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Italian Pages 2374 [2383] Year 2015
Pedro Calderón de la Barca Luis Vélez de Guevara Juan Ruiz de Alarcón Antonio o o Mira dee Amescua esc Francisco de Rojas Zorrilla Agustín Moreto BOMPIANI
CLASSICI DELLA LETTERATURA EUROPEA Collana diretta da Nuccio Ordine
IL TEATRO DEI SECOLI D’ORO volume II coordinamento generale di Maria Grazia Profeti
TESTO SPAGNOLO A FRONTE
Collana pubblicata con il contributo di:
Fondazione Cassa di Risparmio Calabria e Lucania
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Maria e George Embiricos
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Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro Volume secondo Pedro Calderón de la Barca Luis Vélez de Guevara Juan Ruiz de Alarcón Antonio Mira de Amescua Francisco de Rojas Zorrilla Agustín Moreto
Coordinamento generale di Maria Grazia Profeti Testo spagnolo a fronte
BOMPIANI
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Per La vita è un sogno, autore Pedro Calderón de la Barca: traduzione di Fausta Antonucci © Marsilio Editori S.p.A. - Venezia Per La montanara della Vera, autore Luis Vélez de Guevara: traduzione di Silvia Rogai © Alinea Editrice ISBN 978-88-587-7200-3 © 2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl Edizione Classici della Letteratura Europea settembre 2015
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CLASSICI DELLA LETTERATURA EUROPEA Collana diretta da
Nuccio Ordine
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sommario Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro. Volume secondo Pedro Calderón de la Barca La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
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La dama duende / La dama folletto Testo spagnolo a cura di Fausta Antonucci Nota introduttiva, traduzione e note di Fausta Antonucci
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La vida es sueño / La vita è un sogno Testo spagnolo a cura di Fausta Antonucci Nota introduttiva, traduzione e note di Fausta Antonucci
243
El príncipe constante / Il principe costante Testo spagnolo a cura di Enrica Cancelliere Nota introduttiva, traduzione e note di Enrica Cancelliere
475
El pintor de su deshonra / Il pittore del proprio disonore Testo spagnolo a cura di Elena Elisabetta Marcello Nota introduttiva, traduzione e note di Elena Elisabetta Marcello
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El alcalde de Zalamea / Il giudice di Zalamea Testo spagnolo a cura di Giovanni Caravaggi Nota introduttiva, traduzione e note di Giovanni Caravaggi
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IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
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Luis Vélez de Guevara La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
1107 1109
La serrana de la Vera / La montanara della Vera Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva e note di Maria Grazia Profeti Traduzione di Silvia Rogai
1115
Juan Ruiz de Alarcón La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
1367 1369
La verdad sospechosa / La verità sospetta Testo spagnolo a cura di Fausta Antonucci Nota introduttiva, traduzione e note di Barbara Fiorellino
1373
Antonio Mira de Amescua La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
1585 1587
El ejemplo mayor de la desdicha / Il più grande esempio della sventura Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva e note di Federica Cappelli Traduzione di Selena Simonatti
1589
Francisco de Rojas Zorrilla La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
1799 1801
Entre bobos anda el juego / Non si sa chi sia il più furbo! Testo spagnolo a cura di Maria Grazia Profeti Nota introduttiva di Maria Grazia Profeti Traduzione e note di Silvia Rogai
1805
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IL TEATRO SPAGNOLO DEI SECOLI D’ORO
Agustín Moreto La vita e le opere di Maria Grazia Profeti
2015 2017
El desdén con el desdén / Il disdegno col disdegno Testo spagnolo a cura di Enrico Di Pastena Nota introduttiva, traduzione e note di Enrico Di Pastena
2019
Note 2225
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Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note
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Indice dei nomi citati nelle commedie
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Biografie dei curatori
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Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro Volume secondo
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Pedro Calderón de la Barca
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Frontespizio della Primera Parte de Comedias de Don Pedro Calderón (copia della Biblioteca Apostolica Vaticana [Barb. KKK. IV. 4])
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La vita e le opere
Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) è uno dei pochi autori della letteratura spagnola conosciuti anche fuori dei confini nazionali: il suo nome appare legato essenzialmente al grande dramma «filosofico» incarnato da La vida es sueño; tuttavia la sua produzione, di recente messa in luce in tutta la sua complessità, è molto più duttile e sfaccettata di quanto non possa sembrare a questo sguardo ancorato al luogo comune. Il padre di Calderón era uno di quegli hidalgos che per vivere dovevano appoggiarsi all’apparato burocratico della monarchia, comprando un incarico che diventava ereditario; a Pedro, secondogenito, tocca dunque una sorta di destino assegnato, e se il primogenito Diego erediterà il mandato del padre in seno al Consejo de Hacienda, Pedro è destinato ad occupare un beneficio ecclesiastico di famiglia; il più piccolo dei fratelli, José, farà invece carriera nell’esercito. Quindi Pedro gode di una preparazione scolastica abbastanza ampia, studia dal 1608 al 1613 presso i gesuiti; e fino al 1620 all’università di Alcalá e Salamanca, fermandosi al grado inferiore di Bachiller senza arrivare a quello di Doctor. Nello stesso anno inizia la propria carriera letteraria partecipando ai concorsi poetici per la beatificazione e poi per la canonizzazione di San Isidro; in quest’ultimo ottiene il terzo premio, e conosce Lope de Vega. Nel 1623 viene messa in scena trionfalmente la sua prima commedia Amor, honor y poder (Amore, onore e potere): il suo futuro letterario è segnato. La gioventù di Pedro, nonostante i suoi studi ed i suoi successi poetici, trascorre come era costume, tra duelli e scapestratezze: nel 1621 uccide con i fratelli un servo del Duca di Frías e deve pagare un risarcimento 5
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA
per evitare il processo criminale; i fratelli devono pertanto vendere l’incarico del padre, morto nel 1615, ottenendone 15.000 ducati; ne sborseranno 600 di risarcimento. Dopo un periodo in cui Pedro forse milita nell’esercito, in Fiandra ed Italia, egli si assicura l’immediata sussistenza entrando come di consueto al servizio di un nobile, in questo caso lo stesso duca di Frías. Ma sarà la sua attività teatrale quella che gli procurerà con una certa larghezza i mezzi per vivere: conosce infatti un felice successo che gli ottiene il favore del re e l’incarico di scrivere le opere che si davano a corte nel «Coliseo del Palacio Real del Buen Retiro», inaugurato nel 1636 proprio con un’opera sua: El mayor encanto, amor (Il maggior incantesimo, amore). Calderón così inventa e sperimenta quelle rappresentazioni di grande apparato, dovute agli scenografi italiani Cosimo Lotti e Baccio del Bianco, e che univano la raffinatezza di testi letterari elitari, spesso a tema mitologico, con sorvegliatissimi movimenti coreutici, con la musica ed il canto. I suoi servizi di scrittore di corte vengono ricompensati con la concessione di un cavalierato di Santiago nel 1637; egli è al culmine della propria fama, dopo la pubblicazione, nel 1636 e nel 1637, delle prime due Partes delle sue commedie. Nello stesso periodo inizia la composizione degli autos per il Corpus di Madrid, di cui avrà l’esclusiva dal 1648. In dipendenza dalla concessione del cavalierato, forse, svolge una breve carriera militare tra il 1637 e il 1642, partecipando alla guerra contro la Francia ed alla repressione della ribellione catalana nel 1640; ma si ammala, lascia l’esercito e passa al servizio del Duca d’Alba. Dal 1644 al 1649 si sospendono le rappresentazioni teatrali, e Calderón può solo comporre autos sacramentales. Nel 1643 e nel 1647 muoiono i suoi due fratelli; forse questa serie di avvenimenti influisce sulla sua decisione di ordinarsi sacerdote, decisione che si realizza nel 1651. In quest’anno egli cessa di scrivere per i corrales; continua tuttavia la sua attività di scrittore per la corte, e la redazione degli autos sacramentales per il Corpus di Madrid. Soggiorna brevemente a Toledo, a causa della sua carriera ecclesiastica, ma nel 1663 ritorna a Madrid come Cappellano «de honor» del re, incarico che gli era stato assegnato proprio per permettergli di dedicarsi esclusivamente all’organizzazione delle feste di palazzo; alla morte di Filippo IV (1665) questa attività si interrompe, ma nel 1670 sotto Carlo II viene ripresa; fino alla sua morte Calderón comporrà opere per l’intrat6
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tenimento della corte: l’ultima di esse, Hado y divisa de Leonido y Marfisa (Fato ed insegna di Leonido e Marfisa), si rappresentò nel 1680. L’opera di Calderón ci è giunta in una serie di stampe abbastanza compatta: possiamo contare, oltre alla prima ed alla seconda Parte del 1636 e 1637, pubblicate dal fratello José, su una terza parte del 1664 ed una quarta del 1672. La quinta parte del 1677 venne invece ripudiata da Calderón per gli errori e le adulterazioni che presentava. Nello stesso anno appare un volume di Autos; e dal 1683, quindi dopo la morte dell’autore, altre quattro parti curate da Juan de Vera Tassis y Villarroel, certo non immuni da errori e false attribuzioni.1 Il corpus di Calderón è comunque assai meno problematico rispetto a quello di Lope, e più contenuto, sia pure nella sua abbondanza: circa centoventi commedie, settanta autos, un buon numero di entremeses; a cui saranno da aggiungere le opere in collaborazione: con Coello (cinque), con Rojas (quattro), con Montalbán (tre). Né particolarmente difficile appare la classificazione del suo teatro,2 visto che ormai, quando Calderón inizia la sua carriera di drammaturgo, la commedia presenta linee strutturali assestate. Innanzi tutto le caratteristiche della pieza saranno da porre in relazione con il mezzo e con il destinatario: già dal 1635, anno in cui i legami di Calderón con la corte si fanno più stretti,3 egli scrive solo sporadicamente per il corral: dato tecnico, ma sostanziale, che spiega in maniera risolutiva la differenza macroscopica di una gran parte della sua produzione rispetto a quella di Lope, per esempio. I testi che si indirizzano al corral, poi, si biforcano in maniera evidente: da un lato si identificano le commedie eroiche e de santos, che potevano ormai contare su scenografie abbastanza smaliziate: e dall’altro le commedie di intreccio; tra di esse quelle de capa y espada che si in muovono ambienti contemporanei. Un sottogenere potranno essere considerate quelle che hanno per tema fondamentale i fatti d’onore, che la critica usa chiamare dramas, con termine che mai appare nella trattatistica contemporanea o nei testi stessi: e qui rimanderò ai principi teorici di Suárez de Figueroa o Bances Candamo. La piena dignità poetica della commedia è comunque un dato di fatto per Calderón, anche se verso la metà del secolo, e dopo la sua ordinazione, egli sembra domandarsi se continuare a scrivere per il teatro. La antitesi tra «cantare» e «tacere», che informa il suo poemetto Psalle et sile (Canta e taci), non può essere risolta che a favore del «cantare»:4 nel 1652 Cal7
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA
derón indirizza una epistola al Patriarca delle Indie che è un proclama della dignità dell’esercizio letterario: «que el hacer versos era una gala del alma».5 Sicurezza nelle proprie scelte, dunque, nonostante il prudente «silenzio» che più di una volta è stato visto come chiave distintiva della biografia di Calderón; una sicurezza che la critica implicitamente riconosce, nell’identificare nella sua opera una serie di costanti, di elementi che si ripetono lungo i quasi sessanta anni della sua attività teatrale, tanto che non si può parlare di evoluzione cronologica in senso stretto. Seguire il percorso dell’esegesi calderoniana non è impresa facile, tanto intenso è stato il lavorio critico sulla sua opera.6 Se la densità intellettualistica delle sue operazioni è unanimemente riconosciuta, si potranno tuttavia individuare due linee di indagine: la prima che si dirige verso la rilevazione delle caratteristiche «ideologiche» dell’universo teatrale calderoniano; la seconda che si focalizza sulle caratteristiche «letterarie» del suo teatro. Il prototipo della prima lettura può essere quella di Ciriaco Morón Arroyo, che ripercorre le linee del pessimismo cristiano dell’autore, il suo senso del valore intrinseco dell’uomo in relazione e talora in contrasto col sistema «sociale» dell’«onore» contemporaneo, i limiti della «libertà e dell’identità personale».7 Per la seconda il termine di riferimento sarà la lettura di Dámaso Alonso: egli sottolinea la correlazione, la bimembrazione, che regge non solo il discorso calderoniano, ma la stessa connessione dei temi, dei personaggi, delle azioni.8 Spesso l’anafora sottolinea il parallelismo, in un ritardo ricercato attraverso una serie di sintagmi correlati o di sinonimi. È ovvio che meccanismi del genere non sono esclusivi di Calderón; quello che appare evidente è in lui il rigore dell’impiego, unito ad una serie di formule retoriche arrivate alla loro piena accettazione in periodo post-gongorino: chiasmi, paradossi, antitesi, paranomasie, iperboli. E, naturalmente, la loro dipendenza da una serie di coordinate ideologiche, perché todos los elementos de aceleración no serían típicos del barroco calderoniano si no destacaran sobre un fondo estático de elementos solemnes que implican grandeza, gloria, sublimidad, poder, centralizados alrededor de ideas como religión, potencia política y militar, amor, honestidad, dignidad femenina, limpieza de sangre.9 8
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Sulla fine del secolo XVII, quasi dimenticato il nome di Lope, Calderón viene proposto come modello ineguagliabile; ed il favore di cui il suo teatro gode per tutto il secolo XVIII è notevolissimo,10 nonostante le resistenze degli intellettuali neoclassici, che portarono nel 1765 al decreto di proibizione delle rappresentazioni degli autos sacramentales. Nell’Ottocento si verifica poi una vivace riscoperta da parte dei romantici tedeschi, promossa soprattutto dai fratelli Schlegel, che si identificarono in un presunto ribellismo calderoniano del figlio contro il padre, e valorizzarono il coté tragico-fi losofico della sua opera. Shelley in Inghilterra loda Los cabellos de Absalón (I capelli di Assalonne) e traduce brani del Mágico prodigioso. Ma in Spagna, tra l’anticalderoniano Alcalá Galiano e le remore di Menéndez y Pelayo, la rivalutazione del drammaturgo procedeva con una certa fatica. Sono ancora gli inglesi (Wilson, A. Parker) che negli anni trenta lavorano ad una ri-considerazione della sua opera. Anche la critica contemporanea tedesca «eredita» dai propri romantici questo interesse per Calderón, con un fiorire di studi ed iniziative.11 Solo recentemente, infine, forse anche per merito degli studiosi di semiotica della rappresentazione, tutte le sfaccettature della sua opera, il suo dettato complesso e raffinato, che unisce giochi di parole spiritosi e godibilissimi ad una singolare pienezza lirica, la sua consapevolezza dello spazio, la sua eccezionale sapienza scenica,12 sono state ampiamente messe in luce: il letterario ed il teatrale hanno insomma affiancato le tante discussioni para-filosofiche. MARIA GRAZIA PROFETI
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La dama duende La dama folletto Testo spagnolo a cura di FAUSTA ANTONUCCI Nota introduttiva, traduzione e note di FAUSTA ANTONUCCI
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Frontespizio della Dama duende nella Primera Parte de Comedias de Don Pedro Calderón (copia della Biblioteca Apostolica Vaticana)
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Nota introduttiva
1. Quando José Calderón de la Barca curò la raccolta e la pubblicazione di dodici opere del fratello drammaturgo Pedro (Primera parte de comedias de don Pedro Calderón de la Barca, Madrid 1636), molto probabilmente con il suo consenso e consiglio, fra queste figurava anche La dama duende. Che questa commedia venisse scelta fra le prime di Pedro Calderón a vedere la luce delle stampe, ci dice almeno due cose: che si trattava di un’opera composta parecchi anni prima, e che doveva aver avuto successo, almeno quanto bastava a invogliare i potenziali acquirenti del volume. La congettura cronologica, basata sulla constatazione che tutte le opere raccolte nella Primera parte de comedias appartengono al primo periodo della produzione drammaturgica di Calderón, trova conferma nel testo stesso della commedia: in apertura, don Manuel e il suo domestico alludono ai festeggiamenti organizzati a Madrid per il battesimo del principe Baltasar Carlos, che sappiamo celebrato il 4 novembre 1629. La commedia dovette dunque essere composta, e rappresentata per la prima volta, in tempi molto prossimi a questa data. Quanto al successo di pubblico, anche se fino al 1672 mancano dati documentari precisi, dobbiamo considerarlo un dato di fatto, vista l’abbondanza di riferimenti a La dama duende in opere coetanee o successive di Tirso de Molina e dello stesso Calderón:1 riferimenti che hanno senso soltanto in un contesto in cui il pubblico poteva comprendere immediatamente l’allusione. Anche in Europa la commedia ebbe una diffusione straordinaria, testimoniata da traduzioni e adattamenti in quasi tutte le lingue di cultura dell’epoca: francese (1641), italiano (1645), inglese (1664), fiammingo (1670), e più tardi anche tedesco (1721), senza dimenticare alcuni 13
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO
scenari della Commedia dell’Arte e adattamenti e traduzioni successivi alle date indicate, specialmente numerosi in Francia e Italia.2 A ventinove anni Calderón aveva composto, con La dama duende, una commedia destinata ad entrare rapidamente nel canone del teatro classico spagnolo, per non uscirne più: se i repertori teatrali mostrano la quantità di rappresentazioni in Spagna nel ’700 e nell’800, e, anche se più ridotta, nel ‘900, la storia della critica mette in evidenza l’attenzione continua e ricorrente a questo testo; attenzione che ha generato una enorme quantità di letture, non tutte centrate o pertinenti ma comunque testimonianza dell’interesse e dell’attrazione che La dama duende continua ad esercitare sui destinatari di oggi.3 Un capolavoro non ha bisogno necessariamente di molte sperimentazioni previe: Calderón, quando compose La dama duende, era relativamente nuovo al genere della commedia urbana o «di cappa e spada». Prima, aveva composto infatti soltanto El hombre pobre todo es trazas (forse nel 1627) e Casa con dos puertas, mala es de guardar: anch’essa del 1629, ma anteriore a La dama duende e pubblicata insieme a questa nella Primera parte delle sue commedie. Calderón, agli inizi della sua attività di drammaturgo, aveva prediletto altri generi: tragedie e commedie serie, di ambientazione palatina, esotica e cronologicamente remota, con personaggi di alto lignaggio. La dama duende è invece una commedia leggera, ambientata nella contemporaneità, nel tessuto urbano e domestico di Madrid, con personaggi della media nobiltà. Questo tipo di commedia era stato portato al successo da Lope de Vega, che aveva sperimentato a lungo con gli ingredienti basilari della formula; negli anni trenta del ’600, grazie anche e soprattutto a Calderón, il genere si stabilizza, venendo identificato sempre più unanimemente con l’etichetta «de capa y espada», e si stilizza, con una riduzione nel numero dei personaggi, una maggior concentrazione dell’azione nello spazio e nel tempo, una certa schematizzazione dell’intreccio.4 Come scriveva un drammaturgo della fine del secolo, Francisco Bances Candamo, la trama caratteristica della commedia «di cappa e spada» si riduceva a «duelli, gelosie, un innamorato che deve nascondersi, una dama che si copre il volto col mantello, e insomma alle vicende più ordinarie di un corteggiamento», ed era difficile ordire queste situazioni in modo che non risultassero ripetitive e «già viste»; secondo Bances Candamo, solo Calderón aveva saputo sempre farlo «in modo che fossero vivaci e divertenti, che 14
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NOTA INTRODUTTIVA
nell’intrecciarsi tenessero in sospeso gli spettatori, e avessero una certa qual birichineria piacevole nello scioglimento».5 2. La dama duende può ben essere presa a prototipo di questa formula matura della commedia «di cappa e spada». Lo schema dei personaggi comprende due coppie formate da una dama e da un galán (che potremmo tradurre con ‘innamorato’ o ‘cavaliere’), una principale (nel nostro caso, donna Angela e don Manuel), l’altra secondaria (nel nostro caso, donna Beatriz e don Juan); più un quinto elemento, un cavaliere innamorato anch’egli di una delle due dame, il cui amore è destinato a rimanere non corrisposto. Ciascuno dei protagonisti ha un servitore (Isabel per donna Angela e Cosme per don Manuel) che funge da aiutante (è il caso di Isabel) o da controparte dialettica (è il caso di Cosme) del rispettivo padrone. I protagonisti sono uniti, oltre che da vincoli amorosi, anche da vincoli di altro genere che servono a complicare e infittire la trama: nel nostro caso, vincoli di amicizia (quelli che legano i tre cavalieri) e vincoli di parentela (quelli che legano Beatriz alla famiglia di donna Angela, e quelli che legano fra loro donna Angela, don Juan e don Luis). L’azione si svolge tutta in due soli spazi: la strada e la casa. Arrivato a Madrid da Burgos, don Manuel non fa neanche in tempo a chiedere dove si trova la casa del suo amico e ospite don Juan, che si trova a duellare con un cavaliere sconosciuto per aiutare una dama velata che gli ha chiesto di impedire a questo cavaliere di seguirla. Poco dopo scoprirà che questo cavaliere è don Luis, fratello di don Juan; lievemente ferito, verrà letteralmente portato via da don Juan che si propone di curarlo e di riempirlo di attenzioni. A partire da questo momento, la casa di don Juan «inghiotte» don Manuel, che non ne uscirà più tranne per un brevissimo passaggio del secondo atto, ai vv. 1917-1984: quando lo vediamo tornare precipitosamente indietro, dopo essersi già incamminato per l’Escorial, per rientrare a casa e prendere delle carte che Cosme ha dimenticato nella stanza dove alloggiano. Beninteso, questa sorta di fagocitazione di don Manuel da parte dello spazio domestico nel quale è ospitato si realizza soltanto sul piano della rappresentazione scenica: infatti, sappiamo dalle sue parole che il personaggio esce e si muove ripetutamente per la città. Tuttavia, i suoi movimenti sul palcoscenico sono quasi interamente limitati allo spazio che rappresenta la sua stanza e, nel terzo atto, la stanza di donna Angela. Donna Angela, l’altra protagonista 15
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO
dell’intreccio, per la sua stessa condizione di vedova non può uscire da casa (la trasgressione iniziale per andare a vedere i festeggiamenti per il battesimo del principe stava per costarle assai cara), ed è all’interno di questo spazio che si muove realizzando l’intrigo che le ha fatto intravedere Isabel e che lei mette a punto e perfeziona. La concentrazione spaziale è dunque massima, potenziata dall’ingegnoso meccanismo del passaggio segreto che mette in comunicazione le stanze di don Manuel con quelle di donna Angela, e che funziona perfettamente sia a livello drammatico (nelle parole dei personaggi) sia a livello scenico (alla vista degli spettatori, probabilmente sotto forma di una credenza dipinta sul battente di una delle tre porte che si aprivano sulla parete di fondo del palcoscenico). Alla concentrazione spaziale corrisponde un’analoga concentrazione temporale: il primo atto si svolge tutto nel pomeriggio-sera di un giorno; il secondo atto, uno o due giorni dopo, anch’esso tutto in un pomeriggio-sera; il terzo atto, uno o due giorni dopo il secondo, tutto in una notte. L’ambientazione serale o francamente notturna è prevalente, anche se bisogna ricordare che all’epoca di Calderón le rappresentazioni teatrali si svolgevano all’aperto, nel primo pomeriggio, e dunque l’oscurità non era rappresentata in modo realistico, ma soltanto evocata dalle parole dei personaggi e dai loro movimenti. Questa ambientazione serale e notturna ha una sua precisa funzionalità ne La dama duende: serve a rendere specialmente inquietanti le intrusioni dell’entità misteriosa nelle stanze dell’ospite, a potenziare la costituzionale paura di Cosme, a far vacillare perfino il coraggio a tutta prova di don Manuel. Il dubbio sulla natura dell’intruso, anzi dell’intrusa (perché già il primo biglietto che don Manuel scopre alla fine del primo atto ne svela l’identità femminile) aleggia fino alla fine della commedia a turbare il cavaliere e, più ancora, il suo servo: la notte, tempo per eccellenza dei demoni e di tutte le creature diaboliche e soprannaturali, rende possibile l’equivoco, rafforza il carattere perturbante della presenza estranea. Ma la notte è anche il tempo dell’intimità amorosa, della trasgressione e dell’inganno favoriti dall’oscurità: e ha ovviamente anche questa funzione ne La dama duende. I due momenti di incontro fra don Manuel e donna Angela, quando il cavaliere ancora non ha scoperto l’identità della dama misteriosa, avvengono di notte: il primo è un incontro non cercato dalla dama, che viene sorpresa da don Manuel e Cosme mentre fruga tra le carte del cavaliere per rubargli un ritratto femminile 16
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NOTA INTRODUTTIVA
del quale è gelosa; il secondo invece è voluto e programmato da donna Angela con una messinscena accurata. In entrambi i casi, l’incontro viene bruscamente interrotto dal sopraggiungere di un altro personaggio: nel secondo atto Isabel, che fa uscire la sua padrona dalla stanza dove è rinchiusa aprendole da fuori il passaggio segreto; nel terzo atto don Juan, che bussa alla porta delle stanze della sorella per sapere dove sia andata Beatriz. Ma in ultima analisi è sempre uno dei fratelli della dama a interrompere l’incontro di questa con don Manuel, perché Isabel va solo ad avvisare la padrona che «tuo fratello chiede di te» (v. 2185). Niente di più logico che i fratelli abbiano questa funzione di ostacolo alla realizzazione dell’amore della sorella, visto che, in assenza del padre, sono i guardiani e i garanti dell’onore di lei; poiché, nel codice patriarcale cui rispondono i comportamenti di tutti i personaggi della commedia, la conservazione dell’onore familiare dipende innanzitutto dal comportamento delle donne. È per questo che donna Angela vive rinchiusa in casa, perché, in quanto vedova, deve osservare il periodo di lutto stretto che all’epoca era particolarmente rigido e gravoso, soprattutto se la vedova, com’è il caso di donna Angela, è giovane, bella e desiderosa di svagarsi. È per questo che don Luis si preoccupa tanto per la presenza in casa dell’ospite, temendo, con preveggenza, che sia un rischio per l’onore della sorella. È per questo che il drammaturgo mette in scena un continuo andirivieni dei due fratelli nelle stanze di donna Angela: quattro volte vediamo don Luis entrare da donna Angela, tre volte don Juan; e tutte le volte interrompono un dialogo o un’azione che ha a che vedere con l’ospite. Donna Angela, però, non si fa tarpare le ali da questa sorveglianza: nonostante i suoi lamenti nella scena con Isabel all’inizio del primo atto (vv. 369 e ss.), non smette mai di escogitare stratagemmi per sfuggire alla sua reclusione, e non desiste dall’organizzare trame nonostante gli ostacoli che le si parano continuamente davanti. Sono questa intraprendenza ed attività della dama a dimostrarci senza ombra di dubbio il carattere comico della commedia; donna Angela è non solo il motore dell’intreccio, ma anche la vera vincitrice, nel senso che conquista l’oggetto desiderato (l’amore di don Manuel e la liberazione dal limbo vedovile) nonostante le paure e i soprassalti, nonostante la minaccia che incombe su di lei quando alla fine viene scoperta dai fratelli. Non potrebbe esserci lieto fine più classico, essendo la letizia rafforzata dal contrasto con le sequenze 17
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immediatamente precedenti, che sembrano doversi concludere in modo tragico. Eppure alcuni critici, condizionati probabilmente dall’abitudine all’approfondimento psicologico che ha preso piede in letteratura soltanto in tempi successivi a quelli di cui ci stiamo occupando, hanno detto che si tratta di un finale triste e problematico, perché don Manuel viene praticamente costretto a sposare donna Angela e quest’ultima non può essere sicura dell’amore di lui.6 Dobbiamo tuttavia ricordare che in generale i drammaturghi del Siglo de Oro costruiscono i loro personaggi per rapide pennellate, e che alcune frasi e comportamenti dovevano bastare a suggerire agli spettatori un sentimento: che don Manuel non sia affatto indifferente nei confronti di donna Angela ce lo dicono il suo interesse per la dama misteriosa, la sua ammirazione della bellezza di lei e il suo disappunto quando la donna gli sfugge alla fine del secondo atto, la sua adesione all’invito ricevuto all’inizio del terzo atto, che pure comporta alcune condizioni inquietanti (appuntamento al cimitero, ingresso in una casa buia e sconosciuta), la lunga tirata galante dei vv. 2294 e ss. e la sua decisione di assumere la difesa della donna nel finale, per non essere «ingrato ad un amore nobile». Né ha senso osservare che si tratta di un amore stilizzato, formale, perché così è per lo più l’amore nella Comedia aurea: non tanto un sentimento unico e irripetibile, quanto un sentimento individuale sì, ma che si iscrive in un sistema di immagini e luoghi comuni poetici che costituiscono il codice della comunicazione fra innamorati, e che garantiscono la differenza fra questo amore, nobile e cortese, e quello dei subalterni, grossolano, prosaico, sprovvisto di qualsiasi ambizione che non sia il soddisfacimento degli istinti sessuali primari. Per questo c’è tanta retorica negli scambi amorosi messi in scena ne La dama duende: il contrappunto di dialoghi e sonetti fra Beatriz e don Juan nel secondo atto, o quello fra donna Angela e don Manuel nel terzo, sono delle vere e proprie «accademie d’amore», degli esercizi dialettici in cui c’è anche molto della schermaglia fra sessi. È questo che bisogna saper vedere in questi scambi, e non cercarvi, invano, l’espansione sentimentale incontrollata cui ci ha abituato il Romanticismo. D’altra parte, le pulsioni amorose prelogiche e il linguaggio del desiderio non sono affatto assenti da La dama duende, il cui intreccio, come è stato notato, rielabora in parte il tema narrativo dell’amante invisibile, di classica ambientazione notturna, e assai frequentato nella letteratura occidentale fin dal mito di Amore e Psiche.7 In particolare, ne La dama 18
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duende si percepisce l’eco di una commedia di Lope de Vega che a sua volta rielabora una novella di Bandello: La viuda valenciana (pubblicata nel 1620 nella Parte XIV de Comedias di Lope).8 In questa commedia, Leonarda, una giovane e bella vedova che vuole godere dell’amore di Camilo senza risposarsi e senza esporsi alle critiche e al controllo dei familiari, convoca nottetempo a casa sua il giovane e gli si offre, ma al buio, in modo che lui non possa scoprire la sua identità. Dopo alcuni incontri notturni, la curiosità di Camilo porterà alla fine allo smascheramento di Leonarda e alle nozze. Molti sono gli elementi di questa commedia di Lope che ritroviamo ne La dama duende: l’iniziativa della donna, lo scambio di biglietti, il convegno notturno con l’offerta di cibo, i dubbi e lo sconcerto dell’uomo di fronte al mistero dell’identità della sua amante, la sua ferma volontà di scoprire l’enigma... Calderón però espunge la dimensione esplicitamente sessuale del desiderio della donna e il suo compimento, in un’opera di «ripulitura» delle componenti poco decorose che caratterizza in generale tutte le sue operazioni di riscrittura del teatro di Lope de Vega. Tuttavia, il desiderio e la sua componente sessuale ritornano sotto altre forme, in simboli e segni che sono una delle caratteristiche più interessanti de La dama duende e che a ragione hanno intrigato tanti critici. In primis, in quella credenza piena di fragile vasellame che mette in comunicazione due spazi, quello femminile e quello maschile, che non dovrebbero comunicare fra loro. Senza arrivare agli eccessi interpretativi di qualche critico,9 sono evidenti le potenziali implicazioni sessuali della dinamica chiuso/aperto che regola l’uso da parte delle donne del passaggio segreto: e anzi, il fatto stesso che siano le donne a gestire questa dinamica la dice lunga sulla trasgressività del loro operare, sulla libertà d’azione che in questo modo esse rivendicano per sé, e sul valore non soltanto fattuale e denotativo dell’intrigo ordito da donna Angela, ma anche simbolico e connotativo. A conferma, si veda la scena straordinaria del primo atto nella quale donna Angela e Isabel entrano per la prima volta nella stanza di don Manuel: la curiosità della dama che fruga nei bagagli del cavaliere è innanzitutto desiderio di entrare nella sua intimità. Gli oggetti sono una metonimia della persona; e che sia così, lo conferma il luogo dove le due donne decidono di nascondere il primo biglietto amoroso che Angela scrive a don Manuel: il letto di quest’ultimo (che, peraltro, sarà da allora in poi il luogo convenuto dove lasciare e prendere la corrispondenza fra i due). 19
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Per quanto riguarda il protagonista maschile, la dimensione sessuale del desiderio affiora, in modo trasparente, nella scena conclusiva del secondo atto, quando don Manuel, per superare il turbamento che gli ha causato la comparsa inaspettata della figura di donna Angela nella sua stanza, la afferra e la minaccia con la spada. Le parole del cavaliere acquistano in questo frangente un’ambiguità carica di doppi sensi: quando don Manuel afferma che «Senza aspettare domani / voglio oggi questa gioia, /e la prenderò comunque / sia tu un demonio o una donna» (vv. 2129-2132), si sta riferendo alla gioia che rappresenterà per lui conoscere l’identità della dama misteriosa (lettura letterale), o a una gioia di tipo diverso, connessa con la sfera del soddisfacimento dei sensi (l’originale ha esta dicha gozaré, ‘di questa gioia godrò’)? Il dubbio è tanto più lecito in quanto pochi versi dopo don Manuel sguaina la spada per minacciare donna Angela: gesto motivato, a livello letterale, dall’esigenza di dimostrare la natura umana e mortale della dama e costringerla a rivelarsi. Ma non deve essere stata estranea alla scelta del drammaturgo la connotazione sessuale della spada sguainata, ben presente nell’ampio corpus di simboli e metafore erotiche frequentate dalla letteratura dell’epoca e tuttora molto trasparente e facilmente leggibile. Allo stesso modo, l’offerta di cibo e bevande all’ospite che caratterizza l’incontro notturno nelle stanze di donna Angela, all’inizio del terzo atto, ha un valore simbolico che si sovrappone a quello letterale, e la cui valenza erotica si mostrava con grande chiarezza ne La viuda valenciana, dove il «rinfresco» precedeva l’incontro sessuale. 3. Il grande e duraturo successo de La dama duende è probabilmente da ricercare anche in questa dimensione metaforica e simbolica che, sebbene non particolarmente trascendente, arricchisce comunque e approfondisce la dimensione meramente ludica e giocosa della trama; d’altro canto, al successo ha sicuramente contribuito in non piccola misura la perfezione costruttiva della commedia, vero e proprio meccanismo ad orologeria nel quale tutte le mosse dei personaggi si incastrano a formare un sistema di coincidenze che è il vero motore dell’intreccio. Già in Casa con dos puertas Calderón aveva mostrato la sua abilità in questo tipo di costruzione basata sugli equivoci prodotti da coincidenze casuali, ma con La dama duende la perfeziona ulteriormente; inoltre il drammaturgo manifesta in modo più esplicito la consapevolezza del ruolo che il caso 20
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può giocare nelle vicende umane, e di riflesso in quelle dei personaggi di finzione. È illuminante a questo proposito la tirata apparentemente futile di Cosme in apertura della commedia, sull’importanza di uno scarto temporale anche minimo nel determinare l’esito tragico o felice di una vicenda. Tutti gli esempi che Cosme menziona sono esempi classici di vicende tragiche: Piramo e Tisbe, Lucrezia e Tarquinio, Ero e Leandro. Queste citazioni non vogliono affatto annunciare allo spettatore che sta per vedere una tragedia: il fatto stesso che siano pronunciate dal gracioso e in modo tanto dissacrante e comico, dice già che, al contrario dei casi citati, nell’opera la scansione del tempo, con le sue coincidenze e sfasamenti, sarà determinante per il raggiungimento del lieto fine. Forse risiede proprio in questo gioco manifesto che Calderón avvia fin dall’inizio con il modello della tragedia, eludendolo continuamente, la ragione dell’equivoco in cui sono caduti molti critici, che hanno voluto leggere La dama duende come un’opera seria, problematica, di denuncia delle tristi condizioni della donna, imprigionata in un codice d’onore gestito implacabilmente dagli uomini.10 Per queste letture, il finale dell’opera, anche se non catastrofico, non è però lieto (ne accennavo già sopra); e soprattutto, non allontana dalla mente degli spettatori lo spettro della vendetta d’onore, che si libra sempre sul capo della donna sposata e la attende inesorabile in un ipotetico, futuro «secondo atto» della commedia: la tragedia (ovviamente, i critici in questione pensano qui alle tragedie d’onore calderoniane, in particolare alla trilogia formata da A secreto agravio secreta venganza, El médico de su honra, El pintor de su deshonra). Questo tipo di interpretazione è però del tutto fuorviante: commedia e tragedia, nel teatro di Calderón, non sono legate fra loro come un «prima» e un «dopo»:11 sono, al contrario, due sistemi reciprocamente indipendenti (e questo, nonostante la presenza nella tragedia di elementi che la precettistica voleva propri della commedia, come i servi comici o personaggi non appartenenti ai settori più elevati della gerarchia sociale). Calderón, come già aveva fatto prima di lui Lope, mostra di volta in volta – e in opere diverse – come, proprio per «un’ora prima» o «un’ora dopo», una situazione analoga possa volgere in commedia o, al contrario, in tragedia. Va poi detto che, a determinare l’ascrizione di un’opera al macrogenere della commedia, non è solo il lieto fine, ma anche il tono generale. Ebbene, quello che bisogna saper vedere ne La dama duende è proprio il tono comico che pervade tutto il testo in maniera sottile, e 21
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che può sfuggire laddove ci si concentri soltanto sulla retorica complessa della dialettica amorosa, o sulle ossessioni d’onore di don Luis e sui lamenti di donna Angela. L’ho già detto prima: donna Angela si lamenta, sì, ma ciò non toglie che riesca a montare tutti gli intrighi che le vengono in mente e a portarli a buon fine, manipolando a tale scopo la buona fede e il codice cavalleresco di quel suo inconsapevole aiutante e complice che è don Manuel, e la goffaggine e la devozione fraterna di don Luis. Proprio don Luis, nel quale molti critici hanno voluto vedere il «cattivo» della situazione, occhiuto guardiano dell’onore della sorella e, perfino, mosso da intenzioni inconsapevolmente incestuose nei suoi confronti,12 è invece un personaggio intrinsecamente comico. È comica la continua frustrazione cui vanno incontro i suoi desideri e proponimenti, sia che si tratti di un duello, sia che si tratti di scoprire chi è la dama velata che incontra per strada, sia che si tratti di riuscire a farsi ascoltare dall’amata Beatriz. Per giunta, in almeno un’occasione don Luis riceve dalla sorella ammonimenti ed esortazioni che non potrebbero suonare più comici alle orecchie degli spettatori, visto il pulpito dal quale provengono: mi riferisco a quando, nel primo atto, donna Angela lo rimprovera per aver seguito una «donnaccia», una di quelle «donnicciole / che non sanno fare altro / che mettere a rischio gli uomini» (vv. 515 e ss.): cioè, lei stessa! Don Manuel, dal canto suo, è sicuramente un prototipo di perfetto galán, nel suo essere al tempo stesso attento al codice d’onore, alle ragioni dell’amicizia e a quelle dell’amore; ma non sfugge neanche lui al ridicolo, quando il suo codice di comportamento e la sua capacità di interpretazione dei fatti vengono messi in scacco dalle manovre delle donne. In particolare, non è possibile ignorare la sfumatura comica del suo sconcerto quando, dopo aver fatto la voce grossa con l’essere sconosciuto che crede di aver afferrato, minacciando di trafiggerlo a pugnalate se non starà fermo (vv. 1602 e ss.), si accorge di stringere fra le mani solo un vassoio pieno di biancheria; o quando, alla fine del secondo atto, dopo aver fatto osservare a Cosme, in tono un po’ saccente, che aveva avuto ragione lui a dire che si trattava di una donna e non di un folletto (vv. 2176-2177), subisce lo smacco di rientrare in stanza e non trovare più la dama (sicché Cosme si prende la rivincita: «te l’avevo detto io / che era diavolo e non donna!»). Ed è anche comico che proprio don Manuel, che fin dall’inizio si è rifiutato di ammettere le spiegazioni soprannaturali e superstiziose di 22
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Cosme, sia tra i due quello che respinge, con troppa fretta, la possibilità appena accennata dal servo che sia la credenza a nascondere il passaggio segreto da cui dovrebbe passare la dama misteriosa. 4. Nell’insistere sul carattere fondamentalmente comico di un’opera come La dama duende non si vuole, peraltro, annullare l’importanza del tema dell’onore, innegabile se si considera quante volte tutti i protagonisti fanno appello a questo valore nell’orientare i propri comportamenti. Bisogna però saper vedere che nella commedia l’onore funziona in modo diverso da come funziona nella tragedia; deve infatti scendere a patti con l’amore e con le sue ragioni, che alla fine comunque trionfano, anche se, auspicabilmente, con poco o nessun discapito dell’onore. Proprio nella dimensione di questo discapito sta la differenza che separa La viuda valenciana da La dama duende: una differenza che può anche essere generalizzata a segnalare il diverso tono di molte commedie di Lope de Vega rispetto a quelle analoghe di Calderón. Nella commedia calderoniana l’onore è un codice sentito con uguale forza sia dalle dame sia dai cavalieri, e se anche le dame tendono a trasgredire alcune norme eccessivamente rigide di questo codice in nome dell’amore – come è tipico della commedia di cappa e spada – mai questa trasgressione comporta una sostanziale violazione del decoro e del pudore femminili. Anche con questa differenza, La dama duende conserva tuttavia molto forte il fermento di libertà che caratterizza questo genere di commedie, delle quali è stato detto che mettono in scena una proposta di conciliazione fra l’istanza dell’onore, di cui sono difensori i padri e, in loro assenza, i fratelli (dunque i maschi della famiglia come garanti della conservazione dell’ordine), e l’istanza dell’amore, inteso come rivendicazione del diritto dei giovani, e soprattutto della donna, a scegliere liberamente il proprio destino matrimoniale.13 Questo fermento di libertà non è passato inosservato alla critica, che a volte si è spinta perfino a definire La dama duende come un’opera femminista;14 cosa che questa commedia non è, se si pensa non solo alle tante battute misogine di Cosme e perfino di don Juan, ma soprattutto al fatto che, se non fosse per la generosità di don Manuel e per il suo senso nobile dell’onore, donna Angela non si salverebbe nel finale, e non otterrebbe ciò che desidera. Tuttavia, La dama duende si inserisce sicuramente nel solco delle tante commedie dell’epoca che, con le loro vicende, suggeri23
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scono come gli eccessivi scrupoli d’onore dei guardiani familiari finiscano per ottenere effetti opposti ai desiderati, perché una donna è capace di tutto quando si mette in testa di raggiungere un obiettivo. Come dice Beatriz alla cugina, quando stanno architettando come fare a far venire don Manuel in visita nelle loro stanze: «Ci manca forse ingegno / – mi stupisco di te – per inventare / una nuova bugia?» (vv. 1794-1796). E questo, naturalmente, è un altro fattore che ha assicurato all’opera un gradimento di lunga durata presso il pubblico, anche quando il codice dell’onore cessò di essere un sistema di valori condiviso e cominciò al contrario a essere sentito come il residuo obsoleto di un’epoca repressiva e reazionaria. Un altro dei tanti fattori della fortuna duratura de La dama duende è sicuramente la sua gestione dello spazio drammatico: l’ambientazione concentrata quasi esclusivamente in un interno domestico, nonché la valenza significativa dei diversi spazi che lo compongono e del movimento dei personaggi fra questi spazi, sono in certo modo precorritrici del teatro borghese dell’Ottocento, che ambienta prevalentemente in interni le dinamiche conflittuali che hanno luogo all’interno della famiglia o della coppia. Ma, prima ancora dell’Ottocento borghese, basta soffermarsi su un’opera chiave del teatro neoclassico spagnolo, El sí de las niñas (Il sì delle ragazze) di Leandro Fernández de Moratín, per vedere quanti dei tratti strutturali caratteristici de La dama duende si ritrovino in questa commedia: concentrazione spaziale in un interno domestico, ambientazione notturna che favorisce equivoci e soluzione dell’intreccio, sapienti giochi di entrate e uscite dei personaggi che consentono anche una scena d’amore dei due protagonisti giovani alle spalle dei guardiani dell’onore anziani. Solo che, a differenza di quanto accade ne La dama duende, il lieto fine non è più propiziato dagli sforzi congiunti della dama e del galán, bensì dalla generosità dell’anziano promesso sposo della giovane protagonista, la quale, assai più passiva di quanto non sia donna Angela, è rassegnata a sposare un uomo che non ama e a rinunciare al suo giovane innamorato. Nel Neoclassicismo ilustrado, paternalista e solo moderatamente innovatore, i giovani non sono più i protagonisti della loro felicità, come invece avviene sempre nelle commedie «de capa y espada» del periodo aureo: che, anche per questo, conservano una freschezza e una modernità maggiori rispetto al teatro dell’epoca immediatamente successiva.
