων ἡγεμόνων κακότης»· αὐτὸ γὰρ τοῦτό ἐστι τοῦ χρησμοῦ τὸ τεμάχιον. Ἀλλ’ εἰ καὶ πέπρωται τοῦτο, ἀναβολήν τινα τοῦ κακοῦ μηχανήσασθε. Καὶ γὰρ ἡ τῶν ἰατρῶν τέχνη τὸ μὲν ἀποθανεῖν ἄνθρωπον,

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lettere 73, a troilo

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le leggi, ben altri guardiani; a me è sufficiente restare puro tra i puri, qualora davvero si possa restare all’interno delle sacre mura, impedendo l’accesso dei luoghi più puri agli empi. 73

A Troilo Da Cirene a Costantinopoli, 411

Sei senza alcun dubbio un filosofo e una persona piena di umanità. È quindi opportuno che lamenti con te le sventure della regione che mi ha dato i natali, la stessa che tu onorerai in quanto curiale amante del sapere, di cui avrai pietà per la tua naturale gentilezza; per entrambi questi motivi tenterai di risollevarla dalla sua decadenza. Ne hai il potere, poiché Antemio possiede la natura, la fortuna e la competenza necessarie per salvare le città. Molti doni ha ricevuto da Dio a questo scopo, e il bene più prezioso sono gli amici, di cui Troilo è il più prezioso. Perciò, non dare solo uno sguardo superficiale ma dedica tutta la tua attenzione a questa lettera, sulla quale ho versato molte lacrime. Perché infatti i Fenici non governano la Fenicia, i Celesiri non governano la Celesiria,180 gli Egizi governano tutte le regioni eccetto la propria e i Libici sono i soli a governare la propria? I Libici sono dunque i soli che dimostrano un immenso coraggio e vanno consapevolmente contro le leggi? Più erano numerose e temibili le punizioni per coloro che tra loro le violavano, più le loro nature malvage vi si scagliavano contro. Era inevitabile che la Pentapoli cirenaica scomparisse completamente; la carestia e la guerra non hanno ancora compiuto quanto dovevano compiere, ma logorano lentamente e distruggono a poco a poco. Abbiamo infine scoperto quello che mancava per l’annientamento rapido della regione. Ed è esattamente ciò che aveva predetto l’antico oracolo sulla fine della Pentapoli. Lo abbiamo udito dai nostri padri e dai nostri nonni: “La Libia perirà per la malvagità dei propri governanti”. Questo è l’esatto frammento dell’oracolo.181 Ma se pure questo è il suo destino, trovate il modo di ritardare un poco il suo male. L’arte dei medici non impedisce assolu-

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sinesio di cirene

ἐπειδὴ φύσις ἐστίν, οὐ καθάπαξ κωλύει, ἐμποιεῖ δέ τινα διατριβὴν τῷ χρεών. Ὅμοιόν τι αἰτοῦμεν καὶ παρὰ τῆς τέχνης τῆς ἀρχικῆς· βοηθησάτω τῇ φύσει κατὰ τῆς νόσου, μὴ μέντοι κατασπευδέτω τὸν ὄλεθρον. Μή, δέομαι, μὴ γένηται τῶν Ἀνθεμίου τοῦ μεγάλου καιρῶν ἐπαρχίαν Ῥωμαϊκὴν ἐκ μέσης ἀνῃρῆσθαι τῆς διοικήσεως. Εἰπὲ πρὸς αὐτόν, εἰπὲ πρὸς τῶν λόγων· «Οὐ σὺ καταπεμφθῆναι τὸν νόμον γέγονας αἴτιος ἐπὶ τοῖς πάλαι τὸν πρόσφατον ὃς ἀνατείνεται πολλὰ καὶ χαλεπὰ τοῖς μνηστεύουσι τὴν τῆς ἐνεγκούσης ἀρχήν; Πῶς οὖν οὐ νεμεσᾷς τοῖς φιλοτιμουμένοις ἐπὶ σοῦ διαρρηγνύναι τὰ σὰ πολιτεύματα; Εἰ μὲν οὖν οὐ λανθάνουσιν, ἀδικεῖς· εἰ δὲ λανθάνουσιν, ἀμελεῖς.» Χρῆν δὲ οὐχὶ τὸν ἄνδρα τὸν ἡγεμονικώτατον, ἀλλ’ ἑνὶ τούτῳ μάλιστα προσέχειν τὸν νοῦν, τοὺς ὑπάρξοντας ὡς βελτίστους αἱρεῖσθαι. Θεία γὰρ αὕτη καὶ μεγαλοπρεπὴς ἡ πρόνοια, πρὸς ᾗ δαπανᾶται φροντὶς εἰς ἐκλογὴν ἀνδρὸς ἀγαθοῦ. Ἀλλ’ ἐν τούτῳ γάρ ἐστιν ἔθνους ὁλοκλήρου πεποιῆσθαι φροντίδα. Τούτων οὖν εὐθὺς ἀπεγνωκέναι προσήκει τῶν ἐναλλομένων τοῖς νόμοις, παρ’ οὓς ἄρχουσι τῆς ἑαυτῶν, παρ’ οὓς ἐφ’ ἡμῖν ὥσπερ ἐπὶ κτήμασι δανείζονται χρήματα. Στήσατε τὸ κακόν. Ἄρχοντας ἡμῖν νομιμωτέρους ἐκπέμψατε, ἀγνοοῦντας ἀγνοουμένους, ταῖς φύσεσιν οὐ τοῖς περὶ ἕκαστον πάθεσι τὰ πράγματα κρίνοντας. Ὡς τὰ νῦν ταῦτα, καταπλεῖ δεσπότης ὁ πρώην ἀντιπολιτευόμενος καὶ τὴν ἐν πολιτείᾳ διαφορὰν ἀπὸ τοῦ βήματος ἀγωνίζεται. Ὅσα δὲ ἄλλα παραβλαστάνει κακά. Συκοφαντεῖται συμπόσια καὶ γυναικὶ δίδοται χάρις ἡ τοῦ πολίτου συμφορὰ καὶ κατήγορος ἐκκέλευστος· ὃς δ’ ἂν μὴ γράψηται παρανόμων ἑάλωκεν εἰ μὴ καὶ πρὶν ἁλῶναι τὰ τῶν ἑαλωκότων ὑπέμεινεν. Ἐθεασάμεθα δεσμώτην ἀπὸ τούτου γενόμενον ὅτι μὴ τὸν ἄρτι παυσάμενον

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lettere 73, a troilo

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tamente all’uomo di morire, poiché quella è la sua natura, ma può ritardare ciò che è necessario che accada. Noi chiediamo la stessa cosa all’arte del comandare: che soccorra la nostra natura contro la malattia e che non acceleri la fine. Che non avvenga, ti prego, che non avvenga all’epoca del grande Antemio che venga soppressa una provincia romana, proprio nel pieno della sua amministrazione. Digli, digli in nome della ragione: “Non sei tu il responsabile della promulgazione di una nuova legge che, rimpiazzando quelle più antiche, presenta molte e gravi minacce contro coloro che tentano di ottenere il governo della provincia natale? Perché dunque non ti adiri contro quelli che si vantano di infrangere le tue disposizioni? Se non passano inosservati, commetti un’ingiustizia; se passano inosservati, commetti un peccato di negligenza”. Un uomo davvero atto a governare non dovrebbe agire così, ma dovrebbe rivolgere la propria attenzione a un unico elemento, la scelta dei migliori governanti possibili. Divina e nobile è la provvidenza per la quale ci si preoccupa di scegliere un uomo buono. In questo modo è possibile prendersi cura di un’intera provincia. Perciò è opportuno respingere subito quelli che si scagliano contro le leggi, a dispetto delle quali governano la loro provincia, a dispetto delle quali prendono a prestito del denaro dandoci in garanzia come se fossimo delle loro proprietà.182 Fermate questo male. Inviateci dei governatori più rispettosi della legge, che non ci conoscono e che noi non conosciamo, e che giudichino i fatti sulla base della loro natura e non dei sentimenti che hanno verso ciascuno. A riprova che le cose vanno così attualmente, sbarca qua in qualità di governatore un uomo che poco tempo fa ha avuto una politica a noi avversa e le cui divergenze rispetto alla città sono oggetto di contesa presso il tribunale.183 Quanti altri mali sono germogliati. I banchetti sono oggetto di calunnie, per piacere a una donna le si dà in dono la rovina di un curiale, un accusatore viene spinto ad agire; chi non voglia intentare dei processi in maniera illegale è condannato – se non ha già subito la sorte dei condannati ancora prima di essere condannato. Ho visto mettere un uomo in prigione perché non ha citato in giudizio per furto di

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sinesio di cirene

τῆς ἀρίστης ἀρχῆς ἐπὶ κλοπῇ δημοσίων ἐδίωκε· μᾶλλον δὲ τοῦτον οὐδὲ τεθεάμεθα, ἀλλ’ ἀπείρητο προσιέναι καθάπερ τοῖς ἐναγέσιν ἢ τοῖς βασιλέως ἐχθροῖς ἕως διεπράξαντο πᾶν ὅσον ἐβούλοντο, καὶ τὸν ἥλιον εἶδεν ἐπὶ ῥητοῖς ἄνθρωπος ἐφ’ ᾧ Γεννάδιον ἔγραψεν. Ἀλλ’ ἥγε ἡμετέρα Πεντάπολις Γενναδίου μὲν τοῦ Σύρου πολλὰ ἐπὶ πολλῶν ὤνατο· καὶ τὸ μέγιστον ὅτι, καὶ λόγῳ καὶ πειθοῖ τὴν ἀρχὴν ἐπιτρέψας, ἔλαθεν ἡμᾶς τῶν ἀπηνεστάτων τε καὶ ὀνομαστοτάτων ἐπὶ σκληρότητι πλείονα χρήματα ταῖς δημοσίοις ψήφοις εἰσενεγκών. Ἐφ’ οἷς οὐδεὶς ἐδάκρυσεν, ἐφ’ οἷς οὐδεὶς ἀπέδοτο τὸν ἀγρόν. Ἐκείνην ἄν τις εἰσφορὰν εὐσεβῆ δικαίως ἐκάλεσεν ἣν οὐχ ὕβρις ἢ μάστιξ ἠνάγκασε. Τὰ δὲ περὶ τῶν πολιτῶν, φεῦ τῆς μνήμης τῶν παυσαμένων, φεῦ τῆς πείρας τῶν ὁρωμένων. Οὐδὲν οὖν ἀξιοῦμεν καινόν, ἀλλ’ ὑπὲρ τῶν νόμων Ἀνθέμιον ἱκετεύομεν, ὑπὲρ τῶν νόμων τὸν τούτων φύλακα ὧν ἄξιον μὲν αἰδεῖσθαι τὴν ἀρχαιότητα (νόμου γὰρ δὴ καὶ τοῦτο σεμνότης), εἰ δέ τῳ δοκεῖ, τῶν διαταγμάτων τὰ νεώτερα τήν, ὡς ἂν εἴποι τις, ἔμψυχον ἔτι βασιλείαν ἐπιγραφόμενα. 74

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Ἔπεμψά σοι τὸν λόγον ἀττικουργῆ, τῆς ἀκριβοῦς ἐργασίας, ὃν ἂν μὲν ἐπαινέσῃ Πυλαιμένης ἡ κριτικωτάτη τῶν ἀκοῶν, αὐτὸ τοῦτο τῇ διαδοχῇ τοῦ χρόνου συνέστησεν· εἰ δὲ μηδὲν φανεῖται σπουδαῖον, ἔξεστι δήπου παίζειν τὰ παίγνια.

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lettere 74, a pilemene

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denaro pubblico quello che ha appena concluso il miglior governo che vi sia stato;184 o, piuttosto, non l’ho visto, giacché mi è stato vietato di avvicinarlo, come se fossi un empio o un nemico dell’imperatore, finché non hanno ottenuto tutto quello che volevano, e allora ha potuto rivedere il sole, a condizione che accusasse Gennadio. Tuttavia, la nostra Pentapoli in molte occasioni ha tratto numerosi benefici dal siriano Gennadio; e il più grande è stato che, con un governo razionale e persuasivo, ci ha portato a nostra insaputa a versare più denaro nelle casse dello Stato di quanto non hanno fatto i governatori più crudeli e più rinomati per la loro durezza. Per questo denaro nessuno ha versato delle lacrime, nessuno ha venduto la propria terra. Si sarebbe potuto definire giustamente “pia” questa entrata finanziaria, che non è stata resa necessaria né dalla violenza né dalla frusta. Per quanto riguarda i curiali, che dolore il ricordo di quanto non c’è più, che dolore la prova di quanto si trova davanti ai loro occhi. Perciò, non chiediamo nulla di nuovo, ma supplichiamo Antemio di difendere le leggi, le stesse di cui è guardiano e la cui antichità è opportuno che sia rispettata (difatti, già questa è un segno della loro autorità); altrettanto, se si vuole, si devono rispettare gli editti più recenti, il cui testo scritto dimostra che l’impero, si potrebbe dire, è ancora in vita. 74

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 405

Ti ho inviato un discorso scritto alla maniera attica, minuziosamente rifinito.185 Un elogio da parte di Pilemene, il più critico degli ascoltatori, sarà più che sufficiente a raccomandarlo alla posterità; se non dovesse sembrarti nulla di serio, ricorda che si può certo scherzare su temi leggeri.

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sinesio di cirene

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ΝΙΚΑΝΔΡΩΙ  

Τοὐπίγραμμά μου τὸ κλεινόν (πῶς γὰρ οὐ κλεινόν, ὅπερ ὁ μέγας ἐπῄνεσε Νίκανδρος;) τῆς χρυσῆς εἰκὼς ἢ Κύπριδος ἢ Στρατονίκης,

ἐπίστασαι πάντως ὅτι καὶ εἰς ἐμὴν ἀδελφὴν ἐποιήθη παρ’ ἐμοῦ τότε, παρὰ τοῦ στίχου μαθών. Ταύτῃ τῇ φιλτάτῃ μοι τῶν ἀδελφῶν, ἣν καὶ τῆς εἰκόνος ἠξίωσα καὶ τοῦ στίχου, Θεοδόσιος ὁ βασιλέως ὑπασπιστὴς σύνοικος ἕνεκα μὲν τοῦ χρόνου καὶ τῆς ἐν στρατείᾳ προσεδρείας κἂν προὐστάτησε πάλαι· αἱ δὲ σπουδαὶ πλέον δύνανται τῶν ἐνιαυτῶν. Ταύτῃ τε οὖν ὄφελος αὐτῷ γενοῦ κἂν ταῖς δίκαις εἴ τινες εἶεν αὐτῷ πρὸς Ἀνθέμιον· ὀνάσθω δέ τι τοῦ μεγάλου Νικάνδρου. 76

ΘΕΟΦΙΛΩΙ  

Ὀλβιάταις (οὗτοι δὲ δῆμός εἰσι κωμήτης) ἐδέησεν αἱρέσεως ἐπισκόπου, τοῦ μακαριωτάτου πατρὸς Ἀθάμαντος τῷ μακρῷ βίῳ τὴν ἱερωσύνην συγκαταλύσαντος. Ἐπεκαλέσαντο δὴ κἀμὲ κοινωνὸν αὐτοῖς γενέσθαι τοῦ σκέμματος. Καὶ συνήσθην μὲν ἀνδράσιν ἐκ πολλῶν καὶ πάντ’ ἀγαθῶν ποιουμένοις τὴν αἵρεσιν, πολὺ δὲ πλέον Ἀντωνίῳ συνήσθην τῆς καλοκαγαθίας ὅτι καὶ καλῶν ἔδοξεν εἶναι καλλίων· ἐπὶ γὰρ τοῦτον ἡ πάνδημος ψῆφος ἠνέχθη. Προσ­ τεθέντων δὲ καὶ δυεῖν εὐλαβεστάτων ἐπισκόπων τῇ γνώμῃ τοῦ πλήθους οἷς συνετέθραπτο καὶ ὧν θατέρου τῇ χειρὶ πρεσβύτερος ἀποδέδεικτο, ἐτύγχανον μὲν οὐδ’ αὐτὸς ἀγνοῶν πάνυ τὸν Ἀντώνιον, ἀλλὰ δι’ ὅσων αὐτὸν ἔγνων λόγων καὶ πράξεων, διὰ τοσούτων

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lettere 75-76, a nicandro

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– a teofilo

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A Nicandro Da Cirene a Costantinopoli, 405

Quel mio famoso epigramma (come non potrebbe essere famoso, dopo che il grande Nicandro lo ha elogiato?), “Dorata effigie, di Cipride o Stratonice”,186

sai perfettamente che l’ho composto un tempo per mia sorella, come del resto puoi ricavare dal verso. Questa, la più cara delle mie sorelle, che ritenni degna e dell’effigie e del verso, è sposata con Teodosio, soldato della guardia imperiale: la sua anzianità e il suo impegno gli avrebbero dovuto far ottenere da tempo un grado più alto, ma gli intrighi valgono più degli anni di servizio. Perciò, concedigli il tuo aiuto, anche nel caso in cui dovesse affrontare qualche controversia legale dinanzi ad Antemio: che possa ottenere un qualche vantaggio dal grande Nicandro. 76

A Teofilo Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Gli Olbiati (ovvero la popolazione di un villaggio187) hanno dovuto scegliere un vescovo, dopo che il beatissimo padre Atamante è giunto alla fine della sua lunga vita e del suo sacerdozio. Hanno invitato anche me a partecipare alla loro deliberazione. Mi sono compiaciuto con loro del fatto che effettuassero la loro scelta tra numerosi candidati, tutti dalle ottime qualità, ma mi sono compiaciuto ancora di più con Antonio per la sua nobiltà d’animo, giacché mi è parso anche più virtuoso dei virtuosi: su di lui in effetti si è concentrata l’unanimità dei voti. Si è aggiunto anche il sostegno di due reverendissimi vescovi con i quali Antonio aveva condiviso l’educazione e dalla mano di uno dei quali era stato consacrato sacerdote. Io non ignoravo di certo completamente chi fosse Antonio, anzi, ogni parola e ogni azione sulla base delle quali lo conoscevo mi

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sinesio di cirene

ἐπῄνεσα· προσθεὶς δὲ οἷς ἠπιστάμην καλοῖς ἅπερ ἤκουον φέρω κἀγὼ τὴν ἐμαυτοῦ ψῆφον ἐπὶ τὸν ἄνδρα. Καὶ γένοιτ’ ἄν μοι βουλομένῳ κοινωνὸν αὐτὸν εἰς τὴν ὁμότιμον ἱερωσύνην προσδέξασθαι. Ἑνὸς οὖν ἔτι δεῖ, τοῦ κυριωτάτου μέντοι, τῆς ἱερᾶς σου χειρός. Τούτου μὲν Ὀλβιάταις δεῖ, ἐμοὶ δὲ εὐχῶν. 77

ΑΝΥΣΙΩΙ  

Οὐκ ἐθέλει περιμένειν ἄλληλα τὸ φῶς καὶ τὸ σκότος, ἀλλὰ νόμῳ φύσεως ἀντιπεριΐσταται. Ἐπανελθόντες ἀπὸ τῆς σῆς πομπῆς Ἀνδρόνικον κατελάβομεν. 78

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οὐδὲν ἂν γένοιτο Πενταπόλει λυσιτελέστερον τοῦ τοὺς ἀγαθοὺς καὶ ἄνδρας καὶ στρατιώτας Οὐννιγάρδας προτετιμῆσθαι πάντων στρατιωτῶν, οὐ τῶν ἐγχωρίων λεγομένων μόνον, ἀλλὰ καὶ ὅσοι πώποτε κατὰ συμμαχίαν εἰς τούσδε τοὺς τόπους ἀφίκοντο· ἐκεῖνοι μὲν γὰρ οὐδεπώποτε πολλαπλάσιοι ἐλάττοσι τοῖς πολεμίοις μετὰ τοῦ θαρρεῖν συνηνέχθησαν, οὗτοι δὲ δὴ δὶς ἤδη καὶ τρὶς πρὸς ἄνδρας ὑπὲρ χιλίους τὸν ἀριθμὸν μόνοι τετταράκοντα μετὰ τοῦ θεοῦ καὶ σοῦ στρατηγοῦ παρετάξαντο καὶ νίκας τὰς μεγίστας καὶ καλλίστας ἀνείλοντο. Τῶν δὲ εἰς ὄψιν ἐλθόντων αὐτοῖς βαρβάρων τοὺς μὲν ἀπολωλεκότες, τοὺς δὲ ἀπεληλακότες, τά τε μετέωρα τῆς χώρας ἔτι περινοστοῦσι καὶ τὰς εἰσβολὰς τῶν πολεμίων φυλάττουσιν, ὥσπερ σκύλακες αὐλῆς προπηδήσαντες, ἐφ’ ᾧ θηρίον οὐκ ἐναλεῖται τῇ ποίμνῃ. Ἀλλ’ ἡμεῖς αἰσχυνόμεθα τοὺς ἀριστέας ἐν αὐτοῖς τοῖς ὑπὲρ ἡμῶν ἱδρῶσι δακρύοντας. Οἷα γὰρ καὶ γεγράφασι πρὸς ἡμᾶς

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lettere 77-78, ad anisio

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spinsero a tesserne le lodi: l’aggiunta alle qualità che già conoscevo di ciò che ho udito allora porta anche me a dare il voto a quest’uomo. Mi piacerebbe accoglierlo come collega nell’episcopato. Manca solo una cosa, ma d’altronde della massima importanza: la tua sacra mano. Di questa necessitano gli Olbiati; io invece ho bisogno delle tue preghiere. 77

Ad Anisio Da Tolemaide a Costantinopoli, 411

Non ammettono un’attesa reciproca la luce e il buio, ma si escludono in alternanza per una legge di natura. Di ritorno dalla processione condotta in tuo onore ho incontrato Andronico. 78

Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 411

Nulla potrebbe essere più utile per la Pentapoli del preferire gli Unnigardi,188 eccellenti uomini e valorosi in guerra, a tutti gli altri soldati, non soltanto alle cosiddette unità locali,189 ma anche a tutti quegli ausiliari che non sono mai giunti nel nostro territorio. Questi, seppure numerosi, non hanno mai combattuto con coraggio i nemici, seppure numericamente inferiori, mentre gli Unnigardi si sono già contrapposti due o tre volte, soltanto in quaranta, con l’aiuto di Dio e del loro comandante, a uomini che per numero superavano i mille e hanno riportato delle vittorie estremamente importanti e ammirevoli.190 Di quei Barbari che si portarono alla loro vista, gli Unnigardi alcuni ne uccisero, altri ne misero in fuga, e ancora sorvegliano le alture della regione per prevenire gli attacchi dei nemici, come cani che balzano fuori dal recinto per evitare che una belva attacchi il gregge. Ma io mi vergogno nel vedere questi uomini valorosi piangere nello stesso momento in cui si coprono di sudore per la nostra

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sinesio di cirene

ἐγὼ μὲν οὐκ ἀπαθῶς ἀναγινωσκομένων ἀκήκοα, ἀξιῶ δὲ μηδὲ σὲ τὴν ἱκεσίαν αὐτῶν παριδεῖν· δέονται γὰρ δὴ σοῦ μὲν δι’ ἡμῶν, βασιλέως δὲ διὰ σοῦ δέησιν ἣν εἰκὸς ἡμᾶς ἦν ἐκείνων σιωπώντων ποιήσασθαι, μὴ καταλεγῆναι τοὺς ἄνδρας ἀριθμοῖς ἐγχωρίοις. Ἀχρεῖοι γὰρ ἂν ἑαυτοῖς τε καὶ ἡμῖν γένοιντο, τῶν βασιλικῶν δωρεῶν ἀφῃρημένοι, εἰ μήτε ἵππων ἕξουσι διαδοχὴν μήτε ὅπλων παρασκευὴν μήτε δαπάνην ἀγωνισταῖς ἀνδράσιν ἀρκοῦσαν. Μὴ σύ γε, ὦ μετ’ αὐτῶν ἀριστεῦ, μὴ περιΐδῃς τοὺς συστρατιώτας εἰς ἀτιμοτέραν τάξιν χωροῦντας, ἀλλ’ οὗτοί γε μενόντων ἄσυλοι τῶν γερῶν ἐν βεβαίῳ τῆς πρότερον ἀξίας. Ὃ γένοιτ’ ἂν εἰ διὰ τῆς σῆς ἀναφορᾶς ὁ φιλανθρωπότατος ἡμῶν βασιλεὺς μάθοι πόσον ὄφελος ἐγένοντο Πενταπόλει. Καὶ δεήθητι βασιλέως ὑπὲρ ἡμῶν ἐν τοῖς σαυτοῦ γράμμασι δέησιν ἑτέραν, ἄνδρας ἑκατὸν ἑξήκοντα τοῖς τετταράκοντα τούτοις προστεθῆναι. Μετὰ θεοῦ τίς οὐκ ἂν ἀποφήναιτο διακοσίους Οὐννιγάρδας καὶ γνώμην καὶ χεῖρα τούτοις παραπλησίους, ὧν οὐχ ἥκιστα ἐπαινοῦμεν τὸ πρᾶον τῆς γνώμης, σοῦ στρατηγοῦντος ἀρκέσειν εἰς τὸ διαπολεμηθῆναι βασιλεῖ τὸν Αὐσουριανὸν πόλεμον; Καὶ τί δεῖ καταλόγων πολλῶν καὶ τῆς φοιτώσης κατ’ ἐνιαυτὸν δαπάνης τοῖς ἐνθάδε στρατεύμασι; Χειρῶν δεῖ τῷ πολέμῳ καὶ οὐκ ὀνομάτων πολλῶν. 79

ΑΝΑΣΤΑΣΙΩΙ  

Οὐδὲν ἐγὼ γέγονα χρήσιμος Εὐαγρίῳ τῷ πρεσβυτέρῳ· οὐδὲ γὰρ οὐδ’ ἑτέρῳ τινὶ τῶν ἀδικουμένων. Ἄρχει γὰρ παρ’ ἡμῖν ὁ Βερονικεὺς Ἀνδρόνικος «ἀποφρὰς ἄνθρωπος» παλαμναίαν ἔχων καὶ γνώμην καὶ γλῶτταν. Ὃς εἰ μὲν ἐμοῦ καταφρονεῖ, πρᾶγμα οὐδέν· ἀλλ’ αἰσχύνεσθαί μοι δοκεῖ καὶ τὰ θεῖα τιμῆσαι·

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lettere 79, ad anastasio

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difesa. Non ho potuto ascoltare con indifferenza la lettura di missive quali quelle che mi hanno scritto, anzi ritengo opportuno che neanche tu rimanga insensibile dinanzi alla loro supplica; rivolgono infatti a te per mio tramite, e per tuo tramite all’imperatore, una richiesta che verosimilmente ti avrei rivolto anche in caso di loro silenzio, cioè di non arruolarli nelle unità locali. Diverebbero inutili a loro stessi e a noi, se venissero privati delle donazioni imperiali e se non avessero più né un ricambio di cavalli né una fornitura di armi né la paga dovuta a delle truppe da combattimento. Non tollerare, tu che ti sei distinto assieme a loro, di assistere con indifferenza alla retrocessione dei tuoi commilitoni a un rango inferiore, ma, al contrario, fa’ in modo che possano conservare intatti i loro vecchi privilegi, nella certezza della loro dignità precedente. Tutto questo potrà essere ottenuto se per il tramite di una tua relazione il nostro massimamente benevolo imperatore dovesse apprendere quanto quelli furono utili alla Pentapoli. Nella tua lettera rivolgi all’imperatore da parte mia anche una seconda richiesta, cioè che a questi quaranta se ne aggiungano altri centosessanta. Chi non ammetterebbe che, con l’aiuto di Dio, duecento Unnigardi per il carattere e per il braccio simili a questi dei quali noi lodiamo principalmente la mitezza di carattere, sotto il tuo comando, sarebbero sufficienti all’imperatore per condurre definitivamente a termine la guerra contro gli Ausuriani? A che cosa servono molte leve e la spesa annuale per mantenere qui delle truppe? Per la guerra servono braccia e non lunghe liste di nomi. 79

Ad Anastasio Da Tolemaide a Costantinopoli, 412

Non sono stato assolutamente d’aiuto per il prete Evagrio; come del resto per nessun’altra delle vittime. Governa infatti la nostra provincia Andronico di Berenice, “uomo nefasto”,191 dal comportamento e dal linguaggio scellerati. Se non si dà cura di me, nessun problema; ma mi sembra che esiti a rispettare anche la religione:

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sinesio di cirene

«οὕτως ἀράσσει τῇ κεφαλῇ τὸν οὐρανόν.»

Νὴ τὴν ἱεράν σου καὶ τριπόθητον κεφαλήν, σχῆμα Πενταπόλει πένθιμον περιτέθεικε, δακτυλήθρας καὶ ποδοστράβας ἐξευρὼν καὶ ξένα ἄττα κολαστήρια, κατ’ οὐδενὸς τῶν ἀδικούντων (πάνυ γὰρ τὸ νῦν ἔξεστιν τῷ βουλομένῳ ἀδικεῖν), κατὰ δὲ τῶν συντελούντων ὑπὲρ τῶν οὐσιῶν καὶ τῶν ἄλλων ὁτιοῦν ὀφειλόντων. Δεινὸς γὰρ ἁνὴρ ὑποθέσεις ἐξευρίσκειν τῇ τε ἑαυτοῦ καὶ τῇ τοῦ Θόαντος φύσει πρεπούσας, ὃν ἐπὶ τῶν δεσμῶν ὄντα ταῖς ἀπαιτήσεσιν ἔταξεν τοῦ στρατιωτικοῦ χρυσίου τοῦ καλουμένου τιρωνικοῦ καὶ συνῆψε τὰ αὐλαναῖα· καὶ ἀεί τι καινὸν ἐπὶ παλαιῷ κακὸν ἐφ’ ᾧ κατὰ φῦλα καὶ δήμους αἰκίζεσθαι. Οὐ γὰρ ἔξεστιν οὐδὲ τοῖς ἔχουσι καὶ πλουτοῦσιν ἀμαστιγώτους ἀναχωρῆσαι, ἀλλ’ ἕως ὁ παῖς οἴκαδε βαδίζει τὸ χρυσίον οἴσων, ὁ δεσπότης ἠλόηται καὶ παρ’ ἐνίους τῶν δακτύλων ἐγένετο. Ὅταν δὲ προφάσεως ἀπορῇ δυναμένης αὐτὸν ἑστιᾶσαι, Μαξιμῖνος καὶ Κλεινίας ἔφεδροι. Ἐν ἐκείνοις χαρίζεται τῷ πάθει. Ἀλλά μοι δοκεῖ τοιοῦτος ὢν πονηρῶν δαιμόνων προνοίας τυγχάνειν οἳ βούλονται μὲν ἐπαινεῖσθαι καὶ εὐτυχεῖν τὰς παλαμναιοτάτας ψυχάς, αἷς ὀργάνοις δύνανται χρῆσθαι πρὸς τὰς κοινὰς συμφοράς. Ἀπὸ τούτων οὖν παρασκευάζουσιν αὐτῷ δόξαν ὡς ἀνδρὶ γενναίῳ. Καίτοι πῶς εὔλογον, ὅστις ὑπερύψωσε τὸν ὑψηλὸν καὶ τὸν ταπεινὸν ἐταπείνωσεν; Ἐφ’ οὗ πᾶς μὲν μέτριος καὶ πρᾶος τὸν τρόπον «ἐν Καρὸς» μοίρᾳ καὶ ἄτιμος, δύνανται δὲ μόνοι Ζηνᾶς καὶ Ἰούλιος; Ζηνᾶς ὁ πράξας πέρυσι τοὺς διπλοῦς φόρους, ὃς ἀπειλεῖ τὸν ἐμὸν ἀδελφὸν Ἀναστάσιον παραπρεσβείας καὶ διώξεσθαι καὶ αἱρήσειν. Οὗτος μέντοι ἑκόντος αὐτοῦ δύναται· Ἰούλιος δὲ ἄκοντός τε καὶ κλάοντος, καὶ κατ’ οὐδενὸς οὕτως ὡς κατ’ Ἀνδρονίκου γέγονεν ἰσχυρότερος. Ἐγκραγὼν γὰρ αὐτῷ δίς που καὶ τρὶς καὶ τοῖς ἐξ ἁμάξης λοιδορησάμενος καὶ πάντα ἐπανατεινάμενος

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lettere 79, ad anastasio

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“a tal punto percuote il cielo con il capo”.192

Te lo giuro sulla tua sacra e assai desiderata persona, Andronico ha messo la Pentapoli in una triste situazione, scoprendo anelli a vite, torcipiedi e certi altri strumenti di tortura stranieri193 che non utilizza contro nessuno che sia colpevole (al momento infatti chiunque lo voglia ha la piena possibilità di nuocere), ma contro chi paga le imposte sui propri beni o abbia un qualunque altro debito. È abile nel trovare dei pretesti conformi alla natura propria e di Toante, al quale, da carceriere quale era, affidò l’incarico di riscuotere l’oro dei soldati, il cosiddetto “soldo delle reclute”,194 cui poi ha aggiunto i tributi per la corte; e senza sosta un nuovo male si aggiunge a quello antico per affliggere tribù e popoli. Non è assolutamente possibile, neppure per chi abbia delle proprietà e delle ricchezze, sottrarsi alla frusta; al contrario, mentre lo schiavo si reca a casa a cercare l’oro, il padrone viene ripetutamente percosso e rischia di perdere qualche dito. Qualora rimanga privo di pretesti in grado di saziarlo, tiene di riserva Massimino e Clinia. Grazie a loro riesce a soddisfare la propria passione. Comportandosi così, a me sembra che egli ottenga la protezione dei demoni malvagi, che desiderano che siano oggetto di lode e abbiano una buona riuscita le anime più scellerate, che possono utilizzare come strumenti per causare sciagure collettive. Per questo dunque procurano ad Andronico la reputazione di uomo nobile. Ma come può essere ragionevole, rispetto a un uomo che ha accresciuto la potenza dei potenti e la miseria dei poveri?195 Perché ai suoi occhi, chiunque abbia un carattere moderato e mite ha lo stesso peso “di un Cario”196 ed è disprezzato, mentre tipi come Zenàs e Giulio,197 e solo loro, tutto possono? Zenàs è quello che l’anno scorso ha raddoppiato le imposte e che adesso minaccia di accusare e condannare per ambasceria disonesta mio fratello Anastasio. Perlomeno, costui agisce con il consenso di Andronico; Giulio agisce invece anche contro la sua volontà e nonostante le sue lamentele, e verso nessuno è tanto violento quanto verso Andronico. Ha alzato la voce con lui due o tre volte, “lanciandogli le ingiurie dal carro”198 e rivolgendogli ogni genere di

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sinesio di cirene

ἅπερ ἂν εἰρῆσθαι παρ’ ἐμοῦ τοῦ παντὸς ἂν ἐτιμησάμην ἀπέδειξε τὸ κάθαρμα μῦν ἀντὶ λέοντος· καὶ ἐξ ἐκείνου χρῆται καθάπερ ἀνδραπόδῳ, παρόσον ἀδεῶς οὐδὲ ἐν ταῖς γωνίαις ὑποψιθυρίζειν κατὰ τοῦ δεσπότου τολμᾷ (τοῦτο δὲ δήπουθεν ἔξεστι τοῖς οἰκέταις ποιεῖν· Ἀνδρόνικος δὲ οὐδὲ τοῦτο· τὸ γὰρ ἀλόγιστον ἀνδρεῖον μὲν οὐδαμοῦ, παρὰ δὲ τοὺς καιροὺς δειλόν τε καὶ θρασὺ γίνεται, τοῦτ’ ἔστιν ἁπανταχοῦ πονηρόν). Ὁ θαυμάσιος Ἥρων ἀξίως αὐτοῦ πρὸς ὑμᾶς ἐρεῖ τὰ περὶ αὐτοῦ, ἄν γε δὴ διαγένηται. Διετέθη γὰρ οὕτως ὑπ’ αὐτοῦ τοῦ συνεῖναι τῇ μοχθηρίᾳ τοῦ ἀνθρώπου καὶ καθ’ ἡμέραν ἀπορρήγνυσθαι, καὶ οἷς ἤκουε δεινοῖς καὶ οἷς ἔπασχεν, ὡς καὶ μόλις ἐλευθερωθεὶς τῆς θανατηφόρου συν­ουσίας δύσελπις εἶναι τὴν ἑαυτοῦ ζωὴν καταλήψεσθαι. Καὶ οὔπω τότε Θόας ἀπὸ τῆς ἐνδοξοτάτης ἀποδημίας παρῆν· νυνὶ γὰρ οὗτός ἐστιν ὁ πᾶσιν αὐτὸν τοῖς εὐγενέσιν ἐπιτειχίσας Δεκέλειαν, τὸ ἀπόρρητον τῶν ὑπάρχων διακομίσας ἐνύπνιον, ὃ βούλεται μὲν τῶν ἐνθάδε τεθνάναι τινάς, βούλεται δὲ δεδέσθαι τινάς. Καὶ δέδενται παρ’ ἡμῖν ἄνθρωποι διὰ τὸ ἐνύπνιον τὸ ἀπόρρητον, οἳ δὲ ἀπ’ οὐδεμιᾶς φαινομένης αἰτίας ἀποθνήσκουσι. Καὶ γὰρ εἰ μηδέπω τεθνήκασιν, ἀλλ’ αὐτίκα τεθνήξονται. Τὸ μὲν γὰρ ἐπὶ ταῖς μάστιξιν ἀπολώλασι, τὸ δὲ ἐπὶ τῇ τῶν σωμάτων ἰσχύι ζῶσιν ἔτι μέχρι ταύτης τῆς ἡμέρας ἐν ᾗ πέμπω τὰ γράμματα. «Ἀλλ’ οὐχ ὑγιανεῖ – φησίν – ὁ μέγας Ἀνθέμιος οὐδὲ παύσεται πυρέττων ὁ Ῥωμαίων ὕπαρχος ἂν μὴ Μαξιμῖνος καὶ Κλεινίας ἀπόλωνται.» Ταῦτα Θόας ἡσυχῆ θρυλλεῖ. Διὰ τοῦτο οὐδὲ εἰσφέροντος ἀνέχεται Μαξιμίνου, ἀλλ’ ἀνασοβεῖ πάντας ὁ Ἀνδρόνικος τοὺς ὠνουμένους τὰ Λευκίππου· πρόκειται γὰρ οὐ τὸ πληρωθῆναι τὰ δημόσια, ἀλλὰ τοὺς ὑπάρχους ὑγιαίνειν, οἵτινες, εἰσκληθέντος οἴκοι Θόαντος μόνου, τοῦ σοφιστοῦ φησι μόνου παρόντος, ἐξενηνόχασι πρὸς αὐτὸν τὸ ἐνύπνιον. Καὶ οἱ λιμένες ἐκλείσθησαν, ὅσα γε δὴ Θόας ὄμνυσιν, ἕως αὐτὸς ἐκπλεύσας φθάσῃ καὶ πρὸς Ἀνδρόνικον ἐξενέγκῃ τὸ ἀπόρρητον ἵνα μὴ λάθῃ τις διαδρὰς τῶν ἀξί-

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lettere 79, ad anastasio

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minacce – di questa cosa io mi sarei vantato moltissimo –, e ha dimostrato che questa canaglia è un topo anziché un leone. Da allora lo tratta come uno schiavo, al punto che quello non osa senza timore neanche mormorare negli angoli199 contro il suo padrone (questo è pienamente concesso agli schiavi, ma Andronico non riesce a fare nemmeno questo: una natura priva di ragione non può essere coraggiosa, in base alle circostanze può essere vile o tracotante, cioè, in ogni caso, perversa). L’ammirabile Erone vi dirà con la sua consueta dignità la propria vicenda, nel caso in cui sopravviva. Egli è stato scosso a tal punto dallo stare a contatto con la malvagità di quell’uomo e dall’essere quotidianamente fiaccato dagli orrori tanto uditi quanto patiti, che, pur liberato, e a stento, della sua mortale compagnia, ha perso ogni speranza di mantenersi in vita. All’epoca Toante non era ancora tornato dal suo assai noto viaggio;200 adesso infatti costui, che ha costruito una Decelea201 contro tutti i nobili, ci ha riferito di un sogno segreto del prefetto, che prevede la morte di alcuni cittadini di qui e l’incarcerazione di altri. Dunque degli uomini della nostra provincia vengono incarcerati a causa di questo sogno segreto e altri muoiono senza alcuna causa manifesta. E se non sono ancora morti, moriranno presto. Una parte di loro infatti è perita sotto i colpi delle fruste, mentre altri, grazie alla robustezza dei loro corpi, sono ancora vivi, almeno fino a oggi, giorno in cui ti spedisco questa lettera. “Il grande Antemio” – dice Toante – “non guarirà, il prefetto dei Romani non cesserà di avere la febbre finché Massimino e Clinia non saranno messi a morte”. Questo ripete serenamente Toante. Per questo Andronico non sopporta che Massimino paghi la tassa, ma anzi fa allontanare tutti quelli che vogliono acquistare le proprietà di Leucippo: la priorità non è riempire le casse dello Stato, ma la salute del prefetto, che ha convocato presso di lui il solo Toante e – sempre secondo Andronico –, alla presenza del solo sofista,202 gli ha rivelato il sogno. A quanto giura Toante, i porti203 sono stati chiusi finché quello, avendo già guadagnato il mare, non avesse riferito ad Andronico il segreto, di modo che nessuno di quelli che meritavano di morire

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sinesio di cirene

ων ἀντὶ τῆς Ἀνθεμίου τεθνάναι ψυχῆς. Εἶτα ἀφ’ ὧν ἕτερος ὄναρ ὁρᾷ, μᾶλλον δὲ ἰδεῖν λέγεται, Πεντάπολις ὕπαρ πέπραγε πονήρως. Ἀνδρόνικος γὰρ ὁ τὰ τοιαῦτα πιστευθεὶς καὶ εὐεργέτης τῆς εὐτυχοῦς τῶν ὑπάρχων οἰκίας ἐσόμενος «μαίνεται ἐκπάγλως πίσυνος Θόαντι οὐδέ τι οἶδε τίειν ἀνέρας οὐδὲ θεούς· κρατερὴ δέ ἑ λύσσα δέδυκεν.»

Ἐν τούτοις τῇ πατρίδι τῶν πραγμάτων ὄντων οὐκ ἐδέησεν Εὐαγρίῳ μάντεως εἰς προαγόρευσιν τοῦ πονήρως ἀπαλλάξειν εἰς τὸ δικαστήριον ἀπελθόντι. Ἀλλ’ αὐτὸς Ἀνδρόνικος ἄντικρυς οὐ πρὸς τοῦτον οὐδὲ πρὸς ἐκεῖνον, ἀλλὰ πρὸς αὐτὸν Εὐάγριον ἐξήγγειλε τὴν γνώμην τὴν ἑαυτοῦ καὶ ἔχεσθαι τῆς λειτουργίας ἐθελοντὴν ἐκέλευσεν, ἐὰν σωφρονῇ· πάντως γὰρ ἀποφανεῖσθαι τὴν καταδικάζουσαν. Ἀπολελόγημαι δὴ καὶ θεῷ καὶ τῷ θείῳ Διοσκουρίδῃ καὶ πᾶσιν ἀνθρώποις ὡς ἔγωγε ἀτιμότερος ἐξ ἐντιμοτέρου γέγονα, τά γε ἀνθρώπινα, ἀσθενέστερος δὲ ἐξ ἰσχυροτέρου. Καὶ Ἀνδρόνικος ἀπόν­των μὲν ἡμῶν τὴν δύναμιν ἐθεράπευσε, δι’ ἣν οὐ γέγονε δὶς ἐπ’ Ἀλεξανδρείας ἀγώγιμος· παρόντι δὲ οὕτω χρῆται, νὴ τὴν ἱερὰν ὑμῶν κεφαλήν, ὡς ἐπειδή μοι συνέπεσεν ἀποβαλεῖν τῶν παιδίων τὸ φίλτατον, κἂν ἐξήγαγον ἐμαυτὸν κρατηθεὶς ὑπὸ τοῦ πάθους (οἶσθα γὰρ ὅτι θῆλύς εἰμι περὶ τοῦτο πέρα τοῦ δέοντος), νῦν δὲ οὐ λογισμῷ τοῦ πάθους ἐκράτησα, ἀλλ’ Ἀνδρόνικος ἀντιπεριήγαγε καὶ πρὸς ταῖς κοιναῖς συμφοραῖς τὸν νοῦν ἔχειν ἐποίησε. Καὶ γεγόνασί μοι συμφοραὶ παραμυθίαι τῶν συμφορῶν, πρὸς ἑαυτὰς ἕλκουσαι καὶ πάθει πάθος ἐκκρούουσαι, ὀργὴ συμμιγὴς λύπῃ τὴν ἐπὶ τῷ παιδίῳ λύπην. Οἶσθα ὅτι μοι μαντευτὸν ἦν θάνατος εἰς κυρίαν τοῦ ἔτους ἡμέραν. Καὶ γέγονεν ἐκείνη, καθ’ ἣν

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lettere 79, ad anastasio

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per salvare la vita di Antemio potesse fuggire via clandestinamente. Di conseguenza, per un sogno fatto da un altro, o piuttosto per un sogno che si dice sia stato fatto da un altro, la Pentapoli vive dei tormenti nella veglia. Andronico infatti, che ha creduto a tali parole e che vuole diventare il benefattore della fortunata casa del prefetto, “impazza senza ritegno, sicuro di Toante, e non sa più portare rispetto agli uomini e nemmeno agli dèi: l’ha invaso una furia tremenda”.204

Versando in questo stato le faccende della nostra città, Evagrio non ha avuto bisogno di un indovino per presagire che le cose si sarebbero messe male per lui se si fosse recato in tribunale. D’altronde, lo stesso Andronico aveva già reso perfettamente noto il proprio punto di vista, non a questo o a quell’intermediario ma a Evagrio in persona, e gli aveva già ordinato di fare di buon grado quanto doveva,205 se era ragionevole: infatti, avrebbe senz’altro espresso una sentenza di condanna. Mi giustifico dinanzi a Dio, al divino Dioscoride e a tutti gli uomini col dire che sono passato dall’essere stimato all’essere disprezzato, almeno nelle faccende umane, e dall’essere forte all’essere debole. Durante la mia assenza, Andronico ha corteggiato la mia autorità, grazie alla quale ha evitato per ben due volte ad Alessandria di essere arrestato;206 ma ora che sono qui mi tratta in maniera tale, lo giuro sulla vostra sacra persona, che dopo la perdita improvvisa del più caro dei miei figli mi sarei potuto anche suicidare, sopraffatto dal dolore (tu sai che rispetto a questo ho una sensibilità femminile, ben oltre il necessario). Adesso, però, sono io che ho sopraffatto il dolore, non con il ragionamento, ma perché Andronico mi ha distolto e mi ha portato a prestare attenzione alle sventure pubbliche. Disgrazie sono diventate conforto ad altre disgrazie, attirandomi a loro, poiché il dolore scaccia il dolore e la collera mista alla tristezza ha scacciato la tristezza provocatami dalla morte di mio figlio. Tu sai che la morte mi era stata predetta per un giorno preciso dell’anno. Quel giorno arrivò, ed era lo stesso in cui sono stato ordinato sacerdote. Percepii un cambiamento nella mia

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sinesio di cirene

ἱερασάμην. Ἠισθόμην μεταβολῆς βίου, ὃς ἄχρι νῦν ἐμπανηγυρίσας αὐτῷ καὶ τιμῆς ἀνθρωπίνης καὶ πάσης γλυκυθυμίας παρ’ ὁντινοῦν τῶν πώποτε πεφιλοσοφηκότων ἀπολελαυκώς, οὐχ ἧττον διὰ τὰ θύραθεν ἢ διὰ τὴν παρασκευὴν τῆς ψυχῆς, ἅμα πάντων ἀφῃρημένος αἰσθάνομαι. Τὸ μὲν οὖν μέγιστον τῶν κακῶν ὅ μοι καὶ δύσελπιν τὸν βίον ποιεῖ, οὐκ εἰωθὼς ἀποτυγχάνειν ἐν ἱκετείαις θεοῦ, νῦν πρῶτον οἶδα μάτην εὐξάμενος· ὃς τὴν μὲν οἰκίαν κακῶς πράττουσαν ὁρῶ, τὴν δὲ πατρίδα δυστυχοῦσαν οἰκεῖν ἀναγκάζομαι. Καὶ «πᾶσιν ἐκκείμενος» ἐφ’ ᾧ προσανακλάεσθαι καὶ τὰ κατ’ αὐτὸν ἕκαστον ὀλοφύρεσθαι, προσθήκην ἔσχον Ἀνδρόνικον τὸν «κολοφῶνα» τῶν κακῶν, δι’ ὃν «οὐδὲ ἀκαρῆ» καρποῦμαι τὴν σύντροφόν μοι σχολήν. Ἀλλ’ ἐμὲ δεῖ, μηδὲν ὄφελος ὄντα μηδενί, πάντων προσιόντων καὶ τὴν ἀσθένειαν ἡμῶν διελεγχόντων ἀνέχεσθαι. Πρὸς ταῦτα δέομαι, πάνυ σφόδρα δέομαι ἀμφοῖν μὲν ὑμῶν, διαφερόντως δὲ σοῦ τῆς φίλης μοι κεφαλῆς, ἀδελφὲ Ἀναστάσιε (σὺ γὰρ δὴ φήμην ἔχεις προστατεῖν ἀνδρὸς λυσσῶντος), εἴ τίς σοι δύναμις πάρεστιν (ὑπὲρ Συνεσίου γὰρ μᾶλλον ἢ ὑπὲρ Ἀνδρονίκου δικαιότερος ἂν εἴης αὐτῇ χρώμενος), ἀπάλλαξον κατηφείας Πτολεμαΐδα τὴν λαχοῦσάν με πόλιν, οὐκ ἐμοῦ γ’ ἐθέλοντος· οἶδεν ὁ πάντα ὁρῶν ὀφθαλμὸς τοῦ θεοῦ. Οὐκ οἶδα ὑπὲρ τίνων ἐκτίνω τοσαύτας δίκας· καὶ «εἴ τῳ – φησί – θεῶν ἐπίφθονοι» πρότερον ἦμεν, «ἀποχρώντως τετιμωρήμεθα.» Ἀλλὰ ταύτην γε τὴν φωνὴν ἄξιον εἰπεῖν καὶ ὑπὲρ Μαξιμίνου καὶ ὑπὲρ Κλεινίου, οὓς ἐμοὶ δοκεῖν ἂν καὶ ὅστις ὠμότατος δαιμόνων ἠλέησεν. Ἐξῃρήσθων τοῦ λόγου Θόας τε καὶ Ἀνδρόνικος, οἱ μόνοι δαιμόνων ἀμείλικτοι. 80

ΘΕΟΦΙΛΩΙ  

Ἐγὼ μὲν οἷος ἦν τῷ πατρικῷ προστάγματι καὶ χεῖρα καὶ γνώμην ὑπηρέτιν εἰσενεγκεῖν, ἀλλ’ οὐκ ἄν, οἶμαι, κάλλιον Ἀμπέλι-

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lettere 80, a teofilo

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vita: io che fino ad allora avevo sempre vissuto come in una festa solenne,207 circondato dalla stima degli uomini e da ogni benevolenza più di chiunque altro si sia dedicato alla filosofia, per merito tanto delle mie azioni esterne quanto per la disposizione interna della mia anima, mi sento adesso privato di tutto contemporaneamente. Ma la più grande delle mie sciagure, quella che mi rende la vita priva di speranza, per quanto non sia solito rivolgermi a Dio in preghiera senza essere ascoltato, è che adesso per la prima volta so di avere pregato invano: adesso che vedo la mia famiglia in una terribile situazione e sono costretto a vivere nelle disgrazie della mia patria. “A disposizione di tutti”208 per piangere e gemere sulle sventure di ciascuno, mi si è aggiunto anche Andronico, coronamento dei mali, a causa del quale non riesco a godere neanche per un attimo dell’ozio che mi è familiare. Devo sopportare, senza essere d’aiuto a nessuno, che tutti vengano da me e rivelino la mia impotenza. Dinanzi a questa situazione, vi prego, vi prego entrambi con tutto il cuore, e soprattutto, fratello Anastasio, la tua cara persona (tu infatti hai fama di proteggere quell’uomo in preda alla furia), se hai un qualche potere (sarebbe infatti più giusto che tu lo utilizzassi in favore di Sinesio piuttosto che in favore di Andronico), libera dalla vergogna Tolemaide, la città che mi ha eletto,209 e non perché lo voglio io: l’occhio di Dio, che tutto vede, lo sa. Non so per quali colpe io subisca queste punizioni: e anche se in passato ho “suscitato l’invidia” – come dice il poeta – “di qualche divinità”,210 “ho sufficientemente scontato la mia pena”.211 Ma questo si deve dire anche per Massimino e Clinia, dei quali, io credo, anche il più crudele dei demoni avrebbe pietà. Si escludano Toante e Andronico, i soli demoni implacabili. 80

A Teofilo Dalla Pentapoli ad Alessandria, 412

Ero pronto a mettere il mio braccio e la mia mente al servizio del tuo paterno comando, ma Ampelio, io credo, non avrebbe potuto

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sinesio di cirene

ος ἐσκέψατο περὶ τῶν ἑαυτῷ λυσιτελούντων ἢ Νίκαιος ὑπὲρ τοῦ πῶς ἀλλοτριωθείη τῶν ἑαυτοῦ· οὔτε γὰρ ἐφ’ οἷς πρότερον ἀπῆρεν οἶδα καλῶς οὔτ’ ἐπὶ τίσιν ἐπανῆλθεν οὔτ’ ἐπὶ τίσιν αὖθις ἀποδημεῖ. Πῶς γὰρ ὃν οὔτ’ εἶδον οὔτε περὶ αὐτοῦ τι σαφὲς ἀπηγγέλλετο; Ἀλλὰ τὴν ἐπιστολὴν τῆς ἱερᾶς σου χειρὸς ἕτερός τις ἐκόμισε καὶ ταύτην ἀντῄτησεν ὡς ἤδη Νικαίου λύσαντος τὸ πρυμνήσιον. Καὶ οὐκ ἐγὼ μὲν οὐκ εἶδον αὐτόν, ὁ δ’ ἡγεμὼν εἶδεν ἢ ἤκουσεν, ἀλλὰ κἀκεῖνος οὔτ’ εἶδεν οὔτ’ ἤκουσε. Πῶς οὖν ἔστι Νίκαιον νικᾶν ὑπερόριον ἐν ἀγρῷ διαιτώμενον, ἀλλ’ ἀντὶ τούτου πολλὰ κἀγαθὰ καὶ ὅσα φέρουσιν ὧραι τοῖς γεωργοῖς ἔχοντα; Πλείω δ’ ἂν ἦν εἰ καὶ τῶν μητρῴων ἐκράτησεν. 81

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ  

Εἰ καὶ μὴ πάντα ὁ δαίμων ἀφελέσθαι μου δύναται, ἀλλὰ βούλεται ὅσα γε δύναται, «ὅς μ’ υἱῶν πολλῶν τε καὶ ἐσθλῶν εὖνιν ἔθηκεν»,

ἀλλὰ τό γε προαιρεῖσθαι τὰ βέλτιστα καὶ τίθεσθαι τοῖς ἀδικουμένοις οὐκ ἀφαιρήσεται· μὴ γὰρ δὴ καὶ τῆς γνώμης ἡμῶν κατισχύσειε. Μισῶ μὲν οὖν ἀδικίαν, ἔξεστι γάρ· κωλύειν δὲ βουλοίμην μέν, ἀλλὰ καὶ τοῦτο τῶν ἀφαιρεθέντων ἐστὶ καὶ οἴχεται καὶ τοῦτο πρὸ τῶν παιδίων. «Πάλαι ποτ’ ἦσαν ἄλκιμοι Μιλήσιοι.»

Ἦν ὅτε κἀγὼ φίλοις ὄφελος ἦν καὶ σύ με ἐκάλεις ἀλλότριον ἀγαθὸν εἰς ἑτέρους δαπανῶντα τὴν παρὰ τῶν μέγα δυναμένων αἰδῶ καὶ ἦσαν ἐκεῖνοι χεῖρες ἐμοί. Νυνὶ δὲ ἁπάντων ἔρημος ὑπολείπομαι πλὴν εἴ τι σὺ δύνῃ· καὶ γὰρ δὴ καὶ σὲ μετὰ τῆς ἀρετῆς ἀγαθὸν ἄσυλον ἀριθμῶ.

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lettere 81, alla filosofa

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provvedere a curare i suoi interessi con più efficacia di quanto non abbia fatto Niceo per sbarazzarsi dei propri averi; infatti, io non so bene per quali motivi prima se ne sia andato, per quali poi sia tornato, per quali adesso di nuovo se ne parta per l’estero. Come potrei d’altronde, io che né l’ho visto né ho ricevuto su di lui alcuna notizia chiara? Un’altra persona mi ha portato la lettera scritta dalla tua sacra mano e ha richiesto questa in risposta, giacché Niceo aveva già levato l’àncora. Anche se io non l’ho visto, l’ha forse visto o sentito il governatore civile? No, nemmeno lui l’ha visto né sentito. Ma come potrebbe mai vincere la causa Niceo standosene all’estero, in campagna, a godere, piuttosto, dei molti beni che le stagioni recano ai contadini? Certo ne avrebbe ottenuti di più se si fosse impossessato anche dell’eredità materna. 81

Alla filosofa Dalla Pentapoli ad Alessandria, 412 o 413

Se anche la sorte non può togliermi tutto, intende comunque togliermi tutto ciò che può, “lei che m’ha reso privo di tanti figli valorosi”,212

ma non potrà privarmi della possibilità di scegliere i beni supremi né della propensione a prendere le parti di coloro che hanno subito un’ingiustizia; che possa, infatti, non avere mai la meglio sulla mia facoltà di giudizio. Ho in odio l’ingiustizia, per quanto possibile; vorrei impedirla, ma anche tale potere rientra tra le cose che la sorte mi ha tolto: anche questo se ne è andato, e prima dei miei figli. “Era in antico quando esistevano i forti Milesii”.213

C’è stato un tempo in cui anch’io sono stato d’aiuto agli amici e tu mi definivi il bene degli altri, perché per gli altri spendevo il credito che mi accordavano i potenti, che erano i miei bracci. Adesso sono rimasto solo, abbandonato da tutti, a meno che non possa qualcosa tu: e infatti io ti conto, assieme alla virtù, tra i beni inviolabili.

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sinesio di cirene

Σὺ μὲν οὖν ἀεὶ καὶ δύνῃ καὶ δύναιο κάλλιστα χρωμένη τῷ δύνασθαι, Νίκαιος δὲ καὶ Φιλόλαος οἱ καλοὶ κἀγαθοὶ νεανίαι καὶ συγγενεῖς ὅπως ἐπανέλθοιεν τῶν ἰδίων γενόμενοι κύριοι πᾶσι μελέτω τοῖς τὰ σὰ τιμῶσι καὶ ἰδιώταις καὶ ἄρχουσι. 82

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Τίνα μέντοι, τίνα παρὰ τῶν οἷος αὐτὸς προσήκει θαυμάζεσθαι; Τὸν σώφρονα, τὸν ἐμμελῆ, τὸν παιδείας ἑταῖρον, τὸν προσανέχον­ τα θεῷ καθάπαξ, τὸν οἷός ἐστι Γερόντιος. Ἔχεις οὖν τὸν ἄνδρα μετὰ τῆς ἐπιστολῆς, ᾧ χρησάμενος ἐρεῖς οὐ φαῦλον ἐπαινέτην ἐμέ. 83

ΧΡΥΣΗΙ  

Οὐχ ὅτι μοι τῶν παιδίων συγγενής ἐστιν ὁ θαυμαστὸς Γερόντιος συνίστημι τὸν νεανίσκον τῇ φιλίᾳ τῇ σῇ (καὶ τοῦτο μὲν γάρ), ἀλλ’ ὅτι πρέπων ἐστὶ τοῦ χρυσοῦ Χρύσου τοῖς τρόποις, εἰ δεῖ μέ τι καὶ ψυχρὸν εἰπεῖν καὶ Γοργίειον. Παντὸς μέντοι μᾶλλόν ἐστιν ἀληθὲς εἰπεῖν σε εἶναι ἁπάσης ἀρετῆς εἴσω καὶ τὸν διδόντα σοι τὴν ἐπιστολὴν ἀξιώτατον ἀπολαύειν σου τῆς συνουσίας. 84

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Μῆκος ἐπιστολῆς ἀνοικειότητα κατηγορεῖ τοῦ διακομίζοντος. Ἀλλ’ ὁ θαυμαστὸς Γερόντιος οἶδε μὲν ὅσα κἀγώ· εἰ δὲ μὴ πρὸς τὸ

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lettere 82-84, al fratello

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– a crise

Tu hai sempre del potere, che io ti auguro di utilizzare nella maniera migliore. Niceo e Filolao sono due giovani di qualità, parenti fra di loro. Che tutti coloro che onorano la tua persona, siano essi privati cittadini o governanti, si prodighino affinché quelli possano fare ritorno, dopo aver ripreso possesso dei propri beni. 82

Al fratello214 Da Cirene a Ficunte, 405 o 406

Chi dunque, chi dovrebbe essere ammirato da quelli pari a te? Uno che sia prudente, misurato, bendisposto nei confronti della cultura, rispettoso di Dio, in una parola, uno come Geronzio. Eccolo a te, assieme alla mia lettera. Dopo averlo frequentato dirai che non sono stato superficiale nel lodarlo. 83

A Crise Da Cirene a Ficunte, 405 o 406

Non è perché l’ammirabile Geronzio ha un legame di parentela con i miei figli che io raccomando questo giovane alla tua amicizia (anche per questo, certo), ma perché ben si addice al carattere dorato di Crise, se proprio devo ricorrere a una freddura alla maniera di Gorgia.215 Quanto di più vero si possa affermare è che tu sei addentro a ogni virtù e che colui che ti porge questa lettera è quanto mai meritevole di godere della tua compagnia. 84

Al fratello Da Cirene a Ficunte, 405 o 406

Una lunga lettera tradisce la scarsa intimità di chi la reca con l’autore.216 Ma l’ammirabile Geronzio è informato quanto me; se non

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sinesio di cirene

ψεῦδος ἀνοικείως εἶχε, διηγήσατο ἂν καὶ ὧν ἐπίσταται πλείονα, τῷ φιλεῖν ἐμὲ καὶ τῷ γλῶτταν ἔχειν ἀρκοῦσαν τῇ γνώμῃ. Ὃν ἂν ἴδῃς ἡδέως, εἶδες ὡς ἐγὼ βούλομαι. 85

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Δέδεξο μετὰ τῆς ἐμψύχου καὶ τὴν ἄψυχον ἐπιστολήν, μετὰ τοῦ θαυμαστοῦ Γεροντίου ταῦτα τὰ γράμματα, νόμῳ τὸ πλέον ἢ τῇ χρείᾳ τοῦ προσειπεῖν σε γενόμενα. Ὅτι γὰρ ἡμεῖς συζῶμεν τῇ περὶ σοῦ μνήμῃ, μυρίων ἐπιστολῶν μακρῷ μεγαλοφωνότερον ὁ νεανίσκος ἂν διηγήσαιτο. 86

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἐπιστολὴν ἐπέθηκα τῷ θαυμαστῷ Γεροντίῳ πρὸς τὴν ἱεράν σου καὶ τριπόθητον κεφαλήν, τῆς πρώτης ἐντεύξεως παρέξουσαν πρόφασιν. Τότε μὲν γὰρ αὐτὸν ἴσως δι’ ἐμὲ τιμήσεις, μετὰ δὲ τὴν πεῖραν ἕτερόν τινα δι’ αὐτόν. 87

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ὧι δέδωκα τὴν ἐπιστολήν, ταμίας ἐστὶ καὶ σιτοδότης τοῦ Δαλματῶν τάγματος. Πάντας δ’ ἐγὼ τοὺς Δαλμάτας ἴσα καὶ τοὺς υἱέας φιλῷ· δῆμος γάρ εἰσι τῆς λαχούσης με πόλεως. Ἐμὸν ἦν ταῦτα μηνῦσαι πρὸς σέ, σὸν δὲ τοῖς ἐμοῖς ὡς σαυτοῦ χρήσασθαι.

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lettere 85-87, al fratello

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fosse estraneo alla menzogna, ti racconterebbe anche più di quello che sa, per l’amicizia che ha nei miei confronti e per la capacità che ha di rendere a parole il proprio pensiero. Se lo guarderai di buon occhio, lo guarderai così come io desidero che tu faccia. 85

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405 o 406

Ricevi assieme e la lettera animata e la lettera inanimata, ovvero con l’ammirabile Geronzio queste mie righe, che rispondono più all’abitudine che non alla necessità di parlarti. Infatti, il tuo ricordo accompagna la mia vita e questo giovane potrà esportelo molto più eloquentemente di migliaia di lettere. 86

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405 o 406

Ho affidato all’ammirabile Geronzio questa lettera per la tua sacra e assai desiderata persona: procurerà l’occasione del vostro primo incontro. Forse in un primo tempo lo stimerai perché te lo raccomando io, ma dopo che lo avrai messo alla prova sarai pronto a stimare qualcun altro solo perché te lo raccomanda lui. 87

Allo stesso Da Tolemaide a Ficunte, 411

Colui al quale ho dato questa lettera è intendente e attuario217 dell’unità dei Dalmati. Io li amo tutti come fossero dei figli, poiché costituiscono una comunità della città che mi ha eletto.218 Era mio dovere rivelarti questo, è tuo dovere trattare i miei amici come fossero tuoi.

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sinesio di cirene

88

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Ἠρινὰς ἐπιστολὰς ἀπὸ Θρᾴκης κομισάμενος ἠνώχλησα τῷ φακέλῳ τῶν γραμμάτων εἴπου τις εἴη τὸ κλεινὸν ἐπιγεγραμμένη Πυλαιμένους ὄνομα, ὡς οὐκ ἄξιον ἑτέρῳ βιβλίῳ προεντυχεῖν· ἀλλ’ ἦν οὐδὲν οὐδαμοῦ. Εἰ μὲν οὖν τυγχάνεις ἀποδημῶν, ἀλλ’ ἐπανέλθοις ταχέως τε καὶ καλῶς· εἰ δ’ ἐπεδήμεις, ἡνίκα πάντες οἱ γνώριμοι Ζωσίμῳ τὰς ἐπιστολὰς ἐπεδίδοσαν, τοῦτ’ ἂν εἴη τὸ παράδοξον εἴ τις ἐγένετο περὶ ἐμὲ Πυλαιμένους μνημονικώτερος. 89

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Τέως μὲν ἐπράττομεν εὖ. Εἶθ’, ὥσπερ ῥεύματος ἀνθυπενεχθέντος, καὶ τὰ κοινά τε λυπεῖ καὶ τὰ ἴδια. Ζῶ τε γὰρ οὐκ ἰδιώτης ἐν χώρᾳ πολεμουμένῃ κἀμὲ δεῖ κλάειν ἀεὶ τὴν ἑκάστου συμφορὰν καὶ τοῦ μηνὸς πολλάκις ἐπὶ τὰς ἐπάλξεις πηδᾶν ὡς ἐφ’ ᾧ γε συστρατεύσομαι μεμισθωμένον, οὐκ ἐφ’ ᾧ προσεύξομαι. Τριῶν ἀρρένων ἓν ἔτι μοι λείπεται. Σὺ δὲ ἐὰν ἐξ οὐρίας πλέῃς καὶ ζῇς ἡδέως, οὐ πάν­ τα ἡμᾶς ὁ δαίμων λυπεῖ. 90

ΘΕΟΦΙΛΩΙ  

Οἴχεται τὸ δίκαιον ἐξ ἀνθρώπων. Ἀνδρόνικος καὶ πρότερον ἠδίκει καὶ νῦν ἀδικεῖται. Τὸ δὲ τῆς ἐκκλησίας ἦθος οἷον ὑψῶσαι μὲν τα-

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lettere 88-90, a pilemene

– al fratello – a teofilo

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88

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 407

Quando mi sono giunte delle lettere dalla Tracia spedite in primavera ho subito disfatto il fascio delle missive per vedere se ce n’era una che recava il nome illustre di Pilemene, poiché nessun altro scritto mi pareva degno di essere letto prima: ma non c’era niente da nessuna parte. Se ti trovi in viaggio all’estero, ti auguro un rapido e felice rientro; ma se invece eri già tornato quando tutti i miei amici hanno dato le loro lettere a Zosimo, allora sarebbe sorprendente che qualcun altro si fosse ricordato di me con più premura di Pilemene. 89

Al fratello Da Tolemaide ad Alessandria, 412

Fino a poco tempo fa le cose andavano bene. Poi, come se un torrente in piena si fosse abbattuto su di me,219 sia le faccende pubbliche che quelle private hanno iniziato a darmi solo dolori. Vivo, infatti, e non come cittadino semplice, in una regione in guerra e devo continuamente piangere sulle sventure di ciascuno e balzare più volte al mese sulle mura, come se fossi stato ingaggiato per combattere anziché per pregare. Di tre figli me ne resta soltanto uno. Tuttavia, se tu navighi con vento favorevole220 e vivi felice, allora la sorte non si accanisce su di me completamente. 90

A Teofilo Da Tolemaide ad Alessandria, 412

La giustizia ha abbandonato gli uomini. Andronico, che in precedenza ha commesso dei torti, adesso è lui stesso vittima di un torto. Ma il carattere della Chiesa è proprio di innalzare l’umile

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sinesio di cirene

πεινόν, ταπεινῶσαι δὲ ὑψηλόν. Τοῦτον δὴ τὸν Ἀνδρόνικον ἐμίσει μὲν ἐφ’ οἷς ἐποίει (διὸ καὶ προήκατο μέχρι τούτων ἐλθεῖν), ἐλεεῖ δὲ νῦν ἐφ’ οἷς ἤδη τοῖς ὑπὲρ κατάραν ὡμίλησεν ὅτι καὶ τοὺς νῦν ἐν δυνάμει δι’ αὐτὸν ἐλυπήσαμεν. Ἀλλὰ δεινὸν εἰ μηδέποτε μετὰ τῶν εὐημερούντων στησόμεθα, τοῖς δὲ κλάουσιν ἀεὶ συνδακρύσομεν. Ἡμεῖς τε οὖν ἐνταῦθα στυγνοῦ βήματος αὐτὸν ἐξειλόμεθα καὶ τἄλλα ἐλάττους αὐτῷ παρὰ πολὺ τὰς συμφορὰς ἐποιήσαμεν. Κἂν ἡ σὴ θεοσέβεια φροντίδος αὐτὸν ἀξιώσῃ, τοῦτο μέγιστον ἐγὼ τεκμήριον δέξομαι τοῦ μὴ παντάπασι τὸν ἄνθρωπον ἀπογνωσθῆναι παρὰ θεοῦ. 91

ΤΡΩΙΛΩΙ  

Πάλαι μὲν ἀπραγμονεστέρας ἐποιούμην τὰς πρὸς τοὺς ἑταίρους ἐντεύξεις καὶ γράφων καὶ παρών· ἔζων γὰρ ἐπὶ τῶν βιβλίων τρόπον τινὰ ἀσύντακτος πάσῃ πόλει καὶ πολιτείᾳ· νυνὶ δέ (ἐπέταξε γὰρ ὁ θεὸς εἰς ἀποδεδειγμένον χωρίον οἰκεῖν καὶ αὐτὸν ἔχειν ἐν τῇ πόλει τινὰ τάξιν καὶ ζῆν ἐν διηριθμημένοις ἀνθρώποις) βουλοίμην ἂν οὖν ὄφελος εἶναι τοῖς συλλαχοῦσι καὶ ποιεῖν ἀγαθὸν ὅ τι δυναίμην, καὶ ἕκαστον ἰδίᾳ καὶ τὴν πόλιν κοινῇ, ἵν’ ὁρῴην τε καὶ ὁρῴμην ἡδέως παρὰ τῶν – ὡς ἂν εἴποι τις – σύμπλων τοῦ βίου. Εἴ τι τοίνυν Μαρτύριος ὄναιτο τῆς δι’ αὐτὸν γενομένης ἐπιστολῆς, ἴσθι μοι χαρισάμενος ἐν ἀνδρὶ συνδιημερεύοντι καί, ναὶ μὰ τοὺς λόγους τἀμὰ καὶ σὰ παιδικά, πολλάκις εἰς τὸ συνεῖναί μοι πολὺ καὶ τῆς νυκτὸς μέρος ἐπιλαμβάνοντι.

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lettere 91, a troilo

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e di umiliare il superbo.221 Odiava Andronico per i crimini che compieva (e per questo ha permesso che si giungesse alla situazione attuale222), ma adesso ne ha pietà poiché si è scontrato con mali che sorpassano le maledizioni che gli sono state lanciate – e per causa sua abbiamo anche disturbato gli attuali detentori del potere.223 D’altra parte, sarebbe terribile se non potessi mai giovarmi della compagnia di persone felici, ma dovessi sempre accompagnare col mio pianto il pianto degli altri. Ho dunque strappato a quel punto Andronico all’odioso tribunale,224 riducendo peraltro di molto le sue sventure. Se anche la tua pietà dovesse ritenerlo degno di attenzione, allora questa sarà per me la prova massima del fatto che l’uomo non è stato completamente abbandonato da Dio. 91

A Troilo Da Tolemaide a Costantinopoli, 411

In passato intrattenevo con i miei amici delle relazioni, fossero per iscritto o di persona, del tutto prive delle angosce dei doveri; trascorrevo la mia vita sui libri, in alcun modo inserito in qualsivoglia città o comunità. Adesso invece (dopo che Dio mi ha intimato di abitare in un posto fisso e di ricoprire un certo ruolo nella città e di vivere in mezzo a persone ben precise) vorrei essere d’aiuto a quelli che mi hanno eletto e fare del bene, per quello che posso, a ciascuno individualmente e alla città collettivamente, affinché mi risulti gradevole la vista dei miei, per così dire, “compagni di navigazione nella vita”225 e a loro possa risultare gradevole la mia. Se dunque Martirio traesse un qualche vantaggio da questa lettera, che per lui è stata scritta, sappi che mi farai cosa gradita nella persona di un uomo che condivide la mia vita quotidiana e – te lo giuro su quelle opere letterarie che entrambi noi amiamo – spesso si prende anche buona parte della notte per tenermi compagnia.

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sinesio di cirene

92

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Κακὸν οὐ μικρὸν ἀπολαύσω τῆς ἀγροικίας, λίαν ἀληθεύων διάθεσιν εὖ ἴσθι ὅτι καὶ ἐπὶ τῆς Λιβύων ἐσχατιᾶς. 93

ΗΣΥΧΙΩΙ  

Ἀθηναῖοι Θεμιστοκλέα τὸν Νεοκλέους ἐπῄνεσαν ὅτι, καίτοι πολιτικῆς δυνάμεως ἐραστὴς παρ’ ὁντινοῦν τῶν ἐφ’ ἑαυτοῦ γενόμενος, ἀπηύξατο πᾶσαν ἀρχὴν ἐν ᾗ τῶν ξένων οὐδὲν ἔμελλον πλέον ἕξειν οἱ γνώριμοι. Σοῦ δὲ ὅτι μὲν ἐπέγνωσαν τὴν ἀρετὴν οἱ καιροὶ καὶ διὰ σὲ παρῆλθεν εἰς τὴν πολιτείαν ἀρχῆς ὄνομα καὶ πρᾶγμα καινόν, ἥσθην μὲν ὥσπερ εἰκὸς ἑταίρους ἐκ παλαιοῦ γεγονότας, τῆς ἱερᾶς γεωμετρίας ἀλλήλοις ἡμᾶς μνηστευσάσης· ὅτι δὲ ἐν τοῖς βουλευταῖς καὶ τὸν ἐμὸν ἀδελφὸν ἀξιοῖς ἀριθμεῖν, ἀλλ’ οὐκ ἀπαλείφεις τὴν οἰκίαν ἀπὸ τοῦ πονηροῦ βιβλίου, κἂν εἴ τι κατὰ συμφορὰν ἀρχαίαν προειλήφει γενόμενον, τοῦτο δὲ οὐ κατὰ Θεμιστοκλέα σέ φημι ποιεῖν οὔτε δοκοῦντα τῇ θείᾳ γεωμετρίᾳ. Εὐόπτιον γὰρ ἐν ἀδελφοῖς ἔδει τετάχθαι τοῖς σοῖς εἰ τὰ τῷ αὐτῷ τὰ αὐτὰ καὶ ἀλλήλοις εἶναι δεῖ τὰ αὐτά. Εἰ δὲ διὰ τὸν τῶν περικεχυμένων πραγμάτων ὄχλον τὸ χρεὼν ἠμέληται μέχρι νῦν, δεῖξον, ὦ θαυμάσιε, καὶ λαβὼν τὴν ἐπιστολὴν ἄνες τὴν πενθερὰν αὐτοῦ τῆς ἀτόπου ζημίας καὶ τὰ μετὰ ταῦτα καὶ τὰ προτοῦ. Καὶ ἀπόδος μοι τὸν ἀδελφόν· ὃς εἰ μὲν δι’ αὐτὸ τοῦτο ἀποδημεῖ, θεὸς οἶδε (πρὸς ἐμὲ δὲ πάνυ παραμυθίας δεόμενον ἐπὶ πολλαῖς, ὧν οὐκ ἀνήκοος εἶ, συμφοραῖς οὐδὲν ἕτερον προφασίζεται).

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lettere 92-93, al fratello

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– a esichio

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Al fratello Dai confini meridionali della Pentapoli a Ficunte, 402

La mia rusticità mi procurerà un danno non da poco, giacché, sappilo bene, persino ai confini della Libia mi esprimo con eccessiva schiettezza. 93

A Esichio Da Tolemaide a Cirene, 412

Gli Ateniesi hanno elogiato Temistocle figlio di Neocle per aver rifiutato, sebbene amasse il potere politico più di chiunque altro dei suoi contemporanei, ogni carica dalla quale i suoi amici non avrebbero tratto alcun vantaggio in più rispetto agli stranieri.226 Nel tuo caso, le circostanze hanno fatto sì che i tuoi meriti siano stati riconosciuti; grazie a te è stata introdotta nella nostra amministrazione una nuova funzione, rinnovata nel nome e nel compito.227 Me ne compiaccio, come è giusto che sia fra amici di vecchia data, legati reciprocamente dalla sacra geometria. Quando apprendo però che tu vorresti contare mio fratello fra i curiali, senza cancellare la sua casa dal funesto registro e nonostante si sia verificato un evento conforme ad antica disgrazia,228 mi viene da dire che non agisci né come Temistocle né in conformità con i princìpi della sacra geometria. Avresti infatti dovuto considerare Evopzio come uno dei tuoi fratelli, se due entità uguali a un’altra devono essere anche uguali tra di loro.229 Se è a causa della mole di oneri che si riversano su di te che hai trascurato fino a ora il tuo dovere, dammene prova, ammirabile amico, e una volta ricevuta questa lettera esenta la suocera di mio fratello da quell’ammenda assurda, sia per il futuro che per il passato. E restituiscimi anche mio fratello: se poi questa è la ragione per cui se ne è andato all’estero, solo Dio lo sa (a me però, che ho bisogno di un conforto per tutte le numerose sventure che mi sono capitate, che tu ben conosci, non ha addotto nessun altro pretesto).

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sinesio di cirene

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ΑΝΥΣΙΩΙ  

Πρώην οὐκ ἔφθασα τὴν βαρεῖαν ἀκοὴν ἀπὸ τῆς Κυρήνης πυθόμενος κἀγὼ μὲν διενοούμην ᾗ τάχος ἐπὶ τὰ Τεύχειρα παραπέμψαι τὴν φήμην, ἧκε δέ τις ἀγγέλλων ὡς ὁ στρατηγὸς ἤδη τὰ μετέωρα τῆς χώρας κατείληφεν. Ἐφθάκεις γὰρ ἄρα πυθόμενος. Εὕραιο τῆς προθυμίας ἀμοιβὴν παρὰ τοῦ θεοῦ καὶ νῦν καὶ εἰς ἔπειτα. Ἐγὼ δὲ αὐτὰ ταῦτα καὶ ἐπαινεσόμενος ἔπεμψα καὶ πευσόμενος ἐν οἷς εἴης· εἴης δὲ ἐν ἅπασιν ἀγαθοῖς. Μέλει μὲν γάρ μοι, μέλει καὶ Πεν­ ταπόλεως (πῶς γὰρ οὔ;) τῆς γε μητρίδος, ὡς ἂν Κρῆτες εἴποιεν, οὐχ ἥκιστα δὲ σοῦ καὶ τῆς δόξης τῆς σῆς· ἐφ’ ἑκάστῳ γὰρ δὴ τῶν σῶν ἀγαθῶν ἐμὲ πάντες ἀξιοῦσι συνήδεσθαι. Ὡς οὖν ἐν σοὶ κρινόμενος, ἄριστε ἀνδρῶν τε καὶ στρατηγῶν, δίκαιός εἰμι καὶ εἰδέναι τὰ σά. Ἰωάννην προετρεψάμην, ὡς ἐνῆν, ἀγαθὸν εἶναι καὶ ἄλλως οὐκ ἄθυμον στρατιώτην ἐὰν ὁ θεὸς αὐτῷ τιθῆται. Δὸς αὐτῷ χεῖρα τὸν ἀδελφὸν ὃς ἀντὶ πολλῶν ὑπουργήσει. Τοῦτο ἐμοὶ μὲν ἄριστον δοκεῖ βούλευμα τῷ τὰς φύσεις εἰδότι τῶν νεανίσκων καὶ ὡς ἔχουσι πρὸς ἀλλήλους αἰδοῦς· εἰ δὲ καὶ σοὶ φανεῖται, κύριον ἔστω. Τῶν ἑταίρων τοὺς στρατευομένους ἄσπασαι. Ὁ σύντροφός μου ταχέως ἐπανηκέτω καλόν τι φέρων περὶ πολέμου διήγημα· ὃς καίτοι δειλότατος ὢν ἐθάρσησε τὴν ὁδόν, τῶν σῶν ὅπλων ἔμπροσθεν ὄντων. Δὸς τῇ Κυρήνῃ τὴν συνωρίδα τῶν ἀδελφῶν· μαχοῦν­ ται γὰρ ὑπὲρ τῆς ἐνεγκούσης τε καὶ τρεφούσης αὐτούς. 95

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ὅτι μὲν ἡμᾶς εἴκειν ἡγῇ τοῖς σαυτοῦ προστάγμασιν (οὕτω γὰρ γέγραφας), καλῶς γε ποιεῖς καὶ δίκαια περὶ ἡμῶν φρονεῖς, καὶ πολλὰ κἀγαθά σοι γένοιτο διὰ τοῦτο ὡς ἀπέχομέν γε τὴν χάριν, εἰ δή

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lettere 94-95, ad anisio

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– al fratello

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Ad Anisio Da Tolemaide a qualche zona delle alture comprese tra Cirene e l’entroterra di Teuchira, 411

Non appena l’altro ieri ricevetti la terribile notizia da Cirene decisi di trasmetterla subito a Teuchira, ma è giunto un tale comunicandoci che il generale già controllava le alture della regione. Evidentemente eri stato informato prima di me. Che Dio possa ricompensarti per il tuo coraggio, adesso e in futuro. Ti invio questa lettera sia per elogiarti che per avere tue notizie: spero che tutto ti stia andando bene. Ho a cuore, ho molto a cuore la Pentapoli (d’altronde, come potrebbe essere altrimenti?), “la terra delle nostre madri”,230 come direbbero i Cretesi, ma non ho meno a cuore te e la tua gloria; per ciascuno dei tuoi successi, infatti, tutti vogliono che io mi associ alla loro gioia. Poiché dunque si decide di me in funzione di te, che sei il migliore degli uomini e dei generali, è giusto che io sappia cosa ti succede. Ho esortato Giovanni, per quanto possibile, a essere buono: d’altronde, è un soldato coraggioso, se Dio lo assiste. Dagli come sostegno il fratello, il cui aiuto varrà come quello di molti. Questa mi sembra la migliore decisione da prendere per chi conosca i caratteri di questi giovani e il rispetto che si portano a vicenda: se anche a te sembra una buona idea, che sia messa in pratica. Saluta gli amici che sono nell’esercito. Che il mio compagno di infanzia torni presto, portando delle belle notizie sulla guerra: per quanto sia estremamente timoroso, ha preso coraggio strada facendo, trovandosi le tue armi davanti a lui. Rendi a Cirene la coppia di fratelli:231 combatteranno per la città che li ha partoriti e allevati. 95

Al fratello Da Cirene a Ficunte, 407

Se pensi che io ottemperi ai tuoi comandi (così infatti hai scritto) fai bene e hai una corretta opinione di me. Ti auguro di ottenere per questo molti vantaggi: ti sono insomma riconoscente, anche

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sinesio di cirene

τις ὀφείλεται καὶ νεωτέρῳ παρὰ ἀδελφοῦ πρεσβυτέρου τοῦ πείθεσθαι χάρις, ὡς οὐκ ἔγωγε οἶμαι. Ἀλλ’ ἡμῖν εἰς ἀντίδοσιν ἀρκεῖ τὸ μὴ ἀγνοεῖσθαι παρὰ σοῦ τὴν ἔνστασιν ἡμῶν ὅτι μόνῳ σοὶ τῶν ζώντων ἐκκείμεθα. Ὅτι δὲ φῂς εἰδέναι σαφῶς ὡς δι’ εὐχῆς ἄγοι τὰ τῆς φιλίας ἡμῶν Ἰούλιος, τοῦτο δὲ οὐκέτ’ ἄξιον ἀποδέχεσθαι· λίαν γάρ ἐστιν ἀνδρὸς ἀπατωμένου, μὴ ἀπατῶντός γε εἴποιμι. Ὁμοῦ γὰρ ἐγώ τε τὰ παρὰ σοῦ γράμματα ἀνεγίνωσκον καὶ ἕτερός τις τὰ παρ’ αὐτοῦ· καὶ σὺ μὲν ταῦτα φῄς, ἐκεῖνος δὲ τἀναντία· καὶ ἀνεγνωκέναι καὶ ἀκηκοέναι λεγόντων ὅτι διαλέγοιτο περὶ ἡμῶν ἀνεπιτηδείους λόγους. Οὔτ’ οὖν ἀπιστεῖν εἶχον ἀνδρὶ καλῷ κἀγαθῷ καὶ πιστεύων «οὐ, μὰ τὸν Ὁμόγνιον τὸν ἐμόν τε καὶ σόν», οὐ μετενόουν ἐφ’ οἷς εὖ πεποιήκειν τὸν ἄνθρωπον, αὐτῇ τῇ προτεραίᾳ σὺν βίᾳ τὸν κατήγορον ἀποσκευάσας ὃς ἐδίωκεν αὐτὸν ἀσεβείας ὡς ἀδικοῦντα τὴν βασιλέως ἑστίαν. Νὴ γὰρ τὴν ἱεράν σου κεφαλήν, εἰ μὴ ταῖς συχναῖς πείραις ἀντέσχον, τοῦτο μὲν τῇ τοῦ δικαστοῦ δειλίᾳ μετάνοιαν ἐπὶ τοιαύτης ὑποθέσεως οὐ προσιεμένου, τοῦτο δὲ τῇ τοῦ κατηγοροῦντος ἀπονοίᾳ, προσποιουμένου μὲν τὴν ἀνάγκην, προθυμουμένου δὲ δρᾶσαί τε κακόν τι καὶ παθεῖν, καὶ γαμετῆς ἂν αὐτοῦ καὶ παίδων ἥψατο τὸ δεινότατον καὶ συγγενῶν συχνῶν πάνυ καὶ φίλων, πλουσίων τε καὶ πενήτων, καὶ ὅλως «κακῶν» ἂν «Ἰλιὰς» περιέστη τὴν πόλιν ἡμῶν ὑπ’ ἀνδρὸς ἀπογνόντος τὴν σωτηρίαν καὶ θανατῶντος· ἐνίκησε δ’ ἂν Ἰούλιος νίκην ἐφ’ ᾗ ζῆν οὐκ ἂν ηὔξατο. Ὑπὲρ ὧν ἁπάντων ᾠήθην ποιητέα μοι ταῦτα εἶναι τὰ γεγενημένα. Τῆς δὲ ἐμῆς φύσεώς τε καὶ προαιρέσεως παραπολαυέτω καὶ ὅστις ἔχθιστος. Πολλῷ γὰρ ἐμοὶ κάλλιον ἔχει τὸ ἀναξίως τινὰ πεποιηκέναι καλῶς ἢ περιϊδεῖν πολλούς, ἐξὸν κωλῦσαι, παρὰ τὴν ἀξίαν πεισομένους κακῶς. Οὐ γὰρ δὴ καὶ τὴν εὐγενῆ γυναῖκα καὶ τὰ παιδία τἀνθρώπου μισῶ. Καίτοιγε οὐδ’ αὐτὸς ἄξιός ἐστιν ἐπὶ ταῖς κατ’ ἐμοῦ λοιδορίαις παθεῖν τι κακῶς ὑπ’ ἐμοῦ, πολλοῦ γε καὶ δεῖ. Μισεῖ μὲν γὰρ καὶ πάνυ· λυπεῖν γὰρ οἰόμενος λέγει καὶ

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lettere 95, al fratello

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se – ma non lo credo – il fratello maggiore dovrebbe piuttosto della gratitudine al minore per la sua obbedienza.232 Per quanto mi riguarda, mi basta che in cambio tu non ignori il mio atteggiamento: sei il solo tra gli esseri viventi da cui io dipenda. Il fatto però che tu dica di sapere per certo che Giulio233 desidera la mia amicizia non è degno di essere preso in considerazione: è l’affermazione di un uomo che si inganna, per non dire che intende ingannare. Mentre io stavo leggendo la tua lettera, un altro234 leggeva quella di Giulio; e se tu dicevi questo, quello diceva l’opposto: cioè di aver letto e di aver sentito dire che Giulio avrebbe espresso nei miei confronti delle parole sconvenienti. Non potevo non fidarmi di quest’uomo onesto e, accordandogli la mia fiducia – “ne chiamo a testimone il dio protettore del nostro vincolo fraterno” –, non mi pentivo assolutamente di aver fatto del bene a Giulio, di avere energicamente respinto proprio ieri un accusatore che lo imputava di empietà, poiché avrebbe recato offesa alla casa dell’imperatore. Lo giuro sulla tua sacra persona, se non mi fossi opposto ai reiterati tentativi e del giudice, che per vigliaccheria non ammetteva ripensamenti su una tale questione, e dell’accusatore, che nella sua follia fingeva di cedere alla necessità e bramava di commettere e di subire il male, sarebbe toccato il peggio alla moglie di Giulio e ai suoi figli, nonché a molti parenti e amici, ricchi e poveri, e per dirla interamente “un’Iliade di mali”235 avrebbe minacciato la nostra città, per colpa di un uomo che aveva rinunciato alla propria salvezza e si era deciso a morire. Giulio avrebbe potuto riportare una vittoria che non gli avrebbe reso desiderabile vivere. Per tutte queste persone ho ritenuto di dovere fare ciò che ho fatto. Che anche il mio peggior nemico possa approfittare della mia natura e della mia condotta. Infatti, è molto meglio per me fare del bene a qualcuno che non lo merita piuttosto che restare indifferente dinanzi al fatto che molti subiscano dei torti senza averlo meritato, peraltro quando è possibile impedirlo. In verità, io non ho in odio né la moglie di Giulio, che è di nobile stirpe, né i suoi figli. E nemmeno lui merita, tutt’altro, di patire del male da parte mia per le ingiurie che lancia contro di me. Certo, è pieno di odio: parla col proposito

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sinesio di cirene

ὡς δηξόμενος φθέγγεται· ἡ προαίρεσις οὖν οὐκ ἀνεύθυνος, ἀλλ’ ὑπαίτιος. Ἴστω μέντοι, μᾶλλον δὲ μὴ ἴστω· παύσαιτο γὰρ ἂν εὖ ποιῶν ἡμᾶς. Σὺ μέντοι σαφῶς ἴσθι τὸ πάλαι λεγόμενον «ὑπ’ ἐχθρῶν ὡς ἔστιν ὠφελεῖσθαι» νῦν ἔργῳ φαινόμενον. Τί γὰρ εἰς εὔκλειαν ἡμῖν ὁ ἀνὴρ οὐ συντελεῖ; Πᾶς ὅστις ἡμᾶς ἐπαινεῖν βούλεται, μηδὲν ἕτερον ἐξευρίσκων εἰπεῖν, λέγει τοῦτο πρῶτον καὶ μόνον καὶ μέγιστον ὡς· «Ἰούλιος αὐτὸν ἀγορεύει κακῶς.» Ἑνὶ δὲ τούτῳ λόγῳ ποῖος οὐκ ἐσμὸς ἀγαθῶν; Τὸ γὰρ ἀντικειμένως ἔχειν πρὸς παντοδαπὴν πονηρίαν οἰκείως ἐστὶν ἔχειν πρὸς παντοδαπὴν ἀρετήν. Ἐγὼ μὲν οὖν οὐδὲν ἂν ἐμαυτῷ συνειδείην τοιοῦτον, ἐκεῖνος δέ φησιν· οἷς γὰρ τἀναντία φησὶ τοῦτο πιστοῦται. Ὥστε καὶ χάριν ἂν εἰδείην αὐτῷ. Νὴ τὴν ἱεράν σου κεφαλὴν καὶ τὴν τῶν παιδίων μου σωτηρίαν, οὐκ ἔστιν ὅ τι ἄν μοι τοῦ λοιδορῆσαι μεῖζον χαρίσαιτο· καὶ γὰρ καὶ πρὸς θεοῦ καὶ πρὸς ἀνθρώπων ἐν τῷ καλλίστῳ μοι κείσεται τοῦτο. Ἀλλὰ καὶ τῆς προαιρέσεως δώσει δίκας· ἐμοὶ μὲν οὔ· τυχὸν μὲν γὰρ οὐδ’ ἂν εἰ δυναίμην βουλοίμην, πάντως δὲ οὐδ’ ἂν εἰ βουλοίμην δυναίμην. Τί γὰρ παρὰ τὸν ἐπὶ καιροῦ δυνάστην ἄνθρωπος οὕτως ἀτυχὴς ὡς ἀλᾶσθαι φεύγων τὴν ἑαυτοῦ καὶ μηδὲ ἐλπίδας ἔχων καθόδου, τῶν πολεμίων ἐστρατοπεδευκότων ἐν τοῖς ἐμοῖς κἀκείνοις ὁρμητηρίοις κατὰ Κυρήνης χρωμένων; Τίνι μέν­ τοι, τίνι δώσει δίκας; Αὐτῇ τῇ Δίκῃ· ἐγγυῶμαι γὰρ ἐγὼ τοῦτο σαφῶς, εὖ εἰδέναι δοκῶν. Μετελεύσεται γὰρ αὐτὸν ὑπὲρ ἐμοῦ καὶ τῆς κοινῆς πατρίδος ὑπὲρ ἧς τἀναντία πεπολιτεύμεθα καὶ δι’ ἣν ἀλλήλοις ἀπηχθήμεθα. Οὐ γὰρ ὑπὲρ τῶν ἐμαυτοῦ τινος (οὐδ’ ἂν αὐτὸς εἰπεῖν ἔχοι)· ἀλλὰ τὰ πρῶτα μὲν ὅτι τὸ στρατιωτικόν τε καὶ τὸ βουλευτικὸν ἑώρων εἰς θητικὸν καὶ ἐπειρώμην ἀντέχειν, ἔπειτα μέντοι τὰ περὶ τὴν πρεσβείαν καὶ πάνυ λαμπρῶς διεστασίασεν ἡμᾶς. Ἐῶ τὰ κατὰ τὸν ἑταῖρον Διοσκουρίδην ὅτι μετρίως ἐπρά-

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di nuocere e non apre bocca se non per mordere; le sue intenzioni, dunque, sono tutt’altro che irreprensibili, anzi sono degne di biasimo. Che lo sappia, o piuttosto, no, che non lo sappia: potrebbe smettere di rendermi il suo servizio. Tu, invece, tieni ben presente che il vecchio detto secondo cui “si può trarre vantaggio anche dai nemici”236 si sta rivelando vero alla prova dei fatti. Che cosa non ha compiuto quell’uomo per contribuire alla mia reputazione? Chiunque intenda elogiarmi e non trovi altri argomenti da dire ricorre a questo, encomio di primo livello, unico, massimo: “Giulio parla male di lui”. Quale “sciame di beni”237 non racchiude questa sola frase? Trovarsi in contrapposizione a ogni sorta di vizio equivale ad avere familiarità con ogni sorta di virtù. Io non potrei mai dire una cosa del genere su me stesso, ma Giulio lo afferma: infatti, si deve dare credito solo al contrario di ciò che dice. Perciò, dovrei essergli grato. Lo giuro sulla tua sacra persona e sulla vita dei miei figli, nulla potrebbe darmi più piacere delle sue offese: questo mi metterà nella migliore luce agli occhi di Dio e degli uomini. Eppure, la sua condotta sarà punita. Non certo da me: forse non lo vorrei nemmeno se potessi, e in ogni caso nemmeno se lo volessi lo potrei. Che cosa può valere infatti per l’attuale detentore del potere un uomo come me che è sfortunato al punto da vagare esule senza avere neanche una speranza di ritorno, giacché i nemici si sono accampati sulle mie terre utilizzandole come base per attaccare Cirene? Da chi, allora, da chi verrà punito Giulio? Dalla giustizia in persona; e se lo garantisco con tale chiarezza, evidentemente è perché lo so per certo. La giustizia lo punirà a beneficio mio e della nostra comune patria, per difendere la quale abbiamo adottato delle politiche opposte e a causa della quale è sorta questa nostra reciproca ostilità. Non è stato certo perché io abbia mai agito per un qualche mio interesse (questo neppure lui oserebbe affermarlo), ma, la prima volta, perché mi resi conto che sia il nostro esercito che le nostre curie tendevano al servilismo e cercai di resistere, mentre la seconda volta fu per la questione dell’ambasciata, che ci divise radicalmente. Tralascio la faccenda del mio amico Dioscoride poiché fu gestita con moderazione e non in maniera tale da suscitare

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sinesio di cirene

χθη καὶ οὐχ ὡς ἂν κινῆσαι θεοῦ τε καὶ ἀνθρώπων νέμεσιν. Αὕτη μέντοι σαφῶς ἐστι περὶ ἧς πρὸς λύραν ᾄδομεν· «λήθουσα δὲ πὰρ πόδα βαίνεις, γαυρούμενον αὐχένα κλίνεις, ὑπὸ πῆχυν ἀεὶ βιοτὰν κρατεῖς.»

Ἀλλὰ ψηφίζεσθαι δέον, ἐγὼ μὲν ἔγραφον ὑπὲρ τῆς πατρίδος ἀστρατείαν εἶναι τοῖς ξένοις, ὁ δὲ ἀντέλεγεν ὑπὲρ Ἑλλαδίου καὶ Θεοδώρου. Καίτοι τίς οὐκ οἶδεν ὅτι καὶ τοὺς φύσει στρατιωτικῶς ἔχοντας τῶν ἀρχόντων οἱ ξένοι μεταδιδάσκουσι καὶ μετασκευάζουσιν εἰς ἐμπόρους; Πάλιν ἔγραφον ὑπὲρ τοῦ λελύσθαι τὴν παρ’ ἡμῖν στρατηγίαν (ὅπερ ἅπαντες ὁμοφώνως οἱ τῇδε ἄνθρωποι μόνον εἶναί φασι λυτήριον τῶν δεινῶν, ἐπανελθεῖν εἰς τὴν ἀρχαίαν ἡγεμονίαν τὰς πόλεις, τοῦτ’ ἔστιν ὑπὸ τὸν Αἰγυπτίων ἄρχοντα καὶ τὰς Λιβύων τετάχθαι), ὁ δὲ ἀντέλεγεν ὑπὲρ τῶν κερδῶν καὶ ἄντικρυς ἀπετόλμα λέγειν ὅτι λυσιτελεῖ ταπεινοὺς εἶναι στρατιώτας. ‹Ἀλλ’ ὦ τᾶν – ἄξιον γὰρ διὰ σοῦ πρὸς αὐτὸν εἰρῆσθαι – διὰ ταῦτα νῦν μὲν ἐπάρατος εἶ, τῆς κοινῆς τύχης ἐπὶ τἀναντία πειρώμενος· εὐτυχεῖς γὰρ ἐν ἀτυχοῦσιν, ἐγὼ δὲ τῇ πόλει συνατυχῶ. Ἴσθι μέντοι σαφῶς ὅτι φύσεώς ἐστι νόμος ἐμπεριέχεσθαι τῷ καθόλου τὰ μέρη. Καὶ ὅταν πάνυ πολὺς ἀπὸ τῆς τοῦ σώματος συμφορᾶς ὁ σπλὴν αὐξηθῇ, ἕως μὲν ἀντέχει τὸ ὅλον, εὐσθενεῖ τε καὶ πιαίνεται, ἀπολλυμένῳ δὲ συναπόλλυται. Καὶ σὺ τὸ παρὸν εὖ τιθέμενος, λήσεις τοῖς σαυτοῦ πολιτεύμασιν εἱμαρμένη τῆς πατρίδος τε ὢν καὶ σαυτοῦ. «Μέχρι τούτου Λασθένης ὠνομάζετο φίλος Φιλίππου μέχρι προὔδωκεν Ὄλυνθον.» Τὸν δὲ ἄπολιν πῶς εἰκός ἐστι εὐτυχεῖν;›

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lettere 95, al fratello

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la vendetta di Dio e degli uomini.238 Ed è proprio di Nemesi che noi cantiamo al suono della lira: “Tu che di nascosto avanzi, passo dopo passo, tu che inclini il collo orgoglioso, tu che nella tua bilancia tieni la nostra vita”.239

Ma quando si dovette votare, io proposi, nell’interesse della patria, l’esenzione dal servizio militare per gli stranieri e Giulio espresse parere contrario, in favore di Elladio e Teodoro. D’altronde, chi non sa che gli stranieri riescono a far disimparare il mestiere anche a quei comandanti per loro natura portati alla vita militare, mutandoli in trafficanti? Un’altra volta proposi di porre fine al governatorato militare nella nostra provincia (giacché tutti qui unanimamente concordano che la sola soluzione ai nostri mali è di riportare le città sotto la loro antica autorità, cioè di mettere anche le città della Libia sotto la responsabilità del funzionario imperiale d’Egitto), ma Giulio espresse un’opinione contraria e favorevole ai profitti, osando anche affermare apertamente che era vantaggioso che i soldati avessero una scarsa importanza.240 “Ebbene, caro mio” – intendo infatti rivolgermi a lui per tuo tramite – “per questo adesso sei colpito da maledizioni, perché le tue azioni vanno contro l’interesse comune; infatti, te la passi bene in mezzo a persone che stanno male, mentre io condivido la cattiva sorte della città. Tieni bene a mente che è una legge di natura a volere che le parti siano comprese in un tutto. Quando, per una malattia del corpo, la milza si ingrossa notevolmente, finché l’organismo resiste mantiene la sua forza e continua a gonfiarsi; ma se quello perisce, perisce anch’essa. Al momento, la tua situazione è buona e non ti accorgi che i tuoi atti politici finiranno col rivelarsi fatali e per la patria e per la tua stessa persona. ‘Lastene non fu detto amico di Filippo fino a che non tradì Olinto’.241 Come è possibile che chi non ha una città possa godere di buona sorte?”

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sinesio di cirene

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ΟΛΥΜΠΙΩΙ  

Ἐγὼ μάρτυρα ποιοῦμαι θεὸν ὃν καὶ φιλοσοφία καὶ φιλία πρεσβεύει, πολλοὺς μὲν ἂν θανάτους ἀνθ’ ἱερωσύνης εἱλόμην· τοῦ θεοῦ δὲ ἐπενεγκόντος οὐχ ὅπερ ᾔτουν, ἀλλ’ ὅπερ ἠβούλετο, εὔχομαι τὸν γενόμενον νομέα τοῦ βίου γενέσθαι καὶ τοῦ νεμηθέντος προστάτην ὡς μὴ φανῆναί μοι τὸ πρᾶγμα φιλοσοφίας ἀπόβασιν ἀλλ’ εἰς αὐτὴν ἐπανάβασιν. Τέως δέ, ὥσπερ εἴ τί μοι τῶν ἡδέων συνεπεπτώκει, ἐκοινωσάμην ἄν σοι τῇ πάντων φιλτάτῃ μοι κεφαλῇ, οὕτω καὶ τῶν δυσχερῶν εἰς σὲ παραπέμπω τὴν ἀκοὴν ἵνα συνάχθοιό τε καὶ εἴ τι δύναιο, πρὸς τὴν ἐμὴν φύσιν ἐξετάσας τὸ πρᾶγμα, εἰσηγήσαιο γνώμην ὅ τι με δεήσοι ποιεῖν. Νῦν γὰρ ἐγὼ πόρρωθεν οὕτω διαπειρῶμαι τοῦ πράγματος ὡς ἕβδομον ἤδη μῆνα γενόμενος ἐν τῷ δεινῷ μακρὰν ἀποδημῶ τῶν ἀνθρώπων παρ’ οἷς ἱεράσομαι ἕως ἂν ἀκριβῶς ὁποῖόν ποτέ ἐστι τὴν φύσιν κατανοήσω. Κἂν μὲν ἐγχωρῇ μετὰ φιλοσοφίας, ἐργάσομαι τὸ πρᾶγμα· εἰ δὲ ἀλλοῖόν ἐστιν ἢ κατὰ τὴν ἐμὴν ἀγωγήν τε καὶ προαίρεσιν, τί ἄλλο ἢ τὴν εὐθὺ τῆς κλεινῆς Ἑλλάδος ἀποπλέων οἰχήσομαι; Ἀπειπαμένῳ γὰρ τὴν ἱερωσύνην ἀπογνωστέον ἐστὶ καὶ τῆς πατρίδος εἰ μή με δεῖ πάντων ἀτιμότατον εἶναι καὶ ἐπαρατότατον, ἐν ὄχλῳ μισούντων ἀναστρεφόμενον. 97

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ

Τὴν ἐπιστολὴν ἀναγινώσκων ἐν ᾗ διηγήσω περὶ τῆς ἀρρωστίας, καὶ ἐφοβήθην ἀρχόμενος καὶ παυόμενος ἀνεθάρρησα· ἀπειλήσας γὰρ κίνδυνον εὐηγγελίσω τὰ λῴονα. Περὶ ὧν δὲ ᾔτησας πεμφθῆναι

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lettere 96-97, a olimpio

193 96

A Olimpio Da Cirene o Tolemaide alla Siria, 411

Chiamo a testimone la divinità venerata dalla filosofia e dall’amicizia: avrei preferito mille volte la morte piuttosto che il sacerdozio. Poiché però Dio non ha imposto ciò che io auspicavo ma la sua volontà, lo supplico, lui che mi ha dato la vita, di farsi protettore di quanto mi ha donato, affinché questo compito non mi appaia come un regresso dalla filosofia ma come un’ascesa verso di essa. Nel frattempo, come, se mi fosse capitato qualcosa di piacevole, lo avrei condiviso con te, che sei per me la persona più cara di tutte, così ti trasmetto la notizia delle mie sventure affinché tu ne sia partecipe e, se puoi, dopo avere esaminato la questione tenendo conto della mia natura, mi dica la tua opinione in merito a ciò che dovrei fare. Adesso infatti è da così tanto tempo che affronto la questione che, dopo avere trascorso sei mesi a disagio,242 mi sono recato lontano dalle persone presso le quali eserciterò il sacerdozio, fino a che non avrò compreso in cosa esattamente consista la natura del mio compito. Se sarà in accordo con la filosofia, lo eserciterò; se invece dovesse essere contrario alla mia condotta e ai miei princìpi, che altro potrò fare se non prendere il mare e andarmene dritto nella gloriosa Grecia? Se rinuncio al sacerdozio dovrò rinunciare anche alla patria, a meno che non voglia restarvi come il più disonorato e maledetto degli uomini, circondato da una folla di persone che mi ha in odio. 97

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398

Leggendo la lettera in cui mi parlavi della tua malattia, inizialmente ho temuto, ma alla fine mi sono rassicurato: infatti, dopo avermi prospettato un pericolo, mi hai annunciato delle notizie migliori. In merito alle cose che mi hai chiesto di mandarti o di

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sinesio di cirene

παρ’ ἡμῶν ἢ κομισθῆναι, τὰ δυνατὰ πάντα πάντως ἢ πεμφθήσεται ἢ κομισθήσεται. Τίνα δὲ αὐτῶν τὰ δυνατὰ καὶ τὰ μὴ δυνατά, περιττὸν γράφειν· αὐτὴ γὰρ ἡ δόσις ἐπιδείξει. «Ἐρρωμένος» καὶ εὐδαίμων «διαβιῴης», θεῷ κεχαρισμένε, ἑταῖρε τριπόθητε. Γένοιτο ἡμᾶς καὶ συμμίξαντας ἀλλήλων αὖθις ἀπολαῦσαι καὶ μὴ προεξέλθοις πρὶν ἂν ἀλλήλοις ἐντύχωμεν. Εἰ δὲ θεὸς ἄλλῃ πη βεβούλευται, σὺ δὲ καὶ ἀπόντων ἡμῶν μέμνησο. Βελτίοσι μὲν γὰρ Συνεσίου ἐντεύξῃ πολλοῖς, φιλοῦσι δὲ μᾶλλον οὐκ ἂν ἄλλοις ἐντύχοις. 98

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Πῶς οἴει με διψῶντα ταῖς ἡδίσταις ἐπιστολαῖς ἐντετυχηκέναι, περὶ ποῖα δὲ μέρη τῶν ἐπιστολῶν οὐχὶ πάσῃ διαχυθῆναι τῇ ψυχῇ; Ἀφ’ ὧν ἦλθον εἰς πολλαπλασίαν διάθεσιν, καὶ οὐκ εἰς μακρὰν προσδοκῶ τὴν Ἀλεξάνδρειαν ἔχουσαν ἔτι τὴν φίλην κεφαλὴν ὄψεσθαι. Καὶ ἐφ’ οἷς γὰρ Σεκοῦνδον εὖ ἐποίησας ἡμᾶς ἐτίμησας καὶ ἐφ’ οἷς οὕτω γράφων τιμᾷς ἐξηρτήσω σαυτοῦ καὶ πεποίηκας εἶναι σούς, παρ’ ὅσον τῶν χαμαὶ ἐρχομένων ὄντες οὐκ ἐπιγινώσκομεν τὴν ἀξίαν, διπλῇ τιμώμενοι, καὶ τῷ μεγέθει τῶν γραφομένων καὶ τῇ σπουδῇ τῶν γενομένων. Τῷ δεσπότῃ μου τῷ κόμητι γέγραφα μὲν ἤδη πολλάκις· ἐπεὶ δὲ ἐν ταῖς διὰ τοῦ παιδὸς ἐπιστολαῖς αἰτιᾷ μὴ γεγραφότα πρὸς αὐτόν, ἐπέθηκα καὶ τῷ δεσπότῃ μου τῷ ἀδελφῷ πρὸς αὐτὸν γράμματα. «Ἐρρωμένος καὶ εὐδαιμονῶν» διατέλει, φιλοσοφίας φροντίδα ἔχων ὅση προσήκει τῷ μετὰ θείων ἐρώτων ἠργμένῳ ταύτης. Ἀπὸ τῆς κλίνης σοι γέγραφα, μόλις ἀνεχόμενος εἰς διασκευὴν τῶν γραμμάτων. Εὖξαι τὰ ἄριστα ἡμῖν, ἅπερ ἂν ὁ θεὸς ἄριστα δοκιμάσοι. Ἐὰν ἀνασφήλω, ἐπὶ τὴν Ἀλεξάνδρειαν εὐθὺς ἵεμαι.

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lettere 98, a olimpio

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portarti, tutto il possibile ti sarà senz’altro mandato o portato. Quali cose sarà possibile farti avere e quali no, è superfluo indicarlo in questa lettera: la consegna stessa lo mostrerà. “Ti auguro di vivere sano” e felice, tu che sei caro a Dio, amico assai desiderato. Che possiamo ritrovarci e godere reciprocamente l’uno dell’altro: non partire prima che ci siamo rincontrati. Ma se Dio ha stabilito diversamente, ricordati di me anche in mia assenza. Ti capiterà di incontrare molte persone migliori di Sinesio, ma nessuno che ti amerà di più. 98

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 399

In quale stato credi che abbia letto, assetato com’ero, le tue graditissime lettere, e su quali passi non ho effuso tutta quanta la mia anima? Mi hanno suscitato ogni genere di sentimento e conto di rivedere fra non molto Alessandria, in cui ancora si trova la tua cara persona. Infatti, nel riservare un buon trattamento a Secondo mi hai onorato e nell’onorarmi scrivendo tali lettere mi hai legato a te e mi hai reso tuo. Per quanto, facendo parte degli umili, non mi riconosco degno del doppio onore che mi hai reso, da un lato con la grandezza delle cose che mi hai scritto, dall’altro con lo zelo di ciò che hai fatto. Al mio signore il Conte243 ho già scritto più volte; ma poiché nelle lettere che mi ha portato lo schiavo mi accusi di non avergli scritto, ho consegnato a mio fratello, ancora a beneficio del mio signore, una lettera indirizzata a lui. Continua a vivere “sano e felice” dedicandoti alla filosofia come si conviene a chi si è legato a essa con un amore divino. Ti scrivo dal mio letto, tenendomi su a stento per redigere la lettera. Fammi i migliori auguri, ovvero quelli che Dio ritenga i migliori. Se mi rimetterò, verrò subito ad Alessandria.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Καινὸς οὗτος τρόπος ἐπιτηδεύεται παρ’ ἐμοῦ χρείας ἐπιστολῶν. Οὐ γὰρ ἵνα συστήσω τῇ φιλίᾳ τῇ σῇ τὸν ἐπιδιδόντα τὴν ἐπιστολὴν γέγραφα, ἵνα δέ σοι τὸν ἄνδρα χαρίσωμαι, κέρδος οὐ μικρὸν ἐσόμενόν σοί τε καὶ τῷ μεγάλῳ Διογένει τοῖς σοῖς παιδικοῖς. Καὶ μὴ χαλεπήνῃς εἰ κέρδος οὐχ ὑμᾶς Θεοτίμῳ, Θεότιμον δὲ ὑμῖν εἶναι δοκιμάζω καὶ λέγω. Ἀλλὰ τοῦτο εἴ γε ποιητὴς ἀνὴρ τῶν νῦν ἐνθεώτατος δυνάμεως δέοιτο· δυνάμεως δὲ δεῖταί τις ἂν ποιητικῆς ἵνα καὶ τοῖς μετέπειτα δόξῃ καὶ μηδὲ τοὺς ἀπόντας λάθῃ. Τὰ γὰρ μεγάλα τῶν ἔργων, ἂν μὴ τύχῃ λόγων κηρύκων, ἀπορρεῖ τῆς μνήμης καὶ λήθην ἀμπίσχεται, παρ’ αὐτὸν μόνον τὸν τοῦ πράττεσθαι καιρὸν ἐν τοῖς ὁρῶσιν ἀνθήσαντα. Ταύτῃ τε οὖν τιμητέον ὑμῖν τὸ ἕρμαιον καὶ ἀντὶ παντὸς σπουδαστέον, καὶ δίχα τῆς χρείας· αἰδοῖ γὰρ Μουσῶν τοὺς ἱερεῖς αὐτῶν ἄξιον περιέπειν καὶ μὴ δευτέρους τίθεσθαι τῶν κολακεύειν τὰς θύρας εἰδότων. Προσ­ κείσθω καὶ τρίτη τις αἰτία τῆς παρ’ ὑμῶν εἰς τὸν ἄνδρα τιμῆς Συνέσιος ἀγασθεὶς αὐτοῦ πάντα ἐφ’ οἷς ἀνθρώπους ἄνθρωποι καὶ ἐπαινοῦσι καὶ μακαρίζουσιν. «Ἐρρωμένος διαβιῴης», πάντων ἕνεκα ἐμοὶ τίμιε. Προσαγορεύουσι τὴν ἱεράν σου διάθεσιν πάντες οἱ τὴν αὐτὴν ἡμῖν οἰκίαν οἰκοῦντες, ἐξ ἁπάντων δὲ μάλιστα ὁ σὸς Ἰσίων· καὶ ἡμεῖς τοὺς ἅμα σοί, μάλιστα δὲ τὸν ἐμὸν Ἀβραάμιον. Τῷ κόμητί γε δοῦναι ἃ γέγραφα, αὐτὸς δοκιμάσεις εἴτε καὶ μή.

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lettere 99, a olimpio

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Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 399

Ecco un nuovo modo per me di praticare la corrispondenza epistolare. Non ti scrivo infatti per raccomandare alla tua amicizia colui che ti reca la lettera, ma piuttosto per offrirti la conoscenza di quest’uomo, dal quale trarrete un vantaggio non piccolo né te né il grande Diogene, che è un tuo caro amico. Non te la prendere se penso e se ti dico che trarrete più vantaggi voi da Teotimo244 che Teotimo da voi. Quest’ultimo caso si porrebbe soltanto se un uomo come lui, uno dei poeti più ispirati del nostro tempo, avesse bisogno del potere; ma se necessita di un potere, è quello della poesia, per avere fama presso i posteri o perlomeno non risultare sconosciuto a chi gli si trova lontano. Infatti, le grandi gesta che non siano state trasmesse dalle opere letterarie sfuggono alla memoria e sono avvolte dall’oblio, dopo una fioritura che si riduce al solo momento in cui esse vengono compiute per i soli testimoni diretti. Perciò, dovete onorare questo guadagno inaspettato e tenerlo nella massima considerazione, indipendentemente dal vostro tornaconto. È per il rispetto dovuto alle Muse che i loro sacerdoti devono essere trattati con riguardo e non considerati da meno degli abili adulatori che bussano alla porta. Si aggiunga poi un terzo motivo per il quale dovete onorare questa persona e cioè il fatto che Sinesio ammira in lui tutte le qualità per cui gli uomini si lodano e si congratulano fra di loro. “Ti auguro di vivere sano”, amico che tutti mi spingono a stimare. Tutti quelli che abitano in questa nostra casa salutano il tuo sacro affetto,245 e soprattutto il tuo Isione;246 salutiamo anche quelli che si trovano con te, in particolare il mio caro Abramo. Se dare la mia lettera al Conte, lo deciderai tu.

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sinesio di cirene

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ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Οὗτος ἐκεῖνος ὁ πολὺς ἐν τοῖς λόγοις ἡμῶν Ἀναστάσιος. Καὶ σὲ δ’ ἂν αὐτῷ δείξας, τὸν αὐτὸν ἔπαινον εἶπον ἂν περὶ σοῦ. Ὥσπερ οὖν ἐν ἐμοὶ συνελθόντες πάλαι καὶ τὴν συντυχίαν ἀναγνωρισμὸν ποιησάμενοι, φιλοφρονήσασθέ τε ἀλλήλους καὶ κοινῇ σκοπεῖτε πῶς ἂν ἀγαθόν τί με ποιήσητε. Σχολὴ δὲ μέγιστον ἀγαθόν, ἣν εἴποι τις ἂν ὥσπερ χώραν πάμφορον ἅπαντα καλὰ φέρειν τῇ τοῦ φιλοσόφου ψυχῇ. Καρπώσομαι δὲ σχολὴν ἂν τοῦ συντετάχθαι τῇ πολιτείᾳ Ῥωμαίων ἀπαλλαγῆναί μοι γένηται. Τοῦτο δὲ παρέσται τῆς λειτουργίας ἀνειμένῳ τῆς καταράτου, ἧς τὸ μὲν ἐπὶ βασιλεῖ γέγονα ἐκτός, ἐμαυτὸν δ’ ἂν αἰτιασαίμην δικαίως, αἰσχυνθεὶς ὄνασθαι σπουδῆς οἰκείας. Ἀπολογήσομαι τοίνυν αὐτὸς ἐμαυτῷ. Δόξω γὰρ αὐτουργεῖν πάλιν τὴν πρεσβείαν· πάλιν γὰρ ἐμοὶ γλῶττα πρεσβεύει. Καὶ οὐδεὶς ἀντερεῖ τῶν Πυθαγόραν ἐπαινεσάντων, ὃς «τὸν φίλον ἄλλον ἑαυτὸν» ὡρίσατο. 101

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Φυκούντιος ἄνθρωπος (Κυρηναίων δὲ ἐπίνειον ὁ Φυκοῦς) ἐπέδωκέ μοι φέρων ἐπιστολὴν τὸ σὸν ἐπιγεγραμμένην ὄνομα. Ταύτην ἀνέγνων ἡδέως ἅμα καὶ ἀγαμένως· ὠφείλετο γὰρ τὸ μὲν τῇ διαθέσει τῆς ψυχῆς, τὸ δὲ τῷ κάλλει τῆς γλώττης. Καὶ δῆτα παρεσκεύασά σοι θέατρον ἐπὶ Λιβύης Ἑλληνικόν, ἀπαγγείλας ἥκειν ἀκροασομένοις ἐλλογίμων γραμμάτων. Καὶ νῦν ἐν ταῖς παρ’ ἡμῖν πόλεσιν ὁ Πυλαιμένης πολύς, ὁ δημιουργὸς τῆς θεσπεσίας ἐπιστολῆς. Ἓν τοῦτο ἄτοπον ἐφάνη καὶ παρὰ δόξαν ἀπήντησε τῷ θεάτρῳ· τὰς Κυνηγετικὰς ᾔτεις τὰς ἐμὰς ὡς δή τι σπουδαῖον αὐταῖς

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lettere 100-101, a pilemene

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A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 405 o 406

Ecco il famoso Anastasio di cui ti ho tanto parlato. Se avessi presentato te a lui, avrei speso le stesse parole di lode per te. Giacché dentro di me vi siete incontrati già da molto tempo, considerate pure questo trovarvi come un ritrovarvi e salutatevi con affetto e valutate assieme come essermi favorevoli. L’ozio è il bene più grande: si potrebbe definire una terra fertile che reca ogni genere di bellezza all’anima del filosofo. Raccoglierò i frutti dell’ozio soltanto quando potrò svincolarmi da ogni partecipazione alla vita politica romana. Questo mi sarà possibile quando sarò libero dalla maledetta funzione247 che esercito, dalla quale, per quanto riguarda l’imperatore, sarei già esentato; d’altro canto, me ne vorrei, e giustamente, se dovessi trarre vergognosamente profitto dalla mia personale premura. Prenderò dunque le mie difese dinanzi a me stesso. Mi sembrerà di compiere un’altra ambasciata: di nuovo, infatti, la mia lingua compirebbe una missione da ambasciatore. E non mi contraddirà nessuno degli elogiatori di Pitagora, che ha definito “l’amico un altro se stesso”.248 101

Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 405

Un uomo di Ficunte (Ficunte è lo scalo navale di Cirene) mi ha portato e dato una lettera con sopra scritto il tuo nome. L’ho letta con piacere e ammirazione al tempo stesso: e questo lo devo e alla disposizione della tua anima e alla bellezza della tua lingua. Perciò, ti ho procurato un uditorio, quello degli Elleni della Libia, che ho invitato a venire ad ascoltare la lettura di un’epistola di notevole qualità. Adesso Pilemene, l’autore di quella divina lettera, è divenuto celebre nelle città della nostra provincia. Un solo elemento è parso strano e in contrasto con le attese dell’uditorio: il fatto che tu mi abbia chiesto le mie Cinegetiche,249 come se ci fosse qualcosa di

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sinesio di cirene

ἐνόν. Ἔδοξας οὖν σεσηρὸς ἦθος παρέχεσθαι καὶ εἰρωνείας ἀνάπλεων· οὐ γὰρ ἠξίουν τῶν παρὰ σφίσι τὸν φαυλότατον εἰπεῖν ἐξενέγκαι τι παίγνιον τῆς παρὰ σοὶ σπουδῆς ἄξιον. Ἐγὼ δὲ τούτου μέν σε παρῃτούμην, τῆς εἰρωνείας· ἐδίδασκον δὲ ὅτι πρὸς τοῖς ἄλλοις ἅ σοι πάρεστιν ἀγαθὰ φιλανθρωπότατός τε εἴης καὶ ἐγκωμίων φιλοδωρότατος. Οὔκουν ἐπὶ καταγέλωτι πεποιῆσθαι τὴν αἴτησιν, ἀλλ’ ἵνα ἡδοίμην τῇ παρὰ τοῦ τοιοῦδε μαρτυρίᾳ τιμώμενος. Γράφε οὖν ὁσάκις ἂν ἐγχωρῇ καὶ ἑστία Κυρηναίους τῷ λόγῳ· ὡς οὐδὲν ἂν αὐτοῖς ἥδιον ἀνάγνωσμα γένοιτο τῶν Πυλαιμένους γραμμάτων, ἤδη κατεσχημένοις ὑπὸ τοῦ δήγματος. Πάντως δὲ συχνοῖς ἐντεύξῃ τοῖς δεῦρο ἀφικνουμένοις καὶ εἰ μηδέσιν ἄλλοις, ἀλλὰ τοῖς ἄρξουσιν ἡμῶν καὶ τὴν ἐλάττω καὶ τὴν μείζω καὶ τὴν Αἰγυπτίων ἀρχήν, οὓς οὐκ εἰκὸς ἀγνοεῖσθαι διὰ τὴν ἀκολουθίαν τῶν δανειστῶν. Ἐπεὶ δὲ διαφέρει σοι τἀμὰ εἰδέναι, φιλοσοφοῦμεν, ὦ ’γαθέ, τὴν ἐρημίαν ἀγαθὴν ἔχοντες συνεργόν, ἀνθρώπων δὲ οὐδένα. Οὐδ’ ἔστιν ὅτου ποτὲ ἐπὶ Λιβύης ἀκήκοα φωνὴν ἀφιέντος φιλόσοφον, ὅτι μὴ τῆς ἠχοῦς ἀντιφθεγγομένης ἡμῖν. Ἀλλὰ «κόσμει – φησίν – ἂν ἔλαχες Σπάρταν». Κἀγώ μοι δοκῶ τὴν εἱμαρμένην ἀγαπήσειν τε καὶ κοσμήσειν τὴν αὐτὸς ἐμαυτοῦ, ἡγούμενος ἀγώνισμα τοῦτο προκεῖσθαι τῷ βίῳ καὶ βάσανον εἰ μηδὲ ἀτυχοῦσαν ἀπολιμπάνω φιλοσοφίαν· ἐμοὶ γάρ, εἰ μηδεὶς ἄλλος μαρτυρεῖ, ἀλλ’ αὐτός γε πάντως ὁ θεός, οὗ σπέρμα ὁ νοῦς ἐς ἀνθρώπους ἥκει. Δοκῶ δέ μοι καὶ τοὺς ἀστέρας εὐμενῶς ἐνατενίζειν ἑκάστοτε, ὃν ἐν ἠπείρῳ πολλῇ μόνον ὁρῶσι θεωρὸν αὐτῶν σὺν ἐπιστήμῃ γινόμενον. Σύνευξαι τοίνυν ἡμῖν μὲν ἐν οἷς ἐσμεν εἶναι, σαυτῷ δὲ ἀπολιπεῖν τὴν κακοδαίμονα ἀγοράν, ὦ κακῶς σὺ τῇ φύσει χρώμενος. Μάλιστα μὲν οὖν ἀξιῶ σε καὶ εὐροούντων τῶν ἔξωθεν ἰδεῖν εἰς τὰ ἔσω· τὸ γὰρ εὐτυχίας εὐδαιμονίαν ἀλλάξασθαι «χρύσεια χαλκείων» ἐστί. Κἀγὼ χαίρω καταγελώμενος ὅτι, τῶν συγγενῶν

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serio in esse. Hai dato l’impressione di esibire un’indole beffarda e di essere colmo d’ipocrisia; nessuno infatti credeva che il meno eloquente di loro avesse prodotto un’operetta scherzosa degna della tua attenzione. Io però ti ho difeso dall’accusa di ipocrisia: ho spiegato loro che, in aggiunta a tutte le virtù che possiedi, sei pure estremamente gentile e generoso negli elogi. La tua richiesta non era dunque stata fatta per canzonarmi, ma per darmi il piacere di essere onorato dalla testimonianza di stima di un uomo come te. Scrivimi dunque il più spesso possibile e imbandisci ai Cirenaici la tavola della tua eloquenza. Nessuna lettura sarà loro più gradita delle lettere di Pilemene, ora che si trovano ormai sotto la presa del loro morso. In ogni caso, ti capiterà di incontrare molte persone che si stanno recando qui, se non altri almeno i funzionari imperiali che ci comanderanno e quindi i futuri governatori della Libia Inferiore, della Libia Superiore e dell’Egitto, che a causa del loro seguito di usurai 250 non possono certo passare inosservati. Giacché ti preme avere mie notizie, mi dedico alla filosofia, mio caro, potendo contare sulla preziosa complicità della solitudine, senza la compagnia di nessuno. Non c’è persona in Libia che io abbia sentito parlare di filosofia, se non quando l’eco restituiva la mia voce. Ma, come si dice, “adorna la Sparta che ti è toccata in sorte”.251 E io mi contenterò, credo, del mio destino e adornerò la mia regione, reputando che la sfida e la prova della mia vita consistano nel non abbandonare la filosofia, seppure dovessi perseguirla nel modo sbagliato. Ne sarà senz’altro per me testimone, se nessun altro, Dio, il cui intelletto, come un seme, è stato impiantato negli uomini. Mi sembra che anche le stelle fisse abbiano in ogni circostanza uno sguardo benevolo su di me, il solo che in questo vasto continente vedono contemplarle con cognizione scientifica. Unisciti dunque alle mie preghiere perché io possa conservare lo stato attuale e tu abbandoni la sciagurata professione forense,252 nella quale perseveri ad applicare in modo errato la tua natura. Ti chiedo allora soprattutto, anche se le faccende esteriori hanno un corso favorevole, di rivolgerti alle questioni interiori; infatti, rimpiazzare la buona sorte con la felicità è come rimpiazzare “il bronzo con l’oro”.253 Per quanto mi riguarda, sono con-

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σπουδαρχούντων, μόνος ἐν πολλοῖς ἰδιώτης εἰμί· τὴν γὰρ ψυχὴν ἀρεταῖς δορυφορεῖσθαι προτιμῶ μᾶλλον ἢ στρατιώταις τὸ σῶμα, οὐκέτι τῶν πραγμάτων χωρούντων ἐπιμελητὴν πολιτείας φιλόσοφον. Εἰ δὲ μηδὲν τοῖς κατ’ ἀγορὰν βέλτιον πέπραχας (ὥσπερ οὐδὲ οἶμαι· οὐδ’ ἔστιν ὅτε περὶ σοῦ πονηρὰς ἔσχον ἐλπίδας ὡς ἄρα ἐκστήσῃ σαυτοῦ καὶ ὁμότροπος ἔσῃ τοῖς εὐδοκιμοῦσι τῶν γραμματέων, οὐ γὰρ ἂν εἴποιμι τῶν ῥητόρων· ἑτέρως δὲ οὐκ ἔστι πλουτεῖν ἐν ταῖς καθ’ ὑμᾶς ἀγοραῖς μὴ πάντα μιγνύντα καὶ θεῖα καὶ ἀνθρώπινα δίκαια καὶ Κέρκωπα ἀντ’ ἐλευθέρου γινόμενον), εἰ τοίνυν οὐδὲ πλουτεῖς, ἔτι μᾶλλον εἰς φιλοσοφίαν ἴδε. Κἂν μὲν ἐντύχῃς ἀνδρὶ συντόνως ἐργαζομένῳ φιλοσοφίαν (ἀνεμέσητον δὲ ἐκπερινοστεῖν καὶ τὴν Ἑλλάδα καὶ τὴν βάρβαρον ἐπὶ θήρᾳ τοιᾷδε), καὶ ἡμῖν τὸ ἕρμαιον κοίνωσαι· εἰ δὲ ὡς ἐν αὐχμώσῃ τῇ φορᾷ καὶ ἡμεῖς ἀρκεῖν σοι δοκοῦμεν, ἧκε μεθέξων καὶ ἡμῶν καὶ τῶν ἡμετέρων «ἐπὶ τᾷ ἴσᾳ καὶ τᾷ ὁμοίᾳ» – φησὶ τὸ γράμμα τὸ Λακωνικόν. Πρόσειπε παρ’ ἐμοῦ πάνυ πολλὰ τὸν σεβασμιώτατον Μαρκιανόν· ὃν εἰ προλαβὼν Ἀριστείδην «Ἑρμοῦ λογίου τύπον εἰς ἀνθρώπους ἔφην ἐληλυθέναι», μόλις ἂν ἔτυχον τῆς ἀξίας ὅτι πλέον ἐστὶν ἢ τύπος. Ἐπιστολὴν δὲ ἐξ εὐθείας πρὸς αὐτὸν ἐπιθεῖναι καίτοι προθυμηθεὶς ἐνάρκησα ἵνα μὴ εὐθύνας ὑπόσχω τοῖς πανδέκταις τοῖς ἀποσμιλεύουσι τὰ ὀνόματα· οὐ γὰρ μικρὸς ὁ κίνδυνος ἐν τῷ Πανελληνίῳ τὴν ἐπιστολὴν ἀναγνωσθῆναι. Καλῶ γὰρ οὕτω τὸν τόπον ἐν ᾧ πολλάκις ἐφρόντισα τὰς βαρείας φροντίδας, τῶν ἁπανταχόθεν ἐλλογίμων συνιόντων ἐφ’ ᾧ τῆς ἱερᾶς ἀκοῦσαι τοῦ πρεσβύτου φωνῆς παλαιὰ καὶ νέα καταμαστευούσης διηγήματα. Ἀλλὰ καὶ τὸν ἑταῖρον Εὐχάριστον χαίρειν κέλευσον παρ’ ἐμοῦ καὶ πάντας ὅσους ἄξιον.

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lettere 101, a pilemene

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tento di essere deriso perché, mentre i miei parenti bramano di ottenere delle posizioni di potere, io sono il solo, tra molti,254 a restare un privato cittadino. Preferisco che sia la mia anima a essere difesa dalle virtù piuttosto che il mio corpo dai soldati, non permettendo le circostanze che il filosofo si occupi della vita politica. Se neanche tu te la sei cavata meglio nelle attività della professione forense (cosa che non credo: né è mai capitato che avessi, riguardo a te, la perversa speranza che ti discostassi da te stesso e divenissi simile a quegli scribacchini, non potrei dire avvocati, che pure godono di buona fama; ma non è possibile arricchirsi diversamente in quelle piazze in cui voi esercitate, quindi senza mescolare la giustizia umana e divina e senza, da uomo libero, farsi Cercope255), se, dunque, non ti sei nemmeno arricchito, a maggior ragione prendi in considerazione l’idea di dedicarti alla filosofia. Se dovessi incontrare un uomo che si applica intensamente a essa (non si può biasimare che si faccia il giro completo della Grecia e delle terre barbare per una tale preda), condividi con me questo colpo di fortuna; se invece ci fosse come una penuria nel raccolto e io dovessi sembrarti sufficiente, vieni a condividere e la mia compagnia e i miei beni “in perfetta uguaglianza e parità”,256 per citare il detto spartano. Porta tanti saluti da parte mia al reverendissimo Marciano; se, precedendo Aristide, dicessi che “come immagine di Ermes, dio dell’eloquenza, è venuto fra gli uomini”,257 a stento avrei raggiunto il suo valore, poiché egli ne è più che un’immagine. Avrei voluto indirizzare una lettera direttamente a lui, ma ho lasciato perdere per non dover rendere conto a quegli onniscienti che rifiniscono ogni termine: non è infatti un rischio da poco farsi leggere una lettera nel Panellenio.258 Mi riferisco al luogo in cui più volte ho affrontato gravi riflessioni, giacché là si riuniscono persone illustri, provenute da ogni dove, per ascoltare la sacra voce del vecchio che analizza con minuzia testi antichi e moderni. Ad ogni modo, porta i miei saluti all’amico Eucaristo e a tutti quelli che ritieni opportuno.

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Συνίστημι τῇ φιλίᾳ καὶ τῇ προστασίᾳ τῇ σῇ τὸν θαυμάσιον Σωσηνᾶν ᾧ τὴν διὰ λόγων τραφέντι καὶ αὐξηθέντι τὰ παρὰ τῆς τύχης οὐκ ἀπαντᾷ κατὰ λόγον. Αἰτιᾶται δὴ τὴν τῆς πατρίδος ἀκληρίαν καὶ πείθει τις αὐτὸν λόγος ὡς ἔστι συμμεταβαλεῖν τῷ χωρίῳ τὴν τύχην. Ἀφίξεται δὲ παρὰ τὴν ἔχουσαν τὸν βασιλέα πόλιν ὡς ὅπου βασιλεύς, ἐκεῖ καὶ πάνυ τῆς Τύχης οὔσης καὶ τυχὸν ἐπιγνωσομένης αὐτόν. Εἰ δή τίς σοι δύναμις, συντέλεσον αὐτῷ πρὸς ὅ τι βούλεται· σοῦ γὰρ ἄξιον τὸ καὶ δύνασθαι καὶ τοὺς δεομένους συνιστάναι τῇ ἀγαθῇ τύχῃ. Ἐὰν δέηται τῶν σοι φίλων, αὐτὸς προσοίσεις αὐτόν. 103

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οὐ «μὰ τὸν Φίλιον τὸν ἐμόν τε καὶ σόν», οὐκ ἔγωγε, ὦ Πυλαίμενες, ἀπέσκωψά σου τὴν εἰς τὴν ἐνεγκοῦσαν εὔνοιαν· οὐχ οὕτως ἄπολίς εἰμί τις οὐδὲ ἀνέστιος. Ἀλλὰ σὺ κακῶς ἐξεδέξω τὸν νοῦν τῆς ἐπιστολῆς καὶ κατηγόρηκας ἡμῶν ἅττα οὐκ ἄξιον· ἐγὼ γὰρ ὅτι μὲν Ἡρακλείας ἐρᾷς καὶ πρόθυμος εἶ ποιῆσαί τι τὴν πόλιν ἀγαθὸν ἐπαινῶ. Τοὺς λόγους δ’ ἐποιούμην ὑπὲρ τοῦ δεῖν ἀνθελέσθαι φιλοσοφίαν τῆς ἀγοραίου διατριβῆς. Εἶτα σύ μοι δοκεῖς δίκας ἀγορεύων οἴεσθαι μᾶλλον ἢ φιλοσοφῶν ὠφελιμώτερος ἔσεσθαι τῇ πατρίδι. Πῶς τοῦτο; Ὅτι τοῦ μὴ μετατεθεῖσθαί σου τὴν προαίρεσιν ᾐτιάσω τὸ τῆς γνώμης φιλόπατρι. Τοῦτ’ οὖν ἀπέσκωψα, καὶ οὐχὶ τὴν εὔνοιαν, ὅτι κακῶς οἴει προὔργου σοί τι ποιήσειν εἰς τὸν καλὸν τοῦτον ἔρωτα τὸ προσεδρεύειν ταῖς δίκαις. Καὶ γὰρ εἰ λέγοιμι φιλοσοφίαν ἱκανὴν εἶναι τὰς πόλεις ὀρθοῦν, ἐλέγξει με Κυρήνη, κειμένη πολὺ δήπου τῶν ἐν τῷ Πόντῳ πόλε-

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lettere 102-103, a pilemene

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Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 405 o 406

Raccomando alla tua amicizia e alla tua protezione l’ammirabile Sosenàs, che è stato allevato ed è cresciuto in mezzo ai libri, ma che la sorte non ricompensa in maniera adeguata. Egli accusa di questo la sventura della patria e si è lasciato persuadere dall’idea che un cambiamento di luogo equivarrebbe a un mutamento della sorte. Raggiungerà dunque la città sede dell’imperatore giacché, abitandovi il sovrano, certamente vi risiede anche la fortuna, che forse si accorgerà di lui. Se è in tuo potere fare qualcosa, aiutalo a realizzare ciò che desidera: è degno di te, infatti, sia esercitare una qualche influenza sia raccomandare alla buona sorte coloro che te lo chiedono. Se dovesse avere bisogno dei tuoi amici, sarai tu stesso a presentarlo. 103

Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 405

No, “in nome del dio dell’amicizia che entrambi onoriamo”, no, Pilemene, io non ho mai preso in giro il tuo affetto per la terra che ti ha generato: non sono così ostile alle città e ai focolari domestici. Piuttosto, tu hai colto male il senso della mia lettera e mi avanzi delle accuse che non merito: io elogio il fatto che tu ami Eraclea259 e che tu sia ansioso di fare del bene alla tua città. Con quelle parole intendevo esprimere la necessità di preferire la filosofia alle attività forensi. Mi pare allora che tu creda di essere più utile alla tua patria con l’eloquenza giudiziaria che con lo studio della filosofia. Perché questo? Perché per giustificare il fatto che non hai mutato la tua intenzione adduci il tuo amore intimo per la patria. Di questo ti ho preso in giro, non del tuo affetto, poiché hai torto nel credere che dedicarti ai processi possa giovare ai fini di quella tua bella passione. Se dicessi che la filosofia è in grado di rimettere in sesto le città, Cirene mi smentirebbe, decaduta com’è, molto più

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sinesio di cirene

ων ἀκριβέστερον. Ἀλλ’ εἴποιμι μὲν ἂν ὅτι φιλοσοφία καὶ ῥητορικῆς καὶ ἧστινος βούλει καὶ τέχνης καὶ ἐπιστήμης, ἅτ’ ἐπὶ πάσαις οὖσα, παρέχεται τὸν ἔχοντα καὶ ἰδιώτῃ καὶ οἴκῳ καὶ πόλεσιν ὠφελιμώτερον. Οὐ μὴν ἀρκεῖ τὸ καθ’ ἑαυτὴν ἀγαθόν τι ποιεῖν τοὺς ἀνθρώπους· ἔχει γὰρ οὕτως, ὦ λῷστε Πυλαίμενες· τὰ καλὰ τῶν ἐπιτηδευμάτων δυνάμεις τινές εἰσι καὶ παρασκευαὶ ψυχῆς καὶ οἷον αὐτὸ μόνον τὸ χρώμενον, καιροὶ δὲ καὶ τύχαι φέρουσιν ἄνω καὶ κάτω τὰ τῶν πόλεων πράγματα καὶ νῦν μὲν οὕτως ἔχειν, νῦν δ’ ἑτέρως ἀνάγκη φύσεως ἧς μετείληφε. Φιλόπολις μὲν οὖν εἶ σύ, τυγχάνω δὲ ὢν καὶ αὐτός. Καὶ σὺ μὲν ἐργάζῃ ῥητορικήν, καὶ συγχωρῶ σοι μὴ ταύτην ἐπιτηδεύειν, ἀλλὰ τὴν ὀρθὴν καὶ γενναίαν ἣν οὐδὲ Πλάτων, οἶμαι, διαγράφειν πειρᾶται· ἐγὼ δὲ φιλοσοφίαν τιμῶ τε καὶ τῶν ὅσα ἀνθρώπινα ἀγαθὰ προτιμῶ. Τί οὖν ταύτῃ παρ’ ἡμῶν πλέον ταῖς πόλεσιν, εἰ μὴ καὶ βίοι τινὲς ὑποβληθεῖεν ἀρκοῦντες ταῖς προαιρέσεσι; Δεῖ μὲν γὰρ ὕλης ἐπιτηδείας, δεῖ δὲ ὀργάνων τῷ χρῆσθαι δυναμένῳ· τὸ δὲ ταῦτα παρασκευάζον ἡ τύχη. Εἰ μὲν οὖν ἐκείνως μόνον, τοῦτ’ ἔστι διὰ τῆς ῥητορικῆς, οἴει σοι παρέσεσθαι τὴν τύχην ὥστε ἄρξαι ποτὲ παρασχεῖν ἢ ὑπάρξαι τὴν μεγίστην ἀρχήν, τί κατέγνωκας ἀτυχίαν φιλοσοφίας; Εἰ δ’ ἐπίσης ἀμφοῖν ἐνδέχεται καὶ ἀπεῖναι καὶ παραγενέσθαι, τί μὴ τέως αἱρῇ τῶν φαινομένων τὸ ἄριστον; Αὐτὸ μὲν γὰρ καθ’ αὑτὸ φιλοσοφίαν καὶ σὺ φῂς εἶναι καλλίω ῥητορικῆς· τὸ δὲ δεῖν ὄνασθαί σου τὴν πόλιν ἀναγ­καιότερόν σοι τὸ χεῖρον ποιεῖ. Ὡς δὴ νῦν μὲν ἔξεστιν ἐλπίζειν τὰ ἀμείνω, φιλοσοφήσαντι δὲ οἱ θεοὶ πάντες ἐχθροὶ καὶ τὴν τύχην ἐξοχετεύουσιν ὡς μηδ’ ἐν ταῖς ἐλπίσιν ἀπολελεῖφθαι. Ἐγὼ δὲ οὔπω καὶ τήμερον τοῦτον ἀκηκοὼς οἶδα τὸν λόγον ὅτι τῇ σεμνῇ φιλοσοφίᾳ θεῖός ἐστι κλῆρος ἀτυχεῖν. Ἀλλὰ μόλις μὲν ἂν ἐν τῇ θνητῇ φύσει συνέλθοιεν ἰσχύς τε καὶ φρόνησις, ἔστι μὴν ὅτε

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lettere 103, a pilemene

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delle città del Ponto.260 Ma posso dire che la filosofia, più della retorica e di qualunque altra arte e scienza, dal momento che le domina tutte, permette a chi la possiede di essere d’aiuto ai privati cittadini, alle famiglie e alle città. Cionondimeno, non basta, da sola, a dare la felicità agli uomini. Ecco come stanno le cose, mio carissimo Pilemene: le nostre buone occupazioni sono come delle forze, delle disposizioni dell’anima, che da sole, per così dire, la mettono in moto, ma sono piuttosto le contingenze, le circostanze casuali che innalzano e fanno sprofondare le condizioni delle città ed è inevitabile che esse abbiano oggi una sorte e domani un’altra, causa la natura di cui partecipano. Tu ami la tua città, anch’io amo la mia. Tu pratichi la retorica, e te lo concedo, purché non si tratti di quella che ho menzionato, ma di quella retta e nobile che neppure Platone,261 io credo, tentò di bandire; io invece onoro la filosofia e la onoro più di qualunque altro bene umano. Ma in questo modo, quale vantaggio otterranno da noi le città, se non prendiamo come base delle vite all’altezza delle intenzioni? Serve la materia adatta, servono gli strumenti a chi è poi capace di servirsene: e tutto ciò è procurato dalla sorte. Se dunque tu ritieni che soltanto in quel modo, cioè praticando la retorica, la fortuna ti assisterà, al punto da permetterti un giorno di esercitare una funzione di comando o di accedere al potere supremo, perché hai accusato la filosofia di non essere vincente? Se allo stesso modo queste due attività hanno la facoltà di portare la fortuna ad abbandonarti o ad assisterti, perché non scegliere intanto quella che, tra le due che hai di fronte, è la migliore? Anche tu ammetti che di per sé la filosofia è più bella della retorica; ma la necessità di essere utile alla città ti costringe a praticare, dici tu, l’attività meno buona, poiché nella situazione attuale ti è possibile sperare, ancora secondo te, dei miglioramenti, mentre tutti quanti gli dèi sono ostili a chi pratica la filosofia e stornano da lui la buona sorte, al punto di non lasciargli nemmeno la speranza. Personalmente, non avevo ancora mai udito fino a oggi, lo so, il tuo ragionamento, secondo il quale la veneranda filosofia ha ricevuto da Dio il destino dell’insuccesso. Se in effetti a stento nella natura mortale forza e intelligenza si trovano insieme, nondi-

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sinesio di cirene

συνήγαγεν αὐτὰς ὁ θεός. Ἔξεστιν οὖν ἐκ τοῦ λόγου, μᾶλλον δὲ πᾶσα ἀνάγκη τὸν αὐτὸν εἶναι καὶ φιλόσοφον καὶ φιλόπολιν καὶ μηδ’ ἀπογινώσκειν τῆς τύχης, ἀλλὰ καὶ προσδοκᾶν τὰ ἀμείνω διὰ τὴν οἰκείαν ἀξίαν. Οὐχ ἥκιστα γὰρ μόνῳ πλεονεκτοῦσιν – ὡς παλαιὸς λόγος – οἱ χρηστοὶ τῶν πονηρῶν, ταῖς ἀγαθαῖς ἐλπίσι. Πῶς οὖν ἔλαττον ἔχειν αὐτοὺς συγχωρήσομεν; Ἀνάγκη δὲ δὴ εἰ πρὸς τὸν παρὰ σοῦ λόγον ἐνδοίημεν ὃς εἰς τοῦτό σε προήγαγεν ἁμαρτίας, τὸ φάναι τῆς πόλεως ἕνεκα δεῖν μένειν ἐπὶ τῆς τέχνης. Ἀνάσχου γάρ μου μετατιθέντος εἰς κατηγορίαν τὴν περὶ τοῦ σκώμματος ἀπολογίαν, ὃ δὴ μὴ ὂν ἔδοξεν εἶναί σοι πρότερον· οὐ γάρ, οἶμαι, νῦν ἔτι δοκεῖ. Ἐπεί τοι κινδυνεύω καὶ διαβεβλῆσθαι πρὸς τὴν ἱερὰν Κυρήνην ὑπὸ σοῦ, καὶ ταῦτα τῆς φίλης μοι κεφαλῆς. Εἰ γὰρ δὴ πεισθεῖεν αἱ πόλεις ὅτι ῥητορικὴ μόνη δύναται μεταθεῖναι τὰς παρούσας αὐταῖς συμφορὰς καὶ μόνον ἐστὶ τοῦτο γέρας τῶν βοηθούντων τοῖς ἔχουσι περὶ συμβολαίων τὰς δίκας, χαλεπανοῦσιν ἡμῖν τοῖς ἄλλο τι θεραπεύουσιν ἀντὶ τοῦ βήματος. Εἷς οὖν ἐμοὶ πρός σέ τε καὶ τὰς πόλεις ἁπάσας περὶ φιλοσοφίας λόγος ὅτι, παρούσης μὲν τύχης καὶ καλεσάντων αὐτὴν ἐπὶ τὰ πράγματα τῶν καιρῶν, οὐδεμιᾶς ἐστι τέχνης, ἀλλ’ οὐδ’ ἅμα πασῶν ἐρίσαι φιλοσοφίᾳ περὶ τοῦ τὴν συντονωτέραν ἁρμόσαι καὶ μετατάξαι καὶ βελτίω τοῖς ἀνθρώποις ποιῆσαι τὰ πράγματα. Τῆς εἱμαρμένης δὲ οὔπω ταύτῃ ῥυείσης, νοῦν ἔχει πολὺν οἰκειοπραγεῖν, ἀλλὰ μὴ παραδιοικεῖν μηδ’ ἀσχημονεῖν ἀξιοῦν­ τας ὠθίζεσθαι παρὰ τὸ τοῦ δεῖνος ἀρχεῖον οἷς μὴ πᾶσα ἀνάγκη. «Ἀνάγκᾳ δὲ οὐδὲ θεοί – φασίν – μάχονται».

Ἡμῖν δέ ἐστιν ἄλλα σεμνότερα· καὶ ὅταν ὁ νοῦς ἀνενέργητος ᾖ περὶ τὰ ἐνθάδε, περὶ τὸν θεὸν ἐνεργεῖ. Δύο γὰρ αὗται μερίδες φιλοσοφίας, θεωρία καὶ πρᾶξις· καὶ δῆτα δύο δυνάμεις ἑκατέρα

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lettere 103, a pilemene

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meno ciò è possibile quando è Dio che le unisce. Da questa affermazione deriva che è possibile, o piuttosto inevitabile, che vi sia qualcuno che sia al contempo filosofo e amante della propria città e che non disperi della sorte, ma che si aspetti dei miglioramenti, in virtù del proprio valore personale. Soltanto in una cosa, che pure è essenziale, i buoni superano i malvagi – come dice l’antico detto –: nel nutrire delle belle speranze. Come potremo ammettere allora che i filosofi si trovino in una posizione d’inferiorità? Eppure è inevitabile farlo se ammettiamo il tuo ragionamento, che ti ha indotto in errore al punto di sostenere che per la tua città sei costretto a perseverare nel tuo mestiere. Accetta che io volga in accusa la difesa di quella che a te è parsa, pur non essendolo, una presa in giro. Adesso comunque, credo, non ti sembrerà più tale. Corro in effetti il rischio di ritrovarmi in contrasto con la sacra Cirene per colpa tua, di una persona che d’altronde mi è cara. Se infatti veramente le città credessero che soltanto la retorica sia in grado di modificare le loro attuali sventure e che questo privilegio spetti soltanto a coloro che assistono quelli che si trovano in giudizio per delle questioni di contratti, allora mi avrebbero in odio poiché mi occupo di altro anziché di tribunali. Voglio rivolgere un unico discorso a te e a tutte quante le città in merito alla filosofia: quando con il concorso della fortuna le circostanze dovessero chiamarla a occuparsi degli affari pubblici, nessun’arte potrà, e nemmeno l’insieme di tutte quante, rivaleggiare con essa nel regolare, organizzare e migliorare più rapidamente gli affari pubblici nell’interesse dei cittadini. Poiché il corso del destino non ha ancora preso questa direzione, è assai sensato occuparsi delle proprie questioni private, senza immischiarsi nelle vicende politiche né premere con comportamento indecoroso per questa o quella carica, a meno che non vi sia urgente necessità. “Con la necessità neppure gli dèi” – si dice – “competono”.262

Quanto a me, ho più nobili obbiettivi. Se l’intelletto non è preso dalle faccende di questo mondo, si occupa di Dio. La filosofia si divide in effetti in due parti: la contemplazione e l’azione. Ed esi-

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sinesio di cirene

παρ’ ἑκατέραν μερίδα, σοφία καὶ φρόνησις· αὕτη μὲν δεομένη τύχης, σοφία δὲ αὐτάρκης καὶ ἀκώλυτος ἡ κατ’ ἐκείνην ἐνέργεια. 104

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Τοὺς αὐτοὺς ἂν ἴδοις ἐν μὲν εἰρήνῃ θρασεῖς, ἐν δὲ πολέμῳ δειλούς, τοῦτ’ ἔστιν ἁπανταχοῦ πονηρούς. Ὥστε μοι δοκεῖ ταύτην τις δικαίως εἰδέναι τῷ πολέμῳ χάριν ὅτι βάσανός ἐστι τοῦ περὶ τὴν καρδίαν αἵματος ἀκριβὴς καὶ συχνοὺς ἀλαζόνας παραλαβὼν μετριωτέρους ἡμῖν ἀποδίδωσιν. Οὐ γὰρ οἶμαι τὸ ἀπὸ τοῦδε σοβήσειν διὰ τῆς ἀγορᾶς Ἰωάννην τὸν ἀλιτήριον οὐδὲ πὺξ ἐντενεῖν οὐδὲ λὰξ ἐναλεῖσθαι τῶν ἐπιεικεστέρων τινί. Χθές τοι πάνυ λαμπρῶς συνηγορήκει τῇ παροιμίᾳ, μᾶλλον δὲ τῷ χρησμῷ· χρησμὸς γὰρ ἄντικρυς. Τοῦτό γε πάντως οἶσθα τὸ «οὐδεὶς κομήτης ὅστις οὐ ψηνίζεται.»

Ἡμέρας μὲν γάρ τινας ἑξῆς οἱ πολέμιοι προσηγγέλλοντο, κἀμοί τε ἀπαντητέον ἐδόκει καὶ Βαλαγρίτας συντεταγμένους ἐξῆγεν ὁ φύλαρχος· εἶτα φθάσαντες ἂν εἰς τὴν πεδινὴν περιεμένομεν. Οὐδαμοῦ δὲ φαινομένων, περὶ βουλυτὸν ἀπεχωροῦμεν ἕκαστος οἴκοι, συνθέμενοι πάλιν ἥξειν εἰς τὴν ὑστεραίαν· ὁ δὲ Φρὺξ Ἰωάννης τέως μὲν ἦν οὐδαμοῦ (οὔκουν ὥστε καὶ φανερὸς εἶναι), φήμας δὲ ὑπέπεμπε νῦν μὲν ὡς κατεαγὼς εἴη καὶ διαπρίεται τὸ σκέλος, νῦν δὲ ὡς τὸ ἆσθμα νοσεῖ, νῦν δὲ ὡς ἄλλο τι κακὸν ἐξαίσιον ἔχει. Τοιοῦτοί τινες ἐφοίτων λογοποιοί, ἄλλος ἄλλοθεν ἥκειν

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lettere 104, al fratello

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stono in verità due potenze che presiedono a ciascuna di queste parti, la saggezza e l’intelligenza: quest’ultima necessita della fortuna, mentre la saggezza è sufficiente a se stessa e la sua forza intrinseca non conosce impedimento. 104

Al fratello Da Cirene a Ficunte, 405263

Gli stessi che in tempo di pace puoi vedere arroganti, in tempo di guerra divengono dei vili: ciò vale a dire che sono spregevoli in qualunque circostanza. Perciò, mi pare che giustamente si debba essere riconoscenti alla guerra, poiché essa è un mezzo certo per misurare il sangue che abbiamo nel cuore e molti che aveva preso spacconi ce li restituisce più moderati. E infatti credo che non vedremo più d’ora in poi quello scellerato di Giovanni incedere fieramente per la piazza e colpire con pugni e calci qualcuno di quelli più miti di lui. Ieri ha confermato in maniera lampante il proverbio, o piuttosto l’oracolo – infatti è un vero e proprio oracolo, e tu certamente lo conosci: “Non c’è capelluto che non sia un cinedo”.264

Per diversi giorni consecutivi è stato annunciato l’arrivo dei nemici e a me pareva opportuno che si andasse loro incontro e d’altronde il comandante dei Balagriti aveva fatto uscire i suoi uomini già schierati in formazione; dopodiché ci mettemmo ad aspettare, avendo già occupato per primi la pianura. Non apparendo nessuno da nessuna parte, “all’ora in cui si liberano i buoi”265 ci ritirammo ciascuno a casa propria, avendo già stabilito di tornare di nuovo sul posto l’indomani. Intanto quel frigio266 di Giovanni non si trovava da nessuna parte (quantomeno non si faceva vedere), ma spargeva nascostamente delle voci, ora che si era spezzato una gamba e che gliela avevano amputata, ora che soffriva di asma, ora che aveva un qualche altro assurdo male. Vi erano dei tali che se ne andavano dappertutto a raccontare simili frottole, affermando ciascuno di provenire da un posto differente, così che non risultasse

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sinesio di cirene

φάμενοι, τοῦ μηδὲ σαφὲς εἶναι ποῖ γῆς καταδέδυκεν ἢ κρύπτεται. Μεταξὺ δ’ ἂν διηγούμενοι πρὸς τὴν ἀκαιρίαν τῆς συμφορᾶς ἐσχετλίαζον, ὑπεδάκρυον. «Νῦν ἔδει τοῦ γενναίου λήματος, νῦν τῶν ἐκείνου χειρῶν. Τί ἂν ἐποίησε; Τί ἂν ἐγένετο;» καὶ ἐπὶ πᾶσιν «Ὢ τοῦ δαίμονος» εἰπὼν ἕκαστος καὶ τὼ χεῖρε πατάξας ἀπηλλάττετο. Ἦσαν δὲ οὗτοι τῶν ἐπ’ οὐδενὶ χρησίμῳ πάλαι παρατρεφομένων αὐτῷ, κομῆται καὶ οὗτοι καὶ οὐδὲν ὑγιές, «ἀρνῶν ἠδ’ ἐρίφων ἐπιδήμιοι ἁρπακτῆρες»,

καὶ νὴ τοὺς θεοὺς ἔστιν ὅποι καὶ γυναικῶν. Τοιούτους λοχίτας ἐκ πολλοῦ παρεσκεύαστο μεθ’ ὧν εἶναι μὲν ἀνὴρ οὐδ’ ἐπιχειρεῖ – χαλεπὸν γάρ –, σοφιστὴς δ’ ἐστὶ καὶ ὡς ἂν δόξειεν ἀνὴρ εἶναι παρὰ τοὺς ὄντας ἄνδρας ἄριστα σκέπτεται. Ἀλλά μοι δοκεῖ καλῶς αὐτῷ τὸ δαιμόνιον ἀντιπολιτεύσασθαι. Πέμπτην μὲν γὰρ ἤδη ἐν τοῖς ὅπλοις μάτην παρεληλύθειμεν, ἔτι τὰ μετεωρότερα κακουργούντων τῶν πολεμίων· ὁ δὲ καὶ παν­ τάπασιν ἀπογνοὺς ἥξειν αὐτούς, ὡς οὐκ ἂν τὸ βάθος τῆς χώρας θαρρήσοντας, παρῆν καὶ πάντα εὐθὺς ἀκοσμίας ἐμπίπλησι. Καὶ ἀσθενείας μὲν οὐκ ἐμέμνητο (καταγελᾷ γέ τοι καὶ ἀνασχομένων ἀκοῦσαι), αὐτὸς δὲ ἥκειν ἔφη πόρρωθεν, οὐκ οἶδα ὅθεν· ἐκεῖ γὰρ εἰς συμμαχίαν παρακεκλῆσθαι. Παρ’ ὃ καὶ σεσῶσθαι τοὺς ἐπικαλεσαμένους ἀγρούς· οὐδὲ γὰρ ἐμβεβληκέναι τοὺς πολεμίους, πρὸς τὴν φήμην τῆς τοῦ Ἰωάννου παρουσίας καταπλαγέντας. Ἀσφαλῶς δὲ τἀκεῖ καταστησάμενος πρὸς τὸ πονοῦν ἔφη δεδραμηκέναι· προσδέχεσθαι γὰρ ὅσον οὔπω τοὺς ἄνδρας ἢν λάθῃ παρὼν καὶ μὴ διαδοθῇ τοὔνομα. Εὐθὺς οὖν ἅπαντα ἀκοσμίας ἐμπίπλησι, παραστρατηγεῖν ἀξιῶν καὶ ἐν βραχεῖ τέχνην τοῦ νικᾶν παραδώσειν ὑπισχνούμενος, βοῶν «Ἐπὶ μέτωπον», «Ἐπὶ φάλαγγα» καὶ «Κατὰ τὸ κέρας πολὺ τὸ πλαίσιον», ποιῶν ὀνόματα τάξεων ὧν

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lettere 104, al fratello

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chiaro in quale luogo della terra quello si era rintanato o nascosto. A metà dei loro racconti quelli si mettevano a gemere e a piangere per l’inopportunità della sventura capitata a Giovanni. “Proprio adesso che ci sarebbe stato bisogno della sua nobile determinazione, proprio adesso che ci sarebbe stato bisogno del suo braccio. Che cosa non avrebbe fatto? Che cosa non avrebbe generato?”, poi, dopo aver detto ciascuno in conclusione “Oh, la sorte” e aver battuto le mani, se ne andavano. Costoro erano tra quelli mantenuti da tempo a sue spese per non fare nulla di utile, dei capelluti anche loro, niente di buono, “ladri al loro popolo di capretti e agnelli”,267

e talvolta, per gli dèi, perfino di donne. Tali compari si è da tempo procurato, con i quali neppure tenta di mostrarsi virile – in effetti sarebbe difficile –, ma si mette a fare il sapiente e a valutare con la massima cura in che modo sembrare virile a coloro che virili lo sono veramente. Mi sembra però che la sorte si sia opportunamente opposta ai suoi propositi. Eravamo giunti là in armi senza alcun motivo già da quattro giorni, mentre i nemici ancora saccheggiavano le zone più elevate; Giovanni, che aveva ormai scartato del tutto l’idea che quelli giungessero, poiché riteneva che non avrebbero mai osato spingersi tanto in profondità nella regione, si presentò e subito creò un gran disordine. Nessun ricordo della sua malattia (anzi, si faceva beffe di coloro che avevano creduto a quelle voci), diceva piuttosto di arrivare da lontano, da dove non lo so: sarebbe stato chiamato là per prestare soccorso. Rispondendo all’appello, avrebbe salvato le terre di coloro che lo avevano chiamato; i nemici infatti non avevano nemmeno attaccato, terrorizzati dalla notizia della sua presenza. Messe in sicurezza quelle zone era accorso, a suo dire, verso la parte in difficoltà; qui, infatti, ci si aspettava a breve l’arrivo dei soldati nemici, qualora restasse nascosta la sua presenza e il suo nome non circolasse. Subito, dunque, creò un gran disordine, credendosi un generale e promettendo di trasmettere in breve tempo l’arte di vincere, gridando “di fronte!”, “a falange!” e “all’ala, disposizione quadrangolare!”, utilizzando termini pro-

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ἠγνόει τὴν χρείαν. Καί τισιν ἀπὸ τούτου ἔδοξέ τις εἶναι καὶ τήν γε φύσιν ἐμακάριζον καὶ ἐμαθητίων πολλοί. Ἤδη δὲ δείλη τε ἦν ὀψία καὶ καιρὸς ἐφόδου καὶ δὴ πρόσω τῆς ὀρεινῆς καταβαίνοντες ἐγενόμεθα. Κἀνταῦθα νεανίαι τέτταρες, ἐσταλμένοι χωρικῶς καὶ κεκραγότες ὅσον ἐχώρουν αἱ κεφαλαί, δρόμῳ πρὸς ἡμᾶς ἔθεον ὡς μηδενὶ μάντεως δεῖν ὅτι πολεμίους πεφόβηνται καὶ σπεύδουσιν εἴσω τῶν ὅπλων γενέσθαι. Πρὶν δὲ καὶ καλῶς αὐτῶν ἐκείνων ἀκοῦσαι λεγόντων ὅτι καὶ δὴ πάρεισιν, ὁρῶμεν ἐφ’ ἵππων ἀνδράρια πονηρὰ καί, ὡς ἐμοὶ δοκεῖν, ὑπὸ λιμοῦ στρατηγούμενα, προχειρότατα ὑπὲρ τῶν ἡμετέρων ἀγαθῶν ἀποθνήσκειν ἐθέλοντα. Ἐπειδὴ δ’ οὖν εἶδον καὶ ὤφθησαν, πρὶν εἴσω βέλους ἐλθεῖν οἱ μὲν ἀποβάντες, ὅπερ εἰώθεσαν, τῶν ἵππων ὡς εἰς μάχην διεσκευάζοντο, καί μοι καλῶς ἔχειν ἐδόκει μιμεῖσθαι τοὺς ἄνδρας (καὶ γὰρ ἄφιππα ἦν)· ὁ δὲ γεννάδας οὐκ ἔφη παρανομήσειν εἰς τὴν ἱππικήν, ἀλλὰ τὸν ἀγῶνα τῶν ἵππων ποιήσειν. Τί οὖν; Παρενεγκὼν βίᾳ τὸ ψάλιον καὶ μεταστραφείς, ἔφυγεν ἀνὰ κράτος ἐξελαύνων, ἐξαιμάττων τὸν ἵππον ἅπασαν ἡνίαν ἀφεὶς κέντρῳ παντὶ χρώμενος, καὶ ἡ μάστιξ πυκνὴ καὶ ἡ βοὴ τὸ κελευστικὸν ἤχει. Ἐν τούτῳ δὲ οὐκέτι ῥᾴδιον εἰπεῖν ὅντινά τις μᾶλλον ἐπῄνεσε, πότερον τὸν ἵππον ἢ τὸν ἱππέα· ὁ μὲν γὰρ ὁμοίως κατὰ πρανῶν ὁμοίως καὶ κατ’ ὀρθίων ἐφέρετο καὶ διὰ τῶν δασέων καὶ διὰ τῶν ψιλῶν ῥύμῃ μιᾷ διεπήδα τάφρους, ὑπὲρ τοὺς ὄχθους ᾔρετο· ὁ δὲ διὰ πάντων χωρίων ἔποχος ἦν καὶ ἐν οὐδενὶ τῆς καθέδρας ὠλίσθησε. Δοκεῖ γάρ μοι καὶ τοῖς πολεμίοις καλὴ θέα γενέσθαι καὶ ὡς πολλὰ ἂν εὔξαιντο τοιαῦτα θεάσασθαι. Οὐ μὴν τό γ’ ἐφ’ ἡμῖν εἶδον, ἀλλ’ ἀθυμότεροι μὲν ὡς τὸ εἰκὸς ἐγενόμεθα, ψευσθέντες παραπολὺ τῶν εἰς τὸν κομήτην ἐλπίδων· ἐταξάμεθα γοῦν ὡς εἴ τις ἐπίοι δεξόμενοι, αὐτοὶ δὲ μάχης ἄρχειν οὐ διενοούμεθα. Καὶ γὰρ ὅστις

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pri dello schieramento a battaglia di cui ignorava il significato. A seguito di ciò qualcuno credette che fosse veramente capace; molti celebravano la sua natura e volevano imparare da lui. Eravamo già a tarda sera e il momento era propizio per un attacco e noi avanzamo, scendendo giù dai monti. Fu allora che quattro giovani, vestiti alla maniera degli indigeni e gridando a squarciagola, vennero a corsa verso di noi: non ci fu bisogno di un indovino per capire che erano spaventati dai nemici e che avevano fretta di mettersi al riparo delle armi. Prima ancora che potessero riferirci esattamente che il nemico era là vicino, vedemmo dei miseri omuncoli a cavallo che non erano guidati, come mi parve, se non dalla fame, ed erano disposti a morire senza alcuna esitazione pur di impossessarsi dei nostri beni. Non appena li vedemmo e loro videro noi, prima di venire a tiro, scesero, come di consueto, da cavallo, per prepararsi alla battaglia. A me pareva bene imitarli (il terreno non era infatti adatto a manovre di cavalleria); ma il nostro valoroso disse che non avrebbe recato offesa alla cavalleria e che avrebbe combattuto con i cavalli. Che accadde dunque? Tirando con violenza il morso e invertendo la direzione, se ne fuggì spingendo con forza il proprio cavallo, tanto da farlo sanguinare, lanciandolo a briglia sciolta, utilizzando qualunque cosa come pungolo, ricorrendo anche a ripetute frustate e facendo risuonare l’ordine con delle grida. In una tale circostanza non è facile dire chi più meriti un elogio, se il cavallo o il cavaliere: l’uno se ne andava indifferentemente giù per i pendii e su per i monti e, con lo stesso slancio, su terreni brulli e fitti di vegetazione saltava i fossi, si levava sulle colline; l’altro su tutti i terreni restava saldo sul suo cavallo e non scivolava mai dalla sella. Fu un bello spettacolo anche per i nemici, credo, tale da far loro augurare di vederne ancora tanti simili. Ciononostante, non ne videro da parte nostra, per quanto fossimo, come è naturale, piuttosto scoraggiati, dopo che le speranze che avevamo riposto nel capelluto erano state così abbondantemente deluse. Ci schierammo comunque in assetto da combattimento, pronti a rispondere se ci avessero attaccato, ma senza avere l’intenzione di iniziare noi la battaglia. Anche chi di noi era di per sé coraggioso infatti

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sinesio di cirene

αὐτὸς εὔψυχος ἦν ἠπίστει τῷ πέλας, πρὸς παράδειγμα τὸ γεγονὸς ὁρῶν. Ἔνθα οὐδὲν ἦν αἴσχιον κόμης· ὅτῳ γὰρ ἦν, οὗτος ἐπιδοξότατος πρὸς τὸ προδώσειν ἡμᾶς. Οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ τοῖς πολεμίοις ταὐτὸν ἴσως τοῦτο παρέστη· καὶ ταξάμενοι περιέμενον ἡμᾶς ὡς, ἢν ἐμβάλωμεν, ἀμυνούμενοι. Ἐπεὶ δὲ παρ’ οὐδετέρων ἐπεχειρεῖτο, πρῶτον μὲν αὐτοὶ τὴν ἐπὶ τὰ λαιὰ φέρουσαν καὶ μετ’ ἐκείνους ἡμεῖς τὴν ἐπὶ θάτερα ἐτραπόμεθα, οὐδέτεροι θᾶττον ἢ βάδην, ἀλλὰ σχολαίῳ βαδίσματι, τοῦ μὴ δοκεῖν εἶναι φυγὴν τὴν ἀναχώρησιν. Εἶτα μέντοι καίπερ ἐν τούτοις ὄντες, ἐπυνθανόμεθα ποῖ γῆς Ἰωάννης. Ὁ δ’ ἑνὶ πνεύματι καταλαβὼν ἄρα τὴν Βομβαίαν δίκην ἀρουραίου μυὸς ἐνεδεδύκει τῇ πέτρᾳ. Ὄρος ἐστὶν ἡ Βομβαία κοῖλον ὃ συνελθοῦσαι τέχνη καὶ φύσις εἰργάσαντο φρούριον ἐρυμνότατον. Τοῦτο καὶ πάλαι μὲν εὐδοκίμει δικαίως καί τινες αὐτὸ παρὰ τὰς Αἰγυπτίους ἐξήταζον σύριγγας· νυνὶ δὲ κέκριται τὰ παν­ ταχοῦ τείχη νικᾶν οἷς ὁ παρὰ πάντας ἑαυτοῦ προμηθέστατος, ἵνα μὴ λίαν ἀγροίκως εἴπω δειλότατος (αὐτὸ τὸ τοῦ πράγματος ὄνομα), τούτῳ παρακάθηται καὶ τὴν σωτηρίαν προὐτίμησε. Καὶ γὰρ εἰσελθόντι λαβυρινθῶδές ἐστι καὶ δυσδιεξίτητον ὡς μόνους ἂν χωρῆσαι τοὺς Ἰωάννου δρασμούς. 105

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἀνόητος ἂν εἴην εἰ μὴ πολλὴν χάριν εἰδείην Πτολεμαίοις ὅτι με τοσούτων ἀξιοῦσιν ὅσων οὐδὲ αὐτὸς ἐμαυτόν. Ἀλλ’ οὐκ εἰ μεγάλα χαρίζονται τοῦτο προσήκει σκοπεῖν, ἀλλ’ εἰ λαβεῖν ἐμοὶ δυνατά. Τὸ γὰρ ἄνθρωπον ὄντα μικροῦ θείας καρποῦσθαι τιμάς, δικαίῳ μὲν ὄντι τυγχάνειν ἥδιστον εἰς ἀπόλαυσιν ἔρχεται· λειπομένῳ δὲ παραπολὺ τῆς ἀξίας ἐλπίδα πικρὰν ὑποτείνει τοῦ μέλλον­

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lettere 105, al fratello

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diffidava del vicino, alla luce dell’esempio che gli era stato appena dato a vedere. In quel frangente niente era più disonorevole di una lunga chioma: chi l’aveva era il più indiziato di potenziale tradimento. In ogni caso, i nemici adottarono il nostro stesso comportamento: dopo essersi schierati, ci aspettavano, pronti a respingerci se li avessimo assaliti. Poiché nessuna delle due parti attaccava, prima loro iniziarono a volgersi verso sinistra, quindi noi verso destra, senza affrettare il passo, con incedere lento, affinché la ritirata non sembrasse una fuga. In seguito, tuttavia, pur trovandoci in quei frangenti, cercammo di capire in quale angolo della terra fosse Giovanni. Aveva raggiunto in un soffio la Bombea 268 e come un topo di campagna si era rintanato tra le rocce. La Bombea è un’altura cavernosa che la natura e l’arte umana hanno congiuntamente trasformato in un forte estremamente difeso. Ha da molto tempo, e giustamente, una buona fama e alcuni lo hanno paragonato alle gallerie egizie; ma adesso lo si può ritenere superiore a qualsiasi altra fortificazione, giacché l’uomo che più al mondo ha a cuore se stesso, per non dire il più codardo, che sarebbe un termine troppo rude (ma d’altronde quello specifico per questa circostanza), in esso si è nascosto ed esso ha scelto per la propria salvezza. In effetti, a chi vi penetra risulta un vero e proprio labirinto ed è talmente difficile da percorrere che soltanto la fuga di Giovanni potrebbe districarsici. 105

Allo stesso Da Cirene o Tolemaide ad Alessandria, 411

Sarei privo di ragione se non manifestassi un’ampia gratitudine ai cittadini di Tolemaide per avermi riconosciuto più meriti di quanti non me ne riconosca io stesso. Tuttavia, se anche mi riservano importanti favori, non è questo che deve essere considerato, quanto se io sia capace di farmene carico. A chi è solamente un uomo ricevere degli onori quasi divini procura un grande piacere, se questi sono attribuiti giustamente; ma a chi si trova di gran lunga al di sotto della dignità ricevuta questa prospetta amare speranze per il

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sinesio di cirene

τος. Οὐ γὰρ νεώτερόν ἐστι τὸ δέος, ἀλλὰ λίαν ἀρχαῖον τὸ «μή τι παρὰ θεὸν ἀμπλακὼν τιμὰν πρὸς ἀνθρώπων ἐφεύρω.» Ἐγὼ δὲ καταμανθάνων ἐμαυτὸν εὑρίσκω παντάπασιν ἐνδεέστερον ἢ ὡς ἁρμόσαι τῇ τῆς ἱερωσύνης σεμνότητι. Καὶ δῆτα διαλέξομαι πρὸς σὲ περὶ τῶν τῆς ἐμαυτοῦ ψυχῆς κινημάτων· οὐ γὰρ ἔχω πρὸς ὅντινα ἄλλον ἀντὶ τῆς σῆς φίλης καὶ συντρόφου μοι κεφαλῆς. Σὲ γὰρ εἰκὸς καὶ μετέχειν μοι τῶν ἴσων φροντίδων καὶ νύκτωρ ἀγρυπνεῖν καὶ μεθ’ ἡμέραν σκοπεῖν ὅπως ἂν ἀγαθόν τί μοι γένηται καὶ ὅπως ἂν κακόν τι διαφύγοιμι. Ἄκουε τοίνυν ὡς ἔχει τἀμά, τὰ πλείω δ’ ἂν αὐτῶν καὶ εἰδείης. Μικρὸν ἀράμενος φορτίον, καλῶς ἐνεγκεῖν μοι δοκῶ τὸ μέχρι τοῦδε φιλοσοφίαν· διὰ δὲ τὸ δόξαι μὴ παντάπασιν αὐτῆς ἁμαρτάνειν, ἐπαινεθεὶς ὑπ’ ἐνίων ἀξιοῦμαι μειζόνων παρὰ τῶν οὐκ εἰδότων κρῖναι «ψυχῆς ἐπιτηδειότητα». Φοβοῦμαι δὲ μή, χαῦνος γενόμενος καὶ προσιέμενος τὴν τιμήν, ἀμφοῖν διαμάρτω, τοῦ μὲν ὑπεριδών, τοῦ δὲ τῆς ἀξίας μὴ ἐφικόμενος. Σκόπει γὰρ οὕτω. Δύο τούτοις ἑκάστοτε μερίζω τὸν χρόνον, παιδιᾷ καὶ σπουδῇ· καὶ σπουδάζων ἴδιός εἰμι, μάλιστά γε τὰ θεῖα, καὶ παίζων κοινότατος. Οἶσθα γὰρ ὡς, ὅταν ἀνακύψω τῶν βιβλίων, ἐπιρρεπής εἰμι πρὸς ἅπασαν παιδιάν· πολιτικῆς δὲ φροντίδος ἀμοιρῶ καὶ φύσει καὶ μελέτῃ. Τὸν δ’ ἱερέα ἄνδρα δεῖ θεσπέσιον εἶναι, ὅν γε πρὸς μὲν παιδιὰν ἅπασαν ἴσα καὶ θεῷ ἀμείλικτον εἶναι χρή, ὃς ἵνα τηρῇ τὴν ὑπόθεσιν ὑπὸ μυρίων ὀμμάτων φρουρεῖται, ὧν οὐδὲν ἢ μικρὸν ὄφελος εἰ μή τις εἴη κατεσκευασμένος ἔννους τε καὶ πρὸς ἅπασαν γλυκυθυμίαν ἀνένδοτος. Τὰ δέ γε πρὸς τὸν θεὸν οὐκ ἂν ἴδιος, ἀλλὰ κοινότατος ἂν εἴη, νομοδιδάσκαλος ὢν καὶ νενομισμένα φθεγγόμενος. Χρὴ δὲ αὐτὸν καὶ πράγματα πράττειν ὅσα πάντες ἅμα· τὰ γὰρ ἁπάντων μόνον δεῖ πράττειν ἢ πάσαις αἰτίαις ἐνέχεσθαι. Πῶς οὖν οὐκ εἴη εὐμεγέ-

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futuro. E non è affatto recente, ma molto antico il timore di “ricevere un onore dagli uomini malgrado le colpe verso la divinità”.269 Quando osservo me stesso mi trovo troppo imperfetto per essere in armonia con la sacralità del sacerdozio. Perciò, ti parlerò dei moti che sono dentro la mia anima. Non posso farlo con nessuno se non con la tua cara persona, compagna d’infanzia. È naturale che tu condivida le mie angosce, le insonnie notturne e le riflessioni diurne su come possa ottenere qualcosa di positivo ed evitare quanto c’è di negativo. Ascolta dunque come stiano le mie cose, per quanto sia possibile che tu ne conosca già la maggior parte. Mi ero fatto carico di un piccolo fardello, che finora ho convenientemente portato, mi sembra: quello della filosofia. Causa la fama di non commettere mai errori nei suoi confronti, elogiato da alcuni, sono stato ritenuto degno di un carico ancora maggiore da parte di persone incapaci di giudicare la giusta attitudine di un’anima. Ho timore che, se per presunzione dovessi accettare questo onore, commetterei una doppia mancanza: di disprezzare la filosofia e di non essere all’altezza di questa dignità. Vedi dunque. In ogni circostanza io divido il mio tempo in due parti, il piacere e lo studio: nello studio sono da solo con me stesso, specialmente quando si tratta di questioni divine, nel piacere mi apro agli altri. Tu sai infatti quanto, una volta alzata la testa dai libri, io sia incline a ogni genere di svago. Per contro, non mi faccio carico di preoccupazioni politiche, sia per la mia natura sia per la mia formazione. Il sacerdote deve necessariamente essere un uomo divino, lui che, come Dio, deve essere inflessibile dinanzi a qualsiasi tipo di piacere: è controllato, affinché conservi il proprio principio di vita, da migliaia di occhi, il cui aiuto è però nullo o minimo se non è saldamente immerso nella riflessione e irremovibile nei confronti di qualunque dolcezza. Nell’assolvere al suo divino compito egli non potrà vivere da solo, ma darsi a tutti, poiché in qualità di dottore della legge enuncia, appunto, i precetti della legge. Deve poi assumersi i problemi della collettività: infatti o si farà carico, lui solo, dei problemi di tutti o andrà incontro a ogni sorta di accusa. Come è allora possibile, se non si abbia

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sinesio di cirene

θους ψυχῆς καὶ κρατίστης ἐνέγκαι τοσοῦτον ὄγκον φροντίδων καὶ μὴ κατακλύσαι τὸν νοῦν καὶ μὴ κατασβεσθεῖσαν ἐν τῇ ψυχῇ περιϊδεῖν τὴν μοῖραν τὴν θείαν, οὕτω παντοδαπῶν ἐπιτηδευμάτων ἀπαγόντων αὐτόν; Εὖ οἶδα ὅτι δυνατὸν ἐνίοις τοῦτο καὶ μακαρίζων τὰς φύσεις αὐτῶν κἀκείνους ἀληθῶς εἶναι ἡγοῦμαι τοὺς θείους ἄνδρας, οὓς τὸ ὁμιλεῖν πάνυ πράγμασιν ἀνθρωπίνοις μὴ ἀποκόπτει τοῦ θείου. Ἀλλὰ καὶ αὐτὸν οἶδα ἐν ἄστει τε κατιόντα καὶ ἀπ’ ἄστεος ἀνιόντα καὶ ἐνειλούμενον τοῖς πρὸς τὰ γεώδη μεθέλκουσι καὶ ἐμπιπλάμενον κηλῖδος οὐκ ἂν εἴποι τις ὅσης· τῷ γὰρ οἰκείους εἶναί μοι καὶ πάλαι μολυσμοὺς καὶ τὸ τυχὸν μέρος ἐπιγενόμενον εἰς προσθήκην μέγα συμβάλλεται. Ῥώμη δ’ οὐκ ἔστι μοι τά τε ἔνδον οὐχ ὑγιῆ καὶ πρὸς τὸ ἐκτὸς ἀρκεῖν οὐχ οἷός τέ εἰμι καὶ πολλοῦ δέω τὴν ἐκ τοῦ συνειδότος φέρειν ἀνίαν. Καὶ ὁσάκις ἄν μέ τις ἔροιτο, λέγειν διαρρήδην οὐκ ἀναδύομαι ὡς τὸν ἱερέα διὰ πάντων ἀκηλίδωτον εἶναι προσήκει πολλῷ τῷ περιόντι ὡς καὶ ἑτέρους τῶν μιασμάτων ἐκπλύνοντα. Κἀκεῖνο δεῖ προσεῖναι τοῖς πρὸς τὸν ἀδελφὸν γράμμασι· πάν­ τως δὲ ἀναγνώσονται συχνοὶ τὴν ἐπιστολήν. Καὶ γὰρ οὐχ ἥκιστα τούτου χάριν αὐτὴν ὑπηγόρευσα, τοῦ πᾶσι καταφανὲς εἶναι τὸ πρᾶγμα, ὡς ὅ τι ἂν ἀποβῇ καὶ πρὸς θεοῦ καὶ πρὸς ἀνθρώπων ἀναίτιος ὦ, καὶ οὐχ ἥκιστα πρὸς τοῦ πατρὸς Θεοφίλου. Τιθεὶς γὰρ ἐν μέσῳ τἀμὰ καὶ διδοὺς ἐξ ἁπάντων αὐτῷ βουλεύσασθαι περὶ ἡμῶν πῶς ἂν ὑπαίτιος εἴην; Ἐμοὶ τοιγαροῦν ὅ τε θεὸς ὅ τε νόμος ἥ τε ἱερὰ Θεοφίλου χεὶρ γυναῖκα ἐπιδεδώκει. Προαγορεύω τοίνυν ἅπασι καὶ μαρτύρομαι ὡς ἐγὼ ταύτης οὔτε ἀλλοτριώσομαι καθάπαξ οὔθ’ ὡς μοιχὸς αὐτῇ λάθρᾳ συνέσομαι (τὸ μὲν γὰρ ἥκιστα εὐσεβές, τὸ δὲ ἥκιστα νόμιμον), ἀλλὰ βουλήσομαί τε καὶ εὔξομαι συχνά μοι πάνυ καὶ χρηστὰ γενέσθαι παιδία. Ἓν δὴ τοῦτο δεῖ τὸν κύριον τῆς χειροτονίας μὴ ἀγνοῆσαι, μαθέτω δὲ αὐτὸ παρὰ τῶν ἀμφὶ τὸν ἑταῖρον Παῦλον καὶ Διονύσιον, οὓς πρεσβευτὰς ᾑρῆσθαι παρὰ τοῦ δήμου πυνθάνομαι.

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un’anima robusta e di notevole forza, sopportare una tale massa di angosce e non lasciarne travolgere la propria ragione e non trascurare il fatto che la divina parte che è nell’anima si spenga, distratti da preoccupazioni tanto diverse? So bene che alcuni ci riescono e stimo le loro nature come beate e li ritengo essere veramente degli uomini divini, loro che la dedizione assidua alle faccende umane non distoglie da Dio. Ma so anche che, quando scendo alla città e ne risalgo,270 mi ritrovo implicato in pensieri che mi trascinano verso la terra, nonché colmo di sporcizia, di cui non saprei dire la quantità. Difatti, l’aggiunta alle mie antiche macchie anche solo di una minima quantità assume un peso enorme. Io non ho alcuna forza, alcuna salute interiore, agli avvenimenti esterni non sono capace di far fronte e sono di gran lunga impotente nei confronti dei tormenti della mia coscienza. Tutte le volte che qualcuno mi pone delle domande in proposito, non esito a rispondere esplicitamente che il sacerdote deve essere privo di ogni impurità e porsi anche molto al di sopra di questo, in quanto deve lavare via pure le macchie degli altri. Ecco un argomento che deve essere ancora affrontato in questa lettera, che è indirizzata a mio fratello, ma che certamente in molti leggeranno. Infatti, è soprattutto per questo che l’ho dettata, perché sia chiaro a tutti che, qualunque cosa accada, io non sarò suscettibile di accuse né davanti a Dio né davanti agli uomini, né, soprattutto, davanti al padre Teofilo. Rendendo noti i miei pensieri e offrendogli, preferendolo a chiunque altro, la possibilità di decidere sul mio caso, come potrei essere esposto a delle accuse? Ho una moglie, datami da Dio, dalla legge e dalla sacra mano di Teofilo. Lo dichiaro pubblicamente e chiamo tutti a testimoni: non mi separerò mai da lei né la incontrerò mai clandestinamente come un adultero (nel primo caso toccherei infatti il massimo dell’empietà, nel secondo dell’illegalità), ma, al contrario, il mio proposito e la mia volontà sono di avere molti e buoni figli. Si tratta di una questione che il giudice sovrano della mia consacrazione non deve ignorare, e che apprenderà dagli amici Paolo e Dionisio, che sono stati scelti, a mia conoscenza, dal popolo dei fedeli come delegati.

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sinesio di cirene

Ἐκεῖνο δὲ οὐδὲν δεῖ μαθεῖν αὐτόν, ἀλλ’ ὑπομνησθῆναι, διαλέξομαι δὲ πλείω περὶ αὐτοῦ· καὶ γὰρ ἂν ἅπαντα τἄλλα μικρὰ πρὸς ἕν τις ἂν τοιοῦτο θεῖτο. Χαλεπόν ἐστιν, εἰ μὴ καὶ λίαν ἀδύνατον, [εἰς ψυχὴν] τὰ δι’ ἐπιστήμης εἰς ἀπόδειξιν ἐλθόντα δόγματα σαλευθῆναι· οἶσθα δ’ ὅτι πολλὰ φιλοσοφία τοῖς θρυλλουμένοις τούτοις ἀντιδιατάττεται δόγμασιν. Ἀμέλει τὴν ψυχὴν οὐκ ἀξιώσω ποτὲ σώματος ὑστερογενῆ νομίζειν. Τὸν κόσμον οὐ φήσω καὶ τἄλλα μέρη συνδιαφθείρεσθαι. Τὴν καθωμιλημένην ἀνάστασιν ἱερόν τι καὶ ἀπόρρητον ἥγημαι καὶ πολλοῦ δέω ταῖς τοῦ πλήθους ὑπολήψεσιν ὁμολογῆσαι. Νοῦς μὲν οὖν φιλόσοφος ἐπόπτης ὢν τἀληθοῦς συγχωρεῖ τῇ χρείᾳ τοῦ ψεύδεσθαι· ἀνάλογον γάρ ἐστι φῶς πρὸς ἀλήθειαν καὶ ὄμμα πρὸς λήμην, οὗ ὀφθαλμὸς εἰς κακὸν ἂν ἀπολαύσειεν ἀπλήστου φωτός. Ἧι τοῖς ὀφθαλμιῶσι τὸ σκότος ὠφελιμώτερον, ταύτῃ καὶ τὸ ψεῦδος ὄφελος εἶναι τίθεμαι δήμῳ καὶ βλαβερὸν τὴν ἀλήθειαν τοῖς οὐκ ἰσχύουσιν ἐνατενίσαι πρὸς τὴν τῶν ὄντων ἐνάργειαν. Εἰ ταῦτα καὶ οἱ τῆς καθ’ ἡμᾶς ἱερωσύνης συγχωροῦσιν ἐμοὶ νόμοι, δυναίμην ἂν ἱερᾶσθαι· τὰ μὲν οἴκοι φιλοσοφῶ, τὰ δ’ ἔξω φιλόμυθός εἰμι διδάσκων (ἀλλ’ οὐδὲ μέντοι μεταδιδάσκων, μένειν δ’ ἐῶν ἐπὶ τῆς προλήψεως). Εἰ δέ φασιν οὕτω δεῖν καὶ κινεῖσθαι καὶ δήμιον εἶναι τὸν ἱερέα ταῖς δόξαις, οὐκ ἂν φθάνοιμι φανερὸν ἐμαυτὸν ἅπασι καθιστάς. Δήμῳ γὰρ δὴ καὶ φιλοσοφίᾳ τί πρὸς ἄλληλα; Τὴν μὲν ἀλήθειαν τῶν θείων ἀπόρρητον εἶναι δεῖ, τὸ δὲ πλῆθος ἑτέρας ἕξεως δεῖται. Αὖθις δὲ καὶ πολλάκις ἐρῶ, μηδεμιᾶς ἀνάγκης παρούσης οὔτ’ ἐλέγχειν σοφὸν οὔτ’ ἐλέγχεσθαι. Καλούμενος δ’ εἰς ἱερωσύνης οὐκ ἀξιῶ προσποιεῖσθαι δόγματα. Ταῦτα θεόν, ταῦτα ἀνθρώπους μαρτύρομαι. Οἰκεῖον ἀλήθεια θεῷ, ᾧ διὰ πάντων ἀναίτιος εἶναι βούλομαι. Ἓν τοῦτο μόνον οὐχ ὑποκρίνομαι. Ἐπεὶ καὶ φιλοπαίγμων ὤν, ὅς γε παιδόθεν αἰτίαν

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C’è un’altra questione che Teofilo deve, non dico apprendere, ma tenere a mente, e ne parlerò diffusamente: rispetto a essa, infatti, tutte le altre assumono una scarsa importanza. È difficile, se non addirittura impossibile, far vacillare delle convinzioni che sono state dimostrate scientificamente: si sa che spesso la filosofia si oppone a credenze diffuse a livello popolare. Senza alcun dubbio, non riterrò mai degno di fede che l’anima sia nata dopo il corpo. Non ammetterò mai che il cosmo e tutte le sue parti siano destinate a perire. Quanto alla resurrezione, che rientra tra le credenze popolari, la considero qualcosa di sacro e di ineffabile, su cui sono molto distante dal condividere le opinioni della massa. D’altronde, uno spirito filosofico iniziato alla conoscenza della verità ammette il ricorso alla finzione: tra la luce e la verità c’è il medesimo rapporto che c’è tra l’occhio e la cispa, laddove l’occhio si trovi in difficoltà per un eccesso di luce.271 Come l’oscurità è più utile a chi ha problemi agli occhi, allo stesso modo, a mio avviso, la finzione è utile al popolo, mentre la verità è un danno per chi non abbia la forza di fissare lo sguardo nella luminosità delle essenze. Se le leggi che regolano il ministero sacrale che mi si propone accettano questo genere di convinzioni, allora posso esercitare il sacerdozio: non ho problemi a perseguire la filosofia in privato e a trasmetterla all’esterno nelle sembianze del mito (senza stravolgerlo, ma consentendo a ciascuno di conservare le proprie credenze). Se invece le leggi affermano che debba essere il sacerdote a mutare le sue convinzioni e a fare proprie quelle del popolo, non tarderei a rendere manifesto a tutti chi sono veramente. Che rapporto può mai esserci tra il popolo e la filosofia? È necessario che la verità sulle questioni divine resti segreta, la massa esige da parte nostra un comportamento differente. Lo dico ancora e lo ripeterò più volte, in mancanza di una qualche necessità non è saggio né contestare né farsi contestare. Se sarò chiamato al sacro ministero, non fingerò di avere convinzioni che non ho. Ne chiamo a testimoni Dio e gli uomini. La verità è propria di Dio e davanti a lui io desidero risultare sempre al riparo da ogni accusa. Una cosa soltanto posso dissimulare, ed è questa. Poiché sono un amante dello svago e fin dall’infan-

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sinesio di cirene

ἔσχον ὁπλομανεῖν τε καὶ ἱππομανεῖν πέρα τοῦ δέοντος, ἀνιάσομαι μέν (τί γὰρ καὶ πάθω τὰς φιλτάτας κύνας ἀθήρους ὁρῶν καὶ τὰ τόξα θριπηδέστατα;), καρτερήσω δὲ ἂν ἐπιτάττῃ θεός· καὶ μισόφροντις ὤν, ὀδυνήσομαι μέν, ἀνέξομαι δὲ δικιδίων καὶ πραγμάτων, λειτουργίαν τινὰ ταύτην, εἰ καὶ βαρεῖαν, ἐκπιμπλὰς τῷ θεῷ. Δόγματα δὲ οὐκ ἐπηλυγάσομαι οὐδὲ στασιάσει μοι πρὸς τὴν γλῶτταν ἡ γνώμη. Οὕτω φρονῶν, οὕτω λέγων ἀρέσκειν οἶμαι θεῷ. Οὐ βούλομαι δὲ καταλελεῖφθαί τινα περὶ ἐμοῦ λόγον ὡς ἀγνοηθεὶς ἥρπασα τὴν χειροτονίαν· ἀλλ’ ὡς εἰδὼς ὁ θεοφιλέστατος πατὴρ Θεόφιλος καὶ ὡς ἐπιστάμενος σαφές μοι ποιήσας, οὕτω βουλευσάσθω περὶ ἐμοῦ. Ἢ γὰρ κατὰ χώραν ἐάσει μένειν ἐπ’ ἐμαυτοῦ φιλοσοφοῦντα ἢ τῷ μετὰ ταῦτα κρίνειν καὶ διαγράφειν ἡμᾶς τοῦ χοροῦ τῶν ἱερέων ἑαυτῷ χώραν οὐχ ὑπολείψει. Πρὸς ταῦτα λῆρός ἐστιν ἅπασα γνώμη· τὸ γὰρ ἀληθὲς εὖ οἶδ’ ὅτι τῷ θεῷ προσφιλέστατον. Καὶ νὴ τὴν ἱεράν σου κεφαλὴν καί, ἔτι πρὸ ταύτης, νὴ τὸν εὔφορον ἀληθείας θεόν, ἄχθομαι μέν (πῶς γὰρ οὐ μέλλω, δεῆσαν ὥσπερ εἰς βίον ἀπὸ βίου μετασκευάζεσθαι;)· εἰ δέ, τούτων φανερῶν γενομένων, ἅπερ οὐκ ἀξιῶ λανθάνειν, ἐγκρίνειεν ἡμᾶς ἱερεῦσιν ᾧ τοῦτο δέδωκεν ὁ θεός, ὑποδύσομαι τὴν ἀνάγ­ κην καὶ ὡς θεῖον σύνθημα καταδέξομαι· λογίζομαι γὰρ ὅτι καὶ βασιλέως ἂν ἐπιτάξαντος καὶ κακοδαίμονός τινος Αὐγουσταλίου δίκην ἂν ἔδωκα μὴ πειθόμενος, τῷ θεῷ δ’ ἐθελοντὴν δεῖ πείθεσθαι. Εἰ δὴ προσίεταί με λειτουργὸν ὁ θεός, καὶ ἐκ προοιμίων δεῖ τὸ θειότατον ἀγαπᾶν τὴν ἀλήθειαν, ἀλλὰ μὴ διὰ τῶν ἐναντιωτάτων, ὁποῖόν ἐστι τὸ ψεῦδος, εἰς τὴν ὑπηρεσίαν αὐτοῦ παραδύεσθαι. Γενοῦ δὴ τοῦ τοὺς σχολαστικοὺς εἰδέναι τε ταῦτα καὶ πρὸς ἐκεῖνον ἐξαγγεῖλαι.

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lettere 105, al fratello

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zia sono stato accusato di oltrepassare la giusta misura nella mia passione per le armi e per i cavalli, mi cruccerò (che cosa proverò infatti alla vista dei miei adorati cani privati della caccia e dei miei archi corrosi dai tarli?), ma resisterò, se Dio così ha disposto; e anche se ho in odio le preoccupazioni, mi tormenterò, ma sopporterò contestazioni e questioni nell’assolvimento di questa sorta di servizio pubblico, sebbene sia oneroso, pur di compiacere Dio. Non celerò le mie convinzioni e le mie parole non saranno in contraddizione con il mio pensiero. Con queste riflessioni e con queste dichiarazioni credo che sarò a Dio gradito. Non voglio lasciare che si dica di me che ho ottenuto la consacrazione perché non mi si conosceva; al contrario, il padre Teofilo, che è carissimo a Dio, deciderà su di me a ragion veduta e solo dopo avermi mostrato di essere bene informato. Infatti o concederà che le cose restino come sono e che io pratichi la filosofia a modo mio o non concederà più a se stesso, dopo queste mie affermazioni, la libertà di giudicarmi e di radiarmi dalla congregazione dei sacerdoti. Dinanzi a tutto questo ogni argomentazione è una chiacchiera priva di senso: so bene infatti che la verità è quanto esista di più caro per la divinità. Lo giuro sulla tua sacra persona e, ancor prima, in nome di Dio, fonte di verità: provo angoscia (ma come potrebbe essere diversamente, dovendo cambiare la mia vita per un’altra?). Se però, una volta che siano state messe in chiaro quelle cose che non intendo nascondere, colui al quale Dio ha dato questo potere dovesse decidere di ammettermi tra i sacerdoti, mi sottometterò a questo obbligo e lo accetterò come un segno divino. Posso anche mettere in conto di andare incontro a una pena, se non intendo ubbidire a un ordine dell’imperatore o di un qualche sciagurato augustale,272 ma a Dio bisogna sempre ubbidire di buon grado. Se veramente Dio mi ha accettato al suo servizio, occorre che fin da subito io ami la verità, la più divina di tutte le virtù, e che non mi introduca a quel servizio per le vie che più gli sono contrarie, fra cui la menzogna. Fa’ in modo che gli avvocati273 siano al corrente di tutto ciò e che ne informino Teofilo.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἠρόμην τὸ μειράκιον ὑπὲρ τοῦ σιλφίου· «Πότερον ἀπὸ γεωργίας σοι γέγονεν ἢ δῶρον λαβὼν ἔθου μερίδα κἀμοί;» καὶ δῆτα μαθὼν ὡς τὸ σπουδαζόμενον ὑπὸ σοῦ κηπίον πρὸς ἅπασι καὶ τοῦτον ἐκόμισε τὸν καρπόν, ἥσθην διπλῇ, τῷ τε κάλλει τοῦ λαχάνου καὶ τῇ φήμῃ τοῦ τόπου. Ὄναιο τοῦ παμφόρου χωρίου· καὶ μήτε σὺ κάμοις ἐπαντλῶν ταῖς φιλτάταις πρασιαῖς μήτε ἐκεῖναί ποτε πρὸς τὰς ὠδῖνας ἀπαγορεύσειαν, ἵν’ ἔχοις αὐτός τε χρῆσθαι καὶ ἡμῖν διαπέμπειν ὅσα φέρουσιν ὧραι. 107

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἡδὺς εἶ κωλύων ἡμᾶς ὅπλα κατασκευάζεσθαι, τῶν πολεμίων μὲν ἐπεχόντων καὶ λείαν ἅπαντα ποιουμένων καὶ ἀποσφαττόντων ὁσημέραι δήμους ἀθρόους, στρατιωτῶν δὲ οὐκ ὄντων ὥστε καὶ φαίνεσθαι. Εἶτα λέξεις ὡς οὐκ ἐξὸν ἰδιώταις ἀνθρώποις ὁπλοφορεῖν, ἀποθνήσκειν δ’ ἐξόν, εἴπερ καὶ ἡ πολιτεία χαλεπαίνει τῷ πειρωμένῳ σώζεσθαι; Ἀλλ’ εἰ μηδὲν ἄλλο, κερδανῶ τὸ γοῦν τοὺς νόμους γενέσθαι κυρίους ἀντὶ τούτων τῶν ἀλαστόρων. Καὶ πόσου δοκεῖς τοῦτο τιμῶμαι, πάλιν εἰρήνην ἰδεῖν καὶ βῆμα κεκοσμημένον καὶ κήρυκα σιγὴν ἐπιτάττοντα; Αὐτίκα τεθναίην, τὸ πρῶτον σχῆμα τῆς πατρίδος ἀπολαβούσης. 108

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἐμοὶ λόγχαι μὲν ἤδη γεγόνασι τριακόσιαι καὶ κοπίδες τοσαῦται, ξίφη δὲ ἀμφήκη καὶ πρότερον ἦν οὐ πλείω τῶν δέκα· παρ’ ἡμῖν δὲ

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lettere 106-108, al fratello

227 106

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 402

Ho interrogato il ragazzo sul silfio, chiedendogli se quella pianta provenisse dalla tua coltivazione o se, avendolo ricevuto in dono, tu lo avessi condiviso con me. E veramente, appreso che era un prodotto – cui si aggiungevano tutti gli altri – del piccolo giardino che coltivi con tanto zelo, mi sono doppiamente rallegrato, e per la bellezza della pianta e per la fama del luogo. Che tu possa trarre profitto da quel fertile terreno e non stancarti di annaffiare le tue amate aiuole; possano quelle non negarti mai la loro prole, affinché ne faccia uso tu stesso e spedisca a me quanto producono le stagioni. 274

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Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405

Tu scherzi quando ti opponi al fatto che noi ci muniamo di armi, adesso che i nemici ci attaccano, razziano qualunque bottino, sgozzano275 ogni giorno interi gruppi di persone, mentre soldati non ce ne sono, perlomeno non abbastanza da farsi vedere. Allora tu sosterrai che non è lecito per dei privati cittadini portare le armi, è lecito però morire, se lo Stato si mostra ostile con chi cerca di salvarsi? Se non altro, otterrò il risultato di farci sopraffare dalle leggi anziché da quei flagelli. Immagini quale valore attribuisco a rivedere di nuovo la pace, il tribunale in perfetto ordine, l’araldo che impone il silenzio? Possa io morire all’istante, non appena la nostra patria abbia ritrovato la sua condizione passata. 108

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405

Ho già trecento lance e altrettante sciabole, ma di spade a doppio taglio già prima non ne avevo più di dieci; nella nostra regione non

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sinesio di cirene

οὐ χαλκεύεται τὰ πάνυ προμήκη ταῦτα σιδήρια. Ἀλλ’ οἶμαι τὰς κοπίδας ἐρρωμενέστερον ἐμβάλλειν τοῖς τῶν ἀντιτεταγμένων σώμασι· τούτοις τε οὖν χρησόμεθα. Εἰ χρηστέον δέ, καὶ κορύνας ἕξομεν· ἀγαθοὶ δὲ οἱ κότινοι παρ’ ἡμῖν. Ἐνίοις δὲ ἡμῶν εἰσι πελέκεις ἑτερόστομοι παρὰ τὴν ζώνην ἑκάστῳ, οἷς τὰς ἀσπίδας αὐτῶν ἀλοήσαντες ἐν ἴσῳ στήσομεν αὐτοὺς οἱ μηδὲν ἔχοντες ὅπλον πρόβλημα. Ὁ δὲ ἀγών, ὡς εἰκάσαι, τῆς ὑστεραίας· τοῖς γὰρ σκοποῖς ἡμῶν προεντυχόντες ἔνιοι τῶν πολεμίων, καὶ διώξαντες ἀνὰ κράτος, ὡς ἔγνωσαν κρείττους ὄντας ἢ ἁλῶναι, ἐκέλευσαν ἀγγέλλειν ἡμῖν ἅττα ἥδιστα εἰ μηκέτι δεήσει πλανᾶσθαι ζητοῦντας ἀνθρώπους ἐνδυομένους ἠπείρου πλάτη. Μένειν γὰρ ἔφασαν καὶ ἐθέλειν μαθεῖν οἵτινες ὄντες ἡμερῶν τοσούτων ὁδὸν ἀποσπάσαι τῆς χώρας ἐτολμήσαμεν ἐφ’ ᾧ συμμῖξαι πολεμισταῖς ἀνδράσι βίον ζῶσι νομαδικὸν καὶ τὰ εἰς πολιτείαν οὕτω καταστησαμένοις ὥσπερ ἡμεῖς τὰ ἐπὶ στρατιᾶς. Ὡς οὖν αὔριον σὺν τῷ θεῷ τοὺς πολεμίους νικήσων, ἂν μέντοι δέῃ, πάλιν νικήσων (μηδὲν γὰρ ἀπαίσιον φθεγξαίμην), ἐπισκήπτω σοι τῶν παιδίων ἐπιμεληθῆναι. Προσήκει δὲ ὄντι θείῳ εἰς αὐτὰ ἀπομνημονεῦσαι τὴν χάριν. 109

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οὐκ ὄνος, οὐχ ἡμίονος, οὐχ ἵππος ἐστί μοι, ἁπάντων ἀνειμένων εἰς πόαν οἷς χρησάμενος ἂν ἦλθον εἰς σὲ τὴν φιλτάτην μοι κεφαλήν. Βαδίζειν δὲ πάνυ μὲν ἐβουλόμην, καὶ τυχὸν ἐδυνάμην, οὐ μὴν ἔφασαν οἱ προσήκοντες δεῖν ἵνα μὴ διατριβὴ τοῖς ἀπαντῶσι γενοίμεθα. Τούτους γάρ, οἵτινες ἂν ὦσιν, οὕτω πάνυ σοφοὺς ἥγην­ται καὶ τοσοῦτον νοῦν ἔχειν ὡς ἕκαστον αὐτῶν ἄμεινον ἂν ἐμοῦ σκέψασθαι περὶ τῶν πρεπόντων ἐμοί. Τοσούτων ἡμᾶς ἐξαρτῶσι

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lettere 109, al fratello

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si fabbricano delle armi lunghe in ferro di quel tipo. Ma credo che anche le sciabole colpiscano con sufficiente forza i corpi dei nostri avversari: dunque utilizzeremo quelle. Se dovesse essercene bisogno, avremo anche dei bastoni: nelle nostre zone infatti ci sono degli olivi selvatici di buona qualità. Alcuni di noi portano, ciascuno alla cintura, delle asce a un taglio, con le quali spezzeremo gli scudi dei nemici costringendoli a combattere alla pari, giacché noi siamo privi di ogni strumento di protezione. La battaglia ci sarà, si può supporre, domani: alcuni nemici si sono imbattuti in un nostro gruppo di esploratori e, dopo averli inseguiti a tutta forza, quando si sono resi conto che erano troppo veloci per essere catturati, li hanno invitati a portarci i loro migliori saluti nel caso non avessimo più dovuto vagare alla ricerca di uomini nascosti nelle vaste pianure dell’interno. Hanno detto di aspettarci e di voler sapere che genere di uomini siamo noi per aver osato allontanarci a così tanti giorni di marcia dal nostro territorio per incontrare dei nemici abituati a una vita nomade e che hanno adottato in campo politico la stessa nostra organizzazione in campo militare. Contando dunque domani, con l’aiuto di Dio, di sconfiggere i nemici, o al limite, se fosse il caso, con un secondo attacco (ma non voglio dire nulla che possa essere di cattivo auspicio), ti affido la cura dei miei figli. In quanto loro zio, spetta a te ricordare loro la mia benevolenza. 109

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 407

Non ho a disposizione né un asino né un mulo né un cavallo. Sono stati mandati tutti al pascolo quegli animali che avrei potuto utilizzare per venire a fare visita alla tua cara persona. Sarei stato anche disposto a venire a piedi, e forse ce l’avrei fatta, ma i miei familiari mi hanno detto di non farlo, perché non diventassi oggetto di scherno da parte di quelli che avessi incontrato. Questi infatti, chiunque essi siano, secondo loro sono così saggi e assennati da decidere ciascuno meglio di me su ciò che mi conviene. Da tali giu-

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sinesio di cirene

κριτῶν οἱ πρὸς δόξαν τὴν ἔξω ζῆν ἀναγκάζοντες. Περιεγένοντο δὲ οὐ νουθετοῦντες, ἀλλὰ τὸν βιαιότερον τρόπον, ἐπειδὴ προῄειν, οὐκ ἐπιτρέποντες, ἀλλ’ ἀντιλαμβανόμενοι τοῦ τριβωνίου. Τί οὖν ὑπόλοιπον ἢ τὴν ἐπιστολὴν ἀντ’ ἐμοῦ στεῖλαι πρὸς σέ; Δι’ ἧς ἀσπάζομαί τέ σε καὶ πυνθάνομαι τίνα τὰ ἀπὸ Πτολεμαΐδος ἀγώγιμα (λόγους καινοὺς οὓς εἰκός σε κομίζειν ἀπὸ τοῦ στρατηγίου) καὶ μάλιστα τί τὸ θρυλλούμενον ἀπόρρητον ἀπὸ τῆς ἑσπέρας· οἶσθα γὰρ ὅτι πάνυ μοι διαφέρει γενόμενον οὕτω καὶ μὴ γενόμενον. Εἰ μὲν οὖν ἕκαστα σαφῶς ἔχουσαν ἐπιστολὴν ἐκπέμψεις, ἕξω κατὰ χώραν· εἰ δὲ μή, καὶ σύ με μέμψῃ περὶ τοῦ δρόμου. 110

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Χειλᾶς ὁ πορνοβοσκός, ὃν οὐκ εἰκὸς ὑπὸ πολλῶν ἀγνοεῖσθαι διὰ τὴν ἐκ τῆς τέχνης λαμπρότητα (καὶ γὰρ ἡ μῖμος Ἀνδρομάχη τῆς τούτου γέγονε φάλαγγος, ἡ τὸ κάλλιστον τῶν γυναικῶν ἐν τοῖς καθ’ ἡμᾶς χρόνοις ἀνθήσασα), οὗτος, ἐννεάσας τοῖς οὕτω καλοῖς ἐπιτηδεύμασι, πρέπον ᾠήθη τοῖς προβεβιωμένοις αὐτῷ γηρῶν στρατιωτικαῖς ἐλλαμπρύνεσθαι τάξεσιν. Ἔναγχος οὖν ἥκει παρὰ βασιλέως στρατηγεῖν εὑράμενος τῶν γενναιοτάτων Μαρκομάνων, οὓς εἰκὸς ἡμῖν ἐστι, καὶ πρότερον ἀγαθοὺς στρατιώτας ὄντας, νῦν ἐπιτυχόντας καὶ πρέποντος στρατηγοῦ, μέγα τι καὶ γενναῖον ἔργον ἐπιδείξασθαι. Ἔλεγε γοῦν Συριανῷ συγγενόμενος (οἶσθα τὸν ἐκ γειτόνων, τὸν ἰατρόν), ὁ δὲ Συριανὸς ἀπήγγειλε πρὸς ἡμᾶς ἐν οἷς ἀπολείποι τὸ θεῖον στρατόπεδον. Τὰ μὲν οὖν ἄλλα τί ἂν δεήσοι πρὸς σὲ γρά-

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lettere 110, al fratello

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dici ci fanno dipendere coloro che ci costringono a vivere secondo le apparenze esteriori. I miei familiari hanno avuto la meglio su di me non ammonendomi, ma in maniera piuttosto coercitiva: quando stavo per andarmene, non solo non mi hanno lasciato partire, ma mi hanno afferrato per il mantello. Che cosa mi restava da fare allora se non inviarti questa lettera al posto mio? Per suo tramite, ti mando un affettuoso saluto e ti chiedo qualche informazione in merito al “carico” che giunge da Tolemaide (ovvero quei recenti discorsi che è verosimile che tu riporti dal quartier generale) e soprattutto in merito al segreto di cui tanto si parla che giunge dall’Occidente:276 sai infatti che mi preme molto sapere se le cose stanno come si dice o meno. Se mi invierai una lettera chiara in tutti i dettagli, rimarrò qui; altrimenti, anche tu mi biasimerai per essere corso da te. 110

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405

È naturale che per molti Chilàs, il tenutario del postribolo, non sia uno sconosciuto, causa la notorietà che ha per il suo mestiere (e infatti appartiene alla sua schiera l’attrice di mimi Andromaca, la più bella donna che sia sbocciata nei nostri tempi). Dopo aver trascorso la sua giovinezza tra queste belle attività, costui ha pensato che fosse degno della sua vita passata darsi lustro, ormai attempato, nelle unità dell’esercito. È ritornato dunque or ora dopo aver ottenuto da parte dell’imperatore il comando dei valorosissimi Marcomanni. A mio avviso è logico che questi, che già erano dei buoni soldati prima e che in più adesso hanno ricevuto in sorte il generale adatto, compiano qualche importante e nobile impresa. Ad ogni modo, avendo incontrato Siriano (lo conosci, è uno dei vicini, il medico) Chilàs gli ha descritto, e poi Siriano lo ha riferito a me, lo stato in cui aveva lasciato la corte.277 Perché dovrei mai riferirti altri particolari, che ho udito distrattamente? Cionondimeno, ci sono delle notizie che mi hanno causato, a sentirle, un

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sinesio di cirene

φειν, ὧν κἀγὼ παρέργως ἠκροασάμην; Ἐφ’ οἷς δὲ αὐτὸς ἀκούσας ἥσθην ὑπερφυῶς σέ τε δι’ αὐτῶν εὐφρᾶναι βούλομαι, τάδε ἐστίν. Ὁ θαυμαστὸς Ἰωάννης μικρὸν εἰπεῖν ἐν τοῖς αὐτοῖς ἐστιν, ἐπιδιδούσης τῆς τύχης ἐν τοῖς ἐκείνου πράγμασιν ὅσον ἐπιδόσεως χωρεῖ καί τινα καθ’ ἑαυτὴν ὑπερβολὴν ἐξευρούσης. Αὐτῷ τε γὰρ ἀνεῖται τὰ βασιλέως ὦτα καὶ πρὸ τούτων ἡ γνώμη χρῆσθαι πρὸς ὅ τι δέοιτο. Καὶ ὅσα Ἀντίοχος δύναται, τούτῳ δύναται· δύναται δὲ Ἀντίοχος ὅσα βούλεται. Ἀντίοχον ἡγοῦ μὴ τὸ ἀπὸ Γρατιανοῦ τὸ ἱερὸν ἀνθρώπιον, τὸ βέλτιστον μὲν τοὺς τρόπους, εἰδεχθέστατον δὲ τὴν ὄψιν, ἀλλ’ ἕτερός ἐστιν ὁ νεανίσκος ὁ πρόκοιλος, ὁ Ναρσῇ τῷ Πέρσῃ παραδυναστεύσας τε καὶ ἐπιδυναστεύσας. Τοῦτον ἐξ ἐκείνου μέχρι νῦν ἡ τύχη μέγαν ποιεῖ. Τούτων οὕτως ἐχόντων, εἰκός ἐστι κορώνης ἐνιαυτοὺς ἄρξαι παρ’ ἡμῖν τὸν δικαιότατον ἄρχοντα, τοῦ μὲν ὄντα συγγενῆ, τοῦ δὲ οἰκεῖον γενόμενον. 111

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Πυνθάνῃ περὶ Διοσκορίου πόσους ἀπαγγέλλει στίχους ἑκάστης ἡμέρας; Πεντήκοντα. Τούτους ἀποδίδωσιν οὐ προσπταίων, οὐ διλογῶν, οὐκ ἐφιστάμενος ἐφ’ ᾧ τὴν ἀνάμνησιν ἀθροῖσαι σὺν χρόνῳ, ἀλλ’ ἐπειδὰν ἄρξηται λέγειν, κατατείνει συνεχῶς· καὶ ἡ σιωπὴ τέλος ἐστὶ τῆς ἀπαγγελίας. 112

ΤΡΩΙΛΩΙ  

Οὔτε ἐπὶ τοῖς αὐτοῖς ἄνθρωποι φιλοῦσι καὶ ἐπαινοῦσιν οὔτε μία δύναμις τῆς ψυχῆς ἐπ’ ἄμφω τέτακται ταῦτα, ἀλλὰ τῷ παθητικῷ

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lettere 111-112, al fratello

– a troilo

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estremo piacere e con le quali desidero rallegrare anche te. Sono le seguenti. Che l’ammirabile Giovanni mantenga la stessa posizione è dire poco, poiché la sua buona sorte, che contribuisce alle sue faccende quanto più le è possibile, ha addirittura trovato il modo di superarsi. A lui si protendono le orecchie dell’imperatore e ancora prima delle orecchie il suo animo, che può sfruttare per ottenere tutto ciò che domanda. E tutto ciò che è in potere di Antioco è in potere di Giovanni; e Antioco può tutto ciò che vuole. Quando dico Antioco non intendere l’omino santo che discende da Graziano, perfetto nel comportamento, orribile alla vista, ma l’altro, il ragazzo panciuto che ha esercitato il potere col persiano Narsete e ha continuato a esercitarlo dopo di lui.278 Da allora e fino a ora la fortuna lo ha reso potente. Stanti così le cose, è naturale che il nostro giustissimo governatore comandi nella nostra provincia per tutti gli anni che dura la vita di una cornacchia,279 essendo parente dell’uno e familiare dell’altro. 111

Allo stesso Da Cirene a Ficunte, 405

Mi domandi quanti versi reciti Dioscoro280 ogni giorno? Cinquanta! Li declama senza fare inciampi o ripetizioni, senza soste per avere il tempo di mettere assieme i ricordi, ma qualora cominci a parlare prosegue ininterrottamente; il silenzio indica la fine della recitazione. 112

A Troilo Da Cirene a Costantinopoli

Non è vero né che gli uomini amano ed elogiano sulla base degli stessi princìpi né che un’unica facoltà dell’anima presiede a entrambe queste attitudini, ma è piuttosto con la facoltà emotiva

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sinesio di cirene

μὲν οἰκειούμεθα καὶ ἀλλοτριούμεθα, τῷ δὲ κρίνειν δυναμένῳ καὶ λόγον ἔχοντι τῆς ψυχῆς ἐπαινοῦμέν τε καὶ μεμφόμεθα. 113

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Εἶτα τοὺς μὲν κακοδαίμονας τούτους ὁρῶμεν ἀποθνήσκειν ἐθέλοντας ὑπὲρ τῶν ἀλλοτρίων, ἅττα ἂν λείαν περιποιήσωνται, τοῦ μηκέτι προέσθαι τοῖς κυρίοις αὐτά· ἡμεῖς δὲ ὑπὲρ χώρας, ὑπὲρ ἱερῶν, ὑπὲρ νόμων, ὑπὲρ κτημάτων, οἷς ἡμᾶς ὁ χρόνος συνηθεστέρους ἐποίησεν, οὐκ ἀφειδήσομεν ἑαυτῶν, ἀλλὰ περιεξόμεθα τῶν ψυχῶν; Οὐκ ἄρα δόξομεν ἄνδρες εἶναι. Ἐμοὶ μὲν οὖν ἰτητέον ἐστὶν ἐπ’ αὐτοὺς ὡς ἔχω καὶ πεῖραν ληπτέον τῶν πάντα τούτων τολμώντων, οἵτινες ὄντες ἀξιοῦσι Ῥωμαίων καταγελᾶν, ἐχόντων ὅπως ποτὲ ἔχουσιν. Ἀλλ’ ἡ «κάμηλος γάρ τοι – φασί – καὶ ψωριῶσα πολλῶν ὄνων ἀνατίθεται φορτία.» Ἀλλὰ μὴν καὶ ἀποθνήσκοντας ὡς ἐπίπαν ἐν τοῖς τοιούτοις ὁρῶ τοὺς περὶ πλείστου ποιουμένους τὸ ζῆν καὶ ζῶντας ὅσοι τοῦ ζῆν ἀπεγνώκεισαν. Τούτων ἔσομαι· μαχήσομαι γὰρ ὡς ἀποθανούμενος, καὶ εὖ οἶδ’ ὅτι περιέσομαι. Λάκων γὰρ ἄνωθέν εἰμι καὶ οἶδα τὴν πρὸς Λεωνίδαν ἐπιστολὴν τῶν τελῶν· «Μαχέσθων ὡς τεθναξόμενοι, καὶ οὐ τεθνάξονται.» 114

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Εἶτα θαυμάζεις ὅστις τοὺς αὐχμώδεις Φυκοῦντας οἰκῶν εἰ ῥιγοῖς καὶ τὸ αἷμα ἐξεπονήρευσας; Τοὐναντίον μέντοι θαυμάζειν ἐχρῆν εἰ ἔτι τὸ σῶμα κρεῖττόν ἐστι τῆς αὐτόθι φλογός. Ἀλλ’ ἔστι

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lettere 113-114, al fratello

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che noi sentiamo un’affinità o un’avversione, ed è con la facoltà propria dell’anima di giudicare e di fare un ragionamento che noi lodiamo e biasimiamo. 113

Al fratello Da Cirene a Ficunte, tra il 405 e il 410

Quando vediamo quegli sciagurati pronti a morire per difendere dei beni altrui, di cui si sono impossessati come bottino, pur di non restituirli ai loro proprietari, noi forse, per difendere la nostra regione, i nostri santuari, le nostre leggi, le nostre ricchezze, tutto quel che il tempo ci ha reso alquanto familiare, risparmieremo noi stessi, ci aggrapperemo alle nostre vite? In tal caso, non sembreremo certo degli uomini. Non mancherò quindi di andare loro incontro così come mi trovo e di saggiarli, loro che tutto osano, per capire chi sono per essersi permessi di prendersi gioco dei Romani, e nella condizione in cui questi si trovano adesso. Come dice il proverbio, “anche con la scabbia un cammello sopporta il peso di molti asini”.281 Peraltro noto che perlopiù in queste circostanze a morire sono proprio quelli che danno un maggior valore alla vita e che invece vivono quanti hanno rinunciato a ogni aspettativa di sopravvivenza. Io sarò tra questi: combatterò come se dovessi morire, e allora, lo so bene, sopravvivrò. Infatti sono spartano di origine e conosco la lettera indirizzata a Leonida dai suoi magistrati: “Combattete come per morire e non morirete”.282 114

Allo stesso Dalla campagna nei pressi di Cirene283 a Ficunte, 405

E ti stupisci se, pur abitando nell’arida Ficunte, tremi dal freddo e ti sei guastato il sangue? Al contrario, dovresti stupirti se il tuo corpo riesce ancora a resistere al calore che si trova lì. Ma puoi

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sinesio di cirene

σοι παρ’ ἡμᾶς ἐλθόντι σὺν τῷ θεῷ ῥᾴονι γενέσθαι, ἀπαλλαγέντι μὲν ἀέρος διεφθορότος ἐκ τῆς ἑλώδους ἀτμίδος, ἀπαλλαγέντι δὲ ὕδατος ἁλυκοῦ καὶ χλιαροῦ καὶ τὸ ὅλον ἑστῶτος, ὃ ταὐτὸν εἰπεῖν καὶ νεκρόν. Τί δὲ καὶ καλόν ἐστιν ἐπὶ τὴν ψάμμον τὴν αἰγιαλῖτιν ἀναπεσεῖν, ἣν μόνην ἔχετε διατριβήν; Ποῦ γὰρ δὴ καὶ τραπήσεσθε; Ἐνθαδὶ δὲ οἷον μέν ἐστιν ὑπελθεῖν δένδρου σκιάν (κἂν δυσ­ αρεστήσῃς, ἔστιν ἀμεῖψαι δένδρον ἐκ δένδρου καὶ ὅλον ἄλσος ἐξ ἄλσους), οἷον δὲ τὸ διαβῆναι παραρρέον ὑδάτιον. Ὡς ἡδὺ δὲ ὁ ζέφυρος ὑποκινῶν ἠρέμα τοὺς κλάδους. Ποικίλαι δὲ καὶ ὀρνίθων ᾠδαὶ καὶ ἀνθέων χροιαὶ καὶ λειμῶνος θάμνοι, τὰ μὲν γεωργίας ἔργα, τὰ δὲ φύσεως δῶρα, πάντα εὐώδη, γῆς ὑγιαινούσης χυμοί. Τὸ δὲ τῶν Νυμφῶν ἄντρον οὐκ ἐπαινέσομαι· Θεοκρίτου γὰρ δεῖ. Ἔστι δέ τι καὶ παρὰ ταῦτα. 115

ΘΕΟΔΩΡΩΙ ΙΑΤΡΩΙ  

Ἀγαθὸν ἀναγκαῖον ἡ ὀλιγοσιτία. Ἣν ἕτερος μὲν ἄν τις καὶ σκώψειε, σοὶ δὲ οὐ θέμις Ἱπποκράτην αὐχοῦντι, ὃς ἀφορίζων «τὴν ἔνδειαν» ἔφη «ὑγείας» εἶναι «μητέρα.» 116

ΗΛΙΟΔΩΡΩΙ  

Ἡ φήμη λέγει δύνασθαί σε πολλὰ παρὰ τῷ νῦν ἔχοντι τὴν Αἰγυπτίων ἀρχήν, καὶ ἀληθῆ γε λέγει· δικαιότατος γὰρ εἶ, καλῶς τῷ δύνασθαι χρώμενος. Ὅπως οὖν ὄναιο τῆς σῆς φύσεως καὶ δυνάμεως, ὑπὲρ ὧν ὁ ἐμὸς Εὐσέβιος δεῖται λέγοντος ἄκουσον ἵν’ εἰδῇς ὅτι καὶ ῥήτορα συνεστήσαμεν.

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lettere 115-116, al medico teodoro

– a eliodoro

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venire qui da noi e con l’aiuto di Dio tornare a stare meglio, lontano dall’aria corrotta dalle esalazioni della laguna, lontano da quell’acqua salmastra e tiepida completamente stagnante, che equivale a dire morta. Cosa c’è di piacevole nel distendersi sulla sabbia del litorale, che poi è l’unico svago che avete? In effetti, dove vi potreste dirigere altrimenti? Qui invece ci si può mettere all’ombra sotto un albero (e se non sei soddisfatto, puoi spostarti di albero in albero o anche di bosco in bosco), si può attraversare il corso di un ruscello. Com’è dolce lo zeffiro quando smuove lievemente i rami. E come sono vari i canti degli uccelli, i colori dei fiori, gli arbusti nel prato, da un lato i lavori della coltura, dall’altro i doni della natura, tutti profumati, succhi di una terra in perfetta salute. Non starò qui a elogiare l’antro delle Ninfe:284 ci vorrebbe Teocrito.285 Ma, a dispetto di questo, il luogo è all’altezza. 115

Al medico Teodoro La frugalità è un bene necessario. Un altro potrebbe anche farsene beffe, ma certo non sarebbe da te, che sei un sostenitore di Ippocrate, lo stesso che ha definito “la dieta” – queste le sue parole – “la madre della salute”.286 116

A Eliodoro Da Cirene a Tolemaide, tra il 405 e il 410

Corre voce che tu abbia una notevole influenza su colui che detiene attualmente il potere amministrativo in Egitto, ed è la verità: sei infatti estremamente giusto, e lo rivela anche la maniera in cui impieghi questa influenza. Per trarre dunque profitto dalla tua natura e dal tuo potere, ascolta il mio Eusebio mentre ti espone le ragioni che lo hanno spinto a farti la sua richiesta: così saprai che colui che ti abbiamo raccomandato è anche un oratore.

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sinesio di cirene

117

ΑΥΞΕΝΤΙΩΙ   «Εἰς ὄρος ἢ εἰς κῦμα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης»

Ὅμηρος ἀποδιοπομπεῖται τὰ ἐκ φιλονεικίας κακά, φιλοσοφία δὲ οὐδὲ τὴν ἀρχὴν αὐτοῖς δίδωσι πάροδον εἰς ψυχήν. Ἀλλ’ ἡμεῖς ἀσθενέστεροι μὲν ἢ ὥστε φιλοσοφεῖν, τό γε ἐμὸν μέρος· οὐ μὴν ἀξιοῦμεν παντάπασι φαυλότερον ἔχειν ἀνθρώπων στρατιωτῶν ἐφ’ οἷς ἡ ποίησις γέγονε. Πάλιν οὖν Ὁμήρῳ χρηστέον ὅς πού φησιν· «ἄρχε, σὺ γὰρ γενεῇφι νεώτερος.»

Μάχη γὰρ μὴ γένοιτο μέν· εἰ δὲ γένοιτο, ὁ νεώτερος αὐτῆς ἀρχέτω (τοιοῦτον γάρ τι νοεῖται τῷ Ποσειδῶνι, τὸ παραχωρεῖν τοῦ προκατάρξασθαι τῷ νεωτέρῳ θεῷ)· τὸν δὲ πρεσβύτερον ἡγεμόνα δεῖ τῶν καλλίστων εἶναι· κάλλιστον δὲ ὁμόνοια. Ἐγὼ δὲ ὡς οὐ σοῦ πρεσβύτερος μόνον, ἀλλὰ καὶ ἤδη πρεσβύτης «χρῷ δῆλον» – ὁ Φερεκύδης φησίν. Οὐκοῦν τὰ τῆς ἀπολογίας εἰς ἐμὲ περιΐσταται. Εἰ δὲ καὶ τὸν πρότερον ἁμαρτάνοντα δεῖ πρότερον ἐνδοῦναι, σὺ δέ με βούλει τοῦτον εἶναι, συγχωρῶ σὴν χάριν καὶ τοῦτο· δεῖ γὰρ ἀντιποιηθέντα σοῦ πρότερον εὐθὺς ἐθελήσαντί σοι χαρίσασθαι. 118

ΤΡΩΙΛΩΙ  

Εἰ τὸν ἥρωα Μαξιμῖνον οἶσθα (διέτριψε γὰρ χρόνον ὑπόσυχνον ἐπὶ στρατοπέδου), πάντως καὶ ὅτι χρηστὸς ἦν οἶσθα. Τούτου παῖς ἐμὸς ἐξανέψιος, ὃς ἐπιδώσει σοι τὴν ἐπιστολήν. Ὃν ἕτερος μέν τις ἴσως καὶ διὰ τὴν τύχην τιμήσει (τῶν γὰρ ἀρξάντων ἐστὶν οὐκ ἀφιλότιμον ἀρχήν), ὁ δὲ φιλόσοφος Τρωΐλος τἄνδον ὄψεται τοῦ νεανίου κἀκεῖθεν αὐτὸν ἐπαινέσει.

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lettere 117-118, ad aussenzio

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– a troilo

117

Ad Aussenzio Da Tolemaide a Cirene, 412 “Verso il monte o in mezzo alle onde del mare sonoro”,287

ecco dove Omero relega i mali provocati dalla contesa, mentre la filosofia non concede loro neppure il tentativo di accedere all’anima. Noi siamo troppo deboli per filosofare, almeno per quanto mi riguarda: tuttavia, non intendiamo affatto essere da meno di quei soldati per i quali il poema fu composto. Di nuovo, si deve ricorrere a Omero, che da qualche parte afferma: “colpisci per primo: d’età sei più giovane”.288

Certo mi auguro che non vi sia alcuna battaglia fra di noi; ma qualora vi fosse, che sia il più giovane a iniziarla (tale fu infatti il pensiero di Poseidone, quando concesse di prendere l’iniziativa a un dio più giovane); il più anziano deve piuttosto essere la guida verso le azioni più nobili: e la più nobile di tutte è la concordia. Io sono non soltanto più anziano di te, ma sono già vecchio:289 “la mia pelle lo dimostra”,290 come dice Ferecide. Tocca dunque a me difendermi. Ma se il primo a commettere un errore deve anche essere il primo a cedere, e tu vuoi che io mi comporti così, per farti piacere ti concederò anche questo: essendo stato il primo a cercarti, è necessario che adesso assecondi la tua volontà. 118

A Troilo Da Cirene a Costantinopoli, 406

Se hai conosciuto l’eroe Massimino (ha trascorso molto tempo alla corte imperiale), sai perfettamente che si trattava di un uomo onesto. Suo figlio, che è un mio cugino di secondo grado, è colui che ti consegnerà questa lettera. Qualcun altro forse lo onorerà per la sua buona sorte (ha rivestito infatti una carica di prestigio), ma il filosofo Troilo guarderà soltanto le qualità interiori di questo ragazzo e per quelle lo loderà.

