Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII. Tre opuscoli dei Mikaeliti [Vol. 1] 8821000222, 9788821000225


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Italian Pages 353 [355] Year 1958

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Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII. Tre opuscoli dei Mikaeliti [Vol. 1]
 8821000222, 9788821000225

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STUDI E TESTI --------- 198 ---------

ENRICO CERULLI

SCRITTI TEOLOGICI ETIOPICI DEI SECOLI XVI-XVII I

Tre opuscoli dei Mikaeliti

CITTÀ DEL VATICANO B IB L IO T E C A A P O S T O L IC A V A T IC A N A

1958

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STUDI E TESTI --------198 ---------

ENRICO CERULLI

SCRITTI TEOLOGICI ETIOPICI DEI SECOLI XVI-XVII I

Tre opuscoli dei Mikaeliti

CITTÀ DEI, VATICANO B IB L IO T E C A A P O S T O L IC A V A T IC A N A

1958

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Vicarius Gen.lis

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1958

Ristampa anastatica Tipo-Litografia D ini s.n.c. - Modena 1988

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D E C A N O D E L S A C R O C O L L E G IO P A S T O R E Z E L A N T IS S IM O I N O R IE N T E E D O C C ID E N T E S T U D IO S O IN S IG N E D E L L A C R IS T IA N IT À O R IE N T A L E È D E D IC A T A Q U E S T ’ O P E R A No

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M A A D A T T E S T A R E L A D E V O T A R IC O N O S C E N Z A D ELL’AUTORE

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PREMESSA

L ’arrivo della Missione dei Gesuiti in Etiopia nel secolo X V I è un avvenimento di importanza fondamentale per la storia di quel Paese. Ho già mostrato altrove come le notizie sull’Etiopia per lunghi secoli arrivate in Europa attraverso la comunità etiopica di Gerusalemme, cui questa funzione di tramite aveva dato particolare valore, avevano pur avuto con­ seguenze rilevanti, come: la ubicazione in Etiopia della leggenda del Prete Gianni Sovrano Cristiano, leggenda che fu incentivo anche ai grandi viag­ gi di esplorazione dalla metà del secolo X V ed ai rapporti degli Stati Italiani con l’Etiopia, durante il Rinascimento. Più tardi, le imprese dei navi­ gatori Portoghesi dall’India verso il M ar Rosso per concludere colà la loro concorrenza coti Venezia, tra la nuova e l’antica via delle spezie, diedero luogo a rinnovati contatti, i quali però — dal punto di vista etiopico — rimasero piuttosto marginali. I l primo profondo contatto in questo pe­ riodo fu dato dall’eroica spedizione di Cristoforo da Gama in aiuto del­ l’Etiopia cristiana durante l’invasione dei seguaci musulmani dell'imam Ahmed ibn Ibrâhîm; e le gloriose geste e la fine, da vero martire, di Cri­ stoforo da Gama assicurarono a quei valorosi soldati il rispetto dei guer­ rieri Etiopi. Poi giunsero i Gesuiti. E l’Etiopia per la prima volta fu studiata, conosciuta e fatta conoscere al mondo occidentale con quella amorevole simpatia che il suo lungo passato meritava. Dell’opera svolta dai Gesuiti abbiamo le testimonianze nella monumentale collezione dei Rerum Aethio­ picarum· Scriptores Occidentales del P . Beccari. A me è sembrato utile raccogliere e pubblicare, come farò — a Dio piacendo — nei volumi di quest’opera, gli scritti degli Etiopi di quello stesso periodo, che testimoniano — a loro volta — le discussioni allora svoltesi in materia teologica con gli Occidentali. Sono documenti tutti ine­ diti, che ho raccolto dalle collezioni di varie biblioteche europee o che ho

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VI

potuto far copiare nei monasteri etiopici. Credo sia la prima volta che noi siamo in grado di seguire negli scritti di una Cristianità Orientale le vi­ cende dei contatti con gli Occidentali. E l’opera, se non presumo troppo, dovrebbe essere non inutile sia perchè il valore e l’importanza dell’opera di una missione in paesi lontani va ovviamente giudicata in relazione all’effet­ tivo ambiente culturale in cui quella missione si svolse; e sia perchè non è senza significato, anche oggi, l’apprendere ed esaminare da vicino quali furono i problemi allora concretamente discussi tra Occidentali ed Orien­ tali per giungere alla concordia auspicata.

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INTRODUZIONE

Ho altrove pubblicato un racconto sulla lotta del negus Zare’ a Yà'qob (1434-1468) contro gli eretici Mikaeliti; ed allora ho raccolto i vari dati, che si avevano, su tale eresia in Etiopia (l). Da proposizione principale della eresia era la inconoscibilità di Dio. Tale proposizione era affermata dai Mikaeliti come conseguenza della loro interpretazione di due passi neotestamentari: J o h . 1,18 (e I J o h . IV, 12): «Deum nemo vidit unquam »; e I T i m . VI, 16: « [Dominus] quem nullus homo vidit nec videre potest ». D’eresia Mikaelita fu duramente repressa dal negus Zare’a Yà'qob, tanto che poteva credersi estinta appunto a metà del secolo X V o poco dopo (2). Successivamente, invece, ho identificato, nel codice della Bibliothè­ que Nationale di Parigi Eth. 119, tre opuscoli che espongono, in modo completo, la dottrina dei Mikaeliti. Abbiamo così, per la prima volta, una esauriente trattazione dottrinale di uno dei maggiori movimenti eretici che travagliarono la Chiesa Etiopica nel Medio Evo. Ma i tre opuscoli sono stati scritti durante l’attività della missione della Compa­ gnia di Gesù in Etiopia, dunque tra il 1557 ed il 1632. Perciò questo prova come il movimento dei Mikaeliti, pur dopo il secolo XV, era sopravvis­ suto ed aveva ancora, sia pure forse in qualche convento isolato — come è accaduto altra volta in Etiopia, — una notevole vivacità sì da tentare di profittare delle discussioni sorte tra Cattolici e Monofisiti per riaffermarsi e riprendere un’azione di propaganda. Da posizione, che i Mikaeliti prendono in questa loro opera, è abba­ stanza abile: la Chiesa Etiopica, per il braccio secolare dei Sovrani, aveva colpito i seguaci dell’eresia Mikaelita. Questi ora vengono a dichia­ rarsi a lato della Chiesa Etiopica stessa in difesa della dottrina monofi( l) II libro etiopico dei M iracoli di M aria e le sue fonti nelle letterature del M edio Evo Latino, R o m a 1943, p . 107-1 21 (q u i a p p r e s s o c i t a t o c o m e : M iracoli di M aria). (a) M iracoli di M aria, p . 121. I /im p r ig io n a m e n t o e la m o r t e in c a r ce r e d e l m o n a c o G iy o r g is , s e g u a c e d e i M ik a e liti, a v v ie n e d o p o il 14 50 e p r im a d e l 1468.