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5. L’edizione del testo spagnolo della commedia è stata condotta seguendo, sostanzialmente, l’editio princeps contenuta nella Primera parte de comedias de don Pedro Calderón de la Barca (Madrid, 1636), corretta in caso di errori evidenti (versi mancanti, letture palesemente errate) con l’aiuto di due manoscritti del XVII secolo e delle edizioni non autorizzate pubblicate lo stesso anno della princeps (Valencia, Parte XXIX de Comedias de diferentes autores; Zaragoza, Parte XXX de Comedias de diferentes autores). Queste ultime presentano una versione diversa del terzo atto, che non ho ritenuto opportuno includere in questa edizione italiana, ma che ho riportato in appendice nelle edizioni spagnole da me curate della commedia (vedi nota 3), alle quali rimando anche per un esame più completo della storia testuale dell’opera e dei criteri di edizione. Qui basti dire che ho trascritto il testo spagnolo adattandolo ai moderni criteri ortografici e di punteggiatura; ho mantenuto però le oscillazioni ex-/es-; la riduzione dei gruppi colti -ct, -pt; l’oscillazione vocalica in posizione atona (recebir/recibir); gli arcaismi ancora in uso all’epoca come truje per traje, priesa per prisa; l’assimilazione e palatalizzazione della -r dell’infinito (vella, seguilla, ecc.); l’uso dell’articolo maschile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale atona e dell’articolo femminile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale tonica (al contrario dell’uso odierno); il mantenimento della congiunzione y davanti a i- iniziale di parola. Nel testo, sia quello spagnolo sia quello italiano, gli aparte dei personaggi sono stati segnalati da parentesi tonde. FAUSTA ANTONUCCI
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COMEDIA FAMOSA DE LA DAMA DUENDE PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA
DON MANUEL COSME,
gracioso
DON LUIS DON JUAN
DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
ISABEL,
CLARA,
criada criado
RODRIGO,
criada
CRIADOS
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COMMEDIA FAMOSA LA DAMA FOLLETTO PERSONAGGI
DON MANUEL COSME,
servo buffo
DONNA ANGELA ISABEL,
DON LUIS
domestica servo
RODRIGO,
DON JUAN DONNA BEATRIZ CLARA,
domestica SERVI
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PRIMERA JORNADA Salen don Manuel y Cosme, de camino. DON MANUEL
COSME
Por un hora no llegamos a tiempo de ver las fiestas con que Madrid generosa hoy el bautismo celebra del primero Baltasar. Como esas cosas se aciertan o se yerran por un hora. Por una hora que fuera antes Píramo a la fuente no hallara a su Tisbe muerta; y las moras no mancharan, porque dicen los poetas que con arrope de moras se escribió aquella tragedia. Por un hora que tardara Tarquino, hallara a Lucrecia recogida; con lo cual los autores no anduvieran, sin ser vicarios, llevando a salas de competencias la causa sobre saber si hizo fuerza o no hizo fuerza. Por un hora que pensara si era bien hecho o no era echarse Hero de la torre, no se echara, es cosa cierta; con que se hubiera excusado el doctor Mira de Mescua de haber dado a los teatros tan bien escrita comedia, y haberla representado Amarilis tan de veras que, volatín del carnal
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ATTO PRIMO Entrano in scena don Manuel e Cosme, con vestiti da viaggio. DON MANUEL
COSME
Per un’ora di ritardo abbiamo perso le feste con cui Madrid, città nobile, celebrava oggi il battesimo del principe Baltasar. Cose così, ci si riesce oppure no per un’ora. Se Piramo fosse andato un’ora prima alla fonte Tisbe non sarebbe morta, le more non macchierebbero, perché, secondo i poeti, quella tragedia fu scritta proprio con succo di more. Un’ora dopo, e Tarquinio non avrebbe mai incontrato Lucrezia; e così gli autori si sarebbero evitati di discuter la questione, neanche fossero dei giudici di cause matrimoniali, se ci fu o meno violenza. Se avesse pensato un’ora Ero prima di buttarsi dalla torre, di sicuro non si sarebbe buttata; e il dottor Mira de Mescua si sarebbe risparmiato di comporre una commedia così ben scritta, e Amarilis di recitarla con tanta
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DON MANUEL
– si otros son de la cuaresma –, sacó más de alguna vez las manos en la cabeza. Y, puesto que hemos perdido por un hora tan gran fiesta, no por un hora perdamos la posada, que, si llega tarde Abindarráez, es ley que haya de quedarse fuera; y estoy rabiando por ver este amigo que te espera, como si fueras galán al uso, con cama y mesa, sin saber cómo o por dónde tan grande dicha nos venga; pues, sin ser los dos torneos, hoy a los dos nos sustenta. Don Juan de Toledo es, Cosme, el hombre que más profesa mi amistad, siendo los dos envidia, ya que no afrenta, de cuantos la antigüedad por tantos siglos celebra. Los dos estudiamos juntos, y, pasando de las letras a las armas, los dos fuimos camaradas en la guerra. En las del Piamonte, cuando el señor duque de Feria con la jineta me honró, le di, Cosme, mi bandera; fue mi alférez, y después, sacando de una refriega una penetrante herida, le curé en mi cama mesma. La vida, después de Dios, me debe; dejo las deudas
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DON MANUEL
verità da farsi male più di una volta, imitando, lei che è attrice di teatro, l’acrobata da quaresima. E, visto che abbiamo perso per un’ora questa festa, non perdiamo per un’ora l’alloggio, perché se arriva tardi Abindarráez, si sa che lo lasceranno fuori; e voglio proprio vedere quest’amico che ti offre, come se fossi un amante alla moda, letto e tavola, senza che io sappia da dove ci viene questa fortuna; che non siamo due tornei eppure oggi ci mantiene. Don Juan de Toledo, Cosme, è l’amico mio più caro, tutti e due facciamo invidia – non dico ombra – a quelle coppie di amici che così a lungo l’antichità ha celebrato. Abbiamo studiato insieme, e, passando dalle lettere alle armi, siamo stati compagni in guerra. In Piemonte, quando dal duca di Feria fui insignito della lancia di capitano, fu a lui che detti la mia bandiera; divenne il mio alfiere, e poi, quando in una scaramuccia fu ferito, lo curai cedendogli anche il mio letto. Dopo Dio, è a me che deve 31
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de menores intereses, que entre nobles es bajeza referirlas, pues por eso pintó la docta Academia al galardón, una dama rica y las espaldas vueltas, dando a entender que, en haciendo el beneficio, es discreta acción olvidarse dél, que no le hace el que le acuerda. En fin, don Juan, obligado de amistades y finezas, viendo que su Majestad con este gobierno premia mis servicios y que vengo de paso a la Corte, intenta hoy hospedarme en su casa por pagarme con las mesmas. Y aunque a Burgos me escribió de casa y calle las señas, no quise andar preguntando, a caballo, dónde era, y así dejé en la posada las mulas y las maletas. Yendo hacia donde me dice vi las galas y libreas y, informado de la causa, quise, aunque de paso, verlas. Llegamos tarde, en efeto, porque...
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Salen doña Ángela y Isabel, en corto, tapadas. DOÑA ÁNGELA
Si, como lo muestra el traje, sois caballero
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la vita; senza contare altri debiti minori, che fra nobili è bassezza menzionare, come prova quell’emblema che dipinge il dono come una dama ricca che gira le spalle, per dare a intendere che, fatto il beneficio, è saggia azione il dimenticarlo, che il ricordarlo lo annulla. Per farla breve, don Juan, che è mio amico e che mi è grato, sapendo che Sua Maestà ha premiato i miei servigi con questa nomina e che per Madrid sarei passato, ha deciso di ospitarmi per ricambiarmi di pari moneta. E anche se a Burgos mi ha mandato il suo indirizzo, chiedere le indicazioni, a cavallo, non mi andava, e così mule e valigie le ho lasciate alla locanda. Mentre andavamo da lui ho visto livree e festoni e, informato del motivo, avrei voluto vederlo. Ma siamo arrivati tardi, perché... Entrano in scena donna Angela e Isabel, in mantelli corti, con il viso velato. DONNA ANGELA
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de obligaciones y prendas, ¡amparad a una mujer que a valerse de vos llega! Honor y vida me importa que aquel hidalgo no sepa quién soy, y que no me siga. Estorbad, por vida vuestra, a una mujer principal una desdicha, una afrenta; que podrá ser que algún día... ¡Adiós, adiós, que voy muerta!
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Vase. COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL
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¿Es dama o es torbellino? ¡Hay tal suceso! ¿Qué piensas hacer? ¿Eso me preguntas? ¿Cómo puede mi nobleza excusarse de excusar una desdicha, una afrenta? Que, según muestra, sin duda es su marido. ¿Y qué intentas? Detenerle con alguna industria; mas si con ella no puedo, será forzoso el valerme de la fuerza sin que él entienda la causa. Si industria buscas, espera, que a mí se me ofrece una: esta carta, que encomienda es de un amigo, me valga.
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d’atti e di sangue, una donna che richiede il vostro aiuto difenderete di certo! Non deve saper chi sono quel signore, né seguirmi; mi ci gioco vita e onore. Evitate, ve ne prego, che una nobildonna soffra una sventura, un affronto; che forse un giorno potrò... Addio, addio, sono morta! Se ne va. COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL
COSME
È una dama, o un mulinello? Incredibile! Che pensi di fare? E lo chiedi pure? Come posso, essendo nobile, evitarmi di evitare una sventura, un affronto? Che a quanto pare, senz’altro è il marito. E che farai? Cercherò con qualche scusa di fermarlo; e se non riesco, dovrò per forza ricorrere alla forza, e al tempo stesso dissimulargli il motivo. Se cerchi una scusa, aspetta, me ne viene in mente una: questa lettera, affidatami da un amico, farà al caso.
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Sale don Luis, y Rodrigo su criado. DON LUIS
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Yo tengo de conocerla, no más de por el cuidado con que de mí se recela. Síguela, y sabrás quién es.
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Llega Cosme, y retírase don Manuel. COSME
DON LUIS COSME
(Detiénele.) DON LUIS DON MANUEL
COSME DON LUIS
COSME
DON LUIS
Señor, aunque con vergüenza llego, vuesarced me haga tan gran merced que me lea a quién esta carta dice. No voy agora con flema. Pues, si flema sólo os falta, yo tengo cantidad della y podré partir con vos. Apartad. ¡Oh, qué derecha es la calle! Aún no se pierden de vista. ¡Por vida vuestra! ¡Vive Dios! Que sois pesado, y os romperé la cabeza si mucho me hacéis... Por eso os haré poco. Paciencia me falta para sufriros. Apartad de aquí.
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Rempújale. DON MANUEL
(Ya es fuerza llegar: acabe el valor lo que empezó la cautela.)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Entrano in scena don Luis e Rodrigo suo servitore. Devo vedere chi è, non foss’altro per la cura con cui da me si nasconde. Seguila, e potrai saperlo.
DON LUIS
RODRIGO
Cosme si avvicina, mentre don Manuel rimane indietro. COSME
DON LUIS COSME
(trattenendolo) DON LUIS DON MANUEL
COSME DON LUIS
COSME
DON LUIS
Signore, me ne vergogno, ma un piacere devo chiedere a vossignoria: mi legga a chi è diretta la lettera che le mostro. Non ho tempo. Beh, se è il tempo che vi manca io, che ne ho in abbondanza, posso darvene un pochino. Scostatevi. Quant’è dritta la strada! Ancora si vedono da lontano. Ve ne prego! Vivaddio! Siete noioso, e vi romperò la testa se fate tanto... Va bene, farò poco allora. Insomma, mi volete spazientire? Via di qui. Gli dà uno spintone.
DON MANUEL
(Adesso tocca a me: finisca il coraggio ciò che ha iniziato l’astuzia) 37
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
Llega.
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
Caballero, ese crïado es mío, y no sé en qué pueda haberos hoy ofendido para que de esa manera le atropelléis. No respondo a la duda o a la queja, porque nunca satisfice a nadie. ¡Adiós! Si tuviera necesidad mi valor de satisfaciones, crea vuestra arrogancia de mí que no me fuera sin ellas. Preguntar en qué os ofende, por castigarle si yerra, merece más cortesía, y pues la Corte la enseña no la pongáis en mal nombre, con que un forastero venga a enseñarla a los que tienen obligación de saberla. Quien pensare que no puedo enseñarla yo... La lengua suspended y hable el acero.
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Sacan las espadas. DON LUIS
Decís bien. ¡Oh, quién tuviera
COSME
gana de reñir! Sacad
RODRIGO
la espada, vos.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Si avvicina.
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
Signore, questo domestico è mio, e non so in che possa avervi offeso, perché dobbiate in quella maniera spintonarlo. Non rispondo al dubbio o alla lamentela, perché a nessuno ho mai dato soddisfazione. Saluti! Se il mio coraggio volesse soddisfazione, credetemi, signor arrogante, mai me ne andrei senza ottenerla. Chiedervi in che vi abbia offeso, per castigarlo se sbaglia, merita più cortesia, cosa che a Corte si insegna; non fatele quest’insulto che un forestiero la debba venire a insegnare a chi ha l’obbligo di conoscerla. Chi pensasse che non posso insegnarla io... La lingua frenate e parli la spada. Sguainano le spade.
DON LUIS
Dite bene.
COSME
Oh, ad aver voglia di combattere! Su, voi, fuori la spada.
RODRIGO
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA COSME
Es doncella, y sin cédula o palabra no puedo sacarla.
Sale doña Beatriz teniendo a don Juan, y Clara criada, y gente. DON JUAN
DOÑA BEATRIZ DON JUAN
DOÑA BEATRIZ DON JUAN
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS DON MANUEL DON JUAN
DON MANUEL
Suelta, Beatriz. No has de ir. Mira que es con mi hermano la pendencia. ¡Ay de mí triste! A tu lado estoy. Don Juan, tente, espera, que, más que a darme valor, a hacerme cobarde llegas. Caballero forastero, quien no excusó la pendencia solo, estando acompañado bien se ve que no la deja de cobarde. Idos con Dios, que no sabe mi nobleza reñir mal, y más con quien tanto brío y valor muestra. Idos con Dios. Yo os estimo bizarría y gentileza; pero si de mí por dicha algún escrúpulo os queda me hallaréis donde quisiereis. Norabuena. Norabuena. ¡Qué es lo que miro y escucho! ¡Don Manuel! ¡Don Juan!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Ma è vergine! Non posso portarla fuori di casa, se non la sposo.
COSME
Entra in scena donna Beatriz trattenendo don Juan, e Clara domestica, e altra gente. DON JUAN
Beatriz, lascia.
BEATRIZ
Non andare. Guarda che è mio fratello uno dei due che combattono. Ahimè! Eccomi al tuo fianco. Don Juan, fermati ed aspetta, che invece che a darmi forza vieni a rendermi codardo. Signor forestiero, chi il duello non ha evitato quand’era solo, e lo smette vedendosi spalleggiato, è chiaro che non lo smette per codardia. Andate pure, che non sa combatter male la mia nobiltà, ancor meno con chi come voi dimostra tanta baldanza e coraggio. Riconosco in voi, e apprezzo, forza e signorilità; ma se per caso vi resta qualche scrupolo, rimango a vostra disposizione. I miei ossequi. I miei ossequi. Ma che cosa vedo e sento! Don Manuel! Don Juan!
DON JUAN
BEATRIZ DON JUAN DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS DON MANUEL DON JUAN
DON MANUEL
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DON JUAN
DON LUIS
DON JUAN
DON MANUEL
DON LUIS
Suspensa, el alma no determina qué hacer, cuando considera un hermano y un amigo – que es lo mismo – en diferencia tal, y hasta saber la causa dudaré. La causa es ésta: volver por ese crïado este caballero intenta, que, necio, me ocasionó a hablarle mal. Todo cesa con esto. Pues siendo así, cortés me darás licencia para que llegue a abrazarle: el noble huésped que espera nuestra casa es el señor don Manuel. Hermano, llega, que dos que han reñido iguales desde aquel instante quedan más amigos, pues ya hicieron de su valor experiencia. Dadnos los brazos. Primero que a vos os los dé, me lleva el valor que he visto en él a que al servicio me ofrezca del señor don Luis. Yo soy vuestro amigo, y ya me pesa de no haberos conocido, pues vuestro valor pudiera haberme informado.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DON JUAN
DON LUIS
DON JUAN
DON MANUEL
DON LUIS
Incerto il cuore non sa che fare, considerando un fratello e un amico – il che è lo stesso – in contrasto, e starò in dubbio finché non saprò il motivo. Il motivo è stato questo: questo signore ha voluto difendere quel domestico che, sciocco, mi ha provocato a trattarlo male. È tutto. Se stanno così le cose, cortese permetterai che mi avvicini e lo abbracci: il signore è don Manuel, è l’ospite che la nostra casa aspetta. Vieni qui, fratello, che chi combatte ad armi pari diventa amico del suo rivale, conoscendone il coraggio. Abbracciateci. Tra i due, prima che a voi, il coraggio che ho visto in lui mi sollecita a dichiararmi al servizio del signor don Luis. Io sono vostro amico, e mi dispiace che non vi ho riconosciuto: avrei dovuto capirlo vedendo il vostro coraggio.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DON MANUEL
DON LUIS
COSME DON JUAN
DON MANUEL DON JUAN DON MANUEL
DON LUIS
COSME
El vuestro escarmentado me deja, pues me deja en esta mano una herida. Más quisiera tenerla mil veces yo. ¡Qué cortesana pendencia! ¿Herida? Vení a curaros. Tú, don Luis, aquí te queda hasta que tome su coche doña Beatriz, que me espera, y de esta descortesía me disculparás con ella. Venid, señor, a mi casa – mejor dijera a la vuestra – donde os curéis. Que no es nada. Venid presto. (¡Qué tristeza me ha dado que me reciba con sangre Madrid!) (¡Qué pena tengo de no haber podido saber qué dama era aquélla!) (¡Qué bien merecido tiene mi amo lo que se lleva, porque no se meta a ser don Quijote de la legua!)
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Vanse los tres, y llega don Luis a doña Beatriz, que está aparte. DON LUIS
Ya la tormenta pasó; otra vez, señora, vuelva a restitüir las flores que agora marchita y seca de vuestra hermosura el hielo de un desmayo.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DON MANUEL
DON LUIS
COSME DON JUAN
DON MANUEL DON JUAN DON MANUEL
DON LUIS
COSME
Il vostro ha lasciato il segno, lasciandomi sulla mano una ferita. Vorrei piuttosto averne io mille. Che contesa cortigiana! Ferita? Vi cureremo. Tu, don Luis, rimani qui, finché arriva la carrozza di Beatriz, che mi aspettava, e di questa scortesia saprai scusarmi con lei. Venite, signore, a casa mia – dovrei dire vostra – a curarvi. Non è nulla! Venite, su. (Che tristezza che col sangue mi abbia accolto Madrid!) (Che contrarietà non aver poi più saputo chi fosse quella signora!) (E ben gli sta al mio padrone la ferita che ha buscato, perché la smetta di fare il don Chisciotte da strada!)
Se ne vanno tutti e tre, e don Luis si avvicina a donna Beatriz, che sta in disparte. DON LUIS
Il temporale è passato; vi restituisca, signora, i fiori che ha illanguidito e sciupato, della vostra bellezza, il gelo crudele di un timore. 45
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
¿Dónde queda don Juan? Que le perdonéis os pide, porque le llevan forzosas obligaciones y el cuidar con diligencia de la salud de un amigo que va herido. ¡Ay de mí! ¡Muerta estoy! ¿Es don Juan? Señora, no es don Juan, que no estuviera, estando herido mi hermano, yo con tan grande paciencia. No os asustéis, que no es justo que, sin que él la herida tenga, tengamos entre los dos yo el dolor y vos la pena. Digo dolor el de veros tan postrada, tan sujeta a un pesar imaginado, que hiere con mayor fuerza. Señor don Luis, ya sabéis que estimo vuestras finezas, supuesto que lo merecen por amorosas y vuestras. Pero no puedo pagarlas, que eso han de hacer las estrellas y no hay, de lo que no hacen, quien las tome residencia. Si lo que menos se halla es hoy lo que más se precia en la Corte, agradeced el desengaño, siquiera por ser cosa que se halla con dificultad en ella. Quedad con Dios.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Dove sta
DONNA BEATRIZ
don Juan? DON LUIS
DONNA BEATRIZ
DON LUIS
DONNA BEATRIZ
Che lo perdoniate vi manda a dire, perché è dovuto andare via per curare diligente la salute di un amico che è ferito. Ahimè! Son morta! Don Juan ferito? Signora, non è don Juan: non starei, se il ferito fosse lui, io così tranquillo. Non spaventatevi, che è ingiusto, non essendo lui ferito, che io e voi ne patiamo io il dolore, e voi la pena. Chiamo dolore il vedervi così prostrata e soggetta a una pena immaginata, più crudele di una vera. Signor don Luis, lo sapete, le vostre galanterie le stimo per quel che meritano, essendo amorose e vostre. Ma non posso ricambiarle, ché questo spetta alle stelle, e per quel che esse non fanno non le si può giudicare. Se ciò che meno si trova è quello che più si apprezza oggi a Corte, il disinganno stimate, non fosse altro perché è qualcosa che lì si trova difficilmente. Dio sia con voi. 47
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
Vase con su criada. DON LUIS
RODRIGO
DON LUIS RODRIGO
DON LUIS RODRIGO DON LUIS
Id con Dios. No hay acción que me suceda bien, Rodrigo. Si una dama veo airosa y conocerla solicito, me detienen un necio y una pendencia, que no sé cuál es peor; si riño y mi hermano llega, es mi enemigo su amigo; si por disculpa me deja de una dama, es una dama que mil pesares me cuesta; de suerte que una tapada me huye, un necio me atormenta, un forastero me mata y un hermano me le lleva a ser mi huésped a casa, y otra dama me desprecia. ¡De mala anda mi fortuna! ¿Que de todas esas penas que sé la que sientes más? No sabes. Que la que llegas a sentir más son los celos de tu hermano y Beatriz bella. Engáñaste. Pues ¿cuál es? Si tengo de hablar de veras – de ti solo me fïara – lo que más siento es que sea mi hermano tan poco atento que llevar a casa quiera un hombre mozo, teniendo,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Se ne va con la sua domestica. DON LUIS
RODRIGO
DON LUIS RODRIGO
DON LUIS RODRIGO DON LUIS
E con voi. Non me ne va bene una, Rodrigo. Vedo una dama attraente, cerco di conoscerla, e mi trattengono uno sciocco ed una lite, che non so cosa sia peggio; sopraggiunge mio fratello, e il mio nemico è suo amico; mi chiede di rimanere con una dama, e la dama mi dà mille dispiaceri; sicché una dama dal volto coperto mi sfugge via, uno sciocco mi tormenta, un forestiero mi uccide e un fratello me lo porta dentro casa come ospite, e un’altra dama mi spregia. Va male la mia fortuna! E di questi dispiaceri scommetti che so benissimo quale ti pesa di più? No che non sai. Più di tutti ti pesa la gelosia di tuo fratello e Beatriz. Ti sbagli. E allora qual è? Se devo essere sincero – solo con te mi confido – mi pesa di più che sia mio fratello così poco scrupoloso da invitare a casa un giovane, quando 49
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
RODRIGO
Rodrigo, una hermana en ella viuda y moza y – como sabes – tan de secreto que apenas sabe el sol que vive en casa; porque Beatriz, por ser deuda, solamente la visita. Ya sé que su esposo era administrador, en puertos de mar, de unas reales rentas, y quedó debiendo al rey grande cantidad de hacienda; y ella a la Corte se vino de secreto, donde intenta, escondida y retirada, componer mejor sus deudas. Y esto disculpa a tu hermano; pues, si mejor consideras que su estado no le da ni permisión ni licencia de que nadie la visite y que, aunque su huésped sea don Manuel, no ha de saber que en casa, señor, se encierra tal mujer, ¿qué inconveniente hay en admitirle en ella? Y más habiendo tenido tal recato y advertencia que para su cuarto ha dado por otra calle la puerta, y la que salía a la casa, por desmentir la sospecha de que el cuidado la había cerrado, o porque pudiera con facilidad abrirse otra vez, fabricó en ella
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
RODRIGO
ospitiamo una sorella vedova e giovane, e, lo sai, così di nascosto, che quasi neanche il sole sa che vive a casa nostra; perché soltanto Beatriz, che è parente, le fa visita. So che suo marito era amministratore regio in qualche porto di mare, che ha lasciato molti debiti con le finanze del re; che lei è tornata a Corte in incognito, e che cerca, con riserbo e discrezione, di fare fronte ai suoi debiti. Ciò discolpa tuo fratello; perché se ci pensi bene, e vedi che nel suo stato non le è lecito ricevere la visita di nessuno, e che, anche se don Manuel è suo ospite, non saprà che una donna si nasconde in casa, dov’è il problema che gli impedisce di accoglierlo? Tanto più che ha avuto cura di assegnargli delle stanze dalle quali si entra ed esce da una porta secondaria, e quella che dava al resto della casa ha condannato, ma perché non si vedesse la precauzione, o perché potesse di nuovo aprirsi in un secondo momento, vi ha fatto costruire sopra 51
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
DON LUIS
una alacena de vidrios labrada de tal manera que parece que jamás en tal parte ha habido puerta. ¿Ves con lo que me aseguras? Pues con eso mismo intentas darme muerte, pues ya dices que no ha puesto, por defensa de su honor, más que unos vidrios que al primer golpe se quiebran.
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Vanse, y salen doña Ángela y Isabel. DOÑA ÁNGELA
ISABEL
DOÑA ÁNGELA
Vuélveme a dar, Isabel, esas tocas, ¡pena esquiva! Vuelve a amortajarme viva, ya que mi suerte crüel lo quiere así. Toma presto, porque si tu hermano viene y alguna sospecha tiene, no la confirme con esto de hallarte de la manera que hoy en Palacio te vio. ¡Válgame el cielo! ¡Que yo entre dos paredes muera donde apenas el sol sabe quién soy, pues la pena mía en el término del día ni se contiene ni cabe; donde inconstante la luna, que aprende influjos de mí, no puede decir: «Yo vi que lloraba su fortuna»; donde en efeto encerrada sin libertad he vivido, porque enviudé de un marido,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
una credenza per piatti, fabbricata così bene che non sembrerebbe mai che là dietro c’è una porta. Bella rassicurazione! Con questo mi fai star peggio, visto che mi stai dicendo che a difesa del suo onore non ha messo che dei piatti che al primo colpo si rompono.
DON LUIS
Se ne vanno, ed entrano donna Angela e Isabel. DONNA ANGELA
ISABEL
DONNA ANGELA
Dammi di nuovo, Isabel, quella cuffia, oh che afflizione! Rimettimi quel sudario giacché la mia sorte ria vuole così. Prendi in fretta, che se tuo fratello viene e ha avuto qualche sospetto, non lo possa confermare vedendoti coi vestiti con cui ti ha vista a Palazzo. Mi aiuti il cielo! Che io mi spenga fra due pareti dove a malapena il sole sa chi sono, e il mio dolore passa i limiti del giorno, che non riesce a contenerlo; dove incostante la luna, che imita i miei rovesci, non può dire: «Io l’ho vista piangere la sua sfortuna»; dove infine son rinchiusa priva della libertà, e, vedova di un marito, 53
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
ISABEL
con dos hermanos casada! ¡Y luego delito sea, sin que toque en liviandad, depuesta la autoridad, ir donde tapada vea un teatro en quien la fama, para su aplauso inmortal, con acentos de metal y voces de bronce llama! ¡Suerte injusta! ¡Dura estrella! Señora, no tiene duda de que, mirándote viuda, tan moza, bizarra y bella, tus hermanos cuidadosos te celen, porque este estado es el más ocasionado a delitos amorosos. Y más en la Corte hoy, donde se han dado en usar unas viuditas de azahar que al cielo mil gracias doy cuando en las calles las veo, tan honestas, tan fruncidas, tan beatas y aturdidas; y en quedándose en manteo es el mirarlas contento, pues, sin toca y devoción, saltan más a cualquier son que una pelota de viento. Y este discurso doblado para otro tiempo, señora, ¿cómo no habemos agora en el forastero hablado a quien tu honor encargaste y tu galán hoy hiciste?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
ISABEL
con due fratelli sposata! E che poi sia un delitto, senz’ombra di leggerezza, lasciati i paludamenti, voler andare velata ad assistere a una festa cui gli appelli della fama, per il suo plauso immortale, hanno convocato tutti con voci di bronzo e acciaio. Sorte ingiusta! Duro fato! È ovvio, signora, che vedendoti così giovane, attraente e bella, e vedova, i tuoi fratelli con scrupolo ti sorveglino, perché è questo stato il più esposto alle colpe dell’amore. Tanto più a Corte oggidì, dove sono assai alla moda delle vedovelle furbe, che è da render lode al cielo quando le vedi per strada così oneste e così serie, così devote e bigotte; mentre quando sono in casa è una sorpresa guardarle, senza cuffia e devozione, che saltano ad ogni soffio più di un pallone gonfiato. Ma lasciando questo tema a un’altra volta, signora, perché non abbiamo ancora parlato del forestiero che hai fatto tuo cavaliere affidandogli il tuo onore?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DOÑA ÁNGELA
ISABEL
DOÑA ÁNGELA
Parece que me leíste el alma, en eso que hablaste. Cuidadosa me ha tenido no por él, sino por mí; porque después, cuando oí de las cuchilladas ruido, me puse – mas son quimeras –, Isabel, a imaginar que él había de tomar mi disgusto tan de veras que había de sacar la espada en mi defensa. Yo fui necia en empeñarle así; mas una mujer turbada ¿qué mira, o qué considera? Yo no sé si lo estorbó, mas sé que no nos siguió tu hermano más. Oye, espera.
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Sale don Luis. DON LUIS DOÑA ÁNGELA
DON LUIS DOÑA ÁNGELA
DON LUIS
DOÑA ÁNGELA
DON LUIS
ISABEL
¿Ángela? Hermano y señor: turbado y confuso vienes. ¿Qué ha sucedido? ¿Qué tienes? Harto tengo, tengo honor. (¡Ay de mí! Sin duda es que don Luis me conoció.) Y así, siento mucho yo que se estime poco. Pues ¿has tenido algún disgusto? Lo peor es, cuando vengo a verte, el disgusto tengo que tuve, Ángela. (¿Otro susto?)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DONNA ANGELA
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DONNA ANGELA
Sembra che tu mi abbia letto nel cuore, così dicendo. Mi ha fatto stare in pensiero, più per me che non per lui; perché, dopo aver sentito rumor di spade, Isabel, ho cominciato a pensare – ma sono tutte chimere – che avesse preso sul serio la mia richiesta a tal punto da duellare in mia difesa. Sono stata sciocca a fargli quella richiesta, obbligandolo; ma una donna spaventata non riflette né considera. Io non so se è stato lui, ma so che non ci ha seguito più tuo fratello. Ora zitta! Entra don Luis.
DON LUIS
Angela?
DONNA ANGELA
Fratello mio, vieni turbato e confuso. Cos’è successo? Che hai? Ho nientemeno che onore. (Povera me! Senza dubbio don Luis mi ha riconosciuto.) E così, mi spiace molto che si stimi poco. Allora hai avuto dei dispiaceri? Quel che è peggio, nel vederti, Angela, quel dispiacere che ho avuto mi si rinnova. (Ancora un altro spavento?)
DON LUIS DONNA ANGELA
DON LUIS
DONNA ANGELA
DON LUIS
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DOÑA ÁNGELA
DON LUIS DOÑA ÁNGELA DON LUIS
DOÑA ÁNGELA DON LUIS
DOÑA ÁNGELA DON LUIS
Pues yo ¿en qué te puedo dar, hermano, disgusto? Advierte... Tú eres la causa, y el verte... (¡Ay de mí!) ...Ángela, estimar tan poco de nuestro hermano... (Eso sí.) ...que cuando vienes con los disgustos que tienes cuidados te dé. No en vano el enojo que tenía con el huésped me pagó, pues, sin conocerle yo, hoy le he herido en profecía. Pues ¿cómo fue? Entré en la plaza de Palacio, hermana, a pie hasta el palenque, porqué toda la desembaraza de coches y caballeros la guarda; a un corro me fui de amigos, adonde vi que alegres y lisonjeros los tenía una tapada, a quien todos celebraron lo que dijo y alabaron de entendida y sazonada. Desde el punto que llegué otra palabra no habló, tanto que a alguno obligó a preguntarla por qué, porque yo llegaba, había con tanto estremo callado. Todo me puso en cuidado; miré si la conocía y no pude, porque ella le puso más en taparse,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DONNA ANGELA
DON LUIS DONNA ANGELA DON LUIS
DONNA ANGELA DON LUIS
DONNA ANGELA DON LUIS
Ma io, in cosa posso darti, fratello, dei dispiaceri? Sei tu la causa, il vederti... (Ahimè!) ...Angela, stimare così poco da don Juan... (Così va meglio.) ...che quando hai già tanti dispiaceri, ti dia altre preoccupazioni. Non a caso la mia rabbia ho sfogato oggi sull’ospite, che, senza saper chi fosse, l’ho ferito, indovinandoci. Com’è stato? Nella piazza del Palazzo sono entrato a piedi fino al recinto, che non potevano entrare né carrozze né cavalli; c’era lì un gruppo di amici, e accostandomi li ho visti far scherzi e galanterie con una dama velata, ridendo alle sue battute, dicendo che era simpatica e intelligente. Ma appena a loro mi sono unito, non ha detto più parola, tanto che qualcuno ha chiesto perché, al mio arrivo, si fosse taciuta così del tutto. La cosa mi ha preoccupato; volevo capir chi fosse, ma invano, che si copriva ancor di più, e stava attenta
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
DOÑA ÁNGELA
en esconderse y guardarse. Viendo que no pude vella, seguilla determiné; ella siempre atrás volvía a ver si yo la seguía, cuyo gran cuidado fue espuela de mi cuidado. Yendo de esta suerte, pues, llegó un hidalgo, que es de nuestro huésped crïado, a decir que le leyese una carta. Respondí que iba de priesa, y creí que detenerme quisiese con este intento, porqué la mujer le habló al pasar; y tanto dio en porfïar que le dije no sé qué. Llegó en aquella ocasión, en defensa del crïado, nuestro huésped, muy soldado; sacamos en conclusión las espadas. Todo es esto, pero más pudiera ser. ¡Miren la mala mujer en qué ocasión te había puesto! Que hay mujeres tramoyeras; pondré que no conocía quién eras y que lo hacía sólo porque la siguieras. Por eso estoy harta yo de decir – si bien te acuerdas – que mires que no te pierdas por mujercillas, que no saben más que aventurar los hombres.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
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a nascondersi e ritrarsi. Non riuscendo a riconoscerla ho deciso di seguirla; e lei si girava sempre a veder se la seguivo, questa sua preoccupazione dando stimolo alla mia. Mentre così la inseguivo si fa avanti un uomo, che è del nostro ospite il servo, a chieder che gli leggessi una lettera. Ho risposto che avevo fretta, e ho pensato che volesse trattenermi con quella scusa, perché la donna mentre passava gli aveva parlato; e tanto ha insistito, che alla fine gli ho detto non so che cosa. Allora si è fatto avanti, in difesa del domestico, il nostro ospite, spavaldo; le spade abbiamo sguainato alla fine. Ed ecco tutto, ma poteva andare peggio. Ma tu guarda in che pericolo ti ha messo quella donnaccia! Ce ne sono di intriganti! Scommetto che non sapeva chi eri, e ha fatto così solo perché la seguissi. Perciò non mi stanco mai di dirti – se ben ricordi – di stare attento a non perderti per donnicciole di quelle che non sanno fare altro che mettere a rischio gli uomini. 61
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¿En qué has pasado la tarde? En casa me he estado entretenida en llorar. ¿Hate nuestro hermano visto? Desde esta mañana no ha entrado aquí. ¡Qué mal yo estos descuidos resisto! Pues deja los sentimientos que al fin sufrirle es mejor: que es nuestro hermano mayor y comemos de alimentos. Si tú estás tan consolada yo también, que yo por ti lo sentía, y porque así veas no dárseme nada a verle voy, y aun con él haré una galantería.
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¿Qué dirás, señora mía, después del susto crüel, de lo que en casa nos pasa? Pues el que hoy ha defendido tu vida, huésped y herido le tienes dentro de casa. Yo, Isabel, lo sospeché cuando de mi hermano oí la pendencia y cuando vi que el herido el huésped fue. Pero aun bien no lo he creído, porque cosa estraña fuera que un hombre a Madrid viniera y hallase, recién venido, una dama que rogase
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E tu questo pomeriggio che hai fatto? Son stata a casa intrattenendomi a piangere. È venuto tuo fratello? Da questa mattina non ha messo piede qui dentro. Codeste disattenzioni io proprio non le sopporto. Lascia stare il dispiacere e sopportalo, che è meglio: nostro fratello è il maggiore ed è lui che ci mantiene. Se per te non è un problema, neanche per me, che per te mi dispiaceva, e affinché tu veda che non mi importa vado a trovarlo, anzi meglio, gli farò una gentilezza. Se ne va.
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Che dici, signora mia, passato il grande spavento, di quel che succede in casa? Colui che oggi ti ha difeso te lo ritrovi, ferito e ospite, in casa tua. Isabel, l’ho immaginato quando ho sentito del duello da don Luis, e quando ha detto che il ferito era poi l’ospite. Ma non ci volevo credere, perché mi sembra ben strano che un uomo arrivi a Madrid e trovi, appena arrivato, una dama che lo supplica 63
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que su vida defendiese, un hermano que le hiriese y otro que le aposentase. Fuera notable suceso y, aunque todo puede ser, no lo tengo de creer sin vello. Y si para eso te dispones, yo bien sé por dónde verle podrás y aun más que velle. Tú estás loca: ¿cómo, si se ve de mi cuarto tan distante el suyo? Parte hay por donde este cuarto corresponde al otro; esto no te espante. No porque verlo deseo, sino sólo por saber, dime: ¿cómo puede ser? Que lo escucho y no lo creo. ¿No has oído que labró en la puerta una alacena tu hermano? Ya lo que ordena tu ingenio he entendido yo. ¿Dirás que, pues es de tabla, algún agujero hagamos por donde al huésped veamos? Más que eso mi ingenio entabla. Di. Por cerrar y encubrir la puerta que se tenía y que a este jardín salía, y poder volverla a abrir, hizo tu hermano poner
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di proteggerla, un fratello che lo ferisce, ed un altro che lo ospita a casa sua. Sarebbe ben straordinario e, anche se tutto può essere, non ci crederò se prima non lo vedo. Se è per questo, e se sei d’accordo, io so come puoi fare a vederlo ed anche più che vederlo. Sei matta? E come si fa se le mie stanze lontane son dalle sue? C’è una parte di quest’ala della casa da cui si può andare lì. Non perché voglio vederlo, ma soltanto per capire, dimmi: come è mai possibile? Che ti ascolto e non lo credo. Hai sentito che don Juan sulla porta ha fatto mettere una credenza? Capisco cosa immagina il tuo ingegno. Dirai, visto che è di legno, di farci un buco, dal quale possiamo vedere l’ospite? Molto di più ho escogitato. Di’. Per chiudere e nascondere la porta di quelle stanze che dava qui sul giardino, e poterla poi riaprire, tuo fratello ha fatto mettere
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portátil una alacena. Ésta – aunque de vidrios llena – se puede muy bien mover. Yo lo sé bien porque, cuando la alacena aderecé, la escalera la arrimé y ella se fue desclavando poco a poco, de manera que todo junto cayó y dimos en tierra yo, alacena y escalera. De suerte que en falso agora la tal alacena está y, apartándose, podrá cualquiera pasar, señora. Esto no es determinar, sino prevenir primero. Ves aquí, Isabel, que quiero a esotro cuarto pasar: he quitado la alacena; ¿por allá no se podrá quitar también? Claro está; y para hacerla más buena en falso se han de poner dos clavos, para advertir que sólo la sepa abrir el que lo llega a saber. Al crïado que viniere por luz y por ropa, di que vuelva a avisarte a ti si acaso el huésped saliere de casa, que, según creo, no le obligará la herida a hacer cama. Y, por tu vida, ¿irás?
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una credenza portatile che, anche se piena di piatti, si può benissimo muovere. Io lo so bene, perché, per pulirla e sistemarla, ci avevo appoggiato contro la scala, e quella pian piano si è schiodata, cosicché è caduto tutto in terra, io, la credenza e la scala. Ora perciò non si appoggia quella credenza su nulla, e, spostandola, chiunque ci può passare, signora. Prima di decider, voglio capire gli inconvenienti. Supponi, Isabel, che voglio passare a quelle altre stanze: ho spostato la credenza; da là dentro si potrà spostarla di nuovo? Certo; e per completare il trucco ci metteremo due chiodi per fingere che è bloccata, e così la aprirà solo chi è al corrente della cosa. Al domestico che si occupa della luce e biancheria, dirai che ti avvisi se per caso l’ospite esce di casa, che, a quel che credo, la ferita non è tale da obbligarlo a stare a letto. E dimmi, ti prego, andrai?
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Un necio deseo tengo de saber si es él el que mi vida guardó, porque, si le cuesto yo sangre y cuidado, Isabel, es bien mirar por su herida, si es que, segura del miedo de ser conocida, puedo ser con él agradecida. Vamos, que tengo de ver la alacena y, si pasar puedo al cuarto, he de cuidar, sin que él lo llegue a entender, desde aquí de su regalo. Notable cuento será; mas ¿si lo cuenta? No hará, que hombre que su esfuerzo igualo a su gala y discreción – puesto que de todo ha hecho noble experiencia mi pecho en la primera ocasión: de valiente, en lo restado, de galán, en lo lucido, en el modo, de entendido – no me ha de causar cuidado que diga suceso igual; que fuera notable mengua que echara una mala lengua tan buenas partes a mal.
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Vanse. Salen don Juan, don Manuel y un criado con luz. DON JUAN DON MANUEL
Acostaos, ¡por mi vida! Es tan poca la herida que antes, don Juan, sospecho
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Uno sciocco desiderio ho di sapere se è lui che mi ha salvato la vita, perché, se gli son costata sangue e apprensione, Isabel, veglierò la sua ferita se, al sicuro dal pericolo di essere riconosciuta, posso dimostrarmi grata. Andiamo, voglio vedere la credenza e, se davvero riesco a andar nelle sue stanze, d’ora in poi voglio occuparmi del suo benessere, senza che lui capisca chi sono. Sembra un racconto di fate; ma se lo racconta? No: un uomo del cui coraggio, cortesia e discernimento ho fatto esperienza nobile fin dalla prima occasione, – valoroso nell’audacia, galante nel portamento, nel modo di fare accorto – non temo proprio che parli di una cosa come questa; sarebbe un difetto troppo grande che una lingua sciolta rovinasse tante doti.
Se ne vanno. Entrano don Juan, don Manuel e un domestico con una lampada. DON JUAN DON MANUEL
Vi prego, andate a letto! Ma don Juan, così poca cosa è la mia ferita, che sospetto 69
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que parece melindre el haber hecho caso ninguno della. Harta ventura ha sido de mi estrella, que no me consolara jamás, si este contento me costara el pesar de teneros en mi casa indispuesto y el de veros herido por la mano – si bien no ha sido culpa – de mi hermano. Él es buen caballero y me tiene envidioso de su acero, de su estilo admirado y he de ser muy su amigo y su crïado.
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Sale don Luis, y un criado con un azafate cubierto, y en él un aderezo de espada. DON LUIS
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Yo, señor, lo soy vuestro, como en la pena que recibo muestro ofreciéndoos mi vida; y porque el instrumento de la herida en mi poder no quede – pues ya agradarme ni servirme puede – bien como aquel crïado que a su señor algún disgusto ha dado, hoy de mí le despido. Ésta es, señor, la espada que os ha herido: a vuestras plantas viene a pediros perdón, si culpa tiene; tome vuestra querella, con ella, en mí venganza de mí y della. Sois valiente y discreto, en todo me vencéis; la espada aceto porque, siempre a mi lado, me enseñe a ser valiente. Confïado desde hoy vivir procuro porque ¿de quién no vivirá seguro
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che anzi sembri un eccesso avere fatto tanto caso di essa. Allora son davvero fortunato, che non mi darei pace se questa gioia mi costasse il cruccio di avervi a casa mia indisposto e ferito – benché senza colpa – da mio fratello. È un bravo cavaliere: della sua abilità sono invidioso, ho ammirato il suo stile, e voglio essergli amico e servitore.
Entra don Luis, e un domestico con un vassoio coperto, e dentro una spada completa di fodero e guardia. DON LUIS
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Io, signore, piuttosto vi son servo, e dimostro il mio dolore offrendovi la vita; l’oggetto che vi ha inflitto la ferita non dev’esser più mio – che ormai non può piacermi né servirmi – e proprio come fosse un servitore che al suo padrone ha dato un dispiacere, oggi lo mando via. Questa è la spada che vi ha ferito: eccola vostri piedi che vi chiede perdono, se è colpevole; servitevene pure per vendicarvi di me e di lei insieme. Valoroso ed accorto, in tutto mi vincete; accetto il dono perché, sempre al mio fianco, il coraggio mi insegni. Più tranquillo da oggi in poi vivrò, che come può non vivere sicuro
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quien vuestro acero ciñe generoso? Que él solo me tuviera temeroso. Pues don Luis me ha enseñado a lo que estoy, por huésped, obligado otro regalo quiero que recibáis de mí. ¡Qué tarde espero pagar tantos favores! Los dos os competís en darme honores.
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Sale Cosme cargado de maletas y cojines. COSME
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Docientos mil demonios de su furia infernal den testimonios volviéndose inclementes docientas mil serpientes que, asiéndome de un vuelo, den conmigo de patas en el cielo, del mandato oprimidos de Dios, por justos juicios compelidos, si vivir no quisiera sin injurias en Galicia o Asturias antes que en esta Corte. ¡Reporta! ¡El reportorio se reporte! ¿Qué dices? Lo que digo, que es traidor quien da paso a su enemigo. ¿Qué enemigo? Detente. El agua de una fuente y otra fuente. ¿De aqueso te inquïetas? Venía de cojines y maletas por la calle cargado y en una zanja de una fuente he dado; y así lo traigo todo – como dice el refrán – puesto de lodo. ¿Quién esto en casa mete?
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chi il vostro acciaio nobile si cinge? Che era il solo di cui avessi timore. Poiché don Luis mi insegna quale sia il mio dovere come ospite, voglio che riceviate da me un altro regalo. Io dispero di ricambiare mai tanti favori! Fate a gara voi due nell’onorarmi.
Entra Cosme carico di valigie e sacche da viaggio. COSME
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Duecentomila diavoli facciano mostra della loro furia trasformandosi tutti in altrettante serpi che, afferrandomi al volo, mi gettino all’impiedi su nel cielo, dall’ordine costretti di Dio, e obbligati da giusti giudizi, se non preferirei viver tranquillo in Galizia o in Asturie piuttosto che qui a Corte. Basta! Basta e fagioli! Ma cosa dici? Dico che chi apre un varco al nemico tradisce! Che nemico? Sta’ calmo. L’acqua delle fontane di Madrid. E per questo ti arrabbi? Andavo per la strada stracarico di sacche e di valigie, e son finito nella canaletta di una fontana; ed ecco tutto mi si è infangato. E chi entra in casa adesso? 73
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Vete de aquí, que estás borracho, vete. Si borracho estuviera menos mi enojo con el agua fuera; cuando en un libro leo de mil fuentes que vuelven varias cosas sus corrientes no me espanto, si aquí ver determino que nace el agua a convertirse en vino. Si él empieza, en un año no acabará. Él tiene humor estraño. Sólo de ti querría saber, si sabes leer – como este día en el libro citado muestras –, ¿por qué pediste tan pesado que una carta leyese? ¿Qué? ¿Te apartas? Porque sé leer en libros y no en cartas. Está bien respondido. Que no hagáis caso dél por Dios os pido; ya le iréis conociendo y sabréis que es burlón. Hacer pretendo de mis burlas alarde; para alguna os convido. Pues no es tarde, porque me importa, ir quiero a hacer una visita. Yo os espero para cenar. Tú, Cosme, esas maletas mojadas desa suerte no las metas. Abre y saca la ropa. Enfado es harto. Si quisieres cerrar, ésta es del cuarto la llave, que – aunque tengo
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Ma va’ via, che ti sei ubriacato, va’. Se mi fossi ubriacato con l’acqua ora sarei meno arrabbiato; e se ho letto in un libro che ci sono tante fontane le cui acque trasformano oggetti vari, non sarebbe strano se quell’acqua si tramutasse in vino. Quando inizia, non smette più per un pezzo. Che umorismo buffo. Vorrei solo sapere da te: ma se sai leggere – giacché hai appena detto di aver letto un libro – perché mi hai chiesto con tanta insistenza di leggerti una lettera? Che fai? Ti scansi? È vero, i libri li so leggere, ma non le lettere. Buona risposta. Ma non fategli caso, ve ne prego; che quando lo conoscerete meglio vedrete che è un burlone. Proprio, e voglio delle mie burle fare sfoggio; presto ne vedrete qualche altra. Visto che è non troppo tardi, ora vorrei andare a far visita a una persona. Ed io vi aspetto per la cena. Cosme, tu non metter nella stanza le valigie così bagnate. Aprile, e la roba tira fuori. Che strazio! Se vorrai chiudere, eccoti la chiave; è l’unica che c’è – oltre alla mia 75
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llave maestra, por si acaso vengo tarde – más que las dos otra no tiene ni otra puerta tampoco (así conviene); y en el cuarto la deja, y cada día vendrán a aderezarle.