240

sinesio di cirene

Δῆλον δὲ ὅτι καὶ συνδιοίσεις τὰ παρόντα αὐτῷ· σπαράττεται γὰρ ὑπὸ ἐνδεικτῶν κακῶς ἐπιφύντων τῇ Κυρήνῃ «εἰ μὴ σύγε δύσεαι ἀλκήν.» Ὅ τι γὰρ Ἀνθέμιον ἤ τινα τῶν ὁμοτίμων αὐτῷ πείσεις ὑπὲρ ἡμῶν τε καὶ τἀληθοῦς φθέγξασθαι, τοῦτο σὸν ἔσται πάντως καὶ σὺ τὴν αἰτίαν ἕξεις τοῦ γενομένου. Δι’ ἑνὸς οὖν ἀνδρός τε καὶ πράγματος, δέομαι, προθυμήθητι τῶν παμπονήρων τούτων ἡμᾶς ἀπαλλάξαι θηρίων. Τὸ γὰρ εὐτυχηθῆναι τὴν πεῖραν τοῖς φθάσασι πολλοὺς ὁμοίους αὐτοῖς γενέσθαι προτρέψεται. 119

ΤΡΥΦΩΝΙ  

Εἰς Διογένην ὅ τι ἂν ποιήσῃς ὧν σοι φύσις ἐστὶν ἐργάζεσθαι οὐδὲν καινὸν ἔσῃ πεποιηκώς, ἀλλ’ ἐποικοδομῶν τοῖς σαυτοῦ· Κυρηναῖος γάρ ἐστι, τῆς δι’ ὑμᾶς ἔτι πόλεως. Δεῖ δὲ οὐ μόνον ἀθρόους, ἀλλὰ καὶ καθ’ ἕνα εὐεργετεῖν. Τίνα δέ ἐστιν ἐν οἷς σοῦ δεήσεται Διογένης, οὐκ ἐμοῦ γράφοντος ἀναγινώσκειν, ἀλλ’ αὐτοῦ λέγοντος ἀκούειν σε δεῖ· οὐδὲν γὰρ γένοιτο τοῦ παθόντος ῥητορικώτερον. Μαρκιανὸν τὸν φιλόσοφον τὸν ἄρξαντα Παφλαγόνων πρόσειπε παρ’ ἐμοῦ· κἄν τι δύνηται (στοχάζομαι δὲ ὅτι δύναται), κωλυσάτω συγγενῆ μου σφόδρα αὐτανέψιον ἔργον γενέσθαι συκοφαντῶν ἐνδεικτῶν, κοινῶν ἀλαστόρων τῆς χώρας. Ὅν σοι μετὰ τῆς ἐπιστολῆς υἱὸν ἐγχειρίζω, δι’ ὃν ὄντες ἀδελφοὶ δύο τρεῖς ἀριθμούμεθα. 120

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Οἱ Ἀσκληπιάδαι τοῖς δυσεμέτοις ὕδατος χλιαροῦ διδόασιν ἀπορροφεῖν ἵνα τούτῳ συνεπισπάσωνται καὶ τὸ προαποκείμενον. Βού-

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lettere 119-120, a trifone

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– al fratello

È chiaro che lo aiuterai a sostenere la sua situazione presente. È straziato infatti da quegli accusatori che sono il male di Cirene, “a meno che tu non ti rivesta del tuo valore”.291 Ciò che Antemio o qualcuno dei suoi pari, da te persuaso, pronuncerà a favore nostro e della verità, sarà interamente opera tua e avrai il merito di quanto accaduto. Intervenendo per questo solo uomo e questa sola questione, ti prego, liberaci da queste belve scellerate. Infatti, una buona riuscita ai primi tentativi esorterà molti a diventare loro emuli. 119

A Trifone Da Cirene a Costantinopoli, 406

Qualunque cosa – tra quelle che ti risulta naturale compiere – farai per Diogene non sarà una novità, anzi, non farai altro che innalzare l’edificio dei tuoi meriti: egli è di Cirene, la città che deve a voi di esistere ancora. Non si deve però essere soltanto benefattori della collettività, ma pure dei singoli. La questione per la quale Diogene domanderà il tuo aiuto non devi apprenderla leggendo la mia lettera, ma ascoltando la sua viva voce: nulla infatti potrebbe essere più eloquente della parola di chi soffre. Saluta da parte mia Marciano, il filosofo che è stato governatore della Paflagonia. Qualora sia in suo potere (ma immagino che lo sia), che impedisca che un mio parente, un mio cugino, divenga preda dei falsi accusatori, flagelli pubblici di questa regione. Te lo affido, assieme alla lettera, come un figlio: siamo solo due fratelli ma grazie a Diogene è come se fossimo in tre. 120

Al fratello Da Cirene a Ficunte, 407

I seguaci di Asclepio prescrivono a chi ha difficoltà a vomitare di sorbire dell’acqua tiepida, così da espellere assieme a quella anche

242

sinesio di cirene

λομαι δή σοι κἀγὼ φήμας καινὰς ἔναγχος ἐκ τῆς ἠπείρου διακομίσας ἀπαγγεῖλαι ἵνα μοι πολλαπλασίους αὐτὰς ἀποδῷς, προσθεὶς εἴ τι πλέον εἰδὼς τυγχάνεις. 121

ΑΘΑΝΑΣΙΩΙ ΤΩΙ ΥΔΡΟΜΙΚΤΗΙ  

Ὀδυσσεὺς ἔπειθε τὸν Πολύφημον διαφεῖναι αὐτὸν ἐκ τοῦ σπηλαίου. «Γόης γάρ εἰμι καὶ εἰς καιρὸν ἄν σοι παρείην οὐκ εὐτυχοῦντι τὰ εἰς τὸν θαλάττιον ἔρωτα. Ἀλλ’ ἐγώ τοι καὶ ἐπῳδὰς οἶδα καὶ καταδέσμους καὶ ἐρωτικὰς κατανάγκας αἷς οὐκ εἰκὸς ἀντισχεῖν οὐδὲ πρὸς βραχὺ τὴν Γαλάτειαν. Μόνον ὑπόστηθι σὺ τὴν θύραν ἀποκινῆσαι, μᾶλλον δὲ τὸν θυρεὸν τοῦτον· ἐμοὶ μὲν γὰρ καὶ ἀκρωτήριον εἶναι φαίνεται. Ἐγὼ δὲ ἐπανήξω σοι θᾶττον ἢ λόγος, τὴν παῖδα κατεργασάμενος – τί λέγω κατεργασάμενος; Αὐτὴν ἐκείνην ἀποφανῶ σοι δεῦρο πολλαῖς ἴυγξι γενομένην ἀγώγιμον καὶ δεήσεταί σου καὶ ἀντιβολήσει, σὺ δὲ ἀκκιῇ καὶ κατειρωνεύσῃ. Ἀτὰρ μεταξύ μέ τι καὶ τοιοῦτον ἔθραξε μὴ τῶν κωδίων ὁ γράσος ἀηδὴς γένηται κόρῃ τρυφώσῃ καὶ λουομένῃ τῆς ἡμέρας πολλάκις. Καλὸν οὖν εἰ πάντα εὐθετήσας ἐκκορήσειάς τε καὶ ἐκπλυνεῖς καὶ ἐνθυμιάσειας τὸ δωμάτιον· ἔτι δὲ κάλλιον εἰ καὶ στεφάνους παρασκευάσαιο κιττοῦ τε καὶ μίλακος οἷς σαυτόν τε καὶ τὰ παιδικὰ ἀναδήσαιο. Ἀλλὰ τί διατρίβεις καὶ οὐκ ἐγχειρεῖς ἤδη τῇ θύρᾳ;» Πρὸς οὖν ταῦτα ὁ Πολύφημος ἐξεκάγχασέ τε ὅσον ἠδύνατο μέγιστον καὶ τὼ χεῖρε ἐκρότησε. Καὶ ὁ μὲν Ὀδυσσεὺς ᾤετο αὐτὸν ὑπὸ χαρμονῆς οὐκ ἔχειν ὅ τι ἑαυτῷ χρήσαιτο, κατελπίσαντα τῶν παιδικῶν περιέσεσθαι· ὁ δὲ ὑπογενειάσας αὐτόν· «Ὦ Οὖτι,» ἔφη «δριμύτατον μὲν ἀνθρώπιον ἔοικας εἶναι καὶ ἐγκατατετριμμένον ἐν πράγμασιν. Ἄλλο μέντοι τι ποίκιλλε· ἐνθένδε γὰρ οὐκ ἀποδράσεις.» Ὁ μὲν οὖν Ὀδυσσεύς (ἠδικεῖτο γὰρ ὄντως) ἔμελλεν ἄρα τῆς πανουργίας ὀνήσεσθαι, σὲ δὲ Κύκλωπα μὲν ὄντα τῇ τόλμῃ, Σίσυ-

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lettere 121, ad atanasio il fraudolento

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quanto si trovava già nello stomaco. Voglio quindi riportarti delle voci recenti, giunte or ora dall’altro continente,292 affinché tu me le renda moltiplicate, aggiungendo tutte le informazioni ulteriori di cui sei eventualmente a conoscenza. 121

Ad Atanasio il fraudolento293 Da Tolemaide alla prigione di Tolemaide, 412

Odisseo cercava di convincere Polifemo a lasciarlo uscire dalla caverna: “Io sono un mago” – diceva – “e al momento opportuno potrei aiutarti nelle difficoltà che ti crea l’amore per la ninfa marina. Conosco degli incantesimi e dei legami magici e costrizioni amorose alle quali Galatea non potrà resistere neppure per un istante. Devi soltanto spostarmi la porta, o piuttosto questo macigno: per me infatti è come un promontorio. Io ritornerò in men che non si dica, non appena avrò conquistato la ragazza – che dico, conquistata? Te la mostrerò proprio qui, ormai prigioniera di molti sortilegi e ti pregherà e ti supplicherà e tu potrai fare il ritroso e dissimulare. Ma intanto mi preoccupa una cosa, che l’odore di queste pelli caprine non sia gradito a una fanciulla raffinata, abituata a fare il bagno più volte al giorno. Sarebbe bene che tu riordinassi tutto e che tu spazzassi, pulissi e profumassi questa stanza; sarebbe ancora meglio se tu preparassi delle corone di edera e convolvolo294 con cui cingere la testa tua e della tua amata. Allora, che cosa aspetti? Perché non sei già ad aprire la porta?”. A queste parole Polifemo si mise a ridere di gusto, quanto più poteva, e a battere le mani. E Odisseo pensava che non riuscisse a controllarsi per la gioia, all’idea di riuscire ad avere la meglio sulla propria amata. Ma Polifemo, dandogli un buffetto sotto il mento, gli rispose: “Nessuno, mi sembri un ometto assai scaltro e consumato nel far fronte alle circostanze. Ma devi trovare qualche altro trucco: non scapperai da qui”.295 Così Odisseo (che era a tutti gli effetti una vittima) cercava di trarre profitto dalla propria astuzia, ma tu, che sei come un Ciclope per la sfrontatezza e come Sisifo296 per le tue imprese vio-

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sinesio di cirene

φον δὲ τοῖς ἐγχειρήμασι, δίκη μετῆλθε καὶ νόμος καθεῖρξεν, ὧν μή ποτε σύγε καταγελάσειας. Εἰ δὲ δεῖ πάντως ὑπερσχεῖν σε τῶν νόμων, ἀλλὰ μὴ ἔγωγε εἴην ὁ παραλύων αὐτοὺς καὶ τὰς θύρας καταρρηγνὺς τοῦ ἐπὶ τοῖς δεσμώταις οἰκήματος. Καὶ γὰρ εἰ μὲν ἦν ἐπὶ τοῖς ἱερεῦσιν ἡ πολιτεία, τούτους αὐτοὺς ἔδει τῆς πονηρίας κολαστὰς εἶναι. Ὡς ἔστι γε τὸ δημόσιον ξίφος οὐχ ἧττον ἢ τὰ ἐν τοῖς προτεμενίσμασι χέρνιβα πόλεως καθαρτήριον. «Οὕτω καὶ τῶν πρόσθεν ἐπευθόμεθα κλέα ἀνδρῶν.»

Οὕτως ἐποίουν ἕως ἐδόκει καλὸν εἶναι τὸν αὐτὸν εὔχεσθαί τε ὑπὲρ τῶν κοινῶν ἀγαθῶν καὶ πράττειν ὅπως ἂν παραγένοιτο. Καὶ γὰρ Αἰγύπτιοι καὶ τὸ Ἑβραίων γένος χρόνον συχνὸν ὑπὸ τῶν ἱερέων ἐβασιλεύθησαν· ἐπεὶ δὲ διῳκίσθησαν οἱ βίοι καὶ ὁ μὲν ἱερός, ὁ δὲ ἡγεμονικὸς ἀπεδείχθη, τετάχαται δὲ ἕτεροι μὲν ἐπὶ τοῖς πράγμασιν, ἡμεῖς δὲ ἐν ταῖς εὐχαῖς εἶναι οἷς ὁ νόμος ἀπαγορεύει χεῖρα ὀρέγειν τῇ δίκῃ καὶ ἀποκτιννύναι τὸν πονηρότατον, πῶς ἄν τις αὐτοῖς ἐπιτρέψειεν ἀνδρὶ πανούργῳ χεῖρα ὀρέξαι κατὰ τῆς δίκης; Ἀλλ’ ἐγὼ τό γε εἰς ἐμὲ ἧκον ἅπαν ποιῶ· εὔχομαι καὶ οἴκοι καὶ ἐπὶ τῶν κοινῶν ἱερῶν ὑπερσχεῖν τῆς ἀδικίας τὴν δίκην καὶ πονηρίας ἐκκαθαρθῆναι τὴν πόλιν. Τοῦτο δὲ ταὐτόν ἐστι τῷ κακὸν κακῶς ἀπολωλέναι καί σε καὶ ἄλλον ὅστις σοι παραπλήσιος. Ἔστω δή σοι τοῦτο τεκμήριον τίς ἂν ἐγενόμην, ἐξόν τι ποιεῖν, ὅς, ἐπειδὴ οὐκ ἔξεστι, καταρῶμαι. 122

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Πολλὰ κἀγαθὰ γένοιτο τοῖς ἱερεῦσιν Ἀξουμιτῶν οἵ, τῶν στρατιωτῶν καταδεδυκότων ἐν χηραμοῖς ὀρῶν καὶ ἀξιούντων τὸ αἷμα φρουρεῖν, οἳ δὲ τὸν ἀγροῖκον λεὼν παρακαλέσαντες ἀπὸ τῶν ἱερῶν

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lettere 122, al fratello

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lente, sei stato perseguito dalla giustizia e incarcerato dalla legge: che tu possa non sbeffeggiare più nessuna delle due! Se anche dovessi realmente porti al di sopra delle leggi, non sarò certo io il loro trasgressore, né sarò io a infrangere le porte della prigione. Se infatti il potere politico fosse stato in mano ai sacerdoti, anche questi avrebbero dovuto punire la malvagità. D’altronde, la pubblica spada non è meno efficace nel purificare la città dell’acqua lustrale che si trova nei vestiboli delle chiese. “Così anche degli uomini antichi sentiamo narrare le gesta”.297

Così si sono comportati finché gli è parso giusto che una stessa persona pregasse per il bene comune e agisse per garantirlo. Anche gli Egizi e il popolo degli Ebrei hanno avuto per molto tempo come re dei sacerdoti. In seguito, questi due tipi di vita furono separati e l’uno fu definito sacro e l’altro politico, e quelli hanno iniziato a occuparsi dei problemi pratici mentre noi siamo immersi nelle preghiere. Ora, quelli cui la legge impedisce di dare una mano alla giustizia e di condannare a morte i più crudeli, come potrebbero accondiscendere a dare una mano a un uomo capace di tutto, andando contro la giustizia? Per quanto mi riguarda, io faccio tutto ciò che mi compete: prego in privato e nelle sacre assemblee perché la giustizia possa sopraffare l’ingiustizia e purificare la città dalla malvagità. Questo equivale a dire che prego perché moriate malamente, te e tutti quelli come te. Ti basti come prova per capire come mi sarei comportato se avessi avuto il potere di agire, io che, non avendo quel potere, ti maledico. 122

Al fratello Da Cirene a Ficunte, tra il 405 e il 410

Auguro ogni bene ai sacerdoti axumiti,298 che, mentre i soldati se ne stavano nascosti nelle cavità delle montagne e pensavano a preservare il loro sangue, hanno chiamato a raccolta il popolo delle campagne, persino dai luoghi di culto, e li hanno condotti

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sinesio di cirene

αὐτῶν τὴν εὐθὺ τῶν πολεμίων ἡγήσαντο καὶ προσευξάμενοι τρόπαιον ἔστησαν ἐν τῇ Μυρσινίτιδι. Φάραγξ δὲ αὕτη προμήκης τε καὶ βαθεῖα καὶ ὕλη συνηρεφής, ἀλλ’ ὑπὸ τοῦ μηδὲν τοῖς βαρβάροις ὅπλον πολέμιον ἀπηντηκέναι καὶ τὰς δυσχωρίας ἐθάρσησαν· ἔμελλον δέ που καὶ μελαμπύγου τεύξεσθαι Φαύστου τοῦ διακόνου τῶν ἱερῶν. Οὗτός ἐστιν ὁ πρῶτος ὑποστὰς ὁπλίτην γυμνὸς καὶ παίσας ἐκ χειρὸς λίθῳ κροταφιαίαν πληγήν, οὐ βαλών, ἀλλ’ ὥσπερ πὺξ ἐνθορών. Πεσόντα δὲ ἤδη περιδύσας τὰ ὅπλα, συχνοὺς ἐπ’ αὐτῷ κατείργασται. Καὶ ὅστις δὲ ἕτερος ἀνὴρ ἀγαθὸς ἔδοξεν ἐν τῷ τότε, Φαῦστον αἰτιατέον τῶν γενομένων καὶ οἷς ἐποίει καὶ οἷς παρὰ τὸν καιρὸν ἐφθέγγετο. Ἐγὼ δὲ καὶ ἅπαντας τοὺς παραγενομένους τῷ ἔργῳ ἥδιστα ἂν στεφανώσαιμι καὶ ἀνακηρύξαιμι· πρῶτοι γὰρ ἥψαντο καλῶν ἔργων, δεῖξαι τοῖς καταπεπληγμένοις ὅτι μὴ Κορύβαντές εἰσι μηδὲ τῶν περὶ τὴν Ῥέαν δαιμόνων, ἀλλ’ ἄνθρωποι καὶ τρωτοὶ καὶ θνητοὶ καθάπερ ἡμεῖς. Εἰ δὲ καὶ ἡμεῖς ἄνδρες γενοίμεθα ἐν τοῖς τοιούτοις, οὐδὲ τὰ δευτερεῖα γένοιτο ἂν ἀφιλότιμα. Τυχὸν δ’ ἂν καὶ πρωτεῖα συγχωρηθείημεν εἰ μὴ λοχήσαντες ἐν φάραγγι πεντεκαίδεκα προνομεύοντες εὐτυχήσαιμεν, ἀλλὰ νομίμῳ πολέμῳ καὶ φαινομέναις παρασκευαῖς, πλήθει πρὸς πλῆθος ἀγωνισαίμεθα. 123

ΤΡΩΙΛΩΙ   «Εἰ δὲ θανόντων περ καταλήθοντ’ εἰν Ἀίδαο, αὐτὰρ ἐγὼ καὶ κεῖθι φίλου μεμνήσομ’ ἑταίρου.»

Ὁμήρῳ μὲν ἐποιήθησαν οἱ στίχοι, ὁ δὲ νοῦς αὐτῶν οὐκ οἶδα εἰ Ἀχιλλεῖ περὶ Πατρόκλου μᾶλλον ἄξιος εἰρῆσθαι ἢ ἐμοὶ περὶ σοῦ τῆς φιλτάτης τε καὶ εὐεργέτιδος κεφαλῆς. Ὡς ἐγώ (μάρτυρα ποιοῦμαι θεόν, ὃν φιλοσοφία πρεσβεύει) τῆς ἱερᾶς σου καὶ γλυ-

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lettere 123, a troilo

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dritti dinanzi ai nemici; quindi, dopo aver elevato delle preghiere, hanno posto un trofeo nella Mirsinitide.299 Si tratta di una gola lunga e profonda, coperta da una foresta, ma i Barbari, non avendo incontrato alcuna resistenza, avevano osato inoltrarsi anche in un luogo tanto impervio. Ma dovevano incontrare Fausto “dalle natiche nere”,300 il diacono del culto. Questo è stato il primo ad affrontare disarmato un soldato fornito di armi pesanti: presa in mano una pietra, lo ha colpito alla tempia, senza lanciare la sua arma, ma saltandogli addosso come nel pugilato. Caduto quello a terra, lo ha disarmato immediatamente e, dopo di lui, ne ha contenuti molti altri. Se anche qualcun altro è risultato valido in quel frangente, è a Fausto che si deve riconoscere il merito dell’accaduto, e per ciò che ha fatto e per le frasi che pronunciava nonostante la circostanza. Quanto a me, mi piacerebbe moltissimo che tutti quelli che hanno partecipato a questa impresa fossero incoronati e pubblicamente celebrati. Per primi infatti hanno intrapreso atti di coraggio e hanno mostrato alle persone terrorizzate che i nemici non sono né dei Coribanti né dei demoni del seguito di Rea,301 ma degli uomini vulnerabili e mortali come noi. Se ci comporteremo da uomini in tali contingenze, neppure il secondo premio sarà affatto disonorevole. Forse ci potremmo concedere anche il primo, se non ci limitassimo ad avere successo in un’imboscata tesa in una gola da una banda di quindici, ma conducessimo una guerra regolare, con degli armamenti ben visibili, truppa contro truppa. 123

A Troilo Da Cirene a Costantinopoli, 405 “Se poi ci si scorda dei morti a casa di Ade, io invece anche lì sarò memore del mio compagno”.302

Omero ha composto questi versi, ma il concetto riposto in loro non so se si addica di più al sentimento di Achille per Patroclo o al mio per la tua persona carissima e benefattrice. Difatti io (ne chiamo a testimone Dio, venerato dalla filosofia) ritrovo nel profondo del

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sinesio di cirene

κείας ψυχῆς ἐπὶ μέσης καρδίας ἄγαλμα περιφέρω καὶ ἐμβομβεῖ μου ταῖς ἀκοαῖς ἡ θαυμαστή σου τῶν σοφῶν λόγων ἠχώ. Τῇ πατρίδι δὲ ἐπιδημήσας ἀπὸ τῆς Αἰγύπτου καὶ δυοῖν ἐνιαυτῶν ἐπιστολὰς ἅμα ἀνεγνωκώς, πλῆθος ὅσον δακρύων κατέσπεισα τῶν γραμμάτων· οὐ γὰρ οἷς ἀπέλαυόν σου διὰ τῶν γεγραμμένων ἡδόμην, ἀλλ’ ἠνιώμην ἀναφέρων ἀπὸ τῶν γεγραμμένων τὴν ἔμψυχόν σου συνουσίαν οἵου φίλου τε ἅμα καὶ πατρὸς ὄντως ζῶντος στεροίμην. Δεξαίμην οὖν ἂν βαρυτέρους ἀγῶνας ὑπὲρ τῆς πατρίδος ἐθελοντὴς ἵνα μοι γένοιτο πάλιν πρόφασις ἀποδημίας. Ἆρά σέ ποτε ὄψομαι, πάτερ ἀληθῶς γνησιώτατε; Ἆρά ποτε τὴν ἱεράν σου κεφαλὴν περιπτύξομαι; Ἆρα μεθέξω τοῦ συνεδρίου τοῦ διὰ σὲ μακαρίου; Εἰ γὰρ γένοιτό μοι τούτων τυχεῖν, ἀποδείξω μηκέτι μῦθον ὄντα τὸν ἐπὶ Αἴσονι τῷ Θετταλῷ λόγον, ὅν φασιν αἱ ποιήσεις δὶς ἀνηβῆσαι, νέον ἐκ πρεσβύτου γενόμενον. 124

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ   «Εἰ δὲ θανόντων περ καταλήθοντ’ εἰν Ἀίδαο»,

αὐτὰρ ἐγὼ κἀκεῖ τῆς φίλης Ὑπατίας μεμνήσομαι. Ἔγωγέ τοι τοῖς πάθεσι τῆς πατρίδος περιεχόμενος καὶ δυσχεραίνων αὐτὴν ἐφ’ οἷς ὁρῶ καθ’ ἡμέραν ὅπλα πολέμια καὶ ἀποσφαττομένους ἀνθρώπους ὥσπερ ἱερεῖα καὶ τὸν ἀέρα διεφθορότα ἕλκων ἀπὸ τῆς σήψεως τῶν σωμάτων καὶ αὐτὸς ἕτερα τοιαῦτα παθεῖν προσδοκῶν (τίς γὰρ εὔελπις ἐν ᾧ καὶ τὸ περιέχον ἐστὶ κατηφέστατον, κατειλημμένον τῇ σκιᾷ τῶν σαρκοφάγων ὀρνέων;), ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τούτοις φιλοχωρῶν. Τί γὰρ καὶ πάθω, Λίβυς ὢν καὶ ἐνταῦθα γενόμενος καὶ τῶν πάππων τοὺς τάφους οὐκ ἀτίμους ὁρῶν; Διά σέ μοι δοκῶ μόνην ὑπερόψεσθαι τῆς πατρίδος κἂν λάβωμαι σχολῆς μεταναστεύσειν.

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lettere 124, alla filosofa

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mio cuore l’immagine della tua anima sacra e gentile e mi risuona nelle orecchie l’ammirabile eco delle tue sagge parole. Di ritorno in patria dall’Egitto, ho letto tutte assieme le lettere degli ultimi due anni: quante lacrime ho versato sulle tue. Non mi trasmettevano alcun piacere quegli scritti per mezzo dei quali avrei dovuto godere di te, al contrario mi affliggevano, evocandomi l’immagine animata della tua compagnia e ricordandomi di quale amico e al contempo di quale vero e proprio padre, sebbene tu sia in vita, ero stato privato. Accetterei di buon grado battaglie ancora più pesanti al servizio della mia patria pur di avere di nuovo il pretesto di un viaggio all’estero.303 Ti rivedrò mai, padre davvero il più legittimo? Abbraccerò più la tua sacra testa? Parteciperò più a quell’assemblea che grazie a te diveniva beata? Se mi sarà concesso di riavere tutto questo, ti dimostrerò che non è più una favola il racconto su Esone il Tessalo, che, raccontano i poemi, visse una seconda giovinezza, ritornando ragazzo da vecchio che era.304 124

Alla filosofa Da Cirene ad Alessandria, 405 “Se poi ci si scorda dei morti a casa di Ade”,305

io invece anche là mi ricorderò della cara Ipazia. Sono circondato dalle pene della mia patria e la sopporto a malincuore a forza di vedere ogni giorno armi nemiche e uomini sgozzati come vittime sacrificali e respiro aria corrotta per la putrefazione dei corpi e mi aspetto di subire io stesso una simile sorte (chi infatti potrebbe avere delle belle speranze quando tutto attorno il cielo è oscuro, coperto dall’ombra dei rapaci?), ma anche in queste condizioni provo amore per la mia regione. Che cos’altro infatti dovrei sentire, io che sono libico, che sono nato qui e che ho dinanzi agli occhi le tombe dei miei, non poco illustri, antenati? Per te sola, credo, potrei non tenere più in alcun conto la mia patria e, prendendomi il mio tempo, migrare altrove.

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sinesio di cirene

125

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Δυστυχοῦμεν οἷς εὐποροῦμεν πονηραῖς ἀλλήλους ἀγγελίαις ἀμείβεσθαι. Ἰδοὺ γὰρ καὶ Βαττίαν ἐπενείμαντο καὶ Ἀπροσύλεως ἥψαν­ το καὶ ἅλως ἐνέπρησαν καὶ γῆν ἐδῃώσαντο καὶ γυναῖκας ἠνδραποδίσαντο· ἀρρένων δὲ οὐδεμία φειδώ· καίτοι πρότερον εἰώθεισαν ζωγρεῖν τὰ παιδάρια. Ἀλλὰ νῦν, οἶμαι, τὸν ἀριθμὸν ἐλάττους ἴσασιν ὄντες ἢ ὥστε νέμειν τε τῇ λείᾳ φύλακας συχνοὺς καὶ ἀρκεῖν τοῖς λειπομένοις ὡς ἐπὶ πόλεμον εἴ τις ἐπεξίοι. Ἡμῶν δὲ οὐδεὶς ἀγανακτεῖ, ἀλλ’ οἴκοι καθήμεθα τὴν «συκίνην ἐπικουρίαν» τοὺς στρατιώτας προσδεχόμενοι καὶ τὸ σιτηρέσιον καὶ τὰς ἐν εἰρήνῃ πλεονεξίας διὰ στόματος ἔχομεν ὥσπερ τούτοις δικάζεσθαι δέον, ἀλλ’ οὐκ ἐκείνους ἀμύνεσθαι. Οὐ παυσόμεθα φλυαροῦντες; Οὐ σωφρονήσομέν ποτε καὶ γεωργοὺς βωλοκόπους ἀθροίσαντες ὁμόσε χωρήσομεν τοῖς ἐχθροῖς ὑπὲρ παίδων, ὑπὲρ γυναικῶν, ὑπὲρ χώρας, εἰ δὲ βούλει καὶ ὑπὲρ αὐτῶν τῶν στρατιωτῶν; Καλὸν γὰρ ἐν εἰρήνῃ λαλεῖσθαι ταῦτα ὡς ἡμεῖς αὐτοὺς τρέφομέν τε καὶ σώζομεν. Ἐγὼ μὲν οὖν μόνον οὐκ ἔποχος ὢν ἵππῳ τὴν ἐπιστολὴν ὑπηγόρευσα· καὶ γὰρ λόχους καὶ λοχαγοὺς ἐκ τῶν παρόντων ἐποίησα. Ἀθροίζεται δέ μοι καὶ ἐν Ἀσουσάμαντι πλῆθος συχνόν· καὶ γὰρ Διώσταις ἀπαντᾶν ἐπὶ τὴν Κλεοπάτρας ἐπήγγειλα. Ἐλπίζω δέ, ἐπειδὰν πρὸ ὁδοῦ γένωμαι καὶ περιαγγελθῇ νεανική τις συστᾶσα περὶ ἐμὲ δύναμις, πολὺ πλείους ἔσεσθαι τοὺς ἀκλήτους· ἥξουσι γὰρ ἁπανταχόθεν, οἱ βέλτιστοι μὲν ἐφ’ ᾧ μετασχεῖν ἔργου καλοῦ, οἱ πονηρότατοι δὲ καὶ ἐπὶ διαρπαγῇ λαφύρων.

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lettere 125, al fratello

251 125

Al fratello Da Cirene a Ficunte, tra il 405 e il 410

Com’è triste avere così tante occasioni di scambiarsi brutte notizie. Ecco infatti che i nemici hanno occupato Battia, attaccato Aprosili,306 incendiato le aie, devastato le terre, rese schiave le donne; quanto agli uomini, nessuna clemenza; prima, almeno, erano soliti catturare vivi i bambini. Ma adesso, credo, sono consapevoli di essere troppo pochi di numero per lasciare molti a guardia del bottino e al contempo far fronte ai restanti compiti di guerra, in caso qualcuno li attaccasse. Nessuno di noi si indigna, ma ce ne restiamo in casa ad attendere quel “soccorso inutile”307 che sono i soldati e non abbiamo sulla bocca che la loro annona308 e la loro bramosia di guadagno in tempo di pace, come se dovessero essere citati in giudizio, quando il loro compito è quello di respingere i nemici. Non cesseremo mai di dire sciocchezze? Non saremo mai ragionevoli e non raduneremo assieme i contadini “che rompono le zolle”309 per affrontare i nemici per i figli, per le donne, per la regione e, se vuoi, anche per gli stessi soldati? Sarà bello in tempo di pace dire che noi li abbiamo nutriti e protetti. Quanto a me, ho dettato questa lettera che ero già quasi a cavallo. Infatti, ho costituito con gli uomini presenti dei gruppi da combattimento e ho assegnato a ciascuno un comandante. Sto riunendo una considerevole schiera anche ad Asusamante: ho dato ordine di andare incontro alla gente di Disthis fino alla terra di Cleopatra.310 Spero che, quando mi sarò messo in marcia e si sarà diffusa la notizia che una truppa di giovani si è riunita attorno a me, si aggiungeranno molti altri volontari; arriveranno da ogni luogo, i più valorosi per partecipare a una nobile impresa, i più meschini per fare bottino.

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sinesio di cirene

126

ΑΣΚΛΗΠΙΟΔΟΤΩΙ   «Οἴμοι. Τί δ’ οἴμοι; Θνητά τοι πεπόνθαμεν.»

Ὁ τρίτος γε καὶ λοιπὸς οἴχεται τῶν υἱέων. Ἀλλὰ τό γε δόγμα τὸ περὶ τοῦ μηδὲν εἶναι τῶν οὐκ ἐφ’ ἡμῖν ἀγαθὸν ἢ κακὸν ἔτι παρ’ ἐμοὶ σώζεται, μᾶλλον δὲ πάλαι μὲν ἦν μάθημα, νυνὶ δὲ γέγονε δόγμα ψυχῆς ἐγγεγυμνασμένης ταῖς περιστάσεσιν. Ἔδει δὲ ἄρα χαλεπωτέραν μοι γενέσθαι τοῦ πάθους τὴν προσβολὴν καὶ διὰ τοῦτο ὁ δαίμων, ᾧ μέλει βλάπτειν τἀμά, προῳκονομήσατο μηδὲ σὲ τὴν φίλην μοι παρεῖναι κεφαλήν. Ἀλλ’ ἔλθοις ποτέ, θαυμάσιε καὶ τριπόθητε καὶ φίλων ἀδολώτατε. Μάρτυς εἰμὶ τῷ θαυμαστῷ Μενέλεῳ τῆς περὶ σὲ διαθέσεως. Διὰ τοῦτο πολλάκις ἡδέως συνδιημέρευσα ὅτι σε δι’ εὐφήμου μνήμης ἐτίθετο, καὶ πολλὰ τῇ ψυχῇ προσκεκοφὼς καὶ τοῖς ἐπιτρόποις † οὐδὲ † ἀπάγουσιν αὐτὸν εὐθὺ Τευχείρων περὶ τὸν μέγαν Ἀσκληπιόδοτον εὐγνώμων ἦν καὶ εὐχαριστῶν ὡς ἐπὶ μεγίστοις εὐεργέτῃ διατετέλεκεν. Ἵν’ ἔχωμεν ὕδωρ ψυχρόν, ὑδρίαν ἢ πίθον ἐκ μαρμάρου ζητῶ. Ὅσῳ μείζων, τοσούτῳ κάλλιον. Κείσεται δὲ ἐν Ἀσκληπιῷ τῷ ποταμῷ· παρ’ αὐτῷ γὰρ κτίζω τὸ ἀσκητήριον καὶ ἁγνὰ σκεύη προευτρεπίζομαι. Σὺν θεῷ δὲ εἴην ἐπιβαλλόμενος. 127

ΤΩΙ ἈΔΕΛΦΩΙ   «Ἀσπίδα, φρῦνον, ὄφιν καὶ Λαδικέας περίφευγε, καὶ κύνα λυσσητὴν καὶ πάλι Λαδικέας».

Ἀλλὰ μετὰ τὸν ἡμερώτατον καὶ φιλοσοφώτατον Πεντάδιον τὰς πινακίδας ἃς ἡ πολιτεία σύνθημα ποιεῖται τῆς Αἰγυπτίας ἀρχῆς,

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lettere 126-127, ad asclepiodoto

– al fratello

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126

Ad Asclepiodoto Da Tolemaide a Teuchira, 412 o 413 “Ahimè! Perché ‘ahimè’? Mortale è la nostra sorte”.311

Il terzo e ultimo dei miei figli se n’è andato. Ma conservo la convinzione che non ci sia nulla né di bene né di male in quello che non dipende da noi; o piuttosto, in passato era solo una nozione appresa nello studio, adesso è divenuta la convinzione di un’anima esercitata dalle esperienze. Era necessario che le sofferenze mi aggredissero in maniera più violenta e proprio per questo il demone cui sta tanto a cuore di nuocermi si era adoperato affinché neanche la tua persona, che mi è così cara, fosse presente. Che tu possa comunque venire un giorno, mirabile amico assai desiderato, di tutti il più leale. Sono testimone della buona disposizione che ha nei tuoi confronti l’ammirabile Menelao. Per questo ho avuto il piacere di trascorrere spesso in sua compagnia le giornate, perché ha di te un ricordo benevolo. Pur essendo completamente preso dalla cura della sua anima e dai preposti312 che lo conducono diretto a Teuchira, egli conserva ancora dei buoni sentimenti nei confronti del grande Asclepiodoto e non ha cessato di portarti riconoscenza, giacché lo hai aiutato in questioni della massima importanza. Perché si possa mantenere l’acqua fresca, sono alla ricerca di una brocca o di una giara di marmo. Più è grande, meglio è. La porrò nel fiume Asclepio: è sulla sua riva in effetti che sto costruendo il mio monastero313 e sto preparando gli oggetti sacri. Che Dio mi assista in questa impresa. 127

Al fratello Da Alessandria a Ficunte, 403 o 404 “Dall’aspide, dal rospo, dal serpente e dai Laodicesi rifuggi, anche dal cane arrabbiato e di nuovo dai Laodicesi”.314

Dopo Pentadio, uomo estremamente educato e versato nella filosofia, le tavolette che lo Stato considera il segno distintivo del potere

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sinesio di cirene

Εὐθάλιος ὁ Λαοδικεὺς ἔχει λαβών. Οἶσθα τὸν νεανίσκον, ὡς εἰκάζειν ἔξεστιν, ὑπὸ τοὺς αὐτοὺς ἡμῖν χρόνους ἐπὶ στρατοπέδου διαγαγόντα· καὶ γὰρ οὐκ εἴα λανθάνειν αὐτὸν οὔτε ὁ τρόπος οὔτε τὸ ἐπώνυμον. «Βαλλαντᾶν» τινα ἤκουες, οὐ πατρόθεν τῆς σεμνῆς ταύτης προσηγορίας κληρονομήσαντα, ἀλλ’ αὐτὸν περιποιησάμενον. Ἐπειδὴ γάρ, οἶμαι, Λυδίας ἄρχων ἀποδειχθεὶς ὑπὸ τοὺς Ῥουφίνου καιροὺς ἦγε καὶ ἔφερε τὰ Λυδῶν, νεμεσᾷ Ῥουφῖνος καὶ μέτεισι ζημίᾳ χρυσοῦ λιτρῶν πεντεκαίδεκα, τάττει δὲ στρατιώτας ἐκ τῶν ὑπηρετῶν, ὡς ᾤετο, τοὺς ἀνδρειοτάτους καὶ εὐνουστάτους ἐφ’ ᾧ σὺν βίᾳ πράξαντας τὸ χρυσίον ἀνακομίσαι πιστῶς εἰς τὴν τράπεζαν τὴν αὐτοῦ. Τί οὖν πρὸς ταῦτα ὁ Σίσυφος; Ἀλλὰ μὴ λίαν ἀπειρόκαλος ὦ βεβοημένα ἐπιδιηγούμενος – πέπυσαι πάντως τὴν συνωρίδα τῶν βαλλαντίων ἃ τῶν ἵππων Εὐμήλου πολὺ μᾶλλον ἀλλήλοις ἐοικότα κατασκευάσας –, τῷ μὲν ἐνέθηκεν ὀβολοὺς ἐκ χαλκοῦ, τῷ δὲ στατῆρας χρυσίου. Καὶ τοῦτο μὲν δείξας, ἐκεῖνο δὲ κρύψας, ὡς ἀπηρίθμησαν, ὡς ἐζυγοστάτησαν, ὡς κατεσημήναντο τῇ δημοσίᾳ σφραγῖδι τὸ χρυσίον, λανθάνει θάτερον ἀντιθεὶς καὶ πέμψας ἀντὶ τῶν στατήρων τοὺς ὀβολούς. Οἱ δὲ ὡμολογήκεσαν ἐν δημοσίοις γράμμασιν ἔχειν καὶ διακομιεῖν τὸ χρυσίον. «Κἀκ τούτου Δάφνις παρὰ ποιμέσι πρῶτος ἔγεντο.»

Τοῦτο τὸν Εὐθάλιον ἐπὶ μέγα τύχης ἐξῆρεν· οὐδενὶ γὰρ ἐπέτρεψεν ὁ γέλως ὑπὲρ τῆς πολιτείας ἀγανακτῆσαι, ἀλλ’ ὡς ἄνδρα παρὰ τοὺς πώποτε θαυματοποιὸν ἰδεῖν ἐπεθύμησαν. Καὶ ἧκε μετάπεμπτος ὥσπερ εὐεργέτης Ῥωμαίων ὀχήματι δημοσίῳ πομπεύων διὰ τῆς πόλεως. Κἀγὼ τἀνθρώπιον οἶδα τῶν συνεδρευόντων ἐν τῷ προτεμενίσματι τοῦ βουλευτηρίου λαλίστερον. Οὗτος ὅσον οὔπω παραλύσει τῆς ἀρχῆς τὸν ἑταῖρον Πεντάδιον.

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lettere 127, al fratello

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in Egitto sono state prese da Eutalio di Laodicea, che adesso le possiede.315 Conosci, come si può congetturare, questo giovane che ha risieduto alla corte imperiale negli stessi anni in cui ci trovavamo là noi: non passava infatti inosservato né il suo modo di fare né il suo soprannome. Avrai sentito parlare di un certo “Borsaiolo”, che non aveva ereditato dal padre questo nobile appellativo, ma se l’era guadagnato lui stesso. Nominato, mi pare, governatore della Lidia all’incirca al tempo di Rufino,316 vessava e rapinava i Lidi al punto che Rufino se ne indignò e lo condannò a un’ammenda di quindici libbre d’oro e ordinò ai soldati al suo servizio, ai più coraggiosi e ai più fidati di loro, così pensava, di riportare fedelmente il denaro alla sua banca,317 dopo averglielo ripreso con la forza. Che cosa fece di fronte a questo il nostro Sisifo?318 Non voglio adesso dimostrarmi troppo privo di gusto ripetendoti cose ampiamente risapute, giacché conosci perfettamente la storia della coppia di borse che egli preparò rendendole molto più simili tra di loro dei cavalli di Eumelo:319 in una mise degli oboli di bronzo, nell’altra degli stateri d’oro.320 Mostrando la seconda e tenendo nascosta la prima, quando i soldati ebbero contato, pesato e impresso con il sigillo di Stato l’oro, scambiò di nascosto la borsa con l’altra e inviò gli oboli al posto degli stateri. I soldati avevano già comunicato in un dispaccio ufficiale di avere l’oro e di essere in procinto di trasportarlo. “Dopo ciò, Dafni divenne il primo tra i pastori”.321

Questo elevò Eutalio a una grande fortuna. A nessuno infatti il riso permise di indignarsi a favore dello Stato, anzi tutti bramavano di vedere questo prestidigitatore senza pari. Inviato qui, egli è giunto come un benefattore dei Romani, sfilando per la città su un carro pubblico. E io so che questo omuncolo è più ciarliero dei curiali nel vestibolo della curia. È dunque costui che tra poco porrà fine al governo del mio amico Pentadio.

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sinesio di cirene

128

ΠΡΟΣ ΕΠΙΣΚΟΠΟΝ ΕΞΩΣΘΕΝΤΑ ΤΗΣ ΕΠΙΣΚΟΠΗΣ ΜΗ ΒΟΥΛΗΘΕΝΤΑ ΣΥΝΘΕΣΘΑΙ ΤΩΙ ΑΡΕΙΟΥ ΔΟΓΜΑΤΙ  

Ἀπέλαβες ὅπερ ἦς, οὐκ ἀπέβαλες. Οὐ γὰρ ὅταν τις τοῦ τῆς ἀσεβείας χωρισθῇ καταλόγου, τότε καὶ τῶν τῆς εὐσεβείας ἀπεστέρηται θρόνων. Αἰγύπτου δὲ περιπτύσσου τὴν ἀλλοτρίωσιν καὶ νόμιζε καὶ πρός σε τὸν προφήτην μεγαλοφώνως κεκραγέναι· «Τί σοι καὶ τῇ γῇ Αἰγύπτου τοῦ πιεῖν ὕδωρ Γηῶν;». Τὸ γὰρ ἔθνος θεομάχον ἀρχαῖον καὶ πατράσιν ἁγίοις πολέμιον. 129

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Πλάτωνι Σωκράτης πεποίηται προσιὼν μὲν ὀψέ ποτε πρὸς τὰ παιδικά, ἀξιῶν δὲ αὐτὰ μὴ θαυμάζειν «εἰ ὥσπερ – φησί – μόλις ἠρξάμην, οὕτω καὶ μόλις παυσαίμην.» Ἐγὼ δέ μοι δοκῶ ταὐτὸ πεπονθέναι πάθος πρὸς σὲ καὶ τὴν αὐτὴν δίκαιος εἶναι παραιτεῖσθαι συγγνώμην, ἐνιαυτὸν ὅλον οὐκ, ἄξιον οὐδ’ ἀληθὲς εἰπεῖν, ἐπισχών, ἀλλὰ μάτην στείλας ἐπιστολὰς τῷ πάλιν αὐτὰς εἰς τὰς ἐμὰς χεῖρας ἀνακομισθῆναι. Νῦν ἀθρόας ἐκπέμπω. Ἃς οὐ μόνον ὥσπερ φόρων ἐλλείμματα ἀποδιδοὺς μακρηγορῶ, ἀλλὰ καὶ προσεισενεγκεῖν σοι βούλομαι. Καίτοι, «νὴ τὸν Φίλιον τὸν ἐμόν τε καὶ σόν», ἐπ’ αὐτῷ τούτῳ κατέβην ἐπὶ θάλατταν καὶ τοῖς Φυκουντίων κωπεῦσι διείλεγμαι, «σχασάμενος ἱππικήν», ἵνα στείλω πρὸς ὑμᾶς τοῦτο μὲν γράμματα, τοῦτο δέ – ἀλλ’ οὐκ ἄξιον ποιεῖσθαι κατάλογον τῶν πεμφθέντων μὲν ὥστε Πυλαιμένη λαβεῖν, ἐν Ἀλεξανδρείᾳ δὲ ἐκτεθέντων διὰ τὸν δυστυχέστατον ἀπόπλουν. Καὶ σοῦ μὲν ἕνεκα (καίτοι τῶν ἐκεῖ φίλων ὁ φιλικώτατός μοι Πυλαιμένης ἐστίν),

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lettere 128-129, a un vescovo deposto

257

– a pilemene

128

A un vescovo deposto dall’episcopato Ario322

per non aver voluto aderire al dogma di

Da Tolemaide, 412 o 413

Hai recuperato, non perduto, la tua vera natura. Infatti, essere esclusi dalla lista dell’empietà non equivale certo a essere privati del trono della pietà. Accogli con favore la tua espulsione dall’Egitto e considera che anche a te il profeta gridava a gran voce: “Che cosa ti lega alla terra d’Egitto per bere l’acqua del Geon?”.323 Quel popolo si è ribellato a Dio da molto tempo ed è in guerra con i santi padri. 129

A Pilemene Da Alessandria a Costantinopoli, 407

Socrate è raffigurato da Platone perseguire anche in età avanzata l’oggetto del suo amore e a questo chiedere di non meravigliarsi “se” – dice – “come a stento ho iniziato questa relazione, così a stento me ne distacco”.324 Io credo di provare lo stesso sentimento nei tuoi confronti e che sia giusto che io ti chieda lo stesso perdono, non per non averti scritto per un anno intero – questo non sarebbe né giusto né vero a dirsi –, ma di averlo fatto invano, poiché le lettere che ti ho spedito sono tornate nelle mie mani. Adesso te le rinvio tutte insieme. Ne accresco la lunghezza, dilungandomi, non soltanto per saldare, per così dire, un arretrato d’imposta, ma anche perché voglio aggiungere qualcosa per te. “In nome del dio dell’amicizia che entrambi onoriamo”, ti assicuro che scesi al mare proprio per questo motivo e che, “lasciando perdere l’equitazione”,325 mi accordai con i rematori di Ficunte per spedirti e le lettere e... ma non mi sembra opportuno di mettermi a fare la lista dei doni spediti a Pilemene, che furono dirottati su Alessandria a causa di una sciaguratissima navigazione.326 Fosse stato solo il tuo caso (Pilemene è infatti per me il più caro degli amici di Costantinopoli) avrei tuttavia sopportato questa

258

sinesio di cirene

ἀλλὰ νὴ τὴν τιμίαν σου διάθεσιν ῥᾷον ἂν ἤνεγκα ἢ δι’ ἑτέρους συχνούς, καὶ μάλιστα διὰ τὸν θαυμάσιον Πρόκλον καὶ Τρύφωνα, περὶ ὧν καὶ μόνων ὡς προσαγορευόντων με γέγραφας. Ἀπέστειλα οὖν τῇ μὲν τιμίᾳ σου διαθέσει χρυσᾶ νομίσματα δέκα, τῷ δὲ ἑταίρῳ Πρόκλῳ κατὰ τὸν θεσπέσιον Ἡσίοδον τριτημόρια πλείω τῶν παρ’ αὐτοῦ. Ἔχει γὰρ οὕτως. Ἀποδημῶν ἐδεξάμην, εἰς τὸν ἀπόπλουν δεῆσαν, παρ’ αὐτοῦ χρυσίνους ἑξήκοντα· τούτους γεγραφήκει μὲν ἑβδομήκοντα, ἀπέστειλα δὲ ὀγδοήκον­ τα· ἐγένοντο δ’ ἂν ἔτι πολλῷ πλείους εἰ τὰ πρῶτα γράμματα πρὸς ὑμᾶς ἐκεκόμιστο, καὶ ἡ ναῦς ἐπ’ ἐκείνοις τοῖς τότε φορτίοις. Νῦν δὲ ἐγὼ μέν, τύχῃ τινὶ χρησάμενος, ἐπὶ τὴν Ἀλεξάνδρειαν ἀπεδήμησα· καὶ τοῖς ὑμετέροις λιμέσι προσορμιεῖν ᾤμην τὸ σκάφος, τὸ δ’ ἐλάνθανεν ἐξώσταις ἀνέμοις ἀπὸ Κρήτης μόλις εἰς τὴν Αἰγυπτίαν ἀποσωθὲν θάλασσαν. Ἢ τί ἐκώλυεν ὑμᾶς, ὥσπερ τὰς ἀλεκτορίδας, οὕτω τὰς χερσαίας τρέφειν στρουθούς; Ἀποδοθῆναι τοῖς ἐμοῖς τὸ γραμματεῖον παρὰ τοῦ θαυμασιωτάτου πατρὸς Πρόκλου δίκαιον, τοὺς ὀγδοήκοντα χρυσίνους κομισαμένου· καὶ τὸν ἑταῖρον Τρωΐλον παρασκεύασον ἐπιστεῖλαί μοι τάχιστα ὅ τι κομισάμενος τυγχάνει, τὰ βιβλία ἅπερ ἀποδέδωκας αὐτῷ, τὸ Νικοστράτειον δὴ λέγω καὶ τὸ τοῦ Ἀφροδισέως Ἀλεξάνδρου. Εἰ διὰ τὴν ἱεράν σου διάθεσιν φίλοι ἡμῖν οἱ ἄρξον­ τες ἡμῶν ἐπιδημοῖεν, πρὸς φιλοσοφίαν ἡμῖν συντελέσεις τὸ μέρος τὸ σὸν ὅσον Πλάτων ἡγεῖται παρὰ τῆς ἀτιμίας κωλύεσθαι. 130

ΣΙΜΠΛΙΚΙΩΙ  

Ἐχαρίσω Κερεαλίῳ, δι’ αὐτοῦ προσειπὼν ἡμᾶς, τὸ λαθεῖν ἡμέρας πέντε πονηρὸν ὄντα· ἤλπισαν γάρ τι χρηστὸν αἱ πόλεις παρ’ ἀνδρὸς ὃν οὐχ ἅπαξ ἠξίωσεν εἰδέναι Σιμπλίκιος. Ὁ δὲ ταχὺ μάλα

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lettere 130, a simplicio

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sventura – lo giuro sul tuo prezioso affetto – più facilmente di quanto non accada visto che sono coinvolti molti altri, soprattutto l’ammirabile Proclo e Trifone, che mi hai scritto essere i soli a inviarmi i loro saluti. Ad ogni modo, avevo spedito al tuo prezioso affetto dieci monete d’oro e al mio amico Proclo, come prescritto dal divino Esiodo,327 quello che mi aveva prestato aumentato di un terzo. Le cose stanno infatti così. Quando sono partito ho ricevuto da lui sessanta monete d’oro, ovvero quanto era necessario per la navigazione. Ne aveva segnate sessanta, io gliene ho spedite ottanta; ma sarebbero state molte di più se vi fossero giunte le mie prime lettere, se fosse giunta la nave col carico che vi avevo destinato. Ma adesso – così ha voluto la sorte – sono giunto io ad Alessandria: pensavo che la nave sarebbe approdata nei vostri porti, ma dei venti contrari l’hanno spinta a nostra insaputa da Creta al mare d’Egitto, dove abbiamo trovato, sebbene a stento, rifugio. Ma che cosa vi impediva di fare come con le galline e di allevare dei vostri struzzi?328 L’assai ammirabile padre Proclo dovrebbe poi restituire ai miei inviati la ricevuta, una volta riscosse le ottanta monete d’oro. Invita poi il mio amico Troilo a spedirmi quanto prima ciò che aveva ricevuto, cioè i libri che tu gli avevi dato, intendo il Nicostrato e l’Alessandro di Afrodisia.329 Se grazie al tuo sacro affetto i nostri futuri governanti si recheranno presso di noi con atteggiamento amichevole, avrai allora contribuito allo sviluppo della filosofia al pari di quanto, secondo Platone, il disprezzo lo interdice.330 130

A Simplicio Dalla città di Cirene a Costantinopoli, 405

Hai fatto un favore a Ceriale, mandandomi i tuoi saluti per suo tramite: per cinque giorni sono stato all’oscuro del fatto che è una pessima persona. Le città riponevano delle buone speranze in un uomo che Simplicio, e non una volta sola, aveva dimostrato di sti-

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sinesio di cirene

ᾔσχυνέ σε μὲν οὔ (μὴ γάρ ποτε ἐπ’ ἄλλῳ τὰ σὰ γένοιτο), ἑαυτὸν δὲ καὶ τὴν ἀρχὴν καί, ἵνα μὴ διατρίβω, τὰ Ῥωμαίων πράγματα, ὤνιος ἄνθρωπος ἐλαχίστου, δόξης ἀμελής, ἀπόλεμος, ἐν εἰρήνῃ βαρύς, ἧς πρὸς βραχύτατον ἀπολέλαυκεν· οὐ γὰρ ἐδεήθη χρόνου πρὸς τὸ πάντα ἀνατρέψαι τε καὶ συγχέαι. Ὥσπερ γὰρ ὄντος νόμου τὰ τῶν στρατιωτῶν εἶναι τῶν στρατηγῶν, ἃ πάντες εἶχον λαβών, ἀντέδωκεν αὐτοῖς ἀστρατείαν καὶ τὸ μὴ συντετάχθαι, βαδίζειν δὲ ἐπιτρέψας ᾗ τις ᾤετο θρέψεσθαι. Ταῦτα τοὺς ἐπιχωρίους ποιήσας, ἐπεὶ τοὺς ξένους οὐκ ἦν ἀργυρολογεῖν, ἠργυρολόγησεν αὐτῶν τὰς πόλεις, ἄγων καὶ μεθιστὰς οὐχ οἷ λυσιτελέστερον ἦν, ἀλλ’ οἷ κερδαλεώτερον· βαρυνόμεναι γὰρ αὐτῶν τὴν καθέδραν, αἱ πόλεις χρυσίον εἰσέφερον. Τούτων ὀξέως ᾔσθοντο Μακέται, καὶ γέγονε διαδόσιμος ἀπὸ τῶν μιξοβαρβάρων εἰς τοὺς βαρβάρους ἡ φήμη. «Ἦλθον ἔπειθ’ ὅσα φύλλα καὶ ἄνθεα γίνεται ἦρος.»

Φεῦ τῆς νεότητος ἣν ἀπολωλέκαμεν· φεῦ τῶν καρπῶν οὓς μάτην ἠλπίσαμεν. Ἐσπείραμεν τῷ πολεμίῳ πυρί. Τοῖς πλείοσιν ἡμῶν τὸ πλουτεῖν ἐν βοσκήμασιν ἦν, ἐν ἀγελαίαις καμήλοις, ἐν ἵπποις φορβάσι· πάντα οἴχεται, πάντα ἐλήλαται. Αἰσθάνομαι γιγνόμενος ὑπὸ τοῦ πάθους ἔκφορος, ἀλλὰ συγγνώσῃ. Τειχήρης γάρ εἰμι καὶ πολιορκούμενος γράφω, τῆς ὥρας πολλάκις φρυκτοὺς ὁρῶν καὶ αὐτοὺς ἀνάπτων καὶ αὐτὸς καὶ αἴρων τοῖς ἄλλοις σημεῖα, κυνηγέσια δὲ ἐκεῖνα τὰ πρόσω κατανομῶν οἷς ἐπ’ ἐξουσίας ἐχρώμεθα πρότερον οὐχ ἥκιστα διὰ σέ, πάντα ἔρρει· καὶ στένομεν μεμνημένοι «ἥβης τ’ ἐκείνης νοῦ τ’ ἐκείνου καὶ φρενῶν». Ἀλλ’ ἱπποκροτεῖται μὲν νῦν ἅπαντα καὶ τὴν χώραν ἔχουσιν οἱ πολέμιοι, ἐγὼ δὲ ὑπὸ μεσοπυργίῳ τεταγμένος ὑπνομαχῶ.

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lettere 130, a simplicio

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mare. Ma quello assai in fretta ha screditato non te (che la tua reputazione possa non dipendere mai da altri) ma se stesso, il suo governo e, per farla breve, lo Stato romano, essendo un uomo che si vende e che lo fa per pochissimo, che non si cura della propria reputazione, inetto alla guerra e deleterio in tempo di pace, della quale d’altronde ha goduto molto poco; non gli ci è voluto infatti molto tempo per stravolgere e turbare tutto. Come se esistesse una legge che prevede che i beni dei soldati appartengono ai loro comandanti, egli ha preso a tutti ciò che avevano e ha dato loro in cambio l’esenzione e la facoltà di non essere inquadrati in dei ranghi, permettendo a ognuno di andare dove pensava di trovare un pasto quotidiano. Dopo aver agito così con i soldati locali, poiché non poteva riscuotere denaro dagli stranieri, ha vessato le loro città, conducendo e spostando le truppe non dove era più utile ma dove era più redditizio. Le città infatti, oppresse dalla loro presenza, preferivano pagare in oro. Di tutto ciò si resero rapidamente conto i Maceti e la voce si trasmise da questi semibarbari331 ai Barbari. “E quante foglie e fiori nascono in primavera, in tanti giunsero”.332

Ahimè, la gioventù che abbiamo perduto. Ahimè, la nostra raccolta, in cui abbiamo vanamente sperato. Abbiamo seminato per il fuoco nemico. Per la maggior parte di noi la ricchezza consisteva nel bestiame, nelle mandrie di cammelli, nei cavalli che stanno al pascolo: tutto è scomparso, tutto è stato razziato. Mi accorgo di farmi trasportare dalla passione, ma tu mi perdonerai. Mi trovo infatti racchiuso da delle mura difensive e ti sto scrivendo in stato d’assedio; più volte ogni ora vedo la luce di alcune torce, poi ne accendo anch’io e le sollevo per dare dei segnali agli altri; ma quelle cacce che ci portavano lontano dalle terre occupate dai pascoli, che facevamo un tempo in piena libertà e in gran parte per tua iniziativa, sono tutte finite. Gemiamo ricordando “quella giovinezza, quello spirito, quei sentimenti”.333 Adesso tutto risuona degli zoccoli dei cavalli e i nemici occupano la regione, mentre io, appostato su un tratto delle mura compreso tra due torri, lotto con il sonno.

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sinesio di cirene

«Ἐν δορὶ μέν μοι μᾶζα μεμαγμένη, ἐν δορὶ δ’ οἶνος Ἰσμαρικός, πίνω δ’ ἐν δορὶ κεκλιμένος.»

Οὐκ οἶδ’ εἰ μᾶλλον Ἀρχιλόχῳ προσήκοντα ἦν ταῦτα εἰπεῖν. Κακὸς κακῶς ἀπόλοιτο Κερεάλιος εἰ μὴ καὶ προαπόλωλε τῆς ἀρᾶς ὡς ἄξιός γε ἦν ἔργον γεγονέναι τοῦ πρώην χειμῶνος· ὃς ἐπειδὴ τὴν χώραν εἶδεν ἐν ᾧ κινδύνου κατέστησεν, ἠπίστησε καθάπαξ τῇ γῇ καί, τὸ χρυσίον ἐνθεὶς διαρμένοις ὁλκάσιν, ἐπὶ μετεώρου σαλεύει. Τὰς δὲ ἐπιστολὰς αὐτοῦ παραφέρει κελήτιον ταῦτα ἃ δὴ καὶ ποιοῦμεν ἐπιταττούσας εἴσω τειχῶν εἶναι, μηδένα προπηδᾶν τῶν τάφρων μηδὲ ὁμόσε χωρεῖν ἀμάχοις ἀνθρώποις· ἢ διαμαρτύρεται καθαρὸς αἰτίας εἶναι. Φυλακὰς δὲ καθιστάναι διδάσκει τῆς νυκτὸς τέτταρας ὡς ἐν τῷ μὴ καθεύδειν οὐσῶν τῶν ἐλπίδων. Ἔοικε γὰρ εἶναι τὰ τοιαῦτα σοφὸς ἅτε ἐπιτήδειος ἀτυχεῖν ἄνθρωπος. Καίτοιγε ἡμῖν οὐδὲ μετέχειν ἐβουλήθη τῶν συμφορῶν· οὐ γὰρ παρ’ ἔπαλξιν, ἅπερ ἐγὼ Συνέσιος ὁ φιλόσοφος, ἀλλὰ παρὰ κώπην ὁ στρατηγὸς ἵσταται. Εἰ δὴ τῶν ποιημάτων ἐρᾷς ἅπερ ᾔτησας (καίτοιγε ἡμεῖς οὐδὲν αὐτοῖς σύνισμεν ἀγαθὸν ὅτι μὴ τὴν ὑπόθεσιν), σύνευξαι Κυρηναίοις μικρὸν ἀπὸ τῶν ὅπλων γενέσθαι. Ὡς γὰρ νῦν ἔχομεν, οὐκ ἔστιν ἀπὸ κιβωτίων ἐξερύσαι βιβλία. 131

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Τοὺς γεωμετρικοὺς ὅρους ἀληθεστάτους ἡγοῦ ὅτε γε καὶ ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις ὑπάρχει σεμνύνεσθαι κἂν κατὰ μικρὸν εἰς τὰς ἀποδείξεις αὐτῶν ἐκ γεωμετρίας τι συμπορίσωνται. Ἔστι δήπου τις ἐν αὐτῇ λόγος ἀξιῶν «τὰ τῷ αὐτῷ» τὰ αὐτὰ «καὶ ἀλλήλοις» εἶναι δεῖν τὰ αὐτά. Ἐμοὶ δὲ δή σε μὲν ὁ τρόπος ἐποίησε φίλον,

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lettere 131, a pilemene

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“Sulla mia lancia la focaccia impastata, sulla lancia il vino ismarico,334 bevo chino sulla lancia”.335

Non so se Archiloco avesse più motivo di recitare questi versi. Possa morire malamente il malvagio Ceriale, se la sua morte non ha preceduto la mia maledizione, giacché si sarebbe meritato di diventare vittima della recente tempesta; lui che, quando ha visto in quale pericolo aveva messo la regione, ha cessato definitivamente di fidarsi della terraferma e, imbarcato l’oro su navi da carico a due vele, se ne sta ormeggiato in alto mare. Una scialuppa ci porta le sue lettere e con quelle i suoi ordini che ci intimano di fare quello che già facciamo, cioè di restare all’interno delle mura, di non saltare al di là dei fossati e di non attaccare un nemico invincibile: se no, afferma solennemente di considerarsi esente da ogni responsabilità. Ci raccomanda di disporre dei turni di guardia, quattro per notte, come se le speranze risiedessero nel non dormire. Sembra che sia esperto di tali circostanze, poiché è un uomo abituato alla cattiva sorte. Ciononostante, non ha voluto condividere con noi questa sventura; non se ne sta sulle mura, come me, il filosofo Sinesio, ma attaccato al remo il generale. Se davvero desideri le poesie che mi hai chiesto (sebbene io non ci trovi nulla di buono, eccetto l’argomento), prega con i Cirenaici che la guerra ci dia una minima tregua. Poiché nello stato in cui ci troviamo adesso, non ci è possibile tirare fuori i libri dalle loro piccole casse. 131

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 406

Devi considerare le definizioni geometriche come le più vere, poiché è un vanto per le altre scienze avere attinto nelle loro dimostrazioni, anche in maniera minima, alla geometria. E senza dubbio la geometria comprende il teorema secondo cui “due entità uguali a un’altra devono anche essere uguali tra di loro”.336 Ora, il tuo carattere mi porta a provare affetto verso di te e lo stesso la

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sinesio di cirene

τὸν δὲ θαυμάσιον Διογένη καὶ ἡ φύσις· ἄμφω δὲ ἑνός ἐστε φίλοι· δεῖ δὴ καὶ ἀλλήλων ὑμᾶς ἐξηρτῆσθαι καθάπερ ἐμοῦ τοῦ μέσου. Καθάπτω τοιγαροῦν ὑμᾶς ἀλλήλοις διὰ τῆς ἐπιστολῆς μεθ’ ἧς ἑαυτὸν μὲν ἐπιδώσει τῇ φιλίᾳ τῆς σῆς σεμνοπρεπείας ὁ θαυμάσιος Διογένης, ἀντιλήψεται δὲ εὖ οἶδ’ ὅτι τὸν ἐμὸν Πυλαιμένη (καλῶν γὰρ ἐμόν, οὔτε αἰσχύνειν οὔτε αἰσχύνεσθαι φήσαιμ’ ἂν ἔγωγε). Ὅτι δὲ διὰ σοῦ καὶ τοὺς ἄλλους ἕξει τοὺς ἐμὲ ἀγαπῶντας φίλους, ὅσοις δὲ δύναμίς ἐστι, καὶ χρησίμους, οὐκ ἂν δίκαιος εἴην εἰ ἀμφιβάλλοιμι. Δεῖ δὲ αὐτῷ φίλων χρησίμων εἴπερ τῳ πώποτε. Τὰ γὰρ κατ’ αὐτὸν ὡς ἐν βραχυτάτοις οὕτως ἔχει. Νέος ἐστὶν ἁπλοῦς καὶ γενναῖος θυμοειδὴς καὶ πρᾴος, οἵους ὁ Πλάτων ἀξιοῖ τῆς ἑαυτοῦ πόλεως τοὺς φύλακας εἶναι. Ἐστράτευταί γέ τοι καὶ οὗτος κομιδῆ μειράκιον ὤν· ἄρτι δὲ ἐξ ἐφήβων ἦρξε παρ’ ἡμῖν τὴν τῶν στρατευμάτων ἀρχήν, παραβαλλόμενος ἐπὶ βασκάνων μαρτύρων (τοιοῦτον γὰρ οἱ πολῖται πρὸς ἅπαν τὸ εὐτυχοῦν)· ἀλλ’ οὗτος ἑαυτὸν παρέσχε καὶ φθόνου κρείττω. Περὶ οὗ πολλὰ μὲν ἂν ἕτερος εἶπεν (ἀλλ’ ἐοίκαμεν γὰρ ὁμοίως ἔχειν, ἐγώ τε πρὸς τὸ ἐπαινεῖν καὶ οὗτος πρὸς τὸ ἐπαινεῖσθαι), συνελόν­τι δὲ ἐνίκησεν ὅπλοις μὲν τοὺς τῆς πατρίδος ἐχθρούς, ἀρετῇ δὲ τοὺς ἐν αὐτῇ πονηρούς. Νέος ἐν ἐξουσίᾳ γενόμενος οὐκ ᾔσχυνε φιλοσόφου συγγένειαν. Τοιοῦτος ὢν πράγμασιν ὁμιλεῖ δυσκόλοις, δι’ αὐτὸ οὐχ ἥκιστα τὸ καλὸς καὶ ἀγαθὸς εἶναι· ἕρμαιον γάρ ἐστι τῶν κακοήθων ἅπας ἐπιεικής, καὶ ἡ πρόσοδος τοῖς πονηροῖς ἐκ τῆς ἑτέρας μερίδος παραγίνεται. Ἐνδείκτης οὖν τις, ἀξιῶν μισθοδοτεῖσθαι παρ’ αὐτοῦ καὶ μὴ τυγχάνων, δίκην πρὸς αὐτὸν ἔλαχεν. Ὡς δὲ οὐ προὐχώρει ταύτῃ τὸ σπάσαι τι τῶν οὐ προσηκόντων, ἀλλ’ ἦσαν οἱ νόμοι μεθ’ ἡμῶν, ἑτέραν ἐτράπετο καὶ ποιεῖται τὴν δίκην γραφήν, ἀνατεινόμενος ἔγκλημα τοῦ κατηγορουμένου πρεσβύτερον. Ἥκει δὴ τὸ κλη-

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lettere 131, a pilemene

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natura dell’ammirabile Diogene mi porta a provare affetto verso di lui. Entrambi siete dunque amici di un unico uomo: è necessario, allora, che voi siate legati tra di voi così come entrambi lo siete a me, che sono il termine medio. Vi unisco tra di voi per mezzo di questa lettera con cui l’ammirabile Diogene si affiderà all’amicizia della tua solennità e accoglierà in cambio, lo so bene, il mio Pilemene (chiamandoti “il mio”, ti posso assicurare che non intendo mettere in imbarazzo né te né me). Poi, che per tuo tramite egli ottenga l’amicizia anche di altri che nutrono affetto nei miei confronti, nonché l’aiuto di quanti tra questi hanno un qualche potere, sarei ingiusto se ne dubitassi. Egli necessita più di chiunque altro di amici che lo aiutino. Questa infatti, in pochissime parole, la sua situazione. Diogene è un giovane leale e nobile, coraggioso e gentile, come quelli che Platone reputava degni di essere i guardiani della sua città.337 È stato nell’esercito quando ancora era un ragazzino; poi, a partire dalla fine dell’età efebica,338 ha assunto il comando delle truppe presso di noi, esponendosi all’invidia dei testimoni delle sue imprese (questo è infatti il comportamento dei curiali nei confronti di tutto ciò che ha successo); ma si è dimostrato superiore anche all’invidia. Riguardo a questo qualcun altro direbbe molte cose (mi pare però che in questo io e Diogene siamo simili, io quanto al lodare, lui quanto al farsi lodare), ma per farla breve ha sconfitto con le armi i nemici della patria, con la virtù i malvagi che vi risiedevano. Giunto giovane al potere, non ha disonorato la parentela che lo lega a un filosofo.339 Pur essendo tale, Diogene si trova adesso a far fronte a delle difficoltà, e in prima analisi proprio a causa del fatto che è una persona per bene: ogni uomo capace è infatti un guadagno inaspettato per quelli che hanno un’indole maligna, giacché i malvagi traggono profitto dalla categoria di persone opposta alla loro. Perciò, un delatore, dopo aver provato a estorcergli del denaro e non avere avuto successo, gli ha intentato un processo civile. Poiché per questa via non poteva certo prendergli niente di ciò che non gli apparteneva, anzi le leggi erano dalla nostra parte, ha cambiato sistema e ha trasformato il processo da civile in penale, avanzando un capo d’imputazione più antico rispetto all’accusa prece-

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sinesio di cirene

θῆναι φθάσας· οὐ γὰρ ἄξιον ἐνδοῦναι θανατῶντί γε συκοφάντῃ, καὶ προέσθαι τὰ πατρῷά τε καὶ τὰ παππῷα μετὰ δόξης αἰσχρᾶς. Πρὸς ταῦτα δεῖται φίλων ἀδόλων, ἀκαπηλεύτων, νοῦν ἐχόντων, οἷος εἶ σύ. Ἕξει δέ (σὺν θεῷ εἰρήσθω) σὲ μὲν δι’ ἐμοῦ, διὰ σοῦ δὲ τοὺς φίλους τοὺς ἐμούς τε καὶ σούς. Ὧν ὅ τι ἄν τις ἀγαθὸν εἰς αὐτὸν ἐργάσηται, τούτου τὴν χάριν ὀφείλειν ἐγὼ δίκαιός εἰμι. 132

ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Τὸ μὲν τὰς γυναῖκας βοᾶν καὶ στερνοτυπεῖσθαι καὶ σπαράττειν τὰς κόμας ἐπιφανέντων ἢ προαγγελθέντων πολεμίων ἧττον ἂν δόξειεν εἶναι δεινόν· καίτοι καὶ τοῦτο δεινὸν ὁ Πλάτων οἴεται τὸ μηδὲ ὥσπερ τὰς ὄρνις ἐθέλειν ἀμυνομένας ὑπὲρ τῶν νεοττῶν πρὸς ὁτιοῦν τῶν ἀλκιμωτάτων ἀνθίστασθαι, ἀλλὰ δόξαν καταχεῖν τοῦ τῶν ἀνθρώπων γένους ὅτι πάντων θηρίων ἀτολμότατον γέγονε. Τὸ δὲ καὶ σὲ ταὐτὸν ἐκείναις πλημμελεῖν καὶ νύκτωρ ἐκδειματοῦσθαι καὶ διανίστασθαι καὶ βοᾶν παρ’ αὐτὴν τοῦ φρουρίου τὴν θύραν ἑστάναι τὸν βάρβαρον (τοιαῦτα γάρ τις ἀπήγγειλε περὶ σοῦ) πῶς ἔτι ταῦτα οἰστά; Κἂν ἀλλοίως ἔοικεν εἶναι, ἐμὸν ἀδελφὸν ὄντα ἔπειτα δειλὸν εἶναι. Ἔγωγέ τοι, παρανατειλάσης εὐθὺς ἡμέρας, ἐξιππασάμενος ὡς ἀνυστὸν πορρωτάτω καὶ ὠσὶ καὶ ὀφθαλμοῖς τὰ κατὰ τοὺς ἀπελάτας τούτους ἅπαντα πολυπραγμονῶ. Οὐδὲ γὰρ ἄξιον αὐτοὺς καλεῖν πολεμίους, ἀλλὰ λῃστὰς ἢ λωποδύτας ἤ τι τοιοῦτον ὄνομα μικροπρεπέστατον οἳ μηδένα τῶν ἐρρωμένως ἐπιφερομένων ὑφίστανται, ἀλλὰ μόνους τοὺς καταπλῆγας ἀποσφάττουσιν ὥσπερ ἱερεῖα καὶ περιδύουσι. Νύκτωρ δὲ μετὰ τῶν ἐφήβων περιπολῶ τὸν λόφον καὶ παρέχω ταῖς γυναιξὶ τοῦ καθεύδειν ἄδειαν ἐπισταμέναις ὅτι πρὸ αὐτῶν τινες ἐγρηγόρασι. Πάρεισι δέ μοι καὶ στρατιῶται τοῦ τῶν Βαλαγριτῶν τάγματος. Οὗτοι πρότερον

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lettere 132, al fratello

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dente. Diogene giunge dunque da te prima di essere convocato in tribunale: non è infatti giusto cedere a un calunniatore che cerca di ottenere una condanna a morte e farsi prendere i beni che furono del padre e degli antenati, ottenendo per di più una reputazione infamante. Per far fronte a tutto questo Diogene ha bisogno di amici onesti, disinteressati e assennati, come sei tu. Egli otterrà (possa Dio ascoltarmi) il tuo aiuto per mio tramite, per tuo tramite quello degli amici miei e tuoi. Chiunque di questi si adoperi in suo favore otterrà la mia riconoscenza, come è giusto che sia. 132

Al fratello Da Cirene a Ficunte, 405

Il fatto che le donne si mettano a urlare, a battersi il petto, a strapparsi i capelli, quando compaiono o vengono annunciati i nemici pare essere un male minore di altri; sebbene Platone ritenga che sia grave “non opporsi ai più grandi pericoli, come gli uccelli che accettano di difendere i loro nidi, ma piuttosto far ricadere sul genere umano la cattiva fama di essere la specie animale più codarda”.340 Ma che tu commetta il loro stesso errore, che nottetempo tu ti faccia prendere dal panico, ti alzi e ti metta a gridare che i Barbari si trovano alla porta della fortezza (questo infatti mi è stato riferito di te), come si potrebbe mai sopportare? È parso strano che, essendo mio fratello, tu fossi un vile. Io infatti, non appena sorge il giorno, percorro a cavallo delle lunghe distanze, cercando di coprire quanto più territorio mi è possibile e con le orecchie e con gli occhi mi do da fare per ricavare tutte le informazioni su questi ladri di bestiame. Non è infatti giusto definirli nemici, ma briganti o ladroni o un altro termine del genere, assolutamente meschino, giacché non si contrappongono a nessun attacco portato con forza contro di loro, ma attaccano solo persone impaurite, che sgozzano come animali sacrificali e poi depredano. Di notte, assieme a dei giovani, perlustro la collina e consento così di dormire tranquille alle donne, che sanno che ci sono persone che vegliano su di loro. Ci sono con me anche dei soldati dell’unità dei Balagriti. Questi

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sinesio di cirene

μὲν ἢ Κερεάλιον ἄρχειν ἦσαν ἱπποτοξόται· τούτου δὲ καταστάντος εἰς τὴν ἀρχήν, ἀπημπολημένων αὐτοῖς τῶν ἵππων, ἐγένον­το μόνον τοξόται· ἐμοὶ δ’ οὖν ἀποχρῶσι καὶ ἄνιπποι. Δεῖ δὲ τοξείας ἡμῖν ὑπὲρ φρεάτων, ὑπὲρ τοῦ ποταμοῦ· ὕδωρ γὰρ οὐκ ἔχομεν εἴσω τοῦ περιβόλου. Ἐπεὶ τί ἐκώλυε διαφέρειν τὴν πολιορκίαν αὐλουμένους τε καὶ κωμάζοντας; Νῦν δὲ ἢ κρατεῖν δεῖ μαχομένους ἢ ἀποθνήσκειν εἰς χεῖρας ἰόντας τοῖς πολεμίοις ἀντὶ τοῦ διψῆν. Οὗ τί ἂν ἐλεεινότερον γένοιτο; Ὥστε κἂν ὑπ’ ἀνάγκης ἄνδρες εἴημεν ἀγαθοί. Καὶ σὺ δὴ προθυμοῦ καὶ ἑτέρους παρακάλει καὶ τὸ ζεῦγος τῶν ἵππων τῶν ἀδηφάγων τῶν ἐπὶ τῷ φόρῳ τρεφομένων ἄγεσθαι κέλευε παρὰ σέ. Παντὸς μᾶλλον ἐν τοῖς τοιούτοις καιροῖς ἵππος οὐκ ἀχρεῖον κτῆμα. Καὶ γὰρ προδραμεῖν τε καὶ κατασκέψασθαι καὶ ἀπαγγεῖλαι δι’ ἐλαχίστου, πάντα ταῦτα ἵππος δύναται ῥᾳδίως ποιεῖν. Κἂν δέῃ σοι τοξοτῶν, μεταπέμπου καὶ ἥξουσι· τοὺς γὰρ κωπέας τοὺς Φυκουντίους οὐδ’ ἐγὼ θαρρῶ συμμάχους ὥσπερ οὐδὲ τοὺς παρ’ ἐμοὶ κηπωρούς. Ζητῶ δὲ ἄνδρας ὀλίγους οὐ ψευδομένους τὸν ἄνδρα. Κἂν ἐπιτύχω τοιούτων (σὺν θεῷ δὲ εἰρήσθω), θαρρῶ. Δεῆσαν δὲ ἀποθνήσκειν, ἐνταῦθα τὸ φιλοσοφίας ὄφελος, τὸ μηδὲν ἡγεῖσθαι δεινὸν ἀναχωρῆσαι τοῦ θυλακίου τῶν κρεϋλλίων. Εἰ δὲ πρὸς τὴν γυναῖκα καὶ τὸ παιδίον ἄτεγκτος ἔσομαι, τοῦτο δὲ οὐ σφόδρα διεγγυῶμαι. Ὡς ἔγωγε βουλοίμην ἂν τοσαῦτα φιλοσοφίαν δύνασθαι. Ἀλλὰ μή τοί ποτε διάπειραν λάβοιμι, μή, ὦ σῶτερ, μή, ὦ ἐλευθέριε. 133

ΟΛΥΜΠΙΩΙ  

Χθὲς καὶ πρώην ἐπὶ τῶν ἔναγχος ὑπάτων, ὧν ὁ ἕτερός ἐστιν Ἀρισταίνετος (τὸν γὰρ συνάρχοντα ἀγνοῶ), κατασεσημασμένην ἐκομισάμην ἐπιστολὴν τὸ σὸν τῆς ἱερᾶς κεφαλῆς ἐπιγεγραμμένην ὄνο-

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lettere 133, a olimpio

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erano degli arcieri a cavallo prima che Ceriale salisse al potere; ma poiché, dopo che quello è entrato in carica, i loro cavalli sono stati venduti, sono divenuti dei semplici arcieri: ad ogni modo, mi sono utili anche senza cavalli. Abbiamo bisogno infatti di arcieri per controllare i pozzi e i corsi d’acqua: non abbiamo acqua all’interno della muraglia. Che cosa ci avrebbe impedito altrimenti di trascorrere il periodo dell’assedio ascoltando la musica dei flauti e facendo festa? Ma la situazione ci costringe o a vincere combattendo o a morire scontrandoci con i nemici anziché per la sete. Può esserci sorte più penosa? Può darsi che sia la necessità stessa a renderci valorosi. E anche tu sii coraggioso, esorta gli altri a esserlo e ordina che ti portino i due cavalli voraci che vengono nutriti con i soldi dell’imposta.341 Soprattutto, in circostanze come queste un cavallo non è un bene inutile. Infatti, accorrere, perlustrare, portare notizie nel più breve tempo possibile, sono tutte cose che un cavallo permette di fare facilmente. Se hai bisogno di arcieri, mandali a chiamare e arriveranno; sul sostegno dei rematori di Ficunte non faccio affidamento nemmeno io, come non lo faccio sui miei giardinieri. Cerco invece pochi uomini, ma che siano degli uomini veri. Se ne trovo di tali (possa Dio ascoltarmi), allora su di loro potrò fare affidamento. Se la morte poi dovesse essere inevitabile, ecco il vantaggio della filosofia: non reputare assolutamente un male tirarsi fuori da questo sacco di carne.342 Di restare imperturbabile se ciò dovesse capitare a mia moglie e a mio figlio, questo non lo posso assolutamente promettere. Come vorrei che la filosofia potesse così tanto. Possa io non affrontare mai questa prova, mai, o Dio salvatore, mai, o Dio liberatore. 133

A Olimpio Da Cirene alla Siria, 405

Pochissimo tempo fa, sotto i recenti consoli, di cui uno è Aristeneto344 (ignoro chi sia il suo collega), ho ricevuto una missiva sigillata con apposto sopra il nome della tua sacra persona. Suppongo 343

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sinesio di cirene

μα. Τεκμαίρομαι δὲ αὐτὴν εἶναι παμπάλαιον, τῷ τε θριπηδέστατον γεγονέναι καὶ τῷ συγκεχύσθαι τὰ πλείονα τῶν γραμμάτων. Ἐγὼ δὲ ἠξίουν μὴ καθάπερ δασμόν τινα ἐτήσιον τὴν ἐπιστολὴν πέμπεσθαι μηδὲ ἕνα ποιεῖσθαι διακομιστὴν μόνον τὸν φίλτατον Σύρον· οὕτω γὰρ συμβαίνει τὸ μηδὲ νεαροῖς, ἀλλ’ ἑώλοις αὐτοῖς περιτυγχάνειν. Ὥσπερ οὖν ἐγώ, καὶ αὐτὸς οὕτω ποίει. Οὐδεὶς βασιλέως ἀγγελιαφόρος δημοσίαν ἵππον ἀμείβων ἔξεισι τῆς πόλεως ᾧ μὴ τὰ πρὸς τὴν σὴν λογιότητα μέρος γίνεται τοῦ κατόπιν φορτίου. Εἰ μὲν οὖν ἀποδιδόασιν ἢ πάντες ἤ τινες αὐτῶν, πολλὰ ἀγαθὰ τοῖς ἀποδιδοῦσι γένοιτο, χρηστοῖς οὖσιν· εἰ δὲ μή, καὶ ταύτῃ σὺ σοφώτερος, ἀπιστῶν οἷς ἄξιον. Ἀλλ’ ἵνα μηδὲ ἡμεῖς μάτην κόπτωμεν τὸν ὑπογραφέα τὰς οὐκ ἀποδοθησομένας ἐπιστολὰς ὑπαγορεύοντες, μαθεῖν ἀξιῶ. Μεθαρμοσόμεθα γὰρ τοῦ λοιποῦ καὶ μόνῳ πιστεύσω τῷ Πέτρῳ. Ταύτην γέ τοι τὴν ἐπιστολὴν Πέτρον οἶμαι διακομιεῖν, παρὰ μέσης λαβόντα τῆς ἱερᾶς χειρός· στέλλω γὰρ αὐτὴν ἀπὸ Πενταπόλεως ἐγὼ πρὸς τὴν διδάσκαλον τὴν κοινήν. Αὕτη δὲ ὅτῳ βούλεται δώσει· βουλήσεται δ’ εὖ οἶδ’ ὅτι τῷ γνωριμωτάτῳ παρασχεῖν. Καὶ γὰρ οὐδ’ ἴσμεν, ὦ φίλτατε καὶ θαυμάσιε, εἰ καὶ πάλιν ἔξεστι προσειπεῖν ἡμᾶς ἀλλήλους. Κακίᾳ γὰρ στρατηγῶν ἀμαχεὶ γέγονε τῶν πολεμίων ἡ χώρα καὶ μόνοι ζῶμεν ὅσοι τὰ ἐρυμνὰ κατειλήφαμεν, τῶν ἐν τοῖς πεδίοις κατειλημμένων ὥσπερ ἱερείων ἀπεσφαγμένων. Δέδιμεν δὲ τὴν προσεδρείαν αὐτῶν μὴ χρονία γενομένη δίψῃ παραστήσηται τὰ πολλὰ τῶν φρουρίων. Ταύτῃ καὶ τοῖς ἀντεγκλήμασι τοῖς περὶ τῶν δώρων οὐκ ἀπεκρινάμην· οὐ γάρ μοι σχολὴ πρός τινι μηχανῇ τὸν νοῦν ἔχοντι. Κατασκευάζομαι γὰρ ὡς ἂν ἀπὸ τῶν πύργων ἑκηβολώτατα πέμποιμεν ἀξιόλογα λίθων βάρη. Ἅμα δὲ καὶ ἐνδίδωμί σοι πρὸς τὸ πέμπειν μοι δῶρα· δεῖ γὰρ εἴκειν Ὀλυμπίῳ Συνέσιον, μὴ μέντοι τρυφῶντα δῶρα (καὶ γὰρ καὶ τότε τὴν τρυφὴν ἐμεμψάμην τῶν καταλυμάτων τοῦ συσσιτίου), ἀλλ’ ἔστω στρατιωτικά, τόξα καὶ βέλη, μετὰ τῶν στυρακίων μέντοι τὰ βέλη. Τόξα μὲν οὖν καὶ ἑτέρωθεν ὠνησαίμην καὶ τὰ ὄντα

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lettere 133, a olimpio

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che sia molto vecchia, poiché è tutta rosa dai vermi e la maggior parte delle lettere è cancellata. Ma io non vorrei che tu mi inviassi una missiva come una sorta di tributo annuale, né che tu facessi del carissimo Siro il tuo unico corriere: così infatti accade che io non riceva mai notizie fresche, ma stantie. Fai piuttosto come faccio io. Nessun messaggero imperiale dopo aver cambiato il cavallo alla staffetta della posta ufficiale lascia la città senza che parte del carico che ha dietro di sé non sia costituita da lettere indirizzate alla tua eloquenza. Che tutti o solo alcuni di loro te le consegnino, benedetti siano quelli che te le consegnano, perché sono persone per bene; se no, sarai allora tu più saggio a diffidare di chi lo merita. Ma affinché non stanchiamo invano il nostro segretario dettandogli delle lettere che non verranno consegnate, voglio capire. D’ora in avanti cambieremo sistema e affiderò le mie lettere soltanto a Pietro. Sarà Pietro, penso, a portarti questa lettera, una volta che l’abbia ricevuta per il tramite della sacra mano: ho infatti inviato la lettera dalla Pentapoli alla nostra comune maestra.345 Ella la darà a chi vuole: ma certamente vorrà affidarla, lo so bene, alla persona a lei più familiare. Il fatto è che noi non sappiamo, carissimo e ammirabile amico, se ci sarà di nuovo possibile incontrarci di persona. L’incapacità dei nostri governatori militari ha consegnato la regione ai nemici senza neanche combattere e soli siamo ancora vivi quanti abbiamo potuto raggiungere dei luoghi fortificati, mentre quanti sono restati nelle pianure sono stati sgozzati come vittime sacrificali. Temiamo che, prolungandosi l’assedio sotto il quale ci tengono, la maggior parte delle roccaforti cederà per la sete. Per questo non ho risposto ai tuoi rimproveri in merito ai doni: non ho avuto tempo, essendo completamente concentrato sulla costruzione di un marchingegno bellico. Lo sto preparando e dovrebbe permetterci di lanciare dalle torri alla massima distanza delle pietre dal considerevole peso. Comunque, al contempo, ti autorizzo a mandarmi i tuoi doni: è dovere di Sinesio infatti cedere a Olimpio. Però non dei doni lussuosi (anche in passato biasimai il fasto della mensa dei nostri alloggi346), ma piuttosto del materiale di guerra, archi e frecce, queste ultime naturalmente munite delle loro punte. Gli archi potrei

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sinesio di cirene

ἀνακτησαίμην, βέλη δὲ οὐ ῥᾴδιον ἐπιπορίσασθαι, οὔκουν ὥστε καὶ ἐπιτήδεια. Τὰ γὰρ Αἰγύπτια ταῦτα τοῖς γόνασιν οἰδοῦν­τα τοῖς παραγονατίοις συνιζάνει· ταύτῃ καὶ σφάλλεται παρ’ ἑαυτῶν. Ἔοικε γὰρ τοῖς ἐκ πρώτης ἀφετηρίας ἐμποδιζομένοις τε καὶ προσκόπτουσι. Τὰ παρ’ ὑμῖν δὲ εὐμήκη τέ ἐστι καὶ ἀκριβῶς εἰς ἑνὸς κυλίνδρου σχῆμα στρογγύλλεται, ὅπερ τὸ πᾶν ἐστιν εἰς εὐθυπορίαν τῆς πτήσεως. Ταῦτά μοι πέμπειν, καὶ χαλινοὺς ἵππων ἀγαθοὺς εἰς χρῆσιν. Ἐπεὶ καὶ τὸν ἵππον τὸν Ἰταλὸν ὃν ἐπῄνεσας τῇ γλώττῃ τῇ καλῇ, σφόδρα ἂν εἶδον ἡδέως· ἐπειδὴ καὶ πατέρα πώλων ἀγαθῶν ἡμῖν αὐτὸν ὑπισχνοῦ. Οὐ μὴν ἀλλὰ κάτω που τῆς ἐπιστολῆς μετὰ τὴν ὑπογραφὴν εὗρον ὅτι μένειν ἐδέησε τὸν ἵππον ἐν τῇ Σελευκείᾳ, τοῦ ναυκλήρου διὰ τὸν καιρὸν παραιτησαμένου τοιοῦτον φορτίον. Ἐπειδὴ δὲ μήτε τὴν λέξιν ἐπέγνων ἀδελφὴν οὖσαν τῆς σῆς μήτε τὴν χεῖρα μήτε τὴν ἀκρίβειαν τῆς γραφῆς, ἐδικαίωσα μὴ ἀγνοεῖσθαί σοι τοῦτο. Ἄτοπον γὰρ εἰ τοιοῦτος ὢν ὁ ἵππος μήτε ἐμοὶ μήτε σοὶ σώζοιτο. 134

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Ἐδεξάμην τὴν ἐπιστολὴν ἐν ᾗ πάλιν ἐμέμψω τὴν τύχην ὡς οὐδὲν περὶ σοῦ βεβουλευμένην φιλανθρωπότερον. Μὴ σύ γε, ὦ φίλτατε ἑταίρων· οὐ γὰρ ἄξιον ἐγκαλεῖν, ἀλλὰ παραμυθεῖσθαι. Ἔξεστι δὲ ὄντι τοιούτῳ ἥκειν πρὸς ἡμᾶς· ἀδελφὸν εὑρήσεις οἶκον. Οὐ πλουτοῦμεν, ὦ ’γαθέ, ἀλλὰ τὰ παρόντα ἀρκεῖ καὶ Πυλαιμένει κἀμοί· εἰ δὲ σὺ παρέσῃ, τυχὸν καὶ πλουτήσομεν. Ἀπὸ τῶν ἴσων ἀφορμῶν ἕτεροι πλείω τῶν μετρίων ἔχουσιν, ἐγὼ δὲ κακὸς οἰκονόμος. Ἀλλὰ τέως ἀντέχει καὶ πρὸς τὴν ἀκριβεστάτην ἀμέλειαν τὰ πατρῷα, ἃ

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lettere 134, a pilemene

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acquistarli anche altrove e riparare quelli che ci sono, ma le frecce non sono facili da trovare, non, perlomeno, di buona qualità. Queste che abbiamo infatti vengono dall’Egitto e hanno delle protuberanze nodose, nello spazio tra le quali si assottigliano. Per questo, tendono a deviare dalla direzione che è stata loro impressa. Sembrano dei corridori che fin dalla partenza trovano un qualche ostacolo e inciampano. Le frecce della vostra regione,347 invece, sono di considerevole lunghezza e hanno la forma perfettamente arrotondata di un unico cilindro, che è essenziale per avere una traiettoria diritta. Mandami queste, nonché dei morsi dei cavalli di buona qualità e pronti all’uso. Quanto al cavallo italico che hai elogiato con la tua bella lingua, avrei avuto molto piacere di vederlo; soprattutto perché prospettavi che ci avrebbe dato dei buoni puledri. Ma in calce alla tua lettera, dopo la firma, ho trovato una nota in cui spiegavi che il cavallo è dovuto restare a Seleucia,348 perché il capitano della nave aveva rifiutato, viste le circostanze, un tale carico. Poiché però non mi sono parse simili alle tue né la dizione, né la mano, né la precisione della scrittura, ho ritenuto giusto non lasciartene all’oscuro. Sarebbe assurdo infatti se un tale cavallo non dovesse essere serbato né per me né per te. 134

A Pilemene Da Cirene a Costantinopoli, 406

Ho ricevuto la lettera in cui di nuovo accusi la sorte di non voler essere adesso più benevola nei tuoi confronti di quanto non lo sia stata in passato. Ma non devi, carissimo amico: non è bene infatti recriminare, quanto piuttosto farsi confortare. Trovandoti in questo stato, puoi venire qui da me: troverai una casa fraterna. Non sono ricco, mio caro, ma quanto c’è è sufficiente per Pilemene e per me; e se tu starai in mia compagnia, allora forse sarò ricco. Partendo da risorse paragonabili alle mie, altri possiedono adesso ben più della giusta misura, ma io sono un cattivo amministratore. Eppure, finora resistono alla mia assoluta noncuranza i beni

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sinesio di cirene

δὴ δύναται βόσκειν φιλόσοφον. Μὴ τὰ τυχόντα ἡγοῦ προσλαβόν­ τα καὶ πρόνοιαν. Ταῦτα περὶ τούτων, καὶ μὴ ἄλλως ποίει εἰ μή τι μεταξὺ βέλτιον πέπραχας καὶ πάλιν διανοῇ τὴν Ἡράκλειαν ἀνιστάναι κειμένην. Ἐπιστολὰς οὐ γέγραφα πρὸς οὓς εἴωθα διὰ τὸν καιρόν· ἀλλὰ πρώην ἅπασι γέγραφα, φάκελλον ἐπιστολῶν Διογένει δούς. Ἀνεψιός ἐστιν ὁ Διογένης ἐμός. Εἰ μὲν οὖν ἐπέτυχέ σου ζητῶν (ἐζήτησε γὰρ εὖ οἶδ’ ὅτι), καὶ δὴ τὸν φάκελλον ἐπιδέδωκεν (σοὶ γὰρ ἐπεγέγραπτο)· εἰ δὲ μή, τὸν ναύκληρον αἴτει δεῖξαί σοι τὸν νεανίσκον καὶ κομισάμενος τὰς ἐπιστολάς, αὐτὸς ἅπασι δίδου. Εἰσὶ δὲ οὓς περὶ πλείστου ποιοῦμαι παρ’ ἐμοῦ προσειρῆσθαι, ὁ πατὴρ Πρόκλος, Τρύφων ὁ παρ’ ἡμῖν ἄρξας, Σιμπλίκιος καὶ ἀνὴρ καὶ ἄρχων ἀγαθὸς καὶ φίλος ἐμός. Ἐπιδοὺς αὐτῷ τὴν ἐπιστολὴν ἐν ᾧ πάρεστι χρόνῳ χρῆσαι τἀνδρί· καλὸν γὰρ καὶ συσχολάσαι στρατιώτῃ ποιητικῷ. Στρουθοὺς μεγάλας ἀπὸ τῶν ἐν εἰρήνῃ κυνηγεσίων εἴχομεν, ἀλλ’ οὐκ ἦν αὐτὰς στέλλειν ἐπὶ θάλατταν διὰ τῶν ὅπλων τῶν πολεμίων οὐδὲ ἄλλο τι τῶν παρὰ τὰς ἀκτὰς ὄντων ἐξῆν ἐνθεῖναι τοῖς πλοίοις. Οἶνος οὖν μόνος ἐστὶ τὸ φορτίον, ἐλαίου δὲ οὔ, μὰ τὴν τιμίαν σου κεφαλήν, οὐδὲ κύαθον ἀγώγιμον ἔχουσιν, οὔκουν ὅσα γε καὶ ἐμὲ εἰδέναι. Τοσάδε οὖν οἴνου ξεστία λαβέ. Λήψῃ δὲ ἐπιδοὺς τὸ πρὸς Ἰούλιον πρόσταγμα· πρόσκειται δὲ τῇ ἐπιστολῇ τοῦ μὴ διαπεσεῖν ἕνεκα. Καὶ τῷ πατρὶ Πρόκλῳ γεγράφηκα καὶ ταῦτα πέπομφα. Δεξάσθω καὶ τὴν ἐπιστολὴν παρὰ σοῦ καὶ τὸν οἶνον παρὰ Ἰουλίου. Τρύφωνι τῷ χρυσῷ (δεῖ γάρ τι καὶ ἐν τούτοις ψυχρὸν εἰπεῖν καὶ Γοργίειον) τρυφῶντα δῶρα παρεσκευάσαμεν, ὀπὸν σιλφίου πολύν (Βάττου γὰρ ἀκούεις αὐτὸ δήπου καὶ σύ) καὶ κρόκον ἄριστον (ἀγαθὸν γὰρ ἡ Κυρήνη καὶ τοῦτον ἐκτρέφει)· οὐ μὴν ἐξεγένετο πέμπειν, τό νῦν ἔχον. Ἀλλ’ ἂν ἐκπέμψαιμεν εἰς ἑτέραν ναῦν ὅταν καὶ ὑμῖν μετ’ αὐτοῦ μὲν τὰς στρουθούς, κατὰ μόνας δὲ τοὔλαιον.

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lettere 134, a pilemene

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paterni, che dunque possono nutrire un filosofo. Non credere che gli accadimenti comportino la preveggenza. Dunque, in questa situazione, non fare diversamente da come ti ho detto, a meno che nel frattempo le cose non ti vadano meglio e tu non mediti di nuovo di risollevare la caduta Eraclea.349 Non ho più scritto lettere a coloro cui ero solito farlo, a causa delle circostanze; ma ho scritto a tutti di recente, affidando a Diogene un fascio di lettere. Diogene è mio cugino. Se dopo averti cercato (e ti ha cercato, lo so bene), è riuscito a trovarti, ti avrà consegnato il fascio delle missive (vi era scritto sopra il tuo nome); se invece no, domanda al capitano della nave di indicarti quel ragazzo e, una volta ricevute le lettere, consegnale tu stesso a tutti i loro destinatari. Ve ne sono alcuni cui tengo moltissimo che tu porti i miei saluti, ovvero il padre Proclo, Trifone, che ha ricoperto una carica di governo nella nostra regione, e pure Simplicio, uomo e governante di qualità, nonché mio amico. Consegnagli la lettera quando ti si presta l’occasione di stare un po’ con lui: è piacevole trascorrere del tempo libero in compagnia di un soldato-poeta. Abbiamo dei grandi struzzi, catturati in tempo di pace, ma non ci è stato possibile inviarveli poiché la costa pullulava di armi nemiche, così come non abbiamo potuto imbarcare alcunché di quanto era stato per voi predisposto sulla riva.350 Perciò il carico comprende solo il vino, giacché di olio, lo giuro sulla tua preziosa persona, non ne hanno nemmeno una tazza da mandare, almeno a mia conoscenza. Accetta dunque questi sestari351 di vino. Li potrai ritirare consegnando a Giulio l’ordine di consegna: lo allego a questa lettera affinché non si perda. Ho scritto anche a padre Proclo e anche a lui ho inviato le stesse cose. Che possa ricevere la lettera da te e il vino da Giulio. Per quell’uomo aureo che è Trifone ho preparato aurei doni (anche in questi frangenti bisogna infatti dire qualche freddura alla maniera di Gorgia352): una grande quantità di succo di silfio353 (quello di Batto,354 lo conosci certamente anche tu) e dell’ottimo croco (infatti Cirene produce anche questo, e di buona qualità). Ciononostante, non posso inviarli, almeno nell’attuale situazione. Tuttavia, ve li potremo mandare con un’altra nave, quando vi spediremo anche gli struzzi e, a parte, l’olio.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΔΕΛΦΩΙ  

Ποιμένιος οὗτος ὁ τὴν ἐπιστολήν σοι διδοὺς ἐστάλη πρὸς ἡμᾶς ὑπὸ τοῦ μικρῷ πρότερον δυναστεύσαντος Ἀρταβαζάκου ἐπὶ ταῖς οὐσίαις ἁπάσαις ὧν ἐν τοῖς τῇδε τόποις ἐγεγόνει κύριος. Ἀλλ’ ἐν ὑποθέσει τοιαύτῃ πρᾷον ἑαυτὸν παρέσχε καὶ μετριώτατον. Καίτοι τίς ἕτερος οὕτως ἐχρήσατο τῷ καιρῷ; Ποιμενίου δὲ οὐδεὶς Λιβύων τὴν τότε δύναμιν ἐβαρύνετο. Μέγα τεκμήριον, λυπεῖ τὰς πόλεις ἀναχωρῶν. Σὺ δέ μοι τὸν ἄνδρα φιλίως καὶ ὥσπερ εἰκὸς ἐπαίνεσον ἐπὶ καλοκαγαθίᾳ. 136

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ὀναίμην τῶν Ἀθηνῶν ὁπόσα βούλει ὥστε μοι δοκῶν πλεῖν ἢ παλαιστῇ καὶ δακτύλῳ γεγονέναι σοφώτερος. Ἔξεστι δὲ καὶ αὐτόθεν τῆς νέας σοφίας πεῖράν σοί τινα παρασχεῖν. Ἀμέλει γὰρ «Ἀναγυρουντόθεν» σοι γράφω, καὶ Σφηττοῖ γέγονα καὶ Θριῶζε καὶ Κηφισιάσι καὶ Φαληροῖ. Καὶ κακὸς κακῶς ὁ δεῦρό με κομίσας ἀπόλοιτο ναύκληρος· ὡς οὐδὲν ἔχουσιν αἱ νῦν Ἀθῆναι σεμνὸν ἀλλ’ ἢ τὰ κλεινὰ τῶν χωρίων ὀνόματα. Καθάπερ ἱερείου διαπεπραγμένου τὸ δέρμα λείπεται γνώρισμα τοῦ πάλαι ποτὲ ζῴου, οὕτως, ἐνθένδε φιλοσοφίας ἐξῳκισμένης, λείπεται περινοστοῦντα θαυμάζειν τὴν Ἀκαδημίαν τε καὶ τὸ Λύκειον καὶ νὴ Δία τὴν Ποικίλην Στοάν, τὴν ἐπώνυμον τῆς Χρυσίππου φιλοσοφίας, νῦν οὐκέτ’ οὖσαν ποικίλην. Ὁ γὰρ ἀνθύπατος τὰς σανίδας ἀφείλετο αἷς ἐγκατέθετο τὴν τέχνην ὁ ἐκ Θάσου Πολύγνωτος. Νῦν μὲν οὖν ἐν τοῖς καθ’ ἡμᾶς χρόνοις Αἴγυπτος τρέφει τὰς Ὑπατίας δεξαμένη γονάς· αἱ δὲ Ἀθῆναι – πάλαι μὲν ἦν ἡ πόλις ἑστία σοφῶν, τὸ δὲ νῦν ἔχον σεμνύνουσιν αὐτὰς οἱ μελιττουργοί.

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lettere 135-136, al fratello

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Al fratello Da Cirene a Ficunte, 402

Pimenio, colui che ti consegna questa lettera, ci è stato mandato da Artabazaco, l’uomo che era al potere fino a poco tempo fa. Si occupava di tutti i beni di cui quello era divenuto padrone in questa regione. Ma pure nell’assolvere un simile incarico si è dimostrato rispettoso ed estremamente misurato. Chi altro ha sfruttato in tal modo una simile occasione? A nessuno in Libia Pimenio ha mai fatto sentire il peso del proprio potere. La prova migliore è che adesso la sua partenza affligge le città. Ti prego dunque di accogliere quest’uomo amichevolmente e di celebrarlo come si conviene, considerata la sua virtù. 136

Allo stesso Da Anagirunte355 a Ficunte, 399

Vorrei trarre da Atene tutti i vantaggi che tu desideri, e già mi sembra di essere divenuto più sapiente di un palmo e di un dito.356 Posso subito fornirti una prova della mia nuova sapienza. Per esempio, è da Anagirunte che ti scrivo, e sono già stato a Sfetto, a Tria, a Cefisia e al Falero.357 Che possa morire malamente il maledetto capitano di nave che mi ha condotto sin qui: l’Atene attuale non ha niente di venerabile, a parte i celebri nomi delle località. Come quando viene sgozzata una vittima sacrificale la pelle rimane l’unico elemento distintivo dell’animale che era, così, dopo che la filosofia se ne è andata da qui, rimane soltanto di andarsene in giro ad ammirare l’Accademia, il Liceo e, per Zeus, il Portico dipinto che ha dato il nome alla filosofia di Crisippo358 e che adesso non è più neanche dipinto. Il proconsole infatti ha rimosso le tavole in cui Polignoto di Taso359 aveva posto la propria arte.360 Adesso, in questa nostra epoca, è l’Egitto che permette alla semenza ricevuta da Ipazia di svilupparsi;361 Atene invece, che in passato è stata la capitale dei pensatori, allo stato attuale riceve pre-

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sinesio di cirene

Ταῦτ’ ἄρα καὶ ἡ ξυνωρὶς τῶν σοφῶν Πλουταρχείων, οἵτινες οὐ τῇ φήμῃ τῶν λόγων ἀγείρουσιν ἐν τοῖς θεάτροις τοὺς νέους, ἀλλὰ τοῖς ἐξ Ὑμηττοῦ σταμνίοις. 137

ΕΡΚΟΥΛΙΑΝΩΙ  

Εἰ τῆς Ὀδυσσέως πλάνης κέρδος ἔφησεν Ὅμηρος πολλῶν ἀνθρώπων ἰδεῖν τε ἄστεα καὶ γνῶναι τὸν νόον, καὶ ταῦτα τῆς προσορμίσεως αὐτῷ γενομένης οὐ πρὸς ἄνδρας χαρίεντας, ἀλλὰ πρὸς Λαιστρυγόνας καὶ Κύκλωπας, ἦπου θαυμαστῶς ἂν ἡ ποίησις ὕμνησε τὴν ἐμήν τε καὶ σὴν ἀποδημίαν, παρασχοῦσαν ἡμῖν εἰς πεῖραν ἐλθεῖν τῶν καὶ διὰ φήμης ἀπιστουμένων. Αὐτόπται γάρ τοι καὶ αὐτήκοοι γεγόναμεν τῆς γνησίας καθηγεμόνος τῶν φιλοσοφίας ὀργίων. Εἰ δὲ καὶ ἀνθρωπικαὶ χρεῖαι τοὺς κοινωνήσαντας διαθέσει συνδέουσιν, ἡμᾶς κατὰ τὸν νοῦν τῶν ἐν ἡμῖν τὸ ἄριστον συγγενομένους θεῖος ἀπαιτεῖ νόμος τἀλλήλων τιμᾶν. Ἐγὼ μὲν οὖν καὶ τῆς σωματικῆς συνηθείας ἀπολελαυκὼς ὁρᾶν τε ἀπόντα δοκῶ, τὸ ἐναποτεθὲν ἀπὸ τῆς διαθέσεως εἶδος προχειριζομένης τῆς μνήμης, καὶ ἐμβομβεῖ μου ταῖς ἀκοαῖς ἡ θαυμαστῶς γλυκεῖα τῶν ἱερῶν σου λόγων ἠχώ. Σὺ δὲ ἡμῖν εἴπερ οὐχ οὕτως ἔχεις, ἀδικεῖς· εἰ δὲ ἔχεις, οὐ μέγα ποιεῖς. Ἀποδίδως γὰρ διαθέσεως ὄφλημα. Ὅταν δὲ πρὸς τὴν ἐν φιλοσοφίᾳ κοινωνίαν ἀπίδω καὶ φιλοσοφίαν ἐκείνην περὶ ἧς πολλὰ συγκεκύφαμεν, ἐνταῦθα ἤδη τοῦ λογισμοῦ γινόμενος, θεῷ βραβευτῇ τὴν ἐντυχίαν ἡμῶν ἀνατίθημι. Οὐ γὰρ ἂν ἀπ’ ἐλάττονος ἢ θείας αἰτίας Συνέσιος, ὁ τὸ πρᾶγμα ἥκιστα δημοσιεύων καὶ πλείστοις μὲν συνών, ἐπ’ ἀνθρωπικαῖς δὲ κοινωνίαις τὰς συνουσίας ποιούμενος, φιλοσοφίαν δ’ ἐν ἀρρήτων ἀρρητοτάτοις ἔχων, οὕτω προχείρως ἐμαυτόν τε καὶ τὰ ἐμαυτοῦ κτήματα ἀνεκάλυψα ἀνδρὶ κατὰ βραχὺ δόντι μοι καὶ λαβόντι τὸν

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lettere 137, a erculiano

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stigio soltanto dagli apicultori. Non a caso una coppia di sapienti allievi di Plutarco362 non attirano i giovani nei teatri per la fama della loro eloquenza, ma per i vasetti di miele dell’Imetto.363 137

A Erculiano Da Cirene ad Alessandria, 398

Se Omero disse che il guadagno che Odisseo aveva tratto dal suo vagare era di aver incontrato molti uomini e di aver visto le loro città e di aver conosciuto la loro indole, sebbene non fosse approdato presso popolazioni gradevoli, ma presso i Lestrigoni e i Ciclopi, allora la sua poesia avrebbe certamente celebrato con versi ammirevoli i nostri rispettivi viaggi all’estero, che ci hanno consentito di verificare ciò che, a sentirlo raccontare, ci lasciava increduli. Abbiamo infatti visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie colei che legittimamente presiede ai misteri della filosofia.364 Se le relazioni umane legano tra di loro coloro che condividono uno stesso affetto, nel nostro caso, avendo noi condiviso un’esistenza secondo l’intelletto, che è la nostra parte più nobile, allora una legge divina esige che ci stimiamo vicendevolmente. Per quanto mi riguarda, dopo aver goduto della tua presenza fisica, mi sembra, anche in tua assenza, di vederti, giacché il ricordo mi ripresenta l’immagine che l’affetto ha riposto in me, mentre la dolce eco delle tue sacre parole risuona nelle mie orecchie. Se tu non provi altrettanto, commetti un torto; se invece lo provi, non fai una gran cosa. Ripaghi soltanto un debito di affetto. Quando guardo alla nostra comunanza nella filosofia e a quella filosofia per la quale abbiamo sofferto assieme molte sofferenze, allora, a questo punto della riflessione, attribuisco il nostro incontro alla volontà di Dio. In effetti, non potrebbe esserci una causa inferiore, non divina, del fatto che io Sinesio, che sono assai restio a divulgare in pubblico simili questioni e che, pur avendo contatti con molte persone, interagisco con loro su argomenti di carattere generale, non sulla filosofia, che considero il più segreto dei segreti, abbia svelato, senza esitare, me stesso e le mie cose a un uomo con

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sinesio di cirene

λόγον. Ἐπεὶ δ’ οὖν γέγονέ τις οὗτος πρὸς ὃν ἐξωρχησάμην τὰ τέως ἀνέκπυστα, καὶ τῆς σοφῆς τοῦ Πρωτέως ἐπελαθόμην τέχνης (οὐ γὰρ ἄλλη τις ἦν ἢ συνεῖναι τοῖς ἀνθρώποις οὐ θείως, ἀλλὰ πολιτικῶς), ἐπεὶ γέγονε τοῦτο, οὐ προθεμένης μοι τῆς γνώμης, ἀλλ’ ἀκατασκεύαστον ἄφνω παρελθόν, ἐγὼ θεὸν ἡγεμόνα τοῦ παραδόξου λογίζομαι, παρ’ οὗ τέλος αἰτήσομεν τῶν δι’ αὐτὸν ἠργμένων. Καὶ δοίη μετ’ ἀλλήλων φιλοσοφεῖν· εἰ δὲ μὴ τοῦτο, πάντως φιλοσοφεῖν. Ὡς ἔγωγε ἐνόντας μοί τινας τῇ ψυχῇ λόγους περὶ τῆς ὑποθέσεως ἣν ἐπραγματευόμεθα καταχέαι μὲν ὠδίνω τῆς ἐπιστολῆς, οὐ μὴν τοῦτο ποιήσω. Σοὶ μὲν γὰρ ἂν κατὰ θεὸν γένοιτο συγγενέσθαι καὶ ἡμῖν περὶ τούτων καὶ πολλοῖς ἄμεινον εἰδόσιν· ἐμοὶ δὲ οὐ καλῶς ἔχει γραμματίῳ πιστεύειν τὰ τοιάδε. Τὸ γὰρ τῆς ἐπιστολῆς πρᾶγμα οὐκ ἐχέμυθον, ἀλλὰ φύσιν ἔχει τῷ περιτυχόν­τι προσδιαλέγεσθαι. Ἔρρωσο καὶ φιλοσόφει καὶ διατέλει τὸ ἐν ἡμῖν κατακεχωσμένον ὄμμα ἀνορύττων. Τὸ γάρ τοι βιοῦν ὀρθῶς, ἅτε ὄν, οἶμαι, προοίμιον τοῦ φρονεῖν, ὑπὸ τῶν ἀρχαίων καὶ φρονίμων ἀνδρῶν σπουδάζεσθαι κατεδείχθη. «Μὴ καθαρῷ γὰρ καθαροῦ ἐφάπτεσθαί φησιν οὐ θεμιτὸν ἡ θεσπεσία φωνή.» Οἱ πολλοὶ δὲ οὐ διὰ τὸ φρονεῖν, ἀλλ’ αὐτὸ δι’ αὐτό, καὶ τελειότητα ἀνθρωπίνην ἥγηνται τὸ βιοῦν ὀρθῶς, τὴν ὁδὸν οὐχ ὁδόν, ἀλλ’ ἐφ’ ὃ δεῖ δι’ αὐτῆς φθάσαι νομίζοντες, κακῶς φρονοῦντες· σωφροσύνη γὰρ ἄλογος καὶ ἀποχὴ κρεωδαισίας πολλὴ παρὰ πολλοῖς ἀλόγοις εἴδεσιν ἐνδέδεται παρὰ τῆς φύσεως. Ἀλλ’ οὐκ ἐπαινοῦμεν οὔτε κορώνην οὔτ’ ἄλλο τι τῶν εὑραμένων φυσικὴν ἀρετὴν ὅτι φρονήσεως ἔρημα. Ἡ δὲ κατὰ νοῦν ζωὴ τέλος ἀνθρώπου· ταύτην μετίωμεν, θεόθεν τε αἰτοῦντες θεῖα φρονεῖν καὶ αὐτοὶ τὸν δυνατὸν τρόπον τὸ φρονεῖν ἁπανταχόθεν συλλέγοντες.

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lettere 137, a erculiano

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il quale avevo scambiato a malapena qualche parola. Poiché dunque vi è stato un uomo al quale ho svelato365 dei segreti fino ad allora taciuti e ho dunque dimenticato l’arte del saggio Proteo366 (che non consisteva in altro che nel vivere assieme agli uomini, non come un dio ma come un cittadino367), poiché insomma è accaduto questo, senza che io l’avessi previsto, ma sopraggiungendo improvvisamente, senza alcun preavviso, ritengo che l’autore di questo evento inaspettato sia Dio, al quale chiederemo di portare a compimento ciò che ha avuto inizio per sua volontà. Che ci permetta dunque di praticare la filosofia insieme; se non questo, ad ogni modo, di filosofare. Io sono impaziente di riversare in questa lettera delle idee che ho in mente a proposito dell’argomento del quale abbiamo trattato, ma ciononostante non lo farò. Infatti, la volontà di Dio potrebbe essere quella di farci rincontrare, magari anche con molti altri ancora più competenti, per trattare di tali questioni; per di più, non mi pare che sia bene affidare a uno scritto simili riflessioni. La funzione della lettera non è infatti quella di essere discreta, ma per sua natura si rivolge a chiunque.368 Stai bene, pratica la filosofia e continua a estrarre l’occhio che si trova nascosto in noi. Proprio perché il vivere rettamente è, credo, il preludio alla meditazione, gli antichi sapienti ci hanno insegnato ad applicarci in tal senso. “Non è lecito a quanto è impuro di toccare ciò che è puro”369 dice la parola divina. I più non ricercano il vivere rettamente per giungere alla meditazione, ma fine a se stesso, e lo considerano il compimento dell’umana natura, e ritenendo il cammino non come cammino, ma come meta cui quello deve portare, ragionano male: infatti, la temperanza irrazionale e l’astinenza dalla carne sono state abbondantemente assegnate dalla natura a molte specie prive di ragione. Ma se non elogiamo né la cornacchia né alcuna altra creatura dotata di naturale virtù è perché sono prive di intelligenza. La vita secondo l’intelletto è il fine ultimo dell’uomo: seguiamola, chiedendo a Dio delle divine meditazioni e raccogliendo dappertutto, per quanto ci è possibile, materia di riflessione.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἤκουσά του τῶν δεινῶν λέγειν ἀνδρὸς ἐπαινοῦντος χρείαν ἐπιστολῆς καὶ τοῦτ’ αὐτὸ τῶν πολλῶν καὶ θαυμαστῶν λόγων ὁ σοφιστὴς ὑπόθεσιν ἐπεποίητο. Ἐχορηγεῖτο δὲ αὐτῆς τὸ ἐγκώμιον πολλαχῇ μὲν καὶ ἄλλῃ, μάλιστα δὲ ἀπὸ τοῦ δύνασθαι τὴν ἐπιστολὴν ἐρώτων οὐκ εὐτυχούντων εἶναι παραμυθίαν, παρεχομένην ἐν ἀπουσίᾳ σωμάτων φαντασίαν τῆς παρουσίας καὶ τῷ δοκεῖν προσδιαλέγεσθαι ψυχῆς ἐκπιμπλᾶσαν τὸ ἐφιέμενον. Ταῦτα οὖν ἀνυμνεῖν τὸν εὑρετὴν τῶν γραμμάτων καὶ ἀνθρώπων μὲν οὐδενὸς ἠξίου, θεοῦ δὲ εἰς ἀνθρώπους εἶναι τὴν δόσιν. Ἐγὼ μὲν οὖν ἀπολαύω τῆς ἱερᾶς τῆσδε τοῦ θεοῦ χάριτος καὶ πρὸς ὃν ἔδει λαλεῖν, εἰ μὴ δύναμαι λαλεῖν, ἀλλ’, ἐπειδὴ γράφειν δύναμαι, θαμὰ τοῦτο ποιῶ καὶ κατὰ τὸ ἐνδεχόμενον σύνειμι καὶ ἀπολαύω τῶν ἐμῶν παιδικῶν. Αὐτὸς δέ, εἰ μὴ πικρὸν εἰπεῖν, συνδιέστησας τῷ τόπῳ τὴν γνώμην. Κἂν μὴ παύσῃ σαυτὸν ἀφέλκων τῶν ἀδολώτατα καὶ ἀσκήνως ἠγαπηκότων, ἐμιμήσω τὰς χελιδόνας, αἳ ταῖς τῶν ἀνθρώπων οἷον φιλίαις ἐνοικίζονται μὲν μετὰ τοῦ φθέγγεσθαι, σιωπῶσαι δὲ ἐξοικίζονται. Ταῦτα πρὸς ἄνθρωπον ἔτι καὶ ἀνθρωπικὰ τὰ ἐγκλήματα· εἰ δὲ ἥνωσας διὰ φιλοσοφίας τὰ δεῦρο διεστῶτα καὶ φίλον μὲν τὸ καλόν, καλὸν δὲ τὸ αὐτό, τοῦτο δὲ ἓν ὂν τοῦ θεοῦ λέγοντος ἤκουσας, οὐκέτι κρίνομεν ὑπεροψίαν τὴν πρὸς ἡμᾶς σιωπήν, ἀλλὰ συνηδόμεθα φιλοσοφοῦντι καὶ παραιτουμένῳ μὲν τὸ μικροπρεπεύεσθαι, συνόντι δὲ τῷ παρὰ σοὶ κρείττονι τοῖς ἐν ἡμῖν κρείττοσιν. Εἴης τοιοῦτος, ἀνδρῶν ἄριστε καὶ ἐμοὶ τριπόθητε ὄντως ἀδελφέ.

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lettere 138, a erculiano

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Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398

Ho udito una volta un mirabile oratore elogiare l’utilità della lettera: questo maestro d’eloquenza sviluppava l’argomento in molti e straordinari discorsi. L’elogio della lettera era fornito di numerose e svariate ragioni: in particolare, il potere che la lettera ha di consolare gli amori infelici, fornendo in caso di assenza fisica l’apparenza della presenza, e l’impressione che dà di un dialogo che appaga il desiderio dell’anima. Per questo riteneva che andasse celebrato l’inventore delle lettere e che questo non fosse stato un uomo, ma che la lettera fosse piuttosto un dono che il genere umano aveva ricevuto dalla divinità. Io fruisco con piacere di questo sacro favore di Dio e a chi devo parlare, se non mi è possibile parlargli, ma d’altronde scrivere posso, scrivo spesso e, per quanto mi è possibile, sto così in tua compagnia e godo dell’oggetto del mio amore. Ma tu, sia detto senza acredine, insieme al luogo hai cambiato anche il carattere. Se non smetti di sottrarti a coloro che per te provano un affetto perfettamente leale e senza finzioni, diverrai imitatore delle rondini, che vengono ad abitare con molti gridi nelle case degli uomini, da loro ritenute ospitali, e poi se ne vanno in silenzio. Tutto questo è ancora riferito agli uomini e alle umane imputazioni; se invece hai unito in te, per il tramite della filosofia, ciò che fin qui era diviso e se hai ascoltato ciò che Dio ha detto, ovvero che il bello è oggetto dell’amore e oggetto dell’amore è il bello, coincidendo in una medesima realtà i due concetti, allora non giudico il tuo silenzio nei miei confronti un segno di disprezzo, ma condivido con te il piacere nel filosofare e nel rifiutare di essere meschino, nonché nel congiungere la parte migliore di te con la parte migliore di me. Che tu possa essere tale, ottimo tra gli uomini, autentico fratello assai desiderato.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ

Εἰ τοσοῦτόν ἐστι κέντρον πειθοῦς ἐν τοῖς γράμμασιν, εἰ τοσοῦτον αἱ τῶν ἠθῶν εἰκόνες τῆς ζώσης χηρεύουσαι συμπαθείας καὶ χάριτος θέλκτρον ἐνιᾶσι τοῖς ἀναγινώσκουσιν, ἦπου πρᾶγμα ἄμαχον ἂν εἴη τὸ αὐτοπροσώπως αὐτῶν ἐπαφήσασθαι. Ἐμέ γέ τοι καὶ παρὼν μὲν ᾕρεις τῇ γλυκείᾳ Σειρῆνι τῶν λόγων· οὐ μὴν αἰσχυνθείην ἀληθῆ λέγων ὡς ἡδίων ἂν ἡ δευτέρα μοι πεῖρα γένοιτο. Οὐ γὰρ ἂν γένοιτο ἀγαθοῦ παρόντος ὥσπερ ἀπόντος τῷ πεπειραμένῳ συναίσθησις. Τοῦ μὲν γὰρ ἡ συνέχεια τῆς ἀπολαύσεως κλέπτει τῆς εὐφροσύνης τὴν αἴσθησιν, ὁ δὲ καὶ κατὰ μικρὸν χωρισθεὶς τῶν ἡδέων εὐθὺς ἔχει κεντοῦσαν ἐκ παραλλήλου τὴν μνήμην οἵων ἄρα ὄντως στερίσκεται. Ἔλθοις οὖν, φιλτάτη κεφαλή, καὶ ἀλλήλοις ἐπὶ φιλοσοφίᾳ συγγενοίμεθα, τοῖς ἐνηργμένοις πρέποντα ἐποικοδομοῦντες ἵν’ ἐκ τελέων τέλεον ἐκφανῇ κάλλος, ἀλλὰ μὴ κολοβόν. Εἰ δέ, ὅπερ ἀπεύχεσθαι δίκαιον, ἀλλήλων διαμάρτοιμεν, δῆλον ὡς τοὐμόν ἐστι τὸ βλαπτόμενον. Σοὶ μὲν γὰρ εὐτυχούσης ἐνθάδε πολυανδρίαν παιδείας συνέσονται πολλοὶ Συνεσίου καὶ βελτίους καὶ ὅμοιοι· ἡ δὲ πατρίς, ὅτι μὲν πατρὶς ἐμοὶ τίμιον, πρὸς δὲ φιλοσοφίαν οὐκ οἶδ’ ὅντινα τρόπον ἀπεσκληκότως ἔχει. Ἔστιν οὖν οὐκ ἀδεὲς ἀβοηθήτῳ μένειν, οὐκ ὄντος τοῦ συγκορυβαντιῶν­ τος. Εἰ δὲ δὴ καὶ δοίημεν εἶναί τινας, «πῶς ἂν ἔπειτ’ Ὀδυσῆος ἐγὼ θείοιο λαθοίμην;»,

πρὸς ποῖον ἄλλο πυρεῖον παρατριβεὶς μετὰ τὴν ἱεράν σου ψυχὴν ἀποτέκοιμι τοῦ νοῦ φωτοειδὲς ἔγγονον; Τίς οὕτως οἷος σφο-

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lettere 139, a erculiano

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Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398

Se tale è lo sprone della persuasione nelle tue lettere, se tale il fascino che le immagini del tuo carattere, per quanto private della vita che è loro conferita dalla tua partecipazione emotiva e dalla tua seduzione, infondono nei tuoi lettori, sarebbe allora un’esperienza irresistibile averne anche solo un minimo contatto in tua presenza. Quanto a me, dinanzi a te ero effettivamente catturato dalla dolce sirena dei tuoi discorsi. Non posso certo vergognarmi di dire la verità: quanto sarebbe più dolce per me una seconda esperienza. La percezione di un bene in sua presenza non equivale a quella che si ha in sua assenza, per chi ne abbia fatto prova almeno una volta. Nel primo caso, infatti, la continuità del piacere toglie la percezione della gioia, mentre nel secondo, quando si è separati, anche di poco, dal piacere, si ha subito il ricordo – che punge in modo proporzionato – di quali siano quei beni di cui siamo stati effettivamente privati. Mi auguro che la tua carissima persona si rechi qua e che ci ritroviamo per dedicarci assieme alla filosofia, edificando in maniera appropriata a quanto abbiamo già dato inizio, affinché la nostra costruzione riveli dalla propria perfezione una bellezza compiuta, anziché restare incompleta. Se poi, come è giusto non augurarsi, dovessimo mancare di rincontrarci, è evidente che quello danneggiato sarei io. Là dove ti trovi infatti, dove la cultura gode della fortuna di essere coltivata da molte persone, godrai della compagnia di molti uomini uguali a Sinesio e anche migliori; la mia patria invece, che in quanto patria mi è cara, si è, non so in che modo, inaridita nei confronti della filosofia. Non è dunque senza spavento che me ne resto privo di un soccorso, non essendoci nessun altro che partecipi all’entusiasmo dei Coribanti.370 Se anche ammettessimo che ve ne siano alcuni, “Come potrei dimenticarmi di Odisseo divino?”,371

a quale altro legno, dopo averlo fatto con la tua sacra anima, potrei strofinarmi e generare un luminoso prodotto dell’intelletto? Chi

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sinesio di cirene

δρῶς σπινθῆρα κεκρυμμένον καὶ ἀγαπῶντα λανθάνειν μηχαναῖς ἁπάσαις ἐκκαλέσασθαι καὶ ἐξάψαι καὶ πῦρ λαμπρὸν ἀναδεῖξαι; Θεὸς οὖν ἀμφοῖν ἀποῦσί τε καὶ συνοῦσι παρείη· «θεοῦ δὲ παρόντος ἅπαν ἄπορον πόριμον.» Ἔρρωσο καὶ φιλοσόφει καὶ τὸ ἐν σαυτῷ θεῖον ἄναγε ἐπὶ τὸ πρωτόγονον θεῖον· καλὸν γὰρ ἅπασαν ἐμὴν ἐπιστολὴν τοῦτο παρ’ ἐμοῦ τῇ τιμίᾳ σου διαθέσει λέγειν ὅ φασι τὸν Πλωτῖνον εἰπεῖν τοῖς παραγενομένοις ἀναλύοντα τὴν ψυχὴν ἀπὸ τοῦ σώματος. 140

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Τῶν ἐρώτων οἱ μὲν χαμαὶ ἐρχομένας καὶ ἀνθρωπικὰς τὰς ἀρχὰς ἔχοντες ἀπεχθεῖς τέ εἰσι καὶ ἐξίτηλοι, τῇ παρουσίᾳ μόνῃ καὶ μόλις μετρούμενοι· οἷς δὲ ὁ ἐφεστὼς βραβεύει θεός, κατὰ τὴν θεσπεσίαν Πλάτωνος φωνὴν συντήξας τῇ τέχνῃ καὶ ἕνα ἄμφω ποιήσας τοὺς ἀντερῶντας, οὗτοι καὶ χρόνου καὶ τόπου φύσιν ἐλέγχουσιν. Οὐδὲν γὰρ ἐμποδὼν ψυχαῖς ἐφιεμέναις ἀλλήλων ἀρρήτοις συνόδοις ὁμόσε χωρεῖν καὶ συμπλέκεσθαι. Ἐκεῖθέν ποθεν ἠρτῆσθαι δεῖ τὸ ἡμέτερον εἰ μὴ τὰ φιλοσοφίας τροφεῖα μέλλοιμεν αἰσχύνειν, αἴσθησιν ἀγαπῶντες καί, ὅταν αὕτη μὴ ὑπὸ σωμάτων θυροκοπῆται, ψυχῆς παρουσίαν οὐ προσιέμενοι. Τί οὖν ποτνιᾷ καὶ ταῖς ἐπιστολαῖς τῶν δακρύων ἐγχεῖς; Εἰ μὲν γὰρ ἡμᾶς ἐλεῶν ὅτι μήπω φιλοσοφοῦμεν, καὶ ταῦτα δοκοῦν­ τες καὶ λέγοντες, ἐπιγινώσκω τοῦ θρήνου τὴν ἀλήθειαν· εἰ δ’ ὅτι τὴν συνουσίαν ἡμῶν ἠδίκησεν ἀγνώμων τύχη (τοῦτο γάρ σοι τῶν ἐπιστολῶν τὸ βούλημα), θῆλυ καὶ παιδαριῶδες τὸ ταῦτα ἀγαπᾶν, ἐφ’ ὧν δύναται βλάπτειν ὁ δαίμων τὰ τέλη τῶν προαιρέσεων. Ἐγὼ δὲ τὴν ἱερὰν κεφαλὴν Ἑρκουλιανὸν ἠξίουν ἄνω βλέπειν

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lettere 140, a erculiano

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sarà talmente abile da suscitare con ogni mezzo la scintilla che si è profondamente occultata e che ama celarsi, così da farne una fiamma e da innalzarne poi un fuoco splendente? In ogni caso, uniti o separati, che Dio possa assisterci entrambi. Con l’aiuto di Dio, tutto ciò che è inaccessibile diviene accessibile. Stai bene, pratica la filosofia e “eleva l’elemento divino che è in te fino al divino primogenito”. È bene infatti che tutta questa lettera, da parte mia al tuo prezioso affetto, ripeta ciò che si racconta che Plotino avrebbe detto agli astanti mentre esalava la propria anima, libera da ogni legame con il corpo.372 140

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 403

Degli amori, quelli che hanno origine terrestre e umana sono detestabili ed evanescenti, perché si misurano, seppure a stento, soltanto in presenza dell’amato; quelli invece di cui Dio si pone come garante dopo avere, secondo la divina parola di Platone, “amalgamato” gli amanti “con la sua arte e aver fatto di una dualità un’unità”,373 superano la natura del tempo e dello spazio. Niente infatti può impedire a delle anime che provano un mutuo desiderio di ritrovarsi in dei segreti incontri e di intrecciarsi tra di loro. La nostra amicizia deve rifarsi a questo modello se non vogliamo disonorare l’educazione dataci dalla filosofia, amando soltanto la sensazione e, qualora questa non sia stimolata dal corpo, non ammettendo alcuna presenza all’anima. Perché dunque ti lamenti e versi lacrime sulle lettere? Se è per pietà, poiché ritieni che io non sia ancora un filosofo, nonostante le mie impressioni e affermazioni, riconosco la fondatezza del tuo lamento; se invece è perché l’insensibile sorte ci ha fatto il torto di impedirci di ritrovarci (questo è in effetti il senso delle tue lettere), trovo femmineo e infantile un tale attaccamento, per il quale un cattivo demone può nuocere al compimento dei nostri progetti. Io credevo che la sacra persona di Erculiano mirasse verso l’alto e che fosse interamente dedita alla contemplazione delle essenze e del

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sinesio di cirene

καὶ ὅλον εἶναι θεωρὸν τῶν ὄντων καὶ τῆς τῶν θνητῶν ἀρχῆς, τὰς ἀρετὰς διαβάντα καὶ πάλαι τὰς ἀπεστραμμένας καὶ κοσμούσας τὰ δεῦρο. Καὶ ὡς πρὸς τοιοῦτόν μοι τῆς ἐπιστολῆς τὸ πρόσρημα «πολλὰ φρονεῖν», οὐ «χαίρειν» οὐδὲ «εὖ πράττειν», τὸ μετριώτερον. Ἐπιστατεῖ γὰρ πράξεσι νοῦς ἐλάττων, οὐχ ὃν ἠξίουν ἀνακεχῶσθαι παρὰ σοί. Περὶ οὗ σοι καὶ πάμπολλα διὰ δύο τῶν πρώτων ἐπιστολῶν διειλέχθην, ὧν οὐδεμίαν οἱ λαβόντες ἐπιδεδώκασιν. Ἐπεί τοι πέμ­ πτην ταύτην ἐκπέμπω τὴν ἐπιστολήν. Ἀλλ’ εἴθε μὴ καὶ ταύτην μάτην. Γένοιτο δ’ ἂν οὐ μάτην εἰ πρῶτον μὲν ἐπιδοθείη, τὸ δὲ ἐπὶ τούτῳ καὶ τούτου σεμνότερον, κατανουθετήσει σε καὶ παιδαγωγήσει καὶ πείσει μεταθεῖναι τὴν τοῦ σώματος ἰσχὺν ἐπὶ τὴν τῆς ψυχῆς ἀνδρείαν, οὐ τὴν ἐκ τῆς πρώτης καὶ περιγείου τετρακτύος τῶν ἀρετῶν, ἀλλ’ ἐπὶ τὴν ἀνάλογον ἐν τρίταις τε καὶ τετάρταις. Ἅψαιο δ’ ἂν αὐτῆς ὅταν μηδὲν τῶν ἀνθρωπίνων θαυμάζῃς. Κἂν μήπω σοι σαφὴς ἡ διαίρεσις ᾖ τοῦ λελεγμένου, τίνες ἀρχεγονώτεραι καὶ τίνες αἱ πολλοσταὶ τῶν ἀρετῶν, τὸ ἐπὶ μηδενὶ κλαίειν, ἀλλὰ πάντων ἐν δίκῃ τῶν τῇδε καταφρονεῖν ὅταν σοι παραγένηται, τοῦτο ἔστω σοι κανὼν καὶ κριτήριον τῶν πρώτων τῆς τεύξεως ἵνα σοι καὶ παρ’ ἡμῶν τὸ «πολλὰ φρονεῖν» ἐν ταῖς ἐπιστολαῖς ἐπανέλθῃ. «Ἐρρωμένος διαβιῴης» φιλοσοφίας εὐθυμίαν πρυτανευούσης ἀκύμονα, δέσποτα ἀξιάγαστε. Εἰ φιλοσοφία πρεσβεύειν οἶδεν ἀπάθειαν αὐτήν, αἱ μέσαι δὲ ἕξεις εἰς μετριοπάθειαν ἵσταν­ ται, τὴν ἀπειροπάθειαν καὶ τὸ εὐταπείνωτον ποῦ χώρας τάξομεν; Ἆρ’ οὐχὶ πόρρω φιλοσοφίας, ἧς μύστην γενέσθαι σε κατηυξάμεθα; Μὴ δῆτα, ὦ πάντων ἐμοὶ προσφιλέστατε, ἀλλ’ ἀρρενωπότερον ἡμῖν τὸν φίλον ὑποδείκνυε. Ἅπασά μου ἡ οἰκία κατεδεήθη προσειπεῖν σε ὑπὲρ αὐτῆς. Προσ­είρησο οὖν παρὰ πάντων, ἑκάστου μόνον οὐκ ἐγχέαντος τὴν ψυχὴν τῇ προσρήσει. Καὶ αὐτὸς ὑπὲρ ἡμῶν τὸν ἱπποτοξότην πρόσειπε, παρακαλῶ.

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lettere 140, a erculiano

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principio di quanto è mortale, avendo superato, e pure da molto tempo, quelle virtù rivolte a questo mondo con l’intento di ordinarlo. Convinto che tu fossi ormai giunto a un tale livello ponevo come formula di congedo della mia lettera “buona riflessione” anziché “ti saluto” o “stai bene”, che sono espressioni più banali. Sovrintende in effetti alle azioni un intelletto inferiore, che non è quello, pensavo, che è stato sepolto in te. Di questo avevo ampiamente parlato in due delle mie prime lettere, ma quelli che le avevano prese non te ne hanno consegnata nemmeno una. Per questo motivo questa missiva è la quinta che ti invio. Spero questa volta non invano. Non lo sarebbe di certo, anzitutto, se ti fosse consegnata e se, inoltre, cosa ben più importante, ti ammonisse, insegnasse, persuadesse a passare dalla forza del corpo al vigore dell’anima, non quello che proviene dalla prima, terrena, tetrade delle virtù, ma il suo analogo nel terzo e nel quarto gruppo.374 Potrai raggiungerlo quando nessuna delle cose umane ti creerà più stupore.375 Se non ti fosse ancora chiara la distinzione che ho menzionato tra virtù fondamentali e virtù comuni, quando non ti capiterà più di piangere ma piuttosto di biasimare opportunamente tutte le cose di questo mondo, allora avrai una regola e un criterio per ottenere le realtà prime, così che io possa nuovamente apporre in chiusa alle mie lettere indirizzate a te la formula “buona riflessione”. “Ti auguro di vivere sano” e che la filosofia ti garantisca una gioia al riparo dalle onde della vita, ammirabile signore. Se la filosofia sa assicurare il distacco dalle passioni, se gli stati intermedi ne consentono il controllo, dove collocheremo il culmine della passione e la grande facilità con cui ci umiliano? Non sarà lontano da quella filosofia della quale ci siamo augurati che tu divenissi un iniziato? Ma no, amico carissimo, il più caro di tutti. Piuttosto, mostraci nell’amicizia un atteggiamento più virile. Tutta la mia famiglia mi ha chiesto di salutarti. Ricevi dunque da parte di tutti un saluto, nel quale ognuno ha riversato quasi l’intera sua anima. Tu invece, te ne prego, saluta da parte mia l’arciere a cavallo.376

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Μὴ θαυμάσῃς εἰ διακομιστῇ δυοῖν ἐπιστολῶν ἑνὶ χρῶμαι, ἀλλὰ πρῶτον μὲν αἰσθάνου δίκας ὑπέχων ἐγκλήματος ἀκαίρου καὶ ἐμφοροῦ τῆς ἀδολεσχίας ἡμῶν, εἶτα καὶ χρείαν ἑτέραν ἐθέλω μοι πληρῶσαι τὰ δεύτερα γράμματα. Αἰτῶ γὰρ τὸ ἐν ἰάμβοις ἐκεῖνο συνταγμάτιον, δι’ οὗ πρὸς τὴν ψυχὴν ὁ γεγραφὼς διαλέγεται. Ἐπεὶ τότε μὲν ᾤμην ἀπὸ τῆς μνήμης αὐτὸ συναθροίσειν, νῦν δὲ κινδυνεύει τὸ ἀντ’ ἐκείνου μηδὲν εἶναι πρὸς ἐκεῖνο, ἀλλ’ ἂν ἐπιτρέψω τῷ γράφειν, γνώμῃ μᾶλλον ἢ μνήμῃ χρήσομαι. Καὶ ἴσως μὲν χεῖρον, ἴσως δὲ καὶ βέλτιον. Οὐ μὴν δεῖ τίκτειν δὶς τὸν αὐτὸν τόκον, ἐξὸν ἔχειν τὸ τετεγμένον. Ἀντίγραφον οὖν τῆς τετράδος ἀπόστειλον πρὸς αὐτῆς τῆς ψυχῆς ἣν κοσμεῖν βούλεται τὸ βιβλίον· ἀλλ’ ὅπως τάχιστά τε καὶ ἀσφαλῶς, τουτέστιν εἰ διὰ τῶν πάντως ἀποδωσόντων ποιήσεις· τῷ γὰρ παρὰ θάτερον διαμαρτεῖν πάντως οὐ ποιήσεις· κἂν σχολαιότερον ἀποστείλῃς (ὑστερήσει γάρ μου τῆς παρουσίας), κἂν δῷς τῷ μὴ πάντως δώσοντι. 142

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Τὸν μὲν Ὀδυσσέα διὰ τῆς ἐπιστολῆς ἐπέγνων, πολλῶν ἐπαναγόν­ των ἐπὶ τὴν μνήμην τοῦ ἥρωος· τὸν δὲ Πρωτέα ἠγνόησα. Σὲ μὲν γὰρ ὄντα τοιόνδε καὶ ἡμιθέων ψαύειν οὐκ ἀπεικός, ἐγὼ δὲ ἄλλο μέν τι σοφός, κατὰ δὲ τὸ Δελφικὸν γράμμα ἐμαυτὸν ἐγνωκὼς καταδικάζω πενίαν τῆς φύσεως καὶ ἀπογινώσκω τὴν εἰς ἥρωας οἰκειότητα, πλὴν ὅσον μιμητὴς εἶναι τῆς ἐχεμυθίας ηὐξάμην ἣν καὶ αὐτὴν σύ

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lettere 141-142, a erculiano

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Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398 o 399

Non stupirti se sono ricorso a un solo messaggero per farti avere due lettere, ma, in primo luogo, prendi atto che sei così punito per un rimprovero ingiustificato e saziati quindi della mia loquacità; in secondo luogo, voglio che questa seconda lettera adempia un altro scopo. Ti chiedo infatti di restituirmi quel breve componimento in giambi in cui l’autore si rivolge alla propria anima.377 Perché inizialmente pensavo di ricostruirlo a memoria, ma ora c’è pericolo che il testo ricostituito non abbia niente a che fare con l’originale. Se non altro, se mi affido alla scrittura, ricorrerò più alla mia intelligenza che alla mia memoria. E forse è peggio, ma forse è meglio. Non si deve assolutamente compiere due volte lo stesso parto, quando è possibile riavere il prodotto del primo. Invia dunque una copia del quaderno, in nome di quella stessa anima che l’opera intende onorare: ma che la spedizione sia estremamente rapida e sicura, ovvero affidati a dei messaggeri che per certo effettueranno la consegna. Compiere uno dei due seguenti errori vanificherà del tutto la tua azione: se dovessi spedire la missiva con troppo ritardo (arriverebbe allora dopo che me ne sarò già andato), se dovessi affidarla a qualcuno che non per certo la consegnerà a me. 142

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398

Ho riconosciuto subito l’Odisseo della tua lettera, poiché molti tratti mi ricordavano quell’eroe: ma non ho riconosciuto Proteo.378 Sei per natura tale, infatti, da avvicinarti ai semidei, mentre io, benché saggio in qualche modo, conosco me stesso, secondo il motto delfico,379 e condanno la povertà della mia natura e rifiuto ogni affinità con degli eroi – eccetto il fatto di aver desiderato imitare il loro silenzio, che tu però hai vanificato, alla stregua di Menelao

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sinesio di cirene

μοι συνέχεας κατὰ τὸν ἐκ Σπάρτης Μενέλεων. Ὥστε κινδυνεύεις συνωρίδι προσήκειν ἡρώων, οὐκ Ὀδυσσεῖ μόνῳ. Ταῦτα μὲν ταύτῃ· τὴν δὲ ἀνεπιτηδειότητα τοῦ γράφειν μεμψάμενος, οὐκ εἶ δίκαιος ἀπαιτεῖν πλῆθος ἀνιασόντων γραμμάτων· διὸ συνέστειλα τῆς ἐπιστολῆς τὸ μῆκος ἵνα μὴ πόνος ᾖ πλείων ἀναγινώσκοντι πλέονα. «Ἐρρωμένος» εὔθυμος «διαβιῴης» φιλοσοφίᾳ χρώμενος εἰς τὸ θεῖον ποδηγετούσῃ, ἀξιάγαστε. Τὸν θαυμάσιον κόμητα πρόσειπε, πρὸς ὃν αὐτοπροσώπως ποιεῖσθαι προσρήσεις ἑαυτοῖς οὐκ ἐπετρέψαμεν. Τὸ γὰρ ἐκ τῆς ποιήσεως «ἄρχε, σὺ γὰρ γενεῇφι νεώτερος»· πολέμου μὲν καὶ στάσεως ἄρχεσθαι δικαιοῖ τὸν νέον, φιλοφροσύνης δὲ τὸν πρεσβύτερον. Καίτοι παρ’ ἐμοὶ τίμιος ὁ ἀνὴρ καὶ παντὸς ἄξιος, ὃς παιδείαν καὶ στρατείαν διατετειχισμένας θριγκοῖς μεγάλοις τῶν ἐφ’ ἡμῶν μόνος εἰς ταὐτὸν ἤγαγε, παλαιάν τινα ἐξευρὼν ἐν τοῖς ἐπιτηδεύμασι τούτοις συγγένειαν. Μεγαλόφρων δὲ ὢν ὡς οὐδείς πω στρατιώτης, ἐκ γειτόνων τῆς μεγαλοφροσύνης παροικοῦσαν τὴν ἀλαζονείαν ἐκφεύγει. Τὸν οὖν τοιοῦτον, κἂν μὴ γράφω, φιλῶ, κἂν μὴ θεραπεύω, τιμῶ. 143

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οὐκ ἐμπεδοῖς τὰ ὡμολογημένα πρὸς ἡμᾶς, ὦ φιλότης, μὴ ἔκπυστα ποιεῖν τὰ ἄξια κρύπτεσθαι. Ὡς ἐγώ τινων ἤκουσα τῶν ἀφικομένων παρὰ σοῦ οἳ καὶ λέξεων ἐνίων μεμνημένοι τὴν διάνοιαν ᾔτουν αὐτοῖς παρ’ ἡμῶν ἀνακαλύπτεσθαι. Ἀλλ’ ἡμεῖς τὸν ἡμέτερον τρόπον καὶ πρὸς αὐτοὺς οὔτε μετεποιήθημεν τῶν συγγραμμάτων οὔτ’ ἐπιγινώσκειν αὐτὰ ἔφαμεν. Δεῖ δή σοι νουθεσίας οὐκέθ’ ἡμετέρας, ὦ φίλη κεφαλή (μικρὰ γὰρ ἢ ὥστε σε πείθειν)· τὴν δὲ Λύσιδος τοῦ Πυθαγορείου πρὸς Ἵππαρχον ἐπιστολὴν ἐπιζήτησον κἄν που

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lettere 143, a erculiano

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di Sparta: così, rischi di essere simile a una coppia di eroi, non al solo Odisseo.380 Ma ciò basta per questa questione: poiché hai biasimato la tua scarsa propensione a scrivere, non è giusto che tu mi chieda una grande quantità di lettere, che poi ti tormenterebbero; proprio per questo, ho ridotto la lunghezza della mia missiva, perché non si prolungasse la tua pena con il prolungarsi della lettura. “Ti auguro di vivere sano” e sereno e pratica la filosofia, che è capace di condurti fino al divino, ammirabile amico. Saluta l’ammirabile Conte, al quale non mi sono permesso di inviare i saluti direttamente. Infatti, il verso del poema dice: “colpisci per primo: d’età sei più giovane”.381 Giustifica il fatto che spetti al giovane di dare inizio alla guerra e alla contesa, mentre al più vecchio spetta di dare avvio alla benevolenza. Quell’uomo è però per me degno della massima stima e venerazione, lui che, unico tra i nostri contemporanei, ha saputo conciliare la cultura e l’attività militare, che erano separate da grandi barriere, riscoprendo una qualche antica affinità tra queste due occupazioni.382 La sua grandezza d’animo non appartiene a nessun altro militare, eppure rifugge la superbia, che è assai prossima alla grandezza d’animo. Un uomo del genere, anche se non gli scrivo, lo amo e, sebbene non lo lusinghi, lo stimo. 143

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 399

Non ti attieni a quanto avevamo concordato, carissimo, ovvero di non rendere noto ciò che è degno di essere tenuto nascosto. Io stesso ho udito alcune persone a te vicine, giunte qui, ricordarsi ancora certe espressioni di cui mi domandavano di svelare il significato profondo. Ma, come è mia consuetudine, e pure con loro, né ho rivendicato alcuno scritto né ho detto di riconoscerne qualcuno. Non hai certo bisogno dei miei ammonimenti, caro amico (poco varrebbero infatti per convincerti): ma cerca la lettera del pitagorico Liside a Ipparco e, quando eventualmente tu l’abbia

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sinesio di cirene

περιτύχῃς, ἐμοὶ χάρισαι τὸ πολλάκις ἐπελθεῖν. Τάχ’ ἂν ἰσχυρά σοι γένοιτο μετάνοια τῆς οὐ δεούσης ἐκφάνσεως. Τὸ γὰρ «δαμοσίᾳ φιλοσοφέν» – οὕτω γάρ πως ὁ Λῦσις ὑποδωρίσας λέγει – μεγάλης εἰς ἀνθρώπους ἦρξε τῶν θείων καταφρονήσεως. Ἐπεί τοι συγγεγονὼς ἐγώ τισιν οἶδα καὶ πάλαι μὲν ἀτάρ τοι καὶ ἔναγχος ἀνθρώποις οἳ διὰ τὸ προαλῶς ἀκηκοέναι ῥηματίων σεμνοτέρων, ἠπίστησαν ἑαυτοῖς ὅπερ ἦσαν ἰδιώταις εἶναι, καὶ φύσης ἐμπλησθέντες ἐμόλυναν θεσπέσια δόγματα μεταποιήσει διδασκαλίας ὧν οὐκ εὐτύχησαν μάθησιν. Καὶ μέντοι καὶ τοὺς θαυμασομένους τρεῖς τινας ἢ τέτταρας οὐδὲν ἀποδέοντας βαναύσους εἶναι τό γε κατὰ ψυχὰς ἀνηρτήσαντο μηδὲ διὰ τῶν προπαιδευμάτων ἐνίους ἠγμένους. Δεινὸν γὰρ ἡ δοξοσοφία καὶ ἀπατηλόν, ἐν οὐκ εἰδόσιν οὐδὲν ἀναδυομένη καὶ πάντα ἀπερισκέπτως τολμῶσα. Τί γὰρ ἂν ἀμαθίας γένοιτο θαρραλεώτερον; Τοιούτοις ἀνθρώποις ἀλαζόσι περιτυχών, κηφῆσιν οὔτε ἐπαΐουσι λόγων οὔτε ἐφιεμένοις, μισήσας τὸ φῦλον, οὐχ ἑτέραν αἰτίαν εὑρίσκω τῆς τροφῆς αὐτῶν ἢ τὸ ἀναγώγως καὶ πρὸ ὥρας ἠξιῶσθαι τὴν ἀρχὴν ἴσως ὑφ’ ἑτέρων ὁμοίων ὡς οἷόν τε πολυτελῶν ἀκροάσεων. Ταῦτά τοι καὶ προμηθέστερος φύλαξ αὐτός τέ εἰμι καί σε παρακαλῶ τῶν φιλοσοφίας ὀργίων εἶναι. Ὅτι μὲν γὰρ Ἑρκουλιανῷ πρέποντα ταῦτα, ἐγὼ γινώσκω· δεῖ δέ σε, εἴπερ αὐτῇ φιλοσοφίᾳ γνησίως προσελήλυθας, ἀφίστασθαι κοινωνίας τῆς πρὸς τοὺς ἀποτρόφους αὐτῆς καὶ νοθεύοντας τῇ μεταποιήσει τὸ ὑπέρσεμνον αὐτῆς. Τὸν ἔφορόν σοι φιλίας θεόν, μὴ ἐξενέγκῃς πρός τινας τὴν ἐπιστολήν. Εἰ γὰρ ποιήσαις, οἱ τῆς κακίας χαρακτῆρες ἕξουσι λυπουμένους τοὺς ἐπιγινώσκοντας παρ’ ἑαυτοῖς ἢ τοῖς αὐτῶν φίλοις τὰ εἰρημένα σύμβολα. Τὸ δὲ λυπεῖν ἔστι μὲν ὅτε ἄρρεν καὶ πρὸς τρόπου φιλοσοφίας ὅταν πρὸς παρόντας· τὸ δὲ καὶ γράφειν περὶ τούτων μικροπρεπὲς δοκεῖ. Ἀλλ’ ἅπερ ἂν Συνέσιος πρὸς αὑτὸν διαλεχθείη, ταῦτα καὶ πρὸς τὴν τιμίαν σου ψυχὴν διαλέγεται, τοῦ μόνου φίλου ἢ μετὰ δυοῖν μάλιστα φίλου. Ὡς ἐμοί γε ἐκτὸς τῆς

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trovata, fammi il favore di ripassarla più volte. Forse allora ti pentirai assai della tua indebita rivelazione. Infatti “divulgare la filosofia alla massa” – così grosso modo si esprime Liside, in dorico – suscita nelle persone solo un gran disprezzo per le questioni divine.383 Io stesso conosco delle persone, con cui sono stato in contatto in passato e d’altronde anche di recente, che, poiché avevano sentito inconsideratamente qualche sacra parola, non credevano più di essere ciò che invece erano, dei profani, che, pieni d’orgoglio, macchiavano dei dogmi divini con la pretesa di insegnare quel che non erano stati capaci di apprendere. E tuttavia, pur di farsi ammirare, si erano attaccati a sé tre o quattro personaggi volgari e perfettamente nulli sul piano spirituale, di cui alcuni non avevano neanche condotto gli studi preparatori. La presunzione di sapienza è un male e un inganno, poiché in mezzo agli ignoranti non si ritrae davanti a nulla e osa sconsideratamente qualunque azione. Che cosa potrebbe essere più arrogante dell’ignoranza? Tali impostori ho incontrato, dei “fuchi”,384 che non comprendono alcun ragionamento né desiderano comprenderlo. Ho in odio questa razza e non trovo un’altra spiegazione al loro comportamento se non che in maniera sconsiderata e prematura essi sono stati inizialmente reputati degni da persone certamente a loro simili di ascoltare dottrine estremamente preziose. Per questo io sono un guardiano alquanto attento dei misteri della filosofia, e ti prego di esserlo anche tu. Poiché questi si addicono a Erculiano, io lo so: ma è un tuo dovere, se hai ricercato veramente la filosofia, di abbandonare la comunità di coloro che non ne sono stati nutriti e che con la loro pretesa ne corrompono l’illustre maestà. In nome del dio che, in tuo favore, presiede all’amicizia, non mostrare a certe persone la mia lettera. Se lo farai, i segni distintivi del male irriteranno quelli che riconosceranno in loro stessi i tratti indicati, o i loro amici. Contrariare qualcuno è talvolta un atto virile che può addirsi alla filosofia, purché avvenga alla presenza degli interessati; farlo per iscritto risulta meschino. Ma ciò che Sinesio potrebbe dire a se stesso lo dice anche alla tua preziosa persona, tu che sei il mio unico amico, o al massimo lo sei assieme ad altre due persone.385 Per me, al di fuori della triade che voi for-

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sinesio di cirene

τριττύος ὑμῶν οὐδέν ἐστιν ἀνθρώπινον τίμιον· προσκείμενος δὲ καὶ αὐτὸς τάχα συμπληρῶ τετρακτὺν ἱερᾶς φιλίας. Ἀλλ’ εὐφημείσθω τῆς ἐν ἀρχαῖς ὁμωνύμου τετρακτύος ἡ φύσις. Ἐν τῷ τετραδίῳ τῶν ἰαμβείων εὗρον ἐπὶ τέλους τοὺς δώδεκα στίχους γραφέντας ἅμα ὡς ἓν ὂν ἐπίγραμμα. Ἐπεὶ οὖν σε εἰκὸς ἔχειν αὐτούς, ἴσθι ὡς οὔτε ἕν εἰσιν οὔτε ἑνός, ἀλλ’ οἱ μὲν ὀκτὼ πρῶτοι μετ’ ἐπιστήμης γραφέντες ποιητικῆς, μιγείσης ἕξεως ἀστρονομικῆς, εἰσὶ τοῦ σοῦ φίλου, οἱ δὲ τελευταῖοι τέσσαρες ποιητικῆς εἰσι τρυφώσης μόνον. Καὶ ἔστιν ἀρχαῖον· ἡγοῦμαι δὲ ἀσεβέστερον ἀποθανόντων λόγους κλέπτειν ἢ θοἰμάτια, ὃ καλεῖται τυμβωρυχεῖν. «Ἐρρωμένος διαβιῴης» εὐαγῶς καὶ εὐλαβῶς φιλοσοφίας ἀντιποιούμενος. Εἴκοσι τοῦ Μεσωρὶ ἡμέρας συντίθεμαί σοι περιμένειν σε, μεθ’ ἃς σὺν θεῷ τῆς ὁδοῦ ἕξομαι. Τὸν ἀγαθώτατον ἑταῖρον πλεῖστά μοι πρόσειπε· φιλῶ γὰρ αὐτὸν διότι σε πάνυ φιλεῖ. 144

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Φοιβάμων ὁ τὴν ἐπιστολὴν ἐπιδιδοὺς καὶ ἀνήρ ἐστιν ἀγαθὸς καὶ φίλος καὶ ἀδικεῖται. Διὰ πάντα οὖν αὐτῷ συλλαβέσθαι δίκαιος εἶ, καὶ δι’ ἡμᾶς καὶ διὰ τὸν τρόπον καὶ διὰ τὴν περίστασιν. Τοῦτο μὲν οὕτω γενέσθω· καὶ γὰρ ἔοικε σφόδρα πιστεῦσαι τῇ πρὸς ἀλλήλους ἡμῶν εὐνοίᾳ. Σοῦ γὰρ δεόμενος ἐπ’ ἐμὲ κατέφυγε, τεθαρρηκὼς ὅτι δι’ ἐμοῦ σοῦ τεύξεται. Καὶ ὑπεσχόμην αὐτῷ τὸν μὲν Ἑρκουλιανὸν διὰ Συνεσίου, τὸ δὲ νικᾶν τοὺς λυποῦντας δι’ Ἑρκουλιανοῦ τῆς ἱερᾶς καὶ τιμίας κεφαλῆς. Περὶ τοῦ κόμητος ἐγεγράφεις διὰ Οὐρσικίνου (λέγω δὲ τοῦ τυχόντος ἀρχῆς τῶν ἐν τῇ πατρίδι στρατιωτῶν) καὶ ᾔτεις συνθήματα παρ’ ἡμῶν, τοῦ γενέσθαι παρὰ τῶν δυναμένων τοῦτο ποιεῖν σῶν φίλων γράμματα πρός τε αὐτὸν καὶ πρὸς τὸν ὀρδινάριον ἄρ-

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lettere 144, a erculiano

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mate, non vi è niente di prezioso tra le cose umane; aggiungendo me stesso, completerei, forse, una tetrade di sacra amicizia. Ma si mantenga il silenzio sulla natura dell’omonima tetrade, relativa ai princìpi primi.386 Alla fine del quaderno dei giambi387 ho trovato i dodici versi scritti tutti di seguito, come se componessero un solo epigramma. Poiché, con ogni probabilità, ne hai una copia anche tu, sappi che né formano un unico testo né sono stati composti da un unico autore, ma i primi otto, la cui scrittura rivela al contempo la conoscenza della poesia e la familiarità con l’astronomia, sono del tuo amico, mentre gli ultimi quattro rivelano soltanto una poesia ricercata.388 È un autore antico:389 e ritengo che sia più sacrilego rubare ai morti le parole che i vestiti, come si dice, “violando i sepolcri”. “Ti auguro di vivere sano”, perseguendo, con purezza e con cautela, la filosofia. Prometto di aspettarti fino al venti Mesorì,390 dopodiché, con l’aiuto di Dio, mi metterò in viaggio. Salutami tantissimo il mio eccellente amico: gli sono affezionato perché lui è molto affezionato a te.391 144

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 399

Febamone, che ti consegna questa lettera, è un uomo per bene e un amico, ed è vittima di un’ingiustizia. Hai dunque tutte le ragioni per venire in suo aiuto: me, il suo carattere, la sua situazione. Che vada così: egli sembra confidare molto nel nostro reciproco affetto. È perché aveva bisogno di te che si è rivolto a me, sicuro che per mio tramite avrebbe ottenuto il tuo aiuto. Gli ho promesso Erculiano tramite Sinesio, e di vincere coloro che lo danneggiano tramite la sacra e preziosa persona di Erculiano. Mi avevi scritto in una lettera consegnatami da Ursicino riguardo al Conte (intendo quello che ha avuto il comando delle truppe nella nostra patria392), domandando il mio accordo perché quelli tra i tuoi amici che ne hanno il potere spedissero una lettera e a quello e al governatore ordinario.393 Approvavo il pro-

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sinesio di cirene

χοντα. Τὴν μὲν οὖν προαίρεσιν ἀπεδεχόμην καὶ τότε· τὸ δὲ ἔργον ὡς παρέλκον ἠρνούμην, γυμνὸν ἐμαυτὸν εἰς φιλοσοφίαν ἱστάς. Νῦν δὲ ἀδικούμενοι φίλοι, καὶ ἰδιῶται καὶ στρατιῶται, βιάζον­ ταί με βούλεσθαι μεταποιεῖσθαι τῆς πολιτικῆς δυνάμεως πρὸς ἣν ἀποπεφυκὼς οἶδα, καὶ αὐτοί μοι τοῦτο συνίσασιν· ἀλλὰ βιάζονται σφῶν ἕνεκα ποιεῖν τι καὶ ἀκούσιον. Νῦν οὖν εἰ δοκοίη σοι τοῦτο ποιεῖν, ἐπιτρέπω. Πρόσειπέ μοι τὸν ἱερὸν ἑταῖρον τὸν διάκονον καὶ γυμναζέσθω πρὸς ἀνταγωνιστὴν ἱππέα. Προσαγορεύει σε πᾶς μου ὁ οἶκος, προσγενομένου αὐτῷ νῦν καὶ Ἰσίωνος, ὃν ἐπόθεις ἀπὸ διηγημάτων. Ὃς αἴτιός μοι γέγονε τῆς ἀγεννοῦς καὶ ἀφιλοσόφου τῶν γραμμάτων αἰτήσεως πρὸς τοὺς ἄρχοντας, καταδεηθεὶς τὰ μὲν αὐτοπρόσωπος ὑπὲρ πολλῶν, τὰ δὲ δι’ ὧν ἐκόμισεν ἐπιστολῶν. Καὶ οὗτος οὖν σε μέχρι τῆς διηγορευμένης εἰκάδος περιμένει. 145

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οἰκέτης ἐμὸς ἐδραπέτευσεν, οὐ τῶν πατρῴων τῶν ἐμῶν οὐδὲ τῶν ἄλλως συντραφέντων ἐμοί (ἀγωγῆς γὰρ ἐλευθερίου μετασχόντες καὶ μικροῦ δέω λέγειν ἐν ὁμοτίμοις ἀγόμενοι φιλοῦσιν ὡς αἱρετὸν ἄρχοντα μᾶλλον ἢ δεδίασιν ὡς νόμῳ δεσπότην), ἀλλ’ ὁ Φιλόρωμος (τοῦτο γὰρ ὄνομα τῷ δραπέτῃ) τῆς ἀδελφιδῆς μου τῆς Ἀμελίου θυγατρὸς οἰκέτης ὤν, ἐμὸς γίνεται δι’ ἐκείνης. Τραφεὶς δὲ ἐκμελὴς καὶ ἀνάγωγος, φιλόσοφον καὶ Λακωνικὴν ἐπιστασίαν οὐκ ἤνεγκε καὶ νῦν, ἀντ’ ἐμοῦ δεσπότην εὑράμενος Ἀλεξανδρέα, περινοστεῖ μετ’ ἐκείνου τὴν Αἴγυπτον. Ἁρποκρατίων τίς ἐστι τῶν Ἡρακλειανοῦ δορυφόρων, τάξιν ἔχων τῷ «βοηθῷ βοηθεῖν» (ἡ γὰρ «σουβαδίουβα» λέξις τοῦτο ἑρμηνεύειν πιστεύεται)· τούτῳ σύνεστιν ὁ Φιλόρωμος. Κἀγώ, τό γε ἐμόν, εἴασα ἂν χαίρειν αὐτόν· ποῦ γὰρ εὔλογον τὸν μὲν χείρω τῶν βελτιόνων μὴ

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lettere 145, a erculiano

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getto anche allora: ne respingevo solo la realizzazione in quanto superflua, poiché intendevo spogliarmi di tutto e dedicarmi esclusivamente alla filosofia. Ma adesso alcuni miei amici, privati cittadini e militari, avendo subito dei torti, insistono affinché io voglia prendermi parte del potere politico, al quale non sono portato per natura, lo so, e anche loro lo sanno quanto me; ma insistono affinché io agisca in loro favore, anche mio malgrado. Adesso dunque, se ritieni opportuno realizzare questo progetto, accetto.394 Salutami il mio sacro amico diacono: che si alleni contro il suo antagonista cavaliere.395 Ti saluta tutta la mia famiglia, con l’aggiunta di Isione, del quale avevi nostalgia, a quanto si racconta. È lui il responsabile della mia richiesta, ben poco nobile e ben poco degna della filosofia, di lettere destinate ai governatori,396 pressandomi con richieste trasmessemi da un lato da lui personalmente a favore di molti, dall’altro tramite delle lettere che mi ha portato. Anche lui, dunque, ti aspetta fino alla data che ti ho detto, il venti.397 145

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 398 o 399

Un mio schiavo è fuggito; non faceva parte di quelli che ho ereditato da mio padre né di quelli con cui, per delle ragioni differenti, ho condiviso l’infanzia (questi hanno ricevuto un trattamento da liberi e li considero quasi come miei pari; mi amano come un governante da loro scelto piuttosto che temermi in quanto padrone imposto dalla legge), no, Filoromo (questo il nome del fuggitivo) è un servo della casa di mia nipote, la figlia di Amelio, e mi appartiene solo attraverso di lei.398 Allevato senza alcuna cura ed educazione, non ha sopportato un’autorità filosofica e spartana e adesso, dopo aver trovato al mio posto un padrone ad Alessandria, si aggira con quello per l’Egitto. Tra le guardie del corpo di Eracliano399 c’è un tale Arpocrazione, che ha il compito di “assistere l’assistente” (credo che così vada tradotto il termine subadiuva400): in compagnia di quello si trova Filoromo. Fosse dipeso da me, gli avrei permesso di andarsene; come può essere infatti sensato che

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sinesio di cirene

δεῖσθαι, τοὺς δὲ βελτίονας ὁμολογοῦντας εἶναι δεῖσθαι τοῦ χείρονος; Ἀλλ’ ἡ δέσποινα τοῦ κακοδαίμονος οὔπω πείθεται πάνυ φιλοσοφεῖν ὥστε καταφρονεῖν τῶν οὐκ ἀντεχομένων καὶ κατεδεήθη πολλὰ σταλῆναι τοὺς ἐπανάξοντας αὐτόν. Ὑπέστη δὲ τὴν ὑπηρεσίαν ταύτην αὐθαίρετος ὁ σύσκηνος ἡμῶν Ἀειθαλής, ὃν ἐγὼ θεῷ τε ἡγεμόνι θαρρῶν ἔστειλα καὶ ἀνθρωπίνην ἐπικουρίαν ὑποσχόμενος τὴν παρὰ σοῦ. Εἴη σοι τὴν ἐπιστολὴν ἐπιδοθῆναι· τὰ δὲ ἐντεῦθεν, ἐπειδὴ παρείληφας τὴν ὑπόθεσιν, θεῷ καὶ αὐτῷ σοι καὶ Ἀειθαλεῖ μελήσει. 146

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἐπιθυμήσας ἀρρενῶσαι τὴν ἱεράν σου ψυχὴν τῷ δι’ ἐπιστολῶν ἐπιπλῆξαι τῷ σφοδρῷ τῆς εἰς τὴν συντυχίαν ἡμῶν ἐνστάσεως, πολλῷ πρότερον ὑπὸ τοῦ κατακλυσμοῦ τῶν ἐν ταῖς ἐπιστολαῖς ἰύγγων αὐτὸς ἐθηλύνθην, καί εἰμι νῦν τοιοῦτος ὁποίῳ σοι τυγχάνοντι πρότερον ἐνεκάλουν. Ἆρ’ οὖν ἀγαθῶν μοι μεγάλων αἴτιος ὁ θαυμάσιος Ἑρκουλιανός, οὕτω τὴν ἐμὴν ψυχὴν ἀναρτήσας ἑαυτοῦ καὶ καταβιβάσας τοῦ φιλοσοφίας ἀξιώματος; Ἐγὼ μὲν οὐ δι’ ἄλλο τι τὰς Σειρῆνας ὑπὸ τῶν ποιητῶν ἡγοῦμαι βλασφημεῖσθαι ἢ ὅτι τῷ μελιχρῷ τῆς φωνῆς ἀπώλλυον προσαγόμεναι τὸν πιστεύσαντα. Ἤκουσα δέ του τῶν σοφῶν καὶ ἀλληγοροῦντος τὸν μῦθον· Σειρῆνας γὰρ αὐτοῖς αἰνίττεσθαι τὰς ἀπολαυστικὰς ἡδονάς, αἳ τοὺς εἴξαντας καὶ καταγοητευθέντας αὐτῶν τῷ προσηνεῖ μετὰ μικρὸν ἀπολλύουσι. Τί οὖν ἀποδέουσιν εἶναι Σειρῆνες αἱ τῶν σῶν ἐπιστολῶν ἡδοναί, ὑφ’ ὧν ἐγὼ τὸ ἐμβριθὲς ἀφεὶς ὅλος Ἑρκουλιανοῦ γέγονα; Μάρτυς θεός, οὐ νόμῳ τοῦ γράφειν ἀντ’ ἄλλου τοὺς περὶ τούτου πεποίημαι λόγους ἵν’ ὑπόθεσιν ἔχω γραμμάτων· ἀλλὰ τῶν παρ’ Οὐρσικίνου δοθεισῶν ἐπιστολῶν (ἦσαν δὲ τρεῖς) ἡ μέση κατὰ τὸ μέγεθος ἔμβιόν τι ψυχῆς πάθος ἐνέστα-

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lettere 146, a erculiano

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il peggiore non necessiti dei migliori e che al contrario quelli che sono riconosciuti essere i migliori necessitino del peggiore? Ma la padrona di questo sciagurato non si convince ancora a essere pienamente filosofa, così da disprezzare quelli che non si attaccano a lei, e mi ha pressato con numerose richieste affinché inviassi qualcuno a riprenderlo. Si è assunto spontaneamente il compito Aeitale, che vive assieme a noi e che io ho dunque inviato, confidando in Dio perché lo guidasse e promettendogli come aiuto umano quello che riceverà da te. Possa questa lettera esserti consegnata; al resto, quando avrai appreso la questione, provvederà Dio, assieme a te e ad Aeitale. 146

Allo stesso Da Cirene ad Alessandria, 399

Il desiderio di temprare la tua sacra anima mi ha spinto a rimproverare per via epistolare la tua viva risolutezza a rincontrarci, ma ormai da molto tempo la piena di incantesimi che inonda le tue lettere ha reso effeminato pure me, e adesso sono come rimproveravo te di essere in passato. Mi ha forse reso dei grandi favori l’ammirabile Erculiano, avendo a tal punto attaccato la mia anima a sé e facendola discendere dalla dignità della filosofia? Credo infatti che le Sirene non siano state biasimate dai poeti che per aver condotto alla rovina, con la dolcezza della loro voce, chi si era fidato di loro. Ho sentito un sapiente dare una spiegazione allegorica del mito: le Sirene significherebbero secondo queste persone i piaceri della voluttà, che uccidono a poco a poco coloro che cedono e si fanno ammaliare dalla loro seduzione. In che cosa differiscono dunque le Sirene dai piaceri delle tue lettere, a causa dei quali io ho perduto la mia fermezza e mi ritrovo totalmente in potere di Erculiano? Me ne è testimone Dio, non mi sto dilungando su questo tema anziché su un altro per avere qualcosa di cui scrivere, secondo una norma del genere epistolare; tra le lettere che mi ha consegnato Ursicino (erano tre) quella intermedia per lunghezza conteneva una vivida passione, che ha instillato nella mia anima;

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sinesio di cirene

ξέ μοι κομίσασα, καὶ γέγονα τῆς ἐν τοῖς γράμμασι κολακείας ἥττων τοσοῦτον ὅσον αἰσχύνεσθαι. Τὸν ἀδελφὸν Κῦρον ἔδει κομίσασθαι παρὰ σοῦ γράμματα περὶ ὧν ἐδήλωσας διὰ τὸν ἐκ Πενταπόλεως κόμητα. Χάριν μὲν ἔσχον τῇ προαιρέσει τοῦ συστήσαντος, ἐπελάθου δὲ ὅτι φιλοσοφεῖν πειρῶμαι· καὶ μικρὸν ἡγοῦμαι τιμὴν ἅπασαν, εἰ μὴ ἐπὶ φιλοσοφίᾳ γένοιτο. Δέομαι οὖν διὰ τὸν θεὸν οὐδέν· οὔτε γὰρ ἀδικοῦμεν οὔτε ἀδικούμεθα. Τὸ δὴ τοιοῦτον ἐκεῖνον μὲν ὑπὲρ ἡμῶν ἔπρεπε ποιεῖν, ἡμῖν δὲ αἰτεῖν οὐ πρέπον. Εἰ γὰρ ἔδει ζητεῖν ἐπιστολάς, αἰτεῖν ἔδει πρὸς ἐμὲ γενέσθαι (οὕτω γὰρ ἂν ἐπιτιμήθην), οὐχ ὑπὲρ ἡμῶν πρὸς ἕτερον. «Ἐρρωμένος» εὐθυμῶν «διαβιῴης», φιλοσοφίαν ἀδολώτατα μετιών. Πᾶσα ὁμοῦ σε ἡ οἰκία, μάρτυς θεός, καὶ παῖδες καὶ γέροντες καὶ γυναῖκες προσαγορεύουσιν. Ἴσως δ’ ἂν αὐτὸς καὶ φιλοφρονουμένας τὰς γυναῖκας μισοίης. Ἰδοὺ τί πεποίηκας· ἐν ὁδῷ με ὄντα ἀπρὶξ λαβόμενος κατέχεις. Ἦσαν ἄρα Αἰγύπτιοι φαρμακεῖς, καὶ οὐ πάντα Ὅμηρος ψεύδεται ὅτε καὶ αὐτὸς ἰύγγων πλήρεις ἐπιστολὰς ἐκπέμπεις ἀπ’ Αἰγύπτου. Ἑλένῃ μὲν οὖν τὸ λαθικηδὲς φάρμακον «Πολύδαμνα πόρεν Θῶνος παράκοιτις»· σοὶ δὲ τίς τὸ ἀνιαρὸν δέδωκεν ᾧ χρίσας ἔπεμψας τὴν ἐπιστολήν; 147

ΙΩΑΝΝΗΙ  

Οἶμαί σε καὶ πρὸ εὐχῆς εὖ πράττειν ὅς γε ἀφεὶς τοὺς ἀνθρώπους ἡμᾶς «Ἄτης ἐν λειμῶνι κατὰ σκότον ἠλάσκοντας»

καὶ ταῖς χθονίαις ἐγκαλινδουμένους φροντίσιν, αὐτὸς ὑπὲρ ταύτας στήσας σαυτὸν ἀνεχώρησας ἔτι δεῦρο ὢν καὶ μακαρίας ἥψω ζωῆς εἰ μὴ φίλος ὢν Γάνος ἐν τῷ λέγειν καὶ διαγγέλλειν τὰ σὰ πρὸς

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lettere 147, a giovanni

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non ho saputo resistere all’adulazione che si trovava in quella lettera, tanto da provare vergogna. Tuo fratello Ciro avrebbe dovuto consegnarmi una tua missiva, in merito alle spiegazioni che mi avevi già dato del fatto che il Conte se ne era andato dalla Pentapoli. Ti sono grato per la tua intenzione di raccomandarmi a lui, ma hai dimenticato che io cerco di essere un filosofo: ho una scarsa considerazione di qualunque onore, a meno che non sia conforme alla filosofia. Grazie a Dio, non domando dunque nulla: né infatti compio delle ingiustizie, né ne subisco. Perciò, se anche fosse opportuno che il Conte mi facesse un tale favore, non è opportuno per me chiederlo. Se anche dovessi cercare di ottenere delle lettere infatti, dovrei domandare di indirizzarle a me (così mi si renderebbe onore) e non a un altro in mio favore.401 “Ti auguro di vivere sano” e in serenità, ricercando sinceramente la filosofia. Tutta quanta la mia famiglia, ne è testimone Dio, ti saluta, giovani, vecchi e donne. Tu forse hai in odio le donne, sebbene loro abbiano simpatia per te. Guarda che cosa hai fatto: ero già sulla strada quando, afferrandomi saldamente, mi hai trattenuto. Gli Egizi erano veramente dei maghi e Omero non mente affatto, giacché anche tu mi invii dall’Egitto delle lettere piene di incantesimi. A Elena il filtro dell’oblio “glielo aveva donato Polidamna, moglie di Tone”;402 a te chi ha dato il malefico filtro che hai cosparso sulla lettera che mi hai inviato? 147

A Giovanni Da Tolemaide a un monastero nei pressi di Tolemaide, 411

Penso che tu stia bene, perfino più di quanto ti augurassi, se hai lasciato noi uomini “nel prato di Ate403 a errare nel buio”404

e a crogiolarci nei pensieri terreni, mentre tu te ne sei posto al di sopra, pur restando ancora qui in basso, e ti sei ritirato per toccare la vita beata. Salvo che Gano, in quanto tuo amico, non reputi bene

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sinesio di cirene

ἡμᾶς οἴεται δεῖν τι καὶ ψεύδεσθαι· δεινὸν γὰρ ἡ εὔνοια κλέψαι τὴν ἀλήθειαν. Οὗτος οὖν ὁ Γάνος ἐπεφήμισέ σοι τὸν μονήρη βίον, καὶ πρόφασιν τῆς εἰς τὴν πόλιν εἰσόδου βιβλία καὶ τὸν νοῦν αὐτῶν ὅσος εἰς θεολογίαν τείνει, καὶ φαιὸν τριβώνιον ἀμπέχεσθαί σέ φησιν. Οὐδὲν μὲν ἦν μεῖον εἰ καὶ λευκὸν ἦν· τῇ γὰρ φανοτάτῃ φύσει μᾶλλον ἀνακείμενον εἴη τὸ ἐν τοῖς αἰσθητοῖς καθαρὸν καὶ φωτοειδέστερον· εἰ δὲ καὶ τὸ μέλαν ἐπῄνεσας, ἐπειδὴ ζήλῳ τινῶν προλαβόντων ἐποίησας, ἐπαινῶ πᾶν τὸ ἐπὶ τῷ θείῳ γινόμενον. Τὸ γὰρ οὗ χάριν γίνεται δίδωσι κατορθοῦν τῷ ποιοῦντι καὶ ἡ προαίρεσις ἔχει τὴν ἀρετήν. Ἡμεῖς μὲν οὖν σοι συνηδόμεθα σχεδιάσαντι τὸ τέλος ὅπερ ἡμεῖς πάλαι σὺν πόνῳ μόλις θυροκοποῦμεν· σὺ δὲ ἡμῖν σύνευξαι φθάσαι ποτὲ καὶ αὐτοῖς καὶ εὑρέσθαι τι κέρδος ἀπὸ τῆς ἐν φιλοσοφίᾳ μερίμνης ἵνα μὴ τὴν ἄλλως ὦμεν κατατετριφότες πρὸς τοῖς βιβλίοις τὸν βίον. «Ἐρρωμένος εὐδαιμονῶν διαβιῴης», θαυμάσιε. 148

ΟΛΥΜΠΙΩ  

Ἀπέλιπον τὴν τάξιν τῶν φόρων. Τί γὰρ ἦν ποιεῖν, οὐδενὸς Ἑλλήνων τῶν τὴν Λιβύην ἐπῳκηκότων θέλοντος εἰς τὴν παρ’ ὑμᾶς θάλατταν ἐκπέμπειν ὁλκάδας; Καὶ σὲ δὲ ἀφίημι τῆς συντάξεως· οὐδὲ γὰρ Σύροις ἐπιμελὲς καταίρειν εἰς τὰ Κυρηναίων ἐπίνεια. Λάθοι δ’ ἄν με τοῦτό ποτε καὶ γενόμενον· οὐ γάρ εἰμι γείτων θαλάττης οὐδὲ ἐλλιμενίζω συχνά, ἀλλ’ ἀνῴκισμαι πρὸς νότον ἄνεμον Κυρηναίων ἔσχατος, καὶ γείτονες ἡμῖν εἰσιν οἵους Ὀδυσσεὺς μετὰ τὴν Ἰθάκην τὸ πηδάλιον ἔχων ἐζήτει, μῆνιν Ποσειδῶνος ἐκ τοῦ χρησμοῦ παραιτούμενος, «οἳ οὐκ ἴσασι θάλασσαν ἀνέρες, οὐδέ θ’ ἅλεσσι μεμιγμένον εἶδαρ ἔδουσιν.»

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lettere 148, a olimpio

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di mentire un poco in ciò che mi dice e mi riferisce su di te; l’affetto infatti è straordinariamente incline a nascondere la verità. Questo Gano asserisce che hai scelto la vita monastica e dà come pretesto del fatto che sei venuto in città la lettura e lo studio di ciò che nei libri tende alla conoscenza di Dio,405 affermando pure che hai indossato l’abito nero. Non sarebbe valso meno se fosse stato bianco: alla natura più luminosa, infatti, si addice maggiormente consacrare ciò che nel mondo sensibile è puro e più lucente; ma se tu hai approvato il nero, poiché hai voluto imitare certi che ti hanno preceduto, io non posso che approvare a mia volta tutto ciò che tende al divino.406 È il motivo che permette a chi intraprende un’azione di condurla a termine con successo ed è il progetto che contiene in sé la virtù. Sono dunque felice con te che tu sia giunto così improvvisamente alla perfezione, la stessa che io ricerco da molto tempo, a stento e con fatica; unisciti alle mie preghiere, affinché possa un giorno raggiungerla pure io, traendo qualche profitto dalla cura che dedico alla filosofia, e non abbia consumato invano la vita sui libri. “Ti auguro di vivere sano e felice”, ammirabile amico. 148407

A Olimpio Dalla campagna a sud di Cirene alla Siria, 402

Ho trascurato il pagamento delle imposte. Ma che cosa dovevo fare, visto che nessuno dei Greci che vivono in Libia ha voluto inviarvi per mare navi da carico? Libero anche te dal tuo contributo: neppure i Siriani infatti si curano di approdare negli scali marittimi di Cirene. D’altronde, potrebbe anche accadere, ma a mia insaputa: non abito vicino al mare e non vado spesso al porto, ma sono venuto ad abitare a sud, più a sud di tutti i Cirenaici,408 e i miei vicini sono simili a quegli uomini che Odisseo, dopo aver diretto il proprio timone lontano da Itaca,409 cercava per obbedire all’oracolo e tentare di evitare l’ira di Poseidone, “uomini che non conoscono il mare né mangiano cibo mischiato con sale”.410

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sinesio di cirene

Ἀλλὰ μὴ λόγον ἄλλως οἰηθῇς τὸ μηδὲ μέχρις ἁλῶν τοὺς δεῦρο κεχρῆσθαι θαλάττῃ μηδὲ μὴν ἄναλα διὰ τοῦτο κατεσθίειν ἡγοῦ τὰ κρέα τε καὶ τὰ πέμματα. Εἰσὶ «νὴ τὴν» ἱερὰν «Ἑστίαν», εἰσὶν ἠπειρῶται παρ’ ἡμῖν ἅλες, ἀπέχοντες πρὸς νότον ἔλαττον ἢ πρὸς ἀπαρκτίαν ἡ θάλαττα. Τούτους Ἄμμωνος καλοῦμεν τοὺς ἅλας. Πέτρα δὲ αὐτοὺς ψαφαρὰ καὶ τρέφει καὶ κρύπτει, ἣν ὅταν ἀφέλῃς ἐπιβεβλημένην ὥσπερ ἐφελκίδα, ῥᾳστώνη πολλὴ καὶ χερσὶ καὶ σκαλίσιν ἀροῦν τὸ βάθος. Τὸ δὲ ἀναχωννύμενον ἅλες εἰσὶν ἰδεῖν τε ἡδεῖς καὶ γεύσασθαι [τὴν ἄλλην ἡδονήν]. Ἀλλ’ ὅπως μὴ σοφιστικὴν ἀπειροκαλίαν οἰηθῇς τὸ ἐπεξελθεῖν τῶν ἐπιχωρίων ἁλῶν τῷ διηγήματι· ἥκιστα γὰρ τοῖς ἀγροδιαίτοις ἡμῖν προσιζάνει τὸ φιλότιμον πάθος. Ἀλλὰ σὺ γὰρ ἀπαιτεῖς ἕκαστα παρ’ ἡμῶν τὰ περὶ ἡμῶν εἰδέναι. Ἀνέχου τοίνυν ἀδολεσχούσης ἐπιστολῆς ἵνα καὶ τῆς ἀκαίρου πολυπραγμοσύνης δῷς δίκην. Ἅμα δὲ καὶ χαλεπὸν εἰς πίστιν τὸ ἑκάστοις ἀπότροφον. Οὐ φαῦλον οὖν ἔργον Σύρον ἀναπεῖσαι περὶ χερσαίων ἁλῶν ἐπεὶ καὶ δεῦρο πράγματα ἔχω περὶ νεῶν καὶ ἱστίων καὶ θαλάττης ἀνακρινόμενος. Οἶσθα γὰρ ὡς ἐγὼ καὶ φιλοσοφῶν ποτε ἅμα ὑμῖν ἐθεασάμην τὸ χρῆμα τοῦτο τὴν θάλασσαν καὶ πρὸς Φάρῳ καὶ πρὸς Κανώβῳ τὴν μεγάλην λίμνην τὴν λαμυράν. Καὶ εἵλκετο ναῦς καὶ ἀνήγετο πρὸς οὖρον αὕτη, κώπαις ἐκείνη. Ἐγελᾶτε οὖν, εἰκάσαντος αὐτὴν ἐμοῦ ζῴῳ πολύποδι. Οἱ δὲ διάκεινται τὰς γνώμας ὥσπερ ἡμεῖς, ὅταν ὑπὲρ τῶν ἐπέκεινα Θούλης ἀκούωμεν, ἥτις ποτέ ἐστιν ἡ Θούλη, διδοῦσα τοῖς διαβάσιν αὐτὴν ἀνεύθυνα καὶ ἀνέλεγκτα ψεύδεσθαι. Ἀλλ’ οὗτοί γε, κἂν προσίωνταί ποτε τὰ περὶ τῶν νεῶν ἢ δόξωσιν ἐκεῖνο γελᾶν, ἀνὰ κράτος ἀπιστοῦσιν ὅτι δύναται τρέφειν ἀνθρώπους καὶ θάλαττα· τοῦτο γὰρ μόνην ἔχειν ἀξιοῦσι τὴν μητέρα γῆν τὸ πρεσβεῖον. Ἐγὼ δέ ποτε αὐτοῖς ἀνανεύουσι πρὸς τὰ περὶ τῶν ἰχθύων, ἀναλαβών τινα κέραμον καὶ προσαράξας πέτρᾳ, ἔδειξα τῶν

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lettere 148, a olimpio

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Non credere che dica delle frasi vane quando affermo che la gente di qui non conosce il mare neppure per il suo sale, ma non credere neppure che per questo mangino carni e focacce senza sale. Ci sono, “per la sacra Estia”,411 ci sono nella nostra zona dei sali continentali, a una distanza verso sud minore di quanto non lo sia il mare verso nord. Li chiamiamo i sali di Ammone. Li produce una roccia friabile, che li nasconde come sotto una crosta sovrapposta, tolta la quale con molta facilità si può raschiare la parte più profonda, con le mani o con delle palette. Quanto viene ammonticchiato sono i sali, gradevoli alla vista e al gusto. Ora però non pensare che da questa spiegazione sui sali della nostra regione emerga una sofistica mancanza di gusto: la vanagloria non ha nessun posto qui tra noi campagnoli. Ma tu vuoi sapere da me tutto ciò che mi riguarda. Sopporta dunque la prolissità della mia lettera, affinché tu sconti la tua inopportuna curiosità. Contemporaneamente, è difficile per tutti prestare fede a ciò che risulta estraneo. Non è dunque un compito da nulla convincere un Siriano che esistono dei sali continentali, e anche qui mi trovo in difficoltà quando mi si interroga sulle navi, le vele e il mare. Sai infatti che un giorno, al tempo in cui filosofavo insieme a te, mi misi a osservare quella meraviglia che è il mare e il grande, immenso lago che si vede da Faro come da Canopo.412 E una nave era rimorchiata, un’altra guadagnava il largo sospinta da un vento propizio e un’altra ancora sospinta dai remi. Ti eri messo a ridere quando avevo paragonato quest’ultima a un millepiedi. Quelli che vivono qui hanno la nostra stessa attitudine quando sentiamo parlare dei luoghi al di là di Thule413 – quale che sia mai questa Thule, che permette a coloro che l’hanno oltrepassata di dire menzogne che non possono essere né smascherate né confutate. Ma questi, che accettino i miei racconti sulle navi o che decidano di riderne, si rifiutano con tutte le loro forze di credere che il mare possa nutrire gli uomini; ritengono infatti che la sola madre terra abbia questo privilegio. Io allora, un giorno in cui si rifiutavano di credere a quanto dicevo a proposito dei pesci, prendendo un recipiente d’argilla e spaccandolo con una pietra, mostrai loro numerosi pesci sotto sale

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sinesio di cirene

ἀπ’ Αἰγύπτου ταρίχη συχνά· οἱ δὲ ὄφεων πονηρῶν ἔφασαν εἶναι σώματα καὶ ἀναθορόντες ἔφευγον, τὰς ἀκάνθας ὑποπτεύοντες ὡς οὐδὲν ἠπιωτέρας τοῦ διὰ τῶν ὀδόντων φαρμάκου. Καὶ ἔφη τις ὁ γεραίτατος καὶ ἐν τῇ δόξῃ φρενῶν ἐπηβολώτατος σχολῇ γοῦν περὶ ὕδατος ἁλυκοῦ πιστεῦσαι καλόν τι αὐτόθι τρέφεσθαι καὶ ἐδώδιμον, τῶν πηγαίων τῶν ἀγαθῶν καὶ ποτίμων ναμάτων βατράχους καὶ βδέλλας γεννώντων, ὧν οὐδ’ ἂν ὁ μαινόμενος γεύσαιτο. Καὶ εἰκότα γε ἀγνοοῦσιν. «οὐ γὰρ σφᾶς ἐκ νυκτὸς ἐγείρει κῦμ’ ἐπιθρῶσκον»

πελάγους, ἀλλ’ ἵππων χρεμετισμοὶ καὶ μηκάζον αἰπόλιον καὶ προβατίων βληχὴ καὶ ταύρου μύκημα, πρώτης δὲ ἀκτῖνος ἐπιβαλλούσης τῶν μελιττῶν ὁ βόμβος, εἰς ἡδονῆς λόγον οὐδεμιᾷ παραχωρῶν μουσικῇ. Μή τοί σοι δοκοῦμεν ἐκδιηγεῖσθαι τὰς Ἀγεμάχου, τοιοῦτον οἰκοῦντες ἀγρὸν πόρρω πόλεως καὶ ὁδῶν καὶ ἐμπορίας καὶ τρόπων ποικίλων; Ἡμῖν γάρ ἐστι σχολὴ μὲν φιλοσοφεῖν, ἀσχολία δὲ κακουργεῖν. Σύνοδοι δὲ πᾶσαι πᾶσιν ἑταιρικαί, χρωμένων ἀλλήλοις ἐπὶ γεωργίαν, ἐπὶ ποιμένας, ἐπὶ ποίμνας, ἐπὶ θήραν ὧν ἡ γῆ φέρει παντοδαπήν (οὐδὲ γὰρ νόμος ἡμῖν, οὔτ’ αὐτοῖς οὔθ’ ἵπποις, ἀνιδρωτὶ σῖτον αἱρεῖσθαι). Ἀριστῶμεν δὲ ἐπ’ ἀλφίτοις, ἡδίστοις μὲν ἐμφαγεῖν, ἡδίστοις δὲ ἐμπιεῖν, ἃ καὶ τῷ Νέστορι κίρνησιν Ἑκαμήδη. Μετὰ τὸν κόπον ἰσχυρὸν ὁ κυκεὼν τῆς θερινῆς ὥρας ἀλέξημα. Καὶ μήν ἐστιν ἡμῖν καὶ πύρινα πέμματα καὶ τρωκτὰ ἀκροδρύων τὰ μὲν ἥμερα, τὰ δὲ ἄγρια, πάντα ἐγχώρια, γῆς ἀρίστης χυμοί, καὶ κηρία μελιττῶν καὶ γάλα ἐξ αἰγῶν (οὐ γὰρ νομίζομεν βοῦς ἀμέλγειν). Ποιεῖ δὲ οὐκ ἐλάττω τὴν ἀφθονίαν ἐν ταῖς τραπέζαις ἡ διὰ τῶν κυνῶν καὶ τῶν ἵππων θήρα, ἣν οὐκ οἶδα πῶς οὐ προσεῖπεν Ὅμηρος κυδιάνειραν οὐδὲ ἀριπρεπέας ἔφη τοὺς ἄνδρας ἐν αὐτῇ γίγνεσθαι· τὴν δὲ ἀγορὰν ἐγκωμίῳ τοιούτῳ τετίμηκεν, ἀνθρώπια παρεχομένην ἀναιδῆ καὶ παμπόνηρα καὶ οὐδὲν ὑγιές, ἀλλὰ λοίδορα καὶ κακορραφεῖν εἰδότα. Ἐφ’ οἷς καὶ γελῶ-

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di provenienza egizia. Quelli dissero che erano corpi di serpenti velenosi e scapparono di corsa, sospettando che le spine non fossero meno pericolose del veleno che i serpenti instillano attraverso i denti. Il più vecchio e, a loro parere, il più intelligente disse che trovava difficoltà a credere che l’acqua salata potesse nutrire da sola qualcosa di buono e commestibile, visto che le acque di sorgente, buone e potabili, non producono che rane e sanguisughe, di cui neppure un folle si ciberebbe. È naturale che siano ignoranti. “Di notte non li sveglia la furia delle onde”414

del mare, ma i nitriti dei cavalli, i belati delle capre e degli agnelli, i muggiti dei tori e, ai primi raggi del sole, il ronzio delle api, la cui piacevolezza non cede dinanzi a nessun’altra musica. Non ti sembro sciorinare le opere di Agemaco,415 io che abito in una tale campagna, lontano dalla città, dalle strade, dal commercio e dai costumi multiformi? Ho del tempo a disposizione per dedicarmi alla filosofia, ma non ne ho affatto per comportarmi in modo sbagliato. Tutti i miei incontri sono cordiali, ci aiutiamo l’un l’altro nell’agricoltura, nella gestione dei pastori e delle greggi, nella caccia a ogni specie animale che la nostra terra produce (vige qui infatti la regola, valida sia per noi che per i nostri cavalli, di non prendere alcun cibo senza aver sudato). Faccio pranzo con polenta d’orzo, deliziosa sia da mangiare che da bere, simile a quella che Ecamede mesce per Nestore.416 Dopo aver durato molta fatica, questo beveraggio è un rimedio alla calura estiva. Ma ci sono anche delle focacce di frumento e frutti commestibili, alcuni coltivati, altri selvatici, tutti della regione, succhi di una terra eccellente, e i favi di miele delle api e il latte delle capre (non abbiamo infatti l’abitudine di mungere le mucche). Non diminuisce l’abbondanza delle nostre tavole la caccia, praticata con cani e cavalli, che non so perché Omero non abbia definito “gloriosa”,417 né abbia qualificato come “illustri”418 gli uomini che vi si dedicano; con un tale elogio ha piuttosto onorato la piazza, che non produce altro che omuncoli impudenti e del tutto scellerati, niente di buono, ma persone oltraggiose e capaci solo di tramare malvagità. Ridiamo di costoro,

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sinesio di cirene

μεν ἡμεῖς, ὅταν ποτὲ ἡμῖν ὁμώροφα γένηται· φρίττουσι γάρ τοι πρὸς τὰ ἐκ τῶν καμίνων κρέα τὰ θήρεια. Καὶ τί λέγω τὰ θήρεια; Φαρμάκου γ’ ἂν θᾶττον ἤ του τῶν παρ’ ἡμῖν γεύσαιντο. Ζητοῦσι δὲ οἶνον μὲν τὸν λεπτότατον, μέλι δὲ τὸ παχύτατον καὶ ἔλαιον μὲν τὸ κουφότατον, πυρὸν δὲ τὸν βαρύτατον· καὶ πατρίδας αὐτῶν ὑμνοῦσι Κύπρον καὶ Ὑμηττόν τινα καὶ Φοινίκην καὶ βάρβαρον. Ἡμῖν δὲ ἡ χώρα, καὶ εἰ καθ’ ἓν ἑκάστης ἡττᾶται τῆς τὸ ἄκρον φερούσης, τοῖς λοιποῖς ἑκάστην νικᾷ. Καὶ τοῦτ’ ἔστι τὸ ἐκ δευτέρων πρωτεῖον ὃ καὶ Πηλεὺς καὶ Θεμιστοκλῆς εὑρόμενοι πάντα πάντων ἄριστοι τοῖς Ἕλλησιν ἐκηρύχθησαν. Εἰ δὲ δὴ καὶ δοίημεν τὸ δεῦρο μέλι χεῖρον εἶναι πρὸς τὸ Ὑμήττιον, ἀλλὰ τοιοῦτόν ἐστιν οἵου παρόντος οὐδὲν δεῖν τοῦ ξένου χυμοῦ. Ἔλαιον μέντοι σαφῶς τὸ ἡμεδαπὸν ἄριστον, ἢν μὴ κρίνωσιν οἱ διεφθορότες τὴν δίαιταν. Ἐκεῖνοι μὲν γὰρ αὐτὸ ζυγοστατοῦσι, ῥοπῇ τὴν ἀρετὴν ἐξετάζοντες, καὶ τὸ μειαγωγοῦν ἐν πλεονεκτήματος μοίρᾳ λογίζονται· ἡμῖν δὲ οὐ χαλκεύονται μὲν ἐπὶ τοὔλαιον τάλαντα, φαμὲν δέ, εἴπερ αὐτὸ δέοι ποιεῖν, φύσιν εἶναι τὸ πλέον ἕλκον τιμᾶν. Ἀμέλει τὸ θαυμαστὸν αὐτοῖς καὶ ὤνιον ἔλαιον ἐν ταῖς θρυαλλίσιν ὑπ’ οὐδενείας ἀσθενεῖ θρέψαι φλόγα, τὸ δὲ αὐτόχθον ὑπὸ γενναιότητος πυρκαϊὰν ὅλην ἀνίστησι καί, ἐπειδὰν λύχνου δέοι, χειροποίητον ἡμέραν ποιεῖ. Ἀγαθὸν δὲ λιπῆναι μᾶζαν, ἀγαθὸν δὲ σωμασκοῦσι θρέψαι νεῦρα. Ἡμῖν δὲ καὶ τὸ μουσικῆς χρῆμα ἐπιχώριον ὡς οὐδὲν ἄλλο, καὶ ἔστιν Ἀγεμαχηταῖς λύριόν τι ποιμενικὸν λιτὸν καὶ αὐτόσκευον, εὔφημόν τε καὶ ἄρρεν ἐπιεικῶς, οὐκ ἀνάξιον τοὺς ἐν τῇ Πλάτωνος πόλει παῖδας ἐκτρέφειν. Ὡς οὐ λυγίζεται τοῦτο οὐδὲ ἀρετὴν ἔχει παμφώνως ἡρμόσθαι, τῷ δὲ ἁπλῷ τῶν χορδῶν συμβαίνουσιν οἱ προσᾴδοντες· οὐ γὰρ ἐπιτίθενται τρυφώσαις ὑποθέσεσιν, ἀλλ’ ἔστιν ἡμῖν καλόν τι χρῆμα ᾠδῆς ἔπαινος ἐνόρχου κριοῦ, καὶ

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lettere 148, a olimpio

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quando per caso si ritrovano sotto il nostro stesso tetto: inorridiscono alla vista della carne di selvaggina che tiriamo fuori dal forno. Ma perché parlo solo della selvaggina? Quelli deglutirebbero più rapidamente del veleno piuttosto che un qualunque prodotto della nostra zona. Cercano il vino più raffinato, ma il miele più denso; l’olio più leggero, ma il frumento più pesante; e ne celebrano le terre d’origine, Cipro, un certo Imetto, la Fenicia e un qualche paese barbaro.419 Ma la nostra regione, anche se per ciascuno di questi prodotti è inferiore ai paesi in cui quelli sono la specialità, li batte tutti per il resto. È questo “primato nei secondi posti”420 che ottennero Peleo e Temistocle e per il quale i Greci li proclamarono i migliori di tutti in tutto. Se anche ammettiamo che il nostro miele è peggiore di quello dell’Imetto, è comunque tale, quando lo si ha a disposizione, da non rendere necessario alcun succo straniero. Quanto all’olio della nostra regione, esso è evidentemente il migliore, a meno che a giudicarlo non siano persone dal gusto corrotto. Questi infatti lo mettono sulla bilancia, valutandone la qualità dal peso, giacché ritengono che un peso minore sia un segno di superiorità; noi invece, che non forgiamo bilance per l’olio, affermiamo che, se anche lo si dovesse pesare, è naturale stimare di più quello che fa pendere maggiormente la bilancia. Senza alcun dubbio, l’olio straordinario che comprano loro non ha la forza, causa la sua inconsistenza, di alimentare una fiammella in una lucerna, mentre quello che produciamo noi, in virtù della sua qualità, è tale da far innalzare una fiammata e, qualora si necessiti di una lampada, crea un giorno artificiale. È buono anche per ungere le focacce e per frizionare i muscoli di chi si allena. Qua abbiamo anche un’arte musicale locale che non assomiglia a nessun’altra: questi seguaci di Agemaco421 hanno una piccola lira pastorale, semplice e costruita da loro stessi, melodiosa e sufficientemente virile, che non sarebbe indegna di educare i giovani nella città di Platone. Non è modulata e non ha il pregio di adattarsi a tutte le sonorità, ma i cantori si conformano alla semplicità delle sue corde; non si applicano a temi raffinati, al contrario, qui da noi si ritiene uno spunto degno del canto la lode di un montone vigo-

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sinesio di cirene

ὁ μείουρος κύων ἐγκωμίου τυγχάνει ὅτι, οἶμαι, δίκαιός ἐστι τὰς ὑαίνας οὐκ ὀρρωδῶν καὶ λαρυγγίζων τοὺς λύκους. Καὶ ὁ κυνηγέτης οὐχ ἥκιστα ᾠδὴ γίνεται, ταῖς κατανομαῖς εἰρήνην ποιῶν καὶ εὐωχῶν ἡμᾶς πανδαισίᾳ κρεῶν, ἥ τε διδυμοτόκος ὄϊς οὐκ ἀπαξιοῦται τῆς λύρας ὅτι πλείω τῶν ἐτῶν ἐκτρέφει τὰ ἔκγονα· τὴν δὲ κράδην θαμὰ καὶ τὴν ἄμπελον ἐντείναντες ψάλλομεν. Οὐδὲν δὲ ὅσον εὐχαί τινες· ἔτι τε ᾄσματα καὶ αἰτήσεις ἀγαθῶν ἀνθρώποις καὶ φυτοῖς καὶ βοτοῖς. Ταῦτά σοι καὶ τὰ τοιαῦτα παρ’ ἡμῖν ὥρια καὶ ἀρχαῖα καὶ πενήτων ἀγαθά· βασιλεὺς δὲ καὶ βασιλέως φίλοι καὶ δαίμονος ὄρχησις, οἷα δὴ συνιόντες ἀκούομεν, ὀνόματά τινα καθάπερ αἱ φλόγες ἐπὶ μέγα τῆς δόξης ἐξαπτόμενα καὶ σβεννύμενα, ταῦτα δεῦρο ἐπιεικῶς σιγᾶται καὶ σχολὴ ταῖς ἀκοαῖς τοιούτων ἀκροαμάτων. Ἐπεὶ καὶ βασιλεὺς ὅτι μὲν ζῇ τις ἀεί, τοῦτ’ ἴσως ἐπίστανται σαφῶς (ὑπομιμνήσκονται γὰρ ἅπαν κατ’ ἔτος ὑπὸ τῶν ἐκλεγόντων τοὺς φόρους), ὅστις δὲ οὗτός ἐστιν, οὐ μάλα ἔτι τοῦτο σαφῶς· ἀλλ’ εἰσί τινες ἐν ἡμῖν οἳ μέχρι καὶ νῦν Ἀγαμέμνονα κρατεῖν ἥγηνται τὸν Ἀτρείδην, τὸν ἐπὶ Τροίαν, τὸν μάλα καλόν τε καὶ ἀγαθόν· τοῦτο γὰρ παιδόθεν ἡμῖν ὡς βασιλικὸν παραδέδοται τοὔνομα. Καὶ Ὀδυσσέα τινὰ φίλον αὐτοῦ ὀνομάζουσιν οἱ χρηστοὶ βουκόλοι, φαλακρὸν μὲν ἄνθρωπον, ἀλλὰ δεινὸν ὁμιλῆσαι πράγμασι καὶ πόρον ἐν ἀμηχάνοις εὑρεῖν. Ἀμέλει γελῶσιν ὅταν περὶ αὐτοῦ λέγωσιν, ἡγούμενοι πέρυσιν ἐκτετυφλῶσθαι τὸν Κύκλωπα, καὶ ὡς εἵλκετο μὲν ὑπὸ τῷ κριῷ τὸ γερόντιον, τὸ δὲ κάθαρμα τὴν θύραν ἐτήρει καὶ οὐραγεῖν ᾤετο τὸν ἡγεμόνα τῆς ποίμνης, οὐκ ἀχθόμενον τῷ φορτίῳ, τῇ δὲ αὐτοῦ συμφορᾷ συναχθόμενον. Ἐγένου βραχύ τι διὰ τῆς ἐπιστολῆς μεθ’ ἡμῶν τῇ γνώμῃ. Τεθέασαι τὸν ἀγρόν, εἶδες ἁπλόην πολιτευμάτων. Τὸν ἐπὶ Νῶε βίον ἐρεῖς, πρὶν γενέσθαι τὴν δίκην ἐν δουλείᾳ.

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roso o l’elogio di un cane dalla coda mozzata, che è giustificato, credo, dal fatto che non ha timore al cospetto delle iene e sgozza i lupi. Il protagonista dei nostri canti è il cacciatore, che garantisce la pace ai pascoli e ci rifornisce lautamente di carni, ma pure la pecora che partorisce i gemelli non è reputata indegna della nostra lira, poiché nutre dei cuccioli più numerosi dei suoi anni. Abbiamo frequentemente celebrato, mettendoli in musica, il fico e la vite. Eppure, soprattutto, intoniamo delle preghiere: sono canti e suppliche, per il bene degli uomini, delle piante e degli animali. Questi sono, assieme ad altri simili, i passatempi stagionali della nostra provincia, antichi e patrimonio di povera gente; ma l’imperatore e gli amici dell’imperatore e la danza della sorte, tutte cose di cui sentiamo parlare nelle assemblee, dei nomi che come delle fiamme si accendono fino all’altezza della gloria e poi si spengono, tutto ciò è convenientemente taciuto qui e le nostre orecchie sono esentate dall’ascoltare tali questioni. Certo, che un imperatore esista e che sia sempre in vita è risaputo chiaramente (ce lo ricordano ogni anno gli esattori delle tasse), ma non si sa più con altrettanta sicurezza chi sia. Vi sono alcuni fra di noi che pensano che comandi ancora Agamennone, l’Atride, quello che se ne andò a Troia, il nobile e valoroso: questo infatti è il nome che ci è stato trasmesso fin dall’infanzia per indicare l’imperatore. Per di più, i nostri bravi bovari chiamano Odisseo un suo amico, un uomo calvo422 e molto abile nel trattare gli affari, nonché a trovare degli espedienti nelle difficoltà. Senza dubbio ridono ogni volta che parlano di lui, pensando che il Ciclope sia stato accecato l’anno scorso, e ragionando su come il vecchio sia uscito tenendosi aggrappato al montone, mentre quella canaglia faceva la guardia alla porta, e su come pensasse che il capo del gregge rimanesse indietro rispetto agli altri non perché aggravato da un fardello ma perché afflitto per la sventura del suo padrone. Seppure per breve tempo, grazie a questa lettera sei potuto stare col pensiero in mia compagnia. Hai ammirato la mia campagna, hai visto la semplicità della mia comunità. Dirai che è la vita dei tempi di Noè, prima che la giustizia fosse ridotta in schiavitù.

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sinesio di cirene

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ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἡμῖν ἀεὶ καὶ ἀπὼν ἐπιδημεῖς τῇ μνήμῃ· καὶ γὰρ οὐδ’ ἂν εἰ πάνυ βουληθείημεν ἐπιλαθέσθαι δυνάμεθα τῆς γλυκυτάτης σου ψυχῆς καὶ τῶν ἀδολωτάτων ἠθῶν, ἀδελφὲ διὰ πάντων θαυμάσιε. Ὡς οὐδὲν ἂν ἡμῖν γένοιτο τῆς περὶ σὲ μνήμης ἱερώτερον ἢ τὸ πάλιν περιπτύξασθαι τὴν σεβασμίαν σου κεφαλήν· ὃ δοίη ποτὲ θεὸς καὶ ἴδοιμέν σε καὶ ἀκούσαιμέν σου τῆς ἡδίστης τῶν λόγων ἠχοῦς. Ἧσας δὲ ἡμᾶς καὶ οἷς ἀπέστειλας (ἅπαντα γὰρ ἐκομισάμεθα), πλέον δ’ ἠνίασας τῷ λογισμῷ τῷ ποίου τινὸς ἑταίρου ζῶντος ζῶντες στεροίμεθα. Ἔλθοι δή ποτε καὶ συντυχίας καιρὸς καὶ εὐτυχήσαιμι τοῦτο παρὰ θεοῦ. 150

ΠΥΛΑΙΜΕΝΕΙ  

Οὐδὲ τὴν σὴν Ἡράκλειαν ἀνήκοον οἶμαι γεγονέναι τοῦ παρ’ ἡμῖν φιλοσοφήσαντος Ἀλεξάνδρου, ἀνδρὸς ἁπανταχοῦ διαβάντος μετὰ δόξης. «Κωφὸς ἀνὴρ ὃς Ἡρακλεῖ στόμα μὴ περιβάλῃ.»

Τούτου παῖς, ἐμὸς ἀνεψιός, ἐπιδώσει σοι τὴν ἐπιστολήν, τὸν πατρῷον ζῆλον ὑπεισελθὼν οὐ διὰ τῆς στολῆς, ἀλλὰ διὰ τῆς γνώμης. Στέλλεται οὖν ἐπὶ πονηροὺς ἄνδρας, τὸν Ἡράκλειον τρόπον ἐκκαθαίρων αὐτῶν τὴν πατρίδα. Θεοῦ δὲ ἔδει δήπου καὶ Ἡρακλέους, οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ Ἰόλεω συμμάχου καὶ παραστάτου. Οὐκοῦν τὸν μὲν θεὸν ἑαυτῷ ποριεῖται τὸν ἐνόντα τρόπον, καὶ προσκλινεῖ βίου τε ἀρετῇ καὶ γνώμης εὐσεβείᾳ· τὴν δὲ σὴν φιλίαν ἀντὶ τῆς Ἰόλεω μνηστεύομεν ἡμεῖς αὐτῷ διὰ τῆς ἐπιστολῆς. Συνέσῃ

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lettere 149-150, a olimpio

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– a pilemene

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Allo stesso Da Cirene alla Siria, 405

Seppure assente, sei sempre nella mia memoria; infatti, seppure lo avessi voluto con tutte le mie forze, non avrei potuto dimenticare la dolcezza della tua anima e i tuoi modi perfettamente onesti, fratello da tutti i punti di vista ammirabile. Niente potrebbe essermi più sacro del ricordo di te, eccetto che abbracciare di nuovo la tua venerabile persona. Mi auguro che un giorno Dio me lo conceda e che possa rivederti e ascoltare la dolcissima eco delle tue parole. Mi hai fatto un immenso piacere con le cose che mi hai inviato (ho ricevuto tutto), ma mi hai afflitto alquanto facendomi pensare di quale amico, ancora in vita, io, ancora in vita, sono stato privato. Possa dunque giungere l’occasione di incontrarci ancora, possa io ricevere questa fortuna da Dio. 150

A Pilemene Da Cirene a Eraclea del Ponto, 406

Neppure nella tua Eraclea,423 credo, si ignora il nome di Alessandro,424 che si è dedicato alla filosofia qui presso di noi e che ovunque sia passato ha ottenuto una buona reputazione. “Muto è colui che tace di Eracle”.425

È il figlio di Alessandro, un mio cugino, che ti consegnerà questa lettera, il quale ha seguito le orme del padre, non nell’abito ma nello spirito. Se ne parte in guerra contro degli uomini malvagi, alla maniera di Eracle, per purificarne la patria. Ovviamente avrebbe bisogno del sostegno di una divinità, di un Eracle, ma anche dell’alleanza e dell’assistenza di uno Iolao. Quanto alla divinità, cercherà di ottenerne il favore come potrà e ci riuscirà grazie alla virtù della sua vita e alla pietà del suo cuore; l’amicizia di Iolao sarà invece rimpiazzata dalla tua, che io sollecito per mezzo di questa lettera. Sarai al suo fianco così come lo sei al mio. Quando

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sinesio di cirene

δὲ τοσαῦτα αὐτῷ ὅσα ἡμῖν. Κἂν χρήσῃ τῇ φιλίᾳ τοῦ νεανίσκου, πάντως ἐρεῖς οὐ φαῦλον ἐπαινέτην ἐμέ. 151

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Ἆρά μοι μένεις φιλόσοφος, ἆρα ἐκεῖνος ὃν ἀπολέλοιπα Πυλαιμένης, ἡ νεοτελὴς ψυχὴ τὸ σπέρμα τὸ θεῖον; Φοβοῦμαι τὸν χρόνον τῆς ἀπογενέσεως, πλεῖν φοβοῦμαι τὴν ὁμιλίαν τῆς ἀγορᾶς, τὸ ἐνειλινδεῖσθαι συχναῖς ἤδη τύχαις καὶ πράξεσι, μὴ μολύνῃ τὸν ἁγιώτατον νεών, τὸν νοῦν σου τὸν ἱερόν, ὃν ἐγὼ μετ’ ὀλίγων ἀξιώτατον ἡγοῦμαι δοχέα θεοῦ. Καὶ οἶδα μέντοι συνοργιάσαι σοι τὰ φιλοσοφίας εὐχήν ποτε ποιησάμενος· ἐπεὶ δ’ οὖν κρείττων ὁ τῆς πατρίδος ἔρως ἐγένετο, εὐξάμην, ὅπου ποτὲ γῆς εἴης, φιλοσοφίαν ἐργάζεσθαί σε κατὰ δύναμιν. Τοιγαροῦν ἀσπάζομαι τὴν φίλην κεφαλὴν καὶ πάνυ πολλάκις ἀσπάζομαι τὴν φίλην κεφαλήν, καὶ σιγῶν καὶ λέγων καὶ γράφων καὶ μὴ γράφων. 152

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Οἴου με περιπτύσσεσθαι Πυλαιμένην, αὐτὴν τὴν ψυχὴν αὐτῇ τῇ ψυχῇ. Ἀπορῶ λόγων οἷς ἐκχέοιτο ὅσον ἐστὶ τῆς γνώμης μου τὸ βουλόμενον, μᾶλλον δὲ οὐδὲ αὐτό μου τὸ πάθος ὅ τί ποτέ ἐστι τὸ περί σέ μου τῆς ψυχῆς ἐξευρίσκω. Ἐγένετο δέ τις ἀνὴρ δεινὸς τὰ ἐρωτικά, Πλάτων ὁ Ἀρίστωνος Ἀθηναῖος, εὔκολος εἰπεῖν, εὔπορος εὑρεῖν ἐραστοῦ φύσιν καὶ δὴ καὶ ὅ τι αὐτῷ γενέσθαι περὶ τὰ παιδικὰ βούλεται. Καὶ ὑπὲρ ἐμοῦ τοίνυν ἐξευρηκώς τε ἔστω καὶ

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lettere 151-152, a pilemene

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avrai sperimentato l’amicizia di questo giovane, senza alcun dubbio dirai che non sono stato superficiale nel lodarlo.426 151

Allo stesso Da Cirene a Eraclea del Ponto, 406

Dimmi, sei ancora filosofo, sei ancora quel Pilemene che ho lasciato, un’anima da poco iniziata, una semenza divina? Temo il tempo trascorso da quella nascita,427 temo ancora di più la tua frequentazione della pubblica piazza, il tuo contatto, ormai frequente, con i colpi della sorte e con gli affari, poiché temo che tutto questo macchi il sacrissimo tempio, ovvero il tuo santo intelletto, che io, assieme a pochi altri, ritengo il più degno ricettacolo di Dio. D’altronde, so che in passato ho espresso il desiderio di celebrare con te i misteri della filosofia; ma poiché in te l’amore per la patria ha avuto la meglio, mi sono augurato che tu, in qualunque luogo della terra ti trovassi, praticassi la filosofia, per quanto ti fosse possibile. Perciò, saluto la tua cara persona, saluto tante volte la tua cara persona, che io resti in silenzio o che parli, che scriva o che non scriva. 152

Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 405 o 406

Immagina che io stia abbracciando Pilemene, con la mia anima la sua anima. Mi mancano le parole per esprimere tutto il desiderio che è nel mio cuore, o piuttosto non riesco a cogliere la natura del sentimento che la mia anima nutre nei tuoi confronti. È esistito un uomo estremamente abile nelle questioni amorose, Platone di Atene figlio di Aristone, che definì con facilità e scoprì con sagacia la natura dell’amante e ovviamente ciò che quello desidera trarre dal suo rapporto con l’amato. Che sia Platone dunque a scoprire e a definire la natura dei miei sentimenti. L’amante vorrebbe

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sinesio di cirene

εἰρηκώς. Βούλοιτ’ ἂν οὖν – φησίν – Ἡφαίστου τέχνῃ συντακῆναί τε καὶ συμφυῆναι καὶ ἓν ἄμφω γενέσθαι. 153

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Δι’ ἔτους ἡμῖν ἀφικνεῖται παρὰ σοῦ γράμματα, ὥσπερ καὶ τοῦτο τῶν ὡρῶν φερουσῶν. Ἐμοὶ μὲν οὖν ἴσως καρπὸς ἡδίων οὗτος ἢ ὃν ἐκτρέφουσι μηνῶν κύκλοι καὶ γεωργοί, σὺ δὲ οὐκ ἂν εἰκότα ποιοίης τῆς ἐπὶ τούτοις ἡμᾶς εὐφροσύνης ἀποστερῶν. Ἀλλὰ μετάθου τὴν γνώμην καὶ ποίησον ἡμῖν τὸ γοῦν τῆτες εὐετηρίαν ἐπιστολῶν. 154

ΤΗΙ ΦΙΛΟΣΟΦΩΙ  

Τῆτες ἐξήνεγκα δύο βιβλία, τὸ μὲν ὑπὸ θεοῦ κινηθείς, τὸ δὲ ὑπὸ λοιδορίας ἀνθρώπων. Καὶ γὰρ τῶν ἐν λευκοῖς ἔνιοι τρίβωσι καὶ τῶν ἐν φαιοῖς ἔφασάν με παρανομεῖν εἰς φιλοσοφίαν, ἐπαΐοντα κάλλους ἐν λέξεσι καὶ ῥυθμοῦ καὶ περὶ Ὁμήρου τι λέγειν ἀξιοῦντα καὶ περὶ τῶν ἐν ταῖς ῥητορείαις σχημάτων ὡς δὴ τὸν φιλόσοφον μισολόγον εἶναι προσήκειν καὶ μόνα περιεργάζεσθαι τὰ δαιμόνια πράγματα. Καὶ αὐτοὶ μὲν θεωροὶ τοῦ νοητοῦ γεγονότες· ἐμὲ δὲ οὐ θέμις διότι νέμω τινὰ σχολὴν ἐκ τοῦ βίου τῷ καὶ τὴν γλῶτταν καθήρασθαι καὶ τὴν γνώμην ἡδίω γενέσθαι. Ἐνῆγε δὲ αὐτοὺς εἰς τὸ καταδικάσαι μου πρὸς μόνην παιδιὰν ἐπιτήδειον εἶναι τὸ τὰς Κυνηγετικὰς ἐκ τῆς οἰκίας οὐκ οἶδ’ ὅπως διαρρυείσας σπουδασθῆναι διαφερόντως ὑπὸ νεανίσκων ἐνίων οἷς Ἑλληνισμοῦ τε καὶ χάριτος ἔμελε καί τινα τῶν ἐκ ποιητικῆς ἐπιμελῶς ἔχοντα καὶ παραδεικνύντα τι τῆς ἀρχαίας χειρός, ὅπερ ἐπὶ τῶν ἀνδριάντων λέγειν εἰώθαμεν. Ἀλλ’ ἐκείνων οἱ μέν, ἀμαθίας ἡγουμένης τοῦ θράσους, προχειρότατοι πάντων εἰσὶ περὶ τοῦ θεοῦ διαλέγεσθαι (οἷς ἂν

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lettere 153-154, a pilemene

319

– alla filosofa

– afferma – fondersi grazie all’arte di Efesto, congiungersi con l’amato, fare di una dualità un’unità.428 153

Allo stesso Da Cirene a Costantinopoli, 407

Solo una volta all’anno mi giunge una tua lettera, come se si trattasse di un prodotto stagionale. Ma forse mi è più gradito questo frutto che ciò che recano i cicli dei mesi e gli agricoltori, e tu non agiresti come si conviene se mi privassi della gioa che tali prodotti generano in me. Piuttosto, muta la tua inclinazione e dammi, quest’anno almeno, un’abbondante raccolta di lettere. 154

Alla filosofa Da Cirene ad Alessandria, 404 o 405

Quest’anno ho redatto due libri, l’uno ispirato da Dio, l’altro dalle invettive degli uomini. Certi col mantello bianco e altri col mantello nero429 mi hanno accusato di aver violato le leggi della filosofia, ricercando la bellezza della dizione e il ritmo e reputando bene di parlare un poco di Omero e delle figure retoriche, giacché il filosofo deve avere in odio la letteratura e occuparsi esclusivamente di questioni divine. Quelli hanno contemplato l’intelligibile; a me non è lecito, poiché mi prendo un po’ di tempo per purificare la mia lingua e rendere più piacevole la mia riflessione. Ciò che li ha spinti a giudicarmi come adatto solo alle bazzecole sono state le mie Cinegetiche,430 che, diffusesi non so come all’esterno della mia casa, sono state particolarmente apprezzate da certi giovani cui stava a cuore la cultura ellena e la grazia, assieme ad alcune composizioni poetiche431 ben rifinite che rivelano un che di mano arcaica, come si è soliti dire in merito agli scultori. Tra quei miei detrattori, ve ne sono alcuni, nei quali l’ignoranza guida la tracotanza, che sono i più propensi tra tutti gli uomini

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sinesio di cirene

ἐντύχῃς, εὐθὺς ἀκούσῃ τινὰ περὶ τῶν ἀσυλλογίστων συλλογισμῶν) καὶ μὴ δεομένων ἐπαντλοῦσι τῶν λόγων, ἰδίᾳ τι δοκῶ μοι διαφέρον αὐτοῖς. Ἀπὸ γὰρ τούτων ἐν ταῖς πόλεσιν οἱ δημοδιδάσκαλοι γίνονται, ὃ ταὐτόν ἐστι καὶ «τὸ κέρας τῆς Ἀμαλθείας» ᾧ οὗτοί γε δεῖν οἴονται χρῆσθαι. Ἐπιγινώσκεις, οἶμαι, τὸ φῦλον τοῦτο τὸ ῥᾴδιον ὃ διαβάλλει γενναίαν ὑπόθεσιν. Οὗτοί με μαθητιᾶν ἑαυτοῖς ἀξιοῦσι καί φασιν ἀποφαίνειν ἐντὸς ὀλίγου τὰ περὶ θεοῦ παντολμότατον, ἡμέρας ἑξῆς καὶ νύκτας ἀγορεύειν δυνάμενον. Ἅτεροι δὲ οἱ κάλλιον ᾐσθημένοι, παραπολὺ τούτων εἰσὶ κακοδαιμονέστεροι σοφισταί, καὶ βούλοιντο μὲν ἂν ἐπὶ τοῖς αὐτοῖς εὐδοκιμεῖν, ἀλλ’ εὐτυχοῦσι τὸ μηδὲ τοῦτο δύνασθαι. Καὶ οἶσθά τινας ἐν λογιστηρίοις ἀποδύντας ἢ πάντως ἀπὸ μιᾶς γέ του συμφορᾶς ἀναπεισθέντας ἐν μεσημβρίᾳ τοῦ βίου φιλοσοφεῖν ἀπὸ μόνου τοῦ τοὺς θεοὺς ἀπομόσαι καὶ κατομόσαι Πλατωνικῶς, οὓς φθάσειεν ἂν ἡ σκιὰ φθεγξαμένη τι τῶν δεόντων. Δεινὴ δὲ ὅμως ἡ προσποίησις. Ἥ τε γὰρ ὀφρῦς βαβαὶ τῆς ἀνατάσεως εἰς ὅσον ἦρται καὶ ἡ χεὶρ ὑπερείδει τὸ γένειον τά τε ἄλλα σεμνοπροσωποῦσιν ὑπὲρ τὰς Ξενοκράτους εἰκόνας. Οἵ γε καὶ νομοθετεῖν ἡμῖν ἀξιοῦσιν ἅττα σφίσι λυσιτελέστατα, μηδένα μηδὲν ἀγαθὸν εἰδότα φανερὸν εἶναι, ἡγούμενοι σφῶν αὐτῶν ἔλεγχον εἴ τις φιλόσοφος ὢν ἐπιστήσεται φθέγγεσθαι· αὐτοὶ γὰρ ἂν ὑπὸ τῇ προσποιήσει λαθεῖν καὶ δόξαι τἄνδοθεν εἶναι σοφίας ἀνάπλεῳ. Ἄμφω με τούτω τὼ γένη διαβεβλήκατον ὡς ἐπὶ τοῖς οὐδενὸς ἀξίοις ἐσπουδακότα· τὸ μὲν ὅτι μὴ ταὐτὰ φλυαρῶ, τὸ δὲ ὅτι μὴ τὸ στόμα συγκλείσας ἔχω καὶ τὸν βοῦν τὸν ἐκείνων ἐπὶ τῆς γλώττης τίθεμαι. Ἐπὶ τούτοις συνετέθη τὸ σύγγραμμα, καὶ ἀπήντησε τῶν μὲν τῇ φωνῇ, τῶν δὲ τῇ σιγῇ. Προῆκται μὲν γὰρ ὡς ἐπὶ τούτους αὐτοὺς τοὺς ἀφώνους τε καὶ βασκάνους (πῶς οἴει μετ’ εὐπρεποῦς τοῦ

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lettere 154, alla filosofa

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a discorrere sulla divinità (non appena li si incontra, subito li si sente parlare di sillogismi illogici) e, senza che venga loro chiesto, ti sommergono di discorsi, io credo, peraltro, per un loro tornaconto personale. Da loro infatti sono nati gli educatori del popolo che si trovano nelle città, vero e proprio corno di Amaltea,432 di cui ritengono di doversi servire. Tu riconosci, credo, questa razza superficiale che scredita una nobile materia. Costoro mi vorrebbero come loro discepolo e affermano di potermi rendere in poco tempo pronto a osare qualunque cosa in merito alle questioni divine, nonché capace di parlarne giorno e notte senza soluzione di continuità. Gli altri invece, che sono più accorti, sono però estremamente più infelici dei primi, sono dei sofisti, e vorrebbero ottenere una buona reputazione nello stesso ambito, ma per loro fortuna non sono capaci nemmeno di questo. Sai anche tu che alcuni, dopo essere stati spogliati negli uffici del fisco o spinti, dopo aver totalmente ceduto, da una sventura, si sono messi a filosofare ormai al mezzogiorno della loro vita, peraltro limitandosi a dire sì o no mentre invocano gli dèi alla maniera platonica, e la loro ombra sarebbe più rapida di loro ad articolare qualcosa di opportuno. Eppure, la loro presunzione è straordinaria. Tengono le sopracciglia aggrottate, e fino a che punto! La mano sostiene il mento, e hanno in generale un’aria solenne che va ben oltre le rappresentazioni di Senocrate.433 Vogliono pure imporci per legge ciò che per loro è più vantaggioso, ovvero che nessuno che abbia delle buone conoscenze le renda manifeste, ritenendo che sia un affronto alle loro attitudini se uno, pur essendo filosofo, è capace di esprimersi. Si nascondono infatti dietro la loro alterigia, per essere creduti all’interno ricolmi di saggezza. Entrambe queste categorie mi calunniano perché mi dedicherei a cose senza valore; gli uni mi attaccano perché non dico le loro stesse sciocchezze, gli altri perché non me ne resto a bocca chiusa e non tengo, come loro, “un bue sulla lingua”.434 La mia opera è stata composta in alternativa e si oppone all’eloquenza degli uni come al silenzio degli altri. È riferita specialmente a questi ultimi, al contempo silenziosi e invidiosi (e con una forma per-

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sinesio di cirene

σχήματος;), οὐ μὴν ἀλλ’ ἐξεῦρεν ὡς ἂν κἀκείνους συνεφελκύσαιτο. Καὶ βούλεται μὲν πολυμαθείας οὐχ ἧττον ἐπίδειξις ἢ ἐγκώμιον εἶναι· οὐ γὰρ ἐξωμοσάμην τὰς αἰτίας, ἀλλ’ ἵν’ ἔτι μᾶλλον ἀνιῷντο, συχνὰ καὶ πεφιλοτίμημαι· προϊὸν δὲ βίων αἱρέσεις ἐξετάζειν, ἐπαινεῖ τὴν φιλοσοφίαν ὡς φιλοσοφωτάτην αἱρέσεων, ἣν ποίαν τινὰ νομίζειν εἶναι χρὴ τοῦ βιβλίου πυνθάνου. Τελευτῶν δὲ καὶ ὑπὲρ τῶν κιβωτίων ἀπολελόγηται, σχόντων τινὰ καὶ τούτων αἰτίαν, ἀδιόρθωτα κρύπτειν βιβλία. Οὐδὲ γὰρ οὐδὲ τῶν τοιούτων οἱ Τελχῖνες ἀπέσχοντο. Εἰ δὲ ἕκαστον ἐν τάξει τῇ προσηκούσῃ καὶ πάντα σὺν ὥρᾳ καὶ ἀφορμαὶ δίκαιαι τῶν ἑκασταχοῦ προκεχειρισμένων, καὶ εἰ μερίζεται μὲν πλείοσι κεφαλαίοις κατὰ τὸ θεσπέσιον γράμμα τὸν Φαῖδρον ὃν περὶ πάντων ὁμοῦ τῶν εἰδῶν τοῦ καλοῦ Πλάτων ἐξήνεγκε, μεμηχάνηται δὲ ἅπαντα συννεύειν ἐφ’ ἓν τὸ προκείμενον, καὶ εἴ που γέγονε πίστις ὑφέρπουσα τὸ ὑπτιάσαν διήγημα καὶ εἰ προῆλθεν ὡς ἐν τοιούτοις ἀπόδειξις ἐκ τῆς πίστεως καὶ εἰ τὸ δι’ ἄλλο γενόμενον, ταῦτα μὲν τέχνης ἂν εἴη δῶρα καὶ φύσεως. Ὅστις δὲ οὐκ ἀγύμναστος ἐπιφωρᾶσαί τι καὶ πρόσωπον θεῖον ὑπὸ φαυλοτέρῳ κρυπτόμενον σχήματι, ὥσπερ ἐποίουν Ἀθήνησιν οἱ δημιουργοί, Ἀφροδίτην καὶ Χάριτας καὶ τοιαῦτα κάλλη θεῶν ἀγάλμασι Σειληνῶν καὶ Σατύρων ἀμπίσχοντες, τοῦτον οὐ λήσεται τὸ γράμμα συχνὰ καὶ τῶν ἀβεβήλων ἀποκαλύψαν δογμάτων ὑπὸ τῇ προσποιήσει τοῦ παρέλκειν ἑτέροις λανθάνοντα καὶ τῷ λίαν εἰκῆ καὶ ὡς ἂν δόξειεν ἀφελῶς ἐγκατεσπάρθαι τῷ λόγῳ. Τῶν μὲν γὰρ ἐκ τῆς σεληνιακῆς αἰτίας ἀποψύξεων οἱ νοσοῦντες ἐπιληψίαν αἰσθάνονται μόνοι, τῶν δὲ κατὰ νοῦν ἐπιβολῶν μόνοι δέχονται τὰς ἐκλάμψεις οἷς ὑγιαίνουσι τὸ νοερὸν ὄμμα φῶς ἀνάπτει συγγενὲς ὁ θεός, ὃ τοῖς νοεροῖς τοῦ νοεῖν καὶ τοῖς νοητοῖς αἴτιον τοῦ νοεῖσθαι· καθάπερ τὸ τῇδε φῶς ὄψιν συνάπτει τῷ χρώματι, κἂν ἀφέλῃς, παρόντος ἡ πρὸς αὐτὸ δύναμις ἀνενέργητος.

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lettere 154, alla filosofa

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fettamente rifinita, non credi?), ma nondimeno trova il modo di coinvolgere anche i primi. Vuole essere uno sfoggio di cultura,435 non meno che un suo elogio. Non ho respinto le loro accuse, ma, al fine di irritarli ancora di più, ho più volte insistito con il mio atteggiamento. Quando poi giungo a considerare i modelli di vita, lodo la filosofia come la scelta più prossima alla saggezza; come poi questa debba essere considerata, apprendilo dal libro. Esso prende pure le difese delle mie piccole casse,436 essendo anche queste oggetto di un’accusa, giacché i libri che contengono non sarebbero corretti.437 Neppure da tali calunnie si sono trattenuti quei Telchini.438 Se ciascun elemento si trova al posto che gli è proprio e tutto avviene al momento opportuno, se gli spunti di ogni argomento trattato sono giusti e se l’opera si divide in molti capitoli come il Fedro, quel divino scritto composto da Platone su tutti i generi del Bello, se tutto è impostato per convergere verso il fine prefissato, se l’argomentazione si insinua segretamente sotto l’apparente piattezza dell’esposizione, se, come avviene in tali argomenti, dall’argomentazione emerge la dimostrazione e se tutto è connesso da un rapporto di causalità, questo potrebbe essere un dono dell’arte e della natura. Chiunque non sia poco esercitato a cogliere dei tratti divini nascosti al di sotto di un aspetto piuttosto modesto, come facevano gli artisti ad Atene, che coprivano Afrodite e le Cariti439 e tali bellezze divine con statue di Sileni e di Satiri, non mancherà di notare che la mia scrittura contiene molte sacre dottrine, che sfuggiranno invece agli altri perché camuffate e perché disseminate in modo assolutamente casuale e, si direbbe, ingenuo all’interno del discorso. Come solo quelli che soffrono di epilessia percepiscono le fredde esalazioni causate dalla luna, similmente ricevono l’illuminazione dei raggi dell’intelletto solo quelli che, in virtù del fatto che hanno l’occhio intellettuale in buona salute, Dio illumina di una luce a lui affine, che consente all’intelletto di essere intelligente e all’intelligibile di essere oggetto di intellezione. Allo stesso modo in cui la luce di questo nostro mondo materiale unisce la vista al colore, ma, qualora la si tolga, pur in presenza del colore, la facoltà di vedere diviene totalmente inefficace.

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sinesio di cirene

Ὑπὲρ δὴ τούτων ἁπάντων σε κρίνουσαν περιμενοῦμεν. Κἂν μὲν ψηφίσῃ προσοιστέον εἶναι, ῥήτορσιν ἅμα καὶ φιλοσόφοις ἐκκείσεται· τοὺς μὲν γὰρ ἥσει, τοὺς δὲ ὀνήσει πάντως γε εἰ μὴ παρὰ σοῦ τῆς δυναμένης κρίνειν διαγεγράψεται. Εἰ δὲ μὴ φανεῖταί σοι τῆς τῶν Ἑλλήνων ἀκοῆς ἄξιον καὶ σὺ δὲ δήπου μετ’ Ἀριστοτέλους πρὸ τοῦ φίλου τὴν ἀλήθειαν θήσῃ, πυκνὸν καὶ βαθὺ σκότος ἐπηλυγάσεται καὶ λήσεται τοὺς ἀνθρώπους λεγόμενον. Ταῦτα μὲν περὶ τούτου. Θάτερον δὲ θεὸς καὶ ἐπέταξε καὶ ἀνέκρινεν ὃ τῇ φανταστικῇ φύσει χαριστήριον ἀνατέθειται. Ἔσκεπται δὲ ἐν αὐτῷ περὶ τῆς εἰδωλικῆς ἁπάσης ψυχῆς καὶ ἕτερ’ ἄττα προκεχείρισται δόγματα τῶν οὔπω φιλοσοφηθέντων Ἕλλησι. Καὶ τί ἄν τις ἀπομηκύνοι περὶ αὐτοῦ; Ἀλλ’ ἐξείργασται μὲν ἐπὶ μιᾶς ἅπαν νυκτός, μᾶλλον δὲ λειψάνου νυκτός, ἣ καὶ τὴν ὄψιν ἤνεγκε τὴν περὶ τοῦ δεῖν αὐτὸ συγγεγράφθαι. Ἔστι δὲ οὗ τῶν λόγων δίς που καὶ τρίς, ὥσπερ τις ἕτερος ὤν, ἐμαυτοῦ γέγονα μετὰ τῶν παρόντων ἀκροατής· καὶ νῦν ὁσάκις ἂν ἐπίω τὸ σύγγραμμα, θαυμαστή τις περὶ ἐμὲ διάθεσις γίνεται καί τις ὀμφή με θεία περιχεῖται κατὰ τὴν ποίησιν. Εἰ δὲ μὴ μόνον τὸ πάθος ἐμοῦ καὶ περὶ ἕτερον δ’ ἂν ταῦτα γένοιτο, σὺ καὶ τοῦτο μηνύσεις. Σὺ γὰρ δὴ μετ’ ἐμὲ πρώτη τῶν Ἑλλήνων ἐντεύξῃ. Ταῦτα τῶν τέως ἀνεκδότων ἀπέστειλα. Καὶ ἵνα τέλειος ὁ ἀριθμὸς ᾖ, προσέθηκα τὸν περὶ τοῦ Δώρου, πάλαι γενόμενον ἐν τῷ καιρῷ τῆς πρεσβείας πρὸς ἄνδρα παρὰ βασιλεῖ δυναστεύοντα· καί τι τοῦ λόγου τε καὶ τοῦ δώρου Πεντάπολις ὤνατο. 155

ΔΟΜΕΤΙΑΝΩΙ ΣΧΟΛΑΣΤΙΚΩΙ  

Πάνυ σαφῶς δι’ αὐτῶν καταμεμαθηκὼς τῶν ἔργων τὴν σὴν θαυμασίαν κεφαλὴν χαίρουσάν τε φιλανθρωπίᾳ καὶ τοῖς δεομένοις

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lettere 155, all’avvocato domiziano

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Su tutte queste questioni, attendo che tu esprima il tuo giudizio. Qualora tu ritenga che l’opera debba essere pubblicata, la porrò all’attenzione sia degli oratori che dei filosofi: i primi vi troveranno piacere, i secondi profitto. Ma ciò accadrà ovviamente soltanto se l’opera non sarà condannata dalla tua capacità di giudizio. Se invece non dovesse sembrarti degna dell’attenzione degli Elleni, giacché certamente anche tu, assieme ad Aristotele, preferisci la verità all’amicizia,440 un’oscurità spessa e profonda la coprirà e gli uomini non ne sentiranno mai parlare. Ma adesso basta riguardo a quest’opera. L’altra delle due opere, che consiste in un omaggio all’immaginazione,441 è stato Dio a ordinarla e a esaminarla. In essa si indaga dell’anima idolica442 in ogni sua parte e si tratta anche di alcune altre dottrine non ancora affrontate dalla filosofia degli Elleni. Allora perché dilungarci? L’opera è stata composta in una sola notte, anzi sul finire della notte, la stessa che mi ha recato la visione che mi ha spinto a scrivere. E in qualche passo, due o tre, mi è capitato di sentirmi come se fossi un altro me, come fossi divenuto, assieme ad altri presenti, l’ascoltatore di me stesso.443 E anche ora, tutte le volte che mi accosto a questo scritto, mi ritrovo in una condizione straordinaria e una voce divina mi circonda, come si legge in poesia.444 Se questa sensazione è solo mia o si genera anche in qualcun altro, anche questo mi farai sapere. Tu, infatti, sei la prima tra gli Elleni, dopo di me, ad approcciarti a questo scritto. Questi libri che ti invio non sono stati ancora pubblicati. Ma per ottenere il numero perfetto, aggiungo il discorso Sul dono,445 che risale a diverso tempo fa, all’epoca della mia ambasciata, e che dedicai a un potente personaggio vicino all’imperatore; e dal discorso e dal dono, la Pentapoli ha ottenuto qualche vantaggio. 155

All’avvocato Domiziano Da Tolemaide ad Alessandria, 412 o 413

Appreso in maniera molto chiara dalle tue azioni il piacere che la tua ammirabile persona prova nel dimostrare la propria umanità e

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sinesio di cirene

χεῖρα βοηθείας βουλομένην ὀρέγειν, ἐπ’ αὐτὸ δὴ τοῦτό σε παρακαλῶ, «ἵππον εἰς πεδίον» – τοῦτο δὴ τὸ τοῦ λόγου – προτρέπειν ἡγούμενος. Καί σοι πλέον ἢ πρότερον, ὦ φίλη κεφαλή, νῦν τὴν φιλανθρωπίαν ἐπιδεικτέον ὅσῳ καὶ τὸ πρόσωπον ἐλεεινότερόν ἐστι νῦν τὸ εὖ πεισόμενον. Γυνή τε γάρ ἐστιν αὕτη καὶ γυνὴ δυστυχήσασα χηρείαν, εἶτα σὺν ὀρφανῷ παιδίῳ παθοῦσα ἃ πέπονθεν. Ὅστις δέ ἐστιν ὁ ταύτην ἀδικήσας καὶ ἅ τι καὶ ὅπως, αὐτὴ διδάξει τὴν σὴν καλοκαγαθίαν. Ὅρα τοίνυν, ὦ θαυμάσιε, ὅπως ἐπαμύνῃς τῇ γυναικὶ καὶ διὰ τὸ καλῶς ἔχον καὶ διὰ τὸ σοὶ πρέπον καὶ δι’ ἐμέ. Μεθέξω γὰρ ἔτι σοι κἀγὼ τῶν εἰς αὐτὴν γινομένων, συγγενίδα τε οὖσαν ἐμὴν καὶ τεθραμμένην ὑπὸ μητρὶ κοσμίᾳ σωφρόνως παρ’ ἡμῖν. 156

ΤΩΙ ΑΥΤΩΙ  

Τὰ δίκαια χρῄζει συμμάχων καὶ γένοιντ’ ἂν οἱ βοηθοῦντες αὐτοῖς εὐδαίμονες, τοῖς ὀρθῶς ἔχουσι συμπονοῦντες. Εἱλόμην δή σε τούτων πρόβολον, γνώμῃ τε ἀμύνοντα καὶ τέχνῃ. Τὸ μὲν οὖν ἐμὸν ἅπασιν εὖ ποιεῖν οἷς ἂν δύνωμαι. Δίδου δὲ αὐτὸς ἀφορμάς· αἰσθήσῃ γὰρ φιλίας ἣν οὔτε αὐτὸς μέμψῃ, γελάσει τε ἴσως οὐδείς.