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VETI

Introduzione

sita nella discussione in corso con i Missionari Cattolici. Ma nel contempo, mentre mostrano di prestare così il loro concorso, profittano dell’occa­ sione per esporre i punti essenziali della loro propria dottrina. Questa situazione può giovare a noi anche per datare entro più ristretti limiti l’opera, che oggi qui pubblichiamo; perchè evidentemente essa non sembra da attribuire ai primordi della Missione della Compagnia di Gesù, quando la posizione del Patriarca Andrea Oviedo (1557-1577) era ancora troppo precaria perchè gli eretici Mikaeliti; così aspramente avversati dalla Chiesa Etiopica, ritenessero tempestiva una manovra del genere di quella tentata con questi opuscoli. Ancora, per opposti motivi, sembra da escludere il periodo deH’Unione tra la Chiesa Cattolica e quella Etiopica (1607-1632), quando nè la Chiesa Etiopica Unita avreb­ be dato luogo, ovviamente, a tale tentativo, nè i dissidenti avrebbero rappresentato utili alleati per i Mikaeliti. Bisognerà quindi pensare, a mio parere, agli ultimi decenni del secolo XVI, allorché le discussioni sull’Unione continuavano intense, ma non era ancora prevedibile il loro esito, che poi si ebbe favorevole per opera del P. Pietro Paez e dei suoi collaboratori. A questa ipotesi induce pure un’altra considerazione di fatto, che va qui particolarmente sottolineata. Il codice di Parigi, che, come ho detto, è unico, proviene alla Bibliothèque Nationale dalla Biblioteca di Colbert (J) e fu portato in Europa dal famoso etiope Saga Krestos. Costui arrivò nel marzo 1632 a Gerusalemme dal Cairo, raccomandan­ dosi al P. Paolo da Podi, già Prefetto della Missione Francescana in Egitto. In Terra Santa e poi a Roma, alla fine dello stesso anno 1632, ed, in conclusione, a Parigi, il Saga Krestos si presentò come principe della dinastia dei Salomonidi ed anzi legittimo pretendente al trono di Etiopia. Queste sue qualità gli furono contestate con ottimi argomenti. Egli aveva fatto solenne professione di fede cattolica in Nazareth il 29 Giugno 1632, abbandonando la dottrina monofisita (2). Ora la pubblicazione, che qui facciamo, del codice da lui portato a Parigi è un indizio che Saga Krestos, personalmente, o qualcuno del suo seguito al Cairo erano in relazione con gli eretici Mikaeliti. Comunque soltanto due manoscritti etiopici sono oggi conservati che provengono da Saga Krestos nella Bibliothèque Nationale: questo della dottrina

P ) H . Z o TENBERG, C atalogu e des m a n u scrits éth io p ien s (ghees et am hariqu e) de la B ib lioth èq u e N a tio n a le, P a r ig i 1877, p . 141. (2) E . C e r u i a i , E tio p i i n P a le stin a . S toria della com unità, e tio p ic a d i G eru ­ sa lem m e, v o l. I I , R o m a 1947, p . 1 0 6 -1 1 9 .

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Introduzione

IX

Mikaelita (il solo che, all’inizio, abbia una nota possessionis di Saga Krestos); e, con qualche dubbio, l’Eth. 103 (un Argànona Dengel) che Fr. Eugène Roger, della Custodia di Terra Santa, dichiarò aver avuto in dono da Saga Krestos (l), dunque ancora in Palestina. È certo curioso che il solo manoscritto etiopico, di cui sia attestata la cura, sino a Parigi, da parte di Saga Krestos (fortunata cura per gli studi storici, del resto) sia proprio questa opera polemica e manovriera dei Mikaeliti. In ogni modo, il codice, pur giunto in Europa così nel Seicento, è rimasto praticamente sconosciuto, per quanto si riferisce al suo valore e contenuto storico (2). E ciò è spiegabile sia per la difficoltà di apprez­ zarne l’effettivo significato nei confronti della storia della Chiesa Etio­ pica, così poco nota — diciamolo pure — anche oggi; e sia perchè i Mikaeliti, i n v o l o n t a r i a m e n t e , per la sottile asprezza degli argomenti trattati, e, v o l o n t a r i a m e n t e , per manifestare sol­ tanto in forma cautamente involuta il loro pensiero, hanno redatto quest’opera, e particolarmente il primo dei tre opuscoli, in modo da profittare di tutte le risorse del linguaggio e della rettorica delle scuole etiopiche sì da farne uno degli scritti più complicati di quella lette­ ratura. * * *

Anche perciò ritengo utile far precedere un esame storico-religioso del contenuto del libro. Ed, anzi tutto, vediamo quale sia l’iter del ragionamento del nostro autore, nella sua linea essenziale. Egli qui parte daH’affermazione che l’uomo non è simile a Dio né è simile alla Terra, madre dei viventi. N o n è s i m i l e a l l a T e r r a , dalla quale è uscito; perchè questa è insensibile ed è salda per immobilità e durata. Alla Terra madre tornerà poi l’uomo, come ad essa tornano animali e piante, e con la Terra si unificherà, non più distin­ guendosi, in una sola forma. N o n è l ’ u o m o s i m i l e a D i o : e qui il Mikaelita confuta a lungo l’interpretazione corrente dei passi biblici ( G e n e s i III, 22; G e n e s i V, 1; G e n e s i I, 20 e corrispondenti), Catalogue, c it ., p . 97. I / Argànona Dengel (« A r p a d e lla Argànona M âryâm è u n ’ o p e r a d i p ie t à m a ria n a , p e r la q u a le c fr . la m ia Storia della letteratura etiopica, M ila n o 1956, p . 1 5 3 -1 5 4 . f 1) H . ZoTENBERG,

V e r g in e ») o d a n c h e

( 2) I l L u d o lf e s a m in ò n e l 1683 il m a n o s c r it t o , c o m e r is u lta d a u n a su a n o ta , e n e r ic a v ò q u a lc h e v o c a b o l o p e r il s u o

Lexicon Aethiopico-Latinum , c it a n d o lo

c o m e « M a n u s c r ip t u m C o lb e r tin u m ». Q u e s te p o c h e c it a z io n i le s s ic a li s o n o p o i p a s s a te n e l D iz io n a r io d e l D illm a n n ( Lexicon

linguae Aethiopicae, L ip s ia 1865),

il q u a le n o n a v e v a p o t u t o v e d e r e il c o d ic e (o p . c it ., c . x n ) .