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Vanse, y queda Cosme. COSME
Hacienda mía, ven acá, que yo quiero visitarte primero, porque ver determino cuánto habemos sisado en el camino; que, como en las posadas no se hilan las cuentas tan delgadas como en casa – que tienen sus porfías la cuenta y la razón, por lacerías – hay mayor aparejo del provecho para meter la mano, no en mi pecho, sino en la bolsa ajena.
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Abre una maleta, y saca un bolsón. Topé la propia, buena está y rebuena, pues aquesta jornada subió doncella y se apeó preñada. Contallo quiero... Es tiempo mal perdido, porque yo ¿qué borregos he vendido a mi señor para que mire y vea si está cabal? Lo que ello fuere sea. Su maleta es aquésta: ropa quiero sacar, por si se acuesta tan presto, que él mandó que hiciese esto; mas ¿porque él lo mandó se ha de hacer presto? Por haberlo él mandado antes no lo he de hacer, que soy crïado.
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che apre tutte le porte della casa, e che uso per quando torno tardi – e poiché non c’è neanche un’altra porta (meglio così) poi tu lasciala in stanza, e ogni giorno verranno a sistemarvela. Se ne vanno, e resta solo Cosme. COSME
Mio gruzzolo, vien qui, che la mia prima visita sei tu, perché voglio vedere quanti soldi ho messo via durante questo viaggio a far la cresta; ché nelle locande i conti non si fanno con lo scrupolo con cui si fanno in casa – dove sempre si chiede e si dà conto delle spese discutendo per pochi soldarelli – e si trova più spesso l’occasione di mettere una mano... non sul cuore, ma nella borsa altrui. Apre una valigia e tira fuori un borsone. Ecco la mia, sta bene, anzi benissimo, che è salita in carrozza verginella e a fine viaggio è scesa ch’era incinta. Voglio contare i soldi... Ma perché? Forse ho venduto agnelli al mio padrone che devo controllare se c’è tutto? Qualsiasi quantità ci sia, va bene. Ecco la sua valigia; la biancheria gli tiro fuori, se per caso vuole andare a letto presto, che così mi ha ordinato; ma, perché poi lo dovrei fare subito? Anzi, proprio perché me l’ha ordinato, non lo farò, che non sono uno schiavo. 77
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Salirme un rato es justo a rezar a una ermita. ¿Tendrás gusto de esto, Cosme? Tendré. Pues, Cosme, vamos, que antes son nuestros gustos que los amos.
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Vase. Por una alacena, que estará hecha con anaqueles y vidrios en ella, quitándose con goznes como que se desencaja, salen doña Ángela y Isabel. ISABEL
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Que está el cuarto solo dijo Rodrigo, porque el tal huésped y tus hermanos se fueron. Por esto pude atreverme a hacer sólo esta experiencia. ¿Ves que no hay inconveniente para pasar hasta aquí? Antes, Isabel, parece que todos cuantos previne fueron muy impertinentes, pues con ninguno topamos; que la puerta fácilmente se abre y se vuelve a cerrar, sin ser posible que se eche de ver. Y ¿a qué hemos venido? A volvernos solamente, que para hacer sola una travesura dos mujeres basta haberla imaginado; porque, al fin, esto no tiene más fundamento que haber hablado en ello dos veces y estar yo determinada – siendo verdad que es aqueste caballero el que por mí se empeñó osado y valiente –,
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È giusto uscire un momento a pregare il dio del vino. Questo è di tuo gusto, Cosme? Sì. Ed allora, Cosme, andiamo: prima c’è il nostro gusto e poi i padroni. Se ne va. Da una credenza, con scaffali e piatti, che si muove su dei cardini come se si spostasse dal suo incasso, entrano in scena donna Angela e Isabel. ISABEL
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La stanza è vuota, mi ha detto Rodrigo che sono usciti i tuoi fratelli e anche l’ospite. Perciò mi sono azzardata a far questa prova sola. Vedi che non è un problema riuscire ad entrare qui? Anzi, Isabel, tutti quelli che mi ero immaginata erano fuori di luogo: nessuno ne abbiamo avuto, e la porta facilmente si apre e si chiude di nuovo senza che nessuno possa scoprirlo. E perché siam qui? Solo per tornare indietro, che perché due donne facciano una scappatella sola basta averla immaginata; che insomma, qui non c’è altro che aver parlato di questo due volte, ed aver deciso io – se questo cavaliere è davvero quello che mi ha difeso con coraggio –
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como te he dicho, a mirar por su regalo. Aquí tiene el que le trujo tu hermano y una espada en un bufete. Ven acá: ¿mi escribanía trujeron aquí? Dio en ese desvarío mi señor; dijo que aquí la pusiese con recado de escribir y mil libros diferentes. En el suelo hay dos maletas. Y abiertas, señora; ¿quieres que veamos qué hay en ellas? Sí, que quiero neciamente mirar qué ropa y alhajas trae. Soldado y pretendiente vendrá muy mal alhajado.
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Sacan todo cuanto van diciendo, y todo lo esparcen por la sala. DOÑA ÁNGELA ISABEL DOÑA ÁNGELA ISABEL
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¿Qué es esto? Muchos papeles. ¿Son de mujer? No, señora, sino procesos que vienen cosidos y pesan mucho. Pues si fueran de mujeres ellos fueran más livianos: mal en eso te detienes. Ropa blanca hay aquí alguna. ¿Huele? Sí, a limpia huele.
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di voler avere cura del suo benessere. Ecco il regalo che gli ha fatto don Juan, e su un tavolino una spada. Il mio scrittoio hanno messo qui? Il signore ha fatto questa sciocchezza; me l’ha fatto portar qui con l’occorrente per scrivere e mille libri diversi. Per terra ecco due valigie. E aperte, signora: vuoi che guardiamo cosa c’è? Sì: anche se è da sciocchi, voglio vedere cos’ha nel suo bagaglio. Non molte cose, visto che è un soldato e viene a richiedere una carica.
Tirano fuori tutto quello che menzionano, e lo spargono per la sala. DONNA ANGELA
Cos’è questo?
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Molte carte. Scritte da una donna? No, sono pratiche legali, rilegate e assai pesanti. Se fossero di una donna sarebbero più leggere: è inutile che le guardi. Qui c’è della biancheria. Profuma? Sì, di pulito.
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Ése es el mejor perfume. Las tres calidades tiene de blanca, blanda y delgada; mas, señora, ¿qué es aqueste pellejo con unos hierros de herramientas diferentes? Muestra a ver: hasta aquí cosa de sacamuelas parece; mas éstas son tenacillas, y el alzador del copete y los bigotes estotras. Iten, escobilla y peine: oye, que más prevenido no le faltará al tal huésped la horma de su zapato. ¿Por qué? Porque aquí la tiene. ¿Hay más? Sí señora. Iten, como a forma de billetes, legajo segundo. Muestra. De mujer son, y contienen más que papel: un retrato está aquí. ¿Qué te suspende? El verle, que una hermosura, hasta pintada, divierte. Parece que te ha pesado de sacalle. ¡Qué necia eres! No mires más. Y ¿qué intentas? Dejarle escrito un billete; toma el retrato.
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È il migliore dei profumi. E ha le giuste qualità: è bianca, morbida e fine. Ma, signora, cos’è questo astuccio di cuoio e questi strani strumenti di ferro? Fai vedere. Sembrerebbero attrezzi da cavadenti; ma queste sono pinzette, questo il ferro da capelli e il fodero per i baffi. Ed ecco spazzola e pettine: oh, è talmente attrezzato quest’ospite, che avrà pure la forma per le sue scarpe. Perché? Perché ce l’ha qui. C’è altro? Signora sì. Un altro fascio, stavolta di biglietti. Fa’ vedere. Sono di donna, e contengono non solo carta: un ritratto ecco qui. Ti sei incantata? A guardarlo: anche dipinta, una bellezza sorprende. Sembri come dispiaciuta di averlo trovato. Sciocca! Non guardar più. E tu che fai? Voglio scrivergli un biglietto; prendi il ritratto. Si mette a scrivere. 83
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA ISABEL
DOÑA ÁNGELA
ISABEL
DOÑA ÁNGELA
ISABEL
DOÑA ÁNGELA
ISABEL
Entretanto la maleta del sirviente he de ver. Esto es dinero: cuartazos son insolentes, que en la república donde son los príncipes y reyes los doblones y los reales, ellos son la común plebe. Una burla le he de hacer y ha de ser de aquesta suerte: quitarle de aquí el dinero al tal lacayo y ponerle unos carbones. Dirán: ¿dónde demonios los tiene esta mujer? No advirtiendo que esto sucedió en noviembre y que hay brasero en el cuarto. Yo escribí: ¿qué te parece adónde deje el papel, porque si mi hermano viene no le vea? Aquí, debajo de la toalla que tienen las almohadas, que al quitarla se verá forzosamente; y no es parte que hasta entonces se ha de andar. Muy bien adviertes: ponle allí y ve recogiendo todo esto. Mira que tuercen la llave ya. Pues dejallo todo, esté como estuviere, y a escondernos. Isabel, ven. Alacena me fecit.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO ISABEL
DONNA ANGELA
ISABEL
DONNA ANGELA
ISABEL
DONNA ANGELA
ISABEL
Frattanto la valigia del domestico guarderò. Questi son soldi: insolenti monetine, che nello stato in cui sono re e prìncipi i dobloni e i fiorini, queste sono nient’altro che vile plebe. Voglio fargli uno scherzetto e lo farò in questo modo: prendo i soldi del lacchè e al loro posto ci metto dei carboni. Mi direte: ma da dove mai li prende questa donna? È presto detto, visto che siamo in novembre e qui in stanza c’è un braciere. Ho scritto; che mi consigli, dove lascerò il biglietto, in modo che mio fratello non lo veda, se entra qui? Qui sotto il copricuscino, così lo vedrà di certo quando lo toglie; e nessuno ci guarderà fino allora. Bella idea; mettilo lì e inizia a risistemare. Guarda che stanno girando la chiave. Allora lasciamo tutto così come sta e andiamo via. Isabel, vieni. Credenza me fecit.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
Vanse por el alacena, y queda como estaba. Sale Cosme. COSME
Ya que me he servido a mí, de barato quiero hacerle a mi amo otro servicio. Mas ¿quién nuestra hacienda vende, que así hace almoneda della? ¡Vive Cristo, que parece Plazuela de la Cebada la sala con nuestros bienes! ¿Quién está aquí? No está nadie, por Dios, y si está, no quiere responder; no me responda, que me huelgo de que eche de ver que soy enemigo de respondones. Con este humor, sea bueno o sea malo – si he de hablar discretamente –, estoy temblando de miedo. Pero como a mí me deje el revoltoso de alhajas libre mi dinero, llegue y revuelva las maletas una y cuatrocientas veces. Mas ¿qué veo? ¡Vive Dios, que en carbones lo convierte! Duendecillo, duendecillo, quienquiera que fuiste y eres, el dinero que tú das en lo que mandares vuelve, mas el que yo hurto, ¿por qué?
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Salen don Juan, don Luis y don Manuel. DON JUAN DON LUIS DON MANUEL
¿De qué das voces? ¿Qué tienes? ¿Qué te ha sucedido? ¡Habla!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Escono dalla credenza, e la rimettono a posto. Entra Cosme. COSME
Ora che mi son servito, per piacer mio voglio fare un servizio al mio padrone. Ma, chi ci vende i bagagli che li ha tutti sciorinati? Per amor di Dio, mi sembra il mercato delle pulci la sala coi nostri beni! Chi c’è qui? Non c’è nessuno, e se anche c’è, non ha voglia di rispondere; stia zitto, che chi ha la risposta pronta non mi piace. Buono o no, questo scherzo, in verità, non impedisce che stia tremando dalla paura. Ma se i miei soldi non tocca questo scombinabagagli, venga pure a scombinare una e quattrocento volte le valigie. Ma, che vedo? In carbone li ha mutati! Follettino, follettino, chiunque tu sia, il denaro che da te viene, trasforma come ti pare, ma quello che ho rubato io, perché? Entrano don Juan, don Luis e don Manuel.
DON JUAN DON LUIS DON MANUEL
Perché gridi? Che cos’hai? Cosa ti succede? Parla!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA COSME
DON JUAN COSME
DON LUIS DON MANUEL
DON JUAN COSME DON MANUEL COSME
DON JUAN
¡Lindo desenfado es ése! Si tienes por inquilino, señor, en tu casa un duende, ¿para qué nos recibiste en ella? Un instante breve que falté de aquí, la ropa de tal modo y de tal suerte hallé, que toda esparcida una almoneda parece. ¿Falta algo? No falta nada; el dinero solamente que en esta bolsa tenía, que era mío, me convierte en carbones. Sí, ya entiendo. ¡Qué necia burla previenes, qué fría y qué sin donaire! ¡Qué mala y qué impertinente! No es burla ésta, ¡vive Dios! Calla, que estás como sueles. Es verdad, mas suelo estar en mi juicio algunas veces. Quedaos con Dios y acostaos, don Manuel, sin que os desvele el duende de la posada; y aconsejalde que invente otras burlas, al crïado.
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Vase. DON LUIS
No en vano sois tan valiente como sois, si habéis de andar desnuda la espada siempre, saliendo de los disgustos en que este loco os pusiere.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO COSME
DON JUAN COSME
DON LUIS DON MANUEL
DON JUAN COSME DON MANUEL
COSME
DON JUAN
Oh, che bella faccia tosta! Se abita a casa tua, signore, come inquilino un folletto, perché mai ci hai alloggiato qui? Mi sono allontanato un momento, e le nostre cose trovo tutte sparse in giro, al punto che questo sembra un mercato. Manca qualche cosa? Nulla, solo i soldi che tenevo in questa borsa, e che erano miei, e che mi ha trasformato in carboni. Sì, capisco. Che stupido scherzo il tuo, sciocco e per niente da ridere! Scherzo brutto e fuor di luogo! Ma non è uno scherzo, giuro! Zitto, va’, che come al solito avrai bevuto. Sì, è vero, ma non ho perso la testa. State bene e andate a letto, don Manuel, senza curarvi del folletto della casa; e consigliate al domestico un altro tipo di scherzi. Se ne va.
DON LUIS
Non a caso siete tanto coraggioso, se dovete sguainare sempre la spada per risolvere i diverbi in cui quel pazzo vi caccia. 89
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
Vase. DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
¿Ves cuál me tratan por ti? Todos por loco me tienen porque te sufro; a cualquiera parte que voy me suceden mil desaires por tu causa. Ya estás solo, y no he de hacerte burla mano a mano yo, porque sólo en tercio puede tirarse uno con su padre. Dos mil demonios me lleven si no es verdad que salí y esto, fuese quien se fuese, hizo este estrago. ¿Con eso ahora disculparte quieres de la necedad? Recoge esto que esparcido tienes y entra a acostarme. Señor, en una galera reme... Calla, calla, o ¡vive Dios! que la cabeza te quiebre.
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Vase. COSME
Pesárame con estremo que lo tal me sucediese. Ahora bien, va de envasar otra vez los adherentes de mis maletas. ¡Oh cielos, quién la trompeta tuviese del juicio de las alhajas, porque a una voz solamente viniesen todas!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Se ne va. DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
Lo vedi come mi trattano per colpa tua? Tutti pensano che son pazzo a sopportarti; dappertutto mi succedono mille guai per colpa tua. Ora che stiamo da soli che ragione ho di scherzare? Solo se si gioca in tre si può gabbare il compagno. Mille diavoli mi portino se non è vero che sono uscito, e questo qualcosa ha fatto questo disastro. Così pensi di scusarti per la tua incuria? Raccogli quello che hai disseminato e vieni a svestirmi. Possa, signore, finire al remo... Zitto, zitto, o giuro a Dio che ti romperò la testa. Esce.
COSME
Mi dispiacerebbe proprio se me la dovesse rompere. Va bene, su, rimettiamo dentro tutto il contenuto delle mie valigie. Oh cielo, potessi avere la tromba del giudizio dei bagagli, per radunarli qui tutti al primo squillo!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA
Sale don Manuel. DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME DON MANUEL
Alumbra, Cosme. Pues ¿qué te sucede, señor? ¿Has hallado acaso allá dentro alguna gente? Descubrí la cama, Cosme, para acostarme, y halléme, debajo de la toalla de la cama, este billete cerrado, y ya el sobrescrito me admira más. ¿A quién viene? A mí, mas el modo estraño... ¿Cómo dice? ...me suspende.
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Lee.
COSME
DON MANUEL
«Nadie me abra, porque soy de don Manuel solamente.» ¡Plega a Dios que no me creas por fuerza! No le abras, tente, sin conjurarle primero. Cosme, lo que me suspende es la novedad, no el miedo, que quien admira no teme.
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Lee. «Con cuidado me tiene vuestra salud, como a quien fue la causa de su riesgo; y así, agradecida y lastimada, os suplico me aviséis della y os sirváis de mí – que para lo uno y lo otro habrá ocasión – dejando la respuesta donde hallasteis ésta, advertido que el secreto importa, porque el día que lo sepa alguno de los amigos perderé yo el honor y la vida.»
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO
Entra don Manuel. Fa’ luce,
DON MANUEL
Cosme. COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL
COSME DON MANUEL
Cosa ti succede, signore? Hai trovato forse qualcuno lì nell’alcova? Ho scoperto il letto, Cosme, per sdraiarmici, e ho trovato di sotto al copricuscino un biglietto sigillato; l’indirizzo poi è ben strano. A chi è indirizzato? A me, ma in un modo assai curioso... Come fa? ...che mi sorprende. Legge.
COSME
DON MANUEL
«Nessuno mi apra, che solo don Manuel mi deve leggere». Dio non voglia che per forza tu debba credermi! Fermo, prima di aprirlo esorcizzalo! La stranezza mi sorprende, Cosme, non già la paura; chi si stupisce non teme. Legge.
«Sono preoccupata della vostra salute, giacché è stato per colpa mia che l’avete messa a repentaglio; e così, grata e dispiaciuta, vi supplico di darmene notizia e di servirvi di me; avrete l’opportunità di fare entrambe le cose, lasciandomi la risposta dove avete trovato questo biglietto; e vi raccomando di mantenere il segreto, perché se dovesse venire a saperlo uno dei vostri amici, perderò l’onore e la vita». 93
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA COSME DON MANUEL COSME DON MANUEL
COSME DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME
¡Estraño caso! ¿Qué estraño? ¿Esto no te admira? No, antes con esto llegó a mi vida el desengaño. ¿Cómo? Bien claro se ve que aquella dama tapada, que tan ciega y tan turbada de don Luis huyendo fue, era su dama; supuesto, Cosme, que no puede ser, si es soltero, su mujer. Y dado por cierto esto, ¿qué dificultad tendrá que en la casa de su amante tenga ella mano bastante para entrar? Muy bien está pensado, mas mi temor pasa adelante. Confieso que es su dama, y el suceso te doy por bueno, señor; pero ella, ¿cómo podía desde la calle saber lo que había de suceder, para tener este día ya prevenido el papel? Después de haberme pasado pudo dárselo a un crïado. Y aunque se le diera, él ¿cómo aquí ha de haberle puesto? Porque ninguno aquí entró desde que aquí quedé yo.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO COSME
Strano caso!
DON MANUEL
Perché strano? Non sei stupito? Ma no, anzi questo mi permette di capire che è successo. Come? Mi sembra evidente che quella dama velata, che così inquieta e turbata fuggiva via da don Luis, è la sua dama; giacché, Cosme, lui non è sposato, e non può essere sua moglie. E stando così le cose, non sarà per lei difficile avere accesso alla casa del suo innamorato. Bene, il ragionamento fila, ma io ho ancora paura. Mettiamo pure che sia la sua dama, e che le cose siano andate come dite; lei però come faceva a sapere, dalla strada, cosa sarebbe accaduto tanto da avere già pronto il biglietto che ora hai letto? Dopo che mi era successo può averlo dato a un domestico. E sia, ma questo domestico come lo ha poi messo qui? Perché qui nessuno è entrato da quando ci sono io.
COSME DON MANUEL
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COSME
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DON MANUEL COSME
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COSME
Bien pudo ser antes, esto. Sí, mas hallar trabucadas las maletas y la ropa y el papel escrito, topa en más. Mira si cerradas esas ventanas están. Y con aldabas y rejas. Con mayor duda me dejas y mil sospechas me dan. ¿De qué? No sabré explicallo. En efeto, ¿qué has de hacer? Escribir y responder pretendo, hasta averiguallo, con estilo que parezca que no ha hallado en mi valor ni admiración, ni temor; que no dudo que se ofrezca una ocasión en que demos – viendo que papeles hay – con quien los lleva y los tray. Y de aquesto ¿no daremos cuenta a los huéspedes? No, porque no tengo de hacer mal alguno a una mujer que así de mí se fïó. Luego ya ofendes a quien su galán piensas. No tal, pues sin hacerla a ella mal puedo yo proceder bien. No señor: más hay aquí de lo que a ti te parece. Con cada discurso crece mi sospecha.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DON MANUEL COSME
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Ce lo può aver messo prima. Sì, ma trovar le valigie e la roba sparpagliate, e in più il biglietto, non quadra. Guarda un po’ se le finestre sono chiuse. A chiavistello, e per giunta hanno le grate. Mi fai ritornare il dubbio, mille sospetti mi assalgono. Di che? Non saprei spiegarlo. Ma alla fine, che farai? Le scriverò una risposta, mentre cerco di capire, dal cui tono non traspaia né sorpresa, né timore; che non dubito che presto capiterà un’occasione che ci permetta di imbatterci con chi fa da messaggero nello scambio di biglietti. E ai nostri ospiti di questo non racconteremo nulla? No, perché non voglio fare alcun male ad una donna che così mi si è affidata. Allora stai già offendendo colui che secondo te è il suo innamorato. Affatto, perché posso agire bene pur senza farle del male. Nossignore: qui c’è altro, e più di quello che credi. Più parliamo e più si accrescono i miei sospetti. 97
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DON MANUEL COSME
DON MANUEL
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DON MANUEL COSME
¿Cómo así? Ves aquí que van y vienen papeles, y que jamás, aunque lo examines más, ciertos desengaños tienen. ¿Qué creerás? Que ingenio y arte hay para entrar y salir, para cerrar, para abrir, y que el cuarto tiene parte por donde; y en duda tal el juicio podré perder, pero no, Cosme, creer cosa sobrenatural. ¿No hay duendes? Nadie los vio. ¿Familiares? Son quimeras. ¿Brujas? Menos. ¿Hechiceras? ¡Qué error! ¿Hay súcubos? No. ¿Encantadoras? Tampoco. ¿Mágicos? Es necedad. ¿Nigromantes? Liviandad. ¿Energúmenos? ¡Qué loco! ¡Vive Dios que te cogí! ¿Diablos? Sin poder notorio. ¿Hay almas de purgatorio?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DON MANUEL COSME
DON MANUEL
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Perché? Supponiamo che i biglietti vadano e vengano, e mai, per quanto tu ci stia attento, riesca a scoprire in che modo. Che penserai? Che c’è un trucco per entrare e per uscire, per chiudere, per aprire, e che questo trucco è qui in queste stanze; nel dubbio potrò anche impazzire, Cosme, ma non crederò che sia cosa soprannaturale. Non esistono i folletti? Nessuno li ha visti mai. Geni malefici? Storie! Streghe? Neanche. Fattucchiere? Che errore! E i succubi? No. Incantatrici? Neanche. Maghi? Proprio una sciocchezza. Negromanti? Stupidaggini. Indemoniati? Sei pazzo! Qui però ti tengo: e diavoli? Sì, ma senza alcun potere. E le anime del purgatorio?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, PRIMERA JORNADA DON MANUEL
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COSME
¿Que me enamoren a mí? ¿Hay más necia bobería? Déjame, que estás cansado. En fin, ¿qué has determinado? Asistir de noche y día con cuidados singulares; aquí el desengaño fundo. No creas que hay, en el mundo, ni duendes ni familiares. Pues yo en efeto presumo que algún demonio los tray, que esto y más habrá donde hay quien tome tabaco en humo.
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Vanse.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO PRIMO DON MANUEL
COSME DON MANUEL
COSME
Che vengono a corteggiarmi? Si può essere più sciocchi? Smettila, che mi hai stancato. Insomma, cos’hai risolto? Starò specialmente attento giorno e notte; in questo modo troverò la spiegazione. E non credere che esistano, qui in terra, folletti o geni. Io invece quei biglietti penso che li porta un dèmone, che in casa dove si fuma questo ed altro può succedere. Escono.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA
SEGUNDA JORNADA Salen doña Ángela, doña Beatriz y Isabel. DOÑA BEATRIZ DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
Notables cosas me cuentas. No te parezcan notables hasta que sepas el fin. ¿En qué quedamos? Quedaste en que por el alacena hasta su cuarto pasaste, que es tan difícil de verse como fue de abrirse fácil; que le escribiste un papel y que al otro día hallaste la respuesta. Digo, pues, que tan cortés y galante estilo no vi jamás, mezclando entre lo admirable del suceso lo gracioso, imitando los andantes caballeros, a quien pasan aventuras semejantes. El papel, Beatriz, es éste: holgaréme que te agrade.
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Lee Ángela. «Fermosa dueña: cualquier que vos seáis la condolida deste afanado caballero, que asaz piadosa minoráis sus cuitas, ruégovos me queráis fazer sabidor del follón mezquino o pagano malandrín que en este encanto vos amancilla, para que segunda vegada en vueso nombre, sano ya de las pasadas feridas, entre en descomunal batalla, maguer que finque en
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ATTO SECONDO Entrano donna Angela, donna Beatriz e Isabel. DONNA BEATRIZ DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
Ma che storia straordinaria! Aspetta di saper tutto prima di dirlo. Dov’ero rimasta? A quando sei entrata nelle sue stanze spostando la credenza, il cui passaggio è difficile scoprire quanto facile ad usare; che poi gli hai scritto un biglietto e il giorno dopo hai trovato la risposta. Ecco, dicevo che non ho mai visto stile più cortese e più galante, adatto allo straordinario del caso e insieme giocoso, perché imita i cavalieri erranti, ai quali succedono avventure di tal genere. Ecco il biglietto, Beatriz: spero che anche tu lo apprezzi. Angela legge.
«Leggiadra signora, chiunque voi siate che avete a pietà questo afflitto cavaliere, e compassionevole cercate di soccorrere ai suoi affanni, vi supplico vogliate mettermi a parte di chi sia il malvagio fellone o il pagano masnadiero che vi ha costretta in codesto incantesimo, affinché per la seconda volta in vostro nome, risanato ormai delle passate ferite, possa ingaggiare sanguinosa tenzone, conciossiacosaché perisca in essa, dap-
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ella, que non es la vida de mas pro que la muerte, tenudo a su deber un caballero. El dador de la luz vos mampare, e a mí non olvide. El Caballero de la Dama duende.» DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
ISABEL
DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
Buen estilo, ¡por mi vida!, y a propósito, el lenguaje, del encanto y la aventura. Cuando esperé que con graves admiraciones viniera el papel, vi semejante desenfado, cuyo estilo quise llevar adelante, y respondiéndole así, pasé... Detente, no pases, que viene don Juan tu hermano. Vendrá, muy firme y amante, a agradecerte la dicha de verte, Beatriz, y hablarte en su casa. No me pesa, si hemos de decir verdades.
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Sale don Juan. DON JUAN
No hay mal que por bien no venga, dicen adagios vulgares, y en mí se ve, pues que vienen por mis bienes vuestros males. He sabido, Beatriz bella, que un pesar que vuestro padre con vos tuvo, a nuestra casa sin gusto y contento os trae. Pésame que hayan de ser lisonjeros y agradables,
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poiché la vita non è di maggior pro che la morte per un cavaliere che abbia a cuore il proprio dovere. L’Eterno Fattore vi protegga, e me non dimentichi. Il Cavaliere della Dama Folletto.» DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
ISABEL
DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
In fede mia, bello stile, e linguaggio assai adeguato all’avventura ed al caso. Io mi aspettavo un biglietto con espressioni solenni di meraviglia, ed invece, visto il tono disinvolto, ho deciso di rispondere in modo analogo, e dunque, son passata... Ferma, no: ecco don Juan tuo fratello. Innamorato costante, verrà qui per ringraziarti della gioia di vederti e parlarti in casa sua. La cosa non mi dispiace, se devo essere sincera. Entra don Juan.
DON JUAN
Non tutti i mali per nuocere vengono, dice il proverbio, e per me è vero, se i vostri mali per me sono un bene. Bella Beatriz, ho saputo che siete qui in casa nostra non per piacere e allegria, ma a seguito di un rimbrotto che vi ha mosso vostro padre. Mi spiace che debbano essere lusinghieri e bene accetti, 105
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA
DOÑA BEATRIZ
como para vos mis gustos, para mí vuestros pesares, pues es fuerza que no sienta desdichas que han sido parte de veros; porque hoy amor diversos efetos hace, en vos de pena, y en mí de gloria, bien como el áspid de quien, si sale el veneno, también la trïaca sale. Vos seáis muy bienvenida, que, aunque es corto el hospedaje, bien se podrá hallar un sol en compañía de un ángel. Pésames y parabienes tan cortésmente mezclasteis que no sé a qué responderos. Disgustada con mi padre vengo, la culpa tuvisteis, pues, aunque el galán no sabe, sabe que por el balcón hablé anoche; y mientras pase el enojo, con mi prima quiere que esté, porque hace de su virtud confïanza. Sólo os diré, y esto baste, que los disgustos estimo, porque también en mí cause amor diversos efetos, bien como el sol, cuando esparce bellos rayos, que una flor se marchita y otra nace. Hiere el amor en mi pecho y es solo un rayo bastante a que se muera el pesar y nazca el gusto de hallarme
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO
DONNA BEATRIZ
come per voi le mie gioie, per me i vostri dispiaceri, perché non posso dolermi di disavventure che mi han permesso di vedervi; e così oggi amore causa effetti opposti, in voi pena e in me gaudio, come l’aspide che fornisce al tempo stesso veleno e contravveleno. Vi do il benvenuto, ed anche se starete qui per poco, si troverà bene un sole in compagnia di un angelo. Compianti e rallegramenti così cortese mischiate che non so a quale rispondere. In diverbio con mio padre vengo qui, e la colpa è vostra, perché, se non sa con chi, sa però che dal balcone ho parlato l’altra notte; e finché l’arrabbiatura non gli passa, vuole che io stia qui con mia cugina, della cui virtù ha fiducia. Vi dirò solo, e ciò basti, che questi crucci li apprezzo, perché anche in me amore causa effetti opposti, a quel modo che fa il sole, quando sparge i suoi raggi, e un fiore sboccia mentre un altro si appassisce. Colpisce il mio petto amore e un solo suo raggio basta a far morire il dolore e a far sbocciare il piacere 107
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DON JUAN
DOÑA ÁNGELA
DON JUAN
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DON JUAN
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en vuestra casa, que ha sido una esfera de diamante, hermosa envidia de un sol y capaz dosel de un ángel. Bien se ve que de ganancia hoy andáis los dos amantes, pues que me dais de barato tantos favores. ¿No sabes, hermana, lo que he pensado? Que tú, sólo por vengarte del cuidado que te da mi huésped, cuerda buscaste huéspeda que a mí me ponga en cuidado semejante. Dices bien, y yo lo he hecho sólo porque la regales. Yo me doy por muy contento de la venganza. ¿Qué haces, don Juan? ¿Dónde vas? Beatriz, a servirte, que dejarte sólo a ti por ti pudiera. Déjale ir. Dios os guarde.
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Vase. DOÑA ÁNGELA
Si cuidado con su huésped me dio – y cuidado tan grande que apenas sé de mi vida – y él de la suya no sabe viéndote a ti, con el mismo cuidado he de desquitarme
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DONNA ANGELA
DON JUAN
DONNA ANGELA
DON JUAN
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DON JUAN
DONNA ANGELA DON JUAN
di trovarmi in casa vostra, una sfera di diamante che causa invidia nel sole e alberga al suo meglio un angelo. Che la sorte oggi vi arride al gioco d’amore, è chiaro, giacché tanti complimenti mi date per mancia. Sai, sorella, cosa ho pensato? Che tu, solo per vendetta delle preoccupazioni che ti dà il mio ospite, accorta hai cercato anche tu un’ospite che me ne dia altrettante. Dici bene, ma io l’ho fatto solo perché tu la colmi di attenzioni. E io apprezzo molto questa vendetta. Che fai, don Juan? Dove vai? Beatriz, a servirti, che lasciarti posso solo se è per te. Lascialo. Dio sia con voi. Se ne va.
DONNA ANGELA
Se il suo ospite mi dà preoccupazioni – e a tal punto che quasi non son più io – e lui neppure è più in sé vedendoti, con la stessa preoccupazione desidero
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DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
porque, de huésped a huésped, estemos los dos iguales. El deseo de saber tu suceso fuera parte solamente a no sentir su ausencia. Por no cansarte, papeles suyos y míos fueron y vinieron, tales – los suyos digo – que pueden admitirse y celebrarse, porque, mezclando las veras y las burlas, no vi iguales discursos. Y él, en efeto, ¿qué es a lo que se persuade? A que debo de ser dama de don Luis, juntando partes de haberme escondido dél y de tener otra llave del cuarto. Sola una cosa dificultad se me hace. Di cuál es. ¿Cómo este hombre, viendo que hay quien lleva y trae papeles, no te ha espïado y te ha cogido en el lance? No está eso por prevenir, porque tengo a sus umbrales un hombre yo, que me avisa de quien entra y de quien sale, y así no pasa Isabel hasta saber que no hay nadie. Que ya ha sucedido, amiga, un día entero quedarse un crïado para verlo
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DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
rifarmi, per stare a paro, ciascuno con il suo ospite. Desidero così tanto conoscere la tua storia che mi dispiace un po’ meno che don Juan sia andato via. Per farla breve, ci siamo scambiati molti biglietti, e questi – i suoi voglio dire – sono davvero ammirevoli perché, in parte seri, in parte scherzosi, non ne ho mai visti di simili. E lui, alla fine, che cosa pensa di te? Che devo essere la dama di don Luis, e lo deduce dal fatto che l’ho sfuggito e che ho un’altra chiave della stanza. C’è una cosa che tuttavia non capisco. Dimmi. Come mai quest’uomo, vedendo andare e venire i biglietti, non ti spia per sorprenderti sul fatto? Ho provveduto anche a questo, perché un servo gli sorveglia le stanze, e mi riferisce quando entra e quando esce, e Isabel va lì soltanto quando sa che sono vuote. E è già successo, mia cara, che quel servo sia rimasto per tutto un giorno di guardia,
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DOÑA BEATRIZ DOÑA ÁNGELA DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
y haberle salido en balde la diligencia y cuidado. Y porque no se me pase de la memoria, Isabel, llévale aquel azafate, en siendo tiempo. Otra duda: ¿cómo es posible que alabes de tan entendido un hombre que no ha dado en casos tales en el secreto común de la alacena? ¿Ahora, sabes lo del huevo de Juanelo? Que los ingenios más grandes trabajaron en hacer que en un bufete de jaspe se tuviese en pie, y Juanelo, con sólo llegar y darle un golpecillo, le tuvo. Las grandes dificultades hasta saberse lo son, que, sabido, todo es fácil. Otra pregunta. Di cuál. De tan locos disparates ¿qué piensas sacar? No sé; dijérate que mostrarme agradecida y pasar mis penas y soledades, si ya no fuera más que esto; porque, necia y ignorante, he llegado a tener celos de ver que el retrato guarde de una dama, y aun estoy
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senza che la vigilanza ci sia poi servita a nulla. A proposito, Isabel, prima che me ne dimentichi, portagli quel vassoietto quando potrai. Un altro dubbio: perché magnifichi tanto l’intelligenza di un uomo che ancora non ha scoperto il segreto, così facile, della credenza? La sai, vero, la storia dell’uovo di Colombo? Grandi saggi si affannarono a far sì che stesse dritto su un tavolo ed ecco arrivò Colombo e con un colpetto solo ci riuscì. I problemi grandi son difficili fin quando qualcuno non li risolve, solo poi sembrano facili. Un’altra domanda. Di’. Con simili stravaganze cosa cerchi? Non lo so. Potrei dirti, dare prova di gratitudine, e rendere meno gravosa la triste solitudine in cui vivo, se non che c’è qualcos’altro; perché, nella mia sciocchezza, sono giunta a ingelosirmi nel vedere che ha un ritratto di una dama, ed anzi, voglio, 113
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dispuesta a entrar y tomarle en la primera ocasión; y no sé cómo declare que estoy ya determinada a que me vea y me hable. ¿Descubierta por quien eres? ¡Jesús, el cielo me guarde! Ni él, pienso yo, que a un amigo y huésped traición tan grande hiciera, pues aun pensar que soy dama suya hace escribirme temeroso, cortés, turbado y cobarde. Y en efeto, yo no tengo de ponerme a ese desaire. Pues ¿cómo ha de verte? Escucha y sabrás la más notable traza, sin que yo al peligro de verme en su cuarto pase y él venga sin saber dónde. Pon otro hermano a la margen, que viene don Luis. Después lo sabrás. ¡Qué desiguales son los influjos! ¡Que el cielo en igual mérito y partes ponga tantas diferencias y tantas distancias halle, que, con un mismo deseo, uno obligue y otro canse! Vamos de aquí, que no quiero que don Lüís llegue a hablarme.
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Quiérese ir, y sale don Luis.
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non appena potrò, entrare da lui e prenderlo; e ho deciso, non so come fare a dirtelo, di incontrarlo e di parlarci. Rivelandogli chi sei? Gesù, il cielo me ne guardi! Non penso che lui a un amico che lo ospita farebbe mai un affronto così grande, se il solo pensar che sono la sua dama, gli fa scrivermi cortese, turbato e cauto. E dunque non voglio espormi a essere respinta. E allora come ti vedrà? Se ascolti saprai che cosa ho tramato: senza espormi io al pericolo di andare nelle sue stanze, verrà lui qui, ma in incognito. L’altro fratello entra in scena; arriva don Luis. Più tardi te lo dirò. Com’è strana l’inclinazione! Che il cielo renda tanto differenti due persone in tutto simili per meriti e qualità, che lo stesso amore susciti corrispondenza per l’uno, fastidio per l’altro! Andiamo, che non vorrei che don Luis venisse qui per parlarmi. Sta per andarsene, ed entra don Luis. 115
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA DON LUIS DOÑA BEATRIZ DON LUIS
¿Por qué os ausentáis así? Sólo porque vos llegasteis. La luz más hermosa y pura, de quien el sol la aprendió, ¿huye porque llego yo? ¿Soy la noche por ventura? Pues perdone tu hermosura si atrevido y descortés en detenerte me ves, que yo, en esta contingencia, no quiero pedir licencia porque tú no me la des. Que, estimando tu rigor, no quiere la suerte mía que aun esto que es cortesía tenga nombre de favor. Ya sé que mi loco amor en tus desprecios no alcanza un átomo de esperanza, pero yo, viendo tan fuerte rigor, tengo de quererte por sólo tomar venganza. Mayor gloria me darás cuando más pena me ofrezcas, pues cuando más me aborrezcas tengo de quererte más. Si de esto quejosa estás, porque, con solo un querer, los dos vengamos a ser entre el placer y el pesar estremos, aprende a amar o enséñame a aborrecer. Enséñame tú rigores, yo te enseñaré finezas; enséñame tú asperezas, yo te enseñaré favores; tú desprecios y yo amores,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO DON LUIS DONNA BEATRIZ DON LUIS
Perché ve ne state andando? Perché voi venite qui. La luce più bella e pura, che insegna a splendere al sole, fugge perché arrivo io? Sono per caso la notte? Perdoni la tua bellezza se con scortesia e audacia mi risolvo a trattenerti; che io, in questa situazione, non ti chiederò il permesso perché tu non debba darmelo. Mi piace la tua freddezza, e non voglio che neanche ciò che è solo cortesia si consideri un favore. So già che il mio folle amore non ottiene dal tuo spregio un atomo di speranza, ma io, di fronte a una freddezza così grande, voglio amarti soltanto per vendicarmi. Mi darai tanta più gioia quanto più mi fai soffrire, perché quanto più mi sdegni tanto più io intendo amarti. E se questo non ti piace, perché, con un solo amore, io e te veniamo ad essere tra il piacere ed il dolore i due estremi, impara a amare o insegnami a disamare. Insegnami la freddezza, io ti insegnerò il bel garbo; insegnami tu l’asprezza, io ti insegnerò il favore, tu il disprezzo ed io l’amore, 117
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DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
(Detiénela) DOÑA BEATRIZ
tú olvido y yo firme fe, aunque es mejor, porque dé gloria al amor, siendo dios, que olvides tú por los dos que yo por los dos querré. Tan cortésmente os quejáis que, aunque agradecer quisiera vuestras penas, no lo hiciera sólo porque las digáis. Como tan mal me tratáis el idioma del desdén aprendí. Pues ése es bien que sigáis, que en caso tal hará soledad el mal a quien le dice tan bien. Oye, si en eso te vengas, y padezcamos los dos. No he de escucharos. ¡Por Dios, amiga, que le detengas!
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Vase. DOÑA ÁNGELA
DON LUIS DOÑA ÁNGELA
¿Que tan poco valor tengas que esto quieras oír y ver? ¡Ay, hermana! ¿Qué he de hacer? Dar tus penas al olvido, que querer aborrecido es morir y no querer.
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Vase con Isabel. DON LUIS
Quejoso ¿cómo podré olvidarla? Que es error: dila que me haga un favor
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tu oblio, ed io fedeltà; ma è meglio, per render gloria al dio d’amore, che tu disami per tutti e due, che io per tutti e due amerò. DONNA BEATRIZ Così cortese è il lamento che, se anche volessi dare compenso alle vostre pene, non lo farei, e ciò soltanto perché le possiate esprimere. DON LUIS Mi trattate così male che il linguaggio del disdegno ho imparato. DONNA BEATRIZ Continuate a praticarlo, altrimenti sentireste la mancanza del dolore, e lo esprimete così bene! DON LUIS (Trattenendola) Ascolta allora, così soffriremo insieme. DONNA BEATRIZ E io non voglio sentirvi. Ti prego, amica, trattienilo! Se ne va. DONNA ANGELA
DON LUIS DONNA ANGELA
Hai così poco carattere che arrivi a sopportar questo? Ah, sorella! Che farò? Dimentica questo amore, che amare non corrisposto è morire, non amare. Se ne va insieme a Isabel.
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Disprezzato, come posso dimenticarla? È impossibile; se mi elargirà un favore, 119
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y, obligado, olvidaré. Ofendido no, porqué el más prudente, el más sabio, da su sentimiento al labio; si olvidarse el favor suele es porque el favor no duele de la suerte que el agravio.
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Sale Rodrigo. RODRIGO DON LUIS RODRIGO
DON LUIS RODRIGO
DON LUIS
RODRIGO
¿De dónde vienes? No sé. Triste parece que estás. ¿La causa no me dirás? Con doña Beatriz hablé. No digas más, ya se ve en ti lo que respondió; pero ¿dónde está? Que yo no la he visto. La tirana es huéspeda de mi hermana unos días, porque no me falte un enfado así de un huésped; que cada día mis hermanos, a porfía, se conjuran contra mí, pues cualquiera tiene aquí uno que pesar me dé. De don Manuel, ya se ve, y de Beatriz, pues los cielos me traen a casa mis celos porque sin ellos no esté. Mira que don Manuel puede oírte, que viene allí.
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grato, dimenticherò. Vilipeso no, poiché anche il più prudente e saggio dà voce al proprio dolore; se il favore si dimentica più facilmente, è perché non brucia quanto l’offesa. Entra Rodrigo. RODRIGO DON LUIS RODRIGO
DON LUIS RODRIGO
DON LUIS
RODRIGO
Da dove vieni? Non so. Mi sembri triste. Non vuoi raccontarmene il motivo? Ho parlato con Beatriz. Non dire altro, che il tuo aspetto mostra come ti ha risposto; ma dov’è? Che non l’ho vista. La crudele per un po’ è ospite di mia sorella, non sia mai debba mancarmi il cruccio di avere ospiti in casa; che i miei fratelli, a gara l’uno con l’altra, tramano contro di me, visto che ognuno dei due ha un ospite che mi preoccupa. Di don Manuel, sai perché, di Beatriz, con lei entra in casa la gelosia che mi angustia perché non possa sfuggirle. Guarda che ti può sentire don Manuel, che sta arrivando.
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Sale don Manuel. DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
(Sólo en el mundo por mí tan gran prodigio sucede. ¿Qué haré, cielos, con que quede desengañado y saber de una vez si esta mujer de don Lüís dama ha sido, o cómo mano ha tenido y cautela para hacer tantos engaños?) Señor don Manuel. Señor don Luis. ¿De dónde bueno venís? De Palacio. Grande error el mío fue en preguntar a quien pretensiones tiene dónde va ni dónde viene, porque es fuerza que ha de dar cualquiera línea en Palacio, como centro de su esfera. Si sólo a Palacio fuera estuviera más de espacio; pero mi afán inmortal mayor término ha pedido. Su Majestad ha salido esta tarde al Escurial y es fuerza esta noche ir con mis despachos allá, que de importancia será. Si ayudaros a servir puedo en algo, ya sabéis que soy en cualquier suceso vuestro.