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lettere 156, all’avvocato domiziano

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nel voler tendere la mano a chi chiede il suo aiuto, proprio a questo allora ti esorto, credendo di spingere “il cavallo verso la pianura”,446 come dice il proverbio. Anche più di prima, carissimo, adesso devi dimostrare la tua umanità, quanto più la persona che ne beneficerà è adesso più degna di compassione. Si tratta di una donna, di una donna che ha avuto la sfortuna di restare vedova e che condivide questa situazione con un bambino rimasto orfano. Chi le abbia fatto questo torto, che cosa abbia fatto esattamente e come, lei stessa lo racconterà alla tua nobiltà. Vedi dunque, ammirabile amico, di venire in aiuto a questa donna, perché è una buona azione, perché è un’azione degna di te, nonché per fare un favore a me. Infatti, prenderò parte con te a quanto le accadrà, essendo mia parente ed essendo stata allevata nella temperanza, presso di noi, da una madre onesta. 156

Allo stesso Da Tolemaide ad Alessandria, 412 o 413

La giustizia necessita di alleati e quelli che la soccorrono possono dirsi felici, in quanto collaborano con quanto è corretto. Ho scelto te come difensore di tale principio, perché sei portato a difenderlo sia dalla tua intelligenza che dalla tua professione. Il mio compito è di fare del bene a tutti quelli a cui mi è possibile. Tu dammene l’occasione: proverai allora un’amicizia della quale non avrai da lamentarti e della quale certamente nessuno riderà.

ΕΙΣ ΤΟΝ ΑΥΤΟΚΡΑΤΟΡΑ ΠΕΡΙ ΒΑΣΙΛΕΙΑΣ

ALL’IMPERATORE, SUL REGNO

1.  Ἆρα, εἰ μή τις ἐκ πόλεως ἥκοι μεγάλης τε καὶ πλουτούσης καὶ κομίζοι λόγους γαύρους τε καὶ χλιδῶντας, οἵους ῥητορικὴ καὶ ποιητικὴ τίκτουσι, πάνδημοι τέχναι πάνδημα ἔκγονα, τοῦτον, ὅταν ἐνθάδε γένηται, δεῖ κάτω νεύειν, ὡς οὐκ οὔσης αὐτῷ παρρησίας ἐν βασιλείοις οὔτε ἐρυγγάνειν, οὐκ ἔχοντι τῆς πατρίδος τὸν ὄγκον, οὔτε παρασχεῖν ἀκροαμάτων χαριέντων τε καὶ συνήθων ἡδονὴν καταδημαγωγησόντων βασιλέα τε καὶ τοὺς συνεδρεύοντας; Ἢ καὶ φιλοσοφίαν ποτὲ ἐπιδημοῦσαν προσήσεσθε, καί τις αὐτὴν οὐκ ἀμφιγνοήσει δεῦρο διὰ πλείστου φανεῖσαν, ἀλλὰ ξεναγήσει καὶ κατερεῖ τι αὐτῆς ἀγαθὸν πρὸς οὓς ἄξιον; Δεῖται γάρ που τούτων οὐχ ἑαυτῆς, ἀλλ’ ὑμῶν ἕνεκα, μὴ καταφρονηθεῖσα ἀνόνητος ἂν γενέσθαι. Αὐτὴ μέντοι παρέξεται λόγους, οὐ τοὺς ἱλαροὺς δὴ τούτους καὶ διατιθέντας ἐν ἡδονῇ τὰ μειράκια, ὡς οὔτε ἤθει διαρρέοντας οὔτε λέξεσι κομμωθέντας εἰς νόθου κάλλους ἐπίδειξιν· ἀλλ’ ἕτερον τρόπον τοῖς ἐφικέσθαι δυναμένοις, τὸν ἐμβριθῆ τε καὶ ἔνθεον, ἀρρενωποὺς καὶ σεμνοὺς καὶ ἀπαξιοῦντας ἀνελευθέρου θωπείας χάριν τὰ παρὰ τῶν δυνατῶν ἐξωνεῖσθαι. Οἳ δὲ οὕτως ἄρα ἀστεμφῶς ἔχουσι, καί εἰσι πάντολμοι δή τινες, καὶ ὡς ἐν βασιλείοις ἀλλόκοτοι ὥστε οὐδέ φασιν αὐτοῖς ἀποχρήσειν εἴ τις ξυγχωρήσει μὴ πάντα ἐκ πάντων ἐπαινεῖν τὰ βασιλέως καὶ βασιλέα· ἀλλ’ εἴ πῃ παρείκοι, καὶ λυπήσειν ἀνατείνονται καὶ ἀπειλοῦσι δήξεσθαι τὴν καρδίαν οὐκ ἐν χρῷ μόνον, ἀλλὰ καὶ μέσην, εἰ ἄρα τις ἀνιαθεὶς ὠφελήσοιτο. 2.  Πολλοῦ μεντἂν ἄξιος εἴη βασιλέως ἀκοῇ λόγος ἐλεύθερος· ὁ δὲ ἐφ’ ἅπαντι γινόμενος ἔπαινος σὺν ἡδονῇ λυμαινόμενος ἐοικέναι

1.  Deve forse chinare la testa colui che non giunga qui a nome di una grande e ricca città e non rechi discorsi superbi e ridondanti quali quelli prodotti dalla retorica e dalla poesia (frutti volgari di arti volgari), visto che, non provenendo da una patria particolarmente importante, non può liberamente esprimersi nella residenza imperiale né offrire il diletto di allettanti e consuete declamazioni che riescano a conquistarsi il favore del sovrano e dei suoi consiglieri? Oppure riceverete anche la filosofia, qualora si presenti? Di certo chi non avrà alcun dubbio che essa faccia di nuovo la sua comparsa qui dopo moltissimo tempo la accoglierà ospitalmente e ne tesserà la lode per coloro che ne siano degni. Giacché la filosofia non lo domanda per se stessa, ma per voi, temendo di risultare inutile se disprezzata. Ovviamente non vi presenterà quei discorsi frivoli che piacciono tanto ai giovani, ma dei discorsi che non sono né dissoluti quanto a moralità né adorni di espressioni volte a sfoggiare soltanto una falsa bellezza. Viceversa, essi appaiono molto diversi agli occhi di coloro che sono in grado di comprenderli: densi, ispirati, virili, solenni, restii ad accaparrarsi il favore dei potenti attraverso lusinghe servili. Insomma, sono così inflessibili, audaci e quasi fuori luogo in un palazzo imperiale da non potersi dire soddisfatti neppure della concessione di non lodare in tutto e per tutto l’imperatore e l’impero; nel caso in cui fosse loro permesso, infatti, si spingerebbero fino ad attaccare e minaccerebbero di “mordere il cuore”1 non soltanto in superficie ma anche in profondità, se mai chi ne fosse colpito potesse trarne un qualche vantaggio. 2.  Assai degno dell’ascolto del sovrano è il discorso libero: viceversa, la lode in ogni circostanza accompagna al piacere un grave

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sinesio di cirene

μοι δοκεῖ τῶν φαρμάκων ἃ μέλιτι δεύσαντες τοῖς ἀπολουμένοις ὀρέγουσιν. Οὐκ οἶσθ’ ὅτι μαγειρικὴ μὲν κατακαρυκεύουσα καὶ νόθους ὀρέξεις ἐκκαλουμένη λωβᾶται τοῖς σώμασι, γυμναστικὴ δὲ καὶ ἰατρικὴ σῴζετον ἄμφω τὸ παραυτίκα λυποῦσαι; Σὲ τοίνυν ἐγὼ βούλομαι τῶν σῳζομένων εἶναι καὶ εἰ μέλλεις δυσχεραίνειν ἐπὶ τῷ σῴζεσθαι. Κρέα μὲν γὰρ οὐκ ἐᾷ διαρραγῆναι στυφότης ἁλῶν· νέου δὲ βασιλέως γνώμην ὑπ’ ἐξουσίας ᾗ ἂν τύχῃ βαδιουμένην συνέχει λόγων ἀλήθεια. Οὕτως οὖν ἀνάσχοισθε τοῦ ξένου γένους τῶν λόγων· ἀλλὰ μὴ ἀγροικίας ἐν ὑμῖν ἁλώσονται καὶ κατασιγασθεῖεν, πρὶν καὶ βραχὺ προχωρῆσαι, ὅτι μή εἰσι θεραπευταὶ πειθοῦς, νέοις ἡδεῖς καὶ συμπαίστορες, ἀλλὰ παιδαγωγοί τινες ἀτεχνῶς σωφρονισταὶ καὶ βαρεῖς ἐντυχεῖν. Εἰ δὲ γένοισθε καρτεροὶ συνουσίαν τοιάνδε βαστάσαι καὶ μὴ παντάπασιν ὑμῖν ὑπὸ τῶν ἐπαίνων οὓς ἀκούειν εἰώθατε τὰ ὦτα ἐκδεδιῄτηται, ἔνδον μὲν δὴ ὅδ’ αὐτὸς ἐγώ.

3.  Ἐμέ σοι πέμπει Κυρήνη, στεφανώσοντα χρυσῷ μὲν τὴν κεφαλήν, φιλοσοφίᾳ δὲ τὴν ψυχήν, πόλις Ἑλληνίς, παλαιὸν ὄνομα καὶ σεμνὸν καὶ ἐν ᾠδῇ μυρίᾳ τῶν πάλαι σοφῶν· νῦν πένης καὶ κατηφὴς καὶ μέγα ἐρείπιον καὶ βασιλέως δεόμενον εἰ μέλλοι τι πράξειν τῆς περὶ αὐτὴν ἀρχαιολογίας ἐπάξιον. Ταύτην μὲν δή μοι τὴν ἔνδειαν, ὅταν αὐτὸς ἐθέλῃς, ἰάσῃ, καὶ ἐπὶ σοὶ βουληθέντι παρὰ μεγάλης τε καὶ εὐδαίμονος ἤδη τῆς πατρίδος τὸν δεύτερόν με διακομίσαι σοι στέφανον. Οἱ λόγοι δὲ οὐδὲ νῦν τι δέονται πόλεως ὥστε ἐλευθεροστομῆσαι καὶ βασιλέα θαρρῆσαι· ἀλήθεια γὰρ δὴ λόγων εὐγένεια· καὶ διὰ τόπον οὐδείς πω λόγος αἰσχίων οὐδὲ κυδίων ἐγένετο. Ἰτητέον οὖν ἅμα τῷ θεῷ καὶ ἐγχειρητέον τῷ καλλίστῳ τῶν λόγων, ἀληθέστερον δὲ φάναι, τῶν ἔργων. Ὁ γὰρ ἑνὸς ἀνδρός, τοῦ

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all’imperatore sul regno 2-3

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danno e mi pare simile a quei veleni che irrorati di miele si porgono a chi è prossimo a morire. Non sai che una cucina troppo elaborata, stimolando un appetito fittizio, nuoce al corpo, mentre la ginnastica e la medicina, pur risultando spiacevoli sul momento, sono entrambe arti salutari? Io desidero che tu sia sano, anche se per questo dovrai sopportare qualche fastidio. L’acredine del sale impedisce alla carne di andare a male; allo stesso modo i discorsi fondati sulla verità trattengono il giovane sovrano dall’avanzare con le proprie decisioni su di un percorso poco meditato, a cui potrebbe essere indotto, viceversa, dall’enorme potere. Sopportate dunque queste mie parole, sebbene insolite: mi auguro che non le accuserete di irriverenza e non le farete tacere, non prima, almeno, che abbiano un poco proceduto, poiché non si tratta di servitori dediti all’adulazione né di amabili compagni di giochi per fanciulli, ma di precettori totalmente presi dal loro ruolo e certo austeri al primo approccio. Tuttavia, se avrete la pazienza di tollerare una simile compagnia e se le vostre orecchie non sono state del tutto traviate dalle lodi che ascoltate abitualmente, “eccomi davanti a voi”.2

3.  Mi trovo qui presso di te, a coronarti la testa di oro3 e l’anima di filosofia, per conto della greca città di Cirene, nome antico e nobile, decantato da moltissimi poeti del passato, oggi città misera, umiliata, caduta in rovina, ridotta a supplicare l’imperatore di compiere qualcosa che possa dimostrarsi all’altezza della sua storia gloriosa. Qualora tu lo voglia, è in tuo potere porre rimedio a questa carenza che certo mi tocca e dalla tua decisione dipenderà il fatto che io possa portarti una seconda corona4 da parte della mia patria ormai tornata grande e felice. Ma il mio discorso non ha adesso alcun bisogno di richiamarsi alla città per rivolgersi liberamente e con schiettezza all’imperatore: la verità, infatti, è ciò che conferisce nobiltà alle parole e nessuna orazione mai è stata più infame o più illustre sulla base del luogo di provenienza. Procediamo dunque in accordo con Dio e diamo inizio al più bello dei discorsi o, per meglio dire, delle azioni. Chi infatti si adoperi

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sinesio di cirene

βασιλέως, ἐπιμεληθεὶς ὅπως ἂν ἄριστος εἴη, τὴν συντομωτάτην ἐβάδισεν ἐπὶ τὸ πάντας μὲν οἴκους ἐπανορθοῦν, πόλεις τε πάσας, ἔθνη τε πάντα, καὶ μικρὰ καὶ μείζω, καὶ τὰ γείτονα καὶ τὰ πόρρω, ἃ πάντα ἀπολαύειν ἀνάγκη τῆς ὅπως ποτὲ ἐχούσης τοῦ βασιλέως ψυχῆς. Βούλει δὴ ποιῶμεν οὕτω τὴν πρώτην, ἵνα μοι καὶ περιμείνῃς τὸν λόγον; Σοφὸν γὰρ ἂν εἴη μὴ προσοβῆσαι τὴν θήραν. Λέγωμεν δὴ ἅ τε χρεὼν εἴη βασιλέα ποιεῖν ἅ τε μὴ χρεών, ἀντιπαρατιθέντες αἰσχρὰ καὶ σεμνά. Σὺ δὲ τοῖς ἐξ ἑκατέρας μερίδος ἐφιστάμενος, ὅταν ἐπιγνῷς τί προσῆκον, τὸ μὲν ἀγαπᾶν, ὡς ὑπὸ φιλοσοφίας ἐγκεκριμένον, τὸ δὲ ἀποδιοπομπεῖσθαι, καὶ διανοεῖσθαι δή, τὸ μὲν ὡς ἀεὶ ποιήσων, τὸ δὲ ὡς οὐκέτ’ αὖθις. Ἀλλὰ παρὰ τὸν καιρὸν τῶν λόγων, ἐπὶ τοῖς μὴ χρεὼν οἷς ἡμεῖς τε σύ τε σαυτῷ συνεπίστασαι, δυσχεραίνων τε φαίνου σαυτῷ καὶ ἐρυθριῶν, ὅτι δὴ πέφηνε σὸν ὃ μὴ ἄξιον εἶναι σόν. Τό τοι χρῶμα τοῦτο τὴν ἐκ μετανοίας ἀρετὴν ὑπισχνεῖται· καὶ αἰδὼς αὕτη θεία τέ ἐστι καὶ Ἡσιόδῳ δοκεῖ. Ὁ δὲ ἐπὶ τοῖς ἁμαρτανομένοις ἰσχυρογνώμων, αἰσχυνόμενος ὁμολογίαν ἀγνοίας, οὐ κερδαίνει γνῶσιν ἐκ μετανοίας οὐδὲ δεῖται λόγων ἰατρῶν, ἀλλ’ ἀνὴρ ἂν φαίη σοφὸς ὅτι κολάσεως. Οὕτω που τραχεῖά τε ἐκ φροιμίου καὶ χαλεπὴ φιλοσοφία προσφέρεσθαι. 4.  Αἰσθάνομαι γάρ τοι ἐνίων ὑμῶν ἐκταραττομένων τε ἤδη καὶ τὴν ἐλευθερίαν ἐν δεινῷ τιθεμένων· ἀλλ’ ὑπεσχόμην τε οὕτω ποιεῖν, καὶ τῶν προγνόντων ἦν δήπου φράξασθαι καρτερῶς καὶ ἀντέχειν ταῖς ἐμβολαῖς· καίτοι ταῦτα σύ τε χαίρεις ἀκούων καὶ ἅπαντες ὑμνοῦσι. Κἀγώ σοι σύμφημι μέγεθος ἀρχῆς ἑνὶ μηδενὶ τοσόνδε παρεῖναι, καὶ πλούτου θημῶνας ὑπὲρ τὸν πάλαι Δαρεῖον, καὶ ἵππον πολλάκις μυρίαν, καὶ τοὺς χρωμένους τοξότας τε καὶ θωρακοφόρους, πρὸς οὕς, ἡγεμόνος τυγχάνοντος, ἀσθενὲς ἅπαν

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all’imperatore sul regno 3-4

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affinché a risultare il migliore sia un uomo in particolare, l’imperatore, ha intrapreso certo la via più breve per arrivare a correggere anche ogni famiglia, ogni città, ogni popolo, piccolo e grande, vicino e lontano, in quanto è inevitabile che tutti questi dovranno confrontarsi con l’indole del sovrano, quale che sia. Concedimi dunque di iniziare così, affinché tu possa ascoltare pazientemente il mio discorso: non sarebbe saggio, infatti, mettere in fuga la preda. Diciamo dunque cosa dovrebbe fare un re e cosa invece non dovrebbe, ponendo a confronto azioni nobili e ignobili. Dopo aver valutato la questione da entrambe le prospettive, non potrai che desiderare il bene, una volta che lo avrai riconosciuto (allora, infatti, sarai stato ammesso all’interno della filosofia), e al contempo non potrai che rifiutare il suo contrario, proponendoti di seguire sempre ciò che è bene e mai più ciò che non lo è. Ma a un certo punto del nostro discorso, quando tratteremo di alcune cose che non avresti dovuto fare e che, come te, ben conosciamo, ti mostrerai indignato verso te stesso e arrossirai, poiché sembrò tuo ciò che invece non avrebbe dovuto esserlo. Quel rossore, però, è la promessa del valore che emerge dal pentimento: anche in Esiodo il pudore è considerato cosa divina.5 Viceversa, chi persevera nell’errore e stenta ad ammettere la propria ignoranza non può ottenere la conoscenza che segue al pentimento e certo non necessita di parole che lo guariscano, ma, come direbbe il sapiente, solo di un castigo. Così duro e difficile si dimostra, sin dal primo approccio, accostarsi alla filosofia. 4.  Mi accorgo che alcuni di voi stanno già turbandosi e irritandosi per la mia franchezza: eppure ho premesso fin dal principio che il mio atteggiamento sarebbe stato questo e sta semmai a coloro che sono stati avvisati guardarsi con attenzione e resistere agli attacchi. Certo, tu godi ad ascoltare quelle parole: tutti non fanno altro che lodarti. Concordo pienamente sul fatto che nessun altro prima di te ha mai goduto di un potere tanto immenso, né di un accumulo di ricchezze tali da superare l’antico Dario,6 né di centinaia di migliaia di cavalli montati da arcieri e corazzieri, contro i quali (se guidati da un comandante) ogni opposizione non può che risultare

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sinesio di cirene

τὸ ἀνθιστάμενον. Πόλεις δὲ ἀριθμὸν νικῶσαι προσκυνοῦσιν, οὐδὲ ὁρώμενον αἱ πλείους οὐδὲ ἰδεῖν προσδοκῶσαι τὸ κρεῖττον εὔχεσθαι θέαμα. Ταῦτά σοι καὶ παρ’ ἡμῶν ἅπαντος ἂν μᾶλλον ἀληθῆ λέγοιτο. Τί οὖν τὸ μὴ συμβαῖνον ἡμῶν ἐκείνοις; Οἱ μὲν ἐντεῦθέν σοι πλέκουσιν ἔπαινον καὶ καλοῦσιν εὐδαίμονα, ἐγὼ δὲ ἥκιστα μὲν ἂν ἐντεῦθεν ἐπαινέσαιμι· μάλιστα δὲ ἂν μακαρίσαιμι. Ἔστι δὲ οὐ μία φύσις, ἀλλ’ ἕτερον ἑκάτερον, μακαρισμὸς καὶ ἔπαινος. Μακαρίζεται μὲν γάρ τις ἐπὶ τοῖς ἔξωθεν· ἐπαινεῖται δὲ ἐπὶ τοῖς ἔνδοθεν, ἐφ’ ὧν εὐδαιμονία τὴν ἕδραν ἴσχει. Κἀκεῖνο μέν ἐστι τύχης ἀτέκμαρτον δῶρον, τοῦτο δὲ γνώμης οἰκεῖον ἀγαθόν. Ταύτῃ καὶ τὸ μέν ἐστι παρ’ ἑαυτοῦ βέβαιον, εὐτυχία δὲ πλάνον καὶ πολλάκις γε ἀντιπεριϊστάμενον εἰς τοσοῦτον τὸ ἀντικείμενον. Καὶ δεῖ μὲν ἐπὶ τὴν φυλακὴν αὐτοῦ θεοῦ, δεῖ δὲ νοῦ, δεῖ δὲ τέχνης, δεῖ δὲ καιροῦ, δεῖ δὲ ἔργων πολλῶν, καὶ πολλαχοῦ καὶ παντοδαπῶν δὲ τούτων ὧν οὔτε πεῖρά τις οὔτε ἔχει πειρωμένοις εὐμάρειαν. Οὐ γὰρ ὥσπερ παραγίνεται τοῖς ἀνθρώποις μακαρισμός, οὕτως ἀπραγματεύτως διασῴζεται· ἀλλ’ ὁρᾷς γὰρ τίσι βίοις αἱ τραγῳδῶν σκηναὶ κεχορήγηνται, οὐκ ἀφ’ ὧν δυστυχοῦσιν ἰδιῶται καὶ πένητες, ἀλλ’ ἀφ’ ὧν ἰσχυροὶ καὶ δυνάσται καὶ τύραννοι. Οὐ γὰρ χωρεῖ μέγεθος συμφορᾶς οἰκία μικρὰ οὐδὲ ὄγκον ἀτυχημάτων πτωχεία· τὸν δὲ λαμπρὸν ταῖς τύχαις, τοῦτον ἔστι καὶ κινδύνοις ἐπιφανῆ γενέσθαι καὶ θατέρᾳ μερίδι τοῦ δαίμονος. Ἀλλὰ καὶ πολλάκις μὲν ἤρξατο εὐτυχίας ἀρετὴ καὶ ἔπαινος ἡγήσατο μακαρισμοῦ τοῖς ἀνθρώποις, ὥσπερ αἰσχυνομένης τῆς τύχης ἀρεταῖς ἐπιδήλοις μὴ μαρτυρῆσαι. Κἂν δεήσῃ τοῦτο πιστώσασθαι παραδείγμασι, μὴ θύραθεν αὐτὸ μετίωμεν· ἀναπέμπασαι δὲ τὸν πατέρα καὶ ὄψει τὴν ἀρχὴν αὐτῷ μισθὸν ἀρετῆς δοθεῖσαν. Τύχη δὲ ἀρετῆς ἀναίτιος· ἀλλὰ τῶν γε κατ’ ἀρετὴν ἔργων ἤδη πού τινες καὶ τύχην συνεπεσπάσαντο. Τούτοις ἐναρίθμιος εἴης, ὦ βασιλεῦ, ἵνα μὴ

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all’imperatore sul regno 4

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inefficace. Si prostrano a te innumerevoli città, la maggior parte delle quali neanche ti ha mai visto, né si aspetta di poterti mai vedere, tu, spettacolo troppo sublime per essere invocato. Tutto questo è vero e noi potremmo dirlo meglio di chiunque altro. In cosa dunque non conveniamo con costoro? Nel fatto che quelli, partendo da tali presupposti, ti intessono lodi e ti definiscono felice, mentre io, muovendo dalle stesse premesse, non potrei assolutamente celebrarti; al massimo, potrei elogiare la tua condizione. Non sono affatto la stessa cosa, infatti, bensì concetti assai diversi, l’esaltazione e la lode. Si esalta qualcuno per le circostanze esteriori, lo si loda invece per i meriti interiori, su cui poggia la vera felicità; le prime sono un imprevisto dono del destino, i secondi un bene proprio dell’intelligenza. Così, se il benessere interiore trova la causa della propria stabilità in se stesso, la buona sorte è variabile e tende spesso a convertirsi nel suo contrario: per preservarla si richiede il concorso della stessa divinità, dell’intelligenza, dell’abilità, di circostanze favorevoli, e poi di azioni numerose, ravvicinate e diverse, di cui non si sia già fatto esperienza o che comunque non si presentino agevoli a chi le ha già tentate. Infatti, se una vita agiata può toccare in sorte anche senza alcuno sforzo, non sarà certo così che la si potrà mantenere. Considera quali sono le esistenze che vanno a popolare le scene delle tragedie: non sono le persone comuni e i poveri a essere colpiti dalla sventura, ma i potenti, i principi, i tiranni. La grande sciagura, infatti, non trova spazio nella piccola casa, né la miseria può ospitare la mole della rovina; viceversa, una grande visibilità nei momenti di buona sorte si dimostra tale anche nei confronti dei pericoli e dell’altra faccia del destino. Eppure, spesso anche il valore è stato causa di successo e la lode ha menato gli uomini all’esaltazione, quasi come se la sorte avesse ritegno a non rimarcare quanto emerge dalla virtù. Se fosse necessario dimostrare questo ricorrendo a degli esempi, non c’è neppure bisogno di varcare la soglia: pensa a tuo padre7 e vedrai che ottenne il potere come ricompensa dei propri meriti. Non è la fortuna la causa della virtù: ma alcuni uomini attraverso azioni valorose sono riusciti ad attrarsi la buona sorte. Che tu, nostro imperatore, possa essere annoverato fra questi, affinché la

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sinesio di cirene

μάτην δεῦρο φιλοσοφία φθέγγηται. Εἴη σοι τὸ βασιλεύειν ταύτῃ σεμνόν, ὅτι τὴν ἀρετὴν ἐγύμνασεν καὶ προήγαγεν δεομένην ὕλης ἀποχρώσης οἰκείῳ μεγέθει, καὶ οὐκ ἂν χωρηθεῖσαν ἐν ὑποθέσει βίου βασιλείας ἐλάττονι. 5.  Ἀσκητέον οὖν τὴν ψυχὴν ἔχειν βασιλικῶς καὶ ἀπολογητέον ὑπὲρ τῆς τύχης, ἵνα μὴ ἀλογίας διώκηται, ὡς οὐχ ὁμοίοις φροιμίοις σοί τε καὶ τῷ πατρὶ προῆλθεν ὁ βίος. Τῷ μὲν ἡ στρατεία βασιλείαν προὐξένησεν, σὲ δὲ στρατεύει τὸ βασιλεύειν, καὶ ὀφείλεις ἀρετὴν τῇ τύχῃ· ὁ μὲν τἀγαθὰ πόνοις ἐκτήσατο, σὺ δὲ αὐτὰ ἀπόνως ἐκληρονόμησας· δεῖ δὴ πόνων ἐπὶ τὴν φυλακήν. Καὶ τοῦτ’ ἔστιν ὃ πάλαι λέγω, τὸ χαλεπὸν καὶ μυρίων ὀμμάτων δεόμενον, μή, ὅπερ εἴωθεν ἡ τύχη ποιεῖν, ἀνακάμψῃ μεταξὺ τῆς ὁδοῦ, καθάπερ οἱ μοχθηροὶ τῶν συνοδοιπόρων· τούτοις γέ τοι τὸ ἀστάθμητον αὐτῆς οἱ σοφοὶ προσεικάζουσιν, Ὁρᾷς ὅτι καὶ τῷ πατρί, καίτοι σαφῶς ἐπὶ κατορθώμασι γενομένης τῆς ἀναρρήσεως, οὐδὲ τὸ γῆρας ἀκόνιτον ἀφῆκεν ὁ φθόνος· οὐκοῦν οὐδὲ ὁ θεὸς ἀστεφάνωτον· ἀλλ’ ἐπὶ δύο τυράννους ἐλθὼν καὶ ἄμφω βαλών, ἐπὶ τῷ δευτέρῳ τροπαίῳ καταλύει τὸν βίον, ἀνθρώπων μὲν οὐδενί, τῇ δὲ φύσει παραχωρήσας, πρὸς ἣν οὔτε ὅπλον ἰσχυρόν, οὔτε νοῦς εὐμήχανος· ἐντάφιόν τε ἔσχε τὴν ἀρετήν, ἀδήριτον ὑμῖν τὴν βασιλείαν καταλιπών, ἣν σῴζοι μὲν ὑμῖν ἀρετή, σῴζοι δὲ διὰ τῆς ἀρετῆς ὁ θεός. Ὡς ἁπανταχοῦ δεῖ θεοῦ, καὶ οὐχ ἥκιστα παρὰ τοῖς οὐκ ἀθληταῖς οὐδὲ αὐτουργοῖς, ἀλλ’, ὥσπερ ὑμῖν, κληρονόμοις τῆς τύχης. Ἧς ὅτῳ πλεῖστον ἔνειμεν ὁ θεός, καὶ ὃν ἔτι κομιδῇ παῖδα μέγαν βασιλέα καλεῖσθαι πεποίηκεν, τοῦτον δεῖ πάντα μὲν πόνον αἱρεῖσθαι, πᾶσαν δὲ ῥᾳστώνην ἀπολιπεῖν,

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all’imperatore sul regno 4-5

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filosofia non si pronunci qui invano. Possa dunque il governare risultarti cosa assai degna, poiché è allora che si esercita e che progredisce il tuo valore, che necessita di risorse adeguate alla propria grandezza e che non potrebbe adattarsi a un’esistenza inferiore a una vita da re. 5.  È quindi necessario che tu ti sforzi affinché la tua anima assuma dignità regale, difendendo così la sorte da eventuali accuse di irrazionalità, non avendo certo mosso da identiche premesse la vita tua e quella di tuo padre. Nel suo caso furono le imprese belliche a procurargli il regno,8 nel tuo invece è il potere a portarti alla guerra e questo fa sì che il tuo valore debba qualcosa alla sorte; quello si guadagnò i suoi beni con le fatiche, tu li hai ereditati senza dover compiere alcuno sforzo: eppure dovrai faticare per preservarli. E, come dicevo prima, si tratta di un’impresa molto difficile che richiede mille attenzioni, onde evitare che la sorte, come è solita fare, ritorni indietro a metà percorso, alla maniera di quei cattivi compagni di viaggio cui i sapienti tendono a paragonare la sua incostanza. Vedi che a tuo padre, per quanto la sua proclamazione sia stata chiaramente dovuta ad azioni virtuose, l’invidia non lasciò libera dai conflitti neppure la vecchiaia (anche se Dio, in verità, la mantenne comunque gloriosa): egli mosse guerra ai due tiranni e li vinse entrambi, per poi spegnersi poco dopo la seconda vittoria.9 Pur non essendo mai arretrato dinanzi a nessuno, dovette cedere il passo alla natura, solo avversario contro cui nessuna arma si rivela abbastanza forte, nessuna mente abbastanza ingegnosa. Come sudario ebbe la virtù, lasciando a voi10 un impero incontestato. Che quella virtù possa preservarvelo e che grazie a essa possa preservarvelo Dio. Dappertutto, infatti, c’è necessità dell’intervento divino, specialmente in quei casi in cui, come nel vostro, si è stati eredi della buona sorte senza aver mai dovuto lottare e senza aver mai dovuto compiere degli sforzi. Chiunque da Dio abbia ricevuto molta fortuna, chiunque, con il suo favore, sia stato chiamato “grande basileus” quando ancora era soltanto un bambino,11 costui deve assumersi l’onere di qualunque fatica, rinunciare a ogni sorta di agio, concedersi poco sonno,

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sinesio di cirene

ὕπνου μὲν ὀλίγον, φροντίδων δὲ πλεῖστον μεταλαγχάνοντα, εἰ μέλλοι τις τὸ βασιλέως ὄνομα προσῆκον αὐτῷ περικεῖσθαι. Εὖ γὰρ ὁ παλαιὸς ἔχει λόγος, ὡς οὐ τὸ πλῆθος τῶν ὑπηκόων ποιεῖ βασιλέα, οὐ μᾶλλον ἢ τύραννον, ἐπεὶ μηδὲ πλῆθος προβάτων ποιεῖ ποιμένα, οὐ μᾶλλον ἢ μάγειρον ὃς ἐλαύνει κατακόψων αὐτὰ καὶ ἐμφορηθησόμενός τε αὐτὸς καὶ ἄλλοις δεῖπνον ἀποδωσόμενος. 6.  Ἴσοις ὅροις φημὶ βασιλέα τε καὶ τύραννον διεστάναι· καίτοι τὰ παρὰ τῆς τύχης ἀμφοῖν ὅμοια. Ἄρχουσιν ἑκάτερος ἀνθρώπων πολλῶν. Ἀλλ’ ὃς μὲν ἂν ἑαυτὸν συντάττῃ τῷ φαινομένῳ τῶν ἀρχομένων καλῷ καὶ ἐθέλῃ μοχθεῖν ἵνα μηδὲν ἐκείνοις ᾖ μοχθερόν, καὶ προκινδυνεύειν ἵνα ἐπ’ ἀδείας ἐκεῖνοι βιοτεύωσι καὶ ἀγρυπνεῖν καὶ συνεστιᾶσθαι μερίμναις ἵνα νύκτωρ καὶ μεθ’ ἡμέραν σχολάζωσι δυσχερῶν, οὗτός ἐστιν ἐν προβάτοις μὲν ποιμήν, ἐν ἀνθρώποις δὲ βασιλεύς. Ὅστις δὲ ἀπολαύει τῆς ἡγεμονίας εἰς τρυφὴν καὶ καθηδυπαθεῖ τὴν ἐξουσίαν, οἰόμενος δεῖν ἐμπιπλάναι τὰς αὐτὸς αὑτοῦ πάσας ὀρέξεις, ὅθεν οἰμώξεται τὸ ἀρχόμενον, τοῦτο κέρδος τοῦ πολλῶν ἄρχειν τιθέμενος, τὸ παρὰ πολλῶν αὐτῷ θεραπεύεσθαι τῆς ψυχῆς τὸ ἡδόμενον· καὶ καθάπαξ εἰπεῖν, ὅστις οὐ πιαίνει τὴν ἀγέλην, ἀλλ’ αὐτὸς ὑπὸ τῆς ἀγέλης θέλει πιαίνεσθαι, τοῦτον καλῶ μάγειρον ἐπὶ βοσκημάτων, τοῦτον ἀποφαίνω τὸν τύραννον ὅταν ᾖ δῆμος ἔλλογος τὸ ἀρχόμενον. Εἷς οὗτος βασιλείας σοι γνώμων. Σὺ δὲ ἤδη σαυτὸν πρόσαγε τῷ βασανιστηρίῳ· κἂν μὲν ἐφαρμόζῃς, χρῆσθαι δικαίως τῇ σεμνῇ προσηγορίᾳ τοῦ σεμνοῦ πράγματος· ἀφαρμόζων δέ, ἐπανορθοῦν πειρῶ τὰ διάστροφα καὶ τῷ κανόνι προσφύεσθαι. Οὐ γὰρ ἀπογινώσκω τῆς ἡλικίας χωρῆσαι πᾶσαν ἐπίδοσιν, μόνον εἴ τις αὐτὴν εἰς ζῆλον ἀρετῆς μυωπίσειεν· ἰσχυρὸν γὰρ ἡ νεότης ἐφ’ ἑκατέρᾳ ῥοπῇ, ὥσπερ οἱ ποταμοὶ ταῖς δοθείσαις ὁδῶν ἀφορμαῖς ἀπληστότερον ἐπεξέρχονται. Ταύτῃ καὶ δεῖ τῷ νέῳ βασιλεῖ φιλοσοφίας ἢ προσλαμβανούσης αὐτὸν ἢ ἀνθελκούσης ἀπὸ τῆς εἰς ἑκάτερον ἐκροῆς· ἄλλαι μὲν γὰρ ἄλλαις ἀρεταῖς κακίαι

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all’imperatore sul regno 5-6

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farsi carico di molte preoccupazioni, se vorrà degnamente fregiarsi, appunto, di quel titolo. Ben dice l’antico proverbio, secondo cui non è il numero dei sudditi a fare il re piuttosto che il tiranno, come del resto non è il numero delle pecore a fare il pastore anziché il macellaio: questo le condurrà al macello, sia per saziarsene lui stesso sia per darle in pasto ad altri.12 6.  Lo stesso, a mio avviso, è ciò che differenzia il re dal tiranno, per quanto entrambi abbiano ricevuto dalla sorte condizioni simili e per quanto entrambi si trovino a capo di molti uomini. Ma colui che si conformi a ciò che evidentemente è il bene dei suoi sudditi, che desideri farsi carico delle sofferenze perché nessuna di queste tocchi loro, che voglia trovarsi a combattere in prima fila perché quelli possano vivere in tutta sicurezza e che se ne stia vigile e conviva continuamente con le inquietudini perché quelli, sia di notte che di giorno, possano sentirsene liberi, ecco costui è il pastore delle sue pecore, il re dei suoi uomini. Chi invece approfitti del potere per la propria dissolutezza e dissipi tra i piaceri l’autorità, ritenendo di dover saziare ogni desiderio anche nuocendo ai propri sudditi e ponendo come solo vantaggio del comandare su molti quello di avere un gran numero di persone al servizio della propria individuale soddisfazione (chi, in poche parole, non ingrassa il proprio gregge, ma pretende da questo di essere ingrassato), costui io lo definisco un macellaio per il bestiame e lo dichiaro un tiranno per quel popolo che, dotato di ragione, gli sia sottomesso. Ecco dunque la prima norma per il tuo regno. Mettiti subito alla prova: se ti dimostrerai all’altezza, allora fregiati pure a buon diritto del nobile titolo che accompagna la tua nobile mansione; in caso contrario, prova a correggere ciò che non va e ad aderire alla regola. Io non respingo l’idea che la giovinezza possa ammettere ogni forma di crescita, a patto, però, che qualcuno la sproni all’emulazione della virtù. La giovane età, difatti, si dimostra impetuosa nell’una e nell’altra inclinazione, come i fiumi che, in piena, imboccano ogni avvio di percorso che viene loro offerto. Per questo un giovane sovrano ha bisogno della filosofia, che lo accompagni e lo trattenga dal fluire in entrambe le inclinazioni. Ciascuna virtù infatti

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sinesio di cirene

γείτονες, καὶ ἀφ’ ἑκάστης ὄλισθος οὐκ εἰς ἑτέραν, ἀλλ’ εἰς τὴν γείτονα. Βασιλείᾳ δὲ τυραννὶς παροικεῖ καὶ μάλα ἀγχίθυρος, καθάπερ ἀνδρείᾳ μὲν θρασύτης, ἐλευθεριότητι δὲ ἀσωτία· καὶ ὁ μεγαλόφρων, ἢν μὴ παρὰ φιλοσοφίας εἴσω τῶν τῆς ἀρετῆς ὅρων φυλάττηται, προκύψας ἀλαζών ἐστι καὶ φαῦλος τὴν γνώμην ἀντὶ τοῦ μεγαλόφρονος. Μὴ τοίνυν ἄλλην, ἀλλὰ τὴν βασιλείας νόσον, τυραννίδα, δείδιθί τε καὶ διαγίνωσκε χαρακτῆρσι τοῖς τεθεῖσιν ὑπὸ τοῦ λόγου χρώμενος· μεγίστῳ δέ, ὅτι βασιλέως μέν ἐστι τρόπος ὁ νόμος, τυράννου δὲ ὁ τρόπος νόμος· ἡ δὲ ἐξουσία κοινή τίς ἐστιν ὕλη, καὶ μαχομένων τῶν βίων. 7.  Εὐμοιρίας μὲν οὖν καὶ εὐδαιμονίας τὰ ἄκρα πατεῖ πᾶς ὅτῳ φύσει πάντα μὲν ἕπεται τῇ βουλήσει· ἕπεται δὲ ἡ βούλησις τῇ φρονήσει, καὶ δεσπότις οὖσα τῶν ἔξω, παραχωρεῖ τῆς ἀρχῆς τῇ συνοίκῳ τῇ κρείττονι καὶ δέχεται παρ’ αὐτῆς τῶν πρακτέων συνθήματα. Οὐ γὰρ ἀπόχρη δυναστεία πρὸς εὐδαιμονίαν οὐδὲ ἐν ἰσχύϊ τὸ μακάριον ἔθηκεν ὁ θεός, ἀλλὰ δεῖ παρεῖναι, μᾶλλον δὲ προεῖναι τὴν φρόνησιν ἥτις ἂν κάλλιστα τῷ δύνασθαι χρήσαιτο. Καὶ τοῦτον ἐγὼ τελεώτατον ἄνδρα καὶ βίον ἀναγορεύω, τὸν ἄρτιον ἀπ’ ἀμφοῖν καὶ οὐ θατέρᾳ σκάζοντα, ὃς ἄρχειν ἔλαχεν, ἄρχειν εἰδώς· ὡς ἔστιν ἄμαχον ὅταν ἰσχὺς καὶ σοφία συγγένωνται· διαληφθεῖσαι δὲ ἀπ’ ἀλλήλων, ῥώμη τε ἀμαθὴς καὶ φρόνησις ἀσθενὴς εὐχείρωτοι γίνονται. Καὶ ἐγὼ τοῦτο τῶν σοφῶν Αἰγυπτίων ἐθαύμασα· τὸν Ἑρμῆν, Αἰγύπτιοι διπλῆν ποιοῦσι τῆν ἰδέαν τοῦ δαίμονος, νέον ἱστάντες παρὰ πρεσβύτῃ, ἀξιοῦντες, εἴπερ τις αὐτῶν μέλλοι καλῶς ἐφορεύσειν, ἔννουν τε εἶναι καὶ ἄλκιμον, ὡς ἀτελὲς εἰς ὠφέλειαν θάτερον παρὰ θάτερον. Ταῦτ’ ἄρα καὶ ἡ Σφὶγξ αὐτοῖς ἐπὶ τῶν προτεμενισμάτων ἱδρύεται, τοῦ συνδυασμοῦ τῶν ἀρετῶν ἱερὸν σύμβολον, τὴν μὲν ἰσχὺν θηρίον, τὴν δὲ φρόνησιν ἄνθρωπος. Ἰσχύς τε γὰρ ἔρημος ἡγεμονίας ἔμφρονος ἔμπληκτος φέρεται, πάντα μιγνῦσα καὶ ταράττουσα πράγματα, καὶ νοῦς ἀχρεῖος εἰς πρᾶξιν

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all’imperatore sul regno 6-7

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ha accanto a sé un vizio, ed è molto facile scivolare in quello, così vicino, anziché passare da una virtù all’altra. Accanto alla regalità risiede, a strettissimo contatto, la tirannide,13 così come al coraggio l’incoscienza, alla generosità la prodigalità. Anche il magnanimo, qualora non sia dalla filosofia trattenuto all’interno dei limiti della virtù, una volta uscitone non potrà che diventare, da magnanimo che era, vanaglorioso e mediocre nell’animo. Abbi timore soltanto di quella malattia che interessa la regalità, ovvero la tirannide. Sappila riconoscere da quei tratti distintivi elencati nel mio discorso e soprattutto da questo: la legge fa la condotta del re, la condotta del tiranno fa la legge. Seppure l’autorità è comune a entrambi, gli stili di vita si trovano in netto contrasto. 7.  Questo è l’apice del successo e della felicità che tocca colui al quale ogni cosa deve naturalmente ubbidienza; eppure, anche la volontà si sottomette alla saggezza e, pur essendo quella padrona di tutto ciò che si trova all’esterno, non può che cedere dinanzi all’autorità della più potente coabitante, da cui riceve le disposizioni su come agire. Non basta il potere per conquistarsi la felicità, né è nella forza che Dio ha riposto la beatitudine, ma assieme deve starci (anzi deve starci fin dall’inizio) la saggezza, che possa fare del potere l’uso migliore. E io dichiaro perfetta la vita di quell’uomo che si accordi a entrambe e che in nessuna delle due vacilli, avendo ottenuto dalla sorte di regnare quando già era in grado di farlo. Se si uniscono forza e sapienza non c’è modo di venire sconfitti; ma se queste si disgiungono, la forza inconsapevole e la saggezza impotente sono facili da dominare. Ecco cosa ammiro dei sapienti Egizi: raffigurano come doppia l’immagine del dio Ermes, giustapponendo le fattezze di un giovane a quelle di un anziano, ritenendo che se qualcuno di loro intende ben governare debba essere assennato e forte, come se l’una cosa senza l’altra fosse del tutto priva di utilità. Per la stessa ragione, essi pongono all’ingresso dei templi la Sfinge, sacro simbolo dell’accoppiamento delle virtù, una belva quanto a forza, ma un uomo quanto a intelligenza. Giacché la forza, priva di un qualche controllo razionale, si scatena in modo impulsivo, scombinando e turbando ogni

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sinesio di cirene

ὑπὸ χειρῶν οὐχ ὑπηρετούμενος. Κόσμος μὲν οὖν βασιλέως ἀρεταὶ πᾶσαι· φρόνησις δὲ ἁπασῶν βασιλικωτέρα. Ταύτην μοι ποίησαι πάρεδρον· ἕψεται γὰρ ἡ τριττὺς τῇ πρεσβυτέρᾳ τῶν ἀδελφῶν, καὶ πάσας εὐθὺς ἕξεις συσκήνους καὶ συστρατιώτιδας ἐπὶ σοί. 8.  Λόγον ἐρῶ τοῦτον ἄτοπον ὡς εὐθὺς ἀκοῦσαι, παντὸς δὲ δήπου τῆς ἀληθείας ἐχόμενον. Ὅταν ἀσθένειαν ἐγὼ πρὸς δύναμιν ἐξετάζω καὶ πενίαν πρὸς πλοῦτον καὶ τὰς ἐν ἅπασι μειονεξίας πρὸς τὰς ἐν ἅπασι πλεονεξίας, εἰ δίχα φρονήσεως καθαραὶ πρὸς ἀλλήλας κρίνοιντο, πενία τε καὶ ἀδυναμία καὶ βίος ἰδιώτης ἀντὶ τῆς μεγίστης ἡγεμονίας εὐτυχέστεραι παρεῖναι τοῖς ἥκιστα ἐπηβόλοις νοῦ καὶ φρονήσεως· ἐλάττω γὰρ ἂν ἐξαμάρτοιεν, τῆς ἐν τῇ γνώμῃ κακίας οὐχ εὑρισκούσης προόδον εἰς ἐνέργειαν. Τὰ γὰρ θυραῖα τῶν ἀγαθῶν, ἅπερ ὀργανικὰ καλεῖν ἔθος Ἀριστοτέλει καὶ Πλάτωνι, τοῖς ἐμοῖς ἡγεμόσιν, ὑπηρετεῖν οἶδε κακίαις οὐ μεῖον ἢ ἀρεταῖς. Ταύτῃ καὶ τὼ ἄνδρε τούτω καὶ ὅσοι γε ἀπὸ τούτων ῥύακες φιλοσοφίας ἐρρύησαν, οὔτε τῆς ἀμείνονος αὐτὰ προσηγορίας ἠξίωσαν οὔτε τῇ χείρονι κατεδίκασαν, ἀλλ’ ὀργανικὰ καλοῦσι, νῦν μὲν ἀγαθά, νῦν δὲ κακά, ταῖς τῶν χρωμένων ἕξεσιν αὐτὰ χρωματεύοντες. Ὥσπερ οὖν εὐχῆς ἄξιον ἀπεῖναι τοῦ φαύλου τὰ ὄργανα, ὅπως ἀνενέργητον ἔχῃ τὴν μοχθηρίαν, οὕτω παρεῖναι τῷ καλῶς χρησομένῳ, οὗ πάντες ἂν καὶ πόλεις καὶ ἰδιῶται ὀνίναιντο, ἵνα μὴ ἀχρεία καὶ ἄπρακτος ἀρετῆς φύσις ἀγνοουμένη μαραίνηται, ἀλλ’ εἰς ἀνθρώπων εὐεργεσίας δαπανήσῃ τὴν δύναμιν. Οὕτω μοι χρῶ τοῖς προκειμένοις ἀγαθοῖς· καὶ γὰρ μόνως ἂν οὕτως ἀγαθοῖς χρήσαιο. Ἀπολαυόντων οἶκοι καὶ πόλεις καὶ δῆμοι καὶ ἔθνη καὶ ἤπειροι προνοίας βασιλικῆς καὶ κηδεμονίας ἔμφρονος, ἣν ὁ θεὸς αὐτὸς ἑαυτὸν ἐν τοῖς νοητοῖς στήσας ἀρχέτυπον δίδωσιν εἰκόνα τῆς προνοίας, καὶ ἐθέλει τὰ τῇδε τετάχθαι κατὰ μίμησιν ὑπερκόσμιον.

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all’imperatore sul regno 7-8

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cosa; altrettanto l’intelligenza, se non è assistita dal braccio, risulta inutile all’azione.14 Ornamento del sovrano sono quindi tutte le virtù; eppure, la più degna di un re rimane la prudenza. Ti prego, fa’ in modo che questa ti sieda vicino; le altre tre15 seguiranno la sorella maggiore e senza indugio le avrai tutte accanto, nella vita e in battaglia. 8.  Adesso farò delle affermazioni che a un primo ascolto potranno apparire singolari; eppure sono del tutto connesse al vero. Se io mettessi a confronto la debolezza con la forza, la povertà con la ricchezza, e in generale tutti i difetti con i propri rispettivi pregi, considerandoli di per sé e senza tenere conto della saggezza, diverrebbero più auspicabili, rispetto a un’immensa autorità, la miseria, la debolezza e una vita da comune cittadino per i meno dotati di intelligenza e saggezza. Infatti, avrebbero meno possibilità di sbagliare, se la loro incapacità di giudizio non riuscisse a trovare un’opportunità di applicazione. È noto che i beni esterni, che i miei maestri, Aristotele e Platone, sono soliti definire strumentali, possono asservirsi ai vizi non meno che alle virtù.16 Per questo motivo, né i due filosofi né quanti da loro sgorgarono (quasi rivoli di filosofia) li hanno mai ritenuti degni di una denominazione migliore, pur senza condannarli a una peggiore: li hanno definiti strumentali, classificandoli ora come beni ora come mali, sulla base delle qualità di chi ne fa uso. Se infatti è auspicabile che gli strumenti non finiscano mai nelle mani di una persona malvagia,17 affinché la sua malignità rimanga inefficace, altrettanto è positivo che tocchino a colui che sa farne un buon utilizzo, del quale potranno giovarsi tutti, città e semplici cittadini, e l’indole virtuosa non si spenga nell’indifferenza, oramai inutile e inerte, ma metta in campo tutta la sua potenzialità a beneficio degli uomini. Con questo scopo, ti prego, fai uso di quei beni di cui disponi: soltanto così, infatti, essi si riveleranno davvero dei beni. E possano famiglie, città, popoli, nazioni e continenti trarre vantaggio dalla tua regale previdenza e saggia considerazione; Dio stesso, che si pone come modello originario tra gli intelligibili, ha concesso questo a immagine della propria provvidenza, desiderando che le faccende terrene riflettano

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sinesio di cirene

Φίλος οὖν τοῦ μεγάλου βασιλέως ὁ δεῦρο ὁμώνυμος, ἂν μὴ ψεύδηται τοὔνομα· οὐ ψεύδεται δὲ ἂν καὶ θάτερον παρῇ τῶν ὀνομάτων τοῦ θεοῦ. Ὃ πρὶν εἰπεῖν, οὐκ ἂν ἄκαιρον εἴη διαλεχθῆναί τι τῶν παρὰ φιλοσοφίας ἐνθάδε σαφήνειαν προοικονομούμενον. 9.  Οὐδὲν οὐδαμῇ πω πέφηνεν ὄνομα τῆς οὐσίας ἁπτόμενον τοῦ θεοῦ· ἀλλ’ ἀτευκτοῦντες αὐτοῦ τῆς ἐμφάσεως ἄνθρωποι, διὰ τῶν ἀπ’ αὐτοῦ ψαύειν ἐθέλουσιν αὐτοῦ. Κἂν πατέρα κἂν ποιητὴν κἂν ὁτιοῦν εἴπῃς, κἂν ἀρχὴν κἂν αἴτιον, ταῦτα πάντα σχέσεις εἰσὶν αὐτοῦ πρὸς τὰ παρ’ αὐτοῦ. Καὶ βασιλέα τοίνυν εἰπών, ἀπὸ τῶν βασιλευομένων, ἀλλ’ οὐκ αὐτοπροσώπως ἐπεχείρησας τῆς φύσεως αὐτοῦ δράξασθαι. Νῦν οὖν ἐρῶν ἔρχομαι καὶ τὸ λοιπὸν τῶν ὀνομάτων, ὅπερ ὑποσχόμενος ὑμῖν εἰς καιρὸν τοῦτον ἀνήρτησα. Καίτοι τοῦτ’ ἔστι τὸ συντεταγμένον καὶ συγγενόμενον τῷ δεῦρο βασιλεῖ, ὃ κυροῦν ἔφην αὐτὸν καὶ ἀποφαίνειν τυχόντα καὶ οὐ ψευδώνυμον. Ἀγαθόν που τὸν θεὸν ὑμνοῦσιν ἅπαντες ἁπανταχοῦ καὶ σοφοὶ δῆμοι καὶ ἄσοφοι· καὶ ταύτῃ συγχωροῦσιν ἀλλήλοις καὶ ὁμοφωνοῦσιν ἅπαντες, οἱ τὰ ἄλλα διαστάντες περὶ τὰς ὑπολήψεις τοῦ θείου, καὶ τὴν ἀκήρατον αὐτοῦ καὶ ἀμερῆ φύσιν δόξαις ἑτερογνώμοσι μερισάμενοι. Ἀλλά τοι καὶ τοῦτο τὸ ἀγαθὸν τὸ ἀναμφισβήτητον οὔπω μηνύει τοῦ θεοῦ τὴν ἐν τῷ εἶναι ἕδραν, ἠράνισται δὲ ἀπὸ τῶν ὑστέρων. Οὐ γὰρ ἀπόλυτον εἰς ἀκοὴν ἔρχεται τἀγαθόν, ἀλλ’ ἐκείνοις ἀγαθὸν ὧν ἐστι πρακτικὸν καὶ οἷς ἐστιν ἀπολαυστόν· τοῦτο γὰρ ἡ διάνοια βούλεται τοῦ ὀνόματος, ἐφερμηνεύειν τὸν θεὸν αἴτιον ἀγαθῶν· ἱεραί τε ἐν τελεταῖς ἁγίαις εὐχαὶ πατέρων ἡμῶν ἐκβοῶσαι πρὸς τὸν ἐπὶ πᾶσι θεόν, οὐ τὴν δυναστείαν αὐτοῦ κυδαίνουσιν, ἀλλὰ τὴν κηδεμονίαν προσκυνοῦσιν. Ὅ τε οὖν θεὸς δωρητικός ἐστιν ὧν προσήκει θεῷ, ζωῆς καὶ οὐσίας καὶ νοῦ, καὶ εἰ δή τι τῶν ὑστέρων οὐκ ἀνάξιον ἥκειν παρὰ τοῦ πρώτου· σοὶ δ’ ἂν προσήκοι μὴ λιπεῖν τὴν τάξιν

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all’imperatore sul regno 8-9

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l’ordine di quelle celesti.18 Amico del grande sovrano, dunque, è il suo omonimo in terra, purché non smentisca questa denominazione; ma ciò non accadrà, se anche l’altro titolo di Dio gli sarà proprio. Prima di affrontare il tema, d’altronde, non sarà inopportuno discutere, a mo’ di premessa, alcune questioni filosofiche, per fare chiarezza su questo punto. 9.  Non si è mai rivelato alcun termine in grado di applicarsi all’essenza divina; tuttavia, gli uomini, pur non riuscendo a ottenerne la piena definizione, tentano di sfiorarla attraverso i suoi attributi. Che lo si dica padre, creatore, oppure principio, causa, o altro ancora, si tratta in ogni caso di sole relazioni che esso intrattiene con quanto da lui dipende. Anche se lo si definisse re, lo si farebbe in relazione ai suoi sudditi e non si sarebbe realmente tentato di coglierne la natura.19 Eccoci giunti, dunque, ad affrontare la questione del secondo titolo del sovrano, tematica già presentata ma fino a qui tenuta in sospeso. Si tratta in effetti di quanto è stato predisposto e connaturato al sovrano terreno, ciò che, come dicevo prima, sta a indicare che il suo titolo è legittimo e non un falso: è la bontà, propria di Dio, che tutti quanti, dappertutto, sapienti, uomini del popolo, incolti, non mancano di celebrare. Su di essa convengono e trovano un punto d’accordo davvero tutti, anche quanti non condividono la stessa concezione del divino e sono divisi da contrastanti opinioni circa la purezza e l’inscindibile unità della sua natura. Peraltro, anche questa indiscussa bontà non rivela la realtà di Dio nel suo essere, ma si ricava dalle conseguenze. Non diviene, infatti, percepibile in assoluto, ma nel bene di coloro che ne fanno esperienza e ne fruiscono. Questo è quel che il titolo di buono vuole significare: causa di tutto ciò che è bene è Dio. Le divine preghiere che i nostri padri elevavano nei sacri misteri alla divinità che tutto sovrasta non avevano la funzione di glorificarne il potere, bensì di prostrarsi al suo sostegno. È proprio Dio, infatti, a donare tutto ciò che si addice alla sua natura, la vita, l’essere, l’intelletto e quanto di secondario non è comunque inopportuno far risalire alla causa prima. È bene dunque che tu non abbandoni il posto che ti è stato assegnato, né che

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sinesio di cirene

καθ’ ἣν ἐτάχθης μηδὲ αἰσχύνειν τὰς ὁμωνυμίας, ἀλλ’ ἐπιτίθεσθαι τῇ μιμήσει, ἐπικλύζειν μὲν ἀγαθοῖς ἅπασι τὰς πόλεις, καταχεῖν δὲ εὐδαιμονίαν ὅση δυνατὴ τῶν ἀρχομένων ἑκάστῳ. Οὕτω βασιλέα μέγαν ὀνομάζοντες ἐπαληθεύοιμεν, τὴν τιμὴν οὐκ ἔθει διδόντες, οὐ θεραπεύοντες χρείαν, οὐκ ὀργὴν παραιτούμενοι, ἀλλ’ αὐτῷ τῷ κρίνοντι τῆς ψυχῆς ἐπινεύοντες, ἀδόλῳ γνώμης ἑρμηνεῖ τῇ γλώττῃ χρώμενοι. Φέρε δή σοι γράψω λόγῳ τὸν βασιλέα, ὥσπερ ἄγαλμα στήσας· σὺ δέ μοι τὸ ἄγαλμα τοῦτο κινούμενον ἐπιδείξεις, καὶ ἔμπνουν γενόμενον. Οὐκοῦν συμπαραλήψομαι μὲν εἰς δημιουργίαν, εἰ τοῦτο δέοι, τῶν τοῖς παλαιοῖς τε καὶ μακαρίοις ἀνδράσιν ἐπὶ νοῦν ἐλθόντων· σὺ δὲ μηδὲν ἧττον αὐτὰ τῶν ἄλλων, ἀλλὰ μᾶλλον ἀγαπᾶν, ὡς ἀδηρίτως προσήκοντα βασιλεῖ, περὶ ὧν ὁμοίως φρονοῦσι παλαιοί τε καὶ νέοι σοφοί. 10.  Εὐσέβεια δὲ πρῶτον ὑποβεβλήσθω κρηπὶς ἀσφαλής, ἐφ’ ἧς ἑστήξει τὸ ἄγαλμα ἔμπεδον· καὶ οὐ μήποτε αὐτὸ περιτρέψῃ χειμὼν τῆς κρηπῖδος ἐχόμενον. Αὕτη μὲν δὴ καὶ συναναβήσεται καὶ πολλαχοῦ φανεῖται, πρὸς τῇ κορυφῇ δὲ οὐχ ἥκιστα. Ἔνθεν ἑλών, φημὶ δεῖν, ἡγουμένου θεοῦ, τὸν βασιλέα πρῶτον αὐτὸν αὑτοῦ βασιλέα εἶναι καὶ μοναρχίαν ἐν τῇ ψυχῇ καταστήσασθαι. Εὖ γὰρ ἴσθι τοῦτο, ὡς οὐχ ἁπλοῦν τι χρῆμα οὐδὲ μονοειδὲς ἄνθρωπος, ἀλλὰ συνῴκισεν ὁ θεὸς εἰς ἑνὸς ζῴου σύστασιν ὄχλον δυνάμεων παμμιγῆ τε καὶ πάμφωνον· καί ἐσμεν ὕδρας, οἶμαι, θηρίον ἀτοπώτερον καὶ μᾶλλόν τι πολυκέφαλον. Οὐ γὰρ ταὐτῷ δήπου νοοῦμεν καὶ ὀρεγόμεθα καὶ λυπούμεθα οὐδὲ ταὐτῷ καὶ θυμούμεθα οὐδὲ ὅθεν ἡδόμεθα καὶ φοβούμεθα. Ἀλλ’ ὁρᾷς ὡς ἔνι μὲν ἄρρεν ἐν τούτοις, ἔνι δὲ θῆλυ, καὶ θαρραλέον τε καὶ δειλόν, ἔνι δὲ τὰ παντοδαπῶς ἀντικείμενα, ἔνι δέ τις ἡ μέση διὰ πάντων φύσις, ἣν νοῦν καλοῦμεν, ὃν ἀξιῶ βασιλεύειν ἐν τῇ τοῦ βασιλέως ψυχῇ τὴν ὀχλοκρατίαν τε καὶ δημοκρατίαν τῶν παθῶν καταλύσαντα. Ἀφ’ ἑστίας γὰρ ἂν οὗτος βασιλεύσειεν τῇ κατὰ

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all’imperatore sul regno 9-10

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disonori la comunanza dei titoli con la divinità, ma che al contrario ti accinga a emularla, inondando le città di ogni bene e infondendo tutta la felicità possibile in ciascuno dei sudditi. Che noi possiamo dire il vero quando ci appelliamo a te come al “grande re”, conferendoti un simile onore non perché è costume, né perché abbiamo a cuore il nostro interesse o intendiamo rifuggire la tua ira, ma perché stiamo assentendo alla facoltà di giudizio insita nella nostra anima, ricorrendo alla lingua come a un esatto interprete del pensiero. Ed ecco che nel mio discorso ti porgerò la perfetta descrizione del sovrano, come ne innalzassi la statua:20 e tu darai prova che questa si muove e che è viva. Se ce ne fosse bisogno, nella mia fabbricazione ricorrerò al soccorso di quei concetti che pervennero alle menti degli antichi e degli uomini beati; tu non li gradirai meno degli altri, ma di più, in quanto è incontestabile che si addicano a un sovrano quei pensieri su cui convengono sia gli antichi che i moderni sapienti. 10.  Si ponga la pietà religiosa come primo stabile basamento su cui far poggiare con solidità la statua: sopra un simile piedistallo nessuna tempesta mai la farà cadere. E la pietà si innalzerà assieme a te e sarà visibile da ogni luogo, soprattutto sulle cime. “Partendo da qui”,21 ti dico, è necessario che tu, guidato da Dio, diventi anzitutto sovrano di te stesso ed eserciti il tuo potere nell’anima. Infatti, sappi bene che l’uomo non è un’entità semplice né uniforme, ma, viceversa, la divinità ha fatto coabitare nella costituzione di un solo essere vivente una moltitudine confusa e dissonante di capacità. Siamo, mi pare, un mostro ancora più insolito dell’idra22 e ancor più policefalo. Non è infatti con lo stesso organo che ragioniamo, desideriamo, soffriamo e ci adiriamo, né con lo stesso proviamo il piacere e la paura. Tu vedi come in tutto ciò ci sia piuttosto un principio maschile e uno femminile, intrepido l’uno, timido l’altro; ma, a fronte di un’enorme varietà di contrari, esiste quell’indole naturale, intermedia, che chiamiamo intelletto e che io ritengo debba predominare nell’anima del sovrano, una volta sconfitto il volgare dispotismo della massa delle passioni. “A partire da Estia”,23 infatti, esso potrebbe governare ricorrendo al

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φύσιν ἀρχῇ τῆς ἡγεμονίας χρησάμενος· ὡς ὅστις γε τὰς ἀλόγους τῆς ψυχῆς μοίρας τιθασοὺς καὶ χειροήθεις ποιήσας κατηκόους τῷ λόγῳ παρέσχετο, εἰς μίαν ἡγεμονίαν ἔμφρονα συντάξας τὸ πλῆθος, οὗτός ἐστιν ὁ θεῖος καὶ ἰδιώτης καὶ βασιλεύς· μᾶλλον δὲ βασιλεύς, ὅτι τὴν ἀρετὴν οὗτος ἔθνεσιν ὅλοις κοινοῦται, καὶ τῶν ἑνὸς ἀγαθῶν πολλοὶ ἐπαυρίσκονται ἄνθρωποι. Τούτῳ γὰρ ἀνάγκη τὸ ἔνδοθεν ἀστασίαστον διάγειν καὶ μέχρι προσώπου γαλήνην ἔνθεον· καὶ ἔστιν οὐ φοβερόν, ἀλλ’ ὑπέρσεμνον θέαμα ἐν αἰδοῦς ἀκύμονι διαθέσει, φίλους μέν, ταὐτὸν δὲ εἰπεῖν, ἀγαθοὺς ἐκπλήττων, τοὺς δὲ ἐχθρούς τε καὶ πονηροὺς καταπλήττων. Μετάνοια δὲ οὐκ ἐμβατεύει τῇ τούτου ψυχῇ· πράττει γὰρ ὅ τι ἂν πράττῃ δεδογμένα ἅπασι τοῖς μέρεσι τῆς ψυχῆς πράττων, τῷ πάντα πρὸς μίαν ἀρχὴν κεκοσμῆσθαι καὶ μὴ ἀπαξιῶσαι μέρη τε εἶναι καὶ εἰς ἓν τὸ ὅλον συννεῦσαι. Ὅστις δὲ διοικίζει τὴν προσβολὴν τῶν μερῶν τούτων, ἐνδοὺς αὐτοῖς εἰς ἐνέργειαν πολλοῖς εἶναι, καὶ ἀνὰ μέρος ἐθέλει ἀναπείθειν τὸ ζῷον, τοῦτον ὄψει νῦν μὲν ὑψοῦ τὴν γνώμην, νῦν δὲ ὕπτιον· τεταραγμένον νῦν μὲν ὁρμῇ, νῦν δὲ φυγῇ καὶ λύπαις καὶ ἡδοναῖς καὶ ἀτόποις ὀρέξεσιν. Ὁμολογεῖ δὲ οὐδέποτε οὗτος αὐτὸς ἑαυτῷ· καὶ μανθάνω μὲν οἷα δρᾶν μέλλω κακά, θυμὸς δὲ κρείσσων τῶν ἐμῶν βουλευμάτων,

ἔφη τις, ἐπιγνοὺς τὴν ἑτερότητα καὶ διχόνοιαν τῶν ἴσων δυνάμεων. Τοῦτό τοι πρῶτον καὶ σφόδρα βασιλικόν, αὐτὸν ἑαυτοῦ βασιλεύειν τὸν νοῦν ἐπιστήσαντα τῷ συνοίκῳ θηρίῳ καὶ μὴ κρατεῖν ἀξιοῦντα πολλάκις μυρίων ἀνθρώπων, ἔπειτα αὐτὸν δοῦλον εἶναι δεσποινῶν αἰσχίστων, ἡδονῆς καὶ λύπης καὶ ὅσοι σύγγονοι θῆρες ἐνδιαιτῶνται τῷ ζῴῳ. 11.  Ἐντεῦθεν δὲ ἤδη παρ’ ἑαυτῷ προϊὼν ὁ βασιλεὺς πρώτοις ἐντεύξεται τοῖς πέλας τε καὶ φίλοις, μεθ’ ὧν συνεστώτων περὶ τῶν ὅλων βουλεύσεται. Τούτους προσερεῖ φίλους, οὐ κατειρωνευόμενος

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principio naturale del comando. Chiunque abbia saputo sottomettere le parti irrazionali dell’anima, rendendole mansuete e arrendevoli e riunendo la loro massa al di sotto di un’unica guida razionale, costui è un essere divino, privato cittadino o re che sia. Se si tratta di un sovrano, tuttavia, lo sarà ancora di più, poiché la sua virtù è comune a tutti i popoli e molti uomini traggono profitto dai beni di lui solo. È necessario che egli trascorra la propria vita interiore senza affanni e che sin dal volto mostri una serenità divina. Alla vista non risulta temibile, ma venerando, nel quieto atteggiamento del suo pudore: riempie di stupore gli amici (ovvero i buoni), di paura i nemici e i malvagi. Nella sua anima non entra il pentimento: agisce come agisce perché così è stato decretato da tutte quante le parti dell’anima nel loro insieme, cosa resa possibile dal fatto che tutte sottostanno a un unico potere; pur non disdegnando le proprie parziali identità, infatti, esse convergono verso un’integra unità. Chi viceversa impedisca la cooperazione di queste parti, permettendo a esse di attivarsi come molte entità diverse, dove ognuna vuole individualmente persuadere l’essere vivente, costui lo vedrai ora in alto con la propria mente, ora a terra, talvolta tormentato dal desiderio, altre volte dal rigetto, dalle afflizioni, dai piaceri e da assurdi appetiti. Egli non è mai in armonia con se stesso: “capisco quali mali mi accingo a compiere, ma più forte dei miei propositi è la passione”.24

Così diceva un tale,25 riconoscendo la divergenza e la contraddittorietà fra due facoltà equivalenti. Questa dunque è la prima virtù, in tutto e per tutto degna di un sovrano: regnare su se stessi, ponendo l’intelletto al di sopra dell’animale, suo coabitante, senza pretendere di comandare molte migliaia di uomini ed essere poi lo schiavo dei più infami padroni (il piacere, il dolore e tutte quante le altre fiere che, simili a queste, risiedono nell’essere vivente). 11.  Muovendo da qui, il re potrà passare a coloro che gli stanno vicino e incontrare anzitutto parenti e amici, con il supporto dei quali delibererà su ogni questione. Eppure, li chiamerà amici senza

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τοῦ ὀνόματος οὐδὲ ὥσπερ οἱ κολάζοντες τὸ τραχὺ καὶ πρόσαντες τῆς δεσποτείας ἔργῳ φιλανθρωποτέρῳ τῆς ἀληθείας ὀνόματι. Τί γὰρ κτῆμα βασιλικὸν οὕτως ὥσπερ ὁ συνὼν φίλος; Τίς εὐτυχίας κοινωνὸς ἡδίων; Τίς δὲ διενεγκεῖν χείρω τύχης ῥοπὴν ἀσφαλέστερος; Τίς ἀδολώτερος εἰς ἔπαινον; Τίς εἰς πλήττουσαν νουθεσίαν ἀλυπότερος; Εὐγνώμονος δὲ βασιλέως ποῖον ἐπιδηλότερον τῷ πλήθει τεκμήριον ἢ εἰ φαίνοιτο ζηλωτοὺς ποιῶν ἀεὶ τοὺς συνόντας; Οὕτω γὰρ καὶ τοῖς πόρρωθεν ἐραστὸς ἂν εἴη καὶ γένοιτο ἂν ἀγαθοῖς εὐχὴ τεύξασθαι φιλίας βασιλικῆς· ὧν τἀναντία τοῖς τυράννοις ὑπάρχει, δι’ οὓς ἡ κομψὴ παροιμία, πόρρω Διός τε καὶ κεραυνοῦ, διὰ τοὺς ἐπιβούλως τοῖς συνοῦσι χρωμένους ἀδεέστερον εἶναι λέγουσα τὴν μετ’ ἀπραγμοσύνης ἀσφάλειαν τῶν ἐν ἐπιφανεῖ βίῳ κινδύνων. Οὐ γὰρ ἔφθασέ τις μακαρισθῆναι τῆς τοῦ τυράννου φιλίας καὶ ἠλεήθη τῆς ἔχθρας. Ἀλλ’ ὅ γε βασιλεὺς οἶδεν ὡς τὸ μὲν αὔταρκες ἐν θεῷ καὶ ἀρχαία θεὸς οὐσία τῶν ἀρχομένων ὑπερκείμενος· ἀνθρώπῳ δὲ ἀνθρώπων ἄρχοντι πολλῶν καὶ ὁμοίων οὐκ αὐτάρκης ἡ φύσις εἰς ἅπαντος ἔργου περινόησιν. Ἰώμενος οὖν τὴν τῆς φύσεως ἔνδειαν, συνουσιοῦται τοῖς φίλοις τὴν δύναμιν ἑαυτῷ πολυπλασιάζων. Οὕτω γὰρ τοῖς ἁπάντων μὲν ὀφθαλμοῖς ὄψεται, ταῖς ἁπάντων δὲ ἀκοαῖς ἀκούσεται καὶ ταῖς ἁπάντων γνώμαις εἰς ἓν ἰούσαις βουλεύσεται. 12.  Παραφυλακτέον μέντοι, καὶ μάλα ὅλῃ τῇ γνώμῃ, καί, εἴ γε δυνάμεθα, ἅπασι τοῖς ἐν ταῖς αὐλαῖς ὅπλοις ἐπὶ τούτῳ χρῆσθαι, μὴ λάθῃ παρεισδῦσα κολακεία τὸ φιλίας πρόσωπον περικειμένη. Ὑπὸ μόνης γέ τοι ταύτης, καὶ ἀγρυπνούντων τῶν δορυφόρων, λῃστεύεται βασιλεία. Εἰσφέρεται γάρ, ἢν μὴ καὶ πάνυ ἐρύκηται, μάλα ἐνδοτέρω τῶν ταμιείων καὶ ἐπιχειρεῖ τῷ κυριωτάτῳ τῶν βασιλέων, αὐτῇ τῇ ψυχῇ· ἐπεὶ τό γε φιλέταιρον οὐχ ἥκιστα ἀρετὴ

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prendere il termine alla leggera, senza fare insomma come quelli che stemperano l’asprezza e la molestia del dispotismo ricorrendo a un appellativo effettivamente più benevolo della realtà. Esiste un possesso più degno di un re di un amico con cui vivere a stretto contatto? Chi è più gradito nella comune buona sorte? Chi è più affidabile nel sopportare l’inasprimento degli eventi? Chi risulta più schietto nella lode? Chi meno molesto nel criticare, anche se per ottenere delle correzioni? Quale prova della benevolenza del sovrano potrebbe essere più evidente per il popolo del fatto che egli manifestamente e in ogni occasione rende invidiabile la condizione di coloro che gli stanno vicini? In questo modo, infatti, risulterà amabile anche per quelli che gli sono lontani e i buoni avranno il desiderio di accedere alla sua amicizia. Tutto l’opposto accade ai tiranni, per i quali vale l’arguto proverbio “lontano da Zeus e dal suo fulmine”,26 nel senso che, causa alcuni individui tesi a insidiare quelli che hanno intorno, è preferibile l’incolumità di un’esistenza inattiva ai pericoli di una vita illustre. Difatti, uno non è ancora riuscito a godere dell’amicizia del tiranno che già viene commiserato per la sua ostilità. Un re sa bene che soltanto Dio è totalmente autosufficiente e che soltanto Dio, in quanto essenza primigenia, è davvero al di sopra dei propri sudditi; altrettanto, sa che per un uomo che comanda su molti altri uomini, a lui simili, la natura non può essere sufficiente a far fronte a ogni circostanza. Per rimediare a questa connaturata deficienza, dunque, si associa gli amici, moltiplicando la propria capacità. Così, infatti, potrà vedere con gli occhi di tutti, udire con le orecchie di tutti, deliberare coi giudizi, tendenti a sintesi, di tutti. 12.  D’altronde, bisogna prestare davvero ogni attenzione e, se possibile, ricorrere a tutte le armi disponibili, affinché non penetri celatamente a corte, sotto le mentite spoglie dell’amicizia, l’adulazione. Nonostante la vigilanza delle guardie, essa, da sola, può depredare la reggia. Qualora non venga tenuta assolutamente a distanza, infatti, può introdursi fin dentro i locali più intimi e andare a mettere le mani su quanto di più prezioso esiste per i sovrani, la loro stessa anima. Poiché, d’altra parte, l’attaccamento

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βασιλέως. Τοῦτό γέ τοι καὶ Κῦρον τὸν πάνυ καὶ Ἀγησίλαον ὀνομαστοτάτους βασιλέων ἐν Ἕλλησι καὶ βαρβάροις ἐποίησε. Γνώσεται μὲν δὴ τὰ ποιητέα καὶ γνώμην ἐν τοῖς φίλοις κυρώσει· ἵνα δὲ ἔργα γένηται, χειρῶν αὐτῷ δεῖ πολλῶν. 13.  Ὁ δὲ λόγος βαδίζων ἐξάγει τὸν βασιλέα τῶν βασιλείων, καὶ μετὰ τοὺς φίλους τοῖς στρατιώταις δίδωσι, δευτέροις δὴ τούτοις φίλοις. Καὶ καταβιβάσας εἰς τὸ πεδίον ἐξεταστὴν ἀνδρῶν καὶ ἵππων καὶ ὅπλων ποιεῖ· ἔνθα καὶ ἱππεῖ συνιππεύσει, καὶ πεζῷ συνθευσεῖται, καὶ συνοπλιτεύσει τῷ ὁπλίτῃ καὶ τῷ πελταστῇ συμπελτασθήσεται καὶ συνακοντιεῖ τῷ γυμνῆτι, τῇ κοινωνίᾳ τῶν ἔργων εἰς ἔμψυχον ἑταιρίαν ἕκαστον προσαγόμενος, ἵνα μηδὲ πρὸς τούτους εἴρων ᾖ συστρατιώτας καλῶν, ἀλλὰ δημηγοροῦντα ἐπιγινώσκωσιν αὐτὸν καὶ μαρτυρῶσιν ὡς ἐκ τῶν ἔργων ἄρα τὸ ὄνομα λέγεται. Δυσχεραίνεις ἴσως ὅτι σοι πονεῖν ἐπιτάττομεν· ἀλλ’ ἐμοὶ σὺ πείθου, βασιλικοῦ σώματος ἐλάχιστα πόνος ἅπτεται. Ὅστις γὰρ οὐ λανθάνει πονῶν, τοῦτον ἥκιστα πόνος νικᾷ. Βασιλέως δὲ σωμασκοῦντος καὶ θυραυλοῦντος καὶ ὅπλοις ἐννεάζοντος οἱ πανταχοῦ δῆμοι θέατρόν εἰσι. Τῶν τε γὰρ παρόντων ἐπιστρέφει τὰ ὄμματα καὶ οὐδεὶς ἀλλαχόσε βλέπειν ἀνέχεται, βασιλέως ἐν ἀπόπτῳ τι δρῶντος· καὶ τῶν ἀπόντων ἐνηχεῖ τὰ ὦτα πᾶν ἔργον βασιλέως ᾠδὴ γενόμενον. Δύναται δὲ ὁ συνεθισμὸς οὗτος, τὸ μὴ σπάνιον εἶναι τὸν βασιλέα θέαμα στρατιώταις, εὔνοιάν τε αὐτοῦ καὶ μάλα ἐρρωμένην δημιουργεῖν τῶν στρατιωτῶν ταῖς ψυχαῖς. Καὶ τίς ἐχυρωτέρα βασιλείας τῆς ἔρωτι τετειχισμένης; Τίς δὲ ἰδιώτης καὶ μικρὰ πράττων ἀδεέστερός τε καὶ ἀνεπιβουλευτότερος ἐκείνου βασιλέως οὐχ ὃν δεδίασιν, ἀλλ’ ὑπὲρ οὗ δεδίασιν οἱ ὑπήκοοι; Τὸ δή τοι στρατιωτικὸν τοῦτο φῦλον ἁπλοϊκόν τέ ἐστι καὶ γενναῖον καὶ ὑπὸ συνηθείας ἁλώσιμον· καὶ Πλάτων φύλακάς τε καλεῖ τὸ μαχητικὸν γένος καὶ κυνὶ μάλιστα προσεικάζει, θηρίῳ

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agli amici è una delle virtù più importanti per un re: è ciò che rese il celebre Ciro e Agesilao i sovrani più noti tra i Greci e i Barbari.27 A stabilire cosa si deve fare, insomma, sarà il re, ratificando poi la sua decisione con gli amici: ma perché questa sia messa in pratica, avrà bisogno di molti ausili. 13.  Passo passo, il mio discorso conduce il sovrano al di fuori della reggia, presentandolo, dopo che agli amici, ai soldati (che sono comunque, seppur in misura minore, a lui benevoli). Scendendo verso la pianura, egli esamina molto attentamente gli uomini, i cavalli, le armi; e lì cavalcherà con i cavalieri, correrà insieme con i fanti, si comporterà da oplita con gli opliti, da peltasta coi peltasti,28 e scaglierà un giavellotto con i soldati armati alla leggera, portando ciascuno, attraverso la compartecipazione ai loro compiti, fino a una vera e propria confidenza. Così, dunque, non sembrerà ironico nel chiamarli “commilitoni”, ma quelli, nel momento in cui rivolgerà loro pubblici discorsi, lo acclameranno, a testimonianza del fatto che il suo titolo è legittimato dalle azioni. Tu, forse, sei contrariato poiché ti si impone di faticare: ma, credimi, la fatica sfiora a malapena il corpo del re. Chi non compie sforzi in solitudine, difatti, ne risente davvero molto poco. Il sovrano che si allena, se ne sta all’aria aperta e passa la sua giovinezza in mezzo alle armi ha sempre i suoi sudditi come spettatori. Gli occhi dei presenti si concentrano su di lui e nessuno può guardare altrove, se quello compie una qualche azione alla vista di tutti; addirittura le orecchie di chi non c’è riecheggiano di ogni suo atto (quasi fosse un suono). Questa consuetudine fa sì che si generi un legame molto stretto tra il sovrano e gli animi dei soldati (che, difatti, si trovano sovente fra i suoi spettatori). E quale regno sarà più sicuro di quello difeso dall’amore? Quale cittadino, anche povero, sarà più sereno e meno soggetto a insidie di quel re che i sudditi non temono, ma per la sorte del quale temono? Una categoria come quella dei militari è semplice, generosa; non è difficile accattivarsela se la si tratta con confidenza. Anche Platone29 definisce gli uomini che combattono delle guardie, paragonandoli in tutto e per tutto al cane, ovvero a quell’animale che, più o meno consa-

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γνώσει καὶ ἀγνοίᾳ κρίνοντι τό τε φίλιον καὶ τὸ πολέμιον. Τί δ’ ἂν αἴσχιον γένοιτο βασιλέως ὃν διὰ τῶν ζωγράφων ἐπιγινώσκουσιν οἱ προπολεμοῦντες; Ὀνήσεται δὲ οὐ μόνον τοῦτο τῆς πυκνῆς ἐπιμιξίας, τὸ καθάπερ ἓν σῶμα συμφυὲς τὸ στράτευμα περικεῖσθαι, ἀλλὰ καὶ πολλὰ τῶν ἐν τοῖς τοιοῖσδε καιροῖς γινομένων, τὰ μέν ἐστι μελέτη πολεμικῶν ἔργων, τὰ δέ ἐστι στρατηγίας προτέλεια καὶ παρασκευαί τινες, ἃ πρὸς τὰ μείζω τε καὶ σπουδαῖα διεγείρει. Οὐ γάρ τοι σμικρὸν ἐν χρείᾳ δορὸς ὀνομάσαι μὲν στρατηγόν, ὀνομάσαι δὲ ὑποστράτηγον καὶ ἰλάρχην καὶ ταγματάρχην καὶ σημαιοφόρον, εἰ τύχοι, καί τινας τοῦ πρεσβυτικοῦ σὺν ἐπιγνώσει καλέσαι τε καὶ προτρέψαι, τοὺς ἐν τέλει λέγω καθ’ ἕκαστον ἱππικόν τε καὶ πεζικὸν σύστημα. Ὅμηρος μὲν γάρ τινα θεῶν παραστήσας τῇ μάχῃ τῶν Ἀχαιῶν, πληγῇ σκήπτρου φησὶν αὐτὸν πιμπλάναι τοὺς νέους ... μένεος κρατεροῖο,

ὡς τήν τε ψυχὴν μᾶλλον ἐφωρμῆσθαι πολεμίζειν ἠδὲ μάχεσθαι,

καὶ μηδὲ τὼ πόδε μηδὲ τὼ χεῖρε ἀτρέμας ἔχειν ἀνέχεσθαι· τὸ γάρ, μαιμώωσι δ’ ἔνερθε πόδες καὶ χεῖρες ὕπερθεν,

ᾄττουσίν ἐστιν αὐτοκέλευστοι περὶ τὰ ἔργα τῆς μάχης. Ἐμοὶ δὲ ταὐτὸ τοῦτο ἂν ποιήσαι καὶ βασιλεὺς ὀνομαστὶ καλέσας, καὶ τὸν ἀπερισάλπιστόν τε ἂν εἰς φιλοτιμίαν ἐγείραι καὶ τὸν ἀγωνιστὴν ἂν ἐπιθήξαι. Πᾶς γὰρ ἐθέλει πονεῖν ὑπὸ μάρτυρι βασιλεῖ. Ὅ τοι ποιητὴς οὕτως ἔοικεν κρίνειν πάμμεγα ὄφελος εἶναι βασιλεῖ καὶ εἰρηνικῷ καὶ πολεμικῷ· ὃς αὐτό που τοῦτο πρῶτον κατανοήσας,

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pevolmente, sa distinguere l’amico dal nemico. Cosa può esistere di più vergognoso di un re che non sia noto agli uomini che combattono al suo servizio se non attraverso le opere dei pittori? Dallo stretto rapporto con l’esercito il sovrano trarrà non solo il vantaggio di averlo sempre compatto attorno a sé, come un unico corpo, ma anche molti altri, sulla base delle contingenze: da una parte l’allenamento alle imprese belliche, dall’altra quelle prime esperienze di comando e quella preparazione in grado di formarlo per maggiori, nonché più importanti, mansioni. Non è certo una cosa da poco, quando lo svolgimento della battaglia lo richiede, saper chiamare per nome un generale, un luogotenente, un comandante di uno squadrone di cavalleria o di una semplice truppa, oppure, se è il caso, un vessillifero. Non è neppure cosa da poco saper chiamare e incitare con cognizione quei soldati appartenenti al reparto più anziano, voglio dire quel corpo scelto che si trova in ciascuna squadra di cavalleria e di fanteria. Anche Omero, quando rappresenta un dio che combatte al fianco degli Achei,30 dice che quello, con un colpo dello scettro, riempiva i giovani “di possente coraggio”,31

così che la loro anima “ancor più desidera fare guerra e combattere”,32

non potendo quelli tenere fermi né i piedi né le mani; il verso, infatti, “in basso si agitano i piedi, in alto le mani”33

indica proprio i soldati che si gettano spontaneamente nell’azione della battaglia. A mio parere, dunque, altrettanto otterrebbe il re chiamando ciascuno per nome: risveglierebbe il desiderio di gloria in chi è indifferente al suono della tromba e stimolerebbe ulteriormente il combattivo. Nessuno, infatti, teme la fatica dinanzi agli occhi del proprio re. E il poeta pare giudicare questo fattore estremamente vantaggioso per il sovrano, sia in pace sia in guerra. È con la mente rivolta essenzialmente a questo, infatti, cioè all’e-

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ὅτι πλείστην ἔχει ῥοπὴν εἰς εὐψυχίαν ἀνδρῶν τὸ μηδὲ τοὺς ἀγελαίους ἀγνοεῖσθαι τῷ βασιλεῖ, οὐκ ὀνόματι μόνον καλοῦντα τοὺς στρατιώτας πεποίηκεν Ἀγαμέμνονα, ἀλλ’ οὗτος αὐτῷ καὶ τὸν ἀδελφὸν νουθετεῖ πρὸς τῇ προσηγορίᾳ πατρόθεν καὶ ἐκ γενεῆς ἄνωθεν ὀνομάζειν ἄνδρα ἕκαστον καὶ πάντας κυδαίνειν μηδὲ μεγαλίζεσθαι. Καὶ τὸ κυδαίνειν δὲ αὖ εὖ λέγειν ἐστίν, εἴ τῴ τι ἀγαθὸν ἢ πραχθὲν ἢ εὐτυχηθὲν συνηπίστατο. Ὁρᾷς Ὅμηρον; Ἐγκωμιαστὴν ποιεῖ τὸν βασιλέα δημότου. Καὶ τίς οὐκ ἂν αἵματος ἀφειδήσειεν βασιλέως αὐτὸν ἐπαινέσαντος; Καὶ τοῦτο οὖν ἥξει σοι τἀγαθὸν ἀπὸ τοῦ θαμὰ ὁμιλεῖν στρατιώταις· καὶ πρὸς εἰδήσεις αὐτῶν ἤθη καὶ βίους καὶ τίς ἑκάστῳ τάξις ἐν καιροῖς ἑκάστοις προσήκουσα. Θέα γὰρ δὴ καὶ τόδε. Τεχνίτης ἐστὶν ὁ βασιλεὺς πολέμων, ὥσπερ ὁ σκυτοτόμος ὑποδημάτων. Ἐκεῖνός τε οὖν γελοῖος, ὅταν ἀγνοῇ τῆς τέχνης τὰ ὄργανα, ὅ τε βασιλεὺς πῶς ἐπιστήσεται χρῆσθαι στρατιώταις ὀργάνοις, ἂν μὴ γινώσκῃ; 14.  Ἀλλ’ ἐνταῦθα γενόμενος, εἰ τὸ κοινὸν τῶν λόγων εἰς τὴν παροῦσαν τῶν λόγων ὕλην καταβιβάσαιμι, τάχα ἂν οὐκ ἀπὸ σκοποῦ βάλοιμι· τίς δ’ οἶδ’ εἴ κέν τοι σὺν δαίμονι θυμὸν ὀρίνω παρειπών; Ἀγαθὴ δὲ παραίφασις ἀνδρὸς ἀληθοῦς.

Φημὶ γὰρ οὐδὲν οὕτως ἔμπροσθεν ἄλλο χείρω ποιῆσαι τὰ Ῥωμαίων, ὡς τὴν περὶ τὸ βασιλικὸν σῶμα σκηνὴν καὶ θεραπείαν, ἣν ὥσπερ ἱερουργοῦντες ὑμῖν ἐν ἀπορρήτῳ ποιοῦνται, καὶ τὸ βαρβαρικῶς ἐκτεθεῖσθαι τὰ καθ’ ὑμᾶς· ὡς οὐ φιλεῖ συγγίνεσθαι φαν­ τασία τε καὶ ἀλήθεια. Ἀλλὰ σύ γε μὴ δυσχεράνῃς, ὡς τοῦτό γε οὐκ ἔστι σόν, ἀλλὰ τῶν ἀρξάντων τῆς νόσου καὶ παραδόντων τῇ διαδοχῇ τοῦ χρόνου ζηλούμενον τὸ κακόν. Τοιγαροῦν ἡ σεμνότης αὕτη καὶ τὸ δεδιέναι μὴ ἐξανθρωπισθείητε σύνηθες γενόμενοι θέ-

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norme influenza che ha per l’audacia dei soldati il fatto di non essere ignorati, quasi gregge indistinto, dal re, che Omero rappresenta Agamennone non soltanto chiamare i propri uomini per nome, ma anche ammonire il fratello di menzionare ognuno facendo riferimento al padre e agli altri della sua stirpe, fin dalle origini, rendendo a tutti il dovuto onore ma senza alterigia.34 D’altronde, onorare significa appunto parlar bene di qualcuno, come nel caso in cui sia nota una qualche azione positiva o una qualche circostanza fortunata. Hai visto Omero? Fa del sovrano l’elogiatore del popolo. Chi potrebbe avere più timore di essere ucciso, dopo che è stato lodato dal re? Ecco, insomma, il vantaggio che otterrai da un assiduo rapporto con i tuoi soldati. In più, potrai conoscere i loro caratteri, le loro vite e, di conseguenza, capire quale ruolo si addica di più a ciascuno in ogni circostanza. Considera, infatti, anche questo. Il sovrano è uno specialista della guerra così come il calzolaio lo è dei calzari. Quest’ultimo sarebbe certamente ridicolo se non avesse alcuna nozione dei propri attrezzi del mestiere. Quindi, come potrebbe il re saper usare i propri strumenti, i soldati, se non li conoscesse? 14.  Giunto a questo punto, non abbandonerò probabilmente il mio scopo se ricondurrò il discorso generale alla materia presente: “chi sa che, con l’aiuto della divinità, io non tocchi il tuo cuore, parlandoti? Rilevante è il consiglio dell’uomo veritiero”.35

Intendo dire che null’altro in passato ha recato tanto danno all’impero romano quanto l’attuale culto per la persona dell’imperatore e il relativo allestimento scenico, che, come stessero compiendo un rito, non mancano di applicare anche a voi, in segreto, perché poi sia esposto pubblicamente, alla maniera dei Barbari.36 Eppure, ostentazione e verità non amano stare insieme. Peraltro, tu non devi neanche sentirti troppo a disagio, giacché non è certo colpa tua, ma di coloro che hanno dato inizio a questa piaga, tramandando poi un male che è stato emulato nel corso del tempo. Proprio questa solennità, unita alla paura di condividere l’umana natura qualora diveniste uno spettacolo troppo abituale per il

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αμα κατακλείστους ποιεῖ πολιορκουμένους ὑφ’ ἑαυτῶν, ἐλάχιστα μὲν ὁρῶντας, ἐλάχιστα δὲ ἀκούοντας ἀφ’ ὧν πρακτικὴ φρόνησις συναθροίζεται, μόνας ἡδομένους τὰς τοῦ σώματος ἡδονάς, καὶ τούτων γε τὰς ὑλικωτάτας, ὅσας ἁφή τε καὶ γεῦσις πορίζουσι, βίον ζῶντας θαλαττίου πνεύμονος. Ἕως οὖν ἀπαξιοῦτε τὸν ἄνθρωπον, οὐδὲ τῆς ἀνθρώπου τυγχάνετε τελειότητος. Καὶ γὰρ οἷς σύνεστε παρὰ δίαιτάν τε καὶ ἄλλως, καὶ οἷς ἐστιν εἰς τὰ βασίλεια πάροδος ἀδεέστερον ἢ στρατηγοῖς τε καὶ λοχαγοῖς, τούτους οὓς χαρίεντας ἄρα παρασκευάζεσθε, τοὺς μικροκεφάλους τε καὶ ὀλιγογνώμονας, οὓς ἡ φύσις ἁμαρτάνουσα παραχαράττει, καθάπερ ἀδικοῦντες οἱ τραπεζῖται τὸ νόμισμα – καὶ γίνεται βασιλεῖ δῶρον ἀπόπληκτος ἄνθρωπος, καὶ μεῖζον ὅσον ἀποπληκτότερος –, οὗτοι γελασείοντες ἐν ταὐτῷ καὶ κλαυσείοντες ἀτελῶς καὶ σχήμασι καὶ ψόφοις καὶ ἅπασιν ὅσοις οἷόν τε βωμολοχοῦντες συνδιαφθείρουσιν ὑμῖν τὸν χρόνον, καὶ τῆς ψυχῆς τὴν ἀχλύν, ἣν ἐκ τοῦ μὴ φύσει ζῆν ἔχετε, κακῷ μείζονι παραμυθοῦνται. Τούτων τὰ κολοβὰ διανοήματα καὶ ῥήματα ταῖς ἀκοαῖς ὑμῶν ἐναρμόζεται μᾶλλον ἢ νοῦς ἐκ φιλοσοφίας ἐν γλώττῃ περιτράνῳ τε καὶ στρογγύλῃ. Ὃ δὲ τῆς θαυμαστῆς οἰκουρίας ἀπολελαύκατε, τοῦ δήμου τὸ μὲν φρόνιμον ὑποπτεύοντες καὶ πρὸς ἐκείνους ἀποσεμνυνόμενοι, τὸ δὲ ἀνόητον εἰσαγόμενοι καὶ πρὸς ἐκείνους ἀπογυμνούμενοι. Ἔδει μὲν εἰδέναι καλῶς ὅτι ταῖς αὐταῖς παρασκευαῖς ἕκαστον αὔξεται καὶ συγκροτεῖται. Ἀλλ’ ἂν ἐπιδράμῃς τῷ νῷ τὴν ὅποι ποτὲ τῆς γῆς ἐκταθεῖσαν ἀρχήν, εἴτε τὴν Παρθυαίων, εἴτε τὴν Μακεδόνων, εἴτε τὴν Περσῶν, εἴτε τὴν παλαιτάτων Μήδων, εἴτε τὴν ἐν ᾗ ζῶμεν, ἄνδρες δημοτικοί τε καὶ στρατιῶται, καὶ τὰ πολλὰ συνθυραυλοῦντές τε καὶ χαμευνοῦντες τοῖς ἐν ταῖς φάλαγξι καὶ οὔτε μειονεκτοῦντες πόνων οὔτε πλεονεκτοῦντες ἡδονῶν, ἑκάστην ἐπικράτειαν ἐπὶ μέγα προήγαγον, δι’ ἐπιμελείας ἄνθρω-

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popolo, vi porta a stare rinchiusi, quasi foste assediati da voi stessi, e vi permette di vedere pochissimo, di ascoltare pochissimo, tutto ciò che costituisce il comune senso pratico, godendo soltanto dei piaceri del corpo (peraltro dei più materiali, quali quelli apportati dal tatto e dal gusto), vivendo una vita da molluschi di mare.37 Finché disdegnerete l’uomo, non otterrete neppure la perfezione dell’uomo. Difatti, quelli che la vostra condotta di vita o un’altra causa vi porta a frequentare, il cui accesso a palazzo è certo più agevole di quello di generali e comandanti di reparto, quelli con cui vi dimostrate sempre accondiscendenti, quelli insomma che hanno un’intelligenza scarsa e la testa piccola e che la natura, colpevolmente, ha segnato con falsa impronta alla maniera dei banchieri disonesti che falsificano la moneta38 (eppure di un menomato si può fare dono all’imperatore, e quanto più lo è tanto più il dono è considerato importante), ecco, costoro, ridendo e piangendo al tempo stesso, sconsideratamente, facendo i buffoni con gesti e versi e quanto altro è possibile, ammazzano con voi il tempo e provano a mitigare il malessere che vi portate nell’anima39 – derivato dal fatto che non vivete secondo la vostra natura – con un male ancora più grave. Le loro basse fantasie e le loro battute si confanno alle vostre orecchie meglio di un ragionamento filosofico espresso con linguaggio limpido e preciso. Questo, insomma, è quanto ottenete dalla vostra assurda vita ritirata; se alle persone comuni, assennate, guardate con sospetto, disdegnandole, quelle senza senno alcuno non mancate di introdurle presso di voi, mettendovi anzi a nudo dinanzi a loro. Eppure dovrebbe essere ben noto che è sempre lo stesso percorso che permette a ogni entità di accrescere e di formarsi. Se ripercorri con la mente ogni impero che si sia mai sviluppato in qualunque angolo della terra, sia quello dei Parti, quello dei Macedoni, quello dei Persiani, quello degli antichissimi Medi, oppure quello nel quale noi viviamo, ti accorgerai che sono stati essenzialmente gli uomini del popolo e i soldati, abituati a vivere negli accampamenti e a dormire per terra assieme ai loro compagni di falange, mai secondi nelle fatiche e mai primi nei piaceri, a rendere grande ogni predominio. Guadagnati con l’applicazione molti beni e divenuti per questo oggetto

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ποι κτώμενοι τἀγαθὰ καὶ γενόμενοι ζηλωτοί, χαλεπῶς ἂν ἔτι τὴν τάξιν τηροῖεν ἄνευ φρονήσεως. Ἔοικε γὰρ εὐτυχία φορτίον μολίβδου περιβριθέστερον. Περιτρέπει γοῦν τὸν ἀναθέμενον, ἢν μὴ πάνυ ῥωμαλέος ὢν τύχῃ. 15.  Ψυχῆς δὲ ῥώμην ὑπισχνεῖται μὲν φύσις, τελειοῖ δὲ ἄσκησις, εἰς ἥν σε, βασιλεῦ, προτρέπει φιλοσοφία φυλαττομένη γενέσθαι τὸ ἐκ λόγου συμβαῖνον· τοῖς γὰρ ἐναντίοις τῶν συνιστάντων ἕκαστον φθείρεται. Καὶ οὐκ ἀξιῶ παραβαθῆναι τῷ βασιλεῖ Ῥωμαίων τὰ πάτρια. Πάτρια δὲ ἡγοῦ Ῥωμαίων οὐ τὰ χθὲς καὶ πρώην εἰς ἐκδεδιῃτημένην ἤδη παρελθόντα τὴν πολιτείαν, ἀλλ’ ἐν οἷς ὄντες ἐκτήσαντο τὴν ἀρχήν. Ἐπεὶ φέρε πρὸς τοῦ βασιλείου θεοῦ· καί μοι πειρῶ διαμεῖναι, θυμοδακὴς γὰρ ὁ μῦθος. Πότε κάλλιον ἔχειν ἡγῇ τὰ Ῥωμαίων πράγματα; Ἀφ’ οὗ περιπόρφυροί τέ ἐστε καὶ περίχρυσοι καὶ λίθους ἐξ ὀρῶν τε καὶ θαλαττῶν βαρβάρων τοὺς μὲν ἀναδεῖσθε, τοὺς δὲ ὑποδεῖσθε, τοὺς δὲ περίκεισθε, τοὺς δὲ ἐξαρτᾶσθε, τοὺς δὲ περονᾶσθε, τοῖς δὲ ἐφιζάνετε; Τοιγαροῦν ἀπετελέσθητε θέαμα ποικιλώτατον καὶ πάγχρουν, ὥσπερ οἱ ταῷ, τὴν Ὁμηρικὴν ἀρὰν ἐφ’ ἑαυτοὺς ἕλκοντες, τὸν χιτῶνα τὸν λάϊνον. Ὑμῖν δὲ οὐδὲ χιτὼν οὗτος ἀποχρῶν· οὐ γὰρ εἰσιτητὸν εἰς τῶν ὁμοτίμων τὸ βουλευτήριον, ἡνίκα ἂν τὴν ἐπώνυμον ἀρχὴν ἄρχητε οὔτε ἀρχαιρεσιαζόντων οὔτε ἐπ’ ἄλλῳ τῳ συνεδρευόντων, ἢν μὴ καὶ πέπλον τοιοῦτον ἐγκορδυλήσησθε. Καὶ δῆτα ἀποβλέπεσθε ὑπὸ τῶν ἀνθρώπων οἷς θέμις ὁρᾶν ὡς μόνοι τῶν βουλευτῶν εὐδαίμονες, μόνοι τῶν βουλευτῶν ἀχθοφοροῦντες· ἀλλὰ [καὶ] γάνυσθε τῷ φορτίῳ, καθάπερ εἴ τις, χρυσῷ δεθεὶς καὶ μᾶλλον πολυταλάντοις ταῖς πέδαις, ἔπειτα μηδὲν ἐπαΐοι τοῦ κακοῦ μηδὲ ἡγοῖτο σχέτλια πάσχειν εἰς δεσμώτας τελῶν, ἠπατημένος τῇ πολυτελείᾳ τῆς

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d’invidia, quegli stessi uomini non avrebbero potuto molto facilmente mantenere la loro posizione se non si fossero dimostrati dei saggi. Il successo, infatti, è un fardello più pesante del piombo: chi se ne prenda carico senza essere sufficientemente robusto è destinato a rovinare a terra. 15.  La natura, d’altronde, può trasmettere solamente in parte questa forza; a renderla compiuta dovrà provvedere l’esercizio. E proprio a esso, mio sovrano, ti esorta la filosofia, che mette in guardia contro le conseguenze del principio per il quale ogni cosa perisce a causa delle forze contrarie a quelle che l’hanno resa possibile. Non è affatto bene, a mio avviso, che un imperatore dei Romani si allontani dall’eredità dei propri padri. Tuttavia, con questo tu non devi assolutamente intendere quanto nel recente passato, e anche prima, si è insinuato nello Stato fino a renderlo corrotto, ma quei princìpi grazie ai quali quegli uomini antichi ottennero il potere. Orsù, in nome del dio dei re, ti scongiuro, vedi di sopportare, per quanto “il mio discorso morda il cuore”.40 Quando credi che l’impero romano abbia attraversato il suo periodo migliore? Forse da quando avete iniziato a rivestirvi di porpora e di oro, da quando vi adornate con pietre preziose provenienti da montagne e mari stranieri, che alcuni portate ai piedi, altri alla testa, altri appesi al corpo, altri incastonati, altri ancora come ornamento del seggio? Senza alcun dubbio costituite uno spettacolo estremamente policromo e vario, così come i pavoni, attirando sopra di voi l’omerica maledizione della “veste di pietra”.41 Ma neanche questa, per voi, è sufficiente: non osate, infatti, neppure entrare in senato, sia che si tratti di esercitare la vostra funzione eponima42 sia che si eleggano dei magistrati o che ci si riunisca per un qualche altro motivo, senza agghindarvi con un tale43 indumento. Per di più, siete visti (da quelle poche persone cui è concesso di farlo) come gli unici felici tra i senatori, gli unici tra questi a sostenere il peso del potere. Eppure, vi rallegrate di un simile fardello così come potrebbe fare un uomo che, legato a dei ceppi dorati dal valore di molti talenti, ingannato dall’opulenza della sua sventura, non ha più cognizione alcuna del male in cui si trova né si rende più conto, in quanto pri-

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συμφορᾶς· ἀλλ’ οὔ γε μᾶλλον κινήσεται τῶν ἐν τῇ ποδοκάκκῃ τῷ φαυλοτάτῳ τῶν ξύλων. Ὑμῖν δὲ οὐδὲ τοὔδαφός ἐστιν ἀνεκτὸν οὐδ’ ἂν ἐμπεριπατήσητε κατὰ φύσιν ἐχούσῃ τῇ γῇ· ἀλλὰ δεῖ τὴν χρυσῖτιν ἐπιφορεῖν, ἣν ἐκ τῶν πέραν ἠπείρων ὑμῖν ἀπῆναί τε καὶ ὁλκάδες διακομίζουσι καὶ στρατιά τίς ἐστιν οὐ φαύλη τῶν τὸ χῶμα ῥαινόντων. Οὐ γὰρ βασιλικὸν ἡγεῖσθε μὴ οὐχὶ καὶ τοῖς σκύτεσι τῶν ὑποδημάτων τρυφᾶν. Νῦν οὖν ἆρ’ ἄμεινον πράττετε, ἀφ’ οὗ περὶ τοὺς βασιλέας ἡ τελετὴ συνέστη, καὶ θαλαμεύεσθε καθάπερ αἱ σαῦραι μόλις, εἴ πῃ, πρὸς τὴν εἵλην ἐκκύπτουσαι, μὴ φωραθείητε ὑπὸ τῶν ἀνθρώπων ὄντες ἄνθρωποι; Ἢ τόθ’ ἡνίκα ἐξηγοῦντο τῶν στρατευμάτων ἄνδρες ἐν μέσῳ ζῶντες, μέλανες ὑφ’ ἡλίῳ καὶ τὰ ἄλλα ἀφελῶς τε καὶ αὐτοσκεύως ἔχοντες, ἀλλ’ οὐ διθυραμβωδῶς καὶ τραγικῶς, ἐν πίλοις Λακωνικοῖς, οὓς ἐν ταῖς εἰκόσι θεώμενα γελᾷ τὰ μειράκια, καὶ οὐδὲ ὁ γέρων δῆμος εὐτυχεῖς ἡγοῦνται γεγονέναι, πρὸς δὲ ὑμᾶς ἐξετασθῆναι καὶ παντάπασι κακοδαίμονες; Ἀλλ’ ἐκεῖνοί γε οὐκ ἀποτειχίζοντες τὴν οἰκείαν εἶργον οὔτε τοὺς Ἀσιανοὺς οὔτε τοὺς Εὐρωπαίους βαρβάρους, ἀλλ’ οἷς ἐποίουν ἐκείνους ἐνουθέτουν τὴν σφετέραν ἀποτειχίζειν, θαμὰ διαβαίνοντες τὸν Εὐφράτην ἐπὶ τὸν Παρθυαῖον, τὸν δὲ Ἴστρον ἐπὶ τὸν Γέτην τε καὶ Μασσαγέτην. Οἱ δ’ οὖν ἕτερα ἀντὶ τούτων ὀνόματα θέμενοι, ἕτεροι δὲ αὐτῶν καὶ τὰ πρόσωπα τέχνῃ παραποιήσαντες, ἵνα δὴ δοκοίη γένος ἄλλο νέον τε καὶ ἀλλόκοτον ἐκφῦναι τῆς γῆς, δεδίττονται ὑμᾶς ἀντιδιαβαίνοντες καὶ μισθὸν εἰρήνης ἀξιοῦσι πράττεσθαι, ἢν μὴ σύ γε δύσεαι ἀλκήν.

Ἀλλ’ ἀφείσθω μέν, εἰ δοκεῖ, τὰ παλαιὰ πρὸς τὰ νῦν ἐξετάζειν, ἵνα δὴ μὴ δοκοίημεν ἐν σχήματι παραινέσεως ὀνειδίζειν, δεικνύντες ὡς ὅσον ἐπέδωκεν εἰς σχῆμα σοβαρὸν τὰ βασιλέως, τοσοῦτον ἀληθείας ἀφῄρηται.

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gioniero, di patire atroci sofferenze: di certo non si muoverà più liberamente di chi sia annodato a un comunissimo pezzo di legno. E neanche il suolo riuscite a tollerare, né potete camminare normalmente sulla terra: c’è bisogno di spargervi sopra della polvere d’oro, che da continenti lontani carri e navi da carico trasportano sino a voi, nonché della straordinaria squadra di coloro che ve ne ricoprono il terreno. Non si è infatti persone degne della corte, a vostro parere, se non si è immersi nel lusso fin dalle suole dei calzari. Dunque, ottenete più successo adesso, da quando un’aura di mistero circonda gli imperatori e voi ve ne rimanete rinchiusi, come le lucertole, facendo a stento capolino, appena appena, al calore del sole, col terrore che le altre persone scoprano che siete uguali a loro? O forse erano migliori i tempi in cui i comandanti, abbronzati per il sole, vivendo in mezzo agli uomini guidavano gli eserciti con modi semplici e naturali, anziché pomposi e teatrali? Con quei copricapi spartani, i loro ritratti, ancora oggi visibili, sono oggetto di scherno da parte dei ragazzi, mentre neanche gli anziani pensano più a loro come a uomini fortunati, considerandoli anzi rispetto a voi in tutto e per tutto degli sciagurati. Eppure non erano loro a dover respingere i Barbari d’Asia e d’Europa fortificando le frontiere; al contrario, con le loro operazioni essi inducevano gli altri a fortificare le proprie, come quando fu attraversato l’Eufrate contro i Parti e il Danubio contro i Geti e i Massageti.44 Ma quelli adesso, dopo aver mutato questi nomi in altri nuovi e, alcuni di loro, dopo aver contraffatto ad arte il loro aspetto (affinché sembrasse che un nuovo, straordinario popolo fosse stato partorito dalla terra), vi terrorizzano compiendo a loro volta incursioni dentro i nostri confini, arrivando persino a farsi elargire un compenso per la pace, “a meno che tu non ti rivesta del tuo valore”.45

Ma adesso, se sei d’accordo, finiamola di paragonare il passato col presente: così non correrò il rischio di sembrare uno che, esortando solo in apparenza, mira piuttosto alla critica, quando faccio notare che quanto più gli atteggiamenti del sovrano si concedono alla maestosità, tanto più sono distanti dalla verità.

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16.  Εἰ δὲ ὥσπερ ἐν τῇ καθ’ ὑμᾶς ποικιλίᾳ γενόμενος ὁ λόγος ἐφιλοχώρησεν, νέμοι τινὰ μοῖραν ἑαυτοῦ καὶ τῇ πάλαι τῶν βασιλέων, εἴτε ἀγροικίαν καλῶμεν αὐτήν, εἴτε λιτότητα βούλεσθε, καλῶς ἂν ἀλλήλαις ἀντιπαρεκδύοιντο πολυτέλεια καὶ εὐτέλεια· καὶ γυμνὰς ἂν οὕτω θεώμενος, ἐρασθείης ἀληθινοῦ βασιλέως κάλλους, ἀφεὶς τὸ φαινόμενόν τε καὶ ἐπιποίητον. Οὐκοῦν ἐκείνην μὲν ἀπὸ τῶν χρωμάτων τὸ πλέον ἐγράφομεν· ταύτην δὲ οὐκ ἔστιν ἀπὸ τούτων, ἄλλοθεν δὲ λαβεῖν. Οὐ γάρ ἐστιν αὐτῇ περιττά, μὴ πραγματευομένῃ περὶ αὐτά· τὰ δὲ ἤθη μᾶλλον εἰκόνες ἂν αὐτῆς εἶνε· καί τι ἔργον εὐθὺς συμπροκύπτει τῶν κατὰ φύσιν ἐχόντων βίων ταῖς προβολαῖς. Ἑνὸς οὖν ἄξιον ἐπιμνησθῆναι βασιλέως καὶ ἤθους καὶ ἔργου· καὶ γὰρ ἀποχρῶν ὁτιοῦν πάντα συνεφελκύσασθαι. Λέγεται δή τινα τῶν οὐ λίαν ἀρχαίων, ἀλλ’ ὃν ἂν εἰδεῖεν καὶ τῶν νῦν γερόντων οἱ πάπποι, εἰ μὴ νέοι τοὺς παῖδας ἐτέκνωσαν καὶ παρὰ νέων τῶν παίδων ἐγένοντο πάπποι· λέγεται δή τινα ἐκείνων στρατείαν μὲν ἄγειν ἐπὶ τὸν Ἀρσακίδην εἰς Ῥωμαίους ὑβρίσαντα· ἐπειδὴ δὲ πρὸς ταῖς ὑπερβολαῖς ταῖς Ἀρμενίων γενέσθαι, πρὶν ἐπιχειρῆσαι τῇ πολεμίᾳ, δείπνου τε αὐτὸν ἐρασθῆναι καὶ ἐπιτάξαι τῇ στρατιᾷ τοῖς ἀπὸ τῶν σκευοφόρων ἀγαθοῖς χρῆσθαι, ὡς ἐγγύθεν ἐπισιτιουμένοις, ἢν δέῃ – ἐδείκνυεν δὲ ἄρα τοὺς Παρθυαίων ἀγρούς. Ἐν τούτῳ δὲ ὄντων, πρεσβείαν ἐκ τῶν πολεμίων παρεῖναι καὶ οἴεσθαι μὲν ἥκουσαν προεντεύξεσθαι τοῖς βασιλεῖ παραδυναστεύουσι, καὶ τούτων γε αὖ πελάταις τισὶ καὶ εἰσαγγελεῦσιν, ὡς εἰς ἡμέραν πολλοστὴν ἀπ’ ἐκείνης τοῦ βασιλέως τῇ πρεσβείᾳ χρηματιοῦντος· συνενεχθῆναι δὲ κατ’ αὐτόν πως γενέσθαι τὸν βασιλέα δειπνοῦντα. Οὐ γὰρ ἦν πω τὸ τῶν δορυφόρων τοιοῦτον, ἀπὸ τῆς στρατιᾶς στρατιά τις ἔκκριτος, νέοι πάντες, πάντες εὐμήκεις, τὰς κόμας ξανθοί τε καὶ περιττοί,

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16.  Se d’altra parte il mio discorso, come di buon grado ha insistito sulla varietà dei vostri ornamenti, concedesse un poco del proprio spazio anche a quella dei sovrani antichi (che dovremmo piuttosto definire rusticità o, se preferite, frugalità), si rivelerebbe chiaramente il contrasto tra sfarzo e parsimonia. Allora tu, osservando entrambi questi concetti nel loro nudo essere, ti innamoreresti della vera bellezza che è propria del re, abbandonando tutto ciò che è apparenza e artificio. Se del primo concetto abbiamo già parlato essenzialmente a proposito degli orpelli, non possiamo certo afferrare il secondo sulla base di questi, bensì ad altro dovremo rifarci. Non ha infatti nulla a che fare con tutto ciò che è superfluo, non curandosi di questo. Si riflette piuttosto nei comportamenti: e in effetti ogni azione procede in stretta conformità al corso di una vita vissuta secondo natura. Vale la pena adesso di ricordare la condotta e le imprese anche di un solo imperatore romano, bastando uno qualunque a far emergere tutto quel che ci interessa. Prendiamone uno che non sia troppo antico, che potrebbero aver conosciuto i nonni dei nostri anziani, nel caso non abbiano generato i propri figli troppo presto o quelli non li abbiano appunto resi nonni quando erano ancora giovani.46 Si racconta che uno di quei re condusse una spedizione militare contro gli Arsacidi,47 che avevano provocato i Romani: valicati i monti dell’Armenia, prima di dare inizio allo scontro, si narra che il nostro imperatore fu preso dal desiderio di cibo e che comandò all’esercito di attingere alle risorse che trasportavano come bagaglio, dal momento che avrebbero potuto rifornirsi lì vicino, se ce ne fosse stato bisogno (chiaramente egli intendeva le campagne dei Parti). Fu allora che si presentò un’ambasceria da parte dei nemici: questi pensavano, una volta giunti, di venire a colloquio prima con gli uomini di fiducia dell’imperatore, o con alcuni loro sottoposti e portavoce, per poi essere ammessi a trattare direttamente col sovrano solamente dopo molti giorni. Invece capitò loro di incontrare subito l’imperatore in persona, che stava mangiando. Difatti, non esisteva ancora la guardia dei dorifori, corpo scelto dell’esercito, integralmente composto da uomini giovani, alti, biondi, robusti,

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αἰεὶ δὲ λιπαροὶ κεφαλὰς καὶ καλὰ πρόσωπα,

χρυσάσπιδες καὶ χρυσεολόγχαι, οἷς, ὅταν ποτὲ ὀφθῶσι, τὸν βασιλέα σημαινόμεθα, καθάπερ, οἶμαι, ταῖς προανισχούσαις ἀκτῖσι τὸν ἥλιον· ἀλλὰ πᾶσα φάλαγξ τὸ οἰκεῖον ποιοῦσα δορυφόρος ἦν τοῦ βασιλέως τε καὶ τῆς βασιλείας. Οἱ δὲ ἁπλῶς ἑαυτῶν εἶχον, οὐκ ἀπὸ τῆς σκευῆς, ἀλλ’ ἀπὸ τῆς ψυχῆς βασιλεῖς ὄντες, καὶ τἄνδον τοῦ πλήθους διέφερον· τὰ δὲ ἐκτὸς ὅμοιοι τοῖς ἀγελαίοις ἐφαίνοντο, ὥσπερ ἔχοντά φασι τὸν Καρῖνον ὑπὸ τῆς πρεσβείας ὀφθῆναι. Φοινικοβαφὴς χιτών, καὶ ἐπὶ τῆς πόας ἐκέκλιτο· τὸ δὲ δεῖπνον ἦν πίσινον ἕωλον ἔτνος, καὶ ἐν αὐτῷ τεμάχια ἄττα ταρίχη κρεῶν ὑείων, ἀπολελαυκότα τοῦ χρόνου. Ἰδόντα δὲ αὐτόν, οὔτε ἀναθορεῖν οὔτε μεταποιῆσαί τι λέγεται· καλέσαντα δὲ αὐτόθεν τοὺς ἄνδρας, εἰδέναι τε φάναι παρ’ αὐτὸν ἥκοντας· αὐτὸς γὰρ εἶναι Καρῖνος· καὶ κελεύειν ἀπαγγεῖλαι τῷ νέῳ βασιλεῖ τήμερον, εἰ μὴ σωφρονήσοι, προσδέχεσθαι πᾶν μὲν ἄλσος αὐτῶν, πᾶν δὲ πεδίον ἐν μιᾷ σελήνῃ ψιλότερον ἔσεσθαι τῆς Καρίνου κεφαλῆς· ἅμα δὲ λέγοντά φασιν ἐκδῦναι τοῦ πίλου, δεικνύντα τὴν κεφαλὴν οὐδέν τι δασυτέραν παρακειμένου τοῦ κράνους· καὶ εἰ μὲν πεινῷεν, ἐφεῖναι συνεμβαλεῖν τῇ χύτρᾳ· μὴ δεομένους δέ, κελεύειν αὐθωρὸν ἀπηλλάχθαι καὶ ἔξω τοῦ Ῥωμαϊκοῦ χάρακος εἶναι, ὡς τῆς πρεσβείας αὐτοῖς τέλος εὑρούσης. Λέγεται τοίνυν καὶ τούτων ἀνενεχθέντων ἐπὶ τὸ πλῆθος καὶ τὸν ἡγεμόνα τῶν πολεμίων, ὧν τ’ εἶδον ὧν τ’ ἤκουσαν, ὅπερ εἰκὸς ἦν συμβῆναι, φρίκην καὶ δέος ἐπιπεσεῖν ἅπασιν, εἰ πρὸς ἄνδρας μαχοῦνται τοιούτους ὧν ὁ βασιλεὺς οὔτε βασιλεὺς ὢν οὔτε φαλακρὸς αἰσχύνεται, καὶ χύτραν παρατιθέμενος συνδείπνους καλεῖ· ἀφικέσθαι δὲ τὸν βασιλέα τὸν ἀλαζόνα κατορρωδήσαντα, πάντα εἴκειν ἕτοιμον ὄντα, τὸν ἐν τιάρᾳ καὶ κάνδυϊ τῷ μετὰ χιτῶνος φαύλων ἐρίων καὶ πίλου.

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“dalle teste sempre lucenti e dal bell’aspetto”,48

armati di scudi e lance d’oro.49 Dal loro comparire noi oggi deduciamo subito la presenza dell’imperatore, così come, posso dire, quella del sole dai primi raggi; ma all’epoca tutto l’esercito, nello svolgere il proprio compito, era guardia del corpo del suo sovrano e dell’impero. Gli imperatori del passato si comportavano in maniera schietta, derivando la loro regalità non dall’estetica ma dall’anima, e si distinguevano dalla massa per le doti interiori. Esteriormente erano simili alle persone comuni, come si dice appunto di Carino, quando apparve all’ambasceria. La sua tunica color porpora era appoggiata sull’erba; il suo pasto consisteva in un passato di piselli del giorno prima con dentro qualche pezzetto di carne di maiale sotto sale, peraltro alquanto stantio. Si narra che quando li vide né si alzò né modificò in alcun modo il proprio comportamento, ma da dove era seduto li chiamò, dicendo di sapere che erano giunti per lui e che proprio lui era Carino. Li invitò a riferire in quello stesso giorno al loro giovane re che, se non si fosse dimostrato prudente, non avrebbe dovuto poi meravigliarsi se, nell’arco di un mese, ogni suo bosco e pianura fosse divenuto più spoglio della testa di Carino. E si dice che mentre parlava si tolse il copricapo, mostrando come sulla sua testa non vi fosse alcun capello in più rispetto all’elmo che aveva posto accanto a sé. Dopodiché, se avevano fame, concedeva loro di servirsi dalla sua pentola; in caso contrario, dovevano immediatamente allontanarsi e uscire dall’accampamento romano, essendosi ormai conclusa la loro missione. Si racconta anche che quando quelli riferirono al popolo e al sovrano nemici quanto avevano visto e udito – come d’altronde era probabile che accadesse – furono tutti presi dal terrore e dalla paura al pensiero di combattere contro uomini il cui re non era imbarazzato né dal proprio status regale né dalla propria calvizie,50 ma addirittura invitava degli uomini a condividere il pasto con lui facendoli servire dalla sua stessa pentola. Anche il loro superbo re fu preso dalla paura, dimostrandosi pronto, lui che indossava la tiara e la kandys persiana,51 a cedere ogni cosa all’altro, che portava una tunica di comunissima lana e un cappello.

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17.  Ἕτερον δὲ τούτου νεώτερον ἀκούεις, οἶμαι· καὶ γὰρ οὐδὲ εἰκὸς ἀνήκοόν τινα εἶναι βασιλέως ἑαυτὸν ἐπιδόντος εἴσω τῆς πολεμίας γενέσθαι ἐν χρείᾳ κατασκοπῆς, μιμησαμένου σχῆμα πρεσβείας. Λειτουργεῖν γὰρ ἦν τότε τὸ πόλεών τε καὶ στρατευμάτων ἡγεῖσθαι καὶ ἐξώμνυντό γε πολλοὶ τὴν τοιαύτην ἀρχήν. Εἶς δέ τις αὐτῶν καὶ ἐννεάσας τῷ βασιλεύειν, ἀπειπὼν πρὸς τοὺς πόνους ἑκὼν ἰδιώτης ἐγήρα. Ἐπεὶ καὶ τοὔνομα αὐτό σοι δείξω τοῦ βασιλέως ὄψιμον, ἐκλιπὲς Ῥωμαίοις γενόμενον ἀφ’ οὗ Ταρκυνίους ὁ δῆμος ἐξήλασεν. Ἀπὸ τούτου γὰρ ἡμεῖς μὲν ὑμᾶς ἀξιοῦμεν καὶ καλοῦμεν βασιλέας καὶ γράφομεν οὕτως· ὑμεῖς δέ, εἴτε εἰδότες εἴτε μή, συνηθείᾳ δὲ συγχωροῦντες, τὸν ὄγκον τῆς προσηγορίας ἀναδυομένοις ἐοίκατε. Οὔκουν οὔτε πρὸς πόλιν οὔτε πρὸς ἰδιώτην οὔτε πρὸς ὕπαρχον γράφοντες οὔτε πρὸς ἄρχοντα βάρβαρον ἐκαλλωπίσασθέ ποτε τῷ βασιλέως ὀνόματι· ἀλλ’ αὐτοκράτορες εἶναι ποιεῖσθε. Ὁ δὲ αὐτοκράτωρ ὄνομα στρατηγίας ἐστὶ πάντα ποιεῖν ὑποστάσης· καὶ Ἰφικράτης καὶ Περικλῆς ἔπλεον Ἀθήνηθεν αὐτοκράτορες στρατηγοί, καὶ οὐκ ἐλύπει τοὔνομα τὸν δῆμον τὸν ἀδυνάστευτον, ἀλλ’ αὐτὸς ἐχειροτόνει τὴν στρατηγίαν νόμιμον οὖσαν. Ἀθήνησι μὲν οὖν καὶ βασιλεύς τις καλούμενος μικρὰ ἔπραττεν καὶ ὑπεύθυνος ἦν, εἰς τοὔνομα τοῦ δήμου, οἶμαι, παίζοντος ἅτε ὄντες ἀκρατῶς ἐλεύθεροι· ἀλλ’ ὅ γε αὐτοκράτωρ αὐτοῖς οὔτε μόναρχος ἦν, καὶ σπουδαῖον ἦν καὶ πρᾶγμα καὶ ὄνομα. Πῶς οὖν οὐ σαφὲς τοῦτο τεκμήριον τῆς σώφρονος ἐν τῇ Ῥωμαίων πολιτείᾳ προαιρέσεως, ὅτι καίτοι μοναρχία προδήλως ἀποτελεσθεῖσα, μίσει τῶν τυραννίδος κακῶν, διευλαβεῖται καὶ φειδομένως ἅπτεται τοῦ βασιλείας ὀνόματος; Μοναρχίαν γὰρ διαβάλλει μὲν τυραννίς, ζηλωτὴν δὲ ποιεῖ βασιλεία,

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17.  C’è però un altro episodio più recente di questo che, io credo, avrai ascoltato. Non è probabile che esista qualcuno che non abbia mai sentito parlare di quell’imperatore che, esponendosi in prima persona, si addentrò in terra nemica per compiere una ricognizione, simulando un’ambasceria.52 A quel tempo, infatti, essere a capo di eserciti e città significava mettersi in gioco di persona e molti rinunciavano a un simile potere. Un imperatore, ad esempio, dopo aver passato la giovinezza a governare, decise di trascorrere la vecchiaia come privato cittadino, ormai spossato dalle fatiche.53 Devo farti notare che anche il titolo stesso di basileus è assai recente, essendo a lungo caduto in disuso presso i Romani, dopo la cacciata dei Tarquini da parte del popolo. Se noi vi onoriamo, appunto, col titolo di “re”, riprendendo quell’antico uso, anche per iscritto, voi, più o meno consapevolmente, magari rifacendovi semplicemente alla consuetudine, ritenete comunque preferibile sottrarvi a un appellativo così ingombrante. Che scriviate infatti a una città, a un privato cittadino, a un governatore o a un capo barbaro, non vi fregiate mai del titolo di basileus, ma preferite considerarvi degli autokratores.54 Autokrator era il titolo riservato allo stratega investito di ogni potere: Ificrate e Pericle salpavano da Atene in qualità di strateghi autokratores,55 e tale appellativo non disturbava minimamente quel popolo privo di ogni sovrano assoluto, anzi era esso stesso a conferire il potere a quella carica, perfettamente conforme alla legge. Ad Atene esisteva in effetti un magistrato chiamato basileus, ma svolgeva compiti di secondaria importanza ed era tenuto a rendere conto del proprio operato.56 Probabilmente, io credo, gli Ateniesi intendevano prendersi gioco di quell’appellativo, in quanto estremamente gelosi della propria libertà. Viceversa, quello che definivano autokrator, pur non essendo assolutamente un monarca, era preso molto seriamente sia quanto al titolo che per le sue funzioni. Non è quindi forse un chiaro indizio di saggia decisione in campo politico il fatto che i Romani, pur essendo la loro una monarchia in tutto e per tutto, tendano a evitare o a utilizzare con estrema attenzione l’appellativo di “re”, avendo così in odio i mali della tirannide? Essa, difatti, scredita la monarchia, così come il potere la rende oggetto di invidia. Eppure,

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καὶ Πλάτων αὐτὴν θεῖον ἀγαθὸν ἐν ἀνθρώποις καλεῖ· ὁ δὲ αὐτὸς οὗτος τὸ θείας εἰληχὸς μοίρας ἀξιοῖ πάντη ἄτυφον εἶναι· οὐ γὰρ σκηνοβατῶν οὐδὲ τερατουργῶν ὁ θεός, ἀλλὰ δι’ ἀψόφου βαίνων κελεύθου κατὰ δίκην τὰ θνήτ’ ἄγει,

παντί γε ἁπανταχοῦ παρεστάναι τῷ πεφυκότι μετέχειν ἕτοιμος. Οὕτως ἀξιῶ τὸν βασιλέα κοινὸν ἀγαθὸν καὶ ἄτυφον εἶναι. Τύραννοι δὲ εἰ θαυματοποιοῦσι κρυπτόμενοί τε καὶ σὺν ἐκπλήξει φαινόμενοι, φθόνος οὐδεὶς χήτει σεμνότητος ἀληθινῆς ἐπὶ προσποίησιν καταφεύγειν· τὸν γὰρ οὐδὲν ὑγιὲς ὄντα καὶ εἰδότα γε τοῦτο, τίς μηχανὴ μὴ οὐχὶ φεύγειν τὸ ἐμφανές, φεύγοντα καταφρόνησιν; Ἀλλ’ ἡλίου τὸ μέχρι τήμερον οὐδείς πω καταπεφρόνηκεν· καίτοι τί συνηθέστερον θέαμα; Καὶ βασιλεὺς εἰ τεθάρρηκεν ἀληθινὸς ὢν καὶ οὐκ ἐλεγχθησόμενος, ἔστω κοινότατος· οὐδὲν γὰρ ἧττον, εἰ μὴ καὶ μᾶλλον, ἀγαστὸς ἔσται. Οὐδὲ τοῦ χωλοῦ βασιλέως ὃν ἐπαινεῖ Ξενοφῶν ἐν ὅλῳ συγγράμματι, κατεγέλων οὔτε οὓς ἦγεν οὔτε δι’ ὧν ἦγεν οὔτε ἐφ’ οὓς ἐπορεύετο· καίτοι κατέλυεν οὗτος ἑκάστης πόλεως ἐν τοῖς δημοσιωτάτοις χωρίοις, ἐν ᾧ πάντα ποιῶν καταφανέστατος ἦν οἷς ἐπιμελὲς τὸν ἡγεμόνα τῆς Σπάρτης ὁρᾶν. Ἀλλ’ οὗτος εἰς τὴν Ἀσίαν τε διαβὰς ὀλίγῳ στρατεύματι, τὸν προσκυνούμενον ἄνθρωπον ὑπὸ τῶν ἀκατονομάστων ἐθνῶν ἐγγὺς ἦλθεν ἀποβιβάσαι τῆς ἀρχῆς· τοῦ μὲν γὰρ φρονήματος ἀπεβίβασεν· καὶ ἐπειδὴ τῶν οἴκοι τελῶν καλούντων τὰς ἐν Ἀσίᾳ πράξεις ἀφῄρητο, νίκας Ἑλληνικὰς ἀνῃρεῖτο πολλάς, ὑπὸ μόνου τε ἀνθρώπων ἡττᾶτο μαχόμενος, ὑφ’ οὗ κρατηθῆναι μόνου τῶν ἁπάντων εἰκὸς ἦν Ἀγησίλαον καὶ ὑπὲρ εὐτελείας ἀγωνιζόμενον. Ἐπαμεινώνδας

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Platone non esita a definire proprio la monarchia un bene divino fra gli uomini,57 pur ritenendo che quanto partecipi della sorte divina debba essere assolutamente privo di superbia.58 Difatti Dio, senza esibizioni plateali e senza ricorrere a prodigi, ma “per un silenzioso sentiero procedendo, guida le faccende umane secondo giustizia”,59

disponibile ad assistere in ogni circostanza chiunque sia atto a riceverlo. Allo stesso modo, io ritengo che il vero monarca sia un bene per tutti e privo di superbia. Al contrario i tiranni, seppure destano meraviglia restandosene prima nascosti e poi apparendo all’improvviso, non devono suscitare alcuna invidia, in quanto fanno ricorso alla finzione proprio per la mancanza della vera maestà. Chi è malsano, e per di più ne è consapevole, come potrebbe non sfuggire la luce, sfuggendo il disprezzo? Nessuno ha mai disprezzato il sole, fino a ora: eppure, quale visione è più familiare?60 Anche il sovrano, dunque (se è sicuro della propria legittimità e del fatto che non subirà contestazioni), dovrà risultare lo spettacolo in assoluto più comune. Di sicuro, non sarà per questo meno oggetto di ammirazione, anzi, forse lo sarà ancora di più. Neppure il re zoppo che Senofonte61 loda in un intero trattato era in alcun modo vittima di derisioni: non lo era da parte di coloro che comandava, né da parte di coloro che abitavano le terre attraverso le quali guidava il proprio esercito, neppure da parte di coloro contro i quali marciava. Eppure, egli sostava nelle zone più frequentate di ogni città, dove, qualunque cosa facesse, era massimamente visibile per chiunque avesse a cuore di vedere il re di Sparta. Con le sue poche truppe se ne sbarcò in Asia e per poco non giunse a far decadere dal potere un uomo venerato da innumerevoli popoli (di certo ne ridimensionò la presunzione).62 Quando poi, richiamato dalle autorità della propria città, dovette abbandonare le operazioni in Asia, ottenne molte vittorie in terra greca,63 venendo infine sconfitto in battaglia dall’unico tra gli uomini, solo tra tutti, da cui plausibilmente Agesilao avrebbe potuto essere sopraffatto, seppure si fosse gareggiato in frugalità:

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ἦν οὗτος ὃν στεφανοῦσαι μὲν αἱ πόλεις ἐκάλουν εὐωχησόμενον, ὁ δὲ φοιτῶν αὐταῖς – οὐ γὰρ ἦν ἄλλως ποιοῦντα μὴ οὐκ αἰτίαν ἔχειν τὸν ἐν ἀξιώματι – δριμέος ὄξους ἐπέπινεν, «Ἵνα, φησί, τῆς οἴκοι διαίτης Ἐπαμεινώνδας μὴ ἐπιλάθοιτο». Νεανίσκου δὲ Ἀττικοῦ τῆς μαχαίρας αὐτῷ τὴν κώπην ἐπισκώψαντος, ὅτι ξύλου τε φαύλου καὶ ἀκατέργαστος ἦν, «Οὐκοῦν ὅταν, ἔφη, μαχώμεθα, τῆς μὲν κώπης οὐ πειράσῃ, τὸν σίδηρον δὲ οὐκ ἐνέσται σοι μέμψασθαι». Εἰ δὲ βασιλικὸν μὲν τὸ ἄρχειν, ἄρχειν δὲ ὁποίων δέον κρατεῖν, ἐξ ὧν οἱ κρατεῖν εἰδότες ἐπιτηδευμάτων καὶ βίων, ὁρῶμεν, ὡς οὐκ ἀπὸ τῶν ἐκφύλων τε καὶ σοβαρῶν, ἀλλ’ ἀπὸ τῶν μετρίων τε καὶ σωφρόνων πάντα ἐκ πάντων συναιρεῖται, βασιλείας ἐξοριστέον εἶναι τῦφον καὶ πολυτέλειαν, ὡς οὐ μετὸν αὐτῇ τῶν ἀλλοτρίων. Καὶ ὁ λόγος ἐκ τούτου προῆκται. 18.  Ἐπαναγάγωμεν δὲ ἡμεῖς τε τὸν λόγον εἰς τὴν οἰκείαν ἀρχὴν σύ τε εἰς τὸ ἀρχαῖον πρᾶγμα τὸν βασιλέα. Ἀνάγκη γάρ, κεκολασμένων τῶν βίων καὶ σωφροσύνης ἐπανελθούσης, συνεπανελθεῖν μὲν αὐτῇ τὰ παλαιὰ καλά, τῶν δὲ ἐκ τῆς ἐναντίας μερίδος ἀντιμετάστασιν πάντων γενέσθαι. Καὶ σύ, βασιλεῦ, τῆς ἐπαναγωγῆς τῶν ἀγαθῶν ἄρξαιο καὶ ἀποδοίης ἡμῖν λειτουργὸν τῆς πολιτείας τὸν βασιλέα· καὶ γὰρ ἐν οἷς ἐσμεν οὐκέτι οἵα χωρῆσαι ῥᾳθυμία οὐδὲ πρόσω βῆναι· νῦν γὰρ πάντες ἐπὶ ξυροῦ ἵστανται ἀκμῆς, καὶ δεῖ θεοῦ καὶ βασιλέως ἐπὶ τὰ πράγματα, τὴν ὠδινομένην χρόνον ἤδη συχνὸν τῆς Ῥωμαίων ἀρχῆς τὴν εἱμαρμένην προαναιρήσοντος, ἥν, ἅμα συνάπτων τὸ ἑξῆς τοῦ λόγου καὶ τὸν βασιλέα δημιουργῶν ὃν ἐνήργμην ἄγαλμα πάγκαλον ἑστάναι, δείξω τε σαφῶς ἐγγὺς οὖσαν, ἢν μὴ σοφή τε καὶ ἰσχυρὰ βασιλεία κωλύῃ, καί, ἵνα ὁ κωλύων

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costui era Epaminonda.64 Questo, quando le città lo omaggiavano con corone e lo invitavano a banchetto, vi si recava (infatti non avrebbe potuto fare diversamente a meno di non mettere a repentaglio il proprio onore), ma beveva soltanto del vino acido, “affinché” – affermava – “Epaminonda non dimentichi il suo normale stile di vita”. A un ragazzetto attico che derideva l’impugnatura della sua spada, perché era di un legno scadente e poco elaborata, disse: “Se dovessimo combattere non saggeresti certo l’impugnatura, ma la lama, di cui non avresti nulla da lamentarti”.65 Se dunque è prerogativa del re comandare, e comandare significa dominare su chi si deve rifacendosi alle regole di condotta e di vita di coloro che hanno esercitato con cognizione il potere, e se non è a partire da elementi estranei e arroganti, ma misurati e saggi, che si compone un insieme che risulti armonico in tutte le sue componenti, allora è necessario esiliare dal regno vanità e opulenza, proprio perché non possano infiltrarsi elementi estranei. Da questo punto ha preso le mosse il mio discorso. 18.  E adesso riportiamo pure la nostra trattazione al suo tema iniziale; tu, riporta piuttosto il sovrano al suo compito originario. È necessario infatti che, dopo aver posto un freno agli stili di vita e aver ristabilito il senso della misura, il regno recuperi l’antico fasto e tutti quegli elementi a esso contrari vengano a loro volta rimossi. Che possa essere tu, che sei il nostro imperatore, a dare avvio al ritorno del bene e a restituirci un sovrano veramente al centro della vita politica. Nelle contingenze in cui siamo, infatti, non è più possibile che l’inerzia trovi ancora spazio, né che proceda oltre. In questo momento ci troviamo tutti sul filo del rasoio e c’è assoluta necessità, per fare fronte alle circostanze, di un imperatore che, coadiuvato da Dio, riesca ad arrestare quel destino che oramai da molto tempo attanaglia l’impero romano. Procedendo nel discorso, anche attraverso la descrizione del perfetto regnante, che ho iniziato a erigere quasi fosse una bellissima statua,66 dimostrerò chiaramente che quel destino è assai imminente, a meno che a opporvisi non sia una monarchia saggia e autorevole; e, affinché quel sovrano possa essere proprio tu, io certò farò tutto quello che

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αὐτὸς ᾖς, ἐκ τῶν ἐνόντων συμπαλαμήσομαι. Θεὸς δὲ ἀγαθοῖς ἀεί τε καὶ πάντως παραστάτης καὶ ἵλεως. 19.  Πόθεν οὖν, ἀπολιπόντες τὰ κοινῇ διαπλαττόμενα τῷ πλαττομένῳ παρὰ τοῦ λόγου βασιλεῖ, γνώμῃ περιηνέχθημεν εἰς τὰ καθεστῶτα; Ἠξίου φιλοσοφία τὸν βασιλέα θαμὰ ὁμιλεῖν στρατιώταις, ἀλλὰ μὴ θαλαμεύεσθαι· τὴν γὰρ εὔνοιαν, ἣ μόνη καὶ μάλιστα βασιλέως ἐστὶν ἰσχυρὸν φυλακτήριον, ἐδίδασκεν ἀπὸ τῆς ὁσημέραι συνηθείας ἀθροίζεσθαι. Ποδαποῖς οὖν τὸ γένος οὖσι τοῖς στρατιώταις φιλόσοφος, ἐραστὴς ὢν βασιλέως, ἀξιοῖ καὶ παιδεύειν τὸ σῶμα καὶ συναυλίζεσθαι; Ἦ δῆλον ὅτι τούτους οὓς ἀγροὶ καὶ πόλεις καὶ καθάπαξ ἡ βασιλευομένη γῆ δίδωσι προμάχους καὶ καταλέγει φύλακας τῇ πολιτείᾳ τε καὶ τοῖς νόμοις ὑφ’ ὧν ἐτράφησάν τε καὶ ἐπαιδεύθησαν· οὗτοι γάρ εἰσιν οὓς καὶ κυσὶν ὁ Πλάτων εἴκαζεν. Ἀλλ’ οὔτε τῷ ποιμένι μετὰ κυνῶν τοὺς λύκους τακτέον, κἂν σκύμνοι ποτὲ ἀναιρεθέντες τιθασεύεσθαι δόξωσιν, ἢ κακῶς αὐτοῖς πιστεύσει τὴν ποίμνην· ὅταν γάρ τινα ταῖς κυσὶν ἀσθένειαν ἢ ῥᾳθυμίαν ἐνίδωσιν, αὐταῖς τε καὶ ποίμνῃ καὶ ποιμέσιν ἐπιχειρήσουσιν· οὔτε τῷ νομοθέτῃ δοτέον ὅπλα τοῖς οὐ τεχθεῖσί τε καὶ τραφεῖσιν ἐν τοῖς αὐτοῦ νόμοις· οὐ γὰρ ἔχει παρὰ τῶν τοιούτων οὐδὲν εὐνοίας ἐνέχυρον. Ὡς ἔστιν ἀνδρὸς θαρσαλέου ἢ μάντεως νεότητα πολλὴν ἑτερότροφον ἔθεσιν ἰδίοις χρωμένην ἐν τῇ χώρᾳ τὰ πολέμια μελετῶσαν ὁρῶντα μὴ δεδιέναι· δεῖ γὰρ ἤτοι πάντας αὐτοὺς πιστεῦσαι φιλοσοφεῖν ἢ τούτου καλῶς ἀπογνόντας οἴεσθαι τὸν Ταντάλου λίθον ὑπὲρ τῆς πολιτείας λεπτοῖς καλωδίοις ἠρτῆσθαι. Ὡς τότε πρῶτον ἐπιχειρήσουσιν ὅτε πρῶτον αὐτοῖς οἰήσονται προχωρήσειν τὴν πεῖραν. Τούτου μὲν οὖν καὶ ἀκροβολισμοί τινες ἤδη γίνονται καὶ φλεγμαίνει μέρη συχνὰ τῆς ἀρχῆς ὥσπερ σώματος, οὐ δυναμένων αὐτῷ συγκραθῆναι τῶν ἀλλοτρίων εἰς ἁρμονίαν ὑγιεινήν· ἐκκρῖναι δὲ δεῖν τἀλλότριον

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è possibile. I buoni, tuttavia, possono sempre contare, in ogni circostanza, sulla protezione e sulla benevolenza della divinità. 19.  Per quale ragione, dunque, tralasciando i tratti generali di quel sovrano ideale descritto dal nostro discorso, abbiamo rivolto la nostra attenzione all’attualità? Era la filosofia stessa a esortare il re ad avere frequenti rapporti con i soldati e a non starsene rinchiuso; essa insegnava pure a conquistarsi attraverso una quotidiana confidenza quella benevolenza che, da sola, costituisce il più efficace sistema di difesa del sovrano. Ma con quale genere di soldati il filosofo che ami il suo re lo esorterà ad allenare il corpo e ad avere relazioni? Ovviamente con quelli che i campi, le città, in una parola tutta la terra su cui si estende il suo dominio offre come difensori e annovera tra le guardie dello Stato e delle leggi che li allevarono e li educarono: quelli, insomma, che Platone assimilava ai cani.67 Il pastore, però, non deve assolutamente mescolare ai cani i lupi, neppure se li avesse raccolti quando erano ancora cuccioli e dovessero sembrargli addomesticati, salvo non fare un grave errore nell’affidamento del proprio gregge. Non appena noteranno, infatti, una qualche stanchezza o distrazione nei cani, i lupi assaliranno loro, il gregge e i pastori. Allo stesso modo, il legislatore non deve concedere armi a coloro che non sono nati e non sono stati allevati al di sotto delle sue leggi, giacché da parte di tali persone non possiede garanzia alcuna di lealtà.68 Soltanto un temerario o un visionario può non avere paura nel vedere così tanti giovani, educati in maniera diversa e seguaci di propri costumi, svolgere compiti guerreschi all’interno del nostro territorio: infatti, o si crede che costoro siano tutti seguaci della filosofia, oppure si deve pensare, rifiutando quest’idea, che la pietra di Tantalo se ne stia appesa con corde sottili al di sopra dello Stato.69 Non appena quelli crederanno che un loro tentativo può andare a buon fine, ci assaliranno immediatamente. Di questo ci sono già state alcune avvisaglie70 e sono molte le parti dell’impero che si stanno infiammando, esattamente come accadrebbe in un corpo in cui non risultasse possibile l’assimilazione di alcuni elementi estranei, condizione indispensabile per una sana armonia. Che sia necessario, quindi, allon-

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ἀπό τε σωμάτων καὶ πόλεων, ἰατρῶν τε καὶ στρατηγῶν παῖδες ἂν εἴποιεν. Τὸ δὲ μήτε ἀντίπαλον αὐτοῖς κατασκευάζεσθαι δύναμιν καί, ὡς ἐκείνης οἰκείας οὔσης, ἀστρατείαν τε διδόναι πολλοῖς αἰτοῦσι καὶ πρὸς ἄλλοις ἔχειν ἀφιέναι τοὺς ἐν τῇ χώρᾳ, τί ἄλλο ἢ σπευδόντων ἐστὶν εἰς ὄλεθρον ἀνθρώπων; Δέον, πρὸ τοῦ Σκύθας δεῦρο σιδηροφοροῦντας ἀνέχεσθαι, παρά τε τῆς φίλης γεωργίας ἄνδρας αἰτῆσαι τοὺς μαχεσομένους ὑπὲρ αὐτῆς καὶ καταλέγειν εἰς τοσοῦτον ἐν ᾧ δὴ καὶ τὸν φιλόσοφον ἀπὸ τοῦ φροντιστηρίου καὶ τὸν χειροτέχνην ἀπὸ τοῦ βαναυσεῖν ἀναστήσαντα καὶ ἀπὸ τοῦ πωλητηρίου τὸν ὄντα πρὸς τούτῳ, τόν τε κηφῆνα δῆμον, ὃς ὑπὸ τῆς πάνυ σχολῆς ἐγκαταβιοῖ τοῖς θεάτροις, πείσομέν ποτε καὶ σπουδάσαι, πρὶν ἀπὸ τοῦ γελᾶν ἐπὶ τὸ κλάειν ἀφίκωνται, μήτε τῆς χείρονος αἰδοῦς μήτε τῆς ἀμείνονος ἐμποδὼν οὔσης τῷ τὴν ἰσχὺν Ῥωμαίοις οἰκείαν γενέσθαι. Τέτακται γὰρ ὥσπερ ἐν οἴκῳ καὶ πολιτείαις ὁμοίως τὸ μὲν ὑπερασπίζον κατὰ τὸ ἄρρεν, τὸ δὲ εἰς τὴν ἐπιμέλειαν ἐστραμμένον τῶν εἴσω κατὰ τὸ θῆλυ. Πῶς οὖν ἀνεκτὸν παρ’ ἡμῖν ἀλλότριον εἶναι τὸ ἄρρεν; Πῶς δὲ οὐκ αἴσχιον παραχωρῆσαι τὴν εὐανδροτάτην ἀρχὴν ἑτέροις τῆς ἐν πολέμῳ φιλοτιμίας; Ἀλλ’ ἔγωγε, εἰ νίκας ὑπὲρ ἡμῶν νικῷεν πολλάς, αἰσχυνοίμην ἂν ὠφελούμενος. Ἐκεῖνο μέντοι γινώσκω φρονέω τε

– καὶ γὰρ ἐγγύς ἐστιν ἅπαντος τοῦ νοῦν ἔχοντος – ὡς, ὅταν τὰ λεγόμενα ταῦτα, τὸ ἄρρεν τε καὶ τὸ θῆλυ, μήτε ἀδελφὰ τυγχάνῃ μήτε ἄλλως ὁμογενῆ, μικρὰ πρόφασις ἀρκέσει τοὺς ὡπλισμένους τῶν ἀστυπολούντων δεσπότας ἀξιοῦν εἶναι, καὶ μαχήσονταί ποτε ἀπόλεμοι πρὸς τοὺς ἠσκημένους τὸν ἐν ὅπλοις ἀγῶνα. Πρὶν οὖν εἰς τοῦτο ἥκειν ἐφ’ ὃ πρόεισιν ἤδη, ἀνακτητέον ἡμῖν τὰ Ῥωμαίων

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tanare ogni fattore esterno, dai corpi come dalle città, anche i più inesperti dei medici e dei generali lo potrebbero dire. Chi, se non colui che ambisca alla propria rovina, non si procurerebbe un esercito da contrapporre loro (che potrebbe benissimo ottenere reclutando i propri concittadini) e concederebbe anzi l’esonero dal servizio militare ai molti che lo chiedono, lasciando che chi risiede nel nostro territorio si occupi di tutt’altro? Anziché tollerare che gli Sciti71 se ne stiano qui armati, dobbiamo richiedere alla nostra amata campagna gli uomini che si batteranno per difenderla. Dobbiamo procedere ad arruolare fino a che, smossi i filosofi dal proprio luogo di studio, gli artigiani dal loro mestiere, dal mercato chi vi lavora, noi persuaderemo anche quella massa indolente che trascorre la propria vita nei teatri senza fare assolutamente nulla a impegnarsi seriamente, prima che da ridere si ritrovi a piangere. Non esiste alcun motivo di esitazione, né in buona né in cattiva fede, che possa essere di ostacolo alla costituzione di un esercito formato da cittadini romani. Infatti, così come in casa, nello Stato il compito della difesa è assegnato all’uomo, mentre quello di volgersi alla cura di quanto se ne sta all’interno delle mura domestiche alla donna. Ora, come potremo sopportare che da noi l’uomo sia uno straniero? E non è ancora più vergognoso che l’impero più dotato di uomini forti e coraggiosi ceda ad altri il desiderio di onore in guerra? Personalmente, se anche quelli dovessero riportare per noi innumerevoli vittorie, mi vergognerei di esserne debitore. Questo io “lo capisco e lo penso”;72

e infatti la questione è alla portata di chiunque abbia un po’ di buon senso. Qualora un uomo e una donna, per riprendere quanto si diceva, non siano tra di loro né fratelli né consanguinei, basterà un futile motivo perché chi è armato pretenda di essere il padrone di chi vive nelle città, e contro uomini allenati a lottare in armi si ritroveranno a combattere persone del tutto inette alla guerra. Prima dunque di giungere sino a questo punto, al quale ci stiamo approssimando ormai da tempo, è necessario che noi ci riappropriamo delle grandi aspirazioni dei Romani e che ci abituiamo

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φρονήματα καὶ συνεθιστέον αὐτουργεῖν τὰς νίκας, μηδὲ κοινωνίας ἀνεχομένους, ἀλλ’ ἀπαξιοῦντας ἐν ἁπάσῃ τάξει τὸ βάρβαρον. 20.  Ἀρχῶν δὲ δὴ καὶ πρῶτον ἀπεληλάσθων καὶ τῶν ἐν βουλευτηρίῳ γερῶν ἀποκεκόφθων, οἷς ὑπῆρξεν αἰσχύνη τὰ παρὰ Ῥωμαίοις πάλαι καὶ δοκοῦντα καὶ ὄντα σεμνότατα. Ἐπεὶ νῦν γε καὶ τὴν βουλαίαν Θέμιν αὐτὴν καὶ θεὸν οἶμαι τὸν στράτιον ἐγκαλύπτεσθαι, ὅταν ὁ σισυροφόρος ἄνθρωπος ἐξηγῆται χλαμύδας ἐχόντων καί, ὅταν ἀποδύς τις ὅπερ ἐνῆπτο κώδιον, περιβάληται τήβεννον καὶ τοῖς Ῥωμαίων τέλεσι συμφροντίζῃ περὶ τῶν καθεστώτων, προεδρίαν ἔχων παρ’ αὐτόν που τὸν ὕπατον, νομίμων ἀνδρῶν ὀπίσω θακούντων. Ἀλλ’ οὗτοί γε μικρὸν τοῦ βουλευτηρίου προκύψαντες, αὖθις ἐν τοῖς κωδίοις εἰσὶ καί, ὅταν τοῖς ὀπαδοῖς συγγένωνται, τῆς τηβέννου καταγελῶσι, μεθ’ ἧς οὐκ εἶναί φασι ξιφουλκίας εὐμοιρίαν. Θαυμάζω δ’ ἔγωγε πολλαχῇ τε ἄλλῃ καὶ οὐχ ἥκιστα ταύτῃ τὴν ἀτοπίαν ἡμῶν· ἅπας γὰρ οἶκος ὁ καὶ κατὰ μικρὸν εὖ πράττων Σκυθικὸν ἔχει τὸν δοῦλον, καὶ ὁ τραπεζοποιὸς καὶ ὁ περὶ τὸν ἰπνὸν καὶ ὁ ἀμφορεαφόρος Σκύθης ἐστὶν ἑκάστῳ, τῶν τε ἀκολούθων οἱ τοὺς ὀκλαδίας ἐπὶ τῶν ὤμων ἀνατιθέμενοι, ἐφ’ ᾧ τοῖς ἐωνημένοις ἐν ταῖς ἀγυιαῖς εἶναι καθίζεσθαι, Σκύθαι πάντες εἰσίν, ἄνωθεν ἀποδεδειγμένου τοῦ γένους ἐπιτηδείου τε καὶ ἀξιωτάτου δουλεύειν Ῥωμαίοις. Τὸ δὲ τοὺς ξανθοὺς τούτους καὶ κομῶντας Εὐβοϊκῶς παρὰ τοῖς αὐτοῖς ἀνθρώποις ἰδίᾳ μὲν οἰκέτας εἶναι, δημοσίᾳ δὲ ἄρχοντας, ἄηθες ὄν, τῆς θέας γένοιτο ἂν τὸ παραδοξότατον, καὶ εἰ μὴ τοῦτό ἐστιν, οὐκ ἂν εἰδείην ὁποῖον ἂν εἴη τὸ καλούμενον αἴνιγμα. Ἐν Γαλλίᾳ μὲν οὖν Κρίξος καὶ Σπάρτακος ὁπλοφοροῦντες ἀδόξως, ἵνα θεάτρῳ γένοιντο τοῦ δήμου Ῥωμαίων καθάρσια, ἐπειδὴ δραπετεύσαντες τοῖς νόμοις ἐμνησικάκησαν, τὸν οἰκετικὸν κληθέντα πόλεμον συνεστήσαντο, βαρυσυμφορώτατον ἐν τοῖς μάλιστα τῶν τότε Ῥωμαίοις γενόμενον· ἐφ’ οὓς ὑπάτων καὶ στρατηγῶν καὶ τῆς Πομπηίου τύχης ἐδέησεν αὐτοῖς, ἐγγὺς ἐλθούσης τῆς πόλεως ἀναρπασθῆναι τῆς γῆς. Καίτοι

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nuovamente a procurarci da soli le vittorie, senza tollerare più di condividerle con altri, ma anzi respingendo da ogni fila dell’esercito i Barbari. 20.  Anzitutto, si escluda dalle magistrature e dalle prerogative del senato coloro i quali hanno ritenuto solo un’onta quei valori che ai Romani del passato parvero – e in effetti lo furono – i più nobili. Oggi anche la stessa Temi che si trova nella sala del consiglio e il dio della guerra,73 io credo, si coprono il volto per la vergogna, quando un uomo vestito con pelli di capra comanda quelli che portano la clamide74 e poi, toltosi la pelle e indossata la toga, si occupa assieme ai dignitari romani delle questioni all’ordine del giorno, godendo magari del posto di onore accanto al console e costringendo i magistrati legittimi a sedersi dietro. Poi, non appena sono usciti dal senato, si rivestono nuovamente delle loro pelli e, qualora incontrino i loro compagni, ridono della toga, che, dicono, non è agevole nello sfoderare la spada. Tra tutte le nostre stranezze io mi stupisco soprattutto di questa: ogni famiglia, anche di condizioni modeste, possiede uno schiavo scitico. Ognuno ha un addetto alla tavola, alla cucina, un portatore di anfore, che proviene dalla Scizia. Lo stesso vale per quei servitori che si portano sulle spalle le sedie pieghevoli sulle quali, dietro pagamento, è possibile sedersi per le strade: sono tutti Sciti, avendo da molto tempo il loro popolo dimostrato di essere estremamente adatto e capace a servire i Romani. Ora, che questi uomini biondi e dalla lunga chioma alla moda dell’Eubea75 siano, rispetto alle stesse persone, in privato i servi e in pubblico i padroni, è certo una cosa insolita, probabilmente la più straordinaria a vedersi. Se non è questo un enigma, non saprei proprio che cosa possa definirsi tale. Quando in Gallia76 Crisso e Spartaco, armati senza alcuna gloria solo per diventare a teatro vittime espiatorie del popolo romano, scapparono serbando un profondo rancore nei confronti della legge, dettero vita alla cosiddetta “guerra servile”, che fu per i Romani la più disastrosa tra tutte quelle combattute all’epoca. Contro di loro furono necessari consoli e generali, nonché la buona sorte di Pompeo, dato che la città era ormai giunta a un passo dall’essere cancellata dalla

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γε οἱ Σπαρτάκῳ καὶ Κρίξῳ συναποστάντες οὔτε ἐκείνοις οὔτε ἀλλήλοις ἦσαν ὁμόφυλοι, ἀλλ’ ἡ κοινωνία τῆς τύχης, ἐπειλημμένη προφάσεως, ὁμογνώμονας ἐποίει. Φύσει γὰρ ἅπαν, οἶμαι, πολέμιον, ὅταν ἐλπίσῃ κρατήσειν τοῦ κυρίου τὸ δοῦλον. Ἆρ’ οὖν ὁμοίως ἔχει καὶ παρ’ ἡμῖν; Ἢ τῷ παντὶ μεγαλειότερον τὰς ὑποθέσεις τῶν ἀτόπων ἐκτρέφομεν; Οὔτε γὰρ δύο ἐστὸν οὔτε ἀτίμω παρ’ ἡμῖν οἱ στάσεως ἂν ἄρξαντες, ἀλλὰ στρατεύματα μεγάλα καὶ παλαμναῖα καὶ συγγενῆ τῶν παρ’ ἡμῖν δούλων εἰς τὴν Ῥωμαίων ἡγεμονίαν εἰσηρρηκότα κακῇ μοίρᾳ, παρέχεται στρατηγοὺς μάλα ἐν ἀξιώματι παρὰ σφίσιν αὐτοῖς καὶ παρ’ ἡμῖν ἡμετέρῃ κακίῃ.

Τούτων, ὅταν ἐθέλωσι, πρὸς οἷς ἔχουσι, καὶ τοὺς οἰκέτας ἡγοῦ στρατιώτας εἶναι μάλα ἰταμοὺς καὶ θρασεῖς, ἔργοις ἀνοσιωτέροις τῆς αὐτονομίας ἐμφορησομένους. Καθαιρετέον οὖν ἡμῖν τὸν ἐπιτειχισμὸν καὶ τὴν ἔξωθεν αἰτίαν ἐξαιρετέον τῆς νόσου, πρὶν ἀποσημῆναι καὶ τὸ ῥῆγμα [καὶ] τὸ ὕπουλον, πρὶν ἐλεγχθῆναι τὴν τῶν ἐνοικούντων δυσμένειαν. Ἀρχόμενά τοι κρατεῖται τὰ κακά, κρατύνεται δὲ προϊόντα. Καθαρτέον δὲ τῷ βασιλεῖ τὸ στρατόπεδον, ὥσπερ θημῶνα πυρῶν, οὗ ζειάν τε ἐκκρίνομεν καὶ ὅσα παραβλαστάνει, λύμη τῷ γενναίῳ τε καὶ γνησίῳ σπέρματι. Εἰ δέ σοι δοκῶ τὰ μηκέτι ῥᾴδια συμβουλεύειν, οὐκ ἐννενόηκας ἀνδρῶν ὁποίων μὲν ὄντι σοι βασιλεῖ, περὶ δὲ ἔθνους ὁποίου τοὺς λόγους ποιοῦμαι; Οὐ Ῥωμαῖοι μὲν περιεγένοντο, ἀφ’ οὗ καὶ τοὔνομα αὐτῶν εἰς ἀνθρώπους ἠκούσθη, καὶ κρατοῦσιν ἁπάντων οἷς ξυμμίξειαν καὶ χειρὶ καὶ γνώμῃ καὶ τὴν γῆν ἐπῆλθον, ὥσπερ Ὅμηρός φησι τοὺς θεούς, ἀνθρώπων ὕβριν τε καὶ εὐνομίαν ἐφέποντες;

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faccia della terra. Eppure quelli che insorsero assieme a Spartaco e a Crisso non erano affatto della stessa razza, né rispetto ai due capi né tra di loro: era stata la sorte comune, addotta a pretesto, a renderli uniti. Io ritengo infatti che ogni schiavo sia naturalmente nemico del proprio padrone, qualora speri di poterlo sopraffare. Forse le cose non stanno così anche presso di noi? E non alimentiamo noi forse in maniera ancora maggiore i presupposti delle sciagure? Giacché nel nostro caso non sono soltanto due uomini senza onore a poter dare avvio a una sedizione, ma delle enormi armate, violente e della medesima razza dei nostri schiavi, che, insinuatesi per un funesto destino nell’impero romano, forniscono dei generali che godono della massima stima e presso di loro e, “per nostra inettitudine”,77

presso di noi. Considera che, qualora lo vogliano, oltre agli uomini di cui già dispongono, anche i nostri schiavi diverranno loro soldati, sfrontati, impudenti, indotti dall’ottenuta libertà a compiere le più scellerate delle azioni. Perciò, noi dobbiamo abbattere il problema e rimuovere la causa esterna della malattia, prima che questa lesione, cicatrizzata solo in superficie, inizi a manifestare i propri sintomi e venga allo scoperto l’ostilità di coloro che qui sono migrati. Finché si trovano allo stadio iniziale, infatti, i mali possono essere sconfitti; ma se viene concesso loro di perdurare, allora si rafforzano. È necessario dunque che il sovrano compia un’epurazione delle milizie, come accade in un mucchio di grano quando scartiamo il loglio e le erbe parassite che contaminano il seme genuino e puro. Se ciò che ti suggerisco non ti sembra per niente facile, forse non ti rendi conto di quali uomini tu sia l’imperatore, né di quale popolo io stia parlando? Non furono forse i Romani a vincere e a dominare con la forza e l’intelligenza tutte le altre genti con cui vennero a contatto, facendo sì che il loro nome divenisse noto a ogni popolo? Non furono i Romani ad attraversare tutta la terra, come dice Omero, riferendosi agli dèi, “per amministrare la tracotanza e la legalità degli uomini”?78

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21.  Σκύθας δὲ τούτους Ἡρόδοτός τέ φησι καὶ ἡμεῖς ὁρῶμεν κατεχομένους ἅπαντας ὑπὸ νόσου θηλείας. Οὗτοι γάρ εἰσιν ἀφ’ ὧν οἱ πανταχοῦ δοῦλοι, οἱ μηδέποτε γῆς ἐγκρατεῖς, δι’ οὓς ἡ Σκυθῶν ἐρημία πεπαροιμίασται, φεύγοντες ἀεὶ τὴν οἰκείαν· οὓς ἐξ ἠθέων τῶν σφετέρων, φασὶν οἱ τὰ παλαιὰ παραδόντες, Κιμμέριοί τε ἀνέστησαν πρότερον καὶ αὖθις ἕτεροι καὶ αἱ γυναῖκές ποτε καὶ οἱ πατέρες ὑμῶν καὶ ὁ Μακεδών, ὑφ’ ὧν τῶν μὲν εἰς τοὺς εἴσω, τῶν δὲ εἰς τοὺς ἔξω προὐχώρησαν· καὶ οὐ παύονταί γε, ἕως ἂν ὦσι τοῖς καταντικρὺ παρὰ τῶν ἐλαυνόντων ἀντιδιδόμενοι, ἀλλ’ ὅταν ἐμπέσωσιν ἄφνω τοῖς οὐ προσδεχομένοις, ἐπὶ χρόνον ταράττουσιν, ὥσπερ Ἀσσυρίους πάλαι καὶ Μήδους καὶ Παλαιστίνους. Καὶ τὸ νῦν δὴ τοῦτο, παρ’ ἡμᾶς οὐ πολεμησείοντες ἦλθον, ἀλλ’ ἱκετεύσοντες, ἐπειδὴ πάλιν ἀνίσταντο· μαλακωτέροις δὲ ἐντυχόντες οὐ τοῖς ὅπλοις Ῥωμαίων, ἀλλὰ τοῖς ἤθεσιν, ὥσπερ ἴσως ἔδει πρὸς ἱκέτας, γένος ἀμαθὲς τὸ εἰκὸς ἀπεδίδου καὶ ἐθρασύνετο καὶ ἠγνωμόνει τὴν εὐεργεσίαν, ὑπὲρ οὗ πατρὶ τῷ σῷ δίκας ἐπ’ αὐτοὺς ὡπλισμένῳ διδόντες αὖθις ἦσαν οἰκτροὶ καὶ ἱκέται σὺν γυναιξὶν ἐκάθιζον· ὁ δὲ τῷ πολέμῳ νικῶν ἐλέῳ παρὰ πλεῖστον ἡττᾶτο καὶ ἀνίστη τῆς ἱκετείας καὶ συμμάχους ἐποίει καὶ πολιτείας ἠξίου καὶ μετεδίδου γερῶν καὶ γῆς τι ἐδάσατο τοῖς παλαμναίοις Ῥωμαϊκῆς, ἀνὴρ τῷ μεγαλόφρονι καὶ γενναίῳ τῆς φύσεως ἐπὶ τὸ πρᾶον χρησάμενος. Ἀλλ’ ἀρετῆς γε τὸ βάρβαρον οὐ ξυνίησιν. Ἀρξάμενοι γὰρ ἐκεῖθεν τὸ μέχρι τοῦδε καταγελῶσιν ἡμῶν, εἰδότες ὧν τε ἦσαν ἄξιοι παρ’ ἡμῶν καὶ ὧν ἠξιώθησαν· τό τε κλέος τοῦτο γείτοσιν αὐτῶν ἤδη τὴν ἐφ’ ἡμᾶς ὡδοποίησεν. Καί τινες ἐκφοιτῶσιν ἱπποτοξόται ξένοι παρὰ τοὺς ῥᾳδίους ἀνθρώπους φιλοφροσύνην αἰτοῦντες παράδειγμα ἐκείνους

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21.  Come dice Erodoto79 e come noi stessi osserviamo, questi Sciti sono tutti affetti dalla mancanza di virilità. Infatti, sono loro a rifornire ogni luogo di schiavi e sono loro a non essere mai stati padroni di una terra. A causa loro la “solitudine degli Sciti”80 è divenuta proverbiale, giacché fuggono costantemente dalla loro patria. I primi a scacciarli dalle loro dimore, secondo gli storici dei tempi antichi, furono i Cimmeri, seguiti poi da altri, tra cui anche delle donne e i vostri antenati, nonché il Macedone.81 Pressati da alcuni verso l’interno di un territorio, da altri verso l’esterno, essi procedono senza arrestarsi mai, fino a che non siano costretti da quelli che li sospingono a confrontarsi con coloro che si trovano di fronte (tuttavia, quando sono piombati all’improvviso su qualcuno che non se lo aspettava sono riusciti a scompigliare il nemico per un po’ di tempo, come è accaduto anticamente con gli Assiri, con i Medi e i Palestinesi).82 Dopodiché, in epoca recente, sono giunti qui, presso di noi, non per attaccarci ma per supplicarci, in quanto nuovamente scacciati. Avendo incontrato troppa indulgenza, non nelle armi ma nei costumi dei Romani – come forse si conveniva verso dei supplici –, quel popolo incivile ci ha reso quanto era verosimile aspettarsi: sono divenuti sfrontati e non hanno tenuto in alcuna considerazione il beneficio ricevuto.83 Quindi, dopo essere stati puniti per questo da tuo padre che si era armato contro di loro,84 sono tornati a suscitare compassione e si sono prostrati supplici con le loro donne. Quello, che pure era uscito vincitore dalla guerra, è stato completamente sopraffatto dalla pietà: infatti, ha sollevato quei sanguinari nemici dell’impero romano dalla loro preghiera, li ha fatti suoi alleati, li ha ritenuti degni della cittadinanza, li ha resi partecipi di privilegi, addirittura ha assegnato loro delle porzioni di terra, ricorrendo alla propria naturale magnanimità e nobiltà in favore della mitezza. Tuttavia, i Barbari non capiscono che cosa sia la virtù. A partire da allora, infatti, e fino a oggi, si sono fatti beffe di noi, ben sapendo cosa si sarebbero meritati da parte nostra e di cosa invece sono stati reputati degni; questa fama ha già aperto la via verso di noi ai loro vicini. Pure alcuni arcieri a cavallo stranieri,85 prendendo a esempio quegli infami, si sono mossi per chiederci benevolenza, dato che siamo uomini accomo-

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τοὺς χείρους ποιούμενοι· καὶ προβαίνειν ἔοικεν τὸ κακὸν εἰς τὴν καλουμένην ὑπὸ τῶν πολλῶν πειθανάγκην. Φιλοσοφίᾳ γὰρ οὐ διενεκτέον ὑπὲρ τῶν ὀνομάτων, ὑπηρεσίαν τῇ διανοίᾳ ζητούσῃ, κἂν χαμόθεν αὐτὴν εἰς τὰ πράγματα συμπορίζηται τρανήν τε καὶ ἐφαρμόζουσαν. Πῶς οὖν οὐ χαλεπόν, ἀναμαχεσαμένους τὸ κλέος, ἐξελάαν ἐνθένδε κύνας κηρεσσιφορήτους;

Ἢν ἀκούῃς ἐμοῦ, τὸ χαλεπὸν τοῦτο τὴν πᾶσαν εὐμάρειαν ἔχον φανεῖται, αὐξηθέντων ἡμῖν τῶν καταλόγων· τοῖς δὲ καταλόγοις τῶν φρονημάτων καὶ γενομένων οἰκείων τῶν συνταγμάτων, πρόσθες τῇ βασιλείᾳ τὸ γενόμενον ἀπ’ αὐτῆς ἐκλιπές· καὶ Ὅμηρος αὐτὸ καθιέρωσε τοῖς ἀρίστοις· θυμὸς δὲ μέγας ἐστὶ διοτρεφέων βασιλήων.

Θυμοῦ οὖν ἐπὶ τοὺς ἄνδρας, καὶ ἢ γεωργήσουσιν ἐξ ἐπιτάγματος, ὥσπερ πάλαι Λακεδαιμονίοις Μεσσήνιοι τὰ ὅπλα καταβαλόντες εἱλώτευον, ἢ φεύξονται τὴν αὐτὴν ὁδὸν αὖθις, τοῖς πέραν τοῦ ποταμοῦ διαγγέλλοντες ὡς οὐκ ἐκεῖνα ἔτι παρὰ Ῥωμαίοις τὰ μείλιχα, ἀλλ’ ἐξηγεῖταί τις αὐτῶν νέος τε καὶ γενναῖος, δεινὸς ἀνήρ, τάχα κεν καὶ ἀναίτιον αἰτιόῳτο.

Εἶεν· αὕτη μέντοι τροφὴ καὶ παιδεία βασιλέως πολεμικοῦ. Τὸν δὲ εἰρηνικὸν ἑξῆς πολυπραγμονῶμεν. 22.  Εἴη μὲν ὁ πολεμικὸς παντὸς μᾶλλον εἰρηνικός· μόνῳ γὰρ ἔξεστιν εἰρήνην ἄγειν τῷ δυναμένῳ τὸν ἀδικοῦντα κακῶσαι, καὶ φαίην ἂν ἐγὼ βασιλέα τοῦτον πάντα ἐκ πάντων τὰ εἰς εἰρήνην συγκεκροτῆσθαι, ὅστις οὐκ ἐθέλων ἀδικεῖν τοῦ μὴ ἀδικεῖσθαι πεπόρισται δύναμιν· πολεμήσεται γὰρ εἰ μὴ πολεμήσει. Ἔστι μὴν εἰρήνη πολέμου μακαριώτερον, ὅτι καὶ διὰ τὴν εἰρήνην τὰ τοῦ

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all’imperatore sul regno 21-22

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danti; sembra che questo male sia ormai giunto a quella che i più chiamano “persuasione imposta” (in filosofia non si deve assolutamente discettare sui termini, poiché essa vi ricerca solo – per esprimersi – un qualche ausilio che, seppure di basso livello, può rendere il pensiero chiaro e commisurato alla questione).86 Come potremo dunque facilmente porre rimedio a questa fama, “ricacciando da qui questi cani spinti dalle Chere”?87

Se mi ascolti, ciò che è complicato ti apparirà in tutta la sua semplicità: dopo aver accresciuto le nostre liste di leva (nonché le loro ambizioni), una volta che le truppe siano divenute tutte nazionali, apporta alla monarchia ciò che finora le è mancato e che Omero ha consacrato ai migliori: “grande è l’ira dei re allevati da Zeus”.88

Rivolgi dunque la tua collera contro quegli uomini ed essi o coltiveranno la terra sotto il tuo comando, così come nel passato diventavano iloti degli Spartani i Messeni che avevano deposto le armi, oppure se ne fuggiranno per la stessa strada da cui sono venuti, riferendo a quelli che si trovano sull’altra sponda del fiume che non c’è più presso i Romani la mitezza di qualche tempo addietro, ma che adesso li guida un giovane, nobile, “terribile uomo, capace persino di incolpare un innocente”.89

Sia sufficiente ciò che si è detto per quanto concerne l’educazione e l’istruzione del sovrano in guerra; nel prosieguo ci dedicheremo alle attività del re in tempo di pace. 22.  Il sovrano più pacifico di ogni altro sarà proprio quello che non esiti a fare la guerra. Infatti, solo chi sappia colpire l’ingiusto potrà vivere lontano dai conflitti. Posso affermare che il re più portato alla pace sia proprio quello che, pur non volendo assolutamente compiere egli stesso un torto, possegga tuttavia la forza necessaria a non subirlo: sarebbe attaccato, infatti, se non attaccasse. La pace è certo una circostanza più prospera della guerra. È proprio per essa che ci teniamo pronti ad affrontare delle opera-

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πολέμου παρασκευάζεται· τέλος οὖν ὄν, τῶν δι’ αὐτὸ δικαίως ἂν προτιμῷτο· καλῶς οὖν ἔχει τῷ σώματι τῆς ἡγεμονίας διχῇ διαιρεθέντι κατὰ τὸν ὄχλον τὸν ὡπλισμένον καὶ ἄοπλον, ἀνὰ μέρος ἑαυτὸν ἑκάστῳ διδόναι καὶ συνεῖναι μετὰ τοὺς μαχίμους ταῖς πόλεσι καὶ τοῖς δήμοις, οἷς διὰ τῶν μαχίμων ἄδειαν γεωργίας καὶ πολιτείας ἐπορισάμεθα. Συνέσται δὲ τοῖς μὲν ἐπιφοιτῶν, ὅσοις οἷόν τε τῶν ἐθνῶν καὶ ὅσαις οἷόν τε τῶν πόλεων· εἰς ὃ δὲ μὴ ἀφικνεῖται τοῦ ἀρχομένου, καὶ τούτου δὴ ἐπιμελήσεται τῷ πεφηνότι δυνατῷ καὶ καλλίστῳ τῶν τρόπων. 23.  Τὸ δὲ χρῆμα τῶν πρεσβειῶν, ἄλλως τε ἱερὸν καὶ δεῦρο τοῦ παντὸς ἄξιον, αἷς ὁμιλῶν βασιλεὺς οὐδέν τι μεῖον εἴσεται τῶν ἀγχοῦ τὰ πόρρω οὐδὲ ὄψεως αἰσθήσει τὴν ὑπὲρ τῆς ἀρχῆς προμήθειαν ὁριεῖται, ἀλλὰ καὶ ἐγερεῖ τὸ πεπτωκὸς οὐκ ἰδὼν καὶ ἐπιδώσει τοῖς ἀπορουμένοις τῶν δήμων καὶ ἀνήσει λειτουργιῶν τοὺς πάλαι λειτουργίαις πονοῦντας καὶ ὑπισχνούμενον ἐκρήξει καὶ ὄντα ἀνελεῖ πόλεμον καί τι ἄλλο προδιοικήσεται. Ταῦτα παρὰ τῶν πρεσβειῶν ἕξει δίκην θεοῦ πάντ’ ἐφορᾶν καὶ πάντ’ ἐπακούειν,

αἷς εὐπρόσοδος ἔστω καὶ πατὴρ ὣς ἤπιος, τοῦτο μὲν ἤδη καὶ γείτοσι καὶ μὴ γείτοσιν. Ὁμήρου γὰρ αὐτὸ καθάπαξ περὶ τοῦ κατ’ αὐτὸν εἰρηνικοῦ βασιλέως λέγοντος ἤκουσα. 24.  Καὶ πρῶτόν γε ἐπιτετάχθων καὶ δεδιδάχθων οἱ στρατιῶται φείδεσθαί τε καὶ ἥκιστα λυπηροὶ γίνεσθαι τοῖς ἀστυπόλοις τε καὶ ἀγροδιαίτοις, μεμνημένοι πόνων οὓς δι’ αὐτοὺς ἀνείλοντο.

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all’imperatore sul regno 22-24

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zioni belliche e, trattandosi di un fine, deve essere ovviamente stimata più di quanto serve per raggiungerla. Nel caso di un organismo statale, che è nettamente ripartito in due, ovvero in un gruppo di uomini armati e in un gruppo di uomini disarmati, sarà bene dedicarsi a turno a entrambe le componenti; dopo essere stati assieme ai soldati, dunque, si dovrà spendere del tempo anche con coloro che risiedono nelle città e nei territori circostanti, ai quali, proprio ricorrendo ai militari, avremo potuto garantire, rispettivamente, una vita da cittadino e un’attività agricola pienamente sicure. Il sovrano li incontrerà recandosi nelle province e nelle città in cui potrà; tuttavia, egli dovrà occuparsi nel modo migliore e più manifesto possibile anche di quelle zone dell’impero in cui non giungerà. 23.  Sarà confrontandosi con gli ambasciatori (che anche in altre circostanze si rivelano indispensabili ma che in questo caso sono degni di ogni onore) che l’imperatore conoscerà le regioni lontane non meno di quelle vicine, senza limitare la cura del suo impero alla facoltà della vista, ma anzi potendo, anche senza vedere, risollevare ciò che è crollato,90 soccorrere le popolazioni bisognose di aiuto, sollevare da oneri pubblici chi ne è stato gravato per lungo tempo, stroncare sul nascere possibili conflitti e porre fine a quelli in corso, nonché provvedere a molto altro. Queste cose, insomma, grazie agli ambasciatori, come fosse un dio egli le potrà “tutte vedere e tutte ascoltare”.91

Attraverso di quelli (provenienti da province vicine e lontane), egli si faccia dunque facilmente accessibile e “affettuoso come un padre”.92 Con queste parole, infatti, ho udito Omero definire una volta per sempre come debba essere, a suo parere, il re in tempo di pace. 24.  Per prima cosa si istruiscano e si comandino i soldati affinché portino rispetto e non risultino minimamente odiosi a chi vive in città e in campagna, in modo che possano anzi ricordare loro che le fatiche che sopportano sono finalizzate a proteggerli. Infatti,

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sinesio di cirene

Ἵνα γὰρ σῴζηται τὰ πόλεών τε καὶ γῆς ἀγαθά, βασιλεύς τε προπολεμεῖ καὶ καταλέγει τοὺς πολεμήσοντας. Ὅστις οὖν ἐμοῦ τὸν μὲν ἀλλόφυλον ἐχθρὸν ἀπερύκει, αὐτὸς δὲ οὐ τὰ μέτριά μοι χρῆται, οὗτος οὐδέν μοι δοκεῖ διαφέρειν κυνός, δι’ αὐτὸ τοῦτο τοὺς λύκους ὡς πορρωτάτω διώκοντος ἵνα αὐτὸς ἐπὶ σχολῆς κεραΐζοι τὴν ποίμνην, δέον ἀπέχειν τῆς φυλακῆς τὸν μισθὸν τοῦ γάλακτος ἐμφορούμενον. Ἀκριβὴς οὖν εἰρήνη, πεπαιδεῦσθαι τοὺς στρατιώτας τοῖς ἀόπλοις ὡς ἀδελφοῖς χρῆσθαι, μόνα φερομένους ὅσα ἐτάχθησαν. 25.  Οὐδὲ τὸ τρύχειν εἰσφοραῖς τὰς πόλεις βασιλικόν. Ἀγαθῷ γὰρ ὄντι ποῦ καὶ δεῖ χρημάτων πολλῶν, οὔτε χαυνότητι γνώμης εἰς ἔργα δαπανηρὰ καθιέντι, [καὶ] ἀντὶ σώφρονος χρείας ἀλαζόνα φιλοτιμίαν πρεσβεύοντι, οὔτε μειρακιώδει γνώμῃ καταχαριζομένῳ ταῖς ἐπὶ σκηνῆς παιδιαῖς τοὺς τῶν σπουδαίων ἱδρῶτας, ἀλλ’ οὐδὲ εἰς ἀνάγκην ἀφικνουμένῳ συχνῶν πολέμων, οὓς ὁ Λάκων φησὶν οὐ τεταγμένα σιτεῖσθαι; Ἀνεπιβούλευτον γὰρ καὶ ἀνεπιχείρητον ὁ λόγος ἐποίει τὸν ἀγαθόν. Συνεσταλμένων οὖν αὐτῷ τῶν ἐφ’ ἃ δεῖ, περιττῶν οὐδὲν δεῖ. Τούτων ἔξεστι γίνεσθαι ποριστὴν ἀλυπότατον, τὰ μὲν ἀναγκαῖα τῶν ἐλλειμμάτων ἀνιέντα, τὰ δὲ σύμμετρα ταῖς τῶν εἰσφερόντων δυνάμεσιν ἀγαπῶντα. Βασιλεὺς δ’ ἐρασιχρήματος αἰσχίων καπήλου· ὁ μὲν γὰρ ἔνδειαν οἴκου παραμυθεῖται, τῷ δὲ ἀπροφάσιστος ἡ κακία τῆς γνώμης. Ἔγωγέ τοι θαμὰ ἐπισκοπούμενος ἕκαστα τῶν παθῶν, ὁποίους ἡμῖν τοὺς προστετηκότας ἄνδρας παρέχεται, κατιδεῖν ἐμοὶ δοκῶ καὶ τοῖς ἰδιώταις τὸ χρηματιστικὸν τοῦτο φῦλον ὡς ἅπαντος μᾶλλον ἀγεννές τέ ἐστι καὶ κακόηθες καὶ ἀκριβῶς ἀνελεύθερον, ἐν μόνῃ τε ἂν τῇ νοσούσῃ πολιτείᾳ χώραν εὑρίσκοι τὴν οὐ παντάπασιν ἄτιμον. Οἵ γε καὶ φθάσαντες ὑφ’ αὑτῶν αὐτοὶ κατεφρονήθησαν, ὅτι τῷ

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all’imperatore sul regno 24-25

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è perché vengano preservati i beni delle città e della terra che il sovrano combatte e arruola chi si recherà alla battaglia. Chiunque tenga distante da me il nemico straniero, ma poi non si comporti nei miei riguardi come si conviene, non mi pare in nulla diverso da un cane che scacci il più lontano possibile i lupi per poi divorarsi il gregge in tutta tranquillità, anziché godersi come compenso della guardia una generosa razione di latte. Avremo una vera pace, dunque, soltanto quando i soldati saranno stati educati a trattare i cittadini non armati come fratelli, ottenendo da questi solo quanto è sancito dalla legge. 25.  Non è cosa che si addica a un re vessare le città con i tributi. Che bisogno può avere, infatti, di molte ricchezze un buon sovrano, che non si impegni in opere costose per la vanità della propria indole, che non pratichi un’ostentata prodigalità delle risorse in luogo di un uso moderato, che non sacrifichi con animo puerile ai giochi del teatro le fatiche delle persone che s’impegnano a lavorare, che, infine, non si veda costretto a intraprendere innumerevoli guerre che, come dice lo Spartano, “non si alimentano di razioni fisse”?93 Dicevamo poco fa che il re giusto è inattaccabile e al riparo da ogni insidia. Egli deve dunque ridurre le spese all’essenziale, di ciò che è superfluo può fare a meno. Può addirittura esigere le tasse senza causare alcuna pena, basta che, da un lato, espunga dagli arretrati quanto è necessario per vivere, dall’altro si impegni affinché le imposte risultino proporzionate alle disponibilità dei contribuenti. Un sovrano assetato di denaro, d’altronde, è più turpe di un bottegaio: quest’ultimo, infatti, è giustificabile in virtù dell’indigenza della propria famiglia, mentre nel re la grettezza d’animo non si può in alcun modo scusare. A me (cui sovente capita di esaminare ciascuna delle passioni e il modo in cui esse riducono quanti tra di noi ne soffrono) pare di notare che, anche tra le persone comuni, questa razza così attaccata al denaro è in assoluto la più ignobile, gretta e in tutto e per tutto detestabile, tale che solamente in uno Stato ammalato potrebbe trovare un posto che non sia ritenuto completamente indegno. Sono quelli infatti i primi a disprezzare se stessi, poiché valutano ciò che è essenziale e ciò che

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sinesio di cirene

βουλήματι τῆς φύσεως ἀντικειμένως διενοήθησαν περὶ τὸ πρῶτον καὶ πολλοστόν· ἐπεὶ τὸ μὲν σῶμα συνέταξεν εἰς ὑπηρεσίαν ψυχῆς, τὰ δὲ ἐκτὸς εἰς χρείαν σώματος, τῷ δὲ ὑστέρῳ δέδωκε δεύτερα· οἱ δὲ καὶ σῶμα καὶ ψυχὴν τῷ τρίτῳ συνάπτουσι. Σφᾶς οὖν αὐτοὺς ἀτιμάσαντες καὶ τὸ ἐν αὐτοῖς ἡγούμενον δοῦλον ποιήσαντες, τί ἂν ἔθ’ οὗτοι μέγα καὶ σεμνὸν ἢ πράξειαν ἢ βουλεύσειαν; Οὓς ἐγὼ καὶ μυρμήκων ἀγεννεστέρους ἀποφηνάμενος καὶ μᾶλλον ὀλιγογνώμονας, οὐκ αἰσχύνομαι τὴν ἀλήθειαν· οἱ μὲν γὰρ χρείᾳ ζωῆς μετροῦσι τὸν πόρον, οἱ δὲ τὴν ζωὴν μετρεῖν ἀξιοῦσι τῇ χρείᾳ τοῦ πόρου. Ἐλατέον οὖν αὐτοῦ τε καὶ τῶν ἀρχομένων τὴν χαλεπὴν ταύτην κῆρα, ἵν’ ἀγαθὸς ἀγαθῶν ἄρχῃ, καὶ ζῆλον ἀρετῆς ἀντεισενεκτέον, ἧς αὐτὸς βασιλεὺς καὶ ἀγωνιστὴς καὶ ἀγωνοθέτης γινέσθω. Καὶ γὰρ αἰσχρόν, ἔφη τις, διακοντίζεσθαι μὲν δημοσίᾳ καὶ διαπληκτίζεσθαι καὶ στεφάνους εἶναι τοῖς ταῦτα νικῶσι, μὴ διασωφρονίζεσθαι δὲ μηδένα μηδὲ διαρετίζεσθαι. Εἰκὸς δήπου, μᾶλλον δὲ πλέον εἰκότος, καὶ ἀνάγκη γε πᾶσα τοιαύτῃ διαθέσει βασιλέως ἑπομένας τὰς πόλεις βίον βιοτεῦσαι τὸν πάλαι, τὸν χρυσοῦν, τὸν ὑμνούμενον, ἀσχολίαν ἐχούσας κακῶν, σχολὴν δὲ ἀγαθῶν καὶ πρώτης τῆς εὐσεβείας. Εἰς ἣν ἡγεμὼν αὐτὸς ἔσται βασιλεύς, ἅπαντος ἀρχὴν καὶ μείονος ἔργου καὶ μείζονος θεόθεν αἰτῶν. Ὡς ἔστι παντὸς δήπου σεμνότερον θέαμά τε καὶ ἄκουσμα βασιλεὺς ἐν τῷ δήμῳ τὼ χεῖρε αἴρων, καὶ προσκυνῶν τὸν κοινὸν ἑαυτοῦ τε καὶ τοῦ δήμου βασιλέα· λόγον τε ἔχει καὶ τὸ θεῖον γανύσκεσθαι κυδαινόμενον βασιλέως εὐσεβοῦς θεραπείᾳ καὶ ἀρρήτοις συναφαῖς τὸν τοιοῦτον οἰκειοῦσθαι. Κἀντεῦθεν οὖν παρὰ τὸ θεοφιλὴς εἶναι φιλάνθρωπός ἐστι παντὸς μᾶλλον, οἵου τυγχάνει τοῦ βασιλέως, τοιοῦτος τοῖς βασιλευομένοις φαινόμενος. Ἀλλ’ ἐν τούτῳ τί οὐκ ἂν εἰκὸς τῶν δεόντων παρεῖναι; Καί μοι πάλιν ὁ λόγος ἐπὶ τὰ μικρῷ πρόσθεν ἀνακάμπτει.

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è accessorio in antitesi rispetto al senso imposto dalla natura, che pose il corpo al servizio dell’anima e ciò che è esterno al servizio del corpo, assegnando solo un ruolo secondario all’elemento inferiore; questi, viceversa, ricongiungono e corpo e anima a questo terzo livello di realtà. Di conseguenza, che cosa mai potrebbero essere in grado di compiere o di stabilire, disonorando se stessi e rendendo schiavo quel principio che invece in loro dovrebbe avere il comando? Quando affermo che sono più ignobili e più sciocchi delle formiche non faccio un torto alla verità: queste ultime rapportano le risorse a quanto serve loro per vivere, quelli invece pretendono di far dipendere la propria vita dalla loro brama di beni. Il sovrano deve tenere questa grave sciagura lontano e da se stesso e dai suoi sudditi, affinché da giusto possa governare su dei giusti, e deve anzi rimpiazzarla con l’emulazione della virtù, di cui egli stesso sarà campione e arbitro. È vergognoso infatti, diceva un tale,94 che si organizzino a spese pubbliche delle gare di giavellotto e di lotta, premiando peraltro i vincitori con corone, e non si provveda a gareggiare in saggezza e in virtù. È verosimile (anzi, molto più che verosimile, direi certo) che proprio seguendo una tale disposizione dell’animo del sovrano vissero le città nell’antica età dell’oro celebrata dai poeti, senza l’afflizione di alcun male e anzi libere di praticare il bene e anzitutto la pietà religiosa. Verso di essa sarà il re in persona a fungere da guida, chiedendo che ogni sua azione, piccola come grande, possa trovare il proprio principio nel volere divino. Non vi è infatti spettacolo né ascolto in assoluto più degno di rispetto di un re che, in mezzo alla propria gente, innalza le mani al cielo e venera il sovrano suo e del popolo. È del tutto logico, infatti, che la divinità sia lieta di essere onorata dal culto di un re pio e che a esso si leghi per mezzo di connessioni ineffabili.95 E proprio in quanto caro a Dio il re si rivelerà anche estremamente benevolo nei confronti degli uomini, apparendo ai suoi sudditi così come a lui si mostra il suo sovrano. In una simile condizione, dunque, che cosa potrebbe mai mancargli di ciò che è necessario? E il mio discorso torna nuovamente su quegli argomenti che abbiamo trattato poco sopra.

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26.  Χαρακτῆρα βασιλείας εὐεργεσίαν ἐτίθεμεν· τὸν δωρητικὸν πάλιν, τὸν ἀγαθόν, τὸν ἵλεων, τὰς ὁμωνυμίας ἀναπεμπάζομεν τοῦ θεοῦ. Αὐτά τε οὖν ταῦτα καὶ ὅσα μετὰ τούτων ἐλέγετο, πρὶν ἐπαγγείλασθαι πλάττειν τὸν ἐν τῷ λόγῳ βασιλέα, συντετάχθω νῦν εἰς μέρη καὶ πληρούτω τὸ ἄγαλμα. Ὧν δήπου κεφάλαιον ἦν ὅτι παρεκτικὸς ὢν ἀγαθῶν οὐ καμεῖται τοῦτο ποιῶν, οὐ μᾶλλον ἢ τὰς ἀκτῖνας ὁ ἥλιος φυτοῖς καὶ ζῴοις δωρούμενος. Οὐ γὰρ πόνος αὐτῷ καταλάμπειν, ἐν οὐσίᾳ τὸ λαμπρὸν ἔχοντι καὶ πηγῇ φωτὸς ὄντι. Αὐτός τε οὖν ἑαυτὸν ἐμβιβάσας τῷ τοιῷδε τῆς ζωῆς εἴδει δι’ ἑαυτοῦ κοσμήσει πᾶν, εἰς ὅσον ἐφικνεῖται τοῦ ἀρχομένου. Καὶ τοὺς ἀγχοῦ τῆς καθέδρας, οἳ μόνου μὲν αὐτοῦ δευτερεύουσι τῶν δὲ ἄλλων πρωτεύουσι, τῷ βασιλικῷ τῆς ψυχῆς κόσμῳ συντάξει, ὠφελητικοὺς ἀνθρώπων ὄντας πρὸς μέτρον ἕκαστον τῆς νεμηθείσης δυνάμεως. Καὶ πρόεισι μὲν ἐπὶ πλεῖον οὕτω τὴν πρώτην ἡ ἐπιμέλεια τῶν ἀνθρώπων, πλεόνων αὐτὴν διὰ χειρὸς ἐχόντων. 27.  Ἀλλά τοι δεῖ καὶ ὑπερορίους ἁρμοστὰς ἐκπέμπειν ἐν ἀρχῆς μεγέθει τοσῷδε. Τὸ δὴ μετὰ τοῦτο τοὺς ἐπὶ τῆς δίκης ἄρχοντας φυλοκρινητέον, ὡς ἔστιν αὕτη θεία καὶ μεγαλομερὴς ἡ πρόνοια. Ἕκαστον μὲν γὰρ τόπον καὶ ἄνδρα καὶ ἀμφισβήτησιν ἐθέλειν εἰδέναι, πολλῆς γε τῆς ἐκπεριΐξεως, καὶ οὐδ’ ἂν Διονύσιος ἤρκεσεν, ὁ νήσου μιᾶς καὶ οὐδὲ ὅλης ταύτης ἀρχὴν καταστησάμενος, ἐπιμελήσασθαι. Ἐπιμελητῶν δὲ δι’ ὀλίγων ἔστι τῶν πολλῶν φροντίσαι. Ταύτην ἐκάλεσαν θεοπρεπῆ τε καὶ καθολικὴν κηδεμονίαν, ἣν ἐν ἁδρῷ μένουσαν ἤθει καὶ μὴ συγκύπτουσαν ἐπὶ τὰ τυχόντα τῶν μερῶν, οὐδὲ τὰ τυχόντα διαπέφευγε τῶν μερῶν. Ταύτῃ χρώμενος ὁ θεὸς οὐκ αὐτὸς ἐκλεπτουργεῖ τῶν δεῦρο τὰ ἕκαστα, ἀλλὰ χρῆται χειρὶ τῇ φύσει, μένων ἐν ἤθει τῷ αὑτοῦ, καὶ ἔστιν αἴτιος μέχρις ἐσχάτου τῶν ἀγαθῶν, τῶν αἰτίων γινόμενος αἴτιος. Καὶ βασιλεῖ

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all’imperatore sul regno 26-27

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26.  Ponevamo come segno distintivo della regalità l’agire onestamente: consideriamo pure la generosità, la bontà, la benevolenza, termini che qualificano anche la divinità. Si prenda adesso tutte queste qualità, le si riunisca una per una assieme a quelle che ho elencato prima di promettere di delineare in questo discorso il ritratto del sovrano ideale e la nostra statua sarà compiuta. L’elemento principale, comunque, era e rimane il fatto che un buon re non deve mai stancarsi di essere generoso di beni, non più di quanto il sole non lo sia di elargire i suoi raggi a piante e ad animali. Il sole, infatti, a illuminare non prova alcuna fatica, avendo la luminosità nella propria essenza ed essendo esso stesso fonte di luce. Dunque, se anche il sovrano avrà intrapreso spontaneamente una simile condotta di vita, ordinerà ogni parte dell’impero in cui potrà giungere secondo il proprio modello. Altrettanto, assimilerà alla regale disposizione della sua anima coloro che si trovano prossimi al trono, quelli insomma che, secondi a lui solo, primeggiano su tutti gli altri e si rivelano utili in proporzione all’ampiezza dei poteri loro assegnati. Infatti, l’autodisciplina degli uomini avanza meglio sulla retta via se sono in molti a tenerla per mano. 27.  In un impero così grande è necessario anche inviare dei governatori nelle zone di confine. Dopodiché, si rende indispensabile scegliere con estrema attenzione gli uomini che andranno ad amministrare la giustizia, trattandosi di una mansione divina e di massima importanza. Infatti, se si vuole conoscere ogni luogo, ogni uomo, ogni controversia, si deve necessariamente ricorrere a continui spostamenti: ma neppure Dionisio, il cui dominio si estendeva su di un’unica isola (e parzialmente), sarebbe stato in grado di farlo.96 Eppure, sono sufficienti pochi amministratori per prendersi cura di molte questioni. Divina e universale si definisce appunto questa sollecitudine, che, pur restando nella sua illustre dimora e non abbassandosi agli avvenimenti singoli, neppure li rifugge. Attraverso di essa Dio non opera direttamente su ogni faccenda di questo nostro mondo, ma si serve della natura come strumento e, pur non muovendosi dalla sua sede, è causa di ogni bene fino all’ultimo, in quanto causa delle cause.97 Allo stesso modo

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ταύτῃ μετιτέον τῶν ὅλων τὴν ἐπιμέλειαν. Διανεμέτω τὴν ἀρχὴν ὡς δυνατὸν ἐπιστάταις δικαιοτάτοις τε καὶ ἀρίστοις· καὶ γὰρ ῥᾷον ὀλίγους ἢ πολλοὺς γνώσεται, καὶ ῥᾷον ὀλίγων ἁμαρτανόντων ἢ κατορθούντων αἰσθήσεται. Ἀριστίνδην οὖν, ἀλλὰ μὴ πλουτίνδην, ὥσπερ νῦν, ἡ τῶν ἀρξόντων αἵρεσις γινέσθω, ἐπεὶ καὶ ἰατροῖς τὸ σῶμα ἐπιτρέπομεν οὐ τοῖς πλουσιωτάτοις, ἀλλ’ οἵτινες ἂν ὦσι τῆς τέχνης ἐπηβολώτατοι· ἄρχοντα δὲ δὴ καὶ μᾶλλον ἀνθαιρετέον τοῦ πλουσίου τὸν ἔχοντα τὴν ἀρχικὴν ἐπιστήμην, ὅτι πλείω παρ’ αὐτὸν κινδυνεύεται χεῖρον ἢ βέλτιον κεῖσθαι. Τί γάρ, εἴ τις παρ’ αὐτοῦ τοῦ κακὸς εἶναι πλοῦτον συνείλοχεν, ἆρα ἄξιον ἄρχειν αὐτόν, ἀλλὰ μὴ τὸν πένητα μέν, νόμιμον δὲ ἄνδρα καὶ δίκαιον, ὃς δι’ αὐτὸ τὸ δίκαιος εἶναι πενίᾳ συνοικῶν οὐκ αἰσχύνεται; Ἀλλ’ ἐκεῖνός γε ὁ πλουτῶν ὁπωσοῦν, ἐωνημένος δὲ τὴν ἀρχήν, οὐκ ἂν εἰδείη ὁποῖος ἂν γένοιτο νεμητὴς τοῦ δικαίου. Φαίνεται γάρ, ὡς οὕτως εἰπεῖν, οὐ ῥᾷστα ὁ τοιοῦτος ἀδικίαν μισῆσαι, σχολῇ δ’ ἂν ὑπεριδεῖν χρημάτων, ἀλλ’ οὐκ ἀποδείξειν τὸ ἀρχεῖον δικῶν πωλητήριον· ὡς οὐκ εἰκός γε αὐτὸν διαράμενον βλοσυροῖς ὀφθαλμοῖς ἀντιβλέψαι χρυσίῳ· τοὐναντίον μὲν αἰδεσθῆναί τε καὶ ἐνδοῦναι καὶ τελευτῶντα περιπτύξασθαι, ᾧ καὶ κατ’ αὐτὸ τοῦτο χάριν οἶδεν ὅτι ἄρα πλούτου μοίρας τὴν πολιτείαν ἠλλάξατο καὶ ὥσπερ ἄλλο τι τὰς πόλεις μεμίσθωται. Οἶδεν οὖν ὅτι διὰ τοῦτο σεμνός τέ ἐστι καὶ ὑψοῦ κάθηται, περιβλεπόμενος ὑπὸ πολλοῦ τε ἄλλου λεὼ καὶ τῶν εὖ ἡκόντων δικαίων τε καὶ πενήτων. 28.  Ἀλλὰ σύ τοι ποίει ζηλωτὸν ἀρετήν, κἂν πενίᾳ συνῇ· μὴ λανθανέτω σε φρόνησις ἀνδρὸς καὶ δικαιοσύνη καὶ ὁ λοιπὸς ἑσμὸς τῶν ψυχικῶν ἀγαθῶν ἐσθῆτι φαύλῃ κρυπτόμενος· ἀλλ’ ἕλκειν τε αὐτὸν ἐν μέσῳ καὶ ἀξιοῦν δημοσιεῦσαι τὴν ἀρετήν, ἣν οὐκ ἄξιον οἰκουρεῖν, ἀλλ’ ὕπαιθρον εἶναι καὶ ἐναγώνιον. Εὖ γὰρ ἴσθι, σὺ μὲν

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all’imperatore sul regno 27-28

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dovrà riuscire a prendersi cura di tutto il sovrano. Assegni dunque il potere ad amministratori il più possibile giusti e capaci: per lui, infatti, sarà più facile conoscere pochi anziché molti, nonché rendersi conto se operano bene o male, trattandosi appunto di pochi. La scelta di chi ricoprirà ruoli di comando sia fatta comunque sulla base del merito e non, come ora, della ricchezza, in quanto anche il nostro corpo noi non lo affidiamo ai medici più facoltosi, ma a quelli che siano più abili nel loro mestiere. A maggior ragione bisognerà preferire al governante ricco quello in possesso della scienza del comando, perché ancor di più da questo dipende se la nostra condizione è migliore o peggiore. Difatti, è forse una cosa degna che a governare sia un uomo che ha raccolto una grande ricchezza in quanto sleale e non un povero che, corretto e giusto, proprio perché onesto si ritrova a convivere con la miseria e non ne prova vergogna? Il ricco (comunque lo sia diventato), qualora raggiunga il potere in virtù del proprio denaro, non saprà essere un amministratore di giustizia. Mi sembra infatti, per così dire, che un uomo del genere non abbia molto facilmente in odio l’ingiustizia, tanto meno che disprezzi le ricchezze o che non faccia della propria carica un mercato di sentenze;98 e non è verosimile che rifugga l’oro e che si opponga alla sua vista con sguardo severo. Viceversa, è plausibile che ne abbia riguardo, che si dimostri bendisposto verso di esso, che, infine, se lo prenda, sapendo che a quello deve gratitudine, giacché ha acquistato la sua carica per una certa quantità di ricchezza e ha barattato le città così come si fa con un qualunque altro bene.99 E sa, dunque, che è soltanto per questo che siede in alto, ricoperto di ogni onore, ammirato da gran parte del popolo e dalle persone oneste, sia da quelle che si ritrovano in buone condizioni economiche, sia da quelle che sono in povertà. 28.  Ma tu fa’ in modo che a essere invidiata sia la virtù, seppure accompagnata alla miseria; non perdere mai di vista l’umana intelligenza, la giustizia e tutte le altre qualità spirituali spesso coperte da un’umile veste. Viceversa, mostrale a tutti ed esigi che la virtù sia resa pubblica: non merita di essere tenuta inattiva, ma di uscire fuori e di essere battagliera. Sappi bene che, se adesso proclame-

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ἐκείνους ἐν τῷ παραυτίκα κηρύξεις· ὁ δὲ ἀνακεκηρυγμένος αὐτὸς ἔσῃ διὰ παντός, δεῖγμα δοὺς τῇ διαδοχῇ τοῦ χρόνου βασιλείας εὐδαίμονος. Κἂν οὕτω ποιήσῃς, ταχὺ πολλοὺς ὄψει πλοῦτον εἰργασμένον αἰσχυνομένους, καὶ ἄλλους ἐγκαλλωπιζομένους αὐθαιρέτῳ πτωχείᾳ· καὶ μεταπεσοῦνται τοῖς ἀνθρώποις αἱ νῦν περὶ αὐτὸν ὑπολήψεις, τὸ πλοῦτον ἐξευρεῖν ὄνειδος εἶναι καὶ ἐν σεμνότητος μοίρᾳ πενίαν τηρῆσαι. Ὡς πολλῶν ὄντων ἃ δέδωκεν ὁ θεὸς βασιλείᾳ ζηλωτὰ καὶ μακάρια, οὐδενὸς ἧττον εἰ μὴ καὶ παντὸς μᾶλλον ἀγασθείη τις ἂν αὐτῆς καὶ ὑμνήσειε τὴν ἐν ταῖς ψυχαῖς τῶν ἀρχομένων ἰσχύν, ὅτι μετατίθησι βασιλεὺς δόξαν ἤθους ἐγκεκαυμένην ἔθει παλαιῷ καὶ τροφῇ τῇ πρώτῃ, τῷ φαίνεσθαι τἀναντία τιμῶν καὶ περὶ πλείστου ποιούμενος· ὅτῳ γὰρ βασιλεὺς χαίρει, τοῦτο εὐθὺς αὔξειν ἀνάγκη καὶ ὑπὸ πλείστων ἐπιτηδεύεσθαι. 29.  Ἀλλ’ ἐνταῦθα τοῦ λόγου γενόμενος, ἐθέλω τι καὶ ὑπὲρ τῶν αὐτὸς ἐμαυτοῦ παιδικῶν εὔξασθαι. Ἐρασθείης, ὦ βασιλεῦ, φιλοσοφίας καὶ παιδείας ἀληθινῆς· ἀνάγκη γὰρ ἐκ τῶν εἰρημένων συνεραστάς σοι γενέσθαι πολλούς, ὧν τι καὶ ὄφελος· ἐπεὶ νῦν γε, ὡς ἠμέληται, κίνδυνος ἀποσβῆναι καὶ μετὰ μικρὸν οὐδ’ ἐμπύρευμα λείπεσθαι βουλομένοις ἐναῦσαι. Ἆρ’ οὖν ὑπὲρ φιλοσοφίας ηὖγμαι τὰ νῦν; Ἢ τῇ μὲν οὐδὲν μεῖον κἂν ἀποικῇ τῶν ἀνθρώπων; Ἑστίαν γὰρ ἔχει παρὰ τῷ θεῷ, περὶ ὃν καὶ δεῦρο οὖσα τὰ πολλὰ πραγματεύεται, καὶ ὅταν αὐτὴν μὴ χωρῇ κατιοῦσαν ὁ χθόνιος χῶρος, μένει παρὰ τῷ πατρί, πρὸς ἡμᾶς ἐνδίκως ἂν εἰποῦσα τὸ οὔ τί με ταύτης χρεὼ τιμῆς· φρονέω δὲ τετιμῆσθαι Διὸς αἴσῃ.

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rai tutte queste qualità, poi sarai tu stesso a essere proclamato per tutto il tempo a venire come colui che ha trasmesso allo scorrere dei secoli l’esempio di un impero felice. Se agirai in questo senso, in breve vedrai molti imbarazzarsi per le proprie sostanze accumulate e altri vantarsi di una spontanea indigenza; cambierà tra le persone anche l’attuale concezione dell’agiatezza e sarà motivo di vergogna cercare di arricchirsi, mentre sarà tenuta in ottima considerazione la povertà. Dopodiché, tra i vari motivi di invidia e di beatitudine che Dio concesse alla regalità (non meno degli altri e forse più di tutti) sarà ammirata e celebrata la sua capacità di influire sulle anime dei sudditi, se il sovrano può riuscire persino a mutare una concezione morale impressa a fuoco da antica consuetudine e dalla primissima educazione solo mostrandosi stimare e onorare assai il suo contrario. È inevitabile, infatti, che ciò di cui il sovrano si compiace sarà immediatamente glorificato e riprodotto dalla massa. 29.  Giunto a questo punto del mio discorso, desidero formulare un voto anche per ciò che più mi sta a cuore: possa tu, mio imperatore, amare la filosofia e la vera cultura. È inevitabile infatti che, per tutti i motivi che sono stati detti, tu abbia molti compagni in questo amore, dai quali potrai trarre qualche giovamento; in caso contrario, per quanto essa è trascurata attualmente, c’è il serio rischio che si estingua del tutto e che dopo poco tempo non ne rimanga più nemmeno un piccolo tizzone per coloro che intendano ravvivarla. È dunque in favore della filosofia che io formulo adesso questo voto? Oppure essa non ha niente da perdere, quand’anche si allontanasse dagli uomini? La filosofia, infatti, ha la sua sede presso Dio e Dio resta, anche quando essa si trova qui, la sua principale occupazione. Se anche il mondo terreno non dovesse accoglierla nella sua discesa, quella rimarrebbe presso il padre e, giustamente, ci direbbe: “di codesto onore non c’è bisogno per me: credo di riceverne già dal volere  di Zeus”.100

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Τὰ δὲ ἀνθρώπινα πράγματα, παρούσης τε αὐτῆς καὶ ἀπούσης, χείρω καὶ βελτίω καὶ παντελῶς εὐδαίμονα καὶ κακοδαίμονα γίνεται. Ὑπὲρ τούτων οὖν καὶ ὑπὲρ φιλοσοφίας ηὖγμαι. Καὶ εἴη γε τυχεῖν τῆς εὐχῆς ἣν Πλάτων εὐξάμενος οὐκ εὐτύχησεν. Ἴδοιμί σε τῇ βασιλείᾳ προσειληφότα φιλοσοφίαν, καὶ οὐκέτι ἄν μου πρόσω τις λέγοντός τι περὶ βασιλείας ἀκούσεται. Ἀλλ’ ὥρα γὰρ ἤδη σιγᾶν, ὡς ἑνὶ τούτῳ πάντα συνῄρηκα. Κἂν γένηται τοῦτο, δέδωκά σοι ὅπερ ἀρχόμενος ᾔτησα, λόγῳ μὲν αὐτὸς ὑποσχόμενος ἀνδριάντα βασιλέως σοι δεῖξαι· – καὶ γάρ ἐστι λόγος ὄντως ἔργου σκιή –, παρὰ σοῦ δὲ αὐτὸν ἀντῄτουν ἔμβιον ἀπολαβεῖν καὶ κινούμενον. Καὶ ὄψομαί γε οὐκ εἰς μακράν, καὶ ἀποδώσεις μοι τοῦ βασιλέως τὸ ἔργον, εἰ μὴ θυραυλήσουσιν οἱ λόγοι περὶ τὰ ὦτα, ἀλλ’ εἰσρυήσονταί τε καὶ τοῖς μυχοῖς τῆς ψυχῆς ἐνδιαιτήσονται. Οὐ μὴν ἀθεεὶ πείθομαι φιλοσοφίαν ἐπὶ τὴν παραίνεσιν ἐξωρμῆσθαι σὺν σπουδῇ τῷ θεῷ προθυμουμένῳ τὰ σὰ αὔξειν, ὡς εἰκάσαι ῥᾴδιον. Ἐγὼ δ’ ἂν δίκαιος εἴην ἀπολαῦσαι πρῶτος τῶν ἐμαυτοῦ σπερμάτων τῆς βλάστης, οἷόν σε πλάττω βασιλέα τοιούτου πειρώμενος, ὅταν περὶ ὧν αἱ πόλεις αἰτοῦσι παρέχω λόγον καὶ δέχωμαι.

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all’imperatore sul regno 29

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Le faccende umane, invece, in base alla sua presenza o assenza, volgono al meglio o al peggio e sono o compiutamente felici o infelici. È in favore di queste, dunque, così come della filosofia, che io formulo il mio voto. Se solo trovasse compimento quella preghiera che solo invano rivolse Platone!101 Che io possa vederti associare al regno la filosofia: allora nessuno mi udirà più trattare di regalità. E difatti è giunto il momento che io mi taccia, dato che con questa sola parola ho riassunto tutto. Qualora ciò avvenga, però, allora ti avrò dato proprio quello che io stesso chiedevo all’inizio, quando ti promettevo di mostrarti, nel corso del mio discorso, la statua del sovrano ideale.102 E infatti “ombra della realtà è propriamente la parola”:103 e io ti chiedevo, in cambio, di rendermi quella statua viva e mobile. Tra non molto certo la vedrò e tu mi ripagherai con un’azione regale, se le mie parole non si saranno arrestate all’altezza delle tue orecchie, ma saranno penetrate e avranno trovato una loro sede nelle zone più profonde della tua anima. Sono sicuro, d’altronde, che non senza un aiuto divino la filosofia si è precipitata in questa esortazione, bensì accompagnata dalla benevolenza appunto di Dio che, come è facile immaginare, desidera ardentemente che tutto ciò che ti riguarda possa accrescersi. Quanto a me, sarebbe giusto che fossi il primo a godere del frutto di ciò che ho seminato, riconoscendo alla prova dei fatti in te quel sovrano che sto modellando, non appena ti avrò esposto il resoconto di ciò che le mie città richiedono e avrò ricevuto il tuo responso.

ΑΙΓΥΠΤΙΟΙ Η ΠΕΡΙ ΠΡΟΝΟΙΑΣ

RACCONTI EGIZI, SULLA PROVVIDENZA

ΠΡΟΘΕΩΡΙΑ

Γέγραπται μὲν ἐπὶ τοῖς Ταύρου παισί, καὶ τό γε πρῶτον μέρος, τὸ μέχρι τοῦ κατὰ τὸν λύκον αἰνίγματος, ἀνεγνώσθη καθ’ ὃν μάλιστα καιρὸν ὁ χείρων ἐκράτει τῇ στάσει περιγενόμενος. Προσυφάνθη δὲ τὸ ἑπόμενον μετὰ τὴν κάθοδον τῶν ἀρίστων ἀνδρῶν αἰτησάντων μὴ κολοβὸν ἐπὶ τῶν ἀτυχημάτων μεῖναι τὸ σύγγραμμα, ἀλλ’, ἐπειδὴ τὰ προηγορευμένα κατὰ θεὸν ἐδόκει περαίνεσθαι, ἐπὶ τῆς αὐτῆς ὑποθέσεως καὶ ταῖς βελτίοσιν αὐτῶν τύχαις ἐπεξελθεῖν. Πραττομένης οὖν ἤδη τῆς τυραννικῆς καθαιρέσεως, συμπροῆλθεν ὁ λόγος τοῖς πράγμασιν. Ἄξιον δὲ ἐν αὐτῷ διαφερόντως θαυμάσαι τὸ πολλαῖς ὑποθέσεσιν ἀρκέσαι τὴν μεταχείρισιν. Καὶ γὰρ δόγματα συχνὰ τῶν μέχρι νῦν ἀδιακρίτων χώραν τε εὗρεν σκέψεως ἐν τῷ πλάσματι, καὶ ἕκαστα διηκρίβωται, καὶ βίοι γράφονται, κακίας καὶ ἀρετῆς ἐσόμενοι παραδείγματα, καὶ τῶν παρεστώτων πραγμάτων ἱστορίαν ἔχει τὸ σύγγραμμα καὶ διὰ πάντων ὁ μῦθος ἐξείργασται πρὸς τὸ χρήσιμον ποικιλλόμενος.

Premessa

Quest’opera è stata scritta al tempo dei figli di Tauro1 e la prima parte (fino all’enigma del lupo2) è stata letta in pubblico proprio nel periodo in cui il malvagio,3 uscito vincente da una sedizione, si trovava al potere. Il resto, invece, è stato aggiunto dopo il ritorno degli uomini onesti,4 i quali chiesero che l’opera non terminasse, mutila, con la loro sconfitta, ma che, al contrario, mantenendo il medesimo argomento, si concludesse con i loro più importanti successi. Gli eventi sembravano infatti trovare compimento secondo quanto preordinato da Dio. Perciò, dopo avere raccontato la caduta della tirannide, il discorso procede secondo l’ordine degli eventi. Particolarmente degna di ammirazione è la capacità della trattazione di far fronte a numerosi temi. Difatti, in questa struttura hanno trovato spazio di riflessione molte dottrine fino a oggi rimaste indefinite, qui puntualmente analizzate: si riportano vite che potranno, in futuro, divenire esempi di vizio e di virtù; vi si trova un resoconto di fatti contemporanei. La narrazione è stata poi redatta senza tralasciare alcun dettaglio, proprio perché potesse risultare veramente utile.

ΛΟΓΟΣ ΠΡΩΤΟΣ

1.  Ὁ μῦθος Αἰγύπτιος· περιττοὶ σοφίαν Αἰγύπτιοι. Τάχ’ ἂν οὖν ὅδε, καὶ μῦθος ὤν, μύθου τι πλέον αἰνίττοιτο, διότι ἐστὶν Αἰγύπτιος. Εἰ δὲ μηδὲ μῦθος, ἀλλὰ λόγος ἐστὶν ἱερός, ἔτι ἂν ἀξιώτερος εἴη λέγεσθαί τε καὶ γράφεσθαι. Ὄσιρις καὶ Τυφὼς ἤστην μὲν ἀδελφὼ καὶ ἀπὸ τῶν αὐτῶν ἐγενέσθην σπερμάτων. Ἔστι δὲ οὐ μία ψυχῶν καὶ σωμάτων συγγένεια· οὐ γὰρ τὸ τοῖν αὐτοῖν ἐπὶ γῆς ἐκφῦναι γονέοιν τοῦτο προσήκει ψυχαῖς, ἀλλὰ τὸ ἐκ μιᾶς ῥυῆναι πηγῆς. Δύο δὲ ἡ τοῦ κόσμου φύσις παρέχεται, τὴν μὲν φωτοειδῆ, τὴν δὲ ἀειδῆ· καὶ τὴν μὲν χαμόθεν ἀναβλύζουσαν, ἅτε ἐρριζωμένην κάτω ποι, καὶ τῶν [τῆς] γῆς χηραμῶν ἐξαλλομένην, εἴ πῃ τὸν θεῖον νόμον βιάσαιτο· ἡ δὲ τῶν οὐρανοῦ νώτων ἐξῆπται· καταπέμπεται μὲν γὰρ ἐφ’ ᾧ κοσμῆσαι τὴν περίγειον λῆξιν, ἐπιτάττεται δὲ κατιοῦσα διευλαβηθῆναι μή, ἐν ᾧ κοσμεῖ καὶ τάττει τὸ ἄτακτον καὶ ἀκόσμητον, αὐτὴ πελάζουσα αἴσχους τε καὶ ἀκοσμίας ἀναπλησθῇ. Κεῖται δὲ Θέμιδος νόμος ἀγορεύων ψυχαῖς, ἥτις ἂν ὁμιλήσασα τῇ τῶν ὄντων ἐσχατιᾷ τηρήσῃ τὴν φύσιν καὶ ἀμόλυντος διαγένηται, ταύτην δὴ τὴν αὐτὴν ὁδὸν αὖθις ἀναρρυῆναι καὶ εἰς τὴν οἰκείαν ἀναχυθῆναι πηγήν, ὥσπερ γε καὶ τὰς ἐκ τῆς ἑτέρας μερίδος τρόπον τινὰ ἐξορμησαμένας φύσεως ἀνάγκη ἐς τοὺς συγγενεῖς αὐλισθῆναι κευθμῶνας, ἔνθα Φθόνος τε Κότος τε καὶ ἄλλων ἔθνεα Κηρῶν Ἄτης ἐν λειμῶνι κατὰ σκότον ἠλάσκουσιν.

2.  Αὗται ψυχῶν εὐγένειαι καὶ δυσγένειαι, καὶ γένοιτ’ ἂν οὕτω συγγενεῖς εἶναι Λίβυν ἄνδρα καὶ Παρθυαῖον, καὶ γένοιτ’ ἂν οὕτως οὓς καλοῦμεν ἡμεῖς ἀδελφοὺς κατὰ μηδὲν εἶναι τῇ ψυχῶν

Libro primo 1.  Si tratta di un mito egizio:5 gli Egizi si distinguono in effetti per la loro sapienza. E forse anche questo, pur essendo soltanto un racconto, potrà alludere a qualcosa di più di un semplice mito, proprio perché egizio. Se poi non si limitasse a essere un racconto, ma fosse addirittura un discorso sacro, allora sarebbe ancora più degno di essere narrato e di essere messo per iscritto. Osiride e Tifone erano due fratelli nati dallo stesso seme. Il legame parentale delle anime e dei corpi non è però il medesimo: non è infatti proprio delle anime di nascere sulla terra da identici genitori, quanto di scaturire dalla stessa sorgente. E due ne presenta la natura dell’universo, una luminosa e una oscura. La seconda sgorga dalla terra, in quanto radicata nel profondo, e dalle sue cavità sprizza, quando riesca a forzare la legge divina. La prima invece se ne sta appesa alle volte celesti e viene inviata in basso al fine di ordinare le sorti terrene. Nella sua discesa, le viene intimato di prestare attenzione – dovendo ordinare e regolare quanto non conosce né ordine né regola – a non farsi plasmare dalla deformità e dalla confusione con cui viene a contatto. Vige infatti la legge di Temi,6 che garantisce alle anime che qualunque di loro abbia raggiunto i più bassi confini dell’essere conservando la propria natura, e li abbia poi attraversati senza macchiarsi, rifluirà di nuovo per la medesima via, riversandosi nella propria sorgente. Altrettanto, però, è necessità di natura che le anime che siano precipitate in qualche modo dall’altra parte restino a dimorare nei recessi che loro si confanno, “dove Invidia, Odio e le schiere delle altre Sciagure7 errano nell’ombra per i campi di Ate”.8

2.  In questo modo dunque, si determina l’origine nobile o ignobile delle anime; secondo questo principio è possibile che un Libico sia imparentato con un Parto e che, viceversa, quelli che noi chiamiamo fratelli non intrattengano alcun rapporto di fami-

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συγγενείᾳ προσήκοντας, ὅπερ ἐπὶ τοῖν Αἰγυπτίοιν παίδοιν εὐθύς τε γεινομένων ὑπεσήμηνε καὶ τελεουμένων λαμπρῶς διεδείχθη. Ὁ μὲν γὰρ νεώτερος, θείᾳ μοίρᾳ καὶ φὺς καὶ τραφείς, τά τε ἐν βρέφει φιλήκοον ἦν καὶ φιλόμυθον· ὁ γὰρ μῦθος φιλοσόφημα παίδων ἐστί· καὶ ἐπιδιδοὺς ἤρα παιδείας ἀεὶ τὸν χρόνον ὑπερτεινούσης· τῷ τε πατρὶ τὰ ὦτα ὑπεῖχεν καὶ ὅ τι ἕκαστος εἰδείη σοφόν, περὶ ἅπαντα ἐλιχνεύετο, τὰ μὲν πρῶτα σκυλακηδὸν ἀθρόα πάντα ἀξιῶν εἰδέναι, ὥσπερ ἀμέλει ποιοῦσιν αἱ φύσεις αἱ τὰ μεγάλα ὑπισχνούμεναι· σφαδάζουσι καὶ προεξανίστανται τοῦ καιροῦ, ἤδη τὸ τέλος ἑαυταῖς τὸ ἐραστὸν ἐγγυώμεναι. Ἔπειτα μέντοι πολὺ πρὸ ἥβης ἡσυχαίτερός τε ἦν εὖ γεγονότος πρεσβύτου καὶ σὺν κόσμῳ μὲν ἤκουε, δεῆσαν δέ ποτε καὶ αὐτὸν εἰπεῖν, ἢ ἀνερησόμενον περὶ ὧν ἤκουσεν ἢ ἐπ’ ἄλλῳ τῳ, πᾶς ἂν ἐπέγνω διαμέλλοντα καὶ ἐρυθαινόμενον. Καὶ ὁδῶν ἐξίστατο καὶ καθέδρας Αἰγυπτίων τοῖς πρεσβυτέροις, καὶ ταῦτα παῖς ὢν τοῦ τὴν μεγάλην ἀρχὴν ἄρχοντος. Παρῆν δὲ αὐτῷ καὶ αἰδὼς ἡλίκων καὶ ἐν τῇ φύσει μάλιστα τὸ ἀνθρώπων ἐπιμελεῖσθαι· ὥστε ἐν ἐκείνῳ τῆς ἡλικίας ὄντος, ἔργον ἦν Αἰγύπτιον εὑρεῖν ἄνθρωπον, ᾧ μὴ ἕν γέ τι ἀγαθὸν παρὰ τοῦ πατρὸς ἐπεπόριστο τὸ μειράκιον. Ὁ δὲ πρεσβύτερος, ὁ Τυφώς, ἑνὶ λόγῳ, πάντα ἐπαρίστερος. Σοφίαν μὲν δὴ πᾶσαν, ὅση τε Αἰγυπτία καὶ ὅσης ὑπερορίου διδασκάλους ὁ βασιλεὺς Ὀσίριδι τῷ παιδὶ παρεστήσατο, ἀπεστυγήκει τε ὅλῃ γνώμῃ καὶ κατεγέλα τοῦ πράγματος, ὡς ἀργοῦ τε καὶ δουλοῦντος τὰς γνώμας· ὁρῶν δὲ τὸν ἀδελφὸν φοιτῶντά τε ἐν τάξει καὶ αἰδοῖ συζῶντα, τοῦτο δὲ ᾤετο φόβον εἶναι, δι’ ὃ οὔτε πὺξ παίοντά τις εἶδεν οὔτε λὰξ ἐναλλόμενον οὔτε δρόμον θέοντα ἄκοσμον, καὶ ταῦτα κοῦφόν τε ὄντα καὶ περιεπτισμένον καὶ ἐλαφρὸν τῇ ψυχῇ φορτίον τὸ σῶμα περικείμενον. Ἀλλ’ οὐδὲ χανδόν ποτε Ὄσιρις ἔπιεν, οὔτε ἐξεκάγχασεν, ὡς εἶναι τὸν γέλωτα βρασμὸν ὅλου τοῦ σώματος, ἅπερ Τυφὼς ἔδρα τε ὁσημέραι καὶ μόνα ἔργα ἐλευθέρων ᾤετο, ποιεῖν ὅ τί τις τύχοι καὶ βούλοιτο· ἐῴκει δὲ

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racconti egizi sulla provvidenza i, 2

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liarità tra di loro al livello delle anime. Questo è quanto, nel caso dei due bambini egizi, iniziò a manifestarsi sin dalla nascita e divenne del tutto evidente non appena furono adulti. Il più giovane infatti, nato e cresciuto secondo un destino dettato da Dio, già da piccolo era desideroso di ascoltare e appassionato di favole (la favola è il trattato filosofico dei bambini9), mentre crescendo aspirava a un’istruzione sempre in anticipo rispetto alla sua età. Dava ascolto al padre e desiderava ardentemente tutta la sapienza che ciascuno possedeva; ambiva poi, come un cucciolo di cane, ad apprendere tutto insieme, proprio come fanno le nature che promettono grandi cose: attendono con impazienza e scattano prima del momento stabilito, così da garantire a se stesse l’ambito traguardo. Già molto prima della giovinezza era più compassato di un anziano di nobili natali; ascoltava con disciplina e se mai non avesse potuto fare a meno di parlare, per fare una domanda su quanto aveva ascoltato o per un qualche altro motivo, lo si sarebbe visto indugiare e arrossire. Cedeva il passo e il posto a sedere agli Egizi più anziani, nonostante fosse il figlio dell’uomo che deteneva il massimo potere. Eppure, aveva rispetto anche per i coetanei, essendo la cura degli uomini il tratto più saliente della sua natura: nel periodo della sua giovinezza, era un’impresa trovare un Egizio per il quale il ragazzo non avesse ottenuto un qualche giovamento da parte del padre. Il fratello più grande invece, Tifone, era in tutto e per tutto, per dirlo in una parola, un inetto. Detestava con tutto se stesso ogni forma di sapienza, egizia o straniera che fosse – così come i maestri che il re aveva ingaggiato per il figlio Osiride – e ne rideva come di un atto inutile e che asserviva le menti. Nel vedere il fratello comportarsi ordinatamente e vivere assieme agli altri con rispetto, pensava che si trattasse di paura, giacché nessuno lo aveva mai visto fare a pugni o sferrare calci o correre in maniera scomposta, sebbene fosse agile, esile, con un corpo che era un fardello lieve attorno all’anima. Osiride, poi, quando beveva non “tracannava”10 mai, né “scoppiava a ridere”11 in modo tale che il suo corpo fosse tutto un fremito, mentre Tifone era solito compiere queste azioni quotidianamente, ritenendole le uniche degne di un uomo libero, ovvero di colui che

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οὔτε τῷ γένει τὴν φύσιν, οὐδ’ ὅλως ἀνθρώπων τινί, καὶ καθάπαξ εἰπεῖν, οὐδ’ αὐτὸς ἦν αὑτῷ παραπλήσιος, ἀλλὰ παντοδαπόν τι κακόν· νῦν μὲν ἂν ἔδοξεν εἶναι νωθής τε καὶ ἐτώσιον ἄχθος ἀρούρης, τοσαῦτα ἀφ’ ὕπνου γινόμενος ὅσα γαστρίζεσθαι καὶ ἄλλα ἐναποτίθεσθαι τοῦ καθεύδειν ἐφόδια· νῦν δὲ καὶ τὰ μέτρια ἀμελῶν τῶν ἀναγκαίων τῇ φύσει, ἐφ’ οἷς σκιρτᾶν τε ἄμουσα καὶ παρέχειν πράγματα καὶ ἥλιξι καὶ ὑπερήλιξιν. Ἐθαύμαζέ τε γὰρ ἰσχὺν σώματος ὡς τελεώτατον ἀγαθὸν καὶ ἐχρῆτο κακῶς, θύρας τε ἀπαράττων καὶ βώλοις βάλλων καὶ εἴ τῳ τραῦμα ἦν ἢ κακὸν ἄλλο ἐργάσοιτο χαίρων ὡς ἐπὶ μαρτυρίᾳ τῆς ἀρετῆς· ὤργα τε ἄωρα καὶ βιαιότατος ἦν ἐπιθέσθαι μίξεσι· καὶ δὴ καὶ φθόνος μὲν αὐτῷ πρὸς τὸν ἀδελφὸν ὑπετύφετο, μῖσος δὲ πρὸς Αἰγυπτίους, ὅτι οἱ μέν, ὁ λεώς, ἐθαύμαζον Ὄσιριν καὶ ἐν λόγοις καὶ ἐν ᾠδαῖς, καὶ οἴκοι καὶ ἐπὶ τῶν κοινῶν ἱερῶν ἀγαθὰ αὐτῷ πάντα πανταχοῦ πάντες παρὰ τῶν θεῶν ᾔτουν· ὁ δέ τοι ἦν τε καὶ ἐδόκει τοιοῦτος. Ταῦτ’ ἄρα ὁ Τυφὼς καὶ ἑταιρικόν τι συνεστήσατο παίδων ἀφρόνων ἐπ’ ἄλλο μὲν οὐδέν – οὐδένα γὰρ ἐπεφύκει φιλεῖν ἀπὸ γνώμης –, ἀλλ’ ἵν’ εἶέν τινες αὐτῷ στασιῶται, μὴ φρονοῦντες τὰ Ὀσίριδος. Ἦν δὲ ἅπαντι ῥᾴδιον ὠνήσασθαι τὴν γνώμην αὐτοῦ καὶ εὑρέσθαι τι παρὰ Τυφῶνος ὧν δέονται παῖδες, εἰ μόνον ψιθυρίσειέ τι τῶν φερόντων εἰς λοιδορίαν Ὀσίριδος. Παιδόθεν μὲν οὖν οὕτως ἡ φύσις αὐτοῖν τὴν διαφορὰν τῶν βίων ὑπέσχετο. 3.  Ὥσπερ δὲ ὁδῶν ἡ πρώτη σχίζα κατὰ βραχὺ διαστᾶσα, προϊοῦσα πλέον ἀεί τι ποιεῖ, καὶ τελευτῶσαι καταντῶσιν εἰς πλεῖστον τὸ ἀντικείμενον, οὕτως ἴδοι τις ἂν καὶ ἐπὶ τῶν νέων γινόμενον, καὶ τὸ σμικρὸν εἰς διαφορὰν πλεῖστον ἀφίστησι προϊόντας. Οἱ δὲ οὐδὲ κατὰ μικρόν, ἀλλ’ αὐτίκα τὴν ἐναντίαν ἐτράποντο, ἀρετὴν καὶ κακίαν τελείαν ἑκάτερος διαλαχόντες. Ἐπιδιδόντων οὖν,

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racconti egizi sulla provvidenza i, 2-3

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agisce sempre in base alla brama del momento. Non assomigliava nel carattere a nessuno della sua famiglia né, più in generale, a nessun uomo e, per dirla in breve, non era simile neppure a se stesso, ma era la somma di ogni sorta di male. A momenti sarebbe sembrato un essere pigro e un “inutile peso sulla terra”,12 ridestandosi dal sonno solo per ingozzarsi e per far provviste, per poi rimettersi a dormire; altre volte invece trascurava anche i più moderati bisogni naturali per balzare qua e là senza alcuna grazia e per dare fastidio a persone della sua età e più avanti negli anni. Ammirava la forza del corpo come il bene supremo, eppure ne faceva un uso perverso, abbattendo porte, lanciando zolle di terra, rallegrandosi se provocava una ferita a qualcuno o era causa di un qualche altro danno, quasi si trattasse di una prova di valore. Ardeva di istinti immaturi e praticava i rapporti sessuali con violenza. In più, covava una segreta invidia nei confronti del fratello, nonché odio per gli Egizi, poiché quelli, il popolo, onoravano Osiride “con discorsi e canti”13 e domandavano, nel privato delle proprie case come nei pubblici santuari, insomma tutti e in ogni luogo, agli dèi di concedergli ogni bene. Così era Tifone e tale era considerato. E infatti non per altro motivo si era circondato di una schiera di giovani dissennati: per avere dei sostenitori che non condividessero il pensiero di Osiride (Tifone non aveva certo l’indole di legarsi a qualcuno). Era facile per chiunque corrompere il suo animo e ottenere da lui tutto ciò che chiedono i ragazzi, purché gli si sussurrasse qualcosa di offensivo nei confronti di Osiride. A tal punto, fin dall’infanzia, la natura dei due fratelli mostrava già la divergenza delle loro vite. 3.  Come la distanza che separa due strade subito dopo una biforcazione è minima, ma diventa sempre maggiore andando avanti, fino a che, quando queste raggiungono il loro apice, la distanza tra gli estremi è al suo massimo, lo stesso si può constatare nel caso dei giovani: una piccola divergenza di partenza li discosta moltissimo con il trascorrere degli anni. Quei due, però, non si volsero in direzione contraria a poco a poco, ma immediatamente, avendo avuto l’uno in sorte una perfetta virtù e l’altro una totale malva-

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συνεπεδίδου καὶ τὸ ἀντίξουν τῶν προαιρέσεων, καὶ ἀριδηλότερα τὰ τεκμήρια παρειχέσθην, ἔργοις ἐνσημαινόμενα. Ὄσιρις μὲν οὖν εὐθὺς ἀφ’ ἥβης συνεστρατήγει τοῖς ἀποδεδειγμένοις, οὔπω μὲν ὅπλα διδόντος τοῖς τηλικοῖσδε τοῦ νόμου, γνώμης δὲ ἄρχων, οἱονεὶ νοῦς ὤν, καὶ τοῖς στρατηγοῖς χερσὶ χρώμενος. Κᾆτα, ὥσπερ φυτοῦ τῆς φύσεως αὐξανομένης, ἐξέφερεν καρπόν τινα ἀεὶ τελειότερον· ἐπιστάτης δὲ δορυφόρων γενόμενος καὶ τὰς ἀκοὰς πιστευθεὶς καὶ πολιαρχήσας καὶ βουλῆς ἄρξας, ἑκάστην ἀρχὴν ἀπεδίδου παρὰ πολὺ σεμνοτέραν ἢ παρελάμβανεν. Ὁ δὲ ταμίας τε χρημάτων ἀποδειχθείς – ἐδέδοκτο γὰρ τῷ πατρὶ τῆς φύσεως ἀποπειρᾶσθαι τῶν παίδων ἐν ἐλάττοσιν ὑποθέσεσιν – ᾔσχυνεν ἑαυτόν τε καὶ τὸν ἑλόμενον, κλοπῆς τε δημοσίων ἁλοὺς καὶ δωροδοκίας καὶ ἐμπληξίας εἰς τὴν διοίκησιν. Μετατεθεὶς δὲ καὶ εἰς ἕτερον εἶδος ἀρχῆς, μή ποτε ἄρα καὶ ἐναρμόσειεν, ὁ δὲ αἴσχιον ἔπραξεν, καὶ χρηστῆς βασιλείας ἐκεῖνο τὸ μέρος τῆς ἀρχῆς ᾧ Τυφὼς ἐπεστάτησεν ἐνιαυτὸν ὅλον ἀποφράδα ἤγαγεν. Ἐπ’ ἄλλους ἀνθρώπους ᾔει, καὶ τὸ οἰμώζειν ἐπ’ ἐκείνους μετῄει. Τοιοῦτος Τυφὼς ἄρχειν ἀνθρώπων. Ἰδίᾳ μὲν ἐκορδάκισεν, Αἰγυπτίων δὲ ὅστις ἀκοσμότατος καὶ ξένων συνειλοχὼς τοὺς πάντα ῥᾳδίους εἰπεῖν τε καὶ ἀκοῦσαι καὶ παθεῖν καὶ ποιῆσαι, ὡς εἶναι τὸ ἑστιατόριον παντοδαπῆς ἀκολασίας ἐργαστήριον· καὶ ἐγρηγορὼς αὐτός τε ἔρρεγκεν καὶ ἄλλων ἀκούων ἥδετο, μουσικήν τινα θαυμαστὴν τὸ πρᾶγμα ἡγούμενος, ἔπαινοί τε καὶ τιμαὶ τῷ παρατείνοντι τὸν ἀκόλαστον ἦχον καὶ τῷ μᾶλλον στρογγύλλοντι. Εἷς δέ τις αὐτῶν, ὁ μάλιστα ἀνδρειότατος, ἀπηρυθρίασε πρὸς ἅπαν, καὶ μηδὲν τῶν ἐπονειδίστων ὀκνήσας, ἀριστείων τε ἄλλων πολλῶν ἐτύγχανεν, καὶ ἀρχαί τινες ὑπῆρξαν αὐτῷ μισθὸς αἰσχρᾶς παρρησίας. Ὁ Τυφὼς οἴκοι μὲν δὴ τοιοῦτος. 4.  Ἐπειδὴ δὲ ἐν τῷ σχήματι τοῦ τὰ κοινὰ πράττειν καθίζοιτο, διεδείκνυ σαφῶς ὅτι παντοδαπὸν ἡ κακία· καὶ γὰρ πρὸς ἀρετὴν καὶ πρὸς ἑαυτὴν στασιάζει, καὶ μερίδες αὐτῆς ἄμφω τὰ ἀντικείμενα.