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X

Introduzione

sostenendo che essi vanno soltanto intesi in senso figurato. Ma, nel corso di questa argomentazione, l’autore Mikaelita passa, a poco a poco e senza averne l’aria, dalla dissimiglianza di Dio dall’uomo alla invisibilità di Dio; e quindi dalla invisibilità, che arriva ad essere prima intesa come impercettibilità, sino all’affermazione finale del principio, fondamen­ tale, come si è detto, per i Mikaeliti, della inconoscibilità di Dio. Il passaggio dall’ima all’altra di queste affermazioni è fatto, come si diceva, con abilità: a dimostrare la dissimiglianza dell’uomo da Dio (contro Ge n e si , V, 1) si cita il passo dell’EsoDO (XXXIII, 20) : « Non poteris videre faciem meam; non enim videbit me homo et vivet» (l); e così il discorso si sposta: direi, scivola, sulla invisibilità. E dopo, a prova della invisibilità, si citano il passo del Vangelo « Deum nemo vidit un­ quam » (a) e passi della liturgia di S. Giovanni Evangelista (3) (« Nessuno Ti conosce. N e s s u n o p u ò v e d e r t i . Tu conosci Te stesso. Tu sei nascosto a tutti »), giungendo così alla proposizione della incono­ scibilità. Quindi, l’autore Mikaelita inserisce nell’arido accumularsi di prove e contro-prove un episodio davvero ispirato da un poetico slancio e che, come ho detto anche altrove (4), mi sembra esteticamente uno dei mi­ gliori della letteratura etiopica: il Viaggio alla ricerca di Dio (5); lo scrit­ tore sembra davvero dominato da quel senso della profonda miseria della creatura umana nei confronti della sublime maestà del Creatore, senso che veniva trasmesso ed eccitato nei Mikaeliti ormai da secoli, a giu­ stificazione non solo argomentativa, ma addirittura lirica della loro eresia. Questo brano poetico serve anche di passaggio dalla dimostrazione sin qui fatta secondo i metodi tradizionali della polemica nelle scuole etiopiche, e cioè per citazioni bibliche, patristiche e liturgiche, ad una successiva argomentazione, per prove psicologiche. Il nostro Mikaelita invoca, infatti, l’ignoranza dell’uomo verso la sua propria anima e l’igno­ ranza dell’uomo verso i suoi propri sensi; per rappresentare come l’essere umano, che è portatore di un’anima che egli non arriva a conoscere, ed ha nel suo corpo organi sensori la cui attività egli ignora, è, a ragione infinitamente più forte, incapace di giungere alla conoscenza di Dio. Tra l’uomo e Dio « vi è un abisso di fuoco », abisso che gli umani non possono (x) Cfr. qui appresso p. 83 segg. (2) J oh . I, 18. Ritorna così nel suo valore per i Mikaeliti questo passo già citato nella polemica del secolo XV. Cfr. qui sopra, p. III. (3) Vedi p. 90 segg. (4) Cfr. appresso p. 125-133. (5) Cfr. S toria della lettera tu ra e tio p ic a , cit., p . 200.

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Introduzione

xi

varcare; e che Dio, a sua volta, non varca perchè, se egli facesse conoscere agli uomini la sua essenza, quelli « si sazierebbero di Dui, come ora vi è trascuranza della bellezza dell’amore del sole a causa del suo perpetuo viaggiare verso di noi » (*). Da non conoscibilità di Dio è quindi anche un fatto provvidenziale, nel sistema Mikaelita. * * * Ora da questa dottrina della inconoscibilità di Dio quali conseguenze erano tratte dai Mikaeliti? Sin ora conoscevamo solo dall’esterno gli errori ad essi attribuiti nell’opinione corrente della Chiesa Etiopica. E queste proposizioni erronee erano indicate come la non distinzione tra le Persone della Trinità (definite così: ‘ tre nomi, ma una persona, una ipostasi, una immagine ’) ; e la ‘ negazione dell’esistenza della Cena sul monte Sion ’, da intendere probabilmente come dubbi sulla transustan­ ziazione (2). Sino a che punto queste contestazioni mosse ai Mikaeliti erano giu­ stificate? Il Mistero della Trinità è argomento di uno dei capitoli del primo opuscolo mikaelita qui pubblicato. Qui, ancor più che altrove, il nostro autore, il quale — non dimentichiamolo! — scriveva nelle cir­ costanze specialissime che si è detto e scriveva con l’intenzione di i n ­ s i n u a r e la dottrina mikaelita in una discussione concernente ben altri argomenti, si ammanta di volute oscurità per ovvia prudenza. Quel che il Mikaelita qui espone, in questa forma complicata, si riduce a due affermazioni: la seconda di esse è fondata su di un passo attribuito (a torto) a S. Gregorio il Taumaturgo e che il nostro autore interpreta nel senso che « I nomi delle Tre Persone della Trinità non sono venuti dopo di loro, ma anzi sono ab initio come loro. E le loro Persone sono dette nomi ed i loro nomi sono dette Persone »; dunque, se non erro, una posizione non lontana dal modalismo che veniva rimproverato, come ho detto, dalla Chiesa Etiopica ai Mikaeliti (3). Più grave ancora è la prima affermazione che è fatta in forma di oscura parabola. Se l’interpretazione che ho cercato di darne è esatta, il Mikaelita inserisce qui la Trinità del Cristianesimo in una teogonia gnostica; che parte da due Principii Agenti che si uniscono entrambi con Cfr. appresso p. 143. cit., p. 113-114. Per quanto si riferisce alla ‘ nega­ zione della Cena vedi, poi, C. Co nti R ossin i , D u e c a p ito li d el L ib r o d el M is te r o di G iy o rg is d a S aglà in R a sseg n a di S tu d i E tio p ic i, VII, 1948, p. 18-19 e p. 50-53. (3) Cfr. appresso p. 146-147. ( 1)