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Entra don Manuel. DON MANUEL
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DON MANUEL DON LUIS DON MANUEL
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(Sono l’unico a cui accadono al mondo prodigi tali. Cielo, come farò mai a uscir di dubbio e sapere se questa donna è la dama di don Luis, e, se non lo è, come ha fatto a escogitare tanti imbrogli?) Don Manuel, signore. Signor don Luis. Da dove venite? Vengo da Palazzo. Già, che sbaglio chiedere a chi deve avere una nomina del re dove vada, e, se ritorna, da dove venga! Poiché qualsiasi suo movimento passerà per il Palazzo, che è centro della sua sfera. Magari solo a Palazzo dovessi andare! Ma ora, ad accrescere il mio assillo, la meta viene spostata più in là. Sua Maestà si reca oggi all’Escorial, e anch’io devo per forza stasera seguirlo con le mie carte: la questione è di rilievo. Se vi posso in qualche modo aiutare in queste pratiche, sapete già che potete fare conto su di me. 123
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA DON MANUEL
DON LUIS DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
Las manos os beso por la merced que me hacéis. Ved que no es lisonja esto. Ya veo que es voluntad de mi aumento. Así es verdad. (Porque negocies más presto.) Pero a un galán cortesano tanto como vos, no es justo divertirle de su gusto; porque yo tengo por llano que estaréis entretenido y gran desacuerdo fuera que ausentaros pretendiera. Aunque hubiérades oído lo que con Rodrigo hablaba no respondierais así. ¿Luego bien he dicho? Sí, que aunque es verdad que lloraba de una hermosura el rigor, a la firme voluntad le hace tanta soledad el desdén como el favor. ¡Qué desvalido os pintáis! Amo una grande hermosura, sin estrella y sin ventura. ¿Conmigo disimuláis agora? ¡Pluguiera al cielo! Mas tan infeliz nací que huye esta beldad de mí como de la noche el velo de la hermosa luz del día a cuyos rayos me quemo. ¿Queréis ver con cuánto estremo es la triste suerte mía?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO DON MANUEL
DON LUIS DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
Vi ringrazio e riverisco per la vostra cortesia. Sapete che son sincero. So che volete il mio bene. Proprio così. (In questo modo sbrigherai tutto più presto.) Ma un cavaliere cortese come voi, non sarà giusto distoglierlo dal suo gusto; do per scontato che abbiate un dolce intrattenimento e sarebbe un grave errore chiedervi di separarvene. Neanche se aveste sentito quel che dicevo a Rodrigo, avreste potuto meglio rispondermi. Dunque ho detto bene? Sì, perché, se è vero che piango la crudeltà di una bellezza, l’amore costante soffre l’assenza, che sia ricambiato o no. Siete così sfavorito? Amo una grande bellezza con fato e fortuna avversi. Con me non dovete fingere! Magari fingessi! Ma sono così sfortunato che mi sfugge questa donna come il buio della notte sfugge la luce bellissima del giorno, ai cui raggi brucio. Sapete fino a che punto non ho fortuna con lei?
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Pues, porque no la siguiera amante y celoso yo, a una persona pidió que mis pasos detuviera. Ved si hay rigores más fieros, pues todos suelen buscar terceros para alcanzar y ella huye por terceros.
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Vase él, y Rodrigo. DON MANUEL
¿Qué más se ha de declarar? ¿Mujer que su vista huyó y a otra persona pidió que le llegase a estorbar? Por mí lo dice y por ella. Ya por lo menos vencí una duda, pues ya vi que, aunque es verdad que es aquélla, no es su dama, porque él despreciado no viviera si en su casa la tuviera. Ya es mi duda más crüel: si no es su dama, ni vive en su casa, ¿cómo así escribe y responde? Aquí muere un engaño y concibe otro engaño. ¿Qué he de hacer, que soy en mis opiniones confusión de confusiones? ¡Válgate Dios por mujer!
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Sale Cosme. COSME
Señor, ¿qué hay de duende? ¿Acaso hasle visto por acá?
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Affinché non la seguissi, innamorato e geloso, ha chiesto a un’altra persona di fermarmi. Non c’è, credo, disfavore più crudele: tutti usano un mezzano per incontrarsi, lei invece se ne serve per fuggire. Se ne va, e con lui Rodrigo. DON MANUEL
Si può parlare più chiaro? Una donna gli è sfuggita e ha chiesto a un’altra persona di impedirgli di seguirla? Lo dice per me e per lei. Almeno adesso ho risolto un dubbio, perché ho capito che, se è vero che era lei, non è la sua innamorata, perché se l’avesse in casa non si direbbe respinto. Certo, ora il dubbio è peggiore: se non vive a casa sua e non ne è l’innamorata, com’è che scrive e risponde in questo modo? Qui muore un dubbio e ne nasce un altro. Che devo fare, che più ci penso e più mi confondo? Maledettissima donna! Entra Cosme.
COSME
Signore, che ne è del nostro folletto? È passato qui?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA
DON MANUEL COSME
DON MANUEL COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
Que, de saber que no está allá, me holgaré. Habla paso. Que tengo mucho que hacer en nuestro cuarto y no puedo entrar. Pues ¿qué tienes? Miedo. ¿Miedo un hombre ha de tener? No le ha de tener, señor; pero ve aquí que le tiene, porque al suceso conviene. Deja aquese necio humor y lleva luz, porque tengo que disponer y escribir, y esta noche he de salir de Madrid. A eso me atengo, pues dices con eso aquí que tienes miedo al suceso. Antes te he dicho con eso que no hago caso de ti, pues de otras cosas me acuerdo que son diferentes; cuando en éstas me estás hablando el tiempo, en efeto, pierdo. En tanto que me despido de don Juan, ten luz.
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Sí haré, luz al duende llevaré, que es hora que sea servido y no esté a escuras. Aquí ha de haber una cerilla; en aquella lamparilla
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DON MANUEL COSME
DON MANUEL COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
Mi piacerebbe sapere che non sta lì. Parla piano. Devo fare tante cose in stanza nostra e non posso entrare. Perché? Ho paura. Un uomo, può aver paura? Non deve averla, signore; ma, guarda caso, ce l’ha perché il fatto lo richiede. Smetti questi sciocchi scherzi e porta un lume, che devo prepararmi e devo scrivere, che questa sera lasciamo Madrid. A me questo basta, perché con questo mi dici che il fatto ti fa paura. Anzi, con questo ti ho detto che non ti presto attenzione, perché penso ad altre cose differenti; e se mi parli di queste, perdo il mio tempo. Mentre vado a congedarmi da don Juan, prepara il lume. Esce.
COSME
Sicuro, porterò il lume al folletto, per servirlo e non farlo stare al buio. Ecco, qui c’è una candela; posso accenderla in quel lume
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que está murmurando allí encenderla agora puedo. ¡Oh, qué prevenido soy! Y entre éstas y estotras, voy titiritando de miedo.
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Vase, y sale Isabel por la alacena con un azafate cubierto. ISABEL
Fuera están, que así el crïado me lo dijo: agora es tiempo de poner este azafate de ropa blanca en el puesto señalado. ¡Ay de mí triste, que, como es de noche, tengo, con la grande obscuridad, de mí misma asombro y miedo! ¡Válgame Dios, que temblando estoy! El duende primero soy que se encomienda a Dios. No hallo el bufete... ¿Qué es esto? Con la turbación y espanto perdí de la sala el tiento; no sé dónde estoy ni hallo la mesa. ¿Qué he de hacer, cielos? Si no acertase a salir y me hallasen aquí dentro, dábamos con todo el caso al traste. Gran temor tengo y más agora, que abrir la puerta del cuarto siento y trae luz el que la abre. Aquí dio fin el suceso, que ya ni puedo esconderme ni volver a salir puedo.
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che gorgoglia laggiù in fondo. Come sono previdente! E intanto, per dirla tutta, sto tremando di paura. Esce, ed entra Isabel dalla credenza con un vassoio coperto. ISABEL
Sono usciti, come ha detto il domestico: è il momento di metter questo vassoio di biancheria dove deve stare. Oh povera me! È sera, ed è buio pesto, e mi spavento da sola e ho paura di me stessa! Dio mio, aiuto, sto tremando! Di sicuro sono il primo folletto che invoca Dio. Non trovo più il tavolino... Che è? Con il turbamento non mi oriento nella sala; non so dove sto, non trovo il tavolo. Che farò? Se non riuscissi ad uscire e mi trovassero qui, andrebbe tutto in malora. Ho una gran paura, e adesso ancora di più, che sento che qualcuno apre la porta ed ha un lume. Ecco, è la fine, che non posso più nascondermi né posso più uscire fuori.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA
Sale Cosme con luz. COSME
Duende mi señor, si acaso obligan los rendimientos a los duendes bien nacidos, humildemente le ruego que no se acuerde de mí en sus muchos embelecos. Y esto por cuatro razones: la primera, yo me entiendo;
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Va andando, y Isabel detrás dél, huyendo de que no la vea.
Canta
ISABEL
COSME ISABEL
la segunda, usted la sabe; la tercera, por aquello de que al buen entendedor...; la cuarta, por estos versos: «Señor ‘dama duende’ duélase de mí, que soy niño y solo y nunca en tal me vi.» (Ya con la luz he cobrado el tino del aposento y él no me ha visto. Si aquí se la mato, será cierto que, mientras la va a encender, salir a mi cuarto puedo, que, cuando sienta el rüido, no me verá, por lo menos; y a dos daños, el menor.) ¡Qué gran músico es el miedo! (Esto ha de ser de esta suerte.)
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Dale un porrazo, y mátale la luz.
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Entra Cosme con un lume. COSME
Signor folletto, se mai il rispetto può obbligare folletti d’animo nobile, la prego con umiltà di non prendermi a bersaglio dei suoi molteplici imbrogli. E ciò per quattro ragioni: la prima, io mi capisco;
Cammina per la stanza, e Isabel dietro, cercando di evitare che la veda.
Canta
ISABEL
COSME ISABEL
la seconda, lei la sa; la terza, per quel proverbio che fa «a buon intenditor...»; la quarta, per questi versi: «Signor folletto-dama, abbi pietà di me, sono giovane e solo, indifeso e inesperto.» (Con il lume mi orizzonto nuovamente nella stanza, e lui non mi ha visto. Se ora glielo spengo, certamente, mentre esce per riaccenderlo, potrò uscire e andare via, e, se sentirà il rumore, almeno non mi vedrà: sarà il minore dei mali.) Canta bene la paura! (Faccio così). Gli dà una botta, e gli spegne il lume.
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¡Verbo caro... fiteor Deo! ¡Que me han muerto! (Ahora podré escaparme.)
COSME
ISABEL
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Al querer huir Isabel, sale don Manuel. DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME ISABEL DON MANUEL
¿Qué es aquesto? Cosme, ¿cómo estás sin luz? Como a los dos nos ha muerto el duende, la luz de un soplo y a mí de un golpe. Tu miedo te hará creer esas cosas. Bien a mi costa las creo. (¡Oh, si la puerta topase!) ¿Quién está aquí?
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Topa Isabel con don Manuel, y él la tiene del azafate. ISABEL
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME
(Peor es esto, que con el amo he encontrado.) Trae luz, Cosme, que ya tengo a quien es. Pues no le sueltes. No haré, ve por ella presto. Tenle bien.
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Vase. ISABEL
(Del azafate asió, en sus manos le dejo. Hallé la alacena: ¡adiós!)
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Vase, y él tiene el azafate.
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Verbo caro... Confessione! Mi hanno ucciso! (Adesso posso scappare.)
COSME
ISABEL
Mentre Isabel sta per andarsene, entra don Manuel. DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME ISABEL DON MANUEL
Che succede? Come mai, Cosme, stai a luce spenta? Perché il folletto ci ha spento entrambi, a me con un colpo, e alla luce con un soffio. La tua paura ti porta a credere cose simili. A caro prezzo le credo. (Oh, se trovassi la porta!) Chi c’è qui?
Isabel si scontra con don Manuel, e lui le afferra il vassoio. ISABEL
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME
(Questo è anche peggio: imbattersi nel padrone.) Porta un lume, Cosme, ho preso qualcuno. Non lo mollare. No, ma tu ritorna presto. Tienilo stretto. Esce.
ISABEL
(Il vassoio ha afferrato, e glielo lascio. Ecco la credenza: addio!) Esce, e lui tiene stretto il vassoio.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA DON MANUEL
Quienquiera que es, se esté quedo hasta que traigan la luz, porque si no, ¡vive el cielo!, que le dé de puñaladas. Pero sólo abrazo el viento y toco sólo una cosa de ropa y de poco peso. ¿Qué será? ¡Válgame Dios!, que en más confusión me ha puesto.
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Sale Cosme con luz. COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME
¡Téngase el duende a la luz! Pues, ¿qué es dél? ¿No estaba preso? ¿Qué se hizo? ¿Dónde está? ¿Qué es esto, señor? No acierto a responder. Esta ropa me ha dejado y se fue huyendo. ¿Y qué dices deste lance? Aun bien que agora tú mesmo dijiste que le tenías y se te fue por el viento. Diré que aquesta persona, que con arte y con ingenio entra y sale aquí, esta noche estaba encerrada dentro; que para poder salir te mató la luz, y luego me dejó a mí el azafate y se me ha escapado huyendo. ¿Por dónde? Por esa puerta. ¡Harásme que pierda el seso, vive Dios! Que yo le vi a los últimos reflejos
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO DON MANUEL
Chiunque sia, stia fermo finché non arriva il lume, se no, quant’è vero Dio, lo prenderò a pugnalate. Ma stringo solo un po’ d’aria e tocco solo un involto poco pesante, di panni. Che sarà? Mi aiuti Iddio, sono ancora più confuso. Entra Cosme con il lume.
COSME
DON MANUEL
COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME
Folletto, arrenditi al lume! Ma dov’è? L’avevi preso! Dov’è andato? Dove sta? Che è successo? Non saprei rispondere. Mi ha lasciato questi panni ed è scappato. E ora che dici di questo? Tu stesso hai appena detto che l’avevi catturato, ed invece ti è sfuggito. Dirò che questa persona che con artificio e ingegno entra qui e ne esce, stasera era rinchiusa qui dentro; che per riuscire ad uscire il lume ti ha spento, e poi a me ha lasciato il vassoio e mi è sfuggita scappando. Da dove? Da quella porta. Mi farai diventar pazzo, Dio santo! Ma io l’ho visto agli ultimi scintillii
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DON MANUEL COSME
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COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
que la pavesa dejó de la luz que me había muerto. ¿Qué forma tenía? Era un fraile tamañito y tenía puesto un cucurucho tamaño que, por estas señas, creo que era duende capuchino. ¡Qué de cosas hace el miedo! Alumbra aquí y lo que trujo el frailecito veremos. Ten este azafate tú. ¿Yo, azafates del infierno? Tenle, pues. Tengo las manos sucias, señor, con el sebo de la vela y mancharé el tafetán que cubierto le tiene: mejor será que le pongas en el suelo. Ropa blanca es y un papel: veamos si el fraile es discreto.
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Lee. «En el poco tiempo que ha que vivís en esta casa, no se ha podido hacer más ropa; como se fuere haciendo, se irá llevando. A lo que decís del amigo, persuadido a que soy dama de don Luis, os aseguro que no sólo lo soy, sino que no puedo serlo: y esto dejo para la vista, que será presto. Dios os guarde.»
COSME
Bautizado está este duende pues de Dios se acuerda. ¿Veslo, cómo es duende religioso?
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DON MANUEL COSME
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dello stoppino del lume dopo che l’aveva spento! Che aspetto aveva? Era un frate piccolino e aveva in testa un cappuccio così grande che penso debba trattarsi di un folletto cappuccino. Che effetti fa la paura! Fa’ luce e vediamo un po’ che ha portato il fraticello. Tienimi questo vassoio. Io, un vassoio dell’inferno? Tienilo, su. Ho le mani sporche, signore, di grasso di candela e macchierei la stoffa che lo ricopre: sarà meglio se lo poggi in terra. C’è biancheria ed un biglietto: vediamo se il frate sa scriver bene. Legge.
«Nel poco tempo trascorso da quando alloggiate in questa casa, non è stato possibile cucire più capi di questi; quando ne avremo preparati altri, ve li porteremo. Quanto a quello che dite dell’amico, e della vostra convinzione che io sia la dama di don Luis, vi assicuro che non solo non lo sono, ma che non posso esserlo: e rimando la spiegazione a quando ci incontreremo, spero presto. Dio vi protegga».
COSME
È un folletto battezzato, visto che menziona Dio. Vedi che è un folletto prete?
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Muy tarde es, ve componiendo las maletas y cojines y en una bolsa pon estos Dale unos papeles. papeles, que son el todo a que vamos, que yo intento en tanto dejar respuesta a mi duende.
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Pónelos Cosme sobre una silla, y don Manuel escribe. COSME
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Aquí los quiero, para que no se me olviden y estén a mano, ponerlos, mientras me detengo un rato solamente a decir esto: ¿has creído ya que hay duendes? ¡Qué disparate tan necio! ¿Esto es disparate? Ves tú mismo tantos efetos, como venirse a tus manos un regalo por el viento ¿y aun dudas? Pero bien haces, si a ti te va bien con eso; mas déjame a mí que yo, que peor partido tengo, lo crea. ¿De qué manera? De esta manera lo pruebo. Si nos revuelven la ropa te ríes mucho de verlo, y yo soy quien la compone, que no es trabajo pequeño. Si a ti te dejan papeles y se llevan dos conceptos,
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È molto tardi, prepara valigie e sacche da viaggio e sistema in una borsa Gli dà delle carte. queste carte, indispensabili al disbrigo della pratica, che io nel frattempo vedo di scrivere una risposta al mio folletto.
Cosme mette le carte su una sedia, e don Manuel scrive. COSME
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Qui stanno bene a portata di mano, così non me le dimentico, e intanto mi fermo un attimo solo per dirti una cosa: ci credi adesso ai folletti? Che stupidaggine assurda! Stupidaggine? Tu stesso ne hai avuto tante prove, come un regalo che arriva volando nelle tue mani, e ancora dubiti? Già, ma è perché tu hai avuto il meglio; lascia però che io ci creda, che ho avuto il peggio. Cioè? Adesso te lo dimostro. Ci scompigliano i bagagli e tu ti fai due risate, mentre io li rimetto a posto che non è poca fatica. A te lasciano biglietti e portan via frasi argute, 141
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a mí me dejan carbones y se llevan mi dinero. Si traen dulces, tú te huelgas como un padre de comerlos, y yo ayuno como un puto pues ni los toco ni veo. Si a ti te dan las camisas, las valonas y pañuelos, a mí los sustos me dan de escucharlo y de saberlo. Si, cuando los dos venimos aquí casi a un mismo tiempo, te dan a ti un azafate tan aseado y compuesto, a mí me da un mojicón en aquestos pestorejos tan descomunal y grande que me hace escupir los sesos. Para ti solo, señor, es el gusto y el provecho, para mí el susto y el daño; y tiene el duende, en efeto, para ti mano de lana, para mí mano de hierro. Pues déjame que lo crea, que se apura el sufrimiento queriendo negarle a un hombre lo que está pasando y viendo. Haz las maletas y vamos, que allá en el cuarto te espero de don Juan. Pues ¿qué hay que hacer, si allá vestido de negro has de andar y esto se hace con tomar un herreruelo? Deja cerrado y la llave lleva, que, si en este tiempo
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mentre a me lascian carboni e portano via il denaro. Mandano dolci, e tu lieto li mangi come un ruffiano, mentre io faccio il prostituto: digiuno e neanche li tocco. Tu ti prendi le camicie, le gorgiere e i fazzoletti, io invece lo spavento di ascoltarlo e di saperlo. E quando qui siamo entrati entrambi allo stesso tempo, a te hanno dato un vassoio tutto riempito e ben messo, e a me una manata in testa così forte che il cervello mi ha fatto uscire dal naso. Soltanto per te, signore, ci sono gusto e vantaggio, danno e spavento per me; ed è insomma proprio vero che ha due mani il folletto, quella di lana è per te, per me c’è quella di ferro. Lascia allora che ci creda, perché è veramente troppo voler negare che esistano i mali che mi succedono. Fai le valigie e partiamo; io ti aspetto nelle stanze di don Juan. Quali valigie, se andrai vestito di nero laggiù, e per questo basta prendere un mantello lungo? Chiudi la stanza, e la chiave porta con te, che se mai 143
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hiciere falta, otra tiene don Juan. (Confuso me ausento por no llevar ya sabido esto que ha de ser tan presto. Pero uno importa al honor de mi casa y de mi aumento, y otro solamente a un gusto; y así, entre los dos estremos, donde el honor es lo más todo lo demás es menos.)
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Vanse. Salen doña Ángela, doña Beatriz y Isabel. DOÑA ÁNGELA ISABEL
DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
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¿Eso te ha sucedido? Ya todo el embeleco vi perdido, porque, si allí me viera, fuerza, señora, fuera el descubrirse todo; pero en efeto me escapé del modo que te dije. Fue estraño suceso. Y ha de dar fuerza al engaño, sin haber visto gente, ver que dé un azafate y que se ausente. Si tras de esto consigo que me vea del modo que te digo, no dudo de que pierda el juicio. La atención más grave y cuerda es fuerza que se espante, Ángela, con suceso semejante; porque querer llamalle sin saber dónde viene, y que se halle luego con una dama tan hermosa, tan rica y de tal fama
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dovesse servire, ne ha un’altra don Juan. (Mi spiace andar via senza sapere quando avverrà quest’incontro. Ma questo è solo un capriccio, e il viaggio importa all’onore e dignità del mio nome; e tra le due alternative l’onore è la più importante, tutto il resto lo è di meno.) Se ne vanno. Entrano donna Angela, donna Beatriz e Isabel. DONNA ANGELA ISABEL
DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
Questo ti è capitato? Davo già per perduto tutto quanto, che, se mi avesse visto, per forza si sarebbe rivelato il mistero; ma poi sono riuscita a scappar via nel modo che ti ho detto. È stato un caso ben strano. E poi rafforzerà l’inganno che abbia dato il vassoio e sia fuggita senza esser stata vista. Se dopo questo fatto riesco a incontrarlo nel modo che ho detto, non dubito di fargli perdere il senno. Anche il più serio e saggio non può non sgomentarsi di fronte a un fatto simile, cugina; perché voler chiamarlo senza fargli capire chi lo chiama, e poi farlo incontrare con una dama bella, ricca e nobile 145
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DOÑA ÁNGELA
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DOÑA ÁNGELA
sin que sepa quién es ni dónde vive – que esto es lo que tu ingenio le apercibe – y haya, tapado y ciego, de volver a salir y dudar luego, ¿a quién no ha de admirar? Todo advertido está ya, y por estar tú aquí no ha sido hoy la noche primera que ha de venir a verme. ¿No supiera yo callar el suceso de tu amor? Que no, prima, no es por eso, sino que, estando en casa tú, como a mis hermanos les abrasa tu amor, no salen della, adorando los rayos de tu estrella; y fuera aventurarme, no ausentándose ellos, empeñarme.
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Sale don Luis al paño. DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
(¡Oh cielos! ¡Quién pudiera disimular su afecto! ¡Quién pusiera límite al pensamiento, freno a la voz y ley al sentimiento! Pero ya que conmigo tan poco puedo que esto no consigo, desde aquí he de ensayarme a vencer mi pasión y reportarme.) Yo diré de qué suerte se podrá disponer, para no hacerte mal tercio y para hallarme aquí, porque sintiera el ausentarme sin que el efeto viera que deseo. Pues di, ¿de qué manera?
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DONNA ANGELA
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DONNA ANGELA
senza dirgli chi è né dove vive – che questo è quello che stai macchinando – e poi, bendato e cieco, farlo uscire per renderlo ai suoi dubbi, chi non si turberebbe? Tutto pronto è già, e solo perché tu sei qui non è per questa notte fissata la sua visita. Tu dubiti che avrei saputo tenere il segreto sui tuoi amori? Non è questo, cugina, è solo che, con te in casa, i miei fratelli che bruciano d’amore ed i tuoi raggi idolatrano, restano qui anch’essi; e sarebbe rischioso, con loro in casa, tentar l’avventura.
Entra don Luis, e si nasconde dietro una delle tende del fondo. DON LUIS
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
(Oh cielo! Se potessi dissimulare ciò che provo! Se potessi porre limiti al pensiero, freno alla voce e legge al mio dolore! Ma visto che non riesco, per il poco potere che ho su me, voglio provar da qui a vincer la passione e a trattenermi). Io ti dirò in che modo si può fare, perché io non sia d’intralcio pur rimanendo qui, perché vorrei, prima di andare via, veder la conclusione della storia. Dimmi, allora, in che modo.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS DOÑA BEATRIZ
DON LUIS DOÑA BEATRIZ DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
(¿Qué es lo que las dos tratan, que de su mismo aliento se recatan?) Las dos publicaremos que mi padre envïó por mí, y haremos la deshecha con modos que, teniéndome ya por ida todos, vuelva a quedarme en casa. (¿Qué es esto, cielos, que en mi agravio pasa?) Y oculta, con secreto, sin estorbos podré ver el efeto... (¿Qué es esto, cielo injusto?) ...que ha de ser para mí de tanto gusto. Y luego, ¿qué diremos de verte aquí otra vez? Pues ¿no tendremos – ¡qué mal eso te admira! – ingenio para hacer otra mentira? (Sí tendréis; ¿que esto escucho? Con nuevas penas y tormentos lucho.) Con esto, sin testigos y en secreto, deste notable amor veré el efeto, pues estando escondida yo, y estando la casa recogida, sin escándalo arguyo que pasar pueda de su cuarto al tuyo. (Bien claramente infiero – cobarde vivo y atrevido muero – su intención: más dichoso mi hermano la merece – ¡estoy celoso! –; a darle se prefiere la ocasión que desea y así quiere que de su cuarto pase, sin que nadie lo sepa y yo me abrase. Y porque sin testigos se logren – ¡oh enemigos !– mintiendo mi sospecha hacer quiere conmigo la deshecha.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO DON LUIS
DONNA BEATRIZ
DON LUIS DONNA BEATRIZ
DON LUIS DONNA BEATRIZ DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DON LUIS
DONNA BEATRIZ
DON LUIS
(Di che stanno parlando così piano che quasi non si sentono?) Spargiamo la notizia che mio padre mi ha chiesto di tornare e poi faremo in modo che, credendomi tutti a casa mia, io possa invece ritornare qui. (Quale affronto, Dio mio, mi si prepara?) E nascosta, in segreto, senza intralci potrò veder la fine... (Che dice, ingiusto cielo?) ...di una storia che tanto mi appassiona. E poi, cosa diremo per spiegare perché sei ancora qui? Ci manca forse ingegno – mi stupisco di te – per inventare una nuova bugia? (Certo che no: che sento? Con nuovi crucci e afflizioni combatto). Così, in segreto e senza testimoni, di questo amore vedrò il compimento, perché stando nascosta io, e tutti gli altri ormai immersi nel sonno, facilmente potrà passare dalle sue stanze alle tue. (Capisco chiaramente – vivo e muoio, vigliacco e audace a un tempo – qual è la sua intenzione: lei riama mio fratello, di me più fortunato, e, oh gelosia!, ha deciso di dargli l’occasione che desidera: perciò vuole che passi alle sue stanze in gran segreto, mentre io mi consumo. E perché nessun sappia del loro incontro – oh falsi! – e io non abbia sospetti vuole ingannarmi e ha già deciso come. 149
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Pues si esto es así, cielo, para el estorbo de su amor apelo; y cuando esté escondida, buscando otra ocasión, con atrevida resolución veré toda la casa hasta hallarla, que el fuego que me abrasa ya no tiene otro medio; que el estorbar es último remedio de un celoso. ¡Valedme, santos cielos, que, abrasado de amor, muero de celos!)
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Está bien prevenido y mañana diremos que te has ido. Sale don Juan.
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¡Hermana! ¡Beatriz bella! Ya te echábamos menos. Si mi estrella tantas dichas mejora que me eche menos vuestro sol, señora, de mí mismo envidioso tendré mi mismo bien por sospechoso, que posible no ha sido que os haya merecido mi amor ese cuidado. Y así, de mí envidioso y envidiado, tendré, en tan dulce abismo, yo lástima y envidia de mí mismo. Contradecir no quiero argumento, don Juan, tan lisonjero; que quien ha dilatado tanto el venirme a ver y me ha olvidado ¿quién duda que estaría bien divertido? Sí, y allí tendría
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Ma se così stanno le cose, oh cielo, giuro di far da intralcio al loro amore; lei si nasconda pure, io troverò un pretesto e con audacia cercherò in tutta casa fino a trovarla; il fuoco che mi brucia non ammette altri mezzi, e il geloso ha come ultimo rimedio quello di far da intralcio. Cieli, aiuto, che amor mi brucia e gelosia mi uccide!) Se ne va. DONNA ANGELA
È ben escogitato, e diremo che tu te ne sei andata. Entra don Juan.
DON JUAN DONNA BEATRIZ DON JUAN
DONNA BEATRIZ
Bella Beatriz! Sorella! Ci sei mancato. Così fortunata signora, è la mia stella, che il vostro sole ha sentito la mia mancanza? Di me stesso provo invidia, ed ho sospetto del mio stesso bene, perché non è possibile che il mio amore vi debba questa pena. E per questo, invidioso di me e da me invidiato, avrò, felice me, compassione ed invidia di me stesso. Non voglio contraddire ragionamento così adulatore; che chi ha tanto tardato nel venire a trovarmi non c’è alcun dubbio che piacevolmente fosse distratto. E allora sì, avrà avuto 151
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DOÑA ÁNGELA
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envidia a su ventura y lástima perdiendo la hermosura que tanto le divierte. Luego claro se prueba de esta suerte, con cierto silogismo, la lástima y envidia de sí mismo. Si no fuera ofenderme y ofenderos intentara, Beatriz, satisfaceros con deciros que he estado con don Manuel, mi huésped, ocupado agora en su partida, porque se fue esta noche. ¡Ay de mi vida! ¿De qué, hermana, es el susto? Sobresalta un placer como un disgusto. Pésame que no sea placer cumplido el que tu pecho vea, pues volverá mañana. (Vuelva a vivir una esperanza vana.) Ya yo me había espantado que tan de paso nos venía el enfado, que fue siempre importuno. Yo no sospecho que te dé ninguno, sino que tú y don Luis mostráis disgusto por ser cosa en que yo he tenido gusto. No quiero responderte, aunque tengo bien qué, y es por no hacerte mal juego, siendo agora tercero de tu amor; pues nadie ignora que ejerce amor las flores de fullero mano a mano mejor que con tercero. Vente, Isabel, conmigo. (Que aquesta noche misma a traer me obligo el retrato, pues puedo pasar con más espacio y menos miedo. Tenme tú prevenida una luz y en qué pueda ir escondida;
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invidia della sua fortuna e dispiacere di lasciare la bellezza che tanto lo distrae. Ecco dunque provate in questo modo, con vero sillogismo, la compassione e invidia di se stesso. Se non fosse a me e a voi fare un’offesa cercherei, Beatriz, di discolparmi dicendovi che son stato occupato con don Manuel, il mio ospite, che è appena andato via. Ah! Di che cosa, sorella, trasalisci? La gioia turba come il dispiacere. Mi dispiace che sia una gioia a metà, perché domani torna. (Riviva allora una speranza vana). Già mi meravigliavo che il disturbo durasse così poco, che è una gran seccatura. Non credo che ti dia nessun disturbo, ma tu e don Luis dite che vi è sgradito perché è gradito a me. Non ti voglio rispondere, anche se avrei di che, perché non voglio intralciare il tuo gioco, costringendoti a una partita a tre; che tutti sanno che l’amore si gioca molto meglio in due che in tre. Vieni con me, Isabel. (Che questa notte stessa voglio andare a prendere il ritratto, che ho più tempo per passare di là e meno paura. Tu preparami un lume e una lanterna che possa coprirlo;
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porque no ha de tener contra mi fama, quien me escribe, retrato de otra dama.) Vanse. DOÑA BEATRIZ
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DOÑA BEATRIZ
No creo que te debo tantas finezas. Los quilates pruebo de mi fe – porque es mucha – en un discurso. Dile. Atiende, escucha. Bella Beatriz, mi fe es tan verdadera, mi amor tan firme, mi afición tan rara que, aunque yo no quererte deseara, contra mi mismo afecto te quisiera. Estímate mi vida de manera que, a poder olvidarte, te olvidara, porque después por elección te amara; fuera gusto mi amor y no ley fuera. Quien quiere a una mujer porque no puede olvidalla, no obliga con querella, pues nada el albedrío la concede. Yo no puedo olvidarte, Beatriz bella, y siento el ver que tan ufana quede, con la vitoria de tu amor, mi estrella. Si la elección se debe al albedrío y la fuerza al impulso de una estrella, voluntad más segura será aquella que no viva sujeta a un desvarío. Y así de tus finezas desconfío, pues mi fe, que imposibles atropella, si viera a mi albedrío andar sin ella negara, ¡vive el cielo!, que era mío. Pues aquel breve instante que gastara en olvidar para volver a amarte, sintiera que mi afecto me faltara.
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perché non deve avere, chi mi scrive, il ritratto di un’altra a mio disdoro.) Se ne vanno. DONNA BEATRIZ
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DONNA BEATRIZ
Non credo di doverti tutte queste attenzioni. E io ti provo la qualità della mia grande fede con un discorso. Di’. Prestami ascolto. Beatriz bella, la mia fede è sincera, il mio amore costante, e così raro il mio affetto che, se anche non volessi amarti, ti amerei pur contro voglia. Ti ho in così alta considerazione che, a poterlo, vorrei dimenticarti, e amarti poi per libera elezione: per scelta e non per legge dell’amore. L’amore che non sa dimenticare è un sentimento che non ha alcun merito perché il libero arbitrio non vi ha parte. Io, Beatriz, non so dimenticarti, e soffro nel vedere la mia stella contenta del tuo amore vittorioso. Se la scelta è all’arbitrio che si deve e l’obbligo all’impulso di una stella, volontà più sicura sarà quella che non dipende dalla sventatezza. Diffido dunque delle tue attenzioni, ché la mia fede, spregiando ogni ostacolo, se fosse separata dal mio arbitrio negherebbe, son certa, che era mio. E anche quel breve istante necessario all’oblio per tornare poi ad amarti, l’affetto mio mi sarebbe mancato. 155
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Y huélgome de ver que no soy parte para olvidarte, pues que no te amara el rato que tratara de olvidarte.
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Vanse, y sale don Manuel tras Cosme, que viene huyendo. DON MANUEL COSME DON MANUEL
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COSME
DON MANUEL
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¡Vive Dios!, si no mirara... Por eso miras. ...que fuera infamia mía, que hiciera un desatino. Repara en que te he servido bien, y un descuido no está en mano de un católico cristiano. ¿Quién ha de sufrirte? ¿Quién? ¿Si lo que más importó y lo que más te he encargado es lo que más se ha olvidado? Pues por eso se olvidó, por ser lo que me importaba, que, si importante no fuera, en olvidarse ¿qué hiciera? ¡Viven los cielos!, que estaba tan cuidadoso en traer los papeles que por eso los puse aparte; y confieso que el cuidado vino a ser el mismo que me dañó, pues si aparte no estuvieran con los demás se vinieran. Harto es que se te acordó en la mitad del camino. Un gran cuidado llevaba sin saber qué le causaba, que le juzgué a desatino; hasta que en el caso di
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Ben venga non saper dimenticare, perché altrimenti non ti avrei più amato mentre cercavo di dimenticarti. Se ne vanno, ed entrano don Manuel e Cosme, che fugge davanti a lui. DON MANUEL COSME DON MANUEL
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Vivaddio! Se non vedessi... Ma tu vedi. ...che sarebbe per me un’infamia, farei una sciocchezza. Considera i miei servigi passati, e pensa che a ogni cristiano può succeder di distrarsi. Chi può sopportarti? Chi? Se quello che più importava e più ti ho raccomandato, tu proprio quello hai scordato? E per questo l’ho scordato, perché mi importava; se non fosse stato importante, non l’avrei dimenticato. Vivaddio! Ero così attento a portar via quelle carte che le ho messe da una parte; e questa attenzione è stata quello che mi ha danneggiato, che, se non lo avessi fatto, le avrei prese insieme al resto. Fortuna che ci hai pensato che eravamo a metà strada. Ero così preoccupato, senza sapere perché, che mi sembrava di essere
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y supe que era el cuidado el habérseme olvidado los papeles. Di que allí el mozo espere, teniendo las mulas, porque también llegar con ruido no es bien, despertando a quien durmiendo está ya; pues puedo entrar, supuesto que llave tengo, y el despacho por quien vengo, sin ser sentido, sacar. Ya el mozo queda advertido; mas considera, señor, que sin luz es grande error querer hallarlos, y el ruido excusarse no es posible; porque, si luz no nos dan en el cuarto de Don Juan, ¿cómo hemos de ver? ¡Terrible es tu enfado! ¿Agora quieres que le alborote y le llame? Pues ¿no sabrás – dime, infame, que causa de todo eres – por el tiento, dónde fue donde quedaron? No es ésa la duda, que yo a la mesa donde sé que los dejé iré a ciegas. Abre presto. Lo que a mi temor responde es que no sabré yo adónde el duende los habrá puesto, porque ¿qué cosa he dejado
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fissato; finché ho capito che il motivo era che avevo dimenticato le carte. Di’ al ragazzo di aspettare lì con le mule, perché non voglio fare rumore fin sotto casa, svegliando chi ci abita, che starà già dormendo; che posso entrare da solo, perché ho la chiave, e senza farmi sentire prendere l’incartamento. Ho già avvisato il ragazzo; ma considera, signore, che non potremo trovarlo senza un lume, ed il rumore non riusciremo a evitarlo; che se non chiediamo un lume nelle stanze di don Juan come faremo a vederci? Sei veramente seccante! Vuoi che ora vada a svegliarlo? Non sapresti, scellerato che sei la causa di tutto, ritrovare al buio dove le hai lasciate? Non è questo il dubbio, perché alla tavola dove ho lasciato le carte posso andarci anche bendato. Apri allora. Il mio timore è che non so in quale posto il folletto le avrà messe, perché che cosa ho lasciato
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que haya vuelto a hallarla yo en la parte que quedó? Si los hubiere mudado luz entonces pediremos; pero, hasta verlo, no es bien que alborotemos a quien buen hospedaje debemos.
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Vanse, y salen por la alacena doña Ángela y Isabel. DOÑA ÁNGELA
ISABEL DOÑA ÁNGELA
ISABEL
Isabel, pues recogida está la casa y es dueño de los sentidos el sueño, ladrón de la media vida, y sé que el huésped se ha ido, robarle el retrato quiero que vi en el lance primero. Entra quedo y no hagas ruido. Cierra tú por allá fuera, y hasta venirme a avisar no saldré yo, por no dar en más riesgo. Aquí me espera.
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Vase Isabel, cierra la alacena, y salen como a escuras don Manuel y Cosme. COSME DON MANUEL
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Ya está abierto. Pisa quedo que, si aquí sienten rumor, será alboroto mayor. ¿Creerásme que tengo miedo? Este duende bien pudiera tenernos luz encendida. (La luz que truje escondida, porque de aquesta manera
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che poi l’abbia ritrovata lì dove l’avevo messa? Se il folletto le ha spostate andremo a chiedere il lume; ma fino allora non voglio dar fastidio a chi ci ha accolto generosamente in casa.
Se ne vanno, e dalla credenza entrano donna Angela e Isabel. DONNA ANGELA
ISABEL DONNA ANGELA
ISABEL
Isabel, ora che in casa tutti si son ritirati e il sonno regna, rubando metà della nostra vita, e l’ospite se ne è andato, voglio rubargli il ritratto che ho visto la prima volta. Entra senza far rumore. Tu chiudimi dal di fuori, e io non uscirò finché non verrai a chiamarmi, per non correre rischi. A dopo.
Isabel se ne va, chiudendo la credenza, ed entrano come se si trovassero al buio don Manuel e Cosme. COSME
Ho aperto.
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Cammina piano, che, se sentono rumore, comunque si sveglieranno. Lo crederai che ho paura? Il nostro folletto avrebbe potuto accenderci un lume. (È tempo ormai di scoprire il lume che ho qui con me
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no se viese, es tiempo ya de descubrir.)
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Ellos están apartados, y ella saca una luz de una linterna que trae cubierta. COSME
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Nunca ha andado el duende tan bien mandado: ¡qué presto la luz nos da! Considera agora aquí si te quiere bien el duende, pues que para ti la enciende y la apaga para mí. ¡Válgame el cielo! Ya es esto sobrenatural, que traer con prisa tal luz, no es obra humana. ¿Ves cómo a confesar veniste que es verdad? De mármol soy, por volverme atrás estoy. Mortal eres, ya temiste. (Hacia aquí la mesa veo, y con papeles está.) Hacia la mesa se va. ¡Vive Dios! Que dudo y creo una admiración tan nueva. ¿Ves cómo nos va guïando lo que venimos buscando, sin que veamos quién la lleva?
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Doña Ángela saca la luz de la linterna, pónela en un candelero que habrá en la mesa, y toma una silla y siéntase de espaldas a los dos. DOÑA ÁNGELA
(Pongo aquí la luz y agora la escribanía veré.)
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coperto, perché non fosse visto). Mentre loro stanno da una parte, lei scopre una candela che sta in una lanterna chiusa che ha con sé. COSME
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Mai così a proposito è capitato il folletto: ecco che ci ha fatto luce! E considera tu adesso se il folletto ti vuol bene, visto che a te accende il lume mentre a me lo spegne. Cielo! Questo è soprannaturale, che far luce così presto non può essere opera umana. Vedi che hai dovuto ammettere che è vero che c’è un folletto? Sono rimasto di sasso, sono sul punto di andarmene. Sei uomo, anche tu hai timore. (Ecco, qui vedo la tavola, è tutta ingombra di carte). Alla tavola si accosta. Dio santo! Non so se credere a un prodigio così insolito. Vedi come ci indirizza a quel che stiamo cercando, senza che si veda chi è?
Donna Angela tira fuori la candela dalla lanterna, la mette in un candeliere che sta sulla tavola, e prende una sedia sedendosi di spalle ai due. DONNA ANGELA
(Metto qui il lume e così ora guardo lo scrittoio). 163
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Aguarda, que a los reflejos de la luz todo se ve y no vi en toda mi vida tan soberana mujer. ¡Válgame el cielo! ¿Qué es esto? Hidras, a mi parecer, son los prodigios, pues de uno nacen mil. Cielos, ¿qué haré? De espacio lo va tomando: silla arrastra. Imagen es de la más rara beldad que el soberano pincel ha labrado. Así es verdad porque sólo la hizo él. Más que la luz resplandecen sus ojos. Lo cierto es que son sus ojos luceros del cielo de Lucifer. Cada cabello es un rayo del sol. Hurtáronlos dél. Una estrella es cada rizo. Sí será, porque también se las trujeron acá, o una parte de las tres. No vi más rara hermosura. No dijeras eso, a fe, si el pie la vieras, porque éstos son malditos por el pie. Un asombro de belleza, un ángel hermoso es. Es verdad, pero patudo.
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Aspetta, che ora al riflesso del lume si vede tutto e mai ho visto in vita mia una donna così bella. Santo cielo! Che è mai questo? I prodigi, a mio parere, sono idre, perché da uno ne nascon mille. Che fare? Se la sta prendendo comoda: ora si siede. È l’immagine della più rara bellezza che mai il pennello divino abbia dipinto. È verissimo, che non è creatura umana. Più della luce risplendono i suoi occhi. Di sicuro c’è che i suoi occhi son stelle del cielo di Belzebù. Ogni suo capello è un raggio di sole. Da lì li han presi. Ha una stella in ogni ricciolo. Certo, che con sé le han prese quando scesero all’inferno, o almeno un terzo di esse. È una beltà straordinaria. Credimi, non lo diresti a vederle il piede, dove hanno il segno maledetto. È un prodigio di bellezza, è un angelo bello. Sì, è vero, ma con gli zoccoli.
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¿Qué es esto? ¿Qué querrá hacer con mis papeles? Yo apuesto que querrá mirar y ver los que buscas, porque aquí tengamos menos que hacer, que es duende muy servicial. ¡Válgame el cielo! ¿Qué haré? Nunca me he visto cobarde sino sola aquesta vez. Yo sí, muchas. Y calzado de prisión de hielo el pie, tengo el cabello erizado y cada suspiro es para mi pecho un puñal, para mi cuello un cordel. ¿Mas yo he de tener temor? ¡Vive el cielo!, que he de ver si sé vencer un encanto.
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Llega, y ásela.
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Ángel, demonio o mujer, a fe que no has de librarte de mis manos esta vez. ¡Ay infelice de mí! (Fingida su ausencia fue: más ha sabido que yo.) De parte de Dios – aquí es Troya del diablo – nos di... (Mas yo disimularé.) ...¿quién eres? ¿Y qué nos quieres? Generoso don Manuel Enríquez, a quien está guardado un inmenso bien: no me toques, no me llegues,
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E ora? Che vorrà mai fare con le mie carte? Scommetto che vuole guardarle e prendere quelle che cerchi, così avremo meno da fare, che è un folletto servizievole. Santo cielo! Che farò? Non ho mai avuto paura tranne questa sola volta. Io invece sì, tante. Ai piedi calzo stivali di ghiaccio, mi sento i capelli dritti, ed ogni sospiro è per il mio petto un pugnale per il mio collo una corda. Ma posso io aver paura? Vivaddio! Voglio vedere se so vincere un incanto. Si avvicina e la afferra.