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racconti egizi sulla provvidenza i, 3-4

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gità. Crescendo, poi, progrediva assieme a loro l’opposizione delle condotte e i due ne fornivano prove assai manifeste, impresse nelle loro azioni. Osiride fin dalla giovinezza fu associato ai generali titolari, sebbene la legge non concedesse a persone di così tenera età di fare uso di armi; eppure, egli dirigeva il loro pensiero come se ne fosse la mente e si serviva di loro come se si trattasse delle sue mani. Anche in seguito, quando, come una pianta, la sua natura si accrebbe, produsse frutti sempre più perfetti: divenuto capo della guardia dei dorifori, fu fedele depositario di informazioni; fu anche prefetto della città e poi presidente del senato.14 Lasciò ciascuna carica in uno stato di decoro notevolmente maggiore rispetto a come l’aveva ricevuta. Tifone invece, nominato tesoriere (era parso bene al padre, infatti, di saggiare l’indole dei figli in mansioni minori15), disonorò se stesso e chi lo aveva scelto, venendo riconosciuto colpevole di furto di denaro pubblico, corruzione, avventatezza nell’amministrazione. Spostato a un altro tipo di incarico, nel caso questo potesse risultargli più idoneo, si comportò in maniera ancora più turpe, al punto che proprio quella regione del prospero regno cui Tifone era stato messo a capo trascorse un’intera annata nefasta. Se ne andò presso altra gente e anche qui gli tennero dietro i lamenti. Tale era Tifone nel governo degli uomini. In privato danzava il cordace,16 raccogliendo attorno a sé i più sfrenati tra gli Egizi e gli stranieri, tutte persone disposte a dire, udire, subire e fare qualunque cosa, in modo che la sala per i banchetti divenisse “fabbrica”17 di ogni sorta d’intemperanza. Russava persino da sveglio e provava gusto anche nell’udire gli altri, considerando quel rumore una musica straordinaria ed elargendo lodi e onori a chi più quel suono smodato prolungasse e arrotondasse. Uno dei suoi compari, il più sfacciato di tutti, che non si imbarazzava di fronte a nulla e che non temeva alcunché di vergognoso, ricevette molti premi ulteriori e, quale ricompensa dell’infame spudoratezza, ottenne anche alcune cariche. Tale era Tifone in privato. 4.  Seduto nel ruolo di uomo pubblico, mostrava chiaramente come il male sia qualcosa di complesso: è in contrasto, difatti, e con la virtù e con se stesso, giacché entrambi gli estremi sono sue compo-

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Ὅ γέ τοι χαῦνος εὐθὺς ἐμεμήνει, καὶ σκληρότερον ὑλακτῶν Ἠπειρώτου κυνὸς συμφορὰν προσετρίβετο, τὴν μὲν ἰδιώτῃ, τὴν δὲ οἰκίᾳ, τὴν δὲ ὁλοκλήρῳ πόλει, καὶ ἐγάνυτό γε μεῖζον κακὸν ἐργασάμενος, ὡς τὴν ἀδοξίαν τῆς οἴκοι ῥᾳθυμίας δακρύοις ἀνθρώπων ἀπονιπτόμενος. Ἓν ἄν τις ὤνατο τούτου· πολλάκις γὰρ ὢν πρὸς αὐτῷ δὴ τῷ δρᾶσαι δεινὸν ἢ παρενεχθεὶς τὴν γνώμην εἰς ἀλλοκότους ὑπονοίας ἐξέπιπτεν, ὥστε ἐοικέναι τοῖς νυμφολήπτοις, περὶ τῆς ἐν Δελφοῖς σκιᾶς ἐρρωμένως διατεινόμενος· ἐν τούτῳ δὲ ὁ κινδυνεύων ἐσῴζετο, περὶ οὗ μηδεὶς ἔτι λόγος ἐγίνετο· ἢ ληθάργῳ συνείχετο καὶ καρηβαρὴς ἦν ἐπὶ χρόνον τινὰ ὥστε ἀπεῖναι τῶν ἐν οἷς εἴη τὸν νοῦν. Εἶτα ἀγείραντος ἑαυτόν, ἐρρυήκει μὲν καὶ ὣς ἡ μνήμη τῶν ἔναγχος· ὁ δὲ ἐζυγομάχει πρὸς τοὺς ἐπὶ τῶν διοικήσεων περὶ τοῦ πόσους ὁ μέδιμνος ἔχει πυροὺς καὶ πόσους κυάθους ὁ χοῦς, περιττήν τινα καὶ ἄτοπον ἀγχίνοιαν ἐνδεικνύμενος. Ἤδη δέ ποτε καὶ ὕπνος ἀφείλετο συμφορᾶς ἄνθρωπον, ἐπιπεσὼν Τυφῶνι μάλα εὐκαίρως, καὶ κατὰ τῆς καθέδρας ἦν ἂν ἐπὶ κεφαλὴν ὤσας, εἰ μή τις ὑπηρέτης μεθεὶς τὴν λαμπάδα ὑπήρειδεν. Οὕτω πολλάκις τραγικὴ παννυχὶς εἰς κωμῳδίαν ἀπετελεύτησεν. Καὶ γὰρ οὐδὲ ἐχρημάτιζεν ἐν ἡμέρᾳ, ἅτε ἡλίῳ καὶ φωτὶ φύσις ἀντίξους καὶ σκότῳ προσήκουσα. Σαφῶς δὲ εἰδὼς ὅτι πᾶς, ὅτῳ καὶ σμικρόν τι φρονήσεως μέτεστι, κατέγνωκεν αὐτοῦ τὴν ἀκριβεστάτην ἀμαθίαν, ὁ δὲ οὐχ ἑαυτὸν ᾐτιᾶτο τῆς ἀτοπίας, ἀλλὰ διὰ τοῦτο κοινὸς ἦν ἐχθρὸς τῶν νοῦν ἐχόντων, ὡς ἀδικούντων, ὅτι κρίνειν ἐπίστανται, βουλεῦσαι μὲν ἄπορος, ἐπιβουλεῦσαι δὲ ποριμώτατος. Ἄνοια καὶ ἀπόνοια συνήστην αὐτῷ, κῆρες ψυχῆς ὑπ’ ἀλλήλων ῥωννύμεναι, ὧν ἄλλα κακὰ μείζω καὶ προχειρότερα γένος ἀνθρώπων ἐκτρῖψαι οὔτε ἔστιν οὔτε μή ποτε ἐν τῇ φύσει γένηται. 5.  Ταῦτα ἕκαστα ὁ πατὴρ ἑώρα τε καὶ ξυνίει καὶ Αἰγυπτίων προὐκήδετο· βασιλεὺς γὰρ ἦν καὶ ἱερεὺς καὶ σοφός· Αἰγύπτιοι

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racconti egizi sulla provvidenza i, 4-5

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nenti. Tracotante quale era, assumeva repentinamente degli atteggiamenti da folle, abbaiando più aspramente di un cane dell’Epiro,18 e procurava sciagure ora a un singolo, ora a una famiglia, ora all’intera città, godendo nel compiere un male sempre maggiore, come se lavasse con le lacrime degli uomini l’onta della propria indolenza privata. Un solo vantaggio poteva trarsi da un simile male: spesso, infatti, trovandosi sul punto di commettere una qualche efferatezza, o – fuori di senno – scivolava in perverse elucubrazioni, così da diventare simile ai posseduti dalle Ninfe19 e da argomentare energicamente sull’oscurità di Delfi20 (nel frattempo la persona in pericolo si salvava e nessuno ne avrebbe fatto più parola); oppure era avvinto da una sorta di letargo e per un certo periodo di tempo se ne stava stordito, con la mente totalmente assente dalle questioni contingenti. In seguito, una volta ridestatosi, il ricordo degli avvenimenti appena precedenti si era dissolto; discuteva con i membri dell’amministrazione su quanti chicchi di grano ci stanno in un medimno e su quanti ciati in un congio,21 rivelando una minuziosità inutile e fuori luogo. Più di una volta il sonno ha tratto un uomo dalla sventura, piombando su Tifone proprio al momento giusto; e lo avrebbe fatto precipitare a testa in giù dal trono22 se qualcuno dei servi, dopo aver lasciato cadere la fiaccola, non lo avesse sorretto. Ecco come, spesso, una tragica festa notturna finiva in commedia. Non si occupava infatti degli affari pubblici durante il giorno, poiché la sua natura era avversa al sole e alla luce e incline piuttosto all’oscurità. Pur essendo perfettamente conscio che chiunque avesse anche solo un minimo di senno biasimasse la sua totale ignoranza, non incolpava se stesso della propria singolarità, ma anzi proprio per questo era nemico di tutte le persone intelligenti, quasi che commettessero un’ingiustizia nei suoi confronti per il solo fatto di saperlo giudicare inetto nel decidere ed estremamente abile nel complottare. Convivevano in lui follia e temerarietà, vizi dell’anima che si rafforzano a vicenda e di cui non esistono né esisteranno mai in natura mali più grandi e più disposti alla distruzione del genere umano. 5.  Tutto ciò il padre vedeva e percepiva chiaramente; e si prendeva cura degli abitanti d’Egitto, in quanto re, sacerdote e sapiente

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λόγοι φασὶν ὅτι καὶ θεός. Οὐ γὰρ ἀπιστοῦσιν Αἰγύπτιοι μυρίους καθ’ ἕνα θεοὺς αὐτῶν βασιλεῦσαι, πρὶν ὑπ’ ἀνθρώπων ἀρχθῆναι τὴν χώραν καὶ γενεαλογηθῆναι τὰς βασιλείας, Πείρωμιν ἐκ Πειρώμιδος. Ἐπειδὴ οὖν μεθίστασαν αὐτὸν θεῖοι νόμοι παρὰ τοὺς μείζους θεούς, καὶ παρῆν ἡ κυρία, συνειλέχατο μὲν εἰς αὐτήν, πάλαι προηγορευμένον, ἐξ ἁπάσης πόλεως Αἰγυπτίας ἱερέων τε ὅσαι φρῆτραι, καὶ τὸ στρατιωτικὸν τὸ αὐτόχθον· οὗτοι μὲν ὑπ’ ἀνάγκης τοῦ νόμου· τὰ δὲ ἄλλα μέρη τῶν δήμων ἐξῆν μὲν ἀπεῖναι, παρεῖναι δὲ οὐδεὶς εἴργετο, θεασόμενοι τὴν χειροτονίαν, οὐκ αὐτοὶ χειροτονήσοντες. Συφορβοὶ δὲ εἴργοντο καὶ τῆς θέας, καὶ ὅστις αὐτὸς ἢ γένος ἀλλόφυλος ὢν ὡπλοφόρει μισθωτὸς Αἰγυπτίοις, καὶ τούτοις ἀπείρητο μὴ παρεῖναι. Ταύτῃ καὶ παρὰ πλεῖστον ἔλαττον ἔσχεν ὁ πρεσβύτερος τῶν υἱέων. Συφορβοί τε γὰρ ἦσαν καὶ ἀλλόφυλοι τὸ στασιωτικὸν τοῦ Τυφῶνος, δῆμος ἀπόπληκτος καὶ πολύς· ἀλλ’ εἴκων ἔθει καὶ οὐδὲ ἀναπειρώμενος οὐδὲ δεινὸν τὴν ἀτιμίαν ἀλλὰ προσῆκον ἡγούμενος, ἅτε νόμῳ καταδεδικασμένην καὶ φύσιν οὖσαν ἤδη τοῖς γένεσι. 6.  Καθίσταται δὲ Αἰγυπτίοις ὁ βασιλεὺς τρόπῳ τοιῷδε. Ἱερὸν ὄρος ἐστὶ παρὰ τὴν μεγάλην πόλιν τὰς Θήβας, καὶ ὄρος ἄλλο καταντικρύ· [καὶ] μέσον ἀμφοῖν τὸ ῥεῦμα τοῦ Νείλου. Τῶν ὀρῶν τοῦτο μὲν τὸ καταντικρὺ Λιβυκόν, καὶ ἐν αὐτῷ δίαιταν ἔχειν νόμος τῆς παρασκευῆς τὸν χρόνον τοὺς ὑποψήφους τῇ βασιλείᾳ, τοῦ μηδὲν ἐπαισθάνεσθαι τῆς αἱρέσεως· τὸ δὲ ἱερὸν [τὸ] Αἰγύπτιον. Σκηνὴ μὲν ἐπ’ ἄκρου τῷ βασιλεῖ, καὶ παρ’ αὐτὸν ὅσοι τῶν ἱερέων τὴν μεγάλην σοφίαν σοφοί, καὶ πρόεισιν ἡ τάξις εἰς ἅπαν τὸ ἀριστεῦον, κατ’ ἀξίαν τῶν τελετῶν τὰς χώρας μερίζουσα. Οὗτοι μὲν ὡς περὶ καρδίαν, τὸν βασιλέα, κύκλος εἷς πρῶτος· οἱ δὲ στρατιῶται, κύκλος

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(stando ai racconti egizi, anche divinità). Gli Egizi, difatti, non dubitano che innumerevoli dèi abbiano regnato, uno alla volta, su di loro prima che la regione fosse governata dagli uomini e che i sovrani si succedessero per via dinastica (un Piromide da un altro Piromide23). Perciò, quando poi le leggi divine stabilirono che il padre fosse assunto presso gli dèi maggiori e fu convocata l’assemblea, si riunirono in essa tutte le fratrie religiose delle città d’Egitto e i soldati autoctoni (l’evento era stato fissato con largo anticipo). Entrambi i gruppi dovevano necessariamente presentarsi, in quanto imposto dalla legge; per tutte le altre componenti del popolo era invece possibile non presenziare, per quanto nessuno avrebbe impedito loro di partecipare, purché assistessero al voto senza prenderne parte. La semplice presenza era tuttavia proibita ai porcari, così come era vietata la partecipazione di chiunque, straniero o di origine straniera, militasse come mercenario nell’esercito egizio. In questo modo il maggiore dei figli avrebbe ottenuto un numero di voti di gran lunga inferiore, essendo la fazione di Tifone composta da porcari e stranieri, massa insulsa e numerosa. Questi, comunque, si attenevano alla tradizione, senza tentare alcunché e senza ritenerla una terribile infamia nei loro confronti, quanto piuttosto un atto dovuto, poiché era imposta dalla legge e ad ogni modo connaturata alla loro condizione. 6.  Gli Egizi eleggono il sovrano nel modo seguente. Presso la grande città di Tebe vi è un monte sacro e un altro si trova di fronte: nel mezzo ai due vi è il corso del Nilo.24 La seconda montagna (quella opposta a Tebe) si trova in Libia e la legge vuole che su di essa risiedano durante il periodo dei preparativi coloro che sono eleggibili al regno, affinché non abbiano alcuna percezione dell’elezione. La montagna sacra è quella che si trova in Egitto: sulla sua cima vi è una tenda per il re25 e attorno a lui si collocano tutti quei sacerdoti iniziati alla grande sapienza; questa disposizione si estende a tutti i membri dell’aristocrazia, venendo i posti ripartiti, in occasione delle cerimonie sacre, sulla base della dignità. Costoro formano il primo cerchio intorno al cuore (cioè il re) mentre i soldati formano un secondo cerchio attorno a loro. Questi si

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ἄλλος ἔχεται τούτου. Καὶ οὗτοι μὲν ἔτι περὶ τὸν ὄχθον, ὃς ἐπὶ τοῦ διατείνοντος ὄρους ὄρος ἐστὶν ἄλλο, καθάπερ μασθὸς ἀνιστάμενος, ἐν ἀπόπτῳ τὸν βασιλέα παρέχων καὶ τοῖς διὰ πλείστου περιεστῶσι. Περιεστᾶσι δὲ τοῦ μασθοῦ τὴν ὑπώρειαν καταλαμβάνοντες, ὅσοις ἔξεστιν ἐπὶ τῇ θέᾳ παρεῖναι, οὗτοι μὲν μόνον ἐπευφημοῦντες οἷς ἂν ἐπαισθάνωνται, οἱ δὲ τὸ κῦρος ἔχοντες τῆς αἱρέσεως. Ἐπειδὰν ἐπιθειάσηται βασιλεύς, καὶ οἷς τοῦτο τὸ ἔργον ἅπαν κινήσωσι κωμαστήριον, ὡς ἂν τοῦ θείου παρόντος τε καὶ τὰ περὶ τὴν αἵρεσιν συμφροντίζοντος, ὀνόματός τινος ἀναδειχθέντος τῶν ὑποψήφων τῇ βασιλείᾳ, στρατιῶται μὲν χεῖρας αἴρουσι· κωμασταὶ δὲ καὶ ζάκοροι καὶ προφῆται ψηφοφοροῦσι. Πλῆθος ἔλαττον τοῦτο, δύναται δὲ παρὰ πολὺ πλεῖστον· προφητικὴ μὲν γὰρ ψῆφος ἑκατὸν χεῖρές εἰσι, κωμαστικὴ δὲ εἴκοσι, καὶ ὁ ζάκορος δέκα δύναται χεῖρας. Ἕτερον ὄνομα τῶν βασιλικῶν, καὶ ἐπ’ αὐτῷ χεῖρες καὶ ψῆφοι. Κἂν μὲν ἀγχώμαλον ᾖ τὸ πλῆθος, βασιλεὺς ἐπιψηφίσας θατέρᾳ μερίδι παρὰ πολὺ μείζω ποιεῖ· τῇ δὲ ἐλάττονι προσνείμας ἑαυτὸν εἰς ἴσον καθίστησιν. Ἔνθα ἀναθέσθαι δεῖ τὴν χειροτονίαν καὶ τῶν θεῶν ἔχεσθαι, προσεδρεύοντάς τε πλείω χρόνον καὶ ἀπταιστότερον ἁγιστεύοντας, ἕως ἂν οὐ διὰ παραπετασμάτων οὐδὲ διὰ τῶν ἑκάστοτε συνθημάτων, ἀλλ’ αὐτοπτηθέντες αὐτὸν τὸν βασιλέα ἀναδείξωσι, καὶ ὁ δῆμος αὐτήκοος γένηται τῆς παρὰ τῶν θείων ἀναρρήσεως. Ταῦτα μέν, ὡς ἑκάστοτε τυγχάνοι, νῦν μὲν οὕτως, νῦν δὲ ἐκείνως ἐγένετο· ἐπὶ δὲ Τυφῶνός γε καὶ Ὀσίριδος θεοί τε, οὐδὲν τῶν ἱερέων πραγματευσαμένων, τὴν πρώτην εὐθὺς ἐναργεῖς ἑωρῶντο καὶ ἔταττον ἐφεστῶτες αὐτοὶ καὶ διεκόσμουν ἕκαστος τοὺς σφετέρους ὀργιαστάς, ἅπαντί τε δῆλον ἦν ἐφ’ ᾧ γε παρείησαν. Καίτοι καὶ μὴ παρόντων, ἅπασα χείρ, ἅπασα ψῆφος τοῦ νεωτέρου τῶν βασιλικῶν παίδων τοὔνομα περιέμενεν. Ἀλλὰ τὰ μεγάλα δεῦρο μείζοσι καὶ φροιμίοις προαναδείκνυται καὶ τὸ θεῖον ἐπισημαίνεται παρὰ τοῖς πολὺ παρὰ τὸ εἰκὸς ἀποβησομένοις, καὶ λῴοσιν οὖσι καὶ χείροσιν.

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trovano ancora intorno alla vetta (che nel dislivello del monte è un altro monte, una sorta di collina elevata), che rende il sovrano visibile anche per coloro che, disposti tutti attorno, si trovano molto lontani. Quelli che possono assistere si sistemano in cerchio occupando la base della collina, alcuni potendo soltanto applaudire a quanto intendono, altri avendo anche la facoltà di votare. Dopo che il re ha invocato gli dèi a testimoni e che coloro ai quali è affidato questo compito hanno dato avvio all’intero concilio dei sacerdoti, come se la divinità fosse presente e si curasse dell’elezione, proclamato il nome di uno dei candidati al regno, da un lato i soldati alzano le mani, dall’altro i portatori di immagini, gli accoliti e i profeti votano.26 Quest’ultimo gruppo è inferiore per numero all’altro, ma ha molto più potere: il voto di un profeta, infatti, equivale a cento mani alzate, quello di un portatore di immagini a venti, quello di un accolito a dieci. Dopodiché si fa il nome del secondo candidato al trono e anche per lui si alzano le mani e si vota. Nel caso in cui il numero sia “quasi uguale”,27 il re, aggiungendo il proprio voto alla prima delle due parti, le assicura un’ampia maggioranza; se invece assegna la sua preferenza alla fazione in minoranza, la porta in parità. In tale evenienza, si deve sospendere l’elezione e attenersi agli dèi, dedicando più tempo alle operazioni e compiendo i riti con maggiore attenzione a non commettere errori, finché gli dèi, non attraverso dei veli o con segni convenzionali, ma mostrandosi chiaramente, non proclamino il re, facendo sì che il popolo sia testimone diretto della rivelazione divina. L’elezione avviene quindi, a seconda delle circostanze, ora in un modo, ora nell’altro. Nel caso di Tifone e Osiride, invece, gli dèi, senza che i sacerdoti avessero fatto alcunché, apparvero fin dall’inizio ben visibili e disposero e si occuparono di tutto direttamente, orientando anche ognuno i propri iniziati, di modo che fosse chiaro a tutti quale candidato essi privilegiassero. Ad ogni modo, anche senza di loro, tutte le mani e tutti i voti sarebbero stati riservati al nome del minore dei figli del re. Ma i grandi avvenimenti di questo mondo sono preannunciati da preludi ancora maggiori e la divinità si manifesta in quelle circostanze che avranno un esito contrario a ogni verosimiglianza, nel bene come nel male.

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7.  Ὄσιρις μὲν οὖν, ὥσπερ θέμις ἦν, αὐτοῦ κατὰ χώραν ἔμενεν οὗ τὴν ἀρχὴν διεβεβίβαστο· ὁ δὲ ἐσφάδαζεν, ἤσχαλλεν εἰδέναι τὰ περὶ τὴν χειροτονίαν, καὶ τέλος οὐκ ἦν ἐγκρατὴς ἑαυτοῦ τὸ μὴ οὐκ ἐπιθέσθαι πείρᾳ καὶ διαφθεῖραι ψήφους. Ἀφειδήσας οὖν ἑαυτοῦ τε καὶ νόμων βασιλικῶν καὶ ἐφεὶς τῷ ῥεύματι, φερόμενος, νηχόμενος, ἅπαντα ποιῶν καὶ πάσχων, καταγέλαστος ὑπὸ τῶν ὁρώντων, καθίσταται πέραν τοῦ ποταμοῦ· καὶ ᾤετο μὲν λανθάνειν, πλὴν οἷς προσέλθοι τε καὶ ὑπόσχοιτο χρήματα, ἅπας δέ τις ἠπίστατο καὶ ἐστύγουν αὐτόν τε καὶ τὴν ἐπίνοιαν. Οὐ μὴν ἐλέγξειν ἐδόκει φύσιν παράφορον. Ὃ καὶ συμβέβηκεν αὐτῷ βαρυσυμφορώτατον· αὐτὸς παρών, αὐτὸς ἀκούων, ἁπάσαις γνώμαις ἀπεψήφιστο, ἁπάσαις χερσὶν ἀπεκεχειροτόνητο· οἱ θεοὶ δὲ αὐτῷ καὶ ἀρὰν προσέβαλλον. Καὶ ἧκεν μετάπεμπτος Ὄσιρις, ὁ μηδὲν πραγματευσάμενος, θεῶν, ἱερέων, ἁπάντων ἁπλῶς ἅμα στέμμασιν ἱεροῖς καὶ αὐλοῖς ἱεροῖς παρὰ τὴν ὄχθην ἀπαντώντων, οὗ τὴν βᾶριν ἔδει κατᾶραι τὴν ἀπὸ τοῦ Λιβυκοῦ μέρους τὸν νέον βασιλέα ἀναλαμβάνουσαν· ἀπ’ οὐρανοῦ τε εὐθὺς σημεῖα μεγάλα, καὶ αὐτόθεν ὀμφαί τε ἀγαθαὶ καὶ ἅπαν εἶδος ὑφ’ οὗ τὸ μέλλον θηρᾶται, καὶ μεῖον καὶ μεῖζον, τὴν βασιλείαν Αἰγυπτίοις εὐηγγελίζετο· παρ’ ὅσον ἐδόκουν οἱ τῆς χείρονος μερίδος δαίμονες οὐκ ἀτρεμήσειν οὐδ’ ἂν πράως ἐνέγκαι τὴν ἀνθρώπων εὐδαιμονίαν, ἀλλ’ ἐπιθήσεσθαι καὶ οἰδαίνειν ἐδόκει. Καὶ ἐπιβουλή τις ἐσημαίνετο. 8.  Ἐπειδὴ οὖν τὴν βασίλειον τελετὴν ὑπό τε τῶν θεῶν ὑπό τε τοῦ πατρὸς ἐτετελέωτο, προαγορεύουσιν αὐτῷ σαφῶς, ἅτε σαφῶς εἰδότες, τὰ μὲν ἄλλα πάντα, ἑσμοὺς δή τινας ἀγαθῶν, ὅτι δὲ χρεὼν εἴη τὸν ἀδελφόν, κακῇ μοίρᾳ καὶ Αἰγυπτίοις καὶ τῇ τοῦ πατρὸς ἑστίᾳ γενόμενον, εἰ μὴ μέλλοι πάντα συγχεῖν, ἐκποδὼν ποιεῖσθαι, τοῦ μήτε ὁρᾶν μήτε ἀκούειν τὰς διὰ τὴν Ὀσίριδος αὐτοῦ βασιλείαν

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racconti egizi sulla provvidenza i, 7-8

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7.  Osiride dunque, come era norma, se ne restava al suo posto, dove fin dall’inizio era stato condotto; l’altro invece attendeva con impazienza ed era afflitto dal desiderio di sapere qualcosa a proposito dell’elezione. Infine, non riuscì a trattenersi dal fare un tentativo che pregiudicasse il voto. Senza avere alcun riguardo per se stesso e per le leggi del regno, si tuffò nel fiume e, portato dalla corrente, facendo ogni sforzo e fatica per rimanere a galla, deriso da chi lo guardava, si ritrovò sull’altra sponda. Credeva di passare inosservato, fatta eccezione per quelle persone che avrebbe avuto vicine e a cui avrebbe offerto del denaro; invece lo riconobbero tutti e biasimarono lui e il suo proposito, sebbene non parve loro opportuno infierire contro uno squilibrato. Quanto gli accadde, poi, fu davvero terribile: era presente e poteva sentire chiaramente quando tutti i voti furono a lui contrari e tutte le alzate di mano lo respinsero; anche gli dèi gli lanciarono contro una maledizione. Mandato a chiamare, Osiride, che se ne era rimasto tranquillo senza fare nulla, subito giunse, mentre gli dèi, i sacerdoti, insomma tutti quanti insieme, con sacre corone e sacri flauti gli andavano incontro sulla riva del fiume, dove la tradizione voleva che attraccasse il battello con a bordo il nuovo re, caricato sulla sponda libica. Dal cielo si ebbero subito dei grandi segni: voci di buon auspicio e tutta una serie di visioni da cui poter ricavare il futuro, piccoli e grandi presagi che annunciavano agli Egizi un regno positivo. Ciononostante, non pareva plausibile che i demoni della categoria peggiore se ne sarebbero rimasti completamente impassibili, né che avrebbero sopportato la felicità degli uomini senza colpo ferire, ma piuttosto che si sarebbero adirati e che avrebbero tentato un assalto. Si preannunciava quindi, in qualche modo, un’insidia. 8.  Quando il rito d’iniziazione regale fu compiuto da parte degli dèi e del padre, questi preannunciarono chiaramente (poiché chiaramente sapevano) a Osiride, assieme a tutto il resto, una lunga serie di fatti positivi, nonché che avrebbe dovuto, salvo vanificare ogni cosa, esiliare quel fratello nato per la sventura degli Egizi e della casa del padre, affinché non vedesse né udisse mai la gloria e la prosperità dell’Egitto dovute proprio al regno di Osiride. La

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εὐημερίας τε καὶ εὐετηρίας Αἰγύπτου· μηδὲν γὰρ ἀγαθὸν οἰστὸν εἶναι τῇ φύσει Τυφῶνος. Παραδιδόασί τε αὐτῷ τὴν διττὴν τῶν ψυχῶν οὐσίαν καὶ τὴν ἀναγκαίαν ἀντίθεσιν ἣν αἱ χαμόθεν ἔχουσι πρὸς τὰς ἄνωθεν. Ταῦτ’ ἄρα καθαιρεῖν τε ἠξίουν καὶ περιτέμνειν τῆς ἀγαθῆς τε καὶ θείας συστοιχίας φύσιν ἐχθράν, μηδὲν ἐπαισχυνθέντα τὴν ὑπ’ ἀνθρώπων ὀνομαζομένην συγγένειαν· μαλακισθέντι δὲ εἶπον ὅσα χρεὼν εἶναι παθεῖν αὐτόν τε καὶ Αἰγυπτίους καὶ περιοίκους καὶ ὅσης ἦρχον Αἰγύπτιοι· οὐδὲ γὰρ οὐδὲ ἀφαυρὸν τὸ κακὸν εἶναι οὐδ’ ἂν τὴν τυχοῦσαν ἐπιμέλειαν ἀρκέσαι τὰς ἐμφανεῖς τε αὐτοῦ καὶ λαθραίας ἐπιθέσεις ἀποταφρεῦσαί τε καὶ ἀμενηνῶσαι· παρεῖναι γὰρ αὐτῷ καὶ προστάτας, χρῆμα ἰσχυρὸν δαιμόνων βασκάνων, ὧν εἶναι συγγενῆ καὶ παρ’ ὧν εἰς γένεσιν προβεβλῆσθαι, ἵν’ ἔχοιεν ὀργάνῳ χρῆσθαι τὴς εἰς ἀνθρώπους κακίας, ἐφ’ ἣν ὁδῷ βαδίζοντες καὶ ἐγεννήσαντο καὶ ἐθρέψαντο καὶ ἐμαιώσαντο καὶ εἰς τὸν οἰκεῖον τρόπον ἐπαιδεύσαντο μέγα αὐτοῖς ἐσόμενον ὄφελος Τυφῶνα. Ἓν ἔτι δεῖν οἴονται πρὸς τὸ πάντα ἀπέχειν, αὐτῷ ἰσχὺν τὴν ἀπὸ τῆς ἀρχῆς περιθεῖναι· οὕτω γὰρ ἔσεσθαι τέλεον ἐκ τελέων, μεγάλα κακὰ ποιεῖν καὶ βουλόμενον καὶ δυνάμενον· «Σὲ δὲ δὴ καὶ στυγοῦσιν, ἔφη τις αὐτῶν, ὡς ἀνθρώπων μὲν κέρδος, σφῶν δὲ ζημίαν· συμφοραὶ γὰρ ἐθνῶν εὐωχία φαύλων δαιμόνων.» Αὖθις οὖν καὶ πολλάκις ταῦτα ἐνουθέτουν, τὸν ἀδελφὸν ἀποδιοπομπεῖσθαι καὶ πόρρω ποι γῆς ἐρᾶν, τὸ φύσει πρᾶον Ὀσίριδος εἰδότες τε καὶ ὁρῶντες, ὑφ’ οὗ τελευτῶντες εἰπεῖν ἐξεβιάσθησαν ὅτι χρόνον μέν τινα ἀνθέξει· λήσεται δὲ ἐνδοὺς καὶ καταπροδοὺς αὑτὸν καὶ πάντας ἀνθρώπους, ὀνόματος χρηστοῦ φιλαδελφίας ἔργῳ τὰς μεγίστας τῶν συμφορῶν ἀλλαξάμενος. «Ἀλλ’ ὑμῶν γε, ἦ δ’ ὅς, ἵλεων ὄντων καὶ ἀρωγῶν, οὔτε ὀρρωδήσω μένοντα τὸν ἀδελφὸν καὶ ἐξάντης ἔσομαι τοῦ δαιμονίου μηνίματος· ῥᾴδιον γὰρ ὑμῖν, ἢν ἐθέλητε, καὶ τὸ παροφθὲν ἐξακεῖσθαι.»

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racconti egizi sulla provvidenza i, 8

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natura di Tifone, infatti, non poteva sopportare alcun bene. Gli rivelarono anche della doppia essenza delle anime e della necessaria contrapposizione che quelle terrene hanno nei confronti di quelle che provengono dal cielo. Lo intimarono quindi di eliminare la natura malvagia e di reciderla dal suo omologo buono e divino, senza avere alcuno scrupolo di quella che dagli uomini è definita parentela. Poiché Osiride, tuttavia, esitava, gli dissero anche quanti mali avrebbero dovuto patire lui, gli Egizi, i popoli confinanti e quelli sottomessi all’Egitto; infatti, né si trattava di un male di poco conto, né sarebbe bastata un’attenzione ordinaria a contenere e a privare di forza tutti gli attacchi, evidenti come nascosti, di Tifone. Egli poteva contare su dei custodi, una potente schiera di demoni maligni, cui era affine: quelli avevano fatto sì che venisse al mondo, affinché potesse poi fungere da strumento del male a danno degli uomini. Percorrendo proprio la strada della malvagità, lo avevano generato e allevato, assistendo sua madre nel parto ed educandolo a loro modo perché si rivelasse un notevole supporto. E una sola cosa quelli pensavano che fosse davvero necessaria per ottenere tutto: assicurare a Tifone la forza del comando. In quel modo avrebbero raggiunto la perfezione, poiché egli avrebbe allora sia voluto che potuto compiere dei grandi mali. “Ecco perché ti odiano” – diceva uno degli dèi a Osiride – “perché tu sei un guadagno per gli uomini, una disdetta per loro: le sventure dei popoli sono un banchetto per i demoni malvagi”. Tornarono ripetutamente ad ammonirlo di cacciare il fratello e di spingerlo lontano da quella terra, ben conoscendo e constatando la natura mite di Osiride; alla fine furono costretti a dirgli che per qualche tempo avrebbe anche potuto resistere, ma che poi, senza accorgersene, si sarebbe piegato e avrebbe tradito se stesso e tutti quanti gli uomini, ricevendo le peggiori sciagure in cambio del buon nome dell’amore fraterno. “Se voi” – ribatté Osiride – “continuerete a essermi favorevoli e mi verrete in soccorso, allora non avrò alcun timore che mio fratello rimanga e mi sottrarrò pure all’astio dei demoni; per voi infatti è facile, se lo volete, porre rimedio all’imprudenza”.

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9.  Ὑπολαβὼν δὲ ὁ πατήρ, «Κακῶς, ἔφη, τοῦτο γινώσκεις, ὦ παῖ· ἡ γὰρ θεία μερὶς ἐν τῷ κόσμῳ πρὸς ἄλλοις ἐστί, τὰ μὲν πολλὰ κατὰ τὴν πρώτην ἐν αὐτῇ δύναμιν ἐνεργοῦσα καὶ ἐμφορουμένη τοῦ νοητοῦ κάλλους. Ἐκεῖ γὰρ ἄλλο γένος θεῶν ὑπερκόσμιον, ὃ συνέχει μὲν πάντα μέχρις ἐσχάτων τὰ ὄντα· αὐτὸ δὲ ἀκλινές ἐστι καὶ πρὸς ὕλην ἀμείλικτον· ἐκεῖνο τοῖς μὲν φύσει θεοῖς τὸ μακάριον θέαμα· τὸ δὲ καὶ τὴν ἐκείνου πηγὴν ἰδεῖν ἔτι μακαριώτερον. Κᾆτα ἐκεῖνο μὲν τῷ παρ’ ἑαυτῷ μένειν ὑπερπλῆρές ἐστιν ἀγαθῶν, ὑπερπλῆρες ὂν ἑαυτοῦ· τοῖς δὲ ἀγαθὸν τὸ πρὸς τὸν ἐκεῖ θεὸν ἐπεστράφθαι. Οὐ μὴν ἁπλῆ τίς ἐστιν ἀγαθῶν οὐδὲ μονοειδὴς ἡ ἐνέργεια, ἀλλὰ καὶ μερίδων ἐπιμελοῦνται τοῦ κόσμου, τὴν ἐν τῇ θεωρίᾳ πρᾶξιν, ὅσον χωρεῖ, καταβιβάζοντες εἰς τὸ ἐπιτροπευόμενον. Τὸ μὲν οὖν εἰλικρινὲς αὐτῶν εὐθὺς ὑπ’ ἐκείνην μὲν τὴν πρώτην οὐσίαν τετάχαται· τάττουσι δὲ αὐτοὶ τοὺς ἄγχιστα αὐτῶν, καὶ κάτεισιν ἐφεξῆς ἡ διαδοχὴ τῶν τάξεων μέχρις ἐσχάτων τῶν ὄντων, καὶ ἀπολαύει πάντα διὰ τῶν μέσων τῆς ἐπιμελείας τῶν πρώτων· οὐ μὴν ἐπ’ ἴσης ἐστίν – οὐ γὰρ ἂν ἦν τὸ ἑξῆς –, ἀλλ’ ἀσθενεῖ κατιόντα τὰ ὄντα, μέχρι πλημμελήσει καὶ παραχαράξει τὴν τάξιν, ἐν ᾧ καὶ τὸ εἶναι τῶν ὄντων παύεται. Γίνεται δέ τι περὶ τὰ τῇδε τοιόνδε· τὸ φύσει πλάνον τῆς ἐν γενέσει φύσεως, τῆς τε σωματικῆς μοίρας τὸ ἔσχατον εἴληχεν καὶ ἐπικηρότατον· οὐρανὸς δὲ τὸ πρῶτόν τε καὶ ἀκηρότατον, καὶ ψυχῆς τὸ ἀνάλογον εἶδος ἐνείματο. Ὅπερ οὖν οἵδε ἐκεῖ», δεικνὺς ἔφη τοὺς θεούς, «τοῦτο ὁ δαίμων ἐν τοῖς πολυκλονήτοις στοιχείοις, φύσις ἔμπληκτος καὶ θρασεῖα, καὶ τῷ πλήθει τῆς ἐκεῖθεν ἀποστάσεως οὐκ ἐπαΐουσα τῆς εὐθημοσύνης τῶν θείων. Οὐκ οὔσης οὖν τῆς ὑποστάθμης τῶν ὄντων πρὸς οἰκείαν σωτηρίαν ἀρκούσης – αὐτή τε γὰρ ὑπορρεῖ καὶ οὐ περιμένει τὸ εἶναι, μιμεῖται δὲ αὐτὸ τῷ γίνεσθαι – καὶ τῶν δαιμόνων, ἅτε

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racconti egizi sulla provvidenza i, 9

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9.  A quel punto prese la parola suo padre e disse: “Hai una scarsa conoscenza in merito, figlio mio: la componente divina dell’universo, infatti, si occupa di altro e agisce perlopiù in virtù della propria primordiale potenza, colma di intelligibile bellezza. Lassù risiede un altro genere di divinità, ipercosmica,28 che contiene in sé tutti gli esseri fino ai più bassi, ma che pure è essa stessa immobile e, nei riguardi della materia, inesorabile: ecco la visione beata per coloro che abbiano una natura divina. Eppure, cosa ancor più beata è scrutarne la sorgente.29 Essa, inoltre, rimanendo sempre in se stessa, è oltremodo piena di beni, essendo oltremodo piena di sé; per gli altri, invece, il bene consiste nel volgersi a contemplare proprio tale divinità, che là risiede. L’influsso di quei beni, d’altronde, non è né semplice né unico e i vari dèi vanno a occuparsi di diverse porzioni dell’universo, tentando di riprodurre, per quanto possibile, nella parte posta sotto la loro tutela, l’azione contenuta nella contemplazione.30 La loro purezza è collocata immediatamente al di sotto della prima essenza; e sono essi stessi a ordinare gli enti a loro più prossimi, proseguendo poi ininterrottamente verso il basso la successione delle disposizioni e raggiungendo così anche gli ultimi tra gli esseri, di modo che tutti, grazie all’opera degli intermediari, traggano giovamento dalle prime essenze. D’altra parte, ciò non avviene in egual misura, o non varrebbe più il principio della sequenza: nel discendere, infatti, gli esseri tendono a farsi sempre più deboli, fino a che non commettono errori e non alterano l’ordine; è allora che termina la loro esistenza. Qualcosa del genere avviene anche in questo mondo: tutto ciò che per indole tende all’errore ha avuto in sorte l’ultima e più caduca porzione della natura soggetta al divenire e della sorte corporea; viceversa, la prima e più imperitura parte del cielo è abitata dalla forma, sua analoga, dell’anima. Quanto compiono quelli là” – diceva indicando gli dèi – “lo stesso compie qui, in mezzo agli elementi in continuo movimento, il demone, natura impulsiva e avventata che per l’ampiezza della distanza con lassù non intende la buona disposizione degli enti divini. Poiché dunque il bassofondo degli esseri non può salvarsi da solo (difatti è mutevole e non ha la stabilità propria dell’essere, ma cerca di imi-

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συγγενῶν ὄντων τῆς τῇδε φύσεως, ἀφανιστικὴν οὐσίαν λαχόντων, ἐπεστράφθαι μὲν ἀνάγκη τὸ θεῖον καὶ ἐνδιδόναι τινὰς ἀρχὰς αἷς ἕπεται τὸ ἐνθάδε καλῶς ἐπὶ χρόνον, ἐφ’ ὅσον ἡ ἔνδοσις ἤρκεσεν. Ὥσπερ δὲ τὰ νευρόσπαστα ὄργανα κινεῖται μὲν καὶ πεπαυμένου τοῦ τὴν ἀρχὴν τῆς κινήσεως ἐνδόντος τῇ μηχανῇ, κινεῖται δὲ οὐκ ἐπ’ ἄπειρον – οὐ γὰρ οἴκοθεν ἔχει τὴν πηγὴν τῆς κινήσεως –, ἀλλ’ ἕως ἡ δοθεῖσα δύναμις ἰσχύει καὶ οὐκ ἐκλύεται τῇ προόδῳ τῆς οἰκείας ἀφισταμένη γενέσεως, τὸν αὐτὸν οἴου τρόπον, ὦ φίλε Ὄσιρι, τὸ μὲν καλῶς καὶ τὸ θεῖον ἅμα τε εἶναι καὶ οὐκ εἶναι τοῦδε τοῦ τόπου, καταπέμπεσθαι δὲ ἑτέρωθεν· καὶ διὰ τοῦτο ψυχαί τε ἀγαθαὶ μόλις μέν, ἀλλὰ φανεῖεν ἂν ἐνταῦθα, καὶ ἐφορεῖαι θεῶν, ὅταν τοῦτο δρῶσιν, οἰκεῖα μὲν δρῶσιν, οὐ μὴν τῇ πρώτῃ ζωῇ· ἕτερον γὰρ αὐτοῖς τὸ μακάριον, ὅτι τὸ ἀπολαύειν αὐτὸ κόσμου παρὰ τοῦ πρώτου, τοῦ κοσμεῖν τὰ χείρω μακαριώτερον· τὸ μὲν γάρ ἐστιν ἀπεστράφθαι, τὸ δὲ ἐπεστράφθαι. Καί που τελετὴν ἐπώπτευσας, ἐν ᾗ δύ’ ἐστὸν συνωρίδες ὀμμάτων, καὶ δεῖται τὰ κάτω μύειν, ὅταν δεδόρκῃ τὰ ὑπερκείμενα· τούτοιν δὲ μυσάντοιν, ἀντιπεριΐσταται τὸ ἀνοίγνυσθαι. Οἴου τοίνυν αὐτὸ θεωρίας εἶναι καὶ πράξεως αἴνιγμα, τῶν μέσων παρὰ μέρος ἑκάτερον ἐνεργούντων, ἀλλ’ ἐν τοῖς τῶν τελειοτέρων πλέονι χρωμένων τῷ λῴονι· τῷ χείρονι δέ, ὅσα ἀναγκαῖα, μόνον προσομιλούντων. Ἔστιν οὖν καὶ ταῦτα ἔργα θεῶν, ἀναγκαῖα μὲν τῷ κόσμῳ δρώντων, οὐ μὴν προηγούμενα ἀγαθά, ὅτι καὶ ἄνθρωποι νῦν μὲν οἰκουροῦσι μείω καὶ μείζω, νῦν δὲ φιλοσοφοῦσιν, ἀλλ’ ἐν τούτῳ θεσπεσιώτεροι. 10.  Ἀπὸ τούτων οὖν σύνες ὅ τοι λέγω. Μὴ ἀπαίτει τοὺς θεοὺς σαυτῷ προσεδρεύειν, ἔργον ἔχοντας προηγούμενον θεωρίαν τε καὶ τὰ πρῶτα μέρη τοῦ κόσμου, ἐν οὐρανῷ τε οὖσι καὶ πλεῖστον

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racconti egizi sulla provvidenza i, 9-10

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tarlo con il divenire) e i demoni, che sono affini alla natura del mondo materiale, hanno avuto in sorte un’essenza distruttrice, è inevitabile che la divinità si volga verso il basso e trasmetta degli impulsi, che il mondo di qua segue con profitto per tutto il tempo per cui resta sufficiente tale disposizione. Come i burattini continuano a muoversi anche quando colui che dà l’impulso del movimento per mezzo di un ordigno si è fermato, ma non si muovono all’infinito (non avendo infatti in sé la fonte del movimento), ma solo finché dura la forza che è stata loro impressa e non si esaurisce, progressivamente, perché lontana dalla propria origine, allo stesso modo, caro Osiride, considera che tutto ciò che è buono e al tempo stesso divino non è di questo luogo, ma discende da un altro. Per questo motivo anche qui possono comparire, seppure a stento, delle anime buone; ma queste azioni che gli dèi compiono, qualora le compiano, per quanto si addicano alla loro natura, non fanno parte della loro vita originaria. Ben altro è per quelli la beatitudine: trarre godimento dal primo cosmo, infatti, è cosa assai più felice che ordinare le parti inferiori, essendo questo un distogliersi dalla contemplazione, quello un volgersi a essa. Tu sei stato spettatore di un’iniziazione in cui vi erano due coppie di occhi: quella inferiore doveva rimanere chiusa mentre quella superiore guardava; soltanto quando quest’ultima si chiudeva, l’altra poteva aprirsi.31 Considera che questo è l’enigma della contemplazione e dell’azione: gli enti intermedi agiscono su entrambe le parti dell’universo, eppure quelli più prossimi alla perfezione si dedicano maggiormente alla porzione migliore, rivolgendosi alla peggiore solo quando necessario. Quindi, simili interventi sono certo propri degli dèi, che compiono quanto è necessario all’universo, ma non i loro beni primari. Anche gli uomini talvolta si occupano delle loro faccende, più o meno importanti, talvolta si dedicano alla filosofia: ma è in quest’ultimo caso che sono più prossimi alla divinità. 10.  Da queste parole, dunque, ‘capisci ciò che ti dico’.32 Non chiedere agli dèi di badare a te, in quanto la loro principale occupazione è la contemplazione delle più alte sfere dell’universo; e non pensare che la discesa, a loro che dimorano in cielo, lontanissimi

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ἀφεστῶσι μήτε ἀπραγμάτευτον ἡγοῦ μήτε ἀϊδίαν τὴν κάθοδον γίνεσθαι. Τακτοὶ γὰρ [δὴ] χρόνοι κατακομίζουσιν αὐτοὺς κατὰ τὸ παράδειγμα τῶν μηχανοποιῶν, ἐνδώσοντας ἀρχὴν ἀγαθῆς ἐν πολιτείᾳ κινήσεως· τοῦτο δέ ἐστιν ὅταν βασιλείαν ἁρμόσωσι ψυχὰς συγγενεῖς δεῦρο κατακομίσαντες. Θεία γὰρ αὕτη καὶ μεγαλομερὴς ἡ πρόνοια, δι’ ἑνὸς ἀνδρὸς ἐπιμεληθῆναι πολλάκις μυρίων ἀνθρώπων. Αὐτοὺς οὖν τὸ ἐντεῦθεν δεῖ πρὸς τοῖς αὐτῶν εἶναι, σὲ δὲ ἀπειλημμένον ἐν ἀλλοτρίοις μεμνῆσθαι μὲν ὅθεν εἶ καὶ ὅτι λειτουργίαν τινὰ ταύτην τῷ κόσμῳ πληροῖς· πειρᾶσθαι δὲ σαυτὸν ἀνάγειν, ἀλλὰ μὴ τοὺς θεοὺς κατάγειν ἔχειν τε προμήθειαν ἑαυτοῦ τὴν πᾶσαν, ὥσπερ ἐν στρατοπέδῳ ζῶντα ἐπ’ ἀλλοτρίας, ψυχὴν θείαν ἐν δαίμοσιν, οὓς εὔλογον γηγενεῖς ὄντας ἐπιτίθεσθαι καὶ ἀγανακτεῖν, ἤν τις ἐν τοῖς αὐτῶν ὅροις νόμους ἀλλοφύλους τηρῇ. Ἀγαπητὸν οὖν ἀγρυπνοῦντα καὶ νύκτωρ καὶ μεθ’ ἡμέραν, μίαν ταύτην ἐπιμέλειαν ἔχοντα, μὴ ἁλῶναι κατὰ κράτος ἕνα ὑπὸ πολλῶν, ξένον ὑπὸ αὐτοχθόνων. Ἔστι μὲν γὰρ τῇδε καὶ ἡρώων φῦλον ἱερὸν ἐπιμελὲς ἀνθρώπων, καὶ τὰ σμικρὰ ὠφελεῖν δυνάμενον, καὶ τὸ πρεσβύτερον ἀγαθόν, ἥρωος οἷον μετοικία τις αὕτη, τοῦ μὴ ἄμοιρα τῆς λῴονος φύσεως τὰ τῇδε ὑπολείπεσθαι· καὶ χεῖρα ὀρέγουσιν ἐν οἷς δύναμις. Ἀλλ’ ὅταν εἰς πόλεμον ψυχῆς ὕλη κινήσῃ τὰ οἰκεῖα βλαστήματα, σμικρὸν γίνεται θεῶν ἀπόντων τὸ ἐντεῦθεν ἀντίπαλον· ἰσχυρὸν γὰρ ἕκαστον ἐν τοῖς οἰκείοις. Οἱ δὲ πρῶτον μὲν ἐθελήσουσιν ἑαυτῶν ποιῆσαι· ἡ δὲ ἐπιχείρησις τοιάδε. Οὐκ ἔστιν ἐπὶ γῆς εἶναι μή τινα καὶ μοῖραν ψυχῆς ἄλογον ἔχοντα. Καὶ ταύτην προβέβληται μὲν ὁ πολύς, παρήρτηται δὲ ὁ σοφός· ἔχειν δὲ ἀνάγκη πάντας. Διὰ ταύτης ὡς διὰ συγγενοῦς ἐπὶ τὸ ζῷον ἔρχονται δαίμονες προδοσίαν ποιοῦντες. Ἀτεχνῶς γὰρ πολιορκίᾳ προσέοικεν τὸ γινόμενον· ὅπερ δὲ πάσχουσιν ἄνθρακες ὑπὸ δᾴδων, θᾶττον ἐξάπτονται διὰ τὴν ἤδη πρὸς τὸ πῦρ ἐπιτηδειότητα, οὕτως ἡ δαίμονος φύσις ἐμπαθὴς οὖσα, μᾶλλον δὲ πάθος οὖσα

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racconti egizi sulla provvidenza i, 10

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da qui, non costi alcun sacrificio e che possa essere eterna. In periodi prestabiliti essi giungono qua, alla maniera dei tecnici teatrali, per trasmettere allo Stato l’impulso di un buon movimento; e questo avviene qualora riescano ad assestare il regno, importandovi anime a loro affini. Divina e grandiosa è la provvidenza, che spesso per mezzo di un singolo si prende cura di innumerevoli persone. Quindi, d’ora in poi, è doveroso che gli dèi tornino alle loro occupazioni e che tu, seppur ostacolato da forze ostili, ti rammenti della tua origine e di stare compiendo un servizio in favore dell’universo: è doveroso insomma che sia tu a tentare di ascendere e non che siano gli dèi a venire quaggiù. Devi inoltre avere la massima cura di te stesso, come un soldato in terra nemica, anima divina in mezzo ai demoni, che, essendo nati dalla terra, è ragionevole che si adirino e attacchino qualora qualcuno, all’interno dei loro confini, osservi leggi straniere. Non deve risultarti molesto vigilare giorno e notte avendo questa sola attenzione, di non farti sopraffare dalla loro forza, tu, uno contro molti, straniero contro autoctoni. In questo nostro mondo, infatti, c’è una sacra stirpe di eroi che si prende cura degli uomini: sono in grado di soccorrerli sia nelle piccole faccende che per un fine più serio. Per l’eroe è una sorta di residenza in terra straniera, affinché le questioni di questo nostro mondo non siano trascurate né private della natura superiore; gli eroi ci tendono insomma la mano, per quello che è in loro potere. Tuttavia, quando, per muovere guerra all’anima, la materia ricorre ai propri rampolli, flebile, in assenza degli dèi, è la resistenza: ognuno, d’altronde, è forte nel proprio regno. I demoni materiali vorranno anzitutto impossessarsi della tua anima; ecco come avverrà il loro attacco. Non è possibile che vi sia qualcuno sulla terra che non abbia una parte irrazionale dell’anima. La maggioranza delle persone la esalta, il sapiente la pone in disparte; tuttavia, inevitabilmente, tutti quanti la possiedono. Attraverso di essa, come attraverso qualcosa che è loro affine, i demoni attaccano l’essere vivente, provocando un tradimento. Quel che accade somiglia a un vero e proprio assedio. Quanto succede ai carboni sotto l’effetto delle torce, cioè di infiammarsi rapidamente per la loro attitudine a prendere fuoco, lo stesso avviene alla natura demonica, in quanto

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ζῶν καὶ κινούμενον, πελάσασα ψυχῇ τὸ ἐν αὐτῇ πάθος κινεῖ, καὶ προάγει τὴν δύναμιν εἰς ἐνέργειαν· παραθέσει γὰρ ἕκαστον δρᾷ. Συνεξομοιοῦται δὲ ἅπαν τῷ ποιοῦντι τὸ πάσχον. Οὕτως ἐπιθυμίαν, οὕτω θυμοὺς ἐξάπτουσι δαίμονες καὶ ὅσα ἀδελφὰ τούτων κακά, ψυχαῖς ὁμιλοῦντες διὰ τῶν προσηκόντων σφίσι μερῶν, ἅπερ τῆς παρουσίας αὐτῶν αἰσθάνεται φυσικῶς, καὶ κινεῖται καὶ ὑπ’ αὐτῶν δυναμοῦται τοῦ νοῦ κατεξανιστάμενα, μέχρις ἂν κρατήσωσι τῆς ὅλης ψυχῆς ἢ ἀπογνῶσι τὴν αἵρεσιν. Οὗτος ἀγώνων ὁ μέγιστος· οὔτε γὰρ καιρὸς οὔτε τρόπος οὔτε τόπος ἐστὶν ὃν ἀνιᾶσι προσβάλλοντες, καὶ ὅθεν οὐκ ἄν τις οἴοιτο, κἀκεῖθεν ἐπιχειροῦσι· πανταχοῦ πάγαι, πανταχοῦ μηχαναί, πάντα κινεῖ τὸν οἴκοθεν πόλεμον ἕως ἂν ἐξέλωσιν ἢ ἀπαγορεύσωσι. Θεαταὶ δὲ ἄνωθεν οἱ θεοὶ τῶν καλῶν τούτων ἀγώνων, ὧν ἔσῃ στεφανηφόρος· ὡς εἴθε καὶ τῶν δευτέρων. Ἀλλὰ δέος μὴ τούτους μὲν ἕλῃς, ἐν ἐκείνοις δὲ αἱρεθῇς· ὅταν γὰρ ἡ θεία μοῖρα τῆς ψυχῆς μήτε ἀκολουθήσῃ τῇ χείρονι καὶ ἀνακόψῃ πολλάκις αὐτὴν καὶ πρὸς ἑαυτὴν ἐπιστρέψῃ, φύσις ἐν τῷ χρόνῳ στομοῦσθαι κἀκείνην, ὥστε ἀντέχειν ταῖς ἐμβολαῖς καὶ οἷον γανωθεῖσαν οὐκέτι δέχεσθαι τὰς ἐκ τῶν δαιμόνων ἐπιρροάς. Θεῖον οὖν οὕτως καὶ ἓν ὅλον τὸ ζῷον ὄντως τότε γίνεται, καὶ τοῦτο ἔστιν ἐπὶ γῆς φυτὸν οὐράνιον, ἐγκεντρισμὸν ἀλλότριον οὐ δεξάμενον, ὥστε ἐξ ἐκείνου φῦσαι καρπούς, ἀλλ’ εἰς τὴν ἑαυτοῦ φύσιν κἀκεῖνο μεταποιῆσαν. Οἱ δὲ ἀπεγνωκότες αὐτοῦ, τότε δὴ παντελῶς ἤδη τὸν δεύτερον ἀγωνίζονται ἀγῶνα, ἐκκόψαι τε αὐτὸ καὶ τῆς γῆς ἐκτρῖψαι, ὡς ἂν μηδέν σφισι προσῆκον· καὶ γὰρ αἰσχύνονται τὴν ἧτταν, εἴ τις ἀλλόφυλος ὢν ἐν τοῖς αὐτῶν τόποις κρατῶν περιέρχεται, τρόπαιον νίκης ὢν καὶ φαινόμενος· ὁ γὰρ τοιοῦτος οὐκ ἐν ἑαυτῷ μόνῳ ποιεῖ τὴν ζημίαν αὐτοῖς, ἀλλὰ καὶ ἑτέρους τῆς ἐπικρατείας αὐτῶν συναφίστησιν. Ἀρετῆς γὰρ ζηλουμένης,

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tendente alle sensazioni, o piuttosto, trattandosi di una passione vivente e in movimento, questa si avvicina all’anima e suscita il sentimento che in lei risiede, facendolo passare dalla potenza all’atto. In virtù di quell’accostamento, è in grado di compiere ogni azione. Ciascun paziente diviene allora simile all’agente.33 Così i demoni infiammano il desiderio, gli impulsi istintivi e tutti i mali a questi congiunti, stabilendo dei contatti con le anime per il tramite delle parti a loro affini, che ne avvertono la presenza naturalmente e che sono da quelli mosse e rafforzate, insorgendo contro l’intelletto, fino a che i demoni non si impossessano dell’intera anima o rinunciano alla conquista. Si tratta della più ardua delle battaglie: non vi è occasione, modo, luogo, che nel loro assalto i demoni trascurino ed è proprio da dove nessuno si aspetterebbe che attaccano. Ovunque insidie, ovunque inganni, tutto suscita la guerra intestina, fino a che quelli non portino a termine il loro intento o vi rinuncino. Gli dèi assistono dall’alto a queste gloriose battaglie, di cui tu sarai vincitore, insignito di corona. Mi auguro che tu lo sia anche delle successive. Ma c’è da temere che, pur vincendo le prime, tu possa essere battuto nelle altre. Qualora la parte divina dell’anima non accompagni quella inferiore ma la respinga più volte e si ripieghi in se stessa, è naturale che col tempo anche quella si fortifichi, così da resistere agli attacchi e, come rilucente, da non essere più vulnerabile agli influssi dei demoni. In questo modo l’essere vivente diviene realmente divino e una sola unità; è, in terra, una pianta celeste, che non ha ricevuto un innesto estraneo, dal quale produrre dei frutti, ma che, anzi, è tale da ricondurre alla propria natura anche un eventuale innesto. Tuttavia i demoni, pur avendo rinunciato in un primo tempo alla conquista dell’anima, lanciano adesso con tutti i loro mezzi il secondo attacco e tentano di recidere quella pianta e di sradicarla dalla terra, giacché essa non ha nulla di affine con loro. Provano certo vergogna della loro disfatta, se qualcuno appartenente a un’altra razza si aggira per il loro territorio da vincitore, vero e proprio trofeo di vittoria, alla vista di tutti; un tale personaggio non reca loro un danno solo di per sé, ma spinge anche altri a ribellarsi al loro dominio. Quando si ricerca intensamente la virtù, è necessario che il male abbia la peggio. Per

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ἔρρειν ἀνάγκη τὰ χείρω. Διὰ ταῦτα μὲν ἐπιβουλεύουσιν ἀνελεῖν καὶ ἰδιώτην καὶ ἄρχοντα, πάντα ὁντινοῦν τὸν ἀφηνιάσαντα πρὸς τοὺς νόμους τῆς ὕλης· ἀλλ’ ἐνταῦθα σὺ βασιλεὺς ὢν ῥᾷον ἅπαντος ἰδιώτου φυλάττοιο· ἔξωθεν γὰρ ἐπιχειροῦσι, μὴ προχωρησάντων τῶν ἔνδοθεν, πολέμῳ καὶ στάσει καὶ ὅσα λωβᾶται σώματι, ὑφ’ ὧν ἥκιστα ἂν αἱροῖτο βασιλεὺς προμηθὴς ὢν ἑαυτοῦ· ὡς ἔστιν ἄμαχον, ὅταν ἰσχὺς καὶ σοφία συγγένωνται· διαληφθεῖσαι δὲ ἀπ’ ἀλλήλων, ῥώμη τε ἀμαθὴς καὶ φρόνησις ἀσθενής, εὐκαταγώνιστοι γίνονται. 11.  Ἠγάσω πάντως, ὦ παῖ, τὴν ἐν ταῖς ἱεραῖς εἰκόσι τῶν πατέρων ἐπίνοιαν. Τὸν Ἑρμῆν Αἰγύπτιοι διπλῆν ποιοῦμεν τὴν ἰδέαν τοῦ δαίμονος, νέον ἱστάντες παρὰ πρεσβύτῃ, ἀξιοῦντες, εἴπερ τις ἡμῶν μέλλει καλῶς ἐφορεύσειν, ἔννουν τε εἶναι καὶ ἄλκιμον, ὡς ἀτελὲς εἰς ὠφέλειαν θάτερον παρὰ θάτερον. Ταῦτ’ ἄρα καὶ ἡ Σφὶγξ ἡμῖν ἐπὶ τῶν προτεμενισμάτων ἵδρυται, τοῦ συνδυασμοῦ τῶν ἀγαθῶν ἱερὸν σύμβολον, τὴν μὲν ἰσχὺν θηρίον, τὴν δὲ φρόνησιν ἄνθρωπος. Ἰσχύς τε γὰρ ἔρημος ἡγεμονίας ἔμφρονος ἔμπληκτος φέρεται, πάντα μιγνῦσα καὶ ταράττουσα πράγματα, καὶ νοῦς ἀχρεῖος εἰς πρᾶξιν ὑπὸ χειρῶν οὐχ ὑπηρετούμενος. Ἀρετὴ δὲ καὶ τύχη μόλις μέν, ἀλλ’ ἐπὶ μεγάλοις συγγίνονται, ὥσπερ ἐπὶ σοῦ συνηλθέτην. Μηκέτ’ οὖν ἐνόχλει τοῖς θεοῖς, οἴκοθεν, ἢν ἐθέλῃς, δυνάμενος σῴζεσθαι· τούτοις γὰρ οὐκ ἔχει καλῶς ἀεὶ τῶν οἰκείων ἀποδημεῖν τοῖς ἀλλοτρίοις καὶ χείροσι φιλοχωροῦντας· εἰ μὴ καὶ ἀσεβὲς τὸ κακῶς κεχρῆσθαι ταῖς σπαρείσαις εἰς ἡμᾶς ἀφορμαῖς πρὸς τὸ τηρεῖσθαι τάξει τε καὶ ἑπομένως τῷ δοθέντι κόσμῳ τὰ ἐπὶ γῆς· τοῦτο γὰρ ἀνάγκην ἐστὶ ποιούντων τοῦ πάλιν αὐτοὺς ἥκειν πρὸ τῶν τεταγμένων χρόνων ἐπιμελησομένους τῶν τῇδε· ἀλλὰ τότε μέν, τῆς ἁρμονίας ἣν ἥρμοσαν ἐκλυομένης τε καὶ γηρώσης, ἔρχονται πάλιν αὐτὴν ἐντενοῦντες καὶ οἷον ἀποψύχουσαν ζωπυρήσοντες, καὶ τοῦτο

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questo i demoni tramano per far perire il privato cittadino come il governante, chiunque opponga resistenza alle leggi della materia. Possa tu, che sei re, guardartene più facilmente di ciascun semplice cittadino. Attaccano dall’esterno, quando la situazione interna non è ottimale, con guerre, sedizioni e tutto ciò che danneggia il corpo, tutte cose dalle quali assai difficilmente si lascerà sopraffare un re che abbia cura di sé. Si è imbattibili, infatti, quando la forza si associa alla sapienza; eppure, se queste si trovano disgiunte l’una dall’altra – giacché la forza è ignara e la sapienza è debole –, sono molto facili da sconfiggere. 11.  Tu hai senza dubbio ammirato, figlio mio, il progetto dei padri, espresso nelle sacre immagini. Noi Egizi rappresentiamo con un’immagine doppia il dio Ermes, giustapponendo le fattezze di un giovane a quelle di un anziano, ritenendo che se qualcuno di noi intende ben governare debba essere assennato e forte, come se l’una cosa senza l’altra fosse del tutto priva di utilità. Per la stessa ragione, poniamo all’ingresso dei templi la Sfinge, sacro simbolo dell’accoppiamento delle virtù, una belva quanto a forza, ma un uomo quanto a intelligenza. Giacché la forza, priva di un qualche controllo razionale, si scatena in modo impulsivo, scombinando e turbando ogni cosa; altrettanto l’intelligenza, se non è assistita dal braccio, risulta inutile all’azione.34 La virtù e la fortuna difficilmente stanno insieme, se non in occasioni importanti, come è capitato nel tuo caso, in cui si sono congiunte. Non recare più disturbo, dunque, agli dèi quando, se lo vuoi, sei in grado di salvarti da solo; per loro non è agevole distogliersi continuamente dalle proprie occupazioni per recarsi in regioni estranee e inferiori; può anzi addirittura risultare empio fare un uso sbagliato delle risorse che sono state in noi seminate perché sorvegliassimo le realtà terrene secondo il loro ordine e in conformità con l’universo che ci è stato donato. È il caso di coloro che, necessariamente, costringono gli dèi a ritornare sulla terra prima del tempo stabilito per occuparsi delle faccende di questo mondo; allora, quando l’armonia che essi hanno istituito si allenta e invecchia, ritornano per tenderla di nuovo e, giacché si è come raffreddata, per attizzarla, e lo fanno con gioia,

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δρῶσι χαίροντες, λειτουργίαν ταύτην τινὰ ἐκπιμπλάντες τῇ φύσει τοῦ κόσμου· ἄλλως τε ἥξουσιν, ἐφθαρμένης τε αὐτῆς καὶ ῥαγείσης κάκῃ τῶν παραλαβόντων, ὅταν μηδαμῶς ἄλλως οἷά τε ᾖ τὰ τῇδε σῴζεσθαι. Οὔκουν ἐπὶ σμικροῖς, οὐδ’ ὅταν ἁμαρτάνηται περὶ τὸ καὶ τό, κινεῖται θεός. Ἦ μέγα τι χρῆμα ὁ εἷς ἐκεῖνος, δι’ ὃν ἥξει τοῦ μακαρίου τις γένους ἐνθάδε· ἀλλ’ ὅταν ἡ σύμπασα τάξις καὶ τὰ μεγάλα φθείρηται, τότε δεῖ φοιτᾶν αὐτούς, ἐνδώσοντας ἀρχὴν ἄλλης διακοσμήσεως. Μηδὲν οὖν ἀγανακτούντων ἄνθρωποι κακὰ αὐθαίρετα ἔχοντες μηδὲ αἰτιάσθων τούσδε μὴ προνοεῖν σφῶν· ἡ γὰρ πρόνοια καὶ αὐτοὺς ἀπαιτεῖ τὸ παρ’ ἑαυτῶν εἰσάγειν. Ἐπεὶ ἔν γε τῷ τόπῳ τῶν κακῶν οὐ θαυμαστὸν εἶναι κακά, ἀλλὰ θαυμαστὸν εἴ τι καὶ μὴ τοιοῦτον ἐνταῦθα· τοῦτο γὰρ μέτοικον καὶ ἀλλότριον, καὶ τοῦτο προνοίας, δι’ ἣν ἔξεστι μὴ ῥᾳθυμοῦντας, ἀλλὰ χρωμένους οἷς παρ’ αὐτῆς ἔχομεν πάντα πάντως εὐδαίμονας εἶναι. Οὐ γάρ ἐστιν ἡ πρόνοια κατὰ τὴν μητέρα τοῦ νεογιλοῦ βρέφους, ἣν δεῖ πράγματα ἔχειν, ἀποσοβοῦσαν τὰ προσπτησόμενα καὶ λυπήσοντα· ἐκεῖνο γὰρ ἀτελὲς ἔτι καὶ οἴκοθεν ἀβοήθητον· ἀλλὰ κατ’ ἐκείνην ἥτις αὐξήσασά γε αὐτὸ καὶ ὁπλίσασα χρῆσθαι κελεύει καὶ τὰ κακὰ ἀπερύκειν. Ταῦτα φιλοσόφει τε ἀεὶ καὶ τοῦ παντὸς ἄξια ἀνθρώποις εἰδέναι ἡγοῦ. Καὶ γὰρ πρόνοιαν νομιοῦσι καὶ ἑαυτῶν φροντιοῦσιν, εὐσεβεῖς τε καὶ ἐπιμελεῖς ἅμα γινόμενοι· καὶ οὐχ ἡγήσονται θεοῦ τε ἐπιστροφὴν καὶ χρῆσιν ἀρετῆς στασιάζειν πρὸς ἄλληλα. Ἔρρωσο· τὸν δὲ ἀδελφόν, εἰ σωφρονεῖς, κώλυε τὴν σαυτοῦ τε καὶ Αἰγυπτίων εἱμαρμένην προαναιρῶν· ἔξεστι γάρ. Ἐνδοὺς δὲ καὶ μαλακισθείς, ὀψὲ περίμενε τοὺς θεούς.» 12.  Εἰπὼν ἀπῆρε τὴν αὐτὴν τοῖς θεοῖς. Ὁ δὲ ὑπελείπετο, χρῆμα ἥκιστα τῆς γῆς ἄξιον, ὃς αὐτίκα προσεφιλονείκει τὰ κακὰ αὐτῆς ἐξορίσαι, μηδέν τι βίᾳ χρώμενος· ἀλλ’ ἔθυεν γὰρ Πειθοῖ καὶ

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adempiendo una sorta di pubblico servizio reso alla natura dell’universo; altrimenti, essi torneranno nel caso in cui quell’armonia dovesse essere distrutta e infranta dalla malvagità di coloro che l’hanno ricevuta, se non fosse assolutamente possibile salvare questo mondo in altro modo. Non è dunque per inezie, né per l’una o l’altra colpa particolare, che la divinità si muove. Certamente sarà per un personaggio eccelso, unico, che un membro della stirpe dei beati si recherà in questo mondo; ma solo qualora l’intero ordine e i grandi princìpi risultino alterati è necessario che gli dèi giungano, per dare avvio a un nuovo ordine cosmico. Che gli uomini dunque non si adirino se soffrono dei mali che si sono scelti da soli e non accusino gli dèi di non vegliare su di loro: la provvidenza richiede che anch’essi diano un apporto. Non c’è poi da meravigliarsi se nella regione dei mali vi sono i mali; piuttosto, c’è da stupirsi che vi sia anche qualcosa di diverso: si tratta in effetti di un elemento trapiantato, straniero, che proviene dalla provvidenza, grazie alla quale è possibile, se non si rimane inerti, ma si fa ricorso a tutti i mezzi che ci ha fornito, essere perfettamente felici. La provvidenza non è come la madre di un bambino appena nato, che deve darsi da fare, allontanare ciò che può colpire e nuocere il piccolo, che non è ancora sviluppato ed è incapace di difendersi da solo; piuttosto, la provvidenza è come quella madre che, dopo aver cresciuto il proprio figlio e averlo armato, gli intima di fare uso dei propri mezzi e di respingere i mali. Tienilo sempre a mente e considera che conoscere tutto ciò è della massima importanza per gli uomini. Crederanno così alla provvidenza e si prenderanno cura di loro stessi, divenendo al contempo pii e diligenti; e non penseranno che l’intervento divino e la pratica della virtù siano in reciproco contrasto. Addio! Quanto a tuo fratello, se sei assennato, fermalo e rimuovi così il destino che incombe su di te e sugli Egizi: è in tuo potere farlo. Se invece ti dimostrerai troppo flessibile e arrendevole, allora dovrai attendere gli dèi per molto tempo!” 12.  Dopo avere così parlato, se ne andò per la stessa strada degli dèi. Osiride – personaggio ben poco adatto alla terra – fu lasciato in basso. Subito si accinse a scacciare i mali da questo mondo, senza

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Μούσαις καὶ Χάρισιν, ἑκόντας ἅπαντας ἐναρμόζων τῷ νόμῳ. Τῶν θεῶν δέ, ὅσα τε ἀὴρ φέρει καὶ ὅσα ποταμοῦ δῶρα καὶ γῆς, ἅπαντα χορηγούντων ἄφθονα τοῦ βασιλέως αἰδοῖ, ὁ δὲ τὰς μὲν ἀπολαύσεις ἀνίει τῷ πλήθει, αὐτὸς δὲ ἅπασαν μὲν ῥᾳστώνην ἀπελίμπανεν, ἅπαντα δὲ πόνον ἀνθῃρεῖτο, ὕπνου μὲν ὀλίγον, φροντίδων δὲ πλεῖστον μεταλαγχάνων, καθάπαξ εἰπεῖν, ἄσχολος ὢν ὑπὲρ τῆς ἁπάντων σχολῆς. Ταῦτ’ ἄρα καὶ καθ’ ἕνα καὶ κατ’ οἴκους καὶ κατὰ συγγενείας καὶ πόλεις καὶ νομοὺς ὅλους, ἀγαθῶν ἐπίμπλη πάντας ἀνθρώπους τῶν τε εἴσω καὶ τῶν θυραίων. Ἀρετῆς τε γὰρ ζῆλον ἤσκησεν, πρὸς ἓν τοῦτο πᾶν μάθημα καὶ πᾶν ἐπιτήδευμα τάξας ἀσκεῖσθαι, καὶ γέρα προὔθηκεν τοῖς ἀρίστοις ἄρχειν ἀνθρώπων καὶ ποιεῖν ὁμοίους τοὺς ἀρχομένους. Αὔξειν δὲ ἅπαν ἀνάγκη τὸ τιμώμενον, καὶ ἔρρειν ἀνάγκη τὸ ἀμελούμενον. Συνεπεδίδου δὴ καὶ παιδείας ἁπάσης ἔρως, ὅση τε τῆς γνώμης ἐστὶ καὶ ὅση τῆς γλώττης. Καὶ γὰρ τοὺς ἐν τῷ τοιῷδε διαφέροντας οὐκέτ’ ἦν ἀγελαίους ὁρᾶν, ἀλλὰ λαμπροὺς ταῖς παρὰ βασιλέως τιμαῖς, τέχνην παρεχομένους ὑπηρέτιν φρονήσεως, ὅτι νοῦς πρόεισι λέξεσιν ἀμπεχόμενος· τὸ δὲ εὖ τε καὶ χεῖρον ἐστάλθαι τὸν αὐτόν, ὥσπερ ἄνδρα, καὶ εὐσχήμονα καὶ ἀσχήμονα δείκνυσι. Καὶ προπαιδείαν οὖν Ὄσιρις ἠξίου τιμᾶν· παιδείαν γὰρ ἀρετῆς ᾤετο πηγὴν εἶναι. Εὐσέβειά γε μὴν τότε δὴ μάλιστα πάντων καιρῶν Αἰγυπτίοις ἐπεχωρίασεν. Ταῦτα μὲν ψυχῆς ἀγαθά, καὶ εὐθηνοῦντο αὐτῶν ἐπὶ τῆς Ὀσίριδος βασιλείας Αἰγύπτιοι, ὡς ἐοικέναι τὴν χώραν ἀρετῆς διδασκαλείῳ, τῶν παίδων πρὸς ἕνα βλεπόντων τὸν ἡγεμόνα, καὶ δρώντων τε ἓν ὅ τι ὁρῷεν καὶ λεγόντων ἓν ὅ τι ἀκούοιεν. Πλούτου δὲ αὐτὸς μὲν ἠμέλει· ὅπως δὲ πᾶσι παρείη, τούτου τὴν ἅπασαν ἐπιμέλειαν εἶχεν, ἀδωρότατός τε ὢν καὶ φιλοδωρότατος. Καὶ φόρους ἀνῆκεν πόλεσι καὶ ἀπορουμένοις ἐπέδωκε καὶ τὸ πεπτωκὸς ἤγειρεν καὶ τὸ μέλλον

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però ricorrere alla forza; al contrario, sacrificava a Peitò, alle Muse e alle Cariti,35 conciliando tutti di buon grado con la legge. Quanto agli dèi, tutto quel che l’aria apporta e tutti i doni del fiume e della terra, tutto questo dispensavano in abbondanza per riguardo nei confronti del re, il quale ne trasmetteva i profitti al popolo, mentre lui stesso rinunciava a ogni agiatezza e preferiva piuttosto la fatica, il poco sonno, occuparsi a tempo pieno dei problemi; per dirla in breve, si privava del tempo libero perché potessero goderne tutti gli altri. Perciò, ogni privato cittadino, ogni nucleo familiare, ogni famiglia, le città, le intere province, insomma tutti i suoi sudditi, Osiride riempiva di beni, interiori come esteriori. Perseguiva l’emulazione della virtù, avendo stabilito di consacrare a questo solo obbiettivo ogni sua conoscenza e ogni sua attività, e offriva delle ricompense a quelli che si dimostravano i migliori a governare gli uomini e a rendere i governati simili a loro. È inevitabile che tutto ciò che viene onorato si accresca e che tutto ciò che viene trascurato venga meno. Si sviluppò con lui un amore per ogni forma di cultura, connessa sia con il pensiero che con la parola. E quelli che si distinguevano per un tale sapere non erano più considerati come appartenenti alla massa, ma addirittura come personaggi illustri, degni degli onori del re, poiché avevano reso l’arte della parola ancella della saggezza. L’intelletto, in effetti, procede rivestito di parole: il fatto che sia abbigliato bene o male, così come accade con gli uomini, rivela se è rispettabile o meno. Osiride riteneva opportuno onorare l’educazione elementare: pensava infatti che la cultura fosse la fonte della virtù. Quanto alla pietà religiosa, fu allora abituale in Egitto come in nessun’altra epoca. Stiamo parlando dei beni dell’anima, che furono talmente floridi durante il regno di Osiride presso gli Egizi da far sembrare la regione una scuola di virtù; i ragazzi avevano occhi per una sola persona, la loro guida, e facevano soltanto ciò che gli vedevano fare e dicevano soltanto ciò che da lui udivano. Osiride non si curava della ricchezza: che tutti gli altri potessero goderne, questa era la sua sola preoccupazione, essendo al contempo perfettamente incorruttibile e massimamente munifico. Esentò le città dalle imposte, fece dei doni ai bisognosi, risollevò ciò che era crollato36 e riparò ciò che stava per crollare;

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ἰάσατο· τὴν μὲν εἰς μέγεθος ἦρεν, τὴν δὲ εἰς κάλλος ἤσκησεν, τὴν δὲ οὐκ οὖσαν προσέθηκεν, τὴν δὲ ἐκλελειμμένην συνῴκισεν. Ἀπολαύειν μὲν οὖν ἀνάγκη καὶ τὸν καθ’ ἕνα τῶν κοινῶν ἀγαθῶν· ὁ δὲ οὐκ ἐπόνει καθιεὶς καὶ εἰς τὴν ὑπὲρ τοῦ δεῖνος φροντίδα, ὡς ἐπ’ ἐκείνου γενέσθαι τὸ μηδένα ἀνθρώπων ὀφθῆναι δακρύοντα· οὐδὲ ἠγνόησεν Ὄσιρις ὅστις ὅτου δέοιτο καὶ τί κωλύει τὸν δεῖνα μακάριον εἶναι. Ὁ μὲν δικαίας ἤρα τιμῆς, καὶ ἀπέδωκεν· ὁ δὲ ἐπειδὴ βιβλίοις προσανέχων ἄσχολος ἦν ἐκπορίζειν τροφήν, ἐν πρυτανείῳ σίτησιν ἔδωκεν· ὁ δὲ τιμῆς μὲν ἀνθρωπίνης ἠμέλει, καὶ τὰ περιόντα αὐτὸν εὖ μάλ’ ἔβοσκεν, λειτουργῶν δ’ ἴσως ᾐσχύνετο· οὐδὲ τοῦτο ἠγνόησεν, ἀλλ’ ἀνῆκεν τῆς λειτουργίας, οὐκ ἐνοχληθείς, ἀλλ’ ἐνοχλήσας τῷ, πρὶν αἰτηθῆναι, δοῦναι, αἰδοῖ σοφίας ἀξιῶν τὸν τοιοῦτον αὐτόνομον εἶναι καὶ ἄφετον, ὥσπερ ζῷον ἱερόν, ἀνειμένον θεῷ· συνελόντα δ’ εἰπεῖν, τῆς ἀξίας οὐδεὶς ἡμάρτανεν, εἰ μὴ ὅτῳ κακόν τι ὠφείλετο· τούτῳ δὲ οὐκ ἔνειμε τὴν ἀξίαν· φιλοτιμίαν γὰρ ἐποιεῖτο πραότητι γνώμης καὶ χρηστοῖς ἔργοις καὶ τὸν ἀναιδέστατον ἐκνικήσειν. Καὶ ταύτῃ γε ᾤετο τοῦ τε ἀδελφοῦ καὶ τῆς συνωμοσίας αὐτοῦ περιέσεσθαι, ἀρετῆς περιουσίᾳ μεταποιήσας τὰς φύσεις, ἓν τοῦτο γνώμης σφαλλόμενος. Βασκανία γὰρ ὑπ’ ἀρετῆς οὐ παύεται μᾶλλον, ἀλλ’ ἐξάπτεται. Εἰ γὰρ φύσιν ἔχει τὸ ἀγαθοῖς ἐπιφύεσθαι, ὅσῳ πρόεισι τἀγαθά, καὶ τὸ ἐπ’ αὐτοῖς λυπεῖσθαι συνεπιδίδωσιν, ὅπερ ἔπαθε πρὸς τὴν Ὀσίριδος ἀρχὴν ὁ βαρύστονος ἀδελφός. 13.  Εὐθύς γε μὴν τὴν ἡγεμονίαν παραλαμβάνοντος, μικρὸν ἐδέησεν ἀπολέσθαι, τὴν κακὴν κεφαλὴν προσουδίζων τε καὶ κίοσι προσαράσσων· ἡμερῶν συχνῶν οὐ προσηνέγκατο σῖτον, καίτοι βορώτατος ἦν, ἀπεσείσατο ποτόν, καίτοι φιλοινότατος ἦν. Ὕπνου μὲν ἐρῶν, ἄμοιρος διετέλει· ἐγρηγόρσει δὲ συνείχετο

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ingrandì una città, un’altra la rese più bella, ne aggiunse una dove non ce n’era, ne ripopolò una che era stata abbandonata. Inevitabilmente, dunque, ogni privato cittadino godeva anche dei beni comuni; ma Osiride non esitava ad abbassarsi e a occuparsi anche del singolo, così che, durante il suo regno, nessun uomo fu visto piangere. Non ignorava di cosa ciascuno avesse bisogno e cosa mancasse alla singola persona per essere felice. A chi desiderava un giusto onore, lo concedeva; a chi, poiché si era dedicato allo studio dei libri, non aveva il tempo di procurarsi il cibo, permetteva di mangiare “nel Pritaneo”.37 Un altro non si curava degli onori umani e quanto gli rimaneva lo nutriva più che a sufficienza, ma forse aveva timore ad assumere degli incarichi pubblici: neppure questo Osiride ignorava, quindi lo esentò da ogni ufficio, senza che fosse necessaria alcuna insistenza, anzi fu lui stesso, prima che gli venisse chiesto alcunché, a insistere perché l’altro accettasse il suo dono, ritenendo opportuno che per rispetto della sapienza un uomo del genere fosse indipendente e libero da ogni vincolo, come un animale sacro votato a un dio.38 In breve, nessuno era privato di quanto gli spettava, salvo chi era meritevole di punizione: a costui non si accordava il dovuto; infatti, Osiride ambiva a vincere con la mitezza del giudizio e con le buone azioni anche il più spudorato. Pensava che in questo modo avrebbe avuto successo anche con suo fratello e con i suoi congiurati, trasformando le loro nature con l’abbondanza della propria virtù. In questo caso, però, la sua speranza si rivelò sbagliata. La malignità infatti non cessa sotto l’influsso della virtù, ma piuttosto si infiamma. Se infatti la sua natura è quella di attaccare il bene, più questo si accresce e più aumenta, al contempo, l’insofferenza nei suoi confronti, e proprio questa soffriva, nei confronti del regno di Osiride, il fratello, che profondamente gemeva. 13.  Non appena Osiride prese il potere, ci mancò poco che Tifone non morisse, sbattendo la sua testa perversa contro il suolo e contro delle colonne; per molti giorni non assunse alcun cibo, sebbene fosse estremamente vorace, e rifiutò ogni bevanda, sebbene fosse solito bere molto vino. Pur essendo un amante del sonno, segui-

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καὶ μάλα ἀποδιοπομπούμενος, καὶ τὼ ὀφθαλμὼ μύων ἐπίτηδες, τοῦ τὴν ψυχὴν ἀνεθῆναι τῶν κεντούντων τῆς μνήμης. Ἀλλ’ ἔστιν ἡ μνήμη πρὸς τὸν ἐθέλοντα καταθέσθαι φιλονεικότατον· ὥστε καὶ μύσαντι τῶν κακῶν ἡ φαντασία παρῆν, καὶ ὕπνου δέ, εἴ ποτε, παραθρέξαντος, ὄναρ ἂν ἀθλιώτερον ἔπραττεν, ἐν ὀφθαλμοῖς ὁρῶν πάγον ἐκεῖνον, ψήφους ἐκείνας, χεῖρας ἐκείνας ἐπὶ τὸν ἀδελφὸν ἁπαξαπάσας· καὶ διαναστάντι δ’ ἂν ἀσμένως μίσει τῆς χαλεπῆς ὄψεως, ἐπὶ χρόνον συχνὸν περιεβομβεῖτο τὰ ὦτα τῇ τῶν εὐφημούντων ἠχοῖ· οὔτε ἀτρέμας ἔχειν ἠνείχετο, τῆς ψυχῆς ἀσχαλλούσης, καὶ προκύπτοντα τῆς οἰκίας συμφοραὶ διεδέχοντο, καὶ ἐν λόγοις καὶ ἐν ἔργοις καὶ ἐν ᾠδαῖς τῶν ἁπάντων Ὄσιρις ἦν, ὡς μὲν καλὸς ἰδεῖν, ὡς δὲ σοφὸς εἰπεῖν ὁ νέος βασιλεύς, καὶ τὸ μεγαλόφρον, ὅτι οὐκ ἀλαζόν, καὶ τὸ πρᾶον, ὅτι ἀταπείνωτον. Αὖθις οὖν ὑπενόστει καὶ κατεκλείετο, οὐκ ἔχων ὅ τι τῷ ζῆν χρήσηται, οὔτ’ αὐτὸς οὔθ’ ἡ γυνή, διωλύγιον ἄλλο κακόν, ἑαυτῆς κομμώτρια, θεάτρου καὶ ἀγορᾶς ἄπληστος, τὰς ἁπάντων ὄψεις βουλομένη τε καὶ οἰομένη πρὸς αὑτὴν ἐπεστράφθαι· παρ’ ὃ καὶ μείζω συμφορὰν ἐπεποίητο τῆς βασιλείας ἐκπεπτωκέναι τὸν ἄνδρα, ἐκείνως ἂν οἰομένη δημοσιεύσειν τὴν πολιτείαν ἐπὶ μείζονος ὑποθέσεως, καὶ καθηδυπαθήσειν τὴν ἐξουσίαν. Ἑαλώκει τε αὐτῆς ὁ Τυφὼς ἤδη πρεσβύτης ὤν, ὥσπερ παιδάριον ἀφροδίτης ἀρχόμενον, καὶ ἦν αὐτῷ τὸ μέρος τῆς συμφορᾶς αἰδὼς τῆς ἀνθρώπου, πρὸς ἣν ἐπεφιλοτίμητο τὴν μεγίστην ἄρξειν ἀρχὴν κἀκείνῃ τὴν δυναστείαν κοινώσασθαι. Ἡ δὲ καὶ ἐν ἰδιώτῃ βίῳ χρῆμα φανερώτατον ἦν, εὐδοκιμεῖν ἐν τοῖς πλεῖστον ἀντικειμένοις φιλοτιμουμένη, θηλυτάτη μὲν γυναικῶν τρύφημα προσεξευρεῖν καὶ ἐπιποιῆσαι κάλλει καὶ ἐνδοῦναι τῇ φύσει· παραβολωτάτη δὲ ἀρρένων ἐπιθέσθαι σκέμματι καὶ τολμῆσαι πεῖραν, ποικιλοπράγμων τε οὖσα καὶ καινοτόμος.

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tava a non dormire; era in preda all’insonnia, per quanto cercasse di allontanarla in svariati modi, anche chiudendo gli occhi appositamente per liberare l’anima dai pungoli della memoria. Ma la memoria è estremamente combattiva nei confronti di chi intende riporla; così che, anche quando chiudeva gli occhi, gli si presentava l’immagine delle sue sventure, e se mai il sonno lo coglieva, un sogno lo avrebbe reso ancora più angosciato, ripresentandosi ai suoi occhi quella collina, quei voti, tutte quelle mani rivolte verso il fratello. Quand’anche si fosse risvegliato con gioia per l’odio nei confronti di quella dolorosa visione, per lungo tempo nelle sue orecchie avrebbe risuonato39 l’eco delle grida di acclamazione. Non poteva sopportare tutto ciò pacatamente, giacché la sua anima se ne adirava, e se usciva di casa le sue sventure gli si presentavano in successione, dato che Osiride era nei discorsi, nelle azioni e nei canti di tutti: il nuovo re era bello a vedersi e saggio nel parlare, grazie alla propria magnanimità, priva di superbia, e alla propria mitezza, priva di soggezione. Subito Tifone ritornava sui suoi passi e si chiudeva in casa a chiave, senza sapere cosa fare della propria vita, né lui né sua moglie, altro immenso flagello, una donna totalmente dedita alle proprie acconciature, insaziabile di teatro e di mostrarsi in piazza, desiderosa degli sguardi di tutti, che immaginava effettivamente a sé rivolti. Per questo, l’esclusione di suo marito dal potere era stata per lei una sciagura ancora maggiore, persuasa che, nell’evenienza opposta, si sarebbe intromessa nella politica in più ampia misura, dilapidando le risorse dello Stato. Tifone si era invaghito di lei, ormai pienamente adulto, alla stregua di un ragazzino inesperto d’amore e parte della sua afflizione era dovuta proprio alla vergogna che provava nei confronti di quella megera, alla quale aveva fatto credere che avrebbe raggiunto la carica suprema, condividendo il potere. Anche nella vita privata ella era un personaggio strabiliante, avendo l’ambizione di risaltare in situazioni assolutamente opposte e, dimostrandosi la più femminile delle donne, di ricercare sempre il lusso, di coltivare la propria bellezza, di assecondare la propria natura; molto più temeraria degli uomini nell’ideare macchinazioni e nell’osare esporsi a delle prove, era assai intraprendente e amante delle

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Παρεσκεύαστο δὴ πρὸς ταῦτά τε καὶ πρὸς τἆλλα καὶ γυναῖκας ἑταιριστρίας καὶ ἄνδρας πελάτας πάντας ὁμοιογνώμονας ἔχειν, καὶ χρῆσθαι πρὸς ἃ ἐπεφύκει καὶ οἴκοι καὶ θύραζε. Ὀσίριδι δὲ καὶ ὅτι γυναικωνῖτις ἦν τὸ παιδάριον ἀνέμνησεν τοῖς ἀνθρώποις ὁρώμενον· καίτοι τὸ παιδίον, ὁ Ὧρος, θέαμα σπάνιον ἦν. Μίαν γὰρ ἀρετὴν Ὄσιρις ᾤετο γυναικὸς εἶναι τὸ μήτε τὸ σῶμα αὐτῆς μήτε τοὔνομα διαβῆναι τὴν αὔλειον. Οὔκουν οὐδὲ τὸ ἐν ἄκρῳ γενέσθαι τῆς τύχης παρεκίνησεν τοῦ καθεστῶτος τὴν σώφρονα, εἰ μὴ καὶ μᾶλλον ὑπὸ τῷ μεγέθει τῆς ἐξουσίας ἐκρύπτετο, ἐπεὶ μηδὲ αὐτὸς ὡς παρὰ τοῦτο εὐδαιμονέστερος ἐγανύσκετο· ἀλλ’ ᾔδει, καὶ μὴ τυχών, οὐκ ἂν ἧττον εὐδαίμων γενόμενος. Αὐτὸς γάρ τις ἕκαστος ἑαυτῷ τοῦ τοιούτου ταμίας, ἀγαθὸς εἶναι βουλόμενος. Διὸ τοὺς μὲν ἀρετῇ συζῶντας, ἰδιώτας τε ὄντας καὶ ἄρχοντας, ἴδοι τις ἂν ὁμοίως εὐθυμουμένους. Ἅπας γὰρ βίος ἀρετῆς ὕλη. Καθάπερ ἐπὶ σκηνῆς ὁρῶμεν τοὺς τῆς τραγῳδίας ὑποκριτάς· ὅστις καλῶς ἐξήσκησε τὴν φωνήν, ὁμοίως ὑποκρινεῖται τόν τε Κρέοντα καὶ τὸν Τήλεφον, καὶ οὐδὲν θἀλουργῆ τῶν ῥακίων διοίσει πρὸς τὸ μέγα καὶ καλὸν ἐμβοῆσαι καὶ καταλαβεῖν ἠχοῖ τοῦ μέλους τὸ θέατρον· ἀλλὰ καὶ τὴν θεράπαιναν καὶ τὴν δέσποιναν μετὰ τῆς αὐτῆς ἐπιδείξεται μουσικῆς, καὶ ὅ τι ἂν περιθῆται προσωπεῖον, τὸ καλῶς αὐτὸν ὁ χορηγὸς τοῦ δράματος ἀπαιτεῖ· οὕτως ἡμῖν θεὸς καὶ τύχη περιτίθησιν ὥσπερ προσωπεῖα τοὺς βίους ἐν τῷ μεγάλῳ τοῦ κόσμου δράματι, καὶ οὐδέν τι μᾶλλον ἕτερος ἑτέρου βίος βελτίων ἢ χείρων, χρῆται δὲ ὡς ἕκαστος δύναται. Δύναται δὲ ὁ σπουδαῖος ἁπανταχοῦ καλῶς διαγίνεσθαι, κἂν τὸν πτωχὸν κἂν τὸν μόναρχον ὑποκρίνηται· διοίσεται δὲ οὐδὲν περὶ τοῦ προσωπείου. Ἐπεὶ καὶ ὁ τραγῳδὸς γελοῖος ἂν γένοιτο, τὸ μὲν φεύγων, τὸ δὲ αἱρούμενος· καὶ γὰρ ἐν τῷ τῆς γραὸς εὐδοκιμῶν, στεφανοῦταί τε καὶ κηρύττεται, καὶ ἐν τῷ τοῦ βασιλέως ἀσχημονῶν, κλώζεται καὶ συρίττεται, ἔστι δὲ ὅπῃ καὶ λίθοις βάλλεται. Βίος γὰρ οὐδεὶς οἰκεῖος ἡμῶν, ἀλλοτρίους

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novità. Per tali e altre finalità, si era creata un gruppo di cortigiane e di loro clienti, tutti affini tra di loro, cui ricorreva per assecondare le sue naturali inclinazioni, sia in casa propria che all’esterno. Quanto a Osiride invece, soltanto la vista di suo figlio gli ricordava che aveva un gineceo; e peraltro il bambino, Horus, si mostrava raramente. Osiride pensava che la sola virtù di sua moglie consistesse nel fatto che né il suo corpo né il suo nome oltrepassavano la soglia di casa. Neppure assurgere all’apice della fortuna aveva deviato dalla sua condotta abituale una donna tanto temperante, anzi, in virtù della grandezza della sua autorità, ella si mostrava ancora meno.40 Neppure Osiride si rallegrava per il fatto di trovarsi adesso in una situazione più lieta, poiché sapeva che anche in mancanza di tanta fortuna non sarebbe stato meno felice. Ciascuno infatti è dispensatore della felicità a se stesso, se intende essere una persona per bene. Per questo quelli che vivono secondo virtù, semplici cittadini o governanti che siano, appaiono ugualmente sereni. Ogni vita è materia di virtù. Come accade quando vediamo sulla scena gli attori tragici: chiunque abbia ben esercitato la propria voce interpreterà ugualmente Creonte e Telefo41 e non vi sarà alcuna differenza fra gli abiti di porpora e gli stracci al fine di declamare forte e bene e di ingraziarsi il teatro con l’eco del canto. L’attore saprà mettere in scena con la medesima arte musicale la serva come la padrona;42 quale che sia la maschera che indossa, il corego del dramma gli richiederà una buona prestazione. Così, Dio e la fortuna ci assegnano da indossare come maschere le nostre vite, nel grande dramma dell’universo,43 e la vita di un uomo non è in nulla migliore o peggiore di quella di un altro, ma ciascuno la utilizza secondo le proprie capacità. La persona che vale sa vivere bene dappertutto, che interpreti il mendicante o il monarca: il tipo di maschera non farà alcuna differenza. D’altronde, l’attore tragico diverrebbe risibile se rifiutasse un ruolo e ne scegliesse un altro: anche nel ruolo della vecchia, se apprezzato, sarà incoronato e applaudito, mentre, se risulta indecoroso, anche nel ruolo del re sarà contestato, fischiato e magari anche colpito con delle pietre. Nessuna vita in effetti ci appartiene davvero, ma siamo rivestiti all’esterno da vite che ci sono estranee;

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δὲ ἔξωθεν περικείμεθα· ἡμεῖς δὲ τὸ χρώμενον ἔνδοθεν ἀμείνους καὶ χείρους αὐτοὶ ποιοῦντές τε καὶ δεικνύντες, ἀγωνισταὶ ζώντων δραμάτων. Ταῦτ’ ἄρα ὥσπερ ἐσθῆτας ἔστιν αὐτοὺς ἀμφιέσασθαι καὶ μεταμφιέσασθαι. 14.  Ὄσιρις μὲν οὖν – ἐπεπαίδευτο γὰρ τί τὸ οἰκεῖον καὶ τί τὸ ἀλλότριον – μέτρον εὐδαιμονίας ἠπίστατο τὴν ψυχὴν οὖσαν. Αὑτόν τε οὖν καὶ τοὺς οἴκοι παρείχετο τοὺς αὐτοὺς τὰς γνώμας, ἰδιώτας καὶ ἄρχοντας ἀνεκπλήκτους ὑπὸ τῶν ἔξωθεν. Οἱ δέ – αἰσθήσει τε γὰρ ἔζων καὶ νοῦς ἀπῆν – ἐρασταὶ τύχης ἀμελεῖς, οἰκεῖον ἑαυτῶν ἡγούμενοι τὸ ἀλλότριον, φύσης τε ἦσαν ἔμπλεῳ, τὴν βασιλείαν καραδοκήσαντες, καί, ὡς οὐκ ἦλθεν ἐπ’ αὐτούς, ἀπεγνώκεσαν ἑαυτῶν καὶ οὐδὲν ἐνόμιζον εἶναι βιώσιμον. Αὖθίς τε καὶ πολλάκις εἰρῆσθαι ἄξιον· ἀνθρώποις ἀπαιδευσίας κανὼν μὴ περιμένειν βίον, ὥσπερ ἐν τραπέζῃ μερίδα, ἥτις περιαγομένη γένοιτο καθ’ ἡμᾶς, ἵνα ἀνελώμεθα, ἀλλὰ αὐτὸν εἶναι τὸν προαρπάζοντα καὶ ὑφαιρούμενον. Τυχὼν μὲν γὰρ ὁ τοιοῦτος καταγέλαστος ἔσται, συμπότης ὢν ἄκοσμος, καὶ τῷ τάττοντι τὸ συμπόσιον ἀπεχθήσεται, τό γε ἐφ’ ἑαυτῷ ταράσσων ἀνελευθερίᾳ τὴν τάξιν· μὴ τυχὼν δέ, ταῦτά τε καὶ προσέτι κλαιήσει παιδαρίου δίκην, τῆς παρενεχθείσης μερίδος καὶ εἰς τὸν πλησίον ἐλθούσης αὐτὸς ἐξεχόμενος. Ὧν τὰ παραπλήσια Τυφῶνι πάντα παρῆν· καὶ γὰρ θεοῖς ἀπήχθητο καὶ αὐτὸς ὠδύρετο καὶ τὸ πρᾶγμα γέλως ἐγεγόνει τῷ πλήθει. Οὐδὲ γὰρ ὅτι συχνῶν μηνῶν ἀνεπεπτώκει καὶ καθ’ ἡμέραν ἐπίδοξος ἦν ἀποθανεῖσθαι, οὐδὲ τοῦτο ἔλεον, ἀλλ’ ὀργὴν μὲν ἐκίνει τοῖς ἀνδρειοτέροις, γέλωτα δὲ τοῖς μαλακωτέροις τὰς γνώμας, ὡς ἤδη τὸ πρᾶγμα παροιμίαν εἶναι καὶ ἐρώτημα πρὸς τοὺς ὠχριῶντας, «μή τι τἀδελφῷ σου καλόν;» Κἂν ἀπολώλει δικαίως ὑφ’ ἑαυτοῦ, γενόμενος ἔκδοτος τῷ κακῷ· νῦν δὲ ἡ παλαμναία γυνή, καὶ ἐν τοῖς δεινοῖς

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siamo poi noi, dalla nostra interiorità, secondo l’uso che ne facciamo, a renderle e a farle apparire migliori o peggiori, in quanto attori di drammi viventi. Questo significa che possiamo indossare e cambiare le vite come se fossero degli abiti. 14.  Osiride, dunque (poiché aveva imparato ciò che ci appartiene e ciò che ci è estraneo), sapeva che la misura della felicità è l’anima. Era riuscito a far condividere i suoi stessi pensieri a tutti quelli che frequentava, semplici cittadini e governanti, rendendoli imperturbabili nei confronti di quanto era loro esterno. Ma gli altri (che vivevano secondo le sensazioni e che erano privi di intelletto) erano amanti incuranti della fortuna, persuasi che quanto gli era estraneo fosse di loro proprietà, e, gonfi di orgoglio, vivevano nell’attesa del regno; poiché questo non arrivava, si disperavano e pensavano che la loro vita non fosse degna di essere vissuta. Di nuovo e molte altre volte, è opportuno ripeterlo: per gli uomini il principale sintomo di mancanza di educazione è l’incapacità di attendere la propria esistenza, come una porzione di cibo che solo dopo aver fatto un giro completo della tavola ci verrebbe porta, perché possiamo servircene, e che non dobbiamo sottrarre, afferrandola anzitempo. Chi dovesse riuscire a prendersela, si coprirà di ridicolo, in quanto convitato scomposto, e si farà detestare da chi ha organizzato il banchetto, poiché con la propria volgarità turba il decoro; chi invece non dovesse riuscirci, lo stesso, e in più piangerà come un bambino, sporgendosi verso la porzione che gli è passata davanti e che è stata servita al suo vicino. Qualcosa di molto simile a tutto ciò capitava a Tifone; era infatti inviso agli dèi, si lamentava e la sua vicenda provocava il riso ai più. Neppure il fatto che per molti mesi se ne rimanesse prostrato e che ogni giorno la sua morte fosse verosimile aveva suscitato alcuna pietà, quanto piuttosto la collera ai più severi di giudizio e il riso ai più miti, al punto che questa vicenda era ormai divenuta proverbiale e si chiedeva a quelli che erano pallidi in volto “ha forse avuto un colpo di fortuna tuo fratello?”. Egli si sarebbe giustamente ucciso, essendo ormai completamente in preda al male; ma proprio allora la sua scellerata moglie, fin troppo donna anche nella sventura, risollevò

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οὖσα λίαν γυνή, ἑαυτήν τε καὶ ἐκεῖνον ἐπανήγαγεν, ἀεί ποτε αὐτῷ ῥᾳδίῳ χρωμένη, καὶ τοῦ δακρύειν ἀφίστη πρὸς ἑαυτὴν ἀσχολοῦσα, πάθει πάθος ἐκκρούουσα, ἡδονῇ λύπην ἀποικοδομουμένη. Οὕτως οὖν ἀνεπάλαισε, παρὰ μέρος εἴκων τοῖς ἐναντιωτάτοις κακοῖς. Νῦν μὲν ᾤμωζε, νῦν δὲ ὤργα· παιδάριά τε ἀκολαστότερα τότε δὴ καὶ πλείους μᾶλλον εἰς τὴν οἰκίαν εἰσήρρησαν, καὶ κῶμοι καὶ πότοι, τοῦ συνδιαφθείρειν αὐτοῖς τὸν χρόνον καὶ τῆς ψυχῆς τὴν ἀχλὺν παραμυθεῖσθαι· καὶ τἆλλα ἐμηχανῶντο, ὡς ἂν ἥκιστα τῶν Ὀσίριδος ἀγαθῶν μεμνῆσθαι σχολάζοιεν, καὶ κολυμβήθρας ἐποίουν, καὶ νήσους ἐν κολυμβήθραις, καὶ ἐν ταῖς νήσοις θερμὰ χειροποίητα, ἵνα γυμνοῖντό τε ἐν ταῖς γυναιξὶν ἐπ’ ἀλλήλοις καὶ ἀνέδην ἐπιθορνύοιντο. 15.  Ἀμφὶ ταῦτα οὖσιν αὐτοῖς καὶ ἡ τῆς τυραννίδος ἐπίθεσις ἐπὶ νοῦν ἔρχεται ὑποθήκῃ φαύλων δαιμόνων, οἳ τόν τε τρόπον ὑφηγοῦνται, καὶ τἆλλα ἀναφανδὸν ἤδη συνδιῴκουν, παρόντες τε καὶ συμπεριόντες· οὐ γὰρ οἰστὸν ἦν αὐτοῖς ὁρᾶν τὰ σφέτερα ἀτίμως ἔρροντα, φρονήσεως ἀσκουμένης, εὐσεβείας ἐπιδιδούσης, ἀπεληλαμένης μὲν ἀδικίας, εἰσῳκισμένης δὲ ὁμονοίας, ἀγαθῶν ἁπάντων ἀνθούντων. Τὸ δακρύειν Αἰγυπτίοις ὄνομα λοιπὸν ἦν, πάντα εὔφημα, πάντα ἐν κόσμῳ, τῆς πολιτείας, ὥσπερ ἑνὸς ζῴου, ψυχὴν ἐχούσης τὸν νόμον καὶ κατ’ αὐτὸν κινουμένης, τῶν μερῶν τῷ παντὶ συμφωνούντων. Ταῦτα ἐξοιστρᾷ, τούτοις ἐπιφύονται δαίμονες, ὀργάνοις χρώμενοι συγγενέσιν ἀνθρώποις. Τυρεύεται δὴ τὸ κακὸν ἐν δύο γυναικωνίτισιν. Ἑστία γὰρ ἦν ἐν τῇ πόλει τῇ βασιλίδι τῷ στρατοπεδάρχῃ τῶν ἀλλοφύλων, ὃς αὐτός τε καὶ ἡ πληθὺς Αἰγυπτίοις ἐδόκουν στρατεύεσθαι· τότε δὲ πόλεμόν τινα ἔπραττον οὐκ εὐτυχῆ πρὸς μοῖράν τινα αὐτῶν ἀποστᾶσαν, καὶ κῶμαί τινες Αἰγύπτιαι κακῶς ἐπεπράγεσαν, τοῦτο παρεσκευακότων ἐπὶ τὸ δρᾶμα δαιμόνων. Παρὰ τὴν τούτου γυναῖκα φοιτῶσα μεθ’ ἡμέραν καὶ νύκτωρ ἡ γυνὴ τοῦ Τυφῶνος οὐ χαλεπῶς ἀναπείθει βάρβαρον γραῦν καὶ ἀνόητον, τὸ παιπάλημα τὸ κερκώπειον, ὅτι

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se stessa e il marito – si era sempre servita di lui facilmente – e gli impedì di piangere facendolo concentrare su di lei, scacciando la sofferenza con la sofferenza44 e sbarrando la via al dolore con il godimento. Così egli si riprese, cedendo in maniera alternata agli opposti estremi. Quanto in precedenza si disperava, tanto ora era frenetico; dei giovani ancora più dissoluti di prima affluirono in numero ancora maggiore in casa sua, e furono festini e bevute, per poter con loro ammazzare il tempo e attenuare la bruma della sua anima. Ed escogitavano anche altri stratagemmi per non avere il tempo di ricordarsi della fortuna di Osiride: costruivano delle piscine, e poi delle isole in mezzo alle piscine, e sulle isole delle terme artificiali, dove restare nudi in mezzo alle donne e accoppiarsi alla rinfusa senza alcun freno inibitorio. 15.  Mentre erano impegnati in tali occupazioni, l’idea di prendere il potere si insinuò nelle loro menti, suggerita dai demoni malvagi, che indicavano come fare, amministrando ormai manifestamente anche tutto il resto, ben presenti e loro alleati. Non era infatti sopportabile per i demoni vedere i loro progetti andare miseramente in rovina, laddove veniva praticata la saggezza, si sviluppava la pietà, l’ingiustizia era scacciata, la concordia si insediava e tutti i beni fiorivano. “Piangere” era rimasto per gli Egizi ormai soltanto una parola, poiché tutto era propizio, tutto in ordine, e lo Stato, come un unico essere vivente, aveva per anima la legge e agiva in conformità a essa, trovandosi ogni parte in accordo con l’insieme.45 Tutto ciò rese furiosi i demoni, che insorsero, utilizzando come strumenti uomini a loro affini. Il male venne ordito in due ginecei. Si trovava infatti nella città reale la residenza del comandante delle truppe straniere, che agli Egizi era parso opportuno inviare, con le sue armate, in guerra: in quel momento egli stava sostenendo una sfortunata campagna militare contro una regione del loro regno che si era ribellata, e alcuni villaggi egizi ne avevano sofferto; tutto questo era stato predisposto dai demoni in funzione del loro piano.46 Recandosi giorno e notte presso la moglie di quel comandante, la donna di Tifone convinse, senza alcuna difficoltà – con la sua parlantina, maliziosa com’era –, quella vecchia barbara

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τε αὐτῆς προκήδοιτο καὶ ὅτι προορῷτο κακὸν ἐπ’ αὐτοὺς ἧξον, ἢν Ὀσίριδι κατὰ νοῦν εἴη τὰ πράγματα· προδοσίαν γὰρ αἰτιᾶται, καὶ συγκείμενον πόλεμον οἴεται πολεμεῖσθαι, τῶν βαρβάρων ἐν κοινωνίᾳ γνώμης μερισαμένων στρατόπεδα. «Ἔγνωκεν οὖν, φησίν, ἐπαναγαγεῖν τε αὐτὸν ἁπάσῃ βίᾳ καὶ μηχανῇ καί, ἐπειδὰν τάχιστα ἀπὸ τῶν ὅπλων γένηται, παραλύσας τῆς ἀρχῆς, κακῶς αὐτόν τε καὶ σὲ καὶ παῖδας ἀπολέσαι, τοὺς γενναίους δὴ τούτους, τὰ πάγκαλα θρέμματα, καὶ τούτους ἔγνωκεν ἀποσφάξαι πρὸ ἥβης», καὶ ἅμα ἐδάκρυσεν ἄν, ὑπογενειάζουσα τὰ παιδάρια, εὔνοιαν οἴκτῳ προσποιουμένη. Ἡ δὲ γραὺς ἡ Σκυθὶς ᾤμωξεν αὐτίκα, οἰομένη κατ’ ὀφθαλμοὺς ὄψεσθαι τὰ δεινὰ καὶ αὐτὴ πείσεσθαι. Ἡ δὲ ἄλλο προσετίθει δεῖμα, καὶ καθ’ ἡμέραν ἄλλο, βουλεύματα δῆθεν ἐξαγγέλλουσα τῶν ἐπ’ αὐτοὺς ἀπορρήτων· ὅλως γὰρ ἐκτριβήσεσθαι τὸ Σκυθικὸν ἐκ τῆς χώρας, καὶ τοῦτο ὁσημέραι πράττειν Ὄσιριν, καταλόγους τε ἀφανῶς πληροῦντα καὶ τἆλλα προμηθούμενον, ὅπως ἂν ἐφ’ ἑαυτῶν οἰκοῖεν Αἰγύπτιοι, τοὺς βαρβάρους ἢ κατακανόντες ἢ ἐξελάσαντες· τοῦτο δὲ ἔσεσθαι ῥᾷστον, ἐπειδὰν τὸν ἄρχοντα σφῶν ἰδιώτην τε ἀποδείξῃ τὸ πινάκιον πέμψας καὶ ὑπαγάγῃ τῷ νόμῳ. Τούτου διακεχειρισμένου, τοὺς ἄλλους οἴεται μικρὸν ἔργον ἔσεσθαι. «Καὶ νῦν ὁ Τυφώς, φησίν, οἴκοι δακρύει· τὰ γὰρ ὑμέτερα φρονεῖ, καὶ τοῖς βαρβάροις ἀεὶ πεπολίτευται, δι’ οὓς καὶ τῆς βασιλείας ἡμάρτομεν, οὐ παραγενομένους ἐν τῷ καιρῷ τῆς ἀναρρήσεως. Ἐκείνως ἂν νῦν Αἰγυπτίοις ἐμπαροινεῖν ἐξῆν καὶ τὰ ἀγαθὰ τὰ τούτων ἔχειν ὑμᾶς, ὡς ἀνδραπόδοις τοῖς κυρίοις χρωμένους. Ἀλλ’ οὔθ’ ὑφ’ ὑμῶν ὠφελήμεθα τότε, καὶ νῦν ἀδύνατοι βοηθεῖν ἐσμεν. Συμφορᾷ μέντοι κεχρήμεθα, τῶν δεινῶν ἤδη

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e sciocca che si trovava in apprensione per lei e che era prevedibile che il male si sarebbe riversato sulla sua gente, nel caso in cui gli eventi si fossero realizzati secondo il piano di Osiride. Questo infatti avrebbe sospettato un tradimento e avrebbe pensato di combattere una guerra concordata, giacché i Barbari, in totale sintonia di pensiero con i ribelli, avevano diviso le loro truppe.47 “Ha quindi deciso” – disse la moglie di Tifone – “di richiamare tuo marito con la forza o con qualche espediente e, non appena quello si troverà privo di armi, lo destituirà dal suo incarico e lo farà perire malamente, assieme a te e a i vostri figli; esatto, assieme a questi vostri nobili e splendidi rampolli, che ha deciso di far sgozzare prima che siano giunti all’adolescenza”. Al contempo, avrebbe pure pianto, carezzando i bambini sotto il mento e simulando benevolenza con i suoi lamenti. La vecchia, che era scitica,48 iniziò subito a gemere, pensando alle sventure che avrebbe visto con i suoi occhi e che avrebbe sofferto ella stessa. La moglie di Tifone aggiungeva altri motivi di timore, ogni giorno uno nuovo, rivelando presunti piani occulti a loro danno: gli Sciti sarebbero stati totalmente rimossi dal paese, a questo si sarebbe adoperato Osiride ogni giorno, completando segretamente le liste di leva dei cittadini soggetti al servizio militare e curandosi di tutti gli altri aspetti affinché gli Egizi potessero governare il proprio territorio basandosi sulle loro sole forze, dopo aver ucciso o scacciato i Barbari. E ciò sarebbe stato facile, una volta che Osiride avesse ridotto il loro comandante al rango di semplice cittadino, ratificando la propria azione con l’invio di un documento, e lo avesse accusato davanti alla legge. Avuto quello nelle proprie mani, Osiride pensava che gli altri avrebbero rappresentato un problema minimo. “Anche adesso Tifone” – diceva sua moglie – “è a casa a piangere. È in apprensione per la vostra sorte, lui che è sempre stato politicamente vicino ai Barbari, proprio a causa dei quali, peraltro, non abbiamo ottenuto il regno, non essendo voi stati presenti al momento della proclamazione. In caso contrario, adesso potreste insultare gli Egizi, nonché fare vostri i loro beni, trattando come schiavi i vostri padroni. Ma allora non ci avete aiutato, e adesso noi non siamo in grado di soccorrere voi. Comunque viviamo un brutto momento, poiché delle

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πελαζόντων τοῖς φίλοις.» Οὕτω καταστρατηγήσασα τῆς γραὸς καὶ εἰς τοὔσχατον ἐκδειματώσασα, ὡς ἂν ἀφύκτων ὄντων, ὡς ἅλις εἶχεν, ἑτέραν προσβάλλει μηχανὴν τοῦ δέους ἐπανάγειν τὴν βάρβαρον, ἤδη μαθοῦσαν ἕπεσθαι περιαγούσῃ τὴν γνώμην, καὶ κατὰ μικρὸν ἐρρώννυ καὶ ἐλπίδων ἐπίμπλη. «Ἀλλὰ μέγα, ἔφη, τὸ βούλευμα, καὶ καινῆς δεῖ τόλμης, ἵνα μὴ ἐπ’ Ὀσίριδι ὦμεν, ζῆν καὶ μὴ ζῆν, ὅτε βούλοιτο.» Ἠινίξατο τὴν ἐπανάστασιν ἀμυδρῶς τὸ πρῶτον, εἶτα παρεδήλωσεν, εἶτα ἀπεκάλυψεν, κατὰ βραχὺ προσεθίζουσα τῷ τε ἀκροάματι καὶ τῷ τολμήματι, ἕως τελευτῶσα τὴν περιδεᾶ θρασεῖαν ἐποίησεν, τὸ μηδὲν δεικνῦσα τὰ Ὀσίριδος, ἐκείνων ἐθελόντων· «Ὁ γὰρ νόμος, ἔφη, καὶ ἡ συνήθεια τῆς τιμῆς, καὶ τἀρχαῖον καὶ πάτριον τοὺς μὲν νωθεῖς ἑκόντας δουλοῖ· ὁ δὲ ἀφηνιάσας ἀσθενῶν πειρᾶται, καὶ ἐλεύθερός ἐστιν ὁ τὴν ἰσχὺν ἔχων, ἢν μὴ καταπλαγῇ τῇ γνώμῃ πρὸς τὴν συνήθειαν, ὃ μὴ πάθωμεν ἡμεῖς, ὑμῶν μὲν ἐν ὅπλοις ὄντων, Ὀσίριδος δὲ οὐδὲν ἀλλ’ ἢ θεοῖς τε εὐχομένου, καὶ νῦν μὲν πρεσβείαις χρηματίζοντος, νῦν δὲ δίκας ἐκδικάζοντος, νῦν δὲ ἄλλο τι τῶν εἰρηνικῶν πράσσοντος. Οὐ γὰρ μή ποτε κοινωσαμένων καὶ συνεισαγαγόντων ἡμῶν μὲν τὴν εὐγένειαν, ὑμῶν δὲ τὰς χεῖρας, Ὄσιρις Σκυθῶν τινι κακὸν ἔσται· δόξετε γὰρ οὐδὲ μέγα τι παραχαράττειν οὐδὲ τὰ Αἰγυπτίων κινεῖν οὐδὲ μεθιστάναι τὴν πολιτείαν, ἀλλὰ καθιστάναι καὶ διατιθέναι τῷ παντὶ λῷον, Τυφῶνι τὴν ἀρχὴν πράττοντες, γεγονότι μὲν ὅθεν Ὄσιρις, πρεσβυτέρῳ δὲ καὶ δικαιοτέρῳ βασιλεύειν Αἰγύπτου. Ὥστε οὐδὲ τὴν ἀρχὴν Αἰγυπτίους εἰκὸς ἐφ’ ὑμᾶς συστῆναι, μὴ κατὰ μέγα τῆς μεταβολῆς γινομένης περὶ τὴν πολιτείαν τὴν πάτριον. Τὸ μὲν οὖν σχῆμα τῆς ἀρχῆς ἡμέτερον ἔσται, τὸ δὲ ἀγαθὸν ὑμέτερον, καὶ Αἰγύπτου πάσης ὡσπερεὶ τραπέζης εὐωχήσεσθε. Μόνον ὑφίστασο σὺ πείσειν τὸν ἄνδρα.» – «Καὶ σύγε, ἔφη, συμπείσεις.» Οὕτως ἐποίουν· καὶ ἐπειδὴ προσελαύνων ἠγγέλλετο, τοῦτο μὲν κάθετοι

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sciagure minacciano dei nostri amici”. Dopo avere così ingannato la vecchia e averla estremamente intimorita, come se tutto ciò che le aveva detto fosse ormai inevitabile, le parve che potesse bastare e mise in atto una seconda macchinazione per rinfrancare dalla sua paura la barbara, che ormai aveva imparato a seguire colei che ne condizionava il pensiero, e a poco a poco iniziò a farle coraggio e a riempirla di speranza. “Certo, sarebbe un’ardua decisione” – diceva – “e richiederebbe un’audacia straordinaria, arrivare fino al punto di non dipendere più da Osiride, di privarlo del diritto di vita e di morte su di noi”. In un primo tempo parlò di insurrezione solo per allusioni e in maniera vaga, poi fece varie insinuazioni, poi rivelò le proprie intenzioni apertamente, abituando a poco a poco la vecchia a darle ascolto e alla sfrontatezza, fino a che da timorosa che era non l’ebbe resa temeraria, dimostrandole che Osiride non poteva nulla, se loro lo volevano. “La legge infatti,” – diceva – “così come la consuetudine dell’onore e l’antica tradizione dei padri, asservisce i pigri di buon grado; chi invece si ribella mette i deboli alla prova. Chi ha forza è libero, purché non si lasci intimidire dal riguardo nei confronti della consuetudine. Non dobbiamo stare a soffrire, giacché voi siete armati e Osiride non fa altro che pregare gli dèi, occupato ora a ricevere ambascerie, ora a dirimere processi, ora a compiere qualche altra azione pacifica. Se ci coalizziamo, se uniamo le nostre forze, la nostra nobiltà e il vostro braccio, Osiride non potrà mai nuocere agli Sciti. Non darete l’impressione di compiere una grave interferenza, né di turbare gli affari interni all’Egitto, né di mutarne l’ordine politico, ma di restaurare e di disporre l’ordine nell’interesse di tutto il popolo, conferendo il potere a Tifone, nato dagli stessi genitori di Osiride, ma più grande e più degno di governare il paese. Non è quindi affatto verosimile che gli Egizi si compattino contro di voi, non essendoci stato alcun stravolgimento significativo nell’ordine posto dai padri. All’apparenza il potere sarà nostro, ma il vantaggio sarà vostro, e banchetterete in Egitto come a una tavola imbandita. Promettimi soltanto di convincere tuo marito”. “Lo convincerai” – disse l’altra – “assieme a me”. Così fecero. Quando giunse voce che il comandante si stava avvicinando, dei messi corrotti gli rife-

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πρόδρομοι τὸ τῆς ἐπιβουλῆς ἀφανῶς παρεφθέγγοντο, ἐχεμυθίας προσποιήσει τῶν μέγα βοώντων φανερώτερον ἐξαγγέλλοντες ἃ κρύπτειν εἰκάζοντο· τοῦτο δὲ ἀσαφῆ γράμματα διετάραττεν, ἀσφάλειαν ἐπιτάττοντα. Ἤδη δέ τις κἀναφανδὸν εἶπεν ὅτι δεῖ σῴζειν ἑαυτοὺς ἐκ τοῦ λόχου, καὶ ἄλλος ἀριδηλότερον, καὶ μάλα ἄλλος καὶ ἄλλος, ἅπαντες οὗτοι στασιῶται Τυφῶνος καὶ συνωμόται τῶν γυναικῶν. Ἐπὶ πᾶσιν ὁ κολοφών, αἱ γυναῖκες ὑπαντιάζουσιν, αἱ δημιουργοὶ τοῦ δράματος καὶ Τυφὼς αὐτὸς ὡς ἐπ’ ἄλλο τι προελθὼν τοῦ ἄστεος λαθραίως αὐτῷ συγγίνεται καὶ συντίθεται περὶ τῆς ἀρχῆς καὶ πείθει χωρεῖν αὐτόθεν ἐπὶ τὸ ἔργον· εἰ δέοι καὶ συναπολέσθαι τὴν βασιλίδα πόλιν Ὀσίριδι, καὶ τοῦτο ἐφιείς, ὡς ἀποχρώσης αὐτῷ καὶ τῆς λοιπῆς Αἰγύπτου, «καὶ ἅμα ἵνα σοι, φησί, πλουτοῖεν οἱ στρατιῶται, πόλιν εὐδαίμονα καὶ κοινὴν ἑστίαν τῶν ἐν Αἰγύπτῳ λαμπρῶν ἠνδραποδισμένοι καὶ διηρπακότες τὰ χρήματα.» Καὶ ταύτην ὁ μὲν χρηστὸς Τυφὼς προὔπιεν μίσει τῶν ἐνοικούντων διὰ τὴν ἐς Ὄσιριν εὔνοιαν· ὁ δὲ Σκύθης οὐκ ἔφη ποιήσειν· εἶναι γὰρ αὐτῷ σέβας βουλῆς τε ἱερᾶς καὶ δήμου σώφρονος καὶ τῶν ἐν ἄστει γερῶν· καὶ γὰρ ἐπ’ Ὄσιριν οὐκ ἐθελοντής, ἀλλ’ ὑπ’ ἀνάγκης ἔφη βαδίζειν, αὐτοῦ τὴν ἀνάγκην πεποιηκότος, κἂν προχωρῇ κρατεῖν ἐκείνου, σῳζομένου τοῦ ἄστεος καὶ τῆς χώρας ἀκεραίου μενούσης, κέρδος ἔφη θήσεσθαι τὸ μὴ κακοῦ μείζονος ἀνάγκην γενέσθαι. 16.  Λέγει τοίνυν ὁ μῦθος οὐκ ἐμφιλοχωρήσειν τοῖς Ὀσίριδος πάθεσιν· οὐ γὰρ εἶναι φύσιν ἔχον λιπαρῶς τινα προσκαρτερεῖν ἀνιαρῷ διηγήματι. Ἄγονται δέ γε τῶν ἱερῶν δακρύων ἀποφράδες ἡμέραι μέχρι νῦν ἐξ ἐκείνου, καὶ οἷς θέμις ὁρᾶν, κινουμένας τὰς εἰκόνας αὐτῶν ἐποπτεύουσιν. Ἐκεῖνο δὲ ἄξιον εἶναί φησι καὶ κοινῆς ἀκοῆς· ὑπὲρ χώρας, ὑπὲρ νόμων, ὑπὲρ ἱερῶν αὐτὸς ἑαυτὸν ἐγχειρίζει τοῖς, εἰ μὴ λάβοιεν, ἀνατεινομένοις ἅπαντα ἀπολεῖν καὶ διαβαίνει τὸ ῥεῦμα ὁλκάδι· φρουρά τε εὐθὺς ἀμφ’ αὐτόν, ὅποι ποτὲ

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rirono segretamente dell’insurrezione, palesando, con il pretesto della riservatezza, più apertamente dei banditori ciò che davano l’impressione di nascondere. Delle lettere oscure turbarono ulteriormente il clima, raccomandando delle misure di sicurezza. Ma qualcuno aveva già detto pubblicamente che bisognava guardarsi da un’insidia, e un altro lo ripeté ancora più chiaramente, e poi un altro e un altro ancora, tutti sostenitori di Tifone e complici delle donne. A coronamento del tutto, le donne, artefici del dramma, gli andarono incontro, mentre anche lo stesso Tifone, simulando di uscire dalla città per un altro motivo, segretamente lo raggiungeva e si accordava con lui a proposito del regno, persuadendolo a passare subito all’azione e, se necessario, a distruggere anche la città reale insieme a Osiride. Aggiunse infatti che il resto dell’Egitto gli sarebbe stato sufficiente. “E anche perché” – disse – “i tuoi soldati si arricchiscano, riducendo in schiavitù una città fastosa, residenza di tutti gli Egizi illustri, e depredando le sue ricchezze”. Il buon Tifone consegnava la capitale per l’odio che nutriva nei confronti dei suoi abitanti, a causa della loro benevolenza per Osiride. Lo Scita, d’altronde, si rifiutò di agire così: provava rispetto per il sacro consiglio, per il saggio popolo e per le prerogative della città. Disse di non marciare contro Osiride per una sua volontà, ma per necessità, una necessità creata dallo stesso Osiride, e che se fossero riusciti a vincerlo salvando la città e lasciando intatto il suo territorio avrebbe ritenuto un guadagno, concluse, non essere stato costretto a compiere un male ancora più grande. 16.  Il mito rifiuta di indugiare sulle sofferenze di Osiride; non è infatti naturale insistere diffusamente su un racconto penoso. Da allora fino a oggi i giorni delle sacre lacrime sono considerati nefasti, e quelli cui la legge divina permette di vedere possono osservare le immagini di quegli eventi in movimento.49 Eppure, il mito riporta anche questo, che è degno di essere udito da tutti: per il bene del territorio, delle leggi, dei luoghi sacri, Osiride si consegnò a quelli che, se non lo avessero preso, minacciavano di distruggere tutto e attraversò il fiume con un’imbarcazione.50 Subito si pose attorno a lui un corpo di guardia, composto da quanti giun-

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γῆς ἢ θαλάττης, καὶ περὶ τοῦ τί χρὴ παθεῖν ἐκκλησία βαρβαρική. Ἐνταῦθα ὁ μὲν Τυφὼς ἐδεῖτο ἀποθνήσκειν αὐτὸν ὡς ἀνυστὸν τάχιστά τε καὶ βιαιότατα· οἱ βάρβαροι δέ, καίπερ ἀδικεῖσθαι πεπιστευκότες, νεμεσητὸν ἐποιοῦντο καὶ ᾐδοῦντο τὴν ἀρετήν· φυγὴν δὲ ἐπέβαλλον· καὶ αὖ καὶ τοῦτο ᾐσχύνοντο, καὶ ἠξίουν οὐκ εἶναι τὸ πρᾶγμα φυγήν, ἀλλὰ μετάστασιν· χρήματα δὲ καὶ κτήματα ἔχειν εἴων, καὶ ταῦτα ὀρέγοντος αὐτοῖς τοῦ Τυφῶνος· οἱ δὲ οὐδὲν μᾶλλον ἢ τῶν ἱερῶν ἥπτοντο. Ὁ μὲν δὴ θεοῦ τε πομπῇ καὶ ἀγαθῶν ἡρώων ἐστέλλετο, χρόνοις εἱμαρμένοις ἐκστησόμενος· οὐ γὰρ ἦν θέμις τὰ χείρω κρατήσειν ἐν Αἰγύπτῳ καὶ δι’ ἐλαχίστου μεταπεσεῖν εἰς ἀκοσμίαν ἅπαντα καὶ κατήφειαν, τῆς ἱερᾶς ψυχῆς ἐνδημούσης· ἵνα γὰρ ἐξῇ γενέσθαι ταῦτα, τὴν ἀρχὴν ἐπ’ αὐτὸν συνέστησαν, ὧν ταῦτα ἔργα, οἱ δαίμονες, οἷς ὑπηρετῶν ὁ προβεβλημένος ὑπ’ αὐτῶν πάλαι τε εἰς τὴν γένεσιν καὶ τότε ἔναγχος εἰς τὴν τυραννίδα, παντοίων αὐτοὺς εὐώχει συμφορῶν. Φόροι μὲν εὐθὺς πολλαπλασίους ταῖς πόλεσιν ἐπετάττοντο, ὀφλήματά τε οὐκ ὄντα ἐξηυρίσκετο καὶ τεθαμμένα ἀνωρύττετο· ὁ μὲν ἐπιποτάμιος ἠπειρωτικόν τι λειτουργεῖν ἐτάττετο· πλοῖα δὲ ᾔτει τὸν ἠπειρώτην, ἵνα μηδεὶς ἄνθρωπος ὢν χαίρειν σχολάζῃ. Ταῦτα δημοσιώτατα τῶν κακῶν, καὶ ἔτι κοινότατον ἄλλο· τοὺς ὑπάρξοντας αὐτῷ καὶ ἐπιστησομένους τοῖς ἔθνεσιν ὠνίους ἐξέπεμπεν, ἀπεμπολῶν δημοσίᾳ τὰς πόλεις. Οἱ δὴ μισθωσάμενοί τινος ἐπιτροπείαν ἔθνους, καὶ ὅστις ὁ νεώτατος ἦν, ἐπ’ ἐνιαυτὸν ἕνα συγκειμένης τῆς ἐκμισθώσεως, ἠξίου τὸν ἐνιαυτὸν ἐκεῖνον αὐτῷ γήρως ἀκολάστου συναθροίζειν ἐφόδια. Ἓν γάρ τι καὶ τοῦτο τῶν ἐπὶ Τυφῶνος ἐγένετο· κατὰ γραμματεῖον ὡμολογεῖτο τῆς ἀρχῆς τὸν χρόνον τοῖς καταθεμένοις ἀργύριον. Πρότερον δὲ ὁ μὲν ἐπ’ αἰτίᾳ κακίας παρελύετο τῆς ἀρχῆς, τῷ δὲ μισθὸς ἦν ἀρετῆς πρεσβυτέρα τιμὴ καὶ πλειόνων ἀρχὴ καὶ χρόνος

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gevano dalla terra e dal mare, e si tenne un’assemblea di Barbari per stabilire la pena che bisognava infliggergli. In quella sede, Tifone chiese che lo si facesse morire il prima possibile e nel modo più violento; ma i Barbari, pur essendo convinti di aver subito un torto, considerarono questa proposta indegna e rispettarono la virtù. Gli imposero dunque l’esilio; e anche così provarono vergogna, e non ritennero quella pena un esilio ma un allontanamento. Gli permisero di conservare le proprie ricchezze e i propri averi, sebbene Tifone li avesse loro offerti; non li toccarono mai, così come non toccarono quanto si trovava nei templi. Osiride se ne andò, scortato dalla divinità e da buoni eroi, nel momento che era stato prefissato dal destino che partisse. Non era lecito infatti che il male vincesse in Egitto e che tutto, in brevissimo tempo, precipitasse nel disordine e nell’oscurità, mentre la sua sacra anima ancora vi risiedeva. Affinché tutto ciò potesse accadere, fin dall’inizio si erano coalizzati contro di lui quegli esseri cui sono proprie simili azioni, i demoni; e il loro servo, colui che prima avevano fatto nascere e poi avevano portato fino alla tirannide, li ricompensava con ogni genere di nefandezze. Subito si imposero svariate tasse alle città, si inventarono delle ammende che prima non esistevano e altre, che erano state seppellite, furono riportate alla luce; a coloro che abitavano lungo il fiume si impose di prestare servizio nell’entroterra, mentre a chi risiedeva nell’interno si richiesero delle navi, così che nessun essere umano potesse godere del proprio tempo. Questi erano i mali più diffusi, ma ve n’era anche un altro, comune a tutti: per comandare in suo nome e per governare le province Tifone inviava delle persone venali, vendendo quindi le città in pubbliche aste. Quelli che si erano comprati la gestione di una provincia, specialmente i più giovani, anche se l’appalto durava solo un anno, consideravano che in quel lasso di tempo avrebbero raccolto risorse a sufficienza per trascorrere una vecchiaia all’insegna della dissolutezza.51 Ecco un solo esempio di quanto accadeva durante il regno di Tifone: si riconosceva su un documento scritto il periodo del mandato a coloro che avevano versato del denaro. In precedenza, se accusati di scorrettezza, si era rimossi dalla carica, mentre come ricompensa alla virtù era previsto un onore più autorevole, nonché

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ἐπιμετρούμενος. Ὤιμωζον οὖν τὸ ἀπὸ τοῦδε ἅπαντες ἁπανταχοῦ, κακὸν ἴδιον λέγειν αὐτῶν ἕκαστος ἔχοντες, καὶ κατὰ δήμους καὶ κατὰ βουλευτήρια πᾶσι κακοῖς ἠλοῶντο ὡς μίαν τινὰ φωνὴν ἀπ’ Αἰγύπτου πρὸς οὐρανὸν αἴρεσθαι, τὴν ἠχὼ τοῦ κοινοῦ θρήνου. Θεοὶ δὲ ἠλέουν τὸ γένος καὶ παρεσκευάζοντο ὡς ἀμυνοῦντες. Οὐ μὴν ἐδόκει, πρὶν ἐναργέστερον ἔτι παρ’ ἀλλήλας ἀρετὴν καὶ κακίαν ἐξετασθῆναι, τοῦ καὶ τοὺς ἥκιστα νῷ χρωμένους ἀνθρώπους καὶ αἰσθήσει κρῖναι τὸ ἄμεινον καὶ τὸ χεῖρον, καὶ διῶξαί τε καὶ ἐκκλῖναι. 17.  Ἐπέθετο τοίνυν ὁ Τυφὼς καὶ παντάπασι τὴν Ὀσίριδος βασιλείαν τῆς ἀνθρώπων μνήμης ἐκκόψαι, καὶ τοῦτο μετῄει πολλαῖς τε ἄλλαις ὁδοῖς καὶ οὐχ ἥκιστα ταύτῃ· δίκας τε ἐκδεδικασμένας ἀναδίκους ἐποίει, καὶ ἔδει τὸν ἑαλωκότα κρατεῖν· καὶ πρεσβείαις ἐπεχρημάτιζεν, ἐν αἷς ἐχθρὸς ἦν ὅστις ὑπὸ τῆς θεσπεσίας γλώττης ὠφέλητο· καὶ ἔδει συμφοραῖς ὁμιλεῖν αὐτόν τε καὶ πόλιν καὶ γένος. Ἐν ἀμηχάνοις δὲ ἤστην ἐπ’ αὐτὸν δύο μηχαναί, εἴ τις ἢ τῇ γυναικὶ χρήματα ἀπεμέτρησεν – ἡ δὲ ὥσπερ ἐπὶ τέγους φανερωτάτη προὐκάθητο, ἐπί τε τῷ σώματι καὶ ἐπὶ τοῖς πράγμασι ταῖς ἑταιριστρίαις μαστροποῖς χρωμένη, τὸ πάλαι καλούμενον Αἰγυπτίοις κριτήριον ἀποδείξασα δικῶν πωλητήριον· ὁ ταύτῃ διειλεγμένος ἐνετύγχανεν ἵλεῳ τῷ Τυφῶνι· ἄλλως τε γὰρ τιθασὸς ἦν καὶ χειροήθης τῇ γυναικωνίτιδι, καὶ ὡς αὐταῖς κατακτησαμέναις τὴν τυραννίδα χάριν ἠπίστατο –, οὗτος εἷς ἐν ἀπόροις πόρος τοῖς πειρωμένοις αὐτοῦ δυσχεροῦς, καὶ ἕτερος εἴ τις προσελθὼν ἑνὶ τῶν ἐκ τοῦ παλαμναίου συλλόγου τῶν ὁμοδιαίτων Τυφῶνι – οἱ δὲ ἐκαλοῦντο μεγάλοι τε καὶ μακάριοι, ἀνθρώπια δύστηνα καὶ παράσημα –, τούτοις οὖν ἔδει προσελθόντα καταχέαι τινὰ λοιδορίαν Ὀσίριδος, ἐνηρμοσμένην κομψείᾳ, καὶ ἐποίουν αὐτὸ οἷς ἥκιστα

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una carica che prevedesse una responsabilità su più persone e un periodo di tempo più lungo. Da allora, tutti gli Egizi, dappertutto, iniziarono a lamentarsi: ciascuno di loro aveva la propria sciagura da raccontare e in ogni comunità, in ogni assemblea, erano percossi da tutti i mali, così che una sola voce si levava dall’Egitto verso il cielo, l’eco di un comune lamento. Gli dèi ebbero pietà di quel popolo e si prepararono a soccorrerlo. Non parve però loro opportuno intervenire prima che virtù e malignità non fossero state ancora più chiaramente valutate l’una in rapporto all’altra, così che anche quegli uomini che facevano un uso minimo della propria intelligenza e che giudicavano il bene e il male sulla base della sensazione perseguissero l’uno ed evitassero l’altro. 17.  Tifone, dal canto suo, cercava di estirpare totalmente il regno di Osiride dalla memoria degli uomini, e per questo percorreva molte e diverse strade, in particolare la seguente: faceva ripetere i processi già passati in giudicato e inevitabilmente il condannato vinceva; ritrattava la materia già discussa con le ambascerie, nelle quali chi avesse tratto profitto dalla parola divina di Osiride era considerato alla stregua di un nemico e inevitabilmente, assieme alla sua città e al suo popolo, si scontrava con delle avversità. Nelle situazioni disperate vi erano due stratagemmi da poter adottare contro Tifone. Uno di questi era di elargire del denaro a sua moglie: ella si metteva in mostra come in un bordello, ricorrendo alle cortigiane come mezzane per il suo corpo e per le sue trame, e aveva reso quello che un tempo presso gli Egizi si chiamava tribunale in un mercato di sentenze.52 Chiunque avesse un rapporto con lei trovava Tifone propizio: con le donne della propria casa era infatti particolarmente docile e arrendevole, poiché sapeva di dovere della riconoscenza a chi lo aveva condotto al potere. Era questo un espediente per chi si trovava in condizioni difficili e faceva prova della sua sgradevolezza; un altro era di accostare un membro del sanguinario gruppo dei suoi compagni. “Grandi” e “beati” venivano chiamati questi miserabili e adulterati omuncoli. Bisognava dunque accostare uno di questi ed emettere qualche ingiuria nei confronti di Osiride, adattandola alla finezza del lin-

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ἀρετῆς ἔμελε καὶ οἷς οὐκ αἰσχρὸν ἁπανταχόθεν κερδαίνειν. Εὐθὺς οὖν ἠλλάττοντο τὴν τύχην, ὥσπερ τὴν γνώμην· εἰσέρρει γὰρ εἰς τὰ τυραννεῖα τὸ ῥῆμα καὶ ἐπὶ τραπέζης ἐπόμπευε. Χαριζομένοις οὖν ἀντεχαρίζετο. Τοῦτο εἷς τις ἐποίει καὶ δεύτερος, καὶ ὠφέληντο μέν, ᾔδεσαν δὲ θεοῖς τε ἀπηχθημένοι καὶ ἀνθρώποις σώφροσιν· οἱ πλείους δὲ ἐκαρτέρουν. 18.  Ἐγένετο δέ τις εἷς ἐμβριθὴς μέν, ἀλλ’ ὑπὸ φιλοσοφίας ἀγροικότερον ἐκτεθραμμένος καὶ εἰς τὸ ἀστικὸν ἦθος ἀνομίλητος. Καὶ οὗτος ηὕρητο μὲν παρ’ Ὀσίριδος, ὥσπερ ἅπαντες ἄνθρωποι, πάμπολλα ἀγαθά, αὐτός τε μὴ λειτουργεῖν καὶ τὴν πατρίδα ῥᾷον αὐτῷ λειτουργεῖν. Πολλῶν δὲ ἐπὶ πολλοῖς τότε καὶ μέτρα ποιούντων καὶ λόγους γραφόντων, ὕμνους ἐς Ὄσιριν, καὶ δεικνύντων Ὀσίριδι χάριν δή τινα ἀντὶ χάριτος, ὁ δὲ ἦν μὲν εὐγνώμων ὥσπερ ἐκεῖνοι καὶ μᾶλλον ᾗ μᾶλλον ἠδύνατο καὶ ἐποίει καὶ ἔγραφεν καὶ πρὸς λύραν ᾖδε τὸν τρόπον τὸν Δώριον, ὃν μόνον ᾤετο χωρεῖν βάρος ἤθους καὶ λέξεως· οὐ μὴν ἐξέφερεν εἰς τὸ πλῆθος, ἀλλ’ εἴ τις ἦν ἀκοὴ λόγων ἀρρένων ξυνιεῖσα καὶ γαργαλίζεσθαι μὲν οὐκ ἀνεχομένη, ξυντετρημένη δὲ ἐπὶ τὴν καρδίαν, ταύτῃ τοὺς ἑαυτοῦ λόγους ἐπίστευεν. Ὄσιριν δὲ ᾔδει μὲν ὅτι μάλιστα τῶν τοιούτων ἀκουσμάτων ὄντα ἐφημέρων τε καὶ πολυχρονίων λόγων ἀκριβῆ γνώμονα· αὐτῷ δέ τι περὶ αὐτοῦ λέγειν ἀπεγίνωσκεν, ἅμα μὲν οὐκ οἰόμενος ἔργου λόγον ἀμοιβὴν ἰσοστάσιον, ἅμα δὲ ὑπὸ τῆς ἀγροικίας ᾗ συνετέθραπτο δόξαν θωπείας αἰδούμενος. Ἐπειδὴ δὲ ὁ Τυφὼς βίᾳ παρειληφὼς Αἴγυπτον ἐτυράννει, ἐνταῦθα δὲ οὗτος ἔτι μᾶλλον ἄγροικος ἦν· τότε ἐξέφερεν, τότε τοὺς λόγους ἐδείκνυ, πάντων φριττόντων τὴν ἀκοήν· ἀλλ’ ἀσεβεῖν γὰρ ᾤετο τὸ μὴ οὐ

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guaggio.53 Così facevano quelli che non si curavano minimamente della virtù e non trovavano turpe trarre in qualunque modo dei profitti. La loro condizione mutava istantaneamente, assieme alla loro opinione: la loro parola circolava nel palazzo del tiranno e sfilava trionfante alla sua tavola. Al favore si rispondeva col favore.54 Così fece uno, poi due: trassero profitto dal loro comportamento, ma sapevano bene di risultare invisi agli dèi e agli uomini saggi. La maggior parte delle persone, tuttavia, resistette. 18.  Vi era un uomo posato, ma allevato in maniera piuttosto rude sotto l’egida della filosofia ed estraneo alle usanze di città. Aveva ottenuto da Osiride, come tutti, moltissimi beni: in particolare, per se stesso, l’esenzione da ogni pubblico servizio, per la sua patria, la possibilità di espletare più agevolmente i propri doveri nei confronti del sovrano.55 Allora molte persone, per svariati motivi, componevano dei versi e scrivevano dei discorsi, che non erano altro che degli inni per Osiride, mostrando quindi riconoscenza per i favori da lui accordati. Quell’uomo gli era grato quanto costoro, e anche di più, in quanto poteva mostrare meglio la propria gratitudine, e componeva e scriveva, e pure cantava accompagnandosi con la lira alla maniera dorica, che riteneva la sola atta a coniugare la gravità del carattere e dell’espressione.56 Non divulgava le sue opere alla massa, ma se qualche ascoltatore si dimostrava in grado di recepire concetti virili e non tollerava vane adulazioni, facendo piuttosto penetrare quanto udiva nel proprio cuore, a quello le affidava. Sapeva che Osiride era un raffinato conoscitore di tali composizioni e ben conscio di quali, tra queste, fossero effimere e quali destinate a durare; tuttavia, aveva sempre evitato di pronunciarle in sua presenza, sia perché non riteneva che delle parole potessero corrispondere adeguatamente a delle azioni, sia perché, causa la rudezza nella quale era stato allevato, temeva di essere preso per un adulatore. Quando però Tifone, dopo essersi impadronito dell’Egitto con la forza, ebbe instaurato la propria tirannide, quello divenne ancora più rude; allora divulgò le proprie opere, le fece circolare, creando sgomento in tutti gli uditori. Ritenne però che fosse empio non rendere manifesta anche la pro-

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καταφανὴς εἶναι μισῶν τοὺς δεινὰ εἰργασμένους τὸν εὐεργέτην. Καὶ ἀρὰς ἠρᾶτο τὰς παλαμναιοτάτας Τυφῶνι, καὶ λέγων καὶ γράφων, καὶ οἴκοι καὶ ἐπ’ ἀγορᾷ στωμύλος ἦν ὁ πάλαι σιγῆς αἰτίαν δεξάμενος. Ἁπανταχοῦ τῶν λόγων Ὄσιρις ἦν, ἁπανταχοῦ τῶν συλλόγων οἷς παρείη τὰ Ὀσίριδος ᾔδετο, καὶ τοῖς οὐκ ἀνεχομένοις ἐπεφόρει τῶν διηγημάτων, οὔτε νουθετούντων πρεσβυτῶν καὶ φίλων προὐτίμα οὔτε δέος αὐτὸν ἔθραττεν τῆς ὁρμῆς, μαινομένῳ δὲ ἐῴκει μανίαν τινὰ ἐλευθέραν. Οὔκουν ἐπαύσατο πρὶν αὐτῷ Τυφῶνι παραστὰς ὅτι ἐγγυτάτω, συνειλεγμένων παρ’ αὐτῷ τότε τῶν ἁπανταχόθεν ἐκκρίτων, μακρόν τε ἀποτεῖναι λόγον τῶν εἰς τὸν ἀδελφὸν ἐγκωμίων καὶ νουθετῆσαι ζηλοῦν ἀρετήν, οὕτως ἐγγυτάτω προσήκουσαν. Ὁ δὲ ἐπίμπρατο μὲν καὶ δῆλος ἦν ἐξοιστρούμενος, αἰδοῖ δὲ τῶν ἡλισμένων κατεῖχε τὼ χεῖρε, σωφρονῶν ὑπ’ ἀνάγκης. Εἰκάζειν δὲ ἐξῆν τῷ προσώπῳ τὴν γνώμην, ποικίλας παθῶν ἰδέας ἀμείβουσαν· οὕτως ἐν ἐλαχίστῳ πάγχρως ἐγίνετο. Τὸ ἀπὸ τοῦδε οὖν ἐχθίων τε ἦν καὶ αἴσχιον ἔπραττεν, καὶ τὰ μὲν ἠρρήκει τὰ ἐπ’ Ὀσίριδος ἀγαθά, προσεκακούργει δὲ ἄλλα, τάς τε πόλεις ὧν ὑπερηγόρει κλονῶν καὶ αὐτῷ τι κακὸν ἴδιον μηχανώμενος, ὡς ἂν μηδέποτε ἀναλύσας οἴκοι γένοιτο, μένοι δὲ ὑπ’ ἀνάγκης οἰμώζων, εὐτυχοῦντας ὁρῶν οἷς ἀπέχθοιτο. Ἐν τούτοις ὄντα τὸν ξένον θεὸς ἀναρρώννυσιν, ἐναργής τε ὀφθεὶς καὶ διακαρτερεῖν ἐπιτάξας. Οὐ γὰρ ἐνιαυτούς, ἀλλὰ μῆνας ἔφη τοὺς εἱμαρτοὺς εἶναι ἐν οἷς τὰ Αἰγύπτια σκῆπτρα ἀνατενεῖ μὲν τὰς χηλὰς τῶν θηρίων, κάτω δὲ ἕξει τῶν ἱερῶν ὀρνέων τὰ κράνη. Σύμβολον ἄρρητον τοῦτο. Καὶ ἐπεγίνωσκεν μὲν τὴν γραφὴν ὁ ξένος ἐγκεκολαμμένην ὀβελοῖς τε καὶ ἁγίοις σηκοῖς· ὁ δὲ θεὸς αὐτῷ καὶ τὴν διάνοιαν τῆς ἱερογλυφίας ἡρμήνευσεν καὶ δίδωσι σύνθημα χρόνου· «Ὅταν, ἔφη, καὶ τὰ περὶ τὰς ἁγιστείας ἡμῶν καινοτομεῖν ἐπιχειρήσωσιν οἱ νῦν ὄντες ἐν ταῖς δυνάμεσι, μετὰ βραχὺ προσδέχου τοὺς Γίγαντας» – τούτους λέγων τοὺς ἀλλοφύλους – «ἔσεσθαι ἐκποδὼν ποινηλατουμένους

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pria avversione nei confronti di coloro che avevano danneggiato il suo benefattore. Lanciò allora le più violente maledizioni contro Tifone, oralmente e per iscritto, e sia in privato che in pubblico si dimostrò prolisso, proprio lui che in passato era stato accusato di eccedere con il silenzio. Osiride compariva dappertutto nei suoi discorsi; in tutte le riunioni cui partecipava, quell’uomo cantava le sue lodi, e per chi non le sopportava aggiungeva pure degli aneddoti, senza tenere in alcuna considerazione gli ammonimenti né dei più anziani né degli amici, e senza che alcuna paura turbasse il suo impeto, simile a un uomo trasportato da nobile follia. Non si fermò fino a che, vicinissimo a Tifone, nel corso di una riunione di uomini distinti provenienti da tutto il regno tenutasi presso di lui, non ebbe pronunciato un lungo discorso di elogio di suo fratello e non lo ebbe esortato a ricercare quella virtù che gli era così prossima. Tifone si infiammò ed era evidente che era furioso, ma per pudore nei confronti dei presenti trattenne le mani, temperante per necessità. Tuttavia, dal volto si poteva dedurre il suo stato d’animo, che alternava variegate forme di passione; così, in pochissimo tempo, assunse tutti i colori. Si fece allora più ostile verso quell’uomo e si comportò nei suoi confronti ancora peggio: distrusse i beni che quello aveva ricevuto da Osiride e gli procurò danni ulteriori, tormentando le città di cui aveva parlato a sostegno e tramando pure una pena personale; giunse al punto di impedirgli di tornare in patria e lo costrinse a restare a gemere e ad assistere alla fortuna di quelli che lo detestavano. Mentre lo straniero si trovava in questa situazione, un dio lo confortò, manifestandosi chiaramente ed esortandolo a resistere. Disse che non per anni, ma per mesi, il destino aveva fissato che gli scettri egizi avrebbero tenuto in alto gli artigli delle fiere e in basso le creste degli uccelli sacri.57 Si trattava di un simbolo ineffabile. Lo straniero conosceva le scritte incise negli obelischi e nei sacri recinti, ma fu il dio a tradurgli il senso dei geroglifici e a rivelargli il segno del nuovo ciclo: “Quando” – disse – “coloro che sono attualmente al potere tenteranno di innovare anche il culto che ci è dovuto, aspettati che, subito dopo, i Giganti” – con questo termine intendeva gli stranieri – “siano scacciati, perseguitati dalle Furie da loro stessi

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ὑφ’ ἑαυτῶν· εἰ δὲ ὑπολείποιτό τι τῆς στάσεως καὶ μὴ ἅμα πᾶν ἐκτρίβοιτο, μένοι δὲ ὁ Τυφὼς αὐτὸς ἐν τοῖς τυραννείοις, σὺ δὲ μηδ’ ὣς ἀπογίνωσκε τῶν θεῶν. Σύμβολον ἄλλο σοι τοῦτο· ὅταν ὕδατι καὶ πυρὶ τὸν περὶ γῆν ἀέρα καθήρωμεν μεμολυσμένον ἐκ τῆς ἀναπνοῆς τῶν ἀθέων, τότε ἕψεται καὶ ἐπὶ τοὺς λοιποὺς ἡ δίκη, καὶ αὐτίκα προσδέχου τὴν ἀμείνω διάταξιν, ἐκποδὼν γενομένου τοῦ Τυφῶνος· τὰ γὰρ τοιαῦτα τῶν τεράτων ἡμεῖς πυρπολοῦντες καὶ καταβροντῶντες ἐλαύνομεν.» Ἐνταῦθα τῷ ξένῳ καὶ εὔδαιμον ἐδόκει τὸ πάλαι χαλεπὸν καὶ οὐκέτ’ ἤσχαλλε πρὸς τὴν ἀναγκαίαν μονὴν δι’ ἣν αὐτόπτης ἔμελλεν ἔσεσθαι τῶν θεῶν τῆς ἐπιφοιτήσεως. Καὶ γὰρ οὐδὲ ἀνθρώπινον ἦν εἰκάσαι δύναμιν ἀθρόαν, ἐν ὅπλοις οὖσαν καὶ ἐν εἰρήνῃ σιδηροφορεῖν νόμον ἔχουσαν, ἐξ οὐδεμιᾶς ἀντιστάσεως ἡττῆσθαι. Ταῦτα ἐλογίζετο μὲν ὅπως ἂν γένοιτο· λογισμοῦ δὲ ἐφαίνετο κρείττονα. Ἐπεὶ δὲ οὐ συχνοῦ χρόνου διεξελθόντος πονηρόν τι κόμμα θρησκεύματος καὶ παραχάραγμα ἁγιστείας, ὥσπερ νομίσματος, ὅπερ νόμος ἀρχαῖος ἐξοικίζει τῶν πόλεων, θύραζε καὶ πόρρω τειχῶν ἀποκλείων τὸ ἀσέβημα· ἐπειδὴ τοῦτο ὁ Τυφὼς οὐκ αὐτοπρόσωπος δέει τοῦ Αἰγυπτίου πλήθους, ἀλλὰ διὰ τῶν βαρβάρων εἰσφρῆσαί τε ἐπέθετο καὶ ἱερὸν ἐν ἄστει δοῦναι, καταλύσας νόμους πατρῴους, αὐτίκα ὁ ξένος ἐπὶ νοῦν ἐβάλλετο ὅτι τοῦτο ἄρα ἐκεῖνο τοῦ θεοῦ τὸ προαγόρευμα· «τάχ’ ἂν οὖν καὶ τὰ ἐφεξῆς ἴδοιμι.» Καὶ προσεδέχετο, μαθὼν τότε τὰ μὲν αὐτίκα ἐσόμενα περὶ Ὄσιριν, τὰ δὲ ἐς τοὺς οὔπω παρόντας ἐνιαυτούς, ὅταν Ὥρῳ τῷ παιδὶ γνώμη γένηται συμμαχίαν ἑλέσθαι πρὸ τοῦ λέοντος λύκον. Ὁ δὲ λύκος ὅστις ἐστίν, ἱερὸς λόγος ἐστίν, ὃν οὐχ ὅσιον ἐξαγορεύειν οὐδὲ ἐν μύθου σχήματι.

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evocate. Se anche parte di quel gruppo dovesse restare, se anche non dovesse essere annientato completamente in un’unica volta, se pure Tifone dovesse rimanere nel suo palazzo, anche così, tu non perdere la speranza negli dèi. Eccoti un altro segno. Quando con l’acqua e con il fuoco avremo purificato l’aria che circonda la terra, contaminata dal respiro degli empi, allora anche sui restanti si abbatterà la giustizia, e aspettati immediatamente un ordine migliore, non appena Tifone sarà stato scacciato: mostri del genere noi li colpiamo con il tuono e li distruggiamo con il fuoco”. A quel punto allo straniero le difficoltà passate parvero opportune e non fu più afflitto da quel soggiorno forzato, grazie al quale sarebbe stato testimone diretto della venuta degli dèi. E infatti un uomo non avrebbe potuto immaginare che una forza compatta, armata, che osservava la regola di portare le armi pure in periodo di pace, sarebbe stata sconfitta senza neanche opporre resistenza. Pensava a come una cosa del genere sarebbe potuta accadere: ma gli pareva che superasse ogni ragionamento. Dopo non molto tempo comparve una forma di religiosità perversa, un culto contraffatto – come si contraffanno le monete –, che un’antica legge aveva bandito dalle città, tenendone l’empietà lontano dalle porte e dalle mura.58 Quando Tifone, non in prima persona, per timore del popolo egizio, ma per il tramite dei Barbari, si apprestò ad accoglierla e le concesse un tempio in città, violando le leggi dei padri, subito lo straniero si rese conto che si trattava della profezia che aveva ricevuto dal dio: “Forse allora” – si disse – “potrò vedere anche il resto”. E se ne rimase in attesa, conscio della sorte di Osiride sia nell’immediato futuro che negli anni a venire, quando a suo figlio Horus sarebbe venuta l’idea di fare un’alleanza con il lupo anziché con il leone.59 Chi sia il lupo concerne un racconto sacro, che non sarebbe pio rivelare, seppure sotto forma di mito.

ΛΟΓΟΣ ΔΕΥΤΕΡΟΣ

1.  Ἄρχεται δὲ ὑποσημαίνειν ἐνθένδε τὰ τῶν θεῶν ἐπειδὴ πάντα πανταχοῦ πάντων κακῶν ἔμπλεα ἦν καὶ ἤδη τῆς τῶν ἀνθρώπων γνώμης ἐξερρύηκεν δόξα προνοίας, τῆς ἀσεβοῦς ὑπονοίας ἐκ τῶν ὁρωμένων μαρτυρουμένης. Ἐφαίνετο μὲν οὐδὲν οὐδαμοῦ πρᾶγμα ἀνθρώπινον ἀλέξημα, τῶν βαρβάρων στρατοπέδῳ τῇ πόλει χρωμένων. Τῶν δὲ ὅ τε στρατηγὸς νύκτωρ ἐδειματοῦτο, Κορυβάντων, οἶμαι, προσβαλλόντων αὐτῷ, καὶ πανικοὶ θόρυβοι μεθ’ ἡμέραν τὸ στράτευμα κατελάμβανον. Τοῦτο πολλάκις γενόμενον ἔκφρονάς τε αὐτοὺς ἀποδείκνυσι καὶ γνώμης ἀκρατεῖς, καὶ περιενόστουν καθ’ ἕνα καὶ κατὰ πλείους, ἅπαντες ἐοικότες τοῖς νυμφολήπτοις, νῦν μὲν ξιφουλκίας πειρώμενοι καὶ οἷον ἤδη πολεμησείοντες, νῦν δὲ αὖ πάλιν ἐλεεινολογούμενοι καὶ δεόμενοι σῴζεσθαι· ἀναθορόντες τε αὖ, νῦν μὲν ἐῴκεσαν φεύγουσι, νῦν δὲ διώκουσιν ὥσπερ εἰς τὸ ἄστυ κεκρυμμένης τινὸς ἀντιστάσεως. Ἀλλὰ αὐτόθι γε οὔτε ὅπλον οὔτε ὁ χρησόμενος ἦν, ἀλλ’ ἦσαν ἑτοίμη λεία παρὰ Τυφῶνος ἔκδοτοι. Ἔστι μὲν δὴ τοῦτο καὶ λίαν σαφὲς ὅτι καὶ τοῖς εὖ παρεσκευασμένοις, εἰ μὴ μέλλοιεν μάτην παρεσκευάσθαι, θεοῦ δεῖ, καὶ τὸ κρατεῖν οὐχ ἑτέρωθεν· τὸ δὲ εἰκὸς εἶναι τὸν ἄμεινον παρεσκευασμένον κρατεῖν ἀνοίᾳ κρινόντων ἀφαιρεῖταί τις τῆς ἀξίας τὴν αἰτίαν τὴν κρείττονα. Ὅταν γὰρ ᾖ καὶ τὰ παρ’ ἡμῶν ἐντελῆ, περιττὸς ὁ θεὸς εἶναι δοκεῖ καὶ ἀμφισβητεῖ τῆς νίκης παρεσκευασμένοις. Ἀμεσιτεύτου δὲ ὄντος τοῦ γινομένου καὶ μόνου τὴν αἰτίαν ἔχοντος τἀφανοῦς, οὐδὲν ἄλλ’ ἢ τῶν ἀπιστούντων ἐπιμελεῖσθαι θεοὺς ἀνθρώπων φαινόμενον ἔχομεν, οὐ λεγόμενον ἔλεγχον· ὁποῖον δή τι κἀκεῖνο ἐγίνετο. Οἱ θρασεῖς, οἱ νικῶντες, οἱ τεθωρακισμένοι, ὧν ἅπασα καὶ παιδιὰ καὶ σπουδὴ μελέτη τις ἦν

Libro secondo 1.  Iniziò allora a manifestarsi l’intervento degli dèi, poiché tutto, ovunque, era colmo di ogni male, e ormai la fede nella provvidenza era sparita dalla mente degli uomini, essendo questa empia congettura confermata dall’evidenza dei fatti. Nessuna azione umana sembrava poter giungere in soccorso da alcuna parte, giacché i Barbari utilizzavano la città come loro accampamento. Tuttavia, il loro comandante era soggetto a degli spaventi notturni, perché, credo, era assalito dai Coribanti,60 mentre durante il giorno degli attacchi di panico colpivano l’esercito. Questo fenomeno si ripeté più volte, facendoli sembrare privi di senno, come se avessero completamente perso il controllo del proprio raziocinio; vagavano in ogni direzione, singolarmente o in gruppo, tutti simili a dei posseduti. Ora provavano a sguainare la spada, come se desiderassero fare la guerra, ora, viceversa, parlavano come per suscitare compassione e chiedevano di essere risparmiati; poi, di nuovo, si lanciavano in una corsa, ora come per fuggire, ora come per inseguire, quasi fosse penetrata in città una qualche forza nemica occulta. Eppure, in città non vi erano né armi né alcuno in grado di utilizzarle, anzi, gli abitanti erano stati loro consegnati da Tifone come una preda di cui disporre liberamente. Risulta quindi fin troppo evidente che anche per coloro che sono ben preparati, se non vogliono che la loro preparazione sia vana, c’è bisogno del supporto della divinità, giacché non esiste altra causa di vittoria: reputando scioccamente che sia naturale che il più meritevole vinca, si priva la causa principale del suo ruolo. Quando i nostri progetti si realizzano, la divinità pare essere superflua e quasi si contende la vittoria con i più meritevoli. Ma quando ciò avviene senza alcun tipo di mediazione e sola causa è l’invisibile, abbiamo una confutazione manifesta, non verbale, di chi non crede che gli dèi intervengano nelle faccende umane. Qualcosa del genere accadde allora. Quegli intrepidi, quei vincitori, armati di corazza, per i quali ogni svago e impegno consistevano nell’addestramento alla guerra e alle manovre in batta-

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πολέμου καὶ παρατάξεως, ἱππεῖς ἐν ἀγορᾷ σὺν τάξει φοιτῶντες, ὑπὸ σάλπιγγι κατὰ λόχους κινούμενοι – καὶ γὰρ εἰ καπήλου τις δέοιτο καὶ εἴ τις ὑποδηματορράφου καὶ εἰ φαιδρῦναι τὸ ξίφος, τὴν ἑκάστου χρείαν ἅπαντες ἐδορυφόρουν τοῦ μηδὲ ἐν ταῖς ἀγυιαῖς διασπᾶσθαι τὴν φάλαγγα – οὗτοι τοὺς γυμνούς, τοὺς ἀόπλους, τοὺς καταπεπτωκότας ταῖς γνώμαις, τοὺς οὐδὲ εὐξαμένους νικᾶν, φυγῇ φεύγοντες ὑπὸ σύνθημα κοινὸν ἀνεχώρουν τοῦ ἄστεος, παῖδας, γυναῖκας καὶ τὰ τιμιώτατα κλέπτοντες ὡς οὐκ ἐνὸν φανερῶς καὶ τὰς Αἰγυπτίων ἀνδραποδίζεσθαι. Ταῦθ’ ἡ πληθὺς ὁρῶντες συσκευαζομένους αὐτοὺς οὔπω τοῦ γινομένου ξυνίεσαν, ἀλλ’ ἔτι μᾶλλον ἑαυτῶν ἀπέγνωσαν ὥστε οἱ μὲν οἴκοι σφᾶς αὐτοὺς κατακλείσαντες εἶχον, ἐκεῖ περιμένοντες τὸ πῦρ· οἱ δὲ πυρὸς σίδηρον ἀνθαιρούμενοι, θανάτου κουφότερον ὄργανον ἠγόραζον, οὐκ ἐπί τινα πρᾶξιν, ἀλλ’ ἑαυτούς, ὅταν ᾖ, προτενοῦντες εἰς τὴν σφαγήν· οἱ δὲ πλεῖν ἐπεβάλλοντο καὶ περιενόουν νήσους καὶ κώμας καὶ πόλεις ὑπερορίους. Ἐδόκει γὰρ ἅπαν τότε χωρίον ἐχυρώτερον εἶναι τῶν μεγάλων Θηβῶν, ἐν αἷς ἐπεποίητο τὰ Αἰγυπτίων βασίλεια. Ὡς δὲ καὶ μόλις αὐτοὺς καὶ κατὰ βραχὺ προσήγαγον οἱ θεοὶ τῷ τε πιστεῦσαι τοῖς γινομένοις τῷ τε ἀναθαρρήσαντας προελέσθαι σῴζεσθαι, τοῦτο καὶ λίαν ἄπιστον εἰς ἀκοὴν ἔρχεται. 2.  Γυνὴ πένης, μάλα πρεσβῦτις, παρά τινα τῶν πλαγίων πυλῶν ἐργασίαν εἶχεν, οὐκ εὐτυχῆ μὲν ἀλλ’ ἀναγκαίαν, τὼ χεῖρε ὀρέγειν εἴ τις ἐμβάλοιτο ὀβολόν. Αὕτη μὲν μάλα ὄρθριος ἐπὶ τὴν ἀγυρτικὴν καθέδραν ἀφῖκτο· δειναὶ γὰρ αἱ τοῦ βίου χρεῖαι φύσιν ὕπνου παραλογίσασθαι· καθεζομένη δὲ τὸ εἰκὸς ἐποίει, τοὺς διεγειρομένους ἐπὶ τὰ ἔργα προὔπεμπεν ἀγαθαῖς φήμαις καὶ τὴν ἡμέραν εὐηγγελίζετο καὶ ηὔχετο καὶ τὸν θεὸν ὑπισχνεῖτο ἵλεων. Πόρρωθεν οὖν ὁρῶσα τὸ δρώμενον ὑπὸ τῶν Σκυθῶν, ἐπειδὴ σαφῶς ἡμέρα τε ἦν καὶ οὐδὲν ἔληγον, ὥσπερ οἱ φῶρες, ἐκθέοντες καὶ εἰσθέοντες, πάντες

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glia, quei cavalieri che sfilavano in formazione in piazza, si spostavano suddivisi in plotoni al suono della tromba – infatti, se uno di loro doveva recarsi da un bottegaio, dal calzolaio o a farsi lucidare la spada, tutti i suoi compagni lo scortavano come guardie del corpo nella sua occupazione, per non disperdere la truppa per le strade –, tutti costoro, a un segnale convenuto, fuggendo precipitosamente dinanzi a dei cittadini indifesi, disarmati, abbattuti nell’animo, che avevano persino rinunciato a pregare per la vittoria, si ritirarono dalla città occultando figli, mogli61 e quanto avevano di più prezioso, come se alla luce del giorno non potessero asservire, degli Egizi, nemmeno le donne. La popolazione, vedendoli fare i bagagli, non capiva cosa stesse accadendo, anzi disperava ancora di più della propria sorte, al punto che alcuni si rinchiusero in casa, aspettandosi che la città fosse messa a fuoco; altri, preferendo il ferro al fuoco, si procurarono uno strumento di morte più lieve,62 non certo per agire, ma per offrire le loro stesse gole, quando fosse giunto il momento, alla lama. Altri cercarono di fuggire in battello, agognando isole, villaggi e città oltreconfine. Difatti, ogni luogo sembrava allora più sicuro della grande Tebe, nella quale era stata edificata la reggia degli Egizi. Quanto a come, lentamente, a poco a poco, gli dèi li indussero ad avere fiducia negli eventi e, riacquistato il coraggio, a preferire la salvezza, ecco l’incredibile racconto che è giunto alle nostre orecchie. 2.  Una donna povera, molto anziana, svolgeva, vicino a una delle porte laterali della città, la propria attività, quella non prospera ma necessaria di tendere la mano nel caso in cui qualcuno vi facesse cadere un obolo. Era giunta di buon mattino al suo posto di mendicante: le necessità della vita, infatti, sono eccellenti per ingannare la forza del sonno. Seduta, faceva quel che era ovvio che facesse: accompagnava con parole di buon augurio quanti si erano svegliati per andare a lavorare, annunciava una buona giornata, pregava, prometteva che la divinità sarebbe stata benevola. Vedendo da lontano gli Sciti in piena attività, ormai a giorno alto, e notando che non cessavano, come dei ladri, di entrare e di uscire di corsa, raccogliendo tutte le loro cose, si immaginò che quello

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σκευαγωγοῦντες, ἐνθύμιον ποιεῖται τοῦτον ἔσχατον ἥλιον ὄψεσθαι Θήβας· δρᾶσθαι γὰρ ταῦτα τοῦ μηδὲν ἐνέχυρον αὐτῶν ἔχειν τὸ ἄστυ ὥστε, ἐπειδὰν τάχιστα ἀποσκηνήσωσι, χειρῶν ἀδίκων ἄρξειν αὐτούς, ἀδεεῖς ὄντας τοῦ μή τι παραπολαύσωσιν, ὁμεστίων ὄντων τοῖς ἀδικουμένοις τῶν ἀδικούντων. Τόν τε οὖν κώθωνα τὸν ἀργυρολόγον ἀνατρέψασα, καὶ συχνὰ ἄττα ἀποδυραμένη τε καὶ θεοκλυτήσασα, «Ἀλλ’ ὑμᾶς γε, ἔφη, γῆς πατρῴας ἐκπεπτωκότας καὶ ἀλητεύοντας, ἐδέξατο μὲν Αἴγυπτος ὡς ἱκέτας, ἐχρήσατο δὲ οὐχ ὅσον μόνον ἱκέταις εἶχε καλῶς, ἀλλὰ καὶ πολιτείας ἠξίωσε καὶ γερῶν μετέδωκεν καί, τὸ τελευταῖον δὴ τοῦτο, κυρίους τῶν πραγμάτων ἐποίησεν ὥστε ἤδη τινὲς Αἰγυπτίων σκυθίζουσιν, ὠφελούσης αὐτοὺς καὶ τῆς προσποιήσεως. Αὐτὰ τὰ ὑμέτερα τῶν ἐπιχωρίων ἐπιτιμότερα. Ἀλλὰ τί ταῦτα; Τί μετασκηνοῦτε; Τί δὲ σκευαγωγεῖτε καὶ συσκευάζεσθε; Οὔ τί που ταῦτα ἐπὶ τοὺς εὐεργέτας δικάζουσιν ἀχαριστίᾳ θεοί; Καὶ γάρ εἰσι καὶ ἥξουσιν, εἰ καὶ κατόπιν Θηβῶν.» Ἡ μὲν εἰποῦσα πρηνῆ κατέβαλεν ἑαυτήν. Ἐφίσταται δέ τις Σκύθης τὴν κοπίδα σπασάμενος ὡς ἀπαράξων τῆς ἀνθρώπου τὴν κεφαλήν, ἣν λοιδορεῖσθαί τε ὑπετόπασεν καὶ καταφανὲς ποιῆσαι τὸ νυκτερινὸν ἔργον. Ὤιετο γὰρ ἔτι λανθάνοντας αὐτὸ δρᾶν ἐπεὶ μηδεὶς τῶν ᾐσθημένων εὔτολμος ἦν ἐξελέγχειν· καὶ ἡ μὲν ἔργον ἂν ἐγεγόνει σιδήρου. Ἐπιφαίνεται δέ τις, εἴτε θεὸς εἴτε κατὰ θεόν· ἑωρᾶτο δ’ οὖν ἄνθρωπος, ὃς ἀγανακτῶν τε δῆλος ἐγένετο καὶ κινήσας ἐφ’ ἑαυτὸν τὸν Σκύθην, ἐπιφερομένῳ τε ὑπαντιάζει καὶ τὴν πληγὴν φθάσας συναίρει τε καὶ καταβάλλει. Σκύθης ἐπ’ αὐτὸν ἄλλος καὶ ταχὺ τὸ αὐτὸ ἐπεπόνθει. Βοὴ τὸ ἐντεῦθεν καὶ συνθέουσιν ἄνθρωποι· τοῦτο μὲν βάρβαροι, τὰς σκευαγωγοὺς ἡμιόνους ἀφέντες, ὅσους ὁ καιρὸς πρὸς ἐξόδῳ κατείληφεν, ἤτοι μέλλοντες ἢ προεξελθόντες· ἀνέλυον γὰρ ὡς δι’ ἐλαχίστου τοῖς οἰκείοις ἀρήξοντες· τοῦτο δὲ ὅμαδος δήμου πολὺς ὤν. Ὁ μέν τις

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fosse l’ultimo giorno che Tebe avrebbe visto. Pensò che agissero in quel modo perché in città non restasse alcun loro pegno, così che, non appena si fossero accampati a una certa distanza, potessero dare inizio a “un’offensiva”63 senza il timore di subire qualche danno, come invece può accadere quando aggressori e aggrediti convivono nel medesimo ambiente. Dopo aver rovesciato la coppa nella quale raccoglieva le monete, dopo molti lamenti e dopo aver invocato gli dèi, disse: “Proprio voi, che siete stati scacciati dalla terra dei vostri padri e che andate erranti, l’Egitto ha accolto come supplici e ha trattato non solo come è opportuno trattare dei supplici, ma ha ritenuto persino degni della cittadinanza e ha incluso tra coloro cui spettano certi privilegi, rendendovi, in definitiva, padroni dello Stato, al punto che ormai alcuni Egizi si fingono Sciti, perché una tale simulazione conviene loro. Le vostre usanze sono tenute in maggiore considerazione di quelle locali. Quindi, perché vi comportate così? Perché spostate l’accampamento? Perché raccogliete le vostre cose e fate i bagagli? Non crediate che una tale forma d’ingratitudine verso i vostri benefattori non sia giudicata dagli dèi. Ci sono e interverranno, anche dopo la distruzione di Tebe”. Dopo aver così parlato, si gettò prona a terra. La sovrastò uno Scita, sguainando la spada per decapitarla, presumendo che li stesse insultando e che intendesse rivelare le loro attività notturne. Pensava infatti che stessero ancora agendo di nascosto, dal momento che nessuno di quelli che si erano accorti di loro aveva avuto il coraggio di dire nulla; e la donna sarebbe stata vittima della sua spada. Invece comparve qualcuno, forse un dio, forse simile a un dio: aveva l’aspetto di un uomo e, chiaramente indignato, attirò lo Scita contro di sé, gli si fece incontro mentre quello lo attaccava e, prevenendone il colpo, lo sollevò e lo rovesciò a terra. Lo attaccò un altro Scita e in breve subì la stessa sorte. Allora vi furono delle grida e degli uomini accorsero. Da un lato c’erano i Barbari, quanti al momento dello scontro erano già usciti dalla città e quanti erano in procinto di farlo: lasciarono i loro muli carichi di bagagli e tornarono indietro il più rapidamente possibile per soccorrere i loro compagni; dall’altro lato si era formata una gran folla di cittadini. Uno di questi, colpito, morì, un altro uccise uno

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ἀποθνήσκει πληγείς, ὁ δὲ ἀποκτείνει Σκύθην, καὶ τὸν ἀποκτείναντα αὖ Σκύθης ἄλλος καὶ ἀεί τις ἔπιπτεν καὶ ἀεί τις ἔκτεινεν ἀφ’ ἑκατέρας μερίδος. Τῷ γὰρ δήμῳ καὶ τὸ παρατυχὸν ἅπαν ὅπλον ἦν ἀναγκαῖον· ἦν δὲ αὐτῷ καὶ τοὺς κειμένους σκυλεύοντι χρῆσθαι τοῖς ξίφεσι, καὶ ζώντων παραιρουμένῳ· πλήθει γὰρ περιῆν τῶν ἀλλοφύλων, τῶν μὲν ἐστρατοπεδευκότων ὡς πορρωτάτω τοῦ ἄστεος, ὡς ἂν ἥκιστα φοβοῖντο τὸν λόχον, ὃν οὐκ ὄντα αὐτοῖς ὁ θεὸς ἀνεσείσατο, τοῦ μεθεῖναι τὴν πόλιν, ἣν μέσην εἶχον ἐν ταῖν χεροῖν· οἱ δέ, μερὶς ἐλάττων ἀνὰ τὴν πόλιν τοῦ πλήθους, ἀμφὶ τὰ ἔπιπλα εἶχον τοῦ μηδὲν ἐγκαταλειφθῆναι. Πολλαπλάσιοι οὖν, ὡς εἶχον, ἐλάττοσιν αὐτῶν συνεφέροντο τοῖς παρατυχοῦσιν ἀγχοῦ τῶν πυλῶν καὶ τοῖς ἀεὶ προσγινομένοις ὡς ἐπὶ ἔξοδον. Ἤιρετό τε ἡ βοὴ μείζων, καὶ τὰ τῶν θεῶν ἐνταῦθα δὴ καὶ σαφῶς διάδηλα γίνεται. Ἐπειδὴ γὰρ αἴσθησις τοῦ θορύβου τήν τε πόλιν, ὁπόση τὸ μέγεθος ἦν, ἐπέσχεν καὶ εἰς τὸ στράτευμα τῶν ἀλλοφύλων ἐξίκετο, ἑκάτεροι τοὺς ἑτέρους πάλαι δεδιότες ὡς ἐπιθησομένους, τοῦ δήμου μὲν ἀνὴρ ἕκαστος, ταύτην ἐκείνην οἰόμενοι τὴν κυρίαν ἡμέραν Αἰγύπτῳ, καθ’ ἣν ἀπερυθριᾶσαι τοῖς βαρβάροις συνέκειτο, γνώμην ἐποιοῦντο δρῶντές τι καὶ παθεῖν καὶ σχεῖν ἐντάφιον ἀρετήν· ὡς τοῦ γε μὴ παθεῖν οὐδὲ θεὸς ἂν ἔδοξεν ἐγγυητὴς ἀξιόπιστος. Διωθοῦντο οὖν ἅπαντες ἐπὶ τὸ ἀεὶ ταραττόμενον, αὐτός τις ἕκαστος εἶναι βουλόμενος, οἰόμενος κερδανεῖν εἰ διακινδυνεύσειεν ὑπολειπομένων ἔτι μαρτύρων. Οἱ βάρβαροι δὲ τήν τε ἔξοδον ἐκεκλόφεσαν καί, πεφωρᾶσθαι νομίσαντες, τῶν μὲν ἐγκαταλελειμμένων ἠμέλουν – καίτοι πεμπτημόριά που μάλιστα τοῦ στρατεύματος ἦν –, αὐτοὶ δὲ περὶ σφῶν αὐτῶν δείσαντες μὴ ἐπεξέλθοιεν οἱ πολέμιοι, φυγὴν ἐποιοῦντο καὶ πορρωτέρω στρατοπεδεύουσι, χάριν εἰδότες ὅτι τῷ πλείονι περιεσώθησαν, τῷ παντὶ κινδυνεῦσαι μελλήσαντες. Τῶν δὲ ἐγκαταλειφθέντων οἱ μὲν ἐν ταῖς οἰκίαις, καὶ οὗτοι διὰ τὸ πάλαι θεοπληγεῖς τε εἶναι καὶ ὕποπτοι πείσεσθαι Σκύθας ὑπὸ

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Scita, un altro Scita uccise a sua volta l’uccisore, e senza sosta da entrambe le parti uno cadeva e uno uccideva. Per il popolo qualunque arma capitasse a tiro era essenziale: potevano spogliare i morti e utilizzarne le spade, oppure impossessarsi di quelle dei vivi. Per numero erano superiori agli stranieri, poiché di questi molti si trovavano accampati il più lontano possibile dalla città, per non dover temere un attacco, che certo non esisteva, ma che un dio agitava dinanzi a loro, affinché abbandonassero la capitale, il cui centro era ancora nelle loro mani; quanti si trovavano in città, dediti a sistemare i bagagli per non lasciare nulla, costituivano una parte più piccola ed erano appunto in minoranza rispetto alla folla di cittadini. In vantaggio numerico, insomma, questi si scontrarono con quegli stranieri che si trovavano già vicino alle porte e contro quelli che, senza interruzione, sopraggiungevano con l’intento di uscire dalla capitale. Si sollevò un clamore ancora più forte e fu allora che l’intervento degli dèi divenne perfettamente manifesto. Quando la notizia del tumulto si diffuse per la città in tutta la sua estensione e giunse pure all’esercito degli stranieri, giacché da entrambe le parti vi era da tempo il timore che l’altro attaccasse, ciascun cittadino pensò che si trattasse del giorno decisivo per l’Egitto, nel quale i Barbari avevano già stabilito di non avere alcun ritegno, e decise di agire e morire, facendo del valore il proprio sudario. Del fatto che non sarebbero morti, infatti, neppure un dio avrebbe potuto fornire loro una garanzia degna di fede. Si precipitarono allora tutti nel centro del tumulto, poiché ognuno desiderava spiccare, ritenendo che valesse la pena di esporsi al pericolo, finché fossero rimasti dei testimoni. I Barbari che erano riusciti a celare la loro partenza, pensando di essere stati scoperti, non si curarono dei loro compagni rimasti in città, che pure rappresentavano un quinto dell’esercito. Poiché temevano che i nemici, compiendo una sortita, attaccassero anche loro, si diedero alla fuga e si accamparono ancora più lontano, felici di aver messo in salvo la parte più consistente dell’armata, piuttosto che correre dei rischi per mantenerla unita. Degli Sciti che erano stati abbandonati in città, alcuni si trovavano all’interno delle case e, colpiti da tempo dalla divinità e già timorosi di subire un’irrime-

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Αἰγυπτίων κακὸν ἀνήκεστον, ἐπιδρομήν τε ἐπὶ τοὺς ἐξελθόντας ὡς ἐπὶ φυγάδας ᾤοντο γεγονέναι, καὶ αὐτίκα διαρπασθήσεσθαι τὸ στρατόπεδον, σφίσι δὲ ὄφελος ἂν γενέσθαι κατὰ χώραν αὐτοῦ μένουσιν εἰ τά τε ὅπλα καταθεῖντο καὶ ἱκέται καθίζοιντο· δόξαι γὰρ ἂν διὰ τοῦτο καὶ μόνους ὑπολελεῖφθαι, τῷ μηδὲν κακὸν εἰργάσθαι τὰ Αἰγυπτίων· ἐκείνους δέ, οἷς ἐδεδράκεσαν τὸ παθεῖν ἔνδικα φοβηθέντας, ἐκστῆναι τοῦ ἄστεος. Μόνοι δὲ ἄρα οἱ παρατυχόντες ταῖς πύλαις, καὶ περὶ οὓς ἦν τὸ δεινόν, ἠπίσταντο τἀληθὲς ὅτι μηδὲν ἦν καρτερὸν Αἰγυπτίοις συντεταγμένον, οὐχ ὁπλίτης, οὐχ ὅπλον, οὐκ ἀκοντιστής, οὐκ ἀκόντιον. Ποιοῦνται δὲ γνώμην ἐκ τῶν παρόντων, εἰ δύναιντο, κρατήσαντες τῶν πυλῶν εἰσκαλέσαι τοὺς μάτην πεφοβημένους· ἀναρπασθῆναι γὰρ ὅλην ὥσπερ νεοττιὰν τὴν πόλιν. Καὶ συνίσταται μάχη περὶ αὐτῆς καρτερά, ἐν ᾗ κρατοῦσιν Αἰγύπτιοι, καὶ ἐπινίκιον παιανίζουσι. Δέος ἄλλο τοῦτο τοῖς τε εἴσω καὶ τοῖς ἔξω βαρβάροις· διαπεπρᾶχθαι γὰρ ᾤοντο τοῖς Αἰγυπτίοις τὸ ἔργον οὗτοί τε εἰς ἐκείνους καὶ εἰς τούτους ἐκεῖνοι, ὥστε ἀλλήλους ἐπῴμωζον· οὐδὲ φθάνουσιν οἱ κεκρατηκότες θύρας τε ἁπάσας ἐπιθέντες ἁπάσαις πύλαις – οὐ μικρὸν ἔργον ἐν Θήβαις· ἑκατομπύλους αὐτὰς Ἕλληνες ᾄδουσι –, καί τις τῶν μετασχόντων τοῦ περὶ τὰς πύλας ἀγῶνος ἐπ’ αὐτὸ τοῦτο διαδραμὼν ἐκ μέσων τῶν ὅπλων ἐξαγγέλλει τε καὶ ὑπισχνεῖται τοῖς Σκύθαις τὴν πόλιν· οἱ δὲ μάτην παρῆσαν, ἑνὶ καιρῷ τὴν τύχην ἐπαινέσαντες καὶ μεμψάμενοι. Τέως μὲν γὰρ ὡς ἔξω γεγονότες δικτύων, τότε ἐφ’ ἑαυτοῖς ὑπερήδοντο· ἔπειτα μέντοι καὶ διαρραγῆναι τοῦ τείχους ἠξίωσαν ὑπὲρ τοῦ πάλιν ἐπιβατεῦσαι τοῦ ἄστεος. Οὕτως ἄμαχον χρῆμα σοφία θεοῦ, καὶ οὔτε ὅπλον ἰσχυρὸν οὔτε νοῦς εὐμήχανος, ὅτῳ μὴ παρείη θεός· ὥστε ἤδη τινὲς ἐφ’ ἑαυτοὺς ἐστρατήγησαν. Καί μοι δοκεῖ παγκάλως εἰρῆσθαι θεοῦ παίγνιον ἄνθρωπον εἶναι,

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diabile disfatta da parte degli Egizi, pensavano che coloro che erano usciti, in quanto fuggiaschi, fossero stati inseguiti e che a breve anche il loro accampamento sarebbe stato razziato; ritennero dunque preferibile rimanere sul posto, deporre le armi e prostrarsi supplici. Poteva sembrare infatti che fossero stati lasciati soli perché non avevano commesso alcun torto nei confronti degli Egizi; e che invece avessero abbandonato la città quelli che, a causa delle loro azioni, temevano di subire la giusta punizione. Soltanto quelli che si trovavano nei pressi delle porte e che erano più esposti al pericolo conoscevano la verità, ovvero che gli Egizi non possedevano alcuna forza organizzata, alcun soldato, alcuna arma, alcun lanciatore di giavellotto, alcun giavellotto. Vista la situazione, venne loro in mente di impossessarsi, se possibile, delle porte e di richiamare quei loro compagni che si erano fatti prendere dal panico senza ragione: l’intera città, infatti, poteva ancora essere presa come un nido d’uccello. Ebbe dunque luogo un aspro scontro in prossimità delle porte, dal quale tuttavia uscirono vincitori gli Egizi, che intonarono un canto di vittoria. Questo mise ulteriore paura ai Barbari, sia a quelli che si trovavano all’interno che a quelli che si trovavano all’esterno della città: i primi pensarono che gli Egizi avessero sgominato i secondi, i secondi che gli Egizi avessero sgominato i primi, così che si commiserarono a vicenda. I vincitori però non ebbero il tempo di serrare tutte quante le porte; d’altronde, non era un compito da poco a Tebe, celebrata dai Greci come Tebe “dalle cento porte”.64 Uno di coloro che aveva partecipato allo scontro nei pressi delle porte, di sua iniziativa, riuscì quindi a correre via dal centro della mischia e a riferire quanto stava accadendo agli Sciti, assicurando loro che potevano ancora prendere la città. Risultò però inutile la presenza di questi ultimi, che, allo stesso tempo, lodavano e biasimavano la loro sorte. Fino ad allora, difatti, si erano rallegrati molto fra di loro per essere riusciti a sfuggire a quella gabbia; adesso invece intendevano creare una breccia nelle mura per poter nuovamente accedere alla città. A tal punto è imbattibile la saggezza divina: nessuna arma è potente, nessuna mente è ingegnosa, se viene meno il sostegno della divinità; alcuni avevano addirittura combattuto contro loro stessi. A

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παίζοντος ἀεὶ τοῖς πράγμασι καὶ πεττεύοντος. Ὅμηρόν τε οἶμαι τοῦτο πρῶτον Ἑλλήνων κατανοήσαντα, ποιῆσαι μὲν ἀγῶνα καὶ ἆθλα προθεῖναι παντοίας ἀγωνίας ἐπὶ Πατρόκλῳ κειμένῳ· ἐν ἅπαντι δὲ μειονεκτοῦσιν οἱ κρατήσειν ἐπιδοξότεροι. Τεῦκρος ἀσήμου τοξότου τὰ δευτερεῖα κομίζεται, καὶ λοῖσθος ἀνὴρ ὥριστος ἐλαύνει μώνυχας ἵππους,

καὶ εἰς ποδῶν ἀρετὴν νέος ἡττᾶται πρεσβύτου καὶ εἰς τὴν βαρεῖαν ἀγωνίαν Αἴας ἐλέγχεται. Καίτοι τοῦτον αὐτὸς ἀνακηρύττει τῶν εἰς Ἴλιον ἀθροισθέντων μακρῷ πάντων πλὴν Ἀχιλλέως τὸν ἄριστον. Ἀλλὰ καὶ τέχνη, φησί, καὶ μελέτη καὶ ἡλικία καὶ τὸ φύσει διενεγκεῖν μικρὰ πάντα πρὸς τὸ δαιμόνιον. 3.  Αἰγύπτιοι δὲ ἐπειδὴ λαμπρῶς ἤδη τῶν πυλῶν ἐκράτουν καὶ τὸ τεῖχος ἐπεποίηντο μέσον σφῶν καὶ τῶν πολεμίων, ἐπὶ τοὺς ἐγκαταλελειμμένους τρεπόμενοι χωρὶς ἑκάστους, ἅμα πολλοὺς ἔβαλλον, ἠκόντιζον, ἔπαιον, ἐκέντουν· τοὺς ἐρυμνόν τι καταλαβόντας ἔτυφον ὥσπερ σφῆκας, αὐτοῖς ἱεροῖς, αὐτοῖς ἱερεῦσι, δεινολογουμένου καὶ κεκραγότος Τυφῶνος, ἐπειδὴ καὶ τὰ ἀμφὶ τὴν τοῦ θείου δόξαν ἐσκύθιζεν, ἠξίου τε ἐπικηρυκεύεσθαι τοῖς βαρβάροις, καὶ αὖθις ἔπραττεν ὡς ἂν εἰσφρήσοι τὸ στράτευμα τὸ πολέμιον, ὡς οὐδενὸς γεγονότος ἀνηκέστου δεινοῦ. Οἱ δέ, ὁ δῆμος, αὐτοκέλευστοι πάντες, ἀστρατήγητοι, πλὴν τά γε παρὰ θεῶν αὐτός τις ἕκαστος στρατηγός τε καὶ στρατιώτης, λοχαγὸς καὶ λοχίτης. Τί δὲ οὐκ ἂν γένοιτο βουλομένου θεοῦ καὶ ἐνδόντος ὁρμὴν ἀνθρώποις εἰς τὸ πάσῃ μηχανῇ σῴζεσθαι; Οὔτε οὖν τὰς πύλας ἐπέτρεπον ἔτι Τυφῶνι, καὶ τὰ ἄλλα ἡ τυραννὶς ἄψυχος ἦν, ἐπειδὴ τὸ συστῆσαν αὐτὴν ἐξεπεπτώκει τῆς πόλεως. Ἐκκλησία δὴ πρώτη περὶ τὸν ἱερέα τὸν μέγαν, καὶ πῦρ ἱερὸν ἥπτετο, καὶ εὐχαὶ

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me sembra che si dica assai giustamente che “l’uomo è un giocattolo della divinità”,65 con le cui vicende, senza sosta, si diverte e gioca a dadi.66 Credo che Omero sia stato il primo tra i Greci a rendersene conto, e abbia rappresentato per questo delle gare, ponendo dei premi per ogni tipo di gara, in occasione del funerale di Patroclo: in tutte, coloro che sembravano più prossimi alla vittoria vengono battuti. Teucro ottiene il secondo posto dopo un arciere sconosciuto,67 “per ultimo l’uomo migliore riporta i cavalli solidunghi”,68

nella corsa il più giovane si dimostra inferiore al più anziano69 e nella lotta con le armi pesanti Aiace è sconfitto.70 Eppure lo stesso Omero proclama che Aiace era di gran lunga il più forte di tutti i Greci che si erano riuniti a Troia, fatta eccezione per Achille.71 Ma l’abilità – aggiunge –, la pratica, l’età, la superiorità naturale, tutto questo è poco a confronto della divinità.72 3.  Quando gli Egizi ebbero ormai il pieno controllo delle porte ed ebbero posto le mura tra loro e i nemici, si rivolsero contro gli Sciti che erano stati abbandonati in città, singolarmente o a gruppi, e gli lanciarono contro molti dardi e giavellotti, li percossero, li trafissero con le spade. Quelli che erano riusciti a raggiungere qualche luogo fortificato furono bruciati come vespe, assieme ai loro templi e ai loro sacerdoti,73 mentre Tifone si lamentava e gridava, dal momento che aveva favorito74 la religione degli Sciti, e chiedeva di negoziare con i Barbari e ancora agiva affinché l’esercito nemico potesse entrare in città, come se non fosse stato commesso alcun crimine irrimediabile. Ma i cittadini, il popolo, agivano di propria iniziativa, senza alcun comandante, eccetto il fatto che, per volontà degli dèi, ciascuno era generale e soldato, capitano e fante. Cosa non può accadere infatti, se la divinità lo desidera e infonde agli uomini la volontà di salvarsi con ogni mezzo? Non concessero più a Tifone di disporre delle porte; comunque, la tirannide era ormai agonizzante, essendo stato cacciato fuori dalla città il suo sostegno. Vi fu allora una prima assemblea tenuta dal sommo sacerdote,75 fu acceso il sacro fuoco76 e furono

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χαριστήριοι μὲν ὑπὲρ τῶν διαπεπραγμένων, ἱκετήριοι δὲ ὑπὲρ τῶν πεπραξομένων. Εἶτα Ὄσιριν ᾔτουν ὡς οὐδὲν ἄλλο πρὸ τοῦ τῶν πραγμάτων σωτήριον· ὁ δὲ ἱερεὺς αὐτόν τε ὑπέσχετο τῶν θεῶν διδόντων, καὶ εἰ δή τινες αὐτῷ συνεπεπτώκεσαν, αἰτίαν ἔχοντες ὁμογνώμονες εἶναι· Τυφῶνα δὲ ἔδοξε καιρόν τινα βουκολῆσαι. Ὁ δὲ ἐπεὶ μὴ ταχὺ τὸ εἰκὸς ἐπεπόνθει – τὸ δὲ εἰκὸς ἦν σφάγιόν τε καὶ πρόθυμα τοῦ πολέμου γενέσθαι τὸν αἰτιώτατον Αἰγυπτίοις τοῦ χρόνον τινὰ Σκύθαις δουλεῦσαι –, ἐπεὶ δ’ ἀνεβάλλετο αὐτὸν ἡ Δίκη σοφή τε οὖσα καὶ εἰδυῖα καιροὺς ταμιεύεσθαι, ὁ δὲ καὶ τὸ πᾶν ᾠήθη καταπροΐξεσθαι τῶν θεῶν. Ὢν δ’ ἐπὶ τοῦ σχήματος ἔτι τῆς τυραννίδος, ἐπιμελέστερον ἠργυρολόγει καὶ αἴσχιον ὥστε ἤδη τὸ δεύτερον καὶ παρὰ τῶν ὑπηρετῶν ἠρανίζετο, νῦν μὲν ἀνατεινόμενος ὅτι δράσει κακὸν ἐξαίσιον, ἕως ἠδύνατο, νῦν δ’ αὖ πάλιν ταπεινός τε καὶ ἐλεεινολογούμενος, «ἵνα, φησί, μὴ τῆς τυραννίδος ἐκπέσοιμι.» Τοσοῦτον ἄρα ἀπόπληκτος ἦν καὶ τὸν νοῦν ὄντως ἐτετύφωτο ὡς ἐλπίσαι θωπείᾳ καὶ χρήμασι τὸν ἱερέα περιελεύσεσθαι· τῷ δὲ οὐκ ἦν θέμις πρὸ τῶν πατρίων ἀργύριον τίθεσθαι. Ἀλλὰ καὶ ἀναζεύξαντας ἀνὰ κράτος τοὺς ἀλλοφύλους καὶ πορρωτάτω γενομένους Θηβῶν ἀποστόλοις καὶ ἱκέταις καὶ δώροις αὖθις ἐπανήγαγεν· ἅπαν τε ἔργον αὐτοῦ καὶ στρατήγημα κήρυγμα λαμπρὸν ἦν τοῦ πάλιν αὐτὸν προπιεῖσθαι τὰ Αἰγύπτια τοῖς βαρβάροις. Δῆλός τε ἦν μάλιστα μὲν ἀδεὴς αὐτὸς ὢν τό γε ἐπὶ τοῖς φιλτάτοις Σκύθαις· εἰ δὲ μή, καὶ ἄσμενος ὑπὲρ τοῦ μὴ ζῶν Ὄσιριν ἐπιδεῖν τυχόντα καθόδου καὶ γενόμενον ἐν τοῖς πράγμασιν. Ἐπεὶ δ’ οὖν οἵ τε βάρβαροι σαφῶς οὐκ ἐπὶ τῷ μετασχηματίσαι τὰ Αἰγυπτίων, ὥσπερ πρότερον ἐδεδράκεσαν, ἀλλ’ ἐπὶ τῷ πρόρριζα ἀνελεῖν καὶ Σκυθικῶς πολιτεύσασθαι τῇ χώρᾳ προσέβαλον καί, καθάπαξ εἰπεῖν, τὸ πραττόμενον πολέμου καὶ στάσεως δυοῖν κακῶν ἀμφοῖν εἶχε τὰ χαλεπώτατα – στάσεως μὲν τὰς οἴκοθεν

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innalzate delle preghiere, di ringraziamento per quanto era avvenuto, di supplica per quanto doveva ancora accadere. Poi i cittadini implorarono perché tornasse Osiride, giacché non vi era stato alcun altro “strumento di salvezza”77 per le loro vicende: il sommo sacerdote promise il suo ritorno, in accordo con gli dèi, nonché il ritorno di quanti erano stati con lui allontanati, con l’accusa di essere suoi partigiani. Parve anche opportuno ingannare Tifone per qualche tempo. Egli, in effetti, non scontò subito la giusta punizione, anche se sarebbe stato adeguato che divenisse vittima e offerta sacrificale per la guerra, essendo il maggior responsabile, agli occhi degli Egizi, del fatto che per un certo periodo di tempo erano stati assoggettati dagli Sciti. Per questo, poiché la Giustizia, saggia e capace di disporre le occasioni, aveva rimandato il suo castigo, quello credette che sarebbe totalmente scampato alla vendetta degli dèi. Poggiando ancora formalmente su un potere tirannico, iniziò a esigere denaro in maniera ancora più aspra e turpe di prima, al punto di riscuotere una seconda volta le imposte dai suoi servi, ora minacciando violente ritorsioni, finché poteva, ora ritornando umile e rivolgendo patetici discorsi: “È perché” – diceva – “io non venga cacciato dal potere”. Era talmente stupido, e la sua mente era a tal punto illusa, da sperare di raggirare il sommo sacerdote con lusinghe e ricchezze: ma a quello la legge divina impediva di anteporre il denaro alle tradizioni dei padri. Anche quando gli stranieri furono costretti con la forza a levare il campo e si trovarono lontanissimi da Tebe, con dei messaggeri, delle suppliche e dei doni, Tifone li fece tornare indietro. Ogni sua azione, ogni suo stratagemma, era un segno evidente della sua intenzione di riconsegnare l’Egitto ai Barbari. Era lampante, per di più, che non aveva alcun timore dei suoi cari Sciti; anche in caso contrario, sarebbe stato comunque felice di non rivedere in vita sua Osiride compiere il proprio ritorno e porsi di nuovo al comando. Poiché dunque era chiaro che i Barbari avrebbero attaccato il paese non per riformare le istituzioni egizie, come avevano fatto in precedenza, ma per distruggerle dalle fondamenta e imporre un governo scitico, la situazione presentava al contempo, per dirla in breve, gli aspetti più gravi di due flagelli differenti, la guerra e la sedizione:

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ἐνδόσεις καὶ προδοσίας, ὧν ἥκιστα πόλεμος πειρᾶται· πολέμου δὲ τὸ κοινὸν ἁπάντων εἶναι τὸν κίνδυνον –, ἐπεὶ αἵ γε στάσεις, τὸ κοινὸν ἀξιοῦσαι σῴζειν, τὴν ἡγεμονίαν ἀπὸ τῶν ἐχόντων ἑτέροις μνηστεύουσι, τότε δὲ ἀπ’ ἀμφοῖν περιῆν ἄμφω τὰ χείρω, Αἰγυπτίων δὲ οὐδεὶς ὑπελείπετο, ᾧ μὴ νεμεσητὰ ὁ τύραννος καὶ φρονεῖν ἐδόκει καὶ πράττειν, καὶ ὅστις παμπόνηρος ἦν, ὑπὸ τοῦ δέους σωφρονιζόμενοι. Τοῦτο δὲ ἦν ὃ περιμένειν ἐδέδοκτο τοῖς θεοῖς, τοῦ μηδὲν ἐμπύρευμα τῆς ἐναντίας αἱρέσεως ἐν τῇ πολιτείᾳ λανθάνειν ὑποτρεφόμενον, ἔχον τινάς, εἰ μὴ δικαίας, ἀλλ’ οὖν εὐπροσώπους τοῦ κακοῦ παραιτήσεις. Ὀψὲ δὴ τότε σύνοδος θεῶν καὶ γερόντων ἐπὶ Τυφῶνι γίνεται καὶ ἀνακαλύπτεται τὰ πάλαι πᾶσι καθ’ ἕνα θρυλούμενα, γυναῖκες ἀμφίγλωσσοι ταῖς μὴ συνιείσαις ἀλλήλων τὰς γνώμας ἐξερμηνεύουσαι τῇ τε Αἰγυπτίᾳ τὰ τῆς βαρβάρου, καὶ ἔμπαλιν θατέρᾳ τὰ τῆς θατέρας· καὶ ἀνδρόγυνοι καὶ ἀπογραφεῖς, ἅπαντες οὗτοι τῶν ἐπ’ Ὄσιριν Τυφῶνί τε καὶ τῇ γυναικὶ παρασκευασθέντων, καὶ αὐτῶν ἔναγχος ἐγχειρουμένων ἐπὶ δεινότατα τεκμήρια, καταλήψεις τε ἐπικαίρων χωρίων ἐνδόντος αὐτοῦ, καὶ μονονοὺ προσαγομένου τὴν πολιορκίαν, ἵνα περιστῇ τὰ δεινὰ τὴν πόλιν τὴν ἱεράν· σπουδή τε πᾶσα ἐφ’ ᾧ διαβῆναι τοὺς Σκύθας καὶ τοῦ ῥεύματος ἐπὶ θάτερα, ἵνα μὴ ἐξ ἡμισείας τὰ Αἰγύπτια πράττῃ κακῶς, πάντα δὲ πανταχόθεν αἴροιτο καὶ μὴ σχολάζοιεν ἐπιζητεῖν Ὄσιριν. Τούτων ἀναδειχθέντων, ἄνθρωποι μὲν εἰς τὸ αὐτὸ καταδικάζουσιν αὐτοῦ φρουράν τε καὶ περὶ τοῦ τί χρὴ παθεῖν ἢ ἀποτῖσαι, δεύτερον ἐπ’ αὐτῷ καθεδεῖν δικαστήριον· θεοὶ δὲ τοὺς μὲν παρόντας συνέδρους ἐπῄνεσαν, ὡς ἀποχρῶντα κατεγνωκότας· αὐτοὶ δέ, ἐπειδὰν ἀπολίπῃ τὸν βίον Τυφώς, ἐψηφίσαντο Ποιναῖς τε αὐτὸν παραδοῦναι καὶ ἐνεῖναι τῷ Κωκυτῷ καὶ τελευτῶντα παλαμναῖον εἶναι καὶ Ταρτάριον δαίμονα, χρῆμα μετὰ τῶν ἀμφὶ Τιτᾶνας καὶ Γίγαντας· τὸ δὲ Ἠλύσιον μηδὲ ὄναρ ποτὲ ἰδεῖν, σχολῇ

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della sedizione i cedimenti interni e i tradimenti, che la guerra sperimenta molto poco; della guerra la percezione di un pericolo collettivo, giacché le sedizioni mirano piuttosto a preservare il bene comune, cercando di togliere il potere a coloro che lo detengono per consegnarlo ad altri. Insomma, in quel frangente si riscontravano i peggiori aspetti di entrambi quei flagelli e non restava nemmeno un Egizio al quale non sembrasse che il tiranno meditasse e compiesse atti indegni; anche i più scellerati erano ricondotti alla ragione dalla paura. Era proprio questo che agli dèi era parso bene attendere, affinché non fosse segretamente alimentato nello Stato alcun focolaio della fazione avversa, implicante delle pressioni – se non legittime, anche solo speciose – a compiere il male. Tardivamente, si tenne allora un’assemblea degli dèi e degli anziani a proposito di Tifone, nella quale fu svelato ciò che tutti già da tempo dicevano in privato. Delle donne bilingui traducevano, per quelle che non si intendevano fra di loro, le varie opinioni dalla lingua egizia a quella barbara e viceversa.78 C’erano anche degli eunuchi e degli informatori – tutti facenti parte del gruppo riunito contro Osiride da Tifone e sua moglie –, i quali apportavano delle testimonianze terribili, relative a fatti appena avvenuti: lo stesso Tifone stava concedendo l’occupazione di luoghi strategici e quasi conduceva l’assedio, affinché la città sacra fosse stretta dai pericoli; metteva tutto il suo impegno affinché gli Sciti attraversassero il fiume fino all’altra riva, di modo che l’Egitto non sperimentasse il male solo a metà ma fosse completamente distrutto in ogni suo luogo e non ci fosse il tempo di mettersi alla ricerca di Osiride. Dopo che tutto questo fu reso noto, gli uomini, all’unanimità, condannarono Tifone al carcere e decisero di istituire un secondo tribunale per fissare ciò che doveva subire sulla sua persona o pagare come ammenda. Gli dèi si congratularono con i membri di quell’assemblea per aver emesso una sentenza soddisfacente; quanto a loro, decretarono che, nel caso in cui Tifone avesse perso la vita, sarebbe stato consegnato alle Furie e gettato nel Cocito, per divenire infine un demone maledetto del Tartaro, un essere affine ai Titani e ai Giganti.79 Non gli sarebbe stato concesso di vedere l’Eliseo neanche in sogno, ma un giorno avrebbe potuto, con gran fatica, alzare

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δὲ ἀνακύψαι ποτὲ καὶ ἐποπτεῦσαι φῶς ἱερόν, θέαμα ψυχῶν ἀγαθῶν καὶ θεῶν εὐδαιμόνων. 4.  Τὰ μὲν ἀμφὶ Τυφῶνι ταῦτα· ῥητὰ γὰρ πάντα. Τί γὰρ ἂν γένοιτο περὶ χθονίαν φύσιν ἱερὸν καὶ ἀπόρρητον; Ἱερολογεῖται δὲ καὶ τεθείασται τὰ Ὀσίριδος ὥστε κίνδυνος παραβάλλεσθαι πρὸς τὴν διήγησιν. Ἀλλὰ γένεσις μὲν αὐτοῦ, καὶ τροφαὶ καὶ προπαίδειαί τε καὶ παιδεῖαι καὶ ἡγεμονίαι μείζους καὶ ὅπως ἀρχαιρεσιασάντων θεῶν τε καὶ θείων ἀνδρῶν ἐπὶ τὴν μεγάλην ἀρχὴν κατέστη καὶ ὡς ἐπῆρξεν αὐτῇ καὶ ὡς ἐπ’ αὐτὸν ἡ συνωμοσία συνέστη καὶ εἰς ὅσον ἐκράτησεν καὶ ὡς οὐκ εἰς ἅπαν ἐξίκετο, ταῦτα μὲν οὐκ ἀνάξια κοινολογίας καὶ εἴρηται. Προσκείσθω δὲ ὅτι μηδὲ ἀνόνητος ἡ φυγὴ τῷ πάντα εὐδαίμονι· ἀλλ’ ἐν ἐκείνῳ γὰρ τῷ καιρῷ τὰς τελεωτάτας τῶν ἄνω θεῶν τελετὰς ἐτελέσθη τε καὶ ἐπώπτευσεν καὶ θεωρίᾳ προσανέσχεν τὸν νοῦν, σχασάμενος πολιτείαν. Λεγέσθω δὲ αὐτοῦ καὶ κάθοδος ἱερὰ καὶ δῆμοι στεφανηφόροι συγκαταγαγόντες αὐτὸν τοῖς θεοῖς ἤπειρον ὅλην ἐπὶ τῷ προπομπεῦσαι κατιόντας ἀμείψασθαι καὶ παννυχίδες καὶ δᾳδουχίαι καὶ διανομαὶ γερῶν καὶ ἐπώνυμον ἔτος καὶ τοῦ δυσμενοῦς ἀδελφοῦ δευτέρα φειδώ, ὃν ὀργῆς ἠρεθισμένου τοῦ δήμου παρῃτεῖτο καὶ θεῶν ἐδεῖτο σῴζειν αὐτόν, ἐπιεικέστερα δρῶν μᾶλλον ἢ δικαιότερα. 5.  Μέχρι τούτων ἀποτετολμήσθω τὰ Ὀσίριδος, τὰ δὲ ἐντεῦθεν «εὔστομα κείσθω», φησί τις, εὐλαβῶς ἱερολογίας ἁψάμενος. Τὰ πρόσω θρασείας ἂν γένοιτο γνώμης καὶ γλώττης, ἃ εὔφημα ἀτρεμείτω, συγγραφαῖς ἀνέπαφα, μὴ καί τις ἵν’ οὐ θέμις ὄμμα βάλῃσιν.

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la testa e ammirare la sacra luce, oggetto di contemplazione delle anime buone e degli dèi beati.80 4.  Questo per quanto riguarda Tifone: tutto ciò si poteva dire. Cosa può esserci infatti di sacro e di ineffabile a proposito di una creatura terrena? Viceversa, le vicende di Osiride sono l’oggetto di un discorso sacro e sono ispirate dalla divinità, ed è quindi rischioso affidarle a un racconto.81 Ciononostante, la sua nascita, la sua infanzia, la sua istruzione elementare e i suoi studi, le cariche più importanti da lui rivestite, come sia stato posto al potere supremo a seguito di un’elezione compiuta dagli dèi e dagli uomini divini, come abbia esercitato quel potere, come sia stata tramata una congiura contro di lui, fino a che punto questa sia riuscita ma come non abbia raggiunto il suo fine ultimo: tutto ciò era meritevole di divulgazione ed è stato detto. Si può aggiungere che nemmeno l’esilio fu inutile per quell’uomo perfettamente beato; anzi, proprio in quella circostanza “fu iniziato ai più perfetti misteri degli dèi celesti”,82 raggiunse la visione suprema e applicò la propria mente alla contemplazione, libero dagli impegni politici.83 Si può anche raccontare del suo sacro ritorno e che i cittadini, dopo aver contribuito al disegno divino di ristabilirlo, percorsero con delle corone in testa tutta la terra per scortare quelli che ritornavano dall’esilio; si possono ricordare le feste notturne, le fiaccolate, le distribuzioni di doni onorifici, l’anno eponimo,84 la rinnovata clemenza di Osiride nei confronti del malevolo fratello, per il quale, nonostante l’accesa ira del popolo, cercò di intercedere, chiedendo agli dèi di risparmiarlo, agendo più con indulgenza che con giustizia. 5.  Fin qui si può osare raccontare la storia di Osiride, ma oltre “si distenda un religioso silenzio”,85 come dice chi ha saputo approcciarsi ai discorsi sacri con precauzione. Rivelare il resto sarebbe proprio di una mente e di una lingua temerarie: che si conservi in religioso silenzio e non lo sfiori la scrittura, per paura che qualcuno “getti lo sguardo su ciò che non è lecito vedere”.86

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Ὅ τε γὰρ ἐκφήνας ὅ τε ἰδὼν νεμεσᾶται παρὰ τοῦ θείου, καὶ λόγοι Βοιώτιοι τοὺς ἐναλλομένους καὶ ἐποπτεύσαντας ὄργια Διονύσου σπαράττουσιν. Ἀγνωσία σεμνότης ἐπὶ τελετῶν καὶ νὺξ διὰ τοῦτο πιστεύεται τὰ μυστήρια καὶ ἄβατα σπήλαια διὰ τοῦτο ὀρύττεται, καιροὶ καὶ τόποι κρύπτειν εἰδότες ἀρρητουργίαν ἔνθεον. Μόνον ἴσως ἐκεῖνο θέμις εἰπεῖν, καὶ λέγομεν, ᾗ δυνάμεθα παρακαλύπτοντες τὰ ἀβέβηλα, ὅτι γηρῶν τε Ὄσιρις κυδίων ἢ νέος καὶ γέρας ἔσχε παρὰ θεῶν ἐπιστατῆσαι τῇ πολιτείᾳ μετὰ συνθήματος μείζονος, ὡς κρείττων ἀποδειχθῆναι τοῦ παρὰ ἀνθρώπων τι πάσχειν· καὶ τὴν εὐδαιμονίαν, ἣν παραδοὺς Αἰγυπτίοις ἐξίτηλον εὗρεν ὑπὸ τῶν Τυφωνίων καιρῶν, οὐκ ἀνεκτήσατο μόνον, ἀλλὰ καὶ ἀσύμβλητον τῇ προσθήκῃ πρὸς τὴν προτέραν ἐποίησεν, ὡς δοκεῖν ἐκείνην προοίμιον γεγονέναι τῆς ἐσομένης καὶ μόνην ὑπόσχεσιν, ποτὲ θρυλούμενον ποιηταῖς Ἑλλήνων, ὡς ἡ παρθένος ἡ νῦν ἀστρῴα, Δίκην, οἶμαι, καλοῦμεν αὐτήν, ἐπιχθονίη πάρος ἦεν, ἤρχετο δ’ ἀνθρώπων κατεναντίη· οὐδέποτ’ ἀνδρῶν οὐδέποτ’ ἀρχαίων ἠνήνατο φῦλα γυναικῶν, ἀλλ’ ἀναμὶξ ἐκάθητο καὶ ἀθανάτη περ ἐοῦσα· ὁμωρόφιος ἀνθρώποις ἐγίνετο. οὐ γὰρ λευγαλέου τότε νείκεος ἠπίσταντο οὐδὲ διακρίσιος περιμεμφέος οὐδὲ κυδοιμοῦ, αὕτως δ’ ἔζωον· χαλεπὴ δ’ ἀπέκειτο θάλασσα, καὶ βίον οὔπω νῆες ἀπόπροθεν ἠγίνεσκον, ἀλλὰ βόες καὶ ἄροτρα καὶ αὐτὴ πότνια λαῶν μυρία πάντα παρεῖχε Δίκη, δώτειρα δικαίων. Τόφρ’ ἦν ὄφρ’ ἔτι γαῖα γένος χρύσειον ἔφερβεν.

Ὡς, φησίν, οὐκ ἐχρῶντο θαλάσσῃ, χρυσοῖ δὲ ἦσαν ἄνθρωποι καὶ θεῶν ἐπιμιξίας ἐτύγχανον. Πλοίων δὲ εἰσελθόντων ἐνεργοῦς εἰς χρῆσιν βίου, τοσοῦτον ἀπεφοίτησεν ἡ Δίκη τῆς γῆς ὡς μόλις ὁρᾶσθαι νυκτὸς

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 5

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Colui che ha visto il sacro e lo rivela suscita la collera della divinità e le leggende beotiche raccontano che coloro che si sono introdotti e hanno osservato i misteri di Dioniso sono stati fatti a pezzi.87 L’ignoranza è sacra quando si tratta dei riti misterici: per questo si affidano alla notte e si scavano grotte inaccessibili, tempi e luoghi capaci di occultare le celebrazioni ispirate dalla divinità. Forse è lecito dire soltanto questo, e noi lo diciamo, dissimulando, per quanto possibile, quel che non deve essere rivelato: divenuto vecchio, Osiride fu ancora più glorioso che in gioventù e ottenne come ricompensa dagli dèi di amministrare lo Stato con un marchio d’autorità più elevato di prima,88 affinché apparisse superiore a qualunque offesa potesse essergli recata dagli uomini. Non soltanto ristabilì la felicità che aveva garantito agli Egizi in passato e che aveva trovato del tutto estinta dopo il periodo in cui aveva regnato Tifone, ma addirittura la accrebbe, al punto di renderla incomparabile alla precedente, che parve allora solo il preludio e la premessa di quella ventura. Qualcosa di simile cantarono in passato i poeti greci, a proposito di quella vergine che adesso è una costellazione89 e che chiamiamo, credo, Giustizia, la quale “si trovava un tempo sulla terra e se ne andava incontro agli umani; né degli uomini né delle donne disdegnava le antiche stirpi, ma si sedeva tra di loro, pur essendo immortale”.90 Alloggiava sotto lo stesso tetto degli esseri umani. “A quel tempo essi ignoravano la funesta discordia, l’astiosa contesa, il tumulto della guerra; si viveva semplicemente; l’aspro mare giaceva distante e le navi non recavano ancora viveri da paesi lontani; i buoi e l’aratro, ed ella stessa, signora dei popoli, Giustizia, dispensatrice di ciò che è legittimo,  tutto procuravano in abbondanza. Fu là, finché la terra nutrì la stirpe d’oro”.91

Al tempo in cui, dice il poeta, gli uomini non praticavano il mare, la loro stirpe era d’oro e godevano della relazione con gli dèi. Quando furono introdotte le navi, al servizio di una vita più produttiva, la Giustizia si allontanò a tal punto dalla terra che a stento

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αἰθρίας. Καὶ μέντοι καὶ νῦν ὁρωμένη στάχυν ἡμῖν προτείνει, καὶ οὐ πηδάλιον. Τάχα νῦν καταβαίη, καὶ πάλιν ἡμῖν αὐτοπρόσωπος διαλέξεται, [καὶ] σπουδασθείσης μὲν γεωργίας, ναυτιλίας δὲ ἀποσπουδασθείσης. Τάδε οὖν πάλαι περὶ αὐτῆς ᾀδόμενα ποιηταῖς οὐχ ἕτερος ἔσχεν χρόνος, ἀλλ’ ὁ τῆς ἐπικυδεστέρας βασιλείας Ὀσίριδος. Εἰ δὲ οὐκ εὐθὺ κατάγοντες αὐτὸν ἐκ τῆς μεταστάσεως, ἅμα πάντα ἐν χερσὶν ἔθεσαν οἱ θεοί, μηδὲν παρὰ τοῦτο ποιώμεθα. Οὐ χωρεῖ πολιτείας φύσις ἀθρόαν μεταβολήν, ὥσπερ ἐπὶ τὸ χεῖρον, οὕτως ἐπὶ τὸ ἄριστον. Κακία μὲν γὰρ αὐτοδίδακτον, ἀρετὴ δὲ σὺν πόνῳ κτᾶται. Ἔδει δὴ μεσεῦσαι τοὺς προκαθαίροντας, τὸ θεῖον σχολῇ καὶ τάξει βαδίζειν· τὸν δὲ ἔδει, πρὶν ἄσχολον εἶναι, πολλὰ μὲν ἰδεῖν, πολλὰ δὲ ἀκοῦσαι· συχνά τοι βασιλέως ἀκοὴ κλέπτεται. 6.  Ἀλλ’ εὐλαβητέον γὰρ ἤδη μή τι καὶ τῶν ἀρρήτων ἐξορχησώμεθα. Τὰ μὲν ἱλήκοι τὰ ἱερά· ἡμῖν δὲ τά τε πάλαι μαθοῦσι περὶ ἀδελφοῦ γενόμενα καὶ γινόμενα, θαυμαστόν τι φαίνεται καὶ ἄξιον φροντισθῆναι, τί ποτε ἄρα, ὅταν πού τις γένηται διαφέρουσα φύσις, οὐ κατὰ μικρόν, ἀλλὰ παρὰ πλεῖστον ἢ βελτίων ἢ χείρων – οἷον ἀμιγής τις ἀρετὴ πρὸς κακίαν ἢ κακία πρὸς ἀρετήν –, ἐγγύς που παραφύεται καὶ τὸ ἀντικείμενον ἄκρατον, ὡς ἐκ μιᾶς ἑστίας προϊέναι τὰ τοσοῦτον ἀπῳκισμένα καὶ μίαν εἶναι ταῖν δυεῖν βλάσταιν τὴν ῥίζαν. Πυθώμεθα οὖν φιλοσοφίας τί ποτε ἄρα αἰτιάσεται τοῦ παραδόξου πράγματος· ἡ δὲ ἴσως ἀποκρινεῖται, δανεισαμένη τι καὶ παρὰ ποιήσεως, ὅτι «Ὦ ἄνθρωποι, δοιοὶ γάρ τε πίθοι κατακείαται ἐν Διὸς οὔδει δώρων οἷα δίδωσι κακῶν, ἕτερος δὲ ἑάων.

Τὸ μὲν οὖν πολὺ κατ’ ἴσον ἢ παρὰ μικρὸν ἧσσον ἀφ’ ἑκατέρων ἐγχεῖ καὶ κίρνησιν ὥστε ἔχειν τῇ φύσει συμμέτρως. Ὅταν δέ ποτε

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 5-6

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la si può vedere in una notte stellata. E in verità, anche quando la vediamo adesso è una spiga92 che ci porge, non un timone. Forse discenderebbe anche oggi e di nuovo ci parlerebbe in prima persona, se ci impegnassimo nell’agricoltura e cessassimo di dedicarci alla navigazione. Ecco, il benessere cantato un tempo dai poeti a proposito di Giustizia non è stato proprio di nessun’altra epoca, eccetto quella del più glorioso regno di Osiride. Se gli dèi, dopo averlo fatto ritornare dall’esilio, non posero tutto quanto assieme nelle sue mani,93 noi non ci opponiamo a tale decisione. La natura dello Stato non sostiene infatti troppi cambiamenti tutti assieme, nel male come nel bene. La malvagità si apprende senza necessitare di alcun maestro, la virtù invece si guadagna con fatica.94 Fu quindi imprescindibile che, anzitutto, si interponessero gli spiriti purificatori e che poi, senza fretta e secondo l’ordine, procedesse la divinità. Era anche necessario che Osiride, prima di perdere ogni forma di ozio, vedesse e udisse molte cose: dalle quali spesso, in effetti, le orecchie di un re sono sottratte. 6.  Ma bisogna stare attenti adesso a non divulgare qualche verità ineffabile. Che il sacro possa esserci propizio. Ma a noi, che ormai da tempo ci occupiamo delle vicissitudini passate e presenti di un fratello, un elemento pare straordinario e degno di riflessione, ovvero la ragione per la quale, quando nasce una natura che si distingue non poco, ma molto, sia nel bene che nel male – ad esempio una virtù non commista a malvagità o una malvagità non commista a virtù –, le si sviluppi accanto il suo esatto opposto, così che da una sola famiglia procedono due esseri tanto distanti fra di loro e una sola radice è comune a due germogli.95 Interroghiamo dunque la filosofia su quale sia mai la causa di questo fenomeno paradossale. Risponderà, forse, prendendo a prestito le parole dalla poesia: “Uomini, ‘due giare sono piantate sulla soglia di Zeus, piene di doni che egli elargisce, l’una di mali, l’altra di beni’.96

Dunque Zeus, perlopiù, versa e mescola da entrambe le giare allo stesso modo o quasi, così da mantenere l’armonia naturale. Ma

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ἀπλήστως ἐγχέῃ θατέρας μερίδος καὶ γένηταί τις πατὴρ ἐπὶ τῷ φθάσαντι τῶν παίδων ἀκριβῶς εὐδαίμων ἢ κακοδαίμων, ἐπὶ τὸ λοιπὸν θάτερον ἀκριβῶς ἐστι τὸ λειπόμενον. Ὁ γὰρ θεὸς ὁ διανομεὺς ἀντανισώσει τὸ ἐνδεές, ἐπειδὴ δεῖ τὴν δαπάνην ἴσην εἶναι τοῖν πίθοιν, ᾗ καὶ τὴν ἀρχήν ἐστιν ἐν τοῖς γένεσι σπέρματα ἀπ’ ἀμφοῖν ἴσα καὶ ἓν ἄμφω γινόμενα τῷ λόγῳ τῆς κοινῆς φύσεως. Ὅταν δὲ ὁπωσοῦν καταχωρισθὲν προδαπανήσῃ τις θάτερον, ἀνεπίμικτον ἔχει τὸ λεῖπον.» Ταῦτα εἰποῦσα πείσειεν ἂν ἡμᾶς, ἐπειδὴ καὶ τῆς συκῆς ὁρῶμεν γλυκύτατον μὲν τὸν καρπόν, φύλλα δὲ καὶ φλοιὸν καὶ ῥίζαν καὶ πρέμνον ἅπαντα ὀπωδέστατα. Δόξειεν γὰρ ἂν ὅσον ἔχει χεῖρον ἡ φύσις τοῦ δένδρου, τοῦτο ἐν τοῖς οὐκ ἐδωδίμοις ὅλον ἐξαναλώσασα, ἀκραιφνὲς καταλιπεῖν ἐν τοῖς ἀκροδρύοις τὸ ἄριστον. Ταῦτ’ ἄρα γεωργῶν παῖδες· – ἀνασχώμεθα γὰρ καὶ φαύλων εἰκόνων, εἰ μέλλοιμεν πλέον ποιήσειν εἰς παραδοχὴν ἀληθείας –, ἐκεῖνοι τοίνυν ὑπὸ τῆς φύσεως ἴσως αὐτοδιδαχθέντες, δύσοσμά τε εὐώδεσι καὶ γλυκέα δριμέσι παραφυτεύουσιν, ἵνα τὸ ὅσον ἡ γῆ μοχθηρὸν ἔχῃ συμπεπλεγμένον, τοῦτο τῇ συγγενείᾳ πρὸς ἑαυτὰ σπῶντα, μόνον ἐάσῃ καὶ ἀπειλικρινημένον ἐν ταῖς βελτίοσι ῥίζαις τὸν χυμόν τε καὶ τὸν ἀτμὸν τὸν ἀμείνονα. Καὶ ἔστι τοῦτο πρασιᾶς καθαρτήριον. 7.  Ἐκ δὴ τοῦ λόγου συμβαίνει τρόπῳ γεωμετρικοῦ πορίσματος ἑτέρῳ συνανακύψαντος, παμπονήρους παίδων πρεσβυτέρους ἐν τοῖς γένεσι τίκτεσθαι. Καὶ τοῦτο σπερμάτων ἐν συγγενείᾳ γίνεται καθαρτήριον ὅταν γένεσιν ἀμολύντου καὶ εἰλικρινοῦς ἀρετῆς εὐτρεπίζῃ θεός· κᾆθ’ οὕτως περιΐσταται τὸ οἰκειότατον δόξῃ πάντων ἀλλοτριώτατον εἶναι· ὅπερ ἐν μὲν τοῖς κατὰ φύσιν ἔχουσιν οὐ μάλα ἐθέλει συμβαίνειν τοῖς ἡμιμοχθήροις τε καὶ ἐξ ἡμισείας χρηστοῖς· ἐν δὲ τοῖς τὴν φύσιν ὑπερφρονήσασι καὶ νεμηθεῖσι διακεκριμένας τὰς μερίδας αὐτῆς, ἃς ἐκείνη συμπεπλεγμένας ἔχει καὶ δίδωσιν, ἐν δὲ τούτοις θαυμαστὸν ἦν εἰ μὴ τοῦτο ἐγίνετο. Τοῦτο μὲν ἅλις

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 6-7

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qualora versi dall’una o dall’altra parte in maniera eccessiva e vi sia un padre perfettamente soddisfatto o insoddisfatto del suo primogenito, al secondo figlio non potrà che toccare, integralmente, il residuo. Il dio dispensatore, infatti, compenserà ciò che manca, poiché è necessario che la quantità versata dalle due giare sia identica. Così, in origine, i semi preposti alla generazione provenivano, identici, da entrambe le giare e sono poi divenuti, da dualità, unità, in ragione della comune natura. Se però, per un qualunque motivo, il contenuto di una giara è stato versato in anticipo, l’altro rimane puro”. Così dicendo, la filosofia potrebbe convincerci, poiché vediamo che anche il frutto del fico è estremamente dolce, ma le sue foglie, la corteccia, la radice, il tronco sono asprissimi. Sembrerebbe infatti che la natura dell’albero disperda tutto quel che possiede di deteriore nelle sue parti non commestibili, lasciando intatta nei frutti la sua parte migliore. Così fanno i lavoratori dei campi (accettiamo degli esempi semplici, se intendiamo ampliare la ricezione della verità). Questi, avendo forse appreso da soli dalla natura, coltivano piante fetide accanto a piante profumate e piante amare accanto a piante dolci, affinché le prime assorbano, in virtù dell’affinità, tutto ciò che la terra possiede, mescolato in sé, di cattivo, lasciando soltanto, purificato nelle migliori radici, il succo e l’odore di buona qualità. È questo il metodo con cui si purificano le aiuole. 7.  Da questo discorso consegue, alla maniera di un corollario geometrico che si ricava da un altro, che i primi figli a nascere, nelle famiglie, sono scellerati. È un modo per purificare i semi nella parentela, quando la divinità prepara la nascita di una virtù incorrotta e pura. Si evince, altrettanto, che quanto all’apparenza ci è più imparentato ci è in realtà massimamente estraneo. Questo non può in alcun modo accadere a quegli esseri nati secondo natura, che sono per metà cattivi e per metà buoni. Ma per coloro che trascendono la natura, ai quali le sue due parti – che essa possiede mescolate e che poi distribuisce – sono state assegnate separate fra di loro, sarebbe sorprendente se le cose stessero diversamente. Su questo si è detto abbastanza; ma un’altra questione si introduce e

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ἔχει παρὰ τοῦ λόγου· σκέμμα δὲ ἕτερον εἰσκυκλούμενον ἐπιζητεῖν ἔοικεν ἕτερον λόγον. Τὸ δὲ ἐν διαφόροις τόποις καὶ χρόνοις ταὐτὰ πολλάκις συμβῆναι καὶ γενέσθαι θεατὰς γηρῶντας ἀνθρώπους ὧν ἀκροαταὶ παῖδες ἐγένοντο βιβλίων λεγόντων ἢ πάππων, τοῦτό μοι δόκει τὸ παραδοξότατον εἶναι. Καὶ εἰ μὴ μέλλοι μένειν παράδοξον, ἄξιον αἰτιολογηθῆναι. Λέγωμεν οὖν ἀρχὴν οἰκείαν εὑρόντες· μὴ γὰρ οὔτε σμικρὸν οὔτε ῥᾷστον ᾖ φιλοσόφημα. Τὸν κόσμον ἓν ὅλον ἡγώμεθα τοῖς μέρεσι συμπληρούμενον· σύρρουν τε οὖν καὶ σύμπνουν αὐτὸν οἰησόμεθα· τὸ γὰρ ἓν οὕτως ἂν σῴζοι, καὶ οὐκ ἀσυμπαθῆ πρὸς ἄλληλα τὰ μέρη θησόμεθα. Πῶς γὰρ ἂν ἓν ὦσιν, εἰ μή τοι φύσει συνηρτημένα; Καὶ ποιήσει δὴ καὶ πείσεται παρ’ ἀλλήλων τε καὶ εἰς ἄλληλα· καὶ τὰ μὲν μόνον ποιήσει, τὰ δὲ μόνον πείσεται. Μετὰ τῆσδε τῆς ὑποθέσεως ἐπὶ τὸ σκέμμα βαδίζοντες, κατὰ λόγον ἂν αἰτιασόμεθα τῶν περὶ τὰ τῇδε τὸ μακάριον σῶμα τὸ κύκλῳ κινούμενον. Μέρη γὰρ ἄμφω, καὶ ἔστιν αὐτοῖς τι πρὸς ἄλληλα. Εἰ δὴ γένεσις ἐν τοῖς περὶ ἡμᾶς, αἰτία γενέσεως ἐν τοῖς ὑπὲρ ἡμᾶς, κἀκεῖθεν ἐνταῦθα καθήκει τὰ τῶν συμβαινόντων σπέρματα. Εἰ δή τις τοῦτο προσβάλοι, χορηγούσης ἀστρονομίας, τὰς πίστεις ἀποκαταστατικὰς εἶναι περιόδοις ἀστέρων τε καὶ σφαιρῶν, τὰς μὲν ἁπλᾶς, τὰς δὲ συνθέτους, οὗτος τῇ μὲν ἂν αἰγυπτιάζοι, τῇ δὲ ἑλληνίζοι, καὶ σοφὸς ἂν εἴη τέλεος ἐξ ἀμφοῖν, νοῦν ἐπιστήμῃ συνάπτων. Ὁ τοιοῦτος οὖν οὐκ ἂν ἀπογνοίη τῶν αὐτῶν κινημάτων ἐπανιόντων συνεπανιέναι τὰ αἰτιατὰ τοῖς αἰτίοις, καὶ βίους ἐν γῇ τοὺς αὐτοὺς εἶναι τοῖς πάλαι καὶ γενέσεις καὶ τροφὰς καὶ γνώμας καὶ τύχας. Οὐκ ἂν οὖν θαυμάζοιμεν εἰ παμπάλαιον ἱστορίαν ἔμβιον τεθεάμεθα, καὶ ἐθεασάμεθά γε, εἰς ἅπαν ἐφαρμοσάντων τῶν προεξηνθηκότων τε ἤδη καὶ εἰς τοὺς συνεχεῖς μῆνας ἐξανθησάντων τοῖς ἐκφανθεῖσιν ὑπὸ τοῦ λόγου,

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 7

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sembra richiedere un altro discorso. Il fatto che in luoghi e tempi differenti spesso accadano le medesime cose, che degli uomini anziani assistano a degli avvenimenti di cui avevano sentito parlare quando erano bambini, leggendo dei libri o dai racconti dei nonni, questo mi pare essere quanto c’è di più strano. Se non vogliamo che resti un fenomeno bizzarro, è opportuno che se ne ricerchi la causa. Iniziamo a parlarne dopo aver trovato un punto di partenza appropriato: d’altronde, un problema filosofico non può essere trattato né in maniera sbrigativa né con estrema leggerezza. Consideriamo che l’universo è un tutto unico, colmato dalle sue parti; riterremo dunque che esso è permeato da un unico flusso e respiro. Può così infatti mantenere la propria unità; noi non considereremo le sue parti come prive di relazioni reciproche.97 Come potrebbero infatti costituire un’unità, se non fossero per natura connesse tra di loro? Eserciteranno, dunque, e subiranno reciprocamente un’influenza; alcune agiranno solamente, altre subiranno soltanto. Muovendo da questo presupposto, veniamo all’argomento in esame: secondo logica, riterremo causa di quanto avviene in questo mondo il corpo beato che si muove circolarmente. Vi sono due parti nell’universo, che si influenzano a vicenda. Se la generazione è propria di questo nostro mondo, la causa della generazione risiede nel mondo che ci è superiore, dal quale discendono qui i semi degli eventi. Se qualcuno, sulla scorta dell’astronomia, apportasse delle prove, alcune semplici, altre complesse, del fatto che le generazioni ricorrono con le rivoluzioni degli astri e delle sfere, costui parlerebbe al contempo come un Egizio e come un Greco, dimostrandosi, con l’attingere a entrambe le tradizioni, un sapiente completo e coniugando l’intelligenza con la scienza. Un uomo del genere non rifiuterebbe l’idea che, riproducendosi gli stessi movimenti celesti, gli effetti ritornerebbero con le loro cause e che le vite sulla terra sarebbero allora le stesse del passato, così come le generazioni, le forme di educazione, le opinioni, le fortune. Non dobbiamo dunque stupirci se assistiamo a una riproposizione della storia antica; e noi vi abbiamo assistito, giacché gli eventi che sbocciarono in precedenza, così come quelli che sono sbocciati nel corso degli ultimi mesi, si accordano alla perfezione

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ἐφαρμοσάντων δὲ τῶν ἐγκεκρυμμένων εἰδῶν εἰς τὴν ὕλην τοῖς ἀπορρήτοις τοῦ μύθου. Ὁποῖα ἄττα δ’ ἐστίν, ἐμοὶ μὲν οὔπω θέμις ἐξαγορεύειν αὐτά· εἰκάσει δὲ ἄλλος ἄλλο καὶ συγκύψουσιν ἐπὶ τὰ Αἰγύπτια συγγράμματα ἄνθρωποι λιχνείᾳ τοῦ μέλλοντος, ὧν ἂν ὁ μῦθος περισαλπίσῃ τὰ ὦτα, ἕλκοντες ἐκεῖθεν ἐπὶ τὰ παρόντα τὴν ᾐνιγμένην ἐμφέρειαν. Τὰ δ’ οὔτ’ ἀλλήλοις ὁμοφωνεῖ πρὸς ἀλήθειαν. Ἴστων μὴ οὐδὲ εὐσεβοῦντες οἷς ἐπιχειρήσουσι, προαναχωννύντες ὃ δεῖ τέως κατορωρύχθαι· κρύψαντες γὰρ ἔχουσι θεοὶ βίον ἀνθρώποισιν.