( 2) M ir a c o li di M a r ia ,

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Introduzione

XIX

un Essere femminile, dal quale nella stessa notte nasce un secondo Essere femminile che, già incinta alla nascita, dà vita a Tre figli. L,a Madre im­ pone ad essi figli nomi diversi, ma essi si unificano in un'unica Persona. Il nostro autore non ci dice di più nè ci parla più chiaramente, ponendo davvero, come egli dice, « misura al nostro parlare per non rovinarci » e «limiti al nostro discorso per non perire» (*). D’autore Mikaelita ritorna ancora, nel secondo opuscolo, sulla que­ stione della creazione del mondo, sotto la nuova specie di giustificare la necessità della Redenzione. Anche qui — e sempre per le stesse ragioni di prudenza — il nostro scrittore si avvolge in oscurità di espressione. Se la mia interpretazione del passo è esatta, egli dice che: il Re Unico, il ‘ Re della Pace’ (2), ordina la creazione del mondo visibile a Tre Potenze creatrici (che vengono ancora identificate con le Tre Persone della Trinità del Cristianesimo). Queste Tre Potenze creatrici, che dunque sembra coincidano con i tre figli della Madre (della teogonia ora sopra indicata), danno opera alla creazione a mezzo di Principii Agenti, che il nostro Mikaelita denomina Angeli, per usare — col consueto metodo — della terminologia cristiana. Quindi, nella storia della creazione, questi Principii Agenti (‘ Angeli’) che ricevono stimolo all’azione non già da una rivelazione totale e simul­ tanea di Dio, che li sazierebbe, ma da ima rivelazione graduale che ne tiene vivo ed acuito l’amoroso desiderio, vogliono creare Adamo ‘ per apparentarsi con lui ’. Ma la creazione di Adamo, in quanto fatta ex limo terrae, lo pone in collegamento immediato col principio del male (‘ il luogo del Caduto ’) e perciò lo dissocia inizialmente dagli Angeli o Principii Agenti che lo hanno creato. Perchè la intenzione dello ' appa­ rentamento’ si realizzi è necessaria, .perciò, una ulteriore azione e non più degli Angeli, ma di una delle Tre Potenze creatrici (e cioè, in termini cristiani, di una delle Persone della Trinità); di qui la necessità del­ l’Incarnazione del Verbo; che il nostro Mikaelita porrà a base salda della sua cristologia polemicamente esposta negli opuscoli secondo e terzo in forma dottrinalmente analoga al monofismo della Chiesa Etiopica, ma in realtà, fondata nella sostanza su presupposti ben divergenti. Quanto all’altra contestazione mossa ai Mikaeliti dalla Chiesa Etio­ pica circa la « negazione della Cena sul Monte Sion » nessuna traccia se ne trova nell’opera che qui pubblichiamo. È possibile che tale eresia sia stata attribuita a torto ai Mikaeliti, mentre però della sua diffusione (>) Cfr. p. 144-146. (2) p. 193-196.

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Introduzione

XIII

in Etiopia non è lecito dubitare. Tuttavia è da considerare il valore cer­ tamente non grandissimo, specie in questo caso, dell’argumentum ex silentio, anche perchè nessuna trattazione del Sacramento Eucaristico l’oggetto dell’opera qui comportava. *

--h *

Ora conviene esaminare ancora un altro grave quesito. Dalla incono­ scibilità di Dio, premessa di tutto il loro sistema, quali altre conseguenze traevano dunque i Mikaeliti, a quanto risulta dall’opera qui edita, nel loro insegnamento dottrinale e nella loro pratica organizzazione? Mi si consenta di sottolinearne alcuni punti: a) In un linguaggio assai equivoco e complicato di dubbiosa rettorica sembra che il nostro autore Mikaelita dica che ad una conoscenza dell’Inconoscibile si può giungere meravigliosamente solo ‘ per l’indagare che si vergogna di correre ’ (l) : e cioè, per gradi progressivi. Ed in un altro passo, con ambiguità non minore, pare sia detto come al progresso verso la conoscenza dell’Inconoscibile corrisponde un progresso della disciplina dei sensi: da uno stadio, nel quale i sensi non frenati corrono e raggiungono la loro delusione (come l’intelletto non frenato urta contro l’inconoscibilità), ed è quindi ‘ nelle valli della miseria ’, si arriva allo stadio più elevato dei ‘ saggi ’ che sono ‘ sui monti della ricchezza ’, quando, dopo la delusione sensuale, il Mikaelita avrà acquistato, non avendo piùrimpianti, il dominio della debolezza materiale del suo corpo (a). b) Il problema della Conoscenza di Dio è poi ripreso, alla fine del terzo opuscolo, nei consueti modi ambigui (3). Anche questo passo è assai oscuro. D’autore Mikaelita sembra quasi cerchi, anzi tutto, gli Spirituali, i Πνευματικοί, sui quali si è effuso lo Spirito — secondo i passi della Scrittura citati ad hoc. Questi umani hanno in loro la ric­ chezza dello Spirito che è possibilità di conoscenza. Ma tale ricchezza dello Spirito può esser perduta quando avendo la possibilità di rivolgerla verso l’alto, e cioè verso la Conoscenza suprema, la si rivolge verso il basso, e cioè verso il mondo materiale. (Ciò mi sembra adombrato nella parabola dell’innamorato che rinnega Dio per l’amore terreno e perde la colomba dello Spirito Santo). Occorre invece custodire quella ricchezza, tesaurizzare quella pos­ sibilità, che può essere sperperata invece senza speranza di recupero. Infatti Adamo l’aveva sperperata per il suo peccato di contaminazione (!) Cfr. p. 148. (2) Vedi p. 139-142. (3) Cfr. p. 312-314.