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Angelo, demonio o donna, credimi, non sfuggirai questa volta alla mia presa. Oh me infelice! (Era falsa la notizia del suo viaggio: in scaltrezza mi ha battuto). In nome di Dio – così il diavolo si sconfigge –... (Ma saprò dissimulare). ...dicci chi sei e che vuoi. Generoso don Manuel Enríquez, a cui riserva il cielo un immenso bene: non toccarmi, stai lontano, 167
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que llegarás a perder la mayor dicha que el cielo te previno, por merced del hado, que te apadrina por decretos de su ley. Yo te escribí aquesta tarde, en el último papel, que nos veríamos presto y, anteviendo, aquesto fue; y pues cumplí mi palabra, supuesto que ya me ves en la más humana forma que he podido elegir, ve en paz y déjame aquí, porque aún cumplido no es el tiempo en que mis sucesos has de alcanzar y saber. Mañana los sabrás todos; y mira que a nadie des parte de esto, si no quieres una gran suerte perder. Ve en paz. Pues que con la paz nos convida, señor, ¿qué esperamos? ¡Vive Dios! Que corrido de temer vanos asombros estoy; y, puesto que no los cree mi valor, he de apurar todo el caso de una vez. Mujer, quienquiera que seas – que no tengo de creer que eres otra cosa nunca – ¡vive Dios!, que he de saber quién eres, cómo has entrado
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se non vuoi rischiar di perdere la maggior fortuna che il cielo ti assegna, grazie al fato che ti protegge per i suoi alti decreti. Stasera ti avevo scritto, nel mio ultimo biglietto, che ti avrei incontrato presto, e avevo predetto bene; e visto che ho mantenuto la promessa e che mi vedi nella forma più vicina possibile a quella umana, vai in pace e lasciami qui, ché ancora non è compiuto il tempo in cui i miei segreti ti sarà dato capire. Domani li saprai tutti; ma bada di non dir nulla di ciò a nessuno, se no perderai una gran fortuna. Vai in pace. Se ci offre pace, signore, che cosa stiamo aspettando? Vivaddio! Mi vergogno di temere prodigi vani; e neanche credo che possano esistere, quindi una volta per tutte, con coraggio, chiarirò tutto questo strano caso. Donna, chiunque tu sia, – perché non crederò mai che tu possa essere altro – vivaddio, voglio sapere chi sei, come hai fatto a entrare 169
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aquí, con qué fin y a qué. Sin esperar a mañana esta dicha gozaré, si demonio, por demonio, y si mujer, por mujer. Que a mi esfuerzo no le da qué recelar ni temer tu amenaza, cuando fueras demonio; aunque yo bien sé que, teniendo cuerpo tú, demonio no puedes ser sino mujer. Todo es uno. No me toques, que a perder echas una dicha. Dice el señor diablo muy bien: no la toques, pues no ha sido arpa, laúd ni rabel. Si eres espíritu, agora con la espada lo veré, pues, aunque te hiera aquí, no ha de poderte ofender. ¡Ay de mí! Detén la espada, sangriento el brazo detén, que no es bien que des la muerte a una infelice mujer. Yo confieso que lo soy y, aunque es delito el querer, no delito que merezca morir mal por querer bien. No manches pues, no desdores con mi sangre el rosicler de ese acero. Di quién eres.
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qui, a che scopo e perché. Senza aspettare domani voglio oggi questa gioia, e la prenderò comunque sia tu un demonio o una donna. Nessun timore o apprensione concepisce il mio coraggio per la tua minaccia, anche se fossi un demonio; e poi so bene che, avendo un corpo, non puoi essere demonio ma solo donna. È lo stesso. Non mi toccare, che butti via una fortuna. Ha ragione, dice bene il signor diavolo: non è un’arpa, un liuto o viola da cavarne una toccata. Se sei uno spirito, adesso con la spada lo vedrò, perché anche se ti colpisco non potrò farti del male. Ahimè! Ferma quella spada, ferma quel braccio crudele, che non vorrai dar la morte ad una donna infelice. Confesso che sono donna, e, se è un delitto l’amore, non tale da meritare una brutta morte in cambio di un bel sentimento. Quindi non macchiare, non sporcare col mio sangue lo splendore del tuo acciaio. Di’ chi sei.
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Fuerza el decirlo ha de ser, porque no puedo llevar tan al fin como pensé este amor, este deseo, esta verdad y esta fe. Pero estamos a peligro, si nos oyen o nos ven, de la muerte, porque soy mucho más de lo que ves; y así es fuerza, por quitar estorbos que puede haber, cerrar, señor, esa puerta y aun la del portal también, porque no puedan ver luz si acaso vienen a ver quién anda aquí. Alumbra, Cosme, cerremos las puertas. ¿Ves cómo es mujer y no duende? ¿Yo no lo dije también?
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Vanse los dos. DOÑA ÁNGELA
Cerrada estoy por defuera; ya, cielos, fuerza ha de ser decir la verdad, supuesto que me ha cerrado Isabel y que el huésped me ha cogido aquí.
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Sale Isabel a la alacena. ISABEL
Ce, señora, ce, tu hermano por ti pregunta.
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Ormai son costretta a dirlo, perché non posso portare, come volevo, a buon fine questo amore vero, questa fede, questo desiderio. Ma ci esponiamo al pericolo, se ci sentono o ci vedono, della morte, perché sono molto più di quanto vedi; e quindi è d’obbligo, per evitare contrattempi, che si chiuda quella porta e anche quella dell’androne, perché se qualcuno viene a vedere che succede, non veda la luce. Cosme, fai luce ed andiamo a chiudere. Vedi che è una donna e non un folletto? E io che dicevo? Escono tutti e due.
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Sono chiusa dal di fuori; ora, oh cieli, son costretta a dire la verità, ché Isabel mi ha chiuso dentro e l’ospite mi ha sorpreso qui. Isabel si affaccia dalla credenza.
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Ehi, signora! Tuo fratello chiede di te.
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¡Bien sucede! Echa el cancel de la alacena. ¡Ay, amor, la duda se queda en pie!
Vanse y cierran la alacena, y vuelven a salir don Manuel y Cosme. DON MANUEL
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Ya están cerradas las puertas; proseguid, señora, haced relación... Pero ¿qué es esto? ¿Dónde está? Pues yo qué sé. ¿Si se ha entrado en el alcoba? Ve delante. Yendo a pie es, señor, descortesía ir yo delante. Veré todo el cuarto: suelta, digo.
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Tome la luz. COSME DON MANUEL
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Digo que suelto. Crüel es mi suerte. Aun bien, que agora por la puerta no se fue. Pues ¿por dónde pudo irse? Eso no alcanzo yo. ¿Ves – siempre te lo he dicho yo – cómo es diablo y no mujer? ¡Vive Dios!, que he de mirar todo este cuarto, hasta ver si debajo de los cuadros rota está alguna pared, si encubren estas alfombras alguna cueva, y también las bovedillas del techo.
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Bene! Chiudi tu di nuovo la credenza. Ahi, amore, il dubbio resta irrisolto!
Escono chiudendo la credenza, e rientrano don Manuel e Cosme. DON MANUEL
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Ora le porte son chiuse; proseguite con il vostro racconto, signora... Ma, che succede? Dove sta? E che ne so? Sarà entrata nell’alcova? Vai a vedere. Signore, stando io a piedi è scortesia precedervi. Guarderò io dappertutto: lascia. Prende il lume.
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Lascio sì. Crudele
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sfortuna la mia. COSME
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Ma adesso non è uscito dalla porta. E allora da dove è uscito? Non riesco a capire. Vedi, te l’avevo detto io che era diavolo e non donna! Vivaddio, voglio guardare tutta la stanza, e vedere se sotto ai quadri per caso ci sono buchi nel muro, se nascondono i tappeti qualche sotterraneo, e anche fra le travi del soffitto.
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DON MANUEL
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Solamente aquí se ve esta alacena. Por ella no hay qué dudar ni temer, siempre compuesta de vidrios. A mirar lo demás ven. Yo no soy nada mirón. Pues no tengo de creer que es fantástica su forma, puesto que llegó a temer la muerte. También llegó a adivinar y saber que a sólo verla esta noche habíamos de volver. Como sombra se mostró, fantástica su luz fue, pero como cosa humana se dejó tocar y ver. Como mortal se temió, receló como mujer, como ilusión se deshizo, como fantasma se fue; si doy la rienda al discurso no sé, ¡vive Dios!, no sé ni qué tengo de dudar, ni qué tengo de creer. Yo sí. ¿Qué? Que es mujer diablo, pues que novedad no es
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO COSME
DON MANUEL
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DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME
Qui contro il muro c’è solo questa credenza. Per quella non c’è da darsi pensiero, che è piena di vasellame. Andiamo a vedere il resto. Io non sono un curiosone. Eppure non posso credere che sia un essere fantastico, se ha potuto aver paura della morte. Ha anche potuto indovinare e sapere che saremmo ritornati stanotte solo a vederla. Come un’ombra si è mostrata, la sua luce era fantastica, ma la si è vista e toccata come una creatura umana. Ha avuto timore come un mortale, si è spaurita come una donna, è scomparsa come una visione, come un fantasma si è dissolta; se continuo a meditarci non so, vivaddio, non so né cosa devo non credere né a che cosa devo credere. Io sì. Che? È una donna diavolo: non sarà poi così strano,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, SEGUNDA JORNADA
– pues la mujer es demonio todo el año – que una vez, por desquitarse de tantas, sea el demonio mujer.
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Vanse.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO SECONDO
giacché la donna è un demonio sempre, che una volta tanto, per rifarsi, sia il demonio a travestirsi da donna. Se ne vanno.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
TERCERA JORNADA ISABEL
Espérame en esta sala; luego saldrá a verte aquí mi señora. Vase como cerrando.
DON MANUEL
No está mala la tramoya. ¿Cerró? Sí. ¿Qué pena a mi pena iguala? Yo volví del Escurial y este encanto peregrino, este pasmo celestial que a traerme la luz vino y me dejó en duda igual, me tiene escrito un papel diciendo muy tierna en él: «Si os atrevéis a venir a verme, habéis de salir esta noche sin aquel crïado que os acompaña; dos hombres esperarán en el cimenterio – ¡estraña parte! – de San Sebastián, y una silla». Y no me engaña: en ella entré y discurrí hasta que el tino perdí; y al fin a un portal, de horror lleno, de asombro y temor, solo y a escuras, salí. Aquí llegó una mujer – al oír y al parecer – y a escuras y por el tiento, de aposento en aposento,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO
ATTO TERZO ISABEL
Aspettami in questa sala; presto verrà qui a riceverti la mia signora. Se ne va chiudendo la porta.
DON MANUEL
Non male la trappola. Ha chiuso? Sì. Ci può esser pena maggiore? Rientrato dall’Escorial, questo incanto singolare, questo prodigio celeste che è venuta a darmi luce e mi ha lasciato nel dubbio, mi ha fatto avere un biglietto dove dice molto tenera: «Se vi sentite l’ardire di venirmi ad incontrare, uscite stasera senza quel servo che vi accompagna; due uomini e una portantina vi attendono al cimitero di San Sebastián» – ben strano come posto! –. Ed era vero: son salito in portantina, e abbiam fatto tanto giri che ho perso l’orientamento; finché son sceso nell’atrio di una casa, pieno d’ansia, di stupore e di timore, solo e al buio. In questo posto una donna mi ha raggiunto – donna alla voce e all’aspetto – e a tentoni, sempre al buio, da una stanza all’altra, senza 181
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
sin oír, hablar ni ver, me guïó. Pero ya veo luz, por el resquicio es de una puerta. Tu deseo lograste, amor, pues ya ves la dama; aventuras leo.
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Acecha. ¡Qué casa tan alhajada! ¡Qué mujeres tan lucidas! ¡Qué sala tan adornada! ¡Qué damas tan bien prendidas! ¡Qué beldad tan estremada!
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Salen todas las mujeres con toallas y conservas y agua, y haciendo reverencia todas, sale doña Ángela ricamente vestida. DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ DOÑA ÁNGELA
DON MANUEL
(Pues presumen que eres ida a tu casa mis hermanos, quedándote aquí escondida, los recelos serán vanos porque, una vez recogida, ya no habrá que temer nada.) (Y ¿qué ha de ser mi papel?) (Agora el de mi crïada; luego el de ver, retirada, lo que me pasa con él.) ¿Estaréis muy disgustado de esperarme? No, señora; que quien espera al aurora bien sabe que su cuidado en las sombras sepultado de la noche obscura y fría ha de tener; y así hacía gusto el pesar que pasaba,
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vedere o sentire nulla, né parlare, mi ha condotto. Ma adesso dalla fessura della porta vedo luce. Amore, il tuo desiderio è esaudito, poiché vedi la dama; ecco un’avventura! Spia dalla fessura. Che casa ben messa! Che donne eleganti! Che sala lussuosa! Che bei vestiti e acconciature le dame! Che bellezza straordinaria! Entrano tutte le donne con asciugamani, frutta candita e acqua, e mentre tutte fanno una riverenza, viene avanti donna Angela riccamente vestita. DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ DONNA ANGELA
DON MANUEL
(Poiché i miei fratelli credono che tu sia tornata a casa, mentre stai nascosta qui, non preoccuparti: una volta che tutti saranno a letto non temeremo più nulla.) (E quale sarà il mio ruolo?) (Ora, quello di servirmi; poi, nascosta, di vedere che mi succede con lui). Vi sarà pesato molto aspettarmi? No, signora: colui che aspetta l’aurora sa bene che la sua ansia nelle ombre deve nascondere della notte oscura e fredda; così, per me era un piacere 183
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DOÑA ÁNGELA
pues, cuanto más se alargaba, tanto más llamaba al día. Si bien no era menester pasar noche tan obscura si el sol de vuestra hermosura me había de amanecer; que para resplandecer vos, soberano arrebol, la sombra ni el tornasol de la noche no os había de estorbar, que sois el día que amanece sobre el sol. Huye la noche, señora, y pasa, a la dulce salva de los pájaros, el alba, que ilumina, mas no dora; después del alba, la aurora, de rayos y luz escasa, dora, mas no abrasa; pasa la aurora, y tras su arrebol pasa el sol; y sólo el sol dora, ilumina y abrasa. El alba, para brillar, quiso a la noche seguir; la aurora, para lucir, al alba quiso imitar; el sol, deidad singular, a la aurora desafía; vos al sol; luego la fría noche no era menester, si podéis amanecer, sol del sol, después del día. Aunque agradecer debiera discurso tan cortesano, quejarme quiero – no en vano – de ofensa tan lisonjera,
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il disagio che provavo, perché, quanto più durava, tanto più annunciava il giorno. Però non c’era bisogno di una notte così buia prima che sorgesse il sole della beltà vostra; infatti perché splenda la sovrana maestà della vostra luce non serve l’ombra notturna né il suo violaceo colore, ché siete il giorno che albeggia più chiaro del sole stesso. Fugge la notte, signora, e si fa avanti, alla dolce salva degli uccelli, l’alba, che illumina, ma non d’oro; all’alba segue l’aurora scarsa di raggi e di luce, che indora senza bruciare; dopo il rosso dell’aurora spunta il sole, e solo il sole indora, illumina e brucia. L’alba, per poter brillare, deve seguire la notte; l’aurora, per risaltare, è bene che imiti l’alba; il sole, unico e divino, sfida l’aurora; voi il sole; dunque non c’era bisogno della fredda notte, se potete sorgere, sole del sole, anche a giorno fatto. Anche se dovrei esser grata di tanta galanteria, voglio invece protestare per l’offesa che nascondono 185
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DON MANUEL
DOÑA ÁNGELA DON MANUEL
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pues no siendo ésta la esfera a cuyo noble ardimiento fatigas padece el viento, sino un albergue piadoso, os viene a hacer sospechoso el mismo encarecimiento. No soy alba, pues la risa me falta en contento tanto; ni aurora, pues que mi llanto de mi dolor no os avisa; no soy sol, pues no divisa mi luz la verdad que adoro; y así lo que soy ignoro, que sólo sé que no soy alba, aurora o sol, pues hoy ni alumbro, río ni lloro. Y así os ruego que digáis, señor don Manuel, de mí, que una mujer soy y fui a quien vos solo obligáis al estremo que miráis. Muy poco debe de ser, pues, aunque me llego a ver aquí, os pudiera argüir que tengo más que sentir, señora, que agradecer; y así me doy por sentido. ¿Vos de mí sentido? Sí, pues que no fïáis de mí quién sois. Solamente os pido que eso no mandéis, que ha sido imposible de contar.
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le vostre lusinghe, in quanto non è la sfera del sole questa, il cui nobile ardore muove di continuo i venti, ma solo un umile ostello, e questo rende sospetti tutti i vostri paragoni. Non sono l’alba, ed infatti non rido, anche se felice; né l’aurora, ché non piango a mostrarvi il mio dolore; né il sole, ché la mia luce non arriva a illuminare la verità che amo; quindi ignoro che cosa sono, so soltanto che non sono né alba, né aurora, né sole ed infatti non illumino, non rido e nemmeno piango. Quindi, signor don Manuel, vi prego, dite di me che sono una donna che voi solo avete costretto agli eccessi che vedete. Eccessi? Molto modesti, perché, anche se son qui, potrei dirvi che ho motivi più per esser risentito che grato, signora. Voi risentito con me? Sì, perché non volete dirmi chi siete. Vi chiedo solo di non ordinarmi questo, che non ve lo posso dire. 187
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Si queréis venirme a hablar con condición ha de ser que no lo habéis de saber ni lo habéis de preguntar; porque para con vos hoy una enigma a ser me ofrezco, que ni soy lo que parezco ni parezco lo que soy. Mientras encubierta estoy podréis verme y podré veros; porque si a satisfaceros llegáis y quién soy sabéis, vos quererme no querréis aunque yo quiera quereros. Pincel que lo muerto informa tal vez un cuadro previene que una forma a una luz tiene y a otra luz tiene otra forma. Amor, que es pintor, conforma dos luces que en mí tenéis: si hoy a aquesta luz me veis y por eso me estimáis, cuando a otra luz me veáis quizá me aborreceréis. Lo que deciros me importa es en cuanto a haber creído que de don Luis dama he sido, y esta sospecha reporta mi juramento y la acorta. Pues ¿qué, señora, os moviera a encubriros dél? Pudiera ser tan principal mujer que tuviera qué perder si don Luis me conociera.
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Se volete venir qui dev’essere a questo patto, che non dovrete saperlo né lo dovrete mai chiedere; io con voi oggi mi propongo di essere come un enigma, che non sono quel che sembro né sembro quello che sono. Finché non lo scoprirete potremo incontrarci; se verrete invece a sapere chi sono, voi non vorrete amarmi più, anche se io vorrò continuare a amarvi. Il pennello che dà vita agli oggetti inanimati a volte dipinge un quadro che ha due soggetti diversi secondo come si guarda. Amore, che è anche pittore, combina in me due soggetti: se oggi vi piaccio perché mi guardate in certo modo, cambiate punto di vista e forse mi aborrirete. Quello che mi preme dirvi riguarda la vostra idea che io sia dama di don Luis: il sospetto cancellate, vi giuro che non è vero. E allora per che motivo lo sfuggivate? Potrei esser donna tanto nobile da avere molto da perdere ad esser riconosciuta.
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Pues decidme solamente: ¿cómo a mi casa pasáis? Ni eso es tiempo que sepáis, que es el mismo inconveniente. (Aquí entro yo lindamente.) Ya el agua y dulce está aquí; Vuexcelencia mire si...
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Lleguen todas con toallas, vidro y algunas cajas. DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ DON MANUEL
¡Qué error y qué impertinencia! Necia, ¿quién es «Excelencia»? ¿Quieres engañar así al señor don Manüel, para que con eso crea que yo gran señora sea? Advierte... (De mi crüel duda salí con aquel descuido: agora he creído que una gran señora ha sido que, por serlo, se encubrió y que con el oro vio su secreto conseguido.)
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Llama dentro don Juan, y túrbanse todas. DON JUAN DOÑA ÁNGELA ISABEL DOÑA BEATRIZ DON MANUEL
DOÑA ÁNGELA DON MANUEL DOÑA ÁNGELA
Abre aquí, abre esta puerta. ¡Ay cielos! ¿Qué ruido es éste? (Yo soy muerta.) (Helada estoy.) (¿Aún no cesan mis crueles fortunas? ¡Válgame el cielo!) Señor, mi esposo es aquéste. ¿Qué he de hacer? Fuerza es que os vais a esconderos a un retrete.
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Almeno ditemi come fate ad entrare da me. Neanche questo posso dirvi, e per lo stesso motivo. (E adesso intervengo io). Ecco qui l’acqua ed il dolce; Vostra Eccellenza ci dica...
Si avvicinano tutte con asciugamani, bicchieri e alcune scatole di canditi. DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ DON MANUEL
Che sbadata inopportuna! Sciocca, chi è l’«Eccellenza»? Volevi forse ingannare così il signor don Manuel perché credesse con questo che sono una gran signora? Guarda... (Dai miei crudeli dubbi questa sbadataggine mi tira fuori: ora credo che è proprio una gran signora, che per questo si nasconde, e ha potuto mantenere il segreto grazie ai soldi.)
Da fuori, bussa alla porta don Juan, e tutte si turbano. DON JUAN DONNA ANGELA ISABEL DONNA BEATRIZ DON MANUEL
DONNA ANGELA DON MANUEL DONNA ANGELA
Apri, apri questa porta. Cielo! Che è questo rumore? (Son morta.) (Sono di ghiaccio.) (Ancora non è finita la sfortuna? Dio mi assista!) Signore, questo è il mio sposo. Che devo fare? Per forza dovete andare a nascondervi. 191
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Isabel, llévale tú hasta que oculto le dejes en aquel cuarto que sabes apartado... ya me entiendes. Vamos presto. Vase.
DON JUAN
DON MANUEL
¿No acabáis de abrir la puerta? Valedme, cielos, que vida y honor van jugadas a una suerte.
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Vase. DON JUAN DOÑA ÁNGELA
La puerta echaré en el suelo. Retírate tú, pues puedes, en esa cuadra, Beatriz: no te hallen aquí.
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Sale don Juan.
DON JUAN
DOÑA ÁNGELA
DON JUAN
¿Qué quieres a estas horas en mi cuarto, que así a alborotarnos vienes? Respóndeme tú primero, Ángela: ¿qué traje es ése? De mis penas y tristezas es causa el mirarme siempre llena de luto, y vestíme, por ver si hay con qué me alegre, estas galas. No lo dudo, que tristezas de mujeres bien con galas se remedian, bien con joyas convalecen;
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ISABEL
Isabel, guidalo tu, fino a lasciarlo al sicuro in quella stanza che sai lontana... tu mi capisci. Andiamo. Esce.
DON JUAN
DON MANUEL
Quanto ci vuole ad aprir la porta? Cieli, soccorso, che vita e onore me li gioco in una mossa. Se ne va.
DON JUAN DONNA ANGELA
Ora butto giù la porta. Tu che puoi, Beatriz, nasconditi nella stanza accanto: è meglio che non ti trovino qui. Entra don Juan.
DON JUAN
DONNA ANGELA
DON JUAN
Che cerchi nelle mie stanze a quest’ora della notte e con tutto questo scandalo? Rispondimi prima tu, Angela, che è quel vestito? Delle mie pene e tristezze è causa l’essere sempre a lutto, e così ho indossato, per veder di rallegrarmi, questi ornamenti. Sicuro: le tristezze femminili sanano con gli ornamenti, si curano coi gioielli; 193
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DOÑA ÁNGELA
DON JUAN
DOÑA ÁNGELA
DON JUAN
si bien me parece que es un cuidado impertinente. ¿Qué importa que así me vista donde nadie llegue a verme? Dime, ¿volvióse Beatriz a su casa? Y cuerdamente su padre, por mejor medio, en paz su enojo convierte. Yo no quise saber más, para ir a ver si pudiese verla y hablarla esta noche. Quédate con Dios, y advierte que ya no es tuyo ese traje.
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Vase. DOÑA ÁNGELA
Vaya Dios contigo, y vete. Sale Beatriz.
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
Cierra esa puerta, Beatriz. ¡Bien hemos salido deste susto: a buscarme tu hermano va! Ya hasta que se sosiegue más la casa y don Manuel vuelva de su cuarto a verme, para ser menos sentidas entremos a este retrete. Si esto te sucede bien te llaman la dama duende.
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[Vanse.]
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DONNA ANGELA
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DONNA ANGELA
DON JUAN
anche se mi sembra questa premura poco opportuna. Cosa importa che io mi agghindi se qui nessuno mi vede? Dimmi, Beatriz è tornata a casa sua? Saggiamente suo padre ha visto che è meglio far pace e deporre l’ira. Volevo sapere questo, per andar da lei e vedere di vederla e di parlarle. Resta con Dio, e ricorda che questi ricchi vestiti non ti si addicono più. Se ne va.
DONNA ANGELA
Vai, vai, che Dio ti accompagni. Rientra Beatriz.
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
Chiudi la porta, Beatriz. Siamo uscite proprio bene da questo impiccio! A cercarmi va tuo fratello! E noi adesso per farci sentire meno, finché tutti vanno a letto e in attesa che ritorni don Manuel dalle sue stanze, entriamo in questo tinello. Se tutto va a finir bene sarai la dama folletto. [Escono.]
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Salen por el alacena don Manuel y Isabel. ISABEL
DON MANUEL ISABEL
Aquí has de quedarte, y mira que no hagas ruido, que pueden sentirte. Un mármol seré. Quieran los cielos que acierte a cerrar, que estoy turbada.
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Vase. DON MANUEL
¡Oh a cuánto, cielos, se atreve quien se atreve a entrar en parte donde ni alcanza ni entiende qué daños se le aperciben, qué riesgos se le previenen! Venme aquí a mí en una casa que dueño tan noble tiene que es Excelencia a lo menos, lleno de asombros crüeles y tan lejos de la mía. Pero, ¿qué es esto? Parece que a esta parte alguna puerta abren; sí, y ha entrado gente.
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Sale Cosme. COSME
Gracias a Dios que esta noche entrar podré libremente en mi aposento, sin miedo, aunque sin luz salga y entre; porque el duende mi señor, puesto que a mi amo tiene, ¿para qué me quiere a mí? Pero para algo me quiere.
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Entrano, passando dalla credenza, don Manuel e Isabel. ISABEL
DON MANUEL
ISABEL
Rimani qui, e stai attento a non far rumore, che posson sentirti. Di marmo sarò. Sono assai turbata, spero di riuscire a chiudere. Se ne va.
DON MANUEL
Quanto arrischia, santo cielo, chi si arrischia a entrare dove né immagina né capisce che mali gli si preparano, a quali rischi va incontro! Eccomi qui in una casa che ha un padrone così nobile che è addirittura Eccellenza; lontano dalla mia, e vittima di soprassalti crudeli. Ma che succede? Mi pare che qualcuno apra la porta; sì, ed è entrata una persona. Entra Cosme.
COSME
Grazie a Dio che questa notte posso entrare a cuor leggero in stanza, senza paura, anche se sto senza luce; perché il mio signor folletto, che ha già con sé il mio padrone, perché dovrebbe cercarmi? Ma per qualcosa mi cerca.
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Topa con don Manuel.
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DON MANUEL COSME
DON MANUEL
¿Quién va? ¿Quién es? Calle, digo, quienquiera que es, si no quiere que le mate a puñaladas. No hablaré más que un pariente pobre en la casa del rico. (Crïado sin duda es éste que acaso ha entrado hasta aquí. Dél informarme conviene dónde estoy.) Di, ¿qué casa es ésta? ¿Y qué dueño tiene? Señor, el dueño y la casa son el diablo que me lleve, porque aquí vive una dama que llaman la dama duende, que es un demonio en figura de mujer. Y tú ¿quién eres? Soy un fámulo, un crïado, soy un súbdito, un sirviente que sin qué ni para qué estos encantos padece. ¿Y quién es tu amo? Es un loco, un impertinente, un tonto, un simple, un menguado que por tal dama se pierde. ¿Y es su nombre? Don Manuel Enríquez. ¡Jesús mil veces! Yo Cosme Catiboratos me llamo. Cosme, ¿tú eres? Pues ¿cómo has entrado aquí?
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Si scontra con don Manuel. Chi va là? Chi c’è? DON MANUEL
COSME
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DON MANUEL COSME
DON MANUEL COSME
DON MANUEL COSME
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Stia zitto, chiunque sia, se non vuole che lo uccida a pugnalate. Tacerò come un parente povero a casa del ricco. (Questo è senz’altro un domestico che per caso è entrato qui. A lui mi conviene chiedere dove sono). Di’, che casa è questa? Chi è il padrone? Signore, padrone e casa il diavolo se li porti, perché qui vive una dama detta la dama folletto, che è un demonio dalla forma di donna. E tu, chi sei? Sono un famiglio, un domestico, un suddito, un servitore che senza nessun motivo subisce questi incantesimi. E chi è il tuo padrone? È uno stolto, un imprudente, uno sciocco, un imbecille, che muore per questa dama. E si chiama? Don Manuel Enríquez. Gesummaria! Io, Cosme Catiboratos mi chiamo. Cosme, sei tu? Ma come hai fatto a entrar qui? 199
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
COSME
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COSME
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COSME
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Tu señor soy: dime, ¿vienes siguiéndome tras la silla? ¿Entraste tras mí a esconderte también en este aposento? ¡Lindo desenfado es ése! Dime: ¿cómo estás aquí? ¿No te fuiste muy valiente, solo, donde te esperaban? Pues ¿cómo tan presto vuelves? Y ¿cómo, en fin, has entrado aquí, trayendo yo siempre la llave de aqueste cuarto? Pues dime, ¿qué cuarto es éste? El tuyo, o el del demonio. ¡Viven los cielos que mientes! Porque lejos de mi casa y en casa bien diferente estaba en aqueste instante. Pues cosas serán del duende sin duda, porque te he dicho la verdad pura. ¡Tú quieres que pierda el juïcio! ¿Hay más de desengañarte? Vete por esa puerta y saldrás al portal, adonde puedes desengañarte. Bien dices: iré a examinarle y verle.
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Vase. COSME
Señores, ¿cuándo saldremos de tanto embuste aparente?
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COSME
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DON MANUEL
COSME
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Sono il tuo padrone: dimmi, mi hai seguito? Sei entrato dietro di me in questa stanza per nasconderti anche tu? Ma che bella faccia tosta! Dimmi: com’è che sei qui? Non sei andato via da solo, impavido, dov’eri atteso? Perché sei già di ritorno? E poi, come hai fatto a entrare qui, se io ho sempre con me la chiave di questa stanza? Ma dimmi, che stanza è questa? La tua, o quella del diavolo. Vivaddio, tu stai mentendo! Lontano da questa casa e in un posto ben diverso stavo fino a poco fa. Sarà colpa del folletto allora, perché ti ho detto la pura verità. Vuoi farmi impazzire! Sincerati tu stesso. Esci dalla porta e ti troverai nell’atrio, così ti renderai conto di dove sei. Dici bene: ispezionerò e vedrò. Esce.
COSME
Signori, quando usciremo da tutti questi incantesimi?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
Sale Isabel por la alacena. ISABEL
COSME
ISABEL
COSME
(Volvióse a salir don Juan y, porque a saber no llegue don Manuel adónde está, sacarle de aquí conviene.) ¡Ce, señor, ce! (Esto es peor, ceáticas son estas ces.) Ya mi señor recogido queda. (¿Qué señor es éste?)
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Sale don Manuel. DON MANUEL ISABEL COSME ISABEL
DON MANUEL ISABEL COSME
Este es mi cuarto, en efeto. ¿Eres tú? Sí, yo soy. Vente conmigo. Tú dices bien. No hay qué temer, nada esperes. Señor, ¡que el duende me lleva!
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Llévale Isabel. DON MANUEL
¿No sabremos finalmente de dónde nace este engaño? ¿No respondes? ¡Qué necio eres! ¡Cosme, Cosme! ¡Vive el cielo!, que toco con las paredes. ¿Yo no hablaba aquí con él? ¿Dónde se desaparece tan presto? ¿No estaba aquí? Yo he de perder dignamente el juicio... Mas, pues es fuerza
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO
Entra Isabel passando dalla credenza. ISABEL
COSME
ISABEL COSME
(Don Juan se ne è andato via e, per evitare che don Manuel si renda conto di dove sta, è meglio farlo uscire. Shh, signore, shh!) (Di male in peggio! Alla sciatica somigliano questi shh!) Il signore se ne è andato. (Di che signore mi parla?) Rientra don Manuel.
DON MANUEL ISABEL COSME ISABEL
DON MANUEL ISABEL
COSME
Questa, è vero, è la mia stanza. Sei tu? Sì, son io. Vieni con me. Avevi ragione. Non c’è pericolo, e dunque non indugiare. Signore, il folletto mi rapisce! Isabel lo conduce via.
DON MANUEL
Non sapremo finalmente da dove nasce l’inganno? Non rispondi? Sei ben sciocco! Cosme, Cosme! Vivaddio, qui c’è il muro. Non parlavo qui con lui un attimo fa? Come ha fatto a scomparire tutto a un tratto, se era qui? Io finirò veramente per uscir di senno... Ma, 203
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
que aquí otro cualquiera entre, he de averiguar por dónde, porque tengo de esconderme en esta alcoba y estar esperando atentamente hasta averiguar quién es esta hermosa dama duende.
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Vase, y salen todas las mujeres, una con luces y otra con algunas cajas y otra con un vidrio de agua. DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA CRIADA
Pues a buscarte ha salido mi hermano y pues Isabel a su mismo cuarto ha ido a traer a don Manuel, esté todo apercebido: halle, cuando llegue aquí, la colación prevenida; todas le esperad así. No he visto en toda mi vida igual cuento. ¿Viene? Sí, que ya siento sus pisadas.
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Sale Isabel trayendo a Cosme de la mano. COSME
ISABEL
COSME
(Triste de mí, ¿dónde voy? Ya estas son burlas pesadas. Mas no, pues mirando estoy bellezas tan estremadas. Yo ¿soy Cosme o Amadís? ¿Soy Cosmico o Belianís?) Ya viene aquí; mas ¿qué veo? ¡Señor! (Ya mi engaño creo, pues tengo el alma en un tris.)
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poiché qualcuno per forza dovrà entrar qui prima o poi, io vedrò da dove entra, perché mi nasconderò nell’alcova, e aspetterò fino a scoprire chi è la bella dama folletto. Esce, ed entrano tutte le dame, una con un lume, un’altra con scatole di canditi e un’altra ancora con un bicchiere d’acqua. DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA DOMESTICA
Giacché mio fratello è uscito a cercarti, ed Isabel è andata nelle sue stanze a portar qui don Manuel, prepariamo tutto: trovi, quando arriverà da noi, già imbandita la merenda; aspettatelo così. Non ho mai visto una favola simile. Arriva? Sì, lo sento che si avvicina. Entra Isabel portando Cosme per mano.
COSME
ISABEL
COSME
(Povero me, dove sono? È un po’ troppo come scherzo. Ma no, visto che mi trovo tra bellezze sopraffine. Sono Cosme o Amadigi? Son Cosmino o Belianigi?) Eccolo qui; ma... che vedo? Signore! (Ora arriva il brutto, che ho l’anima appesa a un filo). 205
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
¿Qué es esto, Isabel? Señora, donde a don Manuel dejé, volviendo por él agora a su crïado encontré. DOÑA BEATRIZ Mal tu descuido se dora. ISABEL Está sin luz. DOÑA ÁNGELA ¡Ay de mí! ¡Todo está ya declarado! DOÑA BEATRIZ Más vale engañarle así. ¿Cosme? COSME Damiana. DOÑA BEATRIZ A este lado llegad. COSME Bien estoy aquí. DOÑA ÁNGELA Llegad, no tengáis temor. COSME Un hombre de mi valor, ¿temor? DOÑA ÁNGELA Pues ¿qué es no llegar? COSME (Ya no se puede excusar (Aparte, en tocando al pundonor.) y lléguese a ellas.) ¿Respeto no puede ser, sin ser espanto ni miedo? Porque al mismo Lucifer temerle muy poco puedo en hábito de mujer. Alguna vez lo intentó y, para el ardid que fragua, cota y nagua se vistió – que esto de cotilla y nagua el demonio lo inventó –. En forma de una doncella aseada, rica y bella a un pastor se apareció; y él, así como la vio, se encendió en amores della. Gozó a la diabla, y después, DOÑA ÁNGELA ISABEL
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DONNA ANGELA
Che hai fatto, Isabel?
Signora, dove ho lasciato il padrone son tornata, ed al suo posto ho trovato il servo. DONNA BEATRIZ Povera scusa alla tua sbadataggine. ISABEL La stanza è al buio. DONNA ANGELA Ahimè! Ora si scoprirà tutto! DONNA BEATRIZ Proviamo a ingannarlo. Cosme? COSME Damiana? DONNA BEATRIZ Venite qua. COSME Sto benissimo anche qui. DONNA ANGELA Su, non abbiate paura. COSME Un uomo della mia tempra, paura? DONNA ANGELA E allora venite. COSME (Non posso più farne a meno, (Tra sé avvicinandosi ne va di mezzo l’onore). alle dame) Non può essere rispetto, e non paura o timore? Perché lo stesso Lucifero, se travestito da donna, mi fa ben poca paura. Una volta ci provò, e, per riuscir nel suo intento, un corpetto e un guardinfante indossò – capi inventati non a caso dal demonio –. Sotto forma di donzella ricca, ben vestita e bella a un pastore si mostrò; lui, non appena la vide, si innamorò. Con la diavola ISABEL
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con su forma horrible y fea, le dijo a voces: «¿No ves, mísero de ti, cuál sea, desde el copete a los pies, la hermosura que has amado? Desespera, pues has sido agresor de tal pecado». Y él, menos arrepentido que antes de haberla gozado, le dijo: «Si pretendiste, ¡oh sombra fingida y vana!, que desesperase un triste, vente por acá mañana en la forma que trujiste: verásme amante y cortés no menos que antes, después, y aguardarte»; en testimonio de que aun horrible no es en traje de hembra un demonio. DOÑA ÁNGELA Volved en vos, y tomad una conserva y bebed, que los sustos causan sed. COSME Yo no la tengo. DOÑA BEATRIZ Llegad; que habéis de volver, mirad, docientas leguas de aquí. COSME Cielos, ¿qué oigo? DOÑA ÁNGELA ¿Llaman? DOÑA BEATRIZ Sí. ISABEL ¿Hay tormento más crüel? DOÑA ÁNGELA ¡Ay de mí triste! DON LUIS (Dentro) ¡Isabel! DOÑA BEATRIZ ¡Válgame el cielo! DON LUIS (Dentro) ¡Abre aquí! DOÑA ÁNGELA Para cada susto tengo un hermano. ISABEL ¡Trance fuerte!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO
DONNA ANGELA
COSME DONNA BEATRIZ
COSME DONNA ANGELA DONNA BEATRIZ ISABEL DONNA ANGELA DON LUIS
(Dentro)
DONNA BEATRIZ DON LUIS
(Dentro)
DONNA ANGELA
ISABEL
giacque, e quella, riacquistando la sua orribile bruttezza, gli gridò: «Povero te, non vedi come è in realtà la bellezza che hai goduto? Dispera, giacché hai commesso un peccato così grave». E lui, per niente pentito di quello che aveva fatto, le disse: «Se mai pensavi, ombra vana e menzognera, che disperassi, ritorna domani con quell’aspetto con cui oggi sei venuta; cortese ed innamorato mi vedrai com’ero prima; ti aspetto»; a riprova che non fa paura il demonio purché si vesta da donna. Tornate in voi, e mangiate un po’ di frutta e bevete, che il timore mette sete. Non ce l’ho. Venite qui; guardate che son duecento leghe per tornare indietro. Cielo, che sento? Han bussato? Sì. Che crudele tormento! Povera me! Isabel! Dio ci aiuti! Apri la porta! Per ogni fratello una paura. Stiam messe male! 209
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DOÑA BEATRIZ
Yo me escondo. Vase.
COSME
ISABEL COSME
Éste, sin duda, es el verdadero duende. Vente conmigo. Sí haré.
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Vanse. Sale don Luis. DOÑA ÁNGELA DON LUIS
DOÑA ÁNGELA DON LUIS
¿Qué es lo que en mi cuarto quieres? (Pesares míos me traen a estorbar otros placeres.) Vi, ya tarde, en ese cuarto una silla (donde vuelve Beatriz), y vi que mi hermano entró. Y en fin, ¿qué pretendes? Como pisa sobre el mío me pareció que había gente y, para desengañarme, todo he de mirarle y verle.
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Alza una antepuerta y topa con Beatriz.
DOÑA BEATRIZ
DON LUIS
Beatriz, ¿aquí estás? Aquí estoy, que hube de volverme porque al disgusto volvió mi padre, enojado siempre. Turbadas estáis las dos... ¿Qué notable estrago es éste de platos, dulces y vidrios?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DONNA BEATRIZ
Mi nascondo. Se ne va. Questo è il vero folletto, senza alcun dubbio. Vieni con me. Certamente.
COSME
ISABEL COSME
Se ne vanno. Entra don Luis. DONNA ANGELA DON LUIS
DONNA ANGELA DON LUIS
Che cerchi nelle mie stanze? (Dispiaceri miei mi portano a intralciar piaceri altrui). Ho visto, stasera tardi, là fuori una portantina (sarà servita a Beatriz per tornare) e mio fratello ho visto entrar qui. E allora? Stando io al piano di sotto mi è sembrato che ci fosse gente, e per veder se è vero ora controllerò tutto.
Scosta un tendaggio che copre una porta e sorprende Beatriz. Beatriz, sei qui? DONNA BEATRIZ
DON LUIS
Sono qui; sono dovuta tornare perché mio padre è tornato ad irritarsi con me. Siete tutte e due turbate... Cos’è questa profusione di piatti, dolci e bicchieri?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DOÑA ÁNGELA
¿Para qué informarte quieres de lo que, en estando a solas, se entretienen las mujeres? Hacen ruido en la alacena Isabel y Cosme.
DON LUIS DOÑA ÁNGELA DON LUIS
Y aquel ruido, ¿qué es? (Yo muero.) ¡Vive Dios!, que allí anda gente. (Ya no puede ser mi hermano quien se guarda de esta suerte.)
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Aparta la alacena para entrar con luz. ¡Ay de mí, cielos piadosos! Que, queriendo neciamente estorbar aquí los celos que amor en mi pecho enciende, celos de honor averiguo. Luz tomaré, aunque imprudente, pues todo se halla con luz y el honor con luz se pierde.
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Vase. DOÑA ÁNGELA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
¡Ay, Beatriz! ¡Perdidas somos si le topa! Si le tiene en su cuarto ya Isabel en vano dudas y temes, pues te asegura el secreto de la alacena. ¿Y si fuese tal mi desdicha que allí, con la turbación, no hubiese
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DONNA ANGELA
A che ti serve sapere come, quando son da sole, si intrattengono le donne?
Isabel e Cosme fanno rumore con la credenza. DON LUIS DONNA ANGELA DON LUIS
E che cos’è quel rumore? (Son morta). Lì c’è qualcuno. (Non può esser mio fratello se si nasconde così).
Sposta la credenza per uscire dal palcoscenico, con in mano un lume. Ahimè, oh cieli pietosi! Volendo stupidamente rimediar la gelosia che amore mi accende in petto, sospetti d’onore scopro. Prenderò un lume, anche se è da imprudenti, ché tutto si ritrova con la luce, l’onore invece si perde. Esce. DONNA ANGELA
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
Ahi, Beatriz! Siamo perdute se lo scopre! Se Isabel l’ha già fatto entrare in stanza non ha senso preoccuparsi, che ti assicura il segreto della credenza. E se fossi così sfortunata che, nel turbamento, Isabel
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
DOÑA BEATRIZ
DOÑA ÁNGELA
cerrado bien Isabel y él entrase allá? Ponerte en salvo será importante. De tu padre iré a valerme como él se valió de mí; porque, trocada la suerte, si a ti te trujo un pesar a mí otro pesar me lleve.
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Salen por el alacena Isabel y Cosme, y por otra parte don Manuel. ISABEL
Entra presto. Vase.
DON MANUEL
Ya otra vez en la cuadra siento gente. Sale don Luis con luz.
DON LUIS COSME DON LUIS
COSME
Yo vi un hombre ¡vive Dios! (Malo es esto.) ¿Cómo tienen desvïada esta alacena? (Ya se ve luz. Un bufete que he topado aquí, me valga.)
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Escóndese. DON MANUEL
Esto ha de ser de esta suerte. Echa mano.
DON LUIS
¡Don Manuel!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO
DONNA BEATRIZ
DONNA ANGELA
non avesse chiuso bene, e don Luis entrasse? Allora fai bene a metterti in salvo. Chiederò aiuto a tuo padre, come lui l’ha chiesto a me; così, mutate le sorti, se tu sei qui a casa mia per un cruccio, un altro cruccio mi porterà a casa tua.
Escono dalla credenza Isabel e Cosme, e don Manuel da un’altra porta. ISABEL
Entra presto. Se ne va.
DON MANUEL
Un’altra volta nella sala sento gente. Entra don Luis con un lume.
DON LUIS COSME DON LUIS
COSME
Ho visto un uomo, per Dio! (Brutta cosa!) Come mai questa credenza è spostata? (Vedo luce. Mi nascondo sotto questo tavolino.) Si nasconde.
DON MANUEL
Non si può fare altrimenti. Impugna la spada.
DON LUIS
Don Manuel!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DON MANUEL
COSME
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DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
¡Don Luis! ¿Qué es esto? ¿Quién vio confusión más fuerte? (¡Oigan por dónde se entró! Decirlo quise mil veces.) Mal caballero, villano, traidor, fementido huésped, que al honor de quien te estima, te ampara, te favorece, sin recato te aventuras y sin decoro te atreves: ¡esgrime ese infame acero! Sólo para defenderme le esgrimiré, tan confuso de oírte, escucharte y verte, de oírme, verme y escucharme, que, aunque a matarme te ofreces, no podrás, porque mi vida, hecha a prueba de crüeles fortunas, es inmortal; ni podrás, aunque lo intentes, darme la muerte, supuesto que el dolor no me da muerte; que, aunque eres valiente tú, es el dolor más valiente. No con razones me venzas, sino con obras. Deténte, sólo hasta pensar si puedo, don Lüís, satisfacerte. ¿Qué satisfaciones hay, si así agraviarme pretendes? Si en el cuarto de esa fiera por ese paso que tienes entras, ¿hay satisfaciones a tanto agravio?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DON MANUEL
COSME
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
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Don Luis! Dio mio! Che confusione incredibile! (Guardate da dove è entrato! Io volevo sempre dirlo.) Villano, non cavaliere, traditore, ospite indegno, che insidi senza pudore, senza decoro aggredisci l’onore di chi ti stima, ti accoglie e ti favorisce, sguaina quell’infame spada! Per difendermi soltanto la sguaino, così confuso di sentirti e di vederti e di vedermi e sentirmi che, anche se mi vorrai uccidere, non potrai, perché ho una vita immortale, tanto è a prova dei rovesci di fortuna; né potrai, anche se ci provi, darmi morte, visto che non me la dà il mio dolore; che è vero che tu sei forte, ma il dolore lo è di più. Non combattere a parole ma coi fatti. Aspetta ancora, don Luis, che voglio pensare se per caso posso darti soddisfazione. Ma quale soddisfazione è possibile, se mi offendi in questo modo? Se entravi per quel passaggio a trovar quell’efferata, che soddisfazione c’è a simile affronto? 217
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DON MANUEL
DON LUIS
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DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
Mil veces rompa esa espada mi pecho, don Lüís, si eternamente supe de esta puerta o supe que paso a otro cuarto tiene. Pues ¿qué haces aquí encerrado sin luz? (¿Qué he de responderle?) Un crïado espero. Cuando yo te he visto esconder, ¿quieres que mientan mis ojos? Sí, que ellos engaños padecen más que otro sentido. Y cuando los ojos mientan, ¿pretendes que también mienta el oído? También. Todos al fin mienten, tú solo dices verdad, y eres tú solo el que... ¡Tente! Porque aun antes que lo digas, que lo imagines y pienses, te habré quitado la vida. Y, ya arrestada la suerte, primero soy yo: perdonen de amistad honrosas leyes. Y pues ya es fuerza reñir, riñamos como se debe. Parte entre los dos la luz, que nos alumbre igualmente; cierra después esa puerta por donde entraste imprudente, mientras que yo cierro estotra;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
Mille volte con quella tua spada passami il petto, don Luis, se ho mai saputo che quella era una porta, e che dava ad altre stanze. Ed allora cosa fai qui dentro e al buio? (Che cosa posso rispondergli?) Aspetto un servo. Io ti ho visto che ti nascondevi, e vuoi che i miei occhi mentano? Sì, che essi, più di ogni altro senso, sono soggetti a ingannarsi. Se gli occhi mentono, vuoi che anche l’udito menta? Sì. Insomma, tutti mentono, sei solo tu a dire il vero, e solo tu invece... Taci! Che prima che tu lo dica, o anche solo che lo pensi, io ti avrò tolto la vita. Ed ormai che il dado è tratto, il mio onore viene prima: mi dispiace per le leggi valenti dell’amicizia. E poiché dobbiam combattere combattiamo come è giusto. Metti il lume in mezzo, in modo che faccia luce ad entrambi; richiudi poi quella porta da cui sei entrato, imprudente, mentre io chiudo quest’altra; 219
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA
DON LUIS
y agora en el suelo se eche la llave, para que salga el que con la vida quede. Yo cerraré la alacena por aquí con un bufete, porque no puedan abrirla por allá, cuando lo intenten.