8.  Ὅ τοι Σάμιος Πυθαγόρας τὸν σοφὸν ἄλλ’ οὐδὲ θεάμονά φησιν εἶναι τῶν τε ὄντων καὶ γινομένων· παραγγεῖλαι γὰρ αὐτὸν εἰς τὸν κόσμον ὥσπερ εἰς ἀγῶνα ἱερόν, ἐφ’ ᾧ θεάσασθαι τὰ γινόμενα. Ἡμεῖς οὖν τὸ ἐνθένδε συλλογισώμεθα ποῖος ἂν ὁ τεταγμένος γένοιτο θεατής· ἢ σαφές τι δεῖ καὶ προὖπτον εἰπεῖν, ὡς ἐκεῖνος, ὅστις ἐν τῇ χώρᾳ περιμένει τὰ δεικνύμενα καθ’ ἕκαστον ἐν τάξει προκύπτοντα τοῦ παραπετάσματος; Εἰ δέ τις εἰς τὴν σκηνὴν εἰσβιάζοιτο καί, τὸ λεγόμενον, εἰς τοῦτο κυνοφθαλμίζοιτο, διὰ τοῦ προσκηνίου τὴν παρασκευὴν ἀθρόαν ἅπασαν ἀξιῶν ἐποπτεῦσαι, ἐπὶ τοῦτον Ἑλλανοδίκαι τοὺς μαστιγοφόρους ὁπλίζουσι· καὶ λαθὼν δέ, οὐδὲν σαφὲς εἰδείη, μόλις γε ἰδὼν καὶ συγκεχυμένα καὶ ἀδιάκριτα. Ἔστι μὴν ἅττα καὶ προαναφωνεῖσθαι νόμος ἐν τοῖς θεάτροις, καὶ δεῖ τινα προεξελθόντα διαλεχθῆναι τῷ δήμῳ τί μετὰ μικρὸν ὄψεται. Οὗτος οὐ πλημμελεῖ· τῷ γὰρ ἀγωνοθέτῃ διακονεῖται, παρ’ οὗ καὶ μαθὼν οἶδεν, οὐ πολυπραγμονήσας εἰδέναι οὐδὲ διὰ τοῦτο κινήσας τὰ ἀκίνητα, καὶ μαθόντα γε σιγᾶν δεῖ, πρὶν ἐπειχθῆναι δημοσιεῦσαι, ὅτε γε οὐδὲ ἀεὶ τοὺς ἀγωνιστὰς εἰδέναι τὸν καιρὸν τῆς ἀγωνίας ὁ

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 7-8

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con quanto è stato rivelato dal racconto; e anche le forme occulte della materia si accordano con i misteri ineffabili del mito. Di cosa si tratti, però, non mi è in alcun modo lecito rivelarlo; ciascuno darà la propria lettura; gli uomini, le cui orecchie il mito frastornerà, si getteranno su questi racconti egizi per la brama di conoscere il futuro, cercando di trarne una dissimulata rassomiglianza con gli accadimenti presenti. Ma la verità del mito e la verità degli eventi non coincidono perfettamente fra di loro. Quegli uomini sappiano che non si dimostreranno pii nei loro tentativi, poiché porteranno alla luce prematuramente quel che deve ancora rimanere sepolto: “gli dèi hanno fatto sì che la vita fosse per gli uomini nascosta”.98

8.  Pitagora di Samo afferma che il sapiente non è nient’altro che il contemplatore degli enti e del divenire, che si introduce nell’universo come si recasse a un sacro spettacolo, per assistere al corso degli eventi.99 Consideriamo dunque come debba essere tale spettatore, preposto a questo compito. È forse necessario dire in modo chiaro ed evidente che si tratta di qualcuno che, restandosene al suo posto, attende che gli si palesino innanzi delle cose, una per una, in ordine, che spuntano da dietro un sipario? Se qualcuno si introducesse a forza sulla scena e, come si dice, “vi gettasse uno sguardo come un cane impudente”,100 pretendendo di osservare tutti i preparativi oltre il proscenio, i giudici greci gli istigherebbero contro le guardie armate di frusta; e anche se riuscisse a farlo di nascosto, non comprenderebbe nulla chiaramente, ma intravedrebbe a stento degli oggetti confusi e indistinti. Esiste invero a teatro la regola di fare delle anticipazioni; qualcuno deve allora farsi avanti ed esporre al pubblico cosa vedrà di lì a poco. Costui però non commette alcuna violazione: egli è al servizio dell’organizzatore dello spettacolo, dal quale ha appreso quel che sa, e non brama di sapere di più, né per questo “muove ciò che è immobile”.101 Una volta che ha appreso quel che deve dire, è necessario che taccia, prima che gli si intimi di esporlo al pubblico, giacché la regola non permette sempre neppure agli attori di cono-

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νόμος ἐφίησιν, ἀλλὰ περιμένειν δεῖ καταπεμπόμενον τῆς προόδου τὸ σύνθημα. Οὕτως, ᾧ μὲν κοινοῦται θεὸς τὰς παρασκευὰς τῶν ἀποκειμένων ἐμβίων τῇ φύσει, προσκυνήσας τὴν τιμήν, μηδὲν ἧττον, εἰ μὴ καὶ μᾶλλον, τῶν ἀνηκόων ἐχεμυθείτω. Ὃ γὰρ ἐν ἀγνοίᾳ, στοχάζεται· τὸ δὲ εἰκὸς ἐπὶ πλεῖον χωροῦν, ἀσταθμητότατόν ἐστιν, καὶ περὶ αὐτὸ πλείους οἱ λόγοι· τοῦ δὲ ἀληθοῦς ὥρισται μὲν ἡ γνῶσις, ὥρισται δὲ ὁ λόγος. Ἀλλά τοι καὶ οὗτος ὑπὸ τοῦ σοφοῦ κεκρύψεται, πίστιν τινὰ ταύτην παρακατατιθεμένου θεοῦ. Καὶ γὰρ ἄνθρωποι τοὺς ῥεολόγους μισοῦσιν· ὃν δὲ οὐκ ἀξιοῖ ὁ θεὸς εἶναι μύστην μήτε προεξαλλέσθω, μήτε ὠτακουστείτω. Καὶ γὰρ ἄνθρωποι μισοῦσι τοὺς φιλοπράγμονας· ἀλλ’ οὐδὲ τὸ ἀσχάλλειν εὔλογον τὸν μετὰ μικρὸν τῶν ἴσων τευξόμενον. Βραχύς τοι χρόνος ἀνθρώποις τὴν ἀξίαν μερίζει, καὶ τελευτῶντα τὰ πράγματα κοινὰ γίνεται θεάματά τε καὶ ἀκροάματα· ἁμέραι δ’ ἐπίλοιποι μάρτυρες σοφώτατοι.

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racconti egizi sulla provvidenza ii, 8

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scere in anticipo il momento della prestazione, dovendo piuttosto attendere che sia dato loro il segnale dell’entrata in scena. Così, colui al quale la divinità rivela i preparativi per i viventi, affidati alla natura, dopo essersi prosternato dinanzi a un simile onore, deve tacere, non di meno ma di più rispetto ai non iniziati. Ciò che non si conosce, infatti, lo si congettura: ma quando la verosimiglianza si spinge troppo lontano, l’argomento si fa massimamente incerto e i discorsi in merito numerosi. Al contrario, la conoscenza del vero è ben delimitata, così come ben definito è il discorso che la esprime. E questo sarà appunto occultato dal sapiente, avendoglielo confidato la divinità: del resto, anche gli uomini hanno in odio i chiacchieroni. Colui che Dio non reputi degno di essere iniziato non si lanci in avanti e non origli: del resto, altrettanto, anche gli uomini hanno in odio gli impiccioni. E neppure è ragionevole che si irriti chi di lì a poco otterrà le stesse nozioni degli altri. È breve il tempo necessario agli uomini per ricevere parte di quanto spetta loro: ogni cosa finisce poi per esporsi alla vista e all’udito di tutti. “I giorni futuri saranno i testimoni più sapienti”.102

ΠΡΟΣ ΠΑΙΟΝΙΟΝ ΠΕΡΙ ΤΟΥ ΔΩΡΟΥ

A PEONIO, SUL DONO

1.  Ἀκούων σου πρώην ὑπὲρ φιλοσοφίας ἀγανακτοῦντος εἰ μηδὲν ἔσται πέρας ἀνθρώποις τῆς εἰς αὐτὴν ἀσεβείας καὶ ἅμα ὅτι χαλεπῇ χρῷτο τύχῃ καὶ λίαν ἀγνώμονι, ἣν οἱ μὲν προσποιούμενοι διὰ συχνῆς τερατείας εὐδοκιμοῦσι παρά τε δυνάσταις καὶ ἐν τοῖς πλήθεσιν, οἱ δὲ ἀληθεύοντες ἀπιστοῦνται καὶ ἐν Καρὸς μοίρᾳ τιμῶνται, τῆς μὲν ὁρμῆς ἠγάμην· ἀπὸ γὰρ πάνυ γενναίας προῆκτο φύσεως· οὐ μὴν ἀγανακτεῖν τινα οἴομαι δεῖν ὅταν τὸ κατὰ λόγον συμβαίνῃ. Εὔλογον δὲ δήπου τυγχάνειν ἕκαστον ὧν τυχεῖν ἐσπούδακεν, καὶ περὶ ἃ πεπραγμάτευται, καὶ ἀποτυγχάνειν αὖ πάλιν ἐκείνων ὧν οὔτε ὠρέχθη ποτὲ οὔτε ἐπεμελήθη ὅπως ἂν αὐτῷ παραγένοιτο. Εἰ τοίνυν ὁ μὲν ἐφρόντισεν τοῦ γενέσθαι σοφός, ὁ δὲ μόνον τοῦ δόξαι, ἑκάτερος τὸ προσῆκον ἔχουσιν, ὁ μὲν ὤν, ὁ δὲ εἶναι δοκῶν. Ἢ δεινά γ’ ἂν πάθοιεν καὶ δικαιότερον ἀγανακτοῖεν οἱ διὰ τῆς οὐκ οὔσης, ἀλλὰ φαινομένης φιλοσοφίας δόξαν θηρώμενοι εἰ τοῖς μὲν ἑκάτερον ὑπάρξει θατέρου φροντίσασι, σφίσι δὲ μηδέτερον. Καίτοι τὸ ῥᾷστον οὐ δι’ ἐλάττονος ἐπιμελείας ἐπιτετηδευκόσιν, ἀπατῆσαι τοὺς οὐκ εἰδότας περὶ ὧν ἀπατῶνται. Οὗτοι μὲν οὖν ἔστων λαμπροὶ κἀν τοῖς θεάτροις στεφανούσθων, εἰ βούλονται· τῆς γὰρ ἀληθείας παραχωρήσαντες, ὀνόματος ἠμφισβήτησαν. Ἡμῖν δὲ ὀλιγωρουμένοις – ἐπειδὴ σύ με βούλει τοῖς ἐκ τοῦ σπανίου γένους συναριθμεῖν, καὶ οὐχ ἥκιστα δι’ ἐμὲ τὴν φιλοσοφίας τύχην ἐδυσχέρανας –, ἡμῖν οὖν ἀμελουμένοις ὑπὸ τῶν ἀνθρώπων ἀγαπητέον τὴν τάξιν εἰς ἣν ὑφ’ ἑαυτῶν ἐτάχθημεν· καὶ οὐ ζηλωτέον οὐδὲ μακαριστέον

1.  Ti ho udito recentemente parlare in favore della filosofia, indignandoti del fatto che non ci sarà limite all’empietà degli uomini nei suoi confronti e, al contempo, del fatto che essa conosce una sorte difficile e decisamente crudele, poiché quelli che fingono di praticarla, con le loro continue ciarlatanerie, godono di buona reputazione presso i potenti e il popolo, mentre i veri filosofi non sono ritenuti degni di fede e sono stimati quanto dei Carii.1 Ho apprezzato il tuo impeto: proveniva da una natura veramente nobile. Ciononostante, non credo che ci si debba indignare quando accade qualcosa secondo logica. È infatti certamente razionale che ciascuno ottenga ciò che si è sforzato di ottenere, ciò per cui si è impegnato, e, all’inverso, che non ottenga quello cui non ha mai ambito e la cui realizzazione non si è premurato di assecondare. Se dunque l’uno si è preoccupato di diventare saggio e l’altro soltanto di sembrarlo, ciascuno possiede quel che gli si addice, l’uno di essere, l’altro di sembrare. Piuttosto, soffrirebbero terribilmente e si indignerebbero con maggiore ragione quelli che perseguono la gloria fondata non sulla filosofia reale ma sulla sua apparenza, nel caso in cui a quanti si sono dedicati alla vera filosofia toccasse anche la gloria, mentre a loro né l’una né l’altra. D’altronde, perseguono l’obbiettivo più facile ma con una non minore applicazione, ingannando quelli che non sanno rispetto a cosa vengono ingannati. Che siano famosi, che siano incoronati nei teatri, se lo desiderano; distanti dalla verità, si sono resi passibili di contestazione per un semplice appellativo.2 Quanto a noi, cui si dà una scarsa considerazione – poiché tu vuoi annoverarmi tra i membri di questa esigua famiglia3 e poiché soprattutto a causa mia ti sei indignato per la sorte della filosofia –, quanto a noi, dunque, che siamo trascurati dagli uomini, è opportuno che apprezziamo il ruolo che noi stessi ci siamo assegnati e che non invidiamo né reputiamo for-

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τοῦς ἡμιπαιδεύτους τούτους ὅταν ὑπὸ τῶν παντελῶς ἀπαιδεύτων μετέωροι φέρωνται. Οὔτε γὰρ ὁρᾶν ψυχῆς ἐκκεκαθαρμένης κάλλος οἱ μὴ καθαροὶ δυνατοί· καὶ τὸ κηρύττειν ἑαυτὸν καὶ πάντα ποιεῖν ὑπὲρ ἐπιδείξεως οὐ σοφίας, ἀλλὰ σοφιστείας ἐστί. Διὸ τῆς παρὰ τῶν ἀγελαίων ἀμοιροῦντας αἰδοῦς καλῶς ἔχει λέγειν οὔτι με ταύτης χρεὼ τιμῆς· φρονέω δὲ τετιμῆσθαι Διὸς αἴσῃ,

ἀγαπᾶν τε καὶ ἀσμενίζειν ἐντυχεῖν ἀνδρὶ φρόνησιν ἅμα καὶ δύναμιν κεκτημένῳ. Οὕτω γὰρ οὔτ’ ἀναξίοις ἂν συγγινοίμεθα οὔτ’ ἂν ἄτιμοι παντάπασι νομιζοίμεθα. 2.  Πῶς οὖν οὐ μέλλω τὴν μέσην ἐν τῇ ψυχῇ χώραν τῷ θαυμαστῷ Παιονίῳ νέμειν, ὃς ἐκ πολλοῦ διατετειχισμένας θριγκοῖς μεγάλοις φιλοσοφίαν καὶ στρατείαν ἐξεῦρεν ἐπαναγαγεῖν καὶ συνάψαι, παλαιάν τινα ἐνιδὼν τοῖς ἐπιτηδεύμασι τούτοις συγγένειαν; Ἰταλία μὲν γὰρ πάλαι τοὺς αὐτοὺς ἔχουσα Πυθαγόρου τε ἀκουστὰς καὶ τῶν πόλεων ἁρμοστάς, Ἑλλὰς ἡ μεγάλη προσηγορεύετο, καὶ μάλα ἐν δίκῃ, παρ’ οἷς Χαρώνδας μὲν ἐνομοθέτει καὶ Ζάλευκος, ἐστρατήγουν δὲ Ἀρχῦταί τε καὶ Φιλόλαοι, ὁ δὲ ἀστρονομικώτατος Τίμαιος ἐπολιάρχει τε καὶ ἐπρέσβευε καὶ τἆλλα ἐπολιτεύετο, παρ’ οὗ καὶ Πλάτων ἡμῖν περὶ κόσμου φύσεως διαλέγεται. Ταῦτ’ ἄρα μέχρις ἐνάτης ἀπὸ Πυθαγόρου γενεᾶς τὰ κοινὰ πιστευθέντες, εὐδαίμονα τὴν Ἰταλίαν ἐτήρησαν· καὶ μὴν τὸ Ἐλεατικὸν τότε Ἀθήνῃσι διδασκαλεῖον λόγων τε ἅμα καὶ ὅπλων ὁμοτίμως ἐπεμελήθησαν. Ζήνων τε γὰρ οὐδ’ ἂν ἀριθμήσαις ῥᾳδίως ὅσας ἐξέκοψε τυραννίδας, συνιστὰς ἐπ’ αὐτὰς τὸ ὑγιαῖνον τῶν πόλεων, καὶ Ξενοφῶν ἀπειρηκότας ὑπὸ τῶν συμφορῶν καὶ θανατῶντας ἤδη τοὺς μυρίους παραλαβών, ἀπ’ ἄκρας τῆς Περσῶν ἐπικρατείας κατήγαγεν νικῶντας ἅπαν τὸ ὑφιστάμενον. Τί δ’ ἄν τις εἴποι τὸ Δίωνα ἐπὶ τὴν Διονυσίου μοναρχίαν ἐλθεῖν, δουλωσαμένην μὲν τὰς Ἑλληνίδας ἐν Σικελίᾳ

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tunati quei sapienti a metà quando vengono esaltati da dei completi ignoranti. Gli uomini impuri non sono capaci di vedere la bellezza di un’anima perfettamente pura; e autocelebrarsi e fare di tutto per esibirsi non è certo proprio della sapienza, ma della sofistica. Per questo quando si è privi della considerazione della massa è bello dire “di codesto onore non c’è bisogno per me: credo di riceverne già dal volere di Zeus”4

ed essere paghi e contenti di incontrare un uomo che possiede al contempo giudizio e potere. Così, infatti, non avremo alcun rapporto con persone indegne e non saremo assolutamente ritenuti disprezzabili. 2.  Come non potrò allora attribuire il centro della mia anima all’ammirabile Peonio, che è riuscito ad accostare e a unire filosofia e arte militare (da molto tempo separate da delle grandi barriere), avendo notato tra queste due attività un’antica parentela? In passato, infatti, quell’Italia in cui le stesse persone ascoltavano gli insegnamenti di Pitagora e governavano le città fu chiamata Magna Grecia, e assolutamente a ragione: fu là che Caronda5 e Zaleuco6 legiferarono, che gli Archita7 e i Filolao8 condussero gli eserciti, che il più grande degli astronomi, Timeo – lo stesso sulla cui autorità si basa Platone quando parla della natura dell’universo –, fu a capo di una città, fu ambasciatore e svolse altre mansioni politiche.9 Il bene comune fu affidato ai pitagorici fino alla nona generazione dopo Pitagora10 e mantennero l’Italia prospera. A quel tempo anche ad Atene la scuola eleatica teneva le lettere e le armi in uguale considerazione. Non sapresti enumerare facilmente le tirannidi che Zenone11 ha estirpato riunendo contro di loro la componente sana delle città; Senofonte, fattosi carico dei Diecimila fiaccati dalle avversità e ormai desiderosi solo della morte, li condusse in salvo dagli estremi confini dell’impero persiano facendo loro superare ogni ostacolo.12 E che dire di Dione, che si oppose al potere monarchico di Dionisio, il quale aveva assoggettato le città greche – così come le più importanti città barbare – della Sicilia,

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πόλεις, οὐκ ἐλαχίστας δὲ ἐν αὐτῇ καὶ βαρβάρους, τὸ δὲ Καρχηδονίων φρόνημα καθελοῦσαν, ἐπινεμομένην δὲ ἤδη τῆς Ἰταλίας τὴν παραλίαν; Ἀλλ’ ἐπὶ ταύτην ξενολογήσας ὁ Πλάτωνος ἐραστὴς καὶ ἐρώμενος, ἑνὶ πλοίῳ καὶ τούτῳ στρογγύλῳ τὸ συμμαχικὸν ἅπαν ἐμβιβάσας, τῇ Σικελίᾳ προσέπλευσεν καὶ ἀπὸ τῆς τοσαύτης παρασκευῆς Διονύσιος μὲν ἐξηλαύνετο, τὴν πολιτείαν δὲ Δίων μετεσχημάτιζεν ἀποδιδοὺς τῇ τῶν νόμων ἡγεμονίᾳ τὰς πόλεις. Οὕτω πάλαι μὲν συνεγίνοντο φιλοσοφία καὶ πολιτεία, καὶ ἐπειδὰν συνέλθοιεν, τοιαῦτα εἰργάζοντο. Ὥσπερ δὲ τὰ ἄλλα τὰ καλὰ καὶ σεμνὰ καθ’ ὧν ἁπάντων ὁ χρόνος ἐνεανιεύσατο, καὶ τοῦτο κατιόντα τὸν βίον ἀπέλιπεν τὸ διττὸν εἶδος καὶ κατεχωρίσθη παρὰ τῶν ὕστερον. Τοιγαροῦν οὐδὲ ἄξιον εἰπεῖν ὅπως ἔχει τοῖς ἀνθρώποις τὰ πράγματα. Μὴ γὰρ διότι τοῦτο καὶ τἆλλα ἡμᾶς ἀπολέλοιπεν ἀγαθά, ὡς οὐδὲν ἂν γένοιτο πόλεσι δυστύχημα μεῖζον τοῦ τὸ μὲν ἰσχυρὸν ἀνόητον ἔχειν, τὸ δὲ ἔμφρον ἀδύνατον; 3.  Ἀλλ’ ἔοικας γὰρ αὐτὸς ἄρξων ἐπανάγειν ἡμῖν τὸν συνδυασμὸν τοῦτον· τά τε γὰρ κοινὰ πράττειν πιστεύῃ, καὶ φιλοσοφίαν οἴει δεῖν ἐπιτηδεύειν. Βάλλ’ οὕτως, ὡς ἀγῶνα καλὸν ὑπέρ τε ἡμῶν ὑπέρ τε τῶν Μουσῶν ἀγωνίζῃ, τοῦ μή τινα αὐτὰς ὡς ἀπράκτους καὶ ἄχειρας ἀγορᾶς τε καὶ στρατείας ἀπελαύνειν, ἅτε μηδὲν μὲν ὄφελος οὔσας εἰς τὰς ἐν ὑπαίθρῳ πράξεις, κομψὰς δὲ παιδαρίοις προσαθύρειν τε καὶ στωμύλλεσθαι. Καὶ ἡμᾶς σοι προσήκει χεῖρα ὀρέγειν ἑκάστους, ὅση δύναμις. Οὕτω γὰρ ἂν σύ τε ἀπειργασμένος εἴης οὐχ ἡμιτελὴς σοφὸς οὐδὲ κολοβός, ἐπὶ μόνης ὀχούμενος τῆς φυσικῆς ὑποσχέσεως· τῇ τε πολιτείᾳ καλῶς ἂν ἔχοι παρὰ τοιούτων ἐπιτροπεύεσθαι, καὶ ἡμεῖς ὀνησόμεθα τιμὴν ἐξ ἀνθρώπων φιλοσοφίᾳ μνηστεύσαντες μετὰ τοῦ μένειν ἐν ἤθεσι πρέπουσι· γένοιτο γὰρ ἂν οὕτως εἰκὸς τοὐναντίον τῷ μικρῷ πρόσθεν εἰκότι, ὅτε τῇ μὲν τοῦ πλήθους ἀμαθίᾳ τὸ σοφιστικὸν φῦλον ἐλέγομεν ἐπιτίθεσθαι· ἐκ δὲ τούτου συμβαίνειν τοὺς ἀληθεῖς φιλοσοφίας συντρόφους ἔλαττον ἔχειν εἰς δόξαν τῶν ὑποβολιμαίων καὶ παρεγγράπτων. Ἀλλ’ ὅταν οἱ τὰς ἀρχὰς ἄρχοντες καὶ διὰ χειρὸς ἔχοντες τὰ τῶν πόλεων πράγματα μὴ τοῦ πλήθους ὦσιν, ἀλλ’ ἔχωσι νοῦν, ταχὺ

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aveva piegato l’orgoglio dei Cartaginesi e aveva già invaso la costa italiana? Contro quel potere l’amante e l’amato di Platone arruolò dei mercenari, fece imbarcare tutto il contingente alleato su un’unica imbarcazione, peraltro mercantile, navigò alla volta della Sicilia; fu con tale equipaggio che scacciò Dionisio, riformò la costituzione, restituì le città all’autorità delle leggi.13 Così, in passato, coesistevano filosofia e politica, e quando si alleavano compievano simili imprese. Ma come le altre cose belle e nobili contro cui, senza eccezione, il tempo ha agito in maniera sconsiderata, anche questa coesistenza, con il passare della vita, ha abbandonato la sua duplice forma per poi scindersi. Ecco perché non vale la pena di trattare delle faccende umane. Non è forse per questo che abbiamo perduto anche altri beni, ovvero perché non c’è sciagura più grande per le città della forza priva dell’intelligenza e dell’intelligenza priva della forza?14 3.  Ma tu sembri apprestarti a ristabilire quella coppia presso di noi: ti si affida la gestione degli affari pubblici, ma al contempo ritieni che si debba praticare la filosofia. Continua così, poiché hai intrapreso una bella battaglia a favore nostro e delle Muse, affinché nessuno le scacci come vane e inette dalla piazza pubblica e dall’esercito, col pretesto che non sono di alcuna utilità nelle operazioni in campo aperto, ma capaci soltanto di giocare e chiacchierare con i bambini. Ed è opportuno che ciascuno di noi ti tenda la mano, per quanto può. Così infatti saresti un sapiente completo e non imperfetto e limitato, come nel caso in cui ti sostenessi soltanto sulla tua naturale predisposizione. Per lo Stato sarebbe un bene essere retto da uomini del genere, e noi non potremo che trarre vantaggio dal procurare alla filosofia il rispetto degli uomini, mantenendo al contempo dei costumi appropriati: così, infatti, potrebbe accadere il contrario di quanto mi pareva verosimile poco sopra, quando dicevo che la tribù dei sofisti si adopera per l’ignoranza della massa, da cui consegue che i figli autentici della filosofia sono meno esposti alla fama di quelli suppositi e bastardi. Al contrario, quando i governanti e quanti hanno nelle loro mani gli affari delle città non faranno parte della massa,

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διαγνώσονται τὸν νόθον τε καὶ τὸν γνήσιον· καὶ οὐκέτ’ ἂν χαλεπῶς ὁ δῆμος τὴν ἀπάτην μεταδιδάσκοιτο· οὐ γὰρ εἰπεῖν τι δεῖ πρὸς αὐτούς, ἀλλ’ ἀφανείᾳ διαγράψαι τοὺς κιβδήλους. Καὶ φύσις ἐστὶ διὰ τῆς τῶν ἀρχομένων συγκαταθέσεως θαυμάζεσθαι τὸ ἡγούμενον ἐπεὶ καὶ νῦν οὐχ ἥκιστα τῇ τῶν πραγμάτων ἀτοπίᾳ τὸ πλῆθος ἑπόμενον, τοὺς ἀκερσεκόμας καὶ πάντας τοὺς τολμῶντας περιττοὺς δή τινας ἥγηνται· τά τε ἄλλα ποικιλώτερα γένη τῶν σοφιστῶν μονονουχὶ σέβονταί τε καὶ ἅζονται, καὶ μάλιστα αὐτῶν ὅσοι βαίνουσι κορύνῃ, καὶ πρὸ τοῦ φθέγξασθαι χρέμπτονται. Οὐκοῦν καὶ βοηθήσεις τῇ τύχῃ φιλοσοφίας, ἀλλ’ οὐ κατηγορήσεις αὐτῆς οὐδὲν ἀδικούσης. Τὸ γὰρ εἰκὸς ἐφάνη γινόμενον, ὃ σὺ μεταθήσεις ἐπὶ τὸ προσῆκον καὶ βέλτιον ὅταν ἐρρωμενέστερόν σου τὰ φιλοσοφίας ἀνθάψηται, ἐπεὶ μηδὲ νῦν ἀγεννῶς ἐνῆρξαι τῆς συμμαχίας, τοὺς κύνας ἀνθυλακτήσας καὶ τὴν Δεκέλειαν ἡμῶν ἀποτειχίζειν ἐπιβαλλόμενος. 4.  Πυθόμενός τε οὖν περὶ σοῦ παρὰ τῶν προλαβόντων ἐπὶ τὴν σὴν συνήθειαν καὶ αὐτὸς δι’ ὀλίγου κατανοήσας ἐρῶ τοὺς ἀστρονομικοὺς σπινθῆρας ἐνόντας σου τῇ ψυχῇ τούτους ἐξάψαι καὶ ἐπὶ μέγα ἆραι διὰ τῶν ἐνόντων ἐπιβαλλόμενος· ἀστρονομία γὰρ αὐτή τε ὑπέρσεμνός ἐστιν ἐπιστήμη καὶ τάχ’ ἀναβιβασμὸς ἐπί τι πρεσβύτερον γένοιτ’ ἄν· ἣν ἐγὼ προσεχὲς ἡγοῦμαι πορθμεῖον τῆς ἀπορρήτου θεολογίας. Ὕλην τε γὰρ ὑποβέβληται τὸ μακάριον οὐρανοῦ σῶμα, οὗ καὶ τὴν κίνησιν νοῦ μίμησιν εἶναι τοῖς κορυφαιοτάτοις ἐν φιλοσοφίᾳ δοκεῖ· καὶ ἐπὶ τὰς ἀποδείξεις οὐκ ἀμφισβητησίμως πορεύεται, ἀλλ’ ὑπηρέτισι χρῆται γεωμετρίᾳ τε καὶ ἀριθμητικῇ, ἃς ἀστραβῆ τῆς ἀληθείας κανόνα τις εἰπὼν οὐκ ἂν ἁμάρτοι τοῦ πρέποντος. Προσάγω δή σοι δῶρον, ἐμοί τε δοῦναί σοί τε λαβεῖν πρεπωδέστατον, διανοίας μὲν ἔργον ἐμῆς, ὅσα μοι συνευπόρησεν ἡ σεβασμιωτάτη διδάσκαλος, χειρὸς δὲ τῶν καθ’ ἡμᾶς εἰς δημιουργίαν ἀργύρου τῆς ἀρίστης· περὶ οὗ προδιαλεχθεὶς προὔργου τι ἂν τῷ σκοπῷ

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ma saranno assennati, distingueranno subito il figlio bastardo da quello legittimo, e anche il popolo non avrà difficoltà a smascherare la frode. Non bisogna infatti rivolgersi a quegli impostori, ma annullarli, lasciandoli nell’oscurità. È naturale che, per mezzo della sottomissione di chi è comandato, la classe dirigente sia ammirata: anche adesso la massa segue totalmente degli atti assurdi, ritenendo degli uomini eccellenti i “capelluti”15 e tutti gli arroganti. Quanto alle altre svariate tribù di sofisti, poco ci manca che il popolo non le riverisca e le veneri, soprattutto quelli che camminano con un bastone e si raschiano la gola e sputano prima di parlare.16 Tu, allora, soccorrerai la sorte della filosofia, ma non le rivolgerai alcuna accusa, poiché essa non ha colpe. Ciò che sembrava verosimile si è avverato, ma tu lo modificherai in meglio, trasformandolo in quel che si conviene, quando la filosofia si sarà appresa più saldamente a te: adesso infatti hai intrapreso con nobiltà questa comune battaglia, abbaiando in risposta ai cani e accingendoti a fortificare la nostra Decelea.17 4.  Dopo aver preso informazioni su di te da coloro che mi hanno preceduto nella tua frequentazione e dopo averti osservato per un po’ di tempo io stesso, desidero attizzare quelle scintille di passione astronomica che si trovano nella tua anima, quindi cercare di elevarne una grande fiamma per il tramite delle tue innate qualità. L’astronomia è di per sé una scienza illustre, ma può forse servire ad ascendere a qualcosa di più alto: a mio avviso, è il tramite più appropriato per accostarsi all’ineffabile teologia. Il beato corpo del cielo sovrasta infatti la materia, e il suo moto è imitazione dell’intelletto secondo il parere dei sommi filosofi. L’astronomia procede alle sue dimostrazioni in maniera inconfutabile, ma ricorre pure all’ausilio della geometria e dell’aritmetica, che non sarebbe inopportuno definire regola infallibile di verità. Ti porgo dunque un dono, e si conviene perfettamente che io te lo offra e che tu l’accetti: si tratta di un’opera che ho concepito io stesso, per quanto sia stato aiutato dalla mia venerabile maestra18 e sia stata realizzata dalla migliore mano del nostro tempo per la lavorazione dell’argento.19 Vado a darti alcune spiegazioni preliminari al riguardo, pensando

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ποιήσαιμι. Ὁ δὲ σκοπὸς τὰς ἐν σοὶ φυσικὰς περὶ φιλοσοφίαν ὁρμὰς ἐκκαλέσασθαι. Εἰ γὰρ ἔφεσίς σοι παραγένοιτο τοῦ συντείνων τὰς ὄψεις ἐπιβαλεῖν τῷ φαινομένῳ, τότε σοι μεῖζον ὀρέξω δῶρον, τὰ περὶ τῆς ἐπιστήμης αὐτῆς. Ἀλλ’ ὅπως καὶ νῦν προσέξεις τοῖς λεγομένοις περὶ τοῦ δεικνυμένου. 5.  Σφαιρικῆς ἐπιφανείας ἐξάπλωσιν, ταὐτότητα λόγων ἐν ἑτερότητι τῶν σχημάτων τηροῦσαν, ᾐνίξατο μὲν Ἵππαρχος ὁ παμπάλαιος καὶ ἐπέθετό γε πρῶτος τῷ σκέμματι· ἡμεῖς δέ – εἰ μὴ μεῖζον ἢ καθ’ ἡμᾶς εἰπεῖν –, ἐξυφήναμέν τε ἄχρι τῶν κρασπέδων αὐτὸ καὶ ἐτελεώσαμεν, ἐν πλείστῳ δή τινι τῷ μεταξὺ χρόνῳ τοῦ προβλήματος ἀμεληθέντος, Πτολεμαίου τοῦ πάνυ καὶ τοῦ θεσπεσίου θιάσου τῶν διαδεξαμένων αὐτὴν μόνην ἔχειν ἀγαπησάντων τὴν χρείαν, ἣν ἀρκοῦσαν εἰς τὸ νυκτερινὸν ὡροσκοπεῖον οἱ ἑκκαίδεκα ἀστέρες παρείχοντο, οὓς μόνους Ἵππαρχος μετατιθεὶς ἐγκατέταξεν τῷ ὀργάνῳ. Καὶ συγγνώμη δὲ τοῖς ἀνδράσι, τῶν προὐργιαιτέρων ἀτελῶν ὄντων, γεωμετρίας ἔτι τιθηνουμένης, περὶ τὰς ὑποθέσεις ἀσχοληθῆναι. Ἡμεῖς δὲ ὑπὲρ τοῦ σῶμα πάγκαλον ἐξεργάσασθαι τῆς ἐπιστήμης, ἀπόνως αὐτοὶ παραδεξάμενοι, χάριν ἴσμεν τοῖς προηπορηκόσι τῶν μακαρίων ἀνδρῶν. Οὐ μὴν ἀφιλόσοφον φιλοτιμίαν ἡγούμεθα τὸ καὶ ὡραϊσμοὺς ἐπεισαγαγεῖν ἤδη τινὰς καὶ τεχνιτεῦσαί τι καὶ προσεξεργάσασθαι περιττόν. Ὥσπερ γὰρ αἱ πόλεις οἰκιζόμεναι πρὸς τὰ ἀναγκαῖα μόνα ὁρῶσιν, ὅπως ἂν σῴζοιντο καὶ ὅπως ἂν διαγίγνοιντο, ἐπιδιδοῦσαι δὲ οὐκέτ’ ἀγαπῶσι τὸ ἀναγκαῖον, ἀλλ’ ἡ δαπάνη πλείων αὐταῖς εἰς κάλλη στοῶν καὶ γυμνασίων μεγέθη καὶ λαμπρότητα ἀγορᾶς, οὕτως ἐπιστήμης ἡ μὲν πρόοδος ἐν τοῖς ἀναγκαίοις, ἡ δὲ αὔξησις ἐν τοῖς περιττοῖς. Τὸ δὴ σκέμμα τὸ περὶ τῆς ἐξαπλώσεως αὐτὸ δι’ αὑτὸ φροντίδος ἀξιώσαντες, ἐξεπονήσαμέν τε καὶ σύγγραμμα εἰργασάμεθα, πλήθει τε ἀναγκαίῳ καὶ ποικιλίᾳ θεωρημάτων αὐτὸ καταπυκνώσαντες, καὶ εἰς ὕλην μεταθεῖναι τοὺς λόγους σπουδὴν ἐθέμεθα, ἄγαλμα πάγκαλον

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che possano risultare utili allo scopo. E lo scopo è quello di sollecitare la tua naturale propensione alla filosofia. Nel caso in cui ti venisse il desiderio di gettare intensamente lo sguardo sull’oggetto visibile, io ti farò un dono ancora maggiore, la scienza stessa. Ma ti prego, adesso, di fare attenzione a quanto sto per dirti riguardo a quest’oggetto. 5.  Alla proiezione su un piano di una superficie sferica, che conservi identità di rapporti nella diversità delle figure,20 alluse oscuramente l’antico Ipparco,21 che per primo si dedicò al problema. Noi, se non risulta pretenzioso dirlo, l’abbiamo risolto, tessendone la trama fino all’orlo. Durante il lungo periodo intercorso, infatti, la questione è stata trascurata: il grande Tolomeo e il divino tiaso22 dei suoi successori si sono accontentati del suo mero utilizzo pratico, sufficiente a osservare le ore notturne, nel caso delle sedici stelle che, sole, Ipparco aveva riportato e sistemato sul suo strumento. Ma si deve perdonare a questi uomini – giacché non erano stati allora risolti i più importanti problemi e la geometria si trovava ancora in fasce – di aver lavorato sulla base di ipotesi. Anzi, siamo grati di aver costituito uno splendido corpo di scienza, da noi ereditato senza fatica, a quanti tra di loro si scontrarono per primi con delle difficoltà. Non riteniamo assolutamente che rispecchi un’ambizione contraria alla filosofia il fatto di aver introdotto degli ornamenti, aver assecondato un gusto artistico, aver approntato un oggetto raffinato. Come le città che, appena fondate, vedono soltanto ciò che è necessario per potersi preservare e durare e che, una volta sviluppatesi, non si accontentano più del necessario, ma fanno maggiori spese per abbellire i portici, ingrandire le palestre, rendere più maestosa la piazza pubblica, così i primi passi della scienza sono finalizzati alla soddisfazione delle necessità, il suo sviluppo al raggiungimento di una condizione superiore. Poiché il problema della proiezione della sfera mi è parso di per sé meritevole di studio, mi ci sono dedicato e ho redatto sull’argomento un trattato,23 nel quale ho condensato una massa necessaria e varia di teoremi; quindi mi sono sforzato di applicare i concetti alla materia e ho costruito una splendida riproduzione della superficie

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τοῦ κοσμικοῦ πλάτους δημιουργήσαντες. Τῆς δὲ αὐτῆς ἐφόδου καὶ ἐπίπεδον ἐπιφάνειαν καὶ τὴν ὁμαλῶς κοίλην εἰς τοὺς αὐτοὺς λόγους τέμνειν διδούσης, συγγενεστέραν ἡγούμενοι τὴν ὁπωσοῦν κοίλην τῇ τέλεον σφαιρικῇ, ὑπεμβολαίᾳ τὸ πλάτος ἐκοιλάναμεν τά τε ἄλλα ἐπεμελήθημεν ὅπως ἂν ἡ φαντασία τοῦ ὀργάνου τῆς ἀληθείας ὑπομιμνήσκοι τὸν ἔννουν θεατήν. Καὶ γὰρ τοῖς ἓξ μεγέθεσι διαφέροντας τοὺς ἀστέρας ἐνετάξαμεν καὶ τοὺς πρὸς ἀλλήλους αὐτῶν σχηματισμοὺς ἐτηρήσαμεν. Τῶν δὲ κύκλων τοὺς μὲν περιηγάγομεν, τοὺς δὲ διηγάγομεν· ἅπαντας δὲ ἐτέμομεν μοιρικῶς, τὰς πενταμοιριαίας γραμμὰς μείζους τῶν μοιριαίων ποιήσαντες, ὅτι καὶ τὰς ἐπιγραφὰς τῶν ἀριθμῶν κατ’ αὐτὰς παρηυξήκαμεν, καὶ ἐν ἀργύρῳ τοῦ μέλανος ἔμφασιν βιβλίου ποιοῦντος τὸ ὑποκείμενον. Τέτμηνται δὲ οὐχ ὁμοστοίχως ἅπαντες οὔθ’ ἑαυτοῖς οὔτ’ ἀλλήλοις· ἀλλ’ οἱ μὲν εἰς ἴσας τομάς, οἱ δὲ ἀνωμάλως μὲν καὶ ἀνίσως κατὰ τὴν αἴσθησιν, τῷ λόγῳ δὲ ὁμαλῶς τε καὶ εἰς ἶσα. Τοῦτο γὰρ ἔδει συμβαίνειν ἵν’ ὁμολογήσῃ τὰ διαφέροντα σχήματα, δι’ ἣν αἰτίαν καὶ οἱ διὰ τῶν πόλων τε καὶ τῶν τροπικῶν σημείων γραφόμενοι μέγιστοι κύκλοι, τῷ λόγῳ μένοντες κύκλοι, γεγόνασιν εὐθεῖαι τῇ μεταθέσει τοῦ θεωρήματος· ὅ τε ἀνταρκτικὸς μείζων ἐντέτακται τῶν μεγίστων καὶ τὰ πρὸς ἀλλήλους διαστήματα τῶν ἀστέρων ἐμεγεθύνθη κατ’ ἐκεῖνο τῆς ἐξαπλώσεως. Τῶν δὲ ἐπιγραμμάτων ἃ διὰ χρυσοῦ στερεοῦ ταῖς σχολαζούσαις ἀστέρων χώραις κατὰ τὸν ἀνταρκτικὸν κύκλον ἐγκολάψαντες ἐνεθήκαμεν, τὸ μὲν ὕστερον, τὸ τετράστιχον, ἀρχαῖόν ἐστιν ἁπλουστέρως ἔχον εἰς ἀστρονομίας ἐγκώμιον· Οἶδ’ ὅτι θνατὸς ἐγὼ καὶ ἐφάμερος· ἀλλ’ ὅταν ἄστρων ἰχνεύω πυκινὰς ἀμφιδρόμους ἕλικας, οὐκέτ’ ἐπιψαύω γαίης ποσίν, ἀλλὰ παρ’ αὐτῷ Ζηνὶ θεοτρεφέος πίμπλαμαι ἀμβροσίης.

Τὸ δὲ ἡγούμενον αὐτοῦ, τὸ ὀκτάστιχον, ἐποιήθη μὲν ὑφ’ οὗ καὶ τὸ ἔργον, ἐμοῦ· σπερματικὴν δὲ ἔχει καὶ καθολικὴν περίνοιαν τῶν ἐνορωμένων, μετ’ ἰσχύος ἀπηγγελμένον καὶ ἐπιστημονικῶς μᾶλλον

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cosmica. Poiché lo stesso metodo permette di dividere una superficie piana e una uniformemente concava secondo i medesimi rapporti, e poiché ritengo che una superficie concava, quale che sia, presenti maggiori affinità con una perfettamente sferica, mediante pressione ho reso concava la superficie piana e ho prestato la massima cura affinché l’aspetto dello strumento richiamasse all’osservatore avveduto la realtà. Infatti, ho riportato le stelle, che si differenziano per sei ordini di grandezza tra di loro, mantenendo le rispettive configurazioni. Quanto alle orbite, alcune si includono, altre si intersecano; tutte, comunque, sono state graduate, indicando la distanza di cinque gradi con dei tratti più grandi rispetto a quella di un grado, poiché le cifre relative alla prima erano già state indicate con numeri più grandi; sull’argento il loro tracciato nero dà al supporto l’aspetto di un libro. Non tutte le orbite sono però graduate in maniera analoga, né in rapporto a loro stesse né in rapporto alle altre; alcune sono state suddivise con intagli regolari, altre con intagli apparentemente irregolari e disuguali, ma in verità, nel calcolo, regolari e identici. Era necessario agire così perché le figure differenti si accordassero tra di loro. Per questo motivo anche i circoli più ampi, passanti attraverso i poli e i segni dei tropici, restano, nel calcolo, dei circoli, ma divengono delle linee rette per il cambiamento del sistema di osservazione; anche il circolo antartico è stato reso più ampio dei circoli maggiori e, sempre per il sistema della proiezione, pure le distanze reciproche fra le stelle sono state aumentate. Quanto agli epigrammi24 che ho inserito in oro massiccio negli spazi rimasti vuoti fra le stelle, incidendoli lungo il circolo antartico, il secondo, composto da quattro versi, è antico e contiene semplicemente un elogio dell’astronomia: “So di essere mortale ed effimero: quando però degli astri seguo le fitte rivoluzioni non tocco più la terra con i piedi, ma al cospetto dello stesso Zeus mi sazio di ambrosia, nettare degli dèi”.25

Quello che lo precede, invece, composto da otto versi, è stato scritto dal costruttore dello strumento, ovvero da me: permette una comprensione essenziale e generale di quanto vi si osserva; la

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sinesio di cirene

ἢ ἁβρῶς συγκείμενον. Ὃ διαλέγεται πρὸς μόνον τὸν ἀστρονόμον, τί ἂν ὄναιτο τοῦ ὀργάνου; Τὰς γὰρ ἐποχὰς ὑπισχνεῖται τῶν ἀστέρων· ἀλλ’ οὔτι φησὶ πρὸς τὸν ζῳδιακόν, ἀλλὰ πρὸς τὸν ἰσημερινόν· ἐφάνη γὰρ διὰ τῶν γραμμάτων τὸ ἐκείνως ἑλεῖν ἀδύνατον. Καὶ τὰς λοξώσεις φησὶ δίδοσθαι, τῶν μερῶν τοῦ ζῳδιακοῦ δηλονότι πρὸς τὰ μέρη τοῦ ἰσημερινοῦ· ἐπὶ πᾶσι τὰς συναναφοράς, τοῦτ’ ἔστι ταῖς πόσαις τοῦ ζῳδιακοῦ μοίραις αἱ πόσαι τοῦ ἰσημερινοῦ τὸν αὐτὸν ἰσημερινὸν διεξέρχονται. Ἔστι δὲ τόδε· γεγράφθω δὲ τῶν ὕστερον ἀναγνωσομένων εἵνεκα· ἐπεί σοί γε κἀν τῷ πίνακι κείμενον ἐξαρκεῖ. Ἡ σοφίη στίβον εὗρεν ἐς οὐρανόν· ἆ, μέγα θαῦμα· καὶ νόος ἐξ αὐτῶν ἦλθεν ἐπουρανίων. Ἠνίδε καὶ γυρὰ σφαίρας ἐπετάσσατο νῶτα, ἶσα δὲ κύκλα τομαῖς οὐχ ὁμαλαῖσι τέμεν. Σκέπτεο τείρεα πάντα πρὸς ἄντυγα, τῆς ἔπι Τιτὰν νύκτα ταλαντεύει καὶ φάος ἐρχόμενος· δέξο ζῳδιακοῦ λοξώσιας, οὐδέ σε λήσει κλεινὰ μεσημβρινῆς κέντρα συνηλύσιος.

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sua espressione è vigorosa e la composizione più dotta che raffinata. In effetti, si rivolge al solo astronomo, al quale intende illustrare i vantaggi che può trarre dallo strumento. Indica le posizioni degli astri, non però rispetto allo zodiaco, ma all’equatore: ho dimostrato infatti nel mio trattato che non è possibile ricavarle in relazione al primo. L’epigramma afferma che si danno le declinazioni, ovvero quelle delle parti dello zodiaco rispetto alle parti dell’equatore; per tutte indica la simultaneità delle ascensioni, cioè con quanti gradi dello zodiaco altrettanti gradi dell’equatore percorrono il medesimo equatore.26 Ecco l’epigramma; lo riporto qui per i lettori futuri, poiché per te è sufficiente la versione che si trova sulla targhetta: “La sapienza ha trovato la via per il cielo – oh, gran meraviglia! – e l’intelletto è disceso dai celesti. Ecco, ha disposto le superfici curve della sfera e ha inciso circoli identici con tagli ineguali. Osserva tutte le costellazioni della volta, su cui Titano,27 giungendo, misura la notte e il giorno; accetta le obliquità dello zodiaco e non ti sfuggano i celebri punti di convergenza dei meridiani”.

ΦΑΛΑΚΡΑΣ ΕΓΚΩΜΙΟΝ

ELOGIO DELLA CALVIZIE

1.  Δίωνι τῷ χρυσῷ τὴν γλῶτταν ἐποιήθη βιβλίον, κόμης ἐγκώμιον, οὕτω δή τι λαμπρὸν ὡς ἀνάγκην εἶναι παρὰ τοῦ λόγου φαλακρὸν ἄνδρα αἰσχύνεσθαι. Συνεπιτίθεται γὰρ ὁ λόγος τῇ φύσει· φύσει δὲ ἅπαντες ἐθέλομεν εἶναι καλοί, πρὸς ὃ μέγα μέρος αἱ τρίχες συμβάλλονται αἷς ἡμᾶς ἐκ παίδων ἡ φύσις ᾠκείωσεν. Ἐγὼ μὲν οὖν καὶ ὁπηνίκα τὸ δεινὸν ἤρχετο καὶ θρὶξ ἀπερρύη, μέσην αὐτὴν δέδηγμαι τὴν καρδίαν· καὶ ἐπειδὴ προσέκειτο μᾶλλον, ἄλλης ἐπ’ ἄλλῃ πιπτούσης, ἤδη δὲ καὶ σύνδυο καὶ κατὰ πλείους, καὶ ὁ πόλεμος λαμπρὸς ἦν, ἀγομένης καὶ φερομένης τῆς κεφαλῆς, τότε δή, τότε χαλεπώτερα πάσχειν ᾤμην ἢ ὑπ’ Ἀρχιδάμου τοὺς Ἀθηναίους ἐπὶ τῇ δενδροτομίᾳ τῶν Ἀχαρνῶν, ταχύ τε ἀπεδείχθην ἀνεπιτήδευτος Εὐβοεὺς οὓς ὄπιθεν κομόωντας ἐστράτευσεν ἐπὶ Τροίαν ἡ ποίησις. Ἐν ᾧ τίνα μὲν θεῶν, τίνα δὲ δαιμόνων παρῆλθον ἀκατηγόρητον; Ἐπειθόμην δὲ καὶ Ἐπικούρου τι γράφειν ἐγκώμιον, οὐ κατὰ ταὐτὰ περὶ τῶν θεῶν διακείμενος, ἀλλ’ ὡς ὅ τι κἀγὼ δυναίμην ἀντιδηξόμενος. Ἔλεγον γὰρ ὅτι ποῦ τὰ τῆς προνοίας ἐν τῷ παρ’ ἀξίαν ἑκάστου; Καὶ τί γὰρ ἀδικῶν ἐγὼ φανοῦμαι ταῖς γυναιξὶν ἀηδέστερος; Οὐ δεινόν, εἰ ταῖς ἐκ γειτόνων· τὰ γὰρ ἐς Ἀφροδίτην ἐγὼ δικαιότατος, κἂν τῷ Βελλεροφόντῃ σωφροσύνης ἀμφισβητήσαιμι. Ἀλλὰ καὶ μήτηρ, ἀλλὰ καὶ ἀδελφαί, φασί, τῷ κάλλει τι νέμουσι τῶν ἀρρένων· ἐδήλωσε δὲ ἡ Παρύσατις, Ἀρταξέρξην τὸν βασιλέα διὰ Κῦρον τὸν καλὸν ἀποστέρξασα. 2.  Ταῦτ’ ἄρα ἐποτνιώμην καὶ μικρὸν οὐδὲν ἐπενόουν περὶ τῆς συμφορᾶς. Ἐπεὶ δὲ ὅ τε χρόνος αὐτὴν συνηθεστέραν ἐποίησε,

1.  Dione dalla lingua d’oro1 ha scritto un’opera, L’elogio della chioma,2 così brillante che, a causa della sua argomentazione, un calvo non può che vergognarsi. Il ragionamento si va ad aggiungere all’inclinazione naturale: per natura infatti noi desideriamo essere belli e i capelli vi contribuiscono in gran parte, quei capelli che la stessa natura fin dall’infanzia ci ha reso familiari. Io, dunque, quando è iniziata la mia sventura e i capelli iniziarono a cadere “fui morso nel profondo del cuore”;3 poi, giacché il male si accresceva e i capelli cadevano uno dopo l’altro e poi due a due e poi in massa e la guerra si faceva manifesta e la mia testa era devastata e tormentata, allora ho pensato di subire delle prove peggiori di quelle che affrontarono gli Ateniesi per volontà di Archidamo, quando fece loro tagliare gli alberi di Acarne,4 e subito apparvi come uno di quegli Euboici trascurati che il poeta inviò alla guerra contro Troia “con le chiome fluenti all’indietro”.5 Quale tra gli dèi, quale tra i demoni ho mancato di accusare allora? Mi persuasi addirittura a scrivere un elogio di Epicuro, non perché condividessi i suoi esatti pensieri sugli dèi, ma perché potessi anch’io morderli a mia volta.6 Dicevo infatti: dov’è mai la provvidenza quando si va contro il merito di ciascuno? Che ingiustizia ho compiuto io per apparire più sgradevole alle donne? Poco male se si tratta delle donne a me prossime: per quel che concerne Afrodite sono assolutamente rigoroso e di temperanza potrei discutere addirittura con Bellerofonte.7 Ma anche la madre, ma anche le sorelle, si dice, prestano una qualche attenzione alla bellezza dei maschi di famiglia. Lo ha ben dimostrato Parisatide, che cessò di voler bene al re Artaserse per il bel Ciro.8 2.  Così mi lamentavo e non consideravo in alcun modo minima la mia disgrazia. Quando poi il tempo me l’ebbe resa più familiare e

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sinesio di cirene

καὶ ὁ λόγος ἀντεισιὼν κατεξανίστη τοῦ πάθους, τὸ δὲ κατὰ μικρὸν ὑπεξίστατο, ἤδη διὰ ταῦτα ῥᾴων ἦν καὶ ἀνέφερον· νυνὶ δὲ ἀνθυπήνεγκεν αὐτὸ ῥεῦμα ἕτερον οὗτος αὐτὸς ὁ Δίων, καὶ ἐπανήκει μοι μετὰ συνηγόρου. Πρὸς δύο δέ, φησὶν ὁ λόγος, οὐδ’ Ἡρακλῆς, εἰ τοὺς Μολιονίδας ἐκ λόχου προσπεσόντας οὐκ ἤνεγκεν, ἀλλὰ καὶ πρὸς τὴν ὕδραν ἀγωνιζόμενος· τέως μὲν εἷς ἑνὶ συνεστήκεσαν, ἐπεὶ δὲ ὁ καρκίνος αὐτῇ παρεγένετο, κἂν ἀπεῖπεν, εἰ μὴ τὴν Ἰόλεω συμμαχίαν ἀντεπηγάγετο. Κἀγώ μοι δοκῶ παραπλήσιόν τι παθεῖν ὑπὸ Δίωνος, οὐκ ἔχων ἀδελφιδοῦν τὸν Ἰόλεων. Πάλιν οὖν ἐκλαθόμενος ἐμαυτοῦ τε καὶ τῶν λογισμῶν, ἐλεγεῖα ποιῶ θρῆνον ἐπὶ τῇ κόμῃ. Σὺ δὲ ἐπειδὴ φαλακρῶν μὲν ὁ κράτιστος εἶ, δοκεῖς δέ τις εἶναι γεννάδας, ὃς οὐδὲ ἐμπάζῃ τῆς συμφορᾶς, ἀλλὰ καί, ὅταν ἔτνους προκειμένου μετώπων ἐξέτασις γίνηται, σαυτὸν ἐπιλέγεις, ὡς ἐπ’ ἀγαθῷ δή τινι φιλοτιμούμενος, οὐκοῦν ἀνάσχου τοῦ λόγου, καὶ τήρησον ἐν πείσῃ, φασί, τὴν καρδίαν, ὥσπερ ὁ Ὀδυσσεὺς πρὸς τὴν ἀναγωγίαν τῶν γυναικῶν ἀνέκπληκτος ἔμεινεν· καὶ σὺ πειρῶ μηδὲν ὑπό του παθεῖν. Ἀλλ’ οὐκ ἂν δύναιο; Τί φῄς; Καὶ μὴν δυνήσῃ. Τοιγαροῦν ἄκουε. Δεῖ δὲ οὐδὲν ἐξελίττειν τὸ βιβλίον, ἀλλ’ αὐτὸς ἐρῶ. Καὶ γὰρ οὐδὲ πολύστιχόν ἐστι· γλαφυρὸν μέντοι, καὶ τὸ κάλλος αὐτοῦ προσιζάνει τῇ μνήμῃ, ὥστε οὐδὲ βουλόμενον ἐπιλαθέσθαι με οἷόν τε. 3.  «Ἀναστὰς ἕωθεν καὶ τοὺς θεοὺς προσειπών, ὅπερ εἴωθα, ἐπεμελούμην τῆς κόμης· καὶ γὰρ ἐτύγχανον μαλακώτερον τὸ σῶμα ἔχων· ἡ δὲ ἠμέλητο ἐκ πλείονος. Πάνυ γοῦν συνέστραπτο καὶ συνεπέπλεκτο τὰ πολλὰ αὐτῆς, οἷον τῶν ὀίων τὰ περὶ τοῖς σκέλεσιν αἰωρούμενα· πολὺ δὲ ταῦτα σκληρότερα, ὡς ἂν ἐκ λεπτοτέρων συμπεπλεγμένα τῶν τριχῶν. Ἦν οὖν ὀφθῆναί τε ἀγρία ἡ κόμη καὶ βαρεῖα· μόλις δὲ διελύετο καὶ τὰ πολλὰ αὐτῆς ἀπεσπᾶτο καὶ διετείνετο. Οὐκοῦν ἐπῄει μοι τοὺς φιλοκόμους ἐπαινεῖν, οἳ φιλόκαλοι

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elogio della calvizie 2-3

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la ragione, intervenendo, si sollevò contro la sofferenza e questa a poco a poco si attenuò, allora, proprio per questo, io divenni più accomodante e mi ripresi. Ma adesso lo stesso illustre Dione ha lanciato un secondo assalto e mi attacca con il sussidio di un avvocato: “contro due avversari” – come dice il proverbio – “non ce la fa neppure Eracle”, se è vero che non seppe tener testa ai Molionidi che si gettarono su di lui in un’imboscata; e lo stesso nella lotta contro l’idra: riuscì a combattere finché lo scontro rimase uno contro uno, ma quando arrivò il granchio a soccorrerla, Eracle avrebbe rinunciato, se non avesse potuto fare intervenire l’alleanza di Iolao.9 Quanto a me, mi sembra di soffrire una sorte analoga per mano di Dione, ma senza avere Iolao come nipote. Viceversa, dunque, immemore di me stesso e dei miei ragionamenti, compongo delle elegie come canto funebre per la mia chioma. “Tu,10 poiché sei il più valoroso dei calvi e poiché sembri essere particolarmente magnanimo, tu che non dai peso alla tua sfortuna ma che, dopo che è stato distribuito il passato di legumi e ha avuto luogo la rassegna delle fronti, designi te stesso come se ne fossi fiero e come se la calvizie fosse un bene,11 sopporta dunque il discorso di Dione e serba ‘in quiete il tuo cuore’,12 come si dice, allo stesso modo in cui Odisseo restò impassibile dinanzi alla cattiva condotta delle ancelle: sforzati di non farti ferire da alcunché. Non riuscirai a farlo, dici? Certo che ci riuscirai. Ascolta, dunque. Non c’è bisogno che tu srotoli il volume, parlerò io. D’altra parte, non è un testo lungo; viceversa, è assai ben rifinito e la sua bellezza si posa nella memoria, al punto che neppure volendo sarei capace di dimenticarlo”. 3.  “Dopo13 essermi alzato al mattino e aver invocato gli dèi, come di consueto, mi prendevo cura della mia chioma. In effetti, mi sentivo un po’ fiacco fisicamente; l’avevo trascurata per molto tempo. Si trovava in gran parte annodata e arruffata come i peli che pendono attorno alle zampe delle pecore; eppure era più compatta, poiché formava un groviglio di peli più fini. La mia capigliatura aveva dunque un aspetto incolto e pesante; la si districava a stento e gran parte si strappava tirandola. Mi venne in mente di lodare coloro

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sinesio di cirene

ὄντες καὶ τὰς κόμας περὶ πλείστου ποιούμενοι ἐπιμελοῦνται οὐ ῥᾳθύμως, ἀλλὰ κάλαμόν τινα ἔχουσιν ἀεὶ ἐν αὐτῇ τῇ κόμῃ, ᾧ ξαίνουσιν αὐτήν, ὅταν σχολὴν ἄγωσι· καὶ τοῦτο δὴ τὸ χαλεπώτατον, χαμαὶ κοιμώμενοι φυλάττουσιν ὅπως μηδέποτε ἅψωνται τῆς γῆς, ὑπερείδοντες ὑπὸ τὴν κεφαλὴν μικρὸν ξύλον, ὅπως ἀπέχῃ τῆς γῆς ὡς πλεῖστον, καὶ μᾶλλον φροντίζουσι τοῦ καθαρὰν φέρειν τὴν κόμην ἢ τοῦ ἡδέως καθεύδειν· ἡ μὲν γὰρ καλούς τε καὶ φοβεροὺς αὐτοὺς ἔοικε ποιεῖν, ὁ δὲ ὕπνος, κἂν πάνυ ἡδὺς ᾖ, βραδεῖς τε καὶ ἀφυλάκτους. Δοκοῦσι δέ μοι καὶ Λακεδαιμόνιοι μὴ ἀμελεῖν τοῦ τοιούτου πράγματος, οἳ τότε ἥκοντες πρὸ τῆς μάχης τῆς μεγάλης τε καὶ δεινῆς, ὅτε μόνοι τῶν Ἑλλήνων ἔμελλον δέχεσθαι βασιλέα, τριακόσιοι τὸν ἀριθμὸν ὄντες, ἐκάθηντο ἀσκοῦντες τὰς κόμας. Δοκεῖ δέ μοι καὶ Ὅμηρος πλείστης ἐπιμελείας ἀξιοῦν τὸ τοιοῦτο. Ἀπό γε μὴν ὀφθαλμῶν οὐ πολλάκις ἐπαινεῖ τοὺς καλούς, οὐδὲ ἀπὸ τούτου μάλιστα ἡγεῖται τὸ κάλλος ἐπιδείξειν. Οὐδενὸς οὖν τῶν ἡρώων ὀφθαλμοὺς ἐγκωμιάζει ἢ Ἀγαμέμνονος, ὥσπερ καὶ τὸ ἄλλο σῶμα ἐπαινεῖ αὐτοῦ· καὶ οὐ μόνον τοὺς Ἕλληνας ἑλίκωπας καλεῖ, ἀλλ’ οὐδὲν ἧττον καὶ τὸν Ἀγαμέμνονα τὸ κοινὸν ἐπὶ τοῖς Ἕλλησιν· ἀπὸ δὲ τῆς κόμης πάντας· πρῶτον μὲν Ἀχιλλέα, ξανθῆς δὲ κόμης ἕλε Πηλείωνα·

ἔπειτα Μενέλεων, ξανθὸν ἐπονομάζων ἀπὸ τῆς κόμης· τῆς δὲ Ἕκτορος χαίτης μέμνηται, ἀμφὶ δὲ χαῖται κυάνεαι πεφόρηντο.

Εὐφόρβου γε μὴν τοῦ καλλίστου τῶν Τρώων ἀποθανόντος, οὐδὲν ἄλλο ὠδύρετο λέγων αἵματί οἱ δεύοντο κόμαι Χαρίτεσσιν ὁμοῖαι πλοχμοί θ’, οἳ χρυσῷ τε καὶ ἀργύρῳ ἐσφήκωντο·

καὶ τὸν Ὀδυσσέα, ὅταν ἐθέλῃ καλὸν γεγονότα ὑπὸ τῆς Ἀθηνᾶς ἐπιδεῖξαι· φησὶ γοῦν

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elogio della calvizie 3

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che amano la loro chioma, che in quanto amanti del bello si occupano moltissimo della capigliatura e non in modo trascurato, ma tengono sempre in essa un calamo, con il quale la pettinano, non appena hanno del tempo a disposizione. Ma la cosa peggiore è che quando dormono per terra si accertano che i loro capelli non tocchino mai il suolo, mettendo per questo un piccolo pezzo di legno sotto la loro testa, in modo da tenerli il più lontano possibile dal terreno, preoccupandosi più di portare una chioma pulita che di dormire bene: come se, in effetti, la chioma li rendesse belli e temibili, mentre il sonno, anche se fosse il più dolce, lenti e poco vigili. Mi sembra che neppure gli Spartani trascurassero questo aspetto: quando arrivarono – prima della grande e terribile battaglia –, soli tra i Greci, sul punto di affrontare il gran re, in numero di trecento, si sedettero e si sistemarono le chiome. Mi sembra che anche Omero ritenga la questione degna del massimo interesse. Infatti, non loda spesso i belli per i loro occhi, né ritiene questo dettaglio il più rilevante per dimostrarne la bellezza. Di nessun eroe loda gli occhi, eccezion fatta per Agamennone, del quale tuttavia esalta anche il resto del corpo.14 Non sono infatti soltanto i Greci che definisce ‘dagli occhi vivaci’,15 ma parimenti anche Agamennone, assieme con loro. Per la chioma però li loda tutti, per primo Achille: afferrò il Pelide per la bionda chioma 16

poi Menelao, che definisce ‘biondo’17 a causa dei suoi capelli. Menziona anche la capigliatura di Ettore: tutt’intorno, i capelli neri erano trascinati.18

Quando muore Euforbo, il più bello dei Troiani, di null’altro si lamenta, dicendo: si bagnarono di sangue le sue chiome, belle come quelle  delle Cariti, e i riccioli, tenuti da fermagli d’oro e d’argento.19

Per quanto riguarda Odisseo, quando Omero vuole indicare che è stato reso più bello da Atena, dice:

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sinesio di cirene

κυάνεαι δ’ ἐγένοντο ἔθειραι·

πάλιν δὲ ἐπὶ τοῦ αὐτοῦ κὰδ δὲ κάρητος οὔλας ἧκε κόμας, ὑακινθίνῳ ἄνθει ὁμοίας.

Καὶ πρέπειν γε μᾶλλον τοῖς ἀνδράσι φαίνεται καθ’ Ὅμηρον ὁ κόσμος ὁ τῶν τριχῶν ἢ ταῖς γυναιξί. Γυναικῶν γοῦν περὶ κάλλους διεξιών, οὐ τοσαυτάκις φαίνεται κόμης μεμνημένος, ἐπεί τοι καὶ τῶν θεῶν τὰς μὲν θηλείας ἄλλως ἐπαινεῖ – χρυσῆν γὰρ Ἀφροδίτην, καὶ βοῶπιν Ἥραν, καὶ Θέτιν ἀργυρόπεζαν –, τοῦ Διὸς δὲ μάλιστα ἐπαινεῖ τὰς χαίτας· ἀμβρόσιαι δ’ ἄρα χαῖται ἐπερρώσαντο ἄνακτος.»

4.  Ταυτὶ μέν σοι τὰ Δίωνος. Ἀτάρ, ὡς οὐδὲ μάντις εἰμὶ πονηρός, ᾔδειν Θρασύμαχον ἐρυθριῶντα ὀψόμενος· ἀλλὰ περὶ ἐμὲ γὰρ οὐκέτι παραπλήσιον πάθος ἐγένετο. Κομιδῇ γέ τοι τὴν πρώτην ἑαλωκὼς τοῦ λόγου, νῦν μοι δοκεῖ Δίων λέγειν μὲν εἶναι δεινός, οὐκ ἔχειν δὲ ὅ τι καὶ λέγοι, λέγειν δὲ ὅμως ὑπὸ περιουσίας τοῦ δύνασθαι· ἐπεί τοι πολλῷ θαυμασιώτερος ἂν φανῆναι τοὐναντίον ἐπαινέσαι προελόμενος, τὸ καθ’ ἡμᾶς πρᾶγμα τῆς κεφαλῆς. Ὁ γὰρ ἐν ἀπόροις εὔπορος τί ἂν ἐποίησεν, ἐμπεσὼν ὕλῃ χωρούσῃ τὴν δύναμιν; νυνὶ δέ, οὔσης αὐτῷ κόμης καὶ τέχνης, ἐχρήσατο τῇ τέχνῃ περὶ τῆς κόμης. Ὡς δὲ καὶ πανούργως ἑαυτὸν εἰς τὸ βιβλίον παρήγαγεν. Οὐ γὰρ ἕτερός τίς ἐστιν ὁ ἐν τῷ λόγῳ φιλόκομος, ὁ τῷ καλάμῳ καλλύνων τὴν κόμην, ἀλλ’ οὗτος αὐτός, ὅτῳ ποτὲ τῷ καλάμῳ τὸν λόγον ξυνέγραφεν. Εἰ δὲ κἀγὼ φαλακρός εἰμι, καὶ δύναμαι λέγειν, καὶ τὸ πρᾶγμα τοῦ πράγματος πλέονι κάλλιόν ἐστιν, ἢ ἐγὼ Δίωνος χείρων, τί οὐκ ἀνταποδύομαι καὶ λαμβάνω πεῖραν ἐμαυτοῦ τε καὶ τῆς ὑποθέσεως, εἰ ἄρα δυναίμην ἀντιπεριστῆσαι τοῖς κομήταις τὸ ὄνειδος; Ἐρῶ δέ, οὔτε προοιμιασάμενος ἀκμαῖόν τι καὶ τορόν, οἵῳ τοὺς ἀγωνιστικοὺς λόγους οἱ ῥήτορες ὥσπερ ἐμβόλοις τὰς τριήρεις ὁπλίζουσιν, οὔτε προᾴσας, ὅπερ Δίων ἐποίησε, μέλος

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elogio della calvizie 3-4

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neri divennero i capelli;20

e poi, ancora su di lui: giù dal capo, lasciò fluire folta chioma somigliante al fiore del giacinto.21

La cura dei capelli, in Omero, sembra addirsi più agli uomini che alle donne. Quando tratta della bellezza femminile, è evidente che non menziona spesso la chioma, lodando altrimenti anche le dee (dice, infatti, Afrodite ‘d’oro’,22 Era ‘dai grandi occhi’,23 Teti ‘dai piedi d’argento’24), mentre quando si tratta di Zeus, loda soprattutto i suoi capelli: oscillarono le chiome eterne del dio”.25

4.  Queste le parole di Dione. Tuttavia, poiché non sono un profeta da poco, sapevo che avrei visto Trasimaco arrossire.26 Ma a me una cosa del genere non è accaduta. In un primo tempo fui completamente preso dal discorso; adesso mi pare che Dione sia abile nel parlare ma che non abbia nulla da dire e che si esprima, d’altro canto, per un eccesso di facilità. Sarebbe apparso molto più degno di ammirazione se avesse scelto di celebrare l’argomento opposto, cioè lo stato della nostra testa. Infatti, che cosa avrebbe fatto l’uomo “pieno di risorse nelle situazioni difficili”27 se fosse incappato in un argomento degno della sua capacità? Invece, possedendo egli la chioma e l’arte, ricorse all’arte in favore della chioma. Con quale abilità si è insinuato nel suo libro! Non c’è nessuno infatti nel testo che ami i capelli e li abbellisca con il suo calamo se non lui stesso, che con quel calamo lo ha scritto. Se dunque io sono calvo, sono abile a parlare, il mio argomento è molto più bello dell’altro, oppure se anche sono inferiore a Dione, perché non prepararmi alla lotta e mettermi alla prova insieme al mio argomento, nel caso potessi rigettare l’onta su coloro che hanno i capelli? Parlerò senza premettere alcunché di vigoroso e incisivo, come invece fanno i retori, che sono soliti armare i loro discorsi agonistici così come con i rostri si armano le triremi, né comincerò, alla stregua di Dione, con quel canto lento e melodioso con cui appunto, alla

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sinesio di cirene

ἀναβεβλημένον καὶ λιγυρόν, ἅτε κιθαρῳδικοῦ νόμου, τοῦ λόγου προανεκρούσατο· «Ἀναστὰς ἕωθεν καὶ τοὺς θεοὺς προσειπών, ὅπερ εἴωθα, ἐπεμελούμην τῆς κόμης. Καὶ γὰρ ἐτύγχανον τὸ σῶμα μαλακώτερον ἔχων· ἡ δὲ ἠμέλητο ἐκ πλείονος». Κᾆθ’ οὕτω προϊὼν διὰ τῶν συμπτωμάτων τῆς ἀμελείας, ἔλαθεν ἡμᾶς καταστὰς εἰς ἔπαινον τῆς ἐπιμελείας. Ταῦτα γὰρ ἡμᾶς δρῶσιν οἱ δεινοὶ τῶν λόγων δημιουργοί· νῦν μὲν κηλοῦσι, νῦν δὲ καταπλήττουσιν. Ἐγὼ δὲ δυναίμην οὐ χεῖρον ἑτέρου συνιέναι περὶ πραγμάτων· ῥητορικὴν δὲ οὐκ ἐργάζομαι, ἀλλὰ προὐστησάμην τοῦ βίου τέχνα δύο, φυτηκομεῖν τε καὶ κυνοκομεῖν ἐπὶ τῶν θηρίων τὰ ἀλκιμώτατα. Δάκτυλοι δὲ οὗτοι σκαφίσι καὶ προβολίοις ἀντὶ καλάμων τετρίφαται, εἰ μὴ κάλαμον λέγοις ἀντὶ τοῦ γραφέως τὸν ἐν βέλει. Τούτῳ μὲν γὰρ οὐ θαυμαστὸν εἰ καὶ προστετήκασιν. Οὐ δὴ καταισχυνῶ τὰ πάτρια τῶν ἀγρῶν, οὐδὲ φανοῦμαι στρογγύλλων λογάρια, προοίμιά τινα καὶ προνόμια· ἀλλ’ ὃ κράτιστον ἡγοῦμαι καὶ ἀγροίκῳ πρὸς τρόπου, ψιλὰς αὐτὰς τῶν νοημάτων τὰς φάσεις εἰς μέσον κατατιθέμενος, ἀγωνιοῦμαι τοῖς πράγμασι, μόνον εἰ τῆς γλώττης τὸν τόνον ἀπὸ τῆς διαλέξεως εἰς ἐπιστροφὴν μεθαρμόσαιμι, ἀπὸ Δωρίου, φασίν, ἐπὶ Φρύγιον. Δεῖ γέ τοι πνεύματος ἀρκοῦντος ἐπιχειρήμασιν, ἅττα μοι πολλὰ τὴν καρδίαν ἀναδώσειν μαντεύομαι. 5.  Οὑμὸς οὖν λόγος ὁριεῖ πάντων ἥκιστα χρῆναι φαλακρὸν ἄνδρα αἰσχύνεσθαι. Τί γάρ, εἰ ψιλὴν μὲν ἔχει τὴν κεφαλήν, λάσιον δὲ τὸ φρονοῦν, οἷον τὸν Αἰακίδην ἡ ποίησις ὕμνησεν; ἀλλ’ οὗτός γε ἠμέλει τῶν τριχῶν ἃς καὶ δωρεῖται νεκρῷ. Νεκρὸν γάρ τι καὶ αὗται, καὶ τοῖς ζῶσιν οὐ ζῶντα μέρη παρήρτηνται. Ταύτῃ τῶν ζῴων τὰ ἀλογώτερα κατὰ παντὸς αὐτὰς ἠμφίεσται τοῦ σώματος· ἄνθρωπος δέ, ἐπεὶ μετείληφεν ἐναργεστέρας ζωῆς, γυμνός ἐστι τῷ πλείστῳ τοῦ συμφυοῦς φορτίου· ἵνα δὲ μὴ ἀνεπίμνηστον ὂν τῆς πρὸς τὰ θνητὰ κοινωνίας ἀλαζονεύηται, μέρεσιν ὀλίγοις κομᾷ. Ὅστις οὖν οὐδὲ τοῖς ὀλίγοις κομᾷ, τοῦτ’ ἔστι πρὸς ἕτερον

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maniera di un nomo citarodico,28 egli ha dato avvio al suo discorso: “Dopo essermi alzato al mattino e aver invocato gli dèi, come di consueto, mi prendevo cura della mia chioma. In effetti, mi sentivo un po’ fiacco fisicamente; l’avevo trascurata per molto tempo”. Poi, enumerando i sintomi della sua trascuratezza, a nostra insaputa ci induce a elogiare le cure che dedica alla sua chioma. Questo, infatti, è quanto ci fanno gli abili artigiani della parola: ora ci seducono, ora ci stupiscono. Io certo potrei non meno di un altro comprendere i fatti; ma non pratico la retorica, anzi ho consacrato la mia vita a due arti, ovvero alla coltivazione delle piante e all’allevamento di cani atti a cacciare le belve più robuste. Queste dita sono utilizzate per le zappe e le lance per la caccia, piuttosto che per i calami, a meno che non si intenda il calamo della freccia anziché quello per scrivere. Non è sorprendente che le mie mani si siano completamente dedicate a questo compito. Non mi vergognerò mai del tradizionale lavoro dei campi, né mi esibirò ad arrotondare brevi frasi, esordi e preludi; ma in quello che ritengo il miglior modo, anche per un contadino, esponendo pubblicamente la nuda espressione dei miei pensieri, combatterò avvalendomi dei fatti, se potrò far passare il tono della mia lingua dalla dissertazione alla veemenza, dal dorico, come si dice, al frigio.29 Ho bisogno di uno spirito adeguato alle argomentazioni, che il mio cuore susciterà in me in abbondanza, posso prevederlo. 5.  Il mio discorso stabilirà dunque che l’uomo calvo ha meno motivi di chiunque di vergognarsi. Perché dovrebbe infatti, se ha la testa nuda ma villoso l’animo, come il poeta ha cantato dell’Eacide?30 Quest’ultimo, peraltro, non si curava dei propri capelli, che addirittura donò a un morto. I capelli sono infatti materia morta, parti non vive appese a quelle vive. Anche gli animali più privi di ragione sono ricoperti di pelo su tutto il corpo. L’uomo, al contrario, in quanto partecipa di una vita più fulgente, è di gran lunga il più privo di questo connaturato fardello. Ma affinché non si vanti, dimentico della sua affinità con gli esseri mortali, ha comunque dei peli su alcune parti del corpo. Colui che dunque non abbia nessun pelo neppure in quelle poche parti, si trova in

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ἄνθρωπον, ὅπερ ἄνθρωπος πρὸς θηρίον. Ὥσπερ δὲ ἄνθρωπος τῶν ἐπὶ γῆς φρονιμώτατόν τε ὁμοῦ καὶ ψιλότατον, οὕτως ὁμολογεῖται μὲν τῶν βοσκημάτων ἁπάντων πρόβατον ἠλιθιώτατον εἶναι· τοῦτο δέ ἐστιν ὃ μὴ διακεκριμένας, ἀλλὰ κατὰ συστήματα τὰς τρίχας ἀνίησιν· ὥστε κινδυνεύει τὸ τῶν τριχῶν τοῦτο πρᾶγμα πόλεμον ἔχειν πρὸς φρόνησιν· οὐδενὶ γὰρ ἐθέλουσιν ἅμα συγγίνεσθαι. Εἰ δὲ δεῖ τι συντελέσαι καὶ κυνηγέταις – φίλοι γὰρ οἱ ἄνδρες, καὶ ἣν μετέρχονται τέχνην –, ἐκεῖναι σοφώταται τῶν κυνῶν ὧν ὦτα καὶ γαστέρες ψιλαί· αἱ λάσιοι δὲ ἔμπληκτοι καὶ θρασεῖαι καὶ βελτίους εἰσὶν ἀποῦσαι τῆς θήρας. Εἰ δὲ καὶ Πλάτων ὁ σοφὸς τῆς συνωρίδος, ἣν ἐλαύνει ψυχή, τὸν ἄδικον ἵππον περὶ ὦτα λασιόκωφον λέγει, τί καὶ καλὸν ἐννοεῖ περὶ τῶν τριχῶν; ἀλλὰ καὶ μὴ λέγοντος Πλάτωνος, ἀνάγκη κωφὸν εἶναι τὸν ταύτῃ λάσιον ὅθεν ἀκούομεν, ὥσπερ τυφλὸν τὸν ταύτῃ λάσιον ὅθεν ὁρῶμεν. Τοῦτο μὲν οὖν εἰ γένοιτο, τέρας ἐστίν. Ἤδη δὲ ἀνεφύτην ἐπὶ βλεφάρου δίδυμοι τρίχες, καὶ δοκεῖ τὸ ἔσχατον εἶναι κακῶν, παρῳκηκέναι τῷ ὀφθαλμῷ τρίχας, ἐφ’ ἃς ἅπασα τέχνη καὶ βία κινεῖται, μὴ φθάσωσι τὸν ὀφθαλμὸν ἐξορύξασαι. Οὐ γὰρ ἀνέχεται τοῖς τιμιωτάτοις ἡ φύσις συνόντα τὰ ἀτιμότατα. Τιμιώτατα δὲ τοῦ ζῴου τὰ αἰσθητήρια, καὶ οἷς μάλιστα τῶν τοῦ σώματος μορίων ζῷόν ἐστι· πρώτοις γὰρ αὐτοῖς ἡ ψυχὴ τὰς ἑαυτῆς δυνάμεις ἐμέρισεν· ὄψις δὲ τὸ πάντων θειότατον, ἀλλά τοι καὶ τὸ ψιλότατον. Πάλιν οὖν ὥσπερ ἑνὸς ἀνθρώπου τὰ τιμιώτατα φαλακρότατα, οὕτως ἔχειν ἀνάγκη πρὸς αὐτὸ τὸ γένος αὐτοῦ τοῦ γένους τὰ κράτιστα. Τουτὶ δὲ μικρῷ πρόσθεν ἐδεικνύετο, καὶ δι’ ὁλοκλήρου τοῦ γένους, ὃ τοσοῦτον ἀναχωρεῖ θηρίων ὅσον τριχῶν. Εἰ δὴ ζῴων μὲν ἁπάντων ἱερώτατον ἄνθρωπος, ἀνθρώπων δέ, οἷς ὑπῆρξεν εὐμοιρῆσαι τὴν ἀποβολὴν τῶν τριχῶν, φαλακρὸς ἂν εἴη τῶν ἐπὶ γῆς τὸ θειότατον. 6.  Ἔξεστι δὲ τοὺς ἐν μουσείῳ θεάσασθαι πίνακας, τοὺς Διογένας λέγω καὶ τοὺς Σωκράτας καὶ τοὺς οὕστινας βούλει τῶν ἐξ αἰῶνος

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rapporto all’uomo comune come questo nei confronti della bestia. Se l’uomo è l’essere più assennato della terra e al tempo stesso il più privo di peli, allora si conviene che tra tutto il bestiame l’animale più stupido sia la pecora, giacché i suoi peli crescono intrigati e compatti. Si dà insomma il caso che vi sia un contrasto tra la questione dei peli e l’intelligenza: in nessun essere, infatti, questi vogliono stare insieme. Se poi è opportuno che anche i cacciatori portino il loro contributo – queste persone mi sono care, così come l’arte che praticano –, i cani più intelligenti sono quelli senza peli negli orecchi e nel ventre; al contrario, quelli villosi sono stupidi e impetuosi, ed è meglio tenerli lontano dalla caccia. Se anche il saggio Platone, della coppia di cavalli che conducono l’anima, definisce ingiusto quello “sordo per i peli cresciuti negli orecchi”,31 che cosa avrà mai pensato di buono dei capelli? Anche se Platone non lo dice, è inevitabile che si sia sordi se si è villosi laddove risiede l’udito, così come ciechi se avviene la stessa cosa laddove risiede la vista. Se così fosse, sarebbe una mostruosità. È già successo che doppie ciglia spuntassero sulla palpebra; pare che sia un male tremendo che entrino a contatto con l’occhio dei peli, contro i quali si applica ogni arte e violenza, per prevenire l’asportazione dell’occhio. Infatti, la natura non sopporta l’unione delle parti più nobili con quelle meno nobili. Le parti più nobili di un essere vivente sono gli organi di senso, quelle parti del corpo in cui massimamente risiede il principio vitale; a questi per primi infatti l’anima ha attribuito le sue facoltà; la vista è di tutte la più divina, ma pure la più priva di peli. Di nuovo, come le parti più nobili di un singolo uomo sono quelle più prive di peli, così è necessario che i migliori elementi della razza si rapportino alla razza stessa nel suo complesso. Questo è stato dimostrato poco fa, e a proposito di tutto il genere umano, che si tiene distante dalle bestie quanto dai peli. Se senza alcun dubbio degli esseri viventi il più sacro è l’uomo – e tra gli uomini quelli ai quali è toccata la buona sorte di perdere i capelli –, il calvo sarà il più divino degli esseri della terra. 6.  Si possono guardare le tavole che si trovano nel Museo,32 intendo quelle che rappresentano i Diogene, i Socrate e tutti i

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σοφῶν· φαλακρῶν γὰρ ἂν εἶναι δόξειε θέατρον. Ἀπολλώνιος μὴ ἐνοχλείτω τῷ λόγῳ, μηδ’ εἴ τις ἕτερος γόης καὶ περιττὸς τὰ δαιμόνια. Καὶ γὰρ οὐκ ὄντες οὗτοι κομῆται δύνανται φαίνεσθαι τὰ πλήθη καταπολιτευόμενοι· τάχα δὲ οὐδὲ σοφία τὸ τῶν γοήτων, τερατουργία δέ τίς ἐστι, καὶ οὐκ ἐπιστήμη τις, ἀλλὰ δύναμις. Οὕτω γὰρ οἱ νομοθέται σοφίαν μὲν τῶν τιμιωτάτων ἐνόμιζον, ἐπὶ δὲ τοὺς γόητας ἔτρεφον τοὺς δημίους. Ὥστε εἰ καὶ κομήτης ἦν Ἀπολλώνιος, οὐδὲν πρὸς λόγον· καίτοι φίλα μοι πρὸς τὸν ἄνδρα, καὶ βουλοίμην ἂν αὐτὸν εἶναι τοῦ καταλόγου. Κινδυνεύει γὰρ ἐκ τῶν εἰρημένων ὑγιῶς ἀντιστρέφειν ὁ λόγος· εἰ σοφός τις, καὶ φαλακρός· εἰ μὴ φαλακρός τις, οὐδὲ σοφός. Οὕτω δὲ ἔχει καὶ τὰ δαιμόνων. Ὃς τὴν Διονύσου τεθέαται τελετήν, τὸ μὲν ὅσον ἐστὶ τοῦ θιάσου δασὺ τριχί, τῇ μὲν οἰκείᾳ, τῇ δὲ ἀλλοτρίᾳ κατάκομον – Βακχικὸν γὰρ οὐδὲν οὕτως ὡς ἡ νεβρίς –, οἱ δὲ καὶ παρὰ τῶν πιτύων κόμας δανείζονται. Τούτους μὲν ἅπαντας εἶδεν ἀνασειομένους τε καὶ βρυάζοντας καὶ ἐν ἀκόσμοις σκιρτήμασιν, ὡς ἄν, οἶμαι, τῇ μέθῃ κεκρατημένους, ἥτις ποτέ ἐστιν ἐν τελεταῖς ἡ μέθη· πλὴν ἀλλ’ ἐοίκασιν εἰς τὸ πλημμελὲς ὑπενηνέχθαι τῆς φύσεως. Σειληνῷ δὲ κἀκεῖ καθέδρα καὶ σκῦτος ἐστί, καὶ τοῦ Διονύσου παιδαγωγὸς ἀποδέδεικται· ἔδει γάρ, οἶμαι, φαλακρὸν ὄντα νοῦν ἔχειν καὶ σωφρονεῖν ἐν τοσούτοις παρακινήσασι. Καίτοι μὴ μικρὸν οἰηθῇς ὑπὸ τοῦ Διὸς ἁπάντων αὐτὸν προτετιμῆσθαι δαιμόνων, παρεῖναι καὶ φρενοῦν αὐτῷ τὸ παιδάριον. Δεῖ μὲν γὰρ αὐτῷ καὶ γεύσασθαι τοῦ ζωροῦ, καὶ μανῆναί ποτε φύσεως ἱμέρῳ, καὶ προελθεῖν τὴν παραφοράν, ἐς ὃ τοῖς Βάκχοις συνεξορχήσηται· μετρεῖ δὲ αὐτῷ τὴν μανίαν ὁ Σειληνός, μὴ λάθῃ πολὺς ῥυεὶς ἐπὶ θάτερα καὶ γένηται τῷ πατρὶ δυσανάγωγος. Ἀλλὰ ταχὺ γὰρ ἐντεῦθεν ἐπανακτέον λαβόντας ἀποχρῶν τεκμήριον, ὡς ἐκεῖ φρένες ὅθεν οἴχονται τρίχες· . Ταῦτ’ ἄρα καὶ Σωκράτης ὁ Σωφρονίσκου, μέτριος ἐς τἆλλα γενόμενος, καὶ παρ’ ὁντινοῦν οἰκείων ἐπαίνων φεισάμενος, οὐκ ἠδύνατο μὴ

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sapienti del tempo antico che si desiderano: si potrebbe pensare che si tratti di un’assemblea di calvi. E che Apollonio33 non confonda il mio discorso, né un altro mago esperto in diavolerie: infatti, pur non avendo questi i capelli, possono sembrare di averli, in quanto seducono le folle. L’arte dei maghi non è forse neppure saggezza, ma abilità nel compiere prodigi; non scienza, ma potere. Così, pur ritenendo la saggezza uno dei beni più nobili, i legislatori rivolsero i boia contro i maghi. Quindi, se anche Apollonio aveva i capelli, non ci sarà alcuna insidia per il mio discorso; in ogni caso, io provo per lui dell’amicizia e mi piacerebbe che avesse fatto parte dell’elenco dei calvi. Si può infatti, sulla base di quanto ho detto, ribaltare correttamente l’argomentazione: se qualcuno è saggio, allora è calvo; se non è calvo, allora non è saggio. La stessa cosa è valida per le divinità. Chi ha osservato i riti misterici di Dioniso ha visto anche che quanti fanno parte del tiaso34 sono coperti di peli spessi, naturali o presi altrove – niente infatti è così proprio di Bacco come la pelle di cerbiatto35 –, altri invece prendono a prestito addirittura le chiome dei pini. Quello avrà visto tutti costoro agitarsi in preda al furore in danze disordinate, come se fossero, penso, sotto l’effetto dell’ebbrezza, quella propria dei riti iniziatici. Eppure essi sembrano ridursi a un errore della natura. In questi casi si riserva anche a Sileno un seggio e una frusta, ed egli compare come il pedagogo di Dioniso. Era necessario infatti, io credo, che in quanto calvo egli conservasse il proprio senno e la propria temperanza in mezzo a tanti spiriti agitati. Eppure, non bisogna trascurare il fatto che è stato preferito da Zeus, tra tutte le divinità, per assistere il suo bambino ed educarlo. È necessario che quello gusti il vino puro ed entri in delirio per impulso naturale e avanzi nella follia fino a unirsi alle danze delle Baccanti. Ma Sileno modera il suo delirio, temendo che possa inconsciamente eccedere nelle sue inclinazioni e diventare quindi per il padre difficile da gestire. Ma bisogna ritornare subito al nostro tema, avendo ormai addotto sufficienti prove del fatto che l’intelligenza dimora laddove i capelli non sono e che dove sono i capelli non c’è l’intelligenza. Per questo anche Socrate figlio di Sofronisco, che in genere era modesto e più di chiunque altro parco di lodi nei confronti

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φιλοτιμεῖσθαι τῇ πρὸς τὸν Σειληνὸν ὁμοιότητι. Ἐν τούτῳ γὰρ ἅπαν ἐνῆν ὅσον ἐβούλετο, νοῦ δοχεῖον αὐτῷ κατασκευάσασθαι τὴν κεφαλήν. Ἀλλ’ ὥσπερ ἄλλα πολλὰ τῆς γνώμης Σωκράτους, καὶ τοῦτο τοὺς ἠλιθίους ἐλάνθανεν ὅτι τῷ Σειληνῷ λίαν ἑαυτὸν ἀπεσέμνυνεν. Τὸ δὲ δὴ παιδαρίοις μὲν ἐπιπρέπειν τὴν ἄνθην τῆς κόμης, ἐν ᾧ τοῦ βίου μήπω φρονοῦμεν, τοῦ δὲ γήρως ἀποφοιτᾶν καὶ μὴ περιμένειν ἡλικίαν, ἥτις ἐπιδήλως νοῦν τε καὶ φρόνησιν ἐνοικίζει τῷ ζῴῳ, τί ἂν εἴποις ἢ καταδικάζειν ἀλογίαν τῆς φύσεως τῶν τριχῶν; εἰ δὲ κομᾷ τις καὶ γέρων, καὶ γὰρ ἀφραίνει τις γέρων, καὶ οὐχ ἅπαντες ἄνθρωποι δήπουθεν ἐπὶ τὴν ἀνθρώπου φθάνουσι τελειότητα. Ἔχει μὲν οὖν οὕτως ὡς μὴ περιμένειν ἄλληλα νοῦν τε καὶ κόμην, ἀλλ’, ὥσπερ φωτὶ σκότος, ἐξίστασθαι. Ἐπιζητοῦσι δὲ τὴν αἰτίαν ὁ λόγος ἀπορρητότερος. Πειρασόμεθα δ’ οὖν, ὅσον εἰς τὴν παροῦσαν χρείαν ἀρκεῖ λαβόντες, εὐαγῶς περιστεῖλαι τὸ ὅσον ἀβέβηλον. 7.  Τὰ πρῶτα τῶν ὄντων ἁπλᾶ· κατιοῦσα δὲ ἡ φύσις ποικίλλεται. Ἡ δὲ ὕλη τῶν ὄντων τὸ ἔσχατον· ταύτῃ καὶ ποικιλώτατον. Αὕτη, κἄν τι δέχηται θεῖον, οὐκ εὐθὺς ὅσον ἐστὶν ἐδέξατο· δεχομένη δὲ ἐμφάσεις καὶ σπέρματα περιπλέκεταί τε αὐτοῖς καὶ πλείστη περὶ αὐτὰ γίνεται, τάχα μὲν οἷς ἔχει δεξιουμένη, τάχα δὲ διὰ τὴν ἀναγκαίαν ἀντίθεσιν ἐν τῇ πρώτῃ συνόδῳ κατισχύουσα τοῦ θείου, πρὶν τελεωθῆναι τὴν ἔμφασιν. Δύναιτο δ’ ἂν καὶ ἑκάτερον. Οὐ γὰρ ἔχουσιν, ὥσπερ δοκοῦσι, μάχην οἱ λόγοι· ἀλλ’ ἐπεὶ μὴ νῦν περὶ τούτων ἐστίν, ἀλλὰ ταῦτα δι’ ἕτερα, δεικτέον ἐστὶν ἐπὶ τῶν πραγμάτων ὡς ἐν ἀτελεστέροις ἡ φύσις ἰσχύει, δυναμουμένοις δὲ ὑπεξίσταται. Ἆρ’ οὖν οὐχὶ καὶ τῶν καταβαλλομένων ἐν γῇ σπερμάτων οἱ λόγοι θεῖόν εἰσιν, εἰ καὶ τοῦ θείου τὸ ἔσχατον; τούτων τέλος μὲν ὁ καρπός, ἀλλὰ πρὶν ἥκειν εἰς τοῦτο, θέα τὴν

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di se stesso, non poteva non vantarsi della sua somiglianza con Sileno.36 Tutto quel che voleva, infatti, consisteva in questo: fare della propria testa un contenitore d’intelligenza. Ma, come molti altri aspetti del pensiero di Socrate, anche questo è rimasto oscuro per gli stolti, il fatto cioè che si vantasse straordinariamente della sua somiglianza con Sileno. Se di certo la chioma nella sua fioritura si addice ai bambini, a quella fase della vita in cui ancora non ragioniamo, e rifugge la vecchiaia e non attende la maturità, che manifestamente apporta il senno e l’intelligenza all’essere vivente, che cosa si può esprimere se non una condanna all’illogicità naturale dei capelli? Se uno da vecchio ha ancora i capelli, vuol dire che è stolto ancora da vecchio: d’altra parte, non tutti gli uomini raggiungono la perfezione che è data alla natura umana. È così: l’intelletto e la chioma non si sopportano a vicenda, ma si cedono il posto, come fa il buio con la luce. Per coloro che ne ricerchino la causa, la risposta è assolutamente indicibile. Ci sforzeremo dunque, prendendo giusto quanto ci serve allo scopo presente, di preservare con atteggiamento puro ciò che non può essere rivelato. 7.  I primi degli esseri sono semplici, ma, scendendo, la natura si diversifica. La materia è l’ultimo degli enti: per questo è la più varia. Essa, seppure riceve qualche cosa di divino, non lo riceve immediatamente nella sua essenza. Accogliendo piuttosto delle immagini e dei semi, ci si avviluppa attorno e concentra attorno a essi la maggior parte di sé: e forse li accoglie favorevolmente, forse, a causa della contrapposizione inevitabile al primo incontro, prevale sull’elemento divino, prima che l’aspetto esteriore sia perfettamente compiuto. Entrambe le cose potrebbero accadere. Non c’è infatti inconciliabilità tra le due proposizioni, come invece potrebbe sembrare. Ma poiché il nostro discorso non riguarda questo argomento, che è stato introdotto per il tramite di altre considerazioni, bisogna dimostrare, avvalendosi dei fatti, che la natura predomina negli enti imperfetti, mentre in quelli che hanno forza si ritira. Non sono forse le ragioni seminali37 gettate sulla terra qualche cosa di divino, pur costituendo l’ultimo livello della divinità? Il loro fine è il frutto, ma, prima che lo rag-

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πομπείαν καὶ τὰ κάλλη τῆς φύσεως. Ῥίζαι, καλάμη, φλοιός, ἀθέρες, λέμματα, καὶ ἐπὶ τοῖς λέμμασιν ἕτερα λέμματα· ὁ δὲ καρπὸς ἀτελὴς ἔτι καὶ κρύφιος. Παραγενομένου δέ, αὖα πάντα, καὶ ἀπερρύη τῆς ὕλης τὰ παίγνια· ὡραϊσμοῦ γὰρ οὐ δεῖται τὸ τέλειον. Ἤδη δὲ τέλειος, ἐν ᾧ λόγος ἐστὶν ἕτερος σπέρματος. Ἐπὶ τούτοις Ἐλευσὶς ἄγει τὰ Δήμητρος ἀνακαλυπτήρια. Εἰ δὴ νοῦς τὸ θειότατόν ἐστι τῶν ἄνωθεν ἡκόντων σπερμάτων, ἐνοικίζεται δὲ κεφαλῇ, καὶ αὐτῇ καρπός ἐστιν ἔνυλος νοῦς, καθάπερ ὁ πυρὸς ἐκείνου τοῦ λόγου, εἰωθὸς ἡ φύσις ποιεῖ. Θαυματοποιεῖ περὶ αὐτήν, καὶ τριχῶν αὐτὴν ἀγάλλει κάλλεσιν, ὥσπερ ἀθέρων τινῶν ἢ λεμμάτων ἢ καὶ νὴ Δία τῆς ἄνθης ἣν τοῖς φυτοῖς πρὸ τῶν ἀκροδρύων χαρίζεται. Ἀλλ’ οὔτε ἀκρόδρυον ἐν φυτῷ πρὶν ἀπανθῆσαι· νοῦς τε οὐκ ἂν παραγένοιτο κεφαλῇ πρὶν τελεωθεῖσαν ἀποσκυβαλίσαι τὰ περιττά, καθάπερ ὑπὸ πτύου, τοῦ χρόνου, καὶ πᾶσαν ἀποσκευάσασθαι τὴν φλυαρίαν τῆς φύσεως· ὥστε τοῦτ’ ἄν τις θεῖτο τεκμήριον τοῦ τέλεον ἤδη καρπὸν ἀποδεδεῖχθαι τὴν κεφαλήν. Ἣν ἂν ἀκριβῶς ἴδῃς ἐκλελεμμένην, ἐκεῖ νόμιζε κατεσκηνηκέναι τὸν νοῦν, ἐκείνην ἡγοῦ τὴν κεφαλὴν νεὼν τοῦ θεοῦ. Ἄγοιτ’ ἂν οὖν ἐν δίκῃ μυστήρια κεφαλῆς ἀνακαλυπτήρια, διὰ μὲν τοὺς βεβήλους οὑτωσί πως καλούμενα· οἱ σοφοὶ δ’ ἂν εἰδεῖεν ὅτι νοῦ ταῦτα ἐπιβατήρια· ὁ δὲ ἄρτι παραγγείλας εἰς φαλακρούς, οὗτός ἐστιν ὁ νεοτελής, ὁ μεμυημένος τὰ θεοφάνια. Ὥσπερ δέ εἰσι πυροὶ καὶ ῥοιαὶ καὶ κάρυα πονηρὰ καὶ ἐναποθνῄσκοντα τοῖς ἐλύτροις καὶ τοῖς κελύφεσιν, οὕτως εἰσὶ καὶ κακαὶ κεφαλαί, τοῦ θείου μὲν ἀμοιροῦσαι, πολὺ δὲ τὸ νεκρὸν περικείμεναι. Ἤδη δὲ ἐγὼ κατενόησα καὶ τοὺς ἐν Αἰγύπτῳ θεραπευτὰς τοῦ θείου μηδὲ τῶν ἐπιβλεφαριδίων ἀνεχομένους τριχῶν· καὶ ἦσαν μὲν ἰδεῖν γελοῖοι, σοφὸν δέ τι ἐνόουν, ἅτε ὄντες περιττοὶ καὶ Αἰγύπτιοι. Ταῖς γὰρ φύσεσι ταῖς ἀϊδίοις καὶ οὐσιωμέναις ζωῇ, ταύταις οὐ χρεών ἐστι πελάζειν μετὰ ἀποθανόντων μερῶν. Εἰ τοίνυν ὁ ξυραῖος χειροποίητός ἐστιν εὐσεβής, ὁ φύσει φαλακρὸς αὐτοφυῶς ᾠκείωται τῷ θεῷ. Μή ποτε γὰρ καὶ τὸ θεῖον αὐτὸ

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giungano, tu osserva la magnificenza e le bellezze della natura: le radici, lo stelo, la corteccia, le barbe, le scorze e sopra le scorze altre scorze. Il frutto è ancora incompiuto e nascosto. Una volta che questo è comparso, però, tutto ciò si dissecca e scompaiono i trastulli della natura: la perfezione non ha bisogno di ornamenti. È già perfetto, il frutto in cui si trova un’altra ragione seminale. È per tutto questo che Eleusi celebra le rivelazioni di Demetra.38 Se certamente l’intelletto è il più divino dei semi che giungono dall’alto, se risiede nella testa e se il suo frutto è l’intelletto materiale, come il grano è il frutto della propria ragione seminale, allora la natura agisce sempre alla stessa maniera. Compie delle meraviglie per la testa, l’adorna con la bellezza dei capelli come fa con le barbe o con le scorze o, per Zeus, con il fiore di cui gratifica le piante prima dei frutti. Ma prima che perda i fiori non c’è alcun frutto sulla pianta; altrettanto non potrà insediarsi l’intelletto nella testa prima che questa, ormai nella sua maturità, non si sia liberata del superfluo, come con un ventilabro,39 al momento opportuno, e non si sia sbarazzata di tutta la frivolezza naturale. Al punto che questo potrebbe essere preso come prova del fatto che la testa è da considerarsi un frutto maturo. Qualora tu veda una testa perfettamente denudata, considera che là l’intelletto si è insediato e considera quella testa come un tempio della divinità. Si potrebbero in piena giustizia celebrare i misteri dello “scoprimento” della testa, chiamati così a causa dei profani; ma i saggi saprebbero che si tratta di un “ritorno” dell’intelletto.40 Colui che si è da poco aggiunto ai calvi è il nuovo iniziato, ammesso alle teofanie. E come esistono dei frumenti, delle melograne e delle noci di cattiva qualità, che muoiono all’interno dei loro involucri e rivestimenti, così esistono delle cattive teste che non partecipano della divinità in quanto assai rivestite di materia morta. Ho notato che i ministri del culto egizi non sopportavano neppure le ciglia: erano ridicoli a vedersi, ma avevano dei pensieri saggi, in quanto uomini illustri e, per di più, egizi.41 Infatti, alle nature eterne, la cui essenza è la vita, non si addice di stare a contatto con parti mortali. Se dunque chi si rasa con le proprie mani è beato, il calvo di natura è spontaneamente un tutt’uno con la divinità.

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τοιοῦτόν ἐστιν. Ἵλεων δὲ εἴη τῷ λόγῳ· πάνυ γὰρ ἀπ’ εὐσεβοῦς διανοίας εἰρήσεται. 8.  Ὅσον μὲν οὖν ἐστι τοῦ θείου τὸ μὴ φαινόμενον, τί ἄν τις περιεργάζοιτο, ἅπαξ γε μὴ βουλόμενον ἐμφανὲς εἶναι; τὸ δὲ ὁρώμενον ἅπαν ἀκριβεῖς εἰσι σφαῖραι· ἥλιος, σελήνη, πάντες ἀστέρες, ἀπλανεῖς τε καὶ πλάνητες, μείους καὶ μείζους εἰσίν, ἀλλ’ ὁμοιοσχήμονες ἅπαντες. Τί δ’ ἂν σφαίρας γένοιτο φαλακρότερον; τί δὲ θεσπεσιώτερον; λέγεται δέ τις καὶ λόγος ὅτι βούλεται μὲν ἡ ψυχὴ μιμεῖσθαι θεόν· ὁ δέ ἐστιν ὁ τρίτος θεός, ἡ τοῦ κόσμου ψυχή, ἣν ὁ πατὴρ μὲν αὐτῆς, τοῦ δὲ σωματικοῦ κόσμου δημιουργὸς ἐπεισήγαγεν τῷ κόσμῳ, τέλεον αὐτὸν καὶ ὅλον καὶ πᾶν ἐκ πάντων σπερμάτων τε καὶ σωμάτων ἀπεργασάμενος, ἀποδοὺς διὰ τοῦτο καὶ σχῆμα σχημάτων τὸ περιεκτικώτατον. Ἔστι δὲ τῶν μὲν ἰσοπεριμέτρων μεῖζον ἀεὶ τὸ πολυγωνότερον· τῶν δὲ πολυγώνων ἁπάντων κύκλος ἐν ἐπιπέδοις· ἐν δὲ τοῖς βάθος ἔχουσι σφαῖρα· ἴσασιν οἱ γεωμετρίας καὶ στερεομετρίας ἐπήβολοι. Ἥ τε οὖν ὅλη ψυχὴ σφαῖραν ὄντα τὸν ὅλον κόσμον ψυχοῖ, αἵ τε ἀπὸ τῆς ὅλης ῥυεῖσαι καὶ μέρη γενόμεναι θέλουσιν ἑκάστη τοῦθ’ ὅπερ ἡ πᾶσα ψυχή, διοικεῖν σώματα καὶ κόσμων εἶναι ψυχαί, ὃ καὶ τοῦ μερισμοῦ γέγονεν αὐταῖς αἴτιον· οὕτως ἐδέησε τῇ φύσει σφαιρῶν μερικῶν. Ἄνω μὲν οὖν ἀστέρες, κάτω δὲ κεφαλαὶ διεπλάσθησαν ἵν’ εἶεν οἶκοι ψυχῶν, ἐν κόσμῳ κόσμοι μικροί. Ἔδει γὰρ εἶναι τὸν κόσμον ζῷον ἐκ ζῴων συγκείμενον. Ταῖς μὲν οὖν εὐηθικωτέραις ψυχαῖς οὐδὲν διαφέρει καὶ εἰς κομῆτιν κεφαλὴν ἐνοικίσασθαι, παρὰ πλεῖστον οὖσαν τῆς ἀκριβείας τοῦ σχήματος· σοφὴ δὲ ψυχὴ πρὸς ἀξίαν ἑκάστη τὴν ἑαυτῆς, ἡ μὲν ἄστρον, ἡ δὲ φαλάκραν ἐνείματο. Εἰ γὰρ ἡ τῇδε φύσις ἀσθενεῖ πρὸς τελέαν ἀκρίβειαν, ἀλλὰ τήν γε ἄνω καὶ πρὸς οὐρανὸν ἐπιφάνειαν ἡμῶν οὐκ ἀνέχεται μὴ οὐ κόσμον εἶναι τῷ σχήματι. Ἡ φαλάκρα τοίνυν καὶ οὐρανὸς ἡμῖν ἀναπέφηνεν οὖσα, καὶ ὅσα τις ἂν εἴποι σφαίρας ἐγκώμια, αὐτὰ ταῦτα καὶ φαλάκρας ἐγκώμια διεξέρχεται.

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Forse, infatti, anche Dio è calvo. Possa essere favorevole al mio discorso: sarà infatti pronunciato con un grande spirito pio. 8.  Quanto a quella parte della divinità che non appare, perché occuparsene se non vuole manifestarsi? Tutto ciò che possiamo vedere consiste in sfere perfette: il sole, la luna, tutte le stelle, fisse o erranti, sono più o meno grandi, ma hanno tutte la stessa forma. Che cosa potrebbe essere più calvo di una sfera? Cosa più divino? Vi è anche la tradizione che l’anima voglia imitare Dio: si tratta del terzo dio, dell’anima del mondo, che suo padre, il Demiurgo del mondo fisico, ha introdotto in quel cosmo che lui stesso ha reso perfetto, tutt’intero e universale, composto di tutti i semi e tutti i corpi, donandogli appositamente la forma più comprensiva di tutte. Tra le figure isoperimetriche la più grande è sempre quella che ha il maggior numero di angoli, ovvero, tra tutte, il cerchio, se si tratta di figure piane, la sfera, se si tratta di solidi: ben lo sanno coloro che conoscono la geometria e la stereometria. Dunque, l’anima intera vivifica il mondo intero – che è una sfera – e le anime che derivano da quella cosmica e che ne sono delle parti desiderano ciascuna ciò che desidera l’anima tutta intera, governare dei corpi ed essere le anime dei mondi, e che fu per loro causa di divisione: così la natura ha avuto necessità di sfere particolari. In alto dunque furono plasmati gli astri, in basso le teste, per essere le dimore delle anime, piccoli mondi nel mondo. Era necessario in effetti che il cosmo fosse un essere vivente composto di esseri viventi. Per le anime più semplici non ha importanza risiedere in una testa chiomata, quanto più lontana dall’esattezza della forma; ma ogni anima saggia, in virtù della dignità che le è propria, s’è vista attribuire o un astro o una testa calva. Se infatti la natura di questo mondo in basso è troppo debole per raggiungere una compiuta esattezza, nondimeno non accetta che la parte superiore di noi che è rivolta verso il cielo non abbia la forma di un cosmo. La calvizie ci appare dunque come un cielo e quanti elogi si possono fare di una sfera, gli stessi si possono riferire alla calvizie.

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9.  Πρὸς ταῦτα γραφέτω μὲν Ὅμηρος, πλαττέτω δέ, εἰ βούλεται, καὶ Φειδίας ἀποδείξεις τῷ Δίωνι, χαίτην τῷ Διὶ καθιέντες, καὶ ταύτην βαθείας τριχός, ἵν’ ἔχῃ κινεῖν δι’ αὐτῶν ὁπότε θέλοι τὸν οὐρανόν. Ὁ γὰρ ὁρώμενος ἐν οὐρανῷ Ζεὺς ἅπαντες ἴσμεν οἷός ἐστιν· εἰ δέ τίς ἐστι καὶ ἕτερος Ζεύς, οὐκ οἶδα μὲν εἴ τίς ἐστι μετὰ σώματος ἕτερος· ἔστω δέ, εἴ τις οἴεται. Πάντως οὖν ἢ πρῶτος ἢ μετὰ τοῦτον· οὐκοῦν εἰκών ἐστι παραδείγματος τούτου. Ὁποτέρως δ’ ἂν ἔχοι, τοιοῦτός ἐστιν ὁποῖος ὁ πᾶσι φαινόμενος, ὡς ἂν ἡ τάξις τῆς φύσεως χωρήσῃ τὴν ὁμοιότητα. Ἀλλὰ γὰρ ἐοίκασι ποιητική τε καὶ πλαστική, καὶ τὸ μιμητικὸν ἅπαν γένος ἥκιστα μὲν εἶναι φιλάληθες, δημαγωγικὸν δὲ ὡς μάλιστα, καὶ ποιεῖν ἅττα ποιεῖ πρὸς δόξαν, οὐ πρὸς ἀλήθειαν. Τίμιον δὲ ἀμαθέσιν ἡ κόμη, καὶ πᾶν τὸ περικείμενον ἔξωθεν δήμου δόξα τεθαύμακεν, ἀγροὺς καὶ ἀπήνας καὶ οἰκίας καὶ συνοικίας, ὅσα μὴ τῆς φύσεώς ἐστι τῶν ἐχόντων, ἀλλ’, ὥσπερ αἱ τρίχες, ἀλλότριον· πόρρω γάρ εἰσι νοῦ καὶ θεοῦ, καὶ ἀντὶ νοῦ καὶ θεοῦ φύσις αὐτοὺς διοικεῖ καὶ τύχη. Ἔτι τοῦτο ἀλλοτριώτερον. Μακαρίζεται δ’ οὖν ὑπὸ τῶν ἀνοήτων ὅσα τύχης δῶρα καὶ φύσεως. Ὅστις δ’ οὖν δήμῳ γράφει καὶ δήμῳ λέγει, τοῦτον ἀνάγκη δῆμον εἶναι τῇ δόξῃ, ἵν’ ἀπὸ τῶν ἀρεσκόντων αὐτῷ πλάττῃ καὶ διαλέγηται. Καὶ γὰρ ἀμαθεῖς ὄντες, ἰσχυρογνώμονές εἰσι καὶ χαλεποὶ προστάται τῶν ἀτόπων προλήψεων, ὥστ’ ἄν τίς τι τῶν πατρίων παρακινῇ, ταχὺ πιεῖται τὸ κώνειον. Τί ἂν οὖν δοκεῖς Ὅμηρον ὑπὸ τῶν Ἑλλήνων παθεῖν, αὐτὰ τἀληθῆ περὶ τοῦ Διὸς εἰπόντα καὶ μηδὲν τοιοῦτο τερατευσάμενον, ᾧ τὰ παιδάρια καταπλήττεται; 10.  Αἰγύπτιοι δὲ καὶ τοῦτο σοφοί, παρ’ οἷς τὰ προφητικὰ γένη βαναύσοις μὲν καὶ χειρώναξιν οὐκ ἐπιτρέπουσι δημιουργεῖν εἴδη θεῶν, ἵνα μή τι τοιοῦτο παρανομήσωσιν, ἀλλὰ τοῖς μὲν ῥάμφεσι τῶν ἱεράκων τε καὶ τῶν ἴβεων, ἃ τοῖς προτεμενίσμασιν ἐγκολάπτουσι, καταμωκῶνται τοῦ δήμου· αὐτοὶ δὲ καταδύντες εἰς τοὺς ἱεροὺς χηραμούς, ἅττ’ ἂν ἀπεργάσωνται, περιστέλλουσι· καὶ ἔστιν αὐτοῖς κωμαστήρια τὰ κιβώτια κρύπτοντα, φασί, ταύτας τὰς σφαίρας ἃς

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9.  Scriva quindi Omero e plasmi pure Fidia,42 se vuole, delle prove a favore di Dione, facendo scendere a Zeus una chioma – peraltro fitta – di capelli, affinché possa scuotere con essa il cielo come vuole. Lo Zeus che vediamo nel cielo sappiamo tutti come è fatto.43 Se ne esiste un altro, non so se ha un corpo: ma ammettiamo pure che lo abbia, se lo si vuole. In ogni caso, o questo coincide con il primo o gli è successivo, e allora è un’immagine che ha come modello il primo Zeus. Sia come sia, è uguale a quello che è da tutti visibile, per quanto la disposizione della sua natura consenta la somiglianza. Difatti, l’arte poetica e l’arte plastica e ogni arte mimetica sembrano non essere affatto amanti della verità, ma in tutto e per tutto demagogiche e fare ciò che fanno in favore dell’opinione e non della verità. La chioma è una cosa stimabile per gli ignoranti e tutto quel che si pone all’esterno è oggetto di ammirazione per l’opinione popolare: campi, carri, case singole e agglomerati di abitazioni, tutte cose che non fanno parte della natura dei loro possessori ma che, esattamente come i capelli, sono loro estranee. Gli ignoranti sono lontani dall’intelletto e da Dio e anziché dall’intelletto e da Dio sono governati dalla natura e dalla sorte. Questa, poi, risulta loro ancora più estranea. Sono dunque esaltati dagli sciocchi tutti i doni della sorte e della natura. È inevitabile che chi scrive per il popolo e al popolo parla sia come il popolo nell’opinione, per poter comporre dei discorsi e discorrere in modo da risultargli gradito. Infatti, in quanto incolta la gente è “ostinata”44 e con asprezza difende i propri assurdi pregiudizi, al punto che se qualcuno altera un qualche concetto tradizionale, ben presto berrà la cicuta.45 Che cosa credi che avrebbe sofferto Omero da parte dei Greci, se avesse detto su Zeus la verità e non avesse raccontato cose prodigiose, tali da spaventare i bambini? 10.  Gli Egizi sono saggi anche in questo: presso di loro le varie classi dei profeti46 non lasciano agli operai o agli artigiani di dare forma alle immagini degli dèi, perché non commettano qualche oltraggio, ma si prendono gioco del popolo con quei becchi di sparvieri e di ibis che incidono nei vestiboli dei templi; discendono, poi, nelle loro cripte sacre e quanto hanno fabbricato lo

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ὁ δῆμος, ἐὰν εἰδῇ, χαλεπανεῖ, τὸ δὲ ῥᾷστον καταγελάσεται· δεῖται γὰρ τερατείας· πῶς δὲ οὐ μέλλει, δῆμός γε ὤν; Διὸ τεθεῖσθαι πᾶσιν ἐπὶ τοῖς ἀνδριάσι τὰ ῥάμφη τῶν ἴβεων· ἕνα δέ, ὃν οὐ κρύπτουσιν, ἀλλ’ ἀναδεικνύουσι, τὸν Ἀσκληπιόν, τοῦτον ἂν ἴδοις ὑπέρου πολὺ φαλακρότερον. Ἀλλ’ οὗτος ἐν Ἐπιδαύρῳ κομᾷ· Ἕλλησι γὰρ ἀταλαίπωρος τῆς ἀληθείας ἡ ζήτησις, ὡς ἐν δίκῃ τὸ γένος ὁ συγγραφεὺς ἐλοιδόρησεν. Αἰγύπτιοι δὲ καὶ ὁρῶσιν αὐτὸν ὁσημέραι, καὶ τὴν διὰ λόγων συγγίνονται, οὐχ οὗ τὴν ἑστίαν ἔχει μόνον, οὐδ’ ὡς ἂν αὐτὸς καὶ ὅσα προέληται. Ἀλλ’ ἐγὼ γὰρ ἀκούω λεγόντων ὡς ἀνὴρ Αἰγύπτιος τέχνην ἐπὶ τοὺς θεοὺς ἔχει καί τινας ἴυγγας· ὥσθ’ ὅταν ἐθέλοι μικρὸν ὑποβαρβαρίσας ἅπαν εἵλκυσεν ὅσον ἐστὶ τοῦ θείου τὸ πεφυκὸς ὁλκαῖς τισιν ἕπεσθαι. Παρὰ τούτων οὖν, οὐ παρ’ Ἑλλήνων ληπτέον τοῦ θείου τὰς ἀληθεστέρας εἰκόνας. Καίτοι γε ἀπόχρη, τὸ μικρῷ πρότερον εἰρημένον, τὸν ἥλιον ἰδόντι καὶ τοὺς ἀστέρας μηδὲν προσπεριεργάζεσθαι. Εἰ δέ τίς ἐστι καὶ κομήτης ἀστήρ – ἔστι μὲν οὐδείς· χώρα γὰρ ἀστέρων τὸ κύκλῳ σῶμα κινούμενον, περὶ ἣν οὐδὲν οὐδέποτε νεώτερον γίνεται –, ὁ δὲ ὑπὸ σελήνην τόπος, αὐτὰ τὰ μεθόρια τῆς γενέσεως, οὗτος ἴσχει τὰ ὑπεκκαύματα, ψευδωνύμους ἀστέρας, τῷ μὲν ἑξῆς ὑποκεῖσθαι συγκινουμένους, τῷ δὲ μὴ τῆς αὐτῆς φύσεως εἶναι πλημμελῶς κινουμένους. Ἧκέ τις ἐπὶ τὸ τῆς ἰσημερίας σημεῖον ἀπὸ τοῦ θυτηρίου· κἀκεῖθεν ἥξει παραφερόμενος ἐπὶ τὸν πόλον τὸν βόρειον, ἂν μὴ φθάσῃ προαπολόμενος. Τούτων γὰρ ὄψει τινὰ πολυμήκη, καὶ τήμερον μέν, ἂν τύχῃ, ζῳδίου μῆκος ἐπέχοντα· εἰς τρίτην δὲ οὐδὲ τριτημόριον, εἰς δεκάτην δὲ καὶ εἰς τριακοστὴν καλῶς ποιῶν οἴχεται, κατὰ σμικρὸν ἀπεσβηκὼς καὶ οὐδεὶς γενόμενος οὐδαμοῦ. Τούτους ἐμοὶ μὲν οὐδ’ ὅσιόν ἐστιν ἀστέρας καλεῖν. Εἰ δὲ σὺ βούλει

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tengono nascosto. Come oggetti sacri possiedono delle arche che occultano – così dicono – le sfere per le quali la gente comune, se le vedesse, si irriterebbe; i più frivoli addirittura le deriderebbero. Il popolo, infatti, ha bisogno di storie straordinarie. Come potrebbe essere altrimenti, trattandosi appunto del popolo? Per questo sono stati messi su tutte le statue i becchi dell’ibis. C’è un solo dio che non nascondono ma che espongono, Asclepio,47 molto più calvo a vedersi di un pestello. Sebbene a Epidauro48 sia chiomato: per i Greci infatti “la ricerca della verità ha poca importanza”, come giustamente ha affermato lo storico, biasimando la nostra etnia.49 Gli Egizi invece lo vedono tutti i giorni e comunicano con lui a parole e non soltanto laddove si trova il suo altare, né necessariamente nella maniera che vuole lui né su ciò che lui ha già deciso. Ho sentito dire che l’uomo egizio possiede un’arte rispetto agli dèi e certi sortilegi, di modo che, quando lo vuole, dopo aver pronunciato qualche parola barbara, attira tutto ciò che presso la divinità, per disposizione naturale, obbedisce a determinate forze attrattive. È da loro dunque e non dai Greci che si devono ricavare le immagini più veritiere della divinità. D’altra parte non c’è necessità, l’ho detto poco sopra, per colui che ha osservato il sole e gli astri di cercare di sapere alcunché. Se vi è qualche corpo celeste chiomato – ma non ve n’è nessuno: infatti il corpo che si muove circolarmente è la regione degli astri e intorno a esso non si genera mai nulla di nuovo –, allora la regione sublunare, zona di confine del divenire, contiene quegli oggetti incandescenti impropriamente chiamati stelle, che ora si muovono assieme agli altri pur trovandosi al di sotto, ora si spostano in disordine, non condividendo la loro stessa natura. Uno di questi è giunto al punto equinoziale50 dalla costellazione dell’Altare51 e da lì sarà portato fino al polo nord, se non sarà distrutto prima.52 Tra questi corpi celesti, infatti, se ne vedrà uno molto esteso, che oggi, magari, occuperà la lunghezza di un segno zodiacale.53 Ma al terzo giorno si sarà ridotto a neanche un terzo, e così al decimo giorno e al trentesimo scomparirà – e farà bene –, spegnendosi a poco a poco senza lasciare traccia da nessuna parte. Per quanto mi riguarda è cosa assolutamente empia chiamare questi corpi stelle. Se li si vuole definire stelle, allora la

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καλεῖν, οὐκοῦν τοσοῦτόν ἐστιν ἡ κόμη κακόν, ὥστε καὶ ἐν ἄστρῳ θνητὸν εἶδος ἐργάζεσθαι, καὶ φανέντες δὲ τέρας εἰσὶ πονηρόν, οὓς οἱ τερατοσκόποι καὶ οἱ μάντεις ἐκθύονται· δημοσιωτάτας γέ τοι μαντεύουσι συμφοράς, ἐθνῶν ἀνδραποδισμούς, πόλεων ἀναστάσεις, βασιλέων ὀλέθρους, μικρὸν οὐδὲν οὐδὲ μέτριον, ἀλλὰ πάντα πέρα δεινῶν· οὐ μέν πως ἀπόλωλεν ἀπευθὴς ἐκ Διὸς ἀστήρ, ἐξ οὗ καὶ γενεῆθεν ἀκούομεν.

Ὅστις οὖν ἀπόλωλεν οὐκ ἔστιν ἀστήρ, ἀλλὰ πάντα σφαιρικὰ τὰ μακάρια σώματα. Ἐμοὶ δὴ καὶ τοῖς ἐμοῖς παρείη τουτὶ τἀγαθὸν ὅ με ποιεῖ τοῖς θεοῖς παραπλήσιον· οὐ γὰρ ἕτεροί τινές εἰσιν ἀντὶ τῶν οὕτως ἐχόντων ἀντίθεοι, οὐδ’ οὓς μᾶλλον προσήκει θεοειδέας καὶ θεοεικέλους καλεῖν, καὶ τἆλλα πάντα τὰ τοῦ θείου κάλλους ὀνόματα. Καὶ οὐχ οὕτω μὲν ἄξιον, ἑτέρως δὲ γίνεται· ἀλλ’ ἀκούσαις ἂν ὑποκοριζομένων καὶ ἄντικρυς σελήνια καλούντων τοὺς φαλακρούς. 11.  Καὶ μικροῦ με παρῆλθεν αὐτὸ τοῦτο τὸ πάντων εἰπεῖν οἰκειότατον, ἡ σελήνη καὶ τῆς σελήνης αἱ φάσεις αἷς φαλακρῶν παῖδες ὁμώνυμοι καὶ ὁμοιοσχήμονες. Καὶ γὰρ ἄρχεται μηνοειδὴς ἡ φιλτάτη, καὶ διχόμηνος γίνεται καὶ πάλιν ἀμφίκυρτος· τελευτῶσα δὲ ἤδη πανσέληνος. Καίτοι τοὺς εἰς ἄκρον εὐτυχίας ἐληλακότας, αὐτοὺς λέγω τοὺς πανσελήνους, θέμις ἤδη καὶ ἡλίους καλεῖν· οὐκέτι γὰρ ἐπανίασιν ἐπὶ τὰς φάσεις, ἀλλὰ διατελοῦσιν ὁλοκλήρῳ τῷ κύκλῳ τοῖς κατ’ οὐρανὸν ἀντιλάμποντες, ὥσπερ ἀμέλει τὸν Ὀδυσσέα παίζουσιν οἱ μνηστῆρες, μειράκια κομῶντα καὶ διαρρέοντα, καὶ ταχὺ μάλα κακῶς ἀπολούμενα, πλεῖον ἑκατόν, ὑφ’ ἑνὸς ἅπαντα φαλακροῦ, ὃν τέως λαμπαδηκόμον ὄντα καὶ φῶς ἅπτοντα χειροποίητον νουθετοῦσιν ἀπηλλάχθαι πραγμάτων, ὡς ἀρκούσης τῆς κεφαλῆς περιλάμψαι τὴν ὅλην οἰκίαν. Οὐκοῦν αὐτὸ τοῦτο καὶ τὸ θειότατόν ἐστιν, ὃ καὶ τοῖς θεοῖς οὐκ ἔστιν ἐμφερές, ἀλλ’

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loro chioma è un male tale da conferire persino a una stella un aspetto mortale e la loro apparizione è un segno funesto, che gli interpreti di prodigi e gli indovini cercano di placare per mezzo di sacrifici. Predicono sempre calamità pubbliche, asservimento di province, distruzioni di città, morti di re, eventi né piccoli né moderati, ma tutto ben al di là del terribile: “d’altronde, nessuna stella è mai scomparsa completamente  dal cielo di Giove, dai tempi in cui è nata la tradizione che abbiamo appreso”.54

Ciò che scompare non è dunque una stella; piuttosto, tutti i corpi beati sono sferici. Possa senza alcun dubbio io, con i miei, disporre di questo bene che mi rende simile agli dèi. Non esistono infatti altri che siano somiglianti agli dèi al di fuori di quelli di tale specie, né altri che conviene di più chiamare “simile a un dio” e “pari agli dèi” o a cui rivolgere tutti gli altri nomi connessi alla bellezza divina. Non è degno che le cose stiano così e che poi succeda diversamente: piuttosto, potresti udire usare dei diminutivi per i calvi o sentirli chiamare “piccole lune”. 11.  Per poco non mi sfuggiva di trattare di questo argomento, che è tra tutti il più personale: la luna e le sue fasi, di cui i calvi portano il nome e di cui hanno la stessa forma. Infatti questo astro, per me il più caro, comincia a forma di falce, diventa metà, poi di nuovo convesso; e per finire diviene pieno. Ecco che io chiamo quelli che sono giunti all’apice della buona sorte “lune piene”, ma è giusto chiamarli anche “soli”. Essi infatti non passano più per le fasi, ma brillano continuamente, in virtù del loro cerchio perfetto, dinanzi agli astri che si trovano in cielo. Così per esempio Odisseo era preso in giro dai proci, giovani uomini chiomati e dissoluti, ben presto periti malamente, più di cento, tutti per mano di un solo uomo, calvo, cui, mentre si stava dedicando alle lampade e accendeva una luce artificiale, consigliavano di lasciar perdere la sua occupazione, in quanto la sua testa bastava per illuminare tutta quanta la casa.55 Ecco, questo è un elemento assolutamente divino che non comporta soltanto la somiglianza ma anche

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ἤδη καὶ συγγενές, φῶς ἔχειν τε καὶ ποιεῖν. Τούτου μὲν οὖν, τῆς στιλπνότητος, ἡ λειότης αἰτία. Ἔστι δὲ οὐδὲν ἕτερον ἐν τῇ κεφαλῇ λειότης ἢ παντελὴς ἀπουσία τριχῶν· ἅμα γάρ τις ἀναχωρεῖ τῶν χειρόνων καὶ πρόσεισι τοῖς βελτίοσιν, ὥσπερ ἐλέγομεν ἀντίθεσιν εἶναι τῷ νεκρῷ πρὸς ζωήν· ζωὴ δὲ καὶ φῶς καὶ πάντα τὰ τοιαῦτα τῆς ἀγαθῆς συστοιχίας ἐστί τε καὶ νομίζεται. Εἰ δὴ ψιλότητι προσήκει τὸ φῶς, σκότῳ πρέπειν ἡγητέον τὴν κόμην· τοῦτο γὰρ οὐκ εὔλογόν ἐστιν, ἀλλὰ καὶ παντάπασιν ἀναγκαῖον. Ἴσως δὲ καὶ πειθώ τινα δεῖ προσαγαγεῖν τῷ λόγῳ, μὴ μένοντας ἐπὶ τοῦ βιαίου τῆς ἀποδείξεως. Οὐκοῦν ἅπαντες οἴονταί τε καὶ λέγουσιν αὐτοφυὲς εἶναι σκιάδειον τὴν κόμην· καὶ ὁ κάλλιστος ποιητῶν Ἀρχίλοχος ἐπαινέσας αὐτήν, ἐπαινεῖ μὲν οὖσαν ἐν ἑταίρας σώματι· λέγει δὲ οὕτως· ἡ δέ οἱ κόμη ὤμους κατεσκίαζε καὶ μετάφρενα.

Σκιὰ δὲ οὐδὲν ἕτερόν ἐστιν ἢ σκότος· ἑκατέρῳ γὰρ τῶν ὀνομάτων φωτὸς ἀπουσία σημαίνεται. Ἐγγυτέρω δὲ προσιοῦσι καὶ ἁπτομένοις τοῦ πράγματος ἴδοι τις ἂν καὶ τὴν νύκτα τὴν μεγίστην οὖσαν σκιάν, ἀντιφραττούσης ταῖς ἀκτῖσι τῆς γῆς. Ἀλλὰ καὶ μεθ’ ἡμέραν αἱ συνηρεφεῖς ὗλαι φωτὸς ἀμοιροῦσι, τῷ λίαν εἶναι κατάσκιοι καὶ κατάκομοι. 12.  Ταυτὶ μὲν οὖν ὑπὲρ τοῦ θεῖον εἶναι χρῆμα τοῦτο καὶ τοῖς φανοτάτοις ἀνακεῖσθαι τῶν ἐν αἰθέρι θεῶν. Εἰ δὲ καὶ ὑγίεια καλόν, τὸ κάλλιστον μὲν οὖν τῶν καλῶν, διὰ ταύτην ἐγὼ πολλοὺς κομήτας ἐπὶ τὸ ξυρὸν ὁρῶ καὶ τὸν δρώπακα καταφεύγοντας, ὡς ἅμα μὲν φαλακρούς, ἅμα δὲ ἐξάντεις ἐσομένους τῆς νόσου. Ἀλλ’ εἰ μὲν ὀφθαλμία καὶ κόρυζα καὶ βάρος ὤτων καὶ τἆλλα πάντα τὰ περὶ αὐτὴν ὄντα πάθη τὴν κεφαλὴν τῷ φορτίῳ τούτῳ συναπαλλάττεται, μέγα ἂν εἴη καὶ τοῦτο· πολὺ δὲ μεῖζον, εἰ καὶ ποσὶ καὶ σπλάγχνοις ἐλυσιτέλησεν. Οὗτοι μὲν οὖν εἰσιν οἱ ταῦτα δυστυχεῖς, οἱ τοὺς καλουμένους κύκλους ὑπὸ τῶν ἰατρῶν

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la parentela con gli dèi: possedere e creare la luce. La causa di questo fenomeno, della lucentezza, è la levigatezza. La levigatezza non è nient’altro, nella testa, che la mancanza assoluta di capelli: infatti, mentre ci si allontana dai mali ci si approssima ai beni, esattamente come dicevamo che c’è un’opposizione tra la materia morta e la vita; ma la vita e la luce e tutte le cose a loro simili appartengono alla categoria del bene, come è del resto opinione comune. Se dunque la luce si addice alla calvizie, bisogna ritenere che alla chioma si addica l’oscurità: questo infatti non soltanto è ragionevole, ma anche assolutamente necessario. Ma forse è doveroso aggiungere ancora un po’ di persuasione alla ragione e non accontentarsi della forza della dimostrazione. Ecco che tutti pensano e affermano che la capigliatura è un parasole naturale. Anche il più illustre dei poeti, Archiloco, dopo averla già elogiata, loda il fatto che ricopra il corpo di una cortigiana; dice così: “i capelli le ombreggiavano le spalle e la schiena”.56

L’ombra non è nient’altro che la tenebra: entrambi i termini significano assenza di luce. Se ci accostassimo ulteriormente e trattassimo la questione, noteremmo che la notte stessa non è che la più grande ombra, in quanto la terra intercetta i raggi del sole. Eppure, anche di giorno le foreste fitte sono prive di luce, in quanto troppo ombreggiate e chiomate. 12.  Questo a proposito del carattere divino e della consacrazione ai più brillanti tra gli dèi che risiedono nell’etere. La salute è un bene, certo il più importante di tutti i beni: è per questa che io vedo molte persone con i capelli ricorrere al rasoio e alle creme depilatorie, per essere al tempo stesso calvi e esenti da malattie. Ma se l’oftalmia, il catarro, la durezza d’orecchio e tutte le altre patologie che interessano la testa fossero eliminate assieme a questo fardello, sarebbe un grande risultato; e sarebbe ancora più grande se ciò recasse vantaggio anche ai piedi e alle viscere.57 Quelli svantaggiati da questo punto di vista sono coloro che sono costretti dai medici a sopportare i cosiddetti cicli,58 di cui inizio, metà e fine

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ὑπομένειν ἀναγκαζόμενοι, ὧν ἀρχὴ καὶ μέσα καὶ τέλος ὁ δρώπαξ ἐστίν, ὃς ἀκριβέστερον σιδήρου ταῖς θριξὶν ἐπεξέρχεται. Καὶ γὰρ εὔλογον ἐξ ὑπερκειμένου χωρίου, καθάπερ ἐξ ἀκροπόλεως, ἀπὸ τῆς κεφαλῆς ἐξῆφθαι τῷ παντὶ σώματι τά τε τῶν νόσων καὶ τὰ τῆς ὑγιείας πείσματα. Οὐκοῦν καὶ ὑγιείας οὐκ ἴσον μέρος μετέχομεν, ἀλλὰ σὺν θεῷ φάναι τὸ πλέον. Δόξειε δ’ ἂν αὐτὸ τοῦτο αἰνίττεσθαι καὶ τὰ βρέτα τὰ Ἀσκληπίεια, καί τι [ψιλὰ] τριχῶν Αἰγυπτιακῶς διακείμενα. Εἴη γὰρ ἂν εἰς κοινὸν νουθεσία καὶ παράγγελμα τῶν ἐν ἰατρικῇ τὸ ὑγιεινότατον, καὶ μονονουχὶ λέγειν ἔοικεν ὡς ὅστις ὑγιαίνειν ἐρᾷ, μιμείσθω τὸν ἰατρικῆς εὑρέτην καὶ προστάτην. Εἱληθεροῦν γὰρ κρανίον καὶ πάσαις ταῖς ὥραις ἐκκείμενον, οὐκ ἂν θαυμάσαις εἰ ταχέως ἀπεργασθείη σίδηρος ἀντ’ ὀστέου· οὕτω δὲ ἔχον, ἁπάσαις ἂν εἴη νόσοις δυσεμβολώτατον. Καὶ ὥσπερ τῶν δοράτων τὰ μὲν ἕλεια καὶ τὰ πεδινὰ χείρω, τὰ δὲ ὄρεια κρείττω· τὴν δὲ αἰτίαν Ὁμήρου πυνθάνου καὶ ἀκούσῃ λέγοντος· ἀνεμοτρεφῆ γάρ ἐστι καὶ γεγυμνασμένα. Μηδὲ γὰρ Χείρωνα τὸν σοφὸν εἰκῆ νόμιζε τῷ Πηλεῖ τὸ δόρυ τεμεῖν, οὐκ ἀπὸ τῶν γειτόνων Τεμπῶν, οὐδ’ ἀπό τινος ὄρους ἢ φάραγγος, οὗ λεῖα καὶ μήκιστα φύεται, ἀλλὰ Πηλίου ἐκ κορυφῆς, οὗ ταῖς ἐμβολαῖς τῶν ἀνέμων ἐξέκειτο. Ταῦτ’ ἄρα ξύλον ἀγαθὸν ἦν, ὅ γε καὶ τῇ διαδοχῇ τοῦ γένους ἐξήρκεσεν· οὕτως ἔχει καὶ περὶ τούτω τὼ κεφαλά, τήν τε δασεῖαν καὶ τὴν ψιλήν. Ἡ μὲν ἕλειός ἐστι· σκιατροφεῖται γάρ· ἡ δὲ ὄρειος· ἀνεῖται γὰρ ἅπασι πνεύμασι, καὶ διὰ τοῦτο καρτερὰ μὲν αὕτη, ῥαδινὴ δὲ ἐκείνη. 13.  Ἔξεστι δὲ πεῖραν τοῦ λόγου λαβεῖν ἐκεῖ γενομένοις, οὗ συνερράγη τὸ Καμβύσου καὶ Ψαμμιτίχου στρατόπεδον, κατὰ τὴν ἐξ Ἀραβίας εἰς Αἴγυπτον εἰσβολήν· τούτω γὰρ ἀλλήλων τότε πειρώμενοι καὶ τὸν παρόντα καιρὸν ἑκάτεροι τοῦ παντὸς εἶναι κρίσιν ἡγούμενοι, μόλις ποτὲ διελύθησαν· γενομένου δὲ φόνου πολλοῦ, καὶ τοῦ πάθους κρείττονος ὄντος ἢ κατ’ ἀναίρεσιν τῶν νεκρῶν, ἄλλο μὲν οὐδὲν οἱ περιγενόμενοι τοὺς ἀποθανόντας

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consistono nella crema depilatoria, che attacca i capelli in maniera più esatta del ferro. E infatti è ragionevole che da quel luogo elevato – “come un’acropoli”59 – che è la testa si diffondano per tutto il corpo i fili delle malattie e della salute. Certamente noi calvi non condividiamo alla pari la salute con gli altri, ma, sia detto col permesso della divinità, ne abbiamo di più. Sembra che proprio a questo alludano i simulacri di legno di Asclepio, specie quando hanno i capelli acconciati alla maniera egizia. Potrebbe essere un avvertimento per tutti, nonché il precetto più salutare che vi sia in campo medico; e sembra quasi dire che chiunque desideri essere sano deve imitare l’inventore e il protettore della medicina. Infatti, un cranio scaldato dal sole ed esposto a tutte le variazioni climatiche non stupirebbe nessuno se divenisse rapidamente di ferro, anziché di osso; in questo modo, sarebbe inattaccabile per tutte le malattie. Allo stesso modo, le lance di legno di palude e di pianura sono peggiori, quelle di legno di montagna migliori. Il motivo lo si domandi a Omero e se ne ascolti la risposta: esse sono “nutrite dal vento”60 e da questo allenate. Non credere infatti che per caso il saggio Chirone non abbia tagliato il legno della lancia per Peleo61 né nei dintorni di Tempe né su qualche montagna o dirupo dove gli alberi nascono lisci e molto lunghi, ma sulla cima del Pelio, dove era esposto agli assalti dei venti.62 Ecco perché si trattava di un buon legno, che è rimasto valido anche nel succedersi della stirpe. Lo stesso vale anche per i due tipi di testa, la chiomata e la calva. L’una è palustre: infatti è cresciuta nell’ombra; l’altra è montana: è esposta a tutti i venti. Per questo la seconda è forte, la prima debole. 13.  È possibile dimostrare ciò che dico grazie a quanto accadde là dove l’esercito di Cambise e Psammetico si scontrarono, durante l’invasione dell’Egitto che era partita dall’Arabia.63 Entrambi gli eserciti si mettevano alla prova e pensavano che quel momento fosse sotto ogni aspetto decisivo: per questo a stento ruppero l’assetto. La carneficina fu enorme e il disastro troppo grande per poter procedere al recupero dei cadaveri. I sopravvissuti non poterono fare altro per i morti eccetto questo: trovandosi quelli alla rin-

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ἐποίησαν· ἀναμὶξ δὲ ὄντας, ὡς ἕκαστος ἐτύγχανε πεπτωκὼς ἐπὶ παρατάξεως, ἀλλήλων διέκριναν· καὶ νῦν εἰσὶ δύο θημῶνες ὀστέων, ὁ μὲν Αἰγυπτίων, ὁ δὲ Μηδικῶν. Θαυμάζει τοίνυν Ἡρόδοτος – ἔοικε γὰρ ὁ βέλτιστος ἐμπεπαρῳνηκέναι ταῖς κεφαλαῖς – τῶν μὲν τὴν ἰσχνότητα καὶ ἀσθένειαν – καὶ γὰρ ἂν ψηφῖδι, φησί, διατετραναίης βαλών – τῶν δὲ τὸ παχὺ καὶ στερέμνιον· ἀντίτυποι γὰρ ἀπήντων αὐτῷ καὶ σκληραί, καὶ οὐδ’ ἂν ὅλη χερμὰς ἐπ’ αὐτὰς ἐξαρκέσειεν, ὥστε κορύνης ἂν δέοι. Αἰτίαν δέ γέ φησιν, ἐφ’ ἣν ἡμεῖς τὴν πεῖραν ἐκαλέσαμεν μάρτυρα, τῶν μὲν τοὺς πίλους, τῶν δὲ τὴν ὑφ’ ἡλίῳ τροφήν. Εἰ δὲ χαλεπὸν μὲν ὁδὸν προελέσθαι διὰ τοσούτων ἐθνῶν ὑπερόριον, οὐχ ὅσιον δὲ οὐδὲ λίθῳ πατάξαι νεκροῦ κεφαλήν, Ἡροδότῳ δὲ ἀπιστεῖς, οὐκοῦν οἰκέται κἀμοὶ καὶ συχνοῖς ἄλλοις εἰσὶν ἐν ἄστει Σκύθαι καὶ Σκυθικῶς ἀνεικότες τὰς κόμας· τούτοις ἄν τις ἐντείνῃ κόνδυλον, ἀπολώλεκεν. Τὸν ἐν θεάτρῳ δὲ ἄνθρωπον, ὃς πολλὴν καὶ καλὴν παρέχει τῷ δήμῳ διατριβήν, ἔξεστι καθ’ ἑκάστην ἱερομηνίαν τῷ καταλαβόντι θέαν θεᾶσθαι. Οὗτός ἐστι μὲν τῶν τέχνῃ φαλακρῶν, οὐ τῶν φύσει, βαδίζων ἐπὶ τὰ κουρεῖα τῆς ἡμέρας πολλάκις· πάρεισι δὲ εἰς τὸν δῆμον ἐπ’ αὐτὸ τοῦτο, τῆς κεφαλῆς τὴν ῥώμην ἐπιδειξόμενος, ᾗ μηδέν ἐστι δεινὸν τῶν δεινῶν· ἀλλὰ καὶ πρὸς πίτταν ἀναζέουσαν παραβάλλεται, καὶ διακυρίττεται δεδιδαγμένῳ κριῷ πόρρωθεν εὖ μάλα τὸν πίτυλον κατασείοντι. Ἐπιλείπει δὲ τὰ Μεγαρέων κεράμια τῇ γενναίᾳ ταύτῃ προσκαταγνύμενα· τέμνεται δὲ καὶ κατατέμνεται, καὶ οὐδὲν ὅ τι οὐ τῶν τοῖς ὁρῶσι φρίκην φερόντων, ᾗ γε καὶ προσήλωται βλαύτης Ἀττικῆς ἀκριβέστερον. Τοῦτον ἐγὼ τὸν ἄνδρα θεώμενος, τῆς εὐτυχίας ἐμαυτὸν ἐμακάρισα. Καὶ γὰρ κἂν ἐγὼ ταῦτα πάντα δυναίμην· ἀλλ’ οὗτος ἐμοῦ τῇ τόλμῃ περίεστι, μᾶλλον δὲ τοῦτον μὲν εἰς τοῦτο τῆς τόλμης ἡ πενία προήγαγεν, ἐμοὶ δὲ τῆς πείρας οὔτε δεῖ, μήτε δέοι· ἀλλ’ ἕτερον αὐτοῦ τὸ παμμέγεθες ἀγαθόν, ὃ τῶν εἰρημένων οὐδενὸς ἀπολείπεται. Ἂν μὲν γὰρ ᾖ τῆς Πινδάρου τυγχάνειν εὐχῆς, καὶ ζῆν ἔχωμεν ἀπὸ τῶν οἰκείων, ἐν καλῷ τοῦ

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fusa, in base a come ognuno era casualmente caduto al suo posto di combattimento, li separarono gli uni dagli altri. Ecco dunque due cumuli di ossa, uno degli Egizi, uno dei Medi. Erodoto esprime il suo stupore – sembra infatti che quest’uomo eccellente si sia comportato come un ebbro con i crani – per la sottigliezza e la fragilità degli uni – si sarebbe potuto forarli, dice, colpendoli con un sassolino – e lo spessore e la solidità degli altri. Saldi e duri, gli resistevano e neppure una pietra tutta intera sarebbe bastata contro di loro, ma ci sarebbe voluta una mazza. La spiegazione che egli dà (per questa prova lo abbiamo invocato come testimone) sono i copricapi dei Medi e l’esposizione al sole degli Egizi. Se è difficile compiere un viaggio presso tanti popoli che si trovano oltreconfine, se è cosa empia colpire con una pietra il cranio di un cadavere e seppure non ti fidi di Erodoto, comunque sia, io posseggo, come molti altri miei concittadini, degli schiavi sciti64 che si lasciano pendere i capelli secondo l’usanza tipica di quel popolo: se si dà loro un pugno, sono già morti. C’è però un uomo che a teatro offre alla gente un abbondante e qualitativamente buon passatempo: chi vi si trovi può vederlo ogni giorno festivo. Costui fa parte dei calvi artificiali, non naturali, recandosi dal barbiere più volte al giorno. Si esibisce davanti al popolo con un obbiettivo ben preciso, mostrare la forza della propria testa, alla quale nessuna prova terribile tra le più terribili incute timore: la espone alla pece bollente, lotta a cornate contro un ariete ben addestrato che già di lontano agita la testa con impeto. Si lascia alle spalle vasi di Megara65 infrantisi contro la sua nobile testa; e questa si taglia, si ferisce e non c’è cosa che non rechi terrore agli spettatori, come ad esempio il fatto che venga forata dai chiodi con più precisione di un sandalo attico. Alla vista di quest’uomo mi sentii felice della mia buona sorte. Anch’io, infatti, potrei fare tutte queste cose, ma quello mi sorpassa per audacia, o piuttosto la povertà lo ha portato fino a questo punto di temerarietà, ma io non ne ho bisogno e possa non averne mai. Eppure, vi è un altro bene immenso, non inferiore a nessuna delle cose dette. Se è possibile esaudire il voto di Pindaro,66 e possiamo quindi vivere dei nostri beni, ci siederemo in un buon posto a teatro, come ascoltatori e spettatori

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θεάτρου καθιζησόμεθα, ἀκροαταὶ τῶν δεικνυμένων καὶ θεαταί. Κἂν χορηγῆσαι δέῃ τῇ πόλει, κἂν ἐπιδόσεις ὁ δῆμος αἰτῇ, χρησόμεθα μεγαλοπρεπῶς τοῖς ὑπάρχουσι, τοῦ δαιμονίου δὲ ἀντιπνεύσαντος καὶ τῶν ἀλφίτων ἐπιλειπόντων – ὃ μηδενὶ τῶν θείων ἀνδρῶν παραγένοιτο –, τὸ γοῦν ἔσχατον ἄπεστι τῶν κακῶν, ὁ λιμός, οἷς ἅπασιν ἔξεστι θαυματοποιοῖς εἶναι, καὶ μικρὸν ἀπερυθριάσασιν ἐν τῷ λογείῳ ἀποδοῦναι καὶ σχεδιάσαι τέχνην θέας ἀξίαν. 14.  Ὅστις οὖν, ὥσπερ Δίων, οἴεται πρέπειν πολὺ μᾶλλον ἀνδράσιν ἢ γυναιξὶ τὴν κόμην, πῶς οὐ τοῖς οὖσι καὶ τοῖς φανεροῖς τἀναντιώτατα διατάττεται; Ὃ γὰρ τοὺς ἔχοντας ἀσθενεστέρους ποιεῖ, πῶς εὔλογόν ἐστι τῇ τῶν ἰσχυόντων μοίρᾳ προσνέμειν; Ἀμέλει δὲ καὶ φύσει καὶ νόμῳ διώρισται· νόμῳ μέν, εἰ μήτε πᾶσι καλὸν ἡ κόμη τοῖς ἄρρεσι, μήτε πανταχοῦ, μήτ’ ἀεὶ τοῖς αὐτοῖς. Λακεδαιμόνιοι γὰρ μετὰ Θυρέαν, Ἀργεῖοι δὲ πρὸ Θυρέας ἐκόμησαν· συχνὰ δὲ τῶν ἐθνῶν οὔτε νῦν οὔτε πρότερον· γυναιξὶ δὲ ἀεὶ καὶ πάσαις καὶ πανταχοῦ καλὸν ἐσπουδακέναι περὶ τὴν ἐπιμέλειαν τῶν τριχῶν· οὐ γάρ ἐστιν οὔτε γέγονεν ἥτις ὑπέθηκε ξυρῷ τὴν κεφαλήν, ὅτι μὴ κατ’ ἀπαίσιόν τινα καὶ ἀποτρόπαιον συμφοράν, εἰ δή τι καὶ τοιοῦτον ὁ χρόνος ἤνεγκεν· ἐγὼ γὰρ οὔτε εἶδον, οὔτε ἤκουσα. Ὁμολογεῖ δὲ καὶ ἡ φύσις τῷ νόμῳ· γυνὴ μὲν γὰρ οὐδεμία τῶν ἐξ αἰῶνος ἀναδέδεικται φαλακρά· καὶ οὐκ ἐρεῖς ὡς οἱ κεκρύφαλοι κρύπτουσιν· αἱ γὰρ κωμῳδίαι καὶ διὰ τούτων ὁρῶσιν. Εἰ δὲ τριχορρυής τις ἐγένετο, νόσον τινὰ ταύτην νοσεῖ, καὶ δι’ ἐλαχίστης ἐπιμελείας εἰς τὸ πεφυκὸς ἐπανέρχεται· ἀνδρῶν δέ, οὓς καὶ ἄξιον ἄνδρας καλεῖν, οὐ ῥᾴδιον εἰπεῖν ὅστις οὐκ ἔφθασεν εἰς τοῦτο τῆς φύσεως. Δι’ αὐτὸ γὰρ τοῦτο καὶ δοκεῖ τέλος εἶναι τῆς φύσεως, εἰ καὶ μὴ πᾶσιν ἐπιτυγχάνεται. Ὥσπερ δὲ γεωργῶν παῖδες ἀπὸ τῆς ὁρμῆς τῶν ὑγιαινόντων φυτῶν συνέντες ὡς εἰς ὀρθὸν αἴρεσθαι βούλεταί τε καὶ πέφυκεν, ὅσα μὴ πρὸς τοῦτο παρ’ ἑαυτῶν ἐξισχύει, κοντοῖς

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della rappresentazione. Se bisogna provvedere alle necessità della città, se il popolo domanda delle donazioni, faremo un uso generoso delle nostre sostanze. Ma se anche la divinità ci fosse avversa, se dovesse venir meno il pane quotidiano – possa non accadere a nessuno degli uomini prossimi a Dio –, allora, comunque, il più estremo dei mali, la fame, non riguarderà noi tutti per i quali è possibile divenire prestidigitatori e, seppure arrossendo un poco, presentare e improvvisare sulla scena un’arte degna di essere vista. 14.  Chi dunque, come Dione, ritiene che la capigliatura si addica molto di più agli uomini che alle donne, non si schiera forse in una posizione contraria alla realtà e all’evidenza? Infatti, come può essere logico attribuire al destino degli esseri forti la caratteristica che rende più deboli coloro che la posseggono? Sicuramente vi è una distinzione per natura e una per consuetudine. Dipende certo dalla consuetudine se la chioma non è cosa bella per tutti i maschi, né dappertutto né sempre per gli stessi: gli Spartani infatti hanno iniziato a portare una lunga chioma dopo la battaglia di Tirea, mentre gli Argivi prima.67 Molti popoli non hanno adottato questa usanza né adesso né in passato. Per le donne, invece, per tutte e dappertutto, è cosa bella dedicarsi alla cura dei capelli. Non esiste e non è mai esistita colei che ha messo la sua testa sotto un rasoio, eccetto che per qualche infausta e abominevole calamità, se il tempo ne ha mai portata una tale: ma io non l’ho mai vista e non ne ho mai sentito parlare. La natura è dunque in accordo con la consuetudine: nessuna donna, in nessuna epoca, si è mostrata calva in pubblico e non mi si dirà che i loro veli la nascondono, giacché le commedie vedono anche attraverso di essi. Se una donna ha perso i suoi capelli è perché è stata colpita da una malattia e con un minimo di cura tornerà al suo stato naturale. Tra gli uomini degni di essere definiti tali, invece, non è facile indicare qualcuno che non sia giunto a questo stato di natura. Per questo infatti ciò sembra essere un fine naturale, sebbene non tocchi a tutti. Come fanno i contadini, che comprendono dallo slancio delle piante sane che queste intendono elevarsi dritte e crescere secondo natura – e sostengono con pertiche e paletti quante non sono abbastanza

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αὐτὰ καὶ χάραξιν ὑπερείδουσιν· οὕτως, ἐπειδὴ πεφήνασιν ἅπαντες, ὧν ἡ φύσις ἀρίστη, παραπλησίως ἐμοὶ διακείμενοι, ξυρῷ τοὺς οὐχ οὕτως ἔχοντας ἐπανορθωτέον καὶ βοηθητέον ἂν εἴη τῇ φύσει. 15.  Λακεδαιμονίων μὲν οὖν ἄξιον μεμνῆσθαι πρὸ τῆς ἐν Θερμοπύλαις μάχης ἠσκηκότων τὰς τρίχας, ἣν δι’ αὐτὸ τοῦτο καλεῖ μεγάλην, ὅτι Λακεδαιμόνιοι πρὸ αὐτῆς ἐκτενίσαντο, ὧν οὐδεὶς ἐπὶ τῷ πονηρῷ τούτῳ σημείῳ περιεγένετο. Λέγω δὲ οὐκ ἀναμιμνήσκων τῶν εἰρημένων ὅτι τρίχες κἀν τοῖς ζῶσίν ἐστι νεκρόν, ἀλλ’ ὅτι τεθνεώτων αὔξουσι· τοῦτο γὰρ ὑπὸ τῶν ἐν Αἰγύπτῳ θεραπευτῶν εἰς πάντας διατεθρύληται, καί τις ἐν χρῷ κουρίας ἀποθανών, εἰς νέωτα κόμην καὶ πώγωνα βαθὺν ἤνεγκεν. Τούτους μὲν οὖν εἵλκυσεν εἰς τὸν λόγον οἳ κάλλιστα τῶν Ἑλλήνων ἀπέθανον· τῶν δὲ τὰς καλλίστας τε καὶ μεγίστας νίκας ἀνῃρημένων καὶ τιμωρησαμένων ὑπέρ τε τούτων αὐτῶν καὶ ὑπὲρ τῆς ἄλλης Ἑλλάδος τὸν βάρβαρον ἑκὼν ἐπιλανθάνεται· λέγω δὲ Μακεδόνας τε καὶ τοὺς Ἀλεξάνδρῳ συναναβάντας Ἕλληνας, ὧν οὐκ ἐγένοντο μόνοι Λακεδαιμόνιοι. Οὗτοι πρὸ τῆς ἐν Ἀρβήλοις μάχης, ἣ δικαιότερον ἄν τις μεγάλην προσαγορεύσειε, πείρᾳ μαθόντες ὅτι πονηρὸν στρατιώταις αἱ τρίχες, πανδημεὶ ξυράμενοι, μετὰ θεοῦ καὶ τύχης καὶ ἀρετῆς εἰς τὸν ὑπὲρ τῶν ὅλων ἀγῶνα συνέστησαν. Ἐπράχθη δὲ ἀπὸ τοιαύτης αἰτίας ἡ διαβολὴ τῶν τριχῶν, ὡς ὁ τοῦ Λάγου Πτολεμαῖος ξυνέγραφεν, ὅς, ὅτι μὲν παρῆν τοῖς δρωμένοις, ἠπίστατο, ὅτι δὲ βασιλεὺς ἦν ὁπηνίκα συνέγραψεν, οὐκ ἐψεύδετο. 16.  Ἀνὴρ Μακεδών, κόμην τε ἀνεικὼς εἰς τὸ περιττὸν καὶ γένειον βαθὺ καθεικώς, ἐπ’ ἄνδρα Πέρσην ἐφέρετο· συμφρονήσας δὲ ὁ Πέρσης, καίπερ ὢν ἐν δεινῷ, γέρρον μὲν ἐκεῖνο καὶ ξυστὸν ἀφίησι τῶν χειρῶν, ὡς οὐχ ἱκανὰ ταῦτα τῷ Μακεδόνι· ᾄττει δὲ ὁμόσε, καὶ φθάσας εἴσω τῶν τοῦ πολεμίου ὅπλων γενέσθαι, λαμβάνεται τοῦ

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forti da arrivare a questo punto da sole –, allo stesso modo, giacché tutti quelli la cui natura è la migliore appaiono trovarsi in uno stato assai simile al mio, sarebbe opportuno correggere con un rasoio quelli che non sono così e aiutare la natura. 15.  Vale la pena di ricordare gli Spartani che si acconciarono i capelli prima della battaglia delle Termopili, battaglia che Dione definisce grande proprio perché gli Spartani si pettinarono prima di essa; eppure, nessuno sopravvisse a questo cattivo presagio. Io dunque affermo, senza ripetere le cose già dette, che, sebbene i capelli siano materia morta anche quando sono a contatto con i vivi, continuano a crescere nei cadaveri: i Terapeuti d’Egitto68 vanno ripetendo in ogni circostanza che un tale, morto completamente rasato, un anno dopo aveva una chioma e una barba fitte. Dione ha così introdotto nel suo discorso coloro che tra i Greci sono morti nella maniera più gloriosa. Ma quelli che hanno riportato le più gloriose e più grandi vittorie e che si sono vendicati dei Barbari per quelli stessi Spartani e per il resto della Grecia, volontariamente li tralascia: parlo dei Macedoni e dei Greci che parteciparono alla spedizione di Alessandro, tra i quali mancarono soltanto gli Spartani. Tutti costoro, prima della battaglia di Arbela,69 che più a buon diritto si potrebbe definire grande, avendo già appreso per esperienza che i capelli sono un impedimento per i soldati, si rasarono tutti insieme e sostenuti dalla divinità, dalla sorte e dal valore ingaggiarono lo scontro decisivo. La diffidenza nei confronti dei capelli si era verificata per il motivo seguente, come racconta Tolemeo di Lago, il quale era bene informato, in quanto presente agli avvenimenti, e non mentiva, giacché era re nel momento in cui scriveva.70 16.  Un Macedone con una chioma straordinariamente lunga e una barba altrettanto lunga e fitta attaccò un Persiano. Questo, dopo aver ben ragionato, seppure trovandosi in difficoltà, si liberò le mani del famoso scudo71 e dell’asta, giacché questi non erano sufficienti contro il Macedone; poi gli si scagliò contro e, dopo aver superato le armi del proprio avversario, lo afferrò per la barba e per

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πώγωνος καὶ τῆς κόμης, κᾆθ’ οὕτω καταβάλλει στρατιώτην ἄμαχον, τριχὶ δίκην ἰχθύος ἐφελκυσάμενος, πεσόντα δὲ ἤδη κατακαίνει, τὸν ἀκινάκην σπασάμενος. Εἶδε δή τις καὶ ἕτερος Πέρσης, καὶ μάλα ἄλλος καὶ ἄλλος, καὶ ταχὺ μὲν ἅπαντες ἦσαν ῥιψάσπιδες, ταχὺ δὲ ἄλλος ἄλλον κομήτην ἀπολαβόντες, ἀνὰ τὸ πεδίον ἐδίωκον· παρῄει γὰρ ὥσπερ σύνθημα διὰ τοῦ Περσικοῦ στρατεύματος ὅτι ἄνδρες οὗτοι θριξὶν ἁλώσιμοι. Μόνον οὖν, ὡς εἰκός, ὅσον φαλακρὸν ἦν τῆς Ἀλεξάνδρου φάλαγγος συντεταγμένον διέμεινεν. Ἐν τούτῳ δὲ ὁ βασιλεὺς ἀπορίᾳ συνείχετο, γυμνοῖς ἐξιστάμενος οἷς ὡπλισμένοις ἦν ἀνυπόστατος· κἂν αἰσχρῶς ἀνέλυσεν ἐπὶ Κιλικίας Ἀλέξανδρος, κἂν ἐγένετο τοῖς Ἕλλησι καταγέλαστος, τῇ τριχομαχίᾳ κεκρατημένος· νυνὶ δέ – μοιρίδιον γὰρ ἦν ἤδη τοῖς Ἡρακλείδαις τοὺς Ἀχαιμενίδας παραχωρῆσαι τῶν σκήπτρων – ταχὺ συνείς τι τοῦ δεινοῦ, κελεύει μὲν ἀνακλητικὸν ἠχῆσαι τὰς σάλπιγγας· ἀπαγαγὼν δὲ ὡς πορρωτάτω καὶ καθίσας ἐν καλῷ τὸν στρατόν, ἐπαφίησιν αὐτῷ τοὺς κουρέας. Οὗτοι μὲν οὖν δώροις ὑπὸ τοῦ βασιλέως ἀναπεισθέντες, πανδημεὶ τοὺς Μακεδόνας ἐξύρησαν. Δαρείῳ δὲ καὶ Πέρσαις οὐκέτι τὸ πρᾶγμα κατ’ ἐλπίδας ἐχώρησε· μὴ γὰρ οὔσης ἔτι λαβῆς, πρὸς πολὺ καλλίους ἀγωνιστὰς τοῖς ὅπλοις ἐκρίνοντο. 17.  Κόμη τοίνυν οὔτε ποιεῖ φοβεροὺς οὔτε δείκνυσιν, εἰ μή γε τῶν βρεφῶν εἰσι μορμολύκεια, ἐπεὶ τούς γε στρατιώτας ὁρῶμεν, ἐν ᾧ δεῖ τοὺς πολεμίους φοβεῖν, κράνη περικειμένους. Τὸ δὲ κράνος οὐδὲν ἄλλ’ ἢ κατὰ τοὔνομα καὶ τὸ πρᾶγμα χαλκοῦν κρανίον ἐστίν. Εἰ δὲ ἵππων θριξὶν ἐνσκευάζονται, οἷς μὲν ὑπῆρξεν ἀμφιέσασθαι κράνος, ἴσασι περὶ τοῦ σχήματος· διδακτέον δ’ ἂν εἴη τοὺς οὐκ εἰδότας, ὡς ὄπισθεν σκευάζονται στοιχηδὸν διατεθείσαις θριξὶ μεταξὺ τοῦ πίλου καὶ τοῦ κράνους. Ἐπεὶ τήν γε κυρτὴν ἐπιφάνειαν οὐδ’ ἂν Ἥφαιστος ἐγκρατῆ τριχῶν ἀπεργάσαιτο· ἔχουσα δὲ ὥσπερ ἔχει, φαλάκρας ἀκριβεστάτην εἰκόνα παρέχεται· ταύτῃ καὶ καταπληκτικώτατόν ἐστιν ἁπάντων ὅσα στρατιώταις περίκειται.

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la chioma, rovesciò così a terra il soldato ormai incapace di combattere, lo trascinò come un pesce tenendolo per i capelli e, trovandosi l’uomo ormai a terra, lo uccise dopo aver estratto la sciabola corta. Ecco che un altro Persiano lo vide, e poi un altro e un altro ancora, e subito tutti gettarono il loro scudo e ciascuno andò ad afferrare un nemico chiomato e a inseguirlo per la pianura. Si era diffuso come una parola d’ordine per l’esercito persiano che quegli uomini erano facili da prendere per i capelli. Mantenne lo schieramento nella falange di Alessandro, come è ovvio, soltanto chi era calvo. Nel frattempo, il re si trovava in difficoltà, ritirandosi dinanzi a degli uomini disarmati contro i quali, se armati, sarebbe stato invincibile. Vergognosamente Alessandro si sarebbe ritirato in Cilicia72 e sarebbe stato deriso dai Greci per essere stato sconfitto in una “tricomachia”.73 Ma allora – era già segnato dal destino che gli Achemenidi cedessero lo scettro agli Eraclidi74 –, accortosi subito del pericolo, Alessandro ordinò immediatamente alle trombe di suonare la ritirata. Ritiratosi dunque il più lontano possibile e collocato l’esercito in una buona posizione, gli lanciò contro i barbieri. Questi dunque, persuasi dai doni del re, rasero i Macedoni in massa. Per Dario e per i Persiani la situazione non si svolse più secondo le speranze: non essendo più possibile alcuna presa, si misurarono con le armi contro avversari molto più forti di loro. 17.  La chioma non rende dunque temibili, neppure all’apparenza, a meno che non si tratti degli spauracchi dei bambini, giacché vediamo i soldati che, quando bisogna intimorire i nemici, si coprono con degli elmi. L’elmo non è nient’altro, di nome e di fatto, che un cranio di bronzo. Anche se sono rivestiti di criniera di cavallo, quanti hanno avuto occasione di portarlo conoscono la sua forma; bisognerebbe piuttosto insegnare a quelli che non lo sanno che è nella parte posteriore che essi sono muniti di crini disposti in fila, nel mezzo tra il copricapo e l’elmo. Neppure Efesto potrebbe rendere la superficie convessa dell’elmo un supporto per i capelli; così com’è, questa superficie trasmette un’immagine assolutamente fedele della calvizie: per questo è la cosa più spaventosa tra tutte quelle che indossano i soldati. Comunque, Achille

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Ὁ γοῦν Ἀχιλλεὺς ἀναθαρσῆσαι τοὺς Τρῶάς φησιν, οὐχ ὅτι τῆς κόμης οὐχ ὁρῶσιν αἰωρουμένην τὴν σόβην, ἀλλὰ πῶς λέγει; οὐ γὰρ ἐμῆς κόρυθος λεύσσουσι μέτωπον ἐγγύθι λαμπομένης.

Τὸ γὰρ ἀποστίλβον αὐτῆς καὶ λεῖον, αὐτὸ τοῦτο φαλάκρα τε ἂν εἴη καὶ φόβητρον. Εἰ δὲ Ἀχιλλεὺς ἐκόμα – καὶ γὰρ δὴ καὶ τοῦτό φησι –, νέος γὰρ ἦν, ὁπηνίκα καὶ ὀξύρροπος ἦν εἰς ὀργήν, οὐδέπω χωρούσης τῆς ἡλικίας οὔτε ψυχῆς οὔτ ε σώματος τελειότητα. Νέῳ δὲ εἰκὸς ἀναζεῖν καὶ τὴν κεφαλήν, οἶμαι, θριξὶ καὶ θυμῷ τὴν καρδίαν. Ἀλλ’ ὥσπερ οὐκ ἐπαινεῖται δι’ Ἀχιλλέα περὶ ψυχὴν ὁ θυμός, οὕτως οὐδὲ περὶ σῶμα κόμη τῶν θαυμαστῶν. Καίτοι συγχωρῶ Θέτιδος ὄντα κράτιστα φῦναι πρὸς ἅπασαν ἀρετήν, καὶ γνώμην ἀποφαίνομαι περὶ Ἀχιλλέως, εἰ περιεγένετο, φαλάκρας τε ἂν αὐτὸν καὶ φιλοσοφίας οὐκ ἀμοιρῆσαι. Καὶ νέος ὢν ἀμωσγέπως ἰατρικῆς τε καὶ μουσικῆς ἥπτετο, καὶ πρὸς ἃς εἶχε τρίχας, οὕτω δυσχερῶς εἶχεν ὡς ἱεροῖς ὁσιωθείσας ἠρίοις ἀπάρξασθαι. Ἐπεί τοι καὶ Σωκράτην αὐτὰ ταῦτά φησιν Ἀριστόξενος, ὡς φύσει γεγόνοι τραχὺς [εἰς] ὀργὴν καί, ὁπότε κρατηθείη τῷ πάθει, διὰ πάσης ἀσχημοσύνης ἐβάδιζεν. Οὐ μὴν οὐδὲ Σωκράτης πω τότε φαλακρὸς ἦν, πέντε καὶ εἴκοσιν ἔτη γεγονώς, ὁπηνίκα Παρμενίδης καὶ Ζήνων ἧκον Ἀθήναζε, ὡς Πλάτων φησί, τὰ Παναθήναια θεασόμενοι. Ἀλλ’ εἴ τις ὕστερον ὡς περὶ χαλεποῦ τοῦ Σωκράτους ἢ ὡς περὶ κομήτου διελέγετο, πολὺν ἂν οἶμαι τὸν λέγοντα παρὰ τοῖς εἰδόσιν ὀφλῆσαι κατάγελων· ὡς οὗτός ἐστιν ὁ τῶν πώποτε πεφιλοσοφηκότων φαλακρότατός τε ὁμοῦ καὶ πραότατος. Μὴ δὴ καταδίκαζε κόμην τοῦ ἥρωος· ἐν ᾧ γὰρ διαλέγῃ περὶ αὐτοῦ, μειράκιον ἦν, οὔπω πρώην ἐξ ἐφήβων γενόμενον. Καὶ σὺ μὲν οὐκ ἂν ἔχοις εἰπεῖν ὅτῳ ποτὲ τεκμηρίῳ χρώμενος ἀποφαίνῃ περὶ τῶν Ἀχιλλέως τριχῶν ὡς κἂν τὸ γῆρας αὐτοῦ περιέμειναν· ἐγὼ δέ, ὡς οὐκ ἂν περιέμειναν, ἔχω πολλά, τὸν πατέρα, τὸν πάππον – εἶδον

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non dice che i Troiani riacquistano coraggio perché non vedono la coda di cavallo del suo pennacchio ondeggiare nell’aria. Com’è che dice? “Non vedono la fronte del mio elmo lampeggiare davanti a loro”.75

Infatti la parte brillante e liscia dell’elmo, proprio questo sarebbe la calvizie e ciò che incuterebbe timore. E se è vero che Achille aveva la chioma – questo dice Omero76 effettivamente –, egli era anche giovane, in una fase in cui si tende facilmente all’ira, e non aveva ancora raggiunto l’età della perfezione dell’anima e del corpo. In un giovane è naturale, io credo, che la testa trabocchi di capelli e il cuore di collera. Ma, come non si loda a causa di Achille la collera dell’anima, così neppure si considerano tra le meraviglie del corpo i capelli. Tuttavia, ammetto che Achille, in quanto figlio di Teti, era per natura straordinariamente predisposto a ogni virtù e riguardo a lui ho l’opinione che, se fosse sopravvissuto, non sarebbe stato privo di calvizie e di filosofia. Ancora giovane si dedicava, in qualche modo, alla medicina e alla musica ed era così maldisposto nei confronti dei capelli che possedeva che, dopo averli purificati, li offrì a una sacra tomba.77 Per di più, Aristosseno dice le stesse cose di Socrate, ovvero che anche lui era per natura “impetuoso nella collera”78 e che, quando era dominato dalla passione, passava attraverso ogni impudenza. Ma Socrate non era ancora calvo all’epoca, a venticinque anni, quando Parmenide e Zenone giunsero ad Atene, come dice Platone,79 per assistere alle Panatenee. Ma se qualcuno in seguito avesse parlato di Socrate come di un uomo irascibile o capelluto, penso che si sarebbe esposto alla gran derisione di coloro che lo conoscevano, giacché egli è, tra tutti coloro che abbiano mai praticato la filosofia, al tempo stesso il più calvo e il più mansueto. Non condannare dunque la chioma dell’eroe: al tempo cui tu ti riferisci era un giovane appena uscito dall’adolescenza. Tu non sapresti neppure dire a quale prova ricorrere per dimostrare, riguardo ai capelli di Achille, che sarebbero rimasti fino alla sua vecchiaia. Io invece posso dimostrare che non sarebbero rimasti, e ho molte prove, il padre, il nonno – ne ho visto

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γάρ, εἶδον εἰκόνας –, τὸ συγγενῆ γεγονέναι θεῶν. Ἅπαξ δὲ εἰρημένον ἀρκεῖ περὶ τοῦ σχήματος τῶν θεῶν. 18.  Τί οὖν ὥσπερ ἑρμαίου λαβόμενος ἔχῃ, ξανθῆς δὲ κόμης ἕλε Πηλείωνα;

Ὅλως δὲ διὰ τί τεμάχιον ἐκφέρεις, ἀλλὰ μὴ πάντα τὸν στίχον ἕλκεις εἰς μέσον; Οὐκοῦν ἐπεὶ μὴ σὺ βούλει, τοῦ παρ’ ἡμῶν αὐτὸ γενέσθαι σὺ τὴν ἀνάγκην ἐποίησας· Στῆ δ’ ὄπιθεν, ξανθῆς δὲ κόμης ἕλε Πηλείωνα.

Εὖγε, ὦ Δίων, ὡς οὐ παρελκούσας ἀφῄρησαι συλλαβάς, ἀλλ’ ἐν αἷς ἅπαν ἔνι τοὐναντίον οὗ βούλει. Ἐντεῦθεν ἐγὼ μαντεύομαι κἀν τούτῳ τῆς ἡλικίας Ἀχιλλεῖ φαλάκρας μετεῖναι. Ἥκουσα, φησίν, ἡ θεὸς ὄπισθεν αὐτοῦ τῆς κόμης ἐλάβετο. Ἀλλὰ κἂν ἐμοῦ τις, ἀλλὰ κἂν αὐτοῦ Σωκράτους, κἂν τοῦ γεραιτάτου τῶν Ἑλλήνων ὄπισθεν λάβοιτο· ἐκεῖ γὰρ ἡμῖν ὑπολείπεται τὰ τῆς ἐπικήρου φύσεως σύμβολα· οὐ γὰρ οὔτε ἀνθρώπινόν ἐστιν οὔτε δαιμόνιον ἀγαθόν, ἀλλὰ θείας ἄντικρυς καὶ μοίρας καὶ φύσεως, εἰς τὸ παντελὲς ἀπηλλάχθαι τῆς πρὸς τὸ θνητὸν κοινωνίας. Στῆ δ’ ὄπιθεν, ξανθῆς δὲ κόμης ἕλε Πηλείωνα·

ἵνα λάβοιτο τῆς κόμης, ὄπισθεν ἔστη, ὡς οὐκ οὔσης ἐκ τοῦ προσθίου λαβῆς. 19.  Ὅλως δὲ ἀγαθὸν μὲν οὐδὲν ὑπὲρ φύσεως τῶν τριχῶν ἔνι τῷ Δίωνος λόγῳ. Καίτοι γε εἴπερ ἦν ἐν τῷ πράγματι, Δίων ἂν ἐξεῦρεν αὐτὸ καί, εἰ σμικρὸν ἦν, Δίων ἂν αὐτὸ μέγιστον ἔδειξεν, ὃς καὶ νῦν οὕτω πόρρωθεν ἐξευρίσκει μὲν Λακεδαιμονίους οὐδὲν ὄντας πρὸς ἔπος, οὔκουν ὅσα γε καὶ ἄλλῳ δοκεῖν· Ὁμήρου δὲ ἐξαψάμενος, ὥσπερ ἱερᾶς ἀγκύρας, ἔχεται μέχρι τελευτῆς τοῦ βιβλίου· οὕτω δὲ ἀδίκως πάνυ καὶ ῥητορικῶς χρῆται τῷ λόγῳ, ὥστε νῦν μὲν ἀπέκοψεν, ὥσπερ νόμου, τοῦ στίχου· ἑτέρωθι δὲ οὐκ ὄντων στίχων, ὡς ὄντων,

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infatti, ne ho visto delle immagini –, la parentela con gli dèi. Ed è sufficiente ciò che ho detto una volta riguardo all’aspetto degli dèi. 18.  Perché dunque ti aggrappi a questo, come a un colpo di fortuna? “Afferrò il Pelide per la bionda chioma”?80

Insomma, perché ne riporti solo un estratto e non presenti il verso tutto intero? Giacché tu non vuoi, imponi a me la necessità di farlo: “gli stette alle spalle, afferrò il Pelide per la bionda chioma”.81

Bravo Dione! Non sono sillabe superflue quelle che hai eliminato, ma quelle in cui risiede tutto il contrario di ciò che desideri. Da esse io suppongo che pure a quell’età Achille fosse parzialmente calvo. Da dietro giunge infatti la dea, dice Omero, che lo afferra per la chioma. Ma si potrebbe prendere da dietro anche me, anche lo stesso Socrate e pure il più vecchio dei Greci: là infatti restano i segni della nostra natura mortale. Infatti non è un bene umano e neppure demonico, ma solo di un destino e di una natura perfettamente divini di essere completamente staccati da ogni rapporto con l’elemento mortale. “Gli stette alle spalle, afferrò il Pelide per la bionda chioma”.82

Per prenderlo per la chioma, ella si mise dietro di lui, poiché non c’era alcuna presa dalla parte davanti. 19.  Insomma, non c’è alcun bene relativo alla natura dei capelli nell’argomentazione di Dione. D’altronde, se davvero ci fosse stato un bene in questo tema, Dione l’avrebbe scoperto e, anche se fosse stato piccolo, lo avrebbe presentato come immenso, lui che, pure stando così le cose, è andato tanto lontano a cercare gli Spartani, che non c’entrano nulla con quanto dice, certamente non a quanto risulta da altri autori. Dione si appiglia a Omero come a una sacra àncora e dipende da lui fino alla fine del libro. Eppure fa uso di un’argomentazione in modo talmente ingiusto e puramente sofistico che nell’esempio presente taglia una parte di un verso, come

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μέρη μαρτύρεται. Ἕκτορος γὰρ ἄντικρυς καταψεύδεται, μᾶλλον δὲ Ὁμήρου τὰ περὶ Ἕκτορος, τάχα δὲ καὶ Ὁμήρου καὶ Ἕκτορος. Ὁ μὲν γὰρ παραδέδοται τὰ περὶ τὴν κουρὰν ὁμοιότατα τοῖς πάνυ σώφροσι διακείμενος, καὶ δείκνυσιν ὁ τἀληθέστατα περὶ τῶν ἡρώων συγγεγραφώς, ἅτε, οἶμαι, τῶν μὲν συστρατιώτης γενόμενος, ἐπὶ δὲ τοὺς στρατευσάμενος, ὃς αὐτὰ ταῦτά φησι περὶ Ἕκτορος· εἴ τε εἰς Ἴλιον γέγονας, εὐθὺς εἰσιόντι πᾶς Ἰλιεὺς ἡγεῖται τὴν ἐπὶ τὸν νεὼν τὸν Ἑκτόρειον, οὗ τὸν ἀνδριάντα πρόχειρον μὲν ἰδεῖν· ἐπέρχεται δὲ τοῖς ἰδοῦσιν εἰπεῖν ὡς ἐπ’ ἐκείνου κατεσκευάσθη τοῦ σχήματος, ὅπερ ἔχων ὠνείδισε τἀδελφῷ τὸ κάλλος τὸ ἐπιποίητον, τὴν τῶν τριχῶν ἐπιμέλειαν. Ἃ δὲ γέγραφεν ὡς Ὁμήρῳ περὶ Ἕκτορος εἰρημένα· ἀμφὶ δὲ χαῖται κυάνεαι πεφόρηντο,

δειξάτω τις οὗ κεῖται τῶν Ὁμήρου ῥαψῳδιῶν. Ἀλλ’ οὐδ’ ἂν Ἴωνα δοκῶ τὸν ῥαψῳδὸν ἐξευρήσειν. Πῶς δ’ ἂν Ὅμηρος κομήτην ἐποίησεν, ὃν εἰσήγαγεν εἰς τὴν ποίησιν ἑτέρῳ καλλωπιστῇ λοιδορούμενον; ὅμοιον εἰ καὶ Φιλέας Ἀνδοκίδην ἱεροσυλίας ἐγράψατο, ὥσπερ οὐκ αὐτὸς ὢν ὁ τῆς θεοῦ τὸ Γοργόνειον ἐξ ἀκροπόλεως ὑφελόμενος. Οὕτως ἔχει σοι καὶ τὰ κατὰ τόνδε τὸν ἥρω. 20.  Εἰ δὲ κάρη ξανθὸς ἦν ὁ Μενέλαος, ἀλλ’ οὔτι καὶ κομήτης γε ἦν, ὅσα γε ἀπὸ τοῦ λόγου. Ἀλλ’ οὐδὲ ἔπαινος τοῦτο τριχῶν, ἀλλ’, ὥσπερ εἶχεν, ἐδίδαξεν· οὐ γὰρ ὅ τι ἂν Ὅμηρος ὀνομάσῃ τοῦτο τῆς φύσεώς ἐστι τῶν ἐπαινετῶν· Δίωνι δὲ ὑπὲρ εὐπορίας ταὐτὸν ἔοικεν εἶναι μνήμη τριχῶν καὶ ἐγκώμιον, ὅστις οὕτως ἀνδρείως ἐπέθετο τὰ μὲν οὐκ ἐνόντα τῇ ποιήσει προσνέμειν, τῶν δὲ ὄντων

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da una legge; altrove invece riporta come esistenti parti di versi che non esistono. Infatti, mente manifestamente su Ettore, o piuttosto su Omero, a proposito di quanto dice di Ettore, o forse al tempo stesso su Omero e su Ettore. Quest’ultimo è tramandato tradizionalmente come assai simile agli uomini più saggi quanto al taglio dei capelli, e questo lo conferma anche colui83 che ha scritto le cose più vere sugli eroi, perché, credo, egli combatté assieme ad alcuni di loro e contro di altri: ed egli dice esattamente queste cose riguardo a Ettore. Se ti rechi a Troia, non appena entrato, un qualunque troiano ti condurrà al tempio di Ettore, dove è molto facile vedere la sua statua; quelli che l’hanno vista sono portati a dire che è rappresentato nell’atteggiamento che aveva quando rimproverava al fratello la sua bellezza artefatta, ovvero la cura dei suoi capelli. Ma ecco ciò che Dione riporta come detto da Omero a proposito di Ettore: “tutt’intorno, i capelli neri erano trascinati”.84

Che qualcuno ci mostri in quale punto dei poemi omerici si trova. Penso che neppure Ione il rapsodo85 lo troverebbe. Come avrebbe potuto del resto Omero rappresentare chiomato un uomo che egli stesso ha introdotto nel suo poema nell’atto di biasimare un altro troppo vanitoso? Sarebbe stato lo stesso se Filea avesse accusato Andocide di furto sacrilego, come se non fosse stato proprio lui a sottrarre la maschera della Gorgone dallo scudo della dea Atena dall’acropoli.86 Lo stesso vale per te e per quel che tu dici riguardo a questo eroe. 20.  E se è vero che Menelao aveva “la testa bionda”,87 di sicuro non aveva una gran chioma, se ci si attiene al racconto di Omero. Tutto questo, per di più, non costituisce una lode dei capelli. Omero spiega le cose così come sono: non è che tutto quello che cita, infatti, è per sua natura degno di lode. Per Dione invece, a causa della sua leggerezza, sembra che sia la stessa cosa citare i capelli e lodarli, lui che così virilmente si applicava ad attribuire alla poesia omerica ciò che non contiene e a privarla di ciò che

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ἀποστερεῖν αὐτήν, ὥσθ’, ἵνα πείσῃ λέγων ὅτι πρέπει πολὺ μᾶλλον ἀνδράσιν ἢ γυναιξὶν ἡ κόμη, καὶ τῶν θεῶν, φησί, τὰς μὲν θηλείας Ὅμηρος ἄλλως ἐπαινεῖ, βοῶπιν Ἥραν καὶ Θέτιν ἀργυρόπεζαν, τοῦ Διὸς δὲ μάλιστα ἐπαινεῖ τὰς τρίχας. Ἐξεκέκοπτο γὰρ ἴσως αὐτῷ τὸ βιβλίον ἐπῶν ἀγαθῶν καὶ συχνῶν, ὁποῖα ταυτί· Ἀπόλλωνι ἄνακτι, τὸν ἠΰκομος τέκε Λητώ· τὸν θὲς Ἀθηναίης ἐπὶ γούνασιν ἠϋκόμοιο.

Περὶ δὲ τῆς Ἥρας ἐπιβουλευούσης τὸν Δία κατακοιμίσαι, τά τε ἄλλα κομμωτίσασθαί φησι τὴν θεόν, ἐν ᾧ γε μέλλει καὶ δεήσεσθαι τοῦ κεστοῦ ὃς ἄλλα τε πολλὰ δύναται καὶ μέγιστον, ὅτι κλέπτει τῶν ἐχόντων τὸν νοῦν. Τότε τοίνυν ἐν ταὐτῷ μυραλοιφῆσαί τε αὐτὴν λέγει καὶ ὅτι χαίτας πεξαμένη χερσὶ πλοκάμους ἔπλεξε φαεινούς, καλούς, ἀμβροσίους,

ὃ καὶ τοῦ πλήθους τῶν ἐγκωμίων ἄξιον. Ἄξιόν γε μήν, εἴπερ ὁ λόχος ἐπὶ τὸν Δία, πολλῶν, ἄν τις εἴποι, τῷ Δίωνι παρεωραμένων, μᾶλλον δὲ ἃ καλῶς ἐκεῖνος εἰδὼς οὐκ εἰδέναι προσεποιήσατο. Ἐγὼ δὲ καὶ οἶδα ταυτὶ καὶ οὐκ ἄγω γε τὰ ψευδῆ διὰ τὴν ὑπόθεσιν, οὐδ’ ἂν συγχωρήσαιμι κομήτην εἶναί τινα τῶν οἰκούντων τὸν οὐρανόν. Κοινὸς ὁ λόγος περί τε τῶν ἀρρένων καὶ θηλειῶν· ὡς οὐδέν γε τῆς ἐν ἄστροις Ἀφροδίτης ὁ Ζεὺς ἀκριβέστερος εἰς σφαιρικὴν ἐπιφάνειαν. Εἴρηται δὲ οὕτω καὶ περὶ τοῦ Διός, ὃν κορωνίδα τῷ λόγῳ Δίων ἐπέθηκεν, ὡς ἃ Ὁμήρῳ τεθεολόγηται, τὰ μὲν πολλὰ πρὸς δόξαν ἐστίν, ὀλίγα δὲ πρὸς ἀλήθειαν. Ἓν δή τι καὶ τοῦτο πρὸς δόξαν ἐστίν, αἱ ῥωννύμεναι τρίχες ἀπὸ τῆς κεφαλῆς τοῦ Διὸς καὶ συγκινοῦσαι τὸν οὐρανόν, ὃ τοῖς πλήθεσι καὶ τοῖς ἀγαλματοποιοῖς συνεχώρησεν. Ὁμήρου τοίνυν καὶ Λακεδαιμονίων ἐξῃρημένων, οὐδὲν ἔτι μέρος ὑπολείπεται τῷ λόγῳ τῷ Δίωνος, ἀλλὰ καὶ τούτων

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invece contiene, lui che, al fine di persuaderci con le sue parole che la chioma si addice molto di più agli uomini che alle donne, sostiene che Omero, tra le divinità, loda le dee in maniera diversa, come Era “dai grandi occhi” e Teti “dai piedi d’argento”, mentre di Zeus loda più di ogni altra cosa i capelli.88 Forse il suo libro di Omero era stato mutilato di molti buoni versi, come questi qua: “Apollo signore, figlio di Leto89 dalla splendida chioma”;90 “deponilo sulle ginocchia di Atena dalla bella chioma”.91

Riguardo a Era, quando ella trama per far addormentare Zeus, Omero dice che la dea si acconciava in diversi modi,92 nel momento in cui avrebbe avuto bisogno della cintura che tra i molti e svariati poteri aveva il più grande, quello di “impadronirsi del senno degli uomini che ne avevano”.93 A quel punto Omero dice, nel medesimo passo, che ella si unge di unguenti profumati e “pettinati i capelli, di sua mano compose le splendide trecce, belle, divine”.94

Passo meritevole di molti elogi. Meritevole certamente, sebbene si tratti dell’inganno ordito contro Zeus, e sebbene sia tra i molti passi, per così dire, trascurati da Dione, o piuttosto che egli conosceva bene ma che ha finto di non conoscere. Anche io conosco questi versi e non li falsifico a vantaggio della mia tesi, né d’altronde potrei ammettere che uno qualunque degli abitanti del cielo sia chiomato. Il ragionamento include indifferentemente le divinità maschili e femminili: Zeus non appare in forma di sfera in maniera più propria dell’Afrodite che si trova tra gli astri. Così è stato detto (anche in rapporto a Zeus, che Dione pone a coronamento del proprio discorso): ciò che Omero dice degli dèi si rifà per la maggior parte all’opinione e soltanto poche cose si rifanno alla verità. Un solo particolare, senza alcun dubbio, deriva dall’opinione: i capelli vigorosi che discendono dalla testa di Zeus e che scuotono il cielo, particolare accettato e dalle masse e dagli scultori.95 Perciò, messi da parte Omero e gli Spartani, non rimane più nulla dell’argomentazione di Dione, ma anche tenendo presenti

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προσόντων, ὅπερ ἐλέγομεν, οὐκ ἔσθ’ ὅ τι καὶ περὶ φύσεως εἴρηκε τῶν τριχῶν, οὔτ’ οἴκοθεν ἐξευρών, οὔτε παρὰ τούτων λαβών· οὐχ ὅ τί ποτέ εἰσιν εἶπεν, οὐχ ὁποῖον ἐδίδαξεν, οὐχ ὡς ἀγαθόν εἰσιν οἷς ἂν ὑπάρξωσιν ἔδειξεν, οὐχ ὡς κακὸν οἷς οὐ πάρεισιν. Ὁ δὲ λόγος οὗτος αὐτὰς τῶν πραγμάτων τὰς οὐσίας ἐξητακώς, φαλάκραν μὲν θεῖον οὖσαν ἐξεῦρεν καὶ τοῦ θείου συγγενῆ καὶ τέλος τῆς φύσεως καὶ σηκὸν ἄντικρυς ᾧ φρονοῦμεν θεοῦ, ἄλλα μυρία καὶ περὶ σῶμα καὶ ψυχὴν ἀγαθὰ καθ’ ἕκαστον ἐπεξιών, ὅπως τε ἔχει καὶ διὰ τί· ὡς οὐδὲν ὅ τι καὶ δίχα λαμπρᾶς αἰτίας προήνεγκεν. Θριξὶ δὲ πέφηνεν ἅπαντα τἀναντία τούτων ὑπάρχοντα, ἀλογία καὶ ζῷα καὶ πᾶν ὅ τι τῆς ἐναντίας τῷ θεῷ μερίδος ἐστί. Πεφήνασιν ἀθέρες τινὲς οὖσαι τοῦ ζῴου καὶ περικάρπια, παίγνια φύσεως, ὕλης ἀτελοῦς ἐξανθήματα. 21.  Προσήκειν δὲ οἶμαι κατὰ γένος τε καὶ κατ’ ἐπιτήδευμα διελέσθαι τοὺς ἄνδρας οὓς ὅδε τε κἀκεῖνος ὁ λόγος ἐνεκωμίασεν. Οὐκοῦν ἀπὸ μὲν τῶν φιλοκόμων εἰσὶν οἱ μοιχοί. Καὶ γὰρ Ὅμηρος ἐχόμενον τοῦ κέρα ἀγλαοῦ τὸν παρθενοπίπαν ἐποίησεν, ὡς ἐπὶ διαφθορᾷ γυναικῶν ἠγλαϊσμένης τῆς κόμης· καὶ μοιχός ἐστιν αὐτὸς οὗτος – τὰ κράτιστα μὲν οὖν τῶν μοιχῶν – εἰς ὃν ἀπέρριπται τοὔνειδος. Ἓν μὲν δὴ τοῦτο γένος ἐπιβουλότατον καὶ εἴσω τοῦ τείχους τῶν ὁμοφύλων πολεμιώτατον. Ὧν γάρ, ἵνα μὴ βιασθεῖεν, προκινδυνεύομεν στρατευόμενοι, θυγατέρων λέγω καὶ γυναικῶν, ταύτας, ἂν οὕτω τύχῃ, μειράκιον εὐπάρυφον ἄγει λαβὸν οἷ γῆς καὶ θαλάττης βούλεται· εἰ δὲ μὴ γῆς ἢ θαλάττης, ἀλλὰ γωνίας ἢ σκότου. Καίτοι δοριαλώτου μὲν γυναικὸς κἂν ἡ γνώμη τῷ γεγαμηκότι συμμείνειεν· ὁ δὲ μοιχὸς αὐτὸ τοῦτό ἐστιν ὃ καὶ πρῶτον ἐσύλησεν τῆς ψυχῆς τοῦ συνῳκηκότος τὴν εὔνοιαν, ὥστε μὴ ἐξ ἡμισείας τἀνδρὶ γεγονέναι τὴν τοῦ γυναίου ζημίαν. Εἰκότως οὖν

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questi due, come dicevamo, non c’è nulla che egli dica della natura dei capelli, né con argomenti suoi propri né traendo argomenti da questi ultimi. Non ha detto che cosa sia la chioma, non ha spiegato le sue qualità, non ha dimostrato che essa è un bene per coloro che la posseggono, né che è un male per coloro che non ce l’hanno. Questo discorso invece, analizzando con cura la sostanza stessa delle cose, ha scoperto che la calvizie è una cosa divina e affine alla divinità, nonché compimento della natura e vero e proprio santuario divino grazie al quale siamo saggi. Ma tratta anche in maniera particolareggiata di ciascuno dei moltissimi vantaggi per il corpo e per l’anima, della loro natura e della loro causa: nulla è stato asserito senza un’evidente motivazione. È apparso manifesto che ai capelli sono propri tutti quanti gli opposti di questi vantaggi, l’illogicità, la bestialità e tutto ciò che si trova dalla parte contraria alla divinità. È apparso chiaro che i capelli sono delle barbe e dei rivestimenti dell’essere vivente, degli scherzi della natura, delle escrescenze di una materia imperfetta. 21.  Ma è opportuno, penso, distinguere per stirpe e per occupazione quegli uomini che il presente discorso e quello di Dione hanno elogiato. Certamente gli adulteri rientrano tra gli amanti della chioma. E infatti Omero descrive il “seduttore” come “fiero della pettinatura”,96 pensando che si abbia cura della propria chioma nell’intento di corrompere le donne; ed è un adultero costui – il più grande degli adulteri – contro il quale viene rivolto il rimprovero. Si tratta di un genere di persone estremamente insidiose e ostili ai loro stessi concittadini all’interno delle mura. Infatti, quelle per le quali noi ci esponiamo ai pericoli in combattimento, per evitare che siano violentate, intendo le nostre figlie e le nostre mogli, quelle – qualora così capiti – un giovane vestito elegantemente se le prende e se le porta nel luogo della terra e del mare che vuole; se non è un luogo di terra o di mare, è un angolo appartato o oscuro. Per di più, una donna prigioniera di guerra può restare, almeno con la mente, fedele al proprio sposo; ma l’adultero è colui che anzitutto l’ha spogliata dell’affetto che provava per l’anima del consorte, così che la perdita della mogliet-

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ἐπ’ αὐτοῖς οἱ μὲν νόμοι τοὺς δημίους ὁπλίζουσιν, οἱ δὲ κηπουροὶ τὰς Ἀττικὰς ῥαφανῖδας φυτεύουσιν, αἷς εὐθύς, ἐπειδὰν ἁλῷ τις, τιμωρίας ἀπάρχονται. Ἓν μὲν δὴ τοῦτο τοιοῦτο γένος ὃ συχνὰς μὲν οἰκίας ἀναστάτους ἐποίησεν, ἐνίας δὲ ἤδη καὶ πόλεις· καὶ τοῦ συρραγῆναι τὰς ἠπείρους ἀλλήλαις, καὶ διαβῆναι τοὺς Ἕλληνας ἐπὶ τὰ Πριάμου σκῆπτρα μοιχεία γέγονεν πρόφασις. Ἕτερον δέ, ὃ τούτου πολὺ χεῖρόν ἐστι, τοῦ τὸν Ἀλέξανδρον ἡμῖν ἀναδείξαντος, ὅθεν οἱ Κλεισθέναι καὶ Τίμαρχοι καὶ πάντες οἱ πρὸς ἀργύριον τὴν ὥραν διατιθέμενοι· καὶ εἰ μὴ πρὸς ἀργύριον δέ, ἀλλὰ πρὸς ἄλλο τι· καὶ εἰ μὴ πρὸς μηδ’ ὁτιοῦν, ἀλλὰ διὰ τὴν ἐξάγιστον ἡδονήν· καὶ καθάπαξ οἱ θηλυδρίαι τριχοπλάσται πάντες εἰσίν. Ἀλλ’ οἱ μὲν ἐπὶ τῶν οἰκημάτων ἄντικρυς οὗτοι· καίτοι νικᾶν νομίζουσιν, ὡς ταύτῃ μάλιστα τὸ θῆλυ τοῦ γένους ἐκμιμησόμενοι. Ὅστις δὲ λάθρα μέν ἐστι πονηρός, δημοσίᾳ δὲ κἂν ἐξομόσαιτο, καὶ οὐδὲν ἄλλο παρέχεται γνώρισμα τοῦ θιασώτης εἶναι τῆς Κότυος, ἀλλ’ εἰ μόνον ἓν τοῦτο φανείη, περὶ πλείστου τὰς τρίχας ποιούμενος, ὡς ἐναλείφειν τε αὐτὰς καὶ διατιθέναι κατὰ βοστρύχους, εὐθὺς ἅπασι πρόχειρον λέγειν ὅτι ἄνθρωπος οὗτος τῇ Χίων θεῷ καὶ τοῖς Ἰθυφάλλοις ὠργίακεν. Ὁ μὲν γὰρ Φερεκύδης θοἰμάτιον ἐπηλυγασάμενος· «Χρῷ δῆλον», ἔφη, καὶ δακτύλῳ τὴν νόσον ἐδείκνυεν. Πασχητιῶν δὲ μειράκιον ταῖς θριξὶ σημαινόμεθα. 22.  Εἰ δὲ καὶ ἡ παροιμία σοφόν – πῶς δ’ οὐχὶ σοφόν, περὶ ὧν Ἀριστοτέλης φησὶν ὅτι παλαιᾶς εἰσι φιλοσοφίας ἐν ταῖς μεγίσταις ἀνθρώπων φθοραῖς ἀπολομένης ἐγκαταλείμματα, περισωθέντα διὰ συντομίαν καὶ δεξιότητα; – παροιμία δήπου καὶ τοῦτο καὶ λόγος ἔχων ἀξίωμα τῆς ὅθεν κατηνέχθη φιλοσοφίας τὴν ἀρχαιότητα, ὥστε βόειον ἐπιβλέπειν αὐτῇ. Πάμπολυ γὰρ οἱ πάλαι τῶν νῦν εἰς ἀλήθειαν εὐστοχώτεροι. Τίς οὖν ποτ’ ἐστὶν ἥδε καὶ τί βούλεται; οὐδεὶς κομήτης, ὅστις οὔ·

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tina non è una perdita a metà per il marito. A buon diritto dunque le leggi armano contro costoro i boia e i giardinieri coltivano i rafani attici, con i quali, non appena quello è colto sul fatto, viene inflitta la prima punizione.97 Questo genere di persone, da solo, ha portato alla rovina molte famiglie e anche qualche città: un adulterio fu il pretesto perché due continenti si scontrassero tra di loro e i Greci attraversassero il mare contro il regno di Priamo. C’è un altro vizio, molto peggiore di questo, per il quale fu celebre Alessandro e pure i Clistene e i Timarco98 e tutti quelli che disposero della loro giovinezza per denaro; e se non fu per denaro, allora fu per un’altra cosa; e se non fu assolutamente per nulla, allora fu a causa del loro abominevole piacere. In breve, tutti gli effeminati hanno una gran cura dei loro capelli. D’altronde, alcuni di questi se ne stanno apertamente nei bordelli: e pensano di averne il loro tornaconto, giacché così imitano con estrema fedeltà la femminilità dell’altro sesso. Quanto a colui che invece è perverso nascostamente, anche se in pubblico dovesse giurare il contrario e non dovesse presentare alcun altro segno del suo essere affiliato al tiaso di Cotis,99 ma se il solo segno che mostrasse fosse l’estrema cura per i capelli, al punto di ungerli e di farseli riccioli, è facile per tutti affermare che quell’uomo celebra i misteri della dea di Chio e gli Itifalli.100 Infatti Ferecide, copertosi col mantello, disse “lo si vede dalla pelle” e mostrò dal dito la propria malattia.101 Un ragazzo effeminato lo si riconosce dalla capigliatura. 22.  Se il proverbio è cosa saggia – come potrebbe non esserlo, giacché Aristotele102 afferma riguardo a essi che sono i resti dell’antica filosofia venuta meno nelle più grandi fasi di distruzione dell’umanità e che si sono salvati per la loro concisione e opportunità –, senza dubbio anche questo è un proverbio e un’espressione il cui valore è dato dall’antichità della filosofia dalla quale proviene, così che è degno della massima attenzione: gli antichi infatti erano estremamente più abili della gente di oggi ad afferrare la verità. Qual è dunque questo proverbio e che cosa significa? “Non c’è capelluto che non...”.103

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τὸ δὲ ἀκροτελεύτιον αὐτὸς σὺ πρὸς τὴν ἠχὼ τοῦ τριμέτρου συνάρμοσον· οὐ γὰρ ἔγωγε φθέγξομαι τὸ δεινὸν ἐκεῖνο καὶ πρᾶγμα καὶ ὄνομα. Εὖγε, ὅτι συνήρμοσας. Πῶς οὖν, τί σοι φαίνεται; Βαβαὶ τῆς ἀληθείας· χρησμὸς ἄντικρυς. Δῆλα μὲν δὴ καὶ αὐτόθεν. Ἀλλὰ καὶ ὅσους ἐφέλκεται μάρτυρας, τούς τε νῦν χρωμένους αὐτῇ, καὶ τοὺς ὅσοι προλαβόντες ἐχρήσαντο· τὸ γὰρ ἀπαθανατίζον τὰς παροιμίας αὐτὸ τοῦτό ἐστιν, ἡ συνέχεια τῶν χρωμένων, οὓς ἐφ’ ἑαυτῶν ὑπομιμνήσκει τὰ πράγματα· ὁρώμενα γὰρ ἐπὶ τῶν ἑκάστοτε συμβαινόντων μαρτύρονται καὶ μαρτυροῦσι τοῖς παραδείγμασιν. 23.  Ἀλλὰ καίπερ τούτων οὕτως ἐχόντων, Δίων θαυμαστὸν οἷον ὑπὲρ κόμης λόγον ἐξήνεγκεν. Τί οὖν ἔτι δεῖ Πλάτωνος ἐξελέγχοντος ὁπηνίκα κομμωτικὴν ἄντικρυς ὁ ῥήτωρ ἀπέφηνεν τὴν ῥητορικήν; ἢ σὺ δοκεῖς τοὺς τριχοβάπτας ἐρασμιωτέρας ἂν ἀποφῆναι τὰς τρίχας, ἀνδρὸς Ἕλληνος τὴν φωνὴν ἐπὶ θεάτρου τὸ κτῆμα ὑμνήσαντος; Πολλὴν οἶμαι τοὺς ἐν τοῖς Κυβελείοις αὐτῷ τοὺς κατεαγότας ὑπὲρ τοῦ λόγου χάριν εἰδέναι, καὶ ὅστις ἀδίκοις ὀφθαλμοῖς ὁρᾷ τὴν τοῦ γείτονος, ὧν ἑκάστου τὴν κεφαλὴν ὥσπερ μύρῳ τῷ λόγῳ κατήντλησε. Ζηλοῦσθαι γὰρ ἀνάγκη τὸ δημοσίᾳ τιμώμενον, ὅταν μάλιστα τύχῃ δόξαν ἔχων ὁ τοὺς ἐπαίνους διατιθέμενος. Οὗτος μὲν οὖν κἂν αὐξήσειεν ἡμῖν ἐν τῇ πόλει τὸν τῶν ἐξωλεστάτων κατάλογον. Φαλάκρα δὲ ἄρα ποῖα ἄττα γένη τούτοις ἀντιπαρέχεται; Τίνας ἡμεῖς ἄνδρας ἀντὶ μοιχῶν ἐπῃνέσαμεν; Ἀφ’ ὧν εἰσιν ἐν μὲν τοῖς τεμένεσι τῶν θεῶν ἱερεῖς καὶ προφῆται καὶ ζάκοροι· ἐν δὲ τοῖς διδασκαλείοις διδάσκαλοι καὶ παιδαγωγοί· στρατιωτικῶν δὲ ταγμάτων ἐν ὑγιαίνουσι πράγμασιν οἱ στρατηγοί τε καὶ οἱ ταξίαρχοι· ἁπανταχοῦ δὲ οἱ πλείω νοῦν ἔχειν ὑπὸ τῶν πολλῶν ἀξιούμενοι. Οἶμαι δὲ ἐγὼ καὶ τὸν ἀοιδὸν ὃν Ἀγαμέμνων τῇ Κλυταιμνήστρᾳ μελεδωνὸν ἀπολέλοιπεν, τοῦ καθ’ ἡμᾶς εἶναι γένους· κομήτῃ γὰρ

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Quanto alla fine del verso, adàttatelo da solo al ritmo del trimetro; io, infatti, non pronuncerò quella cosa terribile, né l’atto, né la parola. Bravo! Hai completato il verso. Allora, cosa te ne sembra? Oh! Ecco la verità: si tratta evidentemente di un oracolo. È chiarissimo, già di per sé. Ma quanti testimoni si tira dietro, alcuni che lo usano adesso, altri che, ricevuto a loro volta, l’hanno usato nel passato. Questo infatti è ciò che rende i proverbi immortali, la continuità di coloro che li utilizzano e che li riportano alla memoria condizionati dagli eventi: ciò che vediamo di volta in volta succedere li chiamano a testimoni e a loro volta fanno da testimoni con degli esempi. 23.  Pur stando così le cose, Dione ha composto un discorso assolutamente ammirevole in favore della chioma. Perché dunque bisognerebbe ricorrere a Platone104 per confutarlo, dal momento che il retore stesso ha manifestamente dichiarato che la retorica è l’arte dell’acconciatura? O tu credi che coloro che tingono i capelli li avrebbero resi più graziosi se un uomo di lingua greca ne avesse celebrato il possesso a teatro? Penso che gli effeminati dei misteri di Cibele105 abbiano una gran riconoscenza verso Dione per il suo discorso e lo stesso colui che guarda con occhi disonesti la donna del vicino, a ciascuno dei quali egli ha cosparso la testa col suo discorso come fosse un unguento profumato. È inevitabile infatti che si ricerchi con zelo ciò che è pubblicamente stimato, specialmente quando colui che dispensa gli elogi si ritrova ad avere una certa notorietà. Costui dunque potrebbe accrescere nella nostra città la lista dei personaggi più funesti. Ma quale genere di uomini contrappone a questi la calvizie? Chi abbiamo lodato noi al posto degli adulteri? Quel genere di persone di cui fanno parte, nei santuari degli dèi, i sacerdoti, i profeti, gli accoliti; nelle scuole, i maestri e i precettori; nelle forze armate, quando le circostanze sono favorevoli, i generali e i tribuni militari; dappertutto insomma quelli che sono stimati dai più come di maggiore intelligenza. Personalmente ritengo che l’aedo che Agamennone aveva lasciato come guardiano di Clitemnestra106 fosse della nostra razza: non avrebbe mai affidato infatti a un capelluto una donna

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sinesio di cirene

οὐκ ἄν ποτε γύναιον ἐκ διαβεβλημένης οἰκίας ἐπίστευσεν. Μέγα δὲ καὶ οἱ ζωγράφοι παρέχονται τῷ λόγῳ τεκμήριον ὅταν μὴ πρὸς ἀρχέτυπον γράφωσιν, ἀλλ’ ἐπ’ αὐτοῖς τις προσποιήσηται μορφὴν ἐξευρεῖν ἐπιτηδεύματι πρέπουσαν· τούτοις γὰρ ἂν μέν τις ἐκδῷ μοιχὸν ἢ κίναιδον ἐν πίνακι γράψαι, κομήτην ἀπολαβὼν ἀπέχει τοὐπίταγμα· ἂν δὲ φιλόσοφον ἐπαγγείλῃς ἢ ζάκορον, μέλλει τις ἑστάναι φαλακρὸς ὑπόσεμνος ἐν τῷ πίνακι. Τουτὶ γάρ ἐστι τοὐπίσημον τοῦ νομίσματος. 24.  Φιλοσόφοις οὖν καὶ ἱερεῦσι καὶ τοῖς σωφρονικοῖς ἅπασι γένεσιν ἐχαρισάμην τὸν λόγον, ᾧ τά τε πρὸς τὸ θεῖον εὐσέβηται τά τε πρὸς ἀνθρώπους εὖ συμβεβούλευται. Κἂν μὲν ἐξενεχθεὶς εἰς τὸ κοινὸν εὐδοκιμήσῃ παρὰ τοῖς πλήθεσιν ὥστ’ ἤδη τοὺς φιλοκόμους αἰσχυνθέντας, αὐτοὺς μὲν ἐπιτηδεῦσαι μετριωτέραν κουρὰν καὶ σώφρονα, μακαρίσαι δὲ οἷς ὑπάρχει μηδὲ δεῖσθαι κουρέως, οὐκ ἐμοὶ χάριν ὑπὲρ τούτων ἰστέον· ἀλλ’ ἔστω καὶ τοῦτο τῆς ὑποθέσεως δι’ ἣν ὁ φαυλότατος εἰπεῖν παρὰ τὸν ἄριστον εἶναί τις ἔδοξεν· εἰ δὲ μὴ πείθω λέγων, ἐνταῦθά τις ἂν τοὐμὸν αἰτιάσαιτο, ὅτι μηδὲ μετὰ τῶν πραγμάτων ἀντέσχον ψιλῇ τῇ χάριτι Δίωνος. Εἴη δὲ τῆς τῶν πολλῶν ὠφελείας εἵνεκα καὶ τόνδε τὸν λόγον ἀνειλῆφθαι ταῖς χερσίν.

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elogio della calvizie 23-24

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proveniente da una famiglia screditata. Una gran prova la apportano al mio ragionamento i pittori, quando non dipingono rifacendosi direttamente all’originale, ma quando qualcuno di loro pretende di aver trovato un modello adatto all’oggetto di studio: se infatti si ordina loro di dipingere su tavola un adultero o un effeminato, ritraendo un capelluto hanno già eseguito il comando. Se invece gli si richiede un filosofo o un accolito, sulla tavola figurerà un calvo venerabile. Questo infatti è l’elemento che ricorre nel loro conio. 24.  È dunque ai filosofi, ai sacerdoti e a tutte le persone equilibrate che ho dedicato il mio discorso, nel quale ci si esprime con pia riverenza nei confronti della divinità e si danno dei buoni consigli agli uomini. Se questo discorso, una volta pubblicato, sarà dai più apprezzato, al punto che gli amanti della chioma, subito vergognatisi, opteranno per un taglio più misurato e moderato, congratulandosi con coloro che possono addirittura fare a meno del barbiere, di tutto questo non bisognerà essere grati a me. Il merito sarà da attribuire all’argomento stesso, grazie al quale anche il più incapace a parlare, rispetto al migliore, è sembrato avere un qualche valore. Se al contrario il mio discorso non persuade, allora la colpa sarà da attribuire solo a me, perché, pur rifacendomi ai fatti, non ho saputo contrappormi alla grazia senza orpelli107 di Dione. Possa tuttavia questo mio discorso essere preso in mano dai più con profitto.

ΔΙΩΝ Η ΠΕΡΙ ΤΗΣ ΚΑΤ’ ΑΥΤΟΝ ΔΙΑΓΩΓΗΣ

DIONE, SU COME VIVERE SECONDO IL SUO MODELLO

1.  Φιλόστρατος μὲν ὁ Λήμνιος ἀναγράφων τοὺς βίους τῶν μέχρις αὐτοῦ σοφιστῶν, ἐν ἀρχῇ τοῦ λόγου δύο μερίδας ποιεῖ, τῶν τε αὐτὸ τοῦτο σοφιστῶν καὶ τῶν ὅσοι φιλοσοφήσαντες διὰ τὴν εὐστομίαν ὑπὸ τῆς φήμης ἐς τοὺς σοφιστὰς ἀπηνέχθησαν· καὶ τάττει τὸν Δίωνα μετὰ τούτων, ἐν οἷς Καρνεάδην τε καταλέγει τὸν Ἀθηναῖον καὶ Λέοντα τὸν Βυζάντιον καὶ συχνοὺς ἄλλους καταβιώσαντας μὲν ἐπὶ φιλοσόφου προαιρέσεως, λόγου δὲ ἰδέαν σοφιστικὴν ἡρμοσμένους, ἐν οἷς ἀριθμεῖ καὶ τὸν Κνίδιον Εὔδοξον, ἄνδρα τὰ πρῶτα τῶν Ἀριστοτέλους ὁμιλητῶν, ἀλλὰ καὶ ἀστρονομίας εὖ ἥκοντα, ὁπόσην ὁ τότε χρόνος ἐπρέσβευεν. Ἡμῖν δὲ ὁ Δίων τῇ μὲν περιβολῇ τῆς γλώττης ἣν χρυσῆν εἶχεν, ὥσπερ καὶ λέγεται, σοφιστὴς ἔστω διὰ πάντων τῶν ἑαυτοῦ, εἴ τις ἀξιοῖ τὴν ἐπιμέλειαν τῆς φωνῆς σοφιστικὸν ἀγώνισμα οἴεσθαι· καίτοι καὶ τοῦτο μετὰ μικρὸν ὁποῖόν ἐστιν ἐξετάσομεν· τὴν δὲ προαίρεσιν οὐχ εἷς ὁ Δίων, οὐδὲ μετὰ τούτων τακτέος, ἀλλὰ μετ’ Ἀριστοκλέους, ἀπ’ ἐναντίας μέντοι κἀκείνῳ. Ἄμφω μέν γε μεταπεπτώκασιν· ἀλλ’ ὁ μὲν ἐκ φιλοσόφου καὶ μάλα ἐμβριθοῦς καὶ πρόσω καθεικότος τὸ ἐπισκύνιον ἐτέλεσεν εἰς σοφιστάς, καὶ τρυφῆς ἁπάσης οὐχ ἥψατο μόνον, ἀλλὰ καὶ εἰς ἄκρον ἐλήλακεν· ἐννεάσας δὲ τῇ προστασίᾳ τῶν ἐκ τοῦ περιπάτου δογμάτων καὶ συγγράμματα ἐξενηνοχὼς ἐς τοὺς Ἕλληνας ἄξια φιλοσόφου σπουδῆς, οὕτω τι ἥττων ἐγένετο δόξης σοφιστικῆς ὡς μεταμέλειν μὲν αὐτῷ γηρῶντι τῆς ἐν ἡλικίᾳ σεμνότητος, κόψαι δὲ τὰ Ἰταλιωτικά τε καὶ Ἀσιανὰ θέατρα μελέταις ἐναγωνιζόμενον. Ἀλλὰ καὶ κοττάβοις ἐδεδώκει καὶ αὐλητρίδας ἐνόμιζεν καὶ ἐπήγγελλεν ἐπὶ τούτοις συσσίτια· ὁ δὲ Δίων ἐξ ἀγνώμονος σοφιστοῦ φιλόσοφος ἀπετελέσθη, τύχῃ μᾶλλον ἢ γνώμῃ χρησάμενος. Τὴν τύχην δ’ αὐτὸς διηγήσατο. Ἦν δὲ δὴ καὶ τοῦ γράφοντος βίον διηγήσασθαι τὴν περὶ τὸν

1.  Filostrato di Lemno,1 nel redigere le vite dei sofisti a lui precedenti, all’inizio del suo trattato fa una distinzione tra i sofisti propriamente detti e coloro che, seppure filosofi, hanno avuto fama di sofisti in virtù della loro spiccata eloquenza; tra questi include anche Dione, assieme all’ateniese Carneade, Leone di Bisanzio e a molti altri che hanno vissuto da filosofi, pur conciliando il loro stile con l’idea sofistica della retorica.2 Tra costoro annovera anche Eudosso di Cnido, che fu tra i più importanti discepoli di Aristotele, ma che si distinse anche nello studio dell’astronomia, per come si praticava ai suoi tempi.3 Per noi, d’altronde, Dione – in virtù della ricercatezza della sua lingua, che, come si narra, avrebbe avuto d’oro4 – è da considerarsi in ogni sua opera un sofista, se è mai corretto pensare che fine ultimo della sofistica sia la cura della dizione; ma di ciò tratteremo tra poco. In quanto a ideale di vita, però, non ci fu un solo Dione e non lo si può annoverare tra i sofisti, potendolo accostare semmai ad Aristocle,5 seppure con uno sviluppo inverso. Entrambi, infatti, conobbero un’evoluzione: Aristocle, però, da filosofo che era (peraltro di quelli serissimi e accigliati) divenne un sofista; e non si limitò a entrare in contatto con ogni genere di dissolutezza, ma si spinse fino all’estremo. Dopo aver trascorso la gioventù a seguire i precetti peripatetici e a pronunciare dinanzi agli Elleni trattati degni dello zelo di un filosofo, si lasciò a tal punto sopraffare dalla fama tributata ai sofisti che rinnegò, oramai in età avanzata, la dignità giovanile e iniziò a molestare con agoni retorici i teatri dell’Italia e dell’Asia. Si dette anche al cottabo6 e iniziò a frequentare suonatrici di flauto, organizzando in quei contesti dei banchetti. Dione, al contrario, da sofista scriteriato divenne filosofo; e più per caso che per volontà, come narra lui stesso. Perciò, chi7 ne ha redatto la biografia avrebbe dovuto dar conto della sua doppia vita, anziché inclu-

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ἄνδρα διπλόην, ἀλλὰ μὴ ἁπλῶς οὕτω συγκαταριθμῆσαι τοῖς ἀμφὶ Καρνεάδην καὶ Εὔδοξον· ὧν ἥντινα ἂν λάβῃς ὑπόθεσιν, φιλόσοφός ἐστι μετακεχειρισμένη σοφιστικῶς, τοῦτ’ ἔστι λαμυρῶς ἀπηγγελμένη καὶ δεξιῶς, καὶ πολλὴν τὴν ἀφροδίτην ἐπαγομένη. Ταύτῃ καὶ παρὰ τῶν ἀνθρώπων, οὓς λέγοντες ἐκήλουν τῷ κάλλει τῶν ὀνομάτων, ἠξιοῦντο τῆς προσηγορίας τοῦ σοφιστοῦ· αὐτοὶ δ’ ἂν ἀπαξιῶσαί μοι δοκοῦσι καὶ ὡς οὐ διδόμενον δέξασθαι, φιλοσοφίας ἐν ὀνείδει τὸ τοιοῦτο τιθείσης, ἄρτι τοῦ Πλάτωνος ἐπαναστάντος τῷ ὀνόματι. Ὁ δὲ προὔστη τε λαμπρῶς τοῖν βίοιν ἑκατέρου χωρίς, καὶ ταῖς ὑποθέσεσι μάχεται ταῖς αὐτὸς ἑαυτοῦ, λόγους ἐξενεγκὼν ἀπὸ τῶν ἐναντίων ἐνστάσεων. Χρὴ δήπου καὶ δι’ αὐτὴν οὐχ ἥκιστα τὴν ἐν τοῖς λόγοις διαφορὰν μὴ σεσιγῆσθαι τὰ περὶ τὸν ἄνδρα. Ὅπερ γὰρ ἐν τοῖς μετὰ ταῦτά φησιν ἀπολύων αὐτὸν αἰτίας συνθέντα ἔπαινον ἐπὶ ψιττακίῳ τῷ ὄρνιθι, σοφιστοῦ γὰρ εἶναι μηδὲ τούτων ὑπεριδεῖν, αὐτοῦ μὲν ἂν ἔλεγχος εἶναι δόξειεν, προειπόντος ὅτι τῶν συκοφαντουμένων ἐστὶν ὁ ἀνὴρ ὅστις, φιλόσοφος ὤν, εἰς τὸν σοφιστὴν ἕλκεται. Λέγει γὰρ οὕτω· «Σοφιστὰς δὲ οἱ παλαιοὶ ἐπωνόμαζον οὐ μόνον τῶν ῥητόρων τοὺς ὑπερφωνοῦντάς τε καὶ λαμπρούς, ἀλλὰ καὶ τῶν φιλοσόφων τοὺς σὺν εὐροίᾳ ἑρμηνεύοντας. Ὑπὲρ ὧν ἀνάγκη πρότερον εἰπεῖν, ἐπειδὴ οὐκ ὄντες σοφισταί, δόξαντες δέ, παρῆλθον εἰς τὴν ἐπωνυμίαν ταύτην». Εἶτα σαφῶς φιλοσόφους ἄνδρας ἐξαριθμεῖται, μεθ’ ὧν δὴ καὶ τὸν Δίωνα, καὶ μετὰ Δίωνα ἄλλους, ὧν περὶ τοῦ τελευταίου παυόμενος· «Τοσαῦτα, φησί, περὶ τῶν φιλοσοφησάντων ἐν δόξῃ τοῦ σοφιστεῦσαι», ταὐτὸν ἑτέρως εἰπὼν ὅτι, μὴ ὄντες σοφισταί, τοῦ ὀνόματος ἐπεβάτευσαν. Καίτοι μεταξύ πού φησιν ἀπορεῖν οἷ χοροῦ τάξει τὸν ἄνδρα, περιδέξιον δή τινα ὄντα. Τί οὖν προεῖπας; τί δὲ ἐπεῖπας, ὅτι τοῦτο μὲν ἐστίν, ἐκεῖνο δὲ φαίνεται; Ἀλλ’ ἔγωγε οὐ μικρολογοῦμαι πρὸς τὰς ἐναντιολογίας· συγχωρῶ δὲ τὸν Δίωνα φιλόσοφον ὄντα παῖξαι τὰ σοφιστῶν, εἰ μόνον πρᾶός ἐστι καὶ ἵλεως φιλοσοφίᾳ, καὶ μηδαμοῦ μηδὲν ἐπηρέακεν αὐτῇ μηδὲ ἐπ’

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derlo così, semplicisticamente, nel gruppo di Carneade e Eudosso. Si prenda qualsiasi argomento affrontato da uno di questi due: si vedrà che rientra appieno nella filosofia ma che viene trattato alla maniera dei sofisti, ovvero con stile disinvolto e sagace, particolarmente teso ad affascinare. Per questo furono reputati degni dell’epiteto di sofisti da parte di quegli uomini che seducevano con la bellezza dei loro discorsi. Eppure, io credo, costoro avrebbero disdegnato un simile appellativo tanto da rifiutarlo, visto che la filosofia lo ha sempre considerato un insulto da quando contro di esso si scagliò Platone.8 Dione, invece, si distinse chiaramente in ciascuna delle sue due vite e giunse persino a combattere contro tesi proprie, pronunciando dei discorsi basati su opposti punti di partenza. Soprattutto in virtù di questa varietà che si riscontra nei suoi discorsi è opportuno che non si taccia a proposito delle sue vicende biografiche. Più avanti nel suo trattato, Filostrato, volendo assolvere Dione dalla colpa di aver redatto una lode del pappagallo,9 sostiene che sia proprio del sofista non disdegnare tali argomenti; eppure in questo egli pare contraddirsi, avendo affermato in precedenza che è calunniare un uomo annoverarlo tra i sofisti, se è un filosofo. Dice infatti: “Gli antichi chiamavano sofisti non soltanto quegli oratori che parlavano con abilità e chiarezza, ma anche quei filosofi che si esprimevano con uno stile scorrevole. Anzitutto di questi bisogna parlare, visto che ottennero l’epiteto di sofisti non perché lo fossero ma perché ne ebbero la fama”.10 Riporta quindi un elenco di filosofi (tra i quali anche Dione11 e, di seguito, altri), chiudendo così dopo l’ultimo: “Ecco tutti quei filosofi che ebbero fama di essere sofisti”,12 che è un altro modo per dire che, non essendo sofisti, si appropriarono indebitamente dell’appellativo. Eppure, frattanto, da qualche parte ammette di non sapere quale collocazione assegnare a Dione, essendo quello stato esperto in entrambi gli ambiti. Ma che cosa hai detto prima? E cosa dopo? Forse che la seconda affermazione esprime la realtà e la prima solo un’apparenza? Ma non voglio insistere troppo su queste contraddizioni: ammetto che Dione, pur essendo stato un filosofo, si sia dilettato da sofista, seppur restando sempre bendisposto e benevolo nei confronti della filosofia e senza averla mai, in

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αὐτὴν ξυντέθεικεν λόγους ἰταμούς τε καὶ κακοήθεις. Ἀλλ’ οὗτός γε πλεῖστα δὴ καὶ μάλιστα σοφιστῶν εἰς φιλοσόφους τε καὶ φιλοσοφίαν ἀπηναισχύντηκεν. Ἅτε γάρ, οἶμαι, φύσεως λαχὼν ἐχούσης ἰσχύν, καὶ τὸ ῥητορεύειν αὐτὸ ἠλήθευεν, ἄμεινον ἀναπεπεισμένος εἶναι τοῦ ζῆν κατὰ φιλοσοφίαν τὸ ζῆν κατὰ τὰς κοινὰς ὑπολήψεις· ὅθεν ὅ τε κατὰ τῶν φιλοσόφων αὐτῷ λόγος ἐσπουδάσθη σφόδρα ἀπηγκωνισμένος καὶ οὐδὲν σχῆμα ὀκνήσας· καὶ ὁ πρὸς Μουσώνιον ἕτερος τοιοῦτος, οὐ προσγυμναζομένου τῷ τόπῳ τοῦ Δίωνος, ἀλλ’ ἐκ διαθέσεως γράφοντος· ὡς ἐγὼ σφόδρα διϊσχυρίζομαι, πείσαιμι δ’ ἂν καὶ ἄλλον ὅστις εὔστοχος ἤθους εἰρωνείαν τε καὶ ἀλήθειαν ἐκ παντοδαποῦ λόγου φωρᾶσαι. Ἐπειδή τε ἐφιλοσόφησεν, ἐνταῦθα δὴ καὶ μάλιστα ἡ ῥώμη τῆς φύσεως αὐτοῦ διεδείχθη. Ὥσπερ γὰρ ἐπιγνούσης ὀψὲ τῆς φύσεως τὸ οἰκεῖον ἔργον, οὐ κατὰ μικρόν, ἀλλ’ ὅλοις τοῖς ἱστίοις ἀπηνέχθη τῆς σοφιστικῆς προαιρέσεως, ὅς γε καὶ τὰς ῥητορικὰς τῶν ὑποθέσεων οὐκέτι ῥητορικῶς, ἀλλὰ πολιτικῶς μετεχειρίσατο. Εἴ τις ἀγνοεῖ τὴν ἐν ταὐτῷ προβλήματι διαφορὰν τοῦ πολιτικοῦ καὶ τοῦ ῥήτορος, ἐπελθέτω μετὰ νοῦ τὸν Ἀσπασίας τε καὶ Περικλέους ἐπιτάφιον Θουκυδίδου καὶ Πλάτωνος, ὧν ἑκάτερος θατέρου παρὰ πολὺ καλλίων ἐστί, τοῖς οἰκείοις κανόσι κρινόμενος. Ὁ δ’ οὖν Δίων ἔοικε θεωρήμασι μὲν τεχνικοῖς ἐν φιλοσοφίᾳ μὴ προσταλαιπωρῆσαι μηδὲ προσανασχεῖν φυσικοῖς δόγμασιν, ἅτε ὀψὲ τοῦ καιροῦ μετατεθειμένος· ὄνασθαι δὲ τῆς στοᾶς ὅσα ἐς ἦθος τείνει καὶ ἠρρενῶσθαι παρ’ ὁντινοῦν τῶν ἐφ’ ἑαυτοῦ· ἐπιθέσθαι δὲ τῷ νουθετεῖν ἀνθρώπους, καὶ μονάρχους καὶ ἰδιώτας, καὶ καθ’ ἕνα καὶ ἀθρόους, εἰς ὃ χρήσασθαι προαποκειμένῃ τῇ παρασκευῇ τῆς γλώττης. Διό μοι δοκεῖ καλῶς ἔχειν ἐπιγράφειν ἅπασι τοῖς Δίωνος λόγοις ὅτι πρὸ τῆς φυγῆς ἢ μετὰ τὴν φυγήν, οὐχ οἷς ἐμφαίνεται μόνοις ἡ φυγή, καθάπερ ἐπέγραψαν ἤδη τινές, ἀλλ’ ἁπαξάπασιν. Οὕτω γὰρ ἂν εἴημεν τούς τε φιλοσόφους καὶ τοὺς

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nessun caso, screditata o aver composto contro di essa dei discorsi sfrontati e malevoli. Eppure egli stesso, più volte e alla maniera dei sofisti, ha deposto ogni ritegno contro i filosofi e la filosofia. Questo perché, io credo, avendo una forte personalità e ritenendo che anche la retorica potesse mettersi al servizio della verità, si era convinto che fosse meglio vivere secondo l’opinione comune anziché secondo la filosofia. Per questo motivo dedicò il massimo impegno alla stesura del suo discorso Contro i filosofi, senza limitazioni e senza esitare nel ricorso a figure retoriche. Altrettanto per quanto riguarda l’altro discorso, Contro Musonio,13 che Dione non scrisse per esercitarsi retoricamente sul tema, ma per convinzione. Di questo sono certo e potrei persuadere chiunque altro abbia l’animo abbastanza sagace da cogliere l’ironia e la verità in un qualsivoglia discorso. Quando poi divenne un filosofo, allora mostrò appieno la forza della sua indole. Infatti, come se la sua natura avesse colto in ritardo la propria dote, non poco, ma a vele spiegate fu distolto dal comportarsi come un sofista, lui che se anche si trovò di nuovo ad affrontare in maniera retorica alcuni argomenti non lo fece più in veste di retore ma come uomo politico. Se qualcuno ignora la differenza tra un politico e un retore posti di fronte al medesimo ostacolo, ritorni con la mente agli epitaffi di Aspasia e di Pericle, citati rispettivamente da Platone e da Tucidide, ciascuno dei quali supera di gran lunga per bellezza l’altro, se giudicato sulla base delle regole del suo genere letterario.14 Non risulta che Dione si sia mai cimentato in vere e proprie speculazioni filosofiche, né che si sia dedicato a dottrine scientifiche: troppo tardi, infatti, si era rivolto a queste materie. Quanto all’etica, fu seguace della Stoà e superò in virilità tutti quelli della sua epoca; si spese ad ammonire gli uomini, sovrani e semplici cittadini, singolarmente e nel loro complesso, servendosi a questo scopo della preparazione retorica già acquisita. Per tutti questi motivi mi sembra opportuno che su tutti i discorsi di Dione venga apposta la dicitura “prima dell’esilio” o “dopo l’esilio”, su tutti quanti indistintamente e non soltanto su quelli in cui l’esilio viene citato espressamente, come hanno già fatto alcuni.15 Così infatti potremmo ripartire in due gruppi separati i discorsi filosofici e quelli a tutti gli

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αὐτὸ τοῦτο σοφιστικοὺς λόγους διειληφότες ἑκατέρους χωρίς, ἀλλ’ οὐχ ὥσπερ ἐν νυκτομαχίᾳ περιτευξόμεθα αὐτῷ, νῦν μὲν βάλλοντι Σωκράτη καὶ Ζήνωνα τοῖς ἐκ Διονυσίων σκώμμασι, καὶ τοὺς ἀπ’ αὐτῶν ἀξιοῦντι πάσης ἐλαύνεσθαι γῆς καὶ θαλάττης, ὡς ὄντας κῆρας πόλεών τε καὶ πολιτείας· νῦν δὲ στεφανοῦντί τε αὐτοὺς καὶ παράδειγμα τιθεμένῳ γενναίου βίου καὶ σώφρονος. 2.  Φιλόστρατος δὲ καὶ τοῦτο ἀπεριμερίμνως τὸν ἔπαινον τοῦ ψιττακοῦ καὶ τὸν Εὐβοέα τῆς αὐτῆς προαιρέσεως οἴεται, καὶ ὑπὲρ ἀμφοῖν ὁμοίως εἰς ἀπολογίαν καθίσταται τὴν ὑπὲρ τοῦ Δίωνος ὡς μὴ ἐπὶ τοῖς τυχοῦσιν ἐσπουδακέναι δοκεῖν. Τοῦτο δ’ ἤδη πλέον ἐστὶ ποιήσασθαι θάτερον. Ὁ γὰρ ἀναγορεύσας αὐτὸν ἐν τοῖς δι’ ὁλοκλήρου τοῦ βίου φιλοσοφήσασι, προϊὼν οὐ μόνον ἐνδέδωκε πρὸς τὸ καὶ σοφιστικόν τι ἔργον εἰργάσθαι τὸν Δίωνα, ἀλλὰ προσαποστερεῖ τὸν ἄνδρα καὶ τῶν ὄντων ἐκ τῆς φιλοσόφου μερίδος, προσνέμων αὐτὰ τοῖς σοφιστικοῖς. Εἰ γὰρ τὸν Εὐβοέα τις ἀφαιρήσεται τοῦ σπουδαῖον εἶναι καὶ ὑπὲρ σπουδαίων συγκεῖσθαι, οὔ μοι δοκεῖ ῥᾷστ’ ἂν ὁ τοιοῦτος ἐγκρῖναί τινα λόγον τῶν Δίωνος, ὥστε καὶ φιλόσοφον ὑπ’ αὐτοῦ προσειρῆσθαι. Ὡς οὗτός γε ὁ λόγος ὑποτύπωσίς ἐστιν εὐδαίμονος βίου, πένητι καὶ πλουσίῳ τοῦ παντὸς ἀνάγνωσμα ἀξιώτατον. Ὠιδηκός τε γὰρ ἦθος ὑπὸ πλούτου καταστέλλει, τὸ εὔδαιμον ἑτέρωθι δείξας, καὶ τὸ καταπεπτωκὸς ὑπὸ πενίας ἐγείρει καὶ ἀταπείνωτον εἶναι παρασκευάζει· τοῦτο μέν, τῷ καταμελιτοῦντι τὰς ἁπάντων ἀκοὰς διηγήματι, ὑφ’ οὗ κἂν Ξέρξης ἀνεπείσθη, Ξέρξης ἐκεῖνος ὁ τὴν μεγάλην στρατείαν ἐλάσας ἐπὶ τοὺς Ἕλληνας, μακαριώτερον ἑαυτοῦ γεγονέναι κυνηγέτην ἄνδρα ἐν τῇ ὀρεινῇ τῆς Εὐβοίας κέγχρους ἐσθίοντα· τοῦτο δέ, ταῖς ἀρίσταις ὑποθήκαις αἷς χρώμενος οὐδεὶς αἰσχύνεται πενίαν, εἰ μή γε καὶ φεύξεται. Διὸ βελτίους οἱ τάττοντες αὐτὸν μετὰ τὸν ἔσχατον περὶ βασιλείας, ἐν ᾧ τέτταρας ὑποθέμενος βίους καὶ δαίμονας, τὸν φιλοχρήματόν τε καὶ τὸν ἀπολαυστικόν, καὶ τρίτον τὸν φιλότιμον, τελευταῖον δὲ καὶ ἐπὶ πᾶσι τὸν εὔφρονα καὶ σπουδαῖον, ἐκείνους μὲν τοὺς κατὰ τὴν ἀλογίαν ἅπαντας γράφει τε καὶ σχηματίζει,

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effetti sofistici e non ci imbatteremmo più, come in un combattimento notturno, in un Dione che ora getta Socrate e Zenone in pasto a battute degne delle Dionisie16 e che reputa di dover esiliare i loro seguaci da ogni luogo, in terra e in mare, come fossero le piaghe delle città e dello Stato, e ora li incorona e li eleva a esempio di vita nobile e saggia. 2.  Filostrato ritiene che la Lode del pappagallo e l’Euboico17 appartengano alla stessa fase, ma anche qui dimostra di non ragionare: in entrambi i casi prende ugualmente le difese di Dione, come a far credere che non si sia mai occupato di argomenti senza importanza. Ma questo significa piuttosto far propria l’altra tesi. Infatti, prima lo annovera tra coloro che hanno filosofato per tutta la vita, in seguito non soltanto ammette che Dione ha prodotto anche alcune opere di tipo sofistico, ma lo defrauda di tutto ciò che ha compiuto da filosofo, includendolo nei lavori sofistici. Se infatti qualcuno nega all’Euboico la serietà e il fatto di essere composto di argomenti seri, non mi sembra facile che possa poi trovare un qualche altro discorso di Dione da poter definire filosofico. Si tratta di una descrizione esemplare della vita felice ed è una lettura in tutto e per tutto adatta al ricco come al povero. Reprime infatti l’indole tronfia della ricchezza, mostrando che la felicità è altrove, e risveglia il perdersi d’animo tipico della miseria, preparando a superare un senso di umiliazione. Ottiene questo risultato, da una parte, con un racconto che cosparge di miele le orecchie di tutti, per mezzo del quale anche Serse – il famoso Serse che inviò un immenso esercito contro i Greci – si sarebbe convinto che è più felice di lui un cacciatore che vive nelle zone montane dell’Eubea mangiando chicchi di miglio; dall’altra, ricorrendo a ottimi consigli, seguendo i quali nessuno si potrebbe vergognare della povertà, seppure non se ne libererà mai. Perciò, sono decisamente più avveduti coloro che collocano questo discorso dopo l’ultimo, cioè Sul regno,18 nel quale Dione presuppone quattro vite e altrettanti demoni – ovvero l’avido, il lussurioso, per terzo l’ambizioso, per ultimo e superiore a tutti gli altri l’assennato e virtuoso – e descrive e classifica tutti i tipi di vita irrazionale, chiudendo il

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παύεται δὲ τοῦ βιβλίου, τὸν λοιπὸν ἐπαγγειλάμενος αὐτίκα ἀποδώσειν ὅτῳ ποτὲ πεπρωμένος ἐκ θεῶν ἐγένετο. 3.  Χωρὶς οὖν τιθέντι τοὺς ἐν τοῖς συχνοῖς λόγοις Διογένας τε καὶ Σωκράτας, οἳ καὶ περιττοὶ τὴν φύσιν ἔδοξαν – καὶ οὐχ ἅπαντός ἐστιν ὁ τοῖν ἀνδροῖν τούτοιν ζῆλος, ἀλλ’ ὅστις εὐθὺς αἵρεσίν τινα τῶν κατὰ φιλοσοφίαν ὑπέσχετο –, τὸν δὲ κατὰ τὴν κοινὴν φύσιν ζητοῦντι, καὶ τὸν ἅπασιν ἐγχωροῦντα, δίκαιον, ὅσιον, αὐτουργόν, ἀπὸ τῶν ὄντων φιλάνθρωπον, οὐκ ἂν ἕτερος ἀντὶ τοῦ Εὐβοέως ἀποδεδομένος εἴη βίος εὐδαιμονικός. Ἔτι καὶ τοὺς Ἐσσηνοὺς ἐπαινεῖ που, πόλιν ὅλην εὐδαίμονα τὴν παρὰ τὸ Νεκρὸν Ὕδωρ ἐν τῇ μεσογείᾳ τῆς Παλαιστίνης κειμένην παρ’ αὐτά που τὰ Σόδομα. Ὁ γὰρ ἀνὴρ ὅλως, ἐπειδὴ τοῦ φιλοσοφεῖν ἀπήρξατο καὶ εἰς τὸ νουθετεῖν ἀνθρώπους ἀπέκλινεν, οὐδένα λόγον ἄκαρπον ἐξενήνοχεν. Τῷ δὲ μὴ παρέργως ἐντυγχάνοντι δήλη καὶ ἡ τῆς ἑρμηνείας ἰδέα διαλλάττουσα, καὶ οὐκ οὖσα μία τῷ Δίωνι κατά τε τὰς σοφιστικὰς ὑποθέσεις καὶ κατὰ τὰς πολιτικάς. Ἐν ἐκείναις μὲν γὰρ ὑπτιάζει καὶ ὡραΐζεται, καθάπερ ὁ ταὼς περιαθρῶν ἑαυτόν, καὶ οἷον γαννύμενος ἐπὶ ταῖς ἀγλαΐαις τοῦ λόγου, ἅτε πρὸς ἓν τοῦτο ὁρῶν καὶ τέλος τὴν εὐφωνίαν τιθέμενος. Ἔστω παράδειγμα ἡ τῶν Τεμπῶν φράσις καὶ ὁ Μέμνων. Ἐν τούτῳ μέν γε καὶ ὑπότυφός ἐστιν ἡ ἑρμηνεία· τὰ δὲ τοῦ δευτέρου χρόνου βιβλία, ἥκιστ’ ἂν ἐν αὐτοῖς ἴδοις χαῦνόν τι καὶ διαπεφορημένον. Ἐξελαύνει γάρ τοι φιλοσοφία καὶ ἀπὸ τῆς γλώττης τρυφήν, τὸ ἐμβριθές τε καὶ κόσμιον κάλλος ἀγαπῶσα, ὁποῖόν ἐστι τὸ ἀρχαῖον, κατὰ φύσιν ἔχον καὶ τοῖς ὑποκειμένοις οἰκεῖον, οὗ μετὰ τοὺς λίαν ἀρχαίους καὶ Δίων ἐπιτυγχάνει διὰ τῶν πραττομένων ἰών, κἂν λέγῃ κἂν διαλέγηται. Ἔστω παράδειγμα τῆς ἀσφαλοῦς καὶ κυρίως ἐχούσης ἑρμηνείας ὁ ἐκκλησιαστικός τε καὶ ὁ βουλευτικός· εἰ δὲ βούλει, καὶ ὁντινοῦν τῶν πρὸς τὰς πόλεις εἰρημένων τε καὶ ἐγνωσμένων προκεχειρισμένος, ἴδοις ἂν ἑκατέραν ἰδέαν ἀρχαϊκήν, ἀλλ’ οὐ τῆς νεωτέρας ἠχοῦς τῆς ἐπιποιούσης τῷ κάλλει τῆς φύσεως,

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libro con l’annuncio che definirà molto presto il quarto e ultimo per colui che è stato, per questo, già designato dagli dèi. 3.  A chi metta da parte i Diogeni e i Socrati che ricorrono in molti discorsi e che parvero straordinari per natura (non è da tutti l’emulazione di questi uomini, ma solo per coloro che abbiano mostrato fin dall’inizio una certa inclinazione alle tematiche della filosofia) e a chi ricerchi una vita felice secondo la natura comune e disponibile per tutti, giusta, pia, operosa, generosa per quanto concedano i mezzi, non si potrebbe certo offrire che quella dell’Euboico. In qualche passo Dione tesse anche le lodi degli Esseni, una comunità perfettamente felice che si trova nei pressi del Mar Morto, nell’entroterra della Palestina, nelle vicinanze di Sodoma.19 Egli infatti, da quando iniziò a dedicarsi alla filosofia e si rivolse ad ammonire gli uomini, non pronunciò più alcun discorso sterile. A chi si imbatta non incidentalmente negli scritti di Dione appare chiaro che il suo modo di esprimersi cambia e non rimane lo stesso nelle opere sofistiche e in quelle politiche. Nelle prime infatti si atteggia da presuntuoso e si dà delle arie, come il pavone quando si sta a contemplare, come ad esempio quando esulta per le bellezze del suo discorso, ponendo la buona sonorità come fine ultimo e tenendo solo quella in considerazione. Ne sia un esempio la Descrizione di Tempe, e pure il Memnone.20 In questo la dizione è ancora altezzosa; eppure, nelle opere del secondo periodo con molta difficoltà si potrebbe rilevare qualcosa di frivolo e di sconnesso. La filosofia, infatti, tende a respingere la mollezza anche dalla lingua, amando piuttosto una compostezza ordinata e bella che si conformi alla natura e che sia adatta agli argomenti, come era in uso nel tempo passato e come, molto tempo dopo gli autori antichi, anche Dione raggiunge man mano nelle proprie opere, sia nei discorsi che nei dialoghi. Siano degli esempi di questa dizione salda e puntuale il Davanti all’assemblea e il Davanti al consiglio;21 se si vuole, dopo aver scelto uno qualunque tra i discorsi letti e pronunciati dinanzi alle città, vi si potrebbe ritrovare entrambi gli stili arcaici, peraltro senza alcuna eco più recente che sovrasti la bellezza naturale, come invece accade nei discorsi che abbiamo già

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ὁποῖαι διαλέξεις ὧν πρόσθεν ἐμνημονεύσαμεν, ὁ Μέμνων τε καὶ τὰ Τέμπη, λόγος δὲ οὗτος ὁ κατὰ τῶν φιλοσόφων. Κἂν γὰρ ἀποπροσποιῆται, πάνυ τοῦ θεάτρου γίνεται καὶ τῆς χάριτος· καὶ οὐκ ἂν εὕροις ῥητορείαν ἐπαφροδιτοτέραν παρὰ τῷ Δίωνι· ὃ καὶ θαυμάσας ἔχω τὴν τύχην φιλοσοφίας, εἰ μήτε κωμῳδία τῶν Νεφελῶν μᾶλλον εὐδοκιμεῖ· οὐδὲ γάρ ἐστιν ἥντινα μετὰ τῆς ἴσης δυνάμεως Ἀριστοφάνης ἀπήγγελται. Τεκμήριον ποιοῦ τοῦ στρογγύλως καὶ σὺν εὐροίᾳ προενηνέχθαι· κηρὸν διατήξας, εἶτα τὴν ψύλλαν λαβών, ἐνέβαψεν εἰς τὸν κηρὸν αὐτῆς τὼ πόδε, κᾆτα ψυχείσῃ περιέφυσαν Περσικαί. Ταύτας ὑπολύσας, ἀνεμέτρει τὸ χωρίον.