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Introduzione

X IV

col materiale e riebbe la possibilità della Conoscenza per ' la fontana del Costato, sangue di salute nel vaso della Croce salvatrice singolare interpretazione della Redenzione in tema di Graal! Ma per chi dila­ pida oggi la ‘ ricchezza dello Spirito ’ non esiste, invece, più speranza. Quindi, munito del tesoro dello Spirito, lo ‘ spirituale ’ può darsi in umiltà alla ricerca di Dio partendo dalla visione della forma delle crea­ ture percepibili e risalendo da essa per la ‘ scala ’ della conoscenza gra­ duale sino al non percepibile. Ma alla suprema Gnosi del non percepibile — alla Conoscenza di Dio — non si arriva ' senza le Sue arti ’ ; queste ‘ arti ’ vanno apprese dal Maestro della Gnosi (‘ tolte dal compagno ’); entro dunque l’ambito dell’insegnamento gnostico. Chi volesse, invece, raggiungere la Conoscenza dall’esterno — fuori dell’insegnamento gno­ stico — si perderebbe miseramente. c) In un altro passo non meno contorto il nostro autore si pone questo problema: come mai dalla Sapienza immateriale è stato generato l’uomo che ha un elemento materiale? (*). Il quesito ha tanto maggior valore per i Mikaeliti, in quanto la dissimiglianza dell’uomo da Dio e ‘ l’abisso di fuoco ’ che separa Dio dall’uomo per l’inconoscibilità sono per essi i punti fondamentali della dottrina. Ora, a traverso le consuete ambiguità, pare che il Mikaelita dica come nell’uomo l’elemento natu­ rale ‘ portato in vicinanza ’, e cioè gravante col suo peso sull’essere umano e tale da impedirgli la Conoscenza fuori dell’esperienza immediata, è sposato con un elemento immateriale ‘ portato in lontananza ’ e che dà la vita, e cioè la possibilità della conoscenza al di là dei limiti dell’espe­ rienza immediata (come ‘ l’ampiezza del mondo ’ esprimibile per la parola umana, ma non percepibile per immediatezza di sensi). D’elemento materiale dell’uomo, come era stato spiegato in un altro passo, è generato dalla ‘ Terra madre dei viventi ’ ed è destinato a diventare ‘ un unico corpo con la Terra ’ in ‘ un’unica forma ’, come avviene per tutti gli altri esseri viventi sì che lo stesso ‘ Pastore dei viventi ’ (dunque un Essere divino) ‘ non può riconoscere la loro forma che egli conosceva prima; nè può chiamarli con i loro singoli nomi con i quali li chiamava prima’ (2). D’altra parte l’elemento immateriale dell’uomo ‘ quando lo chiamerà la Sapienza, si riunirà da che era disseminato ’ (3) (formula equivoca che può lasciar supporre una unificazione del Noiϊς degli indi­ vidui e del Ν οϋς Supremo). i1) p. 149-151. (2) P- 72. (3) p . 150.

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Introduzione

XV

Ma vorrei ancora notare che sia per la Terra, madre del materiale, che per la Sapienza, generatrice dell’immateriale, il nostro testo non adopera il verbo ‘ creare ’, ma si serve piuttosto, e costantemente, del traslato ‘ generare ’, Terra e Sapienza essendo mostrate incinte dei loro * A gli ’ ·

d) Alla inconoscibilità di Dio, limite supremo, come possono corrispondere gli sforzi dell’intelletto umano nella sua immaterialità? Alla domanda vuol rispondere un paragrafo conclusivo della « Spiega­ zione della Divinità», il primo dei tre opuscoli Mikaeliti (*). E risponde con due parabole: quella del ragno che si prepara a nutrirsi della preda ed a ‘ mangiare lottando ’ ; ma sa attendere il tempo di lanciarsi sulla preda e si lancia pur molto lontano, però sempre rimanendo attaccato con una zampa al filo della sua rete che gli fa da guida e gli dà la possibilità di recupero, dopo il raggiungimento del bottino. E la parabola analoga del camaleonte, che aspetta, anche egli sull’alto dei rami, il tempo propizio e poi allora lancia la sua lunga lingua sulla preda che lo alimenterà. Da queste due parabole si può forse dedurre che, nel concetto dei Mikaeliti, l’uomo che tende alla conoscenza di Dio, di cui alimentarsi, non deve tentare di raggiungerla se non nel tempo opportuno e con la guida op­ portuna. Altrimenti egli si perderebbe. Così queste parabole finali vengono, in certo modo, a concordare con l’altra parabola del nostro autore sulla interpretazione della Scrit­ tura (a). La Scrittura è paragonata ad una porta chiusa con un chiavi­ stello segreto. Muore di fame vanamente innanzi a tale porta chi non ne conosce il segreto. Soltanto coloro, cui l’artefice, che il segreto conosce, ha guidati ed istruiti, riescono ad aprire la porta e ad oltrepassarla giun­ gendo così al vero significato della Scrittura che è appunto questo se­ greto, mentre quello letterale, palese, non soddisfa la ‘ fame *

*

*

Da questa analisi dei dati deducibili sulla dottrina dei Mikaeliti, come essi vengono esposti, in quest’opera, si riconoscono alcune propo­ sizioni che indubbiamente fanno pensare ad una forma di gnosticismo. La inconoscibilità di Dio, primo postulato dei Mikaeliti; la necessaria gradualità nell’accostarsi alla Conoscenza e la necessità di una guida; la interpretazione segreta della Scrittura in confronto dell’erroneità di i1) Cfr. p. 151-152 e vedi anche qui sopra p. xm. (») Vedi p. 112-114.