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Topa con Cosme. COSME DON LUIS DON MANUEL
COSME DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
COSME
DON LUIS
(Descubrióse la tramoya.) ¿Quién está aquí? (Dura suerte es la mía.) No está nadie. Dime, don Manuel, ¿es éste el crïado que esperabas? Ya no es tiempo de hablar éste. Yo sé que tengo razón, cree de mí lo que quisieres, que, con la espada en la mano, sólo ha de vivir quien vence. ¡Ea, pues, reñid los dos! ¿Qué esperáis? Mucho me ofendes si eso presumes de mí. Pensando estoy qué ha de hacerse del crïado, porque echarle es envïar quien lo cuente, y tenerle aquí ventaja, pues es cierto ha de ponerse a mi lado. No haré tal, si es ése el inconveniente. Puerta tiene aquesa alcoba, y, como en ella se encierre, quedaremos más iguales.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO
DON LUIS
e adesso gettiamo a terra la chiave, che possa uscire chi dei due resterà in vita. Io chiuderò la credenza da qui con un tavolino, perché non possano aprirla quando proveranno a farlo. Scopre Cosme.
COSME DON LUIS DON MANUEL
COSME DON LUIS
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL
COSME
DON LUIS
(Ecco scoperto l’inghippo.) Chi c’è qui? (Che sorte avversa la mia!) Non c’è nessuno. Dimmi, don Manuel, è questo servo che stavi aspettando? Non è più tempo di chiacchiere. Io so di avere ragione, pensa di me quel che vuoi, che, con la spada nel pugno, vivrà solo il vincitore. Su, allora, combattete! Che aspettate? Tu mi offendi se pensi questo di me. Sto pensando come fare col servo, ché farlo uscire equivale a dirlo in giro, e tenerlo qui un vantaggio, che di certo si porrà al mio fianco. Se il problema è questo, non lo farò. Ha una porta quell’alcova e, se lo chiudiamo lì, saremo del tutto pari. 221
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DON MANUEL COSME
Dices bien. Entra a esconderte. Para que yo riña haced diligencias tan urgentes, que, para que yo no riña, cuidado escusado es éste.
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Vase. DON MANUEL
Ya estamos solos los dos. Riñen.
DON LUIS DON MANUEL DON LUIS
Pues nuestro duelo comience. (¡No vi más templado pulso!) (¡No vi pujanza más fuerte!)
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Desguarnécese la espada.
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
¡Sin armas estoy! Mi espada se desarma y desguarnece. No es defecto del valor, de la fortuna accidente sí; busca otra espada, pues. Eres cortés y valiente. (Fortuna, ¿qué debo hacer en una ocasión tan fuerte, pues, cuando el honor me quita, me da la vida y me vence? Yo he de buscar ocasión, verdadera o aparente, para que pueda en tal duda pensar lo que debe hacerse.) ¿No vas por la espada? Sí, y, como a que venga esperes, presto volveré con ella. Presto o tarde, aquí estoy siempre.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DON MANUEL COSME
Dici bene. Entra a nasconderti. Se volete che io combatta ha senso ingegnarsi tanto, ma, per non farmi combattere, è superfluo questo zelo. Se ne va.
DON MANUEL
Ora siam solo noi due. Duellano.
DON LUIS DON MANUEL DON LUIS
Allora iniziamo il duello. (Che mano ferma e che polso!) (Che capacità d’attacco!) Gli si rompe l’elsa della spada.
DON MANUEL
DON LUIS
DON MANUEL DON LUIS
DON MANUEL
Sono senz’armi! La spada ha perso elsa e protezione. Non ne ha colpa il tuo coraggio, solo la sfortuna; vai dunque, e cerca un’altra spada. Sei cortese e coraggioso. (Fortuna, che debbo fare in questo caso difficile, poiché mi toglie l’onore ma mi dà la vita e vince? Vedrò di trovare il modo, davvero o con una scusa, di riflettere su cosa fare per sciogliere il dubbio.) Non vai a prendere la spada? Sì, e se tu mi aspetti qui sarò presto di ritorno. Presto o tardi, qui rimango.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DON LUIS
Adiós, don Manuel, que os guarde.
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Vase. DON MANUEL
Adiós, que con bien os lleve. Cierro la puerta y la llave quito, porque no se eche de ver que está gente aquí. ¡Qué confusos pareceres mi pensamiento combaten y mi discurso revuelven! ¡Qué bien predije que había puerta que paso la hiciese y que era de don Luis dama! Todo en efeto sucede como yo lo imaginé; mas ¿cuándo desdichas mienten?
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Asómase Cosme en lo alto. COSME
DON MANUEL
¡Ah señor! Por vida tuya, que lo que solo estuvieres me eches allá, porque temo que venga a buscarme el duende con sus dares y tomares, con sus dimes y diretes, en un retrete que apenas se divisan las paredes. Yo te abriré, porque estoy tan rendido a los desdenes del discurso que no hay cosa que más me atormente.
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Vase, y salen don Juan y Ángela con manto y sin chapines. DON JUAN
Aquí quedarás, en tanto que me informe y me aconseje
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DON LUIS
Don Manuel, Dio vi protegga. Se ne va.
DON MANUEL
E voi, che Dio vi accompagni. Chiudo la porta e la chiave tolgo, così non si vede che qui dentro c’è qualcuno. Quanti confusi pareri lottano coi miei pensieri e agitano la mia mente! Avevo ragione a credere che passava da una porta e che era l’innamorata di don Luis! Tutto succede come avevo immaginato; d’altronde la malasorte quando mai arriva a smentirsi? Cosme si affaccia al piano alto.
COSME
DON MANUEL
Ehi signore! Te ne prego, finché rimarrai da solo fammi uscire, perché temo che il folletto venga a prendermi, con tutti i suoi parapiglia, con tutti i suoi battibecchi, in questo stanzino buio che appena distinguo i muri. Ti apro, che la gran stanchezza di rimuginare invano è per me il peggior tormento.
Esce, ed entrano don Juan e Angela, con mantello e senza scarpe. DON JUAN
Rimarrai qui, mentre io mi informerò del motivo 225
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de la causa que a estas horas te ha sacado de esta suerte de casa; porque no quiero que en tu cuarto, ingrata, entres, por informarme sin ti de lo que a ti te sucede. (De don Manuel en el cuarto la dejo y, por si él viniere, pondré a la puerta un crïado que le diga que no entre.)
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Vase. DOÑA ÁNGELA
¡Ay, infelice de mí! Unas a otras suceden mis desdichas: muerta soy.
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Salen don Manuel y Cosme. COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
DOÑA ÁNGELA
Salgamos presto. ¿Qué temes? Que es demonio esta mujer y que aun allí no me deje. Si ya sabemos quién es, y en una puerta un bufete y en otra la llave está, ¿por dónde quieres que entre? Por donde se le antojare. Necio estás. ¡Jesús mil veces! ¿Por qué es eso? El verbi gratia encaja aquí lindamente. ¿Eres ilusión o sombra, mujer, que a matarme vienes? Pues ¿cómo has entrado aquí? Don Manuel...
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che ti ha portato ad uscire di casa a quest’ora; voglio informarmene in tua assenza, ingrata, e non voglio quindi che entri nelle tue stanze finché non so che ti càpita. (Qui in stanza di don Manuel la lascio; fuori, alla porta, metto un servo che gli dica di non entrare, se torna.) Se ne va. DONNA ANGELA
Infelice me! Son morta: la sventura mi perseguita. Entrano don Manuel e Cosme.
COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
COSME DON MANUEL COSME DON MANUEL COSME
DON MANUEL
DONNA ANGELA
Usciamo, su! Cosa temi? Che quella donna demonio neanche lì mi lasci in pace. Se ormai sappiamo chi è, e una delle porte è chiusa da un tavolo, e l’altra a chiave, da dove vuoi tu che entri? Da dove le verrà in mente. Sei sciocco. Gesummaria! Che c’è? Il lupus in fabula qui viene proprio a proposito. Sei un fantasma, sei uno spirito, donna, che vieni ad uccidermi? Come hai fatto a entrare qui? Don Manuel...
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA DON MANUEL DOÑA ÁNGELA
Di. ...escucha, atiende. Llamó don Luis turbado, entró atrevido, reportóse osado, prevínose prudente, pensó discreto y resistió valiente, miró la casa ciego, recorrióla advertido, hallóte, y luego ruido de cuchilladas habló, siendo las lenguas las espadas. Yo, viendo que era fuerza que dos hombres cerrados, a quien fuerza su valor y su agravio – retórico el acero, mudo el labio –, no acaben de otra suerte que con sólo una vida y una muerte, sin ser, vida ni alma mi casa dejo y a la obscura calma de la tiniebla fría, pálida imagen de la dicha mía, a caminar empiezo. Aquí yerro, aquí caigo, aquí tropiezo, y torpes mis sentidos prisión hallan de seda mis vestidos; sola, triste y turbada llego, de mi discurso mal guïada, al umbral de una esfera que fue mi cárcel, cuando ser debiera mi puerto o mi sagrado; mas ¿dónde le ha de hallar un desdichado? Estaba a sus umbrales – ¡cómo eslabona el cielo nuestros males! – don Juan, don Juan mi hermano; que ya resisto, ya defiendo en vano decir quién soy, supuesto que el haberlo callado nos ha puesto en riesgo tan estraño.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO DON MANUEL DONNA ANGELA
Di’. Stai a sentire. Bussò don Luis turbato, entrò audace, e animoso si trattenne, immaginò prudente, rifletté saggio e insisté coraggioso, guardò in giro accecato, perlustrò casa attento, ti trovò, e un rumor di fendenti parlò, non con la lingua, con la spada. Io, comprendendo che era inevitabile che due uomini chiusi in una stanza costretti dal coraggio e dall’affronto – retorica la lama, muto il labbro – finiscano soltanto con una vita, e la morte dell’altro, senz’anima né vita abbandono la casa e nell’angoscia delle tenebre fredde, delle disgrazie mie pallida immagine, a camminare inizio. E sbaglio, e cado, e metto il piede in fallo, e ai miei sensi impacciati una prigione di seta si rivelano i vestiti; sola, triste e turbata giungo, dal mio pensier mal consigliata, alla soglia di un mondo, che per me fu prigione, quando avrebbe dovuto esser porto o rifugio; ma dove mai li trova un disgraziato? Lì sulla soglia stava – come inanella il cielo i nostri mali! – don Juan, sì, mio fratello; che ormai non serve più che io mi rifiuti di dir chi sono, visto che l’averlo taciuto ci ha condotto a un rischio così insolito. 229
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¿Quién creerá que el callar me ha hecho daño, siendo mujer? Y es cierto, siendo mujer, que por callar me he muerto. En fin, él esperando a esta puerta estaba – ¡ay cielo! – cuando 2950 yo a sus umbrales llego hecha Volcán de nieve, Alpe de fuego; él, a la luz escasa con que la luna mansamente abrasa, vio brillar los adornos de mi pecho 2955 – no es la primer traición que nos han hecho – y escuchó de las ropas el rüido – no es la primera que nos han vendido –; pensó que era su dama y llegó, mariposa de su llama, 2960 para abrasarse en ella, y hallóme a mí por sombra de su estrella. ¿Quién de un galán creyera que, buscando sus celos, conociera tan contrarios los cielos 2965 que ya se contentara con sus celos? Quiso hablarme y no pudo, que siempre ha sido el sentimiento mudo; en fin, en tristes voces que, mal formadas, anegó veloces 2970 desde la lengua al labio, la causa solicita de su agravio. Yo responderle intento – ya he dicho cómo es mudo el sentimiento –, y aunque quise no pude, 2975 que mal al miedo la razón acude; si bien busqué colores a mi culpa, mas, cuando anda a buscarse la disculpa y tarde o nunca llega, más el delito afirma que le niega. 2980 «Ven – dijo – hermana fiera, de nuestro antiguo honor mancha primera, 230
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Chi crederà che sono danneggiata, essendo donna, dall’aver taciuto? Eppure è vero che il tacer mi ha ucciso. Insomma, lui attendeva a quella porta – oh cielo! – quando io arrivo lì, mutata in Vulcano di neve e Alpe di fuoco; ed alla luce scarsa con cui la luna debolmente brucia, vede brillare gli ori sul mio petto – non è la prima volta che tradiscono – percepisce il frusciare dei vestiti – non è la prima volta che ci vendono –; pensa sia la sua amata e si avvicina, come la farfalla, a bruciarsi alla fiamma, trovando me invece della sua stella. Possibile mai che un innamorato, per dissipare i sospetti gelosi, scopra che il cielo gli si volta contro al punto da rimpianger quel sospetto? Tentò senza riuscirci di parlarmi, perché il dolore è sempre stato muto; finché, con tristi accenti che, strozzati e impetuosi, riusciva a malapena a articolare, mi chiede perché mai lo sto offendendo. Io tento di rispondergli – ho detto già come il dolore è muto –, pur volendo non riesco, che la paura blocca la parola; cercavo sì una scusa alla mia colpa, ma quando si va in cerca di discolpa e la si trova tardi o mai, il delitto più che negarlo, lo si ribadisce. «Vieni, mi disse, sorella malvagia, prima macchia del nostro antico onore, 231
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dejaréte encerrada donde segura estés y retirada hasta que, cuerdo y sabio, de la ocasión me informe de mi agravio». Entré donde los cielos mejoraron, con verte, mis desvelos. Por haberte querido fingida sombra de mi casa he sido; por haberte estimado sepulcro vivo fui de mi cuidado; porque no te quisiera quien el respeto a tu valor perdiera, porque no te estimara quien su traición dijera cara a cara. Mi intento fue el quererte, mi fin amarte, mi temor perderte, mi miedo asegurarte, mi vida obedecerte, mi alma amarte, mi deseo servirte y mi llanto, en efeto, persuadirte que mi daño repares, que me valgas, me ayudes y me ampares. (¡Hidras parecen las desdichas mías al renacer de sus cenizas frías! ¿Qué haré en tan ciego abismo, humano laberinto de mí mismo? Hermana es de don Luis, cuando creía que era dama. Si tanto – ¡ay Dios! – sentía ofendelle en el gusto, ¿qué será en el honor? ¡Tormento injusto! Su hermana es; si pretendo libralla, y con mi sangre la defiendo remitiendo a mi acero su disculpa, es ya mayor mi culpa, pues es decir que he sido traidor y que a su casa he ofendido,
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DON MANUEL
ti rinchiuderò dove potrai stare sicura ed isolata finché, saggio e prudente, mi informo della causa del mio affronto». Entro qui e ci sei tu, grazie al cielo che allevia un po’ i miei affanni. È per averti amato che mi son finta spettro in casa mia; per averti stimato che i sentimenti che provo ho taciuto; che non ti avrebbe amato chi non avesse portato rispetto al tuo coraggio, e chi ti avesse detto in faccia il proprio inganno non ti avrebbe stimato. La mia meta e il mio fine è stato amarti, il mio timore perderti, la mia paura darti sicurezza, la mia vita ubbidirti, la mia anima amarti, il desiderio mio servirti, ed il mio pianto, infine, persuaderti a riparare il danno, proteggermi, difendermi e aiutarmi. (Sembrano idre le sventure mie che dalle loro ceneri rinascono! Che farò in quest’abisso senza luce, umano labirinto di me stesso? Sorella è di don Luis, e io la credevo la sua dama. Se tanto mi spiaceva offenderlo in amore, quanto più nell’onore averlo offeso! È sua sorella; se la salvo e la difendo col mio sangue la sua discolpa fidando alla spada, si accresce la mia colpa perché equivale a dire che l’ho tradito e la sua casa ho offeso, 233
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COSME DON MANUEL
DOÑA ÁNGELA DON MANUEL
pues en ella me halla. Pues querer disculparme con culpalla es decir que ella tiene la culpa, y a mi honor no le conviene. Pues ¿qué es lo que pretendo? Si es hacerme traidor si la defiendo; si la dejo, villano; si la guardo, mal huésped; inhumano si a su hermano la entrego; soy mal amigo si a guardarla llego; ingrato, si la libro, a un noble trato y, si la dejo, a un noble amor ingrato. Pues de cualquier manera mal puesto he de quedar, matando muera.) No receles, señora, noble soy, y conmigo estás agora. La puerta abren. Nada temas, pues que mi valor te guarda. Mi hermano es. Segura estás: ponte luego a mis espaldas.
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Sale don Luis. DON LUIS
Ya vuelvo... Pero ¿qué miro? ¡Traidora! Amenázala.
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¡Tened la espada, señor don Luis! Yo os he estado esperando en esta sala desde que os fuisteis, y aquí – sin saber cómo – esta dama entró, que es hermana vuestra, según dice; que palabra
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COSME DON MANUEL
DONNA ANGELA DON MANUEL
poiché qui mi ha sorpreso. D’altra parte, accusarla per scolparmi è dare a lei la colpa, e neanche questo sta bene al mio onore. E allora, cosa fare? A difenderla, sono un traditore; a lasciarla, un villano; a proteggerla sono ospite indegno; crudele a consegnarla a suo fratello; cattivo amico a proteggerla; ingrato, se la salvo, a una nobile amicizia, se l’abbandono, ad un amore nobile. E poiché in ogni modo faccio male, moriamo combattendo.) Non temere, signora, sono nobile, ed ora stai al mio fianco. La porta aprono. Tranquilla, ti protegge il mio valore. Mio fratello. Sta’ sicura: mettiti dietro di me. Entra don Luis.
DON LUIS
Eccomi, sono tornato... Ma che vedo? Traditrice! La minaccia.
DON MANUEL
State fermo con la spada don Luis! Mentre vi aspettavo in questa sala, qui è entrata, non so come, questa dama che è vostra sorella, dice; e vi do la mia parola
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DON LUIS
os doy, como caballero, que no la conozco; y basta decir que, engañado, pude, sin saber a quién, hablarla. Yo la he de poner en salvo a riesgo de vida y alma; de suerte que nuestro duelo, que había a puerta cerrada de acabarse entre los dos, a ser escándalo pasa de todo el lugar, si aquí no me hacéis la puerta franca. En habiéndola librado yo volveré a la demanda de nuestra pendencia; y pues en quien sustenta su fama espada y honor han sido armas de más importancia, dejadme ir vos por honor, pues yo os dejé ir por espada. Yo fui por ella, mas sólo para volver a postrarla a vuestros pies; y, cumpliendo con la obligación pasada en que entonces me pusisteis, pues que me dais nueva causa puedo ya reñir de nuevo. Esa mujer es mi hermana; no la ha de llevar ninguno, a mis ojos, de su casa, sin ser su marido. Así, si os empeñáis a llevarla, con la mano podrá ser,
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DON LUIS
di cavaliere, che non la conosco; basti dire che, tratto in inganno, le ho parlato, senza sapere chi fosse davvero. Ora io devo metterla in salvo a prezzo della mia vita; di modo che il nostro duello, che doveva a porte chiuse concludersi fra noi due, diventerà del quartiere scandalo, se non mi fate uscire liberamente. Quando l’avrò messa in salvo tornerò a prendere parte al nostro duello; e poiché per chi ha a cuore il proprio nome spada e onore son le armi che hanno maggiore importanza, lasciatemi andare a compiere un atto d’onore, come io poco fa vi ho lasciato che andaste a prender la spada. Sono andato, sì, ma solo per tornare qui a deporla ai vostri piedi; e con questo mi sdebito del favore che mi avete fatto, e visto che ora c’è un nuovo motivo, posso duellare di nuovo. Questa donna è mia sorella; nessuno, finché vivrò, può portarla via da casa senza essere suo marito. E quindi, se persistete nel volerla portar via, potete darle la mano; 237
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DON MANUEL
DON LUIS DON MANUEL
pues con aquesa palabra podéis llevarla y volver, si queréis, a la demanda. Volveré, pero, advertido de tu prudencia y constancia, a sólo echarme a esos pies. Alza del suelo, levanta. Y para cumplir mejor con la obligación jurada a tu hermana doy la mano.
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Salen por una puerta Beatriz y Isabel, y por otra don Juan. DON JUAN
DOÑA BEATRIZ
DON JUAN DOÑA BEATRIZ
DON JUAN
COSME
DON MANUEL
COSME
Si sólo el padrino falta aquí estoy yo, que, viniendo adonde dejé a mi hermana, el oíros me detuvo; no saliera a las desgracias como he salido a los gustos. Y pues con ellos se acaban, no se acaben sin terceros. Pues ¿tú, Beatriz, en mi casa? Nunca salí della. Luego te podré decir la causa. Logremos esta ocasión, pues tan a voces nos llama. ¡Gracias a Dios, que ya el duende se declaró! Dime, ¿estaba borracho? Si no lo estás, hoy con Isabel te casas. Para estarlo fuera eso, mas no puedo.
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DON MANUEL
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con questa promessa andate, portatela e poi tornate, se volete, al nostro duello. Tornerò, ma, consapevole della prudenza e costanza che dimostri, solamente per inchinarmi ai tuoi piedi. Alzati da terra, alzati. E per suggellare meglio la promessa che ho giurato do la mano a tua sorella.
Entrano da una porta Beatriz e Isabel, e da un’altra don Juan. DON JUAN
DONNA BEATRIZ
DON JUAN DONNA BEATRIZ
DON JUAN
COSME
DON MANUEL
COSME
Se manca solo il padrino eccomi; volevo entrare a riprender mia sorella, ma vi ho sentito e mi sono trattenuto; non sarei entrato a veder disgrazie come entro volentieri ad assistere alle gioie. E poiché con queste gioie finiscono le disgrazie, partecipiamo anche noi. Beatriz, come, tu qui in casa? Non sono mai andata via. Poi ti spiegherò il motivo. Cogliamo questa occasione, visto che è così propizia. Grazie a Dio che si è scoperto chi era il folletto! Dimmi, ero ubriaco? Non lo sei? Allora sposa Isabel. Per questo dovrei ubriacarmi, ma non posso. 239
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA DUENDE, TERCERA JORNADA ISABEL COSME
¿Por qué causa? Por no malograr el tiempo que en estas cosas se gasta, pudiéndolo aprovechar en pedir de nuestras faltas perdón; humilde el autor os le pide a vuestras plantas.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA DAMA FOLLETTO, ATTO TERZO ISABEL COSME
E perché mai? Per non buttare via il tempo che si spreca in cose simili, mentre devo utilizzarlo per chieder dei nostri errori perdono; il regista, umile, ve lo chiede riverente.
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La vida es sueño La vita è un sogno
Testo spagnolo a cura di FAUSTA ANTONUCCI Nota introduttiva, traduzione e note di FAUSTA ANTONUCCI
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Frontespizio della Vida es sueño nella Primera Parte de Comedias de Don Pedro Calderón (copia della Biblioteca Apostolica Vaticana)
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Nota introduttiva
1. Clorilene, regina di Polonia, aspetta il suo primo figlio. L’attesa è però turbata da un sogno ricorrente: il neonato, «mostro in forma di uomo», le squarcia le viscere e la uccide. L’infausto presagio si avvera e la madre muore di parto, mentre un’eclissi di sole sprofonda nelle tenebre la terra, squassata da tremendi fenomeni naturali. Basilio, re di Polonia e padre del bambino, astronomo e astrologo di fama, interroga gli astri e vede un futuro raccapricciante per il Paese e soprattutto per sé stesso: il neonato diventerà un giovane prepotente e incontrollabile, il suo regno sarà «vittima di divisioni, / scuola di alti tradimenti / e università dei vizi»; infine lui stesso, Basilio, sarà vittima del furore del principe, e dovrà prostrarsi ai suoi piedi, con i suoi «capelli bianchi» a far da «tappeto dei suoi passi». Basilio allora decide: il neonato, cui è stato dato il nome di Segismundo, verrà rinchiuso in una torre isolata fra le montagne, lontano dalla corte; lì crescerà, da solo, senza conoscere la sua vera identità, carico di catene come se avesse già commesso i peggiori delitti. Nessuno dovrà sapere della sua esistenza: il segreto è assicurato dal bando che vieta a chiunque di avvicinarsi alla torre pena la morte, e dalla lealtà di Clotaldo, il nobile che è stato designato come carceriere e aio del disgraziato prigioniero. Trascorrono gli anni: diciotto? venti? Non lo sappiamo e non importa poi molto. Il re Basilio, ormai vecchio, ha deciso di rivelare a tutta la corte l’esistenza del figlio recluso, proclamando di volerlo sottoporre a un esperimento: lo farà condurre a palazzo, sotto l’effetto di un narcotico, per vedere se davvero si comporta con la violenza che hanno predetto le stelle, o se invece è capace di vincersi e di smentire il vaticinio. Se così 245
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO
fosse, Basilio è pronto a cedergli il trono; ma se l’esperimento dovesse fallire, lo rinchiuderà di nuovo nella torre facendogli credere che quello che ha vissuto a palazzo è stato tutto un sogno. Ma questo lo sapremo soltanto in un secondo momento. All’inizio dell’opera, non sappiamo perché lo sventurato Segismundo sia incatenato nella sua buia prigione, dove piange la libertà che gli è stata da sempre negata. Il suo aspetto (è vestito di pelli), la sua enorme forza, la sua incapacità di controllare passioni negative come la rabbia e la superbia, fanno di lui una «belva», una «fiera»; ma il suo animo è aperto a sentimenti umanissimi come la compassione, la sensibilità per la bellezza, l’amore, il rimpianto per gli affetti familiari che gli sono stati negati da sempre. Per questo è un «mostro», nel senso etimologico del termine: è cioè un prodigio che suscita meraviglia, perché riunisce in sé qualità e caratteristiche antitetiche, umane e animali al tempo stesso. Nel momento in cui inizia l’azione drammatica della Vita è un sogno, la traiettoria del giovane prigioniero si incrocia con quella di un altro personaggio che ha molte caratteristiche in comune con lui. Come Segismundo, Rosaura non ha mai conosciuto suo padre, e le è stata dunque negata una piena identità familiare e sociale; come Segismundo, è sola, sventurata, e può contare solo su sé stessa; come Segismundo, riunisce in sé caratteristiche antitetiche, nel suo caso perché è donna, ma si traveste da uomo. Da donna, non ha saputo resistere alla seduzione amorosa, ma adesso, come un uomo, vuole recuperare l’onore perduto, e per farlo non ha esitato a mettersi in viaggio come un cavaliere di ventura, accompagnata da uno scudiero (il servitore Clarín) e pronta a combattere, con la spada o con la parola, quella guerra senza quartiere che è l’amore quando occorre riconquistarlo, strappando l’uomo amato alla rivale e obbligandolo a mantenere la parola data. È il caso a fare incontrare Rosaura e Segismundo; quel caso che tanta parte ha nella vita di tutti gli umani, e che sul palcoscenico obbedisce alla volontà del drammaturgo, il quale lo usa non soltanto per complicare l’intreccio, ma anche, su un piano più sostanziale, per mettere in luce parallelismi, analogie più o meno riposte, in una parola: per costruire il significato della vicenda che mette in scena. Nella Vita è un sogno, è un cavallo imbizzarrito l’evento casuale che mette in contatto le traiettorie vitali dei due personaggi: trascinata e poi disarcionata dalla sua cavalcatura, Rosaura si ritrova nel bel mezzo di una montagna impervia e desolata, e quando vede da lontano la torre-prigione vi si dirige sperando 246
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NOTA INTRODUTTIVA
in un rifugio per la notte; e così ascolta i lamenti del prigioniero, e gli parla. E infine viene arrestata da Clotaldo per aver violato il segreto della torre, e quando gli consegna la spada Clotaldo riconosce l’arma, che aveva lasciato in pegno tanti anni prima a una bella dama moscovita da lui sedotta e abbandonata, e capisce che quel giovane (ché tale gli appare Rosaura) è suo figlio. Da questo momento in poi, Rosaura e Segismundo seguiranno itinerari paralleli e in più momenti coincidenti: entrambi verranno portati a palazzo e conosceranno le insidie e le complicazioni della vita di corte; entrambi si vedranno negare quello a cui sentono di avere diritto (il trono e lo status di principe, Segismundo; il matrimonio, Rosaura); entrambi si decideranno a conquistare con la forza quanto viene loro negato. Fin dall’inizio Rosaura riconosce il vincolo di fraternità che la lega a Segismundo, per la comune sventura; mentre Segismundo prova piuttosto attrazione, riconoscendo inconsapevolmente, al di là del travestimento maschile, la femminilità di lei. La sua passione esplode quando, a palazzo, nel secondo atto, la rivede in abiti da donna e come donna la desidera; il suo lato animale prende il sopravvento di fronte alla ritrosia di Rosaura, che pensa soltanto a recuperare il suo seduttore, e la violenza sessuale viene impedita in extremis dal provvidenziale e coraggioso intervento di Clotaldo. Questo episodio tuttavia non intacca in Rosaura il sentimento che la lega al suo compagno di sventura: tanto è vero che, nel terzo atto, è a lui che ricorre per chiedere aiuto e collaborazione, quando capisce che nulla otterrà né da Astolfo né da Clotaldo. Infatti Segismundo, che era stato nuovamente rinchiuso nella torre a seguito del fallimento dell’esperimento organizzato dal padre, è stato liberato da un manipolo di ribelli che si rifiutano di giurare fedeltà a un re straniero; e ora muove contro Basilio a capo di un potente esercito. Ed è proprio la fiducia che Rosaura gli dimostra, raccontandogli finalmente tutta la propria storia e affrontando il rischio che le potrebbe derivare dal trovarsi alla sua mercé, a determinare in ultima analisi in Segismundo l’ultimo e il più profondo e definitivo cambiamento: la scelta di non inseguire più ciò che è effimero, fosse anche la cosa più desiderabile e bella di questo mondo, ma al contrario, di aspirare «a ciò che è eterno». Un’eternità che Calderón non colloca nella trascendenza (sebbene, da cattolico pienamente ortodosso quale è, lasci la possibilità al suo destinatario di interpretare l’opera anche in questa prospettiva), ma nell’immanenza, 247
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO
cioè in quella «fama imperitura» già elaborata, come obiettivo e come possibile orizzonte di permanenza dell’uomo, dalla cultura classica. Ed è a partire da questa decisione, da questa scelta, che Segismundo diventa finalmente capace di vincere sé stesso, e dunque, di «prevalere sugli astri» (v. 1111), come un saggio stoico: rinuncia a Rosaura, riconoscendo che «di più si addice ad un principe / dare onore, che non toglierlo»; e, invece di calpestare la testa di suo padre, quando questi gli si inginocchia davanti in attesa che si compia il terribile vaticinio, lo fa rialzare, prostrandosi a sua volta per ricevere la punizione che merita in quanto ribelle. Ma che non riceverà, perché il suo gesto gli vale il perdono di Basilio e il riconoscimento pieno dei suoi diritti di erede al trono di Polonia. 2. Mentre le traiettorie di Rosaura e Segismundo si incrociano per la prima volta nello scenario selvaggio della montagna, spazio per definizione antitetico a quello raffinato e lussuoso della corte, a palazzo avviene un altro incontro cruciale (che, benché contemporaneo, viene rappresentato sul palcoscenico successivamente): quello tra Astolfo, il seduttore di Rosaura, ed Estrella. Astolfo ed Estrella sono cugini, e, in mancanza di un erede diretto, aspirano, ciascuno con buoni motivi, al trono di Polonia. Il loro matrimonio sarebbe una buona soluzione per risolvere la contesa dinastica; ma è una soluzione dettata più dall’ambizione che dall’amore, come mostra la sapientissima tessitura del primo incontro tra i due, nel quale, al di sotto dei complimenti cortesi, affiorano freddezza e diffidenza, in netto contrasto con il calore umano e sentimentale che aveva caratterizzato il primo incontro di Rosaura e Segismundo. Né è diversa l’atmosfera che si crea nell’altra importante sequenza che vede riuniti sul palcoscenico Astolfo ed Estrella, nel secondo atto (a partire dal v. 1724): anche qui, i complimenti del Duca si scontrano con la freddezza di Estrella, perché fra loro continua ad aleggiare il fantasma di Rosaura, il cui ritratto Astolfo portava al collo il giorno del suo arrivo alla corte di Polonia. Ora, però, Rosaura non è più solo una presenza fantasmale, dipinta, ma si materializza fisicamente, intromettendosi fra i due grazie ai meccanismi teatrali ben rodati dell’equivoco e del travestimento: sotto il falso nome di Astrea, Rosaura è infatti stata introdotta a palazzo da Clotaldo che l’ha fatta nominare dama di compagnia di Estrella. Ed è a lei che la Principessa affida l’incarico di prendere da Astolfo il ritratto che questi si è impegnato a portarle. Decisa a recuperare a ogni costo il proprio ritratto, 248
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Rosaura dà vita, all’arrivo di Astolfo, a una scena che è un capolavoro di sottigliezza psicologica e di teatralizzazione delle passioni: nega la sua identità, ma al tempo stesso rimprovera velatamente all’amato la sua incostanza, e di fronte all’insolenza di lui passa alle vie di fatto. La scena culmina infatti nella colluttazione che Rosaura ingaggia con Astolfo per strappargli il ritratto, nella quale sensualità e aggressività si mescolano in modo evidente ed esplosivo. Così evidente ed esplosivo da non trarre in inganno nessuno, men che meno Estrella, che, avendoli sorpresi in un atteggiamento tanto insolito e disdicevole, finge di accettare le giustificazioni di Rosaura ma, intuendo il significato profondo della scena cui ha assistito, dichiara ad Astolfo che non gli parlerà mai più. Di fatto, benché nel terzo atto Rosaura riferisca a Clotaldo che Astolfo ed Estrella si vedono di notte nel giardino del palazzo, e sebbene in un’altra sequenza del terzo atto i due principi coincidano sul palcoscenico nell’esortare Basilio a respingere la ribellione, noi non li vedremo mai più parlarsi in scena. E questa assenza di comunicazione reciproca culminerà nello scioglimento, che attribuisce a ciascuno dei due un diverso partner matrimoniale. Gran parte della critica, anche la più avveduta e recente, trascura Astolfo ed Estrella, o si limita a osservare la marginalità e convenzionalità dei loro personaggi. È senz’altro vero che la loro presenza teatrale è assai minore rispetto a quella di Segismundo e Rosaura, di Basilio e Clotaldo. Ma occorre andare oltre questa constatazione meramente quantitativa, e cogliere, al di là dell’indubbia matrice convenzionale, la carica di originalità che Calderón è stato capace di infondere nelle sequenze di cui sono protagonisti. Inoltre, la loro presenza nell’opera non è, come sembrano credere molti critici, una manifestazione di acquiescenza a certi canoni teatrali dell’epoca, una sorta di innesto spurio (da commedia di cappa e spada, come è stato scritto) sul tronco ben altrimenti vigoroso di un dramma (il che equivale a dire, per molti, di ben altra dignità rispetto alla frivolezza della commedia...). Al contrario: Calderón, nel costruire il segmento d’intreccio relativo ad Astolfo ed Estrella, ha senz’altro utilizzato delle sequenze tipiche di un certo genere di commedia, ma se ne è servito proprio per risaltare meglio il gioco di contrasti, di rapporti reciproci, di dinamiche conflittuali, che costituiscono l’edificio significativo della Vita è un sogno. Astolfo ed Estrella sono infatti due caratteristici personaggi di commedia palaciega, un sottogenere teatrale tipico dell’età calderoniana: 249
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una commedia dal tono serio, i cui protagonisti sono dame e cavalieri appartenenti alla più alta nobiltà, quando non principi e re, e il cui intreccio si basa su rivalità amorose e dinastiche, e che dunque porta in scena corteggiamenti e gelosie, ma anche contese, battaglie, intrighi di corte. Segismundo e Rosaura, invece, condividono molte caratteristiche con i personaggi tipici della commedia palatina, un sottogenere che era stato di gran voga alle origini della Comedia Nueva, nell’ultimo ventennio del Cinquecento, ma che all’epoca in cui Calderón compone La vita è un sogno, intorno cioè al 1629, ha perso ormai gran parte della sua forza propulsiva. L’intreccio tipico della commedia palatina include motivi ampiamente presenti nella Vita è un sogno, quali il travestimento, la perdita e il recupero dell’identità, il rapporto confl ittuale fra corte e spazi marginali e periferici, le relazioni amorose apparentemente condannate a non trovare sbocco nel matrimonio a causa dell’enorme differenza di status sociale fra i due amanti, il contrasto tra la «forza del sangue», che detta sentimenti nobili ed elevati, e comportamenti incongrui ed eccessivi, derivanti dall’educazione e dalla crescita in un ambiente non consono alla reale identità, e anche, dall’insofferenza che il personaggio percepisce tra ciò che è e ciò che sente di poter essere... 3. In particolare, con Segismundo, Calderón riporta sul palcoscenico, modernizzandolo e dotandolo di una carica significativa assai superiore a quella dei suoi progenitori teatrali, un personaggio molto presente nella commedia palatina dei decenni precedenti: quello del «principe selvaggio». Si tratta di un giovane di sangue reale che, abbandonato alla nascita, cresce nell’isolamento di un ambiente naturale totalmente periferico rispetto alla corte, spesso con l’unica compagnia di un anziano che gli fa da maestro; arrivato alle soglie dell’età adulta, sente che la sua vita e il suo vero essere sono altrove, e intraprende un cammino di riscatto, guidato da quella che a tutti appare come un’ambizione fuori luogo; spesso, in questo itinerario alla ricerca di sé, incontra una donna che desta in lui sentimenti amorosi, e questa acquisizione lo spinge a modulare meglio le proprie risposte emotive, mentre lo incoraggia ulteriormente a grandi imprese. Il finale è sempre lieto, perché comporta il riconoscimento della vera identità del protagonista e il coronamento delle sue aspirazioni più profonde.1 250
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Alcuni drammaturghi che avevano portato in scena questo tipo di intreccio lo avevano arricchito e problematizzato con un motivo fortemente connotato, e suscettibile già dal mito greco di sviluppi tragici: lo scontro fra il giovane eroe e suo padre, entrambi ignari del legame di sangue che li unisce. In realtà, né in Lope de Vega, né in Guillén de Castro o in Vélez de Guevara, drammaturghi che precedettero Calderón nell’elaborazione di questo tipo di intreccio teatrale, il motivo era stato sviluppato in chiave tragica. Anzi, tutti avevano avuto cura di ridurre lo scontro fra l’eroe e il padre a una brevissima sequenza, presto risolta senza conseguenze di rilievo grazie al topico della «voce del sangue» o grazie alla sottomissione del giovane eroe. Calderón, invece, si comporta in modo del tutto diverso: sviluppa considerevolmente il motivo, ne fa anzi uno degli assi portanti dell’opera, e ne esplora tutte le possibilità teatrali e significative senza eluderne affatto la problematicità. La retorica della «voce del sangue» non ha nessuno spazio nella vicenda di Segismundo: sapere che Basilio è suo padre, cosa che apprende dalla bocca di Clotaldo quando, incredulo, si risveglia a palazzo all’inizio del secondo atto, non lo inclina affatto a sentimenti amorosi nei confronti di colui che, «tiranno del [suo] arbitrio» (v. 1504), lo ha privato della libertà e dell’onore, facendolo crescere come una bestia feroce. E non è tutto: in questa, che è una delle scene più intense dell’intera opera, leggiamo in filigrana l’amaro rimpianto di Segismundo per l’amore che gli è stato negato, e l’orgoglioso rifiuto di manifestazioni di affetto che sono solo di facciata. Che se ne fa, lui, degli abbracci che il padre dice che avrebbe voluto dargli (ma che gli nega ancora una volta per punirlo dell’omicidio commesso ai danni del cortigiano impertinente), se non ne ha mai avuto uno solo fino ad ora? Ed è così che tutta la violenza che Segismundo mostra nella breve parentesi della sua prima permanenza a palazzo appare meno mostruosa di quanto è in realtà, perché almeno in parte giustificata (da un punto di vista poetico e sentimentale, non etico né giuridico) dalla crudeltà con la quale è stato trattato senza sua colpa fin dalla nascita. Questo tuttavia non cancella la responsabilità di Segismundo: Calderón non vuole affatto mostrarci un «buon selvaggio», perché non ha alcuna fiducia nella naturale bontà dell’essere umano, anche se questo essere umano è un principe. Un’altra retorica che La vita è un sogno ridimensiona, con intuizione assai moderna, è la convinzione che il sangue nobile 251
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porti con sé un ventaglio di qualità innate che neppure la crescita allo stato selvaggio può cancellare. È vero, Segismundo è naturalmente generoso, incline a provare compassione di fronte a chi gli si sottomette: ma, se lo dimostra con Rosaura, nel primo atto, è poi spietato con Clotaldo, che per ben due volte minaccia di morte nel secondo atto. È vero, è sensibile alla bellezza e questa gli ispira sentimenti elevati e un eloquio raffinato; ma in un attimo è capace di passare all’aggressività sessuale più scoperta e sfacciata, come fa con Rosaura nel secondo atto. È conscio della sua superiorità e non tollera che si sia altezzosi e superbi con lui, come fa Astolfo nel secondo atto; ma al tempo stesso si comporta da vero tiranno, reagendo con aggressività spropositata alle obiezioni dei sottoposti mentre d’altro canto accetta l’adulazione smaccata di Clarín. Come ogni tiranno, infatti, Segismundo ignora il concetto di limite; non sa, e non vuole, frenarsi, e ancor meno sopporta che gli altri tentino di farlo per lui. Se Basilio ha abusato del suo potere quando ha deciso di rinchiudere il figlio negandogli la vita e l’identità che gli sarebbero spettate di diritto, anche Segismundo, quando viene messo in condizione di esercitare il potere, ne abusa. E dunque, nella logica profondamente pedagogica che anima La vita è un sogno, va incontro a una punizione: che è, nel suo caso, il ritorno nella torre-prigione, l’amaro risveglio e la meditazione che ne segue sul rapporto fra realtà e sogno, che chiudono il secondo atto. Accanto a sé, in questo difficile passaggio, Segismundo ha Clotaldo, colui che nei suoi confronti ha sempre svolto un ruolo a metà fra il carceriere e l’educatore; sicuramente l’unica figura di riferimento che il Principe ha conosciuto nella sua vita solitaria di recluso. E non a caso, nei due momenti-soglia della «prova» di Segismundo, al suo risveglio a corte e poi al suo risveglio nella torre, il drammaturgo colloca Clotaldo. Clotaldo non è uomo di molte parole, e sappiamo che disapprova l’esperimento così come l’ha concepito Basilio («Non avrei pochi argomenti / per provare che ti sbagli», vv. 1150-1151); e quando Segismundo si risveglia in catene non si lascia andare a lunghe spiegazioni. Al contrario, chiede a Segismundo di parlare, di raccontare il suo «sogno», e alla fine, dopo che Segismundo gli ha confessato di aver tentato due volte di ucciderlo, gli fa una sola obiezione: «ma allora anche in sogno avresti / fatto bene a rispettare / chi ti ha cresciuto fra tante / difficoltà, Segismundo; / che neanche in sogno si perde / ad agire per il meglio» (vv. 2142-2147). 252
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È un momento cruciale: l’obiezione colpisce nel segno, Segismundo riflette e si autoconvince: «È vero; e allora reprimi / questo carattere fiero, / questa furia ed ambizione, / se mai tornerai a sognare». Su questo cambiamento repentino del protagonista sono piovuti nel passato gli strali di quei critici che, come Menéndez Pelayo, vi vedevano un inverosimile «salto mortale», una rottura inspiegabile tra un «prima» e un «dopo», tra il Segismundo schiavo delle passioni e il Segismundo «convertito» grazie al disinganno del risveglio. Ma, come hanno notato altri critici, in realtà il monologo che chiude il secondo atto dell’opera non è una conversione. È, semplicemente, una constatazione: la constatazione di una realtà che prima Segismundo ignorava, credendo fermamente nella immutabilità e durevolezza dell’esperienza vissuta (e come poteva essere diversamente, visto che per tutta la vita aveva vissuto sempre nella torre, senza mutamenti e novità di sorta?). La breve parentesi a palazzo gli ha invece insegnato la labilità e la fugacità dell’esperienza, di qualsiasi esperienza; e le parole di Clotaldo a commento del resoconto di quell’esperienza lo hanno messo di fronte a un altro importantissimo dato di fatto: le persone che in una data circostanza trattiamo con alterigia e violenza perché ci sono soggette, in una circostanza diversa le si potrebbe ritrovare in una posizione superiore, pronte a farci pagare l’arroganza che abbiamo loro dimostrato. È esattamente quello che succede a Segismundo con Clotaldo: a palazzo, conscio della sua posizione di principe, ha infierito sul suo aio e carceriere, credendo di essersi per sempre liberato dalla soggezione nei suoi confronti; ora, invece, si ritrova di nuovo suo prigioniero. Quando Clotaldo gli dice che anche in sogno avrebbe fatto bene a rispettarlo, perché neanche in sogno il far bene va perduto, le sue parole fanno breccia nel cuore e nella mente di Segismundo. Nel cuore, perché Clotaldo ha evocato discretamente il legame quasi parentale che li unisce, avendolo egli «cresciuto fra tante / difficoltà», ed essendo dunque quanto di più vicino alla figura paterna abbia potuto conoscere Segismundo nella sua sventurata vita. Nella mente, perché esplicita per la prima volta l’idea che «el hacer bien», «el obrar bien» siano, non solo e non tanto eticamente giusti (asserto che ancora non fa presa su Segismundo) ma anche, e soprattutto, opportuni. Dire infatti che il far bene non va perduto, vuol dire che esso troverà una remunerazione, avrà un riscontro positivo: e questo concetto fa tanta presa su Segismundo, che egli lo ripeterà quasi con le stesse pa253
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role subito dopo avere accettato la liberazione e la nuova avventura alla testa dell’esercito ribelle: «voglio / far bene, perché anche in sogno / il far bene non va perso» (vv. 2399-2401). E non è certo un caso che la prima persona alla quale Segismundo dimostra il suo mutato atteggiamento sia proprio Clotaldo, al quale manifesta per la prima volta un affetto filiale reso esplicito dall’appellativo di «padre» e dall’abbraccio che gli offre (appellativo e gesto che, come ha fatto molto opportunamente notare Prellwitz,2 Segismundo non offre mai al suo padre carnale). È sicuramente possibile intendere la remunerazione del far bene anche in senso trascendente, come l’eterna beatitudine promessa da Dio ai giusti, e per converso il castigo del ritorno alla torre come metafora dell’Inferno in cui sprofondano i peccatori, svegliandosi dal sogno che è la vita. È lo stesso Calderón che, costruendo la sua opera, vi inscrive questa possibilità interpretativa, ortodossa, scontata direi, e in linea con le aspettative del pubblico più semplice e meno colto. Il momento in cui questa lettura parrebbe quasi inevitabile è alla fine del secondo atto, quando Segismundo nel suo famoso monologo, riflettendo sulla fugacità del potere, esclama: «Che ci sia chi vuol regnare, / pur sapendo che il risveglio / coinciderà con la morte!» (vv. 2165-2167). Come ha fatto notare Félix Olmedo, in un suo imprescindibile studio sulle fonti ispaniche della Vita è un sogno, l’equazione «vita : sogno = quello che viene dopo la vita : realtà» era ampiamente presente nei sermonari diffusi in Spagna nel XVI secolo; e serviva a far risaltare l’importanza che il cristiano doveva dare alla dimensione trascendente, considerando la vita terrena solo come un breve passaggio, privo di realtà effettiva, come, appunto, un sogno.3 Ma La vita è un sogno non è un auto sacramental, rappresentazione religiosa in un atto che celebrava il sacramento dell’Eucarestia; benché lo stesso Calderón riutilizzasse l’intreccio della commedia per comporne uno, omonimo, la cui versione definitiva venne rappresentata per la prima volta nel 1673.4 E Segismundo non è un’allegoria dell’Uomo, del peccatore che attraverso l’esperienza del disinganno comprende la futilità delle passioni e dei beni terreni e si dispone alla rinuncia e al «bene operare» per conquistare la vita eterna. Infatti, nei versi appena citati Segismundo non dice che il risveglio coinciderà con la vita eterna, ma soltanto che il risveglio coinciderà con la morte. Ora, il concetto della vita come sogno fugace, il risveglio dal quale coincide con la morte, è un’idea già presente nella filosofia pre254