Ἀριστείδην τε ὁ πρὸς Πλάτωνα λόγος ὑπὲρ τῶν τεσσάρων πολὺν ἐκήρυξεν ἐν τοῖς Ἕλλησιν. Οὗτος μὲν καὶ τέχνης ἁπάσης ἀμοιρῶν, ὅν γε οὐδ’ ἂν ἐπαγάγοις εἴδει ῥητορικῆς, οὔκουν ἐκ τοῦ δικαίου γε καὶ τῶν νόμων τῆς τέχνης· συγκείμενος δ’ οὖν ἀπορρήτῳ κάλλει καὶ θαυμαστῇ τινι χάριτι, εἰκῇ πως ἐπιτερπούσῃ τοῖς ὀνόμασι καὶ τοῖς ῥήμασιν. Οὗτός τε ὁ Δίων ἤκμασε μάλιστα ἐν τῷ κατὰ τῶν φιλοσόφων, ἥντινα καὶ καλοῦσιν ἀκμὴν οἱ νεώτεροι· τοῦτ’ ἔστιν ἡρμόσατο πανηγυρικώτερον ἀνδρὸς ἀσφαλοῦς· καὶ μέντοι γε εἰς τὴν τοιαύτην ἰδέαν αὐτὸς αὑτοῦ ταύτῃ κράτιστος ἔδοξεν. Οὐ μέντοι τοσοῦτον ὁ Δίων ἐξωρχήσατο τὴν ἀρχαίαν ῥητορικήν, ἐν οἷς καὶ δοκεῖ σαφῶς ἀναχωρεῖν τῶν οἰκείων ἠθῶν, ὡς ἂν καὶ λαθεῖν ὅτι Δίων ἐστί, παρακινήσας ἐς τὸ νεώτερον· ἀλλ’ εὐλαβῶς ἅπτεται τῆς παρανομίας καὶ αἰσχυνομένῳ γε ἔοικεν ὅταν τι παρακεκινδυνευμένον καὶ νεανικὸν προενέγκηται· ὥστε κἂν αἰτίαν φύγοι δειλίας, εἰ πρὸς τὴν ὕστερον ἐπιπολάσασαν τῶν ῥητόρων τόλμαν αὐτὸν ἐξετάζοιμεν· τοῖς πλείστοις δὲ τῶν ἑαυτοῦ, καὶ παρὰ βραχὺ τοῖς ἅπασι, μετ’ ἐκείνων ταττέσθω τῶν ἀρχαίων τε καὶ στασίμων ῥητόρων, παρ’ ὁντινοῦν καὶ δήμῳ διαλεχθῆναι καὶ ἰδιώτῃ τοῦ παντὸς ἄξιος. Οἵ τε γὰρ ῥυθμοὶ τοῦ λό-

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ricordato, il Memnone e la Tempe, oppure nell’orazione Contro i filosofi. Per quanto infatti Dione tenti di dissimularlo, vi si ritrova molto del teatro e della sua bellezza; e davvero non si potrebbe trovare un pezzo di retorica più affascinante in Dione. Per questo ammiro la sorte della filosofia, se nessuna commedia è stata mai apprezzata più delle Nuvole;22 in nessun’altra infatti Aristofane si esprime con uguale efficacia. Ecco un saggio di dizione precisa e scorrevole: “Dopo aver fuso la cera, afferra la pulce e vi immerge le zampe; quando poi la cera si è raffreddata, alla pulce spuntano  due scarpette persiane. Allora, dopo avergliele sfilate, con queste misura la distanza”.23

Il discorso Contro Platone per i quattro rese Aristide molto noto presso i Greci.24 Essendo priva di ogni artificio, quest’opera non potrebbe essere inserita in alcun genere retorico, comunque non secondo la norma e le leggi proprie dell’arte; d’altronde, la sua struttura è di un’indicibile bellezza e di una straordinaria grazia, che riesce a dilettare fortuitamente, attraverso i soli nomi e i verbi. Anche il nostro Dione ha raggiunto il suo apice con la Contro i filosofi, perlomeno secondo ciò che i moderni intendono per apice, giacché questa orazione ha una costruzione più fastosa rispetto a quanto si convenga a un oratore convincente; e tuttavia, con quello stile, Dione è parso superare se stesso. Ciononostante, egli non ha mai disdegnato l’antica retorica, neppure in quelle opere in cui pare chiaramente discostarsi dalla sua maniera consueta, al punto che ci sfugge che si tratta di Dione, e si è avvicinato all’uso più recente. Comunque, è con molta cautela che viola la norma, quasi come se si vergognasse quando proclama qualcosa di spericolato e audace, al punto che si meriterebbe l’accusa di viltà, se lo mettessimo a confronto con l’ardire abituale dei retori di età successiva. Per la maggior parte delle sue opere – potremmo dire quasi per tutte – deve essere annoverato assieme ai retori antichi e solenni, venendo riconosciuto da chiunque in tutto e per tutto degno di parlare sia al popolo che al singolo. Difatti, i ritmi del discorso sono

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γου κεκολασμένοι καὶ τὸ βάθος τοῦ ἤθους, οἷον σωφρονιστῇ τινι καὶ παιδαγωγῷ πρέπον πόλεως ὅλης ἀνοήτως διακειμένης. Ὥσπερ δὲ τὴν ἑρμηνείαν οὔτε μίαν ἔφαμεν πάντως οὐδὲ ἀνεπίγνωστον ὅτι Δίωνός ἐστιν ἑκατέρα, νῦν μὲν ῥήτορος ἀνδρός, νῦν δὲ πολιτικοῦ· οὕτω καὶ τὰς διανοίας, ὅστις οὐκ αὐτὸς δίχα διανοίας ἐπιβάλλει τὰς ὄψεις ὅτῳ δὴ τῶν βιβλίων αὐτοῦ ἐπιγνώσεται Δίωνος οὔσας ἐν ταῖν δυεῖν ἰδέαιν τῶν ὑποθέσεων· κἂν τὸ φαυλότατον προχειρίσῃ, τὸν Δίωνα ὄψει τὸν ποριμώτατον τῇ ῥητορείᾳ παν­τὸς ἐξευρεῖν λόγους· μακρῷ γὰρ δὴ σοφιστῶν κατὰ τὸ ἐπιχειρῆσαι διήνεγκεν. Εἰ δέ τις καὶ ἕτερος σοφιστὴς εὔπορος, ἀλλὰ πολλοῦ γε καὶ δεῖ παραβάλλεσθαι πρὸς τὴν τοῦδε πυκνότητα· ἅμα δὲ καὶ θαυμαστή τις ἰδιότης χαρακτηρίζει τὰς Δίωνος ἐπινοίας. Δηλούτω σοι τὸν ἄνδρα ὁ Ῥοδιακός τε καὶ ὁ Τρωικός, εἰ δὲ βούλει, καὶ ὁ τοῦ κώνωπος ἔπαινος. Ἐσπουδάσθη γὰρ τῷ Δίωνι καὶ τὰ παίγνια, πανταχοῦ τῇ φύσει χρωμένῳ· καὶ οὐκ ἂν ἀπιστήσαις αὐτὰ τῆς αὐτῆς εἶναι παρασκευῆς τε καὶ δυνάμεως. 4.  Ταῦτά μοι περὶ Δίωνος εἰπεῖν ἐπῆλθε πρὸς τὸν ὕστερόν ποτε παῖδα ἐσόμενον, ἐπεί μοι καὶ διεξιόντι τοὺς παντοδαποὺς αὐτοῦ λόγους μεταξὺ τὸ μάντευμα γέγονεν. Πατρικὸν δὴ πέπονθα, καὶ ἤδη συνεῖναι τῷ παιδὶ βούλομαι καὶ διδάσκειν ἅττα μοι φρονεῖν ἔπεισι περὶ ἑκάστου συγγραφέως τε καὶ συγγράμματος, συνιστὰς αὐτῷ φίλους ἄνδρας μετὰ τῆς προσηκούσης ἕκαστον κρίσεως· ἐν οἷς ἔστω καὶ Δίων ὁ Προυσαεύς, περιττὸς ἀνὴρ εἰπεῖν τε καὶ γνῶναι. Καὶ τοῦτον οὖν ἐπαινέσας αὐτῷ παραδίδωμι, ἵνα μοι μετὰ τοὺς τῆς γενναίας φιλοσοφίας προστάτας ἀπάρχοιτό ποτε καὶ τοῖς πολιτικοῖς τοῦ Δίωνος γράμμασι, μεθόριον αὐτὰ ἡγούμενος τῶν προπαιδευμάτων τε καὶ τῆς ἀληθινωτάτης παιδείας. Καὶ καλόν γε, ὦ παῖ, θεωρήμασιν ἐπιστημονικοῖς προσταλαιπωρήσαντα καὶ καταπεπυκνωμένον τὴν γνώμην, ἢ δόγμασι βάρος ἔχουσιν

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moderati e la profondità della morale è quella che si addice a un educatore e a un precettore di una città che versi completamente in uno stato di follia. Come abbiamo già detto, lo stile di Dione non è assolutamente unitario e non si può non convenire sul fatto che sia duplice, talvolta quello del retore, talvolta quello dell’uomo politico. Altrettanto si può dire per i suoi pensieri: chiunque, che non sia lui stesso privo di intelligenza, dia un’occhiata a uno qualsiasi dei suoi libri riconoscerà che essi appartengono a Dione secondo le due tipologie di stile determinate dall’argomento. Se pure prenderà in mano i passi più futili, riconoscerà comunque Dione, che è davvero l’autore più dotato a trovare, grazie alla sua capacità retorica, delle argomentazioni razionali per qualsiasi tema: nelle dimostrazioni si rivela infatti di gran lunga superiore ai sofisti. Se anche esiste un altro sofista altrettanto abile, lo si deve assolutamente confrontare con la densità del suo stile; e, al contempo, una straordinaria originalità caratterizza il pensiero di Dione. Ne siano degli esempi l’Uomo di Rodi e il Troiano e, se si vuole, anche la Lode della zanzara.25 Dione si dedicò in effetti anche ad argomenti futili, applicando comunque la sua dote naturale; non si potrebbe dubitare che anche queste opere traggano origine dallo stesso talento e dalla stessa capacità delle altre. 4.  Mi sono ritrovato a scrivere queste cose su Dione per il mio futuro figlio, giacché la profezia della nascita mi giunse proprio nel periodo in cui stavo leggendo i suoi vari discorsi. Mi sento già padre e ho già il desiderio di stare con lui e insegnargli tutte quelle cose su cui mi risulta gradito riflettere circa ciascun scrittore e opera letteraria, presentandogli gli autori più cari, ognuno accompagnato da un rispettivo giudizio: tra questi vi è senz’altro Dione di Prusa, uomo straordinario nel parlare e nel conoscere. Dopo averlo elogiato, dunque, glielo affido, affinché per me un giorno, dopo i massimi rappresentanti della più alta filosofia, egli possa dedicarsi anche agli scritti politici di Dione, ritenendoli di livello intermedio tra i materiali di studio preliminare e la vera e propria cultura. Ed è bene, figlio, che chi ha travagliato su teorie scientifiche e se ne è riempito la mente, oppure ha il pensiero ricolmo di pesanti dot-

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ἐστοιβασμένης τῆς διανοίας, εἶτα ἀποκλῖναι δεῆσαν, μὴ εὐθὺς ἐπὶ κωμῳδίαν ἢ ψιλήν τινα ῥητορείαν ἀΐξαι· τοῦτο γάρ ἐστιν οὐκ ἐν τάξει καὶ ταχὺ πρόσω τοῦ μετρίου ῥᾳστωνεύσασθαι· ἀλλὰ κατὰ μικρὸν ἐκλυτέος ὁ τόνος, μέχρις ἄν, εἰ δοκεῖ – δόξειε δέ –, κἂν εἰς τὸ ἀντικείμενον ἥκῃς, ἐπεξιὼν ἅπασιν ὅσα Μουσῶν ἑταίροις ἀνδράσιν ἐρρᾳθύμηταί τε καὶ πέπαικται, πάλιν δὲ τὴν σπουδὴν ἐπιτείνων, ἀναβασμῷ χρήσῃ τοῖσδέ τε καὶ ἀδελφοῖς τισι τούτων ἀναγνώσμασιν· οὕτως ἂν ἄριστα δρῴης, διατρέχων τὸν κάλλιστον δίαυλον, παρὰ μέρος ἐν βιβλίοις ἀεὶ παίζων τε καὶ σπουδάζων. Ἀξιῶ γὰρ ἐγὼ τὸν φιλόσοφον μηδ’ ἄλλο τι κακὸν μηδ’ ἄγροικον εἶναι, ἀλλὰ καὶ τὰ ἐκ Χαρίτων μυεῖσθαι, καὶ ἀκριβῶς Ἕλληνα εἶναι, τοῦτ’ ἔστι δύνασθαι τοῖς ἀνθρώποις ἐξομιλῆσαι, τῷ μηδενὸς ἀπείρως ἔχειν ἐλλογίμου συγγράμματος. Ἔοικεν γὰρ οὐδ’ ἄλλο τι γεγονέναι προοίμιον φιλοσοφίας ἢ πολυπραγμοσύνη γνώσεως· καὶ ἐν παισὶν ἡ φιλόμυθος φύσις ὑπόσχεσίς ἐστι φιλοσόφου τέλους. Καὶ δῆτα τίνος ἂν εἴη τέχνη καὶ ἐπιστήμη τέχνης ἢ ἐπιστήμης, ἧς ἐν τῷ λόγῳ τοῦ εἶναι τὸ πάσαις ἐποχεῖσθαι παραλαμβάνεται, εἰ μὴ φιλοκρινοίη τε αὐτὰς καὶ τὴν μὲν ἐκ περιωπῆς ἀποσκοποῖτο, τὴν δὲ καὶ πρόσω προϊοῦσα περιεργάζοιτο, δορυφοροῖτο δ’ ὑφ’ ἀπασῶν, ὥσπερ ἔοικεν τῇ βασιλίδι; τὰς δὲ Μούσας οὐχ ὁμοῦ τε οὔσας ἐμφαίνει τὸ ὄνομα, θεῶν καλεσάντων ἢ ἀνθρώπων γε θεῶν φήμῃ χρωμένων; χορός τέ εἰσι δι’ αὐτὴν δήπου τὴν σύνοδον· μία δὲ αὐτῶν οὐδεμιᾶς χωρὶς οὔτε ἐν συμποσίῳ θεῶν ἐπιδείκνυται τὸ οἰκεῖον ἔργον, οὔτε τυγχάνει παρὰ ἀνθρώποις βωμοῦ καὶ νεώ. Καίτοι τινὲς ἤδη φύσεως ἐνδείᾳ κατακερματίζουσιν αὐτῶν τὸ χωρίζεσθαι μὴ δυνάμενον, καὶ ἕτερος ἑτέρας ἐπήβολος γέγονεν· ἀλλὰ φιλοσοφία τὸ ἐπὶ πάσαις ἐστί. Καίτοι τοῦτο αἰνίττεται τὸ τῇ συμφωνίᾳ τῶν Μουσῶν εὐθὺς τὸν Ἀπόλλω παρεῖναι. 5.  Ὁ δὲ λόγος οὗτος τεχνίτην μὲν καὶ ἐπιστήμονα καλεῖ τὸν ἀποτεμνόμενον ἡντινοῦν εἴδησιν, ἄλλον ἄλλῃ προσήκοντα δαίμονι·

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trine, quando poi ha la necessità di distrarsi, non si dia subito alla commedia o alla vuota retorica. Ciò infatti non sarebbe decoroso e in breve porterebbe a un’inerzia fuori misura. Piuttosto, si deve rilassare un poco la tensione, fino a che (se lo riterrai opportuno e mi auguro di sì) tu non giunga all’estremo opposto, attraversando tutte quelle opere scritte per svago e divertimento dai seguaci delle Muse, per poi riprendere di nuovo l’impegno, sfruttando, come dei gradini verso l’alto, tali letture e altre analoghe. Così agiresti per il meglio, compiendo una splendida corsa doppia,26 riuscendo sempre a trovare nei libri, rispettivamente, divertimento e impegno. Io ritengo infatti che il filosofo non debba essere né incapace né rozzo in nessun campo; al contrario, credo che debba essere iniziato ai misteri delle Cariti27 e risultare in tutto e per tutto un Elleno, ovvero sempre in grado di relazionarsi con gli uomini, per il fatto di non ignorare alcuna opera letteraria meritevole.28 Sembra infatti che non vi sia stato altro innesco alla filosofia se non la ricerca della conoscenza; anche tra i bambini, colui che per sua natura sia interessato alle favole contiene la promessa di uno sviluppo da filosofo.29 Dunque, di quale arte o scienza sarebbe arte e scienza la filosofia, che nella propria ragion d’essere ha connaturato di dominarle tutte, se poi non le distinguesse con precisione, e non considerasse l’una da lontano e non esaminasse l’altra, accostandosi, più da vicino, e non fosse difesa da tutte, come si conviene a una regina? Il nome delle Muse non indica forse che stanno tutte insieme,30 le abbiano chiamate così gli dèi o gli uomini utilizzando un appellativo divino? Formano un coro proprio perché sono un gruppo; nessuna può nulla separata dalle altre, né può dar prova del proprio lavoro nel simposio degli dèi, né riceve presso gli uomini un altare e un tempio. Alcuni nostri contemporanei, in effetti, per mancanza di capacità naturale dividono il loro gruppo, che d’altronde non può essere diviso, e ciascuno si appropria di una Musa diversa. La filosofia, però, se ne sta al di sopra di tutte. A questo allude il fatto che Apollo è direttamente presente nel coro delle Muse.31 5.  Questo nostro discorso definisce “specialista” e “esperto” chi isola un qualunque campo del sapere, affidandosi alla protezione

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φιλόσοφον δὲ τὸν ἡρμοσμένον ἐκ τῆς ἁπασῶν συμφωνίας καὶ ἓν τὸ πλῆθος ποιήσαντα· ἢ τοῦτον μὲν οὔπω, προσεῖναι δὲ δεῖ τὸ καὶ ἔχειν αὐτὸν ἴδιον ἔργον ὑπερκείμενον τοῦ χοροῦ· ὥσπερ τὸν Ἀπόλλω λόγος ἔχει νῦν μὲν ταῖς Μούσαις συνᾴδειν αὐτὸν ἐξάρχοντα καὶ ἐνδιδόντα ῥυθμὸν τῷ συστήματι, νῦν δὲ αὐτὸν κατὰ μόνας ᾄδειν – ἐκεῖνο δ’ ἂν εἴη τὸ μέλος τὸ ἱερὸν καὶ ἀπόρρητον –, καὶ ὁ καθ’ ἡμᾶς φιλόσοφος συνέσται μὲν ἑαυτῷ τε καὶ τῷ θεῷ διὰ φιλοσοφίας, συνέσται δὲ τοῖς ἀνθρώποις διὰ τῶν ὑφειμένων τοῦ λόγου δυνάμεων· ἐπιστήσεται μὲν οὖν ὡς φιλόλογος, κρινεῖ δὲ ὡς φιλόσοφος ἕκαστόν τε καὶ πάντα. Οἱ δὲ ἀστεμφεῖς οὗτοι καὶ ὑπερόπται ῥητορικῆς καὶ ποιήσεως οὔ μοι δοκοῦσιν οὐδὲ ἑκόντες εἶναι τοιοῦτοι, πενίᾳ δὲ φύσεως μηδὲ τὰ σμικρὰ ἱκανοί, ὧν θᾶττον ἂν ἴδοις τὴν καρδίαν ἢ τὰ ἐν τῇ καρδίᾳ, ἀδυνατούσης τῆς γλώττης ἐξερμηνεῦσαι τὴν γνώμην. Ἐγὼ μὲν οὖν καὶ ἀπιστεῖν αὐτοῖς βούλομαι καὶ οὐδ’ ἂν φαίην ἀπόρρητόν τι κρύπτειν αὐτούς, ὥσπερ τὰς Ἑστιάδας τὸ πῦρ, πρῶτον μὲν ὅτι μηδὲ ὅσιόν ἐστι τὰ μεγάλα σοφὸν γενέσθαι τὸν τὰ μικρὰ μὴ δυνάμενον· ἔπειτα ὥσπερ ὁ θεὸς τῶν ἀφανῶν ἑαυτοῦ δυνάμεων εἰκόνας ἐμφανεῖς ὑπεστήσατο τῶν ἰδεῶν τὰ σώματα, οὕτως ἔχουσα κάλλος ψυχὴ καὶ γόνιμος οὖσα τῶν ἀρίστων, διαδόσιμον ἔχει μέχρι τῶν ἔξω τὴν δύναμιν· οὐδὲν γὰρ ἐθέλει τῶν θείων ἔσχατον εἶναι. Εἰ δὲ καὶ κρύπτειν ἐπιτηδειότερος τὰ ἀβέβηλα ὁ παντοδαπῶς ἔχων τοῦ λόγου καὶ περιβαλλόμενος δύναμιν τοῦ διατίθεσθαι τὰς συνουσίας ᾗ βούλεται, καὶ οὕτω μειονεκτεῖν ἀνάγκη τὸν ἄνδρα ἐκεῖνον ὃς οὐ προετελέσθη τῷ κύκλῳ καὶ τὰ Μουσῶν οὐκ ὠργίακεν. Δυεῖν γὰρ αὐτὸν καταλαμβάνει τὸ ἕτερον, ἤτοι σιγᾶν ἢ λέγειν ὅσα νόμος σιγᾶσθαι· ἢ γὰρ δὴ τὰς τῶν ἐν ἄστει τύχας διαλέξεων ὑποθέσεις ποιήσεται καὶ φορτικῶς τοῖς ἀνθρώποις συνέσται, ὃ μηδεὶς ἂν ἐλεύθερος ἀξιώσειεν, ἢ βιώσει ἐν σχολῇ γε ὁ τὴν σοφίαν κορυφαῖος εἶναι ποιούμενος. Τυχὸν μὲν

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di diverse entità divine; definisce filosofo, piuttosto, chi realizza l’armonia dell’insieme di tutte le scienze e riconduce la moltitudine all’unità. Anzi, non soltanto questo: è necessario anche che egli svolga un compito suo proprio, che gli consenta di dominare il coro delle Muse. Così come Apollo, che talvolta – si dice – canta con le Muse, intonando la melodia e dando il ritmo al gruppo, talvolta canta da solo (questo secondo sarebbe il canto sacro e indicibile).32 A nostro parere, il filosofo si troverà da un lato in comunione con se stesso e con la divinità grazie alla filosofia, dall’altra con gli uomini grazie alla facoltà inferiore della parola. In quanto filologo, dunque, possiederà la scienza, in quanto filosofo, giudicherà ciascuna cosa, per se stessa e nell’insieme. Quelli che sono inflessibili e sdegnosi della retorica e della poesia non mi pare che lo siano di proposito, ma in quanto, vista la scarsità della loro natura, non riescono neppure nelle attività minime; e di loro potresti vedere più rapidamente il cuore rispetto a ciò che hanno nel cuore, non riuscendo la lingua a esprimere il pensiero. Io dunque intendo diffidare di costoro, e non potrei neppure dire che essi celano qualcosa di indicibile, come le Vestali il fuoco, in primo luogo perché non è concesso dalla legge divina che sia saggio nelle grandi cose chi non è capace neppure nelle minime; in secondo luogo, come la divinità ha posto le manifestazioni sensibili delle idee33 quali immagini visibili delle proprie invisibili facoltà, così l’anima, che possiede la bellezza ed è feconda di quanto esiste di migliore, è in grado di trasmettere la sua potenza agli oggetti esterni: nessuna entità divina vuole stare all’ultimo posto.34 Sebbene chi possieda un linguaggio molto vario è più adatto a occultare verità sacre, in quanto ha la capacità di condurre i suoi interlocutori dove vuole, ciononostante è inevitabile che anche un uomo del genere, se non è stato prima iniziato dalla cerchia del sapere35 e non ha celebrato i misteri delle Muse, non risulti infine all’altezza.36 Possono verificarsi infatti due circostanze: o che taccia, o che parli di ciò di cui si deve tacere. O, infatti, farà di quanto avviene in città l’argomento delle proprie dissertazioni e avrà con le persone dei rapporti volgari, cosa che nessun uomo libero reputerebbe conveniente, oppure se ne starà nella totale inattività, ritenendosi al vertice della sapienza.

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γὰρ οὐδ’ ἄν, εἰ βούλοιτο, δύναιτο· πάντως δὲ οὐδ’ ἄν, εἰ δύναιτο, βούλοιτο. Ἄγαμαι δὲ ἐγὼ καὶ τὸν Πρωτέα τὸν Φάριον εἰ σοφὸς ὢν τὰ μεγάλα σοφιστικήν τινα θαυματολογίαν προὐβέβλητο καὶ παντοδαπῶς τοῖς ἐντυγχάνουσι συνεγίγνετο· ᾤχοντο γὰρ ἂν τὴν περὶ αὐτὸν τραγῳδίαν τεθαυμακότες ὡς μὴ ἐπιζητῆσαι τὴν ἀλήθειαν περὶ ὧν πραγματεύοιτο. Ἔστω δή τι τοῦ νεὼ προτεμένισμα τοῖς ἀτελέστοις· ὁ δὲ καθάπαξ ἀποσεμνυνόμενος, οὐ κρύπτει μᾶλλον ἢ ἐρεθίζει καὶ ἀναρριπίζει τὴν ἐν τῇ φύσει λιχνείαν ὑφ’ ἧς ἕκαστός ἐστι πολυπράγμων τοῦ ἀπορρήτου. Εἰ δὲ μὴ ὁ Ἰξίων ἀντὶ τῆς Ἥρας τὴν νεφέλην ᾑρήκει καὶ ἠγαπήκει συνὼν τῷ εἰδώλῳ, οὐκ ἄν ποτε ἑκὼν εἶναι μεθεῖτο τῆς ἀτόπου διώξεως. 6.  Παρασκευαστέον οὖν ἀντὶ λόγου λόγον, ἀντὶ τοῦ μείζονος τὸν ἐλάττω· καλὸν μέντοι τινὰ καὶ τοῦτον, ᾧ προεντυχόντες ὁ μὲν πολὺς ἐνσχεθήσεται καὶ τοῦτον ἀσπάσεται καὶ οὐδ’ εἶναι πρεσβύτερον ἄλλον οἰήσεται· ὁ δὲ λαχὼν φύσεως θείας ἐντεῦθεν ἀρθεὶς περινοήσει κἀκεῖνον. Ὃν δὲ ὁ θεὸς κινεῖ, τούτῳ καὶ παρ’ ἡμῶν ἀνεῴξεται τὰ ἀνάκτορα· οὐδὲ ὁ Μενέλεως ἠγνόησεν τὸν ὄντως Πρωτέα – Ἕλλην γὰρ ἀνὴρ ἦν καὶ τοῦ Διὸς κηδεστὴς ἄξιος –, ᾧ μηδὲ τὴν πρώτην ἐπὶ φαύλοις συνῆν. Τὸ γὰρ πῦρ καὶ τὸ δένδρον καὶ τὸ θηρίον λόγοι τινὲς ἦσαν περὶ ζῴων τε καὶ φυτῶν, ἀλλὰ καὶ περὶ τῶν πρώτων στοιχείων ὧν σύγκειται τὰ γινόμενα. Ὁ δὲ οὐδὲ ταῦτα ἠγάπησεν, ἀλλ’ ἐνδοτέρω φύσεως ἠξίου χωρεῖν. Θεῖον οὖν ἀτεχνῶς τὸ πᾶσιν ἀρκεῖν, ὡς ἕκαστος ἀπολαύειν αὐτοῦ δύναται· ὁ δὲ γενόμενος τῶν ἄκρων ἐπιτυχὴς μεμνήσθω καὶ ἄνθρωπος ὢν καὶ δυνάσθω συνεῖναι πρὸς μέτρον ἑκάστῳ. Τί οὖν ἄν τις ἀποκηρύττοι τὰς Μούσας, δι’ ὧν ἔστι καὶ τοὺς ἀνθρώπους ἐξαρέσκεσθαι καὶ τὰ θεῖα τηρεῖν ἀκηλίδωτα, χρωμένους ἐπικαλύμματι; Εἰ δὲ

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Forse, neppure se lo volesse, lo potrebbe; senza dubbio, se anche lo potesse, non lo vorrebbe. Io ho ammirazione per Proteo di Faro,37 il quale, pur sapiente nelle grandi questioni, esibiva fatti mirabili alla maniera dei sofisti e appariva nelle vesti più disparate a coloro che capitavano ad ascoltarlo. Questi, infatti, se ne andavano via talmente impressionati da cotanto sfarzo retorico, da non chiedersi più quale fosse la verità in merito agli argomenti che erano stati trattati. Vi sia dunque come un pronao del tempio per i non iniziati.38 Chi una volta per sempre si dimostri inavvicinabile non occulta ma piuttosto suscita e rianima la brama naturale che rende ciascuno di noi desideroso di conoscere l’ineffabile. Se Issione non avesse afferrato una nuvola al posto di Era e non si fosse accontentato di accoppiarsi con un’evanescenza, non avrebbe mai abbandonato volontariamente un proposito assurdo.39 6.  Bisogna insomma preparare un discorso in luogo di un altro, al posto di uno più complesso uno più banale; certo, anche quest’ultimo sarà piacevole e l’uomo comune, qualora lo senta per primo, ne sarà preso e lo amerà e penserà che non ne esista uno più degno di considerazione; chi, invece, abbia ottenuto una natura divina si porrà al di sopra di questo tipo di discorso e ragionerà anche sul più complesso. A chi è mosso da Dio, infatti, saranno aperti i nostri templi. Neppure Menelao ignorava chi fosse il vero Proteo; d’altronde era un Elleno, degno genero di Zeus, e neanche in un primo tempo vi s’intrattenne su faccende di poco conto. Infatti il fuoco, l’albero, la belva erano certo dei discorsi riferiti ad animali e piante, ma pure agli elementi primi di cui è composto il divenire. A Menelao, però, questo non bastò e volle penetrare ancora di più nei segreti della natura.40 Ciò che è veramente divino è di bastare a tutti, nella misura in cui ciascuno può usufruirne; colui che abbia raggiunto il vertice del successo, si ricordi che è pur sempre un uomo e sia in grado di avere dei rapporti misurati con gli altri. Perché dunque si dovrebbero ripudiare le Muse, per mezzo delle quali è possibile al contempo propiziarsi gli uomini e avere cura di ciò che è puro e divino, utilizzandole come un velo che occulta? Se poi la nostra natura è inco-

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καὶ ποικίλον ἡ φύσις ἡμῶν, καμεῖται δήπου πρὸς τὴν ἐν θεωρίᾳ ζωήν· ὥστε ὑφήσει τοῦ μεγέθους καὶ καταβήσεται· οὐ γάρ ἐσμεν ὁ ἀκήρατος νοῦς, ἀλλὰ νοῦς ἐν ζῴου ψυχῇ. Καὶ ἡμῶν οὖν αὐτῶν εἵνεκα μετιτέον τοὺς ἀνθρωπινωτέρους τῶν λόγων, ὑποδοχήν τινα μηχανωμένους κατιούσῃ τῇ φύσει· ἀγαπητὸν γὰρ ἔχοντά που πλησίον ἀπονεῦσαι καὶ ἀφοσιώσασθαι τῇ ψυχικῇ συστάσει δεομένῃ γλυκυθυμίας, μὴ πόρρω πεσεῖν μηδὲ κατὰ πᾶσαν ζῆσαι τὴν ποικιλίαν τῆς φύσεως· ὁ γὰρ θεὸς τὴν ἡδονὴν περόνην ἐποίησε τῇ ψυχῇ, δι’ ἧς ἀνέχεται τὴν προσεδρείαν τοῦ σώματος. Τοιοῦτον οὖν τὸ ἐν λόγοις κάλλος· οὐ βαθύνεται πρὸς ὕλην οὐδὲ ἐμβαπτίζει τὸν νοῦν ταῖς ἐσχάταις δυνάμεσιν, ἀλλὰ δίδωσιν ἀνανεῦσαι δι’ ἐλαχίστου καὶ εἰς οὐσίαν ἀναδραμεῖν· ἄνω γάρ ἐστι καὶ τὸ κάτω τῆς τοιαύτης ζωῆς. Ὧι δὲ μὴ ἔστιν ἡσθῆναι καθαρὰν ἡδονήν – δεῖ δὲ τοῦ μειλιχίου τῇ φύσει –, τί καὶ ποιήσει; ποῦ καὶ τρέψεται; ἆρα οὐ πρὸς ἃ μηδὲ εἰπεῖν ἄξιον; οὐ γὰρ δὴ τὴν φύσιν ὑπερφρονήσουσι καὶ πρὸς θεωρίαν ἀτρύτως ἔχειν ἐροῦσιν, ἀπαθεῖς εἶναι ποιούμενοι, θεοὶ σαρκία περικείμενοι· εἰ δὲ λέγοιεν, ἴστων ἀντὶ θεῶν ἢ σοφῶν τε καὶ θείων ἀνδρῶν χαῦνοι καὶ ἀλαζόνες πόρρω γενόμενοι· ἀμείνους δ’ ἂν ἦσαν διαστέλλοντες εὖ τὸ προσῆκον ἑκατέρῳ τῷ γένει. Ἀπάθεια μὲν γὰρ ἐν θεῷ φύσει· ἀρετῇ δὲ ἄνθρωποι κακίαν ἀμειβόμενοι μετριοπαθεῖς γίνονται· καὶ τὸ φυγεῖν τὴν ἀμετρίαν, αὐτὸ τοῦτ’ ἂν εἴη τοῦ σοφοῦ τὸ ἀγώνισμα. 7.  Ἤδη δὲ ἐγὼ κατενόησα καὶ βαρβάρους ἀνθρώπους ἐξ ἀμφοῖν τῶν ἀρίστων γενῶν, θεωρίαν μὲν ὑπεσχημένους καὶ κατὰ τοῦτο ἀπολιτεύτους τε καὶ ἀκοινωνήτους ἀνθρώποις, ἅτε ἀΐξαντας ἑαυτοὺς ἐκλῦσαι τῆς φύσεως· καὶ ἦσαν αὐτοῖς σεμναί τε ᾠδαὶ καὶ ἱερὰ σύμβολα καὶ τακταί τινες πρόσοδοι πρὸς τὸ θεῖον· πάντα

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stante, si stancherà di certo di una vita contemplativa, al punto che attenuerà la propria altezza e cadrà; difatti, noi non siamo un intelletto incontaminato, ma un intelletto calato nell’anima di un essere vivente. Nel nostro interesse, allora, dobbiamo ricercare le forme più umane di espressione letteraria e preparare un qualche riparo per quando la nostra natura volgerà verso il basso; è auspicabile disporre di un rifugio vicino dove poter ripiegare e purificare la condizione dell’anima che necessita di dolcezza, perché non si cada lontano, perché non si viva del tutto secondo l’incostanza della nostra natura.41 La divinità ha posto il piacere come appiglio all’anima, attraverso cui essa sopporta la presenza continua del corpo. In questo, dunque, consiste la bellezza delle lettere: non sprofonda verso la materia, non immerge l’intelletto nelle facoltà più basse, ma permette di rialzare la testa in brevissimo tempo e di innalzarsi di nuovo verso l’essere. Anche il livello più basso di una tale vita risulterà dunque elevato. Quelli che non hanno la possibilità di godere di un piacere puro (ed è necessario concedere qualcosa di dolce alla natura) che cosa faranno? Dove si volgeranno? Forse verso piaceri che neppure è opportuno nominare? Di sicuro non disdegneranno la natura e non diranno di essere instancabili nella contemplazione, fingendosi imperturbabili, come degli dèi che abbiano indossato dei corpi di carne: se lo dicessero, sappiano che anziché dèi o uomini sapienti e divini sono soltanto vani e ciarlatani. Sarebbero stati migliori se avessero ben distinto ciò che si conviene a ciascuno dei due generi. L’imperturbabilità infatti è propria della natura divina; gli uomini, se riescono a scambiare la malvagità con la virtù, possono moderare le loro passioni.42 Rifuggire l’eccesso, questa sarebbe un’impresa degna di un saggio. 7.  Ho già avuto modo di osservare anche dei Barbari appartenenti alle due classi più elevate43 impegnarsi nella contemplazione ed essere in virtù di questo totalmente estranei alla vita pubblica e non socievoli con gli altri uomini, in quanto assai desiderosi di liberarsi della natura. Avevano delle odi solenni e dei sacri simboli e un prestabilito cammino di avvicinamento al divino: tutte queste

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ταῦτα ἀποκόπτει κατὰ τῆς ἐπιστροφῆς τῆς εἰς ὕλην· καὶ βιοτεύουσι χωρὶς ἀπ’ ἀλλήλων, τοῦ μή τι χαρίεν ἰδεῖν ἢ ἀκοῦσαι, οὐ γὰρ σῖτον ἔδουσ’, οὐ πίνουσ’ αἴθοπα οἶνον·

καὶ περὶ τούτων ἄν τις εἰπὼν οὐ πόρρω βάλλοι τἀληθοῦς· ἀλλ’ οὐδὲ οὗτοι μέντοι λαμπρῶς οὕτως ἐπαναστάντες τῇ φύσει καί, ὡς ἂν ἡμεῖς φαῖμεν, δικαιότατοι τυχεῖν ὄντες τῆς ἀρίστης ζωῆς, ἀκμῆτες αὐτῆς ἀπολαύουσιν. Ἀλλ’ ἐπανάγει καὶ τούτους ἡ ἐπίκηρος φύσις, μικρὸν ἱδρυθέντας ἐν τῷ μακαρίῳ τῆς οὐσίας αὐτῶν· καὶ οὐ δήπου πάντα ἑξῆς τὸν χρόνον ἐπιπολῆς ἔχουσι τὸν νοῦν, καὶ ἐμφοροῦνται τοῦ νοητοῦ κάλλους οἷς ποτε καὶ γέγονεν προστυχές. Ἀκούω γὰρ ἐγὼ μηδὲ τούτοις ἅπασι παραγίνεσθαι τὸ τοιοῦτον, ἀλλ’ οὐδὲ τοῖς πλείοσιν, ἀλλὰ καὶ τῶν ὀλίγων ἐλάττοσιν, οἷς ἡ πρώτη τε ὁρμὴ γέγονεν ἔνθεος, καὶ μένουσιν ἐπ’ αὐτῆς, ὅσον ἀνθρώπου φύσις χωρεῖ, πρὸς οὐδεμίαν ἀνθολκὴν τῆς φύσεως μειλισσόμενοι. Πολλοὶ μέν – γάρ – ναρθηκοφόροι, παῦροι δέ τε βάκχοι·

οὐδ’ οὗτοι μέντοι διαρκῶς ἀνέχονται τῆς βακχείας, ἀλλὰ νῦν μὲν ἐν τῷ θεῷ κεῖνται, νῦν δὲ ἐν τῷ κόσμῳ καὶ ἐν τοῖς σώμασι καὶ ἴσασιν ὄντες ἄνθρωποι, μικραὶ μερίδες τοῦ κόσμου, καὶ ἔχοντες ἀποκειμένας ζωὰς ἐλάττους, ἃς ὑποπτεύουσι καὶ προκαταλαμβάνουσιν ὡς μὴ κινοῖντό τε καὶ κατεξανίσταιντο. Ἢ τί αὐτοῖς οἱ κάλαθοι βούλονται; καὶ τὸ πλεγμάτια ἄττα μεταχειρίζεσθαι, εἰ μὴ πρῶτον μὲν ἐν τῷ τότε ἦσαν ἄνθρωποι, τοῦτ’ ἔστι ἐπιστροφὴν πρὸς τὰ τῇδε πεποιημένοι; οὐ γὰρ δὴ θεωροῦσί τε ἅμα καὶ σοφίζονται περὶ τὰ πλέγματα· ἔπειτα τὴν σχολὴν ὑφεωρῶντο, ἧς ἡ φύσις ἡμῶν οὐκ ἀνέχεται πολλὰς ἀρχὰς ἐνδιδοῦσα κινήσεων. Ἵν’ οὖν μὴ ἄλλο τι δρῷεν, ἀμφὶ ταῦτα ἔχειν νόμον ἐν σφίσι πεποίην­ ται, καὶ ταύτῃ τὴν φύσιν προτρέπονται· καὶ γὰρ δὴ καὶ ἥδονται τελεσιουργοῦντες, καὶ μᾶλλον ὅσῳ πλείω τε καὶ καλλίω. Δεῖ γὰρ

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cose impediscono la torsione verso la materia. Vivono isolati l’uno dall’altro, senza poter vedere o ascoltare alcunché di grazioso, “non mangiano pane, non bevono vino scintillante”:44

se lo si dicesse di costoro non si andrebbe lontano dal vero. In realtà, però, neppure questi, pur discostandosi così vigorosamente dalla natura e, come si può ben dire, ritrovandosi a essere più idonei alla vita perfetta, fruiscono della loro esistenza senza fatica. Al contrario, anch’essi sono ricondotti indietro dalla loro natura mortale, dopo essersi per poco adagiati nella beatitudine della loro essenza; né riescono a tenere il loro intelletto in alto per tutto il tempo e a saziarsi della bellezza intelligibile, se mai è loro capitato. Sento dire infatti che una tale esperienza non tocca a tutti di loro, e neppure alla maggior parte, ma, all’interno di una ristretta cerchia, a quei pochissimi per i quali il primo impulso fu ispirato da Dio, e a quello essi si mantengono saldi, per quanto conceda la natura umana, pregando che non vi sia alcun moto in senso contrario da parte della natura. “Molti, infatti, sono coloro che portano il tirso, poche  le Baccanti”,45

e costoro invero non sostengono il delirio bacchico in maniera durevole, ma ora dimorano nella divinità, ora nel mondo e nei corpi, e sanno di essere uomini – piccole parti dell’universo –, nonché di portare in sé delle vite inferiori, di cui sospettano e verso cui si premuniscono, così che non si muovano e non si sollevino contro. Altrimenti a cosa servirebbero i loro canestri? Anche il fatto di costruire con le mani degli oggetti di vimini, che cosa significa se non anzitutto questo, cioè che sono degli uomini e che sono quindi rivolti alle cose dell’aldiquà? Non possono certo dedicarsi alla contemplazione ed esercitarsi con i reticoli contemporaneamente; poi sospettano dell’ozio, che la nostra natura, che è solita dare molti impulsi di movimento, non tollera. Perché non facciano altro, si sono imposti per legge di occuparsi di queste cose e a ciò orientano la loro natura; e infatti traggono piacere dal condurre a termine i lavori, e tanto più quanto questi sono numerosi e belli. È

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ἡμῶν εἶναί τι καὶ περὶ τὰ τῇδε· μὴ μέντοι τοῦτό γε ἰσχυρόν, ἵνα μὴ πλέον καθέλκῃ καὶ λίαν ἀντιλαμβάνηται. Καίτοι τοῦ γε Ἑλληνικοῦ τὸ βάρβαρον ἔνστασιν τηρῆσαι ῥωμαλεώτερον· ᾗ γὰρ ἂν ὁρμήσῃ, σφοδρόν τέ ἐστι καὶ ἀνένδοτον· τὸ δὲ ἀστείως τε ἔχει καὶ ἡμερώτερον κέκραται· ὥστε κἂν θᾶττον ἐκλύοιτο. 8.  Ἐγὼ δὲ βουλοίμην μὲν ἂν εἶναι τῆς φύσεως ἡμῶν ἀεὶ πρὸς θεωρίαν ἀνατετάσθαι· ἀμηχάνου δὲ ὄντος τε καὶ πεφηνότος, βουλοίμην ἂν ἐν τῷ μέρει μὲν ἔχεσθαι τῶν ἀρίστων, ἐν τῷ μέρει δὲ κατιὼν εἰς τὴν φύσιν ἅπτεσθαί τινος εὐφροσύνης καὶ ἐπαλείφειν εὐθυμίᾳ τὸν βίον· ἐπίσταμαι γὰρ ἄνθρωπος ὤν, καὶ οὔτε θεός, ἵνα δὴ καὶ ἀκλινὴς εἴην πρὸς ἅπασαν ἡδονήν, οὔτε θηρίον, ἵνα τὰς σώματος ἡδοίμην ἡδονάς. Λείπεται δή τι τῶν ἐν μέσῳ ζητεῖν. Τί δ’ ἂν εἴη πρὸ τῆς ἐν λόγοις τε καὶ περὶ λόγους διατριβῆς; τίς ἡδονὴ καθαρωτέρα; τίς ἀπαθεστέρα προσπάθεια; τίς ἧττον ἐν ὕλῃ; τίς μᾶλλον ἀμόλυντος; ταύτῃ δὴ πάλιν τὸν Ἕλληνα τοῦ βαρβάρου πρῶτον ἄγω καὶ σοφώτερον τίθημι ὅτι κατιέναι δεῆσαν ὁ μὲν ἐν γειτόνων ἔστη τὴν πρώτην· εἰς ἐπιστήμην γὰρ ἔστη. Ἐπιστήμη δὲ νοῦ διέξοδος· κᾆτα εἰς λόγον ἦλθεν ἄλλον ἀπ’ ἄλλου, δι’ ὧν καὶ προῆλθεν. Τί δ’ ἂν εἴη λόγου νῷ συγγενέστερον; τί δὲ πορθμεῖον ἐπὶ νοῦν οἰκειότερον; ὡς ὅπου λόγος, ἐκεῖ που καὶ νοῦς· εἰ δὲ μή, πάντως τις εἴδησις, ἐν ὑστέροις νόησις οὖσα. Καὶ γὰρ ἐνθάδε καλοῦνταί τινες θεωρίαι καὶ θεωρήματα ἔργα ἐλάττονος νοῦ, ῥητορικά τε καὶ ποιητικά, καὶ ἐν φύσει καὶ ἐν μαθήμασιν· ἀλλά τοι πάντα ταῦτα κοσμεῖ τὸ ὄμμα ἐκεῖνο καὶ ἀφαιρεῖ τὴν λήμην καὶ διεγείρει κατὰ βραχὺ προσεθίζοντα τοῖς ὁράμασιν, ὥστε θαρσῆσαί ποτε καὶ πρεσβύτερον θέαμα καὶ μὴ ταχὺ σκαρδαμύξαι πρὸς ἥλιον ἀτενίσαντα. Οὕτω μὲν ἀνὴρ Ἕλλην καὶ οἷς τρυφᾷ τὴν ἐπιβολὴν γυμνάζει καὶ ἀπὸ τῆς παιδιᾶς εἰς τὴν πρώτην ὑπόθεσιν

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necessario in effetti che una parte di noi sia concentrata su un elemento dell’aldiquà: ma bisogna che questo non sia troppo potente, affinché non ci faccia abbassare ancora di più e non si impadronisca troppo di noi. Un Barbaro mantiene più saldamente un proposito rispetto a un Elleno: quando si lancia verso un obbiettivo, è determinato e costante; l’Elleno invece è raffinato e temperato da maggior cortesia; e così si indebolisce più rapidamente. 8.  Io vorrei che fosse proprio della nostra natura di elevarsi sempre alla contemplazione; ma, essendo qualcosa di chiaramente irraggiungibile, vorrei almeno che da una parte si afferrassero alcuni tra i princìpi migliori, e dall’altra, scendendo verso la natura, si toccasse una certa gioia e si cospargesse la vita di letizia. So infatti di essere un uomo: non un dio, per non inclinarmi mai verso ogni tipo di diletto, non un animale, per godere dei piaceri del corpo. Rimane da cercare qualcosa di intermedio. Quale occupazione potrebbe essere migliore di quella spesa nelle lettere e in tutto ciò che le riguarda? Quale piacere più puro? Quale passione più serena? Quale meno legata alla materia? Quale più incontaminata? Ecco perché, di nuovo, io rispetto al Barbaro prediligo l’Elleno e lo reputo più sapiente, poiché quando si tratta di scendere, rimane nelle immediate vicinanze: si pone nella scienza, e la scienza è la dialettica dell’intelletto.46 In seguito, passa da un ragionamento all’altro e in questo modo progredisce. Che cosa c’è di più affine all’intelletto del discorso? Quale più appropriato tramite per raggiungerlo? Poiché dov’è il discorso, là vi è anche l’intelletto; e se non c’è, c’è senz’altro una qualche conoscenza, che è una sorta di intelletto inferiore. E infatti a questo livello alcuni studi e alcuni oggetti di studio – la retorica e la poetica – si definiscono attività di un intelletto minore, tale e per la sua natura e per le sue conoscenze. Ma tutto ciò affina il famoso occhio,47 ne toglie la cispa e lo stimola a poco a poco ad abituarsi alle visioni, così da poter poi osare una contemplazione ben più importante e non sbattere rapidamente le ciglia quando si va a fissare il sole.48 Così un Elleno allena l’applicazione della propria mente pure nei momenti di riposo e approfitta anche del divertimento per ritornare al suo

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ὄφελος ἄρνυται. Καὶ γὰρ τὸ κρῖναι καὶ συνθεῖναι λόγον ἢ ποίησιν οὐκ ἔξω νοῦ· καὶ τὸ λέξιν καθῆραί τε καὶ ἀποσμιλεῦσαι καὶ τὸ κεφάλαιον ἐξευρεῖν τε καὶ τάξαι καὶ ἑτέρου τάξαντος αὐτὸν ἐπιγνῶναι, πῶς ταῦτα καὶ ἀσπούδαστα παίγνια; Οἱ δὲ τὴν ἑτέραν ὁδὸν τὴν ἀξιουμένην ἀδαμαντίνην εἶναι βαδίσαντες· ὑποκείσθω δέ, ὅπερ ἐστίν, ἐνίους αὐτῶν τυγχάνειν τοῦ τέλους· ἀλλ’ ἔμοιγε οὐδὲ ὁδὸν δοκοῦσι βεβαδικέναι. Πῶς γάρ, ἐν ᾗ μηδεμία φαίνεται κατὰ βραχὺ πρόοδος, μηδὲ πρῶτον καὶ δεύτερον, μηδὲ τάξις; ἀλλ’ ἔοικε γὰρ τὸ κατ’ αὐτοὺς πρᾶγμα βακχείᾳ καὶ ἅλματι μανικῷ δή τινι καὶ θεοφορήτῳ, καὶ τὸ μὴ δραμόντας εἰς τὸ ἔσχατον ἥκειν καὶ μὴ κατὰ λόγον ἐνεργήσαντας εἰς τὸ ἐπέκεινα λόγου γενέσθαι. Οὐδὲ γάρ ἐστιν οἷον ἐπιστασία τις γνώσεως ἢ διέξοδος νοῦ τὸ χρῆμα τὸ ἱερόν, οὐδὲ οἷον ἄλλο ἐν ἄλλῳ· ἀλλ’, ὡς μικρῷ μεῖζον εἰκάσαι, καθάπερ Ἀριστοτέλης ἀξιοῖ τοὺς τελουμένους οὐ μαθεῖν τί δεῖν, ἀλλὰ παθεῖν καὶ διατεθῆναι, δηλονότι γενομένους ἐπιτηδείους· καὶ ἡ ἐπιτηδειότης δὲ ἄλογος· εἰ δὲ μηδὲ λόγος αὐτὴν παρασκευάζοι, πολὺ μᾶλλον. Τούτοις οὖν καὶ ἡ κάθοδος εὐθὺς ἐπὶ σμικράν τινα πρᾶξιν, ἄμεσος αὕτη καὶ πολὺ πόρρω, καὶ ἔοικεν πτώματι, καθάπερ τὴν ἀναδρομὴν εἰκάζομεν ἅλματι· οὓς γὰρ οὐ προὔπεμψεν λόγος, τούτους οὐδὲ ἐπανιόντας ἐδέξατο. Πῶς οὖν ταῦτα ἀλλήλοις ἂν πρέψειεν, νῦν μὲν ἐπαφὴν ἔχειν τοῦ πρώτου, νῦν δὲ ἐπὶ ῥῶπας καὶ λύγους ἐστράφθαι; ἀλλ’ ὅ γε ἄνθρωπος κατὰ τὴν μέσην καὶ ἐπιστατικὴν δύναμιν λογικός ἐστί τε καὶ προσαγορεύεται, ἣν οὐδέποτε γεγυμνάκασιν, οὔκουν ὅσα γε φαίνονται. Τὸ μὲν οὖν τέλος καὶ οὗ δεῖ γενέσθαι κοινὸν ἀμφοῖν, καὶ τυχόντες οὐδὲν ἀλλήλων ἂν διαφέροιμεν. 9.  Τἀν μέσῳ δὲ ὁ ἡμεδαπὸς φιλόσοφος ἄμεινον ἔσκεπται· ὁδὸν γὰρ παρεσκευάσατο καὶ κλιμακηδὸν ἄνεισιν, ὥστε καὶ παρ’ ἑαυτόν τι

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primo intento. Infatti, giudicare e comporre un discorso in prosa oppure in poesia non è qualcosa di esterno all’intelletto; ripulire e rifinire la dizione, trovare e organizzare l’argomento principale, riconoscerlo se disposto da qualcun altro: come si possono considerare tutte queste cose dei passatempi inutili? Alcuni hanno intrapreso l’altra strada, quella ritenuta adamantina. Si ammetta, come di fatto è, che alcuni di questi ne raggiungano la fine: a me non sembra affatto che abbiano compiuto un qualche percorso. Come potrebbe essere infatti, dal momento che non vi appare alcun miglioramento progressivo, né all’inizio né in seguito, né un ordine? Anzi, questa loro azione somiglia al furore bacchico e al salto di un qualche folle invasato: è come raggiungere la meta senza aver corso, è come trovarsi al di là della ragione senza aver agito secondo ragione. Il sacro non è allora una sorta di predominio della conoscenza o una dialettica dell’intelletto – e nemmeno una qualche differenziazione49 –, ma, per paragonare al piccolo ciò che è più grande, consiste, secondo Aristotele,50 nel fatto che gli iniziati non necessitino di apprendere nulla, bensì di ricevere delle impressioni e di ritrovarsi in certe disposizioni d’animo, ovviamente una volta che siano divenuti “idonei”. Questa “idoneità” è irrazionale, e ancora di più se non è la ragione a predisporla. La discesa, dunque, porta repentinamente gli iniziati a compiere delle azioni minime, è immediata e assai profonda, e sembra una vera e propria caduta, proprio come ci raffiguriamo con un balzo l’ascesa; e quelli cui non ha dato l’avvio del percorso la ragione, questa non li accoglie neppure quando ritornano. Come si potrebbero conciliare queste attitudini, e ora avere la percezione dell’eccelso, ora rivolgersi ad “arbusti e giunchi”?51 L’uomo è razionale (e tale è definito) in virtù della sua facoltà mediatrice e analitica,52 che però costoro, almeno a quanto sembra, non hanno mai esercitato. Quanto al fine che bisogna raggiungere, deve essere comune a entrambi;53 una volta che lo abbiamo raggiunto, non potrebbe esserci alcuna differenza tra di noi. 9.  Il nostro filosofo ha invece una migliore considerazione di questa zona intermedia. Infatti, s’è approntato un percorso e lo sale per

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ποιῆσαι· προϊόντα γὰρ εἰκὸς ἐντυχεῖν ποι τῷ ἐραστῷ· καὶ μὴ τυχὼν δὲ πρὸ ὁδοῦ γέγονεν, καὶ οὐδὲ τοῦτο μέντοι σμικρόν· ἀλλὰ διαφέροι ἂν τῶν πολλῶν ἀνθρώπων πλέον ἢ ὅσον ἐκεῖνοι τῶν βοσκημάτων. Ταύτῃ καὶ πλείους ἂν εἶεν οἱ παρ’ ἡμῶν ἀφικνούμενοι, κατὰ φύσιν ἐχούσης τῆς ἐπιχειρήσεως· ἐκείνῃ δ’ εἰ μή τις εὐγένεια τύχοι ψυχῆς ἄνωθεν ἕλκουσα τὴν πρώτην καταβολήν, καὶ νοῦ χρῆμα ἐξαίσιον οἷον αὔταρκες εἶναι καὶ παρ’ ἑαυτοῦ κινηθῆναι. Ὁποῖος Ἀμοῦς ὁ Αἰγύπτιος οὐκ ἐξεῦρεν, ἀλλ’ ἔκρινε χρείαν γραμμάτων· τοσοῦτον αὐτῷ τοῦ νοῦ περιῆν. Ὁ δὲ δὴ τοιοῦτος καὶ πέρα τῆς φιλοσόφου μεθόδου θᾶττον ἀναλύσειεν· ὁ γάρ τοι φυσικὸς ἀρκεῖ. Πολὺ δήπου μᾶλλον εἰ καί τις αὐτὸν παραθήξειέ τε καὶ ἐκκαλέσαιτο· τὸ γὰρ ἔνδοθεν σπέρμα δεινὸς αὐξῆσαι καί, σμικρὸν σπινθῆρα λόγου παραλαβών, πυρκαϊὰν ὅλην ἀνάψαι. Τούτοις μὲν οὖν οὐδὲν παρὰ τοῦτο μεῖον, εἰ μή γε καὶ προὔργου ποιήσει τὰ τῆς Ἑλληνικῆς , καὶ τοὺς ἧττον ἁδροὺς προάγει τε καὶ ἀναρριπίζει καὶ τὸ ἐν αὐτοῖς θεῖον ἐκθάλπει· ἐκεῖ δὲ μόνοις τοῖς οἴκοθεν μακαρίοις τὸ τέλος ἐπιτυγχάνεται. Σπανιώτερον δὲ δήπου τὸ γένος τῶν τοιούτων ψυχῶν ἢ τὸ τοῦ φοίνικος, ᾧ τὰς περιόδους μετροῦσιν Αἰγύπτιοι. Οἱ δὲ πολλοὶ μάτην ἂν πονοῖεν καὶ ἀποτρύχοιντο, δίχα νοῦ τὴν νοητὴν οὐσίαν θηρώμενοι, καὶ μάλιστα οὓς οὐχ ἡ πρώτη φύσις ἐπὶ τόνδε τὸν βίον ἐξώρμησεν. Οὗτοι γὰρ ἂν ὄναιντο τῆς ὁρμῆς· μᾶλλον δὲ αὐτὴν ἐγὼ τὴν ὁρμὴν νοῦ κινουμένου γνώρισμα ποιοῦμαι· οἱ δὲ πλείους οὐδὲ οἴκοθεν ἐκινήθησαν, ἀλλ’ οὐδέ, τὸν δεύτερον λεγόμενον πλοῦν, ὑπὸ τῆς σχολῆς εἰς νοῦν διεγείρονται· ὥσπερ δὲ ἄλλο τι τῶν εὐδοκιμούντων, τὴν γενναίαν αἵρεσιν ἐζηλώκασι, παντοδαποί τε ὄντες τὰ γένη καὶ κατὰ χρείας ἕκαστοι συνιστάμενοι. Περὶ τούτων δὴ καὶ σαφῶς διατείνομαι ὅτι μάτην ἂν οὗτοι πονοῖεν καὶ ἀποτρύχοιντο, οἷς οὔτε αὐτοφυής ἐστι νοῦς οὔτε ἐπίκτητος. Κινδυνεύει γὰρ οὐδ’ εἶναι θεμιτὸν ἄλλῳ τῳ τῶν

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gradi, così da agire anche da solo. È probabile che andando avanti incontri ciò che desidera; e seppure non lo incontra si trova comunque sulla strada54 e non è cosa da poco; anzi, differirebbe più lui in mezzo alla maggior parte degli uomini che quelli in mezzo a un gregge. Per questa via, dovrebbero essere molti di più quelli che, optando per il nostro metodo, raggiungono l’obbiettivo, essendo l’impresa secondo natura; per l’altra via, invece, non si procede se l’anima non possiede una certa nobiltà, che trae dall’alto l’origine prima, e un intelletto eccezionale al punto di bastare a se stessa e di mettersi in movimento da sola. Tale fu l’egizio Amus,55 che non scoprì le lettere ma ne giudicò l’utilità: a tal punto spiccava per intelligenza. Un uomo del genere, anche senza il metodo filosofico, potrebbe rapidamente cavarsela, bastandogli la sua capacità innata. E certo anche molto di più, se qualcuno lo incita e lo incoraggia: infatti, straordinariamente dotato, può far crescere il seme interiore e, fatta propria una piccola scintilla di ragione, può accendere un intero incendio. Uomini del genere, dunque, non avranno alcun problema se pure non trarranno giovamento dallo stile di vita elleno, che sospinge e rianima quelli meno vigorosi e riscalda ciò che di divino è in loro. Nel mondo intelligibile, il compimento del percorso con successo è solo per coloro che sono per loro natura beati. Certamente il genere di cotali anime è più esiguo di quello della fenice, con la quale gli Egizi misurano le epoche.56 La maggior parte si stancherebbe e si affaticherebbe invano, ricercando l’essenza intelligibile senza l’intelletto, e soprattutto coloro i quali non sono stati sospinti a questa vita dalla natura prima. Questi potrebbero trarre giovamento da quella spinta. Quanto a me, ritengo piuttosto quello slancio il segno dell’intelletto in movimento: i più non hanno né ricevuto il movimento da loro stessi, né, nel corso della cosiddetta “seconda navigazione”,57 si sono lasciati risvegliare nell’intelletto dallo studio. Come si trattasse di un qualunque oggetto rinomato, ricercano con zelo una nobile dottrina, questi uomini di tutte le condizioni sociali, messisi insieme in base alle loro necessità. Riguardo a costoro sostengo chiaramente che si affaticano e si spossano invano, loro che non possiedono un’intelligenza naturale né la acquistano. Non pare possibile che Dio

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ἐν ἡμῖν οἴεσθαι τὸν θεὸν ἐνδημήσειν ἀντὶ τοῦ νοῦ· νεὼς γὰρ οὗτος οἰκεῖος θεῷ. Ταῦτ’ ἄρα καὶ τὰς καθαρτικὰς ἀρετὰς σπουδάζεσθαι παραδεδώκασιν Ἕλληνες σοφοὶ καὶ βάρβαροι, ἀποτειχίζοντες ἅπασαν τὴν πραγματείαν τῆς φύσεως, ἵνα μηδὲν ἐμπόδιον παρέχοιτο ταῖς νοήσεσιν. Αὕτη μὲν ἡ διάνοια τῶν πρώτων καταστησαμένων ἑκατέραν φιλοσοφίαν· οἱ δὲ καὶ τὰς ἀρετὰς ἔθεσι μᾶλλον ἢ λόγῳ κρατύνουσιν, καὶ τρεῖς αὐτὰς ἥγηνται· φρόνησιν γὰρ οὐ προσίενται, οἵ γε καὶ σωφροσύνην, εἴ γε δὴ σωφροσύνην εἶναι τὸ κατ’ αὐτοὺς συγχωρήσομεν. Ὡς οὐκ ἔστι γε μὴ οὐκ εἰσιέναι τε καὶ συναιρεῖσθαι τὰς ἀρετὰς διὰ τὴν ἀναγκαίαν ἀντακολούθησιν. Ἀλλ’ οἴονταί γε δεῖν σωφρονεῖν, οὐ διότι σωφρονητέον εἰδότες, ἀλλ’ ἐπίταγμα λαβόντες, ὥσπερ νόμον ἀναίτιον, ὃν ὁ μὲν θεὶς οἶδεν ὅτι τοῦτο δι’ ἄλλο, διὰ τὰς νοήσεις, καὶ ὅτι προὔργου πρὸς ἄνοδον, τὸ πρὸς μηδὲν τῶν ἐν ὕλῃ παθαίνεσθαι· οἱ δὲ ἀπέχονται μίξεων, αὐτὸ δι’ αὑτὸ τεθαυμακότες, καὶ μέγιστον ἄγοντες τὸ σμικρότατον, τὴν παρασκευὴν τέλος ἡγούμενοι. Ἡμεῖς δὲ τὰς ἀρετὰς ὥσπερ στοιχεῖα τῆς ὅλης φιλοσοφίας σπουδάζομεν. Τὸ «μὴ καθαρῷ γὰρ καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ οὐ θεμιτὸν ᾖ» Πλάτωνος ἀπεδεξάμεθα. Ἀρεταὶ δὲ καθαίρουσι τὸ ἀλλότριον ῥιπτοῦσαι. Ἀλλ’ εἰ μὲν ἦν ἡ ψυχὴ τἀγαθόν, ἤρκει καθήρασθαι, καὶ ἦν ἀγαθὸν ἤδη τῷ μόνη γενέσθαι· νῦν δὲ οὐ γάρ ἐστιν ἀγαθόν—οὐ γὰρ ἂν ἐγένετό ποτε ἐν κακῷ –, ἀλλ’ ἀγαθοειδής ἐστι καὶ μέση τὴν φύσιν. Ῥέψασαν οὖν εἰς τὸ χεῖρον ἐπανήγαγεν ἡ ἀρετὴ καὶ τῆς κηλῖδος ἀπέλυσε, καὶ πάλιν μέσην ἐποίησεν. Δεῖ δὴ καὶ προελθεῖν ἐπὶ τἀγαθόν· τοῦτο δὲ ἤδη διὰ λόγου. Νοῦς γάρ ἐστι τὸ σύζυγον ὄμμα τῶν νοητῶν. Οἷον εἰ τέλος εἴη τὸ πρὸς οὐρανὸν ἰδεῖν, οὐκ ἀπόχρη μὴ κεκυφέναι πρὸς τοὔδαφος, ἀλλὰ δεῖ μετὰ τὴν ἐν μέσῳ στάσιν τῆς ὄψεως ἐπὶ τὰ ἄνω νεῦσαι. Καὶ δῆτα τῶν ἀρετῶν ὄναιτο ἄν τις τὸ ἀπηλλάχθαι τῆς ὑλικῆς προσπαθείας· δεῖ δὲ καὶ ἀναγωγῆς· οὐ

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possa risiedere in qualche altro luogo dentro di noi che non sia l’intelletto: è questo difatti il tempio che gli si conviene. Per questi motivi i saggi elleni e barbari58 hanno raccomandato di dedicarsi alle virtù catartiche,59 ponendo un muro innanzi a tutti gli sforzi della natura, affinché non potesse esservi alcuno ostacolo alle attività intellettuali. Questo fu l’intento dei primi che istituirono l’una e l’altra filosofia. I Barbari, d’altronde, posseggono le virtù più grazie alle loro abitudini che non alla ragione, e ritengono che esse siano tre: infatti non accettano la prudenza, ma la padronanza di sé, se ammetteremo che la loro è padronanza di sé.60 In effetti non è possibile non accostarsi a tutte le virtù e farle proprie, a causa della loro necessaria interdipendenza. Eppure, quelli sanno che si deve essere padroni di sé senza essere consci del perché lo si debba essere, ma prendendolo come un’imposizione, come una legge senza causa, di cui soltanto chi la pose conosceva il fine ultimo, cioè l’esercizio dell’attività intellettuale, sapendo che era utile per l’ascesa dell’anima il fatto di non essere turbati da nessun oggetto materiale. I Barbari evitano di accoppiarsi, ma ammirano la castità di per sé, stimando enormemente una cosa minima e scambiando il mezzo per il fine. Noi invece ci interessiamo alle virtù in quanto princìpi primi di tutta la filosofia. “Non sia lecito all’impuro di toccare il puro”, come abbiamo appreso da Platone.61 Le virtù ci purificano allontanando ciò che è loro estraneo. Ma se l’anima fosse stata il bene, le sarebbe bastato di essere purificata e sarebbe stata un bene già per il fatto di essere sola; ma l’anima non è il bene (in effetti, non avrebbe potuto sussistere in mezzo al male): ha l’aspetto del bene e, per sua natura, si trova in una posizione intermedia. Dunque, la virtù la riprende quando si inclina verso ciò che è peggiore e la libera dalla macchia, restituendola alla sua posizione intermedia. Bisogna però che proceda verso il bene: questo avviene allora per il tramite della ragione. Infatti, l’intelletto è l’occhio simile agli intelligibili. Ad esempio, se il fine ultimo fosse quello di guardare verso il cielo, non basterebbe non piegarsi verso il terreno, ma sarebbe necessario, a partire da un livello intermedio, dirigere la vista verso l’alto. Dalle virtù uno può certo trarre vantaggio per astenersi dalle passioni materiali, ma c’è

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γὰρ ἀπόχρη μὴ κακὸν εἶναι, ἀλλὰ δεῖ καὶ θεὸν εἶναι. Καὶ ἔοικεν εἶναι τὸ μὲν οἷον ἀπεστράφθαι τὸ σῶμα καὶ ὅσα τοῦ σώματος, τὸ δὲ οἷον ἐπεστράφθαι διὰ νοῦ πρὸς θεόν. 10.  Ἡμεῖς οὖν, τιμῶντες τὰς ἀρετάς, ἴσμεν ἥντιν’ ἔχουσι τάξιν ἣν αἱ τῶν στοιχείων γραμμαὶ πρὸς ἐπιστήμην βιβλίου· πρῶται γάρ εἰσιν ἀνιόντων ἐπὶ τὸν νοῦν· ἀλλ’ οὐ τὸ πᾶν ἔχομεν ἔχοντες τὰς ἀρετάς, ἀλλ’ ἀφῃρήκαμεν τὸ ἐμπόδιον καί, ὧν χωρὶς οὐδὲ ὅσιόν ἐστιν ἐλπίσαι τυχεῖν τοῦ τέλους, τοῦτο τέως παρεσκευάκαμεν. Ταύτῃ δὲ οὐκ ἀπογινώσκοντες, ἤδη μέτιμεν αὐτὸ διὰ νοῦ σὺν τάξει παλαιοῖς τε καὶ μακαρίοις ἀνδράσιν ἐξηυρημένῃ· καὶ ζητοῦντες οὐκ οἶδα εἴ ποτε ἕλοιμεν· σχολῇ γε ἂν περιτύχοι τῷ μήτε ἐρασθέντι, μήτ’ εἰ ζητητέον εἰδότι. Καίτοι κάλλιστα ἀπαλλάττουσιν αὐτῶν οἱ μένοντες ἐπὶ τούτου καὶ μηδὲν προσπεριεργαζόμενοι· εἶεν γὰρ ἂν οὐ κακοὶ καθηράμενοι. Οἷς δὲ ἐπῆλθεν διενέγκαι τοῦ πλήθους κατὰ τύχην μαθοῦσιν ὅτι λόγος ἐστὶ τὸ ἀνθρώπου καλόν, εἶτα παιδείαν μὲν ἅπασαν ἠτιμάκασιν, ὑφ’ ἧς ὁ νοῦς ἀναχώννυται, κινοῦνται δὲ παρ’ ἑαυτῶν ἀτόπους κινήσεις, καὶ ἀποσεμνύνονται μὲν πρὸς φιλοσοφίαν, ὅ τι δ’ ἂν εἰς αὐτοὺς ἐκπέσῃ παράκουσμα, τοῦτο ταῖς παρ’ αὐτῶν προσθήκαις πονηρὸν ἀπέδωκαν καὶ κακόηθες, τυφλὰ γεννήματα, νοῦ μὲν οὐκ ἄξιον εἰπεῖν, ἀλλ’ οὐδὲ διανοίας, δόξης δὲ ἀτόπου καὶ φαντασίας ἡμαρτημένης ἐκφέροντες· τούτους ἂν ἴδοις γελοίως διακειμένους, μᾶλλον δὲ λίαν ἐλεεινῶς. Ἄξιον γὰρ ἀνθρώπους ὄντας ἐπ’ ἀνθρώπων συμφοραῖς μὴ γελᾶν, ἀλλ’ ὀλοφύρεσθαι. Φεῦ τῶν λόγων, φεῦ τῶν δογμάτων. Εἰ γὰρ ἐπέλθοι φιλοσοφεῖν τοῖς κριοῖς, οὐκ οἶδα ἅττ’ ἂν ἀντὶ τούτων πρεσβεύσειαν. Ἀλλ’ ἡμεῖς αὐτοῖς εἴπωμεν· ἄξιον γάρ· «Ὦ τολμηρότατοι πάντων,

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bisogno anche dell’ascesa: non è sufficiente non essere qualcosa di male, bisogna anche essere qualcosa di divino. E pare che ciò consista, grosso modo, nel primo passaggio nel voltarsi via dal corpo e da quanto con esso ha a che fare, nel secondo nel volgersi, per il tramite dell’intelletto, verso Dio. 10.  Noi dunque, che stimiamo le virtù, sappiamo che possiedono lo stesso ruolo che hanno le linee delle lettere per la comprensione di un libro: sono infatti le prime tra le cose che elevano verso l’intelletto. Certo, non possediamo tutto se possediamo le virtù, ma abbiamo rimosso l’ostacolo, mentre senza di loro non è neppure lecito sperare di raggiungere la meta: a questo, intanto, abbiamo provveduto. Per questa via, senza scoraggiarci, ci avviamo già verso la meta – attraverso l’intelletto – secondo quella disposizione trovata dagli antichi beati.62 Pur cercando, non so se mai la potremo afferrare; tanto meno potrebbe capitare se non vi si aspirasse ardentemente e se neppure si sapesse che va ricercata. E certo se la cavano benissimo quelli che, tra i Barbari, si accontentano di quanto hanno ottenuto e non si occupano di null’altro: purificati, possono infatti essere liberati dalla loro malvagità. Ma vi sono alcuni cui è capitato di voler differire dalla massa avendo casualmente appreso che la ragione è quanto di bello c’è nell’uomo. Questi hanno trascurato tutta l’educazione da cui l’intelletto è riempito e, a partire da loro stessi, hanno dato avvio a delle attività assurde. Hanno un atteggiamento sprezzante nei confronti della filosofia e rendono, attraverso delle aggiunte proprie, cattivo e malvagio tutto ciò che, già mal compreso, è giunto loro, generando una prole cieca, che non si può certo dire frutto dell’intelletto, e neppure del pensiero discorsivo, ma di un’opinione assurda e di un’immaginazione in errore. Si possono vedere nella loro condizione ridicola, ancor di più, suscitante estrema commiserazione. Infatti, è opportuno che in quanto uomini non si rida delle sventure di altri uomini, ma se ne pianga. Che insegnamenti, che dottrine! Se toccasse alle pecore di filosofare, non so davvero cosa preferirebbero a queste. Ma noi diciamo a costoro (infatti se lo meritano): voi che siete i più sfrontati di tutti, se fossimo convinti che avete avuto in dono dalla sorte

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εἰ μὲν ἠπιστάμεθα ὑμᾶς εὐμοιρήσαντας ἐκείνην τῆς ψυχῆς τὴν ἀξίαν ἣν Ἀμοῦς, ἣν Ζωροάστρης, ἣν Ἑρμῆς, ἣν Ἀντώνιος, οὐκ ἂν ἠξιοῦμεν φρενοῦν, οὐδὲ διὰ μαθήσεως ἄγειν, νοῦ μέγεθος ἔχοντας, ᾧ προτάσεις εἰσὶ καὶ τὰ συμπεράσματα· ἀλλὰ κἂν ἐντυχεῖν ποτε τῷ τοιούτῳ γένοιτο, σεβοίμεθά τε ἂν αὐτὸν καὶ ἁζοίμεθα· ὑμᾶς δὲ ὁρῶμεν τῆς κοινῆς φύσεως ὄντας ἥττονας, καὶ μᾶλλον ἀγχίνους ἢ παχεῖς. Ὑμᾶς οὖν ἀξιοῦμεν καὶ νουθετεῖν, ἐν κοινῷ τιθέντες ὅ τι ἂν ἄριστον ὑμῖν ἐξευρίσκωμεν. Ἢ τοίνυν ἐπὶ τῶν πρώτων ὑποθέσεων μένετε· παρέδοσαν γὰρ αὐτὰς ἄνδρες ἀγχίσποροι τοῦ θεοῦ· καὶ οὕτως ἂν εἴητε κατὰ Πλάτωνα μέσως ἔχοντες, οὐκέτι μὲν ἀμαθεῖς, οὔπω δέ γε σοφοί, δόξαν ὀρθὴν πρεσβεύοντες δίχα λόγου καὶ ἀποδείξεως. Τό τε γὰρ ἀληθὲς οὐχ ὅσιον ἀμαθὲς οἴεσθαι, καὶ τὸ ἄλογον εἶναι σοφὸν οὐδεὶς ἐπιτρέψει λόγος. Ταύτην ἀγαπῶντες τὴν τάξιν μετρίως ἂν εἴητε πεπραγότες καὶ ἀναίτιοι μὲν παρὰ θεῶν, ἀναίτιοι δὲ καὶ παρὰ ἀνθρώπων, ἀλλὰ κἂν ἐπαίνου δικαίου τυγχάνοιτε· δήμου γὰρ ἀνδρὶ καὶ τὸ ὅτι αὔταρκες. Εἰ δὲ μὴ κατὰ χώραν μένετε, ἀλλ’ ἔτι ὀρέξεσθε τοῦ πρόσω, καὶ τὸ διότι πολυπραγμονήσετε, καλῶς μὲν ἂν ποιοῖτε σοφίας ἐρῶντες, ἱεροῦ χρήματος, ἀλλὰ μὴ ἐφ’ ἑαυτῶν ποιεῖσθε τὴν θήραν· ἀγύμναστοι γάρ ἐστε, καὶ κίνδυνος εἰς ἄβυσσόν τινα φλυαρίας ἐμπεσοῦσι διαφθαρῆναι, ὃ καὶ Σωκράτης ἐφοβήθη παθεῖν, καὶ τὸ πάθος οὐκ ἀπεκρύψατο φίλους ἄνδρας, Παρμενίδην καὶ Ζήνωνα. Καίτοι Σωκράτης ἐκεῖνος ἦν· ὑμεῖς δέ, οἵπερ ἐστέ, δεινὴ δὲ ὅμως ἡ τόλμα, δόγμασιν ἀπορρήτοις ἀξιούντων ἐνάλλεσθαι, καὶ ταῦτα ἐν λέξεσι τριοδίτισιν. Ὁ μὲν οὖν Κάδμου σπόρος αὐθημερὸν ὁπλίτας, φησίν, ἀνεδίδου σπαρτούς· σπαρτοὺς δὲ θεολόγους οὐδείς πω μῦθος ἐτερατεύσατο. Οὐ γάρ ἐστιν ἡ ἀλήθεια πρᾶγμα ἐκκείμενον οὐδὲ καταβεβλημένον οὐδὲ θατέρᾳ ληπτέον. Τί οὖν; Ἐνταῦθα καλείσθω φιλοσοφία σύμμαχος, καὶ παρασκευαζέσθωσαν ἀνεξόμενοι πάσης ἐκείνης τῆς διεξόδου, μῆκος ἐχούσης μυρίον, παιδευόμενοι καὶ προπαιδευόμενοι. Δεῖ

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quella dignità dell’anima che fu di Amus, Zoroastro, Ermete, Antonio,63 non riterremmo certo opportuno di ricondurvi alla ragione e di educarvi, giacché possedereste una grandezza di intelletto per cui le conclusioni non sarebbero che premesse; al contrario, se ci capitasse mai di imbatterci in un uomo del genere, lo venereremmo e lo rispetteremmo. Invece, noi vediamo che voi siete inferiori alla natura comune, eppure più pronti che pigri di mente. Dunque crediamo bene di ammonirvi, condividendo ciò che di meglio abbiamo trovato per voi. Attenetevi ad esempio alle nozioni elementari: infatti le hanno trasmesse uomini che sono “parenti prossimi della divinità”.64 Così sareste, in accordo con Platone,65 in una posizione mediana, né ignoranti né sapienti, coltivando una corretta opinione ma senza l’appoggio della ragione e della dimostrazione. Infatti è cosa empia reputare ignoranza la verità e nessun discorso razionale concederà mai che l’irrazionale coincide con la saggezza. Accontentandovi di questo stato vi sarete comportati secondo la giusta misura, senza alcuna colpa né dinanzi agli dèi, né dinanzi agli uomini, anzi potreste ottenere una giusta lode: d’altra parte, la domanda “che cos’è questo?” per l’uomo del popolo è abbastanza. Se non restate al vostro posto, ma vi spingete più avanti e vi affannate a conoscere il perché, allora farete bene ad aspirare alla sapienza, che è un bene sacro, ma non a compiere la caccia contando solo su di voi: infatti non siete allenati, e il rischio per coloro che precipitano in un abisso di sciocchezza è di perire, sorte che temeva di subire pure Socrate, che non nascondeva la preoccupazione a persone amiche, come Parmenide e Zenone.66 Eppure era Socrate: voi siete quelli che siete e questo nonostante la terribile audacia di chi reputa di potersi lanciare su dottrine ineffabili e per di più ricorrendo a parole triviali. Il seme di Cadmo dunque, si dice,67 produsse in un solo giorno una stirpe di opliti:68 nessun mito ha mai narrato di una stirpe di teologi. Infatti la verità non è posta in evidenza, né è a buon mercato, né può essere presa con la mano sinistra.69 Che cosa significa questo? A questo punto invochiamo la filosofia in nostro soccorso e prepariamoci a sostenerne l’intero percorso, che è di infinita lunghezza, per il tramite della formazione e delle sue fasi preliminari. Bisogna come prima

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γάρ τοι πρῶτον ἀποδῦναι τὴν ἀγροικίαν καὶ τὰ μικρὰ ἐποπτεῦσαι πρὸ τῶν μειζόνων καὶ χορεῦσαι πρὶν δᾳδουχῆσαι καὶ δᾳδουχῆσαι πρὶν ἱεροφαντῆσαι. Οὔκουν ἐθελήσετε πόνων ἐπὶ πόνοις ἀνέχεσθαι; ἀλλ’ οὐδὲ τὰ μεγάλα ἀκονιτὶ παραγίνεται. Καίτοι γε εἰ σὺν ὥρᾳ τοῦ πράγματος ἥψασθε, καὶ ἡδονῆς ἄν τι τῷ ἔργῳ προσῆν, ἧς οἱ προελθόντες ἀντιλαμβάνονται. Ὑμεῖς δὲ ὀψιμαθίαν αἰσχύνεσθε· ἀλλ’ οὔτοι τοῦτο αἰσχρόν· ἡ δὲ ἀμαθία, καὶ τοῦτο μεῖζον, τοῦτο αἰσχρόν· ἐν ᾗ κείμενοι, τῆς μὲν ἁπλῆς οὐκ ἀνέχεσθε· πάλιν γὰρ ἂν εἴητε μετρίως διακείμενοι, οὔτε εἰδότες, οὔτε εἰδέναι ποιούμενοι, τοῦτ’ ἔστιν ἐξ ἡμισείας εἰδότες· αὐτὸ γὰρ ἂν τοῦτο ἠπίστασθε, τὸ μηδενὸς ὑμῖν ἐπιστήμην παρεῖναι· τὴν δὲ διπλῆν ἄγνοιαν ἐφ’ ἑαυτοὺς μεγαλοπρεπῶς ἕλκετε· φρονήματος γὰρ ἀντὶ φρονήσεως ὑποπλησθέντες, καὶ πρὶν μαθεῖν διδάσκειν ἐπιβαλλόμενοι, πάλιν ἐρῶ· φεῦ τῶν λόγων, φεῦ τῶν δογμάτων, οἷα καὶ τίκτεται παρ’ ὑμῶν τέρατα ἀτεχνῶς διεσπασμένα καὶ πολυκέφαλα, οἷά φασιν ἐπαναστῆναί ποτε τοῖς θεοῖς. Καὶ ταῦτα τί ἂν εἴποι τις ἢ σπαράττειν τὸ θεῖον ἅπαν ταῖς ἀτόποις ὑπονοίαις περὶ αὐτοῦ; Οὐκ ἄν, εἴ γε τὸν ἰδιώτην καλῶς ἐτηρήσατε, ἀλλ’ ἦν ἐκεῖ τὸ κατορθοῦν ἐν τῷ μέτρῳ. Ὁ Ἴκαρος, ἐπειδὴ τοῖν ποδοῖν ἀπηξίου κεχρῆσθαι, ταχὺ μάλα καὶ ἀέρος καὶ γῆς ἀπετύγχανεν, ὧν τῆς μὲν ὑπερεῖδε, τοῦ δὲ οὐκ ἐφίκετο.» 11.  Ταῦτα οὐ πρὸς τοὺς ἐκ τῆς ἑτέρας ἀγωγῆς μᾶλλον ἢ καὶ πρὸς τοὺς παρ’ ἡμῖν σὺν ἀλογίᾳ μεγαλοφώνους, οἳ καὶ παρέσχον ἀφορμὴν τῷ λόγῳ βοηθῆσαι τοῖς προπαιδεύμασιν· ὧν τί ἄν τις καὶ δοίη ἀνθρώπων ἀλαζόνων καὶ ἀνοήτων; πολλοῦ μεντἂν εἶεν τρεῖς τοὐβολοῦ. Ἐγὼ δὲ χάριν οἶδα καὶ ποιηταῖς δεξιοῖς καὶ ῥήτορσιν ἀγαθοῖς καὶ ὅστις ἱστορίαν τινὰ κατεβάλετο λόγου ἀξίως· καὶ ἁπαξαπλῶς οὐδένα τῶν συνεισενεγκόντων εἰς κοινὸν τοῖς Ἕλλησιν

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cosa spogliarsi della rozzezza, e iniziarsi ai piccoli misteri in vista dei grandi, e far parte del coro prima di portare la torcia, e portare la torcia prima di essere ierofante.70 Forse non vorrete sopportare fatiche su fatiche? Ma non si raggiungono i grandi traguardi senza sforzo. D’altra parte, se vi foste dedicati all’impresa al momento giusto vi sarebbe stato nel lavoro anche un po’ di quel piacere che ottengono coloro che progrediscono. Voi vi vergognate del fatto che la vostra istruzione è tardiva; eppure questo non è cosa di cui vergognarsi; lo è invece, e molto di più, l’ignoranza. Pur trovandovi in essa, non tollerate l’ignoranza semplice (altrimenti vi andreste a collocare a un livello intermedio, né conoscendo né fingendo di conoscere, ovvero conoscendo a metà: di questo soltanto avreste cognizione, di non avere cognizione di nulla) e vi attirate ampiamente l’ignoranza duplice.71 Colmi di ambizione anziché di saggezza, vi accingete a insegnare ancor prima di avere imparato. Lo dirò di nuovo: che insegnamenti e che dottrine partorite, veri e propri mostri, policefali deformi, quali quelli che, dicono, un tempo si sollevarono contro gli dèi.72 Come si potrebbero definire quelle affermazioni, se non come un fare a pezzi la divinità tutta intera73 con insensate congetture su di essa? Tutto questo non sarebbe accaduto, se aveste opportunamente conservato il vostro stato di profani, in cui, viceversa, avreste avuto successo preservando la giusta misura. Icaro, quando disdegnò di servirsi dei piedi, molto presto perse tanto la terra quanto il cielo, avendo disprezzato l’una e non riuscendo a raggiungere l’altro. 11.  Tutto ciò non è rivolto a coloro che si rifanno a questa seconda educazione,74 quanto piuttosto a quelli che, nella nostra regione, gridando ad alta voce cose insensate, hanno fornito l’occasione al mio discorso di andare in soccorso delle fasi preliminari della formazione. Quanto si potrebbe dare per questi uomini ciarlatani e sciocchi? Tre per un obolo sarebbe già molto.75 Io provo riconoscenza nei confronti degli abili poeti e dei buoni retori e verso chiunque abbia composto un qualche resoconto storico degno di menzione; e in generale non voglio che nessuno di coloro che hanno messo in comune tra gli Elleni quel che ognuno aveva di

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ὅ τις καὶ εἶχεν ἀγαθὸν ἀγέραστον εἶναι βούλομαι, ὅτι παῖδάς τε παραλαβόντες ἡμᾶς ἐτιθηνήσαντο, καὶ ἀσθενεῖς ὄντας ἔτι τὴν γνώμην ἐνοσοκόμησαν τοῖς ὠφελίμοις ἐγκαταμιγνύντες ἡδύσματα. Ἄκρατα γὰρ οὐδεὶς ἂν ταῦτα παρεδέξατο διά τε στυφότητα καὶ τὴν τότε τῶν αἰσθήσεων ἁπαλότητα· κᾆθ’ οὕτω ῥώσαντες καὶ παραπέμψαντες ἄλλος δι’ ἄλλου, ταῖς ἐπιστήμαις παρέδοσαν· αἱ δὲ παρεσκεύασαν οἵους εἶναι τῶν ἄκρων ἐπορέξασθαι· ἐκεῖ τε γενομένων ὅταν αἴσθωνται τὰς ψυχὰς ῥαινομένας ἱδρῶτι καὶ τὴν φύσιν ἡμῶν ἀπαγορεύουσαν, αὖθις ἀνεκαλέσαντο πραέως καὶ ἡ Καλλιόπη παραλαβοῦσα ἥκοντας αὐχμοῦ πλέως ἀνέπαυσέ τε εἰς ἀνθεινοὺς ἀγαγοῦσα λειμῶνας, ὡς μὴ διακναισθῆναι τῷ πόνῳ, καὶ πανδαισίαν παρέθηκεν Ἀττικῶν καταγλωττισμάτων καὶ καρυκείας ποιητικῆς, ὑφ’ ὧν τὴν μὲν πρώτην διέχεεν, ἔπειτα ἐμυώπισε λαθοῦσα καὶ κατὰ μικρόν πως ἐπέστρεψεν· τελευτῶσα δὲ ἐπὶ τὸν αὖθις ἀγῶνα ἐγύμνασεν. Καὶ ὅστις δὲ οὐ προτέλειον ἡγεῖται τὰς Μούσας, ἀλλὰ τὸ κράτος αὐτῷ τῆς σοφίας ἐν ταύταις ἐστὶ καὶ οὐδ’ εἴ τι περιττὸν αἰνίττονταί ποτε καὶ παραδηλοῦσι, συνιέναι βούλεται, τὸ δὲ ἐκκείμενον αὐτῶν κάλλος ἠγάσθη καὶ εἰς αὐτὸ κέχηνεν καὶ ὑπὸ τούτου κατέχεται, οὐδὲ οὗτος μέντοι δεινὸν οὐδὲν εἴργασται, ἀλλὰ καὶ πολλὰ ἀγαθά γε αὐτῷ γένοιτο, μουσικῷ τε ἀνδρὶ καὶ χαρίεντι. Καὶ γὰρ εἰ μὴ τεθήπαμεν τοὺς κύκνους, ὥσπερ τοὺς ἀετοὺς αἰρομένους ὑψοῦ καὶ ὑπὲρ πᾶν τὸ ὁρώμενον, ἀλλὰ γανύμεθά γε καὶ ὁρῶντες αὐτοὺς καὶ ἀκούοντες τῆς ᾠδῆς· καὶ ἐμοῦ γε ἕνεκα μηδείς ποτε κύκνων τὸ ἔσχατον ᾄσειεν. Εἰ δὲ βασίλειοί τέ εἰσιν ἐκεῖνοι καὶ διαιτῶνται παρὰ τὰ Διὸς σκῆπτρα, καὶ τούτους εἴληχέ τις θεῶν ἐκ Διὸς γεγονώς, καὶ οὐκ ἀπαξιοῦνται τοῦ τρίποδος. Ἀετὸν δὲ ἅμα καὶ κύκνον γενέσθαι καὶ τὰ ἀμφοῖν ἔχειν πλεονεκτήματα ὄρνισι μὲν ἡ φύσις οὐ ξυνεχώρησεν· ἀνθρώπῳ δὲ ἔδωκεν ὁ θεός, ὅτῳ καὶ ἔδωκεν γλώττης τε εὖ ἥκειν καὶ φιλοσοφίας ἐπήβολον εἶναι.

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buono risulti privo di onori, poiché ci hanno allevato prendendosi cura di noi fin da bambini e ci hanno curato quando non eravamo ancora abbastanza forti nell’animo, mescolando dolcezza a utilità. Infatti, nessuno avrebbe potuto ricevere il loro messaggio allo stato puro, a causa della sua severità e della delicatezza che avevano al tempo i nostri sensi. In seguito, dopo averci in tal modo fortificato e accompagnato, ciascuno secondo le sue capacità, ci hanno affidato alle scienze: queste ci hanno preparato a essere tali da cercare di ottenere le mete più elevate. Giunti a quel punto, quando si sono accorte che le nostre anime erano cosparse di sudore e che la nostra natura veniva meno, ci hanno richiamato indietro con dolcezza e Calliope, prendendosi cura di noi che eravamo giunti esausti per la sete, ci ha fatto riposare conducendoci in dei prati fioriti, in modo da non venire distrutti dalla fatica, e ci ha imbandito un divino banchetto di ricercate parole attiche, con condimento di poesia, con le quali in un primo tempo ci ha rasserenato, in un secondo celatamente stimolato, e in qualche modo, a poco a poco, ci ha rimesso sulla retta via; infine, ci ha allenato per tornare di nuovo alla nostra sfida. Anche chi non ritenga le Muse un elemento preliminare dell’iniziazione, ma possiede il potere della sapienza che è in loro, e non vuole capire neppure se talvolta accennano per enigmi o danno a intendere qualcosa di superiore ma si compiace della loro bellezza esteriore, e da quella resta meravigliato e viene posseduto, neppure costui commette alcunché di male: anzi, possa ottenere molti beni, essendo un uomo dotto e raffinato. E infatti anche se non ci stupiamo dei cigni come delle aquile, che si sollevano in alto al di sopra di tutto ciò che è visibile, siamo comunque felici di vederli e di udirne il canto; fosse per me, nessun cigno avrebbe mai intonato l’ultimo! Se quelle infatti sono regali e risiedono sopra lo scettro di Zeus, anche questi sono tutelati da una divinità generata da Zeus, e non sono considerati indegni del suo tripode.76 Ma la natura non concesse agli uccelli di essere al contempo aquila e cigno e di possedere i pregi di entrambi: all’uomo invece Dio lo permise, concedendogli sia di cavarsela bene con la parola sia di essere in possesso della filosofia.

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12.  Ἠγώνισταί γε πρὸς τοὺς ἀμούσους ὑπὲρ Μουσῶν, οἳ κακοήθως ἀποδιδράσκουσι τὸν ἔλεγχον τῆς ἀμαθίας τῷ καταφεύγειν ἐπὶ τὴν λοιδορίαν ὧν ἠγνοήκασιν. Εἰ δή τι καὶ σπουδαιότερον εἴρηται παρὰ τὴν πρώτην ὑπόσχεσίν, τι μὲν ἂν γένοιτο καὶ σπουδαῖον παιζόντων· οὐ μὴν ἔστι τι ποιεῖν μὴ ἀπὸ πάσης τῆς ἕξεως, ἀλλ’ εἰ τῷ πλέονι παίζομεν, οὐ τοῦ παντὸς ἁμαρτάνομεν. Παιδιᾷ γὰρ παρεμβαλλόμεθα, ἐνδοθείσῃ μὲν ἀπὸ τοῦ δεῖν εὑρέσθαι τινὰ παρ’ ἐμοῦ μαρτυρίαν τὸν Δίωνα, ἵνα μοι γένοιτο καὶ τῆς φιλίας αὐτοῦ κληρονόμος ὁ παῖς ὁ μοιρίδιος, δραμούσῃ δὲ ἐπὶ πολλὰ καὶ δρόμους παντοίους· ἀόριστοι γὰρ αἱ τῶν παιζόντων ὁρμαί. Τοιοῦτόν ἐστιν ἀγρὸς καὶ ἐλευθερία καὶ τὸ μὴ πρὸς ὕδωρ εἰρησομένους γράφειν τοὺς λόγους. Ὡς εἶδον ἐγὼ δικαστὴν ἐφέτην μετροῦντα τὸν χρόνον τοῖς ἀγορεύουσιν· αὐτὸς μέντοι τοῦ προσμεμετρημένου τὸ μέν τι κατεδάρθανεν, τὸ δὲ μάτην ἐγρηγόρει, καὶ ἀπῆν ὡς πορρωτάτω τοῦ πράγματος· ἀλλ’ οὐδὲν ἧττον ὁ ῥήτωρ ἠγόρευεν, ὡς ὑπ’ ἀνάγκης σιωπησόμενος αὐτίκα· ἐμὲ δὲ ἀφίησι καὶ οὐ στενοχωρεῖ προθεσμία τῷ μήτε πρὸς οὕτως ἄτοπον παρασκευάζεσθαι δικαστήν, ἀλλὰ μηδὲ μέλλειν εἰς δικαστήριον ἀγνωμονέστερον εἰσιέναι τὸ θέατρον, θυροκοπήσαντα καὶ ἐπαγγείλαντα τοῖς ἐν ἄστει μειρακίοις ἀκρόαμα ἐπιδέξιον· ὡς σχέτλιά γε τῶν δεικνύντων ἐν τοῖς θεάτροις τοὺς λόγους. Ὃν γὰρ δεῖ τοσούτοις ἀρέσκειν ἀνομοίως διακειμένοις, πῶς οὐκ ἀνεφίκτων ἐρᾷ; οὗτος οὖν ἐστιν ὁ δημολόγος ἀτεχνῶς, ὁ δοῦλος ὁ δημόσιος, ὁ πᾶσιν ἐκκείμενος, ὃν ἔξεστι τῷ βουλομένῳ διαθεῖναι κακῶς. Κἂν γελάσῃ τις, ὁ σοφιστὴς τέθνηκεν· καὶ τὸν σκυθρωπὸν ὑποπτεύει· σοφιστὴς γάρ ἐστι κἂν ὁτιοῦν γένος λόγων προστήσηται, δόξαν ἀντ’ ἀληθείας ἐρανιζόμενος. Λυπεῖ δὲ αὐτὸν καὶ ὁ πάνυ προσέχων τὸν νοῦν, ὡς λαβὴν θηρώμενος, ἀλλ’ οὐδὲν ἧττον ὁ περιδινῶν ἁπανταχόσε τὴν κεφαλήν, ὡς οὐκ ἀξιῶν ἀκοῆς τὰ δεικνύμενα. Καίτοι γε οὐκ

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12.  Si è dunque dibattuto sulle Muse con gli incolti, che in maniera insopportabile evitano l’accusa d’ignoranza rifugiandosi nel biasimo di ciò che non conoscono. Se si è tenuto un tono troppo serio rispetto alla promessa iniziale, è perché qualcosa di serio può nascere anche dal gioco. Certo, non è possibile fare alcunché senza il possesso totale delle nostre facoltà, ma, seppure con la maggior parte di queste siamo dediti allo scherzo, non perdiamo la visione d’insieme. In effetti, rientriamo nei ranghi del gioco, che era stato causato dalla necessità che Dione trovasse in me un testimone, affinché il figlio che m’è destinato potesse ereditare l’amore per lui. Lo scherzo è poi corso su molti argomenti e su percorsi di ogni genere: illimitati sono i desideri di coloro che cercano diletto. Alcuni, ad esempio, sono la libertà della campagna e la redazione di discorsi che non debbano essere poi pronunciati costretti da una clessidra ad acqua.77 Ho visto un efeta78 misurare così il tempo degli oratori: durante quel lasso di tempo prefissato un po’ si addormentava e un po’ si svegliava (ma invano, visto che si manteneva il più lontano possibile dall’argomento dibattuto). Ciononostante, l’avvocato continuava a parlare, giacché poco dopo sarebbe stato obbligato a tacere. Io, invece, sono libero e non c’è alcun tempo prefissato che mi costringa né a dovermi preparare davanti a un giudice così assurdo, né, tanto meno, a recarmi in quel tribunale ancora più ignorante che è il teatro, dopo aver sbattuto le porte e aver declamato uno spettacolo ben rifinito ai ragazzetti della città. Che cosa miserevole compiono coloro che presentano nei teatri i loro discorsi d’apparato! Fare ciò infatti – che poi significa dover piacere a persone che si trovano in condizioni molto diverse tra di loro – non è forse come ambire a cose irraggiungibili? Chi agisce così, dunque, è il vero e proprio oratore popolare, lo schiavo del pubblico, “alla mercè di tutti”,79 che chiunque lo voglia può mettere in difficoltà. E se qualcuno ride, il sofista è già morto. Anche di un viso accigliato è sospettoso: proprio perché è un sofista e qualunque tipo di discorso proponga mira all’opinione anziché alla verità. Gli dà fastidio chi sta troppo attento, quasi come fosse alla ricerca di un appiglio contro di lui, ma non di meno chi ruota la testa dappertutto, come se non ritenesse le cose declamate

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ἐν δίκῃ πικρῶν τυγχάνει τῶν δεσποτῶν ὅστις πολλὰς μὲν νύκτας ἀΰπνους ἀνέτλη, πολλὰς δὲ ἡμέρας παρετάθη, καὶ μικροῦ δεῖν ἀπεστάλαξεν τὴν ψυχὴν ὑπό τε λιμοῦ καὶ φροντίδων, ἵν’ ἀγαθόν τι συλλέξηται· καὶ ἥκει φέρων ἄκουσμα χαρίεν τε καὶ ἡδὺ τοῖς ἀγερώχοις αὑτοῦ παιδικοῖς, δι’ οὓς ἔχει μὲν πονήρως, σκήπτεται δὲ ὑγιαίνειν. Ὁ δὲ καὶ ἐλούσατο πρὸ τῆς κυρίας καὶ εἰς αὐτὴν ἀπήντησεν, ἐσθῆτι καὶ σχήματι σοβαρός, ἵνα καὶ θέαμα καλὸν ᾖ, καὶ προσγελᾷ τῷ θεάτρῳ καὶ χαίρει δῆθεν, ἡ δὲ ψυχὴ κατατείνεται, ἐπεὶ καὶ τραγακάνθης ἐδήδοκεν ἵνα τορόν τε καὶ εὔηχες φθέγξηται. Τοῦτο μὲν οὖν οὐδ’ ἂν ὁ σεμνότατος αὐτῶν προσποιήσαιτο μὴ οὐ πάνυ μέλειν αὐτῷ καὶ πεπραγματεῦσθαι τὰ περὶ τὴν φωνήν, ὅς γε καὶ μεταξὺ τῆς ἐπιδείξεως ἐστράφη καὶ τὸ ληκύθιον ᾔτησεν, καὶ ὁ μὲν ἀκόλουθος ὤρεξεν· ἐκ πολλοῦ γὰρ καὶ παρεσκεύασεν· ὁ δὲ ἀπορροφεῖ τε καὶ ἀνακογχυλίζει, τοῦ νεαρῶς ἐπιτίθεσθαι τοῖς μέλεσι· τυγχάνει δὲ οὐδ’ ὣς ἀκροατῶν ἵλεων ὁ δύστηνος ἄνθρωπος, ἀλλὰ βούλοιντο μὲν ἂν αὐτὸν ἐξᾷσαι· γελῷεν γὰρ ἄν· βούλοιντο δ’ ἂν καὶ διάραντα μόνον, ὥσπερ ἀνδριάντα, τὸ στόμα καὶ τὴν χεῖρα, ἔπειτα ἀφωνότερον ἀνδριάντος γενέσθαι· ἀπαλλαγεῖεν γὰρ ἂν πάλαι δεόμενοι. Ἐγὼ δὲ ἐπ’ ἐμαυτοῦ γὰρ ᾄδω, καὶ ταῖσδε ταῖς κυπαρίττοις προσᾴδω, ὕδωρ δὲ τουτὶ θεῖ διὰ τῶν δρόμων οὐ μεμετρημένον οὐδὲ πρὸς κλεψύδραν ταμιευόμενον, ὅ τις ἂν καὶ ὑπηρέτης μειαγωγήσῃ δημόσιος. Ἀλλ’ ἐγὼ μὲν εἰ μήπω παύομαι, ἀλλ’ αὐτίκα πεπαύσομαι· εἰ δὲ μή, καὶ μετὰ πλεῖστον· οὐ μὲν δὴ καὶ εἰς νύκτα γε ᾄσομαι. Τὸ δὲ καὶ πεπαυμένου ῥεῖ καὶ ῥυήσεται καὶ νύκτωρ καὶ μεθ’ ἡμέραν καὶ εἰς νέωτα καὶ ἀεί. Τί οὖν με δεῖ προθεσμίᾳ δουλεύειν, ἐξὸν ἐμφορεῖσθαι τῆς αὐτονομίας καὶ περιάγειν τοὺς λόγους ᾗ μοι δοκοῦσιν ἀκτέοι, οὐ κρινομένῳ πρὸς ὀλιγωρίαν ἀκροατῶν, ἀλλ’ ἐμαυτὸν ἔχοντι μέτρον; Ἐμοὶ γὰρ δὴ ταύτην ἔδωκεν τὴν μοῖραν ὁ θεὸς ἀδέσποτον εἶναι καὶ ἄφετον,

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degne di ascolto. Certo, non è giusto che capitino dei padroni così crudeli a chi ha sopportato tante notti insonni e si è tormentato per molti giorni e per poco non ha stillato l’anima e per la fame e per le angosce, al fine di radunare qualcosa di buono; e ora è giunto portando un grazioso e piacevole ascolto ai propri arroganti favoriti, a causa dei quali si trova in una situazione onerosa, anche se finge di star bene. Prima dell’ora fissata si è lavato e si è presentato puntuale, altero nella veste e nell’aspetto, così da risultare gradevole alla vista, e sorride al suo uditorio e all’apparenza è felice, ma la sua anima è tormentata e quindi mastica dell’adragante80 per parlare in modo chiaro e armonioso. E questo neppure il più autorevole di loro potrebbe negarlo, cioè di avere molto a cuore e di darsi molta pena per tutto ciò che riguarda la voce, lui che anche durante la declamazione si è voltato e ha chiesto l’ampolla e il suo servitore gliel’ha porta; da molto tempo infatti l’aveva preparata; il sofista ne beve un po’ e fa i gargarismi, per poi dedicarsi ancora, con nuova baldanza, ai canti. Ma neppure così lo sventurato uomo si guadagna la benevolenza degli ascoltatori, i quali, al contrario, desidererebbero che quello fosse il suo ultimo canto – allora riderebbero: oppure desidererebbero che, come una statua, tenesse soltanto la bocca aperta e le mani sollevate, e che diventasse poi più muto di una statua; in quel caso, potrebbero finalmente allontanarsi, dopo averlo desiderato per tanto tempo. Io invece canto per me stesso, e lo faccio rivolto a questi cipressi; quest’acqua corre lungo il suo corso che non è né misurato né raccolto in una clessidra; nessun pubblico addetto saprebbe stimarne il peso esatto. E se non ho ancora smesso, certo smetterò a breve; ma, se anche non fosse, e dovessi smettere tra moltissimo tempo, di sicuro non canterò fino a notte. Il mio ruscello invece scorre anche quando io mi sono fermato e scorrerà sia di notte che durante il giorno e fino all’anno prossimo e sempre. Perché dunque mi devo asservire a un tempo prefissato quando mi è lecito saziarmi di autonomia e condurre i discorsi dove mi sembra di doverli condurre, senza venir giudicato dal disinteresse degli ascoltatori ma avendo piuttosto in me stesso il mio metro di giudizio? Dio mi ha concesso questo destino, di non avere padroni e di essere libero, io che non mi sono

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ὃς οὐδὲ τρεῖς οὐδὲ δύο περιεποιησάμην ἐμαυτοῦ μαθητὰς εἶναι, δι’ οὓς ἂν ἐδέησεν εἰς ἀποδεδειγμένον χωρίον φοιτᾶν καὶ περὶ συγκειμένων πρὸς αὐτοὺς διαλέγεσθαι· ἠπιστάμην γὰρ πολὺ τῆς ἐλευθερίας ὑποτεμούμενος εἰ πρῶτον μὲν ἀνάγκην ἕξω βιβλίον ἐξονυχίζειν, ὑφ’ οὗ γίνεται τὸ κατὰ μνήμην ἐνεργεῖν, τὴν δὲ ἐπιβολὴν ἀγύμναστον εἶναι καὶ ἄγονον, ἣν δεῖ κριτὴν εἶναι βιβλίων ἐπειδὴ κατὰ τοῦτο ὁ φιλόσοφος μᾶλλον· ἐκεῖνο δὲ ἀποδεδόσθω γραμματικοῖς. 13.  Εἶεν δ’ ἂν καὶ φιλοσόφων βιβλίων γραμματικοί τινες ἀποδεδειγμένοι, τὰς συλλαβὰς εὖ μάλα συγκρίνοντές τε καὶ διακρίνοντες, οἰκεῖον δὲ οὐδὲν οὐδέποτε μαιευσόμενοι· ὅ τι δὲ καὶ τέκοιεν, ὑπὸ θράσους τυφλὸν καὶ ἀνεμιαῖον· οὐ γὰρ ἐκθάλπει τὸν εἴσω λόγον ὅτῳ καθ’ ἡμέραν ἐμεῖν ἀνάγκη· τό τε σπουδῇ σχεδιάζειν, ἐν μὴ δέοντι τῇ σπουδῇ χρώμενον, ἐξίτηλον αὐτὴν ἀποφαίνει. Φύονται μὲν γὰρ ἐπὶ λόγοις ὠδῖνες ψυχῶν, ὥσπερ ἐπὶ τόκοις σωμάτων· ὅστις δὲ ἀώροις αὐταῖς συνεθίζεται καὶ τὰ λοιπὰ πέπονθε παραπλήσια τοῖς ἐπὶ τῶν σωμάτων συμβαίνουσιν· ὀλισθοῦσα δὲ ἕξις εἰς τὸ ἀμβλίσκειν οὐδὲν ἂν ὠδινήσειεν ἀρτιμελὲς καὶ βιώσιμον. Ἐντεῦθεν ὁ πρόχειρος εἰς δῆμον εἰπεῖν ἀδύνατος ἐπιστῆσαι καί, σκέμμα παραλαβών, ὥσπερ ἀνδριάντα ξέσας, ἐς τὸ ἀκριβὲς ἀπεργάζεσθαι. Ἅμα δὲ οὐδὲ μακάριον ᾤμην εὐθύνας ὑπέχειν καὶ αὐτοῖς τοῖς ἀκροαταῖς καὶ ὑπὲρ αὐτῶν τῶν ἀκροατῶν, ὑπὲρ μὲν αὐτῶν τοῖς προσήκουσιν, ὑπὲρ δὲ τῶν ὁσημέραι λόγων αὐτοῖς· βούλοιτο γὰρ ἂν ὁ διδάσκαλος ἀνὴρ εὐδοκιμεῖν ἐν τοῖς μαθηταῖς καὶ θορυβεῖν ἐπὶ τοῖς λόγοις αὐτοῦ τὰ παιδάρια. Οὐκοῦν ἄλλο τοῦτο θέατρον παρὰ πολὺ δυστυχέστερον. Νυνὶ δὲ ὁπόσοις τε βούλομαι, καὶ ὁπόσα καὶ περὶ ὧν καὶ ὁπηνίκα καὶ ὅπου, τοσαῦτα καὶ οὕτως σύνειμι· καὶ ὁ μέν τις ὤνησε συγγενόμενος, ὁ δὲ αὐτὸς ὤνατο. Βουλοίμην δ’ ἂν ἐγὼ τῶν ἀγαθόν τι λεγόντων ἀκούειν μᾶλλον ἢ λέγειν αὐτός· τῷ παντὶ γὰρ εὐτυχέστερον ἀμείνοσιν ἐντυγχάνειν ἢ χείροσιν.

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procurato né due né tre allievi, per i quali avrei dovuto recarmi in un posto ben preciso e dialogare su argomenti prestabiliti. Sapevo bene che sarei stato strappato di molto alla mia libertà, soprattutto se avessi dovuto analizzare minuziosamente un libro, cosa che, pur fornendo una buona attività alla memoria, lascia senza esercizio e sterile la capacità interpretativa, che deve essere l’unico giudice dei libri, poiché a questa soprattutto si dedica il filosofo; l’analisi formale lasciamola pure ai grammatici. 13.  Dei grammatici dichiarati potrebbero venire a trovarsi anche in mezzo a libri di filosofia, riuscendo molto bene a combinare e dissociare le sillabe, sebbene non a partorire81 qualcosa di proprio. Se anche dovessero generare qualcosa, sarebbe cieco e sterile a causa della loro temerarietà: non può portare a maturazione il discorso interiore chi sia a costretto a vomitarlo ogni giorno. Improvvisare con zelo, dedicando quindi il proprio impegno a cose che non lo richiedono, significa rendere quello stesso impegno inutile. Per i discorsi si hanno infatti delle doglie nell’anima,82 così come si hanno nel corpo per i figli. Chi si abitui a dei parti prematuri sopporta delle conseguenze molto simili a quelle che capitano ai corpi: un’indole che tenda ad abortire non può partorire nulla di sano e in grado di vivere. Perciò, chi è incline a parlare al popolo è incapace di concentrarsi su di un argomento preciso e, anche dopo che lo abbia afferrato, a rifinirlo alla perfezione, come si leviga una statua. Allo stesso tempo, io non ho mai pensato che fosse cosa gradevole rendere conto e ai propri ascoltatori e su di essi: nel secondo caso ai loro parenti, nel primo in merito ai discorsi di ogni giorno. Il maestro, infatti, vorrebbe essere stimato dagli allievi e vorrebbe che i ragazzini applaudissero i suoi discorsi. Ecco dunque un altro teatro, molto più sventurato. Nel mio caso invece, a quante persone voglio parlare, la durata dei discorsi, il loro argomento, quando, dove, sono io a stabilirlo; e qualcuno mi riesce utile con la sua presenza, a qualcun altro sono io a essere di giovamento. Preferirei ascoltare quelli che dicono qualcosa di buono piuttosto che parlare io stesso. In ogni caso, è evento più felice imbattersi nei migliori piuttosto che nei peggiori.

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14.  Ἀλλ’ ὅ γε τοῦ διδασκάλου βίος. Λόγου δὲ ἐξῃρήσθων, εἴ τις εἷς ἢ δύο φύσει τῶν ἐν τῷ πράγματι χαλεπῶν γεγόνασι διαφέροντες. Γένοιτο γὰρ ἂν κἀκεῖνο καὶ καθ’ ἕκαστον ἐπιτήδευμα φανῆναί τινας ἀμείνους ἢ ὡς ἁλῶναι τοῖς προσπεφυκόσιν αὐτῷ καὶ παραβλαστάνουσι πάθεσιν· ἐπεὶ ὅ γε διδάσκαλος, ἐπειδὰν ἐξαρτήσηται τοὺς θαυμασομένους, οὐδενὸς οὐδὲν ἀποδέξεται λέγοντος. Ἢ κίνδυνος καταφρονηθῆναι καὶ περιϊδεῖν ἀφιπτάμενα τὰ μειράκια. Εἰ γὰρ οὐ διοίσεται, τὴν ὑπόθεσιν ἔφθειρεν· δεῖ δὲ αὐτὸν τηρεῖσθαι διδάσκαλον· εἱμαρμένη τοίνυν ἀνδρὸς διδασκάλου καὶ φθονερὸν αὐτὸν εἶναι, τὸ μέγιστόν τε καὶ ὑλικώτατον τῶν παθῶν· καὶ ἀπεύξεται μὲν μηδένα γενέσθαι σοφὸν ἐν πόλει· γενομένου δὲ λυμανεῖται τὴν δόξαν ἵνα μόνος ἀποβλέποιτο. Καθεδεῖται δὲ ὥσπερ κεράμιον ἐπιχειλὲς τῆς σοφίας καὶ οὐκ ἂν ἔτι χωρῆσον. Οὔκουν ἀγαθόν γέ τι χωρεῖ, τελχὶς καὶ βάσκανος ὤν. Πῶς οὖν ἄν τις κάκιον ἀπαλλάξειεν ἀνδρὸς ὅτῳ μὴ ἔξεστι γενέσθαι βελτίονι; Σωκράτης δὲ καὶ Προδίκῳ παρεῖχεν ἑαυτὸν ὠφελεῖν εἴ τι δύναιτο καὶ Ἱππίᾳ ξυνεχώρει τι λέγειν καὶ ὡς Πρωταγόραν ἐβάδιζεν καὶ συνίστη τοὺς πλουσιωτάτους τῶν νέων τῷ τοιῷδε φύλῳ τῶν σοφιστῶν· οὐ γὰρ ἐποιεῖτο σοφὸς εἶναι Σωκράτης· ἦν γὰρ σοφός· καὶ τοῖς μειρακίοις ἐξῆν, εἰ προσεῖχον τὸν νοῦν, μὴ ἀγνοεῖν ὅστις μὲν ὁ διδάσκων Πρωταγόρας, ὅστις δὲ ὁ μανθάνων Σωκράτης. Ἀλλὰ καὶ Γλαύκων, ἀλλὰ καὶ Κριτίας ἐκ τῆς ὁμοίας αὐτῷ διελέγοντο· καὶ οὐδὲ Σίμων ὁ σκυτεὺς πάνυ τι συγχωρεῖν ἠξίου Σωκράτει, ἀλλ’ ἐπράττετο λόγον ἑκάστου λόγου. Κλειτοφῶν δὲ καὶ ἐλοιδόρησεν αὐτὸν ἐν Λυσίου τοῦ σοφιστοῦ καὶ τὴν Θρασυμάχου συνουσίαν προὐτίμησεν· Σωκράτης δὲ οὐδὲ πρὸς τοῦτο παρώξυντο, ἀλλὰ καὶ τοῦτο Κλειτοφῶν κακῶς οἴεται. Ἤρκει δὲ αὐτῷ καὶ Φαῖδρος περιτυχών, καὶ εἵπετο Φαίδρῳ Σωκράτης πρὸ ἄστεος ἡγουμένῳ, καὶ ἠνέσχετο φορτικοῦ λόγου, καὶ ἀντεξήγαγεν αὐτῷ λόγον ἕτερον, ἵνα Φαίδρῳ χαρίσηται. Οὕτως εὔκολος ἦν καὶ οὐκ ἀπεσεμνύνετο πρὸς τοὺς ἀνθρώπους. Αὐτὴ μὲν γὰρ ἡ Ξανθίππη, φεῦ τῆς ὀλιγωρίας, ὡς ἐχρῆτο Σωκράτει· ἀλλ’ οὐδὲν ἐκώλυσεν Σωκράτην εὐθυμεῖσθαι καὶ

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14.  Questa è la vita del maestro. Possiamo non considerare quella persona o quelle due persone che per natura sono superiori alle difficoltà insite nel mestiere: può accadere infatti in questa come in un’altra attività che alcuni si rivelino troppo capaci per venire sopraffatti dai mali a quella inerenti e da quella causati. Appena assurto al suo rango, quando si sarà conquistato l’ammirazione degli studenti, il maestro non accetterà più alcun discorso, quale che ne sia l’autore. In caso contrario, correrebbe il rischio di essere disprezzato e di vedersi portar via i giovinetti. Se infatti non si distinguesse per bravura, verrebbe meno ogni presupposto: ed è necessario che conservi il proprio status di maestro. Il destino di chi insegna è dunque anche quello di chi è preso da invidia, la più grande e la più materiale delle passioni: si augurerà che in città non ci sia nessun saggio e, se c’è, ne danneggerà la fama, affinché lui solo venga ammirato. Se ne starà là come un vaso colmo di sapienza, che più nulla potrebbe contenere. E non contiene certo niente di buono, essendo invidioso e maldicente. Come si potrebbe finire peggio dell’uomo che non è in grado di diventare migliore? Socrate si offrì di aiutare anche Prodico, se mai qualcosa fosse stato in suo potere di fare, e acconsentì di parlare con Ippia e se ne andò da Protagora, e mise in contatto i più ricchi tra i giovani con tale tribù di sofisti.83 Infatti, Socrate non si vantava di essere sapiente, essendolo davvero, e ai ragazzi era possibile, se facevano attenzione, non ignorare che maestro fosse Protagora e che allievo fosse Socrate. Ma anche Glauco, ma anche Crizia dialogavano con lui da pari a pari;84 e neppure al calzolaio Simone Socrate reputò opportuno di concedere qualcosa, ma esigeva la ragione di ogni affermazione.85 Clitofonte lo insultò a casa del sofista Lisia e preferì la compagnia di Trasimaco; tuttavia, Socrate non si adirò con lui, ma anche questo Clitofonte giudicò male.86 A quello era sufficiente incontrarsi con Fedro e seguirlo fuori città, tollerando anche un discorso insopportabile e opponendogliene un altro, affinché fosse contento.87 A tal punto era di buona indole e non si esaltava rispetto agli altri uomini. E la stessa Santippe, ahimè, con quale disprezzo trattava Socrate: ma nulla impediva a lui, pur disprezzato, di essere lieto nell’animo.88 Niente, dunque, può

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καταφρονούμενον. Οὐδ’ ἐμὲ τοίνυν οὐδ’ ἄλλον οὐδένα ἄνθρωπον ὅστις οὐχ ὑπέθηκεν ἑαυτὸν τῷ παντοδαπῷ θηρίῳ, τῇ δόξῃ, ἀλλ’ ἑαυτῷ ἀρέσκει καὶ τῷ θεῷ, τοῖς δὲ ἀνθρώποις ἀνθρωπίνως συνεῖναι καὶ βούλεται καὶ ἐπίσταται. Ἐπεί τοι Σωκράτης καὶ τὸν ἀτοπώτερον τῶν λόγων διατιθέμενος, τὸν ἐπὶ διαβολῇ τῶν ἐρωτικῶν, δύναται μεθαρμόσασθαι τὴν ἀληθεστέραν, καὶ αὐτίκα γε μεθαρμόσεται καὶ τὸ Διὸς ἅρμα ὑμνήσει καὶ τὰς ἱερὰς διφρείας τῶν ἕνδεκα θεῶν· «μένει γὰρ Ἑστία ἐν θεῶν οἴκῳ μόνη·» ὑμνεῖ δὲ καὶ ψυχὰς ὀπαδοὺς θεῶν καὶ τὸν ἀγῶνα ὃν ἔχουσιν ὑπερκύψαι τῶν οὐρανοῦ νώτων. Ἐκεῖ που καὶ τὸν παρακεκινδυνευμένον λόγον, τὸ πεδίον ἐξηγεῖσθαι τολμᾷ τὸ ἐπέκεινα ταύτῃ, παρὰ τὴν αὐτὴν πλάτανον παρ’ ἣν ἐρρητόρευσεν καὶ τῷ σοφιστῇ Λυσίᾳ προσεγυμνάσατο, καὶ πρὸς τὸν αὐτὸν μέντοι παῖδα· οὔτοι λέγω τὸν Φαῖδρον· νεανίας γὰρ οὗτος καὶ ἀνὴρ ἤδη· ἀλλ’ ὑπόκειται μειράκιον αὐτῷ καλὸν καὶ ἐν ὥρᾳ· καὶ τοῦτο πείθει καὶ μεταπείθει τὰ περὶ ἔρωτος· καὶ πρὸς αὐτὸ παίζει τε καὶ σπουδάζει. 15.  Τί οὖν εἰ κἀγὼ πρὸς τὸν ἐμαυτοῦ παῖδα, ὃν ὑπέσχετο μὲν εἰς νέωτα ὁ θεός; Ἐμοὶ δὲ πάρεστιν ὁ παῖς ἤδη· πρὸς τοῦτον οὖν ἀξιῶ παίζειν τε καὶ σπουδάζειν· ἐπεί τοι καὶ αὐτὸν ἀμφότερα ἀγαθὸν γενέσθαι βούλομαι, μύθων τε ῥητῆρ’ ἔμεναι γνωστῆρά τε ὄντων,

καὶ μὴ καταφρονεῖν τοῦ Σωκράτους ὃς οὐκ ἀπηξίου καὶ τοὺς δημοσίᾳ θαπτομένους δύνασθαι λόγῳ κοσμεῖν, καίτοι καὶ τοῦτο μεῖζον ἢ καθ’ ἑαυτὸν ᾤετο· προσένεμεν γὰρ Ἀσπασίᾳ τὴν δύναμιν ταύτην, ᾗ προσεφοίτα κατὰ χάριν τοῦ τὰ ἐρωτικὰ παιδευθῆναι. Εἰ δέ τινα τὰ κατὰ Ἀσπασίαν τε καὶ Σωκράτην ἐρωτικὰ ἐννενόηκας, οὐκ ἀπιστήσεις ὅτι φιλοσοφία τὰς τελεωτάτας ἐποπτεύσασα τελετὰς ἁπανταχοῦ τὸ καλὸν ἐπιγνώσεται καὶ ἀσπάσεται καὶ ῥητορικὴν ἐπαινέσεται καὶ ἀσπασίως καὶ ποιητικῆς ἀνθέξεται· ταύτην μὲν γὰρ ἄντικρυς εἰργάσατο καὶ Σωκράτης, οὐχ ὁ παῖς οὐδ’

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impedirlo a me, né a qualunque altro uomo che non si sia assoggettato alla belva multiforme che è la pubblica opinione, ma sia gradito a se stesso e a Dio e che voglia e sappia relazionarsi umanamente con gli altri. Socrate, dopo aver pronunciato il più assurdo dei discorsi, la calunnia dell’amore, è capace di correggersi ritornando sulla strada più veritiera, e subito si correggerà, e canterà il carro di Zeus e il sacro percorso delle undici dee (Estia rimane da sola nella casa degli dèi).89 Canta anche le anime che accompagnano le dee e la lotta che compiono per spingersi al di là della superficie del cielo. A quel punto del suo audace discorso osa spiegare al ragazzo il luogo che trascende le cose del nostro mondo,90 e sotto lo stesso platano presso il quale si era esibito come retore e si era misurato con il sofista Lisia. E anche alla presenza dello stesso ragazzo. Non intendo Fedro: egli infatti era già un giovane uomo o piuttosto un uomo fatto. Socrate ha in mente un bel ragazzetto nel fiore degli anni: è lui che persuade e dissuade a proposito delle faccende amorose ed è a lui che si riferisce, ora scherzando, ora seriamente.91 15.  Che cosa c’è dunque di straordinario se anche io intendo fare lo stesso con mio figlio, che Dio mi ha promesso per il prossimo anno e che per me è già presente? Con lui intendo sia giocare sia essere serio. Poiché desidero che anche lui diventi abile in entrambi i campi, che sia “un buon dicitore di parole e un conoscitore degli enti”,92

e che non disprezzi Socrate, il quale non disdegnava la propria dote di onorare con la parola i caduti sepolti a spese pubbliche, anche se pensava che fare questo fosse un’operazione troppo grande per le sue forze. Attribuì infatti il merito di questa dote ad Aspasia, dalla quale si recava per apprendere le cose concernenti l’amore.93 Se hai riflettuto sull’importanza dell’amore secondo Aspasia e secondo Socrate, non dubiti che la filosofia, dopo aver contemplato i più alti tra i misteri, riconoscerà e accoglierà con gioia il bello ovunque si trovi, e loderà la retorica, e si occuperà con piacere anche della poesia. Difatti, ne compose manifestamente anche Socrate, non da

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ὁ νέος Σωκράτης, ἀλλ’ ὁ μετὰ τὴν ἡλιαίαν ἤδη δίαιταν ἔχων ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ, ὁπηνίκα παίζειν ἥκιστα καιρὸς ἦν τηλικῷδε ὄντι καὶ ἐν τοιούτοις, οὔπω λέγω, δεινοῖς· τί γὰρ ἂν καὶ δεινὸν Σωκράτει; ἀλλ’ οὐδὲ μέντοι παίζειν ἀξίοις· ὁ δὲ τῷ θεῷ φησι πείθεσθαι. Καὶ μὴ ἀπιστῶμεν· ᾠκειοῦτο γὰρ αὐτὸν τῇ κοινωνίᾳ τοῦ ἔργου. Ἢ οὐ ποιητής ἐστιν ὁ τὸ χρηστήριον ἔχων τὸ Πυθοῖ καί, νὴ Δία, τὸ ἐν Βραγχίδαις; οὗτος μέντοι μετεποιήθη καὶ τῆς Ὁμήρου ποιήσεως ὡς αὐτῷ προσηκούσης, ἤειδον μὲν ἐγών, ὁ δ’ ἀπέγραφε θεῖος Ὅμηρος.

Λελήθασιν οὖν ὑπὸ σοφίας οἱ στασιῶται τῆς ἀγλωττίας οὗτοι καὶ τὸν Ἀπόλλω δεύτερον ἄγοντες ἑαυτῶν, μετ’ Ἀσπασίας τε καὶ Σωκράτους. Ἡμεῖς δὲ ἐπὶ πάντας λόγους παρακαλῶμεν τὸν παῖδα καὶ συνευξώμεθα αὐτῷ μή, πρὶν ἀμωσγέπως ἐμφορηθῆναι ῥητορικῆς καὶ ποιήσεως καὶ δύνασθαι νοῦν τε ἔχειν καὶ δι’ αὐτῶν ἀμύνειν αὐταῖς, ἐντυχεῖν ἀνδρὶ θράσος ἔχοντι καὶ ἐπανισταμένῳ ταῖς Μούσαις. Τί γὰρ ἂν καὶ χρήσαιο τοῖς κτήμασι τοῖς πατρῴοις; τοὺς μὲν γὰρ ἀγροὺς ἐλάττους ἐποίησα, καὶ συχνοί μοι τῶν οἰκετῶν ἰσοπολῖται γεγόνασι, χρυσίον δὲ οὔτε ἐν φαλάροις ἔχω γυναικῶν οὔτε ἐν νομίσμασιν· ὅ τι γὰρ καὶ ἦν, ἅπαν αὐτό, ὥσπερ Περικλῆς, εἰς τὸ δέον ἀνάλωσα· τὰ βιβλία δὲ πολλαπλάσια τῶν ἀπολειφθέντων ἀπέδειξα· τούτοις οὖν ἅπασι δέον σε δύνασθαι χρῆσθαι. 16.  Εἰ δέ, ὅτι σοὶ μὴ διώρθωσα τὰ Δίωνος γράμματα, δι’ ὃν καὶ προῆλθεν ἐπὶ τοσόνδε ὁ λόγος, διὰ τοῦτο δυσχεραίνεις τὸν πατέρα, ἀλλ’ οὐδὲ ἄλλο τί σοι διώρθωται τῶν τῆς ὁμοίας ἕξεως· Δίωνι γὰρ οὐκ ἀπολογίας πρὸς τοῦτο δεήσει· πάλιν οὖν δεήσει ῥητορικῆς. Ἀλλ’ ἐγὼ νόμον ἐκ φιλοσοφίας παρέξομαι. Πυθαγόρας Μνησάρχου Σάμιος ἐπιγέγραπται τῷ νόμῳ, ὅστις ὁ νόμος οὐκ ἐᾷ τοῖς βιβλίοις ἐπιποιεῖν, ἀλλὰ βούλεται μένειν αὐτὰ ἐπὶ τῆς πρώτης χειρός, ὅπως ποτὲ ἔσχε τύχης ἢ τέχνης. Ἔστι μὲν οὖν ἐν ταῖς ῥητορείαις ὁ νόμος τὸ ἀρρητόρευτον· ἐν γὰρ ταῖς ἀλόγοις

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bambino né in gioventù, ma dopo il tribunale di Eliea94 quando già risiedeva in prigione, nel momento meno adatto a trastullarsi sia a causa dell’età che delle circostanze, non dico terribili (che cosa potrebbe essere terribile per Socrate?), ma neppure adatte al gioco.95 Egli dice di ubbidire alla divinità; e non lo dubitiamo: se la propiziava partecipando alla sua opera. Chi96 possiede l’oracolo di Pito o, per Zeus, quello dei Branchidi non è forse un poeta? Rivendicò anche la poesia di Omero, come appartenesse a lui, “io cantai, il divino Omero trascrisse”.97

Quello che sfugge ai critici dell’eloquenza a causa della loro sapienza è che subordinano a loro stessi anche Apollo, assieme ad Aspasia e a Socrate. Io invito mio figlio a occuparsi di tutte le opere letterarie e gli auguro, prima di saziarsi in qualsiasi modo di retorica e poesia, e di saper mettere in campo la propria intelligenza e di difendere queste materie attraverso loro stesse, di non imbattersi in un uomo tracotante che si scagli contro le Muse. Come potresti far uso altrimenti dei beni di tuo padre? Ho ridotto l’estensione dei campi, molti dei miei servi sono diventati cittadini a parità di diritti con me, non posseggo oro né sotto forma di ornamenti da donna né di monete. Ciò che avevo, tutto quanto, come Pericle, l’ho speso per il necessario.98 Di libri, però, te ne mostro molti più di quelli ereditati; dunque, è fondamentale che questi tu sia in grado di utilizzarli tutti. 16.  Se perché non ti ho corretto le opere di Dione, a causa del quale il discorso si è protratto così tanto, per questo tu detesti tuo padre, considera che nessun’altra opera di simile natura ti è stata corretta.99 Dione infatti non necessiterà di alcuna difesa riguardo a ciò; di nuovo avrà bisogno della retorica.100 Quanto a me, presenterò una legge tratta dalla filosofia. “Pitagora di Samo figlio di Mnesarco”,101 così è riportato su quella legge che non consente di aggiungere alcunché ai libri, ma che vuole che essi rimangano al livello della prima stesura, così com’essa era o per sorte o per arte. Nei prodotti della retorica dunque la legge è qualcosa che va al di là della stessa retorica; tra le prove incontestabili si annovera

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ἠρίθμηται πίστεσιν ὅ τι μὴ παρὰ τὴν πειθὼ τοῦ λέγοντος, ἀλλὰ παρὰ τὴν πολιτείαν ἰσχύει. Καίτοι τινὲς ἐφ’ ἡμῶν ἀξιοῦσιν ἀπὸ τοῦ τοιούτου ῥήτορες εἶναι, γραμματεῖς ἀτεχνῶς ὄντες. Οἱ δέ, κἂν μάρτυρας ἀναβιβάσωνται, τοῦ πράγματος ἐπὶ τούτοις ὄντος, παρ’ ἑαυτοὺς οἰήσονται πεπράχθαι τὴν δίκην· οὕτως εἰσὶ κομψοί τε καὶ νεανίαι. Ἐπεὶ δὲ ἡμεῖς οὐκ ἐκ τῶν Ῥωμαϊκῶν ἀξόνων τὸν νόμον ἀνέγνωμεν, ἵνα καὶ ἀκόντων ἂν ἰσχύῃ, ἀλλ’ ἀνδρός ἐστι φιλοσόφου καὶ παλαιοῦ, πειθώ τινα δεῖ προσεῖναι καὶ γενέσθαι νόμον τὸν λόγον. Ἀλλ’ ὅπως μὴ λάθωμεν αὖθις περὶ τῶν μικρῶν τι μεῖζον εἰπόντες· ὡς οὐκ οἶδ’ ὅπως ἀπὸ τῶν φαυλοτάτων εἰς σεμνὰ ἄττα ἀποφερόμεθα. Φυλαξόμεθα οὖν ὅση δύναμις· εἰ δὲ πάντως δέοιτο, τῶν εἰρημένων τι παραληψόμεθα. Κἂν τοῦτο ἀρκῇ, τῷ παντὶ ἂν ἔχοι καλῶς μηδὲν προσπεριεργάσασθαι. 17.  Ἐρεῖ τοίνυν ὁ Πυθαγόρας ἢ ὅστις ὁ Πυθαγόρου θιασώτης τε καὶ συνήγορος, ἐπειδὴ νόμους ἐκεῖνος φθέγγεται, ἄριστον μὲν εἶναι φῦναι τὸν νοῦν αὐτάρκη πρὸς ὁτιοῦν ἐπιτήδευμα, τοῦτ’ ἔστιν ἤδη νοῦν ἐνεργείᾳ τοῦτο ὄντα ῥητορικὸν ἢ ποιητικόν, εἰ μή γε καὶ πρὸς ἅπαν ἀκροφυέστατον· καὶ ἤδη τινὲς ἧκον ἐνθάδε τοιοίδε μέγεθος ἔχοντες ἢ πρὸς ἐπιστήμην οἰκείωσιν, οἷς μαθήσεως οὐκ ἐδέησεν, ἀλλ’ αὐτοὶ τέχνης ἐγένοντο παραδείγματα. Οἱ δὲ πολλοὶ τῆς μὲν εὐμοιρίας ταύτης οὐχ οὕτως εἰλήχασιν· ἐνίοις δὲ αὐτῶν πολλοῦ γε καὶ δεῖ, δυνάμει δὲ ὄντες νοῖ. Καὶ οἱ μὲν ἧττον, οἱ δὲ μᾶλλον, ἀγχοῦ καὶ πόρρω τοῦ τέλους ὑπὸ τῶν ἐνεργείᾳ νῶν, τῶν ἀποτελεσμάτων τῆς ἐνεργείας αὐτῶν, εἰς τοῦτο προάγονται. Καὶ ἡ πᾶσα τῶν βιβλίων πραγματεία πρὸς ἓν τοῦτο τείνει· ἐκκαλεῖται τὴν δύναμιν ἡμῶν εἰς ἐνέργειαν. Ἀρχομένη μὲν οὖν, ἁπανταχοῦ δείσθω τῶν γραμμάτων ποδηγετούντων καὶ πρὸς τὴν αἴσθησιν ἀπερειδέσθω· προϊοῦσα δὲ ἀποπειράσθω τῆς ἰδίας ἰσχύος καὶ

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infatti ciò che non trae la sua forza dalla capacità persuasiva di chi parla ma dalla costituzione dello Stato. Certo, alcuni dei nostri contemporanei, in virtù di questo, pensano di essere dei retori, pur essendo semplicemente degli scrivani. Questi, anche se presentano dei testimoni, anche se la riuscita dipende solo da quelli, penseranno che la sentenza sia stata ottenuta grazie a loro stessi: a tal punto sono presuntuosi e infantili. Dal momento che noi non abbiamo tratto la legge che abbiamo citato dalle tavole romane,102 tali da conferirle autorità anche presso chi non la approva, ma da un filosofo, per di più antico, è necessario aggiungere una qualche capacità di persuasione e che la parola si faccia legge.103 Ma stiamo attenti a non parlare di nuovo senza accorgercene in maniera alta di piccoli argomenti: perché, non so come, a partire dalle cose più insulse ci lasciamo portare fino a quelle sublimi. Staremo in guardia, per quanto ci conceda la nostra capacità: se ce ne fosse assolutamente bisogno, riprenderemo in considerazione qualcuna delle cose dette; ma se fosse sufficiente così, sarebbe assolutamente un bene non insistere ulteriormente. 17.  Dirà quindi Pitagora (oppure un qualche suo discepolo e difensore, dal momento che quanto quello afferma è considerato legge) che la cosa migliore è possedere per natura un intelletto autonomamente capace in qualunque occupazione, ovvero che sia già in atto, versato nella retorica o nella poesia, seppure non eccella in tutto. E già sono giunti qui alcuni dotati di vera grandezza o avvezzi alla scienza, che non necessitavano di alcun insegnamento, ma che sono divenuti essi stessi modelli della loro arte. Ma i più non hanno ottenuto in sorte in questo modo una così felice condizione; ad alcuni anzi manca molto: sono degli intelletti in potenza. E ora di meno, ora di più, ora vicini, ora lontani dalla meta, a questa essi sono condotti dagli intelletti in atto, che sono prodotti della loro stessa attività. Tutto lo studio dei libri non tende che a questo: incita la nostra potenzialità a passare all’atto. In principio, dunque, che questo studio richieda pure dappertutto le lettere a guidarlo e si appoggi sulla percezione; andando avanti, che metta alla prova la propria forza e non dipenda totalmente

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μὴ πάντα ἐκκρεμαννύσθω τῶν συλλαβῶν. Ὥσπερ γὰρ ἄλλο τι πρόβλημα ἀγαπᾶται, τὸ πόριμον ἡμῶν γυμναζούσης τῆς ἀπορίας, οὕτω καὶ τὸ ἐνδεὲς εἰς τὴν ἀκολουθίαν τῆς ἀναγνώσεως ὁ νοῦς προσυφαίνειν ἀναγκαζόμενος, καὶ μὴ πάντα ἐπὶ τοῖς ὀφθαλμοῖς κείμενος, μελέτην ποιεῖται τοῦ καὶ κατὰ μόνας ἔργον τι θαρρῆσαι παραπλήσιον· ἅμα δὲ καὶ προσεθίζεται μὴ πρὸς ἄλλοις, ἀλλὰ ἐντὸς εἶναι· τὰ γὰρ διημαρτημένα ταῦτα βιβλία τὸν νοῦν ἐπιζητεῖν ἔοικεν ἐπιστατοῦντα ταῖς ὄψεσι. Τοῦτο καὶ τοῖς κομιδῇ μειρακίοις ἐπέταττεν ἡ Πυθαγόρου διδαχή, ἅμα μὲν ἀποπειρωμένη τῆς φύσεως τῆς ἑκάστου, ἅμα δὲ καὶ προγύμνασμα αὐτὸ ἡγουμένη, παιδικώτερον ἔτι τῶν ἐπιπέδων ἐν γεωμετρίᾳ λημμάτων· οὐ γὰρ μέγα τὸ ἔργον, στοιχεῖον ἢ συλλαβήν, ἔστω δὲ καὶ λέξιν, εἰ δὲ βούλει καὶ μίαν ὅλην περίοδον λόγου ἁρμόσαντα, πάλιν ἑτοίμως χρῆσθαι τοῖς ἀπὸ τοῦ βιβλίου. Πάνυ δὲ ὅμοιον τοῦτο τῷ συμβαίνοντι κατὰ τοὺς τῶν ἀετῶν νεοττούς· τοὺς ἀετιδεῖς οἱ πατέρες ἄρτι γενομένους ἐκπετησίμους ἄραντες ὑψοῦ μεθιᾶσιν, οἷον ἐπιτρέποντες αὐτοὺς τοῖς οἰκείοις χρῆσθαι πτεροῖς· κᾆτα αὖθις ἀναλαμβάνουσι προλαμβάνοντες τῆς ἡλικίας αὐτῶν τὴν ἀσθένειαν· καὶ τοῦτο πολλάκις, ἕως ἂν τὴν πτῆσιν ἐκμελετήσωσιν. 18.  Ἐγὼ τοίνυν πρὸς μὲν γὰρ ἄλλον οὐδένα νεανιεύσομαι, πρὸς σὲ δὲ τά γε ἀληθῆ· πολλάκις οὐδὲ περιμένειν ἀξιῶ τοῦ βιβλίου τὴν συμφοράν, ἵν’ ἀγαθόν τί μοι γένηται, ἀλλ’ αὐτὸς ἀνέχω τοὺς ὀφθαλμοὺς καὶ τῷ συγγραφεῖ προσγυμνάζομαι, μηδ’ ἀκαρῆ διαλιπών, ἀλλ’ ἐφιεὶς τῷ καιρῷ καὶ εἴρων ὥσπερ ἑξῆς ἀναγινώσκων ἀπὸ τῆς διανοίας ὅ τί μοι δοκεῖ τὸ ἀκόλουθον εἶναι, κᾆτα ἐξετάζω πρὸς τὰ γεγραμμένα τὰ λελεγμένα· καὶ πολλάκις μὲν οἶδα τυχὼν ταὐτοῦ μὲν νοῦ, τῆς αὐτῆς δὲ καὶ λέξεως· ἤδη δέ ποτε τοῦ μὲν ἐνθυμήματος εὔστοχος γέγονα, ὅ τι δὲ καὶ παραλλάττοι τῆς λέξεως, ἀλλ’ ὅτι μάλιστα εἴκαστο πρὸς τὴν ἁρμονίαν τοῦ συγγράμματος. Εἰ δὲ καὶ ὁ νοῦς ἕτερος, ἀλλὰ πρέπων γε ἐκείνῳ τἀνδρὶ τῷ τὸ βιβλίον ποιήσαντι, καὶ ὃν οὐκ ἀπηξίωσεν εἰ ἐνεθυμήθη· ἤδη δέ ποτε οἶδα,

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dalle sillabe. Come infatti anche un qualche altro problema si fa fonte di soddisfazione poiché la difficoltà allena la nostra ingegnosità, così anche l’intelletto, se è costretto a integrare ciò che manca nella continuità della lettura, e se non si fida del tutto degli occhi, si procura una preparazione tale da affrontare, anche da solo, un’azione simile. Al contempo, si abitua a non dipendere da altri, ma solo da se stesso; quei libri errati che dicevo sembrano in effetti richiedere un intelletto capace di dominare ciò che rivelano gli occhi. La dottrina di Pitagora imponeva questo anche ai più giovani, mettendo alla prova la natura di ognuno e ritenendolo allo stesso tempo un esercizio preparatorio, ancora più adatto a dei ragazzi rispetto agli assunti della geometria piana.104 Non è infatti un grande lavoro, se si è inserita nel testo una lettera o una sillaba, sia pure una parola, se vuoi anche un’intera frase, quello di utilizzare di nuovo prontamente il contenuto del libro. Questa cosa è in tutto simile a quello che capita ai piccoli delle aquile: i genitori lasciano andare gli aquilotti appena divenuti atti a volare dopo averli sollevati verso l’alto, in modo da permettere loro di utilizzare le proprie ali; poi di nuovo se li riprendono, già conoscendo la debolezza della loro età; e questo succede spesso, fino a che non abbiano imparato il volo. 18.  Io quindi non mi vanterò con nessun altro, ma a te dirò la verità. Spesso non reputo che valga neppure la pena di aspettare la conclusione del libro per averne un qualche vantaggio, ma sollevo gli occhi e faccio io stesso a gara con lo scrittore, senza perdere un attimo ma cogliendo l’occasione, e dicendo, come se leggessi di seguito, uniformandomi al pensiero espresso, ciò che mi sembra che sia conseguente, e in un secondo tempo confronto ciò che ho detto con ciò che c’è scritto. Mi rendo conto di raggiungere spesso lo stesso concetto, e anche lo stesso stile; già in passato sono stato abile nel cogliere il senso, che magari poteva essere espresso con forme diverse, ma che si adattava perfettamente al tono dello scritto. Seppure il risultato differiva, era pur sempre conveniente all’autore del libro, che non lo avrebbe disdegnato, se gli fosse venuto in mente. Mi ricordo di essermi trovato una

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περικαθημένων ἀνθρώπων ἐτύγχανον μὲν τῶν εὐγενῶν καὶ στασίμων τι συγγραμμάτων ἔχων ἐν ταῖν χεροῖν, δεομένων δὲ ἀναγινώσκειν εἰς κοινὴν ἀκοὴν ἐποίουν οὕτως· εἰ δέ ποτε παρείκοι, προσεξεῦρον ἄν τι καὶ προσηρμήνευσα· οὐ μὰ τὸν λόγιον, οὐκ ἐπιτηδεύσας, ἀλλ’ ἐπελθὸν οὕτως συνεχώρησα τῇ γνώμῃ τε καὶ τῇ γλώττῃ. Καὶ δῆτα θόρυβος ἤρθη πολύς, καὶ κρότος ἐρράγη τὸν ἄνδρα ἐπαινούντων ἐκεῖνον, ὅτου τὸ σύγγραμμα ἦν, ἐπ’ αὐταῖς οὐχ ἥκιστα ταῖς προσθήκαις. Οὕτω μοι τὴν ψυχὴν ὁ θεὸς ἁπαλὸν ἐκμαγεῖον ἐποίησεν τῶν ἐν λέξεσί τε καὶ ἤθεσι χαρακτήρων· εἰ δὲ καὶ τῷ τοῖς ἀδιορθώτοις τῶν βιβλίων ἐγγεγυμνάσθαι τὴν προσοχὴν ἐπέτεινον, εἰς τοῦτο ἂν τὴν ἕξιν προσήγαγεν ἡ φύσις πειρωμένῳ. Τοὺς ἐξηυλημένους τὰ ὦτα παραπέμπει τις ἠχὼ καὶ πεπαυμένου τοῦ μέλους, καὶ μένουσι χρόνον ὑπόσυχνον τοῖς αὐλήμασι κατακώχιμοι. Ἐγὼ δὴ θαμὰ καὶ τραγῳδίαις ἐπετραγῴδησα καὶ κωμῳδίαις ἐπιστωμύλλομαι πρὸς τὸν πόνον ἑκάστου τοῦ γράψαντος. Εἴποις ἂν ἡλικιώτην εἶναι νῦν μὲν Κρατίνου καὶ Κράτητος, νῦν δὲ Διφίλου τε καὶ Φιλήμονος, καὶ οὐδ’ ἔστιν ἰδέα φιλομετρίας τινὸς ἢ ποιήσεως πρὸς ἥντινα οὐ διαίρομαι καὶ ἐπεξάγω τὴν πεῖραν, καὶ ὅλα συγγράμματα πρὸς ὅλα ποιῶν, καὶ τεμαχίοις παραβαλλόμενος· παντοδαπῶν τε ὄντων τῶν λεκτικῶν χαρακτήρων καὶ πλεῖστον διαφερόντων, ἐν ἑκάστῃ τῶν μιμήσεων προσηχεῖν ἀνάγκη καὶ τοὐμὸν ἴδιον, ὥσπερ ἡ ὑπάτη χορδὴ τὸν ῥυθμὸν αὐτὴ μένουσα παραβομβεῖ κινουμένῳ τῷ μέλει.

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volta con un’opera nobile e solenne tra le mani, seduto in cerchio assieme a degli uomini che mi chiesero di leggerla per una pubblica audizione. Feci così: quando era il caso, mi inventavo qualcosa e la aggiungevo; ma, per il dio dell’eloquenza,105 senza essermi preparato e accettando tale e quale ciò che mi sopraggiungeva al pensiero e alla lingua. Si alzò poi un lungo applauso e il rumore proruppe con l’intento di lodare l’autore dell’opera, in buona parte anche per merito delle mie aggiunte! Così Dio mi rese l’anima un delicato ricettacolo106 dei tratti particolari delle parole e dei caratteri degli uomini. Se anche avessi rivolto la mia attenzione a esercitarmi nei libri errati, la natura m’avrebbe fornito la capacità di farvi fronte. Anche quando il canto è terminato, un qualche suono riecheggia nelle orecchie di coloro che sono stati storditi dai flauti,107 i quali restano posseduti da quelle melodie per un tempo abbastanza lungo. Io spesso ho aggiunto dei particolari drammatici alle tragedie e ho gareggiato in comicità con le commedie, in sintonia con lo sforzo di ogni scrittore. Ora potresti dire che sono contemporaneo di Cratino e Cratete, ora di Difilo e di Filemone,108 e non c’è forma di prosa ritmica o di poesia verso cui io non mi elevi e che non provi a fondo, sia contrapponendo intere opere ad altre intere, sia confrontandomi con dei frammenti. Essendo i segni che contraddistinguono lo stile molto vari e differendo moltissimo tra di loro, è necessario che in ogni imitazione riecheggi anche quello mio proprio, come la corda più alta109 della lira, nell’attesa del ritmo, risuona in accompagnamento della melodia suscitata.

ΠΕΡΙ ΕΝΥΠΝΙΩΝ

TRATTATO SUI SOGNI

ΠΡΟΘΕΩΡΙΑ Ἀρχαῖον οἶμαι καὶ λίαν Πλατωνικὸν ὑπὸ προσχήματι φαυλοτέρας ὑποθέσεως κρύπτειν τὰ ἐν φιλοσοφίᾳ σπουδαῖα, τοῦ μήτε τὰ μόλις εὑρεθέντα πάλιν ἐξ ἀνθρώπων ἀπόλλυσθαι μήτε μολύνεσθαι δήμοις βεβήλοις ἐκκείμενα. Τοῦτο τοίνυν ἐζηλώθη μὲν ὅτι μάλιστα τῷ παρόντι συγγράμματι· εἰ δὲ καὶ τούτου τυγχάνει, καὶ τὰ ἄλλα περιττῶς εἰς τὸν ἀρχαῖον τρόπον ἐξήσκηται, ἐπιγνοῖεν ἂν οἱ μετὰ φιλοσόφου φύσεως αὐτῷ συνεσόμενοι.

Premessa1 Credo che sia antico, e soprattutto platonico, l’uso di occultare le questioni filosofiche importanti sotto l’apparenza di argomenti più leggeri, così che gli uomini non perdano di nuovo quanto conquistato a fatica e le dottrine non vengano contaminate, come accadrebbe se fossero accessibili ai non iniziati. Questo, dunque, è quel che più mi sono sforzato di ottenere nel presente trattato. Chi si accosterà a esso con approccio filosofico saprà giudicare se lo scopo è stato raggiunto e se anche le altre parti sono state rifinite con eleganza, alla maniera degli antichi.

1.  Εἰ δέ εἰσιν ὕπνοι προφῆται καὶ τὰ ὄναρ θεάματα τοῖς ἀνθρώποις ὀρέγουσι τῶν ὕπαρ ἐσομένων αἰνίγματα, σοφοὶ μὲν ἂν εἶεν, σαφεῖς δὲ οὐκ ἂν εἶεν, ἢ σοφὸν αὐτῶν καὶ τὸ μὴ σαφές· κρύψαντες γὰρ ἔχουσι θεοὶ βίον ἀνθρώποισιν.

Ἀπόνως μέν γε τῶν μεγίστων τυγχάνειν θεῖόν ἐστιν ἀγαθόν· ἀνθρώποις δὲ οὐκ ἄρα ἀρετῆς μόνον, ἀλλὰ καὶ πάντων καλῶν ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν.

Μαντεία δὲ ἀγαθῶν ἂν εἴη τὸ μέγιστον· τῷ μὲν γὰρ εἰδέναι, καὶ ὅλως τῷ γνωστικῷ τῆς δυνάμεως, θεός τε ἀνθρώπου καὶ ἄνθρωπος διαφέρει θηρίου. Ἀλλὰ θεῷ μὲν εἰς τὸ γινώσκειν ἡ φύσις ἀρκεῖ, ἀπὸ δὲ μαντείας ἀνθρώπῳ πολλαπλάσιον παραγίνεται τοῦ τῇ κοινῇ φύσει προσήκοντος. Ὁ γὰρ πολὺς τὸ παρὸν μόνον οἶδε, περὶ δὲ τοῦ μήπω γενομένου στοχάζεται· ὁ δὲ Κάλχας εἷς ἄρα ἐν ἐκκλησίᾳ τῶν Πανελλήνων μόνος ἠπίστατο τά τ’ ἐόντα, τά τ’ ἐσσόμενα, πρό τ’ ἐόντα,

καὶ Ὁμήρῳ δὲ ἄρα διὰ τοῦτο τῆς τοῦ Διὸς γνώμης ἐξῆπται τὰ τῶν θεῶν πράγματα, ὅτι πρότερος γέγονε καὶ πλείονα οἶδεν, αὐτῷ δήπου τῷ πρεσβύτερος εἶναι. Καὶ γὰρ τὴν ἡλικίαν εἰς τοῦτο οἶμαι συντείνειν τοῖς ἔπεσιν, ὅτι συμβαίνει διὰ τὸν χρόνον πλείω γινώσκειν, ἐπεὶ τὸ γινώσκειν ἦν ἄρα τὸ τιμιώτατον. Εἰ δέ τις ὑφ’ ἑτέρων ἐπῶν ἀναπείθεται τὴν ἡγεμονίαν τοῦ Διὸς χειρῶν ἰσχὺν εἶναι λογίζεσθαι, ὅτι, φησί,

1.  Se il sonno possiede virtù profetiche – e le visioni oniriche recano agli uomini enigmatiche allusioni circa gli eventi futuri –, può essere detto saggio, ma certo non evidente; ovvero, la sua sapienza risiede anche nella sua oscurità. “Gli dèi hanno fatto sì che la vita fosse per gli uomini nascosta”.2

Ottenere i più grandi risultati senza sforzo è prerogativa divina; per l’essere umano, al contrario, non soltanto alla virtù, ma anche a tutto quel che è buono “gli dèi hanno posto innanzi il sudore”.3

La divinazione sarebbe dunque il più grande dei beni; infatti è proprio per la sapienza e, quindi, per la capacità cognitiva, che la divinità si differenzia dall’uomo e l’uomo dall’animale. Se alla divinità, per giungere alla conoscenza, è sufficiente la propria natura, per l’essere umano è comunque possibile, attraverso la divinazione, ottenere un grado molto più elevato di sapienza rispetto a quello che normalmente gli spetterebbe. In genere, infatti, la conoscenza umana è limitata al presente, mentre su quanto non è ancora avvenuto si possono soltanto fare delle supposizioni. Calcante in tutta l’assemblea panellenica era l’unico a conoscere “il presente, il futuro e il passato”4

e le faccende divine, in Omero, dipendono dalla volontà di Zeus perché “egli era nato prima e sapeva di più”,5 in quanto, appunto, era la divinità più anziana. In questi versi, a mio parere, viene enfatizzato il concetto dell’età proprio perché è con il tempo che si ottiene una conoscenza maggiore, la quale, di certo, era la qualità più stimata. Se qualcuno, leggendo altri passi, fosse portato a pensare che l’egemonia di Zeus dipendesse dal fatto che era fisicamente il più forte, in quanto, si dice,

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βίῃ δ’ ὅγε φέρτερος ἦεν,

οὗτος φορτικῶς ὡμίλησε τῇ ποιήσει καὶ ἀνήκοός ἐστι τῆς κατ’ αὐτὴν φιλοσοφίας, τοὺς θεοὺς οὐδὲν ἄλλο ἢ νοῦς λεγούσης. Ταύτῃ προσπερονᾷ πάλιν τῷ κατ’ ἀλκὴν περιεῖναι, τὸ καὶ γενεῇ πρότερος, τὸν Δία νοῦν λέγων ἀρχεγονώτερον· νοῦ δὲ ἰσχὺς τί ἂν ἄλλο ἢ φρόνησις εἴη; Καὶ ὅστις οὖν θεὸς ὢν ἄρχειν ἀξιοῦται θεῶν, νοῦς ὤν, σοφίας περιουσίᾳ κρατεῖ ὥστε καὶ τὸ βίῃ δ’ ὅγε φέρτερος εἰς ταὐτὸ ἡμῖν τῷ πλείονα οἶδεν ἀνακάμπτει καὶ περιΐσταται. Διὰ τοῦτο καὶ ὁ σοφὸς οἰκεῖος θεῷ, ὅτι πειρᾶται σύνεγγυς εἶναι τῇ γνώσει καὶ πραγματεύεται περὶ νόησιν ᾗ τὸ θεῖον οὐσίωται. 2.  Αὗται μὲν ἀποδείξεις ἔστων τοῦ μαντείαν ἐν τοῖς ἀρίστοις εἶναι τῶν ἐπιτηδευομένων ἀνθρώποις. Εἰ δὲ σημαίνει μὲν διὰ πάντων πάντα, ἅτε ἀδελφῶν ὄντων τῶν ἐν ἑνὶ ζῴῳ, τῷ κόσμῳ, καὶ ἔστι ταῦτα γράμματα παντοδαπά, καθάπερ ἐν βιβλίῳ, τοῖς οὖσι, τὰ μὲν Φοινίκια, τὰ δὲ Αἰγύπτια καὶ ἄλλα Ἀσσύρια, ἀναγινώσκει δὲ ὁ σοφός – σοφὸς δὲ ὁ φύσει μαθών –, καὶ ἄλλος ἄλλα καὶ ὁ μὲν μᾶλλον, ὁ δὲ ἧττον, ὥσπερ ὁ μὲν κατὰ συλλαβάς, ὁ δὲ ἀθρόαν τὴν λέξιν, ὁ δὲ τὸν λόγον ὁμοῦ· – οὕτως ὁρῶσι σοφοὶ τὸ μέλλον, οἱ μὲν ἄστρα εἰδότες, ἄλλος τὰ μένοντα, καὶ ἄλλος τὰ πυρσὰ τὰ διᾴττοντα, οἱ δὲ ἐν σπλάγχνοις αὐτὰ ἀναγνόντες, οἱ δὲ ἐν ὀρνίθων κλαγγαῖς καὶ καθέδραις καὶ πτήσεσι· τοῖς δὲ καὶ τὰ καλούμενα σύμβολα τῶν ἐσομένων ἐστὶν ἀρίδηλα γράμματα, φωναί τε καὶ συγκυρήσεις ἐπ’ ἄλλῳ γινόμεναι, σημαντικῶν ὄντων ἅπασι πάντων, ὥστ’, εἰ σοφία παρ’ ὄρνισιν ἦν, τέχνην ἂν ἐξ ἀνθρώπων, ὥσπερ ἡμεῖς ἐξ αὐτῶν, ἐπὶ τὸ ἐσόμενον συνεστήσαντο. Καὶ γὰρ ἡμεῖς ἐκείνοις,

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trattato sui sogni 1-2

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“prevaleva per la forza”,6

costui si rapporterebbe alla poesia in maniera grossolana e non saprebbe nulla della filosofia che in essa si cela, secondo la quale gli dèi non sono altro che delle forme di intelligenza. Così, Omero appone al fatto che Zeus prevalesse per la forza il concetto che fosse anche il “primo per nascita”,7 definendolo intelletto primordiale: che cos’altro sarebbe infatti la forza dell’intelletto se non l’intelligenza? Trattandosi di una divinità che è ritenuta degna di comandare sulle altre e di un intelletto che primeggia per sapienza, possiamo piegare e ricondurre l’espressione “prevaleva per la forza” a quella “sapeva di più”. Per questo motivo il saggio è prossimo a Dio: perché si sforza di avvicinarlo nella conoscenza e perché si occupa del pensiero, che è l’essenza stessa della divinità. 2.  Bastino queste considerazioni a dimostrazione del fatto che la divinazione rientra tra le migliori occupazioni possibili per gli esseri umani. Se tutte le cose si rappresentano vicendevolmente, dal momento che tutto ciò che si trova all’interno di un unico essere vivente, il cosmo in questo caso, è strettamente imparentato – quasi delle lettere diverse che, alcune fenicie, altre egizie, altre ancora assire, come all’interno di un libro, stanno a significare gli enti –, allora il saggio deve essere in grado di decifrarle (per saggio intendo colui che ha appreso dalla natura), seppure in maniera differente, e chi più e chi meno, come chi legge sillaba per sillaba, chi l’intera parola, chi il discorso nel suo insieme. Ecco come i saggi scorgono il futuro: alcuni osservano gli astri (l’uno le stelle fisse, l’altro quelle rosso fuoco che cadono nel cielo8), altri leggono le medesime cose nelle viscere degli animali; altri ancora si dedicano a interpretare i gridi, le pose e i voli degli uccelli. Per altri, infine, sono come chiare lettere i cosiddetti simboli del futuro, ovvero delle parole e delle associazioni che possono assumere significati diversi da quello apparente. Poiché ogni cosa può essere rappresentazione di ogni altra, se gli uccelli fossero stati sapienti avrebbero tratto un’arte mantica dagli esseri umani, così come noi abbiamo fatto con loro. Infatti noi per loro, così come loro per noi, siamo al

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ὥσπερ ἡμῖν ἐκεῖνοι, πάννεοι καὶ προπάλαιοι καὶ πανδέξιοι. Ἔδει γάρ, οἶμαι, τοῦ παντὸς τούτου συμπαθοῦς τε ὄντος καὶ σύμπνου τὰ μέρη προσήκειν ἀλλήλοις, ἅτε ἑνὸς ὅλου μέλη τυγχάνοντα. Καὶ μή ποτε αἱ μάγων ἴυγγες αὗται· καὶ γὰρ θέλγεται παρ’ ἀλλήλων ὥσπερ σημαίνεται· καὶ σοφὸς ὁ εἰδὼς τὴν τῶν μερῶν τοῦ κόσμου συγγένειαν. Ἕλκει γὰρ ἄλλο δι’ ἄλλου, ἔχων ἐνέχυρα παρόντα τῶν πλεῖστον ἀπόντων, καὶ φωνὰς καὶ ὕλας καὶ σχήματα· ὥσπερ γὰρ ἐν ἡμῖν σπλάγχνου παθόντος ἄλλο συμπέπονθεν, καὶ τὸ τοῦ δακτύλου κακὸν εἰς τὸν βουβῶνα ἀπερείδεται, πολλῶν τῶν μεταξὺ μὴ παθόντων· ἑνὸς γὰρ ἦν ἄμφω ζῴου καὶ ἔστιν αὐτοῖς τι μᾶλλον ἑτέρων πρὸς ἄλληλα. Καὶ δὴ καὶ θεῷ τινι τῶν εἴσω τοῦ κόσμου λίθος ἐνθένδε καὶ βοτάνη προσήκει, οἷς ὁμοιοπαθῶν εἴκει τῇ φύσει καὶ γοητεύεται, ὥσπερ ὁ τὴν ὑπάτην ψήλας οὐ τὴν παρ’ αὐτήν, τὴν ἐπόγδοον, ἀλλὰ τὴν ἐπιτρίτην καὶ τὴν νήτην ἐκίνησεν. Τοῦτο μὲν ἤδη τῆς προγενεστέρας ἐστὶν ὁμονοίας· ἔστι γάρ τις ὡς ἐν συγγενείᾳ τοῖς μέρεσι καὶ διχόνοια· οὐ γάρ ἐστιν ὁ κόσμος τὸ ἁπλῶς ἕν, ἀλλὰ τὸ ἐκ πολλῶν ἕν. Καὶ ἔστιν ἐν αὐτῷ μέρη μέρεσι προσήγορα καὶ μαχόμενα, καὶ τῆς στάσεως αὐτῶν εἰς τὴν τοῦ παντὸς ὁμόνοιαν συμφωνούσης, ὥσπερ ἡ λύρα σύστημα φθόγγων ἐστὶν ἀντιφώνων τε καὶ συμφώνων· τὸ δ’ ἐξ ἀντικειμένων ἕν, ἁρμονία καὶ λύρας καὶ κόσμου. 3.  Ἀρχιμήδης μὲν οὖν ὁ Σικελὸς ᾔτει χωρίον ἔξω τῆς γῆς ὡς ἑαυτὸν ἀντιταλαντεύσων ὅλῃ τῇ γῇ· ἐν αὐτῇ γὰρ ὢν οὐκ ἔχειν ἔφη δύναμιν πρὸς αὐτήν. Ὁ δὲ ὁτιοῦν περὶ τὴν φύσιν τοῦ κόσμου σοφός, ἔξω τεθείς, οὐκ ἂν ἔτ’ ἔχοι τῇ σοφίᾳ τι χρήσασθαι· αὐτῷ

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tempo stesso del tutto nuovi e antichissimi, perfettamente degni di portare auspici. Io credo che le parti di questo Tutto, permeato da un solo sentimento e respiro, dovrebbero venire a toccarsi tra di loro, in quanto membra di un solo, unico, insieme.9 Forse così si possono spiegare anche gli incantesimi dei maghi: difatti, come vicendevolmente ogni ente può significarsi, allo stesso modo può attrarsi. Saggio è colui che conosce la parentela tra le parti del cosmo: egli può attirare una cosa attraverso un’altra, potendo contare su formule, materiali e forme quali pegni presenti di enti lontanissimi.10 La stessa cosa avviene nel nostro corpo quando le viscere sono affette da una malattia e il male si manifesta contemporaneamente in qualche altro organo; così il dolore del dito può ripercuotersi sull’inguine senza che gran parte degli organi intermedi senta alcunché, dal momento che entrambi, il dito e l’inguine, appartengono al medesimo essere vivente ed esiste tra di loro un rapporto più forte rispetto a quello con gli altri organi.11 Persino una pietra o una pianta di quaggiù intesse dei rapporti con una qualche divinità interna al cosmo,12 la quale, avendo simili affezioni, può cedere alla natura e venire ammaliata: allo stesso modo chi pizzichi la corda più grave della lira, la hypate, non fa vibrare quella accanto, alla quale è legata da un rapporto epogdo, ma l’epitrite e la nete.13 Questo in virtù dell’unità originaria. Come avviene in ogni parentela, esiste anche una qualche difformità tra le parti: il cosmo non è una semplice unità, ma un’unità composta. In esso esistono parti reciprocamente in accordo e in contrasto, eppure la loro discordia riconduce armonicamente all’unità del Tutto, così come il suono della lira è un insieme di accordi dissonanti e consonanti; l’unità degli opposti è allora l’armonia, della lira e del cosmo. 3.  Archimede di Sicilia chiedeva uno spazio esterno alla terra per poter fare lui stesso da contrappeso a tutta la terra; rimanendovi sopra, diceva, non avrebbe potuto trovare la forza necessaria per agire su di essa.14 Eppure, nessuno, per quanto profondo conoscitore della natura del cosmo, se posto al di fuori di esso, potrebbe sfruttare la propria sapienza: per agire sul cosmo, infatti, si ha biso-

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γὰρ ἐπ’ αὐτὸν χρῆται. Διεσπασμένης οὖν τῆς συνεχείας μάτην ἂν ἴδοι καὶ ἄψυχα ἂν κατασημαίνοιτο σύμβολα. Καὶ ὅσον γὰρ ἔξω τοῦ κόσμου θεῖόν ἐστιν, ἅπαν ἐστὶν ἀγοήτευτον· ... ὁ δ’ ἀφήμενος οὐκ ἀλεγίζει οὐδ’ ὄθεται.

Ἡ γὰρ νοῦ φύσις ἀμείλικτος· τὸ δὲ παθητικόν ἐστι τὸ θελγόμενον. Τὸ μὲν δὴ πλάτος ἔν τε μαντείαις καὶ τελεταῖς, ἡ τῶν ἐν κόσμῳ παρέχεται πληθὺς καὶ συγγένεια, διαστάντων μὲν ἡ πληθύς, ἑνὸς δὲ ὄντων συγγένεια. Καὶ τελετὰς μέν, ἀλλὰ μηδὲ ὁ λόγος κινείτω, νόμῳ πολιτείας πειθόμενος· μαντικὴν δὲ ἀνεμέσητον ἀποδέξασθαι. Καὶ δὴ τὸ ὅλον αὐτῆς ἐκ τῶν ἐνόντων ἐγκεκωμίασται. Τὸ δὲ νῦν ἔχον ἔστι τὴν ἀρίστην ἀποτεμόμενον ἐμφιλοχωρῆσαι τῷ περὶ αὐτὴν σκέμματι, χαρακτῆρα κοινὸν ἐπὶ πάσαις ἔχοντας τὴν ἀσάφειαν, ὡς μηδεμιᾶς ἀξιοῦν ἔλεγχον εἶναι τὸ ἐν ὁλοκλήρῳ τῇ φύσει θεωρούμενον. Ὁ δὲ λόγος ἐδείκνυ καὶ τοῦτο σεμνόν, ὥσπερ ἐν τελεταῖς τὸ ἀπόρρητον. Οὕτως οὐδὲ τὰ χρηστήρια πᾶσι συνετὰ φθέγγεται, καὶ Λοξίας ἐκεῖθεν ὁ Πυθοῖ χρησμῳδὸς ὅτι τὸ ξύλινον τεῖχος, ὃ τοῖς Ἀθηναίοις ὁ θεὸς ἐδίδου σωτήριον, μάτην ἂν ἤκουσεν ἐκκλησιάζων ὁ δῆμος, εἰ μὴ Θεμιστοκλῆς ἀνέγνω τοῦ χρησμοῦ τὴν διάνοιαν. Ὥστε οὐδὲ ἐνταῦθά γε ἀπόβλητος ἡ διὰ τῶν ὕπνων εἴη μαντεία, κοινὴν ἔχουσα πρός τε τὰ ἄλλα καὶ πρὸς τοὺς χρησμοὺς τὴν ἐπίκρυψιν. 4.  Ἐπιθετέον δὲ μάλιστα μαθήσεων ταύτῃ ὅτι παρ’ ἡμῶν αὕτη καὶ ἔνδοθεν καὶ ἰδία τῆς ἑκάστου ψυχῆς. Νοῦς μὲν γὰρ ἔχει τὰ εἴδη

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gno del cosmo stesso. Una volta spezzata la continuità, invano si faranno delle osservazioni e ogni manifestazione sarà ridotta a simbolo privo di anima. Tutto ciò che di divino si trova al di fuori del cosmo15 non può essere assolutamente fatto oggetto di sortilegi: “egli se ne sta seduto lontano, senza inquietarsi né preoccuparsi”.16

La natura dell’intelletto, infatti, è inflessibile: tutto quel che ha a che fare con i sentimenti, invece, si lascia incantare. La grande varietà di pratiche divinatorie e di riti misterici è data dall’ampiezza e dalla parentela degli elementi cosmici, ovvero dall’ampiezza degli enti se intesi come separati e dalla parentela soggiacente che li riconduce all’unità. Tuttavia, nel presente trattato, non ci addentreremo nella questione dei riti misterici, in obbedienza alle leggi dello Stato; della divinazione, al contrario, si può parlare liberamente.17 Di questa disciplina nel suo insieme abbiamo già tessuto le lodi tutte le volte che abbiamo potuto. Quello che intendiamo fare adesso è individuare la sua forma migliore e quindi soffermarci ad analizzarla, pur tenendo conto del fatto che la mancanza di chiarezza rimane comunque caratteristica comune a ogni tipologia di divinazione e che, di conseguenza, per nessuna di esse può essere ritenuto un valido argomento quanto si osserva nella natura tutta intera.18 In questo trattato abbiamo già dimostrato come la mancanza di chiarezza sia qualcosa di venerabile, al pari del segreto nei riti misterici. Neppure gli oracoli pronunciano responsi comprensibili a tutti, tant’è che il vaticinatore pitico è detto Lossia.19 Basti il fatto che invano, se Temistocle non avesse colto il senso dell’oracolo, il popolo riunito in assemblea avrebbe sentito parlare del “muro di legno” che la divinità aveva dato a tutti gli Ateniesi come possibilità di salvezza.20 Ne consegue che non si può per questo disprezzare la mantica onirica, la quale condivide con ogni altro tipo di divinazione – in particolare con gli oracoli – una certa oscurità. 4.  Bisogna applicarsi a questa disciplina più che a qualunque altra, in quanto essa proviene da noi, dalla nostra interiorità ed è un pos-

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τῶν ὄντων, ἀρχαία φιλοσοφία φησί. Προσθείημεν δ’ ἂν ἡμεῖς ὅτι καὶ τῶν γινομένων ψυχή· ἐπειδὴ λόγος ἐστὶ νῷ πρὸς ψυχήν ὅστις τῷ ὄντι πρὸς τὸ γινόμενον. Ἐναλλὰξ οὖν πρώτῳ πρὸς τρίτον καὶ δευτέρῳ πρὸς τέταρτον, καὶ ἀνάπαλιν λαβόντες, οὐδὲν ἧττον ἂν ἀληθεύοιμεν ὅροις ἐπιστήμης ἑπόμενοι. Οὕτως ἂν ἀποδεδειγμένον εἴη τὸ ὑφ’ ἡμῶν ἀξιούμενον, ὅτι τὰ εἴδη τῶν γινομένων ἔχει ψυχή· ἔχει μὲν οὖν πάντα, προβάλλει δὲ τὰ προσήκοντα καὶ ἐνοπτρίζει τὴν φαντασίαν, δι’ ἧς τὴν ἀντίληψιν τῶν ἐκεῖ μενόντων ἴσχει τὸ ζῷον. Ὥσπερ οὖν οὐδὲ τοῦ νοῦ τῶν ἐνεργειῶν ἐπαΐομεν, πρὶν τῷ κοινῷ τὴν ἐπιστατικὴν δύναμιν ἀπαγγεῖλαι, καὶ τὸ μὴ εἰς ἐκείνην ἧκον λανθάνει τὸ ζῷον, οὕτως οὐδὲ τῶν ἐν τῇ πρώτῃ ψυχῇ τὴν ἀντίληψιν ἴσχομεν πρὶν εἰς φαντασίαν ἥκειν αὐτῶν ἐκμαγεῖα. Καὶ ἔοικεν αὕτη ζωή τις εἶναι μικρὸν ὑποβᾶσα καὶ ἐν ἰδιότητι φύσεως στᾶσα. Αἰσθητήριά γέ τοι πάρεστι κατ’ αὐτήν. Καὶ γὰρ χρώματα ὁρῶμεν καὶ ψόφων ἀκούομεν καὶ ἁφῆς πληκτικωτάτην ἀντίληψιν ἴσχομεν, ἀνενεργήτων ὄντων τῶν ὀργανικῶν μορίων τοῦ σώματος. Καὶ μή ποτε ἱερώτερον τοῦτο γένος αἰσθήσεως. Κατ’ αὐτό γέ τοι καὶ θεοῖς τὰ πολλὰ συγγινόμεθα καὶ νουθετοῦσι καὶ χρῶσι καὶ τἆλλα προμηθουμένοις. Ὥστε εἰ μέν τῳ γέγονεν θησαυρὸς ὕπνου δῶρον, οὐκ ἐν θαυμαστοῖς ἄγω· οὐδ’ εἴ τις καταδαρθὼν ἄμουσος, ἔπειτα ἐντυχὼν ὄναρ ταῖς Μούσαις, καὶ τὰ μὲν εἰπὼν τὰ δὲ ἀκούσας, ποιητής ἐστι δεξιός, ὥσπερ ὁ καθ’ ἡμᾶς χρόνος ἤνεγκεν, οὐδὲ τοῦτο τῶν λίαν ἐστὶ παραδόξων. Ἐῶ δ’ ἔγωγε καὶ ἐπιβουλὰς καταμηνυθείσας καὶ ὅσοις ὕπνος ἰατρὸς ἐξάντη τὴν νόσον ἐποίησεν, ἀλλ’ ὅταν εἰς τὰς τελεωτάτας τῶν ὄντων ἐποψίας ὁδὸν ἀνοίξῃ τῇ ψυχῇ τῇ μὴ ὀρεχθείσῃ ποτὲ μηδὲ εἰς νοῦν βαλομένῃ

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sesso di ciascuna anima. L’intelletto, infatti, possiede le immagini degli enti, come dice l’antica filosofia.21 Noi potremmo aggiungere che l’anima contiene quelle del divenire. Infatti, il rapporto che c’è tra l’intelletto e l’anima è il medesimo che intercorre tra l’essere e il divenire. Permutando il primo elemento con il terzo e il secondo con il quarto non possiamo in alcun modo alterare la verità dell’enunciato (lo stesso pure se invertissimo i termini), in quanto ci atteniamo ai princìpi della scienza. Ecco dunque che si può dimostrare quanto avevamo sostenuto in precedenza e cioè che l’anima possiede le immagini del divenire.22 Essa le contiene tutte, eppure emette soltanto quelle di volta in volta convenienti, proiettandole, quasi fosse uno specchio, sull’immaginazione;23 è attraverso di essa, poi, che l’essere vivente riesce ad avere una percezione delle cose che risiedono nell’anima. Noi non percepiamo le attività dell’intelletto prima che la facoltà analitica24 non le abbia trasmesse per il tramite della ragione comune: ciò che non le arriva resta quindi ignoto all’essere vivente. Allo stesso modo, non possediamo neppure la percezione di ciò che risiede nella prima anima, prima che le sue impronte non sopraggiungano all’immaginazione. Questa pare essere una sorta di vita di livello inferiore, con una peculiare natura; in essa sono presenti delle facoltà percettive, grazie alle quali possiamo vedere colori, udire suoni, nonché avere una forte sensazione del tatto, anche quando gli organi di senso corporei sono inattivi. Probabilmente si tratta di un tipo di percezione più sacro: sicuramente è attraverso di esso che il più delle volte entriamo in contatto con gli dèi, che ci ammoniscono, ci trasmettono oracoli e si prendono cura di tutte le altre faccende. Perciò non c’è da stupirsi se a qualcuno il sogno ha portato in dono un tesoro; e neppure se qualcuno, addormentatosi senza avere alcuna capacità poetica, ha poi incontrato in sogno le Muse e, dopo aver parlato con loro e averle ascoltate, è divenuto un abile poeta, come è accaduto anche ai nostri giorni: neanche questo è troppo incredibile.25 Tralascio le congiure svelate dai sogni e tutti quei casi in cui il sonno, come un medico, ha guarito una malattia; ma, qualora esso schiudesse la strada delle più alte visioni degli enti all’anima che non ha mai desiderato né concepito una simile salita, allora si

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τὴν ἄνοδον, τοῦτο ἂν εἴη τὸ ἐν τοῖς οὖσι κορυφαιότατον, φύσεως ὑπερκύψαι καὶ συνάψαι τῷ νοητῷ τὸν ἐς τοσοῦτο πεπλανημένον ὡς μὴ ὅθεν ἦλθεν εἰδέναι. Εἰ δέ τις μέγα μὲν οἴεται τὴν ἀναγωγήν, φαντασίᾳ δὲ ἀπιστεῖ μή τοι καὶ κατ’ αὐτήν ποτε πορισθῆναι τὴν εὐδαίμονα συναφήν, ἀκουσάτω τῶν ἱερῶν λογίων ἃ λέγει περὶ διαφόρων ὁδῶν. Μετὰ δὴ τὸν ὅλον κατάλογον τῶν οἴκοθεν εἰς ἀναγωγὴν ἀφορμῶν, καθ’ ὃν ἔξεστι τὸ ἔνδοθεν σπέρμα αὐξῆσαι· τοῖς δέ – φησί – διδακτὸν ἔδωκε φάους γνώρισμα λαβέσθαι· τοὺς δὲ καὶ ὑπνώοντας ἑῆς ἐνεκάρπισεν ἀλκῆς.

Ὁρᾷς; Ἀντιδιέστειλεν εὐμοιρίας μαθήσεων. Ὁ μὲν ὕπαρ, φησίν, ὁ δὲ ὄναρ διδάσκεται· ἀλλ’ ὕπαρ μὲν ἄνθρωπός ἐστιν ὁ διδάσκων, τὸν ὑπνώοντα δὲ θεὸς ἑῆς ἐνεκάρπισεν ἀλκῆς, ὡς ταὐτὸν εἶναι τὸ μανθάνειν τε καὶ τυγχάνειν· τὸ γὰρ ἐγκαρπίσαι καὶ πλέον ἐστὶ τοῦ διδάξαι. 5.  Ἀλλὰ τοῦτο μὲν ἡμῖν παρειλήφθω παραστατικὸν τῆς ἀξίας τῆς κατὰ τὴν ἐν φαντασίᾳ ζωὴν πρὸς τοὺς ἀπογινώσκοντας αὐτῆς καὶ τὰ ἐλάττω· ὡς οὐδὲν θαῦμα οὕτω γινώσκειν ὑπὸ περιττῆς σοφίας προστετηκότας τοῖς ὑπὸ τῶν λογίων ἀποκηρύκτοις. Φησὶ γάρ· οὐ θυσιῶν σπλάγχνων τε τομαί· τάδ’ ἀθύρματα πάντα,

καὶ φεύγειν αὐτὰ παρακελεύεται· οἱ δέ, ἅτε ὄντες ὑπὲρ τὸ πλῆθος, τέχνας μὲν ἐπὶ τὸ ἐσόμενον ἄλλος ἄλλας ἀπολαβόντες, ἀξιοῦσιν ἐργάζεσθαι· ὀνείρων δὲ ὑπερορῶσιν ὡς προὔπτου πράγματος, οὗ μέτεστιν ὁμοτίμως ἀμαθεῖ τε καὶ σοφῷ. Τί οὖν, εἰ ταύτῃ καὶ σο-

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tratterebbe del massimo che possa capitare: chi ha vagato al punto di non sapere più da dove proviene si spingerebbe ben oltre la natura e si congiungerebbe all’intelligibile. Se qualcuno26 ritiene che condurre l’anima in una tale direzione sia un fatto positivo ma non pensa di poter ottenere quell’unione beata mediante l’immaginazione, allora ascolti ciò che si dice nei sacri discorsi a proposito delle differenti vie. Dopo tutto l’elenco dei vari modi che abbiamo a disposizione per avviare l’ascesa, secondo cui è possibile accrescere il nostro seme interiore, si dice: “ad alcuni [Dio] concesse con lo studio di afferrare  il simbolo della luce; altri, che dormivano, li fecondò con la propria forza”.27

Visto? L’oracolo distingue due modi per giungere alla conoscenza. In un caso si apprende da svegli, nell’altro mentre si dorme; tuttavia, nel primo caso è l’uomo a essere insegnante, mentre nel secondo è Dio a fecondarlo nel sonno con la propria forza, facendo quindi dell’apprendere e dell’ottenere una cosa sola; ed essere fecondati da Dio è certo molto meglio che insegnare. 5.  Quanto si è detto sia assunto come prova del valore della vita che dimora nell’immaginazione, contro coloro che non sono pronti a riconoscerne neppure le più insignificanti manifestazioni. Non stupisce affatto che pensino così coloro che, presi da una vana sapienza, sono dediti a pratiche ripudiate dagli oracoli. In essi, appunto, si dice: “sezionare le vittime del sacrificio e le loro viscere:  null’altro che un passatempo”28

e si esorta addirittura a evitare simili azioni. Costoro, considerandosi al di sopra della massa, traggono presagi sul futuro ricorrendo ora all’una ora all’altra arte divinatoria, reputando comunque cosa buona operare in tal senso; ciononostante, essi guardano ai sogni con sufficienza, ritenendoli delle manifestazioni troppo evidenti, accessibili in egual misura all’ignorante e al saggio. Ma che cosa c’è di strano nel fatto che l’uomo sapiente possa incrementare la

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φός, ὅτι τοῦ κοινοῦ πλέον τυγχάνει; Τοιγάρτοι καὶ τὰ ἄλλα ἀγαθά, καὶ τούτων γε μᾶλλον τὰ μέγιστα, κοινότατα πρόκεινται. Ἡλίου γὰρ οὔτε θεσπεσιώτερον ἐν τοῖς ὁρωμένοις οὐδὲν οὔτε δημοσιώτερον. Εἰ δὲ τὸ αὐτοπτῆσαι θεὸν χρῆμα εὔδαιμον, τὸ διὰ φαν­ τασίας ἑλεῖν πρεσβυτέρας αὐτοψίας ἐστίν. Αἴσθησις γὰρ αἰσθήσεων αὕτη, ὅτι τὸ φανταστικὸν πνεῦμα κοινότατόν ἐστιν αἰσθητήριον καὶ σῶμα πρῶτον ψυχῆς. Ἀλλὰ τὸ μὲν ἐνδομυχεῖ καὶ τὴν ἀρχὴν ἔχει τοῦ ζῴου καθάπερ ἐξ ἀκροπόλεως· περὶ γὰρ αὐτὸ πᾶσαν τὴν τῆς κεφαλῆς πραγματείαν ἡ φύσις ᾠκοδομήσατο. Ἀκοὴ δὲ καὶ ὄψις οὐκ εἰσὶν αἰσθήσεις, ἀλλ’ αἰσθήσεως ὄργανα τῆς κοινῆς ὑπηρέτιδες, οἷον πυλωροὶ τοῦ ζῴου διαγγέλλουσαι τῇ δεσποίνῃ τὰ θύραθεν αἰσθητὰ ὑφ’ ὧν θυροκοπεῖται τὰ ἔξωθεν αἰσθητήρια. Καὶ ἡ μὲν ἅπασι τοῖς μέρεσιν αὑτῆς αἴσθησίς ἐστιν ἐντελής· ὅλῳ τε γὰρ ἀκούει τῷ πνεύματι, καὶ ὅλῳ βλέπει, καὶ τὰ λοιπὰ πάντα δύναται· διανέμει δὲ τὰς δυνάμεις ἄλλην κατ’ ἄλλο καὶ προὔκυψαν ἐκ τοῦ ζῴου χωρὶς ἑκάστη καὶ εἰσὶν οἷον εὐθεῖαί τινες ἐκ κέντρου ῥυεῖσαι καὶ εἰς τὸ κέντρον συννεύουσαι, μία μὲν πᾶσαι κατὰ τὴν κοινὴν ῥίζαν, πολλαὶ δὲ κατὰ τὴν πρόοδον. Ζῳωδεστάτη μὲν οὖν ἡ διὰ τῶν προβεβλημένων ὀργάνων αἴσθησις, οὐδὲ αἴσθησις οὖσα πρὶν ἐπὶ τὴν πρώτην φθάσῃ· ἡ θειοτέρα δὲ καὶ ψυχῇ προσεχής, ἡ ἄμεσος αἴσθησις. 6.  Εἰ δὲ τὰς σωματικὰς αἰσθήσεις διὰ τὸ γινώσκειν τιμῶντες, ὅτι μάλιστα ἴσμεν ἃ τεθεάμεθα, φαντασίαν ἀποσκορακίζοιμεν ὡς ἀπιστοτέραν αἰσθήσεως, ἐοίκαμεν ἐπιλαθομένοις ὅτι μηδὲ ὀφθαλμὸς ἅπαντα ἀληθῆ δείκνυσιν, ἀλλ’ ὁ μὲν οὐδὲ δείκνυσιν, ὁ δὲ ψεύδεται, καὶ παρὰ τὴν φύσιν τῶν ὁρωμένων, καὶ δι’ ὧν ὁρᾶται·

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propria conoscenza anche così, ottenendo più degli altri da un bene comune a tutti? D’altra parte anche gli altri beni, e massimamente quelli più importanti, sono sotto gli occhi di tutti. Non esiste allo sguardo cosa più divina e al tempo stesso più comune del sole.29 Se osservare la divinità con i propri occhi è già di per sé un evento beato, carpirla mediante l’immaginazione è certo il segno di una vista ancora più acuta. Si può dire che l’immaginazione è la percezione delle percezioni, poiché lo spirito immaginativo30 è l’organo sensoriale cui fanno capo tutti gli altri, nonché il primo corpo dell’anima. Esso se ne sta all’interno dell’essere vivente e ne detiene il comando come da un’acropoli,31 avendo la natura posto attorno a questo tutta l’attività della testa. L’udito e la vista, infatti, non sono sensi, ma strumenti servi del senso comune, quasi fossero i portieri dell’essere vivente che annunciano alla padrona i percettibili che se ne stanno al di fuori della porta e che hanno bussato agli organi di senso esterni. Il senso comune, dunque, pur composto di varie parti, è unico e perfetto: ode, vede e fa tutto il resto, infatti, con lo spirito nella sua interezza. Distribuisce ogni facoltà percettiva al corrispettivo organo. Ognuna di queste facoltà emerge quindi dall’essere vivente autonomamente, quasi come delle linee rette che da un centro si irradiano per poi in esso tornare a convergere: quando coincidono nel comune punto d’origine esse si riducono a unità, ma quando di lì si dipartono diventano molte. La percezione più animalesca è quella che si ha mediante gli organi di senso esterni, la quale, a ben vedere, non è neppure percezione prima di raggiungere il centro delle sensazioni; più divina e prossima all’anima, in effetti, è la percezione ottenuta senza alcun tipo d’intermediazione. 6.  Se, stimando le percezioni corporee in quanto ci fanno conoscere (in effetti noi sappiamo soprattutto quello che abbiamo visto), disprezzassimo l’immaginazione, considerandola meno attendibile di quelle, dimenticheremmo che gli occhi non sempre mostrano la verità; questi, al contrario, talvolta non mostrano proprio nulla, talvolta ingannano, sia in relazione alla natura degli oggetti osservati sia ai filtri attraverso i quali si osserva. In base alla distanza,

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ταῖς γὰρ ἀποστάσεσιν ἐλάττω καὶ μείζω ταῦτα, καὶ τὰ καθ’ ὕδατος μείζω, ἡ δὲ κώπη κεκλασμένη προσπίπτει· καὶ παρὰ τὴν ἀδυναμίαν τὴν αὐτὸ αὑτοῦ τὸ ὄμμα· λημῶν γὰρ συγκεχυμένα καὶ ἀδιάκριτα δείκνυσι. Καὶ ὅστις οὖν τὸ φανταστικὸν πνεῦμα νοσεῖ, μὴ ἀπαιτείτω σαφῆ μηδὲ εἰλικρινῆ τὰ θεάματα· ἥτις δὲ αὐτοῦ νόσος καὶ οἷς λημᾷ καὶ παχύνεται καὶ οἷς καθαίρεται καὶ ἀπειλικρινεῖται καὶ εἰς τὴν φύσιν ἐπάνεισι, τῆς ἀπορρήτου φιλοσοφίας πυνθάνου, ὑφ’ ἧς καὶ καθαιρόμενον διὰ τελετῶν, ἔνθεον γίνεται. Αἵ τε εἰσκρίσεις, πρὶν τὸν θεὸν ἐπεισαγαγεῖν τὸ φανταστικόν, ἐκθέουσι. Καὶ ὅστις αὐτὸ διὰ τοῦ κατὰ φύσιν βίου τηρεῖ καθαρόν, ἑτοίμῳ χρῆται, ὡς ταύτῃ πάλιν εἶναι κοινότατον· ἐπαΐει γὰρ τὸ πνεῦμα τοῦτο τῆς ψυχικῆς διαθέσεως καὶ οὐκ ἀσύμπαθές ἐστι καθ’ αὑτό, καθάπερ τὸ ὀστρεῶδες περίβλημα. Ἐκεῖνο μὲν γὰρ καὶ ἀντίθεσιν ἔχει πρὸς τὰς ἀμείνους τῆς ψυχῆς διαθέσεις. Ἀλλά τοι τὸ πρῶτον αὐτῆς καὶ ἴδιον ὄχημα, ἀγαθυνομένης μὲν λεπτύνεται καὶ ἀπαιθεροῦται, κακυνομένης δὲ παχύνεται καὶ γεοῦται. Ὅλως γὰρ τοῦτο μεταίχμιόν ἐστιν ἀλογίας καὶ λόγου, καὶ ἀσωμάτου καὶ σώματος, καὶ κοινὸς ὅρος ἀμφοῖν· καὶ διὰ τούτου τὰ θεῖα τοῖς ἐσχάτοις συγγίνεται. Ταύτῃ καὶ χαλεπόν ἐστιν αἱρεθῆναι διὰ φιλοσοφίας τὴν φύσιν αὐτοῦ. Ἐρανίζεται γάρ τι προσῆκον ὡς ἐκ γειτόνων ἀφ’ ἑκατέρου τῶν ἄκρων, καὶ φαντάζεται μιᾷ φύσει τὰ τοσοῦτον ἀπῳκισμένα. 7.  Τό γέ τοι πλάτος τῆς φανταστικῆς οὐσίας ἐξέχεεν ἡ φύσις εἰς πολλὰς μοίρας τῶν ὄντων. Καταβαίνει γέ τοι μέχρι ζῴων, οἷς οὐκέτι πάρεστι νοῦς, οὐδέ ἐστιν ὄχημα τότε θειοτέρας ψυχῆς, ἀλλ’ αὐτὴ ταῖς ὑποκειμέναις δυνάμεσιν ἐποχεῖται, αὐτὴ λόγος οὖσα τοῦ ζῴου, καὶ πολλὰ κατ’ αὐτὴν φρονεῖ τε καὶ πράττει δεόντως. Καθαίρεταί γέ τοι καὶ ἐν ἀλόγοις, ὡς εἰσφρεῖσθαί τι κρεῖττον·

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infatti, le cose possono apparire più grandi o più piccole; sott’acqua appaiono più grandi e un remo può addirittura sembrare spezzato. Lo stesso può accadere per un difetto proprio degli occhi: se sono miopi, mostrano gli oggetti confusi e indistinti. D’altronde, neppure chi abbia lo spirito immaginativo turbato pretenda di avere visioni chiare e nitide. In che cosa consista la malattia dello spirito, per quali ragioni esso diventi miope e si ispessisca, per quali altre, invece, si rischiari e si purifichi, ritornando alla sua propria natura, tutto questo lo si apprenda dalla filosofia occulta, la quale, una volta che quello sia stato purificato dal rito iniziatico, potrà renderlo atto a contenere la divinità. Allora, tutto quel che si era insinuato al suo interno prima che accogliesse in sé la divinità fuggirà via. Chi, attraverso una condotta di vita conforme alla natura, mantenga lo spirito puro è sempre pronto a servirsene, in quanto, di nuovo, esso è il senso più generale. Lo spirito, infatti, essendo per sua stessa natura sensibile, risente dello stato dell’anima, al contrario del “guscio d’ostrica”,32 che si trova in totale antitesi con le sue più nobili disposizioni. Lo spirito, appunto, in quanto dell’anima primo e particolare veicolo, si assottiglia e si fa più simile all’etere se quella persegue il bene, mentre si ispessisce e diviene terroso se quella compie il male. È perfettamente intermedio, infatti, alla ragione e all’irrazionalità, al corporeo e all’incorporeo, di cui rappresenta il confine comune: è proprio passando attraverso lo spirito che gli esseri divini riescono ad avere una relazione con gli elementi più infimi. Per questo è difficile definirne filosoficamente la natura: assume le proprie caratteristiche da entrambi gli estremi, quasi fossero due vicini, riuscendo a far convergere in un’unica forma elementi tra di loro così distanti. 7.  La natura ha fatto sì che l’essenza dell’immaginazione si estendesse a molte parti che compongono l’essere. Discende infatti anche sino agli animali privi d’intelletto, per i quali non è però il veicolo di un’anima più divina, venendo piuttosto veicolata dalle capacità inferiori; in tal caso, viene a costituire di per sé la ragione dell’animale, il quale, servendosene, riesce a capire molte cose e ad agire in modo appropriato. Si può purificare anche negli esseri irrazio-

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γένη τε ὅλα δαιμόνων οὐσίωται τῇ τοιαύτῃ ζωῇ· ἐκεῖνα μὲν γὰρ, καθ’ ὅλον αὑτῶν τὸ εἶναι, εἰδωλικά τε ὄντα καὶ τοῖς γινομένοις ἐμφανταζόμενα, ἀνθρώπῳ δὲ τὰ πολλὰ καθ’ αὑτὴν καὶ μόνην, ἢ μεθ’ ἑτέρου πλείονα. Τὰς γὰρ νοήσεις οὐκ ἀφαντάστους ποιούμεθα, πλὴν εἰ δή τις ἐν ἀκαρεῖ ποτε ἐπαφὴν ἔσχεν εἴδους ἀΰλου· τὸ δὲ ὑπερκύψαι φαντασίαν χαλεπὸν οὐχ ἧττον ἢ εὔδαιμον· νοῦς γάρ, φησί, καὶ φρόνησις ἀγαπητὸν ὅτῳ καὶ εἰς γῆρας ἀφίκοιντο, τὴν ἀφάνταστον λέγων· ὡς ἥ γε προβεβλημένη ζωὴ φαντασίας ἐστὶν ἢ νοῦ φαντασίᾳ χρωμένου. Τό γέ τοι πνεῦμα τοῦτο τὸ ψυχικόν, ὃ καὶ πνευματικὴν ψυχὴν προσηγόρευσαν οἱ εὐδαίμονες, καὶ θεὸς καὶ δαίμων παντοδαπὸς καὶ εἴδωλον γίνεται, καὶ τὰς ποινὰς ἐν τούτῳ τίνει ψυχή· χρησμοί τε γὰρ ὁμοφωνοῦσι περὶ αὐτοῦ, ταῖς ὄναρ φαντασίαις τὴν ἐκεῖ διεξαγωγὴν τῆς ψυχῆς προσεικάζοντες, καὶ φιλοσοφία συντίθεται παρασκευὰς εἶναι δευτέρων βίων τοὺς πρώτους, τῆς τε ἀρίστης ἕξεως ἐν ψυχαῖς ἐλαφριζούσης αὐτὸ καὶ ἐναπομοργνυμένης κηλῖδα τῆς χείρονος. Ὁλκαῖς οὖν φυσικαῖς ἢ μετέωρον αἴρεται διὰ θερμότητα καὶ ξηρότητα· καὶ τοῦτο ἄρα ἡ ψυχῆς πτέρωσις – τό τε αὔη [ξηρὴ] ψυχὴ σοφή πρὸς οὐδὲν ἄλλο τῷ Ἡρακλείτῳ τεῖνον εὑρίσκομεν –, ἢ παχὺ καὶ ὑγρὸν γινόμενον τοῖς χηραμοῖς τῆς γῆς ἐνδύεται, ῥοπῇ φυσικῇ φωλεῦον καὶ ὠθούμενον εἰς τὴν κατάγαιον χώραν· τόπος γὰρ οὗτος οἰκειότατος ὑγροῖς πνεύμασι. Κἀκεῖ μὲν κακοδαίμων τε καὶ ποιναῖος ὁ βίος· ἔξεστι δὲ χρόνῳ καὶ πόνῳ καὶ βίοις ἄλλοις καθηραμένην ἀναδῦναι. Γενομένη γὰρ ἀμφίβιον δίαυλον θεῖ καὶ παρὰ μέρος ὁμιλεῖ τοῖς χείροσι καὶ τοῖς κρείττοσιν· ἣν δανείζεται μὲν ἀπὸ τῶν σφαιρῶν ἡ πρώτη ψυχὴ κατιοῦσα κἀκείνης ὥσπερ σκάφους ἐπιβᾶσα τῷ σωματικῷ κόσμῳ συγγίνεται. Ἀγῶνα δὲ ἀγωνίζεται τοῦτον ἢ συναναγαγεῖν,

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nali, introducendo così in loro qualcosa di migliore. Tutte le varie specie demoniche hanno una tale forma di vita: nella totalità del loro essere, infatti, non sono altro che delle evanescenze che si rendono visibili nel divenire. Nell’uomo, invece, l’immaginazione agisce molte volte per se stessa e da sola, oppure, più spesso, associata a un’altra facoltà. Senza l’immaginazione, difatti, noi non siamo in grado di formare pensieri, eccetto il caso in cui qualcuno, in un attimo, non riesca a percepire un’immagine priva di materia; ma spingersi al di sopra dell’immaginazione è impresa difficile quanto beata. Quello33 afferma che è già cosa ottima che l’intelletto e la saggezza giungano con la vecchiaia, intendendo con questo proprio il pensiero privo di immaginazione. La vita proiettata sarebbe propria, allora, o dell’immaginazione o dell’intelletto che di essa si serve. Questo spirito animato (lo stesso che i beati definirono anima spirituale) diviene dio, demone multiforme e fantasma; in esso l’anima sconta le proprie pene. Gli oracoli concordano tutti su questo punto, paragonando alle immagini oniriche la condizione dell’anima nell’aldilà, e la filosofia conviene nel sostenere che le prime vite sono propedeutiche alle seconde, dal momento che una migliore condizione dell’anima ha il potere di sollevare lo spirito, mentre una peggiore di imprimervi la macchia della materia. Grazie al suo calore e alla sua secchezza, lo spirito è attratto verso l’alto naturalmente, divenendo piumaggio dell’anima (riteniamo che a null’altro si riferisca Eraclito con l’espressione “l’anima saggia è secca”34); tuttavia, se diviene denso e umido, allora, per inclinazione naturale, sprofonda nei recessi della terra, acquattandosi e immergendosi sempre più nella regione sotterranea (luogo straordinariamente adatto agli spiriti umidi). Là conduce una vita infelice e di castigo; è possibile tuttavia che l’anima, purificatasi con il tempo, con la fatica e con altre vite, riemerga. Nata infatti come essere anfibio, essa intraprende una doppia corsa,35 accompagnandosi, di volta in volta, agli elementi peggiori e a quelli migliori. La prima anima prende in prestito l’immaginazione dalle sfere celesti durante la propria discesa e si trova congiunta a essa, quasi fosse la sua navicella, quando si addentra nel cosmo corporeo. Questa dunque è la sfida che l’anima si trova a dover affrontare: risalire

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ἢ μή τοι συγκαταμεῖναι· μόλις μὲν γάρ, ἀλλὰ γένοιτ’ ἂν ἀφεῖναι μὴ συνεπόμενον· οὐ γὰρ θέμις ἀπιστεῖν ἐγνωσμένων τῶν τελετῶν· αἰσχρὰ δ’ ἂν ἐπάνοδος γένοιτο μὴ ἀποδιδούσαις τὸ ἀλλότριον, ἀλλὰ περὶ γῆν ἀπολειπούσαις ὅπερ ἄνωθεν ἠρανίσαντο. Καὶ τοῦτο μὲν ἑνὶ καὶ δευτέρῳ δῶρον ἂν γένοιτο τελετῆς καὶ θεοῦ· φύσιν δὲ ἔχει τὴν ἅπαξ ἐγκεκεντρισμένην εἰς αὐτὸ ψυχὴν ἢ ὁμορροθεῖν ἢ ἕλκειν ἢ ἕλκεσθαι· πάντως γε μέντοι συνεῖναι μέχρι τῆς ὅθεν ἦλθεν ἐπανόδου. Ὥστε καὶ βρῖθον ὑπὸ κάκης συγκατασπᾷ τὴν ἐφεῖσαν αὐτῷ βαρυνθῆναι ψυχήν. Καὶ τοῦτ’ ἔστιν ᾧ δεδίττεται τὰ λόγια τὸ νοερὸν ἐν ἡμῖν σπέρμα· μηδὲ κάτω νεύσῃς εἰς τὸν μελαναυγέα κόσμον, ᾧ βυθὸς αἰὲν ἄπιστος ὑπέστρωται καὶ ἀειδής, ἀμφικνεφής, ῥυπόων, εἰδωλοχαρής, ἀνόητος.

Νῷ γὰρ πῶς καλὸν βίος ἔμπληκτος καὶ ἀνόητος; Τῷ δὲ εἰδώλῳ, διὰ τὴν ποιὰν τότε τοῦ πνεύματος σύστασιν, ἡ κάτω χώρα προσήκει· ὁμοίῳ γὰρ τὸ ὅμοιον ἥδεται. 8.  Εἰ δὲ ἓν ἐξ ἀμφοῖν τῷ συνδυασμῷ γίνεται, καὶ ὁ νοῦς ἂν ἐμβαπτισθείη τῷ ἥδεσθαι. Καίτοι τοῦτο κακῶν ἂν εἴη τὸ ἔσχατον, μηδ’ ἐπαΐειν κακοῦ παρόντος· τοῦτο γάρ ἐστι μηδ’ ἀναδῦναι ζητούντων, ὥσπερ ὁ σκίρρος τῷ μηκέτι λυπεῖν οὐδὲ ὑπομιμνήσκει τοῦ σῴζεσθαι· καὶ διὰ τοῦτο ἀναγωγὸν ἡ μετάνοια. Ὁ γὰρ τὰ ἐν οἷς ἐστι δυσχεραίνων φυγὴν μηχανᾶται· καὶ καθαρμοῦ τὸ μέγιστον μέρος ἡ βούλησις· ταύτῃ γὰρ ὀρέγει χεῖρα τὰ δρώμενά τε καὶ τὰ λεγόμενα· ἀπούσης δὲ ἄψυχος ἅπασα καθαρτικὴ τελετή, κολοβὸς οὖσα τοῦ μεγίστου συνθήματος. Καὶ διὰ τοῦτο τῇδέ τε

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assieme all’immaginazione, oppure, quanto meno, non restare in basso con quella. Infatti, per quanto sia difficile, potrebbe accadere che l’anima abbandoni l’immaginazione, se questa non fosse in grado di seguirla (di ciò non si può dubitare, se si conoscono i riti misterici). Indegna, però, sarebbe la risalita di quelle anime che non restituiscono ciò che non è loro e che abbandonano sulla terra quanto preso in prestito nelle sfere celesti: questo, per uno o due, potrebbe essere concesso come dono dell’iniziazione e della divinità. Ma per sua natura l’anima procede in armonia con lo spirito, una volta che in esso si è innestata, oppure lo trascina, oppure ne è trascinata; in ogni caso, dovranno stare uniti fino a che l’anima non sia risalita alla regione da cui proviene. Di conseguenza, gravato dalla malvagità, lo spirito trascina giù quell’anima che si lascia appesantire. È proprio questo l’argomento cui ricorrono gli oracoli per spaventare il seme intellettuale che risiede in noi: “Non chinarti in basso, verso il cosmo oscuro, dove si distende un abisso infido, informe, circondato dall’ombra, sporco, evanescente, privo di intelletto”.36

Quale bene potrebbe esserci per la mente in una vita impulsiva, senza alcuna razionalità? A un fantasma, piuttosto – causa una certa densità dello spirito –, si addice la parte bassa del cosmo: il simile, infatti, attrae il simile. 8.  Se dall’unione dei due elementi, l’intelletto e il simulacro, si ottenesse un’unità, allora anche il primo sarebbe immerso nel piacere. E questo sarebbe il più grave dei disastri, poiché non si presta attenzione al male presente, che è poi quel che capita a chi non si sforza di riemergere, come si fosse in presenza di un tumore che, in quanto non duole, non sollecita alla guarigione: per questo motivo un mezzo per l’ascesa è il pentimento. Chi non sopporta le circostanze nelle quali si trova prepara la fuga; nell’atto della purificazione il ruolo più importante lo riveste la volontà; da essa dipendono le azioni e le parole; se manca la volontà, tutto quanto il rito catartico è insignificante, in quanto mutilo del suo elemento più importante. Anche per questo motivo, sia in questa vita che

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κἀκεῖ χρείαν τὴν μεγίστην τε καὶ ἀρίστην τῇ τάξει τῶν ὄντων αἱ κρίσεις παρέχονται, τὸ λυπηρὸν ἀντεισάγουσαι καὶ τῆς ἐμπλήκτου χαρᾶς τὴν ψυχὴν ἐκκαθαίρουσαι· αἵ τε παρ’ ἀξίαν καλούμεναι συμφοραὶ μέγα μέρος συμβάλλονται πρὸς τὸ λῦσαι τὴν σχέσιν ἣν ἔχομεν πρὸς τὰ τῇδε. Καὶ ἡ πρώτη πρόνοια διὰ τούτων εἰσάγεται τοῖς ἔχουσι νοῦν δι’ ὧν τοῖς οὐκ ἔχουσιν ἀπιστεῖται. Ὡς οὐκ ἔστιν ὅπως ποτ’ ἂν ἀποστραφείη τὴν ὕλην ψυχὴ μηδενὶ κακῷ περὶ τὰ τῇδε προσκόπτουσα. Διὸ τὰς πολυθρυλήτους εὐτυχίας οἴεσθαι δεῖ λόχον ἐπὶ ψυχὰς ἐξευρῆσθαι τοῖς ἐφόροις τῶν κάτω. Ὥσθ’, ὅτι μὲν ἂν ἐξελθούσαις γένοιτο πόμα λήθαιον, ἄλλος εἰπάτω· εἰσελθούσῃ δὲ εἰς τὸν βίον ψυχῇ λήθαιον ὀρέγεται πόμα τὸ τῇδε ἡδὺ καὶ μειλίχιον. Θῆσσα γὰρ κατιοῦσα τὸν πρῶτον βίον ἐθελοντὴς ἀντὶ τοῦ θητεῦσαι δουλεύει· ἀλλὰ ἐκεῖνο μὲν ἦν λειτουργίαν τινὰ ἐκπλῆσαι τῇ φύσει τοῦ κόσμου, θεσμῶν Ἀδραστείας ἐπιταττόντων. Γοητευθεῖσα δὲ ὑπὸ τῶν δώρων τῆς ὕλης, πάθος πέπονθε παραπλήσιον ἐλευθέροις ἐπὶ συγκείμενον χρόνον μεμισθωμένοις, οἳ κάλλει θεραπαίνης ἐνσχεθέντες μένειν ἐθέλουσι, τῷ κυρίῳ τῆς ἐρωμένης δουλεύειν ὁμολογήσαντες. Καὶ ἡμεῖς ἐοίκαμεν, ὅταν ποτ’ ἀπὸ βαθείας τῆς γνώμης ἡσθῶμεν ἐπί τῳ τῶν περὶ σῶμά τε καὶ θυραίων, ἀγαθῶν εἶναι δοκούντων, ὁμολογεῖν τῇ φύσει τῆς ὕλης ὅτι καλή· ἡ δὲ τὴν συγκατάθεσιν ἡμῶν γραμματεῖον ἀπόρρητον δέχεται, κἂν ἀποχωρῆσαι ὡς ἐλεύθεροι βουλευσώμεθα, φυγάδας εἶναί φησι καὶ ἐπανάγειν πειρᾶται καὶ ὡς δραπετευόντων ἀντιλαμβάνεται, τὸ γραμματεῖον ἐπαναγινώσκουσα. Τότε δὴ καὶ μάλιστα ῥώμης τε δεῖ τῇ ψυχῇ καὶ ἀρωγοῦ τοῦ θεοῦ· ὡς οὐ φαῦλος ἀγὼν ὁμολογίαν ἑαυτοῦ παραγράψασθαι, τυχὸν δὲ καὶ βιάσασθαι. Ποιναί τε γὰρ ὑλαῖαι

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nell’aldilà, le condanne apportano un enorme e decisivo servizio al mantenimento dell’ordine tra gli esseri, immettendo nell’anima il dolore e purificandola da una gioia insensata. Le sventure, sebbene siano definite così senza motivo, rivestono un ruolo fondamentale nel far venire meno la relazione che possediamo con le cose dell’aldiquà. Attraverso le sventure, la prima provvidenza si insinua in coloro che hanno senno, mentre, per le stesse ragioni, viene ritenuta indegna di fede da parte di coloro che non lo possiedono. In effetti, è impossibile che l’anima si volga lontano dalla materia, se non incappa in qualche male proprio delle cose dell’aldiquà. Perciò, le tanto celebrate fortune non sono da considerarsi che come delle insidie tese alle anime dai guardiani del cosmo inferiore.37 Qualcun altro affermi pure che all’acqua del Lete38 si dissetano le anime che hanno lasciato la vita terrena: in verità quella bevanda, che poi non è altro che quanto di dolce e amabile esiste nell’aldiquà, viene porta alle anime prima di incarnarsi. L’anima, infatti, discesa come serva salariata nella sua prima vita, di propria iniziativa decide di divenire schiava anziché lavorare dietro compenso.39 Nel primo caso si trattava di adempiere un servizio richiesto dalla natura del cosmo, comandandolo la legge di Adrastea;40 in seguito, l’anima, ammaliata dai doni della materia, si trova in una situazione assai simile a quella di uomini liberi remunerati per un periodo di tempo prestabilito che, rapiti dalla bellezza di una schiava, pur di restare, si impegnano col padrone dell’amata a servirlo come fossero loro stessi schiavi. Pure noi, qualora con profonda convinzione ci rallegrassimo per qualcosa di corporale ed esteriore che ha l’apparenza del bene, ci impegneremmo con la natura della materia, riconoscendone la bellezza. Quella riceve la nostra approvazione come un tacito contratto e anche se poi decidiamo di andarcene rivendicando la nostra libertà, ci tratta come disertori e tenta quindi di ricondurci indietro e, leggendo ad alta voce il contratto, si riappropria di noi come si fa con dei fuggiaschi. È allora che l’anima ha più bisogno di forza e del soccorso divino: poiché non è un’impresa da nulla invalidare il proprio impegno, ricorrendo, se è il caso, anche alla violenza. Le pene della materia, infatti, per coloro che si oppongono alle sue leggi,

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τότε δὴ καὶ παρ’ εἱμαρμένην κινοῦνται κατὰ τῶν ἀφηνιασάντων πρὸς τοὺς νόμους αὐτῆς· καὶ τοῦτο ἄρα αἱ καλούμεναι πεῖραι ἃς Ἡρακλέα τε ἀνατλῆναί φασιν ἱεροὶ λόγοι, καὶ εἰ δή τις ἕτερος ἐλευθερίᾳ κατὰ τὸ καρτερὸν ἐπεχείρησε, μέχρις ἂν ἐκεῖ τὸ πνεῦμα διαβιβάσωσιν οὗ μὴ φθάνωσιν αἱ χεῖρες τῆς φύσεως. Εἰ δὲ ἐντὸς ὅρων τὸ ἅλμα γένοιτο, κατασπᾶται, καὶ δεῖ βαρυτέρων ἀγώνων· ἀφειδεῖ γὰρ ὡς ἀλλοτρίων ἤδη· κἂν ἀπογνῶσι τῆς ἀνόδου, δίκας αἰτεῖ τῆς ἐπιχειρήσεως, καὶ προβάλλει βίους οὐκ ἀπ’ ἀμφοῖν ἔτι τῶν πίθων οὓς Ὅμηρος ἀπορρήτως αἰνίττεται μερίδας εἶναι δύο τῆς ὕλης· καὶ ὁ Ζεὺς αὐτῷ κατ’ ἐκεῖνο τῶν ἐπῶν θεὸς ὑλάρχιός ἐστι, τοῦ διττοῦ τῆς εἱμαρμένης διανομεύς, παρ’ οὗ τὸ μὲν ἀγαθὸν οὐδέποτε ἀνεπίμικτον, ἤδη δέ τις ἀκράτου μετέσχεν τοῦ χείρονος. Ὅλως δὲ οἱ βίοι πάντες ἐν πλάνῃ, τῇ μὴ μετὰ τὴν πρώτην κάθοδον ἀναδραμούσῃ. 9.  Θέα δὴ πόσῳ τῷ μέσῳ τὸ πνεῦμα τοῦτο ἐμπολιτεύεται. Ῥεψάσης μὲν κάτω ψυχῆς, ἔλεγεν ὁ λόγος ὅτι ἐβαρύνθη τε καὶ ἔδυ, μέχρις ἐγκύρσῃ τῷ μελαναυγεῖ καὶ ἀμφικνεφεῖ χώρῳ· ἀνιούσῃ δὲ συνέπεται μέχρις οὗ δύναμις ἕπεσθαι· δύναται δὲ μέχρις ἂν εἰς πλεῖστον τὸ ἀντικείμενον ἥκῃ. Ἄκουε γὰρ καὶ περὶ τούτου τῶν λογίων λεγόντων· οὐδὲ τὸ τῆς ὕλης κρημνῷ σκύβαλον καταλείψει, ἀλλὰ καὶ εἰδώλῳ μερὶς εἰς τόπον ἀμφιφάοντα·

οὗτος δὲ ἀντίθεσιν ἔχει πρὸς τὸν ἀμφικνεφῆ. Καίτοι τι καὶ πλέον τις ἂν ἐν τούτοις ὀξυωπήσειεν· οὐ γὰρ μόνην εἰς τὰς σφαίρας ἀνάγειν ἔοικεν τὴν ἐκεῖθεν ἥκουσαν φύσιν, ἀλλὰ εἴ τι καὶ τῆς πυρὸς καὶ τῆς ἀέρος ἀκρότητος εἰς τὴν εἰδωλικὴν φύσιν ἔσπασεν κατιοῦσα, πρὶν τὸ γήϊνον ἀμφιέσασθαι κέλυφος, καὶ τοῦτο, φησί, τῇ κρείττονι

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vanno pure contro il destino. Questo vale anche per le cosiddette fatiche che, secondo i discorsi sacri,41 dovette sopportare Eracle (come del resto chiunque altro abbia tentato di riconquistare con la forza la libertà) fino a che non ebbe condotto lo spirito laddove le mani della natura non potessero più raggiungerlo. Ma se lo slancio rimane entro i confini della natura, si viene trascinati giù e allora si renderanno necessari degli scontri ancora più violenti, in quanto la natura non avrà più riguardi per coloro che, oramai, considererà dei nemici. Se anche questi rinunciassero all’ascesa, quella vorrà comunque punire il loro tentativo e imporrà loro vite che non deriveranno più da entrambe le giare che Omero, con parole oscure ed enigmatiche, designa come le due parti della materia. Per il poeta, in questo passo, Zeus è il signore della materia, colui che distribuisce un destino duplice, dove il bene non è mai puro, ma, viceversa, a qualcuno può toccare solo il male.42 In definitiva, tutte le vite di quelle anime che non siano riuscite a risalire dopo la loro prima discesa si ridurranno a un viaggio senza meta. 9.  Si osservi dunque quanto è grande quello spazio intermedio in cui lo spirito ha diritto di cittadinanza. Qualora l’anima si inclini verso il basso, si diceva, esso si appesantisce e va giù, fino a che non incontra quella regione oscura circondata dall’ombra; qualora invece l’anima salga, lo spirito la segue fino a che è in grado di farlo, ovvero fino alla regione totalmente opposta. Si ascolti ora cosa dicono gli oracoli riguardo a questo: “Non lascerai il residuo della materia nell’abisso, ma anche il simulacro avrà un posto nel luogo circondato  dalla luce”.43

Questo luogo si trova all’estremo opposto di quello circondato dall’ombra. Eppure qualcuno potrebbe vedere qualcosa di più in questi versi: infatti non sembra che a salir su fino alle sfere celesti sia quella sola natura che di là proviene, ma pure quanto essa abbia eventualmente assorbito dalle sommità del fuoco e dell’aria nella natura idolica – prima di rivestirsi dell’involucro terroso – e quello, dicono, essa porta su assieme alla parte migliore;

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μερίδι συναναπέμπει· ὕλης γὰρ σκύβαλον οὐκ ἂν εἴη τὸ θεσπέσιον σῶμα. Καὶ λόγον δ’ ἂν ἔχοι τὰ κοινωνήσαντα φύσεως καὶ εἰς ἓν συντελέσαντα μή τοι παντάπασιν ἄσχετα εἶναι, καὶ μάλιστα οἷς ἐκ γειτόνων ἡ χώρα, καθάπερ πῦρ ἐφεξῆς ἐστι τῷ κύκλῳ σώματι, καὶ οὐχ ὥσπερ γῆ τῶν ὄντων τὸ ἔσχατον. Εἰ δὲ τὰ κρείττω τοῖς χείροσιν εἴξαντα τῆς κοινωνίας ἀπέλαυσεν καὶ συνετέλεσεν εἰς ἰλὺν σῶμα ἀκήρατον, ὥσπερ ἰδιοποιηθὲν ὑπὸ τοῦ παραχωρηθέντος ἐν τῇ συνόδῳ κρατεῖν, τάχ’ ἂν καὶ τὰ χείρω μὴ ἀντιτείναντα πρὸς τὴν ἐνέργειαν τῆς ψυχῆς, ἀλλ’ εὐήνια καὶ καταπειθῆ, αὐτά τε ὁμαρτήσαντα καὶ τὴν μέσην φύσιν ἀπερίσπαστον παρασχόμενα τῇ τῆς πρώτης ἡγεμονίᾳ, συνεξαιθεροῖτο ἂν καὶ συναναπέμποιτο, εἰ μὴ μέχρι παντός, ἀλλά τοι διαβαίνοι τὴν τῶν στοιχείων ἀκρότητα, καὶ γεύσαιτ’ ἂν τοῦ ἀμφιφαοῦς· ἔχει γάρ τινα, φησίν, ἐν αὐτῷ μερίδα, τοῦτ’ ἔστιν ἐν τάξει τινὶ τοῦ κυκλικοῦ γίνεται. 10.  Ἀλλὰ περὶ μὲν τῆς ἐκ τῶν στοιχείων μοίρας ταῦτα εἰρῆσθαι, καὶ ἀπιστεῖν ἔξεστι καὶ πιστεύειν. Τὴν δὲ ἐκεῖθεν ἥκουσαν σωματικὴν οὐσίαν, οὐδεμία μηχανὴ κατὰ φύσιν ἀνιούσης ψυχῆς μὴ οὐ συνεξᾶραι τοῦ πτώματος ἀναστᾶσαν καὶ ταῖς σφαίραις ἐναρμοσθῆναι, τοῦτ’ ἔστιν εἰς τὴν οἰκείαν φύσιν ὥσπερ ἀναχυθῆναι. Ἔσχαται μὲν οὖν αὗται δύο λήξεις, ἡ μὲν ἀμφικνεφής, ἡ δὲ ἀμφιφαὴς οὖσα, εὐμοιρίας τε καὶ κακοδαιμονίας τὰ ἄκρα νειμάμεναι. Πόσας δὲ οἴει μεταξὺ χώρας ἐν τῷ κύτει τοῦ κόσμου, ἑτεροφαεῖς τε καὶ ἑτεροκνεφεῖς, ἐν αἷς ἁπάσαις δίαιταν ἔχει ψυχὴ μετὰ τοῦδε τοῦ πνεύματος, ἤθη τε καὶ εἴδη καὶ βίους ἀμείβουσα; Ἀναδραμοῦσα μὲν οὖν ἐπὶ τὴν οἰκείαν εὐγένειαν, ἀληθείας ἐστὶ ταμιεῖον· καθαρὰ γάρ ἐστι καὶ διαφανὴς καὶ ἀκήρατος, θεὸς οὖσα καὶ προφῆτις, εἰ βούλοιτο· καταπεσοῦσα δέ, ἀχλυοῦται καὶ ἀοριστεῖ καὶ ψεύδεται· τὸ γὰρ ὁμιχλῶδες τοῦ πνεύματος οὐ χωρεῖ τὴν τῶν ὄντων ἐνέργειαν. Μεταξὺ δὲ οὖσα, τῶν μὲν ἂν ἁμάρτοι, τῶν δὲ

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il residuo di materia, infatti, non potrebbe essere il corpo divino. Sarebbe logico che gli elementi che condividono la natura e che sono riconducibili all’unità non fossero totalmente privi di connessione, soprattutto per quanto riguarda quelli che hanno una posizione contigua, come il fuoco, che è adiacente al corpo circolare,44 e non come la terra, che è l’ultimo degli enti. Se infatti gli elementi migliori, abbassatisi al livello dei peggiori, traessero profitto dalla situazione e costituissero nell’impurità un corpo incontaminato, come fatto proprio da ciò cui è stato concesso di dominare in questa unione, forse anche gli elementi peggiori non si opporrebbero più alla spinta dell’anima, ma, docili e ubbidienti, tenendole dietro e offrendo alla sua egemonia una natura intermedia senza alcun impedimento, sublimerebbero con essa diventando etere e salirebbero in alto – se non completamente, almeno fino a raggiungere le estremità degli elementi – e gusterebbero la percezione del luogo circondato dalla luce. Infatti, dicono gli oracoli, lassù avranno un loro spazio, ovvero una qualche porzione del cosmo ciclico.45 10.  Ma, per quanto si è detto circa la parte costituita dagli elementi, è lecito sia credere che dubitare. Per quanto riguarda invece l’essenza corporea46 che proviene dall’alto, è impossibile che non si elevi, rialzandosi dalla caduta, assieme all’anima che (come vuole la sua indole) si trova a sua volta in ascesa, e non si ricongiunga poi alle sfere celesti, ovvero, per così dire, non si riversi nella sua propria natura. Le due parti estreme del cosmo citate sopra, cioè quella circondata dall’ombra e quella circondata dalla luce, si ripartiscono rispettivamente l’apice dell’infelicità e della buona sorte. Quante si crede che siano le regioni intermedie contenute nella cavità del cosmo, circondate in parte dalla luce e in parte dall’ombra, in tutte le quali l’anima vive congiunta allo spirito, mutando carattere, aspetto, vita? Se riesce a elevarsi sino alla propria, originaria, nobiltà, essa è dispensatrice di verità, nonché pura, limpida, incontaminata, e anche divina e profetica, se vuole; ma se, al contrario, precipita, diviene oscura, indeterminata, ingannatrice: uno spirito opaco, infatti, non può contenere l’attività dell’essere. Se viene a trovarsi in una situazione intermedia, allora talvolta riesce

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τυγχάνοι. Γνωματεύσαις ἂν οὕτως καὶ δαιμονίαν φύσιν ἐν ᾕτινι τάξει. Τὸ γὰρ ἢ πάντως ἢ παρὰ μικρὸν ἀληθίζεσθαι θεῖόν ἐστιν ἢ πέλας τοῦ θείου. Τὸ δέ γε πλάνον ἐν ταῖς προρρήσεσιν ἄληκτόν ἐστι τῶν ἀλινδουμένων εἰς ὕλην, ἐμπαθὲς καὶ φιλότιμον. Ταύτῃ γὰρ ὑποδύεται τὸ σίραιον ἀεὶ καὶ θεὸν καὶ πρεσβύτερον δαίμονα καὶ ἐνάλλεται καὶ καταλαμβάνει τὴν εὐτρεπισθεῖσαν χώραν τῇ φύσει τῇ μείζονι. Ἐν ἀνθρώπῳ τε οὔσης ψυχῆς τάξιν ἂν ἐνθένδε φωράσαιμεν. Ὅτῳ τὸ φανταστικὸν πνεῦμα καθαρὸν καὶ εὐόριστον, καὶ ὕπαρ καὶ ὄναρ ἀληθῆ τῶν ὄντων ἐκμαγεῖα δεχόμενον, οὗτος ἂν ὑπόσχεσιν ἔχοι, τό γε ἐπὶ τῷ τῆς ψυχῆς σχήματι, βελτίονος λήξεως. Οὐχ ἥκιστα δὲ ἀπὸ τῶν φαντασμάτων ἃ προβάλλει καὶ περὶ ἃ καταγίνεται, ὅτε μὴ ἔξωθεν ὑφ’ ἑτέρου κινεῖται, ἐν ὁποίᾳ διαθέσει τυγχάνει τὸ ψυχικὸν πνεῦμα θηρῶμεν, χορηγούσης φιλοσοφίας εἰς τοῦτο κριτήρια, ὡς καὶ δεῖ τρέφειν αὐτὸ καὶ συνεπιμελεῖσθαι μή τοι ποτὲ πλανηθῆναι. Τροφὴ δὲ ἀρίστη κατὰ τὴν ἐπιβλητικὴν δύναμιν ἐνεργεῖν καὶ καθάπαξ νοερὰν εἶναι τὴν προβολὴν τῆς ζωῆς, ὅση δύναμις, τὰς τῶν ἀτόπων καὶ προπετῶν φαντασμάτων ὁρμὰς προλαμβάνοντας· τοῦτο γάρ ἐστι πρὸς τὸ κρεῖττον ἐστράφθαι καὶ ἄσχετον εἶναι τοῦ χείρονος ὅσα ἀναγκαῖα μόνον προσομιλοῦντα. Νοερὰ δ’ ἐπιβολὴ χρῆμα τῶν συνισταμένων ἐπὶ τὸ πνεῦμα τμητικώτατον· λεπτύνει γὰρ ἀρρήτως αὐτὸ καὶ πρὸς θεὸν ἀνατείνει. Τὸ δὲ γενόμενον ἐπιτήδειον ἕλκει τῇ συγγενείᾳ πνεῦμα θεῖον εἰς ὁμιλίαν ψυχῆς, ὥσπερ ὅταν ὑπὸ πάχους συνειληθῇ καὶ γένηται μεῖον ἢ ὥστε πληρῶσαι τὰς ἀποδειχθείσας αὐτῷ χώρας ὑπὸ τῆς διαπλασάσης προνοίας ἄνθρωπον – αἱ δέ εἰσιν ἐγκεφάλου κοιλίαι –, τότε τῆς φύσεως οὐκ ἀνεχομένης ἐν τοῖς οὖσι κενοῦ πονηρὸν πνεῦμα εἰσκρίνεται. Καὶ τί οὐκ ἂν πάθοι γενομένη συνέστιος ἀποτροπαίῳ κακῷ; Τὰς γὰρ ἐπ’ αὐτῷ τούτῳ γενομένας

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a cogliere la verità e talvolta no. Si ricorrerebbe allo stesso criterio per giudicare a quale ordine appartenga una natura demonica. Difatti, esprimere (sempre o quasi sempre) la verità è prerogativa della divinità, o, comunque, di un’entità a quella prossima. Viceversa, l’errore nelle predizioni è una caratteristica costante degli esseri che sguazzano nella materia, che si presta alle emozioni e all’ambizione. È sempre così che la feccia47 si insinua al posto di un dio o di un demone più anziano e con un balzo va a occupare una regione atta a ospitare una natura più elevata della sua. Potremmo scoprire di conseguenza anche il rango di un’anima che risiede in un uomo. Chi abbia lo spirito immaginativo puro e ben definito e che riceva, in sonno come nella veglia, delle immagini veritiere degli enti potrebbe ottenere, per quanto riguarda lo stato dell’anima, la promessa di una posizione migliore. Nondimeno, possiamo tentare di scoprire lo stato in cui lo spirito immaginativo si trova anche a partire dalle immagini che emana e con le quali ha una connessione, naturalmente quando non provengano da un qualche elemento esterno; è la filosofia a indicarci i criteri adeguati, perché deve essere preservato e bisogna fare attenzione che non si smarrisca mai. Il miglior modo di preservarlo è far sì che la capacità di applicazione sia attiva e che lo sviluppo della vita sia quanto più possibile razionale, nonché prevenire gli impulsi delle rappresentazioni assurde e sconsiderate. Tutto questo infatti significa volgere lo spirito al meglio ed evitare che abbia rapporti con il male, fatti salvi quei casi in cui è inevitabile che ciò accada. L’arma più tagliente contro tutto quel che insidia lo spirito è la percezione intellettuale, in quanto ineffabilmente lo assottiglia e lo eleva verso Dio. Quando poi sarà in grado, il nostro spirito attirerà – in virtù dell’affinità – uno spirito divino fino all’unione con l’anima, mentre, qualora si contragga per compattezza e diventi troppo piccolo per riempire lo spazio a lui assegnato dalla provvidenza che ha plasmato l’uomo – si intenda le cavità cerebrali –, allora al suo fianco si insinuerà uno spirito malvagio, non ammettendo la natura che tra gli esseri vi sia il vuoto. Ora, come potrebbe non soffrire un’anima divenuta coabitante di un male abominevole? La natura impone infatti che quegli spazi apposita-

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τοῦ πνεύματος εἶναι χώρας, φύσις ἐστὶν ἢ χείρονος ἢ βελτίονος εἶναι πλήρεις. Ἀλλὰ τοῦτο μὲν ἀθέων δίκη τῶν μολυνάντων τὸ ἐν αὐτοῖς θεῖον· ἐκεῖνο δὲ τέλος εὐσεβείας ἢ ὅ τι ἀγχοῦ τοῦ τέλους. 11.  Ἡμεῖς μὲν οὖν περὶ τῆς δι’ ὀνείρων μαντικῆς λέγειν ἐπιβαλόμενοι, ὡς ἂν μὴ ἀτιμάζοιεν αὐτήν, ἀλλ’ ἐπιτηδεύοιεν οἱ ἄνθρωποι χρείαν τῷ βίῳ παρέχουσαν, ἐπὶ τούτῳ τὴν φανταστικὴν φύσιν περιειργάσμεθα. Ἐκ δὲ τοῦ λόγου τὸ μὲν ἐνθάδε χρειῶδες ἔλαττον ἀναπέφηνεν. Καρπὸς δὲ ἀμείνων ὑγιοῦς πνεύματος ἀναγωγὴ ψυχῆς, ἱερὸν ὄντως κέρδος· ὥστε καὶ μελέτη τις εὐσεβείας ἐστὶ πειρᾶσθαι μαντικὸν ἡμῖν αὐτὸ εἶναι. Καί τινες ἤδη διὰ τὸ τοιοῦτο λιχνείᾳ δελεασθέντες προγνώσεως, τράπεζάν τε ἀπὸ φλεγμαινούσης ἱερὰν καὶ ἄτυφον προὔθεντο καὶ κοίτην ἠσπάσαντο καθαρὰν καὶ ἀμόλυντον. Ὁ γὰρ ὅσα τῷ Πυθοῖ τρίποδι τῇ κλίνῃ χρησάμενος πολλοῦ δεῖ μάρτυρας ἀκολασίας τὰς ἐν αὐτῇ νύκτας ποιήσασθαι· ὁ δὲ καὶ προσεκύνησε θεὸν καὶ προσηύξατο. Γίνεται δὲ πολὺ τὸ κατὰ μικρὸν συντιθέμενον καὶ τὸ δι’ ἄλλο γινόμενον εἰς μεῖζον ἀπετελεύτησεν, ἐρασθῆναι θεοῦ προϊόντας καὶ συναφθῆναί ποτε τοὺς οὐκ ἐπὶ τοῦτο τὰ πρῶτα ὁρμήσαντας. Οὔκουν ἄξιον ἀμελεῖν μαντικῆς, ὁδοιπορούσης ἐπὶ τὰ θεῖα, καὶ παρυφιστάμενον ἐχούσης τῶν ἐν ἀνθρώπου δυνάμει τὸ τιμιώτατον. Οὐδὲ γὰρ διὰ τοῦτο ἐλάττων ἡ τῇδε χρεία τῆς συνημμένης ψυχῆς τῷ θεῷ ὅτι τῆς ἐπαφῆς τῶν κρειττόνων ἠξίωται· οὔτε γὰρ ἀνεπίστρεπτός ἐστι τοῦ ζῴου, καὶ ἐκ περιωπῆς ἐπισκοπεῖται τὰ κάτω πολύ που τρανότερον ἢ μετ’ αὐτῶν οὖσα καὶ συμπεφυρμένη τοῖς χείροσιν, ὥστε μένουσα ἀτρεμὴς δώσει τῷ

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mente creati per ospitare lo spirito siano riempiti, non importa se da un’entità buona o da una malvagia: in questo secondo caso gli empi saranno puniti per aver macchiato quanto di divino risiedeva in loro; nel primo caso, invece, consiste il fine, o quanto a esso di più prossimo, della pietà religiosa. 11.  Ecco dunque perché noi, che ci eravamo accinti a trattare della mantica onirica, affinché gli uomini non la disprezzassero ma, al contrario, la praticassero, in quanto attività utile alla vita, ci siamo dedicati così a lungo alla natura immaginativa. Dal nostro discorso, d’altronde, è emerso solo in parte il suo vantaggio immediato. Il frutto più prezioso di uno spirito sano è la risalita dell’anima, guadagno da ogni punto di vista sacro; ne consegue che adoperarsi affinché il nostro spirito ci riveli il futuro è anche un esercizio di pietà religiosa. Per questo già alcuni, presi dal desiderio di conoscere in anticipo gli eventi, hanno preferito imbandire una tavola modesta e gradita agli dèi, piuttosto che una ricolma di cibi, e hanno accolto con gioia un letto puro e incontaminato. Chi infatti fa uso del proprio letto come fosse il tripode di Pito,48 è ben lontano dal rendere le notti lì trascorse dei testimoni di intemperanza: egli si prostra dinanzi a Dio e a lui innalza le proprie preghiere. Capita spesso che ciò che si costituisce a poco a poco, così come quel che avviene per una ragione inizialmente differente, finisca col raggiungere un obbiettivo più grande del previsto. Così, talvolta, si innamorano della divinità – a quella avvicinandosi – e giungono persino ad averci un contatto coloro i quali, in un primo tempo, non avevano questo proposito. Non è quindi opportuno trascurare la mantica, che conduce al divino e che detiene, come conseguenza immediata, la più preziosa delle potenzialità umane. Non per questo l’anima congiunta a Dio, ritenuta degna del contatto con entità superiori, ha una minore utilità terrena. L’anima, infatti, non si dimostra indifferente nei confronti dell’essere vivente, anzi, dal suo luogo di osservazione analizza ciò che si trova in basso molto più nitidamente di quanto non faccia quando si trova in mezzo agli elementi inferiori, commista a essi; così, restando immobile, trasmetterà all’essere vivente le rappre-

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ζῴῳ τὰ τῶν γινομένων ἰνδάλματα. Καὶ τοῦτ’ ἔστι τὸ λεγόμενον, κατιόντα μὴ κατιέναι, ὅταν ἀσχέτως ὁ κρείττων ἐπιμελῆται τοῦ χείρονος. Ταύτην ἐγὼ τὴν μαντικὴν ἐμαυτῷ τε ἀξιῶ παρεῖναι καὶ παισὶ καταλιπεῖν, ἐφ’ ἣν οὐ δεῖ βαδίζειν συσκευασαμένους ὁδὸν μακρὰν ἢ πλοῦν ὑπερόριον, ὥσπερ Πυθῶδε καὶ ἐς Ἄμμωνος, ἀλλ’ ἀρκεῖ καταδαρθεῖν χεῖρα νιψάμενόν τε καὶ εὐφημήσαντα· ἡ δ’ ὑδρηναμένη, καθαρὰ χροῒ εἵμαθ’ ἑλοῦσα, εὔχετ’ Ἀθηναίῃ.