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Introduzione

XVI

quella palese; tutti questi sono certo principi riconducibili alla Gnosi. In altro mio lavoro ho identificato nella letteratura etiopica del secolo X IV un gruppo di opere di tendenza gnostica (l). Anche la dottrina dei Mikaeliti ci è attestata alla fine del X IV ed agli inizi del XV, come ho detto sopra. A quanto risulta sin ora, però, la tendenza dei Mikaeliti differisce nelle sue proposizioni essenziali da quella delle altre opere del secolo X IV cui ora ho fatto allusione. Ma entrambi questi gruppi concorrono a testimoniarci la presenza in Etiopia già nel secolo X IV e, per i Mikaeliti, sino alla seconda metà del secolo X VI di idee gnostiche. Queste tendenze gnostiche in Etiopia quale origine e quali affinità hanno nella storia della Gnosi orientale? E sono mai state collegate con una qualche forma del Manicheismo medievale? A questo problema, che mi è parso utile porre già qui interrogativamente, è difficile rispondere prima di un completo esame della letteratura di tendenza gnostica cui ora ho accennato; esame che ora non mi è possibile fare in questo volume, ma che merita di esser condotto a termine, come farò a parte, successi­ vamente. Comunque sia, vorrei ancora insistere sul carattere particolare, che ha avuto la stessa impostazione di quest’opera dei Mikaeliti, il cui autore procedeva p e r i g n e s ; ed, oltre tutto, con dichiarazioni troppo scoperte sulla sua propria dottrina avrebbe da se stesso annul­ lata la sua manovra di profittare delle discussioni tra Etiopi monofisiti e Missionari, facendo anzi l’unanimità contro la sua eresia. * * * Altra e diversa importanza hanno il secondo ed il terzo opuscolo del nostro Mikaelita, per la parte che sviluppa invece i motivi della discussione sulla ‘ natura unica ’ di Cristo nel senso della dottrina monofisita accolta dalla Chiesa Etiopica. E storicamente importante, voglio dire, l’appren­ dere così quali soggetti furono in concreto discussi e quale sui singoli quesiti allora posti fu l’argomentazione dei sostenitori del monofisismo. Anche per questa parte, a facilitare l’esame del libro, darò qui di seguito l’elenco ed il breve riassunto dei problemi trattati. Ία Obbiezione al monofisismo (2). I Re Magi vennero dal loro lontano paese e furono guidati a Bethlemme per adorare Gesù Uomo-Dio. Se

(1) S toria della lettera tu ra e tio p ic a , c it., p . 5 0 -6 2 : e p iù a lu n g o n e h o d is c o r s o n e lla p r o lu s io n e L a littéra tu re éth io p ien n e d an s l'h isto ire de la cu ltu re m éd iévale (te n u t a a B r u x e lle s n e l g e n n a io 1957 e d in c o r s o d i p u b b lic a z io n e ). ( 2) p . 2 0 2 -2 1 0 .

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Introduzione

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la natura di Cristo fosse stata unica e divina, perchè mai essi avrebbero affrontato il lungo viaggio quando Dio è dappertutto ed è adorabile dappertutto, in Persia come a Bethlemme? Il nostro Mikaelita risponde interpretando, a suo modo, i numerosi passi biblici sulle teofanie, riferite dalla Scrittura a luoghi e tempi deter­ minati. Questi riferimenti, a cominciare da Genesi, XVIII, 21 (' Descen­ dam et videbo ’) sino a Joh. IV, 20 (‘ Jerosolymis est locus ubi adorare oportet), furono fatti non già a diminuzione della onnipresenza, in luogo e tempo, di Dio, ma invece per insistere presso gli uomini sul valore della distinzione temporale e spaziale; oppure, altra volta, provvi­ denzialmente per aiutare gli uomini ad agire, nei limiti spaziali e tem­ porali loro propri, per il meglio (Cosi ‘ Jerusalem civitas mea ’ e l’intero Salmo 121 vogliono soltanto persuadere gli Israeliti a preservare il loro monoteismo). 2a Obbiezione al monofisismo i1). S. Paolo nell’Epistola agli Ebrei disse di Gesù: ‘ Pueri communicaverunt carni et sanguini et ipse similiter participavit eisdem ’. Il Mikaelita risponde citando altri passi paolini, a cominciare da II C o r . V, 16 (‘ Et si cognovimus secundum carnem Christum ’), che egli interpreta come ‘ glorificazione ’ della Carne in Cristo per l’unione con la Divinità del Verbo, come il ferro — secondo la ben nota immagine di S. Cirillo — è ‘ glorificato’ nella sua unione col fuoco. 3a Obbiezione (2). S. Paolo nell’Epistola agli Efesii disse: ‘ Deus Domini Nostri Jesu Christi, Pater gloriae ’ : ciò che va interpretato della natura umana, non avendo senso nella tesi della natura unica il ‘ Deus Jesu Christi ’. Il Mikaelita cita in risposta lo stesso S. Paolo che chiamò altrove lo stesso Gesù crocefisso ‘ Dominus gloriae ’ , che corrisponde dunque al ‘ Pater gloriae ’ del discusso passo dell’Epistola agli Efesii; ed ancora S. Paolo altrove, come del resto fanno anche gli Evangelisti, chiama Gesù ' Nostro Signore ’ (indirettamente, beninteso, in quanto sono piuttosto elencati nel testo i passi nei quali l’Apostolo si dice ‘ servo ’ di Cristo). Se quindi volessimo dare un’interpretazione isolata a questi passi — come per la detta obbiezione viene isolato il passo dell’Epistola agli Efesii — giungeremmo, dice il Mikaelita, alla conclusione assurda che, poiché il Padre è detto ‘ Padre nostro ’ e noi Suoi figli siamo detti ‘ servi (!) p. 213-215. (2) p. 215-219.

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Introduzione

di Cristo ’ e servi del ‘ Dominus gloriae il Padre sarebbe insieme con noi ‘ servo di Cristo e cioè si verrebbe ad attribuire al Padre una κ έ ν ω σ ι ς che non è mai stata invece Sua, ma del Figlio. 4“ Obbiezione i1). Nella I Epistola ai Corinzi S. Paolo dice: ‘ Ipse Filius s u b i e c t u s erit ei qui subiecit sibi omnia Come spiegare questa ‘ soggezione ' con la dottrina monofisita? Il Mikaelita dà qui una interpretazione diversa, che è fondata sul testo etiopico dell’Epistola. Il verbo (etiopico) ganaya significa ‘ sotto­ mettersi ’, ma vale anche ‘ celebrare, glorificare ’. In questo secondo senso S. Paolo dice che il Figlio celebra il Padre, il quale (e qui ganaya riprende il primo senso) sottomise a sè tutto. Ma oltre a questa prima spiegazione filologica, il Mikaelita ha un’al­ tra risposta: Il passo di S. Paolo si potrebbe anche spiegare inten­ dendo in entrambi i casi il verbo etiopico ganaya nel senso di ‘ celebrare ’ : vale a dire, allora, il Figlio celebra, glorifica quelli che lo hanno fatto celebrare, glorificare. Quindi: il Figlio dà gloria ai suoi Santi che per le loro gesta eroiche lo hanno glorificato in terra.