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cristiana. In particolare Seneca, nel De brevitate vitae, aveva già insistito sulla necessità di essere coscienti del fatto che l’orizzonte della vita è la morte: solo avendo sempre presente questa verità l’uomo riuscirà a evitare di sprecare il breve tempo concessogli in un vano inseguimento dei beni terreni. E se rileggiamo il monologo finale di Segismundo da questa prospettiva, vedremo che lo si può interpretare come una magnifica condensazione poetica dell’insegnamento senechiano: quell’«affanno», quel «delirio», quella rincorsa del potere, delle ricchezze, degli incarichi pubblici, dei riconoscimenti e della fama, anche a prezzo di prepotenze e ingiustizie, è un quadro perfetto dell’alienazione di cui è preda l’uomo quando dimentica che tutti i beni terreni sono «un prestito, scritto / nel vento, e lo muta in cenere / la morte» (vv. 2162-2164). Se si comprende che la filosofia neostoica e in particolare Seneca sono tra i riferimenti culturali prioritari di cui Calderón si serve per costruire la vicenda di Segismundo, si comprende anche meglio il perché della duplice reazione del protagonista alla constatazione su cui si chiude il secondo atto. In un primo tempo, infatti, essa lo conduce al rifiuto dell’azione, che implica passioni e dunque sofferenza: è un atteggiamento che ricorda i concetti stoici di apatia e atarassia, e che è ben esplicitato nella prima risposta di Segismundo al soldato liberatore, nei vv. 2307- 2343. Subito dopo, tuttavia, prevale in lui l’accettazione dell’impegno, e dunque del rischio insito in qualsiasi azione, che però ora sarà da lui affrontata, alla luce dell’esperienza già vissuta, «con prudenza e senno, / con la consapevolezza / che il risveglio può privarci / della gioia sul più bello; / perché, se lo si prevede, / il disinganno è minore; / ci si beffa del dolore / prevenendolo col senno» (vv. 2361-2368). Le due alternative che si propongono a Segismundo in questo momento cruciale riflettono l’oscillazione tipica dello stoicismo senechiano fra l’ascesi solitaria e l’impegno politico; Calderón risolve questa oscillazione a favore del secondo termine del binomio, ma prima vuole mostrarci in tutta la sua evidenza drammatica il dilemma in cui si dibatte qualsiasi uomo che abbia preso coscienza della fugacità della vita terrena e dei suoi beni. È questo il senso più profondo dell’incertezza di Segismundo, un’incertezza che, essendo radicata nella stessa filosofia senechiana, è perfettamente coerente con le coordinate ideologiche della Vita è un sogno. Non si tratta, come disse Farinelli, di un’incongruenza logica tra posizione scettica (la vita è un sogno e dunque qualsiasi azione è insensata) e fede 255
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religiosa (il far bene è importante perché con le buone opere si conquista la vita eterna); incongruenza che emerge soltanto se l’interpretazione trascendente oblitera quella filosofica e politica. Nelle parole di Segismundo, il «far bene» («obrar bien») serve «per avere amici / per quando ci sveglieremo» (vv. 2426-2427): un’idea che è la diretta conseguenza della constatazione cui l’hanno portato il risveglio nella torre e le parole di Clotaldo, e che trova la sua più compiuta spiegazione in un contesto politico prima che religioso. Infatti il sogno che ha vissuto Segismundo a palazzo e che, forse, ora sta vivendo per la seconda volta, non è la vita, ma il potere; e lui sa ora quanto sia opportuno che chi ha il potere lo gestisca con mitezza e clemenza, per avere amici, e non nemici, qualora dovesse svegliarsi dal sogno, cioè, perdere il potere. È, come dicevo più sopra, una scelta di opportunità, che, grazie all’esperienza fatta, costituisce ora la guida di tutte le sue azioni. 4. C’è tuttavia un momento, nell’opera, in cui questo concetto di opportunità lascia il posto a un più alto grado di consapevolezza: e questo avviene nel terzo incontro di Segismundo con Rosaura, quando lei gli si presenta vestita da donna ma armata come un uomo a offrirgli aiuto e al tempo stesso a chiedergli aiuto per recuperare il suo onore. Quando Rosaura gli ricorda il loro incontro a palazzo, Segismundo capisce per la prima volta in modo pieno che la sua esperienza a corte non era un sogno ma una realtà; e ribadisce dentro di sé la convinzione che la realtà e il sogno si somigliano, perché sono altrettanto fugaci. E qui, di nuovo, Calderón si compiace a mostrarci la doppia possibilità che si apre davanti all’uomo che giunga a questa scoperta, che è la radice ultima del disinganno: la prima, è la fi losofia epicurea del carpe diem (o meglio, la lettura negativa e riduttiva che il cristianesimo ha dato della fi losofia epicurea), cioè «afferrare l’occasione» (v. 2960), disinteressandosi del dopo e delle conseguenze delle proprie azioni; la seconda, è ancora una volta influenzata dall’idea stoica della virtù come dovere e dal concetto classico della fama come unico orizzonte di immortalità riservato all’uomo. Poiché i piaceri sono «fiamma / che il vento trasforma in cenere», e dunque, una volta trascorsi, sogno essi stessi come tutti i beni terreni, occorre puntare a ciò che dura, a ciò che è eterno: «che è la fama imperitura / dove le glorie non dormono / né le grandezze riposano» (vv. 2983-2985). 256
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Segismundo rinuncia dunque a Rosaura; sacrificando le sue pulsioni passionali e sentimentali conquista quell’identità eroica che coincide con l’onore: coscienza piena di sé e dei propri atti, che è propria del nobile e che al suo più alto grado, quello incarnato dal principe, si proietta anche sugli altri consentendo di dare l’onore, o di restaurarlo laddove esso sia stato intaccato. Il potere taumaturgico del monarca è riletto da Calderón in questa chiave più astratta e interiorizzata; ma non per questo meno collegata al problema, cruciale nel Seicento spagnolo, della corretta gestione del potere in un regime di monarchia assoluta. Nonostante La vita è un sogno sia stata un’opera tanto amata dai romantici, non c’è nulla di meno romantico di questa rinuncia di Segismundo alla passione amorosa, e della totale identificazione, sua e di Rosaura, con le leggi dell’onore. Un onore che, per Calderón, non è quel concetto esterno a sé e ipocrita che criticano con tanta forza, e giustamente, i migliori spiriti della cultura spagnola, da Cadalso a Galdós a Clarín a Valle-Inclán: è, al contrario, ciò che dà all’uomo, e alla donna, la misura della propria qualità di essere-nella-società. Equivale, in una parola, a essere vivi con dignità; se quella dignità si perde, non ha più valore essere vivi, ed è questo concetto esigente e profondo ciò che separa fondamentalmente il nobile dal non nobile, il coraggioso Segismundo dal pauroso Clarín. 5. Quella che si esprime nella Vita è un sogno è infatti, come ha detto benissimo Marc Vitse, un’etica aristocratica, dunque profondamente estranea alle aspirazioni e agli ideali di un certo Romanticismo.5 Ciò non toglie che una delle letture più suggestive della Vita è un sogno, quella che vede in Segismundo l’uomo conculcato nella sua libertà ad opera di un potere tirannico, incarnato per colmo di orrore da una figura paterna, affondi le sue radici nel Romanticismo: perché è in questo periodo che il tema della lotta tra le generazioni, della ribellione dei figli all’oppressione dei padri, si affaccia con prepotenza sulla scena culturale europea (e viene in mente, in ambito ispanico, quella folgorante anticipazione pittorica di Goya che è Saturno che divora i suoi figli). Questa lettura, benché si basi su asserti culturali sostanzialmente estranei a quello che era l’orizzonte di riferimento di Calderón, individua peraltro un nucleo problematico effettivamente forte nell’opera. Infatti, già nel Barocco spagnolo si era cominciato ad esplorare il problema del rapporto fra generazioni, non solo per la sua dimensione individuale, ma anche per 257
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l’implicita dimensione politica, che rimandava al problema del giusto ricambio del potere e della necessaria apertura alla modernità; e questa esplorazione veniva portata avanti, sia in forme comiche sia in forme tragiche, soprattutto nel teatro, che in Spagna aveva assunto le dimensioni di uno straordinario fenomeno di massa, e che doveva quindi piacere, e parlare, ai destinatari più diversi sia per cultura sia per posizione sociale. La vita è un sogno è uno dei risultati migliori, più densi e complessi, di questa esplorazione e di questo teatro. In essa, come abbiamo visto, Calderón utilizza personaggi e sequenze d’intreccio tipici della commedia palaciega e della commedia palatina per costruire un’opera sostanzialmente tragica, anche se dal lieto fine: modalità questa che lo stesso Aristotele riconosceva come possibile per una tragedia, a condizione che essa conducesse gli spettatori, attraverso compassione, orrore e paura, alla catarsi o purificazione finale. Della tragedia, La vita è un sogno ha la qualità dei personaggi in scena (altissima nobiltà, principi e re), il rischio tragico che tutti li minaccia nel corso della vicenda, e alcune dinamiche d’intreccio, in primo luogo la dialettica fra destino e libertà, le problematiche collegate al potere e lo scontro vaticinato fra padre e figlio. Maurice Molho segnalava che il modello narrativo più prossimo a La vita è un sogno è la storia mitica di Edipo: abbandonato alla nascita, con i talloni forati, perché non potesse realizzarsi l’oroscopo che prediceva in lui l’assassino di suo padre Laio e lo sposo di sua madre Giocasta.6 Come sappiamo, l’oroscopo tuttavia si realizzerà, a dispetto dei tentativi di Laio di evitarlo. Francisco Ruiz Ramón, da parte sua, ha ricordato che la storia di Basilio e Segismundo riecheggia un altro mito greco, ancora più antico, quello della detronizzazione di Crono da parte di Zeus: trasposizione mitica di una problematica politica e terrena, quella dell’anziano padre e monarca che ha il terrore di essere detronizzato dai figli, e che, per questo, li uccide o li espone, a volte con la scusa di un oroscopo infausto, finché uno dei figli non riesce a detronizzarlo o a ucciderlo.7 Ruiz Ramón preferisce ricordare questo mito, come ipotesto del conflitto padre-figlio nella Vita è un sogno, perché in esso, a differenza di quanto accade in quello di Edipo, l’unico motivo del conflitto intergenerazionale è il mantenimento, o la conquista, del potere, e non le pulsioni libidiche del figlio verso la madre. E infatti, non a caso la figura della madre è assente nell’opera di Calderón (come d’altronde in quasi tutto il teatro aureo spagnolo); e le pulsioni libidiche 258
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dei personaggi si esercitano tutte in un ambito di coetaneità e di extrafamiliarità, se pensiamo che Rosaura, che polarizza l’attrazione fisica tanto di Astolfo come di Segismundo, è una donna estranea alla loro famiglia, mentre Estrella è cugina di entrambi. Rispetto ai miti appena menzionati, tuttavia, La vita è un sogno introduce un’importantissima differenza: il vaticinio, infatti, si realizza soltanto fino a un certo punto, fino cioè al momento in cui Segismundo, avendo davanti a sé il padre prostrato e sconfitto, invece di calpestargli il capo lo rialza, inginocchiandosi a sua volta davanti a lui. Come ha detto efficacemente Ruiz Ramón, in questo momento il nodo tragico, giunto al suo culmine nello spettacolo stupefacente, orrendo e prodigioso (vv. 32283231) di un re sconfitto e umiliato davanti al suo stesso figlio, si spezza, e la tragedia classica si tramuta in tragedia cristiana.8 Mentre nella tragedia classica, e penso concretamente all’Edipo re, all’eroe non è dato di sottrarsi al destino, per cui il suo tragitto si compierà fino alle estreme conseguenze, nella Vita è un sogno l’eroe può arrestarsi un attimo prima, prevalendo sul fato. In questo, come è risaputo, La vita è un sogno rielabora insieme e la dottrina cattolica del libero arbitrio, che riconosce a tutti gli uomini la capacità di scegliere fra il bene e il male sottraendosi alla predestinazione, e la convinzione elaborata dal pensiero classico che «sapiens homo dominatur astris», cioè, che il saggio è superiore al destino scritto negli astri. Basilio è ben consapevole della dottrina cristiana in materia, come mostrano specialmente i vv. 780-791, e per questo decide di dare a Segismundo un’opportunità, portandolo a palazzo; tuttavia, non pare altrettanto consapevole della sfumatura decisiva della sentenza classica, che cioè a vincere sulle stelle è, non l’uomo in genere, ma in special modo il saggio, colui, cioè, che tramite l’esperienza e la meditazione sull’esperienza è giunto a conquistare quella «prudenza» (v. 1109) necessaria a ottenere così alta vittoria. Prudenza che Segismundo, totalmente privo di esperienza per il modo con il quale è stato cresciuto, non può certo avere nel momento in cui viene portato a palazzo. E d’altronde Basilio, pur citando per due volte la massima antica, entrambe le volte la travisa: la prima (vv. 736-737) perché «il sapiente» sarebbe lui stesso, che pensa di eludere il vaticinio facendo rinchiudere il figlio neonato (lo stesso errore, dunque, che commette il padre di Edipo nel mito greco); la seconda perché, usandola per giustificare l’esperimento cui si accinge a 259
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sottoporre Segismundo, sostituisce «sapiente» con un generico «uomo» (vv. 1110-1111). Sostituzione quest’ultima che, sebbene in linea con la dottrina cattolica del libero arbitrio che riconosce a tutti gli uomini la stessa possibilità di salvezza, non è però in accordo con il senso profondo della storia di Segismundo: non qualsiasi uomo, ma solo il saggio, istruito dall’esperienza, riesce a innalzarsi sul suo destino sconfiggendolo. Anche in questo, La vita è un sogno mostra un aristocratismo di fondo, di matrice classica, che si contempera solo in parte con la morale cristiana. E non è un caso che l’unico personaggio che nell’opera proclama a gran voce l’irrimediabilità del destino e l’impossibilità di sfuggirvi sia il subalterno Clarín, quando, pur avendo cercato a tutti i costi di evitare la morte, viene raggiunto da una pallottola vagante e cade sul palcoscenico gridando «che nessuna via è al riparo / dalla forza del destino, / dall’inclemenza del fato» (vv. 3089-3091). Questa morte spettacolare è l’unica che avviene in scena, e se da una parte ciò comporta un’evidente trasgressione rispetto al codice tragico, perché tradizionalmente non si considera tragica la morte di un personaggio «basso» e comico, dall’altra essa opera invece un effetto proprio della tragedia, in quanto determina in Basilio una catarsi che lo porta alla salvezza. La lezione che Basilio apprende da Clarín è in parte giusta in parte sbagliata: non è vero, come gli ricorda Clotaldo, e non è neanche da cristiani, dire con Clarín che non si può far nulla contro il fato (vv. 3112-3122); ma è senz’altro vero che ad esso non si può «scampare con la fuga» (vv. 3092-3093), ma solo affrontandolo «a viso aperto» (v. 3135). In definitiva, la lezione che Basilio apprende da Clarín è che occorre avere coraggio; virtù questa che un subalterno, nella visione aristocratica che così a fondo permea il teatro calderoniano, non può avere, ma che un re deve possedere al suo più alto grado. Come ha ben visto Marc Vitse, Basilio, che così tanto ha temuto per sé stesso, sacrificando a questo timore l’amore e il dovere di padre, e al tempo stesso il dovere del monarca di dare ai propri sudditi un erede legittimo, è venuto meno agli obblighi propri del suo sangue, prima ancora che agli obblighi della sua religione.9 Il suo errore, come gli rimprovererà giustamente Segismundo (vv. 32173227), è stato anche un altro: quello di pensare di potersi anticipare al tempo, di potersi sottrarre alla difficile ricerca del momento adeguato in cui intervenire per cambiare il corso delle cose. Errore che è frutto al tempo stesso di superbia e di distacco dalla realtà: difetti, come hanno 260
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giustamente segnalato alcuni critici, spesso tipici dell’intellettuale. Ma in questa caratterizzazione negativa di Basilio non leggo, come fa Cesáreo Bandera, una denuncia della radicale inutilità della scienza;10 leggo invece la rivendicazione dell’importanza di un sapere che non scinda teoria e prassi, astrazione ed esperienza. Analogamente, non vedo, in Segismundo, la vittima che si fa tiranno, il selvaggio che si trasforma solo per diventare una replica di Basilio, lettura che lo stesso critico, e altri insieme a lui, danno del finale della Vita è un sogno a partire dalla reclusione cui Segismundo condanna il soldato ribelle che l’aveva liberato. È senz’altro vero che questa decisione stona, se si vuole vedere in Segismundo un campione romantico della libertà e della ribellione; ma Segismundo, l’abbiamo già detto, non è un eroe romantico; e non è un eroe innocente, estraneo alle dinamiche della forza bruta e del potere, alla stregua del Sigismund della Torre di Hofmannsthal. È un eroe, e un principe, barocco, che alla fine mostra di avere al più alto grado tutte le doti del nobile (coraggio e onore) e tutte le doti del politico consumato: sapere individuare l’occasione, per esempio, come consigliano sia Machiavelli sia Gracián al prudente, e come Basilio non sa fare; oppure, disfarsi del traditore quando il tradimento è consumato, e beneficare piuttosto gli antichi nemici che non i nuovi amici, perché è più facile farsi amici stabilmente i primi che non i secondi, che hanno sostenuto la ribellione perché tendono al perenne scontento, come dice acutamente Machiavelli nel cap. XX del Principe. Tutto questo non vuole dire che Segismundo sia uguale a Basilio. Anzi, Basilio, come ho cercato di mostrare, incarna una figura di monarca ben lontano da quella perfezione cui invece addita Segismundo nel finale. Il che equivale a dire che, nell’ambito delle coordinate culturali dell’epoca di Calderón, il personaggio di Segismundo, figlio, giovane, e nuovo re, incarna una speranza di rinnovamento rispetto al personaggio paterno. Quella speranza di rinnovamento che non smette mai di albergare nell’animo umano, neanche in quelle epoche che una semplificazione corrente e pervicace vede come monoliticamente conservatrici e ortodosse, e nelle quali invece pulsa, comunque vitale anche se più sottotraccia, la linfa anticipatrice della modernità. 6. La natura incolta e impervia della montagna nella quale si nasconde la torre di Segismundo, e le lussuose sale del palazzo reale, che sono gli 261
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spazi fondamentali nei quali si ambienta La vita è un sogno, costituivano un binomio ben conosciuto dagli spettatori del Seicento perché caratteristico di un preciso sottogenere teatrale, quella commedia palatina che, come ho già ricordato, era stata molto di moda per lungo tempo sui palcoscenici spagnoli. Calderón riprende questo binomio, che facilmente si prestava a significare un’antitesi: nella Vita è un sogno, abbiamo così da un lato lo spazio in cui la libertà è conculcata, in cui l’uomo cresce come una bestia selvaggia abbandonata a sé stessa, ma nel quale è anche possibile che sboccino i sentimenti delicati e profondi della compassione e dell’ammirazione; dall’altro, lo spazio del potere, del lusso, che però è anche sede della falsità, della dissimulazione, dell’assenza di amore, dell’aggressività più o meno mascherata. La costruzione spaziale dell’opera è perfettamente calibrata e simmetrica: il primo atto inizia nello spazio della torre (vv. 1-474) e si chiude in quello di palazzo (vv. 475-985); il secondo inizia a palazzo (vv. 986-2017) e si chiude con il ritorno di Segismundo alla torre (vv. 2018-2187). La costruzione spaziale del terzo atto è appena più complessa: inizia nella torre (vv. 2188-2427), passa poi al palazzo (vv. 2428-2655), e termina (vv. 2656-3319) in uno spazio che non è senz’altro più l’interno della torre, dal quale Segismundo è stato liberato, ma che si trova assai prossimo ad essa, perché le parole dei personaggi alludono a caratteristiche («queste rocce», v. 3057; «fitti rami», v. 3127; «intrico del monte», v. 3136) che ripetono con perfetta circolarità quelle dell’«alta montagna» dalla «intricata sommità» nella quale si ambientava l’inizio del primo atto. La struttura metrica della Vita è un sogno non è meno pensata e calibrata di quanto non ci appaia la sua costruzione spaziale. Il teatro spagnolo del Seicento si caratterizza per essere un teatro in verso: il drammaturgo, per comporre il suo testo, ha a disposizione una gran varietà di metri e di combinazioni strofiche (parliamo per questo di un teatro polimetrico), e li utilizza e li alterna in virtù di esigenze strutturali e/o espressive ora più ora meno evidenti agli occhi di un lettore di oggi. Quel che è certo, è che l’orecchio dello spettatore dell’epoca era allenato a percepire il cambio di ritmo e di tono determinato dal mutamento di verso e di struttura strofica, e questo mutamento costituiva sicuramente per lui o lei un ulteriore segnale significativo. Spesso, ma non sempre, il cambiamento di verso e di strofa avveniva in coincidenza con un cambiamento di quadro. In particolare, nella Vita è un sogno, tutti i cambiamenti di quadro coin262
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cidono con un cambiamento di forma metrica, il che rafforza la struttura spaziale e significativa dell’opera. Un’altra funzione strutturale della metrica, che si osserva anche nella Vita è un sogno, è quella di stabilire raccordi e corrispondenze fra momenti diversi dell’azione. Per esempio, in ogni atto troviamo una sequenza in silvas. La prima contiene il lamento iniziale di Rosaura e la sua invettiva al cavallo imbizzarrito, «ippogrifo violento» che si è precipitato giù dal monte. La seconda (vv. 1548-1723) segna la parte finale dell’avventura di Segismundo a palazzo, quella in cui, simile alla bestia imbizzarrita dell’inizio, il principe sprofonda nei precipizi dell’aggressività superba (tenta di far violenza a Rosaura, aggredisce Clotaldo, duella con Astolfo, minaccia il Re). La terza (vv. 2656-2689) contiene l’annuncio dell’arrivo di Rosaura e la descrizione della sua cavalcatura, che riecheggia in modo assai evidente la tirata iniziale dell’opera. Anche le due sequenze in décimas, nel primo (vv. 103-272) e nel secondo atto (vv. 2018-2187), sono evidentemente collegate, e non soltanto perché in entrambi i casi si usa la stessa forma strofica per dar voce ai lamenti di Segismundo prigioniero. Un’analisi attenta vedrà che queste due sequenze contengono due situazioni di dialogo fondamentali per l’evoluzione drammatica di Segismundo: la prima, con Rosaura, che gli fa provare per la prima volta una reazione emotiva diversa da quelle, ripetitive e a lui ormai conosciute, della rabbia e della furia; la seconda, con Clotaldo, che lo aiuta a spezzare l’automatismo del suo comportamento violento insinuando nel suo animo l’idea che «neanche in sogno si perde / ad agire per il meglio». La presenza isolata delle quintillas (vv. 475-599) e delle ottave ariostesche (vv. 2428-2491) sottolinea il legame che unisce le relative sequenze: la prima, in cui si mostra l’incontro fra Astolfo ed Estrella, connotato da insistenti riferimenti bellici che gettano sul loro rapporto amoroso un velo di dubbi e sospetti; la seconda, in una situazione di guerra in atto, nella quale gli stessi personaggi, benché non siano presenti in contemporanea sul palcoscenico, presentano un atteggiamento simile, di velata concorrenza reciproca (si osservi con attenzione il parallelismo tra le dichiarazioni arroganti di Astolfo, ai vv. 2447-2451, e quelle di Estrella, ai vv. 2488-2491). L’impalcatura dell’opera è costituita dal romance, forma astrofica in versi ottosillabi che rimane solo nei pari con rima assonante, tradizionalmente utilizzata per componimenti di taglio narrativo; d’accordo con una tendenza già osservabile nel teatro dell’ultimo Lope de 263
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Vega, il romance è la forma metrica maggioritaria nell’opera, con due sequenze nel primo e nel secondo atto, e tre nel terzo, per una media di 280 versi ciascuna. Al contrario, rispetto a quanto avveniva nel teatro di Lope de Vega, si riduce di molto la presenza della redondilla; questa forma strofica (quattro versi ottosillabi con rima consonante abab o abba) caratterizza nella Vita è un sogno gli scambi dialogici particolarmente vivaci e polemici: il primo periodo dell’esperienza di Segismundo a palazzo (vv. 1224-1547); la discussione fra Clotaldo e Rosaura, quando lei lo vuole convincere a uccidere Astolfo e lui le propone in cambio di entrare in convento (vv. 2492-2655); lo scontro fra i due eserciti nemici che culmina con la morte di Clarín (vv. 3016-3097). 7. Il testo spagnolo sul quale è stata condotta la traduzione, e che pubblichiamo a fronte del testo italiano, riproduce fedelmente quello dell’edizione spagnola da me preparata per la collezione «Clásicos y modernos» della casa editrice Crítica (Barcelona 2008). Nella sostanza, questo testo si basa su quello della prima edizione a stampa della Primera parte de comedias di Calderón (Madrid 1636) che comprendeva anche La vida es sueño. Dell’opera esiste anche una versione con moltissime varianti, forse una prima versione molto rimaneggiata e deturpata, che venne pubblicata in volume lo stesso anno 1636, in una raccolta di opere di vari autori stampata a Saragozza. A volte questo testo (che si è convenuto di chiamare Z, da Zaragoza) presenta letture migliori rispetto a quelle della stampa madrilena (M); in questi casi, quando cioè la lettura di M è chiaramente un errore, ho scelto di sostituirla con quella di Z, come fa del resto, senza peraltro coincidere sempre nelle scelte e nel criterio, la maggior parte degli editori moderni dell’opera. La traduzione che propongo vuole tener fede a due obiettivi fondamentali: riprodurre, se non le rime, almeno la misura metrica, il ritmo e dunque la musicalità dei versi dell’originale; e rendere il complesso e ricco spagnolo calderoniano in un italiano altrettanto ricco, ma che il lettore (e magari spettatore) di oggi possa sentire vicino alla sua esperienza linguistica; un italiano privo cioè di arcaismi e pesantezze, che sarebbero fuor di luogo in un testo che, pur traducendo un classico di tre secoli fa, è scritto oggi e non può quindi sottrarsi alle leggi linguistiche di oggi, pur evitando banalizzazioni e modernizzazioni indebite. Chi legge giudicherà della riuscita dell’impresa. Vorrei solo aggiungere che, contra264
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riamente a quanto avveniva fino a relativamente pochi decenni fa, oggi si conviene generalmente e da più parti sulla necessità di tradurre in versi un teatro scritto in versi, che basa gran parte della sua forza sulla poesia e che è strutturato in profondità dalla polimetria. Non tutti peraltro ritengono di dovere (e di potere) mantenere anche le rime; nell’originale, le ripetizioni rimiche sono senza alcun dubbio fondamentali, per i complessi echi fonici e semantici cui danno luogo; ma nella traduzione, non sempre il mantenimento della rima è facile, non sempre permette di rendere il testo originale con la dovuta fedeltà, e può produrre, se non condotto con la necessaria perizia, un fastidioso effetto cantilenante, soprattutto nelle strofe ottosillabiche (redondilla e quintilla). Riconoscendo di non avere la perizia necessaria a questa virtuosistica operazione, ho preferito concentrare i miei sforzi sul mantenimento dell’isosillabismo e del ritmo; cosa non facile e non scontata, come mostra una scorsa anche sommaria alle due traduzioni esistenti de La vida es sueño condotte in versi (quella di Luisa Orioli per Adelphi, e quella di Dario Puccini per Garzanti). Nei limiti del possibile, ho anche cercato di restituire fedelmente il ricco e complesso tessuto retorico dell’originale, con le metafore, le figure di parola e di pensiero, le sottigliezze argomentative. La vida es sueño è un’opera che vive di discorsi, di monologhi e soliloqui, di tenzoni dialettiche, assai più che di azione; e questa densità del linguaggio è, per il traduttore, motivo di ulteriore sfida. L’obiettivo era avvicinare al testo calderoniano il lettore non ispanoparlante, restituendogli almeno una parte delle bellezze dell’originale; con l’auspicio di rendere più familiare al pubblico italiano, anche ai non specialisti, una tra le opere più grandi e complesse del teatro classico spagnolo. FAUSTA ANTONUCCI
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LA VIDA ES SUEÑO COMEDIA FAMOSA PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA
ROSAURA,
dama príncipe CLOTALDO, viejo ESTRELLA, infanta CLARÍN, gracioso SEGISMUNDO,
BASILIO, ASTOLFO,
rey príncipe GUARDAS
SOLDADOS MÚSICOS
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LA VITA È UN SOGNO COMMEDIA FAMOSA PERSONAGGI
ROSAURA,
dama SEGISMUNDO, principe CLOTALDO, vecchio ESTRELLA, principessa CLARÍN, servo buffo
BASILIO,
re ASTOLFO, principe GUARDIE SOLDATI MUSICISTI
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[PRIMERA JORNADA] Sale en lo alto de un monte Rosaura en hábito de hombre, de camino, y en representando los primeros versos va bajando. ROSAURA
Hipogrifo violento, que corriste parejas con el viento, ¿dónde, rayo sin llama, pájaro sin matiz, pez sin escama y bruto sin instinto natural, al confuso laberinto de esas desnudas peñas te desbocas, te arrastras y despeñas? Quédate en este monte, donde tengan los brutos su Faetonte; que yo, sin más camino que el que me dan las leyes del destino, ciega y desesperada, bajaré la cabeza enmarañada deste monte eminente que abrasa al sol el ceño de la frente. Mal, Polonia, recibes a un estranjero, pues con sangre escribes su entrada en tus arenas; y apenas llega, cuando llega a penas. Bien mi suerte lo dice; mas ¿dónde halló piedad un infelice?
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Sale Clarín, gracioso. CLARÍN
Di dos, y no me dejes en la posada a mí cuando te quejes; que si dos hemos sido los que de nuestra patria hemos salido a probar aventuras, dos los que entre desdichas y locuras
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[ATTO PRIMO] Compare in alto su un monte Rosaura vestita da uomo, in abiti da viaggio, e mentre recita i primi versi scende verso il palcoscenico. ROSAURA
Ippogrifo violento che gareggiavi in corsa con il vento, fulmine senza fiamma, uccello dalle piume senza colore, pesce senza squame, e bestia senza istinto, dove mai nel confuso labirinto di queste rocce nude ti sfreni, ti trascini e ti precipiti? Rimani qui sul monte, che anche le bestie abbiano un Fetonte; mentre io, senz’altra via che quella che il destino mi ha assegnato, cieca e senza speranza, scenderò l’intricata sommità di quest’alta montagna che brucia sotto il sole il suo cipiglio. Male, oh Polonia, accogli uno straniero, visto che col sangue ne scrivi sulle tue terre l’approdo; e appena giunge, giunge alla sua pena. Io ne sono l’esempio; ma chi avrà mai pietà di un infelice? Entra Clarín, servo buffo.
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Di’ due, non mi lasciare a casa proprio quando ti lamenti; se in due abbiamo lasciato la nostra patria in cerca di avventure, se in due siamo arrivati 269
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, PRIMERA JORNADA
ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
aquí habemos llegado, y dos los que del monte hemos rodado, ¿no es razón que yo sienta meterme en el pesar y no en la cuenta? No quise darte parte en mis quejas, Clarín, por no quitarte, llorando tu desvelo, el derecho que tienes al consuelo; que tanto gusto había en quejarse, un filósofo decía, que, a trueco de quejarse, habían las desdichas de buscarse. El filósofo era un borracho barbón. ¡Oh, quién le diera más de mil bofetadas! Quejárase después de muy bien dadas. Mas ¿qué haremos, señora, a pie, solos, perdidos y a esta hora en un desierto monte, cuando se parte el sol a otro horizonte? ¿Quién ha visto sucesos tan estraños? Mas si la vista no padece engaños que hace la fantasía, a la medrosa luz que aún tiene el día me parece que veo un edificio. O miente mi deseo, o termino las señas. Rústico nace entre desnudas peñas un palacio tan breve que el sol apenas a mirar se atreve; con tan rudo artificio la arquitectura está de su edificio, que parece, a las plantas de tantas rocas y de peñas tantas que al sol tocan la lumbre, peñasco que ha rodado de la cumbre.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO PRIMO
ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
qui, tra follie e sventure, e in due precipitati giù dal monte, non dovrei risentirmi se mi metti nei guai ma non nel conto? Non ho voluto includerti, Clarín, nei miei lamenti, per non toglierti, piangendo i tuoi malanni, il diritto che hai tu di consolarti; che dà tanto piacere lamentarsi, un filosofo ha detto, che, pur di lamentarsi, si andrebbero a cercare le sventure. Quel filosofo era uno sciocco ubriacone. Gli potessi dar più di mille sberle! Si lamentasse poi di averle prese! Ma che fare, signora, soli, a piedi, perduti ed a quest’ora su di un deserto monte, quando il sole declina all’orizzonte? Mai si son viste cose tanto strane! Ma se la vista non si fa ingannare dalla mia fantasia, alla luce indecisa del crepuscolo mi sembra di vedere un edificio. O inganna il desiderio, o anch’io riesco a vederlo. Rustico sorge fra le nude rocce palazzo tanto basso che a malapena osa guardare il sole; è così rozzo il modo in cui la sua struttura è architettata che sembra, stando ai piedi di così tante rocce e rupi tante alte a toccare il sole, un masso rotolato dalla cima. 271
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, PRIMERA JORNADA CLARÍN
ROSAURA
Vámonos acercando, que éste es mucho mirar, señora, cuando es mejor que la gente que habita en ella, generosamente nos admita. La puerta – mejor diré funesta boca – abierta está, y desde su centro nace la noche, pues la engendra dentro.
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Suena ruido de cadenas. CLARÍN ROSAURA CLARÍN
¡Qué es lo que escucho, cielo! Inmóvil bulto soy de fuego y hielo. ¿Cadenita hay que suena? Mátenme, si no es galeote en pena; bien mi temor lo dice.
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Dentro Segismundo. SEGISMUNDO ROSAURA
CLARÍN ROSAURA CLARÍN ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
¡Ay mísero de mí! Y ¡ay infelice! ¡Qué triste voz escucho! Con nuevas penas y tormentos lucho. Yo con nuevos temores. Clarín... Señora... Huigamos los rigores desta encantada torre. Yo aun no tengo ánimo de hüir, cuando a eso vengo. ¿No es breve luz aquella caduca exhalación, pálida estrella, que en trémulos desmayos, pulsando ardores y latiendo rayos, hace más tenebrosa la obscura habitación con luz dudosa? Sí, pues a sus reflejos
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO PRIMO CLARÍN
ROSAURA
Andiamo più vicino: che è inutile star lì a guardare tanto quando, signora, è meglio che la gente che vi abita, generosamente ci riceva. La porta – bocca funesta, dirò meglio – è aperta e nasce dal suo centro la notte, che si genera là dentro. Si sente rumore di catene.
CLARÍN ROSAURA CLARÍN
Che cosa sento, cielo? Di fuoco e ghiaccio sono statua immobile. Rumor di catenella? Galeotto in prigione è di sicuro; me lo dice il timore. Dentro Segismundo.
SEGISMUNDO ROSAURA
CLARÍN ROSAURA CLARÍN ROSAURA
CLARÍN
ROSAURA
Ah sventurato me, ah me infelice! Che triste voce sento? Con nuove pene e tormenti combatto. Io con nuovi timori. Clarín... Signora... Fuggiamo da questa torre incantata e crudele. Mi manca coraggio per fuggire, pur volendolo. Non è una tenue luce, fugace esalazione, stella pallida, che in sfinimenti tremuli, palpiti ardenti e battiti di raggi, rende più tenebrosa la stanza buia con l’incerta luce? Sì, giacché al suo riflesso 273
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puedo determinar, aunque de lejos, una prisión obscura que es de un vivo cadáver sepultura; y, porque más me asombre, en el traje de fiera yace un hombre de prisiones cargado y sólo de la luz acompañado. Pues huir no podemos, desde aquí sus desdichas escuchemos; sepamos lo que dice.
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Descúbrese Segismundo con una cadena y la luz, vestido de pieles. SEGISMUNDO
¡Ay mísero de mí! Y ¡ay infelice! Apurar, cielos, pretendo, ya que me tratáis así, qué delito cometí contra vosotros naciendo. Aunque si nací, ya entiendo qué delito he cometido: bastante causa ha tenido vuestra justicia y rigor, pues el delito mayor del hombre es haber nacido. Sólo quisiera saber, para apurar mis desvelos, – dejando a una parte, cielos, el delito de nacer – qué más os pude ofender, para castigarme más. ¿No nacieron los demás? Pues si los demás nacieron, ¿qué privilegios tuvieron que yo no gocé jamás? Nace el ave, y con las galas que le dan belleza suma, apenas es flor de pluma
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riesco a vedere, anche se da lontano, una prigione buia che è di un vivo cadavere la tomba; e, per fare più grande il mio stupore, in abiti da belva giace un uomo, carico di catene, con la luce come unica compagna. Se fuggir non possiamo, le sue sventure da quaggiù ascoltiamo; sentiamo cosa dice. Appare Segismundo con una catena, e la luce, vestito di pelli. SEGISMUNDO
Ah sventurato me, ah me infelice! Cieli, esigo di sapere, poiché così mi trattate, che delitto ho mai commesso, nascendo, contro di voi. Ma capisco, essendo nato, quale delitto ho commesso: causa sufficiente avete per la giustizia e il rigore, poiché il delitto maggiore dell’uomo è l’essere nato. Vorrei soltanto sapere, per dar fine alle mie ansie – lasciando da parte, cieli, il delitto della nascita – in cosa son più colpevole, che il mio castigo è maggiore. Non son forse nati gli altri? E se gli altri sono nati, di che privilegio godono che non è concesso a me? Nasce l’uccello, e con quella livrea che gli dà bellezza, è appena fiore di piume 275
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o ramillete con alas, cuando las etéreas salas corta con velocidad, negándose a la piedad del nido que deja en calma; ¿y, teniendo yo más alma, tengo menos libertad? Nace el bruto, y con la piel que dibujan manchas bellas, apenas signo es de estrellas, gracias al docto pincel, cuando, atrevido y crüel, la humana necesidad le enseña a tener crueldad, monstruo de su laberinto; ¿y yo, con mejor distinto, tengo menos libertad? Nace el pez, que no respira, aborto de ovas y lamas, y apenas, bajel de escamas, sobre las ondas se mira, cuando a todas partes gira, midiendo la inmensidad de tanta capacidad como le da el centro frío; ¿y yo, con más albedrío, tengo menos libertad? Nace el arroyo, culebra que entre flores se desata, y apenas, sierpe de plata, entre las flores se quiebra, cuando músico celebra de las flores la piedad, que le dan la majestad, el campo abierto a su huida; ¿y, teniendo yo más vida, tengo menos libertad?
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o mazzolino con ali, quando le stanze dell’etere velocissimo attraversa, sottraendosi al richiamo del nido che giù abbandona; ed avendo io più anima ho minore libertà? Nasce la belva, e con quella pelle maculata e bella è appena segno di stelle che il sommo pennello traccia, quando, crudele ed ardito, le necessità terrene alla crudeltà lo spingono, mostro del suo labirinto; e io, con migliore istinto, ho minore libertà? Nasce il pesce, e non respira, aborto di alghe e fanghiglia, e appena, nave di squame, sulle onde si rimira, quando dappertutto gira, misurando l’estensione immensa che gli fornisce il suo gelido elemento; e io, con maggiore arbitrio, ho minore libertà? Nasce il ruscello, serpente che in mezzo ai fiori si snoda, e appena, biscia d’argento, in mezzo ai fiori si frange, quando esalta musicale di quei fiori la pietà che gli danno la maestà e campo aperto al suo passo; ed avendo io più vita, ho minore libertà? 277
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SEGISMUNDO
CLARÍN ROSAURA
En llegando a esta pasión, un volcán, un Etna hecho, quisiera sacar del pecho pedazos del corazón. ¿Qué ley, justicia o razón negar a los hombres sabe privilegio tan süave, excepción tan principal, que Dios le ha dado a un cristal, a un pez, a un bruto y a un ave? Temor y piedad en mí sus razones han causado. ¿Quién mis voces ha escuchado? ¿Es Clotaldo? (Di que sí.) No es sino un triste, ¡ay de mí!, que en estas bóvedas frías oyó tus melancolías.
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Ásela. SEGISMUNDO
CLARÍN
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SEGISMUNDO
Pues la muerte te daré, porque no sepas que sé que sabes flaquezas mías. Sólo porque me has oído, entre mis membrudos brazos te tengo de hacer pedazos. Yo soy sordo, y no he podido escucharte. Si has nacido humano, baste el postrarme a tus pies para librarme. Tu voz pudo enternecerme, tu presencia suspenderme y tu respeto turbarme. ¿Quién eres? Que aunque yo aquí tan poco del mundo sé,
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CLARÍN ROSAURA
E questa mia sofferenza fa di me un vulcano, un Etna, tanto che vorrei dal petto strapparmi pezzi di cuore. Qual è la legge o giustizia che agli uomini sa negare privilegio così dolce, eccezione così nobile, che hanno un cristallo ed un pesce, una bestia ed un uccello? Timore e pietà mi han fatto provare le sue parole. Chi le mie grida ha ascoltato? È Clotaldo? (Di’ di sì.) È soltanto un poveretto che fra queste volte fredde le tue afflizioni ha sentito. La afferra.
SEGISMUNDO
CLARÍN
ROSAURA
SEGISMUNDO
Morte avrai allora da me, così non saprai che so che sai le mie debolezze. Solo perché mi hai sentito, le mie braccia muscolose ora ti faranno a pezzi. Io sono sordo, ascoltarti non ho potuto. Se umano sei nato, il prostrarmi a te sia sufficiente a salvarmi. Mi ha addolcito la tua voce, la tua presenza, sorpreso, il tuo rispetto, turbato. Chi sei? Che anche se io qui so così poco del mondo, 279
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que cuna y sepulcro fue esta torre para mí; y aunque desde que nací – si esto es nacer – sólo advierto este rústico desierto donde miserable vivo, siendo un esqueleto vivo, siendo un animado muerto; y aunque nunca vi ni hablé sino a un hombre solamente que aquí mis desdichas siente, por quien las noticias sé de cielo y tierra; y aunque aquí, porque más te asombres y monstruo humano me nombres, entre asombros y quimeras soy un hombre de las fieras y una fiera de los hombres; y aunque en desdichas tan graves la política he estudiado, de los brutos enseñado, advertido de las aves, y de los astros süaves los círculos he medido, tú, sólo tú, has suspendido la pasión a mis enojos, la suspensión a mis ojos, la admiración al oído. Con cada vez que te veo nueva admiración me das, y cuando te miro más, aún más mirarte deseo. Ojos hidrópicos creo que mis ojos deben ser, pues, cuando es muerte el beber, beben más, y desta suerte, viendo que el ver me da muerte,
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che culla e tomba mi è stata questa torre; e anche se vedo da quando son nato – se questo è nascere – soltanto questo deserto selvaggio, dove miserando vivo, come uno scheletro vivo, come un animato morto; e anche se ho visto e parlato sempre ad un uomo soltanto che qui sa le mie sventure, e da cui ho avuto notizia di cielo e terra; e anche se qui, perché tu sbigottisca e mostro umano mi chiami, tra spaventose chimere sono un uomo tra le fiere, ed una fiera tra gli uomini; e anche se in tanta sventura la politica ho studiato, dalle belve indottrinato, istruito dagli uccelli, e i dolci circoli astrali ho saputo misurare, tu, solo tu hai messo un freno alla mia ira appassionata, dando sorpresa ai miei occhi e ammirazione all’udito. Ogni volta che ti vedo nuova ammirazione provo, e più ti guardo, più ho desiderio di guardarti. Credo che siano occhi idropici i miei occhi, perché portando a morte il bere, continuano a bere; anch’io vedo bene che il vedere mi dà morte, 281
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estoy muriendo por ver. Pero véate yo y muera; que no sé, rendido ya, si el verte muerte me da, el no verte qué me diera. Fuera más que muerte fiera, ira, rabia y dolor fuerte: fuera muerte; desta suerte su rigor he ponderado, pues dar vida a un desdichado es dar a un dichoso muerte. Con asombro de mirarte, con admiración de oírte, ni sé qué pueda decirte ni qué pueda preguntarte. Sólo diré que a esta parte hoy el cielo me ha guïado para haberme consolado, si consuelo puede ser, del que es desdichado, ver a otro que es más desdichado. Cuentan de un sabio que un día tan pobre y mísero estaba, que sólo se sustentaba de unas yerbas que comía. «¿Habrá otro – entre sí decía – más pobre y triste que yo?» Y cuando el rostro volvió, halló la respuesta, viendo que iba otro sabio cogiendo las hojas que él arrojó. Quejoso de la fortuna yo en este mundo vivía, y cuando entre mí decía: «¿Habrá otra persona alguna de suerte más importuna?», piadoso me has respondido;
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eppur muoio per vedere. Ma che io ti veda e muoia; perché non so, vinto ormai, se il vederti mi dà morte, che farebbe il non vederti. Sarebbe morte crudele, ira, rabbia e aspro dolore: sarebbe morte; e con questo la sua crudeltà ho già detto, ché dar vita a un disgraziato è a chi è felice dar morte. Sbigottito nel guardarti, meravigliato a sentirti, non so cosa potrei dirti, né che potrei domandarti. Ti dirò solo che qui oggi il cielo mi ha guidato per darmi qualche conforto, se può confortare chi è sventurato, vedere chi è ancora più sventurato. Si narra che un saggio, un giorno, così povero e in miseria era ridotto, da vivere mangiando soltanto erbe. «Ci sarà – fra sé diceva – chi è più povero di me?» E voltandosi trovò la risposta, quando vide che un altro saggio prendeva le foglie da lui scartate. Piangendo la mia sventura, in questo mondo vivevo, e quando tra me dicevo: «Ci sarà mai qualcun altro dalla sorte così dura?» tu pietoso mi hai risposto; 283
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pues, volviendo en mi sentido, hallo que las penas mías, para hacerlas tú alegrías, las hubieras recogido. Y por si acaso mis penas pueden aliviarte en parte, óyelas atento, y toma las que dellas me sobraren. Yo soy...