12.  Οὕτως αἰτήσομεν ὄνειρον, ὥσπερ ἴσως Ὅμηρος ᾔτησεν. Κἂν ἐπιτήδειος ᾖς, πάρεστιν ὁ πόρρω θεὸς, ὅτε γε καὶ μηδὲ ταῦτα πραγματευσαμένων ἑκάστοτε παραγίνεται μόνον καταδαρθοῦσι· καὶ τοῦτ’ ἔστιν ἡ πᾶσα πραγματεία τῆς τελετῆς, δι’ ἣν οὐδείς πω πενίαν ὠδύρατο, ὡς ταύτῃ μειονεκτῶν τοῦ πλουσίου. Ἔνιαί γέ τοι τῶν πόλεων τοὺς ἱεροφάντας, ὥσπερ Ἀθηναῖοι τοὺς τριηράρχους, ἀπὸ τῶν μεγίστων τιμημάτων αἱροῦνται. Καὶ δεῖ δαπάνης συχνῆς καὶ τύχης οὐχ ἥκιστα συγκομίσαι Κρῆσσαν βοτάνην καὶ πτερὸν Αἰγύπτιον καὶ ὀστέον Ἰβηρικόν, καὶ νὴ Δί’ εἴ τι τεράστιον γῆς ἢ θαλάσσης ἐν παραβύστῳ φύεταί τε καὶ τρέφεται ἠμὲν δυσομένου Ὑπερίονος ἠδ’ ἀνιόντος.

Λέγεται γάρ τοι καὶ ταῦτα καὶ πολλὰ τοιαῦτα περὶ τῶν τεχνευόντων τὴν θύραθεν μαντικήν, πρὸς ἃ τίς ἂν ἰδιώτης ἀπὸ τῶν ὑπαρχόντων ἀρκέσειεν; Ἐνύπνιον δὲ ὁρᾷ μὲν ὁ πεντακοσιομέδιμνος, ὁρᾷ δὲ ὁ τριακοσιομέδιμνος· ἀλλὰ καὶ ὁ ζευγίτης οὐδὲν ἧττον, ὁ τὴν ἐσχατιὰν ἀπεργαζόμενος ὥστε ἀποζῆν· ἀλλὰ καὶ ὁ πρόσκωπος καὶ ὁ θὴς ὁμοίως ὅ τε ἰσοτελὴς καὶ ὁ τιθεὶς τὸ μετοίκιον. Διαφέρει

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sentazioni del divenire. Questo è il significato del detto “scendere senza scendere”, riferito a quei casi in cui, senza intessere alcuna relazione diretta, le entità superiori si interessano di quelle inferiori.49 Mi sembra quindi opportuno disporre in prima persona di questo tipo di divinazione, così come di tramandarla ai miei figli. Per usufruirne, infatti, non c’è bisogno di preparare i bagagli e di intraprendere un lungo cammino o una navigazione alla volta di terre straniere, come per raggiungere l’oracolo di Pito o quello di Ammone,50 ma è sufficiente addormentarsi dopo essersi lavati le mani e aver osservato un silenzio rituale: “Ella, dopo essersi aspersa con acqua e aver indossato  una pura veste, pregava Atena”.51

12.  In questo modo pregheremo per un sogno, come forse pregò Omero. Se si sarà atti a riceverla, la divinità, da lontana che è, si farà presente. Talvolta, anche senza essersi attenuti a queste prescrizioni, quella si manifesta alla sola condizione che si dorma. Ecco qua tutto il cerimoniale iniziatico, per il quale nessuno ha mai lamentato la propria povertà, sentendosi, da questo punto di vista, inferiore a un ricco. Alcune città scelgono gli ierofanti tra coloro che versano i tributi più elevati, come nel caso degli Ateniesi con i trierarchi.52 Si richiedono, infatti, una ragguardevole spesa e una non minore fortuna per mettere assieme l’erba cretese, la piuma egizia, l’osso iberico e, per Zeus, qualsiasi oggetto prodigioso nasca o cresca in un recesso di terra o mare “là dove Iperione tramonta e risorge”.53

Queste cose (e molte altre simili) si dicono di coloro che praticano la divinazione con strumenti esterni; ma chi, da solo, potrebbe mai avere le risorse economiche necessarie a far fronte a simili spese? Il sogno, invece, lo fa il cittadino di prima classe come quello di seconda; lo stesso vale per il cittadino di terza classe, che per vivere lavora i terreni più impervi; e così il rematore, il servitore a ore, lo straniero esentato dalla tassa di residenza e quello non esentato.54

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δὲ οὐδὲν τῷ θεῷ, τίς ὁ Ἐτεοβουτάδης καὶ τίς ὁ Μανῆς ὁ νεώνητος· καὶ τὸ δημοτικὸν αὐτῆς μάλα φιλάνθρωπον, καὶ τὸ λιτὸν καὶ τὸ αὐτόσκευον μάλα φιλόσοφον, καὶ τὸ μὴ βίαιον εὐσεβές, καὶ τὸ πανταχοῦ παρεῖναι καὶ μὴ καταλαβεῖν ὕδωρ ἢ πέτραν ἢ χάσμα γῆς, τοῦτο μέντοι γε θεοειδέστατον· τὸ δὲ μήτε πρὸς μίαν πρᾶξιν ἀσχόλους ἡμᾶς διὰ τὴν τοιάνδε μαντικὴν γίνεσθαι, μηδὲ ἀφαιρεῖσθαι καιρὸν ὑπ’ αὐτῆς, τοῦτο καὶ πρῶτον ἄξιον ἦν εἰρῆσθαι. Οὐδεὶς γὰρ ἀπολιπών τι τῶν προὔργου καὶ ἐν χερσὶν ᾤχετο καθευδήσων οἴκαδε, συγκείμενον αὐτῷ πρὸς ἐνύπνιον· ἀλλ’ ὁ χρόνος ὃν ἀνάγκη τῷ ζῴῳ δαπανᾶν εἰς τὴν φύσιν, οὐκ ἀρκούσης ἡμῖν τῆς οὐσίας εἰς ἐνέργειαν ἐγρηγόρσεως, οὗτος ἥκει κομίζων ἀνθρώποις τοῦτο δὴ τὸ λεγόμενον, ἔργου μεῖζον τὸ πάρεργον, ἐπισυντιθεὶς τὸ αἱρετὸν τῷ ἀναγκαίῳ καὶ τὸ εὖ εἶναι τῷ εἶναι. Ἀλλ’ αἵ γε προγνώσεις αἱ διὰ τῶν ποικίλων ὀργάνων παραγινόμεναι, ἀγαπητὸν εἰ, τὴν πλείω μερίδα τοῦ βίου νειμάμεναι, παραχωρήσειάν τι ταῖς λοιπαῖς ἁπάσαις καὶ χρείαις καὶ πράξεσιν. Ὧν εἰ πάνυ πρός τινι γένοιο, χαλεπῶς ἂν εἰς αὐτὴν ὑπὸ τῆς μαντικῆς ὠφελοῖο· οὔτε γὰρ καιροῦ παντός οὔτε τόπου παντὸς δέξασθαι κατασκευὴν τελετῆς οὔτε πᾶσα εὐμάρεια συμπεριφέρειν τὰ ἐπ’ αὐτὴν ὄργανα. Ἵνα γὰρ ἄλλο μηδέν, ἀλλ’ ἐφ’ οἷς πρώην ἐστενοχωρήθη τὰ κολαστήρια, ἀπήνης ἐστὶν ἢ νεὼς κοίλης φορτία, μεθ’ ὧν ἄλλα μέρη τῆς τελετῆς ἀπογραφεῖς ἄνδρες καὶ μάρτυρες. Οὕτω γὰρ εἰπεῖν ἀληθέστερον, τοῦ καθ’ ἡμᾶς χρόνου πολλὰ διὰ τῶν ὑπηρετησάντων τοῖς νόμοις καταμηνύσαντος, ὑφ’ ὧν ἐξαγορευθέντα δήμου βεβήλου γέγονεν θεάματά τε καὶ ἀκροάματα. Πρὸς οὖν τῷ σχέτλιον εἶναι συγκύπτειν εἰς τὰ τοιάδε, ὡς ἔγωγε πείθομαι, καὶ ἀπηχθημένον θεῷ· τὸ γὰρ μὴ ἐθελοντὴν περιμένειν ὁντινοῦν, ἀλλ’ ὠθισμῷ καὶ μοχλείᾳ κινεῖν, ὅμοιόν ἐστι

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Agli occhi di Dio non vi è alcuna differenza tra un Eteobutade e un Mane appena acquistato.55 L’aspetto popolare della divinazione onirica ne mostra la connotazione filantropica, quello semplice e spontaneo lo spessore filosofico, la non violenza la accosta alla pietà religiosa; il fatto poi di trovarsi dappertutto e di non dipendere da fonti, rocce o voragini della terra56 è in assoluto ciò che più la rende simile a Dio. Inoltre, questo tipo di divinazione non ci impone di avere una sola occupazione, né da essa ci viene sottratta alcuna occasione propizia: questo è un fatto che avrebbe dovuto certo esser citato per primo. Nessuno, infatti, se ne andrebbe a casa a dormire lasciando qualcosa di importante cui si sta dedicando, con lo scopo preordinato di fare un sogno. Al contrario, è proprio il tempo che l’essere vivente è costretto a spendere per soddisfare la propria natura (dal momento che la nostra costituzione non è in grado di sostenere ininterrottamente l’attività della veglia) che sopraggiunge a portare agli uomini quel che comunemente è detto “l’elemento accessorio più importante dell’essenziale”,57 aggiungendo la facoltà di scegliere alla necessità, nonché il benessere al semplice esistere. Per quanto riguarda invece le previsioni che richiedono l’impiego di molteplici strumenti (giacché occupano la maggior parte della vita), bisognerà ritenersi soddisfatti se lasciano il posto anche solo a qualcuna delle altre necessità e attività. Se si fosse totalmente dediti a qualcuna di queste, difficilmente la mantica potrebbe aiutare nella sua realizzazione, in quanto la preparazione del rito non si può svolgere sempre e dovunque, né si possono in tutta comodità portare in giro gli strumenti necessari. Per non parlare di quegli oggetti grazie ai quali, recentemente, si sono riempite le prigioni: ci vorrebbe un carro o la stiva di una nave per contenerli, e senza contare le altre componenti del rito, ovvero i verbalizzatori e i testimoni. D’altronde, questa è la verità: la nostra epoca ha svelato molte cose, grazie a quei servitori della legge che le hanno rese accessibili agli occhi e alle orecchie di un pubblico non iniziato.58 Dedicarsi a tali pratiche, dunque, non è solo un’opera sciagurata, ma pure, a mio giudizio, un atto inviso alla divinità: non attendere che qualcuno agisca di sua volontà, ma forzarlo con urti e leve, non è diverso dal

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βιαζομένοις, ὃ μηδ’ ἐπ’ ἀνθρώπων γενόμενον ὁ νομοθέτης εἴασεν ἀτιμώρητον. Πρὸς οὖν ἅπασι τούτοις, ἅπερ ἐστὶ χαλεπά, τοῖς οὕτω μετιοῦσι τὸ μέλλον ὑπάρχει καὶ τὸ διακόπτεσθαι τὴν ἐνέργειαν καὶ, ὑπερορίοις ἰοῦσιν, ὥσπερ ἀπολείπειν τὴν τέχνην. Ἔργον γὰρ οὐ μικρὸν ἁπανταχοῦ βαδίζοντας σκευαγωγεῖν τὰ ἐπὶ ταύτην ἐφόδια. Ἀλλὰ τῆς γε δι’ ὀνείρων μαντικῆς αὐτός τίς ἐστιν ἕκαστος ὄργανον, ὥστε οὐδὲ βουλομένοις ἔξεστιν ἀπολιπεῖν τὸ χρηστήριον· ἀλλὰ καὶ μένοντι συνοικουρεῖ καὶ ἀποδημοῦντι συμπεριέρχεται καὶ συστρατεύεται καὶ συμπολιτεύεται καὶ συγγεωργεῖ καὶ συνεμπορεύεται. Ταύτην οὐδὲ οἱ νόμοι τῆς βασκάνου πολιτείας κωλύουσιν οὐδ’ ἄν, εἰ βούλοιντο, δύναιντο· κατὰ γὰρ τῶν χρωμένων οὐκ ἔχουσιν ἔλεγχον. Τί δ’ ἂν καὶ ἀδικοῖμεν καθεύδοντες; Οὐδ’ ἂν διατάξαιτο τύραννος ὀνείρων ἀθεάμονας εἶναι, οὐκ, εἰ μή γε καὶ τὸ καθεύδειν ἐκ τῆς ἀρχομένης ἀποκηρύξειεν. Ἀλλὰ τοῦτο ἀνοήτου μέν ἐστιν, οἷς ἀδύνατα βούλεται· ἀσεβοῦς δέ, οἷς ἐναντία νομοθετεῖ τῇ τε φύσει καὶ τῷ θεῷ. 13.  Ἰτητέον οὖν ἐπ’ αὐτὴν καὶ γυναικὶ καὶ ἀνδρί καὶ πρεσβύτῃ καὶ νέῳ καὶ πένητι καὶ πλουσίῳ καὶ ἰδιώτῃ καὶ ἄρχοντι καὶ ἀστικῷ καὶ ἀγροδιαίτῳ καὶ βαναύσῳ καὶ ῥήτορι. Οὐ γένος, οὐχ ἡλικίαν, οὐ τύχην, οὐ τέχνην ἀποκηρύττει. Πᾶσι πανταχοῦ πάρεστι, προφῆτις ἕτοιμος, ἀγαθὴ σύμβουλος, ἐχέμυθος. Αὕτη μυσταγωγός τε καὶ μύστις, εὐαγγελίσασθαι μὲν ἀγαθόν ὥστε μακροτέραν ποιῆσαι τὴν ἡδονὴν προαρπάσαντα τὴν ἀπόλαυσιν, καταμηνύσαι δὲ τὸ χεῖρον ὥστε φυλάξασθαι καὶ προαποκρούσασθαι. Καὶ γὰρ ὅσα ἐλπίδες, αἳ τὸ ἀνθρώπων βόσκουσι γένος, ὀρέγουσι χρηστά τε καὶ μείλιχα καὶ ὅσα φόβος ἔχει προμηθῆ τε καὶ ὀνήσιμα, πάντα τοῖς ὀνείροις ἔνι καὶ ὑπ’ οὐδενὸς οὕτως ἐλπίζειν ἀναπειθόμεθα. Καίτοι τὸ χρῆμα τῶν ἐλπίδων οὕτως ἐστὶν ἐν τῇ φύσει πολὺ καὶ σωτήριον ὥστε φασὶν οἱ

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fargli violenza; e questo è un delitto che il legislatore non lasciò mai impunito, neppure presso gli uomini. Oltre a tutto ciò, che rende già abbastanza complicato praticare questo genere di mantica, a chi tenta di scoprire il futuro può anche capitare di dover interrompere l’attività, così come di abbandonare totalmente l’arte divinatoria, nel caso in cui si rechi in terra straniera: non è semplice, infatti, per chi si sposta da un luogo all’altro, portarsi dietro tutti gli strumenti necessari. Nel caso della divinazione onirica, al contrario, ognuno è strumento a se stesso, al punto che non ci si può lasciare alle spalle la sede dell’oracolo neppure volendolo: esso coabita con chi resta nel proprio paese e si sposta assieme a chi se ne allontana, partecipando a spedizioni militari, affari pubblici, lavoro nei campi, attività commerciali. A questo tipo di divinazione, poi, non potrebbero mai opporsi neppure le leggi di uno Stato malvagio (quand’anche desiderassero farlo), non possedendo alcuna prova contro coloro che lo praticano. Quale ingiustizia commettiamo mai, difatti, dormendo? Di non assistere ai sogni non potrebbe ordinarlo neanche un tiranno (certo che no!), a meno di non bandire pure il sonno dal proprio regno. Ma questa sarebbe l’azione di un folle, che ambisce a cose impossibili; oppure di un empio, che legifera contro la natura e contro Dio. 13.  È doveroso, dunque, che ricorra alla mantica onirica la donna come l’uomo, il vecchio come il giovane, il povero come il ricco, il privato cittadino come il governante, chi vive in città come chi abita in campagna, l’artigiano come l’oratore. Non c’è sesso, età, condizione, mestiere che essa non includa. È a disposizione di tutti ovunque, zelante profetessa, buona e discreta consigliera. Al contempo iniziatrice ai misteri e iniziata, essa preannuncia il bene così da prolungarne il piacere, cogliendone in anticipo il godimento, e così denuncia il male, in modo tale da consentire di stare in guardia e di respingerlo per tempo. Infatti, quanto di buono e dolce offrono le speranze, che pascono il genere umano,59 e quanto di prudente e vantaggioso comporta la paura, tutto si ritrova nei sogni; da nient’altro siamo persuasi a sperare così. Il valore della speranza è talmente abbondante e salvifico per la natura da far

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κομψοὶ σοφισταὶ μηδ’ ἂν ἐθελῆσαι ζῆν τοὺς ἀνθρώπους ἔχοντας ὡς ἐγένοντο τὴν ἀρχήν· ἀπαγορεύειν γὰρ ὑπὸ τῶν περικεχυμένων τὸν βίον δεινῶν εἰ μὴ τὰς ἐλπίδας αὐτοῖς ἐνέχεεν εἰς τὴν φύσιν ὁ Προμηθεύς, διαμονῆς φάρμακον, ὑφ’ ὧν παραγόμενοι πιστότερον ἥγηνται τοῦ φαινομένου τὸ προσδοκώμενον· αἱ δὲ τοσαύτην ἔχουσι τὴν ἰσχὺν ὥστε ὁ δεδεμένος ἐν πέδαις, ὅταν ἐφῇ τῷ βουλομένῳ τῆς γνώμης ἐλπίσαι, καὶ λέλυται καὶ στρατεύεται καὶ αὐτίκα διμοιρίτης ἐστὶ καὶ μετὰ μικρὸν λοχαγός, ἔπειτα στρατηγός, καὶ νικᾷ καὶ θύει καὶ στεφανηφορεῖ καὶ παρατίθεται τράπεζαν, εἰ μὲν βούλοιτο Σικελικήν, εἰ δὲ βούλοιτο Μηδικήν. Καὶ μέντοι τοῖν ποδοῖν ἐπιλήσμων ἐστὶν ἕως εἶναι βούλεται στρατηγός. Καίτοι πᾶν τοῦτο ὕπαρ ἐστὶν ὀνειρώττοντος καὶ ἐγρηγορότος ἐνύπνιον· περὶ γὰρ ταὐτὸν ὑποκείμενον ἄμφω συνίστανται, τὴν φανταστικὴν φύσιν, ἣν ὅταν μὲν ἡμεῖς εἰδωλοποιεῖν ἐθελήσωμεν, ἓν τοῦτο παρέχεται χρήσιμον· ἐπαλείφει τὸν βίον ἡμῶν εὐθυμίᾳ, καὶ κολακεύουσα τὴν ψυχὴν ταῖς πεπλανημέναις ἐλπίσιν ἀναλαμβάνει τῶν δυσχερῶν τῆς αἰσθήσεως· ὅταν δὲ αὐτεπίτακτος ἡμῖν ἐλπίδα προβάληται – τοῦτο δὲ γίνεται καθευδόντων –, ἐνέχυρον ἔχομεν τοῦ θεοῦ τὴν τῶν ὕπνων ὑπόσχεσιν· ὥστε ἤδη τις εὐτρεπίσας τὴν γνώμην εἰς τὸ χρήσασθαι μείζοσι πράγμασιν, ἃ προὔτεινεν αὐτῷ τὸ ἐνύπνιον, διττὸν ἠνέγκατο κέρδος, τό τε ἡσθῆναι πρὸ τῶν πραγμάτων καὶ τὸ παραγενομένοις ἐπισταμένως χρήσασθαι τῷ πάλαι προεσκέφθαι περὶ αὐτῶν, ὡς προσηκόντων αὐτοῦ τῷ βίῳ. Ὥστε ἣν ὕμνησε τὴν ἐλπίδα ὁ Πίνδαρος περὶ ἀνδρὸς λέγων εὐδαίμονος ὅτι ἄρα αὐτῷ « γλυκεῖα καρδίαν ἀτάλλοισα κουροτρόφος συναορεῖ ἐλπίς, ἃ μάλιστα θνατῶν πολύστροφον γνώμαν κυβερνᾷ », φαίη τις ἂν οὐ περὶ τῆς ὕπαρ λέγεσθαι, τῆς ἀπατηλῆς ἣν ἡμεῖς ἑαυτοῖς διαπλάττομεν. Ἀλλ’ ὅλον τοῦτο μικροῦ μέρους ἐνυπνίων ἔπαινος εἴρηται τῷ Πινδάρῳ. Ἡ περὶ τοὺς ὀνείρους οὖν μαντική, σὺν τέχνῃ

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affermare ad alcuni acuti sapienti che gli uomini non avrebbero voluto nemmeno vivere se fossero rimasti tali e quali erano all’origine. Infatti, sarebbero stati dissuasi dai mali di cui è cosparsa la vita, se Prometeo non avesse riversato in loro, assieme a quelli, anche le speranze, come una medicina che consente di perdurare.60 Così indotti, gli uomini hanno ritenuto più degna di fiducia l’aspettativa rispetto a quanto si palesava loro dinanzi agli occhi. La speranza possiede una forza tale che chi è legato con dei ceppi, qualora conceda alla volontà che ha nella mente di sperare, si può ritrovare libero, arruolato, immediatamente capo di mezzo reparto, in seguito comandante, infine generale; può quindi ritrovarsi a trionfare, a sacrificare agli dèi, a essere incoronato, a far imbandire un banchetto, se lo desidera alla maniera dei Siculi, altrimenti secondo l’uso persiano. Costui, quindi, finché desidera essere generale, è dimentico dei ceppi ai suoi piedi. Tutto ciò è realtà per chi sta sognando e sogno per chi è sveglio; il sostrato comune a entrambi è la natura immaginativa, la quale, ogniqualvolta noi intendiamo formare un’immagine, ci offre un vantaggio unico: rende la nostra vita intrisa di gioia e, blandendo l’anima con vaghe aspettative, la solleva dalle pene derivate dalla percezione. Nel caso, poi, in cui ci porga spontaneamente una speranza – è quel che capita quando dormiamo –, allora possediamo quanto i sogni promettono come un pegno divino. Perciò, chi ha pronosticato già da tempo di poter ricorrere a beni maggiori del previsto (che il sogno gli ha mostrato) ottiene un guadagno doppio: può gioire in anticipo e poi, quando l’aspettativa si sarà concretizzata, sfruttarla con accortezza, avendo avuto tutto il tempo per occuparsene, poiché si trattava di qualcosa di inerente alla sua vita. Un inno alla speranza lo intonò Pindaro, dicendo, a proposito dell’uomo felice, che “nutrendo il suo cuore, la dolce speranza lo accompagna come una nutrice, lei che più di ogni altra cosa guida l’incostante mente dei mortali”.61 Si può affermare che il poeta non intendesse qui riferirsi a quel genere di speranza ingannatrice che, durante la veglia, ci plasmiamo da soli: d’altra parte, la lode di Pindaro, nel suo insieme, non riguarda che una piccola parte dei sogni. Ecco come la mantica onirica, studiando i feno-

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μετιοῦσα τὸ πεφηνός, βεβαιοτέραν τὴν ἐλπίδα παρέχεται ὥστε μὴ τοῦ φαυλοτέρου γένους εἶναι δοκεῖν. Ἡ δὲ Ὁμήρου Πηνελόπη διττὰς ὑποτίθεται πύλας ὀνείρων καὶ ποιεῖ τοὺς ἡμίσεις ἀπατηλούς, ὅτι σοφὴ τὰ περὶ ὀνείρων οὐκ ἦν· εἰ γὰρ ἠπίστατο τέχνην ἐπ’ αὐτούς, πάντας ἂν διὰ τῶν κεράτων παρήνεγκε. Πεποίηται γοῦν ἐξελεγχομένη καὶ ἀμαθίαν ὀφλισκάνουσα περὶ αὐτὴν δήπου τὴν ὄψιν, ᾗ μὴ δέον ἠπίστησεν· χῆνες μὲν μνηστῆρες· ἐγὼ δέ τοι αἰετὸς ὄρνις,

εἴμ’ Ὀδυσσεύς. Ὁ δὲ ἦν ὁμωρόφιος καὶ πρὸς ὃν ἠδολέσχει περὶ τῆς ὄψεως. Δοκῶ μοι διὰ τῶν τοιούτων ἀκούειν Ὁμήρου λέγοντος ὡς οὐκ ἄξιον ἀπογινώσκειν [οὔτε] ὀνείρων οὐδὲ τὴν ἀσθένειαν τῶν χρωμένων ἐπὶ τὴν φύσιν μετατιθέναι τῶν ὁρωμένων. Παρ’ ὃ μηδὲ Ἀγαμέμνων δίκαιός ἐστιν ἐγκαλεῖν ἀπάτην ὀνείρων, κακῶς ὑπολαβὼν περὶ τῆς νίκης τῆς μαντευτῆς· θωρῆξαί σε κέλευσε κάρη κομόωντας Ἀχαιοὺς πανσυδίῃ· νῦν γάρ κεν ἕλοις πόλιν εὐρυάγυιαν.

Πρόεισιν οὖν ὡς αὐτοβοεὶ τὴν πόλιν αἱρήσων ὅτι τοῦ πανσυδίῃ παρήκουσεν, ὅ φησιν εἰ πρὸς ἕνα τὸ Ἑλληνικὸν ἐξοπλίσειεν· τῷ δ’ Ἀχιλλεύς τε καὶ ἡ Μυρμιδόνων φάλαγξ ἀπόμαχος ἦν, τὸ εὐψυχότατον τοῦ στρατεύματος. 14.  Ἅλις ἐγκωμίων καὶ καταβάλωμεν. Ἀλλ’ ἦ παρὰ μικρὸν ἀγνωμοσύνης ἑάλωκα; Ὅτι μὲν ἀγαθὴ συνεκπλεῦσαί τε καὶ συγκαταμεῖναι καὶ συνεμπορεύσασθαι καὶ συστρατηγῆσαι καὶ πᾶσι πάντα συγκατεργάσασθαι, ταῦθ’ ἃ μικρὸν πρόσθεν εἶπον, τὰ δὲ εἰς αὐτὸν ἐμὲ παρ’ αὐτῆς οὔπω δημοσιεύσας. Καίτοι γε

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meni secondo delle regole ben precise, fornisce delle aspettative abbastanza attendibili, non sembrando quindi rientrare nel novero delle peggiori tecniche divinatorie. La Penelope omerica supponeva che le porte dei sogni fossero due e che questi, per metà, fossero ingannevoli. Ma ella non era esperta dell’argomento: se infatti avesse conosciuto la divinazione onirica, avrebbe fatto passare tutti i sogni attraverso la porta di corno.62 Penelope viene smentita, attirandosi l’accusa d’ignoranza, proprio a proposito di quella visione di cui, a torto, dubitò: “Le oche sono i pretendenti; l’aquila, invece, sono io”.63 “Io sono Odisseo”.64

Questo alloggiava sotto il medesimo tetto e proprio a lui Penelope stava raccontando la visione. Leggendo questi versi, mi pare che Omero voglia dire che non sia bene diffidare dei sogni, né confondere l’incapacità di chi li interroga con la natura delle visioni. Per questo stesso motivo, Agamennone non era nel giusto quando accusava i sogni di ingannevolezza, essendo stato egli stesso a male interpretare la predizione della vittoria: “Zeus ti ha comandato di armare gli Achei dalle chiome fluenti con tutto l’impeto; ora sì che potresti espugnare la città  dalle ampie strade”.65

Agamennone avanzò quindi contro la città pensando di impossessarsene al primo assalto, dal momento che aveva frainteso il termine “con tutto l’impeto”, che voleva invece dire “armare l’esercito greco nella sua interezza”; egli, però, non poteva contare su Achille e la falange dei Mirmidoni, i più coraggiosi dell’esercito, che si erano ritirati dalla battaglia. 14.  Abbiamo elogiato la mantica onirica a sufficienza, si passi ora ad altro. Piuttosto, per poco non sono stato colpevole di ingratitudine. Infatti, che essa sia valida sia che si viaggi per mare sia che si rimanga a casa, che ci accompagni nei commerci come nelle battaglie, che sia utile a ognuno in ogni circostanza, io questo l’ho già detto poc’anzi, ma non ho ancora reso pubblico il beneficio che ne

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οὐδὲν οὕτω συνδιατίθεται τοῖς ἀνθρώποις ὡς συμφιλοσοφεῖ, καὶ πολλὰ τῶν ὕπαρ ἀπόρων, ἐπειδὴ καθεύδοιμεν, τὰ μὲν ὅλα ἔφηνεν, τὰ δὲ συνηυπόρησεν. Γίνεται γάρ τι τοιοῦτον ὡς νῦν μὲν ἐοικέναι πυνθανομένῳ, νῦν δὲ αὐτὸν εἶναι τὸν ἐξευρίσκοντα καὶ διανοούμενον· ἐμοὶ δὴ θαμὰ καὶ συγγράμματα συνεξείργασται. Καὶ γὰρ νοῦν ηὐτρέπισεν καὶ λέξιν ἐνήρμοσεν καὶ τὸ μὲν διέγραψε, τὸ δὲ ἀντεισήγαγεν. Ἤδη δέ ποτε καὶ τὴν ὅλην κατασκευὴν τῆς γλώττης ὑλομανοῦσάν τε καὶ φλεγμαίνουσαν ὀνομάτων καινότητι, ζήλῳ τῆς ἐκφύλου, τῆς ἀρχαίας Ἀτθίδος, ἡ δὲ διὰ θεοῦ νουθετήσασα, τὸ μέν τι εἰπόντος, τὸ δὲ τί ἐστιν εἰπόντος, τὸ δὲ δείξαντος ὄχθους τινὰς ἀπολεαίνειν ἐμπεφυκότας τῆς γλώττης, ἐπανήγαγέν τε ἐς τὸ σῶφρον καὶ τὸ οἰδοῦν ἐκόλασεν. Καὶ κυνηγετοῦντί ποτε συνεπαλαμήσατο μηχανὰς ἐπὶ τὰ σὺν τέχνῃ τῶν θηρίων καὶ θέοντα καὶ κρυπτόμενα, καὶ ἀπειπόντι δέ ποτε καὶ ἀναζευγνύντι προσεδρείαν ἐπέταξεν καὶ τὴν τύχην εἰς κυρίαν ὑπέσχετο ὥστε ἥδιον θυραυλῆσαι πιστεύσαντας· ἡ δέ, ἐπειδὴ παρῆν, ἡ κυρία, καὶ ἡ τύχη παρῆν, ἥ γε ὑπέδειξεν ἐσμοὺς δικτυαλώτων καὶ δοριαλώτων θηρίων. Ἐμοὶ μὲν οὖν βίος βιβλία καὶ θήρα, ὅτι μὴ πεπρέσβευκά ποτε. Ὡς οὐκ ὤφελον ἀποφράδας ἰδεῖν ἐνιαυτοὺς τρεῖς ἐκ τοῦ βίου. Καὶ μέντοι τότε πλεῖστα δὴ καὶ μέγιστα ὠνάμην αὐτῆς. Ἐπιβουλάς τε γὰρ ἐπ’ ἐμὲ ψυχοπομπῶν γοήτων ἀκύρους ἐποίησεν, καὶ φήνασα καὶ ἐξ ἁπασῶν περισώσασα, καὶ κοινὰ συνδιῴκησεν ὥστε ἄριστα ἔχειν ταῖς πόλεσι, καὶ ἐς τὴν βασιλέως ὁμιλίαν τῶν πώποτε Ἑλλήνων θαρραλεώτερον παρεστήσατο. Ἄλλοις δὲ ἄλλων μέλει· ἡ δὲ πάρεστι πᾶσι δαίμων ἀγαθὸς οὖσα ἑκάστῳ, καὶ ἐπιτεχνωμένη τι ταῖς ἐν

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ho tratto in prima persona. Non vi è nulla che sia tanto utile agli uomini quanto il filosofare ricorrendo al suo ausilio: essa infatti, quando dormiamo, risolve o aiuta a risolvere molte delle questioni che ci appaiono complesse durante la veglia. Capita talvolta che il sogno ponga delle domande, talvolta che apporti delle scoperte e delle riflessioni. Nel mio caso, il sogno è stato più volte d’aiuto nel comporre discorsi: ha ben disposto la mia mente, ha rifinito la dizione, mi ha indotto a eliminare alcune espressioni sostituendole con altre. Già da tempo, poi, la divinazione (che interviene a correggere ispirata dalla divinità) ha ricondotto all’equilibrio tutto il mio impianto linguistico, biasimandone la ridondanza, in quanto, appunto, lussureggiante, ampolloso, ricco di termini inconsueti; e infatti mi sforzavo di riprodurre l’antico dialetto attico, che oramai ci è estraneo. Questo è potuto accadere poiché la divinità mi ha dato dei consigli, mi ha fornito delle spiegazioni, mi ha indicato delle asperità, proprie del mio stile, da limare. Anche nella caccia la divinazione onirica mi è risultata preziosa, suggerendomi degli espedienti per catturare quegli animali abili a correre e a nascondersi. Una volta, quand’ero sul punto di rinunciare e di togliere le tende, mi comandò di avere pazienza e mi promise fortuna in un determinato giorno, di modo che, fiducioso, me ne rimasi al campo più volentieri. Quando giunse, il giorno stabilito recò con sé la fortuna, facendo apparire dinanzi ai miei occhi una grande quantità di prede, catturate con la rete e con la lancia. Io ho speso la mia vita tra i libri e la caccia, a eccezione di quando mi sono recato in ambasceria (non avrei mai dovuto vedere quei tre anni nefasti). Ciononostante, anche allora ho tratto dalla divinazione onirica molti e grandi giovamenti. Essa ha reso vane le insidie a me tese da maghi capaci di evocare le anime dei defunti, mostrandomele tutte e traendomi così in salvo; mi è stata poi utile nel disbrigo degli affari pubblici, di modo che le città66 potessero ottenere il meglio; mi consentì di pronunciare il discorso alla presenza dell’imperatore quanto più audacemente sia mai stato fatto presso i Greci.67 Nel campo della mantica ciascuno ha le proprie predilezioni: eppure, la divinazione onirica risulta alla portata di tutti, è un demone buono per ognuno, sempre in grado

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ἐγρηγορόσι φροντίσιν. Οὕτω σοφόν τι χρῆμα ψυχὴ σχολάσασα τοῦ κατακλυσμοῦ τῶν ἀγοραίων αἰσθήσεων ἐπεισαγουσῶν αὐτῇ παντοδαπὸν τὸ ἀλλότριον. Ἅ τε γὰρ ἔχει τὰ εἴδη καὶ ὅσα παρὰ νοῦ δέχεται, μόνη γενομένη παρέχει τοῖς ἐστραμμένοις ἐπὶ τὰ εἴσω, καὶ τὰ παρὰ τοῦ θείου πορθμεύει. Συγγίνεται γὰρ αὐτῇ καὶ θεὸς ἐγκόσμιος οὕτως ἐχούσῃ τῷ τὴν φύσιν αὐτῆς ὁμόθεν εἶναι. 15.  Τὰ μὲν δὴ γένη ταῦτα τῶν ἐνυπνίων θεσπεσιώτερά ἐστι καὶ ἢ πάντως ἢ παρὰ μικρὸν πάντως τρανὰ καὶ σαφῆ καὶ ἥκιστα τέχνης δεόμενα· ἀλλὰ ταῦτα μόνοις ἂν παραγένοιτο τοῖς κατ’ ἀρετὴν ζῶσιν εἴτε φρονήσει πεπορισμένην, εἴτ’ ἔθεσιν ἐγγενομένην. Εἰ δέ ποτε καὶ ἄλλῳ τῳ, μόλις μέν, ἀλλὰ γένοιτ’ ἄν· πάντως γε οὐκ ἐπὶ σμικρῷ δή τινι τῶν ἀρίστων γενῶν ἐνύπνιον τῷ τυχόντι παρέσται. Τὸ δὲ λοιπὸν καὶ πολὺ καὶ κοινότατον γένος, ἐκεῖνο ἂν εἴη τὸ ᾐνιγμένον καὶ ἐφ’ ὃ δεῖ τὴν τέχνην παρασκευάσασθαι. Γένεσίν τε γὰρ ἔσχεν, ὡς οὕτως εἰπεῖν, ἄτοπον καὶ ἀλλόκοτον, καὶ ὡς ἐκ τῶν τοιούτων βλαστῆσαν ἀσαφέστατον πρόεισιν. Ἔχει γὰρ ὧδε περὶ αὐτοῦ· ὅσα φύσις ἔχει πάντων ὄντων, γενομένων, μελλόντων, ἐπεὶ καὶ τοῦτο τρόπος ὑπάρξεως, εἴδωλα ἀπορρεῖ καὶ τῆς ὑποστάσεως αὐτῶν ἀποπάλλεται. Εἰ γὰρ ἕκαστον αἰσθητὸν εἶδός ἐστιν ὕλῃ συνδυασθέν, ἐφωράσαμεν δὲ τῆς ὕλης ἐν τῷ συνθέτῳ τὴν ἐκροήν, ὁ λόγος αἱρεῖ καὶ τὴν τῶν εἰδώλων φύσιν ἐξοχετεύεσθαι, ἵνα κατ’ ἄμφω τὰ μέρη τὴν τοῦ ὄντος ἀξίαν ἀρνήσηται τὰ γινόμενα. Τούτων ἁπάντων τῶν ἀπορρεόντων εἰδώλων τὸ φανταστικὸν πνεῦμα κάτοπτρόν ἐστιν ἐμφανέστατον. Περινοστοῦντα γὰρ ἄλλως καὶ διολισθαίνοντα στάσεως τῇ τε ἀοριστίᾳ τοῦ εἶναι καὶ τῷ παρὰ μηδενὸς τῶν ὄντων ἐπιγινώσκεσθαι, ἐπειδὰν ἐγκύρσῃ τοῖς ψυχικοῖς πνεύμασιν, εἰδώλοις μὲν οὖσιν, ἕδραν δὲ ἔχουσιν εἰς τὴν φύσιν, τούτοις προσαπερείδονται καὶ ὥσπερ εἰς ἑστίαν αὐτὰ

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di suggerire delle soluzioni a quanto ci preoccupa quando siamo desti. Sapiente è quindi l’anima che si è liberata dall’inondazione delle percezioni volgari che le apportano elementi estranei di ogni sorta. Essa infatti, quando è sola, offre a coloro che si rivolgono al mondo interiore le idee che ha in sé e quante ne riceve dall’intelletto, trasmettendo, quindi, ciò che proviene dal divino. Anche un dio encosmico,68 in quanto simile per natura, intesse una relazione con l’anima che si trova in questa condizione. 15.  I sogni di questo tipo sono maggiormente ispirati dalla divinità e risultano totalmente (o quasi) chiari e manifesti: non necessitano, quindi, di alcuna arte interpretativa. Essi, tuttavia, compaiono soltanto a coloro che vivono secondo virtù, sia che questa sia stata raggiunta attraverso la saggezza, sia che risulti insita nei costumi. Sebbene a stento, può accadere che essi compaiano anche ad altri tipi di persone: certamente, non sarà per un motivo da nulla che un sogno di tale specie – la più nobile – appare a un uomo qualsiasi. La restante tipologia, più abbondante e comune, è quella dei sogni enigmatici: in questo caso è necessario ricorrere all’arte interpretativa.69 La loro genesi infatti è, per così dire, insolita e prodigiosa, e, come conseguenza di simili premesse, si sviluppa in modo assai oscuro. Ecco, dunque, in merito, come stanno le cose: da ogni ente che la natura possiede, sia esso presente, passato o futuro (esiste infatti anche questo stato di realtà), si distaccano dei simulacri, che rimbalzano dalla sua sostanza. Se ogni ente sensibile è un composto di forma e materia, e noi abbiamo rilevato in esso un flusso della materia, logica vuole che anche la natura dei simulacri debba rientrare in questa corrente; per questo ciò che è soggetto al divenire, considerato sulla base di entrambe le sue parti costituenti,70 non può ambire alla dignità dell’essere. Lo spirito immaginativo è lo specchio più nitido di tutti questi simulacri che scorrono via. Infatti, poiché essi vagano in disordine, rifuggendo ogni stabilità a causa dell’indeterminatezza del loro essere e del fatto che nessuno tra gli enti li riconosce, qualora si imbattano negli spiriti dell’anima (a loro volta dei simulacri, pur trovandosi nella natura dell’uomo), a questi si appoggiano e là si fermano,

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ἀναπαύονται. Τῶν μὲν οὖν γενομένων, ἅτε ἤδη παρελθόντων εἰς τὴν τοῦ εἶναι ἐνέργειαν, σαφῆ τὰ εἴδωλα ἀποστέλλεται, μέχρις ἂν ὑπὸ χρόνου πλήθους ἀμενηνὰ καὶ ἐξίτηλα γένηται· τῶν δὲ ὄντων, ἅτε ἑστώτων ἔτι, μᾶλλον ἔμβια καὶ ἀριδηλότερα, ἀοριστότερα δὲ τῶν μελλόντων καὶ ἀδιάκριτα· προκυλινδήματα γάρ ἐστιν οὔπω παρόντων, φύσεως ἀτελοῦς ἐξανθήματα, οἷον ἀποσκιρτῶντα καὶ ἐξαλλόμενα σπερμάτων ἀποκειμένων αἰνίγματα. Ταύτῃ καὶ δεῖ τέχνης ἐπὶ μελλόντων· ἐσκιαγραφημένα γὰρ ἐπ’ αὐτοῦ πρόεισιν εἴδωλα, καὶ οὐκ ἐμφανεῖς εἰκόνες ὥσπερ ἀπὸ τῶν ὄντων· θαυμαστά γέ τοι τὴν φύσιν ἐστὶ καὶ οὕτως ἔχοντα, ὅτι ἀπὸ μήπω γενομένων ἐγένετο. 16.  Ἀλλ’ ἤδη γάρ τι καὶ περὶ τῆς τέχνης ῥητέον ὡς ἂν παραγένοιτο. Ἄριστον μὲν οὖν οὕτως παρεσκευακέναι τὸ πνεῦμα τὸ θεῖον ὡς ἐφορείας ἀξιοῦσθαι νοῦ καὶ θεοῦ, ἀλλὰ μὴ δεξαμενὴν εἶναι τῶν ἀορίστων εἰδώλων. Τροφὴ δὲ ἀρίστη διά τε φιλοσοφίας γαλήνην ἐμποιούσης παθῶν – ὑφ’ ὧν κινηθέντων τὸ πνεῦμα, καθάπερ χώρα, καταλαμβάνεται –, καὶ διὰ μετρίας διαίτης καὶ σώφρονος, ἥκιστα μὲν ἐξοιστρώσης τὸ ζῷον, ἥκιστα δὲ σάλον ἐμποιούσης εἰς τὸ ἔσχατον σῶμα· φθάνοι γὰρ ἂν ὁ κλόνος μέχρι τοῦ πρώτου, τὸ δὲ ἀτρεμές τε δεῖ καὶ ἀκλόνητον εἶναι. Ἀλλ’ ἐπειδὴ τοῦτο συνεύξασθαι μὲν ἅπαντι ῥᾴδιον, συγκατεργάσασθαι δὲ ἁπάντων ἀμηχανώτατον, ἡμεῖς δὲ βουλόμεθα μηδενὶ τὸν ὕπνον ἀνόνητον εἶναι, φέρε τινὰ κἂν τοῖς ἀορίστοις ὅρον ζητήσωμεν, τοῦτ’ ἔστι τέχνην περὶ τὰ εἴδωλα συστησώμεθα. Ἔχει δὲ οὕτως· ὥσπερ ἐπὶ τῶν διαποντίων πλεόντων, ὅταν ποτὲ σκοπέλῳ τινὶ προεντύχωσι, κᾆτ’ ἀποβάντες ἴδωσι πόλιν ἀνδρῶν, ὁσάκις ἂν τὸν αὐτὸν σκόπελον ἴδωσι, τὴν

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quasi fosse la loro sede propria. Perciò, i simulacri degli eventi passati, in quanto enti già in atto, sono emessi con chiarezza, fino a che, perlomeno, non diventino, per il trascorrere del tempo, inconsistenti e fugaci. I simulacri degli eventi presenti, poiché ancora sussistono, risultano ancora più vividi e chiari, mentre quelli degli eventi futuri appaiono indeterminati e indistinti; essi sono infatti delle premesse di ciò che ancora non è, delle efflorescenze di una natura incompiuta, come enigmi che sprizzano e sgorgano da semi reconditi. Ecco perché è necessario ricorrere a un’arte per conoscere il futuro: in questo caso, infatti, i simulacri si presentano come degli abbozzi in chiaroscuro e non come le chiare immagini emesse dagli eventi presenti. Pur trovandosi in questa condizione, tuttavia, essi possiedono una natura straordinaria, in quanto esistenti sulla base di qualcosa che ancora non è.71 16.  Giunti a questo punto, d’altronde, bisogna spiegare come l’arte divinatoria possa esserci d’aiuto. La cosa migliore è aver predisposto il proprio spirito divino in modo tale che possa considerarsi degno del dominio dell’intelletto e della divinità e non un ricettacolo di simulacri indefiniti. La miglior preparazione passa attraverso la filosofia, che conduce alla serenità delle passioni (le quali, nel turbinio dell’eccitazione, vanno a occupare lo spirito come se fosse un territorio), nonché attraverso una condotta di vita equilibrata e saggia, che da un lato non renda folle l’essere vivente e dall’altro non crei alcuno sconvolgimento nell’ultimo corpo.72 Il turbamento, infatti, potrebbe trasmettersi fino al primo corpo,73 il quale, al contrario, è opportuno che resti placido e imperturbabile. Tuttavia, poiché è facile per chiunque augurarsi una cosa simile, ma riuscire effettivamente nell’intento rimane l’impresa in assoluto più difficile, e siccome desideriamo che il sonno non risulti vano per nessuno, ecco giunto il momento di ricercare una qualche regola anche per i sogni indeterminati, ovvero di stabilire un’arte a proposito dei simulacri. La questione sta in questi termini. Immaginiamo degli uomini che navigano per il mare: qualora si imbattano in un promontorio e, dopo esservi sbarcati, scorgano una città, tutte le volte che vedranno quello stesso promon-

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αὐτὴν πόλιν σημαίνονται· καὶ ὥσπερ ἐπὶ τῶν στρατηγῶν, οὓς οὐχ ὁρῶντες ἀπὸ τῶν προδρόμων ἴσμεν ὅτι παρέσονται· τῶν γὰρ αὐτῶν φανέντων, ἀεί ποτε παρεγένοντο· οὕτω καὶ τοῖς εἰδώλοις ἑκάστοτε σημαινόμεθα τὴν τῶν ἐσομένων ἐνέργειαν· πρόδρομα γάρ ἐστι ταῦτα τῶν αὐτῶν, καὶ ὅμοια τῶν ὁμοίων. Ὥσπερ οὖν κυβερνήτου κακία ταὐτοῦ σκοπέλου φανέντος μὴ ἐπιγνῶναι μηδ’ ἔχειν εἰπεῖν παρ’ ἥντινα γῆν τὸ σκάφος σαλεύει, καὶ ὁ τοιοῦτος ἀτέκμαρτα πλεῖ, οὕτως ὁ τὴν αὐτὴν ὄψιν πολλάκις ἰδών, εἰ μὴ κατεσημήνατο τίνος αὐτῷ προφῆτις ἐγένετο πάθους ἢ τύχης ἢ πράξεως, ἀνοήτως χρῆται τῷ βίῳ, καθάπερ ὁ κυβερνήτης ἐκεῖνος τῷ σκάφει. Καὶ τὰς διοσημείας προαγορεύομεν ἐν εἰρήνῃ βαθείᾳ τοῦ περιέχοντος περὶ τὴν σελήνην ἅλως ἰδόντες, ὅτι πολλάκις ἰδόντων οὕτω χειμὼν ἠκολούθησεν, τῇ μὲν ἰῇ ἀνέμοιο γαληναίης τε δοκεύειν, ῥηγνυμένῃ ἀνέμοιο, μαραινομένῃ δὲ γαλήνης. Αἱ δύο δ’ ἂν χειμῶνι περιτροχάοιεν ἀλωαί. Μείζονα δ’ ἂν χειμῶνα φέροι τρισέλικτος ἀλωή, καὶ μᾶλλον μελανεῦσα, καὶ εἰ ῥηγνύατο μᾶλλον.

Οὕτως ἐπὶ πάντων Ἀριστοτέλης τε καὶ ὁ λόγος φησίν· ἡ μὲν αἴσθησις μνήμην, ἡ δὲ μνήμη πεῖραν, ἡ δὲ πεῖρα τέχνην ἐποίησεν. Οὕτω καὶ τὴν ἐπὶ τοὺς ὀνείρους βαδίσωμεν. 17.  Ἤθροισται μὲν οὖν ἐνίοις ἤδη βιβλία συχνὰ τῆς τοιᾶσδε παρατηρήσεως· ἀλλ’ ἔγωγε αὐτῶν ἁπάντων καταγελῶ καὶ ὀλίγον ὄφελος ἥγημαι. Οὐ γὰρ, ὥσπερ τὸ σῶμα τὸ ἔσχατον, τῶν καθωμιλημένων στοιχείων ἡ σύνοδος, δύναται δέξασθαι τέχνην καθόλου καὶ λόγον τῇ φύσει συμπαρατείνοντα – ὡς γὰρ ἐπὶ

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torio lo prenderanno come un segno della medesima città. Pensiamo adesso a dei generali: pur non vedendoli, sappiamo dalla presenza delle avanguardie che arriveranno; quando compaiono quelle, infatti, essi sono sempre nelle vicinanze. Allo stesso modo, noi possiamo ogni volta trarre dai simulacri il segno dell’attività futura, essendo quelli le avanguardie di quanto accadrà e anticipando eventi identici a loro stessi. Dunque, come per un timoniere è sintomo di incapacità non riconoscere uno stesso promontorio quando gli compare innanzi e, altrettanto, non saper dire presso quale terra si trovi ancorata la propria imbarcazione, navigando, insomma, alla cieca, così si può affermare che chi abbia avuto più volte una medesima visione, ma non abbia afferrato di quale passione, destino o impresa essa si sia fatta profezia, conduce la propria esistenza in maniera sciocca, esattamente come il timoniere suddetto fa con la nave. Anche semplicemente osservando un alone attorno alla luna, in circostanze climatiche di estrema quiete, noi siamo in grado di prevedere il sopraggiungere di bruschi mutamenti atmosferici; questo perché, in effetti, più volte a simili visioni ha fatto seguito una tempesta: “Un alone soltanto preannuncia vento e bel tempo, vento se si spezza, bel tempo se sfuma. In caso di tempesta avvolgerebbero la luna due aloni. Un triplo alone porterebbe una tempesta peggiore, più insidiosa se l’alone si fa scuro, ancora di più se si spezza”.74

E questo è vero in ogni ambito, come affermano Aristotele e la ragione: la percezione crea la memoria, la memoria l’esperienza, l’esperienza l’arte.75 Dobbiamo dunque procedere seguendo questo metodo anche per quanto riguarda la materia che concerne i sogni. 17.  Sono oramai stati raccolti molti libri a proposito dell’osservazione dei sogni; io, dal canto mio, ne sorrido, ritenendoli tutti di scarsa utilità. Difatti, se l’ultimo corpo (ovvero il composto di quelli che comunemente definiamo elementi) può ammettere un’arte generale e una teoria conforme alla propria natura –

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πλεῖστον ὑπὸ τῶν αὐτῶν ταὐτὰ πάσχει, μικρᾶς οὔσης ἐν τοῖς ὁμοειδέσι τῆς διαφορᾶς τῆς πρὸς ἄλληλα, καὶ τὸ παρὰ φύσιν ἔχον ἐν αὐτοῖς οὐ λανθάνει νοσοῦν, οὐδὲ χρώμεθα τῷ τοιούτῳ γνώμονι –, οὐχ οὕτως ἐπὶ τοῦ φανταστικοῦ πνεύματος, ἀλλὰ καὶ τῇ πρώτῃ φύσει διενήνοχεν ἄλλο ἄλλου· ἄλλο γὰρ ἄλλῃ σφαίρᾳ προσήκει τῷ πλείονι τοῦ φυράματος· ἦ μάλα δὴ κεῖναί γε μακάρταται ἔξοχα πασέων ψυχάων ποτὶ γαῖαν ἀπ’ οὐρανόθεν προχέονται· κεῖναι δ’ ὄλβισταί τε καὶ οὐ φατὰ νήματ’ ἔχουσαι, ὅσσαι ἀπ’ αἰγλήεντος, ἄναξ, σέθεν, ἠδὲ καὶ αὐτοῦ ἐκ Διὸς ἐξεγένοντο, μίτου κρατερῆς ὑπ’ ἀνάγκης.

Καὶ τοῦτ’ ἄρα ἦν, ὅπερ ᾐνίξατο Τίμαιος, διδοὺς ἑκάστῃ ψυχῇ σύννομον ἄστρον. Αἱ δὲ καὶ τῆς φύσεως ἐκστᾶσαι, τῷ φιλοχωρῆσαι περὶ τὴν ὕλην, ἡ μὲν ἧττον, ἡ δὲ μᾶλλον, ὡς ἑκάστη ῥοπῆς ἐδυστύχησεν, τὸ πνεῦμα ἐμόλυνεν. Ἐνοικίζονται δὴ σώμασιν οὕτως ἔχουσαι καὶ γίνεται βίος ὅλος ἐν ἁμαρτίᾳ καὶ νόσῳ τοῦ πνεύματος, αὐτῷ μὲν παρὰ φύσιν διὰ τὴν πρώτην εὐγένειαν, τῷ ζῴῳ δὲ κατὰ φύσιν· ὑπὸ γὰρ οὕτως ἔχοντος ἐψυχώθη· εἰ μὴ καὶ αὐτῷ φύσις ἐστὶν ἡ τάξις εἰς ἣν ὑφ’ ἑαυτοῦ τάττεται κακίᾳ καὶ ἀρετῇ χρώμενον. Οὐδὲν γὰρ οὕτως ὥσπερ πνεῦμα εὐτράπελον. Πῶς ἂν οὖν ἐν τοῖς ἀνομοίοις καὶ φύσει καὶ νόμῳ καὶ πάθεσι ταὐτὰ ἂν ὑπὸ τῶν αὐτῶν ἐμφανίζοιτο; Οὐκ ἔστι τοῦτο οὐδ’ ἂν γένοιτο. Πῶς δ’ ἂν γένοιτο τὸ τεθολωμένον ὕδωρ καὶ τὸ διαφανὲς καὶ τὸ μένον καὶ τὸ κινούμενον ὑπὸ τῆς αὐτῆς μορφῆς ὁμοίως διατεθῆναι; Εἰ δὲ καὶ ὁ θολὸς ἄλλος ἐν ἄλλῳ κατὰ διαφορὰς χρωμάτων καὶ αἱ κινήσεις ἐν σχηματισμοῖς πλείοσιν, οὕτως ἂν ἓν μὲν εἴη τῷ γένει

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nella maggior parte dei casi esso subisce le stesse affezioni a partire dalle medesime cause, essendo minimo lo scarto reciproco tra corpi simili, e appare manifesto in lui il carattere nocivo di tutto ciò che è contrario alla sua natura e non è da considerarsi come regola –, le cose non stanno così per quanto riguarda lo spirito immaginativo, differendo uno spirito da un altro già nella natura prima. Infatti, uno apparterrà a una sfera, uno a un’altra, a seconda dell’elemento dominante nel suo impasto:76 “Certo di gran lunga le più beate tra tutte le anime si riversano sulla terra dal cielo; eppure le più felici, quelle cui tocca un destino ineffabile, sono quelle che dal tuo splendore, Signore, e dallo stesso Zeus sono state generate, secondo la disposizione  di un’invincibile necessità”.77

Proprio questo era ciò cui alludeva, ricorrendo a parole oscure, Timeo, quando intendeva assegnare a ogni anima un astro corrispondente.78 D’altronde, tutte quelle anime che si sono distaccate dalla propria natura, preferendo restare presso la materia (alcune più alcune meno, sulla base di quanto sono state colpite dalla loro nefasta inclinazione), hanno macchiato lo spirito. In queste condizioni, dunque, esse abitano i corpi, trascorrendo un’intera vita nell’errore e nella malattia spirituale, condizione assolutamente innaturale per lo spirito stesso, considerata la sua primitiva nobiltà, ma perfettamente idonea all’essere vivente, che è stato animato proprio da un ente che versava in quella situazione.79 A meno che, d’altra parte, la natura dello spirito non sia dettata dal livello cui esso stesso si pone praticando il vizio e la virtù: nulla, infatti, è mutevole come lo spirito. Come è possibile, dunque, che visioni identiche si manifestino in persone diverse per natura, leggi ed esperienze a partire dalle medesime cause? Ciò non avviene, né lo potrebbe mai. Si può ammettere, del resto, che un’acqua torbida e una limpida, una stagnante e una che scorre, riflettano in maniera identica una stessa forma? Se l’opacità dell’acqua muta da un luogo a un altro sulla base di differenze di colore e i suoi movimenti variano in un gran numero di figurazioni, il solo elemento in comune sarà la

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τὸ ἁμαρτεῖν τῆς ἀκριβοῦς εἰκόνος. Εἰ δ’ ἔστι διάφορον, εἴτ’ οὖν Φημονόη τις εἴτε τῳ Μελάμπους, εἴτε ἕτερός τις ἀξιώσει καθόλου τι περὶ τῶν τοιούτων ἀφορίζειν καὶ διατάττεσθαι, πυθώμεθα αὐτῶν εἰ φύσιν ἔχει καὶ τὸ ὀρθὸν καὶ τὸ διάστροφον κάτοπτρον τό τε ἐξ ἀνομοίων ὑλῶν ὅμοιον ἀποδιδόναι τοῦ δεικνυμένου τὸ εἴδωλον. Ἀλλ’ ἐκεῖνοί γε οὐδὲ τὴν ἀρχήν, οἶμαι, πεφιλοσοφήκασί τι περὶ τοῦ πνεύματος. Τὸ δὲ οἰκεῖον αὐτῷ ὅπως ποτὲ ἔχον ἁπάντων ἠξίωσαν εἶναι κανόνα καὶ γνώμονα. Καὶ ἔγωγε οὐκ ἀναιρῶ τὸ καὶ διὰ πάντων εἶναι τῶν διαφερόντων ἐμφέρειαν, ἀλλὰ τὸ ἀσαφὲς διασπώμενον ἀσαφέστερον γίνεται· ἦν δὲ δήπου καὶ τὴν ἀρχὴν δυσεπίγνωστον τὸ τοῦ προεκθορόντος πράγματος εἴδωλον. Ἔτι δὲ χαλεπώτερον ἑλεῖν ἐν ἑκάστῳ τρόπῳ κοινῷ φαντάσματι παραπλήσιον. 18.  Διὰ ταῦτα μὲν ἀπογνωστέον τοῦ κοινοὺς ἅπασι νόμους γενέσθαι· ἑαυτὸν δέ τις ἕκαστος ὕλην ἐχέτω τῆς τέχνης· ἐγγραφέτω τῇ μνήμῃ τίσι καὶ πότε συνηνέχθη πράγμασιν, ἐπὶ ποδαπαῖς ποτε ταῖς ὄψεσιν. Οὐ χαλεπῶς ἕξις ἀθροίζεται περὶ τὸ σὺν χρείᾳ τινὶ μελετώμενον· ὑπομιμνήσκει γὰρ τῆς μελέτης ἡ χρεία, καὶ μάλιστα ὅταν εὐπορῇ τῆς ὕλης ἑκάστοτε. Τί δ’ ἂν ἐνυπνίων γένοιτο ἀφθονώτερον; Τί δ’ ἐπαγωγότερον; Ἃ καὶ τοὺς ἠλιθίους ἐφέλκεται περὶ αὐτῶν τι φροντίσαι, ὥστε αἰσχρὸν ἂν εἴη τοὺς τὰ δέκα ἀφ’ ἥβης γεγονότας ἑτέρου μάντεως ἔτι προσδεῖσθαι, ἀλλὰ μὴ παρ’ ἑαυτῶν συνενηνοχέναι τῆς τέχνης πάμπολλα θεωρήματα. Σοφὸν δ’ ἂν εἴη καὶ γράφειν τά τε ὕπαρ καὶ ὄναρ ὁράματα καὶ συμπτώματα, εἰ μὴ πρὸς τὸ καινὸν τῆς ἐπινοίας ὁ τῆς πόλεως τρόπος ἀγροικιεῖται. Ἐπεὶ ἡμεῖς ἀξιώσομεν ταῖς καλουμέναις ἐφημερίσι τὰς ὑφ’ ἡμῶν ὀνομαζομένας ἐπινυκτίδας συνάπτοντας ἔχειν τῆς ἐν ἑκατέρᾳ ζωῇ διεξαγωγῆς ὑπομνήματα· ζωὴν γάρ τινα τὴν κατὰ

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mancata restituzione dell’immagine esatta. Se però qualcuno, una Femonoe, un Melampo80 o chiunque altro, non fosse d’accordo e avesse intenzione di definire e classificare integralmente questi fenomeni, allora bisognerebbe chieder loro se uno specchio dritto, uno curvo, uno composto di differenti materiali possano rendere esattamente la stessa immagine dell’oggetto mostrato. Ma costoro, io credo, non hanno affatto esaminato in senso filosofico la natura dello spirito. Ciononostante, sono pronti a considerare ogni sua caratteristica, quale che sia la condizione in cui esso si trovi, norma e regola generale. Io non nego che anche tra cose diverse si possa ritrovare un principio comune; eppure, ciò che è oscuro lo diventa ancora di più se lo si frammenta. Certamente, risulta già assai complicato discernere il simulacro di un evento balzato fuori prima di accadere;81 ancora più difficile è riuscire ad afferrarne, per ciascun caso, uno che rassomigli a una visione comune. 18.  Per queste ragioni, bisogna rinunciare all’idea che esistano delle leggi che vanno bene per tutti. Al contrario, ciascuno prenda se stesso come materia per l’arte divinatoria e imprima nella propria memoria quali sono le circostanze in cui si è venuto a trovare, quando, in seguito a quali visioni. Senza difficoltà si acquisisce competenza in qualcosa che si è praticato ottenendo un profitto: il guadagno, infatti, richiama alla memoria l’esercizio, specie in quei casi in cui la materia abbonda. E che cosa c’è di più abbondante, di più attraente dei sogni? Questi riescono a indurre persino gli sciocchi a occuparsi di loro, tanto che sarebbe vergognoso che degli uomini già usciti dalla giovinezza da dieci anni avessero ancora bisogno di un indovino diverso da loro stessi e non avessero raccolto per conto proprio un gran numero di osservazioni intorno all’arte divinatoria. Sarebbe addirittura cosa saggia trascrivere le visioni che si hanno durante il sonno e nella veglia, nonché le relative circostanze, purché i costumi della città non risultino troppo retrogradi a fronte di una pratica tanto inconsueta. Allora, ecco che riterremo opportuno accostare alle cosiddette “efemeridi”82 quelle che noi stessi definiamo “epinittidi”,83 in modo tale da disporre di annotazioni sulla condotta di entrambe84

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φαντασίαν ὁ λόγος ἐτίθετο, νῦν μὲν βελτίω, νῦν δὲ χείρω τῆς μέσης, ὡς ἂν ὑγιείας ἔχῃ τὸ πνεῦμα καὶ νόσου. Οὕτως οὖν εἰς τὴν παρατήρησίν τι προὔργου ποιοῖμεν, ὑφ’ ἧς ἡ τέχνη συναύξεται, οὐδενὸς ἡμῖν ἐκ τῆς μνήμης διολισθαίνοντος, καὶ τὰ ἄλλα ἀστεία τις ἂν εἴη ψυχαγωγία ἱστορίᾳ τιμᾶν ἑαυτὸν ἐγρηγορότα τε καὶ καθεύδοντα. Ἀλλὰ καὶ οἷς ἐπιμελές ἐστι τῆς γλώττης, οὐκ οἶδ’ εἴ τις ὑπόθεσις ἀντὶ ταύτης ἑτέρα παντοδαπὸν ἂν γύμνασμα γένοιτο τῆς ἐν τῷ λέγειν δυνάμεως. Εἰ γὰρ τὰς ἐφημερίδας ὁ Λήμνιος σοφιστὴς ἀγαθὰς εἶναι διδασκάλους φησὶ τοῦ περὶ ἅπαντος εὖ εἰπεῖν τῷ μηδὲ τῶν μειόνων ὑπερορᾶν, ἀλλ’ ἀνάγκην εἶναι διὰ πάντων ἰέναι φαύλων τε καὶ σπουδαίων, πῶς οὐκ ἄξιον ἄγεσθαι τὰς ἐπινυκτίδας εἰς ἑρμηνείας ὑπόθεσιν; Ἴδοι δ’ ἄν τις ὅσον τὸ ἔργον, ἐπιχειρήσας συμπαρατείνειν τὸν λόγον τοῖς φάσμασιν ὑφ’ ὧν χωρίζεται μὲν τὰ φύσει συνόντα, συνάγεται δὲ τὰ φύσει κεχωρισμένα, καὶ δεῖ τῷ λόγῳ τὸν μὴ πεφαντασμένον φαντάσαι. 19.  Ἀλλ’ οὔ τί γε φαῦλον τὸ ἔργον ἐν τῇ ψυχῇ γενόμενον ἀλλόκοτον κίνημα διαβιβάζειν ἐφ’ ἕτερον. Ὅταν δὲ τῇ φαντασίᾳ ἐξωθῆται μὲν τοῦ εἶναι τὰ ὄντα, ἀντεισάγηται δὲ εἰς τὸ εἶναι τὰ μηδαμῇ μηδαμῶς μήτε ὄντα μήτε φύσιν ἔχοντα εἶναι, τίς μηχανὴ τοῖς οἴκοθεν ἀνεννοήτοις παραστῆσαι φύσιν ἀκατονόμαστον; Ἡ δὲ ταῦτ’ οὔτε εἴδη πολλὰ καὶ ἅμα πάντα οὐδὲ σὺν χρόνῳ φέρουσα δείκνυσι· καὶ μέντοι ταῦτα ὡς ἂν ἔχῃ τε καὶ ὀρέγῃ τὸ ἐνύπνιον. Οἰόμεθα γὰρ ἅπαν ὅ τι ἂν βούληται· ἐν οἷς ἅπασι καὶ τὸ διαγενέσθαι μὴ λίαν ἀσχημονοῦντα τελειοτάτης ἂν εἴη ῥητορικῆς. Νεανιεύεται δὲ ἡμῶν καὶ κατ’ αὐτῆς ἤδη τῆς γνώμης, ἐνδιδοῦσά τι πλέον τοῦ

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le nostre vite. Nel nostro trattato, infatti, abbiamo affermato l’esistenza di una qualche forma di vita conforme all’immaginazione, ora migliore, ora peggiore rispetto a quella media, sulla base dello stato di salute o malattia dello spirito. In quel modo, dunque, se non ci lasciassimo sfuggire nulla dalla memoria, potremmo rinsaldare quell’osservazione a partire dalla quale l’arte divinatoria si sviluppa. In più, sarebbe certo un piacevole diletto onorare se stessi con un resoconto della propria esistenza onirica e diurna. Per coloro che hanno a cuore l’arte oratoria, poi, non saprei davvero trovare un’altra occasione di esercizio delle capacità dialettiche altrettanto varia. Se infatti il sofista di Lemno85 ritiene che le “efemeridi” siano delle ottime insegnanti del parlar bene su ogni argomento, poiché non trascurano i temi di minore importanza, e che sia anzi necessario sapersi muovere attraverso tutti i contenuti, da quelli seri a quelli di poco conto, come non reputare le “epinittidi” delle degne opportunità di esercizio dell’elocuzione? Chiunque può constatare quanto impegno richieda accingersi a conformare il discorso alle immagini oniriche, che separano quel che in natura si trova unito e uniscono ciò che in natura è diviso; bisogna poi far sì che, proprio in virtù del nostro discorso, anche chi non ha avuto la visione riesca a percepirla. 19.  Non è certo cosa da poco, d’altronde, riuscire a trasmettere a qualcun altro un movimento particolare che si è verificato nella propria anima. Quando, per opera dell’immaginazione, gli enti reali sono esclusi dall’esistenza, venendo rimpiazzati da altri che non esistono in alcun modo, affatto, né hanno la facoltà di esistere, a quale artificio si potrà mai ricorrere per presentare una natura indefinibile a coloro che non si sono mai curati delle proprie questioni interiori? L’immaginazione non mostra questi enti ricorrendo a numerose immagini, ma le condensa tutte assieme; non le presenta dunque in sequenza, ma le contiene e le espone come fa il sogno. Noi pensiamo, in effetti, tutto ciò che essa vuole: districarsene senza fare troppi errori sarebbe proprio di una retorica perfetta. L’immaginazione ci provoca, andando pure contro il nostro stesso giudizio e permettendoci qualcosa che va oltre le nostre

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οἴεσθαι· οὐδὲ γὰρ οὐδὲ ἀπαθῶς διακείμεθα περὶ τὰ θεάματα, ἀλλ’ ἰσχυραὶ μὲν αἱ συγκαταθέσεις τε καὶ προσπάθειαι, ἀποστυγοῦμεν δὲ οὐχ ἥκιστα, καὶ αἱ συχναὶ περὶ ταῦτα μαγγανεῖαι καθεύδουσιν ἐπιτίθενται· ἥ τε ἡδονὴ τότε δὴ καὶ μάλιστα μειλιχώτατον ὡς ἐναπομόργνυσθαι ταῖς ψυχαῖς μίση καὶ ἔρωτας εἰς τὴν ὕπαρ ζωήν. Εἰ δή τις μέλλοι μὴ ἄψυχα φθέγγεσθαι, ἀλλ’ ὅτου χάριν ἐσπουδάσθη ὁ λόγος ἐπιτελεῖν, ἐν ταὐτῷ πάθει καὶ ταῖς αὐταῖς ὑπολήψεσι καθιστάναι τὸν ἀκουστήν, κινουμένων ἂν δέοιτο τῶν ῥημάτων. Ἤδη δέ τις ἅμα καὶ νικᾷ καὶ βαδίζει καὶ ἵπταται, καὶ χωρεῖ πάντα ἡ φαντασία· πῶς δ’ ἂν λέξις χωρήσειε; Καὶ καθεύδει τις ὄναρ, καὶ ὄναρ ὁρᾷ καὶ διανέστη καθεύδων, ὡς οἴεται, καὶ τὸν ὕπνον ἀπετινάξατο κείμενος καὶ φιλοσοφεῖ τι περὶ τοῦ φανέντος ὀνείρου καθὰ οἶδεν, καὶ τοῦτο ὄνειρος, ἀλλ’ ἐκεῖνο διπλοῦς· εἶτ’ ἀπιστεῖ καὶ οἴεται τὸ παρὸν ὕπαρ εἶναι καὶ ζῆν τὰ φαινόμενα. Ἐντεῦθεν ἀνὰ κράτος ἡ μάχη καὶ ὀνειρώττει τις ἀγῶνα πρὸς αὑτὸν, ἀπολιπεῖν τε καὶ διεγείρεσθαι καὶ πεῖραν λαβεῖν ἑαυτοῦ καὶ τὴν ἀπάτην φωρᾶσαι. Οἱ μὲν οὖν Ἀλωάδαι κολάζονται τὰ Θετταλῶν ὄρη τοῖς θεοῖς ἐπιτειχίζοντες· καθεύδοντι δὲ οὐδεὶς Ἀδραστείας νόμος ἐμποδών τὸ μὴ οὐκ ἀπᾶραι τῆς γῆς εὐτυχέστερον Ἰκάρου καὶ ὑπερπτῆναι μὲν ἀετούς, ὑπεράνω δὲ καὶ αὐτῶν γενέσθαι τῶν ἀνωτάτω σφαιρῶν. Καὶ τὴν γῆν τις ἀποσκοπεῖται πόρρωθεν καὶ οὐδ’ ὁρωμένην τῇ σελήνῃ σημαίνεται. Ἔξεστι δὲ καὶ ἄστρασι διαλέγεσθαι καὶ τοῖς ἀφανέσιν ἐν κόσμῳ συνεῖναι θεοῖς. Τό γέ τοι χαλεπὸν λεγόμενον, τότε ῥᾴδιον γίνεται, θεοὶ φαίνονται ἐναργεῖς· οὐδὲ τούτων μέντοι φθόνος οὐδὲ εἷς. Μετὰ γὰρ μικρὸν ἐπὶ γῆς οὐδὲ ἦλθεν, ἀλλ’ ἔστιν. Οὐδὲν γὰρ οὕτως ἐνυπνίων ὡς τὸ κλέψαι τοὒν μέσῳ καὶ μὴ σὺν χρόνῳ ποιῆσαι· εἶτα προβατίοις τε διαλέγεται καὶ

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convinzioni.86 Difatti, noi non rimaniamo impassibili dinanzi alle visioni oniriche, ma o le approviamo con impeto e diamo loro la nostra adesione passionale oppure, con altrettanta forza, le respingiamo. Sono numerosi d’altra parte gli incantesimi legati a queste visioni che insidiano i dormienti: il piacere che si prova allora è talmente dolce da saper cospargere le nostre anime di sentimenti di odio e d’amore che poi si ripercuotono nella vita diurna. Se dunque non si ha intenzione di esprimere un linguaggio senz’anima, ma si vuole portare a termine lo scopo che ci si è prefissi nel curare il discorso, ovvero calare l’uditore nel nostro stesso stato d’animo e modo di pensare, si dovrà ricorrere a delle espressioni animate. In sogno si può contemporaneamente vincere, camminare, volare; l’immaginazione riesce a contenere tutto questo: ma come può la parola fare altrettanto? Prendiamo ad esempio una persona che sogna di dormire: fa un sogno, poi, pur restando nel letto, si alza (o almeno lo crede) e pur essendo ancora disteso si scrolla di dosso il sonno e si mette a ragionare sul sogno che ha fatto, in relazione alle proprie conoscenze; questo è un sogno, ma l’altro è stato un sogno doppio.87 Ecco, poi, che inizia a nutrire dei dubbi e a credere che il presente sia lo stato di veglia e che le immagini che percepisce siano la vita reale. A quel punto si genera un aspro conflitto e sogna di lottare contro se stesso, di abbandonare e di svegliarsi, quindi di riprendere coscienza di sé e di cogliere l’illusione. Gli Aloadi furono puniti per aver accatastato i monti della Tessaglia contro gli dèi;88 eppure, nessuna legge di Adrastea89 impedisce a chi dorme di staccarsi da terra con più fortuna di Icaro e di volare più in alto delle aquile, addirittura al di sopra delle massime sfere. Quello, di lontano, può scorgere la terra o, se non è visibile, individuarla grazie alla luna;90 può anche discorrere con le stelle e stare assieme agli dèi invisibili nel cosmo. Insomma, ciò che pare difficile a dirsi diventa facile in sogno: “gli dèi si mostrano in tutto il loro splendore”91 e nessuno di essi nutre invidia.92 Il sognatore non dovrà neppure tornare sulla terra poco dopo, perché già ci si trova. Nulla, infatti, è così tipico dei sogni come l’occultamento di ogni passaggio intermedio e l’abolizione delle coordinate temporali. Egli può poi parlare con le pecore, intendendo come un lin-

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τὴν βληχὴν ἡγεῖται φωνήν καὶ λεγόντων ξυνίησιν. Οὕτω μὲν καινόν, οὕτω δὲ πολὺ τὸ πλάτος τῶν ὑποθέσεων ἤν τις αὐταῖς ἐπαφιέναι τοὺς λόγους θαρσήσειεν. Ἐγὼ μὲν γὰρ οἶμαι καὶ τοὺς μύθους ἐξουσίαν παρὰ τῶν ἐνυπνίων λαβεῖν, οἷς καὶ ταὼς καὶ ἀλώπηξ καὶ θάλαττα φθέγγονται. Ὀλίγα ταῦτα πρὸς τὴν αὐτονομίαν τῶν ὕπνων. Ἀλλὰ καίπερ ἐλαχίστη μερὶς τῶν ἐνυπνίων ὄντες οἱ μῦθοι, ὅμως ὑπὸ τῶν σοφιστῶν ἠγαπήθησαν εἰς παρασκευὴν ἑρμηνείας. Καίτοι γε οἷς ἀρχὴ τῆς τέχνης ὁ μῦθος, πρέπον ἂν γένοιτο τέλος ἐνύπνιον· καὶ πρόσεστι τὸ μὴ μάτην ἠσκηκέναι τὴν γλῶτταν, ὥσπερ ἐπὶ τῶν μύθων, ἀλλ’ εἶναι καὶ γνώμῃ σοφώτερον. 20.  Ἴτω δὴ πᾶς ὅτῳ σχολὴ καὶ εὐμάρεια ζῆν εἰς ἀναγραφὴν τῶν τε ὕπαρ καὶ ὄναρ αὐτῷ συμπιπτόντων· δαπανάτω τι τοῦ χρόνου, ἀφ’ οὗ κράτιστον μὲν τὸ παραγινόμενον ἀπὸ τῆς διανοίας τοῦ γράμματος· ἀγεῖραι τὴν μαντικήν, ἣν ὑμνήκαμεν, ἧς οὐδὲν ἂν γένοιτο πρᾶγμα πολυωφελέστερον. Οὐ μὴν οὐδὲ ἡ λέξις ἀπόβλητον, τὸ τῶν πραγμάτων ἐφόλκιον· φιλοσόφῳ μὲν γὰρ ἂν γένοιτο παίγνιον, χαλῶντι τοῦ τόνου καθάπερ οἱ Σκῦθαι τὰ τόξα· ῥήτορι δὲ αὐτὴν ἐπιτάξωμεν κολοφῶνα τῶν ἐπιδείξεων. Ὡς οὐκ ἐν καιρῷ μοι δοκοῦσιν ἐμμελετᾶν τὴν δεινότητα Μιλτιάδῃ καὶ Κίμωνι καί τισι καὶ ἀνωνύμοις καὶ πλουσίῳ καὶ πένητι τὰ ἐκ πολιτείας ἐχθροῖς, ὑπὲρ ὧν ἐγὼ καὶ πρεσβύτας ἀνθρώπους εἶδον ἐν θεάτρῳ ζυγομαχοῦντας· καίτοι γε ἤστην ἐπὶ φιλοσοφίᾳ μάλα σεμνώ, καὶ εἱλκέτην ἑκάτερος αὐτοῖν, ὡς εἰκάσαι, τάλαντα πώγωνος, ἀλλ’ οὐδὲν αὐτοὺς ἐκώλυσεν ἡ σεμνότης λοιδορεῖσθαί τε καὶ ἀγανακτεῖν καὶ τὼ χεῖρε περιδινεῖν ἀκόσμως ἐν τῷ διατίθεσθαι λόγους ἀποτάδην ὑπὲρ ἀνδρῶν, ὡς μὲν ἐγὼ τότε ᾤμην, ἐπιτηδείων,

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guaggio il loro belato e riuscendo a capire ciò che dicono. Tanto insolita, tanto ampia sarebbe quindi la gamma dei soggetti, se solo qualcuno avesse il coraggio di ispirarvi i propri discorsi. A questo proposito, io sono persuaso che anche le favole, dove il pavone, la volpe, il mare parlano come degli esseri umani, abbiano tratto la loro estrema libertà narrativa dai sogni. E questo è ben poco rispetto all’autonomia di cui gode il sonno. Eppure, sebbene le favole non ricoprano che una minima parte del mondo onirico, tuttavia i sofisti le hanno particolarmente apprezzate come esercizi propedeutici all’eloquenza. E chi abbia dato avvio alla propria arte basandosi sulle favole dovrebbe certo con il sogno portare a compimento il suo percorso. Per di più, al contrario di quanto succede con le favole, nel caso dei sogni non si compie solo un mero esercizio retorico, ma si accresce pure il proprio grado di saggezza. 20.  Chiunque disponga di tempo libero e goda di una vita agiata si dedichi dunque alla documentazione scritta di quanto gli accade, sia nello stato di veglia, sia durante il sonno; vi spenda un poco del suo tempo e, riflettendo su quanto scrive, ne trarrà un risultato eccezionale: riuscirà a fare propria l’arte divinatoria (che abbiamo già celebrato), della quale nulla esiste di più utile. E certamente non andrebbe tralasciata la cura dello stile, come elemento complementare a tali attività. Per il filosofo, infatti, essa potrebbe rappresentare una sorta di gioco atto ad allentare la tensione (come fanno gli Sciti con i loro archi); al retore, invece, la raccomanderemo come coronamento delle declamazioni. Difatti, non mi pare molto utile che continuino a esercitare la propria abilità su Milziade, Cimone93 e molti altri senza nome, nonché sui conflitti politici tra i ricchi e i poveri, temi sui quali io stesso ho avuto modo di vedere, a teatro, accapigliarsi anche uomini avanti con l’età. Entrambi i contendenti avevano un aspetto venerando, come si addice a dei filosofi, ed entrambi portavano una barba molto pesante (tale, almeno, sembrava), eppure quella solennità non impediva loro di insultarsi e d’irritarsi, di roteare confusamente le mani nell’esporre discorsi prolissi in favore di uomini che, sul momento, credetti dei loro amici, ma che, come mi spie-

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ὡς δὲ ἔφασαν οἱ μεταδιδάξαντες, οὔτε ὄντων οὔτε γενομένων ποτέ, μὴ ὅτι ἐπιτηδείων, ἀλλ’ οὐδὲ τὴν ἀρχὴν ἐν τῇ φύσει. Ποῦ γὰρ ἂν εἴη καὶ πολιτεία τοιαύτη, γέρας ἀριστεῖ διδοῦσα κτεῖναι πολίτην ἀντιπολιτευόμενον; Καίτοι γε ὅστις ἐνενηκοντούτης ὢν πλάσμα ἀγωνίζεται εἰς ποῖον καιρὸν ἀνατίθεται τὴν τῶν λόγων ἀλήθειαν; Ὅλως δὲ οὐδὲ ἐπαΐειν μοι δοκοῦσι τοῦ τῆς μελέτης ὀνόματος, ὅτι φησὶ δι’ ἄλλο σπουδάζεσθαι· οἱ δὲ τὴν παρασκευὴν τέλος ἥγηνται καὶ τὴν ὁδόν ὡς ἐφ’ ὃ δεῖ βαδίζειν ἠγάπησαν· τὴν γὰρ μελέτην ἀγῶνα πεποίηνται, ὥσπερ εἴ τις ἐν παλαίστρᾳ χειρονομήσας ἀξιώσει παγκράτιον ἐν Ὀλυμπίᾳ κηρύττεσθαι. Τοσοῦτος ἄρα νοῦ μὲν αὐχμός, ἐπομβρία δὲ λέξεων τοὺς ἀνθρώπους κατέσχεν ὡς εἶναί τινας οἳ δύνανται λέγειν οὐκ ἔχοντες ὅ τι δεῖ λέγειν, δέον ἀπολαύειν ἑαυτῶν, ὥσπερ Ἀλκαῖός τε καὶ Ἀρχίλοχος, οἳ δεδαπανήκασι τὴν εὐστομίαν εἰς τὸν οἰκεῖον βίον ἑκάτερος. Καὶ τοίνυν ἡ διαδοχὴ τοῦ χρόνου τηρεῖ τὴν μνήμην ὧν τε ἤλγησαν ὧν τε ἥσθησαν. Οὔτε γὰρ κενεμβατοῦντας τοὺς λόγους ἐξήνεγκαν, ὥσπερ τὸ νέον τοῦτο τὸ σοφὸν γένος ἐπὶ συμπεπλασμέναις ταῖς ὑποθέσεσιν, οὔτε ἑτέροις κατεχαρίσαντο τὸ σφέτερον ἀγαθόν, ὥσπερ Ὅμηρος καὶ Στησίχορος τὸ μὲν ἡρωϊκὸν φῦλον διὰ τὰς ποιήσεις αὑτῶν ἐπικυδέστερον ἔθεσαν· καὶ ἡμεῖς ὠνάμεθα τοῦ ζήλου τῆς ἀρετῆς· αὐτοὶ δὲ τό γε ἐφ’ ἑαυτοῖς ἠμελήθησαν, περὶ ὧν οὐδὲν ἔχομεν εἰπεῖν ἢ ὅτι ποιηταὶ δεξιοί. Ὅστις οὖν ἐρᾷ τοῦ παρ’ ἀνθρώποις εἰς ἔπειτα λόγου καὶ σύνοιδεν ἑαυτῷ δυναμένῳ τίκτειν ἐν δέλτοις ἀθάνατα, μετίτω τὴν παρανομουμένην ὑφ’ ἡμῶν συγγραφήν. Θαρρῶν ἑαυτὸν παρατιθέσθω τῷ χρόνῳ· ἀγαθός ἐστι φύλαξ ὅταν κατὰ θεόν τι πιστεύηται.

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garono in seguito alcune persone che corressero il mio pensiero, non esistevano e non erano mai esistiti, non solo come amici, ma proprio come persone reali. Dove potrebbe mai esistere infatti uno Stato che conceda a un suo cittadino illustre, come ricompensa, di uccidere un antagonista politico? Del resto, chi, nonagenario, continua a dibattere su argomenti fittizi, a quale età crede di iniziare a perseguire, nei suoi discorsi, la verità?94 Mi pare che costoro non comprendano affatto il senso del termine “esercizio”, che significa “applicarsi con zelo in vista di un altro scopo”; concepiscono le attività propedeutiche come il fine ultimo dell’arte retorica e si innamorano della strada come fosse quello il vero obbiettivo verso il quale si deve tendere. Hanno trasformato l’esercizio in una gara, come se qualcuno, dopo essersi allenato a tirare qualche pugno a vuoto in palestra, pretendesse di essere proclamato a Olimpia vincitore del pancrazio.95 In effetti, una simile aridità intellettuale, abbinata a una straordinaria abbondanza di locuzioni, ha fatto presa sugli uomini al punto che alcuni riescono a concepire un discorso pur senza disporre minimamente dei contenuti, quando invece dovrebbero trarre profitto dalla loro esperienza personale, seguendo l’esempio di Alceo e di Archiloco, i quali, entrambi, dedicarono ogni abilità espressiva alla narrazione delle proprie vicende autobiografiche.96 E lo scorrere del tempo conserva ancora la memoria dei loro dolori e delle loro gioie. Essi, infatti, non hanno mai pronunciato discorsi privi di significato – come fa la nuova generazione di sapienti basandosi su argomenti fittizi – e neppure hanno mai impiegato a beneficio di altri la propria dote, come invece fecero Omero e Stesicoro, i quali, con i loro poemi, resero più illustre la stirpe degli eroi. Certo, anche noi abbiamo tratto giovamento dalla loro propensione al valore poetico:97 tuttavia, non essendosi mai curati delle proprie vite, non possiamo dire di loro null’altro se non che erano degli abili poeti. Chiunque aspiri a una fama futura presso gli uomini e sia cosciente di poter riporre sulle proprie tavolette opere immortali, segua l’esempio che, contro ogni norma, noi abbiamo offerto sin qui. Con fiducia, si affidi al tempo: è un buon custode, purché gli si affidi qualcosa con il favore della divinità.

ΚΑΤΑΣΤΑΣEΙΣ

CATASTASI

ΚΑΤΑΣΤΑΣΙΣ Αʹ

1.  Οὔτε φιλοσοφίαν ἀπολίτευτον προελόμενος καὶ τῆς φιλανθρωποτάτης θρησκείας ἐναγούσης εἰς ἦθος φιλόκοινον, ὑπήκουσά τε καλούμενος ὑφ’ ὑμῶν καὶ χαίρω μαθὼν ἐφ’ οἷς αἱ πόλεις συνδεδραμήκατε. Προὔργου γὰρ αὐταῖς οἴομαι καὶ νῦν καὶ ἐς ὕστερον ἐς τοὺς ὑπάρξαντας ἔργων ἀγαθῶν εὐχαρίστους καὶ εἶναι καὶ φαίνεσθαι. Τάς τε οὖν κοινὰς ὑπεδεξάμην τοῦ δήμου φωνάς, καὶ ὅστις ἰδίᾳ λόγον διέθετο πάντας ὁμοῦ τοῖς ἐπαίνοις ἐπῄνεσα. Ἀλλὰ κἀμὲ δεῖ γενέσθαι τῶν εὐλογούντων κἀμοὶ προσήκει μᾶλλον ἑτέρων, καὶ τὰ κοινὰ καὶ τὴν ὑπὲρ ἑκάστου χάριν, καὶ ἰδιώτου καὶ πόλεως, αὐτὸς ὀφείλειν τοῖς εὖ τι ποιήσασιν οἴομαι. Ὃν γὰρ ὑπὲρ τῶν κοινῶν ἀγαθῶν εὔξασθαι δεῖ, πῶς οὐκ ὀφειλήσει χάριν τῷ διὰ στρατείας αὐτὰ καὶ τῆς ἄλλης ἐπιμελείας αὐξήσαντι; Πῶς δὲ οὐ διὰ πάσης οἴσω τιμῆς τόν, ἵνα τύχω τῆς εὐχῆς, ἱδρῶτι διαπραξάμενον; Κακοὺς κακῶς ἀπολωλέναι τοὺς καταράτους βαρβάρους ἐγὼ μὲν ᾔτησα τὸν θεόν, αἱ δὲ Ἀνυσίου χεῖρες κατὰ θεὸν ἐξειργάσαντο. 2.  Τῶν γέ τοι πρώην εἰσβεβληκότων ἱππέων, ὑπὲρ χιλίους ὄντων τὸν ἀριθμόν, οὐδὲ πεμπτημόρια ὑπολείπεται, φασὶν οἱ πεπονθότες· αὐτοὶ οὗτοι ζῶσι τοὺς πεπτωκότας διαριθμήσαντες. Καὶ ταῦτα οὐ πολλοῦ στρατεύματος ἐξηγούμενος εἴργασται, ἀλλ’ ἄνδρες αὐτῷ συμπαρετάττοντο τεσσαράκοντα. Κἀγὼ μὲν οὐδὲν ἐρῶ φαῦλον οἷς σιτοδοτοῦμεν ἱππέων τε καὶ πεζῶν, οὑτοσὶ δὲ Οὐννιγάρδαις δεῖν οἴεται πρὸς ἅπαντα χρῆσθαι· τοὺς δὲ πολλοὺς τούτους οὐδὲ τῶν ἀλλοτρίων ἔργων θεατὰς ἐπηγάγετο. Οὗτοι χωροῦσιν αὐτοῦ μόνου

Catastasi minore

1.  Non ho scelto una filosofia indifferente alla politica e, poiché anche la religione, con il suo immenso amore per gli uomini, ci esorta ad adottare un atteggiamento comunitario, ho prestato ascolto al vostro appello e sono lieto di apprendere il motivo per cui voi, le città, vi siete riunite.1 Ritengo infatti che vi risulti utile, adesso e in futuro, essere e dimostrarvi riconoscenti nei confronti di coloro che sono stati disponibili a farvi del bene.2 Ho dunque accolto la voce collettiva del popolo e ho incoraggiato tutti quelli che hanno voluto esprimere un’opinione personale. Eppure, devo associarmi anch’io a quanti tessono elogi, anzi a me si conviene anche più che ad altri: sia per quanto riguarda il bene comune, sia per i favori dispensati a ciascuno (sia questo un privato cittadino o una città), credo infatti di essere debitore ai nostri benefattori. Chi è preposto alla preghiera per il bene comune come potrebbe non provare riconoscenza verso chi lo ha incrementato con le sue azioni militari e con altre forme di sollecitudine? Come potrò non recare ogni onore a colui che col proprio sudore ha fatto sì che le mie preghiere fossero esaudite? Che i Barbari malvagi, maledetti, perissero malamente, questo avevo chiesto a Dio, e le mani di Anisio ne sono state lo strumento. 2.  Di quei cavalieri che ci hanno attaccato recentemente – erano oltre mille uomini – non ne resta che un quinto, come affermano quelli che hanno subito il loro assalto: sono infatti sopravvissuti e hanno potuto contare i cadaveri. Un simile risultato non è stato ottenuto da un comandante alla testa di un grande esercito, dato che gli uomini che hanno combattuto con lui erano appena quaranta. Per quanto mi riguarda, non dirò alcunché di male nei confronti dei cavalieri e dei fanti che manteniamo,3 ma Anisio ritiene che per ogni operazione dovremmo far ricorso agli Unnigardi;4 tutti gli altri che citavo, per quanto numerosi, non li ha resi neppure spettatori delle imprese degli stranieri. Gli Unnigardi comprendono gli stra-

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τὰ στρατηγήματα. Τούτων ἐστὶ λοχίτης καὶ λοχαγός· τούτων ἐστὶ συστρατιώτης καὶ στρατηγός· μετὰ τούτων τρέχει διὰ τῆς χώρας δρόμον ἐνόπλιον καὶ ταχὺ μὲν ἁπανταχοῦ γίνεται, νικᾷ δὲ ὅπου καὶ γένοιτο. Οὗτοι πλείους εἰ γένοιντο, πρὸς οἷς ἔχομεν διακόσιοι, μετὰ τοῦ θεοῦ θαρρῶν ἀποφαίνομαι τοῦτον τὸν νεανίαν εἰς τὴν ἐκείνων διαβιβάσειν τὸν πόλεμον. Ἀνυσίῳ στρατηγῷ διακοσίους Οὐννιγάρδας αἰτήσομεν εἰ μέλλομεν ἐπανάξειν ἀπὸ τῆς βαρβάρου τοὺς συγγενεῖς. Εἴθε γενοίμην λαφύρων ἰδεῖν νομήν, ἀνδραπόδων βαρβαρικῶν τὸν τέως δεσπότην ἀντιδουλεύοντα. Ταῦτα πρώην μὲν εὔξασθαι ῥᾷον ἦν· νῦν δὲ ἔξεστιν αὐτὰ καὶ ἐλπίσαι. Τὰ γὰρ ἐν ὀφθαλμοῖς πιστὰ τῶν προσδοκωμένων ἐνέχυρα γέγονεν. Πρὸς οὖν ταῦτα Ἀνυσίου δεῖ τῶν διακοσίων ἡγουμένου. Οὗτος Οὐννιγάρδαις κεχρῆσθαι καὶ φύσιν ἔχει καὶ τέχνην· δύναται τοὺς ἄνδρας ἐξοπλίζεσθαι καὶ μεταχειρίζεσθαι. Οὐννιγάρδαι μετὰ Ἀνυσίου Ῥωμαϊκαὶ χεῖρές εἰσιν· ἄνευ δὲ τούτου καὶ τοὺς τετταράκοντα τοὺς παρόντας ἐπαινεῖν μὲν ἔχω τῆς ῥώμης, ἐγγυήσασθαι δὲ τῆς γνώμης οὐ βούλομαι. 3.  Ἀναφορὰ στελλέσθω περὶ τούτου πρεσβεύουσα, στρατιώτας καὶ χρόνον αἰτοῦσα τῷ γενναίῳ. Καὶ τἆλλ’ ὁποῖος ἀνήρ; Τὸν ἐπ’ εἰρήνης δὲ πόλεμον, τὸν μικροῦ τοῦ βαρβαρικοῦ χαλεπώτερον, τὸν ἐκ τῆς στρατιωτικῆς ἀταξίας καὶ τῆς τῶν ταξιάρχων πλεονεξίας, οὐχ οὗτος ὁ παύσας ἐστίν; Ἐφ’ οὗ μόνου γε τῶν πολλῶν στρατηγῶν ἰδιώτης ἠδικημένος μείζω στρατιώτου φθέγγεται. Τίνα δὲ ἔξεστι καλεῖν ἀδωρότατον; Οὐ τὸν ὑπερορῶντα καὶ τῶν ἀπὸ τοῦ νόμου κερδῶν; Ὁ θεοσεβὴς δὲ τίς ἂν γένοιτο μᾶλλον ἢ ὅστις ἅπαντος ἔργου καὶ λόγου θεόθεν ἄρχεται; Ἀνθ’ ὧν ἁπάντων ἔξεστι δὴ πᾶσι κἀνθάδε προσεύξασθαι γῆρας αὐτῷ βαθὺ καὶ λιπαρὸν παραμένειν, τοῖς ἐνιαυτοῖς συμπροιούσης τῆς ἀρετῆς.

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tagemmi bellici del solo Anisio. Egli è loro commilitone e comandante, compagno d’armi e generale. Assieme a loro compie per la regione una corsa armata: in breve tempo si trova dappertutto e là dove si trova riporta delle vittorie. Se gli Unnigardi fossero di più, duecento oltre a quelli di cui disponiamo già, non esito ad affermare che, con l’aiuto divino, questo giovane riuscirebbe a portare la guerra nel territorio dei nemici. Per il generale Anisio chiederemo duecento Unnigardi, se intendiamo far tornare a casa i nostri conterranei prigionieri dei Barbari. Mi auguro di poter vedere la spartizione del bottino, nonché l’attuale padrone di coloro che i Barbari hanno reso schiavi5 ridotto a sua volta in schiavitù. Fino a poco tempo fa era abbastanza facile pregare perché questo si avverasse; adesso si può anche sperarlo. Quanto è accaduto dinanzi ai nostri occhi è un fidato pegno di quel che dobbiamo aspettarci. Per raggiungere quell’obbiettivo, dunque, è indispensabile che Anisio assuma la guida di duecento Unnigardi. Egli ha le doti naturali e l’arte militare necessarie a condurli: è in grado di armarli e di gestirli. Gli Unnigardi, con Anisio, sono il braccio armato dei Romani; senza di lui, però, io posso elogiare i quaranta già presenti sul territorio per la loro forza, ma sui loro propositi non voglio garantire. 3.  Si invii una relazione che riferisca all’imperatore sulla questione e che domandi dei soldati e una proroga dell’incarico per questo illustre personaggio. Che uomo è stato, anche sotto altri aspetti? La guerra che avevamo in tempo di pace, quasi più ardua di questa contro i Barbari, causata dall’indisciplina dei soldati e dall’avidità degli ufficiali, non è stato forse lui a farla cessare? Solo sotto il suo comando, fra i molti generali che abbiamo avuto, un privato cittadino vittima di un torto ha potuto far sentire la propria voce più di un militare. Chi mai potrebbe essere definito incorruttibile? Non forse colui che disdegna anche i guadagni legali? Chi potrebbe essere il più devoto alla divinità, se non colui che intraprende ogni azione e ogni discorso ispirato da Dio? In cambio di tutto ciò, quanti si trovano qui presenti possono rivolgere una preghiera perché abbia una lunga e “florida vecchiaia”,6 giacché il suo valore progredirà assieme con gli anni.

ΚΑΤΑΣΤΑΣΙΣ Βʹ ΡΗΘΕΙΣΑ ΕΠΙ ΤΗΙ ΜΕΓΙΣΤΗΙ ΤΩΝ ΒΑΡΒΑΡΩΝ ΕΦΟΔΩΙ, ΗΓΕΜΟΝΕΥΟΝΤΟΣ ΓΕΝΝΑΔΙΟΥ ΚΑΙ ΔΟΥΚΟΣ ΟΝΤΟΣ ΙΝΝΟΚΕΝΤΙΟΥ

1.  Ἐγὼ μὲν οὐκ οἶδ’ ὅ τι καὶ χρὴ λέγειν ὑπὲρ τῶν ἐν ὀφθαλμοῖς συμφορῶν· οὔτε γὰρ σχολὴ λέγειν οἷς κλάειν ἀνάγκη οὔτε λόγος ἂν γένοιτο τοῖς πράγμασι σύμμετρος. Καίτοι καὶ τὸ δακρύειν ἐνίους, τῷ μεγέθει τῶν συντυχόντων κακῶν ἐκπλαγέντας, ἐπέλιπεν. Ἀλλ’, ἐπειδὴ κλαιόντων μὲν θεὸς αἰσθάνεται, δεῖ δὲ εἰδέναι καὶ τοὺς τὰ Ῥωμαίων σκῆπτρα διέποντας, γράφε σὺ πρὸς οὓς οἷόν τε τῶν δυναμένων λόγους εἰσενεγκεῖν εἰς τὸ βασιλέως συνέδριον. Ἀγγειλάτω τις αὐτοῖς ἐν βραχεῖ ὅτι Πεντάπολις βασιλεῖ τὸ μέχρι τρίτης ἡμέρας ἦν ἔτι κτῆμα ἀγαθόν, εἰ καὶ δυνάμει λειπόμενον ἑτέρων, ἀλλὰ τῶν μείζω δυναμένων εὐνούστερον. Ἴσασιν αὐτῶν ὅσοι δεδημοσιεύκασι μετὰ τοῦ προσέχειν τοῖς πράγμασιν· ὧν τὸν μέγαν Ἀνθέμιον ἐγὼ τὰ πρῶτα καὶ ἀκούω καὶ πείθομαι. Οὐκοῦν οἶδεν ἐν ὅσοις καιροῖς, καὶ μάλιστα τούτων ὁπόσοι τυραννικοί, γεγόναμεν ἀπροφάσιστοι βασιλεῖ. Ἀλλὰ μέχρι τούτου τὰ Πενταπόλεως· χθὲς καὶ τρίτην ἡμέραν ἐγένετο Ῥωμαίοις ἔθνους ζημία, τὰς ἡγεμονίας αὑτῶν παρὰ Πεντάπολιν ἀριθμήσασιν. Οἴχεται Πεντάπολις νῦν ἀκριβῶς· εἰς τοὔσχατον οἴχεται, ἕβδομον μὲν ἔτος ἤδη προπράξασα πονήρως, ἀλλ’ ὥσπερ ζῷον δυσθανατοῦν ἀνέφερε καὶ συνήθροιζε τοῦ πνεύματος τὸ λειπόμενον. 2.  Εὔφημος Ἀνυσίου μνήμη ἐνιαυτῷ τὸν χρόνον αὐτῆς πλείω πεποίηκε, ταῖς μὲν ἁπάντων ἀσπίσι, ταῖς δὲ Οὐννιγαρδῶν χερσὶν εἰς δέον χρησάμενος. Τοιγαροῦν ἀναβολή τις ἐγένετο τοῦ κακοῦ· οὐ γὰρ

Catastasi maggiore Allocuzione pronunciata al momento del più grave attacco dei barbari, durante il governatorato civile di Gennadio e il comando militare di Innocenzio

1.  Io non so che cosa sia opportuno dire rispetto alle avversità che abbiamo dinanzi agli occhi: né, infatti, hanno il tempo di parlare coloro che sono costretti a piangere, né alcun discorso potrebbe essere proporzionato agli eventi. Ciononostante, alcuni non sono riusciti neanche a piangere, sbalorditi dalla mole delle sciagure che sono loro capitate. Ma poiché Dio non è insensibile nei confronti di coloro che piangono, e poiché è necessario che anche quelli che reggono lo scettro dei Romani ne vengano a conoscenza, scrivi, tu, a chiunque sia nella condizione di inviare una relazione al consiglio imperiale.7 Si riferisca ai suoi membri, in breve, che la Pentapoli fino a pochi giorni fa era per l’imperatore un possedimento prezioso, anche se per potenza inferiore ad altri, certamente più bendisposto nei suoi confronti di altre regioni più potenti. Lo sanno bene tutti quelli che, tra di loro, ricoprono una carica pubblica e sono attenti agli eventi attuali; tra questi, il primo posto lo occupa il grande Antemio,8 come sento dire e come sono convinto. Egli sa bene in quante circostanze – e, tra queste, in quanti periodi di tirannide9 – non abbiamo esitato a restare fedeli all’imperatore. Ma finora la Pentapoli esisteva: adesso,10 invece, i Romani hanno perduto questo popolo e non possono più annoverare la Pentapoli tra le loro province. Essa è distrutta, completamente: ha raggiunto l’apice della sua rovina, dopo avere affrontato sei anni11 di avversità, trascinando e raccogliendo l’ultimo respiro come un animale in agonia. 2.  Anisio di felice memoria ne ha prolungato di un anno la vita, ricorrendo opportunamente agli scudi di tutti i cittadini e alle braccia degli Unnigardi.12 Il disastro è stato dunque in qualche

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ἐξεχύθησαν ὅλῳ πλήθει κατὰ τῆς χώρας, εἰς λῃστήρια μετετάξαντο, ἀφήλλοντο καὶ προσήλλοντο. Ἐπεὶ δὲ τρὶς παραταξαμένοις αὐτοῖς μετεμέλησε, νῦν [μὲν] ἱπποκροτεῖται τὰ πεδία, νῦν οἱ στρατιῶται τειχήρεις, ἄλλος ἀλλαχόσε διειλημμένοι, τὸ ἐπὶ Κερεαλίου κακόν, οὐδὲν ἀλλήλοις ὄφελος ὄντες, ὅτι μὴ συνετάχθησαν. Τοιγαροῦν τὰ τῶν πολεμίων λαμπρά. Οἱ πέρυσιν εὔζωνοι καὶ πρὸς τὸ φυγεῖν εὐτρεπεῖς, νῦν πολιορκηταί, νῦν τὰ κωμητικὰ τείχη καθελόντες, πλατεῖ στρατεύματι τὰς πόλεις περιστοιχίζονται. Τί γὰρ οὐ προὐχώρησεν αὐτοῖς; Αὐσουριανοὶ τοὺς τῶν Θρᾳκῶν τῶν ἱππέων ἐνεδύσαντο θώρακας, οὐ κατὰ χρείαν, ἀλλ’ ἐπεγγελῶντες τῷ σχήματι· ταῖς Μαρκομάνων ἀσπίσιν ἐπὶ τούτοις ἐχρήσαντο· εἰς γυμνητικὸν ἐτέλεσε τὸ Ῥωμαίων ὁπλιτικόν, ἐχθρῶν ἐλέῳ τὴν σωτηρίαν εὑράμενοι. Δακρύω τοὺς ἄνδρας, οὐκ ὀνειδίζω τὴν συμφοράν. Τί γὰρ ἂν ἐποίησαν εἰς πολυπλάσιον πλῆθος, οἱ κατὰ μέρος αὐτοῖς ἀθρόοις ἐντυγχάνοντες Οὐννιγάρδαι; Τὸ μὲν ἐπὶ τῷ θεῷ καὶ τῇ ῥώμῃ καὶ τῇ τῶν ὅπλων ἐμπειρίᾳ σῴζονται· τὰ δὲ ἐπὶ τῇ στρατηγίᾳ, τί ἂν καὶ μέγα κακὸν τοὺς πολεμίους εἰργάσαντο, καθ’ ὧν οὐ παρ’ ἑκόντων ἀφίενται τῶν ἀγόντων αὐτούς; Ἀλλ’ εἴ ποτε σκυλάκων δίκην ἀποβιάσαιντο, οἱ δὲ πάλιν ἦγξαν αὐτοὺς καὶ ἀνεκαλέσαντο πρὶν κορεσθῆναι δρόμου καὶ φόνου θηρείου. Καίτοι καὶ Οὐννιγάρδαις οὐραγίας ἔδει καὶ συντεταγμένου στρατεύματος. Ἔδει γάρ, οἶμαι, φάλαγγος, ὥσπερ ἐνεργοῦ μαχαίρας, τὸ μὲν ἀκμαιότερον προβεβλῆσθαι, τὸ δὲ στιβαρώτερον ἐπελαύνεσθαι· οὕτως ἡ πληγὴ τομωτέρα γίνεται. Ὅλως δὲ τὸ πλῆθος αὐτῶν ὀλίγον ἐστὶ πρὸς τὸ διαπολεμῆσαι τὸν πόλεμον, ὃς οὐδ’ ἂν ἐν τοῖς καθ’ ἡμᾶς τόποις διαπολεμηθείη καλῶς. Ἀλλ’ εἰ μή τις εἰς τὴν ἐκείνων Οὐννιγάρδας διαβιβάσειεν, ἐπὶ τούτους δεῖ πλήθους ἑκατοστύων τεττάρων· μᾶλλον δὲ πρότερον ἔδει τοσούτου πλήθους

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modo posticipato; i Barbari non si sono riversati in massa nel nostro territorio, ma hanno piuttosto adottato la tattica del brigantaggio: scomparivano, riapparivano. Per ben tre volte si sono pentiti di essersi schierati in ordine di battaglia, ma adesso le pianure risuonano del calpestio dei loro cavalli, adesso i nostri soldati sono asserragliati dentro le mura, divisi, gli uni da una parte gli altri da un’altra – di questo è responsabile Ceriale13 – senza potersi aiutare fra di loro, poiché non sono stati concentrati. Per questo la situazione dei nemici è brillante. Se l’anno scorso erano armati alla leggera e pronti a fuggire, adesso ci assediano, adesso abbattono le mura dei nostri villaggi, circondano le nostre città con un ampio esercito. In cosa non hanno avuto successo? Gli Ausuriani14 non hanno indossato le corazze dei cavalieri traci per farne uso, ma per deridere la loro uniforme; hanno utilizzato gli scudi dei Marcomanni15 contro gli stessi Marcomanni. Le truppe ad armatura pesante dei Romani sono divenute truppe armate alla leggera e hanno trovato scampo solo nella compassione dei nemici. Piango per quegli uomini, non ne biasimo la sventura. Che cosa avrebbero potuto fare infatti gli Unnigardi contro una forza molto più numerosa della loro, ritrovandosi divisi a fronteggiare un’armata compatta? Da una parte, si sono salvati grazie a Dio, alla loro forza, alla loro destrezza con le armi; ma dal punto di vista strategico, quale gran danno avrebbero mai potuto infliggere a dei nemici contro i quali sono stati condotti da dei comandanti restii allo scontro? Se anche qualche volta, come dei giovani cani, forzavano l’assetto, quelli di nuovo li serravano per la gola e li richiamavano indietro, prima che fossero sazi di correre e di uccidere quelle fiere. Gli Unnigardi avrebbero piuttosto bisogno di una retroguardia e di uno schieramento unito. Avrebbero bisogno, a mio parere, di una falange, che, come un buon pugnale, proietti in avanti la punta e spinga fino in fondo la parte più spessa, di modo che il colpo risulti più incisivo. In ogni caso, il loro numero è troppo esiguo per porre fine alla guerra, cui non siamo capaci di dare buon esito nemmeno nella nostra regione. Ma, a meno che non si riesca a far passare gli Unnigardi in territorio nemico, per contrastare i Barbari abbiamo bisogno di una forza di quattrocento uomini; o, piut-

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καὶ στρατηγοῦ πρὶν ἡμᾶς οἴχεσθαι κομιδῇ, πρὶν εἰς τοσοῦτον αὐξηθῆναι τοῖς πολεμίοις τὰ πράγματα. Εἰς τὰ τελευταῖα ταῦτα καὶ γυναῖκες συνεστρατεύσαντο. Εἶδον, εἶδον συχνοὶ γυναῖκα μαχαιροφόρον ὁμοῦ καὶ βρέφη τιθηνουμένην. 3.  Τίς οὐ ζηλοῖ τὸν ἀκίνδυνον πόλεμον; Ὑπὲρ ἐμαυτοῦ πεφοβημένος, ὑπὲρ τῶν καιρῶν, ὑπὲρ τῆς πολιτείας αἰσχύνομαι. Ὢ τοῦ πάλαι Ῥωμαίων φρονήματος· οἱ πάντα πανταχοῦ νικῶντες, οἱ τὰς ἠπείρους τροπαίοις συνάψαντες, νῦν ὑπὸ δυστήνου καὶ νομαδίτου γένους κινδυνεύουσι ταῖς Ἑλληνίσι Λιβύας προσαποβαλεῖν καὶ τὴν παρ’ Αἴγυπτον Ἀλεξάνδρειαν. Ἐκεῖνο μεῖζον εἰς λόγον χρημάτων, τοῦτο δὲ εἰς εὐδοξίαν οὐκ ἔλαττον, εἴ τις οἶδεν αἰσχύνεσθαι καὶ ποιεῖταί τινα λόγον τοῦ πρέποντος. Ὢ τοῦ φρονήματος μεθ’ ὅσου τὴν χώραν σεσαγηνεύκασι. Τούτοις οὐδὲν οὔτε ὄρος ἄβατον γέγονεν οὔτε φρούριον ἐρυμνόν· πᾶσαν ἐπεξῆλθον, πᾶσαν διηρευνήσαντο, πᾶσαν ἡλικίαν ἠνδραποδίσαντο. Πάλαι ποτὲ παρ’ Ἕλλησι λογογράφων ἀκούω, «γύναια καὶ παιδάρια γνωρίσματα τῶν πορθήσεων ὑπελείπετο.» Ἀλλὰ παρὰ ταῦτα μάλιστα γέγονε Πενταπόλει. Τί γὰρ Αὐσουριανῷ κάλλιον κτῆμα γυναίου καὶ βρέφους ἵν’ αἱ μὲν αὐτοῖς τίκτοιεν, οἱ δὲ ἵνα αὐξηθέντες στρατεύοιντο; Εὖνοι γὰρ ἀντὶ τῶν τεκόντων τοῖς θρέψασι γίνονται. Ὢ πονηρᾶς ἀποικίας, ἣν ἀποικίζομεν. Ἄγεται νεότης αἰχμάλωτος, τὰ τάγματα τῶν πολεμίων αὐξήσουσα· ἥξει δῆμος ἐπὶ τὴν ἐνεγκοῦσαν πολέμιος· κερεῖ νεανίας τὴν γῆν ἣν μειράκιον ἔτι μετὰ τοῦ πατρὸς ἐξειργάσατο. Νῦν ἐν ὁδῷ· νῦν ἀπάγεται· νῦν ἔτι δεσμῶτις ἡ Πενταπόλεως ἐφηβεία· ἀμύνει δὲ οὐδεὶς οὐδὲ δύναται. Καίτοι φασὶ προθυμεῖσθαι

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tosto, avremmo avuto bisogno in precedenza di una tale forza e di qualcuno che la guidasse, prima di essere completamente annientati e prima che la situazione arridesse a tal punto ai nemici. In queste circostanze estreme, anche le donne si sono unite ai soldati. In molti, sì, in molti hanno visto una donna brandire un pugnale mentre allattava i propri bambini. 3.  Chi non desidera una guerra priva di pericoli? Mi vergogno di temere per me stesso, per le contingenze, per lo Stato. Oh, la fierezza dei Romani del passato! Quelli che sempre, in ogni luogo, hanno riportato vittorie, quelli che con i loro successi hanno unito i continenti, adesso, sotto i colpi di una misera tribù di nomadi rischiano di perdere le Libie, con le loro città greche, nonché Alessandria d’Egitto.16 La prima di queste perdite è più grave dal punto di vista della ricchezza, la seconda non è inferiore per quanto riguarda il prestigio, ammesso che vi sia ancora qualcuno che sa cosa significhi provare vergogna e che riconosca un qualche peso all’onore. Oh, con quale arroganza i Barbari si sono presi la nostra terra! Nessuna montagna è risultata loro invalicabile, nessuna fortezza inespugnabile: hanno imperversato per tutta la regione, hanno scrutato ovunque, hanno reso schiave persone di tutte le età. Da molto tempo sento dire dagli storici greci: “Si lasciavano le donne e i bambini come prova dell’avvenuto saccheggio”.17 Ma per la Pentapoli le cose sono andate in maniera molto diversa. Quale preda è infatti più preziosa per gli Ausuriani di una donna e di un neonato, giacché la prima può partorire altri figli per quel popolo e il secondo, una volta cresciuto, può combattere tra le loro fila? I bambini si legano più a chi li alleva che ai genitori naturali. Oh, quale infausta colonia stiamo, nostro malgrado, creando! La nostra gioventù, che ci viene sottratta in quanto prigioniera di guerra, andrà ad accrescere le schiere nemiche; ritornerà come popolo ostile sulla terra che l’ha generata; il giovane devasterà la terra che, quand’era ancora un ragazzo, lavorava con il proprio padre. Adesso è sulla strada, adesso è trascinata via, adesso la gioventù della Pentapoli è ancora prigioniera: nessuno la soccorre, nessuno può farlo. Eppure si dice che il generale

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τὸν στρατηγόν· ἀλλ’ οὐ γὰρ ἐῶσιν Ἀλεξανδρέων οἱ κακῇ μοίρᾳ Πενταπόλεως ἐν αὐτῇ στρατευσάμενοι. Τί γὰρ ἄν τις αἰτιάσαιτο τὸν ἀναίτιον, ᾧ καὶ γῆρας βαθὺ καὶ νόσου καταβολὴ πολυχρόνιος τὴν συγγνώμην ἐμνήστευσε; Καίτοι ῥᾷστον ἦν, εἰ στρατηγῶν ηὐτυχήσαμεν, ὑπερήφανον στράτευμα καὶ προσκεκοφὸς τῷ θεῷ δίκην ἀσεβείας εἰσπράξασθαι. Ποίων ἱερῶν οὗτοι, ποίων ὁσίων ἐφείσαντο; Οὐ πολλαχοῦ τοῦ τῶν Βαρκαίων πεδίου τὰ νεοσκαφῆ τῶν μνημάτων ἀνέχωσαν; Οὐ παρὰ τούτων αἱ πανταχοῦ τῆς ὑφ’ ἡμᾶς Ἀμπελίτιδος ἐκκλησίαι πυρίκαυστοι, καὶ ἐρείπια; Οὐ τὰς μὲν τραπέζας τὰς ἱερὰς ὡς βεβήλους ἐπὶ κρεανομίᾳ παρέθεντο, τὰ δὲ μυστικὰ σκεύη τὰ λελειτουργηκότα τῇ δημιουργικῇ σπονδείᾳ τελετὴ δαίμοσιν εἰς τὴν πολεμίαν κομίζεται; Τί τούτων ἀνεκτὸν εἰς ἀκοὴν ἐλθεῖν εὐσεβῆ; Ὅστις γὰρ ἀξιοῖ μνήμης ἃ κατέσεισαν φρούρια, τὴν σκευαγωγίαν, τὰ ἔπιπλα, τὰς βοῦς, τὰς ὄϊς, ὅσαι τῶν βαρβαρικῶν λῃστηρίων ἦσαν ἐγκαταλείμματα ταῖς φάραγξιν ἐγκρυπτόμεναι, ἐν τηλικούτοις κακοῖς μικρολογίας αἰτίαν οὐ διαπέφευγε. Καίτοι πεντακισχιλίαις που καμήλοις ἐσκευαγώγησαν. Ἀριθμῷ δὲ ἀναλύουσι τριπλασίονι, τῇ τῶν αἰχμαλώτων προσθήκῃ τοσούτῳ πλείους γινόμενοι. 4.  Τέθνηκεν, ἀπέσβη τὰ Πενταπόλεως, τέλος ἔχει, διακεχείρισται, ἀπόλωλεν, οὐκέτ’ ἐστὶ παντελῶς, οὔθ’ ἡμῖν οὔτε βασιλεῖ· οὔτε γὰρ βασιλεῖ κτῆμα γένοιτ’ ἂν ὅθεν οὐδὲν ἀποίσεται. Τίς δ’ ἂν οἴσεται παρὰ τῆς ἐρήμου καρπούς; Οὔτε ἐμοὶ πατρίς, ἣν ἀπολείψω· παρὰ γὰρ ναῦν ἐστί μοι τὸ μὴ οὐκ ἤδη πελάγιον εἶναι καὶ νῆσον περισκοπεῖν. Αἰγύπτῳ γὰρ ἀπιστῶ· κἀκεῖ δύναται διαβῆναι κάμηλος Αὐσουριανὸν ὁπλίτην βαστάσασα. Νησιώτης οἰκήσω, πένης ἀπὸ κτηματικοῦ, μέτοικος, ἀτιμότερος ἀστοῦ Κυθηρίου· πολυπραγμονῶν γὰρ ἤδη μανθάνω Κύθηρα τὸ πέραν εἶναι τῆς Πενταπόλεως· ἐκεῖ με τυχὸν οἴσουσιν ἄνεμοι νότοι· παρ’ ἐκείνοις

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sia pieno di coraggio; ma quegli Alessandrini che, per la sventura della regione, hanno combattuto nella Pentapoli non gli consentono di agire. Perché mai accusare “un innocente”,18 la cui avanzata vecchiaia e un prolungato attacco della malattia hanno sollecitato il nostro perdono?19 Sarebbe stato molto facile, se avessimo avuto fortuna con i nostri generali, ottenere che un esercito arrogante e inviso a Dio scontasse la propria empietà. Quali templi, quali oggetti sacri i Barbari hanno risparmiato? Non hanno forse violato in molti punti della pianura di Barca20 le tombe recentemente scavate? Non hanno forse incendiato e ridotto in macerie tutte le chiese che si trovavano nella nostra Ampelitide?21 Non hanno forse utilizzato le sacre tavole d’altare alla stregua di oggetti profani per distribuire la carne? E i sacri arredi adibiti al culto del creatore non li hanno forse portati in terra nemica come strumenti rituali per i loro demoni? Quale di questi delitti può essere sopportabile per un orecchio pio? Chiunque reputi degne di memoria la distruzione delle fortezze, le razzie, nonché le suppellettili, le mandrie, le greggi occultate nei burroni, bottino dei saccheggi dei Barbari, costui non può evitare, dinanzi a tanto grandi sciagure, l’accusa di meschinità. Peraltro, hanno portato via i nostri averi su circa cinquemila cammelli. Se ne sono andati tre volte più numerosi rispetto a come sono arrivati, aumentati di tanto per l’apporto dei prigionieri. 4.  È morta, si è spenta la Pentapoli, è finita, è stata uccisa, distrutta, non esiste più, né per noi né per l’imperatore; non potrebbe, infatti, nemmeno considerarla più un suo possedimento, giacché non ne otterrà nulla. Chi potrà mai cogliere dei frutti da un deserto? E anch’io non ho più una patria da abbandonare: è solo per mancanza di una nave che non ho già guadagnato il mare, alla ricerca di un’isola. Diffido infatti dell’Egitto: anche là potrebbe giungere un cammello con in groppa un soldato ausuriano. Vivrò su un’isola, povero anziché ricco, straniero, meno stimato di un cittadino di Citera.22 Nella mia affannosa ricerca di un luogo dove riparare, mi sono reso conto che Citera si trova proprio di fronte alla Pentapoli: forse là mi porteranno i venti del sud; presso i suoi abitanti

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βιώσομαι ξένος, ἀλήτης. Κἂν ἐπιχειρήσω τι περὶ εὐγενείας εἰπεῖν, ἀπιστήσουσιν. 5.  Ὤ μοι Κυρήνης, ἧς αἱ δημόσιαι κύρβεις μέχρις ἐμοῦ κατάγουσι τὰς ἀφ’ Ἡρακλέους διαδοχάς. Οὐ γὰρ ἂν εἴην ἀρχαῖος, ἐν εἰδόσιν ὀλοφυρόμενος τὴν καταβεβλημένην εὐγένειαν. Ὤ μοι τῶν τάφων, ὧν οὐ μεθέξω, τῶν Δωρικῶν. Ὤ μοι Πτολεμαΐδος, ἧς ἀνεδείχθην ὕστατος ἱερεύς. Ἀλλὰ προσέστη μοι τὸ δεινόν· οὐκέτι δύναμαι λέγειν· ἐπιλαμβάνεταί μου τῆς γλώττης τὰ δάκρυα· γέγονα πρὸς τὴν φαντασίαν τῆς τῶν ἱερῶν ἀπολείψεως. Ἔδει μὲν οἴχεσθαι πλέοντας· ἀλλ’ ὅταν ἐπὶ ναῦν τις καλῇ, μικρὸν ἀναμεῖναι δεήσομαι· βαδιοῦμαι γὰρ πρῶτον ἐπὶ τὸν νεὼν τοῦ θεοῦ· κυκλώσομαι τὸ θυσιαστήριον· δάκρυσι βρέξω τὸ τιμαλφέστατον ἔδαφος· οὐκ ἀποδραμοῦμαι πρὶν θύραν ἐκείνην καὶ θρόνον ἐκεῖνον ἀσπάσασθαι. Ὢ ποσάκις θεοκλυτήσω τε καὶ μεταστραφήσομαι· ὢ ποσάκις ταῖς κιγκλίσι τὼ χεῖρε προσμάξομαι. Ἀλλ’ ἰσχυρὸν ἀνάγκη πρᾶγμα καὶ βίαιον. Ἐπιθυμῶ δοῦναι τοῖς ὀφθαλμοῖς ὕπνον ἀπερισάλπιστον. Μέχρι πότε παρ’ ἔπαλξιν στήσομαι; Μέχρι πότε τηρήσω τὸ μεσοπύργιον; Ἀπαγορεύω φυλακὰς ἐπιτάττων νυκτερινάς, καὶ φυλάττων ἐν τῷ μέρει καὶ φυλαττόμενος. Ὁ πολλὰ πρότερον ἀγρυπνήσας ἐπὶ ταῖς τῶν ἄστρων ἐπιτολαῖς, ἀποκναίομαι νῦν ἐγρηγορῶν ἐπὶ ταῖς τῶν πολεμίων ἐπιδρομαῖς. Πρὸς διαμεμετρημένον ὕδωρ καθεύδομεν, καὶ τὸ λαχόν μοι μέρος εἰς ὕπνον ἀφαιρεῖται πολλάκις ὁ κώδων ὁ φυλακτήριος. Ἂν δὲ καταμύσω μικρόν, ὢ καὶ τῶν ἐνυπνίων τῶν σκυθρωπῶν, εἰς οἷα παραπέμπουσιν ἡμᾶς αἱ μεθ’ ἡμέραν φροντίδες. Τὸ λῆξαι πόνων ἄρξασθαι πόνων ἐστίν. Φεύγομεν, ἁλισκόμεθα, τιτρωσκόμεθα, δεδέμεθα, πιπρασκόμεθα. Ποσάκις ἐξανέστην ἄσμενος, ὅτι δεσπότην ἀπέλιπον· ποσάκις ἐξανέστην ὑπέρασθμος, ἱδρῶτι ῥαινόμενος, ὁμοῦ τὸν ὕπνον καὶ τὸν δρόμον ἀπολιπὼν ὃν κατατείνας ἔφευγον ὁπλίτην πολέμιον· μόνοις ἡμῖν Ἡσίοδος οὐδὲν λέγει, τὴν ἐλπίδα τηρήσας εἴσω τοῦ πίθου· πάντες ἀθαρσεῖς καὶ δυσέλπιδες.

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catastasi maggiore 4-5

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vivrò “straniero, vagabondo”.23 Se tenterò di parlare loro della mia nobile origine, non mi crederanno. 5.  Ahimè Cirene, i cui pubblici archivi fanno giungere fino a me la discendenza di Eracle!24 Non sembrerò certo un vecchio sciocco, se gemo in presenza di persone che conoscono la decadenza della mia nobile famiglia. Ahimè tombe doriche, tra le quali non avrò il mio posto! Ahimè Tolemaide, della quale sono stato eletto ultimo sacerdote! Ma il terrore si è impossessato di me, non riesco più a parlare: le lacrime mi bloccano la lingua. Sono in preda al pensiero di abbandonare il santuario. Avrei già dovuto prendere il mare. Tuttavia, quando mi si chiamerà sulla nave, chiederò che mi si attenda ancora un poco. Anzitutto, mi recherò al tempio di Dio: girerò attorno all’altare, irrorerò di lacrime il preziosissimo pavimento. Non me ne andrò senza aver salutato quel portale, quel trono. Oh, quante volte invocherò Dio e mi volterò indietro! Oh, quante volte premerò le mie mani contro la cancellata! Ma la necessità è cosa forte e violenta. Fremo di dare ai miei occhi un sonno che non sia più interrotto da uno squillo di tromba. Fino a quando me ne resterò a difesa delle mura? Fino a quando sorveglierò il tratto di cinta compreso fra le torri? Non ne posso più di disporre le sentinelle notturne, ritrovandomi, a turno, sorvegliante e sorvegliato. Io che molte volte in passato me ne sono rimasto sveglio a osservare il sorgere degli astri, adesso sono spossato dalle veglie a causa delle incursioni nemiche. Dormo per il lasso di tempo calcolato dalla clessidra ad acqua, e spesso il campanello di allarme mi priva anche della parte di sonno assegnatami. Seppure riesco a chiudere gli occhi un istante, oh, che sogni foschi! A quali visioni mi consegnano i pensieri diurni! La cessazione dei tormenti consiste nel loro inizio. Fuggo, vengo preso, ferito, legato, venduto come schiavo. Quante volte mi sono svegliato contento di essere sfuggito a un padrone! Quante volte mi sono svegliato ansimante, madido di sudore, abbandonando al contempo e il sonno e la corsa che stavo compiendo per sfuggire a un soldato nemico! A noi soli non ha niente da dire Esiodo, che ha riposto la speranza dentro un vaso:25 siamo tutti scoraggiati e disperati.

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sinesio di cirene

6.  Ὁ πεπαροιμιασμένος βίος ἀβίωτος οὐχ ἕτερός ἐστιν, ὦ ἄνδρες, ἀλλ’ ὃν ζῶμεν ἡμεῖς. Τίς ἡ διατριβή; Τί μέλλομεν; Ἀπήχθηται Πεντάπολις τῷ θεῷ· ποιναῖς ἐκδεδόμεθα. Ἡ γὰρ ἀκρὶς οὐκ ἔστι κακὸν ἀκριβέστερον, τὸ δὲ πῦρ, ὃ πρὸ τῶν πολεμίων τριῶν πόλεων ἐπενείματο λήϊα. Τί πέρας κακῶν; Εἰ τούτων ἄγουσιν ἐλευθερίαν αἱ νῆσοι, ἐγὼ μέν, ὅταν ἀφυβρίσῃ τὸ πέλαγος, πλευσοῦμαι. Ἀλλὰ φοβοῦμαι μὴ προλάβῃ με τὸ δεινόν· πελάζει γὰρ ἡ κυρία τῆς προσβολῆς ἣν τῇ πόλει, φασίν, ὁ πτεροφόρος ἠπείλησεν, ὁ τοῦ πολεμίου στρατεύματος ἐξηγούμενος. Μάλιστα δὴ καιρῶν ἐκεῖνος ἱερεῦσι τὸν ἐπὶ τὰς αὐλὰς τοῦ θεοῦ δρόμον ἀναγκαῖον ἀποφανεῖ ἂν ἐν χρῷ τῆς πόλεως ὁ κίνδυνος γένηται. Ἐγὼ κατὰ χώραν ἐπ’ ἐκκλησίας μενῶ· τὰς παναγεῖς προστήσομαι χέρνιβας, προσφύσομαι τῶν κιόνων τῶν ἱερῶν αἳ τὴν ἄσυλον ἀπὸ γῆς ἀνέχουσι τράπεζαν· ἐκεῖ καὶ ζῶν καθεδοῦμαι, καὶ ἀποθανὼν κείσομαι. Λειτουργός εἰμι τοῦ θεοῦ, καὶ τὴν ψυχὴν ἴσως ἀπολειτουργῆσαί με δεῖ. Οὐ μὴν ὅ γε θεὸς περιόψεται τὸν βωμὸν τὸν ἀναίμακτον ἱερέως αἵματι μιαινόμενον. Εἴης κράτιστος ἐν λόγοις καὶ πράγμασιν, ᾧ πᾶσα, Θαλέλαιε, παιδεία πρέπει.

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catastasi maggiore 6

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6.  La proverbiale “vita indegna di essere vissuta”26 non è altro, signori, che questa che stiamo vivendo. Come la impieghiamo? Che cosa ci aspettiamo? La Pentapoli è divenuta invisa a Dio: siamo stati consegnati ai castighi. Le cavallette, infatti, non sono state certo la calamità più grave; il fuoco, prima dei nemici, ha divorato il raccolto di tre città.27 Quale sarà la fine dei nostri mali? Se le isole davvero possono liberarcene, io, non appena il mare si sarà placato, mi imbarcherò. Ma temo che la sventura mi colga prima: si avvicina infatti il giorno decisivo dell’attacco, quello che, come si dice, alla città minacciò il messaggero alato,28 che preannuncia l’esercito nemico. Quel momento in particolare segnalerà ai sacerdoti la necessità di precipitarsi nelle dimore di Dio, nel caso in cui il pericolo sia prossimo alla città. Quanto a me, manterrò il mio posto in chiesa; porrò dinanzi a me la santissima acqua lustrale, mi aggrapperò alle sacre colonne che sorreggono, elevata da terra, l’inviolabile tavola: là, da vivo siederò, da morto giacerò. Sono un ministro di Dio ed è mio dovere svolgere fino in fondo il mio compito, anche a costo della vita. Di certo Dio non rimarrà indifferente dinanzi “all’altare immacolato”29 macchiato del sangue di un sacerdote. “Possa eccellere nelle parole e nelle azioni, tu, Taleleo,30 cui si addice ogni conoscenza”.

ΟΜΙΛΙΑI

OMELIE

ΟΜΙΛΙΑ Αʹ

Οὐ θήσομαι τὴν πανήγυριν ἄφωνον, ἀλλ’ οὐδὲ μέντοι πολύφωνον, τῇ μὲν φωνῇ τιμῶν τὸν θεόν, τῷ δὲ ταχὺ πεπαῦσθαι τῇ πανηγύρει χαριζόμενος. Ἀλλ’ ὅπως ἔσῃ πανηγυριστὴς ἄξιος τοῦ θεοῦ, μὴ πόθει τράπεζαν, ἀπὸ τῆς νηστίμου τὴν μέθυσον. Στέψον τῷ θεῷ κρατῆρα νήφοντος κράματος. Ὁ θεὸς ἡμῶν σοφία καὶ λόγος ἐστίν. Κρατὴρ ὁ παρακινῶν τὸ φρονοῦν, ὁ ταράττων τὸ λογιζόμενον οὐδὲν προσήκει τῷ λόγῳ. Ἔστιν ἄνεσις πρέπουσα θεῷ, καὶ ἔστιν ἄνεσις πρέπουσα δαίμοσιν. «Ἀγαλλιᾶσθε τῷ κυρίῳ ἐν φόβῳ». Ὅταν εὐωχῇ, φησί, τότε μέμνησο τοῦ θεοῦ· τότε γὰρ ὁ πολὺς εἰς ἁμαρτίαν ὄλισθος γίνεται. Ὅταν εὐτραφῇ σῶμα περὶ σάρκωσιν, ἀποστρέφει ψυχὴν περὶ φρόνησιν. «Ποτήριον ἐν χειρὶ κυρίου οἴνου ἀκράτου πλῆρες κεράσματος, καὶ ἔκλινεν ἐκ τούτου εἰς τοῦτο, πλὴν ὁ τρυγίας αὐτοῦ οὐκ ἐξεκενώθη.» Ἐκείνου πίε τοῦ ποτηρίου, καὶ γέγονας ἄξιος τοῦ συμποσίου τοῦ νυμφίου. Ἀριστοποιόν ἐστιν ἐκεῖνο τὸ ποτήριον, οἴνου πλῆρες, ὅ γε καὶ μνηστευθὲν εἰς νοῦν ἡμᾶς ἀξιοῖ διεγείρεσθαι. Καὶ δὴ σαφὴς αὐτόθεν ὁ λόγος, ἀλλ’ οὐ πολλοῦ δεῖται τοῦ νοῦ. «Ποτήριον ἐν οἴνου ἀκράτου πλῆρες κεράσματος, καὶ ἔκλινεν ἐκ τούτου εἰς τοῦτο.» Εἰ μὲν ἀκράτου, πῶς πλῆρες κεράσματος; Εἰ δὲ ἕν, πῶς ἔκλινεν ἐκ τούτου εἰς τοῦτο; Παντάπασιν ἀτόποις ἔοικε τὰ λεγόμενα· οὐ μὴν τά γε νοούμενα. Οὐδὲν μέλει τῷ θεῷ θεοφορήτου λέξεως. Πνεῦμα θεῖον ὑπερορᾷ μικρολογίαν συγγραφικήν. Σὺ δὲ βούλει τὴν ἐν τῇ διαφωνίᾳ συμφωνίαν θεάσασθαι; Περὶ ποίου ποτηρίου φησίν; Ὃν τοῖς ἀνθρώποις θεόθεν προποθέντα λόγον ἔχομεν παρὰ τοῦ θεοῦ, ἐν παλαιᾷ Διαθήκῃ καὶ νέᾳ. Τούτῳ γὰρ ἀρδεύεται ψυχὴ τῷ ποτῷ. Ὅτι μὲν λόγος ἐστίν, ἄκρατός ἐστιν ἑκάτερος. Κιρνᾶται γὰρ καὶ

Omelia prima

Non ridurrò quest’assemblea al silenzio, ma neppure sarò eccessivo con le parole: parlando onorerò Dio, concludendo in fretta farò cosa gradita all’assemblea. Ma perché tu vi partecipi in maniera degna di Dio, non desiderare i piaceri della tavola, né, in seguito al digiuno,1 l’ebbrezza. Porgi a Dio un calice di sobrio nettare.2 Il nostro Dio è sapienza e ragione.3 Un calice che turbi il senno e inquieti la riflessione non si addice alla ragione. C’è una rilassatezza che si conviene a Dio e una rilassatezza che si conviene ai demoni. “Gioite del Signore nel timore”.4 Quando fai festa – significa – ricordati di Dio: proprio allora infatti i più cadono nel peccato. Quando il corpo è troppo nutrito e vi è un eccesso di carne, l’anima è distolta dalla saggezza. “Un calice di vino puro nella mano del Signore era colmo di una mistura ed egli ne versò il contenuto in un altro; il primo, tuttavia, non si svuotò della feccia”.5 Bevi da quel calice e divieni degno del banchetto dello sposo.6 Quel calice pieno di vino ci fortifica; se lo ricerchiamo, può elevarci fino all’intelletto.7 Certo, nell’immediato il passo è chiaro, ma necessita comunque di una minima spiegazione. “Un calice di vino puro nella mano del Signore era colmo di una mistura ed egli ne versò il contenuto in un altro”. Se si tratta di un calice di vino puro, come può essere colmo di una mistura? E se il calice è uno solo, come può il Signore averne versato il contenuto in un altro? Queste parole sembrano totalmente assurde; ma ovviamente non lo sono, se bene interpretate. Dio non si cura affatto dello stile dei testi che ispira. Lo spirito divino disdegna la minuziosità letteraria. Ma tu, vuoi contemplare la concordanza che si cela in questa discordanza? Di quale calice si parla? Di quello cui Dio ha concesso agli uomini di abbeverarsi, ovvero della parola che abbiamo da lui ricevuto, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. La nostra anima è intrisa di questa bevanda. Poiché si tratta della parola di Dio, entrambi i Testamenti sono puri. Eppure la parola è una mistura, essendo doppia. In effetti, costituire un’unità a par-

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sinesio di cirene

διττὸς ὤν. Ἓν γὰρ τὸ ἐξ ἀμφοῖν συνιστάμενον τελείωσις γνώσεως. Ἡ μὲν παλαιὰ τὴν ὑπόσχεσιν ἔσχεν, ἡ δὲ νέα τὸν ἀπόστολον ἐξήνεγκεν. Τὸ δὲ «Ἔκλινεν ἐκ τούτου εἰς τοῦτο» τὴν διαδοχὴν τῶν διδασκάλων αἰνίττεται τοῦ νόμου τοῦ Μωσαϊκοῦ καὶ τοῦ Κυριακοῦ· καὶ τὸ ποτήριον ἕν· ἓν γὰρ ἔπνευσε πνεῦμα καὶ εἰς προφήτην καὶ εἰς ἀπόστολον, καὶ κατὰ τοὺς ἀγαθοὺς ζωγράφους πάλαι μὲν ἐσκιαγράφησεν, ἔπειτα μέντοι διηκρίβωσε τὰ μέλη τῆς γνώσεως· «Πλὴν ὁ τρυγίας αὐτοῦ οὐκ ἐξεκενώθη.»

omelia prima

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tire da due elementi è il gradino ultimo della conoscenza. L’Antico Testamento conteneva la promessa, il Nuovo ha rivelato l’apostolo.8 Quindi, l’espressione “ed egli ne versò il contenuto in un altro” allude alla successione dei maestri della legge, di quella mosaica e di quella del Signore. Ma il calice è soltanto uno: un solo spirito, infatti, ha ispirato il profeta e l’apostolo; alla maniera dei bravi pittori, prima ha disegnato uno schizzo, poi ha rifinito le parti della conoscenza. “Il primo, tuttavia, non si svuotò della feccia”.9

ΟΜΙΛΙΑ Βʹ

1.  Νὺξ ἱερά, φῶς ἐνεγκοῦσα τοῖς καθηραμένοις ὅσον οὐδ’ εἰς ἡμέραν ἔλαμψεν ἥλιος· οὐδὲ γὰρ οὐδ’ ὅσιον ἐξετασθῆναι τῷ δημιουργῷ κἂν τὸ κάλλιστον ἐπὶ γῆς· ἀλλ’ οὐδὲ δημιούργημα ἐκεῖνο τὸ φῶς ὃ φωτίζει ψυχὰς καὶ τὸν αἰσθητὸν ἐφώτισεν ἥλιον ὁμολογίᾳ τῆς παρούσης μακαριότητος. Ἂν οὕτω διαμείνητε, εὐζηλωτότερον ὑμῖν τὴν παροῦσαν ἐπὶ τοῦ παρόντος, κἂν μὴ διὰ βίου, τηρήσετε. Νῦν [μὲν] ἕκαστος ὑμῶν ἄγγελος ἐν τῇ πόλει περινοστεῖ· νῦν ἡγεῖσθε περὶ ὑμῶν εἶναι τὸ λεγόμενον, «ἐπὶ γῆς ὄντες καὶ ἐν οὐρανῷ τὸ πολίτευμα ἔχοντες.» Φοβήθητε τῆς ἀξίας ἀποπεσεῖν· δυσέκνιπτον τὸ μετὰ κάθαρσιν μόλυσμα. 2.  Ἐβουλεύσαντό τι Λεοντοπολῖται τῆς ἑαυτῶν φύσεως ἡμερώτερον· ἀλλήλων ἀφέμενοι, τοὺς γείτονας παρανόμων ἐγράψαντο, ἐπεὶ μέχρι χθὲς καὶ πρώην ἀδελφοί τε ἐπ’ ἀδελφοῖς καὶ παῖς ἐπὶ πατρὶ καὶ πατὴρ ἐπὶ τῷ γένει παρεκάλει τὸν δήμιον. Τάχα δὲ οὐδὲ τὸ νῦν ἐγχειρούμενον καταλυόντων ἐστὶ τὴν ἀλληλοφονίαν τὴν πάτριον, ἀλλ’ ἰδίᾳ μὲν ἕκαστος ἐπὶ τὸν ἑταῖρον φέρεται, κοινῇ δὲ ἡ πόλις ἐπὶ τοὺς οὐκ εὐτυχῶς ἀστυγείτονας. Οὐ γὰρ ἀνεκτὸν αὐτοῖς εἰ μὴ καὶ δημοσίᾳ τὸ σχῆμα τῆς πόλεως κατηγορικὸν εἴη καὶ συκοφάντου χώραν ὑπεισελεύσεται· ἀλλ’ ἡμῖν γε εἰς τὸ μηδὲν ἀδικεῖν αὐτὰ τὰ κατηγορημένα σαφεῖς ἀποδείξεις παρέχεται, εὐτυχηκόσιν ἀκοὴν δικαστοῦ. Γεωργεῖν δὲ ἡμεῖς, οὐκ ἀγορεύειν δίκας ἐμάθομεν. Τί ποτ’ οὖν ἀποδεδειγμένων αὐτοῖς πάλαι καὶ πρόπαλαι τῶν προσηκόντων μερῶν ὑπερβαίνειν ἀξιοῦσι καὶ ἐφ’ ἡμᾶς ἔρχονται τοὺς ὑπὲρ αὐτοὺς καιομένους, διψηροτέροις τε οὖσι καὶ

Omelia seconda

1.  Notte santa,10 che ha recato agli uomini purificati più luce di quanta ne abbia mai irradiata il sole sul giorno. È infatti atto empio paragonare al creatore anche la più bella delle cose terrene, ma non è una creatura quella luce che rischiara le anime e ha illuminato il sole sensibile con l’armonia della presente beatitudine. Se persisterete in questa condizione, conserverete la felicità attuale, ancora più invidiabile, per il momento presente, se non per tutta la vita. Adesso, ognuno di voi cammina per la città come un messaggero; adesso, siate certi che si applichi a voi la frase “pur essendo sulla terra, siete cittadini del cielo”.11 Abbiate timore di cadere da questa dignità: difficile da lavare è infatti la macchia dopo la purificazione. 2.  Gli abitanti di Leontopoli12 hanno preso una decisione più benevola di quanto non sia la loro stessa natura. Allontanatisi reciprocamente in pace, hanno accusato i loro vicini di atti illegali: fino a pochissimo tempo fa, infatti, fratelli invocavano il boia contro fratelli, il figlio contro il padre, il padre contro la famiglia. Forse neppure l’azione attualmente intrapresa è propria di persone che intendono far decadere questa faida ancestrale, anzi, ciascuno, in privato, si slancia contro il proprio compagno e, collettivamente, la città se la prende con quelli che hanno la sfortuna di confinare con il suo territorio. Per loro non sarebbe tollerabile se, pubblicamente, l’atteggiamento della città non fosse accusatorio, guadagnando a poco a poco la posizione del sicofante. Ma del fatto che non abbiamo commesso alcun torto ne apportano delle prove evidenti le stesse accuse, se mai avremo la fortuna di essere ascoltati da un giudice. Noi abbiamo imparato a coltivare la terra, non a fare arringhe nei processi. Perché mai, dunque, intendono oltrepassare quei confini che sono stati loro assegnati da tempo immemore e marciano contro di noi, che siamo più esposti di loro alla calura, e sempre a noi, che siamo più assetati di loro e maggiormente svan-

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sinesio di cirene

ἠδικημένοις παρὰ τῆς θέσεως ἀπεμπολῶσιν ἀεὶ τὸ περιγιγνόμενον; Ἐπειδὴ τῆτες οὐ περιγέγονεν ἀργύριον, αὐτὸ ἀξιοῦσι γενέσθαι τὰς ἡμετέρας συμφοράς. Εἰς τοῦτο τείνουσιν αἱ πρώην γραφαὶ καὶ σκοπὸς αὐτοῖς τῶν ψηφισμάτων οὐχ ἕτερος. Ὁμολογοῦσι δὲ δή τι καὶ δεύτερον, ὃ παρὰ πρώτων ἡμῶν καὶ μόνων ἄξιον εἰρῆσθαι, παραστατικὸν ὂν τῆς ἀδικωτάτης αὐτῶν ἐγχειρήσεως. Πόρρωθεν γὰρ αὐτοὶ κρηπῖδα τῇ συκοφαντίᾳ καταβαλλόμενοι ὑπὲρ ἀδείας τοῦ τοῖς μὴ προσήκουσιν ὕδασι χρήσασθαι, τῷ σεμνῷ τούτῳ δικαστηρίῳ πρόσοδον ἐποιήσαντο.

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omelia seconda 2

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taggiati dalla posizione geografica, vogliono vendere le rimanenze di acqua? Poiché quest’anno non hanno ottenuto alcun guadagno, pretendono che questo diventi un nostro problema. A questo, infatti, mirano i documenti che hanno recentemente emesso e lo scopo dei loro decreti non è differente. Convergono anche su un secondo punto, che è giusto che noi, primi e unici, denunciamo, in quanto rivela la loro più iniqua iniziativa. Da molto tempo, difatti, ponendo loro stessi le basi della calunnia volta a ottenere il permesso a utilizzare un’acqua che non gli appartiene, si sono presentati dinanzi a questo sacro tribunale.

ΥΜΝΟΙ

INNI

ΥΜΝΟΣ ΠΡΩΤΟΣ

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Ἄγε μοι, ψυχά, ἱεροῖς ὕμνοις ἐπιβαλλομένα, ὑληγενέας εὔνασον οἴστρους, θώρησσε δὲ νοῦ ζαμενεῖς ὁρμάς. Βασιλῆϊ θεῶν πλέκομεν στέφανον, θύμ’ ἀναίμακτον, ἐπέων λοιβάς. Σὲ μὲν ἐν πελάγει, σὲ δ’ ὑπὲρ νάσων, σὲ δ’ ἐν ἀπείροις, ἐπί τε πτολίων, κραναῶν τ’ ὀρέων, καὶ κατὰ κλεινῶν ὁπόταν πεδίων στάσω διδύμους γυίων ταρσούς, σέ, μάκαρ, μέλπω, κόσμου γενέτα. Σοὶ νύξ με φέρει τὸν ἀοιδόν, ἄναξ· σοὶ δ’ ἁμερίους, σοὶ δ’ ἀῴους, σοὶ δ’ ἑσπερίους ὕμνους ἀνάγω· ἴστορες αὐγαὶ πολιῶν ἄστρων

Inno primo

Coraggio, anima mia, ai sacri inni dèdicati, della materia 5 fai cessare gli assilli e rinvigorisci, dell’intelletto, gli impetuosi impulsi. Al re degli dèi intrecciamo una corona, offerta priva di sangue,10 libagione di versi. Te, nel mare, te, al di là delle isole, te, nella terraferma, nelle città,15 negli aspri monti, in queste gloriose pianure in cui poggio i miei due piedi,20 te, beato, io canto, creatore dell’universo. A te la notte mi reca nelle vesti di cantore, Signore: a te del giorno,25 a te dell’aurora, a te della sera, io gli inni innalzo. Lo sanno i raggi delle stelle splendenti30

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sinesio di cirene

μάνας τε δρόμοι καὶ μέγας ἴστωρ ἅλιος, ἁγνῶν ἄστρων πρύτανις, ὁσιᾶν ψυχᾶν ἅγιος ταμίας, ἐπὶ σὰς αὐλάς, ἐπὶ σοὺς κόλπους τὸν ἀποστρόφιον ταναᾶς ὕλας ταρσὸν ἐλαφρίζοντα, χαίρων ἵνα σου προμολὰν ἱκόμαν. Νῦν ἐπὶ σεμνᾶς τελετηφορίας σηκοὺς ἁγίους ἱκέτας ἔμολον· νῦν ἐπὶ κλεινῶν κορυφὰν ὀρέων ἱκέτας ἔμολον· νῦν ἐς ἐρήμας αὐλῶνα μέγαν Λιβύας ἔμολον, πέζαν νοτίαν, τὰν οὔτ’ ἄθεον πνεῦμα μολύνει, οὔτε χαράσσει ἴχνος ἀνθρώπων ἀστυμερίμνων, ἵνα σοι ψυχὰ καθαρὰ παθέων, λύσασα πόθους, λήξασα πόνων, λήξασα γόων,

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inni i  31-64

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e i cicli della luna, lo sa bene il sole, delle sacre stelle sovrano, delle anime pie35 santo custode. Verso la tua dimora, verso il tuo seno, elevo un’ala che si discosta,40 leggera, dall’infida materia, felice di essere giunto al tuo vestibolo. Adesso al sacro tempio45 del tuo venerando mistero sono giunto supplice; adesso fino alla vetta di montagne illustri sono giunto supplice;50 adesso fino all’ampia valle della Libia desertica sono giunto, estremo del sud,1 che né empio55 soffio contamina, né fende orma di uomo dedito alla vita di città, affinché a te la mia anima,60 purificata dalle passioni, libera dai desideri, cessate le pene, cessati i lamenti,

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sinesio di cirene

θυμῶν, ἐρίδων, ὅσα κηριτρεφῆ ἀποσεισαμένα, καθαρᾷ γλώσσᾳ γνώμᾳ θ’ ὁσίᾳ τὸν ὀφειλόμενον ὕμνον ἀποίσει. Εὐφαμείτω αἰθὴρ καὶ γᾶ· στάτω πόντος, στάτω δ’ ἀήρ· λήγετε πνοιαὶ βαλίων ἀνέμων· λήγετε ῥιπαὶ γυρῶν ῥοθίων, ποταμῶν προχοαί, κρανααὶ λιβάδες· ἐχέτω σιγὰ κόσμου λαγόνας, ἱερευομένων ἁγίων ὕμνων. δύτω κατὰ γᾶς ὀφίων συρμός· δύτω κατὰ γᾶς καὶ πτανὸς ὄφις, δαίμων ὕλας, νεφέλα ψυχᾶς, εἰδωλοχαρεῖς εὐχαῖς σκύλακας ἐπιθωΰσσων. Σύ, πάτερ, σύ, μάκαρ, σὺ ψυχοβόρους ἀπέρυκε κύνας ψυχᾶς ἀπ’ ἐμᾶς,

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inni i  65-98

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l’ira, la discordia,65 scrollatasi di quanto ne apporta la sventura, con lingua pura, con pia disposizione, il dovuto70 inno presenti. Tacciano l’etere e la terra; si arresti il mare, si arresti l’aria;75 cessate soffi dei rapidi venti; cessate impeti dei flutti ricurvi, foci dei fiumi,80 sorgenti tra le rocce; dòmini il silenzio negli abissi dell’universo, mentre si offrono i sacri inni.85 Sprofondi sotto terra la scia dei serpenti; sprofondi sotto terra anche il serpente alato,2 demone della materia,90 nube dell’anima, che si compiace delle parvenze, che contro le preghiere incita i propri cani. Tu, Padre, tu, beato,95 tu, respingi i cani divoratori dell’anima, dalla mia anima,

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sinesio di cirene

εὐχᾶς ἀπ’ ἐμᾶς, ζωᾶς ἀπ’ ἐμᾶς, ἔργων ἀπ’ ἐμῶν. ἁ δ’ ἁμετέρα πραπίδων λοιβὰ σοῖς ἐριτίμοις μελέτω προπόλοις, πορθμεῦσι σοφοῖς ἁγίων ὕμνων. Ἤδη φέρομαι ἐπὶ βαλβῖδας ἱερῶν ἐπέων· ἤδη καναχεῖ ὀμφὰ περὶ νοῦν. μάκαρ, ἵλαθί μοι, πάτερ, ἵλαθί μοι, εἰ παρὰ κόσμον, εἰ παρὰ μοῖραν τῶν σῶν ἔθιγον. Τίνος ὄμμα σοφόν, τίνος ὄμμα πολύ, ταῖς σαῖς στεροπαῖς ἀνακοπτόμενον, οὐ καταμύσει; ἀτενὲς δὲ δρακεῖν ἐπὶ σοὺς πυρσοὺς θέμις οὐδὲ θεοῖς· πίπτων δὲ νόος ἀπὸ σᾶς σκοπιᾶς τὰ πέλας σαίνει, ἀκίχητα κιχεῖν ἐπιβαλλόμενος, προσιδεῖν αἴγλαν ἀκάμαντι βυθῷ

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inni i  99-132

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dalla mia preghiera, dalla mia vita,100 dalle mie azioni. Questa mia libagione che proviene dal cuore possa risultar gradita ai tuoi preziosi ministri,105 saggi nunzi dei santi inni. Già mi porto alla linea di partenza dei sacri versi;110 già risuona una divina voce nella mente. Beato, abbi pietà di me, Padre, abbi pietà di me, se contro le leggi dell’universo,115 se contro il mio destino ho sfiorato ciò che è tuo. Di chi l’occhio sarà saggio, di chi l’occhio sarà forte, al punto da non serrarsi,120 accecato dai tuoi lampi? Di fissare intensamente le tue fiamme non è concesso neppure agli dèi.125 Precipitando l’intelletto dalla tua contemplazione, lusinga quanto gli si trova vicino, mirando a raggiungere l’irrangiungibile,130 a osservare lo splendore che dall’abisso impenetrabile

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sinesio di cirene

ἀμαρυσσομέναν. ἀβάτω δ’ ἀποβὰς ἐπὶ πρωτοφαὲς εἶδος ἐρείδει ὄμματος ὁλκάν· ὅθεν αἰνύμενος ἐπὶ σοὺς ὕμνους ἄνθεα φωτός, ἀοριστοῖσαν ἀνέπαυσε βολάν, τὰ σὰ σοὶ πάλι δούς. Τί γὰρ οὐ σόν, ἄναξ; Πατέρων πάντων πάτερ αὐτοπάτωρ, προπάτωρ ἀπάτωρ, υἱὲ σεαυτοῦ, ἓν ἑνὸς πρότερον, ὄντων σπέρμα, πάντων κέντρον, προανούσιε νοῦ, κόσμων ῥίζα τῶν ἀρχεγόνων, ἀμφιφαὲς φῶς, ἀτρέκεια σοφά, παγὰ σοφίας, κεκαλυμμένε νοῦ ἰδίαις αὐγαῖς, ὄμμα σεαυτοῦ, πρηστηροκράτωρ, αἰωνοτόκε, αἰωνόβιε, ἐπέκεινα θεῶν, ἐπέκεινα νόων, θάτερα νωμῶν,

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inni i  133-166

729

promana. Disceso dall’inviolabile, alla forma che per prima risplende3135 volge l’inclinazione dello sguardo; da allora cogliendo per i tuoi inni fiori di luce,140 pone fine all’incerto slancio, restituendoti ciò che è tuo. Ma cosa non è tuo, Signore? Padre ingenerato145 di tutti i padri, primo Padre senza padre, figlio di te stesso, Uno anteriore all’uno, seme degli enti,150 centro del Tutto, intelligenza presostanziale, radice degli universi originari, luce circondata dalla luce,155 verità infallibile, sorgente di sapienza, intelletto occultato dai suoi stessi raggi, occhio di te stesso,160 signore dell’uragano, generatore d’eternità, immortale, superiore agli dèi, superiore alle intelligenze,165 loro guida,

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200

sinesio di cirene

νοερητόκε νοῦ, ὀχετηγὲ θεῶν, πνευματοεργὲ καὶ ψυχοτρόφε, παγὰ παγῶν, ἀρχῶν ἀρχά, ῥιζῶν ῥίζα, μονὰς εἶ μονάδων, ἀριθμῶν ἀριθμός, μονὰς ἠδ’ ἀριθμός, νοῦς καὶ νοερός, καὶ τὸ νοητόν, καὶ πρὸ νοητοῦ, ἓν καὶ πάντα, ἓν διὰ πάντων, ἕν τε πρὸ πάντων, σπέρμα τὸ πάντων, ῥίζα καὶ ὄρπαξ, φύσις ἐν νοεροῖς, θῆλυ καὶ ἄρρην. Μύστας δὲ νόος τά τε καὶ τὰ λέγει, βυθὸν ἄρρητον ἀμφιχορεύων. Σὺ τὸ τίκτον ἔφυς, σὺ τὸ τικτόμενον, σὺ τὸ φωτίζον, σὺ τὸ λαμπόμενον, σὺ τὸ φαινόμενον, σὺ τὸ κρυπτόμενον, φῶς κρυπτόμενον ἰδίαις αὐγαῖς, ἓν καὶ πάντα, ἓν καθ’ ἑαυτὸ

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inni i  167-200

731

intelligenza che genera intelligenza, convergenza degli dèi, creatore dello spirito e nutritore dell’anima,170 sorgente delle sorgenti, principio dei princìpi, radice delle radici. Sei la monade delle monadi, il numero dei numeri,175 monade e numero, intelletto e intellettuale, nonché intelligibile, e anteriore all’intelligibile, Uno e Tutto,180 Uno nel Tutto,4 Uno precedente al Tutto, seme del Tutto, radice e germoglio, essenza negli intellettuali,185 femmina e maschio. L’intelletto iniziato questo e altro sa affermare di te, danzando attorno all’ineffabile abisso.190 Tu sei il genitore, tu il generato, tu ciò che illumina, tu ciò che è illuminato, tu ciò che appare,195 tu ciò che è celato, luce occultata dai suoi stessi raggi, Uno e Tutto, Uno in sé200

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sinesio di cirene

καὶ διὰ πάντων. σὺ γὰρ ἐξεχύθης, ἀρρητοτόκε, ἵνα παῖδα τέκῃς, κλεινὰν σοφίαν δημιοεργόν· προχυθεὶς δὲ μένεις ἀτόμοισι τομαῖς μαιευόμενος. Ὑμνῶ σε, μονάς, ὑμνῶ σε, τριάς· μονὰς εἶ τριὰς ὤν, τριὰς εἶ μονὰς ὤν. νοερὰ δὲ τομὰ ἄσχιστον ἔτι τὸ μερισθὲν ἔχει· ἐπὶ παιδὶ χύθης ἰότατι σοφᾷ, αὐτὰ δ’ ἰότας βλάστησε, μέσα φύσις ἄφθεγκτος, τὸ προούσιον ὄν. οὐ θέμις εἰπεῖν δεύτερον ἐκ σοῦ· οὐ θέμις εἰπεῖν τρίτον ἐκ πρώτου. Ὠδὶς ἱερά, ἄρρητε γονά, ὅρος εἶ φυσίων, τᾶς τικτοίσας καὶ τικτομένας· σέβομαι νοερῶν κρυφίαν τάξιν· χωρεῖ τι μέσον

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inni i  201-234

733

e in Tutto. Tu ti sei effuso, genitore d’un essere ineffabile, per generare un Figlio, illustre sapienza205 demiurgica: seppure effuso permani in te, partorendo con scissione indivisa. A te rivolgo l’inno, monade,210 a te rivolgo l’inno, triade; monade seppure triade, triade seppure monade, l’intellettuale scissione ancora indiviso215 mantiene ciò che è diviso. Nel Figlio ti sei effuso con la tua sapiente volontà, e quella volontà è germogliata, intermedia,220 indicibile natura.5 Di ciò che è pre-essenziale non è lecito dire che è secondo, da te derivato; non è lecito neppure parlare225 di un terzo, derivato dal primo. Sacro parto, ineffabile procreazione, sei il confine delle nature, quella che concepisce230 e quella che è concepita; Venero, degli intellettuali, l’occulta disposizione: comprende un elemento mediano

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sinesio di cirene

οὐ καταταχθέν. Ἄφθεγκτε γόνε πατρὸς ἀφθέγκτου, ὠδὶς διὰ σέ, διὰ δ’ ὠδῖνος αὐτὸς ἐφάνθης ἅμα πατρὶ φανεὶς ἰότατι πατρός· ἰότας δ’ ἐσαεὶ παρὰ σεῖο πατρί. Οὐδ’ ὁ βαθύρρους χρόνος οἶδε γονὰς τὰς ἀρρήτους· αἰὼν δ’ ὁ γέρων τὸν ἀμήρυτον τόκον οὐκ ἐδάη· ἅμα πατρὶ φάνη αἰωνογόνος ὁ γενησόμενος. Τίς ἐπ’ ἀφθέγκτοις ἐβράβευσε τομάν; ἀλαῶν μερόπων δαιδαλογλώσσων ἄθεοι τόλμαι. Σὺ δὲ φωτοδότας φωτὸς νοεροῦ, σκολιᾶς δ’ ἀπάτας ἀνέχεις ὁσίων πραπίδας μερόπων, ἐς ζόφον ὕλας μὴ καταδῦναι. Σέ, πάτερ κόσμων, πάτερ αἰώνων, αὐτουργὲ θεῶν,

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inni i  235-268

735

che non si lascia collocare.235 Ineffabile Figlio di Padre ineffabile, per te fu il parto, e attraverso il parto tu stesso sei apparso,240 apparso assieme al Padre, per la volontà del Padre; volontà tu sempre presso tuo Padre. Neppure il tempo245 dal rapido corso conosce le procreazioni ineffabili; né l’eternità, per quanto veneranda, ha mai appreso quel parto privo di estensione;250 assieme al Padre apparve chi sarebbe divenuto il fondatore dell’eternità. Chi, negli ineffabili, ha concepito una scissione?255 Dei ciechi mortali dal linguaggio astuto empia è l’audacia. Ma tu fai dono della luce, della luce intellettuale,260 e dal sinuoso inganno trattieni i cuori dei pii mortali, affinché non sprofondino nell’oscurità della materia.265 Te, Padre degli universi, Padre dell’eternità, creatore degli dèi,

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sinesio di cirene

εὐαγὲς αἰνεῖν. σὲ μὲν οἱ νοεροὶ μέλπουσιν, ἄναξ, σὲ δὲ κοσμαγοὶ ὀμματολαμπεῖς νόες ἀστέριοι ὑμνοῦσι, μάκαρ, οὓς πέρι κλεινὸν σῶμα χορεύει. πᾶσά σε μέλπει γενεὰ μακάρων, οἳ περὶ κόσμον, οἳ κατὰ κόσμον, οἳ ζωναῖοι οἵ τ’ ἄζωνοι κόσμου μοίρας ἐφέπουσι σοφοὶ ἀμφιβατῆρες, οἱ περὶ κλεινοὺς οἰηκοφόρους, οὓς ἀγγελικὰ προχέει σειρά, τό τε κυδῆεν γένος ἡρώων ἔργα τὰ θνητῶν κρυφίαισιν ὁδοῖς διανισσόμενον, ἔργα βρότεια· ψυχά τ’ ἀκλινὴς καὶ κλινομένα ἐς μελαναυγεῖς χθονίους ὄγκους· σὲ μάκαιρα φύσις φύσεώς τε γονὰ

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inni i  269-302

737

è insigne celebrare. Te gli intellettuali270 cantano, Signore, a te gli intelletti astrali che governano il cosmo col loro sguardo raggiante rivolgono inni, beato,275 loro, attorno ai quali si muove il glorioso corpo. Tutta ti canta la stirpe dei beati (che attorno all’universo,280 nell’universo, posti nelle orbite o al di fuori,6 reggono le parti del cosmo,285 saggi protettori, al fianco degli illustri timonieri, emessi dall’angelica catena)290 e la gloriosa stirpe degli eroi, che per occulte vie le azioni dei mortali, le azioni degli uomini,295 percorre; e anche l’anima incrollabile e l’anima che invece si protende all’oscura materialità dei corpi terreni.300 Te la natura beata e la sua procreazione

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sinesio di cirene

ὑμνεῖ σε, μάκαρ, τὰς ζειδώροις ἐφέπεις πνοιαῖς ἀπὸ σῶν ὀχετῶν κατασυρομέναις, προκυλινδομέναις. Σὺ γάρ, ἀχράντων ἡγέτα κόσμων, φύσις εἶ φυσίων· σὺ φύσιν θάλπεις, γένεσιν θνατῶν, τᾶς ἀενάω ἴνδαλμα μονᾶς, ἵνα καὶ πυμάτα μερὶς ἐν κόσμῳ λελάχῃ ζωᾶς [λελάχῃ ζωαῖς] ἐπαμειβομένας. οὐ γὰρ θέμις ἦν τρύγα τὰν κόσμου κορυφαῖς ἐρίσαι· τὸ δὲ ταχθὲν ὅλως ἐς χορὸν ὄντων οὐκέτ’ ὀλεῖται, ἄλλο δ’ ἀπ’ ἄλλου διά τ’ ἀλλήλων πάντ’ ἀπολαύει· ἐξ ὀλλυμένων κύκλος ἀίδιος ταῖς σαῖς πνοιαῖς ἀναθαλπόμενος. Σοὶ διὰ πάντων ἵστησι χοροὺς μάτειρα φύσις, ἰδίαις χροιαῖς,

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inni i  303-336

739

gli inni esaltano, beato, le stesse che tu reggi col vitale soffio305 che dalle tue vie7 discende, si frange. Tu infatti, guida degli incontaminati universi,310 sei la natura delle nature; tu riscaldi la natura, principio dei mortali, apparenza di quella eterna,315 affinché anche l’estrema parte dell’universo si impossessi della vita che da un essere all’altro passa. Mai infatti fu lecito320 che la feccia dell’universo competesse con le sue vette; ma quanto fu definitivamente disposto nel coro degli enti non perirà:325 l’uno dipende dall’altro e da tale reciproca relazione beneficia ogni ente. Di enti finiti si compone il sempiterno ciclo,330 riscaldato dai tuoi soffi. Per te istituisce cori la materna natura, ricorrendo a tutti335 gli ornamenti,

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sinesio di cirene

ἰδίοις ἔργοις δαιδαλλομένων· ἐκ δὲ ζωᾶν ἑτεροφθόγγων μίαν ἁρμονίαν ὁμόφωνον ἄγει. σοὶ πάντα φέρει αἶνον ἀγήρων· ἀὼς καὶ νύξ, στεροπαί, νιφάδες, † οὐρανὸς ἀκμὴς αἴθων † καὶ γᾶς ῥίζαι, ὕδωρ, ἀήρ, σώματα πάντα, πνεύματα πάντα, σπέρματα, καρποί, φυτὰ καὶ ποῖαι, ῥίζαι, βοτάναι, βοτὰ καὶ πτηνά, καὶ νηχομένων νεπόδων ἀγέλαι. Ἴδε καὶ ψυχὰν ὀλιγοδρανέα, ὀλιγηπελέα, ἐπὶ σᾶς Λιβύας, ἐπὶ σᾶς σεπτᾶς ἱερηπολίας ὁσίαις εὐχαῖς ἐπιμελπομέναν, τὰν ἀμφιπολεῖ νέφος ὑλαῖον· σὸν δ’ ὄμμα, πάτερ, κοπτικὸν ὕλας. Νῦν μοι κραδία,

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inni i  337-370

741

con i loro colori, con le loro proprietà: dalle voci dissonanti dei viventi340 conduce all’unisono di un’unica armonia. A te ogni cosa porge una lode destinata a non invecchiare: l’aurora e la notte,345 i lampi, le nevi, l’infaticabile, igneo cielo8 e le radici della terra, l’acqua, l’aria, i corpi tutti,350 gli spiriti tutti, i semi, i frutti, le piante e i prati, le radici, le erbe, le greggi e gli uccelli355 e le frotte dei pesci nuotanti. Guarda anche quest’anima spossata, debole,360 che nella tua Libia, per il tuo santo ufficio sacerdotale con pie preghiere ti canta,365 avvolta dalla nube della materia: il tuo sguardo, Padre, può tagliare la materia.9 Adesso il mio cuore,370

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sinesio di cirene

τοῖς σοῖς ὕμνοις πιαινομένα, ἐθόωσε νόον πυρίαις ὁρμαῖς· σὺ δὲ λάμψον, ἄναξ, ἀναγωγὰ φάη· νεῦσον δέ, πάτερ, σῶμα φυγοῖσαν μηκέτι δῦναι ἐς χθονὸς ἄταν· ὄφρα δὲ ζωᾶς ὑλοδιαίτου δεσμοῖσι μένω, πραεῖα, μάκαρ, βόσκοι με τύχα· μηδ’ ἐμπόδιον πνεύσειε νόου φροντίσι λυγραῖς δάπτοισα βίον, ἵνα μὴ τὰ θεοῦ ἄσχολος εἴην· μηδ’ ἔτι τοίοις ἐναλινδοίμαν, ὅθεν ἐκπροφυγὼν δώροισι τεοῖς στέφος εὐαγέων ἀπὸ λειμώνων σοὶ τοῦτο πλέκων σοὶ τόνδε φέρω αἶνον, ἀχράντων ἡγέτα κόσμων, καὶ παιδὶ σοφῷ σαυτοῦ σοφίᾳ, τὸν ἀπ’ ἀρρήτων

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inni i  371-404

743

dai tuoi inni rigonfiato, ha reso acuta la mia mente con i suoi impeti di fuoco; anche tu accendi, Signore,375 quelle luci che hanno facoltà di elevare; concedi che l’anima, Padre, sfuggita al corpo, non sprofondi più nella miseria terrena;380 ma finché della vita materiale rimango nei ceppi, che mite, beato, mi alimenti la sorte;385 che questa non soffi ponendosi d’impaccio all’intelletto, consumandomi la vita con dolorose angosce, affinché delle questioni divine390 io non debba privarmi; che possa non essere più coinvolto in faccende come quelle cui sono sfuggito grazie ai tuoi doni,395 intrecciando per te adesso questa corona dagli splendenti prati, porgendo a te questa lode, guida400 degli incontaminati universi, e al Figlio sapiente, alla tua sapienza, che hai effuso dall’ineffabile

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sinesio di cirene

ἔχεας κόλπων. ἐν σοὶ δὲ μένει σέθεν ἐκπροθορών, ἵνα πάντα σοφαῖς ἐφέπῃ πνοιαῖς, διέπῃ πολιῶν βάθος αἰώνων, διέπῃ ταρσοὺς κραναοῦ κόσμου μέχρι καὶ νεάτου πυθμένος ὄντων, χθονίας μοίρας, ὁσίαις πραπίσιν ἐλλαμπόμενος, λύῃ δὲ πόνους ἠδὲ μερίμνας διερῶν μερόπων, ἀγαθῶν κράντωρ, ἐλατὴρ ἀχέων· τί δὲ θαῦμα θεὸν τὸν κοσμοτέχναν ἰδίων ἔργων κῆρας ἐρύκειν; Τόδε σοι, μεγάλου κοίρανε κόσμου, τίσων ἔμολον χρέος ἐκ Θρῄκης, ἵνα τὰν τριέτιν ᾤκησα γύαν παρ’ ἀνακτόριον γαίας μέλαθρον, ἔτλαν δὲ πόνους, ἔτλαν δ’ ὀδύνας πολυδακρύτους

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inni i  405-438

745

seno.405 In te permane, sebbene da te emanato, per tutto reggere coi sapienti soffi, per guidare l’abisso410 dei canuti secoli, per guidare le ali dell’aspro universo, fino al più basso, al più infimo degli enti,415 la parte terrena, splendendo ai cuori pii, per dissipare le pene e le inquietudini420 degli uomini in vita, dispensando loro i beni, stornandone i mali. Quale meraviglia se Dio, artefice dell’universo,425 dalle proprie opere allontana le sventure? Così, sovrano dell’immenso universo, vengo a pagarti il mio430 debito, di ritorno dalla Tracia, dove per tre anni ho risieduto nelle vicinanze del palazzo che domina la terra.10435 Vi ho sopportato sofferenze, vi ho sopportato dolori, che hanno causato molte lacrime,

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sinesio di cirene

ὤμοισι φέρων ματέρα πάτραν. ῥαίνετο μὲν γᾶ ἱδρῶτι μελῶν ἀεθλευόντων ἆμαρ ἐπ’ ἆμαρ· ῥαίνετο δ’ εὐνὰ κανθῶν λιβάσιν ὀλοφυρομένων νύκτ’ ἐπὶ νύκτα. νηοὶ δ’ ὁπόσοι δώμηθεν, ἄναξ, ἐπὶ σαῖς ἁγίαις τελετηφορίαις, ἐπὶ πάντας ἔβαν πρηνὴς ἱκέτας, δάπεδον βλεφάρων δεύων νοτίσι, μή μοι κενεὰν ὁδὸν ἀντᾶσαι· ἱκέτευσα θεοὺς δραστῆρας, ὅσοι γονόεν Θρῄκης κατέχουσι πέδον, οἵ τ’ ἀντιπέρην Χαλκηδονίας ἐφέπουσι γύας, οὓς ἀγγελικαῖς ἔστεψας, ἄναξ, αὐγαῖσι, τεοὺς ἱεροὺς προπόλους· σύν μοι μάκαρες ἐλάβοντο λιτᾶν, σύν μοι πολέων

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inni i  439-472

747

recando sulle spalle il peso della patria materna.440 Madida era la terra del sudore delle mie membra, impegnate nella lotta giorno dopo giorno; madido era il letto445 per i rivi dei miei occhi piangenti, notte dopo notte. Quanti templi sono stati edificati, Signore,450 per i tuoi santi misteri: in tutti mi sono recato prono, supplice, bagnando il suolo455 con le lacrime delle mie palpebre, perché il viaggio che stavo compiendo non si rivelasse vano; ho supplicato gli dèi ausiliari,11 quanti460 sovrintendono al fertile suolo della Tracia, e che sulla riva opposta12 di Calcedonia governano le terre,465 quanti, Signore, hai coronato con angelici raggi, tuoi sacri ministri; con me, beati,470 si assunsero le suppliche, con me

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sinesio di cirene

ἐλάβοντο πόνων. οὔ μοι ζωὰ ταμόσδε φίλα, διὰ γᾶν πατρίαν στυφελιζομέναν, τὰν ἐξ ἀχέων ἔστασας, ἄναξ, αὐτός, ἀγήρως κοίρανε κόσμου. Ἤδη ψυχᾶς ἀποτρυομένας, ἤδη μελέων κατερειπομένων, ὑπέρεισας ἐμὰν ἄρθρων δύναμιν, τλᾶμον ψυχᾷ μένος ἔμπνευσας, καμάτων δὲ γλυκὺ εὕρεο τέκμωρ, κατὰ θυμὸν ἐμὸν ἔργοισιν, ἄναξ, ὀπάσας δολιχῶν ἄμπαυμα πόνων. Τὰ σὺ πάντα, μάκαρ, Λιβύεσσι σάου ἐς μηκεδανὸν μήρυμα χρόνου διὰ σᾶς μνάμαν εὐεργεσίας, διά τε ψυχὰν αἰνὰ παθοῖσαν. Ἱκέτᾳ δὲ δίδου βιοτὰν ἀσινῆ· λῦέ με μόχθων,

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inni i  473-506

749

si assunsero le molte pene. Allora la vita non mi era cara,475 poiché veniva colpita la mia terra natia, che dai mali hai poi sollevato, Signore, tu stesso, immortale480 sovrano dell’universo. Quando ormai la mia anima era stremata, quando ormai le mie membra erano sul punto di cedere,485 hai sorretto la forza delle mie giunture, infondendo vigore alla mia anima sventurata, e hai trovato una dolce490 conclusione alle fatiche, secondo il mio desiderio, concedendo, Signore, una pausa alle mie opere, dopo lunghe pene.495 Tutto questo tu, beato, assicura ai Libici per un lungo lasso di tempo perché vi sia memoria della tua500 opera pia e per quell’anima che ha sofferto atroci mali. Concedimi, tuo supplice, un’esistenza incolume:505 liberami dalle sofferenze,

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sinesio di cirene

λῦέ με νούσων, λῦε μεριμνᾶν κηριτρεφέων, νεῦσον νοερὰν προπόλῳ ζωάν, μή μοι χθονίους ὄμβρους ἀφένου κρίνειας, ἄναξ, ἵνα μὴ τὰ θεοῦ ἄσχολος εἴην· μηδὲ κατηφὴς πενία μελάθροις ἐγχριμπτομένα περὶ γᾶν ἕλκοι φροντίδα θυμοῦ. ἄμφω ψυχὰν βρίθει περὶ γᾶν, ἄμφω δὲ νόου ἐπίληθα πέλει, ὅτε μὴ σύ, μάκαρ, ὀρέγοις ἀλκάν. Ναί, πάτερ, ἁγνᾶς παγὰ σοφίας, λάμψον πραπίσιν ἀπὸ σῶν κόλπων νοερὸν φέγγος· στράψον κραδίᾳ ἀπὸ σᾶς ἀλκᾶς σοφίας αὐγάν· κἀς τὰν ἐπὶ σὲ ἱερὰν ἀτραπὸν σύνθημα δίδου σφραγῖδα τεάν, κηριτρεφέας

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inni i  507-540

751

liberami dalle malattie, liberami dalle angosce che alimentano l’infelicità. Accorda una vita510 intellettuale al tuo ministro, non assegnarmi, Signore, le terrene piogge dell’abbondanza, affinché delle questioni divine515 io non debba privarmi; ma che neppure la triste povertà, assalendo la mia dimora, trascini a terra520 le preoccupazioni del mio animo. Entrambe l’anima gravano a terra, entrambe rendono dimentichi dell’intelletto,525 qualora tu, beato, non trasmetta la tua forza. Sì, Padre, sorgente della pura sapienza, accendimi nell’animo,530 dal tuo seno, una luce intellettuale; fai balenare nel mio cuore, dalla tua forza, un raggio di sapienza;535 perché intraprenda il sacro sentiero che fino a te conduce, dammi come segnale il tuo sigillo, stornando dalla mia vita540

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sinesio di cirene

δαίμονας ὕλας σεύων ζωᾶς εὐχᾶς τ’ ἀπ’ ἐμᾶς, καὶ σῶμα σάου ἀρτεμές, ἐχθραῖς ἄβατον λώβαις, καὶ πνεῦμα σάου ἀμόλυντον, ἄναξ. Ἦ μὰν ἤδη δνοφερὰν ὕλας κηλῖδα φέρω, ἔχομαι δὲ πόθοις, χθονίοις δεσμοῖς. σὺ δὲ ῥύσιος εἶ, σὺ καθάρσιος εἶ· ἀπόλυε κακῶν, ἀπόλυε νόσων, ἀπόλυε πέδας. σὸν σπέρμα φέρω, εὐηγενέος σπινθῆρα νόου ἐς βάθος ὕλας κατακεκλιμένον. σὺ γὰρ ἐν κόσμῳ κατέθου ψυχάν, διὰ δὲ ψυχᾶς ἐν σώματι νοῦν ἔσπειρας, ἄναξ. Τὰν σὰν κούραν ἐλέαιρε, μάκαρ. Κατέβαν ἀπὸ σοῦ χθονὶ θητεῦσαι, ἀντὶ δὲ θήσσας γενόμαν δούλα·

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inni i  541-574

753

e dalle mie preghiere i demoni della materia che alimentano l’infelicità, e preserva il mio corpo sano, alle turpi545 offese inviolabile, e preserva il mio spirito incorrotto, Signore. Certo, ormai reco in me l’oscura550 macchia della materia, ho dei desideri, dei legami terreni. Ma tu sei liberatore, tu sei purificatore:555 liberami dai mali, liberami dalle malattie, liberami dai ceppi. Porto il tuo seme, scintilla560 di nobile intelletto, nel baratro della materia riposto. Tu, infatti, nell’universo hai messo l’anima,565 e, per mezzo dell’anima, l’intelletto hai seminato nel corpo, Signore. Della tua figlia abbi pietà, beato.570 Sono discesa da te per lavorare sulla terra, ma anziché serva salariata sono divenuta schiava:

754 575

580

585

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sinesio di cirene

ὕλα με μάγοις ἐπέδησε τέχναις. Ἔνι μάν, ἔνι μοι βαιόν τι μένος κρυφίας γλήνας· οὔπω πᾶσαν ἔσβεσεν ἀλκάν, κέχυται δὲ πολὺς ἐφύπερθε κλύδων, ἀλαῶπα τιθεὶς τὰν θεοδερκῆ. Ἐλέαιρε, πάτερ, κούραν ἱκέτιν, τὰν πολλάκι δή, νοεραῖς ἀνόδοις ἐπιβαλλομέναν, λαμυρᾶς ὕλας ἵμερος ἄγχει. σὺ δὲ λάμψον, ἄναξ, ἀναγωγὰ φάη, ἅψον δὲ σέλας καὶ πυρκαϊάν, σπέρμα τὸ βαιὸν αὔξων ἐν ἐμῷ κρατὸς ἀώτῳ. θρόνισόν με, πάτερ, φωτὸς ἐν ἀλκᾷ ζωηφορίου, ἵνα χεῖρα φύσις οὐκ ἐπιβάλλει, ὅθεν οὐκέτι γᾶ, οὐ μοιραία κλῶσις ἀνάγκας παλίνορσον ἄγει.

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inni i  575-608

755

la materia, con le sue magiche575 arti, mi ha legato a sé.13 C’è tuttavia, c’è in me qualche flebile moto dell’occhio occultato;14 non ancora tutto580 il suo vigore ha spento, ma l’ha travolto una grande onda, dall’alto, rendendolo cieco, mentre contemplava Dio.585 Abbi pietà, Padre, della tua figlia supplice, che spesso rivolta all’intellettuale ascesa,590 è soffocata dal desiderio della materia vorace. Ma tu accendi, Signore, quelle luci che hanno facoltà di elevare, attizza un gran bagliore595 e una fiamma, accrescendo il flebile seme che si trova nella parte più elevata e nobile di me. Ponimi sul trono, Padre,600 di questa luce che nel vigore dispensa la vita, laddove la natura la mano non pone, dove né la terra605 né il fatale dipanarsi della necessità possono ricondurre indietro.

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640

sinesio di cirene

Λιπέτω, φυγέτω δολερὰ γένεσις θεράποντα τεόν· ἐμέθεν δέ, πάτερ, χθονίου τε κλόνου πῦρ μέσον εἴη. νεῦσον, γενέτα, νεῦσον προπόλῳ ἤδη νοεροὺς πετάσαι ταρσούς. ἤδη φερέτω σφραγῖδα πατρὸς ἱκέτις ψυχά, δεῖμα μὲν ἐχθροῖς δαίμοσιν, οἳ γᾶς ἀπὸ κευθμώνων ἀναπαλλόμενοι πνείουσι βροτοῖς ἀθέους ὁρμάς· σύνθημα δὲ σοῖς ἁγνοῖς προπόλοις, οἳ κατὰ κλεινοῦ βένθεα κόσμου πυρίων ἀνόδων κληϊδοφόροι, ἵνα μοι φάεος πετάσωσι πύλας, ἔτι δ’ ἀλεμάτας ἐπὶ γᾶς ἕρπων, μὴ χθονὸς εἴην. Πυρίων δ’ ἔργων καὶ τῇδε δίδου μάρτυρα καρπόν, ὀμφὰς ἀτρεκεῖς,

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inni i  609-642

757

Che l’infida generazione lasci, abbandoni610 il tuo servitore: che fra me, Padre, e il terreno clamore sia posto il fuoco. Concedi, creatore,615 concedi al tuo ministro di dispiegare le ali intellettuali. Che l’anima supplice rechi620 il sigillo del Padre, per dissuadere i turpi demoni che, balzando dagli anfratti della terra,625 ispirano ai mortali propositi empi; e per farsi riconoscere dai tuoi puri ministri, che negli abissi630 del sublime universo detengono le chiavi delle ignee ascese, affinché mi spalanchino le porte di luce635 e io non sia più terrena, per quanto ancora sulla terra invano strisci. Anche in questo mondo concedimi un frutto a testimone640 delle mie ignee opere,15 nonché profezie veritiere

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655

657a 658 660

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sinesio di cirene

ὅσα τ’ ἐν ψυχαῖς τὰν ἀμβροσίαν ἐλπίδα θάλπει. Μετά μοι μέλεται χθονίας βιοτᾶς. Ἔρρετε λῆμαι ἀθέων μερόπων πτολίων τε κράτη· ἔρρετε πᾶσαι ἆται γλυκεραὶ ἄχαρίς τε χάρις, οἷσι ψυχὰν θωπευομέναν γᾶ λάτριν ἔχει. ἆ μέγα δειλά

ἰδίων τ’ ἀγαθῶν ἔπιεν λάθαν, μέχρις ἐγκύρσῃ φθονερᾷ μερίδι· δοιὰς γὰρ ἔχει μαστροπὸς ὕλα· ὃς δὲ τραπέζας ἐπορεξάμενος μελιχρῶν ἔθιγεν, ἦ μέγα κλαύσει πικρὰν μερίδα, τῶν ἀντίξων συνεφελκομένων. ὅδε γὰρ χθονίας θεσμὸς ἀνάγκας διχόθεν θνατοῖς βίον οἰνοχοεῖ· τὸ δ’ ἀκηράσιον ἀμιγές τ’ ἀγαθὸν

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inni i  643-676

759

e quanto nelle anime riscalda la divina speranza.645 Mi pento della mia vita terrena. Decadete pure cispe degli empi mortali e poteri delle città;650 decadete pure voi tutte seducenti follie e sgraditi piaceri coi quali la terra, adulando l’anima,655 ne fa la sua schiava. Ah, nelle grandi sventure [...]16 e dei propri beni ha bevuto l’oblio, finché non si è imbattuta660 nella parte invidiosa. Duplice infatti si presenta la ruffiana materia: chi, allungando la mano alla sua tavola, ha toccato665 quanto vi è di dolce come il miele certo molto piangerà la parte amara, giacché gli opposti si implicano a vicenda.670 Tale infatti è la legge della terrena necessità, che da duplice fonte17 ai mortali mesce la vita; un bene puro675 e incorrotto è invece proprio

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sinesio di cirene

θεὸς ἢ τὰ θεοῦ. Μεθύοισα γλυκεῖ κρητῆρι, γύας ἔψαυσα κακῶν, ἐνέκυρσα πάγᾳ, ἐδάην ἄταν Ἐπιμηθιάδα. στυγέω δὲ νόμους ἀλλοπροσάλλους· ἐς τὸν ἀκηδῆ λειμῶνα πατρὸς σπεύδω, τανύω φυγάδας ταρσούς, φυγάδας διδύμων ὕλας δώρων. Ἴδε με, ζωᾶς νοερᾶς ταμία, ἴδε σὰν ἱκέτιν ψυχὰν ἐπὶ γᾶς νοεραῖς ἀνόδοις ἐπιβαλλομέναν. σὺ δὲ λάμψον, ἄναξ, ἀναγωγὰ φάη, πτερὰ κοῦφα διδούς· ἅμμα δὲ κόψον, χάλασον περόναν διδύμων παθέων, οἷσι ψυχὰς δολόεσσα φύσις κάμπτει κατὰ γᾶς· δός με, φυγοῖσαν σώματος ἄταν, θοὸν ἅλμα βαλεῖν ἐπὶ σὰς αὐλάς,

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inni i  677-710

761

di Dio e di ciò che lo concerne. Inebriata dalla dolcezza del calice, ho toccato la regione dei mali,680 sono caduta in trappola, ho conosciuto la sventura di Epimeteo.18 Ho in odio le leggi mutevoli;685 al quieto prato del Padre mi affretto, dispiego le ali fuggitive, fuggitive dai duplici690 doni della materia. Guardami, dispensatore della vita intellettuale, guarda quest’anima sulla terra, tua supplice,695 rivolta alle intellettuali ascese. Ma tu accendi, Signore, quelle luci che hanno facoltà di elevare, donandomi ali leggere;700 recidi il nodo, allenta il perno delle duplici passioni, con le quali le anime l’infida natura705 inclina verso terra; concedimi di rifuggire la sciagura del corpo e di compiere un rapido balzo fino alla tua dimora,710

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sinesio di cirene

ἐπὶ σοὺς κόλπους, ὅθεν ἁ ψυχᾶς προρέει παγά. Λιβὰς οὐρανία κέχυμαι κατὰ γᾶς· παγᾷ με δίδου, ὅθεν ἐξεχύθην φοιτὰς ἀλῆτις· νεῦσον προγόνῳ φωτὶ μιγῆναι, νεῦσον δ’ ὑπὸ σοὶ πρυτανευομέναν σὺν ἄνακτι χορῷ ἀνάγειν ὁσίως νοεροὺς ὕμνους, νεῦσον δέ, πάτερ, φωτὶ μιγεῖσαν μηκέτι δῦναι ἐς χθονὸς ἄταν. ὄφρα δὲ ζωᾶς ὑλοδιαίτου δεσμοῖσι μένω, πραεῖα, μάκαρ, βόσκοι με τύχα.

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inni i  711-734

763

fino al tuo seno, da cui erompe la sorgente dell’anima. Goccia celeste, mi sono riversata sulla terra:715 rendimi alla fonte, da cui mi sono effusa, fuggiasca, errante. Concedimi di congiungermi alla luce primigenia,720 concedimi, da te guidata, di elevare con pia devozione inni intellettuali con il tuo coro regale;725 concedimi pure, Padre, una volta congiunta alla luce, di non sprofondare più nella miseria terrena; ma finché della vita730 materiale rimango nei ceppi, che mite, beato, mi alimenti la sorte.

ΥΜΝΟΣ ΔΕΥΤΕΡΟΣ



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Σὲ μὲν ἀρχομένας, σὲ δ’ ἀεξομένας, σὲ δὲ μεσσοίσας, σὲ δὲ παυομένας ἀοῦς ἱερᾶς, ζαθέας νυκτός, μέλπω, γενέτα, παιὼν ψυχᾶν, παιὼν γυίων, δῶτορ σοφίας, ἐλατὴρ νούσων, δῶτορ ψυχαῖς ἀπόνου βιοτᾶς, ἃν μὴ στείβει χθονία φροντίς, μάτηρ ἀχέων, μάτηρ παθέων, ὧν μοι ζωὰ καθαρὰ μενέτω, ἵνα τὰν πάντων κρυφίαν ῥίζαν ἀμιγῶς ἀλέγω, μηδ’ ἀπαγωγοῖς ἄτῃσι θεοῦ νοσφιζοίμαν. Σέ, μάκαρ, μέλπω, κοίρανε κόσμου. Γᾶ σιγάτω ἐπὶ σοῖς ὕμνοις, ἐπὶ σαῖς εὐχαῖς·

Inno secondo

Te, nel principio, te, nello sviluppo, te, nel culmine, te, nella conclusione del sacro giorno,5 della venerabile notte, io canto, creatore, guaritore delle anime, guaritore delle membra, dispensatore di sapienza,10 riparo dalle malattie, dispensatore alle anime di una vita priva di angosce, non scandita da terrena inquietudine,15 che è madre di afflizioni, madre di sofferenze, dalle quali possa rimanere sempre pura la mia vita, affinché di tutto20 la occulta radice io celebri con purezza e devianti accecamenti non mi stornino da Dio.25 Te, beato, io canto, sovrano dell’universo. Taccia la terra innanzi ai tuoi inni, alle preghiere a te rivolte;30

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45

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55

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sinesio di cirene

εὐφαμείτω ὅσα κόσμος ἔχει· σὰ γὰρ ἔργα, πάτερ. Καταπαυέσθω ἀνέμων ῥοῖζος, ἦχος δένδρων, θρόος ὀρνίθων· ἥσυχος αἰθήρ, ἥσυχος ἀὴρ κλυέτω μολπᾶς· ὑδάτων δὲ χύσις ἄψοφος ἤδη στάτω κατὰ γᾶς. Οἱ δ’ ἐμπόδιοι ἁγίων ὕμνων κευθμωνοχαρεῖς καὶ τυμβονόμοι δαίμονες ἤδη φυγέτωσαν ἐμὰν ὁσίαν εὐχάν· ἀγαθοὶ δ’ ὁπόσοι μάκαρες νοεροῦ πρόπολοι γενέτου κατέχουσι βάθη ἄκρα τε κόσμου, ὕμνων ἵλεῳ πεύθοιντο πατρός, ἵλεῳ δὲ λιτὰς ἀνάγοιεν ἐμάς. Μονὰς ὦ μονάδων, πάτερ ὦ πατέρων, ἀρχῶν ἀρχά, παγῶν παγά, ῥιζῶν ῥίζα,

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inni ii  31-64

767

osservi religioso silenzio tutto ciò che l’universo comprende: è opera tua, Padre. Si plachi il sibilo dei venti,35 il fruscio degli alberi, il cinguettio degli uccelli: immobile l’etere, immobile l’aria ascoltino questo canto;40 il corso delle acque, oramai muto, si arresti sopra la terra. Quei demoni molesti45 ai sacri inni, amanti dell’abisso, abitanti dei sepolcri, sfuggano la mia pia preghiera;50 per contro, quelli buoni che, beati ministri dell’intellettuale creatore, risiedono negli abissi come nelle vette dell’universo,55 apprendano propizi gli inni del Padre, propizi facciano ascendere le mie suppliche. O monade delle monadi,60 o Padre dei padri, principio dei princìpi, sorgente delle sorgenti, radice delle radici,

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sinesio di cirene

ἀγαθῶν ἀγαθόν, ἄστρων ἄστρον κόσμων κόσμε, ἰδεῶν ἰδέα, βύθιον κάλλος, κρύφιον σπέρμα, πάτερ αἰώνων, πάτερ ἀφθέγκτων νοερῶν κόσμων, ὅθεν ἀμβροσία σταλάοισα πνοά, σώματος ὄγκοις ἐπινηξαμένα, δεύτερον ἤδη κόσμον ἀνάπτει, ὑμνῶ σε, μάκαρ, καὶ διὰ φωνᾶς, ὑμνῶ σε, μάκαρ, καὶ διὰ σιγᾶς· ὅσα γὰρ φωνᾶς, τόσα καὶ σιγᾶς ἀίεις νοερᾶς. Ὑμνῶ δὲ γόνον τὸν πρωτόγονον καὶ πρωτοφαῆ. Γόνε κύδιστε πατρὸς ἀφθέγκτου, σέ, μάκαρ, μεγάλῳ πατρὶ συνυμνῶ, καὶ τὰν ἐπὶ σοὶ ὠδῖνα πατρός, γόνιμον βουλάν, μεσάταν ἀρχάν, ἁγίαν πνοιάν,

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inni ii  65-98

769

bene dei beni,65 astro degli astri, universo degli universi, idea delle idee, abissale bellezza, occulto seme,70 Padre dei secoli, Padre d’ineffabili intellettuali universi, da cui un divino spirito stilla,75 fluttuando sopra la massa del corpo, e ormai un secondo universo19 illumina, a te rivolgo un inno, beato,80 con la mia voce, a te rivolgo un inno, beato, col mio silenzio: poiché tanto la voce quanto il silenzio85 dell’intelletto tu sai udire. Ma rivolgo un inno anche al Figlio, primogenito e prima luce. Figlio illustrissimo90 di ineffabile Padre, a te, beato, assieme all’immenso Padre io rivolgo un inno, e assieme anche al travaglio del Padre per generarti,95 volontà generatrice, intermedio principio, Santo Spirito,20

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sinesio di cirene

κέντρον γενέτου, κέντρον δὲ κόρου. Αὐτὰ μάτηρ, αὐτὰ γνωτά, αὐτὰ θυγάτηρ, μαιωσαμένα κρυφίαν ῥίζαν. Ἵνα γὰρ προχυθῇ ἐπὶ παιδὶ πατήρ, αὐτὰ πρόχυσις εὕρετο βλάσταν· ἔστη δὲ μέσα, θεὸς ἔκ τε θεοῦ διὰ παῖδα θεόν· καὶ διὰ κλεινὰν πατρὸς ἀθανάτου πρόχυσιν πάλι παῖς εὕρετο βλάσταν. Μονὰς εἶ τριὰς ὤν, μονὰς ἅ γε μένει καὶ τριὰς εἶ δή. Νοερὰ δὲ τομὰ ἄσχιστον ἔτι τὸ μερισθὲν ἔχει· προθορὼν δὲ μένει γόνος ἐς γενέταν· καὶ πάλιν ἔξω τὰ πατρὸς διέπει, κόσμοις κατάγων ὄλβον ζωᾶς ὅθεν αὐτὸς ἔχει λόγος, ὃν μεγάλῳ πατρὶ συνυμνῶ. Νόος ἀρρήτου

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inni ii  99-132

771

centro del genitore, centro del Figlio.100 Madre, figlia, sorella,21 ha assistito nel parto l’occulta radice.105 Affinché effondesse il Figlio dal Padre, la stessa effusione trovò germoglio: si pose al centro,110 Dio creato da Dio per il Figlio, che è Dio; e per l’inclita effusione del Padre immortale a sua volta il Figlio115 trovò germoglio. Monade eppure triade, restando monade sei triade. L’intellettuale scissione120 indiviso ancora mantiene il diviso; emesso, il Figlio permane nel genitore; comunque esterno,125 governa i beni del Padre, calando negli universi la prosperità della vita, traendola da dove, Verbo, la possiede lui stesso, cui, assieme130 all’immenso Padre, io rivolgo un inno. L’intelletto dell’ineffabile

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sinesio di cirene

τίκτει σε πατρός, καὶ σὺ κυηθεὶς λόγος εἶ γενέτου, πρῶτος πρώτας προθορὼν ῥίζας, ῥίζα δὲ πάντων τῶν μετὰ κλεινὰν τὰν σὰν γένναν. Μονὰς ἄρρητος, σπέρμα τὸ πάντων, σπέρμα σε πάντων ἐσπέρμηνεν. Σὺ γὰρ ἐν πᾶσιν, διὰ σοῦ δὲ φύσις ὑπάτα, μεσάτα νεάτα τε τεοῦ ἀπέλαυσε πατρὸς ἀγαθῶν δώρων, γονίμου ζωᾶς. Σοὶ μὲν ἀγήρως ἄπονον τροχιὰν σφαῖρα κυλίνδει· ὑπὸ σὰν τάξιν, κύτεος μεγάλου βριαραῖς δίναις, ἑβδομὰς ἄστρων ἀντιχορεύει· τὰ δὲ πολλὰ μίαν πτύχα καλλύνει φέγγεα κόσμου διὰ σὰν βουλάν, γόνε κύδιστε· σὺ γὰρ ἀμφιθέων κύτος οὐράνιον

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inni ii  133-166

773

Padre ti partorisce; e tu, partorito, sei Verbo del creatore,135 il primo dalla prima radice emesso, radice tu stesso di tutto ciò che esiste a partire dall’illustre tua nascita.140 La monade ineffabile, seme di tutto, te, seme di tutto, ha seminato. Tu sei infatti in tutti gli esseri,145 per tuo tramite la natura sublime, intermedia, infima, beneficia dei buoni doni di tuo Padre,150 della vita generativa. Per te la sempiterna sfera compie, inesausta, la propria rivoluzione; per tua disposizione155 i sette pianeti con il vigoroso vortice dell’immensa volta danzano in antitesi;22 ed è per tua volontà160 che le molte luci dell’universo adornano la volta unica, Figlio illustrissimo; tu infatti, pervadendo165 la volta celeste

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sinesio di cirene

δρόμον αἰώνων ἄλυτον συνέχεις· ὑπὸ σοῖς δέ, μάκαρ, ἁγίοις θεσμοῖς ἐν ἀπειροβαθοῦς αἴθρας λαγόσιν πολιῶν ἄστρων ἀγέλα νέμεται. Σὺ μὲν οὐρανίοις, σὺ δ’ ἐνηερίοις, σὺ δ’ ἐπιχθονίοις, σὺ δ’ ὑποχθονίοις ἔργα μερίζεις ζωάν τε νέμεις. Σὺ νόου πρύτανις ταμίας τε θεοῖς θνατῶν θ’ ὁπόσοι νοερᾶς μοίρας ἔσπασαν ὄμβρους. Σὺ ψυχοδότας οἷς ἐκ ψυχᾶς τέταται ζωὰ καὶ φύσις ἀκμής. Ἀλαὸν ψυχᾶς βλάστημα τεᾶς κρέμαται σειρᾶς, χὠπόσα πάσας στέρεται πνοιᾶς ἀπὸ σῶν κόλπων δρέπεται συνοχάν, πορθμευομέναν διὰ σᾶς ἀλκᾶς ἐξ ἀρρήτων πατρικῶν κόλπων,

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inni ii  167-200

775

mantieni inalterato il corso dei secoli; sotto le tue sante leggi, beato,170 pascola, nei profondissimi abissi del cielo, il gregge delle stelle lucenti. Tu alle divinità celesti,175 dell’aria, terrene, sotterranee ripartisci i compiti e assegni la vita.180 Tu sei il Signore dell’intelletto, suo dispensatore agli dèi e a quanti dei mortali hanno sorbito le acque della parte intellettuale.185 Sei tu che doni l’anima a coloro che dall’anima traggono la vita e la natura incrollabile. Ogni gemma190 cieca di anima pende dalla tua catena, e quanto di soffio non è affatto privo dal tuo seno195 coglie un legame che arriva, per il tramite della tua forza, dall’ineffabile seno del Padre,200

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sinesio di cirene

κρυφίας μονάδος, ὅθεν ὁ ζωᾶς ὀχετὸς προρέων φέρεται μέχρι γᾶς διὰ σᾶς ἀλκᾶς δι’ ἀτεκμάρτων νοερῶν κόσμων· ἔνθεν δέχεται καταβαίνοισαν ἀγαθῶν κράναν, νοεροῦ μορφὰν κόσμος ὁρατός. Ἅλιον οὗτος δεύτερον ἔσχεν, ὑστεροφεγγοῦς φωτὸς γενέταν ὀμματολαμπῆ, τᾶς γινομένας καὶ φθειρομένας ταμίαν ὕλας, υἱὸν νοεροῦ, τύπον αἰσθητῶν, ἀγαθῶν παροχὰν ἐγκοσμογενῶν διὰ σὰν βουλάν, γόνε κύδιστε. Πάτερ ἄγνωστε, πάτερ ἄρρητε, ἄγνωστε νόῳ, ἄρρητε λόγῳ, νόος ἐσσὶ νόων, ψυχᾶν ψυχά, φύσις εἶ φυσίων. Γόνυ σοι κάμπτω·

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inni ii  201-234

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dall’occulta monade, da cui il rivo della vita, scorrendo, porta sino alla terra, per il tramite della tua forza,205 per il tramite degli infiniti universi intellettuali; da là riceve discesa fonte dei beni,210 immagine dell’universo intellettuale, l’universo visibile. Questo ha avuto un secondo sole,23 creatore215 dal raggiante sguardo dell’ultimo riverbero di luce, ordinatore della materia soggetta al nascere e al morire,220 figlio del sole intellettuale, modello degli enti sensibili, dispensatore dei beni encosmici per tuo volere,225 Figlio illustrissimo. Padre inconoscibile, Padre ineffabile, inconoscibile alla mente, ineffabile alla parola,24230 sei l’intelletto degli intelletti, l’anima delle anime, sei la natura delle nature. Per te io piego il ginocchio:

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sinesio di cirene

ἰδὲ τοῦτο, λάτρις πίπτω κατὰ γᾶς, ἱκέτας ἀλαός. Σὺ δὲ φωτοδότας φωτὸς νοεροῦ ἐλέαιρε, μάκαρ, ἱκέτιν ψυχάν· σεῦε δὲ νούσους, σεῦε μερίμνας τὰς ψυχοβόρους· σεῦε δ’ ἀναιδῆ κύνα τὸν χθόνιον, δαίμονα γαίας, ψυχᾶς ἀπ’ ἐμᾶς, εὐχᾶς ἀπ’ ἐμᾶς, ζωᾶς ἀπ’ ἐμᾶς, ἔργων ἀπ’ ἐμῶν· σώματος ἔξω, πνεύματος ἔξω, πάντων ἔξω τῶν ἁμετέρων δαίμων μενέτω. Λιπέτω, φυγέτω δαίμων ὕλας, παθέων ἀλκά, ἀναγωγὸν ὁδὸν διατειχίζων, τὰς θεοδιφεῖς βλάπτων ὁρμάς. Ἕταρον δὲ δίδου ξυνωνόν, ἄναξ, ἁγίας ἅγιον ἄγγελον ἀλκᾶς, ἄγγελον εὐχᾶς

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inni ii  235-268

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ecco, schiavo235 cado a terra, cieco supplice. Ma tu, dispensatore di luce, di luce intellettuale, abbi pietà, beato,240 di un’anima supplice: respingi le malattie, respingi le angosce divoratrici dell’anima; respingi il crudele245 cane infernale,25 demone della terra, dalla mia anima, dalla mia preghiera, dalla mia vita,250 dalle mie azioni; fuori dal mio corpo, fuori dal mio spirito, fuori da tutto ciò che è mio255 se ne rimanga il demone. Mi lasci, mi abbandoni il demone della materia, vigore delle passioni, ostruzione260 alla via che mena in alto, impedimento agli impulsi che tendono a Dio. Affidami come leale compagno, Signore,265 il santo angelo26 della santa forza, angelo della preghiera

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sinesio di cirene

τᾶς θεολαμποῦς, φίλον ἐσθλοδόταν, φύλακα ψυχᾶς, φύλακα ζωᾶς, εὐχᾶν φρουρόν, ἔργων φρουρόν. Σῶμα δὲ σώζοι καθαρὸν νούσων, πνεῦμα δὲ σώζοι καθαρὸν λώβας, ψυχᾷ δ’ ἐπάγοι παθέων λάθαν, ἵνα καὶ ζωὰν τὰν γαιοτρεφῆ τοῖς σοῖς ὕμνοις πιαίνηται ταρσὸς ψυχᾶς, ἵνα καὶ ζωὰν τὰν μετὰ μοίρας, τὰν μετὰ δεσμοὺς τοὺς χθονοβριθεῖς, καθαρὰν ὕλας ὁδὸν ἐξανύω ἐπὶ σὰς αὐλάς, ἐπὶ σοὺς κόλπους, ὅθεν ἁ ψυχᾶς προρέει παγά. Σὺ δὲ χεῖρα δίδου, σὺ κάλει, σύ, μάκαρ, ὕλας ἄναγε ἱκέτιν ψυχάν.

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inni ii  269-299

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splendente di raggio divino, amico dispensatore di beni,270 custode dell’anima, custode della vita, guardiano delle preghiere, guardiano delle azioni. Che preservi il mio corpo275 immune dalle malattie, che preservi il mio spirito immune dalla vergogna, che rechi all’anima l’oblio delle passioni,280 affinché anche in questa vita alimentata dalla terra con i tuoi inni si irrobustisca l’ala dell’anima,285 affinché anche nella vita successiva alla morte, successiva ai ceppi che avvincono al suolo, io, purificata dalla materia,290 compia il percorso che porta fino alla tua dimora, fino al tuo seno, da dove erompe la sorgente dell’anima.295 Ma tu tendimi la mano, tu chiamami, tu, beato, solleva dalla materia un’anima supplice.

ΥΜΝΟΣ ΤΡΙΤΟΣ



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Ὑμνῶμεν κοῦρον νύμφας, νύμφας οὐ νυμφευθείσας ἀνδρῶν μοιραίαις κοίταις. Ἄρρητοι πατρὸς βουλαὶ ἔσπειραν Χριστοῦ γένναν· ἁ σεμνὰ νύμφας ὠδὶς ἀνθρώπου φῆνεν μορφάν, ὃς θνατοῖσιν πορθμευτὰς ἦλθεν φωτὸς παγαίου· ἁ δ’ ἄρρητός σευ βλάστα αἰώνων οἶδεν ῥίζαν. Αὐτὸς φῶς εἶ παγαῖον, συλλάμψας ἀκτὶς πατρί, ῥήξας δ’ ὀρφναίαν ὕλαν ψυχαῖς ἐλλάμπεις ἁγναῖς. Αὐτὸς μὲν κόσμου κτίστας, κλεινῶν σφαιρωτὰς ἄστρων, κέντρων γαίας ῥιζωτάς, αὐτὸς δ’ ἀνθρώπων σωτήρ. Σοὶ μὲν Τιτὰν ἱππεύει, ἠοῦς ἄσβεστος παγά· σοὶ δ’ ἁ ταυρῶπις μήνα τὰν νυκτῶν ὄρφναν λύει· σοὶ καὶ τίκτονται καρποί, σοὶ καὶ βόσκονται ποῖμναι· ἐκ σᾶς ἀρρήτου παγᾶς ζείδωρον πέμπων αἴγλαν πιαίνεις κόσμων ταρσούς· ἐκ σῶν βλάστησεν κόλπων

Inno terzo

Cantiamo un inno al figlio della sposa, della sposa non sposata nel fatale letto nuziale.27 Indicibili volontà del Padre seminarono la nascita di Cristo;5 il nobile travaglio della sposa mostrò in forma di uomo colui che per i mortali giunse apportatore di luce sorgiva; ma la tua ineffabile gemma10 conosce la radice dell’eternità. Tu stesso sei luce sorgiva, raggio che splendi assieme al Padre, che, spezzata l’oscura materia, rifulgi con le anime pure.15 Tu sei il fondatore dell’universo, hai forgiato le sfere degli astri illustri, hai posto il centro della terra e sei pure il salvatore degli uomini. Per te cavalca Titano,2820 inestinguibile sorgente dell’aurora; per te la luna dal volto di toro29 dirada l’oscurità delle notti; per te si producono i frutti, per te si nutrono le greggi;25 dalla tua ineffabile fonte riverberando fecondo bagliore, irrobustisci le ali degli universi; sono germogliate dal tuo seno

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sinesio di cirene

καὶ φῶς καὶ νοῦς καὶ ψυχά. Τὰν σὰν οἴκτειρον κούραν γυίοις εἱρχθεῖσαν θνατοῖς μοίρας θ’ ὑλαίοις μέτροις. Νούσων ἐκσώζοις λώβας ἀσκηθῆ γυίων ἀλκάν. Νεῦσον μὲν μύθοις πειθώ, νεῦσον δ’ ἔργοισιν κῦδος, ἀρχαίαις πρέψαι φάμαις ταῖς Κυράνας καὶ Σπάρτας. Λύπαις δ’ ἄστιπτος ψυχὰ πραεῖαν ζωὰν ἕλκοι, θρέπτειραν, δισσὰς γλήνας ἐς σὸν τείνοισαν φέγγος, ὡς ἐξ ὕλας φοιβαθεὶς ἀστρέπτους οἴμους σπεύσω, φύξηλις γαίας μόχθων, μιχθῆναι ψυχᾶς παγᾷ. Τοίαν ἄχραντον ζωὰν τῷ σῷ κραίνοις φορμικτῇ, εὖτ’ ἄν σοι στέλλων μολπὰν τὰν σὰν κυδαίνω ῥίζαν, μήκιστον πατρὸς κῦδος, καὶ τὰν σύνθωκον πνοιάν, μέσσαν ῥίζας καὶ βλάστας, καὶ πατρὸς μέλπων ἀλκὰν τοῖς σοῖς ὕμνοις ἀμπαύω κλεινὰν ὠδῖνα ψυχᾶς. Χαίροις, ὦ παιδὸς παγά, χαίροις, ὦ πατρὸς μορφά· χαίροις, ὦ παιδὸς κρηπίς, χαίροις, ὦ πατρὸς σφρηγίς· χαίροις, ὦ παιδὸς κάρτος,

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inni iii  30-62

785

la luce, la mente e l’anima.30 Abbi pietà della tua figlia prigioniera delle membra mortali e delle fatali leggi della materia. Proteggi dall’ingiuria delle malattie l’atletico vigore delle mie membra.35 Concedi persuasività alle mie parole, concedi gloria alle mie azioni, che si distinguano per l’antica fama che fu di Cirene e di Sparta.30 Non calpestata dai dolori, l’anima40 conduca una vita serena, feconda, che i due occhi tenda verso la tua luce, perché, depurato dalla materia, mi affretti, per vie irreversibili,45 rifuggendo i dolori della terra, a congiungermi alla sua fonte. Tale incontaminata esistenza possa tu procurare al tuo citaredo, quando, a te porgendo il canto,50 celebro la tua radice, immensa gloria del Padre, e lo spirito tuo compagno, intermedio tra radice e germoglio, e quando, cantando la forza del Padre,55 con i tuoi inni concedo una pausa all’illustre travaglio dell’anima. Salve, o sorgente del Figlio, salve, o immagine del Padre; salve, o sostegno del Figlio,60 salve, o sigillo del Padre; salve, o potenza del Figlio,

786

65

sinesio di cirene

χαίροις, ὦ πατρὸς κάλλος· χαίροις δ’ ἄχραντος πνοιά, κέντρον κούρου καὶ πατρός· τάν μοι πέμποις σὺν πατρὶ ἄρδοισαν ψυχᾶς ταρσούς, κράντειραν θείων δώρων.

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inni iii  63-68

787

salve, o bellezza del Padre; e salve, incontaminato Spirito, centro del Figlio e del Padre;65 che, col Padre, tu31 possa mandarmelo, perché mi innaffi le ali dell’anima, perché mi rechi doni divini.

ΥΜΝΟΣ ΤΕΤΑΡΤΟΣ



5

10

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20

25

Μετὰ παγᾶς ἁγίας αὐτολοχεύτου, ἀρρήτων ἑνοτήτων ἐπέκεινα, θεὸν ἄμβροτον, θεοῦ κύδιμον υἷα, μόνον ἐκ μόνου πατρὸς παῖδα θορόντα, στεφανώσομεν σοφοῖς ἄνθεσιν ὕμνων· ὃν βουλᾶς πατρικᾶς ἄφραστος ὠδὶς ἀγνώστων ἀνέδειξε παῖδα κόλπων, ἃ πατρὸς λοχίους ἔφηνε καρπούς, καὶ φήνασα φάνη μεσσοπαγὴς νοῦς· ἐν παγᾷ δὲ μένουσι καὶ χυθέντες. Σοφία νόου πατρός, κάλλεος αὐγά, σοὶ τεχθέντι πατὴρ ἔνευσε τίκτειν. Σὺ τὸ κρυπτὸν εἶ πατρὸς σπέρμα προλάμπον· σὲ γὰρ ἀρχὰν γενέτας ἔδωκε κόσμοις κατάγειν ἐκ νοερῶν σώμασι μορφάς· σὺ μὲν οὐρανοῦ σοφὰν ἄντυγα νωμᾷς, τὰν δ’ ἄστρων ἀγέλαν ἀεὶ νομεύεις· σὺ δὲ τᾶς ἀγγελικᾶς, ἄναξ, χορείας καὶ τᾶς δαιμονίας φάλαγγος ἄρχεις· σὺ δὲ καὶ φύσιν φθιτὰν ἀμφιχορεύεις, ἀμέριστον περὶ γᾶν πνεῦμα μερίζεις, καὶ παγᾷ τὸ δοθὲν πάλιν συνάπτεις, θνατοὺς ἐκ θανάτου λύων ἀνάγκας. Ἱλήκοις ἐπὶ σῶν στέμμασιν ὕμνων, βιοτᾶς ὑμνοπόλῳ νέμων γαλάναν· εὐρίπων προχοὰν στᾶσον ἀλῆτιν, τερσαίνων ὀλοοὺς κλύδωνας ὕλας· ψυχᾶς καὶ μελέων ἔρυκε νούσους,

Inno quarto

Con la santa sorgente in sé generata, al di là delle ineffabili unità, il Dio immortale, illustre Figlio di Dio, solo Figlio emesso da unico Padre, coronerò coi sapienti fiori degli inni;5 Figlio che l’indicibile travaglio della paterna volontà rivelò da inconoscibile seno, mostrando i frutti del parto del Padre e, mostrandoli, mostrando sé, intelletto posto al centro;32 ma nella fonte entrambi33 restano, seppure effusi.10 Sapienza dell’intelletto del Padre, fulgore di bellezza, a te, generato, il Padre permise di generare. Tu sei il seme del Padre, il cui mistero fai risplendere; te il creatore donò agli universi come principio, perché sino ai corpi, dagli intellettuali, calassero le forme;15 tu conduci la saggia volta del cielo, sempre sei pastore del gregge degli astri; tu, Signore, pure il coro degli angeli e la schiera dei demoni comandi; tu danzi attorno alla mortale natura,20 spartisci per la terra il tuo soffio indiviso e ricongiungi alla fonte quanto da essa emesso, affrancando i mortali dalla necessità della morte. Accetta propizio il serto dei tuoi inni e accorda a chi li ha composti un’esistenza serena;25 arresta la piena impetuosa delle correnti, prosciugando le onde distruttrici della materia; respingi le malattie dell’anima e delle membra,

790

30

35

sinesio di cirene

παθέων οὐλομέναν κοίμισον ὁρμάν, πλούτου καὶ πενίας ἄλαλκε κῆρας, ἔργοις κυδαλίμαν ὄπασσον ὀμφάν, ἐν λαοῖς ἀγαθὰν ἄνοιγε φάμαν, πειθοῦς πραϋλόγω στέφων ἀώτῳ, ἵνα μοι νόος δρέπῃ σχολὰν ἀκύμων, μηδ’ ἐν ταῖς χθονίαις στένω μερίμναις, ἀλλ’ ἐκ σῶν ὀχετῶν ὑψιφορήτων ὠδῖσιν σοφίας νόον κατάρδω.

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inni iv  29-37

791

placa il rovinoso impeto delle passioni, allontana le piaghe della ricchezza e della miseria,30 concedi alle mie opere illustre risonanza, dischiudimi tra i popoli una buona fama, coronandomi con il fiore di una persuasione gentile, affinché la mia mente fruisca placida dell’ozio e io non gema per le angosce terrene,35 ma attingendo ai tuoi eccelsi rivi cosparga la mente con travagli di sapienza.

ΥΜΝΟΣ ΠΕΜΠΤΟΣ



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Πάλι φέγγος, πάλιν ἀώς, πάλιν ἁμέρα προλάμπει μετὰ νυκτίφοιτον ὄρφναν· πάλι μοι λίγαινε, θυμέ, θεὸν ὀρθρίοισιν ὕμνοις, ὃς ἔδωκε φέγγος ἀοῖ, ὃς ἔδωκεν ἄστρα νυκτί, περικοσμίαν χορείαν. Πολυκύμονος μὲν ὕλας ἐκάλυψε νῶτον αἰθὴρ πυρὸς ἐμβεβὼς ἀώτῳ, ἵνα κυδίμα σελάνα πυμάταν ἄντυγα τέμνει· ὑπὲρ ὀγδόαν δὲ δίναν ἑλίκων ἀστροφορήτων ῥόος ἀστέρων ἔρημος, ὑποκολπίους ἐλαύνων πτύχας ἀντίον θεοίσας, μέγαν ἀμφὶ νοῦν χορεύει, ὃς ἄνακτος ἄκρα κόσμου πολιοῖς ἔρεψε ταρσοῖς. Τὰ πρόσω μάκαιρα σιγὰ νοερῶν τε καὶ νοητῶν ἄτομον τομὰν καλύπτει. Μία παγά, μία ῥίζα τριφαὴς ἔλαμψε μορφά· ἵνα γὰρ βυθὸς πατρῷος, τόθι καὶ κύδιμος υἱός, κραδιαῖόν τι λόχευμα, σοφία κοσμοτεχνῖτις,

Inno quinto

Di nuovo la luce, di nuovo l’aurora, di nuovo il giorno rifulge dopo le tenebre notturne; di nuovo canta, cuore mio, con inni mattutini, Dio,5 che ha dato all’aurora la luce, che ha dato alla notte le stelle, corale, cosmica danza. Della materia dalle impetuose onde avvolge la superficie l’etere,10 superiore all’apice del fuoco, e là l’illustre luna taglia la sua orbita più bassa.34 Oltre l’ottava rivoluzione delle orbite che recano le stelle,15 un flusso privo di astri sospinge, muovendo in senso opposto, le sfere che contiene35 e danza, avvolto dall’immenso intelletto, sostenendo, con ali canute,3620 i confini del cosmo sovrano.37 Oltre, il beato silenzio degli intellettuali e degli intelligibili ammanta l’indivisa scissione. L’unica fonte, l’unica radice25 rifulse in forma di triplice splendore: dove infatti l’abisso del Padre là fu anche il Figlio illustre, parto del suo cuore, sapienza artefice dell’universo,30

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sinesio di cirene

ἑνοτήσιόν τε φέγγος ἁγίας ἔλαμψε πνοιᾶς. Μία παγά, μία ῥίζα ἀγαθῶν ἀνέσχεν ὄλβον ὑπερούσιόν τε βλάσταν γονίμοις ζέοισαν ὁρμαῖς· τά τ’ ἐνουσίων προλάμπει μακάρων ἀγητὰ φέγγη, ὅθεν ἐγκόσμιος ἤδη χορὸς ἀφθίτων ἀνάκτων γενετήριόν τε κῦδος τό τε πρωτόσπορον εἶδος νοεροῖς ἔμελψεν ὕμνοις. Πέλας εὐμενῶν τοκήων στρατὸς ἀγγέλων ἀγήρως τὰ μὲν ἐς νόον δεδορκὼς δρέπεται κάλλεος ἀρχάν, τὰ δ’ ἐς ἄντυγας δεδορκὼς διέπει βένθεα κόσμου, τὸν ὕπερθε κόσμον ἕλκων νεάτας καὶ μέχρις ὕλας, ἵνα δαιμόνων ὅμιλον φύσις ἱζάνοισα τίκτει πολύθρουν καὶ πολυμήταν· ὅθεν ἥρως, ὅθεν ἤδη περὶ γᾶν σπαρεῖσα πνοιὰ χθονὸς ἐζώωσε μοίρας πολυδαιδάλοισι μορφαῖς. Τὰ δὲ πάντα σεῖο βουλᾶς ἔχεται· σὺ δ’ ἐσσὶ ῥίζα παρεόντων πρό τ’ ἐόντων, μετεόντων, ἐνεόντων· σὺ πατήρ, σὺ δ’ ἐσσὶ μάτηρ. σὺ μὲν ἄρρην, σὺ δὲ θῆλυς,

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inni v  31-64

795

e là brillò anche la luce di unione del Santo Spirito. L’unica fonte, l’unica radice produsse una letizia di beni e il sovrasostanziale germoglio35 che scalpita con impeti fecondi; e fa brillare le incantevoli luci delle essenze beate da cui deriva l’encosmico coro degli immortali signori40 che l’illustre creatore e la prima immagine da lui seminata canta con inni intellettuali. Vicino ai benevoli genitori, l’esercito degli angeli sempre giovani,45 mirando all’intelletto, gode del principio della bellezza, mirando alle sfere celesti, regge le profondità del cosmo, attirando l’universo superiore50 fino all’infima materia, dove la natura, calata, genera la rumorosa e astuta schiera dei demoni; di là discendono gli eroi, di là55 discende lo spirito seminato sulla terra che le porzioni del mondo terreno vivifica con forme complesse. Ma tutto dalla tua volontà dipende: tu sei la radice60 di ciò che è, di ciò che è stato, di ciò che sarà, di ciò che può essere; tu sei il padre, tu la madre, tu maschio, tu femmina,

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sinesio di cirene

σὺ δὲ φωνά, σὺ δὲ σιγά, φύσεως φύσις γονοῦσσα, σὺ δ’ ἄναξ, αἰῶνος αἰών. Τὸ μὲν ᾖ θέμις βοᾶσαι· μέγα χαῖρε, ῥίζα κόσμου, μέγα χαῖρε, κέντρον ὄντων, μονὰς ἀμβρότων ἀριθμῶν, προανουσίων ἀνάκτων· μέγα χαίροις, μέγα χαίροις, ὅτι πὰρ θεῷ τὸ χαίρειν. Ἐπ’ ἐμοῖς ἵλαον οὖας τάνυσον χοροῖσιν ὕμνων· σοφίας ἄνοιγε φέγγος, κατάχει κύδιμον ὄλβον, κατάχει χάριν λιπῶσαν βιοτᾶς γαληνιώσας, πενίαν ἐκτὸς ἐλαύνων χθονίαν τε κῆρα πλούτου· μελέων ἔρυκε νούσους παθέων τ’ ἄκοσμον ὁρμάν, φρενοκηδεῖς τε μερίμνας ἀπό μοι ζωᾶς ἐρύκοις, ἵνα μὴ τὸ νοῦ πτέρωμα ἐπιβρίσῃ χθονὸς ἄτα. Ἄνετον δὲ ταρσὸν αἴρων περὶ σᾶς ὄργια βλάστας τὰ πανάρρητα χορεύσω.

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inni v  65-91

797

tu voce, tu silenzio,65 natura di natura generatrice, tu il Signore, eternità dell’eternità. Sia lecito rivolgerti questa preghiera: salve, radice dell’universo, salve, centro degli enti,70 monade di numeri immortali, presostanziali signori, che vi sia un’immensa gioia, poiché in Dio è la gioia. Il benevolo orecchio tendi75 al coro dei miei inni; dischiudimi la luce della sapienza, riversa su di me l’illustre letizia, riversa su di me la pingue grazia di un’esistenza serena,80 tenendo lontano la povertà e la terrena sciagura della ricchezza; trattieni le malattie delle membra e l’impeto scomposto delle passioni, e le angosce che affliggono la mente85 stornale dalla mia vita, perché la follia terrena non aggravi le ali dell’intelletto. Viceversa, innalzando libera l’ala, possa io danzare attorno ai misteri90 ineffabili del tuo germoglio.

ΥΜΝΟΣ ΕΚΤΟΣ



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Πρῶτος νόμον εὑρόμαν ἐπὶ σοί, μάκαρ, ἄμβροτε, γόνε κύδιμε παρθένου, Ἰησοῦ Σολυμήιε, νεοπαγέσιν ἁρμογαῖς κρέξαι κιθάρας μίτους. Ἀλλ’ εὐμενέοις, ἄναξ, καὶ δέχνυσο μουσικὰν ἐξ εὐαγέων μελῶν. Ὑμνήσομεν ἄφθιτον θεόν, υἷα θεοῦ μέγαν, αἰωνοτόκου πατρὸς τὸν κοσμογόνον κόρον, τὰν παντομιγῆ φύσιν, σοφίαν ἀπερείσιον, τὸν ἐπουρανίοις θεόν, τὸν ὑποχθονίοις νέκυν. Ἐχύθης ὅτ’ ἐπὶ χθονὶ βροτέας ἀπὸ νηδύος, μάγος ἁ πολύφρων τέχνα ἐξ ἀστέρος ἀντολᾶς θάμβησεν ἀμήχανος· τί τὸ τικτόμενον βρέφος; Τίς ὁ κρυπτόμενος θεός, θεὸς ἢ νέκυς ἢ βασιλεύς; Ἄγε, δῶρα κομίζετε, σμύρνης ἐναγίσματα, χρυσοῦ τ’ ἀναθήματα, λιβάνου τε θύη καλά. Θεὸς εἶ, λίβανον δέχου·

Inno sesto

Per primo ho trovato un canto per te, beato, immortale, illustre figlio di una vergine, Gesù di Solima,38 poiché di nuovi accordi5 risuonassero le corde della cetra. Che tu mi sia propizio, Signore: accogli la musica delle mie sante melodie. Ti celebrerò con un inno, Dio10 immortale, immenso Figlio di Dio, Figlio, creatore dell’universo, di Padre generatore d’eternità, natura a tutto commista, infinita sapienza,15 divinità per gli esseri celesti, cadavere per quelli sotterranei. Quando calasti sulla terra da ventre mortale, la sapiente arte dei Magi,20 al sorgere di una stella, sbigottì impotente.39 Chi era il bambino appena partorito? Chi quella divinità nascosta, un re, un dio o un cadavere?4025 Orsù, portate i doni, l’offerta della mirra, l’offerta dell’oro, la soave offerta dell’incenso. Sei Dio, accetta l’incenso;30

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sinesio di cirene

χρυσὸν βασιλεῖ φέρω· σμύρνῃ τάφος ἁρμόσει. Καὶ γᾶν ἐκαθήραο, καὶ πόντια κύματα, καὶ δαιμονίας ὁδούς, ῥαδινὰν χύσιν ἀέρος, καὶ νερτερίους μυχούς, φθιμένοισι βοηθόος, θεὸς εἰς Ἀίδαν σταλείς. Ἀλλ’ εὐμενέοις, ἄναξ, καὶ δέχνυσο μουσικὰν ἐξ εὐαγέων μελῶν.

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inni vi  31-42

801

al sovrano porto l’oro; la mirra è appropriata al sepolcro. E purificasti la terra e le onde marine e le vie dei demoni,35 esili flussi di aria, e gli infernali recessi, soccorritore dei defunti, divinità inviata negli inferi.41 Che tu mi sia propizio, Signore:40 accogli la musica delle mie sante melodie.