5“ Obbiezione (2). Nella Epistola ai Romani S. Paolo dice che Gesù ‘ postulat pro sanctis ’ ; e, secondo S. Giovanni, Gesù annunziò ai Disce­ poli: ‘ Ego rogabo Patrem ’ per l’invio del Paracleto. Questi due passi non sembra possano riferirsi alla natura divina del Verbo. Il Mikaelita qui replica riferendosi a l l ’ u m i l t à esemplare di Gesù che, nel suo significato vero, è chiarita dai passi paralleli nei quali Gesù dice: ‘ Nemo venit ad Patrem nisi per me ’ ; e ‘ si quid petieritis me in nomine meo, hoc fadam ’. * * *

Tali discussioni, in forma appunto di obbiezioni al monofisismo e risposta Mikaelita, continuano anche nel terzo opuscolo ‘ Il Porto sicu­ ro ’ ; e, per comodità degli studiosi, ne seguitiamo a dare il riassunto. 6a Obbiezione al monofisismo (3). Gesù nell’orto di Gethsemani si prosternò e pregò (secondo S. Matteo e S. Marco) e più tardi un Angelo venne in suo soccorso (secondo S. Duca). Se la natura di Gesù Cristo fosse stata unica, perchè la prosternazione, la quale non appare spie­ gabile che riferendola alla natura umana? (*) p. 219-224. (a) p. 227-228. (s) p . 273-278 e p. 285-289.

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Introduzione

X IX

Il Mikaelita risponde che Gesù, aveva tolto su di sè il timore per liberare dal timore l’umanità, sì che la Divinità ‘ nascondendosi nella carne ’ ha disfatto il male. Che questo timore al Gethsemani sia stato solo veste esterna tolta momentaneamente in prestito è provato, per il Mikaelita, dai passi della Scrittura nei quali Gesù dà altissima prova di non conoscere il timore. Tornando poi in seguito sulla stessa obbiezione il Mikaelita spiega che Gesù con le sue prosternazioni al Gethsemani volle affermare l’universalità della Redenzione contro l’esclusivismo degli Ebrei che volevano il culto limitato a Gerusalemme ed al Tempio. 7“ Obbiezione al monofisismo (l). Secondo un passo di S. Giovann (XX, 17), Gesù disse: ' Ascendam ad Patrem meum et Patrem vestrum, ad Deum meum et Deum vestrum ’. Queste parole vanno riferite anche essa alla natura umana coesistente nel Verbo Incarnato con quella divina. Il Mikaelita replica adducendo i passi del Vangelo, nei quali invece Gesù parla dei Discepoli e della Chiesa come * Suoi ’ affermando così la Sua natura divina. Anche prima dell’Incarnazione, nel Vecchio Te­ stamento abbondano i passi nei quali il Signore volontariamente ' si avvilisce ’ adottando linguaggio e modi umani (ad esempio, quando chiedeva a Mosè: ‘ Che hai nella tua mano? ’ [Ex. IV, 2], quasi Egli potesse ignorarlo); ed in questo senso va inteso il ‘ ad Deum meum et Deum vestrum ’ del passo di S. Giovanni. 8a Obbiezione alx monofismo (2). Nel passo di S. Giovanni: ‘ Pater

maior me est ’, come .non intendere la natura umana distinta da quella divina? E come una diversa interpretazione con senso rigidamente monofisita si concilierebbe eon il dogma trinitario? Il Mikaelita risponde che quel passo non va isolato, ma va inteso nel suo contesto, come parte della richiesta dell’Apostolo Filippo: ‘ Osten­ de nobis Patrem ’ e quindi della susseguente risposta di Gesù che diffe­ risce la piena comprensione del Mistero della Trinità da parte degli Apostoli sino alla venuta del Paracleto alla Pentecoste. 9“ Obbiezione al monofisismo (3). Da parola di Gesù sulla Croce ‘ Deus meus ’ va intesa in relazione alla natura umana coesistente, distinta, in Cristo. f 1) p . 2 7 8 -2 8 3 . (2) p . 2 8 3 -2 8 5 . (s) p . 2 8 9 -2 9 1 .

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Introduzione

XX

Da risposta del Mikaelita è che ‘ Deus meus ’ fu detto da Gesù a designare ' Colui che mi ha dato il potere su tutto ’ ad insegnamento, quindi, dei Discepoli e dei fedeli avvenire. 10“ Obbiezione al monofisismo (l). Si riferisce al passo dell’Epistola agli Ebrei: ‘ Jesum qui fidelis est Ei qui fecit illum ’ (Hebr. I ll, 2). Π Mikaelita spiega il passo collegandolo col contesto ed affermando che si tratta qui di dichiarare, in confronto degli Ebrei, la superiorità di Cristo su Mosè. Ί1α Obbiezione al monofisismo (2). Il nostro autore Mikaelita presume che si invochi come argomento contro la dottrina monofisita il passo di S. Matteo: ' Si autem ego in spiritu Dei eicio daemones che sarebbe interpretato dai Calcedoniani — secondo il Mikaelita, si intende — come prova dell’intervento dello Spirito Santo nei miracoli compiuti da Gesù nella sua vita terrena. E qui il Mikaelita prova con passi della Scrittura e citazioni patri­ stiche che Gesù compiva prodigi per la sua propria virtù di Verbo In­ carnato, senza necessitare la cooperazione dello Spirito Santo a Dui pari in divinità. Anzi in un successivo capitolo egli lungamente raccoglie le prove scritturali e patristiche sull’uso della parola ‘ Spirito ’ per designare non solo lo Spirito Santo specificamente, ma anche il Padre ed il Figlio.

* * *

Non soltanto le questioni cristologiche sono discusse nei tre opuscoli Mikaeliti in difesa dei punti di vista del monofisismo etiopico, anche se, per ovvie necessità, la cristologia ha il maggiore sviluppo. Altre pagine, e sia pure poche, sono dedicate alla trattazione di altri problemi discussi con i Missionari e relativamente riassunti in breve: a) il t r a d u c i a n e s i m o . In altro mio lavoro ho dato, per la prima volta, notizia della dottrina del traducianesimo come essa è stata adottata dalla Chiesa Etiopica: ciò che ha non poca importanza storica in quanto differenzia storicamente (e dottrinalmente) la Chiesa Etiopica da quella Copta (di Egitto) cui il traducianesimo è estraneo. Avevo allora notato come, anche nell’insegnamento di oggi nelle scuole teologiche in Etiopia, il traducianesimo è applicato anche al Verbo (*) p. 291-292. (2) p. 297-312.