ΥΜΝΟΣ ΕΒΔΟΜΟΣ



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Ὑπὸ Δώριον ἁρμογὰν ἐλεφαντοδέτων μίτων στάσω λιγυρὰν ὄπα ἐπὶ σοί, μάκαρ, ἄμβροτε, γόνε κύδιμε παρθένου. Σὺ δέ μου βιοτὰν σάου παναπήμονα, κοίρανε, λύπαις ἄβατον διδοὺς καὶ νύκτα καὶ ἁμέραν· λάμποις πραπίσιν σέλας νοερᾶς ἀπὸ παγᾶς· σθένος ἀρτεμέων μελῶν καὶ κῦδος ἐν ἔργμασιν νεότατι νέμοις ἐμᾷ, λιπαρὸν δὲ φέροις ἔτος ἐς γήραος ἁδονὰν ἐρίτιμον ἀέξων πινυτὰν σὺν ὑγείᾳ. Γνωτὸν δὲ φυλάσσοις, τόν μοι νέον, ἄφθιτε, ἤδη χθονίαν πύλαν παραμειβόμενον ποδὶ ἄψορρον ἀνήγαγες· ἐμὰ κήδεα καὶ γόους, ἐμὰ δάκρυα καὶ φρενῶν σβέσας αἰθομέναν φλόγα· ἐβιώσαο καὶ νέκυν διὰ σόν, πάτερ, οἰκέταν. Γνωτᾶν τε συνωρίδα τεκέων τε φυλάσσοις·

Inno settimo

Con dorico accordo, eleverò la melodiosa voce delle mie corde ornate d’avorio a te, beato, immortale, illustre figlio di una vergine.5 Mantieni la mia vita immune dai mali, Signore, rendendola inaccessibile alle pene di notte come di giorno; fammi rifulgere in cuore la luce10 intellettuale che proviene dalla fonte; vigore di membra sane e fama nelle azioni accorda alla mia giovinezza e pingue conduci il mio tempo15 fino a godere della vecchiaia, accrescendo la preziosa sapienza assieme alla salute. Veglia sul mio giovane fratello, immortale,20 che ormai la sotterranea porta era sul punto di oltrepassare, ma che tu hai ricondotto indietro; le mie pene e i miei lamenti, le mie lacrime e la fiamma25 che ardeva nell’animo hai spento; hai ridato vita a un morto per esaudire, Padre, il tuo supplice. Veglia sulle mie due sorelle e sui loro figli;30

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sinesio di cirene

ὅλον Ἡσυχιδᾶν δόμον ὑπὸ σᾷ χερὶ κρύπτοις. Καί μοι ζυγίων, ἄναξ, ξυνήονα δεμνίων ἀπόνουσον, ἀπήμονα, ἐρίηρον, ὁμόφρονα, κρυφίων ἀδαήμονα ὀάρων ἄλοχον σάου· ὅσιον δ’ ἐφέποι λέχος πανακήρατον, εὐαγές, ἀδίκοις ἄβατον πόθοις. Ψυχὰν δέ, λυθεῖσαν χθονίου βιότου πέδας, ἐξαίνυσο πημάτων καὶ λευγαλέας ἄτας, σὺν δ’ εὐαγέων χοροῖς ὕμνους ἀνάγειν δίδου. Ἐπὶ κύδεϊ σοῦ πατρὸς καὶ κάρτεϊ σῷ, μάκαρ, πάλιν ὑμνοπολεύσω, πάλι σοι μέλος ᾄσω, τάχα καὶ κιθάραν πάλιν πανακήρατον ἁρμόσω.

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inni vii  31-53

805

copri con la tua mano l’intera famiglia dei discendenti di Esichio.42 Anche la mia compagna, Signore, del letto nuziale, mia moglie, mantieni esente da malattie, incolume,35 fidata, concorde, inesperta dei segreti incontri: che mantenga il sacro letto inviolato, puro,40 inaccessibile a desideri disonesti.43 E l’anima, una volta liberata dai ceppi della vita terrena, strappa alla rovina e alla funesta sciagura:45 con i cori delle anime pure concedile di elevare degli inni. Per la gloria di tuo padre e per la tua maestà, beato, comporrò ancora degli inni,50 ancora intonerò un canto, e presto ancora la cetra incorrotta accorderò.

ΥΜΝΟΣ ΟΓΔΟΟΣ



5

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25

30

Πολυήρατε, κύδιμε, σέ, μάκαρ, γόνε παρθένου ὑμνῶ Σολυμηίδος, ὃς τὰν δολίαν πάγαν, χθόνιον μεγάλων ὄφιν πατρὸς ἤλασας ὀρχάτων. ὃς καρπὸν ἀπώμοτον, τροφὸν ἀργαλέου μόρου, πόρεν ἀρχεγόνῳ κόρᾳ. Στεφανηφόρε, κύδιμε, σέ, πάτερ, πάι παρθένου ὑμνῶ Σολυμηίδος. Κατέβας μέχρι καὶ χθονὸς ἐπίδημος ἐφαμέροις βρότεόν τε φέρων δέμας, κατέβας δ’ ὑπὸ Τάρταρα, ψυχᾶν ὅθι μυρία θάνατος νέμεν ἔθνεα· φρίξεν σε γέρων τότε Ἀίδας ὁ παλαιγενής, καὶ λαοβόρος κύων, ὁ βαρυσθενής, [δημοβόρος] ἀνεχάσσατο βηλοῦ. Λύσας δ’ ἀπὸ πημάτων ψυχᾶν ὁσίους χορούς, θιάσοις σὺν ἀκηράτοις ὕμνους ἀνάγεις πατρί. Στεφανηφόρε, κύδιμε, σε, πάτερ, πάι παρθένου ὑμνῶ Σολυμηίδος.

Inno ottavo

Amato, illustre, beato, figlio della vergine di Solima,44 un inno a te rivolgo, che dai grandi giardini del Padre hai cacciato il serpente terreno,5 trappola infida, che il frutto proibito, cibo di doloroso destino, offrì alla prima donna. Incoronato, illustre,10 a te, Padre, Figlio della vergine di Solima io rivolgo un inno. Sei disceso in terra in mezzo a esseri effimeri assumendo un corpo mortale,15 sei disceso fino al Tartaro,45 dove la morte regna su innumerevoli schiere di anime; rabbrividì allora, dinanzi a te, l’antico Ade, di arcaica origine,20 e il cane46 divoratore di popoli, dalla grande forza,47 si discostò dalla soglia. Una volta liberati dalle loro pene i santi cori delle anime,25 con inviolate schiere elevi degli inni al Padre. Incoronato, illustre, a te, Padre, Figlio della vergine di Solima io rivolgo un inno.30

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sinesio di cirene

Ἀνιόντα σε, κοίρανε, τὰ κατ’ ἠέρος ἄσπετα τρέσεν ἔθνεα δαιμόνων· θάμβησε δ’ ἀκηράτων χορὸς ἄμβροτος ἀστέρων· αἰθὴρ δὲ γελάσσας, σοφὸς ἁρμονίας πατήρ, ἐξ ἑπτατόνου λύρας ἐκεράσσατο μουσικὰν ἐπινίκιον ἐς μέλος. Μείδησεν Ἑωσφόρος, ὁ διάκτορος ἁμέρας, καὶ χρύσεος Ἕσπερος, Κυθερήιος ἀστήρ· ἁ μὲν κερόεν σέλας πλήσασα ῥόου πυρὸς ἁγεῖτο Σελάνα, ποιμὴν νυχίων θεῶν· τὰν δ’ εὐρυφαῆ κόμαν Τιτὰν ἐπετάσσατο ἄρρητον ὑπ’ ἴχνιον, ἔγνω δὲ γόνον θεοῦ, τὸν ἀριστοτέχναν νόον, ἰδίου πυρὸς ἀρχάν. Σὺ δὲ ταρσὸν ἐλάσσας κυανάντυγος οὐρανοῦ ὑπερήλαο νώτων, σφαίρῃσι δ’ ἐπεστάθης νοεραῖσιν ἀκηράτοις, ἀγαθῶν ὅθι παγά, σιγώμενος οὐρανός. Ἔνθ’ οὔτε βαθύρροος ἀκαμαντοπόδας Χρόνος χθονὸς ἔκγονα σύρων,

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inni viii  31-64

809

Quando sei asceso, sovrano, fuggirono le infinite schiere dei demoni dell’aria: attonito rimase il coro immortale degli astri puri;35 ma sorrise l’etere, sapiente padre dell’armonia, e dalla sua lira a sette corde compose musica per un canto epinicio.4840 Dolcemente ridevano Lucifero, nunzio del giorno, e il dorato Espero, astro di Citera;49 colmando di flusso di fuoco45 il cornuto splendore, ti precedeva Selene,50 pastora degli dèi notturni; la chioma dall’ampio fulgore dispose Titano,5150 sotto i tuoi ineffabili passi, e riconobbe il Figlio di Dio, il nobile intelletto creatore, principio del suo stesso fuoco. Ma tu, dispiegate le ali,55 varcasti la volta del cielo azzurro e ti ponesti fra le sfere pure e intellettuali, dove ha sede la fonte dei beni,60 il cielo silente.52 Là non esiste il tempo, che con rapido corso e inarrestabile marcia travolge chi è nato dalla terra,

810 65

70

sinesio di cirene

οὐ κῆρες ἀναιδέες βαθυκύμονος Ὕλας· ἀλλ’ αὐτὸς ἀγήραος Αἰὼν ὁ παλαιγενής, νέος ὢν ἅμα καὶ γέρων, τᾶς ἀενάω μονᾶς ταμίας πέλεται θεοῖς.

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inni viii  65-71

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né le orride piaghe65 della materia dai flutti profondi; ma sola, immutabile, l’eternità, di arcaica origine, giovane e al contempo antica, custode dell’eterna70 dimora degli dèi.

ΥΜΝΟΣ ΕΝΑΤΟΣ



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Ἄγε μοι, λίγεια φόρμιγξ, μετὰ Τηίαν ἀοιδάν, μετὰ Λεσβίαν τε μολπάν, γεραρωτέροις ἐφ’ ὕμνοις κελάδει Δώριον ᾠδάν, ἁπαλαῖς οὐκ ἐπὶ νύμφαις ἀφροδίσιον γελώσαις, θαλερῶν οὐδ’ ἐπὶ κούρων πολυηράτοισιν ἥβαις· θεοκύμονος γὰρ ἁγνὰ σοφίας ἄχραντος ὠδὶς μέλος ἐς θεῖον ἐπείγει κιθάρας μίτους ἐρέσσειν, μελιχρὰν δ’ ἄνωγεν ἄταν χθονίων φυγεῖν ἐρώτων. Τί γὰρ ἀλκά, τί δὲ κάλλος, τί δὲ χρυσός, τί δὲ φᾶμαι βασιλήιοί τε τιμαὶ παρὰ τὰς θεοῦ μερίμνας; Ὁ μὲν ἵππον εὖ διώκοι, ὁ δὲ τόξον εὖ τιταίνοι, ὁ δὲ θημῶνα φυλάσσοι κτεάνων, χρύσεον ὄλβον· ἑτέρῳ δ’ ἄγαλμα χαίτη καταειμένη τενόντων· πολύυμνος δέ τις εἴη παρὰ κούροις, παρὰ κούραις ἀμαρύγμασιν προσώπων· ἐμὲ δ’ ἀψόφητον εἴη βιοτὰν ἄσημον ἕλκειν,

Inno nono

Orsù, cetra armoniosa, dopo i versi di Teo, dopo il canto di Lesbo, per degli inni più maestosi fai risuonare un’ode dorica,535 che non si addice né a soavi ragazze sorridenti d’amore, né all’amabile giovinezza di ragazzi in fiore; è infatti il santo travaglio10 nato da Dio e puro di sapienza che mi spinge, per un divino canto, a muovere le corde della cetra e mi esorta a rifuggire la dolce follia degli amori terreni.15 Cos’è infatti la forza, cosa la bellezza, cosa l’oro, cosa la fama, cosa sono gli onori regali, rispetto all’aspirazione a Dio? Che l’uno goda a incitare il cavallo,20 l’altro a tendere l’arco, l’altro a vigilare su un cumulo di beni, aurea letizia; un altro a vantarsi della chioma che gli ricopre le spalle;25 un altro a farsi celebrare da ragazzi e ragazze per lo splendore del volto; quanto a me, che io possa, senza fragori, condurre una vita nascosta,30

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sinesio di cirene

τὰ μὲν εἰς ἄλλους ἄσημον, τὰ δὲ πρὸς θεὸν ἰδυῖαν. Σοφία δέ μοι παρείη, ἀγαθὰ μὲν νεότατα, ἀγαθὰ δὲ γῆρας ἕλκειν, ἀγαθὰ δ’ ἄνασσα πλούτου· πενίαν δ’ ἄμοχθος οἴσει σοφία γελῶσα, πικραῖς ἄβατον βίου μερίμναις, μόνον εἰ τόσον παρείη ὅσον ἄρκιον καλιῆς ἀπὸ γειτόνων ἐρύκειν, ἵνα μὴ χρεώ με κάμπτοι ἐπὶ φροντίδας μελαίνας. Κλύε καὶ τέττιγος ᾠδὰν δρόσον ὀρθρίαν πιόντος. Ἴδε μοι βοῶσι νευραὶ ἀκέλευστα καί τις ὀμφὰ περί τ’ ἀμφί με ποτᾶται. Τί ποτ’ ἆρα τέξεταί μοι μέλος ἁ θέσκελος ὠδίς; Ὁ μὲν αὐτόσσυτος ἀρχά, ταμίας πατήρ τ’ ἐόντων, ἀλόχευτος, ὑψιθώκων ὑπὲρ οὐρανοῦ καρήνων ἀλύτῳ κύδεϊ γαίων θεὸς ἔμπεδος θαάσσει, ἑνοτήτων ἑνὰς ἁγνά, μονάδων μονάς τε πρώτα, ἁπλότητας ἀκροτήτων ἑνίσασα καὶ τεκοῦσα ὑπερουσίοις λοχείαις· ὅθεν αὐτὴ προθοροῦσα διὰ πρωτόσπορον εἶδος

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inni ix  31-64

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nascosta nei confronti degli altri, consapevole nei confronti di Dio. Possa assistermi la sapienza, preziosa durante la giovinezza, preziosa durante la vecchiaia,35 preziosa regina della ricchezza; la sapienza sopporterà col sorriso e senza pena la povertà, inaccessibile alle amare angosce della vita: ma soltanto se vi sarà quel tanto40 sufficiente a tenermi lontano dal granaio dei vicini, affinché il bisogno non mi pieghi su neri affanni. Ascolta il canto della cicala, che45 si disseta con la rugiada del mattino.54 Ecco, le corde cantano senza che io le sfiori e una voce divina volteggia attorno a me. Quale canto mi partorirà mai50 il prodigioso travaglio? Principio emesso da se stesso, custode e padre degli esseri, non partorito, assiso in eccelso seggio oltre le vette del cielo,55 fiero di gloria indissolubile Dio siede saldamente in trono, santa unità delle unità, prima monade delle monadi, che la semplicità delle vette60 unifica e genera con parto sovrasostanziale; di là emessa, per l’immagine per prima seminata,

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sinesio di cirene

μονὰς ἄρρητα χυθεῖσα τρικόρυμβον ἔσχεν ἀλκάν, ὑπερούσιος δὲ παγὰ στέφεται κάλλεϊ παίδων ἀπὸ κέντρου τε θορόντων, περὶ κέντρου τε ῥυέντων. Μένε μοι, θρασεῖα φόρμιγξ, μένε, μηδὲ φαῖνε δήμοις τελετὰς ἀνοργιάστοις. Ἴθι, καὶ τὰ νέρθε φώνει· τὰ δ’ ἄνω σιγὰ καλύπτοι. Ὁ δὲ νοῦς οἴοισιν ἤδη μέλεται νέοισι κόσμοις· ἀγαθὰ γὰρ ἔνθεν ἤδη βροτέου πνεύματος ἀρχὰ ἀμερίστως ἐμερίσθη, ὁ καταιβάτας ἐς ὕλαν νόος ἄφθιτος, τοκήων θεοκοιράνων ἀπορρὼξ ὀλίγα μέν, ἀλλ’ ἐκείνων. Ὅλος οὗτος εἷς τε πάντῃ, ὅλος εἰς ὅλον δεδυκώς, κύτος οὐρανῶν ἑλίσσει· τὸ δ’ ὅλον τοῦτο φυλάσσων νενεμημέναισι μορφαῖς μεμερισμένος παρέστη, ὁ μὲν ἀστέρων διφρείαις, ὁ δ’ ἐς ἀγγέλων χορείας· ὁ δὲ καὶ ῥέποντι δεσμῷ χθονίαν εὕρετο μορφάν· ἀπὸ δ’ ἐστάθη τοκήων, δνοφερὰν ἤρυσε λάθαν, ἀλαωποῖσι μερίμναις χθόνα θαυμάσας ἀτερπῆ, θεὸς ἐς θνητὰ δεδορκώς.

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inni ix  65-99

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la monade ineffabilmente effusa65 ebbe un vigore a tre cime,55 e la sovrasostanziale sorgente si corona della bellezza dei figli, che dal centro si dipartono, al centro rifluiscono.70 Trattieniti, audace cetra, trattieniti, non rivelare i misteri al popolo profano.56 Canta pure del mondo inferiore; ma il mondo superiore il silenzio lo occulti.75 L’intelletto ormai si cura soltanto dei mondi nuovi.57 Ottimo principio dello spirito mortale, l’intelletto immortale80 si scisse senza scindersi, disceso nella materia, emanazione ridotta, eppure legittima, dei genitori, divinità sovrane. Tutto e Uno dappertutto,85 Tutto nel Tutto penetrato, fa volgere la volta del cielo; pur preservando la sua interezza nelle forme governate, si presentò frammentato,90 ora alla guida dei carri degli astri, ora del coro degli angeli; per il peso dei ceppi assunse anche forma terrena;58 si trovò separato dai genitori,95 si impregnò di oscura dimenticanza, per cieche aspirazioni ammirò l’orribile terra, rivolto, Dio, a realtà mortali.

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sinesio di cirene

Ἔνι μάν, ἔνι τι φέγγος κεκαλυμμέναισι γλήναις· ἔνι καὶ δεῦρο πεσόντων ἀναγώγιός τις ἀλκά, ὅτε κυμάτων φυγόντες βιοτησίων, ἀκηδεῖς ἁγίας ἔστειλαν οἴμους πρὸς ἀνάκτορον τοκῆος. Μάκαρ ὅστις βορὸν ὕλας προφυγὼν ὕλαγμα, καὶ γᾶς ἀναδὺς ἅλματι κούφῳ ἴχνος ἐς θεὸν τιταίνει. Μάκαρ ὅστις μετὰ μοίρας, μετὰ μόχθους, μετὰ πικρὰς χθονογηθεῖς μελεδῶνας, ἐπιβὰς νόου κελεύθων βυθὸν εἶδεν θεολαμπῆ. Πόνος ἐξ ὅλαν τανύσσαι κραδίαν ὅλοισι ταρσοῖς ἀναγωγίων ἐρώτων. Μόνον ἐμπέδωσον ὁρμὰν νοερηφόροισιν οἴμαις· ὁ δέ τοι πέλας φανεῖται γενέτας, χεῖρας ὀρεγνύς· προθέοισα γάρ τις ἀκτὶς καταλάμψει μὲν ἀταρπούς, πετάσει δέ τοι νοητὸν πεδίον, κάλλεος ἀρχάν. Ἄγε μοι, ψυχά, πιοῖσα ἀγαθορρύτοιο παγᾶς, ἱκετεύσασα τοκῆα ἀνάβαινε, μηδὲ μέλλε, χθονὶ τὰ χθονὸς λιποῖσα· τάχα δ’ ἀμμιγεῖσα πατρὶ θεὸς ἐν θεῷ χορεύσεις.

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inni ix  100-134

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Ma una luce, ancora una luce100 dimora negli occhi velati;59 anche in coloro che qui sono caduti risiede una forza ascendente quando, rifuggendo i flutti della vita, senza timori105 intraprendono il sacro cammino che porta alla dimora del Padre. Beato colui che, sfuggendo al vorace latrato della materia e dalla terra sollevandosi con agile balzo,110 verso Dio tende il proprio passo. Beato colui che, dopo la morte, dopo le sofferenze, dopo gli amari pensieri che godono della realtà terrena, intrapreso il sentiero dell’intelletto,115 conosce l’abisso che splende di raggio divino. Richiede fatica distendere l’intero cuore, con tutte le ali degli ascendenti amori. Conferma soltanto il tuo slancio120 coi canti che recano al mondo intellettuale; prossimo ti apparirà il creatore, con mani tese; un raggio, correndoti incontro, rischiarerà il sentiero,125 spalancherà l’intelligibile pianura,60 principio di bellezza. Orsù, anima mia, dissetandoti alla fonte da cui scorre il bene, supplicando il Padre,130 ascendi, non indugiare, lascia alla terra ciò che le appartiene; presto, unita al Padre, Dio, in Dio danzerai.

NOTE AI TESTI

Lettere 1.  Con la semplice indicazione “Cirene”

si intendono, indistintamente, la città e la campagna: Sinesio aveva infatti i propri possedimenti a circa trenta chilometri a sud dell’antico capoluogo (vd. Introduzione, 2). 2.  Per la cronologia delle lettere, salvo diversa indicazione, ci rifacciamo allo studio di Roques (Roques 1989; cfr. anche Roques 1987, pp. 452-453), benché esso sia stato criticato da alcuni studiosi (vd. ad esempio Seng 2020b, p. 30). 3.  L’immagine del parto di opere letterarie è di origine platonica (Simposio, 210a; Fedro, 278a; Teeteto, 149a-151d), ma ha conosciuto una notevole fortuna in tutta l’antichità (cfr. anche Dione, 13). Si è ipotizzato che le opere cui Sinesio fa riferimento siano, rispettivamente, Dione e Trattato sui sogni (per la filosofia) e All’imperatore, sul regno e Racconti egizi (per la retorica): cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 82, n. 4. Questo permetterebbe quindi di datare la lettera almeno al 405. 4.  Si tratta quasi certamente dell’Elogio della calvizie, come indicato anche da uno scoliasta (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 6). 5.  L’affetto delle scimmie per i propri cuccioli compariva già in Plinio il Vecchio (Naturalis historia, 8, 216); l’immagine tornerà poi in autori bizantini come Michele Psello e Niceforo Basilace, nonché in scrittori occidentali come, solo per citarne alcuni, Angelo Poliziano, Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro (Garzya – Roques 2000, vol. II, pp. 83-84, n. 9).

6.  Apelle e Lisippo furono due grandi ar-

tisti greci vissuti nel IV secolo a.C.; erano, rispettivamente, un pittore e uno scultore. 7.  Si tratta, quasi certamente, dello stesso curiale accusato di omicidio cui Sinesio scrive la lettera 43; è probabilmente anche lo stesso che finirà per farsi monaco (vd. lettera 147). Per questo gruppo di lettere (e alcune altre) vd. Luchner 2010. 8.  Nel cosiddetto basso impero la giustizia era amministrata dai governatori civili (cfr. Introduzione, 1). Sul tema della corruzione, in particolare per il caso di Andronico, vd. Roques 1987, pp. 200-201. 9.  Si trattava di un parente di Sinesio, ma non sappiamo di quale grado. Pare di capire che costui avesse un fratello, Erode, e una giovane nipote (di cui quindi sia Eschine che Erode erano zii) in procinto di sposarsi. 10.  Antica divinità anatolica della natura, veniva rappresentata con una corona turrita. 11.  Armonio sarebbe dunque il padre di Eschine ed Erode, nonché il nonno della futura sposa. Il “portiere” (in questo caso Erode) era colui che controllava che la porta del talamo rimanesse chiusa dopo la cerimonia nuziale. Vd. a questo proposito, appunto, il frammento 110 Voigt di Saffo. 12.  Secondo il mito, Cecrope sarebbe stato il primo re di Atene. 13.  Sosia e Tibio erano i due nomi per eccellenza degli schiavi. Sinesio vuole dire che la ragazza, a dispetto delle sue nobili origini, stava contraendo un matrimonio con una famiglia di posizione

824 sociale inferiore. Il ruolo assunto dallo zio Erode (normalmente ricoperto dal padre) lascia intuire che la ragazza fosse orfana (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 88, n. 13). 14.  Laide era appunto una famosa prostituta originaria di Iccara (attuale Carini, situata pochi chilometri a ovest di Palermo) poi vissuta a Corinto, a cavallo tra il V e il IV secolo a.C. Il logografo evocato potrebbe essere Ninfodoro di Siracusa o anche Ateneo di Naucrati (ivi, pp. 88-89, n. 14). 15.  Salmi, 117, 8. 16.  Vescovo di Cizico e promotore di una versione piuttosto estrema dell’arianesimo (vd. Introduzione, 1). 17.  Personaggio sconosciuto. Questa lettera lascia però intendere che la dottrina eunomiana trovasse al tempo ancora dei potenti seguaci alla corte di Costantinopoli. 18.  Propriamente, in greco, “campo militare” (stratopedon): così, in effetti, si poteva chiamare la corte, nell’intento di sottolineare la funzione militare dell’imperatore, oramai solo fittizia dopo la morte di Teodosio (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 91, n. 5). Cfr. lettera 110. 19.  Popolo biblico, nomade e forse di stirpe araba, sterminato dal re Saul, il quale, però, si attirò la collera del profeta Samuele e di Dio per aver risparmiato il meglio del loro bestiame, contravvenendo a quanto gli era stato ordinato. 20.  Primo libro di Samuele, 15, 11. 21.  Località che doveva essere ubicata, lungo il litorale, un poco più a ovest della città di Paraitonion. Sinesio dice infatti di trovarsi nella “terra di Ammone”: Paraitonion era assai legata all’oasi di Ammone (attuale Siwah), di cui rappresentava lo sbocco sul Mediterraneo, al punto da essere chiamata anche Ammonia (cfr. Roques 1987, pp. 110-112). 22.  Santuario della dea tracia della caccia Bendis, che si trovava ad Alessandria. 23.  Un isolotto o uno scoglio nei pressi dell’isola di Faro, dinanzi ad Alessandria.

note ai testi

24.  Omero, Iliade, 7, v. 217 (le traduzioni

dei passi iliadici sono improntate a quelle presenti in Cerri – Gostoli 1999). 25.  Trimetro giambico di autore sconosciuto. Epimeteo è ovviamente, secondo il mito, il fratello di Prometeo, contro le raccomandazioni del quale avrebbe accettato Pandora in dono da Zeus. 26.  Cfr. Aristofane, Cavalieri, v. 8. 27.  Propriamente, in questo punto, Sinesio scrive “timoniere”; ma si capisce dal prosieguo del discorso che Amaranto, capitano della nave, è anche colui che dirige il timone. 28.  Antica regina babilonese, avrebbe fornito Babilonia, secondo Erodoto (1, 178-184), di una possente cinta muraria. 29.  Dio della virilità e della fecondità, figlio di Dioniso e di Afrodite. 30.  Non sappiamo esattamente dove si trovasse, ma certamente nei pressi del porto di Alessandria. 31.  Attuale Abusir. Si trovava a circa sessanta chilometri a sud-ovest di Alessandria, sulla strada che portava a Paraitonion, capoluogo della Libia Inferiore (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 97, n. 22). Come Alessandria, si trovava sulla striscia di terra compresa fra il mare e il lago Mareotide (cfr. lettera 148). 32.  Secondo il mito, uno dei Titani che si erano ribellati a Zeus. Probabilmente qui è utilizzato come metafora per indicare un incosciente che si mette contro una forza molto superiore alla sua. 33.  Rispetto alla direzione del vento (Garzya 1989, p. 78, n. 12). 34.  Si tratta del venerdì. Lo Shabbat ebraico, come noto, dura dal tramonto del venerdì fino a quello, successivo, del sabato. 35.  Sofocle, Aiace, v. 1146. 36.  Proverbio riferito a coloro che si trovano in pericolo di vita (cfr. Garzya 1989, p. 80, n. 15). 37.  Cioè il Pentateuco. 38.  Ovvero intransigente al pari dei Maccabei, famiglia ebraica che guidò una ri-

lettere

bellione contro un sovrano ellenistico, il seleucide Antioco IV, nel II secolo a.C. 39.  Cfr. Omero, Odissea, 4, v. 511 (le traduzioni dei passi odissiaci sono improntate a quelle presenti in Di Benedetto 2010). 40.  Ivi, 11, v. 65. 41.  Si intendono le due discese agli inferi dell’Odissea (vd. libri 11 e 24). 42.  Omero, Iliade, 21, v. 281. 43.  Per questa espressione, con cui Sinesio intende l’ineluttabilità del destino, vd. Trattato sui sogni, 8. 44.  Considerando che nell’antica Roma uno stadio misurava centottantacinque metri, la distanza qui citata equivale grosso modo a ventiquattro chilometri. 45.  Ovvero di congiunzione (synodos, “incontro”) tra sole, terra e luna: si intende la luna nuova. 46.  Cioè Amaranto, che in un primo tempo era stato identificato soltanto come Ebreo. 47.  Cioè per una decina di chilometri. 48.  Vd. supra. 49.  Mitico re dell’Eubea, il quale, per vendicare il figlio Palamede, lapidato dai propri compagni sotto le mura di Troia, avrebbe, tra le altre cose, ingannato la flotta achea di rientro in patria accendendo dei fuochi nella notte su una scogliera e causando un naufragio. 50.  Espressione proverbiale per indicare l’estrema abbondanza (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 105, n. 75). 51.  Le donne dell’isola di Lemno, secondo il mito, si sarebbero rese colpevoli di non onorare opportunamente Afrodite, attirandosi quindi la collera della dea, che per vendetta le avrebbe condannate ad avere un odore insopportabile (ivi, n. 79). 52.  Vd. supra. 53.  Popolazione della costa della Tracia, presso la quale fanno la prima tappa Odisseo e i suoi compagni di ritorno da Troia verso Itaca (cfr. Omero, Odissea, 9, vv. 39-66). 54.  Si intende con questo termine tutta la regione settentrionale della penisola anatolica, affacciata sul Mar Nero.

825 55.  La filosofa è ovviamente Ipazia.

Quanto agli altri due personaggi, che torneranno, sempre insieme, nella lettera 16, è stato ipotizzato che si tratti del padre (Teone) e del fratello di Ipazia (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 107, n. 93). 56.  Cioè alla fine del mese lunare, vd. supra. 57.  Entrambi tiranni di Siracusa, rispettivamente, a cavallo tra IV e III e tra V e IV secolo a.C. 58.  Cioè di Caffarodis, località, però, sconosciuta. 59.  Espressione molto ricorrente nella letteratura greca antica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 109, n. 3). La prima occorrenza è per noi in Teognide (v. 910). 60.  La lettera festale è il documento che il patriarca di Alessandria inviava ogni anno ai propri vescovi il giorno successivo all’Epifania (quindi il 7 gennaio) per comunicare la data della Quaresima e della Pasqua. Poteva contenere anche la lista dei vescovi deceduti e di quelli che li avevano rimpiazzati. Alcune lettere festali di Teofilo sono state tradotte in latino da Girolamo (ivi, pp. 109-110, n. 3). 61.  Cfr. Euripide, Ippolito, v. 821, e Aristofane, Pluto, v. 969. L’espressione, che ritornerà anche nella lettera 66 e nella Catastasi maggiore, 6, era sentita da Sinesio come proverbiale. 62.  Cfr. Omero, Odissea, 4, v. 237; 14, v. 445. 63.  Il nostro comune padre è Teofilo, appena deceduto (morì il 15 ottobre 412), così definito in quanto aveva ordinato all’episcopato sia Sinesio che suo nipote Cirillo, che adesso è pronto a succedergli sul soglio patriarcale. Apprendiamo dalla lettera che Cirillo era stato allontanato per qualche tempo dallo zio (probabilmente aveva dovuto compiere un soggiorno monastico: Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 113, n. 3) per una ragione di tipo disciplinare. 64.  Nel 412 la Pasqua cadde il 14 aprile e la Quaresima cominciò il 3 marzo.

826 65.  Si tratta dello stesso sinodo di cui si parla nella lettera 66; Sinesio si trovava nella zona orientale della Pentapoli, sul confine con la Libia Inferiore, per l’elezione del nuovo vescovo di Palebisca e Idrace e per dirimere una controversia territoriale tra il vescovo di Eritro, Pao­lo, e quello di Derna, Dioscoro. 66.  È lo stesso personaggio che Sinesio aveva denunciato, sempre ad Anisio, nella lettera 6. 67.  Il nostro autore intende discolpare l’uomo che gli ha consegnato Carnàs; così agendo, infatti, quello lo ha tolto dalla giurisdizione di Anisio, rendendosi passibile di una punizione. 68.  Si tratta propriamente di un densimetro, ovvero di un galleggiante atto a misurare la densità dei liquidi. La sua invenzione non risalirebbe né a Sinesio né a Ipazia, ma probabilmente ad Archimede, poi ripreso dal matematico Menelao di Alessandria nel I secolo d.C. (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. II, pp. 115-116, n. 4). 69.  Più esattamente, come detto, la densità. 70.  Cioè la zavorra. 71.  Cfr. inno 2, vv. 101-103: “madre,/ figlia,/ sorella”. 72.  Cfr. lettera 89. 73.  Vd. supra, lettera 5. 74.  Amico di Sinesio originario della Pentapoli; come si può evincere da questa lettera, fu probabilmente scelto da Arcadio come precettore dei suoi figli (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 119, n. 2). 75.  Cfr. Pindaro, Olimpiche, 13, 8. 76.  Ibidem. 77.  Il prefetto augustale era il rappresentante del prefetto del pretorio dell’Oriente nella diocesi d’Egitto. Risiedeva ovviamente ad Alessandria ed era gerarchicamente superiore a tutti i governatori provinciali (cfr. Introduzione, 1). 78.  Cfr. Platone, Gorgia, 469b-c, 473a, 474b, 479d, 509c. L’espressione ritornerà nella lettera 66. 79.  Forse omonimo del nonno, cioè del padre di Aureliano (vd. Racconti egizi, premessa). Nei decenni a venire, rico-

note ai testi

prirà anche lui la carica di prefetto del pretorio dell’Oriente, per ben due volte. 80.  Equivalente, nel calendario egizio, al 12 novembre (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 36, n. 3). 81.  Sul rango di chiarissimo, vd. Introduzione, 1. Le terre dei senatori erano soggette a un’imposta specifica. 82.  La pianura di Nisa (localizzata in Media, nella Persia nord-occidentale: Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 126, n. 4) era celebre per la qualità dei cavalli che vi si allevavano. 83.  Cfr. Omero, Iliade, 4, v. 320. 84.  L’isola di Carpato (o Scarpanto) si trova nel mar Egeo, esattamente in mezzo a Creta e Rodi. Era nota nell’antichità per l’abilità dei suoi marinai. 85.  Trimetri giambici di autore ignoto. 86.  Dove si trovavano riuniti in assemblea tutti i vescovi della Pentapoli. 87.  Settanta, Geremia, 27, 9. 88.  Vangelo secondo Matteo, 26, 24. 89.  Si tratta probabilmente di Marcellino (cfr. lettera 62 e vd. Introduzione, 1-2). 90.  Salmi, 136, 8-9. 91.  Immagine ripresa da Platone, Repubblica, 4, 421b; 10, 604e, 614e. L’espressione tornerà nella lettera 79. 92.  Sono gli abitanti del Chersoneso Taurico (o Tauride, attuale Crimea), ritenuti dalla tradizione letteraria greca particolarmente cruenti e dediti anche a sacrifici umani (cfr. Erodoto, 4, 103, e l’Ifigenia in Tauride di Euripide). 93.  Il cadavere è quello del primogenito Esichio e la città Tolemaide. 94.  Queste ultime frasi ritornano pressoché identiche nella lettera 79; l’espressione finale anche in Racconti egizi, 14. 95.  Cfr. lettera 79. 96.  Maniera arcaizzante per indicare le monete d’oro, che al tempo di Sinesio erano i solidi (cfr. lettera 127). 97.  Espressione proverbiale. 98.  Mitico re di Sparta, discendente di Eracle. Per la pretesa di Sinesio di discendere dai primi coloni di Cirene, provenienti appunto dalla capitale della La-

lettere

conia, vd. Introduzione, 1, e cfr. Catastasi maggiore, 5. 99.  Cfr. lettera 79. 100.  Esametro di un poeta sconosciuto. 101.  Proverbio che ricorre più volte in Sinesio (cfr. lettera 137 e Dione, 9): è tratto da Platone, Fedone, 67b. 102.  Salmi, 45, 11. 103.  Vangelo secondo Matteo, 6, 24. 104.  Eco neoplatonica: il sacro si pone al di sopra di qualunque impegno laico. 105.  Proverbio che ritorna anche in Trattato sui sogni, 11. 106.  È appunto l’assemblea di tutti i vescovi della provincia, riunitisi a Tolemaide. 107.  Sono tre sovrani ritenuti exempla di tracotanza: il tiranno di Agrigento Falaride (vissuto nel VI secolo a.C. e, secondo la leggenda, inventore dell’omonimo toro, strumento di tortura e di morte), il faraone della quarta dinastia Cefren (che avrebbe invece regnato intorno alla metà del terzo millennio a.C.) e infine Senacherim, re assiro che pose d’assedio la Gerusalemme di re Ezechia, senza però riuscire a espugnarla per lo scoppio di un’epidemia di peste. 108.  Si tratta di Esiodo, come rivelato dallo stesso Sinesio dopo poche righe: cfr. Le opere e i giorni, v. 764. 109.  Emilio e Giovanni erano fratelli (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 147, n. 4). 110.  Negli inferi. 111.  Si tratta dell’anima, unita allo spirito che la riveste: cfr. Trattato sui sogni, 7. 112.  Divinità tracia nota per il carattere orgiastico dei suoi misteri: vd. Elogio della calvizie, 21. 113.  Espressione proverbiale che compare già in Aristotele (Politica, 5, 1314a, 5). 114.  Frammento 102 Scheibe. 115.  Divinità del seguito di Priapo; quanto a Cotis, vd. supra, lettera 43, e soprattutto Elogio della calvizie, 21. 116.  Danza tipica della commedia, ritenuta piuttosto lasciva. 117.  Era uno zio di Sinesio ed era dedito alla filosofia: vd. lettera 150.

827 118.  Allusione alla storia erodotea (3, 43)

di Policrate, tiranno di Samo, e del faraone egizio Amasi, vissuti nel VI secolo a.C. Il secondo avrebbe rotto l’alleanza con il primo per la sua eccessiva fortuna, ritenendo che presto un’enorme sciagura lo avrebbe colto. Così in effetti accadrà, per mano dei Persiani. 119.  Come si apprende dalla lettera 51, era un poeta. 120.  Cioè persone di rango senatorio, vd. Introduzione, 1. 121.  Prefetto del pretorio (vd. ibidem). Sarà su sua iniziativa che durante il regno di Teodosio II, figlio di Arcadio, Costantinopoli sarà cinta dalle nuove mura dette, appunto, teodosiane. 122.  Ovviamente la capitale. 123.  Regione posta nel centro-sud della penisola anatolica (cfr. Introduzione, 1). 124.  Espressione formulare adoperata spesso da Sinesio (cfr. Platone, Alcibiade I, 109d). 125.  Proverbio consueto nella letteratura greca antica, da Senofonte a Plutarco (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 157, n. 6). 126.  Cioè all’interno della curia; per la questione vd. supra, lettera 43. 127.  Mitico re di Corinto, sarebbe ricorso spesso a delle astuzie ai danni degli dèi, riuscendo a ingannare persino la morte. 128.  Ovvero i due filosofi cirenaici più celebri dell’antichità: Aristippo (V-IV secolo a.C.), che era stato allievo di Socrate, e Carneade (III-II secolo a.C.), filosofo scettico e rappresentante maggiore della cosiddetta Nuova Accademia. 129.  Per Giulio, cfr. lettera 79 e 95. 130.  Il golfo di Eritro (vd. Introduzione, 1), detto anche baia di Naustathmos (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 160, n. 4), si trova a circa sessanta chilometri a est di Ficunte. Per i marinai di Carpato, vd. supra, lettera 38. 131.  Incipit formulare, cfr. lettera 84. 132.  Dioscoro era appunto il figlio di Evopzio, quindi il nipote di Sinesio (cfr. anche lettera 111). L’autore fa poi qui ri-

828 ferimento alla nascita dei suoi due figli gemelli. 133.  Alla lettera, propriamente, l’autore scrive dei “semi-asini”, formando un gioco di parole. 134.  Riferimento, rispettivamente, alla filosofia platonica, aristotelica e stoica. 135.  Cfr. la lettera 136, in cui si riprendono le stesse immagini. 136.  Cioè, appunto, da Ficunte ad Alessandria. 137.  Ovvero la sospensione dell’attività giudiziaria, a causa della guerra. 138.  Non sappiamo nulla né di questi personaggi né della questione politica cui sta alludendo Sinesio. 139.  Ovvero un segretario incaricato di trascrivere i documenti amministrativi. 140.  Si intende la prefettura del pretorio. Naturalmente, Sinesio sta facendo riferimento agli anni della sua ambasceria a Costantinopoli. 141.  Amico di Sinesio del quale non sappiamo nulla. 142.  Flavio Ablabio, di origine cretese, aveva ricoperto la carica di prefetto del pretorio dell’Oriente tra il 329 e il 337; l’ascesa al trono di Costanzo II aveva segnato la fine della sua parabola politica e della sua vita. Si fa poi riferimento a Galla Placidia, sorellastra degli imperatori Arcadio e Onorio (era infatti figlia della seconda moglie di Teodosio, Galla), all’epoca appena diciassettenne (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 170, nn. 14-15). Quanto al soggiorno di Sinesio presso i palazzi del potere, cfr. inno 1, v. 428 ss. 143.  Del prefetto del pretorio, appunto. 144.  Si tratta molto probabilmente di Cledonio (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 171, n. 2). 145.  Sinesio allude al governatore civile, destinatario della lettera, citando uno dei suoi compiti principali. 146.  Impossibile dire a quali autori con esattezza si stia riferendo Sinesio. 147.  Allusione alla morte del primogenito Esichio.

note ai testi

148.  La guerra non era dunque ancora terminata. 149.  Vd. Introduzione, 1. 150.  Come si evince dal prosieguo, questa era la situazione: Paolo, un uomo fidato di Teofilo (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 310-311, n. 9), vescovo di Eritro, aveva ricevuto dal patriarca l’ordine di assumere la guida anche della comunità di Palebisca e Idrace che, dopo la morte di Siderio (vd. infra), era rimasta senza un vescovo. In seguito, per delle ragioni che non conosciamo, Teofilo aveva cambiato idea e aveva deciso di ristabilire un vescovo locale nei due villaggi: per questo aveva ordinato all’arcivescovo Sinesio di recarsi sul posto con una sua missiva e procedere, in accordo con il popolo dei fedeli, all’elezione di un nuovo vescovo. La comunità, però, si dimostrerà molto attaccata a Paolo. 151.  Sinesio intende qui probabilmente i chierici minori (come i sotto-diaconi o i lettori) a lui sottoposti (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 311, n. 11). 152.  Ovvero, attività che esulano da quella più propria, che investe il solo ambito religioso. 153.  Quest’imperatore regnò dal 364 al 378; come Costanzo II, era ariano. 154.  Allusione all’arianesimo. 155.  Si tratta di vescovi più avanti con gli anni. 156.  Si evince dunque che per essere ordinati vescovi vi erano tre condizioni: certamente l’elezione da parte del popolo dei fedeli, ma anche l’avallo di tre vescovi del territorio e del patriarca della diocesi da cui dipendeva la provincia. 157.  Atanasio di Alessandria, che fu patriarca della città, con alcune interruzioni, dal 328 al 373. 158.  Siderio: per decisione del patriarca Atanasio, dopo essere stato riconosciuto vescovo di Palebisca e Idrace, sarebbe stato nominato arcivescovo di Tolemaide, salvo poi tornare negli ultimi anni della sua vita a ricoprire la carica pastorale nei due villaggi. Alla sua morte, il nuovo pa-

lettere

triarca Teofilo, avrebbe poi deciso di non farne eleggere subito un successore ma di riportare la comunità sotto l’autorità del vescovo di Eritro, Paolo (vd. supra). 159.  Vd. supra, lettera 11. 160.  Vd. supra. 161.  Si trattava di una sorta di sipario che in determinati momenti del culto nascondeva l’altare (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 315, n. 52). 162.  Probabilmente il consiglio provinciale in cui era stata ratificata la scomunica di Andronico (cfr. supra, lettera 41). 163.  Si tratta di probabili reminiscenze plutarchee (cfr. ivi, p. 316, n. 55). 164.  Secondo la dottrina della simpatia universale: cfr. Trattato sui sogni, 2. 165.  Quella relativa alla nomina del vescovo di Palebisca e Idrace. 166.  Si tratta probabilmente del sinodo di cui si parla nella lettera 13 (vd. supra). 167.  Si allude qui al fatto che il territorio di Derna, posto all’estremità occidentale della Libia Inferiore, contribuiva all’approvvigionamento degli istituti di carità alessandrini (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 316-317, n. 67). 168.  Cfr. Platone, Leggi, 4, 717c-d; 11, 935a. 169.  Non si conoscono le premesse della questione, che risulta dunque poco chiara: cfr., su questo, Roques 1987, p. 377. 170.  Cfr. lettera 30. 171.  Sinesio ha in effetti semplicemente trascritto in greco il termine latino vagantivi. 172.  Regione nord-occidentale dell’Asia Minore. 173.  Si tratta di Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli dal 398 al 404, quando fu esiliato. 174.  La Chiesa di Alessandria capeggiata da Teofilo e la Chiesa di Costantinopoli retta da Giovanni Crisostomo erano entrate in conflitto per la questione dei “Fratelli lunghi”, dei seguaci del pensiero di Origene che la Chiesa egiziana aveva perseguitato (dopo averli appoggiati) e quella costantinopolitana accolto (cfr. Petkas 2020, pp. 19-21). Accusato da-

829 gli origenisti per la sua condotta, Teofilo aveva dunque dovuto recarsi a Costantinopoli per difendersi dinanzi a un sinodo presieduto dall’imperatore Arcadio. La parte del clero della capitale che aveva in odio il proprio patriarca, allora, ne aveva approfittato per coalizzarsi con Teofilo: in una successiva occasione (il cosiddetto sinodo della Quercia, tenutosi nei pressi della città di Calcedonia nel 403) erano dunque riusciti, assieme, a mettere sotto accusa Giovanni, a farlo deporre dall’imperatore e a costringerlo all’esilio (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 320, n. 7). 175.  Il sinodo della Quercia, appunto. 176.  Uno dei nemici di Giovanni, che testimoniò contro di lui al sinodo della Quercia e che ne prese il posto di patriarca al momento dell’esilio. 177.  Si intende la scintilla della filosofia; la sciagurata attività è quella forense (cfr. lettera 103). 178.  Alla lettera “l’altro ieri”: da prendersi forse in senso letterale (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 324, n. 3). 179.  Si intendono tutte le Chiese, non solo quella rappresentata da Sinesio. 180.  Provincia asiatica non più esistente al tempo di Sinesio, essendo stata suddivisa nelle due province di Siria e Siria Salutare. 181.  Che non ci è altrimenti attestato. 182.  Riferimento alla corruzione, molto diffusa, che prevedeva l’ottenimento delle cariche pubbliche da parte dei burocrati statali dietro elargizioni di denaro (cfr. lettera 101). 183.  Si tratta di Andronico (vd. Introduzione, 1), alla denuncia del quale l’intera lettera è rivolta. 184.  Come si dirà dopo poche righe, si tratta di Gennadio (vd. ibidem). 185.  Per quanto la questione sia dibattuta, pare probabile che si tratti delle perdute Cinegetiche (cfr. lettera 101). 186.  Questo esametro si trovava inciso su una statua dorata di Stratonice, probabilmente donatale dal fratello Sine-

830 sio (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 329, n. 3). 187.  Si tratta del villaggio di Olbia, la cui localizzazione, però, non è sicura (vd. Roques 1987, pp. 106-107). 188.  Vd. Introduzione, 1. 189.  Cioè alle truppe di stanza sul territorio, considerate sovente da Sinesio di mediocre qualità. 190.  Cfr. Catastasi minore, 2. 191.  Cfr. Eupoli, frammento 332 K.-A. 192.  Frammento di tipo proverbiale, cfr. lettera 41. 193.  Cfr. lettera 42. 194.  Versato da certi funzionari, senatori e proprietari, serviva ad arruolare contingenti mercenari nell’esercito (vd. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 334, n. 11). 195.  Cfr. lettera 90. 196.  Cfr. Omero, Iliade, 9, v. 378. I Carii erano una popolazione stanziata nell’omonima regione, nel sud-ovest dell’Anatolia. Siccome erano spesso ridotti in schiavitù, l’espressione significa “di uno schiavo”, che quindi non ha nessun peso. Cfr. A Peonio, sul dono, 1. 197.  Cfr. lettera 52 e 95. 198.  Detto proverbiale, che ricorre in molti autori della letteratura greca antica (cfr. Garzya 1989, p. 222, n. 6). 199.  Cfr. Platone, Gorgia, 485d. 200.  A Costantinopoli, dove aveva incontrato il prefetto del pretorio Antemio, febbricitante. 201.  Decelea era un villaggio dell’Attica, non lontano da Atene; durante la guerra del Peloponneso, nel 413 a.C., era stato occupato dagli Spartani, che lo avevano risparmiato e vi avevano posto un presidio per insediare la città rivale (cfr. Tucidide, 7, 19, 1-3). L’espressione tornerà in A Peonio, sul dono, 3. 202.  Troilo, così soprannominato (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 336, n. 38). 203.  Della Pentapoli. 204.  Omero, Iliade, 9, vv. 238-239; a Zeus è stato sostituito Toante.

note ai testi

205.  Ovvero i suoi doveri economici di

curiale, proprio per sfuggire ai quali era forse entrato a far parte del clero (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 333, n. 3). 206.  Forse a causa delle sue estorsioni, forse perché ricopriva la carica di governatore illegalmente. Si fa qui riferimento al viaggio che Sinesio fece ad Alessandria alla fine del 411 per essere ordinato vescovo di Tolemaide da Teofilo. 207.  Vd. lettera 41. 208.  Ibidem. 209.  Al soglio episcopale. 210.  Esiodo, Le opere e i giorni, v. 267. 211.  Tucidide, 7, 77, 3. 212.  Omero, Iliade, 22, v. 44. 213.  Espressione proverbiale. 214.  I biglietti 82, 84, 85, 86 sono tutti indirizzati al fratello. È inverosimile che Sinesio abbia inviato delle raccomandazioni identiche a un’unica persona. Restano perciò due soluzioni: o gli indirizzi che la tradizione manoscritta ci ha trasmesso sono errati (Garzya 1989, p. 230, n. 1), oppure non tutti questi biglietti furono spediti (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 208, n. 2). 215.  Si ha qui un gioco di parole, giacché il nome Crise è legato alla parola greca chrysos, “oro”. Gorgia era un noto sofista di età classica. Cfr. lettera 134. 216.  Stesso incipit della lettera 55, vd. supra. 217.  Colui, dunque, che si occupa dei salari e degli approvvigionamenti del contingente militare. 218.  Al soglio episcopale: si tratta dunque di Tolemaide. 219.  Cfr. lettera 16. 220.  Espressione proverbiale. 221.  Cioè l’opposto di quanto Sinesio ha accusato Andronico di fare, vd. supra, lettera 79. 222.  Cioè alla scomunica. 223.  Ad Antemio per il tramite di Troilo (lettera 73) e ad Anastasio (lettera 79), forse precettore dei figli dell’imperatore (cfr. lettera 22).

lettere

224.  Probabilmente, lo stesso che aveva diretto Andronico in veste di governatore civile. 225.  Cfr. Sofocle, Antigone, v. 541, ed Euripide, Eracle, v. 1225. 226.  Cfr. Plutarco, Aristide, 2, 5. 227.  Non è chiaro a quale funzione Sinesio stia facendo allusione. Roques (Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 343-344, n. 5) ha ipotizzato che si trattasse di quella di defensor civitatis: chi ricopriva questo ruolo all’epoca di Sinesio era una sorta di mediatore tra il potere centrale e le curie cittadine. 228.  Si tratta del registro dei curiali: i suoi iscritti erano tenuti a farsi carico di alcune spese in favore della comunità. Si parla di antica disgrazia probabilmente perché la famiglia di Sinesio, di nobili origini, vi era iscritta da tempo immemore. Onde evitare di assumere il posto del fratello nella curia di Cirene al momento della sua elezione al soglio episcopale, Evopzio, come si legge dopo poche righe, aveva preferito lasciare la Pentapoli per recarsi all’estero, ad Alessandria: questo è l’evento cui il nostro autore sta facendo riferimento. 229.  Teorema euclideo (Sinesio ricorrerà a Euclide anche nel Trattato sui sogni, 4). Cfr., per lo stesso concetto, la lettera 131. 230.  Cfr. Platone, Repubblica, 9, 575d. 231.  Cioè Giovanni e Sinesio, compagni d’infanzia. 232.  Periodo intricato, che si presta a diverse interpretazioni. La corretta pare essere la seguente: Sinesio è il fratello maggiore e, ubbidiente al minore, sente comunque della riconoscenza verso di lui, sebbene la norma preveda l’inverso, ovvero che il maggiore senta della riconoscenza verso il minore quando è quello a ubbidirgli. 233.  Cfr. lettera 52 e 79. 234.  Non sappiamo di chi si tratti. 235.  Demostene, 19, 148. 236.  Espressione proverbiale che ricorre da Aristofane a Plutarco (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 347, n. 12).

831 237.  Altra frase fatta. 238.  La circostanza cui si riferisce Sine-

sio resta per noi misteriosa. Dioscoride potrebbe essere stato un membro della curia di Cirene (Garzya – Roques 2000, vol. II, p. 155, n. 4). 239.  Citazione dal terzo inno a Nemesi (dea della giustizia riparatrice) di Mesomede di Creta, citaredo e poeta lirico dell’età dell’imperatore Adriano. 240.  Per l’assetto militare delle Libie in quest’epoca, vd. Introduzione, 1. 241.  Demostene, 18, 48. Lastene tradì la cavalleria di Olinto (antica città greca situata nella penisola calcidica) a favore del re macedone Filippo II. 242.  Sinesio è stato eletto vescovo dai cittadini di Tolemaide ma non è stato ancora ordinato tale dal patriarca Teofilo, essendo ancora incerto sulla scelta da prendere. 243.  Si tratta di Simplicio: vd. Introduzione, 1. 244.  Per il poeta Teotimo, vd. supra, lettere 49 e 51. 245.  Espressione formulare; tornerà anche nella lettera 129. 246.  Cfr. lettera 144. 247.  Si intende il contributo, in termini di impegno e di denaro, che Sinesio doveva alla comunità in quanto curiale. Si evince dai Racconti egizi – e se ne trova qui una conferma – che era riuscito a farsene esentare durante il proprio soggiorno costantinopolitano; tuttavia, l’autore dimostra di avere degli scrupoli a rinunciarvi (cfr. Introduzione, 4). 248.  Questo riferimento a Pitagora ricorre in numerosi autori antichi (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 353, n. 10). 249.  Per quest’opera, che non ci è pervenuta, vd. Introduzione, 4. Cfr. anche lettere 74 e 154. 250.  Riferimento ironico al malcostume di molti uomini politici, che erano soliti indebitarsi per ottenere la propria carica dietro elargizione di denaro, che restitui­ vano con gli interessi traendolo dai propri governati (cfr. lettera 73).

832 251.  Euripide, frammento 723 N.2. 252.  Cfr. lettere 72 e 103. 253.  Cfr. Omero, Iliade, 6, v. 236, dove

si racconta dello scambio delle armi tra Glauco e Diomede. 254.  Probabile allusione agli altri membri della sua famiglia (quali ad esempio Erode e Diogene) che avevano assunto degli incarichi imperiali. 255.  Cioè un malfattore. I Cercopi erano due briganti, fratelli fra di loro, del mito. 256.  Espressione proverbiale, molto diffusa nella letteratura greca antica: cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 226, n. 32. 257.  Elio Aristide, 46, 307. 258.  Con questo termine, propriamente, si indicava l’assemblea, istituita dall’imperatore Adriano nel II secolo d.C., che si teneva ad Atene tra tutte le élites intellettuali del mondo greco; all’epoca di Sinesio doveva avere conservato la sua caratteristica di ritrovo tra “Elleni” (per il termine, vd. Introduzione, 3). Sul Panellenio, vd. Cameron – Long 1993, pp. 7184, e Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 357-358, n. 37; cfr. anche Cambron-Goulet 2017, in particolare pp. 131-132. 259.  Pilemene, che Sinesio aveva conosciuto a Costantinopoli, era originario di Eraclea del Ponto, in Bitinia (attuale Karadeniz Ereğli, in Turchia). 260.  Sulla questione della percepita decadenza delle città, vd. Roques 1987, pp. 30-32. 261.  E infatti Platone condannava soltanto il cattivo uso che della retorica faceva la sofistica: cfr. Fedro, 269d-277a. 262.  Simonide, frammento 542, 29 Page. 263.  Questa lettera, forse coeva alla redazione dell’Elogio della calvizie, potrebbe risalire anche a un periodo precedente (vd. Introduzione, 4), nel caso in cui l’incontro con i nomadi di cui si racconta non fosse da considerare nel contesto della guerra contro i Maceti e gli Ausuriani che iniziò nel 405. 264.  Cfr. Elogio della calvizie, 22. 265.  Cfr. Omero, Iliade, 16, v. 779, e Odissea, 9, v. 58. Si intende la sera.

note ai testi

266.  Espressione proverbiale per indi-

care un codardo. La Frigia era una regione dell’Anatolia centrale. 267.  Omero, Iliade, 24, v. 262. 268.  La localizzazione non è sicura, sebbene sia stato proposto, a titolo di ipotesi, l’attuale Gasr Beni Gdem (vd. Roques 1987, p. 107). 269.  Ibico, frammento 310 Page. 270.  La città in questione è chiaramente Tolemaide, posta in un declivio sul mare. Sinesio forse risiedeva nella zona più alta, oppure vi giungeva da Cirene, posta su di un altopiano a circa 600 metri di altitudine. 271.  Cfr. Dione, 8. 272.  Vd. lettera 29. 273.  Forse dei personaggi che erano chiamati a giudicare sull’operato del clero. Sinesio ha citato poco sopra Paolo e Dionisio come delegati della comunità dei fedeli per riferire a Teofilo. La questione, comunque, rimane incerta (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 369, n. 55). 274.  Pianta con molte proprietà, tipica della Cirenaica. 275.  Cfr. lettera 124. 276.  Ovvero dall’impero romano d’Occidente. Non sappiamo a cosa alluda l’autore. Roques (Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 377-378, n. 4) ha ipotizzato che questo falso segreto (“di cui tanto si parla”) si riferisca al tentativo di Stilicone di utilizzare i Goti di Alarico per occupare i territori dell’Illirico orientale, nei Balcani, contesi con l’impero d’Oriente (406-407). Questa pretesa fu sventata dal prefetto del pretorio orientale Antemio, probabilmente avvisato dagli avversari politici di Stilicone alla corte di Ravenna, che in un momento tanto difficile volevano evitare una guerra civile tra Pars Occidentis e Pars Orientis. Questa lettera è stata messa in relazione con la numero 120 (vd. infra). 277.  Alla lettera, “il divino campo militare”: vd. supra, lettera 4. 278.  Giovanni fu un personaggio molto in vista alla corte di Costantinopoli: ri-

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vale di Gainas, fu esiliato assieme ad Aureliano, per poi fare ritorno in città dopo la sconfitta dei Goti; fu un favorito – e forse amante – dell’imperatrice Eudossia. Antioco, eunuco di origine persiana, ricoprì la carica di cubicolario e si occupò per un certo periodo di tempo dell’educazione del figlio di Arcadio, il futuro Teodosio II. Del primo Antioco citato da Sinesio, quello che discenderebbe dall’imperatore Graziano (375-383), non si hanno notizie. Abbiamo scarse informazioni anche su Narsete, ma si trattò quasi certamente, come si evince dalla lettera, di un altro persiano eunuco che precedette Antioco nella carica di cubicolario (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 371-372, nn. 9, 10, 12, 13). 279.  Espressione esiodea (cfr. Garzya 1989, p. 287, n. 5). 280.  Cfr. lettera 55. 281.  Espressione proverbiale (cfr. Diogeniano, 5, 81). 282.  Il riferimento è ovviamente alla battaglia delle Termopili del 480 a.C.; eppure, non abbiamo altre attestazioni di questa lettera inviata dagli Spartani al loro re in quell’occasione. 283.  Ovvero dalle proprietà terriere che Sinesio aveva qualche chilometro a sud dell’antica colonia greca (cfr. lettera 148). 284.  Cfr. Omero, Odissea, 13, 102-112. 285.  Ricorrono nella lettera vari topoi del locus amoenus; in conclusione, si cita il poeta bucolico per eccellenza. 286.  Ippocrate, Aforismi, 1, 10-11. 287.  Omero, Iliade, 6, v. 347. 288.  Ivi, 21, v. 439. La stessa citazione tornerà nella lettera 142. 289.  Sinesio aveva in realtà poco più di quarant’anni. Per la percezione dell’età nel mondo antico, vd. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 375-376, n. 8. 290.  Ferecide, frammento A1. Cfr. Elogio della calvizie, 21. 291.  Omero, Iliade, 9, v. 231. La stessa citazione tornerà nel discorso All’imperatore, sul regno, 15. 292.  Si è pensato che si tratti dello stesso “segreto di cui tanto si parla” della let-

833 tera 109 (vd. supra). Se in quel caso, però, si citava un’informazione che riguardava l’Occidente, qui si dice di una voce giunta “dall’altro continente”, intendendo verosimilmente la sponda settentrionale (quindi europea) del Mediterraneo. Non è tuttavia escluso – anzi è assai probabile – che il “segreto” della lettera 109 giungesse via mare dalla capitale dell’impero, quindi, appunto, “dall’altro continente”. 293.  Si tratta di un – altrimenti sconosciuto – condannato, che chiede l’intervento del vescovo in suo favore. Non sappiamo quale fosse la sua colpa. Il termine greco hydromiktes indica propriamente colui che corrompe il vino aggiungendovi dell’acqua e sta a indicare il fraudolento, l’imbroglione. 294.  Pianta da fiore che, come l’edera, tende a essere rampicante e infestante. 295.  Si ritiene che il fondo mitologico sia tratto da un ditirambo di Filosseno di Citera, poeta greco vissuto fra V e IV secolo a.C. Vd. Pizzone 2006, p. 55 ss. 296.  Cfr. lettera 52. 297.  Omero, Iliade, 9, v. 524. 298.  Cioè provenienti dalla località di Ausigda, posta a occidente di Ficunte, probabilmente alla conclusione dell’attuale Wadi Giargiarummah (Roques 1987, pp. 101-103). 299.  Ovvero nella “Valle del Mirto”, corrispondente all’attuale Wadi al-Kuf (ivi, p. 103). 300.  Cioè coraggioso: cfr. Archiloco, frammento 178 West. 301.  I Coribanti erano divinità minori al seguito della dea frigia Cibele, dediti, secondo il mito, a danze sfrenate e orgiastiche. I “demoni del seguito di Rea”, invece, erano i Cureti, cioè quelle divinità che aiutarono Rea, madre di Zeus, a nascondere al marito Crono la nascita del figlio (per evitare che lo inghiottisse come gli altri), occultando sotto il loro frastuono i vagiti del bambino. 302.  Omero, Iliade, 22, vv. 388-389. Cfr. lettera seguente.

834 303.  Riferimento all’ambasciata a Co-

stantinopoli. 304.  Esone era il padre di Giasone, che secondo il mito sarebbe stato ringiovanito da un incantesimo di sua nuora Medea, quando questa giunse in Grecia dalla Colchide (ne parla Ovidio, Metamorfosi, 7, vv. 159-293). 305.  Vd. lettera precedente. 306.  Località che non sono state individuate. Battia evoca il nome di Batto, fondatore di Cirene (vd. Introduzione, 1). 307.  Aristofane, Lisistrata, v. 110. 308.  Cioè il loro approvvigionamento, garantito dai cittadini più ricchi (i curiali) e raccolto dall’attuario (vd. lettera 87): cfr. Roques 1987, p. 241. 309.  Epiteto tratto, probabilmente, dalla commedia attica antica (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 381, n. 9). 310.  Nessuno di questi tre siti è stato localizzato. 311.  Euripide, frammento 300. 312.  Probabilmente persone che abitavano in un monastero a Teuchira, dove forse Menelao si apprestava a trasferirsi. 313.  Il fiume non è stato localizzato, ma quasi certamente si trovava nei pressi di Tolemaide. Come apprendiamo dalla lettera 147 (vd. infra), dei monaci erano soliti frequentare il capoluogo per consultare dei libri (probabilmente frequentavano la biblioteca episcopale): questo lascia ipotizzare che esistessero anche altri monasteri, più antichi, nei dintorni della città (cfr, Roques 1987, p. 378). 314.  Epigramma dell’Antologia Palatina, più volte citato anche da Suida (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 382, n. 3). 315.  Si fa riferimento alla carica di augustale (vd. lettera 29). 316.  Prefetto del pretorio sotto Teodosio, alla morte di quest’ultimo assunse di fatto il potere in Oriente, come avrebbe fatto dopo pochi mesi Eutropio. Entrò in contrasto con il suo analogo occidentale Stilicone, che forse tramò per farlo assassinare. Eutalio era stato governatore della Lidia, provincia dell’Asia Minore, fino al 395, anno della morte di Rufino.

note ai testi

317.  Cioè la banca del prefetto del preto-

rio, detta arca praefectoria (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 383, n. 11). 318.  Cfr. lettera 52. 319.  Cfr. Omero, Iliade, 2, vv. 764-767. 320.  Come altrove (lettera 41), Sinesio ricorre a un linguaggio arcaizzante: in realtà, alla sua epoca, la moneta di bronzo era il follis e quella d’oro il solidus. 321.  Cfr. Pseudo-Teocrito, 8, v. 92. 322.  Risulta difficile credere che a quest’altezza cronologica gli ariani avessero ancora il potere di poter deporre un vescovo in Egitto. La questione è comunque oggetto di dibattito (per una sintesi, vd. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 383-384, n. 2). 323.  Settanta, Geremia, 2, 18 (con una minima differenza testuale). 324.  Platone, Alcibiade I, 104e. 325.  Aristofane, Nuvole, v. 107. 326.  Come si leggerà nelle prossime righe, lo stesso Sinesio, che voleva raggiungere Costantinopoli, sarà dirottato ad Alessandria. 327.  Le opere e i giorni, vv. 349-351. 328.  Cfr. lettera 134, risalente a un anno prima, nella quale Sinesio afferma di aver catturato, in tempo di pace, degli struzzi da spedire ai propri amici costantinopolitani, ma di non essere riuscito a inviarli per lo scoppio della guerra. 329.  Alessandro di Afrodisia, vissuto tra il II e il III secolo d.C., fu un filosofo commentatore di Aristotele. Non possiamo essere certi dell’identità dell’altro autore, ma probabilmente, visto l’argomento, si trattò del Nicostrato filosofo ateniese vissuto nel II secolo d.C., platonico che scrisse un commento critico alle Categorie di Aristotele. 330.  Platone, Repubblica, 7, 487d-491a, 494a-501a, 535c-536b. 331.  Vd. Introduzione, 1. 332.  Omero, Odissea, 9, v. 51. 333.  Eupoli, frammento 99, v. 48 K.-A. 334.  Cioè di Ismara, città della Tracia affacciata sul mar Egeo. 335.  Archiloco, frammento 2 West. Il passo è stato molto discusso e variamente

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interpretato; nell’ottica di una sua piena comprensione in Archiloco, è stato quasi sempre considerato questo locus di Sinesio. Per una sintesi delle diverse posizioni assunte dagli studiosi vd. Zanetto 2016, pp. 132-135. 336.  Vd. lettera 94. 337.  Platone, Repubblica, 2, 361b, 375b-e. 338.  Cioè, grosso modo, da dopo i venti anni. 339.  Sinesio stesso, che era suo cugino. 340.  Platone, Leggi, 7, 814b. 341.  Si tratta molto probabilmente della collatio equorum che compare nel Codice di Teodosio: spettava ai proprietari di fornire i cavalli per l’esercito (Roques 1987, p. 185). Per questo i due cavalli sono definiti “voraci”, probabile reminiscenza letteraria. 342.  Si tratta del corpo, definito anche – platonicamente – “guscio d’ostrica” nel Trattato sui sogni, 6. Per approfondire, vd. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 390-392, n. 19. 343.  Alla lettera “ieri e l’altro ieri”. 344.  Fu pure praefectus urbi di Costantinopoli nel 392. 345.  Ipazia naturalmente. 346.  Alla scuola di Alessandria. 347.  Olimpio era siriano (cfr. Introduzione, 4). 348.  Si intende Seleucia di Pieria, porto di Antiochia, in Siria. 349.  Cfr. lettera 103. 350.  Cfr. lettera 129. 351.  Antica unità di misura per i liquidi. 352.  Cfr. lettera 83. 353.  Vd. lettera 106. 354.  Il fondatore di Cirene (vd. Introduzione, 1); sta dunque per “cirenaico”. 355.  Villaggio dell’Attica situato sulla costa a sud di Atene. 356.  Espressione proverbiale, evidentemente ironica. 357.  Tutte piccole località dell’Attica. 358.  Il Portico (in greco Stoà) è giustappunto ciò che dà il nome allo stoicismo. Il fondatore di questa scuola filosofica era stato Zenone di Cizio agli inizi del III se-

835 colo a.C. (cfr. lettera 56), Crisippo di Soli l’aveva soltanto diretta, grosso modo una generazione più tardi. 359.  Celebre pittore greco del V secolo a.C. 360.  Per tutta questa parte, si veda, appunto, la lettera 56. 361.  Esisteva in effetti una certa rivalità tra le due scuole neoplatoniche di Atene e di Alessandria, le più importanti del tempo (cfr. Introduzione, 2). 362.  L’espressione è vaga e, in quanto tale, ha dato adito a numerose interpretazioni (per approfondire, vd. Garzya – Roques 2000, vol. III, pp. 397-398, n. 17). Ad ogni modo, andrà quasi sicuramente riconosciuto nel Plutarco citato lo scolarca di Atene maestro di Siriano, a sua volta predecessore di Proclo. 363.  Massiccio montuoso dell’Attica. 364.  Il riferimento è ovviamente a Ipazia. 365.  Il verbo exorcheomai è un termine tecnico utilizzato in questa accezione per i riti misterici (cfr. Luciano, Sulla danza, 15). 366.  Su Proteo di Faro vd. Introduzione. Cfr. anche Dione, 5. 367.  Cioè vivere nascosto, confuso tra le persone normali, senza divulgare a nessuno il proprio sapere filosofico, che lo accosta alla divinità. 368.  Ripresa della critica platonica della scrittura (cfr. Platone, Fedro, 275d-e). 369.  Vd. lettera 41. 370.  Vd. lettera 122. 371.  Omero, Odissea, 1, v. 65. Con Odisseo si intende Erculiano, cfr. lettera 142. 372.  Si è molto discusso su queste ultime parole di Plotino (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 403, n. 22). Pare, in sintesi, che Sinesio abbia avuto senz’altro in mente il resoconto di Porfirio (Vita di Plotino, 2, 24-29), ma che vi abbia apportato delle modifiche, non solo nella frase fatta pronunciare al filosofo, ma pure, ad esempio, nel citare degli “astanti”, mentre secondo la versione di Porfirio sarebbe stato presente il solo Eustochio di Alessandria. 373.  Platone, Simposio, 192e. 374.  Il passo risente della filosofia di Plotino (Enneadi, 1, 2) e soprattutto di Por-

836 firio (Sentenze, 32). È quest’ultimo, infatti, che, riprendendo le quattro virtù fondamentali elencate da Platone nella Repubblica (4, 427e-434c), ovvero forza, temperanza, giustizia e prudenza (cfr. a questo proposito anche All’imperatore, sul regno, 7), ne delinea una progressione ascendente in quattro livelli, ottenendo quindi quattro tetradi. La prima, che rappresenta il livello più basso, terreno, è quella delle virtù politiche; si passa poi al livello delle virtù catartiche, che purificano l’anima dalle passioni e dagli istinti irrazionali; in seguito vi è il livello delle virtù intellettuali, proprie di un’anima che contempla l’intelletto; infine, il livello delle virtù paradigmatiche, cioè i modelli ideali che risiedono nell’intelletto stesso. 375.  Lo stupore è la causa della filosofia fin da Platone (Teeteto, 155d). Lo stesso Sinesio, nel Dione (4), dirà: “Sembra infatti che non vi sia stato altro innesco alla filosofia se non la ricerca della conoscenza”. 376.  Cioè Olimpio, che era esperto sia di frecce che di cavalli (cfr. lettera 133). 377.  Forse uno degli inni di Sinesio (vd. Introduzione, 4). 378.  Se Erculiano si dava il nome di Odisseo, assegnava quello di Proteo a Sinesio. 379.  Il celebre “conosci te stesso” (gnothi sautòn) che appariva sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi. 380.  Anche a Menelao, in quanto fu proprio quest’eroe a costringere Proteo a parlare, facendosi rivelare il proprio destino (vd. Omero, Odissea, 4, vv. 431-586; cfr. Dione, 6). 381.  Vd. lettera 117. 382.  Vd. Introduzione, 4, e cfr. A Peonio, sul dono, 2. 383.  Liside fu un membro della scuola pitagorica tarantina, costretto a emigrare in Grecia dopo l’incendio di questa da parte del tiranno Cilone; sarebbe divenuto in seguito il precettore del generale tebano Epaminonda (Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 408, n. 5). Sinesio fa allusione a una lettera di Liside all’astro-

note ai testi

nomo Ipparco di Nicea, chiaramente apocrifa visto che il primo personaggio era vissuto nel V secolo a.C. e il secondo nel II. La lettera consiste in un rimprovero al destinatario per aver parlato delle sacre dottrine a dei profani e aver quindi violato il vincolo di segretezza che vigeva all’interno della scuola pitagorica; è tratta da una lettera – forse altrettanto apocrifa – di Liside a Ippaso di Metaponto, filosofo pitagorico e matematico. 384.  Per quest’immagine, cfr. Esiodo, Le opere i giorni, v. 304, e Teogonia, v. 595, nonché Aristofane, Vespe, v. 114, e Platone, Repubblica, 552c. 385.  Non sappiamo di chi si tratti esattamente. È possibile che uno di questi sia Olimpio, compagno di Sinesio ed Erculiano alla scuola di Ipazia, e l’altro l’anonimo diacono della lettera seguente. 386.  Vd. lettera 140. 387.  Cfr. lettera 141. 388.  Si tratta dei due epigrammi posti da Sinesio in chiusa all’opusculum A Peonio, sul dono (5), dove si evince che l’autore li aveva fatti incidere in oro sullo strumento astronomico donato appunto a Peonio. 389.  Tolomeo, vd. ibidem. 390.  Corrispondente al 13 agosto del calendario giuliano. 391.  Si tratta forse di Olimpio, forse del diacono citato nella lettera seguente. 392.  Vd. Introduzione, 1. 393.  Probabilmente Eracliano, ordinario dux Aegypti et Thebaidos utrarumque Libyarum: vd. ibidem. 394.  Cfr. lettera 146, in cui Sinesio rifiuta appunto una proposta di Erculiano. Questo impegno politico si tradurrà nell’ambasciata dell’autore a Costantinopoli. 395.  Olimpio, vd. lettera 140. 396.  Questo personaggio, già comparso alla fine della lettera 99, pare essere colui che ha messo in contatto Sinesio con i “governatori”, cioè il “Conte” Simplicio e il dux Eracliano (vd. lettera precedente), probabilmente in quanto membro di spicco del concilio provinciale della Pentapoli in un momento di rior-

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ganizzazione del territorio dal punto di vista militare. 397.  Cfr. lettera precedente. 398.  Questa ragazza deve essere la figlia di una delle sorelle di Sinesio, sposata ad Amelio. Difficile dire se coincida con la nipote citata nella lettera 58 o meno. 399.  Dux Aegypti et Thebaidos utrarumque Libyarum, vd. Introduzione, 1, e le due lettere precedenti. 400.  Cioè l’assistente aggiunto. Sinesio cita il termine latino proprio del linguaggio burocratico. 401.  Cfr. lettera 144, dove Sinesio mostra un ripensamento al suo coinvolgimento. 402.  Omero, Odissea, 4, v. 228. Sia Polidamna che Tone erano egizi. 403.  È, propriamente, la divinità dell’errore. 404.  Empedocle, frammento 121 D.-K. 405.  Cfr. lettera 126. 406.  L’abito nero è quello del monaco, l’abito bianco quello del filosofo. Vd. Introduzione, 4, e cfr. lettera 154. 407.  Aglae Pizzone (Pizzone 2006, p. 80) ha rilevato come l’Euboico di Dione e l’Eroico di Filostrato abbiano probabilmente funto da modelli per questa lettera. 408.  Forse espressione debitrice di Omero, Odissea, 1, v. 23. Cfr. anche inno 1, v. 54. 409.  Il testo greco dice, alla lettera, “dopo Itaca”, cioè dopo il ritorno di Odisseo in patria: l’episodio è narrato sotto forma di profezia dall’indovino Tiresia nell’Odissea (11, vv. 100-137), andandosi a collocare, nella finzione letteraria, dopo la fine del poema. 410.  Ivi, vv. 122-123. 411.  Antifane, frammento 183 K.-A. 412.  Canopo era un villaggio posto circa quaranta chilometri a nord-est di Alessandria, sulla costa. Sinesio allude poi al lago Mareotide (attuale lago Maryut), separato dal mare proprio dalla striscia di terra su cui sorgevano l’antica Alessandria e altri centri, come Tafosiride (cfr. lettera 5). 413.  Mitica isola posta all’estremo nord dell’oceano.

837 414.  Esametro di cui non si conosce l’origine. 415.  Sebbene alcuni studiosi abbiano inteso Agemaco come un toponimo (vd. ad esempio Burzacchini 2016, p. 117), concordiamo con Roques (Roques 1987, p. 137) che si tratti, con più probabilità, di un antroponimo, verosimilmente per un autore di opere di genere bucolico. 416.  Cfr. Omero, Iliade, 11, vv. 624-641. 417.  Ivi, 1, v. 490. 418.  Ivi, 9, v. 441; Odissea, 8, v. 390. 419.  In effetti, l’isola di Cipro era rinomata per il vino, il monte attico Imetto per il miele (cfr. lettera 136) e la Fenicia per le sue olive. Il paese produttore di grano è forse qualificato, semplicemente, come “barbaro” a significare che queste sofisticate persone antepongono l’esoticità del prodotto alla sua qualità (cfr. Garzya – Roques 2000, vol. III, p. 418, n. 35); Garzya ipotizza invece che sia un modo per indicare la Mauritania (Garzya 1989, p. 362, n. 14). 420.  Cfr. Pseudo-Platone, Amanti, 135e-136a. 421.  Vd. supra. 422.  Non possiamo dire con certezza di chi si trattasse. Per il fatto che l’essere calvi significasse intelligenza e astuzia, cfr., ovviamente, l’Elogio della calvizie. 423.  Cfr. lettera 103. 424.  Cfr. lettera 46. 425.  Pindaro, Pitiche, 9, v. 87. 426.  Espressione che ritorna nella lettera 82. 427.  In senso filosofico ovviamente; termine preso a prestito da Plotino (Enneadi, 3, 4, 6, 14) o da Porfirio (Antro delle Ninfe, 23). 428.  Allusione a Platone, vd. lettera 140. 429.  Vd. Introduzione, 4. 430.  Ibidem e cfr. lettera 101. 431.  Si tratta qui, molto probabilmente, di alcuni degli inni di Sinesio (vd. Introduzione, 4). 432.  Ovvero corno dell’abbondanza, o cornucopia. Secondo il mito, infatti, Zeus avrebbe concesso che da un corno della

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note ai testi

capra che lo aveva allattato sul monte Ida, rottosi, ciascuno potesse trarre tutto ciò che desiderava. In certe versioni del mito Amaltea è la ninfa che possedeva l’animale, in altre è la capra stessa. In questo contesto, Sinesio riferisce l’immagine agli “educatori del popolo”, con l’intento di esprimere il forte tornaconto garantito dall’attività di questi ultimi ai suoi detrattori vestiti con il mantello nero (cfr. da ultimo Petkas 2020, pp. 12-13). 433.  Scolarca dell’Accademia nella seconda metà del IV secolo a.C. 434.  Espressione proverbiale, la cui prima attestazione è per noi Teognide, v. 815. 435.  Cioè della paideia, di quell’educazione versatile, raffinata nelle forme e profonda nei contenuti, che è il patrimonio di ogni “Elleno” (cfr. Dione, 4).

436.  Cfr. lettera 130. 437.  Cfr. Dione, 16 ss. 438.  Propriamente si trattava di demoni

del mito, ma già Callimaco, nel primo libro degli Aitia, era ricorso a questo termine per indicare i propri detrattori (cfr. Introduzione, 4). 439.  Cfr. Dione, 4. 440.  Aristotele, Etica Nicomachea, 1, 6, 1096a. 441.  Vd. Introduzione, 4, e Trattato sui sogni, 4. 442.  Ivi, 9. 443.  Sorta di esperienza dissociativa, vd. Introduzione, 5. 444.  Cfr. Omero, Iliade, 2, v. 41 (nonché Platone, Apologia di Socrate, 31c-d). 445.  Quello dedicato a Peonio. 446.  Espressione proverbiale che risale a Luciano, Il pescatore, 9.

All’imperatore, sul regno 1.  Aristofane, Acarnesi, v. 1. La stessa citazione tornerà in Elogio della calvizie, 1. 2.  Omero, Odissea, 21, v. 207. 3.  Riferimento all’aurum coronarium, che Sinesio recava ad Arcadio a nome della Pentapoli (vd. Introduzione, 2). 4.  Si allude alla corona della filosofia. 5.  Il riferimento diretto è a Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 197-201. Sinesio ribalta però il pensiero di Aristotele sull’arrossire: per lo Stagirita, infatti (Etica Nicomachea, 4, 15, 1128b), questo è sintomo di vergogna (aischyne) e non di pudore (aidòs). 6.  Gran re sconfitto dai Greci a Maratona (490 a.C.) nel corso della prima guerra persiana. 7.  Cioè Teodosio, ultimo imperatore a regnare sia sull’Oriente che sull’Occidente (379-395). 8.  Dopo la disfatta di Adrianopoli contro i Goti (378), in cui l’imperatore Valente aveva perso la vita. Il giovanissimo sovrano d’Occidente Graziano se lo era associato allora come augusto per la pars Orientis. Sebbene Teodosio, a sua volta fi-

glio di un comandante dell’esercito, Teodosio il Vecchio, avesse partecipato a varie imprese militari (in particolare in Britannia e nei Balcani contro i Sarmati), la sua politica nei confronti dei Goti, una volta salito al trono, era stata piuttosto improntata alla diplomazia, avendoli dovuti accettare nel 382 come foederati intra fines (vd. infra, 21). 9.  Si tratta, rispettivamente, dell’usurpatore Massimo Magno, fattosi proclamare imperatore dalle legioni della Britannia e sconfitto da Teodosio prima a Poetovio (attuale Ptuj, in Slovenia), nella battaglia della Sava, poi ad Aquileia nel 388, nonché dell’usurpatore Flavio Eugenio, sconfitto nella battaglia del Frigido nel 394 (combattuta nei pressi dell’attuale città di Gorizia). Teodosio morirà in effetti dopo pochi mesi a Milano. 10.  Cioè ai suoi due figli Arcadio e Onorio, augusto, rispettivamente, l’uno dell’Oriente e l’altro dell’Occidente. 11.  Arcadio successe al padre all’età di diciotto anni. Di fatto, il governo dell’im-

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all’imperatore sul regno

pero d’Oriente fu inizialmente in mano al prefetto del pretorio Rufino (cfr. lettera 127). 12.  Cfr. Platone, Repubblica, 1, 343b, 345c. 13.  Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 8, 11, 1160a. 14.  Tutta questa parte, dalla parola “Ermes” in poi, ritornerà identica in Racconti egizi, 11. 15.  Ovvero la forza, la temperanza e la giustizia, che assieme alla prudenza costituiscono le quattro virtù fondamentali per Platone (vd. lettera 140). 16.  Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1, 8, 1099a, nonché Platone, Eutidemo, 281c, e Menone, 87d. 17.  Che sarà da considerarsi anche inetta, in virtù dell’intellettualismo etico di socratica memoria. 18.  Allusione al concetto pitagorico (poi platonico e stoico) della homoiosis theo, diffuso in molti panegirici e sviluppato nel IV secolo soprattutto da Eusebio di Cesarea (cfr. Garzya 1989, p. 396, n. 23; vd. anche Introduzione, 4). Il concetto sarà ripreso pure in opere di età giustinianea, come la Scheda regia di Agapeto diacono e l’anonimo dialogo Sulla scienza politica (cfr. Alvino 2019, pp. 43-65). 19.  Allusione alla teologia apofatica di Sinesio, tipica di tutto il neoplatonismo (vd. Schramm 2017, pp. 160-165; cfr. inno 2, vv. 228-230). 20.  Vd. infra, 18, e soprattutto 29. 21.  Omero, Odissea, 8, v. 500. 22.  Cfr. Platone, Repubblica, 9, 588c. 23.  Espressione proverbiale, dovuta al fatto che nelle preghiere ai vari dèi si cominciava sempre da Estia. Essa ricorre anche in Aristofane, Vespe, v. 846, e in Platone, Eutifrone, 3a. 24.  Euripide, Medea, vv. 1078-1079. 25.  Quindi Euripide. 26.  Il ricorso alle opere dei paremiografi era probabilmente un elemento importante del culto del passato (cfr. su questo Lamoureux – Aujoulat 2008a, p. 102, n. 61, i quali citano a loro volta Lacombrade 1951b, p. 46, n. 57).

839 27.  Cfr. Senofonte, Anabasi, 1, 9, 20. 28.  Sia gli opliti che i peltasti facevano

parte della fanteria, ma i primi erano dotati di armature pesanti, i secondi erano armati alla leggera. 29.  Repubblica, 2, 375a. 30.  Poseidone: Omero, Iliade, 13, v. 43. 31.  Ivi, v. 60. 32.  Ivi, v. 74. 33.  Ivi, v. 75. 34.  Ivi, 10, vv. 67-69. 35.  Ivi, 15, vv. 403-404, ma si veda anche ivi, 11, vv. 792-793. 36.  Allusione al ricorso sempre più massiccio di tradizioni orientali nel cerimoniale di corte (cfr. Garzya 1989, p. 410, n. 49). 37.  Cfr. Platone, Filebo, 21c. 38.  Come accadeva allo scopo di aumentarne il valore nominale. 39.  Cfr. Racconti egizi, 1, 14. 40.  Cfr. Omero, Odissea, 8, v. 185. 41.  Cfr. Id., Iliade, 3, v. 57, laddove Ettore augura al fratello Paride di essere lapidato per tutte le sue colpe. 42.  Si tratta del consolato, carica eponima in quanto dava il nome all’anno. 43.  Riferimento alla trabea trionfale, che l’imperatore indossava in alcune occasioni in quanto console. 44.  Si fa allusione alle campagne di Domiziano e poi di Traiano in Dacia. Cfr. Garzya 1989, pp. 414-415, n. 62: “Gli stessi territorî resultano nelle fonti abitati da genti barbare dai nomi diversi a seconda delle epoche: in Dacia i (Massa) geti di Erodoto diverranno Geti al tempo di Augusto, Daci sotto gli Antonini, poi Sarmati e Goti nei secoli tardi. Gli scrittori bizantini, per obbedire alle leggi dello stile sublime, ricorreranno ordinariamente all’appellativo più lontano, anche se non indichi alcun reale rapporto etnico”. 45.  Omero, Iliade, 9, v. 231. Sono le parole che Odisseo rivolge ad Achille per incitarlo a tornare a combattere (cfr. lettera 118). 46.  Sinesio allude a eventi accaduti circa centoventi anni prima.

840 47.  Come notato da tutti i commentatori

di Sinesio, il resoconto contiene diverse incongruenze storiche. Si fa allusione infatti a una campagna bellica dell’imperatore Carino (283-285) in Persia contro gli Arsacidi, che d’altronde non è mai avvenuta. Il contesto storico evocato da Sinesio si addice piuttosto alla vita di suo padre Caro (282-283), che in effetti invase la Mesopotamia fino a Ctesifonte, o ancora di più a quella dell’imperatore Probo (271-282). Peraltro, alla fine del terzo secolo in Persia non regnava più la dinastia degli Arsacidi, essendo già stata sostituita da quella dei Sasanidi nel 226. 48.  Omero, Odissea, 15, v. 332. 49.  Si tratta della guardia imperiale, all’epoca quasi interamente composta da Germani. 50.  L’Elogio della calvizie era già stato scritto o sarebbe stato scritto di lì a poco (cfr. Introduzione, 4). 51.  Caratteristica veste a maniche larghe (Garzya 1989, p. 420, n. 69). 52.  Allusione, forse, all’imperatore Galerio (cfr. Eutropio, 9, 25). 53.  Si tratta di Diocleziano, che, secondo il sistema da lui stesso ideato della tetrarchia, abdicò nel 305, all’età di circa sessant’anni. 54.  Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, a Roma vi fu sempre una forte diffidenza verso il titolo di rex. Anche a Bisanzio, il titolo di basileus sarà ufficialmente ripreso solo a partire da Eraclio nel 629, dopo la vittoria sui Persiani. Precedentemente, gli imperatori avevano sempre preferito il titolo di autokrator o di augoustos. 55.  Nell’Atene classica, gli autokratores erano gli strateghi insigniti del potere supremo in condizioni belliche gravi. A Pericle capitò molte volte, non sappiamo se fu lo stesso per Ificrate (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008a, p. 148, n. 103). 56.  In realtà, l’arconte re ad Atene era il secondo per importanza dopo l’arconte eponimo. Si occupava principalmente dell’organizzazione dei riti religiosi.

note ai testi

57.  Platone, Politico, 303b. 58.  Id., Fedro, 230a. 59.  Euripide, Troiane, 887-888. 60.  Cfr. Trattato sui sogni, 5. 61.  Si tratta di Agesilao II, re di Sparta

(Senofonte, Agesilao, 5, 7; 9, 1). 62.  Allusione allo sbarco in Asia Minore di Agesilao II nel 396 a.C. per combattere il gran re persiano Artaserse II e i due satrapi Farnabazo e Tissaferne. 63.  In particolare la battaglia di Coronea (394 a.C.), contro una coalizione di Ateniesi, Tebani, Argivi e Corinzi. 64.  Il generale tebano Epaminonda non sconfisse mai Agesilao II. Ebbe la meglio sull’esercito spartano a Leuttra (371 a.C.), dove, tuttavia, le armate laconiche erano condotte dal re Cleombroto. Nella successiva invasione del Peloponneso, Epaminonda giunse a cingere d’assedio Sparta, che d’altronde non capitolò proprio per merito di Agesilao II. Sconfisse definitivamente gli Spartani, pur trovando la morte, a Mantinea (362 a.C.), ma anche in questa occasione Agesilao II non era presente (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008a, p. 120, n. 114). 65.  La fonte dei due aneddoti riportati da Sinesio è ignota. 66.  Vd. supra, 9, e infra, 26, 29. 67.  Platone, Repubblica, 2, 375a-e. 68.  Sinesio prende nettamente posizione contro l’utilizzo di mercenari barbari all’interno dell’esercito. 69.  Il castigo di Tantalo più ricorrente nel mito è quello di non poter estinguere la fame e la sete, nonostante la presenza di cibi e bevande a lui vicinissimi. Esiste tuttavia anche la versione secondo la quale dovrebbe convivere con l’angoscia perenne causata da una grossa pietra appesa a un’esile corda proprio sopra la testa. 70.  È quanto era accaduto nel 395, quando Alarico era stato sconfitto da dei Tessali, e nel 399, quando Tribigildo era stato sopraffatto in Panfilia, in Asia Minore (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008a, p. 123, n. 126). 71.  Con “Sciti” Sinesio intende chiaramente i Goti (cfr. Introduzione, 4).

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all’imperatore sul regno

72.  Omero, Odissea, 17, v. 193. 73.  Si tratta della mitica figlia di Urano e

Gea, considerata la personificazione della giustizia e dell’ordine, nonché di Ares. Nonostante l’affermazione del cristianesimo come credo ufficiale di Stato, si conservavano ancora delle tracce dell’antica religione. 74.  Mantello corto di lana, tipico del mondo greco-romano. 75.  Cfr. Omero, Iliade, 2, v. 542, e soprattutto Elogio della calvizie, 1. 76.  Si tratta di un errore, poiché accadde in Campania (nel 73-71 a.C.). Molti Galli presero parte alla rivolta: questo forse spiega la svista geografica commessa da Sinesio. 77.  La fonte di questa citazione, quasi certamente poetica e ionica, non è stata identificata. 78.  Omero, Odissea, 17, v. 487. 79.  Erodoto, 1, 105. 80.  Cfr. Aristofane, Acarnesi, v. 704. 81.  Secondo lo stesso Erodoto, evocato come fonte da Sinesio (1, 15; 4, 1), furono piuttosto gli Sciti a scacciare i Cimmeri. Le donne menzionate, cioè le Amazzoni, originarie della zona del Caucaso, sono collocate dallo storico di Alicarnasso in Scizia, grosso modo nell’odierna Ucraina. Alessandro, subito dopo la morte di suo padre, distrusse una città dei Geti posta oltre il Danubio, nell’attuale Romania (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008a, p. 152, n. 152). 82.  Nel corso della crisi del terzo secolo, le incursioni dei Goti si erano spinte ben oltre il Danubio, fino all’Asia Minore (ivi, n. 153). 83.  Probabile allusione alla disfatta di Adrianopoli del 378. 84.  Attraverso i due comandanti Flavio Promoto e Geronzio, vincitori di varie tribù gote, tra cui gli Ostrogoti. 85.  Probabile allusione ai primi attacchi degli Unni nel basso Danubio.

841 86.  Sinesio si sta scusando di aver im-

piegato il termine peithananke, che non risponde al gusto atticista letterario, affermando, per giustificarsi, che le esigenze del pensiero devono prevalere su quelle della forma (cfr. Garzya 1989, p. 434, n. 99). 87.  Omero, Iliade, 8, v. 527. Per le Chere, cfr. Racconti egizi, 1, 1. 88.  Ivi, 2, v. 196. 89.  Ivi, 11, v. 654. 90.  Cfr. Racconti egizi, 1, 12. 91.  Omero, Iliade, 3, v. 277; Id., Odissea, 11, v. 109; 12, v. 323. 92.  Id., Iliade, 24, v. 770; Id., Odissea, 2, vv. 47, 234; 5, v. 12; 15, v. 152. 93.  Plutarco attribuisce in alcuni passi (ad esempio, Agide e Cleomene, 48, 3-4) questo motto ad Archidamo II, mentre in un altro (Demostene, 17, 4) all’ateniese Crobilo. 94.  Si tratta di Diogene Cinico (cfr. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri, 6, 27). 95.  Il potere dell’imperatore è legittimato dalla divinità e l’ordine politico terreno rispecchia la gerarchia celeste. Possibile allusione, in questo passo, alla dottrina delle aporroiai e delle augai formulata da Eusebio per Costantino (cfr. Garzya 1989, p. 442, n. 112). 96.  Si allude ovviamente a Dionisio I di Siracusa (430-367 a.C.). 97.  Secondo la dottrina neoplatonica dell’emanatismo. 98.  Cfr. Racconti egizi, 17, 2. 99.  Per la questione della corruzione, cfr. principalmente lettere 73 e 101. 100.  Omero, Iliade, 9, vv. 607-608. La citazione ricorrerà nel discorso A Peonio, sul dono, 1. 101.  Repubblica, 5, 473c-d. 102.  Vd. supra, 9. 103.  Democrito, frammento 145 D.-K.

842

note ai testi

Racconti egizi, sulla provvidenza 1.  Non sappiamo con certezza a chi al-

luda Sinesio. Soprattutto, non è chiaro se qui l’autore vada inteso in senso letterale o allegorico: questa incertezza ha portato la critica a dividersi e a formulare ipotesi diverse. Per alcuni, tra cui Garzya (Garzya 1989, p. 452, n. 1), deve predominare il senso letterale e si deve pensare a Flavio Tauro, prefetto del pretorio d’Italia e d’Africa, sotto Costanzo II, tra il 355 e il 361, inteso come padre di Aureliano e nonno dell’omonimo nipote citato da Sinesio nella sua lettera 31. Per Wolfgang Hagl (Hagl 1997, p. 178), invece, Sinesio parlerebbe anche nella premessa per maschere e personaggi fittizi: si dovrebbe allora riconoscere in Tauro l’imperatore Teodosio – da assimilare alla divinità egizia Api – il cui foro (a ben vedere fondato da Costantino) era detto Forum Tauri. Pare verosimile d’altra parte, sulla scorta di quanto già in parte affermato da Cameron (Cameron – Long 1993, p. 181), che Sinesio non parli ancora per allegorie nella premessa, che è da porsi, piuttosto, al di fuori del mito e che pare essere stata scritta da ultimo, a opera conclusa in entrambe le sue parti, forse anche molti anni dopo la prima stesura. 2.  Vd. infra, 1, 18. 3.  Tifone, da identificarsi probabilmente con uno dei due prefetti del pretorio Cesario o Eutichiano (vd. Introduzione, 4). 4.  Osiride, maschera probabilmente per Aureliano (ibidem). 5.  Sinesio si è certamente ispirato nel redigere quest’opera al Su Iside e Osiride di Plutarco, il quale già presentava un confronto tra le due figure mitiche di Osiride e Tifone, rappresentanti rispettivamente, in una visione del mondo rigidamente dualista, il bene e il male assoluti. A ben vedere, fin dal VI secolo a.C., con Ferecide di Siro (frammento 4 B D.-K.), il personaggio mitico egiziano Seth era stato associato in ambito greco a Tifone,

ovvero all’ultimo dei Titani, ribelle contro Zeus (cfr. Pizzone 2001, pp. 88-89). 6.  Divinità dell’ordine e della giustizia (cfr. Platone, Fedro, 248c). 7.  Propriamente sono le Chere, divinità della morte violenta. 8.  Empedocle, frammento 121.2, 4 D.K. Per Ate, vd. lettera 147. 9.  Cfr. Dione, 4. 10.  Omero, Odissea, 21, v. 294. 11.  Senofonte, Simposio, 1, 16. 12.  Omero, Iliade, 18, v. 104. 13.  Senofonte, Ciropedia, 1, 4, 25. 14.  Per la guardia dei dorifori, cfr. All’imperatore, sul regno, 16. Da compiti relativi alla sicurezza, Osiride passa a delle cariche politiche di controllo: sia la figura del praefectus urbi che una vera e propria assemblea senatoria, tradizionalmente appannaggio della città di Roma, erano state introdotte a Costantinopoli dall’imperatore Costanzo II intorno alla metà del IV secolo. 15.  Fuor di metafora, sembrerebbe la carica di comes sacrorum largitionum, del ministro delle finanze, quindi non proprio una mansione minore, sebbene sottoposta al controllo della prefettura del pretorio (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 214, n. 34). 16.  Cfr. lettera 45. 17.  Demostene, 39, 2; 40, 9. 18.  Cioè un molosso, cane da guardia ricorrente nella poesia latina (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 100, n. 40). 19.  Platone, Fedro, 238d. 20.  Dove si trovava il famoso oracolo di Apollo, noto per la sua ambiguità. 21.  Il medimno era un’unità di misura per le sostanze secche, corrispondente a circa cinquantadue litri; i ciati e i congi erano invece due unità di misura per i liquidi, corrispondenti, rispettivamente, a quattro centilitri e a 3,28 litri (l’equivalente di sei sestari: cfr. lettera 134). 22.  Cfr. Platone, Repubblica, 8, 553b.

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racconti egizi sulla provvidenza

843

23.  Cfr. Erodoto, 2, 143 ss. 24.  La geografia è alquanto modificata ri-

32.  Cfr. Platone, Menone, 76d, il quale attribuisce quest’espressione a Pindaro. Cfr. anche Platone, Fedro, 236d. 33.  Cfr. Id., Repubblica, 8, 580d-e. 34.  Questo inizio di capitolo (dalla parola “Ermes” fino a qui) riproduce alla lettera un paragrafo del discorso All’imperatore, sul regno, 7. 35.  Peitò era la divinità della persuasione. Per le Muse e le Cariti, vd. Dione, 4. 36.  Cfr. All’imperatore, sul regno, 23. 37.  Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 36d-e. Il Pritaneo era un edificio dell’Atene classica nel quale era custodito il fuoco sacro, simbolo dello Stato. L’espressione significa che Osiride permetteva di mangiare a chi ne aveva bisogno “a spese pubbliche”. 38.  Probabile riferimento all’esenzione dai pubblici oneri di curiale che Sinesio ottenne da Aureliano (vd. infra, 1, 18). 39.  Cfr. Luciano, Immagini, 13. 40.  Come i due fratelli, anche le rispettive mogli sono l’una l’opposto dell’altra (cfr. Introduzione, 4). 41.  Allusione, rispettivamente, all’Antigone di Sofocle (Creonte era lo zio della protagonista, re di Tebe) e al Telefo (mitico figlio di Eracle), tragedia oggi quasi integralmente perduta di Euripide. 42.  Si noti, per inciso, che nell’antichità anche i ruoli femminili erano interpretati a teatro da attori maschi. 43.  Questo elemento tornerà nel finale (vd. infra, 2, 8). 44.  Cfr. lettera 41. 45.  Vd. infra, 2, 7 (dove, anziché dell’armonia dello Stato, si tratta di quella dell’universo) e cfr. Trattato sui sogni, 2. 46.  Riferimento alla rivolta del goto Tribigildo in Asia Minore (400), contro cui furono inviate dalla corte di Costantinopoli le truppe, sempre gote, guidate da Gainas. 47.  In effetti, nella realtà storica, Tribigildo e Gainas erano in accordo fra di loro. 48.  Cioè gota. Cfr. Introduzione, 4, e All’imperatore, sul regno, passim. 49.  Cfr. Plutarco, Su Iside e Osiride, 26, 361b. Il riferimento è qui ai giorni nefa-

spetto alla realtà; del resto, quasi certamente Sinesio non si era mai recato nel sito in cui sorgeva l’antica Tebe (attuale Luxor). Si aggiunga anche che né gli antichi re egizi né i prefetti del pretorio erano votati (nel secondo caso, erano nominati dall’imperatore): questa pare una notevole discrepanza rispetto alla realtà (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 103, nn. 51-52). Per un’analisi dell’intera cerimonia di elezione, vd. Pizzone 2001, pp. 74-84, 175-178. 25.  Il re dimissionario, quindi, in questo caso, Tauro. 26.  A proposito delle classi sacerdotali degli Egizi, vd. Porfirio, Sull’astinenza dalle carni degli animali, 4, 8 (cfr. Elogio della calvizie, 10). 27.  Cfr. Tucidide, 3, 49, 1. 28.  La distinzione fra divinità ipercosmiche ed encosmiche (tra le quali si annoverano anche le manifestazioni visibili degli dèi, ovvero i pianeti) ricorre in quasi tutto il neoplatonismo (vd. Susanetti 1992, pp. 98-99; cfr. Trattato sui sogni, 2-3, 14; inno 1, vv. 280-283). È una distinzione, per di più, che accomuna in parte anche neoplatonici pagani e cristiani, essendo stati entrambi pronti ad ammettere l’esistenza di entità divine intermedie fra il Dio unico, immobile e perfettamente trascendente, e gli esseri umani (cfr. Dodds 1970, p. 116; Timotin 2012, pp. 141-161). Alla suprema divinità ipercosmica e alle relative ipostasi sono dedicati gli inni 1 e 2 (cfr. Introduzione, 4). 29.  Probabile allusione all’Uno (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 108, n. 64). La divinità che effonde da esso, oggetto di contemplazione da parte degli dèi, pare dunque da intendersi come l’ipostasi del Figlio. 30.  Cfr. Plotino, Enneadi, 3, 8, 4. 31.  Allusione a un rito misterico che intendeva sottolineare la superiorità della contemplazione (theoria) su qualunque altro tipo di attività (cfr. Pizzone 2007, pp. 545-546).

844 sti della saga di Iside, durante i quali la dea avrebbe versato innumerevoli lacrime nel raccogliere le membra sparse del suo sposo Osiride (in effetti, nella versione originale del mito egizio, questo sarebbe andato incontro alla morte e non all’esilio). Sinesio allude poi probabilmente a sacre rappresentazioni dello stesso mito, facenti parte del culto di Iside, che aveva assunto, a partire dall’età imperiale, dei connotati fortemente misterici (per tutto questo, vd. Pizzone 2007, pp. 541-545). 50.  Probabile riferimento a un fatto storico, d’altronde difficilmente identificabile. Hagl (Hagl 1997, p. 54) ha ipotizzato che possa trattarsi dell’incontro che vi fu tra Arcadio e Gainas a Calcedonia, posta sull’altra sponda del Bosforo rispetto a Costantinopoli. La proposta è in effetti in linea con l’ipotesi avanzata dallo studioso, secondo cui in Osiride andrebbe riconosciuto Arcadio; non si sposa, evidentemente, con l’ipotesi alternativa, che vuole piuttosto il prefetto del pretorio Aureliano in quel ruolo. D’altronde, Arcadio non subì l’esilio, né in quell’occasione né in seguito. 51.  Sulla corruzione dei governatori delle province, spesso denunciata da Sinesio, vd., in particolare, le lettere 73 e 101. 52.  Cfr. All’imperatore, sul regno, 27. 53.  Nei confronti di Osiride anche le ingiurie, e persino al cospetto di Tifone – allegoria del male assoluto –, sono mediate dalla retorica. 54.  Cfr. Senofonte, Ciropedia, 4, 1, 20. 55.  Quasi certamente in questa figura di rude filosofo provinciale andrà riconosciuto Sinesio stesso (vd. Introduzione, 4, e cfr. supra, 1, 12). 56.  Cfr. inno 7, v. 1, e inno 9, v. 5. 57.  Si tratta dunque di una profezia a breve termine. È evidente che le fiere rappresentano Tifone e gli uccelli sacri Osiride. 58.  Si tratta dell’arianesimo, bandito in effetti da Teodosio circa venti anni prima, nel 381. Arcadio avrebbe voluto concedere ai Goti, ariani (sebbene non tutte le tribù gote lo fossero: cfr. Dagron 1974, p. 466, n. 5), dei luoghi di culto, ma si scon-

note ai testi

trò con la ferma opposizione del patriarca costantinopolitano Giovanni Crisostomo. 59.  Numerose ipotesi sono state avanzate nel tentativo di sciogliere questo enigma (vd., per una sintesi, Lamoureux – Aujoulat 2008b, pp. 223-224, n. 144, e Schuol 2012, p. 140), nessuna pienamente risolutiva. La più convincente parrebbe essere quella di Roques (citato da Aujoulat, ivi, p. 224; Roques corregge parzialmente l’ipotesi già di Lacombrade: vd. Lacombrade 1946), secondo la quale il lupo starebbe a rappresentare Uldino, re degli Unni, che, poco dopo la cacciata dei Goti da Costantinopoli, uccise il “leone” Gainas e ne inviò la testa in dono ad Arcadio. In ogni caso, possiamo concordare con Tassilo Schmitt (Schmitt 2001, p. 346), che Horus ha buone probabilità di essere una maschera per Tauro, figlio di Aureliano, che avrebbe avuto a sua volta una brillante carriera politica e sul quale Sinesio pareva riporre delle speranze (cfr. lettera 31). È stato peraltro evidenziato come, nella mitologia egizia, sia il leone che il lupo siano particolarmente legati alla figura di Horus (Pizzone 2007, p. 547). Un enigma simile ricorre a ben vedere anche nell’opera plutarchea sul mito egizio, ma in quel caso al posto del lupo si ha il cavallo (Plutarco, Su Iside e Osiride, 358b-c). 60.  Vd. lettere 122 e 139. 61.  Come notato giustamente da Aujoulat (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 141, n. 150), dunque, tra i Goti vi erano anche molti civili, non solo dei militari. 62.  Quindi in qualche modo anche i cittadini erano armati (ivi, n. 151). 63.  Senofonte, Ciropedia, 1, 5, 13. 64.  Omero, Iliade, 9, v. 383. All’epoca di Sinesio Costantinopoli era ancora difesa dalle mura di Costantino, essendo stata costruita la cinta muraria detta teodosiana – che resterà inviolata per più di un millennio, fino alla conquista ottomana del 1453 – negli anni dieci del V secolo, per iniziativa del prefetto del pretorio Antemio (cfr. lettera 49), durante il regno di Teodosio II.

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racconti egizi sulla provvidenza

845

65.  Platone, Leggi, 7, 803c. 66.  Cfr. Eraclito, frammento 52 Walzer,

83.  Possibile allusione a qualche iniziazione

e Luciano, Vendita di vite all’incanto, 14. 67.  Cfr. Omero, Iliade, 23, v. 859. 68.  Ivi, v. 536. 69.  Ivi, v. 785. 70.  Ivi, v. 811. 71.  Ivi, 2, v. 768; Odissea, 11, v. 551. 72.  Ivi, v. 558. 73.  Vd. supra, 1, 18. 74.  Piuttosto che “assunto” sul piano personale. D’accordo con Hagl (Hagl 1997, pp. 144-145), riteniamo che qui Sinesio alluda alla tolleranza mostrata sul piano politico da Tifone nei confronti dell’arianesimo, piuttosto che a una sua adesione confessionale. 75.  Dietro la figura del sommo sacerdote potrebbe celarsi il patriarca Giovanni Crisostomo, come risulta immediato ipotizzare. Eppure, non si può affatto escludere Arcadio, tenendo presente che nell’impero d’Oriente – fino alla sua caduta nel XV secolo – il vertice della Chiesa fu in effetti l’imperatore. Il patriarca, inoltre, non avrebbe avuto alcun titolo per promettere il ritorno degli esiliati. 76.  Probabile allusione a una cerimonia antica; non sembra dissimulare un qualche rito cristiano (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 227, n. 172). 77.  Cfr. Eschilo, Eumenidi, v. 701. 78.  La presenza massiccia di donne (egizie e barbare) è forse spiegabile col ruolo avuto nella congiura contro Osiride dalle mogli di Tifone e del comandante scitico (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 228, n. 180). 79.  Citazione di luoghi e creature infernali; l’anima di Tifone – in perfetto accordo con il mito greco – è considerata affine a quella dei Titani e dei Giganti, ovvero di coloro che avevano osato ribellarsi all’ordine cosmico degli dèi olimpici, di cui Zeus era il sommo garante. 80.  Riferimento al mito classico dell’aldilà con forti echi neoplatonici. 81.  Cfr. lettera 137. 82.  Platone, Fedro, 249c.

misterica ottenuta dal personaggio che si cela dietro Osiride durante il suo esilio. 84.  Probabile allusione al fatto che il personaggio che si cela dietro Osiride fu console nell’anno 400. A questa altezza cronologica, il titolo di console, sebbene molto prestigioso in quanto dava ancora, appunto, il nome all’anno, non comportava più alcun potere, se non quello di organizzare i giochi. 85.  Cfr. Erodoto, 2, 171. 86.  Frammento di un autore sconosciuto. 87.  Cfr. Euripide, Baccanti. 88.  Se in Osiride si deve riconoscere Aureliano, non si è in grado di dare una spiegazione convincente a questa frase. Può tuttavia trattarsi di un’affermazione di maniera, avulsa dal preciso contesto storico (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, pp. 230-231, n. 193). 89.  La costellazione della Vergine, appunto. 90.  Arato, Fenomeni, vv. 101-105. 91.  Ivi, vv. 108-114. 92.  Ivi, v. 97. 93.  Possibile allusione al fatto che Aureliano – se davvero si nasconde questo personaggio dietro la maschera di Osiride – non ricoprì subito la carica di prefetto del pretorio dopo l’esilio. 94.  Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, v. 287. 95.  Come giustamente notato da Aujoulat (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 155, n. 199), quest’ultima affermazione risulta in totale contraddizione con quanto espresso all’inizio del primo libro (1-3). 96.  Omero, Iliade, 24, vv. 527-528. Cfr. Trattato sui sogni, 8 (vd. nota ad locum), e inno 1, v. 673. 97.  Secondo la dottrina della simpatia universale: cfr. Trattato sui sogni, 2. 98.  Esiodo, Le opere e i giorni, v. 42. La medesima citazione tornerà in apertura al Trattato sui sogni (1). 99.  Questa allegoria dell’universo come teatro era già stata introdotta (cfr. supra, 1, 13). 100.  Espressione proverbiale. 101.  Platone, Leggi, 3, 684e. 102.  Pindaro, Olimpiche, 1, vv. 33-34.

846

note ai testi

A Peonio, sul dono 1.  Ovvero quanto degli schiavi, vd. let-

tera 79. 2.  L’appellativo di filosofo. 3.  Quella degli autentici filosofi. 4.  Omero, Iliade, 9, vv. 607-608. Cfr. All’imperatore, sul regno, 29. 5.  Caronda di Catania fu un legislatore siciliano vissuto nel VI secolo a.C. 6.  Zaleuco fu un legislatore vissuto a Locri, sulla costa ionica dell’odierna Calabria, nel VII secolo a.C. 7.  Archita di Taranto, contemporaneo di Platone, fu al tempo stesso un membro della scuola pitagorica e un generale. 8.  Filolao di Crotone fu un pitagorico del V secolo a.C. 9.  Timeo di Locri fu, altrettanto, un filosofo pitagorico vissuto nel V secolo a.C. È appunto il protagonista dell’omonimo dialogo platonico. 10.  Si tenga presente, per comprendere appieno il senso di questo elenco di personaggi, l’importanza rivestita dal pensiero pitagorico e neopitagorico nel neoplatonismo. 11.  Zenone (V secolo a.C.), originario di Elea, in Sicilia, fu un membro della scuola eleatica fondata da Parmenide. È noto principalmente per i suoi paradossi, ma – stando alle fonti – fu anche un uomo politico e si oppose al tiranno della propria città. 12.  Riferimento all’Anabasi di Senofonte. 13.  Come apprendiamo dalla settima lettera di Platone, il filosofo ateniese fu assai ammirato da Dione di Siracusa (non sappiamo, a dire il vero, se ne fu anche l’“amante”, come afferma Sinesio: cfr. a questo proposito Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 177, n. 16). I due si conobbero nel corso del primo soggiorno di Platone in Sicilia, durante il quale, però, entrambi entrarono in contrasto con il tiranno di Siracusa Dionisio I. Nel corso degli altri due soggiorni del filosofo ateniese in città, il contrasto si rinnovò con

il figlio di quello, succedutogli, Dionisio II. Come accennato da Sinesio, grazie a un esercito di mercenari costituito in Grecia, Dione riuscirà a sconfiggere e a fare esiliare Dionisio II, prendendone il posto come tiranno di Siracusa; infine, però, rimarrà ucciso egli stesso. 14.  Cfr. All’imperatore, sul regno, 7, e Racconti egizi, 1, 10-11. 15.  Aggettivo ripreso da Omero, Iliade, 30, v. 39. 16.  Probabile allusione ai filosofi – per Sinesio, pseudo-filosofi – cinici, come pare di evincere anche dal successivo riferimento ai cani. 17.  Vd. lettera 79. 18.  Ipazia ovviamente. 19.  Per tutta la questione circa l’esatta determinazione dello strumento astronomico donato da Sinesio a Peonio, vd. Introduzione, 4. 20.  Si tratta della proiezione stereografica. 21.  Astronomo greco del II secolo a.C. Originario di Nicea, in Asia Minore, operò ad Alessandria e a Rodi. A lui, forse, si deve la divisione del cerchio in trecentosessanta gradi (Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 181, n. 27). 22.  Propriamente, si intende con questo termine il seguito di un dio, solitamente Dioniso (cfr., ad esempio, Elogio della calvizie, 6). Claudio Tolomeo visse nel II secolo d.C. La sua opera principale è naturalmente quella nota con il nome arabo di Almagesto, sebbene abbia redatto anche una Geografia. 23.  Nonostante che alcuni studi (Vogt – Schramm 1970) abbiano ipotizzato che Sinesio intendesse qui il presente opusculum di presentazione del dono a Peonio, ci pare molto più probabile – sulla scorta anche dei più recenti traduttori dell’opera (Garzya 1989, p. 548, n. 17, e Lamoureux – Aujoulat 2008b, pp. 234-235, n. 30) – che l’autore alludesse piuttosto a un trattato specifico, oggi perduto, dedicato allo

847

elogio della calvizie

studio di teoremi matematici applicati in campo astronomico. 24.  Cfr. lettera 143. 25.  L’autore è Tolomeo (cfr. Antologia Palatina, 9, 577). 26.  Sinesio farebbe qui confusione fra

equatore e orizzonte: cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 184, n. 33. 27.  Si intende il sole, in quanto, secondo il mito, Elio sarebbe stato generato dal titano Iperione. Cfr. inno 3, v. 20, e inno 8, v. 50.

Elogio della calvizie 1.  Gioco di parole sul soprannome “Cri-

sostomo” dato a Dione di Prusa, probabilmente nel III secolo. 2.  Si tratta di un discorso dell’oratore non altrimenti attestato, la cui autenticità – quantomeno scevra da ogni interpolazione – è stata messa in dubbio già da alcuni studiosi di fine Ottocento e inizio Novecento (vd., in particolare, von Arnim 1898, p. 155, e Lemarchand 1926, p. 33). L’intero terzo capitolo dell’Elogio della calvizie è presentato da Sinesio come una citazione diretta dell’opera di Dione, che verrà nel prosieguo sottoposta a una vera e propria operazione di critica letteraria. Non è escluso, a parere di Aujoulat (Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 29-32; ma dello stesso avviso era già Lacombrade: cfr. Lacombrade 1951a, p. 80), che si tratti dell’autentico e integrale discorso di Dione, giacché include diverse citazioni omeriche che sarebbero forse state omesse in una versione abbreviata o falsificata; citazioni, peraltro, non tutte funzionali alla successiva critica di Sinesio, che tralascia la ripresa di quelle concernenti Euforbo e Odisseo. Di opinione totalmente opposta Horáček (Horáček 2023), il quale, sulla base di considerazioni grammaticali, stilistiche e letterarie, ritiene invece che il terzo capitolo dell’Elogio della calvizie sia senza alcun dubbio una contraffazione dello stesso Sinesio. 3.  Aristofane, Acarnesi, v. 1. La citazione ricorreva anche al principio del discorso All’imperatore, sul regno. 4.  Il riferimento è a Tucidide, 2, 19-22.

5.  Omero, Iliade, 2, v. 542. Cfr. All’im-

peratore, sul regno, 20.

6.  Epicuro riteneva che gli dèi non si cu-

rassero delle faccende umane. 7.  Omero, Iliade, 6, vv. 155-205. 8.  Senofonte, Anabasi, 1, 1, 4. 9.  Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, 2, 5, 2. 10.  Sinesio inizia qui un discorso rivolto a se stesso. 11.  In occasione dei banchetti, era usuale schernire i calvi (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 313, n. 13). 12.  Omero, Odissea, 20, v. 23. 13.  Sull’intero capitolo 3, vd. supra, 1. 14.  Omero, Iliade, 2, vv. 477-479. 15.  Ivi, 1, v. 389. 16.  Ivi, v. 197. 17.  Ivi, 3, v. 284. 18.  Ivi, 22, vv. 401-402. 19.  Ivi, 17, vv. 51-52. 20.  Omero, Odissea, 16, v. 176. 21.  Ivi, 6, vv. 230-231. 22.  Omero, Iliade, 3, v. 64. 23.  Ivi, 1, v. 551. 24.  Ivi, v. 538. 25.  Ivi, 1, v. 529. 26.  Il riferimento è a Platone, Repubblica, 1, 350d, laddove il sofista Trasimaco viene confutato da Socrate e reagisce arrossendo. Se la persuasione di Trasimaco era ovvia e facile da prevedere, molto meno scontata era quella di Sinesio rispetto al discorso di Dione, che in effetti non ha avuto luogo. 27.  Alessi, frammento 236, vv. 5-6. 28.  Composizione musicale antica, di carattere alquanto austero. 29.  Si tratta di una frase proverbiale (cfr.

848 Garzya 1989, p. 616, n. 32). Sinesio intende dire che non è suo proposito limitarsi a una retorica fredda e formale (la musica dorica era definita “violenta” da Platone, Repubblica, 3, 399c), quanto piuttosto esporre un’argomentazione spontanea (la musica frigia era secondo Aristotele capace di suscitare un divino entusiasmo: Politica, 8, 5, 1340b). Per approfondire, vd. Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 314-315, n. 39. 30.  Omero, Iliade, 1, v. 189. 31.  Platone, Fedro, 253e. 32.  Il riferimento è quasi certamente al Museo di Alessandria, scampato alla distruzione del Serapeo del 391. 33.  Apollonio di Tiana, taumaturgo e mago vissuto nel I sec. d.C., la cui biografia era stata redatta da Filostrato (per quest’autore, vd. Dione, 1) nell’età dei Severi. 34.  Cfr. A Peonio, sul dono, 5. 35.  Attributo del dio e utilizzata come veste dalle Baccanti. 36.  Platone, Simposio, 215a-b. 37.  Si tratta di quelle entità proprie della filosofia stoica (riprese poi dal neoplatonismo: il concetto ricorre sia in Plotino [Enneadi, 2, 7, 11; 4, 3, 10; 5, 9, 3; 6, 3, 16] che in Porfirio [Sentenze, 16]) indicanti l’applicazione del logos immanente universale al livello individuale. Sono dunque degli archetipi, alla maniera delle idee platoniche, ma anche delle forme plasmatrici, secondo la filosofia aristotelica; soprattutto – e questo è l’apporto originale del pensiero stoico – sono dei modelli vivificanti, in quanto, appunto, manifestazioni individuali del logos universale. 38.  Eleusi è una località dell’Attica, nota nell’antichità soprattutto per il suo santuario di Demetra, nel quale si celebravano i cosiddetti misteri eleusini. 39.  Strumento agricolo atto a separare il chicco di grano dalla pula. 40.  Si allude al rito dello svelamento della testa di Demetra, che avveniva durante i misteri eleusini. 41.  Sinesio fa qui riferimento a Erodoto, 2, 36, e a Plutarco, Su Iside e Osiride, 352c-d.

note ai testi

42.  Noto scultore e architetto ateniese

vissuto nel V secolo a.C. 43.  Il riferimento è ovviamente al pianeta Giove. 44.  Aristotele, Etica Nicomachea, 1151b. 45.  Evidente allusione alla condanna di Socrate. 46.  Vd. a questo proposito Porfirio, Sull’astinenza dalle carni degli animali, 4, 8 (cfr. Racconti egizi, 1, 6). 47.  Ad Asclepio, in quanto dio guaritore, già a partire dal II secolo venne sovente accostato Serapide (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 318-319, n. 89). 48.  Località del Peloponneso nord-orientale, noto nell’antichità per il suo santuario di Asclepio. 49.  Tucidide, 1, 20, 3. 50.  Si intende l’apice della traiettoria compiuta dal sole in cielo nel giorno dell’equinozio (Horáček 2020, p. 199). 51.  Costellazione dell’emisfero australe. 52.  Horáček ha sostenuto, convincentemente, che Sinesio intendesse qui riferirsi a una cometa effettivamente osservata; per i tentativi di identificazione di questo corpo celeste vd. ivi, pp. 202-206. 53.  Cfr. ivi, p. 201. 54.  Arato, Fenomeni, vv. 259-260. 55.  Omero, Odissea, 18, vv. 354-355. 56.  Archiloco, frammento 31 West. 57.  Lo stesso argomento sarà ripreso nel Trattato sui sogni, 2. 58.  Pare di dover intendere qui delle applicazioni cicliche di crema depilatoria. 59.  L’immagine – ripresa da Platone, Timeo, 70a – ricorre anche nel Trattato sui sogni, 5. 60.  Omero, Iliade, 11, v. 256. 61.  Ivi, 16, vv. 143-144. 62.  Sia la valle di Tempe che il monte Pelio si trovano in Tessaglia. 63.  Per l’intero episodio riportato da Sinesio, cfr. Erodoto, 3, 12. 64.  Vd. Introduzione, 4. 65.  La piana di Megara, in Attica, era nota per l’argilla bianca utilizzata nella produzione di ceramiche (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 321, n. 119).

elogio della calvizie

66.  Pindaro, Olimpiche, 5, v. 23 ss.; 12, v. 19. 67.  La città di Tirea si trovava appunto

in una regione intermedia tra Sparta e Argo (per il particolare dei capelli, cfr. Erodoto, 1, 82). 68.  I Terapeuti erano un movimento religioso giudaico, caratterizzato da un forte sincretismo. La sede principale della setta si trovava ad Alessandria (su di loro si veda Filone, Sulla vita contemplativa). 69.  Località del nord dell’Assiria (attuale Arbil, nell’Iraq settentrionale). In realtà, la famosa battaglia del 331 a.C. ebbe luogo a novanta chilometri di distanza, a Gaugamela (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 322, n. 130). 70.  Si tratta del generale macedone, Tolemeo figlio di Lago, fondatore della dinastia dei Lagidi in Egitto e autore di una storia di Alessandro sul finire del IV secolo a.C. Nella prefazione della sua Anabasi (1, 1, 2), Arriano afferma in effetti che Tolemeo – alla cui opera si sta ispirando – non avrebbe potuto mentire, perché occultare la verità è più vergognoso per un sovrano di quanto non lo sia per una persona qualunque (ivi, p. 76, n. 131). L’opera storica di Tolemeo, oggi perduta, era forse ancora accessibile a Sinesio (Garzya 1989, pp. 640-641, n. 74). 71.  Il gerron era uno scudo leggero di forma oblunga, utilizzato dai Persiani e dai Babilonesi (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 322, n. 132). 72.  Regione sud-orientale dell’Anatolia. 73.  Allusione ironica alla Batracomiomachia, poemetto parodico dell’epica eroica in cui si narrava di una guerra tra i topi e le rane. 74.  Gli Achemenidi erano la dinastia reale persiana, fondata da Achemene, cui appartennero tra gli altri anche Ciro e Dario. L’allusione agli Eraclidi è basata sulla presunta discendenza di Alessandro da Eracle (cfr. Arriano, Anabasi, 4, 10, 7). 75.  Omero, Iliade, 16, vv. 70-71. 76.  Vd. supra, 3. 77.  Cfr. Omero, Iliade, 23, vv. 141-151.

849 78.  Cfr. Plutarco, Publicola, 3. La noti-

zia ricorreva probabilmente nella Vita di Socrate di Aristosseno di Taranto (frammento 54 Wehrli), filosofo e scrittore di teoria musicale vissuto nel IV secolo a.C. 79.  Cfr. Parmenide, 127b-c. 80.  Vd. supra, 3. Qui Sinesio si sta riferendo a Dione. 81.  Ibidem. 82.  Ibidem. 83.  Si tratta del Filostrato autore dell’Eroico, probabilmente il genero dell’omonimo autore delle Vite dei Sofisti. In quell’opera la statua di Ettore a Troia è descritta come calva e lo stesso eroe stigmatizza il fatto che i sovrani portino i capelli lunghi (Lamoureux – Aujoulat 2004, p.81, n. 153). 84.  Vd. supra, 3. 85.  Si intende il protagonista dell’omonimo dialogo platonico, che pretendeva di conoscere e spiegare i poemi omerici meglio di chiunque altro. 86.  Cfr. Isocrate, Contro Callimaco, 57. Vi si legge di un tale Filurgo (e non Filea) che avrebbe sottratto la maschera della Gorgone dallo scudo della statua crisoelefantina della dea Atena. L’oratore Andocide era invece rimasto coinvolto nella questione della mutilazione delle erme alla vigilia della partenza della spedizione ateniese in Sicilia, durante la guerra del Peloponneso (415 a.C.): cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 323, n. 158. 87.  Omero, Odissea, 15, v. 133. 88.  Vd. supra, 3. 89.  Secondo il mito, madre appunto di Apollo e di Artemide, avuti entrambi da Zeus. 90.  Omero, Iliade, 1, v. 36. 91.  Ivi, 6, v. 273. 92.  Ivi, 14, vv. 159-189. 93.  Ivi, vv. 212-217. 94.  Ivi, vv. 175-177. 95.  Si pensi alla statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia realizzata da Fidia, cui si ispirò lo stesso Dione Crisostomo (Orazioni, 12, 25-26): cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 323, n. 171.

850

note ai testi

96.  Omero, Iliade, 11, v. 385. 97.  Cfr. Aristofane, Nuvole, v. 1083. 98.  A proposito di Alessandro, cfr. let-

tera 52. In merito a Clistene, cfr. Aristofane, Acarnesi, v. 117 ss.; Nuvole, v. 355. Per Timarco, vd. Eschine, Contro Timarco. 99.  Cfr. lettere 43 e 45. Divinità tracia il cui culto fu introdotto ad Atene nel corso del V secolo a.C. In genere citata per il carattere orgiastico dei suoi misteri (cfr. Garzya 1989, p. 654, n. 102; Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 87, n. 179). 100.  La dea di Chio è da intendersi quasi certamente con Cotis. Gli Itifalli designano invece l’iniziazione ai misteri di Dioniso e Cotis (ivi, p. 87, n. 180; pp. 323-324, n. 181). 101.  Cfr. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri, 1, 118. Si fa riferimento all’aneddoto, poi divenuto proverbiale, di Ferecide di Siro che, colpito da una grave malattia della pelle,

mostrò di sé un solo dito a Pitagora, che si era recato presso di lui. Cfr. let­tera 117. 102.  Cfr. Metafisica, 11, 8, 1074b. Vd. anche Platone, Critone, 109d. 103.  Cfr. lettera 104 (dove il proverbio è riportato per intero). 104.  Cfr. Gorgia, 465b-c. Il retore è ovviamente Dione. Nel dialogo platonico, Socrate assimila la retorica, intesa come sofistica, all’agghindarsi. 105.  I sacerdoti del culto di Cibele (per la dea, vd. lettera 3) erano evirati e non potevano tagliarsi i capelli (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 324, n. 186). 106.  Cfr. Omero, Odissea, 3, vv. 267-268. 107.  Si noti il gioco di parole: il primo significato dell’aggettivo psilòs è infatti “calvo”. Lo stile di Dione, quindi, in quanto “senza orpelli”, è l’unico elemento encomiabile per Sinesio (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 32).

Dione, su come vivere secondo il suo modello 1.  Flavio Filostrato, autore delle Vite dei

sofisti e della Vita di Apollonio di Tiana, visse all’incirca tra la fine del II secolo e la metà del III secolo d.C. Si formò come retore ad Atene ed Efeso, per poi traferirsi a Roma, dove entrò a far parte del circolo di intellettuali costituitosi attorno alla figura dell’imperatrice Giulia Domna, moglie di Settimio Severo. 2.  Si citano qui Carneade (cfr. lettera 52) e Leone di Bisanzio, uomo politico del IV secolo a.C. che si contrappose a Filippo II di Macedonia. 3.  Eudosso di Cnido, matematico e astronomo vissuto nel IV secolo a.C., non fu affatto allievo di Aristotele, bensì di Platone e di Archita di Taranto (per questo personaggio, vd. A Peonio, sul dono, 2). 4.  Cfr. Elogio della calvizie, 1. 5.  Si tratta probabilmente di Aristocle di Pergamo, filosofo peripatetico del II

secolo d.C., allievo di Erode Attico (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 141, n. 4). 6.  Gioco tipico dei simposi: consisteva nel colpire un qualche bersaglio, in genere una bacinella, con il vino rimasto sul fondo della propria coppa (cfr. ivi, n. 5). 7.  Quindi Filostrato. 8.  Come noto, il Socrate platonico si scaglia numerose volte contro quei sofisti che pretendevano di possedere e di trasmettere la sapienza, dimostrando la fragilità delle loro asserzioni, basate sull’opinione e non sulla verità. Cfr., a questo proposito, la lettera 103. 9.  Questo discorso è perduto, così come la maggior parte delle opere di Dione citate di seguito da Sinesio. 10.  Filostrato, Vite dei sofisti, 1. 11.  Ivi, 1, 7. 12.  Ivi, 1, 8. 13.  Discorso perduto, così come il precedente. Musonio era un filosofo stoico vissuto nel I secolo d.C.

,

dione su come vivere secondo il suo modello

14.  Per l’epitaffio ai caduti pronunciato

da Pericle, vd. Tucidide, 2, 35-46, mentre per il discorso di Aspasia, vd. Platone, Menesseno, 236. 15.  Entrato in contrasto con Domiziano, Dione fu bandito dall’Italia e dalla Bitinia, sua terra natale. L’esilio ebbe termine con l’ascesa al potere di Nerva, ma era durato più di quattordici anni (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 144, n. 19). 16.  Riferimento alle celebrazioni dedicate al dio Dioniso, in cui avevano luogo rappresentazioni teatrali. Non si riscontrano attacchi a Socrate e Zenone nelle opere di Dione trasmesseci dalla tradizione, quindi l’allusione deve essere qui a discorsi per noi perduti. 17.  Come detto, il primo discorso è perduto, mentre il secondo ci è stato tramandato (si tratta dell’attuale orazione 7). 18.  Si tratta di quattro discorsi che conobbero una certa notorietà e a cui certo si ispirò Sinesio nella redazione della sua opera ad Arcadio. Tuttavia, Sinesio si ingannerebbe nel considerare l’Euboico come il seguito del quarto discorso di Dione sul regno (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 146, n. 22). 19.  Il riferimento è alla setta religiosa giudaica, la cui letteratura ci è divenuta meglio nota dopo la scoperta, intorno alla metà del secolo scorso, di antichi rotoli a Qumran. La collocazione di Sodoma è assai controversa, ma si tende piuttosto, attualmente, a situarla a sud del Mar Morto (ivi, p. 147, n. 25). 20.  Entrambi i discorsi sono perduti. 21.  Si tratta dell’orazione 48 e dell’orazione 49. 22.  Sinesio vuole qui probabilmente intendere che notevoli opere d’arte sono state composte in polemica verso la filosofia; come noto, nelle Nuvole Aristofane mette in scena una caricatura di Socrate (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 148, n. 30). 23.  Aristofane, Nuvole, vv. 149-152. 24.  Si tratta dell’orazione 46 Dindorf. Aristide confuta la critica che Platone

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aveva fatto a Milziade, Temistocle, Cimone e Pericle nel Gorgia (515d). 25.  L’Uomo di Rodi è l’attuale orazione 31, il Troiano l’orazione 11, mentre la Lode della zanzara è perduto (cfr. Garzya 1989, p. 670, n. 26). 26.  Si fa qui un uso metaforico del termine diaulon: propriamente, si intende con questa parola il percorso dello stadio in andata e ritorno. 27.  Le Cariti erano le tre dee della bellezza e della gioia di vivere, compagne delle Muse: i loro nomi, secondo la tradizione, erano Aglaia, Eufrosine e Talia ed erano considerate le figlie di Zeus ed Eurinome. Sono le divinità equivalenti delle Grazie latine. 28.  Si ha qui la definizione del termine “Elleno”: vd. Introduzione, 3. 29.  Cfr. Racconti egizi, 1, 2. 30.  Sinesio compie qui un gioco di parole pseudo-etimologico, sul modello del Cratilo di Platone: il termine Mousai deriverebbe da omoù ousai, ovvero, alla lettera, “coloro che stanno tutte insieme”. 31.  Sinesio pone al di sopra delle nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosyne, Apollo, a indicare la superiorità della filosofia su tutte le arti e le scienze (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 328, n. 43). 32.  Cioè il canto che il filosofo intona solo per se stesso e la divinità. Sulla questione dell’esclusività del sapere Sinesio tornerà nel Trattato sui sogni. 33.  Si intendono quindi i corpi sensibili. 34.  Secondo la dottrina neoplatonica dell’emanatismo. All’ultimo posto vi è il mondo materiale. 35.  Si intende qui, molto probabilmente, l’insieme degli studi propedeutici alla filosofia, inteso come un percorso circolare alla stregua del cerchio delle Muse (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 329, n. 49). 36.  Per questo concetto, cfr. Introduzione, 3. 37.  Cfr. Introduzione. 38.  Altro riferimento all’esclusività del sapere filosofico.

852 39.  Allusione all’episodio mitico in cui

Issione, re di Tessaglia, invitato a un banchetto sull’Olimpo da Zeus, cercò di concupire Era; il re degli dèi, accortosi della situazione, creò una donna da una nuvola, in tutto e per tutto identica a sua moglie e di nome Nefele. Issione si sarebbe unito a questa, generando i Centauri e andando incontro a un’atroce punizione: legato a una ruota infiammata, sarebbe stato condannato a girare in eterno. 40.  Il riferimento è all’episodio omerico già citato (vd. supra, 5), in cui Menelao riferisce a Telemaco di essere riuscito, grazie a Idotea, figlia di Proteo, a obbligare con l’inganno il vecchio a indicargli la strada per il ritorno a Sparta dopo la guerra di Troia. 41.  Come è stato notato (Munarini 2016, pp. 171-172), emerge da questo passo la tendenziale protensione di Sinesio a non svalutare integralmente l’esperienza umana e a non concepire con assoluto pessimismo l’incapacità dell’uomo incarnato di elevarsi costantemente alla contemplazione (cfr. infra, 8). 42.  È possibile che in questo passo Sinesio stia polemizzando con la ricerca, propria di Evagrio Pontico, di un’assoluta imperturbabilità dell’anima (cfr. Petkas 2020, pp. 23-24; cfr. anche Trattato sui sogni, 4). Il nostro autore ritiene piuttosto che una totale assenza di passioni non sia propria dell’essere umano, ma solo della divinità. Ai seguaci della dottrina di Evagrio (ovvero, probabilmente, gli origenisti) si contrapporranno quei monaci (i “Barbari”) che, pur tentando altrettanto di accostarsi al divino, si dimostrano consapevoli dei limiti della natura umana. 43.  Questo elemento resta oscuro, nonostante vari tentativi di spiegazione (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 330, n. 59). Con “Barbari” si devono comunque intendere i monaci cristiani, contrapposti agli “Elleni”, ovvero a coloro che sono in possesso della paideia. 44.  Omero, Iliade, 5, v. 341.

note ai testi

45.  Verso orfico che ricorre in Platone (Fedone, 69c). 46.  Come detto (vd. supra, 6), Sinesio tende a comprendere e accettare l’incapacità dell’uomo incarnato di elevarsi costantemente alla contemplazione. Per questo valuta positivamente, qui, l’applicazione del pensiero discorsivo, in qualità di più elevata alternativa alla theoria. 47.  Quello dell’anima: cfr. Platone, Repubblica, 7, 533d. 48.  Cfr. lettera 105. 49.  Allo en allo è un termine tecnico neoplatonico e designa l’essere derivato, caratterizzato dalla divisione in soggetto e oggetto, in contrapposizione all’unità inscindibile dell’Uno (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 161, n. 70). 50.  Si tratta del frammento 15 Rose. 51.  Omero, Odissea, 10, v. 166. 52.  Cfr. Trattato sui sogni, 4. 53.  All’Elleno e al Barbaro. 54.  La meta da raggiungere è talmente elevata che è già molto trovarsi sulla sua strada. 55.  Non si sa con sicurezza se qui Sinesio faccia allusione a Thamus, divino re egizio che criticò l’invenzione della scrittura da parte del dio Theuth (Platone, Fedro, 274c-e) o ad Amus, monaco cristiano fondatore, intorno al 325, del gruppo eremitico di Nitria, in Egitto (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 331, n. 75). 56.  La fenice era un uccello mitico che sarebbe rinato dalle proprie ceneri ogni cinquecento anni (cfr. Erodoto, 2, 73). 57.  Cfr. Platone, Fedone, 99d. Immagine desunta dal linguaggio marinaresco e indicante la necessità di ricorrere ai remi quando, venuto meno il vento, la nave si è arrestata. 58.  Cioè, rispettivamente, i filosofi greci e gli autori dell’Antico Testamento. 59.  Sinesio tralascia la suddivisione neoplatonica delle virtù, citando le sole virtù catartiche (cfr. Platone, Repubblica, 7, 518d). 60.  Per le quattro virtù cardinali, vd. lettera 140 e All’imperatore, sul regno, 8.

,

dione su come vivere secondo il suo modello

61.  Platone, Fedone, 67b. Cfr. lettera 41. 62.  Con questa espressione (che pure ri-

corre anche in Platone, Fedro, 235b, e in Plotino, Enneadi, 3, 7, 1) Sinesio vuole probabilmente indicare tutti i grandi filosofi che lo hanno preceduto. 63.  Vd. Introduzione, 3. 64.  Eschilo, frammento 162 Radt, v. 1. 65.  Simposio, 202a. 66.  Platone, Parmenide, 130d. 67.  Euripide, Fenicie, v. 662 ss. 68.  Cadmo era figlio di Agenore, re di Tiro (in Libano), e di Telefassa, nonché fratello di Europa. Dopo aver ucciso un drago che aveva attaccato i suoi compagni, su consiglio della dea Atena, ne seminò i denti, dai quali spuntarono degli opliti. Questi si uccisero tra di loro, tranne cinque, che aiutarono Cadmo a fondare la città di Tebe, in Grecia. 69.  Cioè facilmente. 70.  I piccoli misteri si tenevano in primavera ad Agre, sobborgo di Atene, e preparavano ai grandi misteri, che si celebravano invece in autunno, quando aveva luogo una solenne processione di canti e danze da Atene a Eleusi. Nelle varie cerimonie, la figura più importante era quella dello ierofante, che iniziava i neofiti al culto; lo ierofante era seguito, in ordine gerarchico, dal suo assistente, ovvero da colui che per primo alzava la torcia nei misteri (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 333, n. 95). 71.  Cioè la pretesa di sapere ciò che non si sa (cfr. Platone, Apologia di Socrate, 21d; Leggi, 9, 863b-d). 72.  Si intendono gli Ecatonchiri, ovvero quei mostri con cento braccia e cinquanta teste che sputavano fuoco che si rivoltarono contro Urano (loro padre) e contro Crono, sostenendo però Zeus nella lotta contro i Titani (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 169, n. 98). 73.  Possibile polemica contro alcune concezioni della Trinità: la questione è comunque dibattuta (vd. ivi, pp. 333-334, n. 99). 74.  Cioè quella dei “Barbari”, dei cristiani. Si capisce che Sinesio indirizza la

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sua polemica solo contro alcuni di loro, probabilmente dei predicatori (cfr. lettera 154, dove l’autore si riferisce a dei suoi detrattori “col mantello nero”; cfr. anche Introduzione, 4, per la discussione in merito al riconoscimento di questi personaggi criticati da Sinesio). Come chiaramente espresso nella lettera 105, l’autore avverte una profonda avversione nei confronti di certe dottrine “popolari” e di coloro che riducono a queste la speculazione filosofica (cfr. Introduzione, 3), a prescindere dalla loro adesione alla religione cristiana. Per questo stesso motivo, in precedenza (vd. supra, 10), egli non ha esitato a giustapporre al padre degli eremiti Antonio altre figure di sapienti non appartenenti al cristianesimo. 75.  Espressione tipica del linguaggio comico (cfr. Aristofane, Pace, v. 848), con rovesciamento ulteriore (di norma, “uno per tre oboli”): cfr. Garzya 1989, p. 694, n. 68. 76.  Il riferimento è ad Apollo: cfr. Platone, Fedone, 84e-85b. 77.  Secondo l’uso, comune nei processi, di limitare la durata delle arringhe cronometrandole con una clessidra ad acqua. 78.  Membro del tribunale ateniese competente in fatti di sangue. Il termine resterà utilizzato comunque anche in epoca bizantina (Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 334, n. 112). 79.  Cfr. lettera 41. 80.  Gomma prodotta da un albero omonimo. 81.  Il tema di tutta questa prima parte del capitolo è la maieutica socratica. 82.  Cfr. lettera 1. È possibile che questo passaggio – accanto a quello delle lettere – abbia ispirato Teodoro Metochita, erudito bizantino attento lettore di Sinesio, nel suo poema Raccomandazioni a Niceforo Gregora e sulle sue opere, che ai vv. 212-214 scrive: “Mi stanno molto a cuore questi libri – cari come figli partoriti a seguito di dolorose doglie – e desidero che possano conservarsi immortali, per sempre indenni”. 83.  Allusione al principio del Protagora di Platone.

854 84.  Glauco è l’interlocutore di Socrate nella Repubblica, Crizia nel Carmide, ma compare anche nel Timeo e nel Protagora. 85.  Il calzolaio Simone avrebbe redatto, stando a Diogene Laerzio (Vite e dottrine dei filosofi illustri, 2, 122), ben trentatré dialoghi basandosi sul ricordo della propria frequentazione di Socrate. 86.  Allusione al principio del Clitofonte. 87.  Riferimento al Fedro. 88.  A proposito del rapporto, assai burrascoso, di Socrate con la moglie, vd. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri, 2, 36-37. 89.  Di nuovo, riferimento al Fedro e alla palinodia pronunciata da Socrate (243e-257b) in correzione del suo primo discorso che definiva l’amore un pathos, una malattia (237b-241d). 90.  Ancora nel Fedro, nel suo secondo discorso Socrate descrive il luogo iperuranio e la Pianura della Verità (247c-248e). 91.  Cfr. Fedro, 237b. In effetti, l’identità di questo ragazzo con Fedro è discussa, sebbene il giovane non fatichi a riconoscersi in lui (243e): sulla questione, vd. Pucci – Centrone 1998, p. 143, n. 82. 92.  Omero, Iliade, 9, v. 443. 93.  Cfr. Platone, Menesseno, 235e. 94.  Si tratta del maggiore tribunale dell’Atene classica. 95.  Riferimento al Fedone, 60e-61b, in cui Socrate, in prigione, racconta di aver avuto un sogno che lo intimava di comporre dei versi. 96.  Apollo. Entrambi gli oracoli citati infatti – quello di Pito a Delfi e quello di Branchide a Didima, presso Mileto – erano apollinei. 97.  Verso anonimo. Cfr. Antologia Palatina, 9, 455. 98.  Così, piuttosto sbrigativamente, il personaggio di Pericle giustificava nelle Nuvole di Aristofane (v. 859) l’impiego di alcuni fondi pubblici. 99.  Cfr. lettera 154. 100.  Vd. infra, 17-18. 101.  La fonte pitagorica (o neopitagorica) utilizzata di qui innanzi è sconosciuta.

note ai testi

102.  Allusione alle leggi della Roma arcaica, dette delle dodici tavole. 103.  L’argomentazione di tutto il capitolo 16 risulta intricata. Sinesio si giustifica dinanzi all’accusa di non avere corretto le opere in suo possesso portando una norma di origine pitagorica. In quanto legge, questa è valida di per sé (tant’è che quegli avvocati che vincono le cause poggiando sull’evidenza delle leggi sono puerili a prendersi il merito, non avendo la loro presunta eloquenza alcun peso). Tuttavia, trattandosi di una norma che non possiede l’autorità delle leggi statali, Sinesio ammette che con il sostegno dell’eloquenza risulterà più persuasiva. Il senso di questa legge pitagorica verrà illustrato nel successivo capitolo. 104.  La geometria era uno dei primi gradini dell’apprendimento presso i pitagorici. Anche Platone (Repubblica, 7, 563d) sostiene che questa materia debba essere studiata fin dall’infanzia. Cfr. lettere 93 e 131, nonché A Peonio, sul dono, 4. 105.  Si tratta di Ermes. 106.  Platone, Teeteto, 191c-d. 107.  Id., Critone, 54d. L’immagine ricorda quella utilizzata da Niceforo Gregora nel commento al Trattato sui sogni per descrivere quelle immagini oniriche da intendersi come eco dei pensieri diurni: “La situazione è analoga a quanto osserviamo accadere sul mare, quando viene agitato dal vento del nord: quand’anche il vento sia cessato, lo scompiglio del mare persiste” (566, Monticini 2023, p. 303). 108.  I primi due furono esponenti della commedia antica, gli altri due della commedia nuova. 109.  Ossia la più lunga, quella che emetteva il suono più grave: la hypate (cfr. Trattato sui sogni, 2). L’evocazione di questa corda nel presente passo è stata intesa anche come possibile eco del nome di Ipazia (Seng 2020b, pp. 40-41), cui, come si è detto (vd. Introduzione, 4), era stata domandata l’opportunità della pubblicazione del Dione nell’epistola 154.

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trattato sui sogni

Trattato sui sogni 1.  Una traduzione del Trattato sui sogni

di Sinesio, analoga a questa eppure parzialmente differente, compare anche in Monticini 2023, pp. 67-141. 2.  Esiodo, Le opere e i giorni, v. 42. La stessa citazione torna in Racconti egizi, 2, 7. 3.  Ivi, v. 289. 4.  Omero, Iliade, 1, v. 70. 5.  Si ha qui un adattamento al contesto di ivi, 13, v. 355. 6.  Omero, Odissea, 18, v. 234. 7.  Id., Iliade, 15, v. 166. 8.  Benché Sinesio utilizzi termini simili per indicare anche le comete (cfr. Elogio della calvizie, 10), egli intende qui le meteore (vd. Aristotele, Meteorologia, 341b, e soprattutto Niceforo Gregora, 31, Monticini 2023, p. 167). 9.  Cfr. Racconti egizi, 2, 7. 10.  Cfr. Elogio della calvizie, 10. 11.  Si tiene qui presente la dottrina neoplatonica (ma di ascendenza stoica) della simpatia universale, grazie alla quale sarebbe possibile agire a distanza, sfruttando le interconnessioni tra gli esseri all’interno del cosmo. Lo stesso tema, ancora in ambito anatomico, era stato accennato nell’Elogio della calvizie, 12. 12.  Ovvero una qualche divinità encosmica (cfr. Racconti egizi, 1, 9; inno 1, vv. 280-283; vd. infra, 14). 13.  Come dimostrato da ultimo da Börje Bydén (Bydén 2014, p. 186), Sinesio ha qui in mente un sistema musicale teleion (“perfetto”), ovvero composto da quattro tetracordi sovrapposti e da un tono isolato aggiunto all’estremità più bassa (detto per questo proslambanomenos). In tale sistema, la corda chiamata hypate meson non sarà intonata con quella posta immediatamente al di sotto, alla distanza di un tono (detta lichanòs hypaton), con la quale intrattiene un rapporto epogdo (corrispondente a un intervallo di seconda), bensì con quella con cui intrattiene un rapporto epitrito (equivalente a un inter-

vallo di quarta: è il caso della corda chiamata mese), nonché con la cosiddetta nete diezeugmenon, dalla quale è separata da un intervallo di ottava (vd. su questo anche Susanetti 1992, pp. 100-101). 14.  Secondo il grande studioso di geometria Pappo di Alessandria (III-IV secolo), Archimede avrebbe affermato “Dammi un punto d’appoggio e muoverò la terra”, una volta scoperto il principio della leva. 15.  Riferimento alle divinità ipercosmiche (cfr. Racconti egizi, 1, 9; inno 1, vv. 280-283). 16.  Omero, Iliade, 15, v. 106. 17.  Riferimento ai decreti teodosiani, vd. Introduzione, 1. 18.  Cioè l’evidenza delle percezioni presenti. 19.  Cioè “l’ambiguo”. Il vaticinatore pitico è ovviamente l’oracolo di Apollo a Delfi. 20.  La Pizia, interrogata dagli Ateniesi sulla condotta da tenere in occasione dell’invasione di Serse nel corso della seconda guerra persiana, rispose che sarebbero stati tratti in salvo da un muro di legno. Solo Temistocle comprese il significato dell’oracolo e fece trasferire tutti gli abitanti di Atene su delle navi (l’episodio è narrato da Erodoto, 7, 141-143, e da Plutarco, Temistocle, 10). 21.  Cfr. Platone, Parmenide, 132b. 22.  Sinesio fa ricorso al linguaggio della matematica per dimostrare il legame che a suo dire l’anima intratterrebbe con il divenire. Egli sfrutta dunque le proprietà delle proporzioni illustrate nel quinto libro degli Elementi di Euclide, in particolare quella del permutare, che permette di mantenere intatta la verità dell’enunciato invertendo fra di loro i due termini mediani della proporzione. In breve, A : B = C : D e A : C = B : D esprimono, secondo questa proprietà, la stessa verità. Se dunque l’enunciato di partenza è che il rapporto fra intelletto e anima è il medesimo che intercorre fra essere e divenire,

856 sarà altrettanto vero che il rapporto fra intelletto ed essere sarà identico a quello fra anima e divenire. 23.  L’immaginazione si colloca dunque a un livello ontologico intermedio fra anima e corpo materiale. Il passo risente di Platone, Timeo, 71b-e, in cui si spiega che le immagini oniriche non sarebbero null’altro che il prodotto della riflessione dell’anima razionale, ubicata nella testa, nel fegato, sede dell’anima appetitiva. 24.  Facoltà propria dell’intelletto secondo Niceforo Gregora (105, Monticini 2023, p. 201). La stessa ricorre anche in Dione, 8. 25.  Secondo Niceforo Gregora (125, Monticini 2023, p. 205), si tratterebbe di un’allusione all’incontro di Esiodo con le Muse sul monte Elicona, narrato all’inizio della Teogonia. D’altra parte, Esiodo non fa alcun riferimento a un sogno e Sinesio specifica che si tratta di un episodio avvenuto alla sua epoca (cfr. su questo Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 339, n. 40, dove si ipotizza che Sinesio possa fare allusione a se stesso). 26.  Si è proposto di riconoscere qui una polemica nei confronti delle dottrine di Evagrio Pontico, estremamente critiche nei confronti della capacità immaginativa dell’anima umana. Seguaci di queste dottrine erano gli origenisti, forse da riconoscere nei detrattori di Sinesio “con il mantello nero” (Pizzone 2012; Petkas 2020, p. 23; cfr. Introduzione, 4; Dione, 6). 27.  Oracoli Caldaici, frammento 118. 28.  Ivi, frammento 107. 29.  Cfr. All’imperatore, sul regno, 17. 30.  Vd. Introduzione, 4. 31.  Riferimento a Platone, Timeo, 70a; cfr. Elogio della calvizie, 12. 32.  Platone, Fedro, 250c. Si intende il corpo materiale. 33.  Si tratta di Platone: cfr. Leggi, 653a. 34.  Frammento 22 B 118 D.-K. 35.  Cioè, propriamente, un percorso dello stadio in andata e ritorno: si trattava di una disciplina olimpica (vd. Susanetti 1992, p. 132, n. 70). 36.  Oracoli Caldaici, frammento 163.

note ai testi

37.  Ovvero del mondo materiale. 38.  Riferimento al mito di Er (Platone,

Repubblica, 10, 614a-621d). Le anime si disseterebbero a questa fonte dell’oblio dopo la morte del corpo per dimenticare la loro vita terrena. Questo, tuttavia, le indurrebbe a reincarnarsi di nuovo: per questo Sinesio la intende come metafora delle lusinghe della materia, da rifuggire assolutamente (dello stesso avviso Macrobio: Commento al Sogno di Scipione, 1, 12, 10-11). L’acqua del Lete tornerà ovviamente anche in Dante (che lo chiamerà Letè: Commedia, Purgatorio, 28, v. 31). 39.  Vd. inno 1, vv. 571-576. 40.  Con questa espressione – utilizzata anche nella lettera 5 – Sinesio intende la legge immutabile del fato (Niceforo Gregora, nella glossa 319, Monticini 2023, p. 247, chiosa con “destino”). Propriamente, si tratta di una divinità di origine tracio-frigia venerata anche ad Atene. Plotino (Enneadi, 3, 2, 12), con ogni probabilità sotto l’influsso di Platone (Fedro, 248c), pone Adrastea a capo dell’ordine delle incarnazioni. 41.  Allusione, ovviamente, alle dodici fatiche di Eracle. Pare improbabile che qui Sinesio intenda con “discorsi sacri” gli Oracoli Caldaici, anche perché nei frammenti che ci sono giunti non si riscontra alcuna allusione al figlio di Alcmena (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 342, n. 69). Sulla scorta del commento di Niceforo Gregora (345, Monticini 2023, pp. 251, 253) possiamo forse ipotizzare che Sinesio intenda semplicemente il contenuto filosofico del mito, al di là delle sue apparenze fiabesche (così Niceforo Gregora: “Si tratta di discorsi sacri che sembrano mitici, ma che in realtà sono misterici e più divini”). 42.  Omero, Iliade, 24, vv. 527-531: “Due giare sono piantate sulla soglia di Zeus, piene di doni/ che egli largisce, l’una di mali, l’altra di beni:/ l’uomo cui dà mescolando Zeus che gode del fulmine,/ s’imbatte ora in un male, altra volta in un bene;/ ma colui cui dà soltanto sciagure,

trattato sui sogni

lo fa miserabile”. Il riferimento torna anche in Racconti egizi, 2, 6, e inno 1, v. 673. È interessante soprattutto il primo caso, perché Sinesio entra in contraddizione: nei Racconti egizi, infatti, si ammette l’esistenza del bene puro, incarnato dal personaggio di Osiride. Per le varie interpretazioni e riprese del passo iliadico precedenti e posteriori a Sinesio, vd. Pizzone 2006, pp. 125-151. 43.  Oracoli Caldaici, frammento 158. 44.  Si intende l’etere, che si credeva superiore ai quattro elementi (cfr. inno 5). 45.  Di nuovo, si intenda etereo. 46.  Si tratta dello spirito (pneuma). 47.  Il termine ha dato adito a numerose correzioni testuali e interpretazioni (vd. a questo proposito Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 343-344, n. 81). Si intende quasi certamente, comunque (sulla scorta anche di Niceforo Gregora: 428, Monticini 2023, p. 273), la natura dei demoni. 48.  Il tripode dal quale la Pizia a Delfi emetteva i suoi oracoli. 49.  Cfr. Plotino, Enneadi, 4, 8, 8 (l’espressione proverbiale torna anche nella lettera 41). 50.  Divinità egizia assimilata a Zeus a partire dall’età ellenistica. Al suo oracolo, che si trovava nell’odierna oasi di Siwah (cfr. lettera 5), si recò anche Alessandro Magno durante la conquista dell’Egitto. 51.  Omero, Odissea, 4, vv. 750-752. Sinesio ha parzialmente modificato il testo omerico. 52.  Si intendono i comandanti delle triremi, che, dovendo disporre delle finanze per equipaggiare queste navi da guerra, erano scelti tra i cittadini più abbienti (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, p. 344, n. 88). 53.  Omero, Odissea, 1, v. 24. Iperione era il titano padre di Elio: si intende il sole (cfr. A Peonio, sul dono, 5). 54.  Ripresa della divisione sociale dell’Atene classica, istituita da Solone. Propriamente, i cittadini di prima classe sono indicati da Sinesio come pentacosiomedimni, ovvero coloro che ricavavano an-

857 nualmente dalle loro terre beni pari a cinquecento medimni (per questa unità di misura vd. Racconti egizi, n. 21) o disponevano di ricchezze equivalenti; i cittadini di seconda classe erano i cavalieri, che raccoglievano almeno trecento medimni; terzi gli zeugiti, che arrivavano fino a duecento medimni; al di sotto, vi era la quarta e ultima classe, quella dei teti (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2004, pp. 344-345, n. 92). 55.  Ovvero, tra una persona di nobile stirpe e uno schiavo. Gli Eteobutadi erano nell’Atene classica una famiglia consacrata al culto di Atena Poliàs, mentre Mane era un nome orientale, tipico di persone considerate incolte (cfr. ivi, p. 291, n. 93). 56.  Elenco dei luoghi più usuali in cui si trovavano gli oracoli. Niceforo Gregora, nel proprio commento, fa un esempio per ciascun caso, citando, rispettivamente, la fonte Castalia, la rupe di Delfi e la grotta di Trofonio (521, Monticini 2023, pp. 291, 293). 57.  Proverbio di cui non è nota l’origine. 58.  Si ha qui un riferimento alle persecuzioni di maghi e indovini, iniziate prima dell’emanazione dei decreti teodosiani, con una legge di Costanzo II del 25 gennaio 357 (Codice teodosiano, 9, 16, 5). 59.  Cfr. Sofocle, frammento 948 Radt. 60.  Prometeo, figlio di Giapeto e di Climene, era secondo il mito il titano creatore del genere umano, a cui avrebbe fatto anche dono del fuoco. Egli avrebbe rinchiuso in un vaso tutti i mali che potevano affliggere la sua creatura. Pandora, la prima donna creata da Efesto su ordine di Zeus – che si contrapponeva a Prometeo – lo avrebbe aperto per pura curiosità, liberandoli. Sul fondo del vaso, tuttavia, Prometeo aveva riposto la speranza (cfr. Catastasi maggiore, 5). 61.  Pindaro, frammento 214 Snell – Maehler. Il passo è citato anche da Platone (Repubblica, 1, 330e-331a), sebbene con una differenza testuale: se in Sinesio si

858 legge il termine kourotrophos, il filosofo ateniese riporta la lezione gerotrophos. 62.  Cioè quella dei sogni veritieri, contrapposta a quella d’avorio, attraverso cui la tradizione faceva passare i sogni ingannatori. Il riferimento è a Omero, Odissea, 19, vv. 562-567. Per le numerose interpretazioni, perlopiù di età bizantina, di questa ripresa sinesiana di Omero, vd. Pizzone 2006, pp. 151-167. 63.  Omero, Odissea, 19, v. 548. 64.  Ivi, 9, v. 19. 65.  Omero, Iliade, 2, vv. 28-29 (la traduzione del termine pansydie è nostra). Cfr. Pizzone 2006, pp. 167-178. 66.  Sinesio intende qui ovviamente le città della Pentapoli, che, per il tramite dei loro rappresentanti riuniti nel consiglio provinciale, lo avevano inviato in ambasceria a Costantinopoli (vd. Introduzione, 1-2). 67.  Riferimento al discorso pronunciato ad Arcadio (All’imperatore, sul regno) in occasione della missione diplomatica nella capitale dell’impero. 68.  Cfr. Racconti egizi, 1, 9; inno 1, vv. 280-283; vd. supra, 2. 69.  La ripartizione tra sogni manifesti e sogni enigmatici affonda le sue radici nell’antichità. Già nell’Antico Testamento (Numeri, 12, 6-8) i sogni, in quanto immagini spesso ambigue e oscure, sono considerati inferiori rispetto alle rivelazioni dirette inviate da Dio a Mosè. La ripartizione, anche semantica, dei sogni raggiungerà la sua massima complessità con Macrobio (Commento al Sogno di Scipione, 1, 3, 1-10), che ne proporrà cinque categorie: insomnium, visum, oraculum, visio, somnium. Se nel primo caso il sogno non reca alcun messaggio, nel secondo, terzo e quarto caso ne apporta uno manifesto, mentre nel quinto uno ambiguo, che necessita di interpretazione. Nel suo commento a Sinesio (566, Monticini 2023, pp. 303, 305), Niceforo Gregora riproporrà questa suddivisione in lingua greca, rifacendosi probabilmente

note ai testi

alla traduzione di Macrobio approntata da Massimo Planude. 70.  Quindi forma e materia. 71.  Teoria filosofica alquanto complessa, che si rifà al contempo a Epicuro (a sua volta debitore di Democrito: vd. in particolare Lettera a Erodoto, 46-51) e ad Aristotele (vd. soprattutto Metafisica, 8). Gli oggetti materiali, in quanto “sinolo” di forma e materia, partecipano dell’essere ma non possiedono la stabilità che è propria delle sole entità eteree; per questo, vagano nel divenire e finiscono per imprimersi nello spirito immaginativo dell’uomo. D’altronde, anche lo spirito è un simulacro (eidolon) e il simile attira sempre il simile. Per di più, il divenire, in quanto opposto all’essere, contiene in sé tutte le dimensioni temporali, compreso il futuro; i simulacri che si staccano dagli oggetti materiali possono quindi appartenere a quello che è stato, a quello che è e a quello che sarà (in quest’ultimo caso, come specifica Sinesio, i simulacri saranno più ambigui e difficili da discernere). 72.  Si tratta del corpo materiale, quello che in precedenza (vd. supra, 6), e sulla scorta di Platone, ha definito anche “guscio d’ostrica”. 73.  Cioè il più prossimo all’immaterialità, ovvero lo spirito immaginativo. 74.  Arato, Fenomeni, vv. 813-817. 75.  Cfr. Aristotele, Metafisica, 980a-b. 76.  Sinesio sta qui polemizzando con gli autori dei testi di oniromantica – in primis, forse, Artemidoro di Daldi –, che pretendevano di fornire delle interpretazioni universalmente valide alle immagini oniriche. Secondo Sinesio, si tratterebbe di un’operazione impossibile, in quanto i sogni non sono prodotti del corpo materiale (in tal caso sarebbe ammissibile una regola generale), ma dello spirito immaginativo, che differisce da persona a persona e da momento a momento in base al suo grado di maggiore o minore materialità (cfr., su questo punto, Niceforo Gregora, 685, Monticini 2023, p. 339).

trattato sui sogni

77.  Versi di un autore sconosciuto, in-

clusi tra i frammenti di dubbia origine caldaica (frammento 218). 78.  Cfr. Platone, Timeo, 41d, 42b. 79.  Quindi da uno spirito corrotto. 80.  Riferimento al tempo stesso ironico e polemico a due celebri indovini del mito. Femonoe sarebbe stata figlia di Apollo e prima sacerdotessa di Delfi. Melampo invece avrebbe avuto delle straordinarie virtù mediche. 81.  Quindi il simulacro di un evento futuro, secondo la teoria esposta prima (vd. supra, 15). Cfr. Niceforo Gregora, 727, Monticini 2023, p. 347. 82.  Cioè “diari diurni”. 83.  Neologismo di Sinesio fondato su “efemeridi”: sono quindi dei “diari notturni”. Questa proposta dell’autore pare quasi anticipare una pratica piuttosto diffusa nel corso del Novecento: si pensi ad Arthur Schnitzler, Theodor Wiesengrund Adorno, Federico Fellini (vd. Curi 2021, pp. 127-128, 131-137). 84.  La diurna e la notturna. 85.  Si tratta di Filostrato, che attribuisce la redazione di “efemeridi” a Elio Aristide (Vite dei sofisti, 2, 9, 1). 86.  Come ben spiegato da Niceforo Gregora (vd. soprattutto lo scolio 766, Monticini 2023, p. 357), l’immaginazione mette alla prova l’essere umano, proponendogli sotto forma di immagini delle trasgressioni che nella veglia quello è certo di respingere. 87.  Un esempio simile di sogno doppio lo si ritrova in un romanzo cinese del XVIII secolo, Il sogno della camera rossa: il giovane protagonista, Pao Yu, sogna in effetti di incontrare se stesso che dorme e che a sua volta sta facendo quel sogno, in una sorta di mise en abyme (cfr. Guidorizzi 2013, pp. 108-109). 88.  Gli Aloadi erano i due giganti Oto ed Efialte, figli di Ifimedia e Poseidone,

859 che tentarono di ascendere al cielo ponendo il monte Pelio sul monte Ossa (cfr. Omero, Odissea, 11, vv. 305-320). 89.  Vd. supra, 8. 90.  Il passo sembra fare il paio con quanto detto sopra (16) in merito al promontorio come segno della presenza, subito al di là, di una città (come ben sottolineato da Russell – Nesselrath 2014, p. 67, n. 135). 91.  Omero, Odissea, 7, v. 201; 16, v. 161. 92.  Così Platone (Fedro, 247a; Timeo, 29e; Repubblica, 10, 617e), a confutare l’antica convinzione che gli dèi fossero invidiosi degli uomini troppo felici, determinandone la successiva sventura. 93.  Milziade fu il generale ateniese vincitore dei Persiani nella battaglia di Maratona (490 a.C.) durante la prima guerra persiana. Cimone, suo figlio, fu invece protagonista della seconda guerra persiana, combattendo a Salamina (480 a.C.); ebbe anche un ruolo importante nella costituzione dell’impero marittimo ateniese. È probabile che vi sia qui un riferimento implicito all’orazione In difesa dei quattro di Aristide, come si ricava da una glossa del commento di Niceforo Gregora (817, Monticini 2023, p. 367). L’opera aristidea è dedicata alla difesa di quattro personaggi ateniesi attaccati da Platone nel Gorgia (503c-d), fra i quali figurano in effetti anche Milziade e Cimone (gli altri sono Pericle e Temistocle). 94.  Secondo Niceforo Gregora (826, Monticini 2023, p. 369) si tratterebbe di un’allusione a Libanio. 95.  Antica disciplina di combattimento, che includeva sia la lotta che il pugilato. 96.  Entrambi questi poeti, in effetti, riportarono nei loro componimenti degli elementi autobiografici. 97.  Cfr. Niceforo Gregora, 836, Monticini 2023, p. 371.

860

note ai testi

Catastasi 1.  Riferimento al concilio provinciale di-

nanzi al quale Sinesio sta pronunciando il suo discorso (cfr. Introduzione, 1, 4). Come giustamente notato da Roques (Roques 1987, p. 370), l’autore parla certamente in veste di vescovo, ma non perde il punto di vista del curiale. 2.  Sinesio sta alludendo al governatore militare Anisio e ai suoi uomini. 3.  Cioè che nutriamo con l’imposta annonaria (cfr. lettera 125). 4.  Cfr. lettera 78. 5.  Allusione a dei cittadini della Pentapoli resi schiavi dai Barbari. 6.  Cfr. Omero, Odissea, 11, v. 136, e Pindaro, Nemee, 7, v. 146. 7.  Cioè il concistoro. Cfr. Catastasi minore, 3. Non sappiamo se Sinesio si stia – retoricamente – riferendo a un interlocutore generico o a una persona ben precisa (vd. infra, 6). Ad ogni modo, questo discorso, come il precedente, fu pronunciato in seno a un concilio provinciale (cfr. Introduzione, 1, 4). 8.  Prefetto del pretorio dell’Oriente (ibidem). 9.  Cioè di tentativi di usurpazione: probabile riferimento alla guerra civile fra Teodosio e Flavio Eugenio, culminata nella battaglia del Frigido del 394 (Roques 1987, p. 219). 10.  Alla lettera “da ieri e l’altro ieri”: cfr. Settanta, Genesi, 31, 2. Un’espressione analoga torna anche in apertura alla lettera 133. 11.  Cioè fin dal 405, anno d’inizio delle ostilità contro Maceti e Ausuriani (Sinesio sta pronunciando questo discorso nel 411). 12.  Vd. Catastasi minore e lettera 78. 13.  Cfr. lettere 130 e 131. 14.  Cfr. lettere 41 e 42. 15.  Cfr. lettera 110. 16.  La minaccia, in effetti, gravava ormai anche sull’Egitto (Roques 1987, pp. 271-272).

17.  Citazione di un autore sconosciuto. 18.  Cfr. Omero, Iliade, 13, v. 775, e Odis-

sea, 20, v. 135.

19.  Si tratta del successore di Anisio, In-

nocenzio. 20.  La pianura di Barca si trovava a circa quindici chilometri a sud di Tolemaide, in una zona molto fertile (Roques 1987, p. 66). La città di Barca (attuale Al-Marj; all’epoca solo un raggruppamento di villaggi di contadini) divenne il capoluogo della Cirenaica – dando peraltro il nome all’intera provincia – durante il periodo arabo (ivi, p. 106). 21.  L’Ampelitide probabilmente era una zona posta subito al di sotto di Cirene, procedendo verso il mare. Forse il nome era legato alla coltura della vite (ivi, pp. 105-106). 22.  Probabile espressione proverbiale. Citera (o Cerigo) è un’isola posta a sud del Peloponneso. Per la questione dell’identificazione dell’isola in questo passo, vd. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 240, n. 20. 23.  Eschilo, Agamennone, v. 1282, e Coefore, v. 1042. 24.  Vd. Introduzione, 1, e cfr. lettera 41. 25.  Allusione al mitico vaso di Pandora: contenente ogni male, una volta aperto aveva reso il mondo un luogo terribile e desolato, fino a che non fu fatta uscire anche la speranza, rimasta sul suo fondo (Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 90-99; cfr. Trattato sui sogni, 13). 26.  Vd. lettera 11. 27.  Per le cavallette, cfr. lettere 41 e 42. Le tre città sono probabilmente Cirene, Tolemaide e Teuchira (cfr. Roques 1987, p. 37). 28.  Probabile riferimento alla polvere, definita “muto annunciatore dell’esercito” da Eschilo (Supplici, v. 180, e Sette contro Tebe, v. 81). 29.  Espressione riferita a Pitagora da Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi illustri, 8, 22.

omelie

- inni

861

30.  Non sappiamo chi sia questo perso-

naggio. È stata avanzata l’ipotesi che possa trattarsi della persona cui si riferisce Si-

nesio in questo discorso, nel caso in cui l’interlocutore non sia generico (vd. Roques 1987, p. 165).

Omelie 1.  Si intende il digiuno della Quare-

sima (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 188, n. 2). 2.  Sinesio si sta qui probabilmente riferendo a ciascun fedele. 3.  In perfetta coerenza con il pensiero neoplatonico (cfr. Lamoureux – Aujoulat 2008b, p. 188, n. 3). 4.  Salmi, 2, 11 (con alcune modifiche: è probabile che Sinesio citasse a memoria). 5.  Ivi, 74, 9. 6.  Allusione a Vangelo secondo Matteo, 22, 2-10; 25, 1-13.

7.  Di nuovo, elemento tipicamente ne-

oplatonico.

8.  Cioè Cristo, inviato dal Padre. 9.  Cfr. Isidoro di Pelusio, Lettere, 5, 281.

L’omelia parrebbe mutila, non risultando conclusa l’esegesi del salmo. 10.  Si tratta della notte che precede la Pasqua; Sinesio si sta rivolgendo ai neobattezzati (cfr. Introduzione, 4). 11.  Cfr. Paolo, Lettera ai Filippesi, 3, 20. 12.  Città del delta del Nilo. In merito a questa seconda parte della seconda omelia, vd. Introduzione, 4.

Inni 1.  Cfr. lettera 148. 2.  Il serpente dell’Apocalisse (12, 3) è de-

finito da Paolo (Lettere agli Efesini, 2, 1) “signore della potenza dell’aria”. 3.  La forma del Padre, che per prima risplende, è ovviamente il Figlio. 4.  Allusioni alla dottrina neoplatonica della simpatia universale (secondo cui la singolarità divina, per il tramite dell’anima del mondo, permeerebbe l’intero universo) ricorrono nei Racconti egizi, 2, 7, e, soprattutto, nel Trattato sui sogni, 2. 5.  Si tratta dello Spirito Santo. 6.  Ulteriore riferimento a divinità encosmiche e ipercosmiche (cfr. Racconti egizi, 1, 9; Trattato sui sogni, 2-3, 14). 7.  Cfr. Oracoli Caldaici, frammento 65, v.2; 66; 110, v. 1. 8.  Verso ametrico (Garzya 1989, p. 749, n. 29). 9.  Cfr. Giamblico, Misteri degli Egizi, 5, 12. 10.  Allusione al soggiorno costantinopolitano dell’autore (cfr. lettera 61).

11.  Divinità intermedie tra il Dio su-

premo e gli esseri umani. 12.  Del Bosforo. 13.  Cfr. Trattato sui sogni, 8. 14.  Cfr. inno 9, v. 100 ss. 15.  Cfr. Oracoli Caldaici, frammento 66. 16.  Si ha qui la sicura caduta di un verso (per i tentativi di integrazione, vd. Garzya 1989, p. 756, n. 44). 17.  Cfr. Omero, Iliade, 24, vv. 527-528. L’immagine delle due giare di Zeus ricorre anche in Racconti egizi, 2, 6, e nel Trattato sui sogni, 8 (vd. nota ad locum). 18.  Cfr. lettera 5. 19.  La metà materiale dell’universo: cfr. infra, v. 214. 20.  Per indicare lo Spirito Santo Sinesio non ricorre al consueto termine pneuma, che d’altronde nel neoplatonismo aveva un significato ben preciso (vd. a questo proposito Di Pasquale Barbanti 1998 e Tanaseanu-Döbler 2014), ma a pnoia (cfr. Seng 1996, pp. 284-285), che peraltro è femminile.

862 21.  Madre del Figlio (poiché attraverso

lo Spirito il Padre ha generato il Figlio), figlia del Padre (poiché da questo effusasi) e sorella del Figlio, giacché entrambi creati dal Padre. Si confronti con la lettera 16, indirizzata a Ipazia: “mia madre, mia sorella, mia maestra”. 22.  Secondo la cosmologia tolemaico-aristotelica, Sinesio contrappone l’ottavo cielo delle stelle fisse ai cieli dei sette pianeti (ovvero dei sette corpi celesti “erranti”: partendo dalla terra, luna, Mercurio, Venere, sole, Marte, Giove e Saturno). Si riteneva che la sfera delle stelle fisse ruotasse in antitesi rispetto alle sette sfere dei pianeti per effetto di una nona sfera detta anastros (vd. infra, inno 5, vv. 17-18). 23.  Vd. supra, v. 79. 24.  Emerge qui con chiarezza la teologia negativa, o apofatica (di ascendenza plotiniana, ma già medioplatonica), in virtù della quale Sinesio ritiene di non poter descrivere positivamente il Padre-Uno, che può essere accostato, di fatto, solo per metafore (Di Pasquale Barbanti 2008, pp. 423-426). Cfr. All’imperatore, sul regno, 9. 25.  Immagine mitologica (l’allusione è ovviamente a Cerbero: cfr. inno 8, v. 21) per indicare il demone della materia. 26.  Al cattivo demone della materia si contrappone il buon demone, o angelo: si tratta, di nuovo (vd. inno 1, v. 460), di divinità intermedie tra il Dio supremo e gli esseri umani (utilizzate qui essenzialmente in funzione allegorica). 27.  Riferimento alla partenogenesi. 28.  Si tratta del sole: vd. infra, inno 8, v. 50, e A Peonio, sul dono, 5. 29.  Epiteto della dea Iside – madre del toro Api – cui si tributava, nel mondo greco-romano, un culto lunare, in opposizione a quello solare di Serapide (vd. infra, inno 8, v. 46). 30.  Come altrove (in particolare lettera 41 e Catastasi maggiore, 5), Sinesio fa risalire le proprie origini ai fondatori spartani di Cirene (cfr. Introduzione, 1).

note ai testi

31.  Sinesio si rivolge al Figlio, affinché,

in accordo col Padre, possa trasmettergli lo Spirito Santo. 32.  Si tratta dello Spirito Santo. 33.  Ovvero l’intelletto intermedio e i frutti del parto del Padre (quindi lo Spirito Santo e il Figlio). 34.  Secondo il sistema geocentrico tolemaico-aristotelico, il mondo sublunare, centro dell’universo, sarebbe composto, oltre che dalla terra (che è l’elemento più pesante), dalle sfere degli altri elementi che compongono la materia, ovvero, in ordine ascendente, acqua, aria e fuoco. Oltre la sfera del fuoco si avrebbe allora la prima sfera celeste, quella della luna, composta – così come tutte le altre – di etere. 35.  Si tratta della sfera anastros, concepita da Ipparco e accettata da Tolomeo per spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi: si tratterebbe di una nona sfera in grado di imprimere all’ottava un movimento retrogrado rispetto a quelle dei pianeti (cfr. Garzya 1989, pp. 778-779, n. 3). 36.  L’aggettivo sottolinea la sua eternità. 37.  Per cosmo sovrano si intende l’empireo, ovvero quell’universo puramente intellettuale posto al di sopra della nona sfera. 38.  Ovvero Gerusalemme. 39.  Cfr. Vangelo secondo Matteo, 2, 1-12. 40.  Ripresa parziale del v. 17: Sinesio vuole celebrare Cristo, che, Dio di vita, è passato anche attraverso la morte (cfr. Lacombrade 1978, p. 87, n. 1). 41.  Riferimento alla discesa agli inferi di Cristo, presentato come un nuovo Eracle (Garzya 1989, p. 783, n. 5): cfr. inno 8, v. 16 ss. 42.  Proprio sulla base di questo verso Maas ha convincentemente immaginato che il padre di Sinesio si chiamasse Esichio: vd. Introduzione, 2. 43.  Per la famiglia di Sinesio e per il suo matrimonio, vd. ibidem. 44.  Gerusalemme (cfr. inno 6, v. 4). 45.  Per la discesa di Cristo agli inferi, vd. supra, inno 6, v. 39.

inni

46.  Cerbero. Nell’inno 2 (v. 246) simbo-

leggiava il demone della materia. 47.  Il verso è corrotto: vd. Garzya 1989, pp. 788-789, n. 3. 48.  Canto corale per i vincitori negli agoni nella Grecia classica. 49.  Si tratta di Venere. In effetti, secondo il mito, la dea Afrodite sarebbe nata dalle acque dell’isola di Citera (cfr. Catastasi maggiore, 4). 50.  La luna, nuovamente accompagnata da un epiteto che rinvia al suo corno (vd. supra, inno 3, v. 22). 51.  Cioè il sole: vd. supra, inno 3, v. 20, e A Peonio, sul dono, 5. 52.  Cfr. Oracoli Caldaici, frammento 16.

863 53.  Teo, città greca d’Asia Minore, era

la patria di Anacreonte, mentre l’isola di Lesbo era quella di Alceo e Saffo: Sinesio contrappone la propria lirica a quella di questi antichi poeti. 54.  Cfr. Anacreonte, frammento 34 West, vv. 1-3. 55.  La Trinità. 56.  Cfr., in particolare, lettera 137. 57.  In contrapposizione alle “canute” ali dell’eternità (inno 5, v. 20): è il mondo materiale, soggetto al divenire. 58.  Si tratta dell’anima. 59.  Cfr. inno 1, v. 579. 60.  È la Pianura della Verità di platonica memoria (cfr. Platone, Fedro, 248b).

APPARATI

Bibliografia Nota: Nel concepire questa sezione dedicata ai riferimenti bibliografici, abbiamo optato per riportare una selezione meditata delle edizioni e degli studi su Sinesio, anziché ambire a citarne la totalità. Lo scopo, duplice, è quello di fornire, da un lato, un’agile rassegna al lettore colto e, dall’altro, una bibliografia selezionata e aggiornata allo specialista. Se il primo avrà a sua disposizione in queste pagine tutti gli strumenti necessari per un approfondimento dei principali temi implicati dall’autore, il secondo vi ritroverà tutti i riferimenti alle opere citate nelle varie sezioni del volume e un valido strumento dal quale partire per un autonomo lavoro di ricerca. Per un prospetto completo della bibliografia scientifica dedicata a Sinesio, rinviamo piuttosto alla recente voce enciclopedica curata da Stéphane Toulouse (Toulouse 2016), dove si citano tutte le edizioni e traduzioni esistenti (complete o dedicate a singole opere: pp. 640-642; per le prime, comunque, si consulti anche la nostra Nota al testo), nonché molta bibliografia secondaria, suddivisa tra monografie (pp. 642-644) e articoli e saggi (pp. 644-650), con particolare attenzione alle pubblicazioni inerenti agli aspetti filosofico-teologici della produzione dell’autore (pp. 644-648). Per tutta la bibliografia successiva al 2016, il lettore potrà trovare in queste pagine una valida integrazione.

Alvino 2019

M.C. Alvino, Lo specchio del principe. L’ideologia imperiale a Costantinopoli tra IV e VI sec. d.C., Satura, Napoli 2019.

Athanassiadi 2010

P. Athanassiadi, Vers la pensée unique. La montée de l’intolérance dans l’Antiquité tardive, Les Belles Lettres, Paris 2010.

Aujoulat 1983-1984

N. Aujoulat, “Les avatars de la phantasia dans le Traité des songes de Synésios de Cyrène”, in ΚΟΙΝΩΝΙΑ, VII-VIII, 1983-1984, pp. 157177, 33-55.

Aujoulat 1988

N. Aujoulat, “De la Phantasia et du Pneuma Stoïciens, d’après Sextus Empiricus au Corps Lumineux Néo-Platoniciens (Synésios de Cyrène et Hiéroclès d’Alexandrie)”, in Pallas, XXXIV, 1988, pp. 123-146.

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* Teniamo a ringraziare l’autore per averci concesso di leggere il suo testo in anteprima.

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Indice dei nomi

Ablabio Flavio: 117, 828 Abramo amico di Olimpio: 197 Abramo: XXXIII, 63 Abusir v. Tafosiride Acacio: 111 Acarne: 513 Achei: 357, 669 Achemene: 849 Achemenidi: 549, 849 Achille (Eacide): 19, 247, 475, 517, 521, 549-553, 669, 839 Ade: XXI, 19, 247-249, 807 Adorno Theodor Wiesengrund: 859 Adrastea: LVn., 19, 651, 685, 856 Adriano, imperatore romano: XXXIVn., 831-832 Adrianopoli: XXV, 838, 841 Aeitale: 301 Africa Proconsolare: XV Africa: XII, XXV Afrodite: LIV, 27, 323, 513, 519, 557, 824-825, 863 Agamennone: 313, 359, 517, 563, 669 Agapeto: 839 Agatocle: 29 Agemaco: 309-311, 837 Agenore: 853 Agesilao II: 355, 373, 840 Aglaia: 851 Agre: 853 Agrigento: 83, 827 Aiace: 17, 107, 475 Al Hamamah v. Ficunte Alarico: 832, 840 Alceo: 689, 863 Alcmena: 856

Alessandria, Museo: XXI, 523, 848 Alessandria, Serapeo: XIX, XXIX, XXXVII, 848 Alessandria: IX, XI-XII, XIV, XVI-XVIII, XIXn., XX, XXV, XXVII e n., XXVIII-XXIX, XXXVIII, LVI, LXII, LXIV, LXVn., 5, 11, 25, 31-33, 37-45, 51, 99, 113, 121, 125-127, 137, 143-147, 159, 169-173, 179, 193197, 217, 249, 253, 257-259, 279, 283-287, 291-293, 297-301, 319, 325-327, 701, 824-826, 828-831, 834-835, 837, 846, 849 Alessandrini: 43, 703 Alessandro cirenaico di rango senatoriale: 141-145 Alessandro di Afrodisia: 259, 834 Alessandro Magno: 107, 547-549, 561, 841, 849-850, 857 Alessandro zio di Sinesio: 99, 315 Alicarnasso: 841 Al-Marj v. Barca Aloadi: 685, 859 Altare, costellazione: 535 Amaleciti: 11 Amaltea: 321, 838 Amaranto: 13-17, 21, 824-825 Amasi: 101, 827 Amazzoni: 841 Amelio: XX, 299, 837 Aminziano: 49 Ammone divinità: XXXIII, 27, 307, 661, 824 Ammone, oasi di (Siwah): 824, 857 Ammonia v. Paraitonion

888 Ammonio: 45 Ampelio: 171 Ampelitide: 703 Amus: 597, 603, 852 Anacreonte: 863 Anagirunte: 277 Anastasio: 45, 49, 59, 101, 163-165, 171, 199, 830 Anatolia: 830, 832, 849 Andocide: 555, 849 Andromaca: 231 Andronico: XIV e n., XVIIn., XXVII-XXVIII, LXVI, 61, 65, 6973, 79-87, 149-151, 161-171, 179-181, 823, 829-831 Anisio: XVII e n., XVIII, XXVI, LVI, 29, 39, 55, 115, 161, 185, 693-697, 826, 860 Antemio: XIV, XVIIn., 103-105, 153-159, 167-169, 241, 697, 830, 832, 844 Antifane: 837 Antiochia: XIIn., 835 Antioco cubicolario: 233, 833 Antioco discendente dell’imperatore Graziano: 833 Antioco IV: 825 Antonini, imperatori romani: 839 Antonio vescovo di Olbia: 159 Antonio, s.: XXXIV, 603, 853 Apelle: 3, 823 Api (Osor-Api): XIXn., 842, 862 Apollo (Lossia): 557, 583-585, 619, 637, 836, 842, 849, 851, 853855, 859 Apollonia: XI Apollonio di Tiana: XXXIII, 525, 848 Aprosili: 251 Aquileia: 838

indice dei nomi

Arabi: 17 Arabia: 541 Arato: 845, 848, 858 Arbela (Arbil): 547, 849 Arbil v. Arbela Arcadio, imperatore bizantino: XIII, XXIII, XXIVn., XXV, XXXIX-XLII, XLIV, 826-829, 833, 838, 844-845, 851, 858 Archidamo II: 513, 841 Archiloco: 263, 539, 689, 833-835, 848 Archimede: 635, 826, 855 Archita di Taranto: 499, 846, 850 Ares: 841 Argivi: 545, 840 Argo: 849 Ario: 131, 257 Aristeneto: 269 Aristide Elio: 203, 579, 832, 851, 859 Aristippo: 827 Aristocle di Pergamo: 569, 850 Aristofane: 579, 824-825, 831, 834, 836, 838-839, 841, 847, 850-851, 853-854 Aristone: 317 Aristosseno di Taranto: 551, 849 Aristotele (Stagirita): LXII, 111, 325, 345, 561, 569, 595, 677, 827, 834, 838-839, 848, 850, 855, 858 Armenia: 367 Armonio: 5, 823 Arpocrazione: 299 Arriano: 849 Arsacidi: 367, 840 Arsinoe: XII Artabazaco: XVI, 277 Artaserse II: 513, 840 Artemide: 69, 849

indice dei nomi

Artemidoro di Daldi: LIVn., 858 Asclepio: XIXn., 241, 253, 535, 541, 848 Asclepiodoto: 253 Asfalio: 59 Asia (Asia Minore): XV, 373, 840, 843, 846 Asia Minore v. Asia Aspasia: 573, 617-619, 851 Assiri: 385 Assiria: 849 Asterio: 117-119 Asusamante: 251 Atamante: 159 Atanasio cacciatore di eredità: 53 Atanasio compagno di Sinesio alla scuola di Ipazia: 29, 41 Atanasio di Alessandria, s.: LIVn., 127, 828 Atanasio il fraudolento: 243 Ate: 407, 842 Atena (Atena Poliàs): 517, 555-557, 661, 849, 853, 857 Atena Poliàs v. Atena Atene, Accademia: XXIII, 111, 277, 838 Atene, Eliea, tribunale: 619 Atene, Liceo: XXIII, 111, 277 Atene, Portico (Stoà): XXIII, 111, 277, 573, 835 Atene, Pritaneo: 439, 843 Atene: XI, XXIII, XXVIII, XXXVIII, LIIn., LIV, 109-111, 277, 317, 323, 371, 499, 551, 823, 830, 832, 835, 840, 843, 850, 853-857 Ateneo di Naucrati: 824 Ateniesi: 183, 371, 513, 637, 661, 840, 855 Athrun v. Eritro

889 Atlantico, oceano: XII Attica: 109, 848 Attico: 143 Augusto, imperatore romano: 839 Aujoulat Noël: XXXIVn., Ln., 844, 847 Aureliano: XXIV-XXV, XLn., XLIXLII, XLIV, 53-55, 101, 117, 826, 833, 842-845 Ausigda: 833 Aussenzio: 115, 239 Ausuriani: XV, XVIII, XXV-XXVI, XXIX, XLII, XLVIII-XLIX, LI, 65, 163, 699-701, 832, 860 Azarion: 11, 23 Babilonesi: 849 Babilonia: 61, 83, 824 Baccanti: 525, 591, 848 Bacco: 525 Balagre (Beda Littoria, Beida): XVIII e n. Balagriti: XVIII, 211, 267 Balcani: 832, 838 Baldi Idalgo: LVIIn., LXIn. Barbari: XVII, LIn., LVI, LXIV, 119, 161, 247, 261, 267, 355, 359, 365, 381, 385, 449, 455, 463-465, 469-477, 547, 589, 599601, 693-703, 852-853, 860 Barca (Al-Marj): 703, 860 Basilace Niceforo: 823 Basilio II, imperatore bizantino: XLIII Basinopoli: 143 Battia: 251, 834 Battiadi: XIn. Batto: XIn., 275, 834 Beda Littoria v. Balagre Beida v. Balagre

890 Bellerofonte: 513 Bendidio: 11 Bendis: 824 Bengasi v. Berenice Berenice (Bengasi): XII e n., XIV, 81, 163 Berthelot Marcellin: XXXVII Bisanzio (Oriente, impero romano d’): XVIII, XXIXn., XXXIVn., XLII-XLIII, LV, LVIII, LXII, 834, 838, 840 Bitinia: 141-143, 832, 851 Bizantini: XXIIn., LXII Bombea: 217 Bosforo: XLIII, 844, 861 Branchide: 854 Branchidi: 619 Bregman Jay: Xn., LVIIn. Britannia: 838 Bydén Börje: 855 Cadmo: 604, 853 Caffarodis: 825 Calabria: 846 Calcante: 631 Calcedonia: 747, 829, 844 Callimaco: LIIIn., 838 Calliope: 607 Cambise: 541 Cameron Alan: XXIXn., XXXVIIn., 842 Campania: 841 Canopo: 307, 837 Cardano Gerolamo: LV Carii: 497, 830 Carini v. Iccara Carino, imperatore romano: 369, 840 Cariti: XXXIV, LIV, 323, 437, 517, 583, 843, 851 Carnàs: 29, 39, 826

indice dei nomi

Carneade: 569-571, 827, 850 Caro, imperatore romano: 840 Caronda: 499, 846 Carpato (Scarpanto): 57, 109, 826827 Cartaginesi: 501 Castalia: 857 Castore: XXXVIn. Castricio: 55 Catania: 846 Caucaso: 841 Cecaumeno: XLIIIn. Cecrope: 7, 823 Cefisia: 277 Cefren: 83, 827 Celesiri: 153 Celesiria: 153 Centauri: 852 Cerbero: 862-863 Cercope: 203 Cercopi, fratelli: 832 Ceriale: XVI, XXVI, 259, 263, 269, 699 Cerigo v. Citera Cesario: XLIV, 842 Chere: 387, 841-842 Chersoneso Taurico v. Tauride Chilàs: 231 Chio: 561, 850 Chirone: 541 Cibele: 5, 563, 833, 850 Ciclopi: 279 Ciconi: 27 Cilicia: 549 Cilone: 836 Cimmeri: 385, 841 Cimone: 687, 851, 859 Cipride: XXXVIn., 159 Cipro: 311, 837 Cirenaica: XI, XV-XVI, XVII-

indice dei nomi

I-XIX, L, LVIII, LXIV, LXVIIn., 832, 860 Cirenaici: XVI, 201, 263, 305 Cirene: passim Cirillo, patriarca di Alessandria, s.: XIX, XXVIII-XXIX, 37, 825 Ciro: 303, 355, 513, 849 Citera (Cerigo): 703, 809, 860, 863 Cizico: XVIIIn., 824 Cledonio: XIV, 59, 828 Cleombroto: 840 Cleopatra: 251 Clinia: 165-167, 171 Clistene: 561, 850 Clitemnestra: 563 Clitofonte: 615 Cocito: 479 Colchide: 834 Conte Marcellino: XXIVn. Conte: XV, XLVI, 197, 293, 297, 303, 836 Coribanti: LXIV, 247, 285, 465, 833 Corinto: 824, 827 Corinzi: 840 Cornario Giovanni: LV Coronea: 840 Costante: XIII, 49 Costantino, imperatore romano: XXXIII, XXXV, 841-842, 844 Costantinopoli: XI, XIII-XV, XVIII, XXIV e n., XXV, XXVIII, XXIX e n., XXXIn., XXXVIII, XL, XLIII-XLIV, XLVI, XLVIII, LV-LVI, LVIIIn., LXI-LXII, 3, 31, 45-49, 5355, 59, 101-105, 115-117, 147149, 153, 157-163, 179-181, 199, 205, 233, 239-241, 247, 257-259, 263, 273, 317-319, 824, 827-830, 832, 834-836, 842-844, 858

891 Costanzo II, imperatore romano: XLIII, 828, 842, 857 Cotis: 95-97, 561, 827, 850 Cratete: 625 Cratino: 625 Creonte: 443, 843 Creta: XI, 259, 826 Cretesi: 185 Crimea v. Tauride Crise: 175, 830 Crisippo di Soli: XXIII, 277, 835 Crisso: 381-383 Cristo (Gesù): XIXn., XXXIII, LX, LXV, 33, 63-67, 83-87, 127-129, 783, 799, 861-862 Crizia: 615, 854 Crobilo: 841 Crono: 833, 853 Ctesifonte: 840 Cureti: 833 Daci: 839 Dacia: 839 Dafni: 255 Dagron Gilbert: XLIn. Dalmati: XVII, 177 Danubio: 365, 841 Dario: 335, 549, 850 Decelea: 167, 503, 830 Delfi (Pito): 415, 619, 659-661, 836, 854-855, 857, 859 Dell’Era Antonio: LXX Demetra: 529, 848 Demiurgo: LIXn., 531 Democrito: 841, 858 Demostene: 831, 842 Derna: XIIn., 129, 133, 826, 829 Didima: 854 Diecimila: 499 Difilo: 625

892 Diocleziano, imperatore romano: XI-XII, XIV, 840 Diogene amico di Olimpio: 197 Diogene cinico: 523, 841 Diogene dux Libyarum: XVI, XVIIn., XXVI, 45-47, 241, 265-267, 275, 832 Diogene Laerzio: 841, 850, 854, 860 Diogeniano: 833 Diomede: 832 Dione di Prusa detto Crisostomo: L-LI, LIIn., 513-515, 519, 533, 545-547, 553-559, 563-565, 569581, 609, 619, 837, 847, 849-851 Dione di Siracusa: 499, 846 Dionigi Areopagita: LXVIIn. Dionisio delegato: 221, 832 Dionisio I di Siracusa: 29, 395, 841, 846 Dionisio II di Siracusa: 499-501, 846 Dionisio parente di Aminziano: 49 Dioniso: 483, 525, 824, 846, 850-851 Dioscoride: 103, 169, 189, 831 Dioscoro figlio di Anisio: 29 Dioscoro figlio di Evopzio: 111, 233, 827 Dioscoro vescovo di Derna: 129135, 141, 826 Disthis: 251 Dodds Eric R.: XXXIIn. Domiziano avvocato: 325 Domiziano, imperatore romano: 839, 851 Domna Giulia, imperatrice romana: 850 Dori: 73 Druon Henri: XLVIIn., LXX Eacide v. Achille Ebrei: 13-15, 75, 245

indice dei nomi

Ebreo: 825 Ecamede: 309 Ecate: LIXn. Ecatonchiri: 853 Eco: 99 Efeso: XIX, 850 Efesto: 319, 549, 857 Efialte: 859 Egeo: 826, 834 Egitto, diocesi d’: XII, 826 Egitto: XIIn., XVI, XLIII e n., XLIV, 83, 191, 237, 255-259, 415-417, 437, 451, 455, 547, 701, 834, 849, 852 Egizi: 75, 153, 245, 303, 343, 407413, 417, 421-423, 433-437, 447453, 457, 467-469, 473-477, 483, 533-535, 543, 597, 843 Elea: 846 Elena: XXXVIn., 303 Eleusi: 529, 848, 853 Elicona: 856 Eliodoro: XIII, 41, 47, 237 Eliseo: 479 Elladio: 191 Elleni v. Greci Emilio: 87, 91, 97, 107, 827 Empedocle: 837, 842 Epaminonda: 375, 836, 840 Epicuro: 513, 847, 858 Epidauro: 535 Epimeteo: 11, 761, 824 Epiro: 415 Er: LVn., 856 Era: 519, 557, 587, 852 Eracle: XIn., 97, 315, 515, 653, 705, 826, 843, 849, 856, 862 Eraclea del Ponto (Karadeniz Ereğli): 206, 275, 315-317, 832 Eracliano: XVI, 299, 836

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Eraclidi: 549, 849 Eraclio, imperatore bizantino: 840 Eraclito: 647, 845 Erasmo da Rotterdam: XXXVIIIn., 823 Erculiano: XXI, XXXIIn., XXXVIII, LXI, LXVI, 279, 287, 295297, 301, 835-836 Eritro (Athrun): XIIn., XIX, 109, 125-129, 826-829 Ermes: 97, 203, 343, 433, 839, 843, 854 Ermete Trismegisto: XXXIV e n., 603 Erode Attico: 850 Erode: XIII, 7, 43, 55, 823-824, 832 Erodoto: 385, 543, 824, 826, 839, 841, 843, 845, 848-849, 852, 855 Erone: 167 Eschilo: 845, 853, 860 Eschine parente di Sinesio: XXXIX, 5, 823 Eschine retore: 850 Esichio conoscente di Sinesio: 183 Esichio figlio di Sinesio: XX, LI-LII, 111, 826, 828 Esichio padre di Sinesio: XIX, 805, 862 Esiodo: 87, 259, 335, 705, 827, 830, 836, 838, 845, 855-856, 860 Esone: 249, 834 Esseni: 577 Estia: 307, 349, 617, 839 Eteobutade: 663 Eteobutadi, famiglia: 857 Ettore: 517, 555, 839, 849 Eubea: 381, 575, 825 Euboici: 513 Eucaristo: 203 Euclide: 831, 855

893 Eudaimonoioannes: LVn. Eudossia, imperatrice bizantina: XXV, XLII, 833 Eudosso di Cnido: 569-571, 850 Euforbo: 517, 847 Eufrate: 365 Eufrosine: 851 Eugenio Flavio: 838, 860 Eulogio: LXV e n. Eumelo: 255 Eunomio: XVIIIn., 7 Eupoli: 830, 834 Eurinome: 851 Euripide: 825-826, 831-832, 834, 839-840, 843, 845, 853 Euristene: 73 Europa figlia di Agenore: 853 Europa: XV Eusebio di Cesarea: 839, 841 Eusebio oratore: 237 Eustochio di Alessandria: 835 Eutalio di Laodicea: 255, 834 Eutichiano: XLIV, 842 Eutropio: XV, XXV, 834, 840 Evagrio filosofo pagano: LXV-LXVII Evagrio Pontico: 852, 856 Evagrio prete: 163, 169 Evagrio Scolastico: XXIXn., LXVIIn. Evopzio: XIX, XXVIIn., XXXVIII, 5, 183, 827, 831 Ezechia: 83, 827 Falaride: 83, 827 Falero: 277 Fao: 115, Farnabazo: 840 Faro: IX, 11, 109, 307, 587, 824, 835 Fausto: 247

894 Feaci: 57 Febamone: 297 Fedro: 615-617, 854 Fellini Federico: 859 Femonoe: 681, 859 Fenici: 153 Fenicia: 153, 311, 837 Ferecide di Siro: 239, 561, 833, 842, 850 Ficino Marsilio: LV e n. Ficunte (Al Hamamah): XI e n., XII, XXII, XXVIIn., 5, 43, 53-57, 97, 107-113, 175-177, 183-185, 199, 211, 227-235, 241, 245, 251-253, 257, 267-269, 277, 827-828, 833 Fidia: 533, 849 Filea: 555, 849 Filemone: 625 Filippo II di Macedonia: 191, 831, 850 Filolao di Crotone: 499, 846 Filolao parente di Niceo: 175 Filone di Alessandria: 849 Filone nipote: 127 Filone zio: 127 Filoromo: 299 Filosseno di Citera: 833 Filostrato autore dell’Eroico: 837, 849 Filostrato di Lemno v. Filostrato Flavio Filostrato Flavio (Filostrato di Lemno): 569-571, 575, 848, 850, 859 Filurgo: 849 Fitzgerald Augustine: LXX Formica, isola: 11 Foucault Michel: LIII Fozio: XXIV, 117 Francia: LXIIn. Frigia: 832 Frigido: 838, 860 Furie: 461, 479

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Gainas: XXV, XLIII-XLIV, 833, 843-844 Gaio: 29 Galatea: 243 Galerio, imperatore romano: 840 Galla, imperatrice romana: 828 Galli: 841 Gallia: 381 Gano: 303-305 García Romero Francisco A.: LXX Garzya Antonio: XXXVIIn., XXXVIII, Ln., LXX, 837, 842 Gasr Beni Gdem: 832 Gaugamela: 849 Gea: 841 Gennadio governatore civile: XIV, 157, 697, 829 Gennadio II v. Scolario Giorgio Geon: 257 Germani: XXV, XLII, 840 Germania: XVII Geronzio amico di Sinesio: 175-177 Geronzio comandante: 841 Gerusalemme (Solima): 61, 83, 799, 807, 827, 862 Gesù v. Cristo Geti (Massageti): 365, 839, 841 Giamblico: XXXIIn., 861 Giapeto: 15, 857 Giasone: 137, 834 Giganti: 461, 479, 845 Gildone: XV, XVIII Giorgio di Cipro (Gregorio II), patriarca di Costantinopoli: L Giorgio lo Scellerato: LVII e n., LVIIIn. Giovanni Crisostomo, s.: XXIXn., XXXVIn., 143, 829, 844-845 Giovanni curiale: XLIX, 5, 55, 87-

895

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89, 93, 107, 121, 185, 211-213, 217, 303, 827, 831 Giovanni personaggio politico: 233, 832 Giove: 537, 848, 862 Girolamo, s.: 825 Giuda: 63 Giudea: 83 Giudei: 83 Giuliano, imperatore romano: Xn., XXXIVn. Giulio: XVI, 165, 187-191, 275, 827 Giustizia: 477, 483-485 Glauco: 615, 832, 854 Gorgia: 175, 275, 830 Gorgone: 555, 849 Gorizia: 838 Gortina: XI Goti: XXIV-XXV, XLI-XLIV, 832833, 838-841, 844 Graziano, imperatore romano: 233, 833, 838 Grazie: 851 Greci (Elleni): XL, LIII, 3, 13, 105, 199, 305, 311, 325, 355, 473475, 517, 533-535, 547-549, 553, 561, 569, 575, 579, 605, 671, 832, 838, 852 Grecia: XXIII, 193, 203, 547, 834, 836, 846, 853, 863, Gregora Niceforo: XXXIn., XLVII, LVn., 854-859 Gregorio II v. Giorgio di Cipro Gruber Joachim: LXX Hadot Pierre: LIXn. Hagl Wolfgang: 842, 844-845 Harich-Schwarzbauer Henriette: XXXVIIIn. Horáček Filip: XLVIII e n., XLIX, 847-848

Horus: 443, 463, 844 Hose Martin: XXXVIIIn. Ibico: 832 Icaro: 605, 685 Iccara (Carini): 7, 824 Ida: 838 Idotea: 852 Idrace: XIX, XXVII, 37, 121, 127129, 826, 828-829 Ierone: 105 Ificrate: 371, 840 Ifimedia: 859 Illirico: 832 Imetto: 311, 837 Innocenzio: XVII, XXVI e n., LVI, 697, 860 Invidia: 407 Iolao: 315, 515 Ione: 555 Ipazia: XXI e n., XXIII, XXVIII e n., XXIX, XXXIIn., XXXIII, XXXV, XXXVII e n., XXXVIII, XLVI-XLVII, LI, LIII, LXI-LXII, LXVI, 33, 249, 277, 825-826, 835-836, 846, 854, 862 Iperione: 661, 847, 857 Ipparco di Nicea: XLVII, 293, 505, 836, 862 Ippaso di Metaponto: 836 Ippia: 615 Ippocrate: 237, 833 Iraq: 849 Isauria: 149 Iside: XXXIII, 844, 862 Isidoro di Pelusio: 861 Isione: 197, 299 Ismara: 834 Isocrate: 849 Issione: 587, 852

896 Itaca: 305, 825, 837 Italia: XV, 499, 569, 851 Italo Giovanni: LVn. Karadeniz Ereğli v. Eraclea del Ponto Kataskepenos Nicola: XLIIIn. Lacombrade Christian: Xn., XXXIVn., XXXVIIn., LXX, 844, 847 Laconia: 826-827 Lagidi: 849 Laide: 7, 824 Lamoureux Jacques: LXX Lamponiano: 137 Laodicesi: 253 Lastene: 191, 831 Lemno: 27, 683, 825 Leone di Bisanzio: 569, 850 Leone Diacono: XLIII Leonida: 235 Leontopoli: LVII, 715 Leonzio di Apamea: LXIV, LXVI, LXVIIn. Lesbo: 813, 863 Lestrigoni: 279 Lete: LV, 651, 856 Leto: 557 Leucippo: 167 Leuttra: 840 Libanio: XXXVIn., 859 Libia Inferiore (Libia Secca): XII e n., XIX, 121, 201, 824, 826, 829 Libia Secca v. Libia Inferiore Libia Superiore v. Pentapoli Libia: XI-XII, XVI e n., XVIII e n., LIII, LXII, 13, 57, 97, 153, 183, 191, 199-201, 277, 305, 417, 723, 741 Libici: 153, 749 Lidi: 255

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Lidia: 255, 834 Lilla Salvatore: LIXn. Lisia: 97, 615-617 Liside: 293-295, 836 Lisippo: 3, 823 Locri: 846 Long Jacqueline: XXIXn., XXXVIIn. Lossia v. Apollo Luchner Katharina: XXXVIIIn. Luciano: 835, 838, 843, 845 Luxor v. Tebe egizia Luzi Mario: XXIn. Maas Paul: XIXn., 862 Maccabei: 824 Macedoni: 361, 547-549 Maceti: XV-XVI, XVIII, XLII, XLVIII-XLIX, LI, 261, 832, 860 Macrobio: 856, 858 Magi: LX, 799 Magna Grecia: 499 Magno Massimo: 838 Magno: 151 Mane: 663, 857 Mantinea: 840 Mar Morto: 577, 851 Mar Nero: 825 Maratona: 838, 859 Marcellino: XVII, XXVII, 119-121, 826 Marciano: 203, 241 Marco membro dell’ufficio del prefetto: 119 Marco, s.: XXIXn. Marcomanni: XVII, 231, 699 Mareotide (Maryut): 824, 837 Marrou, Henri-Irénée: XXXIIn. Marsa Matruh v. Paraitonion Marte: 862 Martirio: 43, 103, 181

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Maryut v. Mareotide Massageti v. Geti Massimino: 165-167, 171, 239 Matino Giuseppina: XXXVIIIn. Mauritania: 837 Mauthner Fritz: XXIn. Medea: 834 Medi: 361, 385, 543 Media: 826 Mediterraneo: XI, 824, 833 Megara: 543, 848 Melampo: 681, 859 Menandro: XL Menelao amico di Sinesio: 253, 834 Menelao di Alessandria: 826 Menelao di Sparta: 291, 517, 555, 587, 836, 852 Mercurio: 862 Mesie: XII Mesomede di Creta: 831 Mesopotamia: 840 Messeni: 387 Metochita Teodoro: 853 Milano: XV, 838 Milesii: 173 Mileto: 854 Milziade: 687, 851, 859 Mirmidoni: 669 Mirsinitide (Wadi al-Kuf): 247, 833 Mitra: XXXIII Mnemosyne: 851 Mnesarco: 619 Molionidi: 515 Moro Tommaso: 823 Mosco Giovanni: LXIV, LXVI, LXVIIn. Mosè: 9, 858 Muse: 197, 437, 501, 583-587, 607609, 619, 639, 843, 851, 856 Musonio: 850

897 Narsete: 233, 833 Nauplio: 23 Naustathmos: 827 Nefele: 852 Nemesi: 191, 831 Neocle: 183 Nerva, imperatore romano: 851 Nestore: 309 Nicandro: XXIV, XLVIII, 3, 159 Nicea: 846 Niceo: 173-175 Nicostrato: 259, 834 Nilo: IX, XII, XLIII, LVII, 417, 861 Ninfe: 237, 415 Ninfodoro di Siracusa: 824 Nisa: 57, 826 Nitria: 852 Noè: 313 Nonno: 59 Occidente, impero romano d’: XVIII, LV Oceano: IX Odio: 407 Odisseo: XXI, 99, 107, 243, 279, 285, 293, 305, 313, 515-517, 537, 669, 825, 835-837, 839, 847 Olbia: 830 Olbiati: 159-161 Olimpia: 689, 849 Olimpio: XXXVIII, 97, 193, 269, 271, 305, 835-836 Olimpo: 852 Olinto: 191, 831 Omero: IX, XXI, 17-19, 239, 247, 279, 303, 309, 319, 357-359, 383, 387-389, 475, 517-519, 533, 541, 551-559, 619, 631-633, 653, 661, 669, 689, 824-826, 830, 832-842, 844-850, 852, 854-861

898 Onorio, imperatore romano: XV, XLIV, 828, 838 Orfeo: XXXIII Oriente, diocesi dell’: XII, XIV, 826, 828, 860 Oriente, impero romano d’ v. Bisanzio Origene: 829 Orione: 125 Osiride: XIXn., XLIII-XLIV, XLV e n., LXIII, 407-413, 419-423, 427, 435-463, 477-485, 842-845, 857 Osor-Api v. Api Ossa: 859 Ostrogoti: 841 Oto: 859 Ovidio: 834 Paflagonia: 241 Palamede: 825 Palebisca: XIX, XXVII, 37, 121, 125-127, 826, 828-829 Paleologi, imperatori bizantini: XXIVn., LV Palermo: 824 Palestina: XVIII, 577 Palestinesi: 385 Pandora: 824, 857, 860 Panfilia: 840 Pao Yu: 859 Paolo delegato: 221, 832 Paolo vescovo di Eritro: 123-129, 133-135, 828-829 Paolo, s.: 861 Pappo di Alessandria: 855 Paraitonion (Ammonia, Marsa Matruh): XIIn., 824 Paride: 839 Parisatide: 513

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Parmenide: 551, 603, 846 Parti: 361, 365-367 Patroclo: 247, 475 Peitò: 437, 843 Peleo: 311, 541 Pelio: 541, 848, 859 Peloponneso: 830, 840, 848-849, 860 Penelope: 669 Pentadio: 51, 253-255 Pentapoli (Libia Superiore): XII-XIII, XV, XVI e n., XVII-XIX, XXII-XXIII, XXV-XXVI, XXVII e n., XLI-XLII, XLVI, LVI-LVII, 15, 31, 39-41, 49, 81, 103, 115, 121, 147, 153, 157, 161-165, 169-173, 183-185, 201, 271, 303, 325, 697, 701-703, 707, 826, 830-831, 836, 838, 858, 860 Pentapolitani: 45 Peonio: XXIV, XLVI, 499, 836, 838, 846 Pérez Martín Inmaculada: Ln. Pericle: 371, 573, 619, 840, 851, 854, 859 Persia: 826, 840 Persiani: XV, 361, 549, 827, 840, 849, 859 Petkas Alex: XLn. Pianura della Verità: 854, 863 Pico della Mirandola: LVn. Pietro amico di Sinesio: 271 Pietro criminale: 103 Pietro sacerdote: 37 Pilato Ponzio: 83 Pilemene: XXIV, XXXVIII, XLVIII, LIII, 105, 117, 149, 157, 179, 199-201, 205-207, 257, 263265, 273, 315-317, 832 Pimenio: 277

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Pindaro: 543, 667, 826, 837, 843, 845, 849, 857, 860 Pireo: 111 Piromide: 417 Pitagora: 199, 491, 499, 619-623, 831, 850, 860 Pito v. Delfi Pizia: 855, 857 Pizzone Aglae: 837 Placidia Galla, imperatrice romana: 828 Planude Massimo: XXXVIn., 858 Platone: LVn., LIXn., LXII, 51, 111, 207, 257-259, 265-267, 287, 311, 317, 323, 345, 355, 373, 377, 401, 499-501, 523, 551, 563, 571-573, 599, 603, 826-827, 829832, 834-840, 842-843, 848, 850859, 863 Plinio il Vecchio: 823 Plotino: XXXIVn., LIX e n., LXVII, 287, 835, 837, 843, 848, 853, 856-857 Plutarco di Atene: LIIn., 279, 835 Plutarco di Cheronea: 827, 831, 841-844, 848-849, 855 Poetovio (Ptuj): 838 Policrate: 101, 827 Polidamna: 303, 837 Polifemo: 243 Polignoto di Taso: 277 Poliziano: XXXVIIn., 823 Polluce: XXXVIn. Pompeo: 381 Ponto: 27, 207 Porfirio: XXXIIn., XXXIII, LIV, LIX, LXn., 835, 838, 843, 848 Poseidone: 13, 239, 305, 839, 859 Priamo: 561 Priapo: 13, 827

Probo, imperatore romano: 840 Proclo amico di Sinesio: 147, 259, 275 Proclo Licio Diadoco: 835 Prodico: 615 Prometeo: 667, 824, 857 Promoto Flavio: 841 Propontide: XVIIIn. Protagora: 615 Proteo: IX, LXVIII, 281, 291, 587, 835-836, 852 Psammetico: 541 Psello Michele: LVn., 823 Pseudo-Apollodoro: 847 Pseudo-Democrito: XXXVII Pseudo-Platone: 837 Pseudo-Teocrito: 834 Ptuj v. Poetovio Quinziano: 7-9 Qumran: 851 Rabelais François: XXXVIIIn. Ravenna: 832 Rea: 247, 833 Rodi: 826, 846 Roma, Campidoglio: XXXIV Roma: 825, 840, 842, 850, 854 Romani: 53, 83, 101, 106, 167, 235, 255, 363, 367, 371, 379-387, 695-701 Romania: 841 Roques Denis: XXIIn., 823, 831832, 837, 844, 860 Ruelle Charles-Émile: XXXVII Rufino Flavio: 255, 834, 839 Sabbazio: 115 Saffo: 5, 823, 863 Salamina: 859 Samo: 491, 619, 827

900 Samuele: 824 Santippe: 615 Santorini v. Thera Sarmati: 838-839 Sasanidi: 840 Satiri: LIV, 323 Saturno: 862 Saul: 11, 824 Sava: 838 Scarpanto v. Carpato Schmitt Tassilo: 844 Schnitzler Arthur: 859 Sciagure: 407 Scilla: 13 Sciti: XLI, XLIV, 379-381, 385, 449451, 467-479, 687, 840-841 Scizia: 381, 841 Scolario Giorgio (Gennadio II), patriarca di Costantinopoli: LVIIIn. Secondo: 195 Seleucia di Pieria: 273, 835 Semiramide: 13 Senacherim: 83, 827 Seng Helmut: XLVIIIn., LIIn. Senocrate: 321 Senofonte: 373, 499, 827, 839-840, 842, 844, 846-847 Serapide: XIXn., 848, 862 Serse: 575, 855 Severi, imperatori romani: 848 Severo Alessandro, imperatore romano: XXXIII Severo Settimio, imperatore romano: 850 Sfetto: 277 Sfinge: 343, 433 Sicilia: 7, 499-501, 635, 846, 849 Siculi: 667 Siderio: 125-127, 828 Sileni: LIV, 323

indice dei nomi

Simone: 615, 854 Simonide: 105, 832 Simplicio: XV-XVI, 47-49, 259, 275, 831, 836 Sinesio: passim Siracusa: 825, 846 Sirene: 99, 301 Siria Salutare: 829 Siria: XIV, 47, 97, 117, 193, 269, 305, 315, 829, 835 Siriani: 47, 305 Siriano medico: 231 Siriano scolarca di Atene: 835 Siro: 271 Sirte, golfo della: XI Sisifo: 107, 243, 255 Siwah v. Ammone, oasi di Slovenia: 838 Socrate: LII, 257, 523-527, 551-553, 575, 603, 615-619, 827, 847-848, 850-851, 854 Sodoma: 577, 851 Sofocle: 824, 831, 843, 857 Sofronisco: 525 Sol Invictus: XXXIII Solima v. Gerusalemme Solone: 857 Sosenàs: 59, 205 Sosia: 823 Soterico: 49 Sozusa (Susah): XI e n., XII Sparta: XIn., 73, 201, 293, 373, 785, 826, 840, 849, 852 Spartaco: 381-383 Spartani: 69, 387, 517, 545-547, 553, 557, 830, 833, 840 Spatalo: 95 Stagirita v. Aristotele Stesicoro: 689 Stilicone: XV, 832, 834

indice dei nomi

Stoà v. Atene, Portico Stratonice: XX, XXXVIn., 159, 829 Strohm Hans: LXX Suida: 834 Susah v. Sozusa Susanetti Davide: LIVn. Tafosiride (Abusir): 13-15, 824, 837 Talia: 851 Tanaseanu-Döbler Ilinca: LIIn. Tantalo: 377, 840 Tarquini: 371 Tarquinio il Superbo: 840 Tartaro: 479, 807 Tauride (Chersoneso Taurico, Crimea): 826 Tauro figlio di Aureliano: 53, 844 Tauro Flavio: 405, 842-843 Taurosciti: 69 Tebani: 840 Tebe egizia (Luxor): XLIII-XLIV, 417, 467-469, 473, 477, 843 Tebe greca: 843, 853 Telchini: LIII, LXVII, 323 Telefassa: 853 Telefo: 443 Telemaco: 852 Temi: 381, 407 Temistio: XLIII Temistocle: 183, 311, 637, 851, 855, 859 Tempe: 541, 848 Teo: 813, 863 Teocrito: 237 Teodoreto di Cirro: XXXVn. Teodoro costantinopolitano: 31 Teodoro cugino di Ammonio: 4345, 97 Teodoro medico: 237

901 Teodoro membro del concilio provinciale: 191 Teodosio grammatico: 29 Teodosio I, imperatore romano: XXV, 83, 824, 828, 834-835, 838, 842, 844, 860 Teodosio II, imperatore bizantino: 827, 833, 844 Teodosio il Vecchio: 838 Teodosio soldato della guardia imperiale: XX, 159 Teofilatto di Ocrida: XLIIIn. Teofilo, patriarca di Alessandria, s.: XVIII-XIX, XXV, XXVII, XXIX-XXX, XXXV, XXXVIII, LIIn., LVI, LXII, 33, 121, 159, 171, 179, 221-225, 825, 828-832 Teognide: 825, 838 Teone: XXI, 825 Teotecno: 29, 41 Teotimo: 103-105, 197, 831 Terapeuti: 547, 849 Termopili: 547, 833 Terzaghi Nicola: LVIIn., LXX Tessaglia: 685, 848, 852 Tessali: 840 Teti: IX, 519, 551, 557 Teuchira (Tocra): XII e n., 5, 185, 253, 834, 860 Thamus: 852 Theiler Willy: LIXn. Thera (Santorini): XI Theuth: 852 Thule: 307 Tiberio Claudio, imperatore romano: 83 Tibio: 823 Tifone: XLIII-XLIV, XLV e n., LXIII, LXIVn., 407-419, 423, 439-441, 445-465, 475-483, 842, 844-845

902 Timarco: 561, 850 Timeo: 499, 679, 846 Tindaridi: XXXVIn. Tirea: 545, 849 Tiresia: 837 Tiro: 853 Tissaferne: 840 Titani: 73, 479, 824, 842, 845, 853 Toante: 85-87, 165-171, 830 Tocra v. Teuchira Tolemaide (Tulmaythah): XII e n., XIII-XIV, XVI-XIX, XXVII, XXIXn., XXXVIII, LVI, LXVI, 5-9, 29, 33-41, 47-49, 55, 59-61, 81, 85, 97, 101, 107, 115, 119, 127, 131, 143-149, 159-163, 171, 177-185, 193, 217, 231, 237-239, 243, 253, 257, 303, 325-327, 705, 826-828, 830-832, 834, 860 Tolemeo di Lago: 547, 849 Tolomeo Claudio: XLVI, 505, 836, 846-847, 862 Tolomeo I Soter: XIXn. Tone: 303, 837 Toulouse Stéphane: XXIXn., 867 Traci: XVII Tracia: XXX, 59, 101, 105, 117, 149, 179, 745-747, 825, 834 Traiano, imperatore romano: 839 Trasimaco: 519, 615, 847 Tria: 277 Tribigildo: 840, 843 Trifone: XIII, 241, 259, 275 Tripolitania: XV Trofonio: 857 Troia: 313, 475, 513, 555, 825, 849, 852 Troiani: 517, 551

indice dei nomi

Troilo: XIV, XXIV, 49, 103, 153, 181, 233, 239, 247, 259, 830 Tucidide: 573, 830, 843, 847-848, 851 Tulmaythah v. Tolemaide Tunisia: XV Turchia: 832 Ucraina: 841 Uldino: 844 Unni: 841, 844 Unnigardi: XVII, XXVI, LVI, 161163, 693-699 Uranio: XVII, 57 Urano: 841, 853 Ursicino: 297, 301 Valente, imperatore romano: XVIII, 125, 838 Venere dea: 863 Venere pianeta: 862 Vergine: 845 Vestali: 585 Wadi al-Kuf v. Mirsinitide Wadi Giargiarummah: 833 Watts Edward: XXXVIIIn. Zaleuco: 499, 846 Zenàs: 165 Zenone di Cizio: 111, 835 Zenone di Elea: 499, 551, 575, 603, 846, 851 Zeus: XIXn., XXIII, 277, 353, 387, 399, 485, 499, 507, 519, 525, 529, 533, 557, 587, 607, 617619, 631-633, 653, 661, 669, 679, 824, 830, 833, 837, 842, 845, 849, 851-853, 856-857, 861 Zoroastro: XXXIV e n., 603 Zosimo: 179

Indice dei concetti

Anima: passim Apostolo: 713 Arianesimo: XVIII e n., XLIV, 824, 828, 844-845 Ascesa: LV, 655, 755 Aurum coronarium: XXIII, XXIVn., XL, 838 Chiesa: XVIII, XXIX, XXXI, XXXV, LXIV-LXVI, 7-9, 37, 73, 85-87, 97, 123, 127, 137-143, 149, 179, 829, 845 Concilio [provinciale]: XIII, XVI, XXIII, XLI, LVI, 836, 860 Contemplazione: 35, 77-79, 209, 287, 425-427, 481, 589-593, 727, 843, 852 Corpo: XXXI, LXV, 67, 79, 89-91, 191, 203, 223, 287-289, 333, 355, 361, 377, 393, 397, 409411, 433, 517, 521-523, 533, 541, 551, 559, 589, 593, 601, 613, 635, 643, 655, 675-677, 711, 743, 753, 761, 769, 779781, 807, 835, 856, 858 Creatore: 347, 703, 715, 721, 731, 735, 757, 765-767, 773, 777, 789, 795, 799, 809, 819, 857 Cristianesimo: XVIII, XXIX, XXXIn., XXXII e n., XXXIII, XXXVn., LXII e n., LXV e n., LXVI, 841, 853 Cristiano: IX, XXXI, XXXIV, LIXn., LXVI, 81, 845, 852 Culto: XXXIII, XXXIVn., XXXV,

XLIV, LXVIn., 131, 245-247, 359, 393, 461-463, 529, 703, 829, 839, 844, 850, 853, 857, 862 Curia [municipale]: XXVIIn., 4345, 255, 827, 831 Curiale: XXII, XXVIII, XLIn., LVII, 43, 73, 153-155, 823, 830831, 843, 860 Demone: 59, 63, 69, 253, 287, 425, 479, 647, 657, 671, 725, 779, 862-863 Destino (Provvidenza): XXIn., XLV e n., XLVI, 35-37, 61, 65, 87, 101, 147, 153-155, 201, 207209, 337, 345, 375, 383, 409, 429, 435, 455, 461, 465, 513, 545, 549, 553, 611, 615, 651653, 657, 677-679, 727, 807, 825, 836, 856 Dio: passim Discorso sacro: 407, 481 Divenire: 425-427, 491, 535, 587, 639, 647, 661, 673, 855-856, 858, 863 Divinazione (Mantica): XL, 631633, 637, 659-671 Elleno: XXXIV e n., LII, 583, 587, 593, 838, 851 Eloquenza v. Retorica Empietà: 9, 187, 703 Enti: LII, 35, 425-427, 491, 527, 617, 633-639, 655-657, 673-675, 683, 729, 739, 745, 777, 797

904 Eresia: 7 Essere: LIV, 347, 407, 425, 589, 639, 645, 655, 673, 852, 858 Figlio: XVIIIn., LIX e n., LX, 733735, 743, 769-773, 777, 785-789, 793, 799, 807-809, 843, 861-862 Filosofia: passim Fürstenspiegel v. Speculum principis Giustizia: XIII, XLIII, 7, 29, 49, 55, 59-63, 91-99, 107, 127, 133, 179, 189, 203, 245, 313, 327, 373, 395-397, 463, 477, 481-485, 529, 823, 831, 836, 839, 841-842 Governatore civile: XII-XIV, XXVII, 55, 63, 69, 73, 83, 95, 119, 155, 173, 233, 241, 255, 371, 828, 830-831, 834 Governatore militare: XVI, XXVI, LVI, 45, 65, 151, 297, 860 Immaginazione: LIV e n., 325, 639649, 683-685, 856, 859 Imperatore: Xn., XI-XIII, XV, XVIII, XXIII, XXV, XXXIII, XXXIVn., XL e n., XLI e n., XLVI, 45, 105, 125, 157, 163, 187, 199, 205, 225, 231-233, 313, 325, 331-337, 359-363, 367-371, 375, 383, 389, 399, 671, 695-697, 703, 824, 829833, 838-843, 845 Iniziazione v. Misteri Intelletto: LV, LVII, LIX e n., 35, 65, 71, 79, 201, 209, 279-281, 285, 289, 317, 323, 347-351, 431, 437, 445, 503, 509, 527-529, 533, 589-603, 621-623, 633, 637639, 647-649, 673-675, 711, 721,

indice dei concetti

727-731, 743, 751-753, 769-771, 775-777, 789, 793-797, 809, 817819, 836, 855-856, 862 Ipostasi: LIX e n., 843 Legge: XIII, XXV, XXX, LV e n., 7, 17, 59-61, 90, 121, 127, 139, 145, 155, 161, 191, 219-221, 245, 261, 279, 299, 321, 343, 371, 381, 391, 407, 413, 417, 437, 447-453, 463, 477, 555, 585, 591, 599, 619-621, 651, 663, 685, 713, 759, 854, 856-857 Mantica v. Divinazione Materia: XLIV, LV, LXII, 75-77, 425, 429, 433, 491, 503, 521, 527-529, 539, 547, 559, 589-593, 647, 651-657, 673, 679, 721-725, 735, 741, 753-755, 759-761, 777785, 789, 793-795, 811, 817-819, 856, 858, 862-863 Misteri (Iniziazione): IX, XXII, XXX, XXXII-XXXIV, 67-69, 87, 131, 279, 295, 317, 347, 481483, 491, 529, 561-563, 583-585, 605-607, 617, 649, 665, 747, 797, 817, 827, 845, 848, 850, 853 Mito: XXXI, XXXn., XLIII e n., XLV, LIIIn., LVn., 223, 301, 407, 453, 463, 491, 603, 823825, 832-834, 837-838, 840, 842, 844-845, 847, 849, 856-857, 859, 863 Monaco: LVIIn., LXIV, 25, 143, 823, 837, 852 Neoplatonismo: XXXIIn., LIVn., LXII e n., 839, 843, 846, 848, 861

indice dei concetti

Ozio: 65, 77, 485 Padre: XVIIIn., LIX e n., LX, 725729, 735, 741-743, 751, 755-757, 761-763, 767-777, 783-789, 793, 799, 803, 807, 819, 861-862 Paganesimo: XXIX, XXXIn., XXXIIn., XXXIII, LXVIIn. Pagano: XXXI, XXXIV e n., LXIIn., LXV-LXVI Paideia: XXXIII, XXXVn., LII e n., 838, 852 Passione: 37, 77, 151, 165, 261, 289, 301, 351, 431, 461, 551, 593, 677 Patriarca: XVIII-XIX, XXVII-XXVIII, XXIXn., XXXV, XXXVIII, L, LIIn., LVI, LVIIIn., LXV e n., 825, 828-829, 831, 844-845 Peccato: XXIX, 91, 141, 155, 711 Pentimento: XXIXn., 11, 49, 93, 135-137, 149-151, 335, 351, 649 Poesia: LVIII, LXI, 3, 105, 197, 279, 297, 325, 331, 485, 555, 585, 595, 607, 617-621, 625, 633, 842 Politica: XIX, XXXIVn., 79, 155, 441, 501, 693, 838 Preghiera: 67, 71-73, 103, 113, 131, 171, 385, 401, 693-695, 727, 767, 779, 797 Provvidenza v. Destino Ragione: 71, 93, 151, 155, 167, 217, 221, 281, 341, 479, 515, 521, 529, 539, 595-603, 639, 645, 677, 711 Religione: XIX, 163, 475, 693, 841, 853 Resurrezione: XXXI, LXVIIn., 37, 223

905 Retorica (Eloquenza): LIII, LVI, 3, 201, 207-209, 271, 279, 331, 521, 563, 569, 573, 579, 583585, 593, 617-621, 683, 823, 832, 844, 848, 850, 854 Sacerdozio: XXX-XXXI, LXVIIn., 35-39, 67, 75-79, 125-127, 137, 143, 151, 159, 193, 219, 223 Sapienza: XXXIII, LII, LXII, LXVIII, 63, 111, 277, 295, 343, 407409, 417, 433, 439, 499, 509, 585, 603, 607, 615, 619, 631635, 641, 711, 729, 733, 743, 751, 765, 789-793, 797-799, 803, 813-815, 850 Simbolo: XXIn., 343, 433, 461, 637, 641, 843 Sinodo [dei sacerdoti]: 39, 826, 829 Sogno: LIV, LXIII, LXV-LXVI, 11, 167-169, 441, 479, 639, 661-663, 667, 671-673, 683-687, 854, 856, 858-859 Sonno: LXIII, 261, 339, 411, 415, 437-441, 467, 517, 631, 639-641, 657, 665, 675, 681, 685-687, 705 Speculum principis (Fürstenspiegel): XLIn. Spirito immaginativo: LV, 643-649, 653-659, 673-675, 679-683, 827, 857-859 Spirito Santo: LIXn., 69, 133, 769, 787, 795, 861-862 Stato: 3, 77, 85, 89, 101-103, 157, 167, 227, 253-255, 261, 363, 377-379, 391, 429, 441, 447, 469, 479, 483-485, 501, 575, 621, 637, 665, 689, 701, 841, 843 Tradizione: XXIn., LIV, LIXn., LXIV, LXVn., LXVIIn., 21,

906 125, 417, 421, 451, 531, 537, 826, 851, 858 Trinità: LIX e n., LX e n., 853, 863 Tutto: 635, 729-733, 817 Uno: LIX, 729-731, 817, 862 Verbo: 771-773 Vescovo: IX, XIVn., XVIII e n., XXIn., XXVII e n., XXIX e n.,

indice dei concetti

XXXI, LVI-LVII, LXV-LXVI, 85-87, 123-129, 133-135, 141145, 151, 159, 257, 824, 826, 828-831, 833-834, 860 Virtù: 9, 27, 69, 75, 133, 145, 173175, 189, 265, 277, 281, 305, 315, 337-343, 351, 385, 393, 397, 405, 411-413, 431-439, 443, 455-461, 485-487, 551, 589, 599, 631, 673, 679

Indice generale Introduzione 

vii

di Francesco Monticini

1. 2. 3. 4. 5.

I tempi e i luoghi 1.1. Geografia e amministrazione civile 1.2. Situazione militare 1.3. Situazione religiosa La vita Sinesio e la filosofia Le opere 4.1. Lettere 4.2. All’imperatore, sul regno 4.3. Racconti egizi, sulla provvidenza 4.4. A Peonio, sul dono 4.5. Elogio della calvizie 4.6. Dione, su come vivere secondo il suo modello 4.7. Trattato sui sogni 4.8. Catastasi 4.9. Omelie 4.10. Inni In conclusione

Ringraziamenti Nota editoriale

x xi xiv xviii xix xxviii xxxvi xxxvii xxxix xliii xlvi xlvii li liii lvi lvi lvii lxii lxix lxx

Mappe

lxxi

Lettere 1. A Nicandro 2. A Giovanni 3. Al fratello Evopzio 4. Ai sacerdoti 5. Al fratello 6. Ad Anisio 7. A Teodoro e a sua sorella 8. Al fratello

3 5 5 7 11 29 31 31

 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.

All’arcivescovo Teofilo Alla filosofa Ipazia Ai sacerdoti A Cirillo Al sacerdote Pietro Ad Anisio Alla filosofa Alla stessa

33 33 35 37 37 39 39 41

908

indice generale

17. A Eliodoro 18. Al fratello 19. A Erode e Martirio 20. A Diogene 21. Al governatore 22. Ad Anastasio 23. A Diogene 24. A Simplicio 25. A Eliodoro 26. A Troilo 27. A Costante 28. A Simplicio 29. A Pentadio augustale 30. Allo stesso 31. Ad Aureliano 32. Al fratello 33. Allo stesso 34. Ad Anisio 35. Ad Aureliano 36. Al fratello 37. A Uranio 38. A un amico 39. A Cledonio 40. Ad Anastasio 41. Contro Andronico, 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52.

ai vescovi Ai vescovi A Giovanni A Olimpio Al fratello Alla filosofa Ad Aureliano Ad Anastasio A Teotimo A Pilemene A Teotimo Al fratello

41 43 43 45 45 45 47 47 47 49 49 49 51 51 53 53 55 55 55 57 57 57 59 59 61 81 87 97 97 99 101 101 103 105 105 107

53. Allo stesso 54. Allo stesso 55. Allo stesso 56. Allo stesso 57. Allo stesso 58. Allo stesso 59. Ad Anisio 60. Ad Aussenzio 61. A Pilemene 62. Al governatore civile 63. A Giovanni 64. Allo stesso 65. Al fratello 66. A Teofilo 67. Allo stesso 68. Allo stesso 69. Allo stesso 70. A Proclo 71. A Pilemene 72. Ai vescovi 73. A Troilo 74. A Pilemene 75. A Nicandro 76. A Teofilo 77. Ad Anisio 78. Allo stesso 79. Ad Anastasio 80. A Teofilo 81. Alla filosofa 82. Al fratello 83. A Crise 84. Al fratello 85. Allo stesso 86. Allo stesso 87. Allo stesso 88. A Pilemene

109 109 111 111 113 113 115 115 117 119 121 121 121 121 143 145 147 147 149 149 153 157 159 159 161 161 163 171 173 175 175 175 177 177 177 179

909

indice generale

 89. Al fratello  90. A Teofilo  91. A Troilo  92. Al fratello  93. A Esichio  94. Ad Anisio  95. Al fratello  96. A Olimpio  97. Allo stesso  98. Allo stesso  99. Allo stesso 100. A Pilemene 101. Allo stesso 102. Allo stesso 103. Allo stesso 104. Al fratello 105. Allo stesso 106. Allo stesso 107. Allo stesso 108. Allo stesso 109. Allo stesso 110. Allo stesso 111. Allo stesso 112. A Troilo 113. Al fratello 114. Allo stesso 115. Al medico Teodoro 116. A Eliodoro 117. Ad Aussenzio 118. A Troilo 119. A Trifone 120. Al fratello 121. Ad Atanasio



il fraudolento

122. Al fratello 123. A Troilo 124. Alla filosofa

179 179 181 183 183 185 185 193 193 195 197 199 199 205 205 211 217 227 227 227 229 231 233 233 235 235 237 237 239 239 241 241 243 245 247 249

125. Al fratello 126. Ad Asclepiodoto 127. Al fratello 128. A un vescovo deposto

251 253 253

dall’episcopato per non aver voluto aderire 257 al dogma di Ario 129. A Pilemene 257 130. A Simplicio 259 131. A Pilemene 263 132. Al fratello 267 133. A Olimpio 269 134. A Pilemene 273 135. Al fratello 277 136. Allo stesso 277 137. A Erculiano 279 138. Allo stesso 283 139. Allo stesso 285 140. Allo stesso 287 141. Allo stesso 291 142. Allo stesso 291 143. Allo stesso 293 144. Allo stesso 297 145. Allo stesso 299 146. Allo stesso 301 147. A Giovanni 303 148. A Olimpio 305 149. Allo stesso 315 150. A Pilemene 315 151. Allo stesso 317 152. Allo stesso 317 153. Allo stesso 319 154. Alla filosofa 319 155. All’avvocato Domiziano 325 156. Allo stesso 327



910

indice generale

All’imperatore, sul regno

329

Racconti egizi, sulla provvidenza

403

Premessa Libro primo Libro secondo

405 407 465

A Peonio, sul dono

495

Elogio della calvizie

511

Dione, su come vivere secondo il suo modello

567

Trattato sui sogni

627

Premessa

629

Catastasi

691

Catastasi minore Catastasi maggiore

693 697

Omelie

709

Omelia prima Omelia seconda

711 715

Inni

719

Inno primo Inno secondo Inno terzo Inno quarto Inno quinto Inno sesto Inno settimo Inno ottavo Inno nono

721 765 783 789 793 799 803 807 813

indice generale

911

Note ai testi

821

Lettere, 823 – All’imperatore, sul regno, 838 – Racconti egizi, sulla provvidenza, 842 – A Peonio, sul dono, 846 – Elogio della calvizie, 847 – Dione, su come vivere secondo il suo modello, 850 – Trattato sui sogni, 855 – Catastasi, 860 – Omelie, 861 – Inni, 861.

Apparati i. ii. iii. iv.

Bibliografia Indice dei nomi Indice dei concetti Indice generale

867 887 903 907