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Introduzione

XXI

Incarnato con la formula: ‘ Cristo divenne uomo prendendo corpo dalla pura carne di Nostra Signora ed anima dall’anima di Lei (Maria) ’ i1). A questa dottrina i Missionari, secondo il nostro Mikaelita, oppo­ nevano che, accettando la trasmissione dell’anima dai genitori ai figli, si dovrebbe giungere alla assurda conclusione che Cristo, non avendo padre terreno ‘ che seminasse in lui il grano dell’anima ’, non aveva avuto un’anima completa. Il Mikaelita risponde citando l’esempio di Èva, che, nata per la scissione della costola di Adamo, quindi senza padre terreno nè madre terrena, fu * formata perfettamente in anima e corpo ’, in quanto ‘ Èva si scindeva, nascendo, dall’anima e dalla carne di Adamo ’. Del resto, premette il Mikaelita, ammettendo la tesi opposta al traducianesimo, si avrebbe necessariamente un atto creativo di Dio nei confronti dell’anima di ogni neonato dell’umanità: ciò che sarebbe contrario al passo della Genesi, per il Signore ‘ requievit die septimo ab universo opere quod patrarat ’ (2) ; b) l a c i r c o n c i s i o n e . Il Mikaelita attribuisce ai Mis­ sionari questa argomentazione: la circoncisione, praticata ai neonati prima del battesimo, è rito di empietà, perchè così una parte del corpo dell’infante, il prepuzio, non è compresa nel battesimo. Si intende che, così formulata l’obbiezione, la replica del Mikaelita è facile e riferisce il Sacramento del Battesimo aH’anima del battezzando e non alle parti del corpo, come la Resurrezione finale dei corpi non va, d’altronde, riferita alle singole membra ma alla totalità del corpo, sede dell’anima immortale (3) ; c) i d i g i u n i . Un’altra differenza, accennata quasi di sfug­ gita, concerne il digiuno, che i Latini interrompono col pasto mattutino all’ora terza (9 a. m.), mentre per gli Etiopi dura dal tramonto al tra­ monto, secondo l’uso orientale (4); d) la l i t u r g i a . Anche questa grave questione può dirsi soltanto brevissimamente trattata, ma la pagina che è ad essa dedicata è veramente caratteristica e contiene forse anche un utile insegnamento (5). La eccellenza della liturgia etiopica sulla liturgia dei Latini è asserita (4) C fr. il m io a rt. ‘ I I M is te r o d ella T rin ità . ’ M a n u a le d i teo lo g ia della C h iesa E tio p ic a m o n o fisita tradotto d a ll’ a m a rico in

O rien ta lia C h ristia n a P e r i o ­

d ica, X I I , 1946, p . 5 0 -5 1 . (2) C fr. q u i a p p r e s s o p . 2 9 2 -2 9 4 . (3) V e d i p . 2 9 4 -2 9 6 . (4) p . 2 2 9 -2 3 0 . (6) p . 2 3 0 -2 3 1 .

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X X II

Introduzione

specialmente riferendo strane voci su segreti riti e nascosti particolari della presunta liturgia, dei latini: voci e leggende, che davvero sembrano fuori tono col resto della lunga ed elaborata discussione delle tesi teologi­ che. Tale discussione, come risulta ormai anche da questo nostro rias­ sunto, si svolge ordinatamente con la contrapposizione di argomento ad argomento e di interpretazione ad interpretazione. Qui invece, per la liturgia dei patini, l’avversione è tale che le leggende più straordinarie sono accolte e le accuse sul ‘ grande mistero ’ dei pretesi riti nascosti sembrano riportarci di colpo dal secolo XVI ai primi tempi del Cristia­ nesimo. Importante passo, dicevo sopra, è perciò questa pagina sulla liturgia, che prova la profonda e provvidenziale saggezza delle direttive vigenti per il fraterno rispetto delle antiche e venerabili liturgie dei Cristiani dell’Oriente. * *

*

Abbiamo quindi così considerato la duplice importanza di questi tre opuscoli Mikaeliti: per la storia generale del Cristianesimo in quanto essi provano l’esistenza di dottrine gnostiche, in veste artificiosamente cristianizzata, sin nell’Etiopia del secolo XVI; per la storia religiosa del­ l’Etiopia, in quanto essi dimostrano concretamente la situazione, effet­ tiva, religiosa e culturale, nella quale avvennero le discussioni tra i Missionari della Compagnia di Gesù e gli Etiopi. Che questi testi siano particolarmente di difficile interpretazione, anche per le volute ambiguità, ho già detto. Ho facilitato lo studio al lettore, introducendo nella traduzione italiana in c a r a t t e r e c o r s i v o quelle parole, sottintése od omesse nell’etipico, che ren­ dono possibile di seguire il filo del discorso attraverso la intricatissima sintassi, propria dello stile degli opuscoli. E per la stessa ragione alla divisione in capitoli, fatta dall’autore Mikaelita, ho aggiunto (in paren­ tesi quadre) una successiva divisione in paragrafi, dotando ogni capitolo ed ogni paragrafo di un titolo che ne riassume il contenuto. Ringrazio particolarmente il P. Jean Simon, S. J., che con la consueta amabilità ha voluto cortesemente assistermi nella correzione delle bozze di questo volume. Il volume od i volumi successivi a questo concernono argomenti e circostanze diverse da questa posizione specialissima dei Mikaeliti. Perciò ho finalmente deciso di aggiungere già alla fine di questo primo volume i suoi propri indici per facilitarne la consultazione.

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C a p itolo I, § 2

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I. Spiegazione della Divinità

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Capitolo II, § 3 iO- 8 t t h c h p l b a

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Capitolo II, § 6

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C a p itolo I I I , § 2

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Capitolo III, § 3

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Capitolo III, § 11 λ*

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C a p itolo I I I , § 12

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(8) II codice ha A-flA-, che m i sem bra da correggere.

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I. Spiegazione della Divinità

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Capitolo V, § 7

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I. Spiegazione della Divinità

46

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