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Dentro Clotaldo. CLOTALDO
ROSAURA SEGISMUNDO
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(Dentro) TODOS
(Dentro)
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Guardas desta torre, que, dormidas o cobardes, disteis paso a dos personas que han quebrantado la cárcel... Nueva confusión padezco. Éste es Clotaldo, mi alcaide. Aún no acaban mis desdichas. ...acudid, y vigilantes, sin que puedan defenderse, o prendeldes o mataldes. ¡Traición! Guardas desta torre, que entrar aquí nos dejasteis, pues que nos dais a escoger, el prendernos es más fácil.
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Sale Clotaldo con escopeta, y soldados, todos con los rostros cubiertos. CLOTALDO
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Todos os cubrid los rostros, que es diligencia importante, mientras estamos aquí, que no nos conozca naide. ¿Enmascaraditos hay? ¡Oh vosotros, que, ignorantes, de aqueste vedado sitio
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e io, ritornando in me, trovo che le pene mie, per fartene delle gioie, tu te le saresti prese. E se le mie pene possono alleviarti almeno in parte, ascoltale attento, e prendi quelle che mi avanzeranno. Sono... Dentro Clotaldo. Guardie della torre che, addormentate o vigliacche, due persone avete fatto passare e violare il carcere... ROSAURA Ecco un nuovo soprassalto. SEGISMUNDO È Clotaldo, il mio custode. Oh sventure senza fine! CLOTALDO (Dentro) ...accorrete, e prima che possano far resistenza, arrestateli o uccideteli. TUTTI (Dentro) Tradimento! CLARÍN Guardie che ci avete fatto passare, visto che ci fate scegliere, arrestateci, è più facile. CLOTALDO
Entra Clotaldo con un archibugio, e dei soldati, tutti con i volti coperti. CLOTALDO
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Copritevi tutti il volto; è precauzione importante che, mentre restiamo qui, nessuno ci riconosca. Ci sono le mascherine? Oh voi, che senza saperlo di questo luogo vietato 285
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coto y término pasasteis contra el decreto del Rey, que manda que no ose nadie examinar el prodigio que entre estos peñascos yace: rendid las armas y vidas, o aquesta pistola, áspid de metal, escupirá el veneno penetrante de dos balas, cuyo fuego será escándalo del aire! Primero, tirano dueño, que los ofendas y agravies, será mi vida despojo destos lazos miserables; pues en ellos, vive Dios, tengo de despedazarme con las manos, con los dientes, entre aquestas peñas, antes que su desdicha consienta y que llore sus ultrajes. Si sabes que tus desdichas, Segismundo, son tan grandes que antes de nacer moriste por ley del cielo; si sabes que aquestas prisiones son de tus furias arrogantes un freno que las detenga y una rienda que las pare, ¿por qué blasonas? La puerta cerrad desa estrecha cárcel; escondelde en ella.
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Ciérranle la puerta, y dice dentro: SEGISMUNDO
¡Ah cielos, qué bien hacéis en quitarme
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avete passato il termine contro il decreto del Re, che ordina che nessuno osi indagare il prodigio che tra queste rocce giace! Dateci le armi e arrendetevi, o questa pistola, aspide di metallo, sputerà il veleno penetrante di due pallottole, che daranno scandalo all’aria! Padrone tiranno, prima che tu li offenda ed oltraggi, la mia vita sarà preda di questi miseri lacci; perché in essi, vivaddio, mi farò a brani da solo con le mani, con i denti, fra queste rocce, piuttosto che accettarne la sventura e lamentarne il sopruso. Se sai quanto sono grandi le tue sventure, che prima di nascere eri già morto, Segismundo, per decreto del cielo; se sai che questi ceppi devono esser freno e redini che trattengano i tuoi furori arroganti, perché ti esalti? La porta chiudete di questo carcere; vi resti nascosto. Gli chiudono la porta, e dice da dentro:
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Ah, cieli, come fate bene a togliermi 287
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la libertad! Porque fuera contra vosotros gigante, que, para quebrar al sol esos vidrios y cristales, sobre cimientos de piedra pusiera montes de jaspe. Quizá porque no los pongas hoy padeces tantos males. Ya que vi que la soberbia te ofendió tanto, ignorante fuera en no pedirte humilde vida que a tus plantas yace. Muévate en mí la piedad; que será rigor notable que no hallen favor en ti ni soberbias ni humildades. Y si Humildad y Soberbia no te obligan, personajes que han movido y removido mil autos sacramentales, yo, ni humilde ni soberbio, sino entre las dos mitades entreverado, te pido que nos remedies y ampares. ¡Hola! Señor... A los dos quitad las armas y ataldes los ojos, porque no vean cómo ni de dónde salen. Mi espada es ésta, que a ti solamente ha de entregarse, porque, al fin, de todos eres el principal, y no sabe rendirse a menos valor. La mía es tal, que puede darse al más ruin: tomalda vos.
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la libertà! Ché sarei contro di voi un gigante, che, per distruggere al sole quei suoi vetri cristallini, su fondamenta di pietra costruirei monti di diaspro. Appunto per impedirtelo forse soffri tanti mali. Tanto ho visto che ti ha offeso la superbia, che sarei sciocco a non chiederti umile la vita, chino ai tuoi piedi. Ti commuova la pietà; sarebbe troppo il rigore se tu non dessi favore né a superbia né a umiltà. E se Umiltà né Superbia ti smuovono, personaggi che hanno pur mosso e rimosso mille autos sacramentales, io, né superbo né umile, ma un po’ di questo e di quello mescolato, ti scongiuro di proteggerci e aiutarci. Olà! Signore... Ad entrambi togliete le armi, e bendate gli occhi, affinché non vedano come né da dove escono. Ecco la mia spada, a te solamente la consegno, perché tra tutti tu sei il più nobile, ed arrendersi non saprebbe a un inferiore. La mia, invece, posso darla al più vile; a voi, prendetela. 289
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Y si he de morir, dejarte quiero, en fe desta piedad, prenda que pudo estimarse por el dueño que algún día se la ciñó. Que la guardes te encargo, porque aunque yo no sé qué secreto alcance, sé que esta dorada espada encierra misterios grandes; pues sólo fïado en ella vengo a Polonia a vengarme de un agravio. (¡Santos cielos! ¿Qué es esto? Ya son más graves mis penas y confusiones, mis ansias y mis pesares.) ¿Quién te la dio? Una mujer. ¿Cómo se llama? Que calle su nombre es fuerza. ¿De qué infieres agora, o sabes, que hay secreto en esta espada? Quien me la dio, dijo: «Parte a Polonia, y solicita con ingenio, estudio o arte que te vean esa espada los nobles y principales; que yo sé que alguno dellos te favorezca y ampare»; que, por si acaso era muerto, no quiso entonces nombrarle. (¡Válgame el cielo! ¿Qué escucho? Aún no sé determinarme si tales sucesos son ilusiones o verdades.
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E se mi tocca morire, come pegno di pietà voglio lasciarti quest’arma, che ai suoi tempi fu stimata per colui che la cingeva. Conservala, che anche se non conosco il suo segreto, so che questa spada d’oro racchiude grandi misteri; che solo fidando in essa vengo in Polonia a cercare vendetta a un affronto. (Cieli! Che è questo? Più gravi sono le mie pene e confusioni, le mie angosce ed i miei crucci.) Chi te l’ha data? Una donna. Come si chiama? Tacere debbo il suo nome per forza. Da cosa sai o deduci che questa spada ha un segreto? Chi me l’ha data mi ha detto: «Vai in Polonia e fai in modo, con accortezza od astuzia, che ti vedano la spada i nobili più importanti; perché so che uno di loro ti darà appoggio ed aiuto»; ma, nel caso fosse morto, non volle farmene il nome. (Dio mi aiuti! Cosa sento? Non riesco ancora a capire se questo che accade è illusione o verità. 291
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Esta espada es la que yo dejé a la hermosa Violante, por señas que el que ceñida la trujera, había de hallarme amoroso como hijo y piadoso como padre. Pues ¿qué he de hacer, ¡ay de mí!, en confusión semejante, si quien la trae por favor para su muerte la trae, pues que sentenciado a muerte llega a mis pies? ¡Qué notable confusión! ¡Qué triste hado! ¡Qué suerte tan inconstante! Éste es mi hijo, y las señas dicen bien con las señales del corazón, que por verle llama al pecho y en él bate las alas, y no pudiendo romper los candados, hace lo que aquel que está encerrado, y oyendo ruido en la calle se arroja por la ventana; y él así, como no sabe lo que pasa y oye el ruido, va a los ojos a asomarse, que son ventanas del pecho, por donde en lágrimas sale. ¿Qué he de hacer? ¡Válgame el cielo! ¿Qué he de hacer? Porque llevarle al Rey es llevarle, ¡ay, triste!, a morir, pues ocultarle al Rey no puedo, conforme a la ley del homenaje. De una parte el amor propio, y la lealtad de otra parte, me rinden. Pero ¿qué dudo?
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Questa è la spada che io lasciai alla bella Violante, col patto che chi l’avesse cinta, mi avrebbe trovato amoroso come un figlio e pietoso come un padre. E che devo fare, ahimè!, in simile confusione, se chi la porta cercando favore, la morte trova, con sentenza capitale giungendo ai miei piedi? Grande confusione! Triste fato! Ed incostante fortuna! Questi è mio figlio, e gli indizi si confanno con i segni del mio cuore, che al mio petto bussa per vederlo, ed agita le ali dentro, e non potendo romperne le serrature, fa come chi sta rinchiuso, che udendo rumore in strada si butta dalla finestra; così lui, poiché non sa che succede, e ode il rumore, va ai miei occhi ad affacciarsi, che son finestre del petto, e da lì esce, con le lacrime. Che devo fare? Ahimè cielo! Che devo fare? Portarlo al Re è portarlo, ahimè triste!, a morire, ma occultarlo al Re non posso, d’accordo con la legge di vassallo. Da una parte l’amor proprio, la lealtà dall’altra parte mi combattono. Ma io dubito? 293
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¿La lealtad del Rey no es antes que la vida y que el honor? Pues ella viva y él falte. Fuera de que, si ahora atiendo a que dijo que a vengarse viene de un agravio, hombre que está agraviado es infame. No es mi hijo, no es mi hijo, ni tiene mi noble sangre. Pero si ya ha sucedido un peligro, de quien nadie se libró, porque el honor es de materia tan fácil que con una acción se quiebra o se mancha con un aire, ¿qué más puede hacer, qué más, el que es noble, de su parte, que a costa de tantos riesgos haber venido a buscarle? Mi hijo es, mi sangre tiene, pues tiene valor tan grande. Y así, entre una y otra duda, el medio más importante es irme al Rey y decirle que es mi hijo, y que le mate. Quizá la misma piedad de mi honor podrá obligarle; y si le merezco vivo, yo le ayudaré a vengarse de su agravio. Mas si el Rey, en sus rigores constante, le da muerte, morirá sin saber que soy su padre.) Venid conmigo, estranjeros. No temáis, no, de que os falte compañía en las desdichas; pues en duda semejante
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La lealtà al Re viene prima della vita e dell’onore. Che questa viva, e lui muoia. E d’altronde, se ci penso, ha detto che a vendicarsi viene di un affronto, e un uomo che ha subito affronto è infame. No, non è, non è mio figlio, né ha il mio nobile sangue. Se però gli è capitata una disgrazia, impossibile da evitare, ché l’onore è materia tanto fragile che basta a romperlo un gesto e un fiato basta a macchiarlo, che altro può fare chi è nobile, che altro, se non a ogni costo venire a recuperarlo? È mio figlio, ed ha il mio sangue, visto che ha tanto coraggio. E così, tra un dubbio e l’altro, la soluzione migliore è andare dal Re, e dirgli che è mio figlio, e che lo uccida. Il mio senso dell’onore potrà forse impietosirlo; e se ne ottengo la vita lo aiuterò a vendicarsi del suo affronto. Ma se il Re, costante nel suo rigore, gli dà morte, non avrà saputo che gli son padre.) Venite con me, stranieri. Non temiate che vi manchi compagnia nelle sventure; che quella di non sapere
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de vivir o de morir, no sé cuáles son más grandes. Vanse. Sale por una parte Astolfo con acompañamiento de soldados, y por otra Estrella con damas. Suena música. ASTOLFO
ESTRELLA
Bien, al ver los excelentes rayos, que fueron cometas, mezclan salvas diferentes las cajas y las trompetas, los pájaros y las fuentes, siendo, con música igual y con maravilla suma a tu vista celestial, unos, clarines de pluma, y otras, aves de metal; y así os saludan, señora, como a su reina las balas, los pájaros como a Aurora, las trompetas como a Palas, y las flores como a Flora, porque sois, burlando el día que ya la noche destierra, Aurora en el alegría, Flora en paz, Palas en guerra, y reina en el alma mía. Si la voz se ha de medir con las acciones humanas, mal habéis hecho en decir finezas tan cortesanas donde os pueda desmentir todo ese marcial trofeo, con quien ya atrevida lucho; pues no dicen, según creo, las lisonjas que os escucho con los rigores que veo.
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se vivrete o se morrete non so per chi sia più grande. Se ne vanno. Da una parte entra Astolfo con seguito di soldati, dall’altra Estrella con dame. Suona una musica. ASTOLFO
ESTRELLA
Bene, vedendo gli eccelsi raggi, una volta comete, salve diverse confondono le grancasse con le trombe, gli uccellini con le fonti; giacché, con musica simile e con meraviglia somma per il tuo celeste aspetto, clarini di piuma gli uni, gli altri uccelli di metallo sono; cosicché vi acclamano come regina le armi, gli uccellini come Aurora, come Pallade le trombe, ed i fiori come Flora; perché, a dispetto del giorno già oscurato dalla notte, siete Aurora nella gioia, Flora in pace, in guerra Pallade, e regina nel mio cuore. Se le parole si giudicano dai fatti che le accompagnano, fate male a dire tanti complimenti cortigiani, quando vi smentisce questa ostentazione marziale cui, audace, già mi oppongo; non concordano, mi pare, le lusinghe che ho ascoltato con la durezza che vedo. 297
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Y advertid que es baja acción, que sólo a una fiera toca, madre de engaño y traición, el halagar con la boca y matar con la intención. Muy mal informada estáis, Estrella, pues que la fe de mis finezas dudáis; y os suplico que me oigáis la causa, a ver si la sé. Falleció Eustorgio tercero, Rey de Polonia; quedó Basilio por heredero y dos hijas, de quien yo y vos nacimos. No quiero cansar con lo que no tiene lugar aquí. Clorilene, vuestra madre y mi señora, que en mejor imperio agora dosel de luceros tiene, fue la mayor, de quien vos sois hija. Fue la segunda, madre y tía de los dos, la gallarda Recisunda, que guarde mil años Dios; casó en Moscovia, de quien nací yo. Volver agora al otro principio es bien. Basilio, que ya, señora, se rinde al común desdén del tiempo, más inclinado a los estudios que dado a mujeres, enviudó sin hijos; y vos y yo aspiramos a este estado. Vos alegáis que habéis sido hija de hermana mayor;
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Badate che è azione bassa, adatta solo a una belva, madre di inganno e slealtà, lusingare con la bocca e uccidere con l’intento. Siete assai mal informata, Estrella, se dubitate che i miei complimenti siano sinceri; e vediamo se conosco di ciò la causa. Quando morì Eustorgio terzo, re di Polonia, l’erede fu Basilio, e altre due figlie da cui io e voi siamo nati. Non vi stancherò con storie inutili. Clorilene, vostra madre e mia signora, che in migliore impero ora siede su un trono di stelle, fu la maggiore, e ne siete voi la figlia. La seconda, madre mia e zia vostra, la leggiadra Recisunda, che Dio conservi mille anni, si sposò a Moscovia, e lì nacqui io. Ora tornare sarà bene al nostro inizio. Basilio, che ormai, signora, si arrende al comune cruccio del tempo, sempre più incline allo studio che alle donne, vedovo è rimasto e senza figli; e sia voi che io aspiriamo alla corona. Voi adducete di esser figlia della sorella maggiore;
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yo, que varón he nacido y, aunque de hermana menor, os debo ser preferido. Vuestra intención y la mía a nuestro tío contamos. Él respondió que quería componernos, y aplazamos este puesto y este día. Con esta intención salí de Moscovia y de su tierra; con ésta llegué hasta aquí, en vez de haceros yo guerra, a que me la hagáis a mí. ¡Oh, quiera Amor, sabio dios, que el vulgo, astrólogo cierto, hoy lo sea con los dos, y que pare este concierto en que seáis reina vos, pero reina en mi albedrío, dándoos, para más honor, su corona nuestro tío, sus triunfos vuestro valor, y su imperio el amor mío! A tan cortés bizarría menos mi pecho no muestra, pues la imperial monarquía para sólo hacerla vuestra me holgara que fuese mía; aunque no está satisfecho mi amor de que sois ingrato, si en cuanto decís sospecho que os desmiente ese retrato que está pendiente del pecho. Satisfaceros intento con él... Mas lugar no da tanto sonoro instrumento,
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io, di essere nato maschio, e, anche se della minore, devo esservi preferito. Il vostro intento ed il mio a nostro zio abbiamo detto. Lui ha risposto che voleva metterci d’accordo, e abbiamo fissato, oggi e qui, l’incontro. Con questa intenzione sono partito dalla mia terra; con questa son giunto qui, e non a farvi la guerra, ma a che la facciate a me. Oh, voglia Amore, dio saggio, che il volgo, sicuro astrologo, non sbagli neanche con noi, e si concluda l’accordo essendo voi la regina, ma regina nel mio cuore, dandovi, a maggior onore, la sua corona mio zio, trionfo il vostro valore, e il suo impero l’amor mio! A grandezza sì cortese non voglio essere da meno, ché la monarchia imperiale solo per renderla vostra gradirei che fosse mia; tuttavia non è convinto il mio amore che non siate ingrato, se quanto dite lo smentisce quel ritratto che portate appeso al petto. Una spiegazione posso darvi... Ma me lo impediscono tanti sonori strumenti
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que avisa que sale ya el Rey con su parlamento. Tocan, y sale el rey Basilio, viejo, y acompañamiento. ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO BASILIO
Sabio Tales... Docto Euclides... que entre signos... que entre estrellas... hoy gobiernas... hoy resides... y sus caminos... sus huellas... describes... tasas y mides... deja que en humildes lazos... deja que en tiernos abrazos... yedra dese tronco sea... rendido a tus pies me vea. Sobrinos, dadme los brazos, y creed, pues que leales a mi precepto amoroso venís con afectos tales, que a nadie deje quejoso y los dos quedéis iguales. Y así, cuando me confieso rendido al prolijo peso, sólo os pido en la ocasión silencio, que admiración ha de pedirla el suceso. Ya sabéis – estadme atentos amados sobrinos míos, corte ilustre de Polonia, vasallos, deudos y amigos – ya sabéis que yo en el mundo por mi ciencia he merecido
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che avvisano dell’entrata del Re e del suo parlamento. Musica, e appare il re Basilio, vecchio, e il suo seguito. ESTRELLA
Saggio Talete... Euclide
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dotto... ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO ESTRELLA ASTOLFO BASILIO
che fra segni... e stelle... oggi governi... e ti insedi... e le loro vie... e percorsi... descrivi... computi e calcoli... lascia che in umili lacci... lascia che in teneri abbracci... sia edera del tuo tronco... mi prostri umile ai tuoi piedi. Nipoti, le braccia datemi, e credete, se leali al mio ordine amoroso venite con tale affetto, che non lascerò scontento nessuno, e sarete uguali. Così, mentre mi confesso piegato dal duro peso, vi chiedo in questa occasione silenzio, che lo stupore saranno i fatti a richiederlo. Già sapete – state attenti nipoti miei molto amati, corte illustre di Polonia, vassalli, parenti, amici – già sapete che nel mondo per la mia scienza ho ottenuto 303
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el sobrenombre de docto; pues, contra el tiempo y olvido, los pinceles de Timantes, los mármoles de Lisipo, en el ámbito del orbe me aclaman el gran Basilio. Ya sabéis que son las ciencias que más curso y más estimo matemáticas sutiles, por quien al tiempo le quito, por quien a la fama rompo la juridición y oficio de enseñar más cada día; pues, cuando en mis tablas miro presentes las novedades de los venideros siglos, le gano al tiempo las gracias de contar lo que yo he dicho. Esos círculos de nieve, esos doseles de vidrio, que el sol ilumina a rayos, que parte la luna a giros, esos orbes de diamantes, esos globos cristalinos, que las estrellas adornan y que campean los signos, son el estudio mayor de mis años, son los libros donde, en papel de diamante, en cuadernos de zafiros, escribe con líneas de oro, en caracteres distintos, el cielo nuestros sucesos ya adversos o ya benignos. Éstos leo tan veloz que con mi espíritu sigo
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il soprannome di dotto; che, contro il tempo e l’oblio, i pennelli di Timante ed i marmi di Lisippo mi proclamano per tutto l’universo il gran Basilio. Già sapete che è la scienza che più pratico ed apprezzo la sottile matematica, che grazie a lei tolgo al tempo, grazie a lei rubo alla fama la giurisdizione e il compito di mostrare cose nuove ogni giorno; perché quando sulle mie tavole vedo presenti gli avvenimenti dei secoli che verranno, mi anticipo al tempo, che dirà quel che avrò già detto. Quei cerchi fatti di neve, quei baldacchini di vetro, che il sole irraggia di luce e la luna taglia in circoli, quelle orbite di diamanti, quelle sfere cristalline, dove le stelle risplendono, dove campeggiano i segni, sono l’oggetto di studio della mia vita, ed i libri dove in quaderni di zaffiro, dalla carta di diamante, scrive con tracciato d’oro, in caratteri precisi, il cielo le nostre sorti ora avverse ora benigne. Così veloce li leggo che ne seguo con la mente 305
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sus rápidos movimientos por rumbos y por caminos. ¡Pluguiera al cielo, primero que mi ingenio hubiera sido de sus márgenes comento y de sus hojas registro, hubiera sido mi vida el primero desperdicio de sus iras, y que en ellas mi tragedia hubiera sido! Porque de los infelices aun el mérito es cuchillo; que a quien le daña el saber homicida es de sí mismo. Dígalo yo, aunque mejor lo dirán sucesos míos, para cuya admiración otra vez silencio os pido. En Clorilene, mi esposa, tuve un infelice hijo, en cuyo parto los cielos se agotaron de prodigios, antes que a la luz hermosa le diese el sepulcro vivo de un vientre, porque el nacer y el morir son parecidos. Su madre infinitas veces, entre ideas y delirios del sueño, vio que rompía sus entrañas, atrevido, un monstruo en forma de hombre, y entre su sangre teñido le daba muerte naciendo, víbora humana del siglo. Llegó de su parto el día, y los presagios cumplidos – porque tarde o nunca son
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i rapidi movimenti per le rotte ed i percorsi. Avesse voluto il cielo, prima che il mio ingegno andasse i margini a commentarne, a segnalarne le pagine, che fossi io la prima vittima delle sue ire, e su di me si compisse la tragedia! Per chi è infelice anche il merito si trasforma in un coltello; e il saggio che si danneggia col suo sapere, è un suicida. Io posso dirlo, ma meglio la mia storia lo dirà, e perché ve ne stupiate vi chiedo ancora silenzio. Da Clorilene, mia sposa, ebbi un figlio sventurato, sulla cui nascita i cieli si esaurirono in presagi, prima che venisse dato alla luce dal sepolcro vivo di un ventre, ché simili sono il nascere e il morire. Sua madre infinite volte nel sogno, fra idea e delirio, vide squarciarle le viscere, con audace tracotanza, un mostro in forma di uomo che, bagnato del suo sangue, le dava morte nascendo, come una vipera umana. Arrivò il giorno del parto, e compiendosi i presagi – ché, se crudeli, è difficile
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mentirosos los impíos –, nació en horóscopo tal que el sol, en su sangre tinto, entraba sañudamente con la luna en desafío; y, siendo valla la tierra, los dos faroles divinos a luz entera luchaban, ya que no a brazo partido. El mayor, el más horrendo eclipse que ha padecido el sol después que con sangre lloró la muerte de Cristo, éste fue, porque, anegado el orbe entre incendios vivos, presumió que padecía el último parasismo. Los cielos se escurecieron, temblaron los edificios, llovieron piedras las nubes, corrieron sangre los ríos. En este mísero, en este mortal planeta o signo nació Segismundo, dando de su condición indicios pues dio la muerte a su madre; con cuya fiereza dijo: «Hombre soy, pues que ya empiezo a pagar mal beneficios». Yo, acudiendo a mis estudios, en ellos y en todo miro que Segismundo sería el hombre más atrevido, el príncipe más crüel y el monarca más impío, por quien su reino vendría a ser parcial y diviso,
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risultino menzogneri – nacque proprio nel momento che il sole, rosso di sangue, si sfidava bellicoso ad un duello con la luna; e, con la terra per argine, i due fanali divini lottavano luce a luce, giacché non a corpo a corpo. La più grande, la più orribile eclissi che abbia patito il sole, dacché col sangue pianse la morte di Cristo, fu quella, perché, sommerso il mondo fra incendi vivi, immaginò di patire la suprema convulsione. Si fece buio nei cieli, tremarono gli edifici, piovvero pietre le nubi, scorse del sangue nei fiumi. In questa mortale, in questa terribile congiunzione nacque Segismundo, dando prova del suo modo d’essere nel dare morte alla madre; crudeltà con cui diceva: «Son uomo, perché ripago con il male i benefici». Io, ai miei studi ricorrendo, in essi ed in tutto vedo che Segismundo sarebbe stato l’uomo più avventato, il principe più crudele e il monarca più spietato, che avrebbe reso il suo regno vittima di divisioni, 309
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escuela de las traiciones y academia de los vicios; y él, de su furor llevado, entre asombros y delitos, había de poner en mí las plantas, y yo rendido a sus pies me había de ver – ¡con qué congoja lo digo! –, siendo alfombra de sus plantas las canas del rostro mío. ¿Quién no da crédito al daño, y más al daño que ha visto en su estudio, donde hace el amor propio su oficio? Pues, dando crédito yo a los hados, que adivinos me pronosticaban daños en fatales vaticinios, determiné de encerrar la fiera que había nacido, por ver si el sabio tenía en las estrellas dominio. Publicose que el Infante nació muerto; y, prevenido, hice labrar una torre entre las peñas y riscos desos montes, donde apenas la luz ha hallado camino, por defenderle la entrada sus rústicos obeliscos. Las graves penas y leyes, que con públicos editos declararon que ninguno entrase a un vedado sitio del monte, se ocasionaron de las causas que os he dicho. Allí Segismundo vive
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scuola di alti tradimenti e università dei vizi; trascinato dal furore, tra spaventosi delitti, lui mi avrebbe calpestato, e io, sconfitto e sopraffatto, mi sarei visto ai suoi piedi – con quale angoscia lo dico! – con i miei capelli bianchi per tappeto dei suoi passi. Chi non crederebbe al male, e ancor più al male previsto grazie al suo studio, facendo la sua parte l’amor proprio? E dunque, prestando fede a quei fati che, indovini, pronosticavano il male in fatali vaticini, decisi di far rinchiudere la belva che mi era nata, per vedere se il sapiente dominava sulle stelle. Si comunicò che il principe era nato morto; intanto, fu costruita una torre fra le rocce ed i dirupi di questi monti, alla quale a malapena la luce si fa strada, ostacolata da quei rustici obelischi. Le leggi e pene severe, che con pubblici proclami vietarono a chicchessia di inoltrarsi per quei monti, si spiegano con gli eventi che vi ho appena raccontato. Lì è vissuto Segismundo, 311
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mísero, pobre y cautivo, adonde solo Clotaldo le ha hablado, tratado y visto. Éste le ha enseñado ciencias; éste en la ley le ha instruido católica, siendo solo de sus miserias testigo. Aquí hay tres cosas: la una que yo, Polonia, os estimo tanto que os quiero librar de la opresión y servicio de un rey tirano, porqué no fuera señor benigno el que a su patria y su imperio pusiera en tanto peligro. La otra es considerar que, si a mi sangre le quito el derecho que le dieron humano fuero y divino, no es cristiana caridad; pues ninguna ley ha dicho que, por reservar yo a otro de tirano y de atrevido, pueda yo serlo, supuesto que, si es tirano mi hijo, porque él delitos no haga vengo yo a hacer los delitos. Es la última y tercera el ver cuánto yerro ha sido dar crédito fácilmente a los sucesos previstos; pues, aunque su inclinación le dicte sus precipicios, quizá no le vencerán, porque el hado más esquivo, la inclinación más violenta, el planeta más impío,
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miserando e prigioniero, dove soltanto Clotaldo lo può vedere e parlargli. Lui gli ha insegnato le scienze; lui l’ha istruito alla fede cattolica, e solo lui presenzia la sua miseria. Ed ecco adesso tre cose: la prima, oh Polonia, è che ti amo tanto da volerti evitare l’oppressione di un re tiranno, perché non sarebbe buon sovrano chi la sua patria e il suo regno esponesse a tanto rischio. La seconda è che, se privo il mio sangue dei diritti che gli spettano per legge umana e divina, manco di cristiana carità; ché nessuna legge dice che, per impedire a uno di essere tiranno incauto, possa diventarlo io, e se è tiranno mio figlio, perché non si macchi lui di delitti, sia io a farlo. La terza e ultima, è vedere che grave errore sia stato con leggerezza dar credito ai fatti pronosticati; ché, anche se l’inclinazione lo spingesse al precipizio, potrebbe non sopraffarlo, perché il fato più crudele, l’inclinazione più forte, l’influsso astrale più iniquo, 313
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sólo el albedrío inclinan, no fuerzan el albedrío. Y así, entre una y otra causa vacilante y discursivo, previne un remedio tal que os suspenda los sentidos: yo he de ponerle mañana, sin que él sepa que es mi hijo y rey vuestro, a Segismundo – que aqueste su nombre ha sido – en mi dosel, en mi silla, y, en fin, en el lugar mío, donde os gobierne y os mande y donde todos rendidos la obediencia le juréis; pues con aquesto consigo tres cosas, con que respondo a las otras tres que he dicho. Es la primera, que siendo prudente, cuerdo y benigno, desmintiendo en todo al hado que dél tantas cosas dijo, gozaréis el natural príncipe vuestro, que ha sido cortesano de unos montes y de sus fieras vecino. Es la segunda, que si él, soberbio, osado, atrevido y crüel, con rienda suelta corre el campo de sus vicios, habré yo piadoso entonces con mi obligación cumplido; y luego en desposeerle haré como rey invicto, siendo el volverle a la cárcel no crueldad, sino castigo. Es la tercera, que siendo
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bastano solo a inclinare l’arbitrio, non a forzarlo. E così, fra l’una e l’altra vacillando e argomentando, ho pensato ad un rimedio che vi farà sbigottire: io collocherò domani, lui che non sa che è mio figlio e re vostro, Segismundo – è questo il nome che ha avuto – sul mio seggio, sul mio trono, del tutto, infine, al mio posto, perché governi e comandi, e voi tutti, sottomessi, gli giurerete obbedienza; perché in questo modo ottengo tre cose, con cui rispondo alle tre che ho appena detto. La prima è che, se mio figlio, prudente, saggio e benigno, dà in tutto smentita al fato e alle cose che ha predetto, avrete il vostro legittimo principe, che cortigiano è stato delle montagne e con le belve ha vissuto. La seconda è che, se lui superbo, audace, avventato e crudele, a briglia sciolta corre il campo dei suoi vizi, io avrò comunque, pietoso, il mio dovere adempiuto; e sarà poi spodestarlo atto proprio di un re giusto, e riportarlo al suo carcere non crudeltà, ma castigo. La terza è che, se sarà 315
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el príncipe como os digo, por lo que os amo, vasallos, os daré reyes más dignos de la corona y el cetro, pues serán mis dos sobrinos; juntando en uno el derecho de los dos, y convenidos con la fe del matrimonio, tendrán lo que han merecido. Esto como rey os mando, esto como padre os pido, esto como sabio os ruego, esto como anciano os digo; y si el Séneca español, que era humilde esclavo, dijo, de su república un rey, como esclavo os lo suplico. Si a mí el responder me toca, como el que en efeto ha sido aquí el más interesado, en nombre de todos digo que Segismundo parezca, pues le basta ser tu hijo. Danos al príncipe nuestro, que ya por rey le pedimos. Vasallos, esa fineza os agradezco y estimo. Acompañad a sus cuartos a los dos atlantes míos, que mañana le veréis. ¡Viva el grande rey Basilio!
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il principe come dico, per l’amore che vi porto, vassalli, dei re più degni della corona e lo scettro vi darò: i miei due nipoti; riunito in uno il diritto di entrambi, e nell’alleanza del matrimonio concordi, ciò che meritano avranno. Questo da monarca vi ordino, questo da padre vi chiedo, questo da saggio vi imploro, questo da vecchio vi dico; e, se lo spagnolo Seneca ha detto che umile schiavo è un monarca del suo regno, questo da schiavo vi supplico. Se a me tocca la risposta, in quanto me più di tutti riguarda quello che hai detto, in nome di tutti dico che compaia Segismundo, ché gli basta esser tuo figlio. Il nostro principe dacci, che già per re lo acclamiamo. Vassalli, la cortesia apprezzo e ve ne ringrazio. Accompagnate a alloggiarsi questi due atlanti miei, che domani lo vedrete. Viva il grande re Basilio! Tutti escono. Prima che esca anche il Re compare Clotaldo, con Rosaura e Clarín, e trattiene il Re.
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¡Oh Clotaldo, tú seas muy bien venido! Aunque viniendo a tus plantas es fuerza el haberlo sido, esta vez rompe, señor, el hado triste y esquivo el privilegio a la ley y a la costumbre el estilo. ¿Qué tienes? Una desdicha, señor, que me ha sucedido, cuando pudiera tenerla por el mayor regocijo. Prosigue. Este bello joven, osado o inadvertido, entró en la torre, señor, adonde al Príncipe ha visto, y es... No te aflijas, Clotaldo. Si otro día hubiera sido confieso que lo sintiera; pero ya el secreto he dicho y no importa que él lo sepa, supuesto que yo lo digo. Vedme después, porque tengo muchas cosas que advertiros y muchas que hagáis por mí; que habéis de ser, os aviso, instrumento del mayor suceso que el mundo ha visto. Y a esos presos, porque al fin no presumáis que castigo descuidos vuestros, perdono.
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Oh, Clotaldo, mille volte benvenuto! So che chi giunge ai tuoi piedi è per forza ben venuto, ma stavolta, sire, spezza il fato triste e crudele l’osservanza della legge, e l’abitudine usata. Che cos’hai? Una disgrazia, sire, che mi è capitata, quando la più grande gioia avrebbe potuto darmi. Va’ avanti. Questo bel giovane, sconsiderato od ignaro, nella torre ha messo piede, signore, il Principe ha visto, ed è... Non devi angustiarti, Clotaldo. Fosse accaduto un altro giorno, confesso che mi sarebbe spiaciuto; ma ormai ho detto il segreto, e non importa che lui lo sappia, se io lo dico. Tornate dopo, che devo raccontarvi molte cose, e di molte incaricarvi; perché sarete strumento del più incredibile evento che al mondo si sia mai visto. Ed a questi prigionieri, per non castigare in loro le vostre disattenzioni, do il perdono.
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¡Vivas, gran señor, mil siglos! (Mejoró el cielo la suerte. Ya no diré que es mi hijo, pues que lo puedo escusar.) Estranjeros peregrinos, libres estáis. Tus pies beso mil veces. Y yo los viso, que una letra más a menos no reparan dos amigos. La vida, señor, me has dado; y pues a tu cuenta vivo, eternamente seré esclavo tuyo. No ha sido vida la que yo te he dado, porque un hombre bien nacido, si está agraviado, no vive; y supuesto que has venido a vengarte de un agravio, según tú propio me has dicho, no te he dado vida yo, porque tú no la has traído: que vida infame no es vida. (Bien con aquesto le animo.) Confieso que no la tengo, aunque de ti la recibo; pero yo con la venganza dejaré mi honor tan limpio que pueda mi vida luego, atropellando peligros, parecer dádiva tuya.
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Che tu viva, gran signore, mille secoli! (Tutto è andato per il meglio. Non dirò più che è mio figlio, visto che posso evitarlo.) Siete liberi, viandanti stranieri. Ti bacio i piedi mille volte. E io li sbircio, che a una lettera in più o in meno non fanno caso due amici. La vita mi hai dato, sire, e, vivendo grazie a te, da adesso in poi sarò sempre schiavo tuo. Ma non è vita vera quella che ti ho dato, perché chi nobile è nato, se è stato offeso, non vive; e poiché tu sei venuto, secondo quanto mi hai detto, a vendicare un’offesa, io non ti ho dato la vita perché tu già ne eri privo; vita infame non è infatti vita (lo voglio spronare.) Riconosco che mi manca, pur se da te la ricevo; tuttavia con la vendetta laverò il mio onore in modo che poi la mia vita possa, a dispetto di ogni rischio, sembrare regalo tuo.
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Toma el acero bruñido que trujiste; que yo sé que él baste, en sangre teñido de tu enemigo, a vengarte; porque acero que fue mío – digo este instante, este rato que en mi poder le he tenido – sabrá vengarte. En tu nombre segunda vez me le ciño, y en él juro mi venganza, aunque fuese mi enemigo más poderoso. ¿Eslo mucho? Tanto que no te lo digo; no porque de tu prudencia mayores cosas no fío, sino porque no se vuelva contra mí el favor que admiro en tu piedad. Antes fuera ganarme a mí con decirlo; pues fuera cerrarme el paso de ayudar a tu enemigo. (¡Oh, si supiera quién es!) Porque no pienses que estimo tan poco esa confïanza, sabe que el contrario ha sido no menos que Astolfo, duque de Moscovia. (Mal resisto el dolor, porque es más grave que fue imaginado, visto. Apuremos más el caso.) Si moscovita has nacido, el que es natural señor mal agraviarte ha podido.
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Prendi la spada brunita che portavi; basterà a vendicarti, bagnata del sangue del tuo nemico; perché spada che fu mia – mia, cioè, nel breve tempo che l’ho tenuta– saprà vendicarti. In nome tuo me la cingo un’altra volta, e giuro di vendicarmi, per quanto potente sia il mio nemico. Lo è tanto? Da non potertelo dire; so che sei prudente, e so che in te posso confidare, ma temo che tu mi tolga il favore straordinario che mi mostri. Anzi potresti guadagnare di più a dirmelo; perché così eviterei di aiutare il tuo nemico. (Ah, se sapessi chi è!) Perché non sembri che apprezzo poco questa tua fiducia, sappi che il nemico mio è nientemeno che Astolfo, duca di Moscovia. (A stento reggo il colpo, che è più grave di quanto credevo il caso. Approfondiamo di più.) Se Moscovia è la tua patria, non può averti offeso chi è tuo signore legittimo. 323
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, PRIMERA JORNADA
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Vuélvete a tu patria, pues, y deja el ardiente brío que te despeña. Yo sé que, aunque mi príncipe ha sido, pudo agraviarme. No pudo, aunque pusiera, atrevido, la mano en tu rostro. (¡Ay cielos!) Mayor fue el agravio mío. Dilo ya, pues que no puedes decir más que yo imagino. Sí dijera; mas no sé con qué respeto te miro, con qué afecto te venero, con qué estimación te asisto, que no me atrevo a decirte que es este exterior vestido enigma, pues no es de quien parece. Juzga advertido, si no soy lo que parezco, y Astolfo a casarse vino con Estrella, si podrá agraviarme. Harto te he dicho.
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Vanse Rosaura y Clarín. CLOTALDO
¡Escucha, aguarda, detente! ¿Qué confuso laberinto es éste, donde no puede hallar la razón el hilo? Mi honor es el agraviado, poderoso el enemigo, yo vasallo, ella mujer.
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Torna dunque alla tua terra, e lascia il focoso ardore che ti spinge alla rovina. Io so che ha potuto offendermi anche se era il mio principe. No che non può averlo fatto, anche avesse, temerario, colpito il tuo volto. (Oh cielo!) È maggiore la mia offesa. Dilla allora, che non riesco a immaginare di peggio. La direi; ma non so bene con che rispetto ti guardo, con quale affetto ti onoro, con che stima ti sto accanto, che non oso rivelarti che quest’abito che porto nasconde, come un enigma, la verità. Adesso giudica, se non sono quel che sembro, e Astolfo viene a sposarsi con Estrella, se può avermi offeso. Abbastanza ho detto. Se ne vanno Rosaura e Clarín.
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Ascolta, fermati, aspetta! Che confuso labirinto è questo, in cui la ragione non riesce a trovare il filo? Il mio onore è stato offeso, è potente l’offensore, io son vassallo, lei donna.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, PRIMERA JORNADA
Descubra el cielo camino; aunque no sé si podrá, cuando, en tan confuso abismo, es todo el cielo un presagio y es todo el mundo un prodigio.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO PRIMO
Mi indichi il cielo la strada; ma non so se riuscirà, quando, in questo cataclisma, è tutto il cielo un presagio e tutto il mondo è un prodigio.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
SEGUNDA JORNADA Salen el rey Basilio y Clotaldo. CLOTALDO
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Todo, como lo mandaste, queda efetüado. Cuenta, Clotaldo, cómo pasó. Fue, señor, desta manera. Con la apacible bebida que de confecciones llena hacer mandaste, mezclando la virtud de algunas hierbas, cuyo tirano poder y cuya secreta fuerza así el humano discurso priva, roba y enajena que deja vivo cadáver a un hombre, y cuya violencia, adormecido, le quita los sentidos y potencias... No tenemos que argüir que aquesto posible sea, pues tantas veces, señor, nos ha dicho la experiencia, y es cierto, que de secretos naturales está llena la medicina, y no hay animal, planta ni piedra que no tenga calidad determinada; y si llega a examinar mil venenos la humana malicia nuestra que den la muerte, ¿qué mucho que, templada su violencia, pues hay venenos que maten, haya venenos que aduerman?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano il re Basilio e Clotaldo. CLOTALDO
BASILIO
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Tutto, come hai comandato, è stato fatto. Racconta, Clotaldo, cosa è successo. Signore, i fatti son questi. Con la bevanda gradevole, fatta di vari ingredienti, che hai detto di preparare mescolando proprietà di alcune erbe, il cui potere e la cui forza segreta le mentali facoltà tanto estraniano ed annientano da ridurre a viva salma un uomo, e la cui violenza lo assopisce e gli sottrae sensi e percezioni animiche... Non dobbiamo interrogarci su come ciò sia possibile, perché tante volte, sire, ci ha mostrato l’esperienza che di arcani naturali è piena la medicina, e animale, pianta o pietra non c’è che non abbia qualche proprietà determinata; e se l’umana malizia mille veleni mortali ha scoperto, perché mai meravigliarsi se esistono, ridottane la violenza, oltre a veleni che uccidono, veleni che fan dormire? 329
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Dejando aparte el dudar si es posible que suceda, pues que ya queda probado con razones y evidencias, con la bebida, en efeto, que el opio, la adormidera y el beleño compusieron, bajé a la cárcel estrecha de Segismundo; con él hablé un rato de las letras humanas que le ha enseñado la muda naturaleza de los montes y los cielos, en cuya divina escuela la retórica aprendió de las aves y las fieras. Para levantarle más el espíritu a la empresa que solicitas, tomé por asumpto la presteza de un águila caudalosa que, despreciando la esfera del viento, pasaba a ser, en las regiones supremas del fuego, rayo de pluma o desasido cometa. Encarecí el vuelo altivo, diciendo: «Al fin eres reina de las aves, y así a todas es justo que te prefieras». Él no hubo menester más, que, en tocando esta materia de la majestad, discurre con ambición y soberbia – porque en efeto la sangre le incita, mueve y alienta a cosas grandes –, y dijo:
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Ma lasciando stare il dubbio che possa esser così, perché già lo han dimostrato argomentazioni e prove, con la bevanda, dicevo, fatta con oppio, papavero e laudano, sono sceso giù nella prigione angusta di Segismundo; con lui ho parlato dei saperi che gli ha insegnato la muta natura delle montagne e dei cieli, alla cui scuola ha imparato la retorica degli uccelli e delle belve. Per esaltare il suo spirito e prepararlo all’impresa che da lui ti aspetti, ho preso come argomento il fulmineo volo di un’aquila reale, che, disdegnando la sfera del vento, si trasformava, nelle regioni supreme del fuoco, in lampo di piuma o in isolata cometa. Ne ho lodato il volo altero, dicendo: «Sei la regina degli uccelli, e quindi è giusto che su tutti tu ti innalzi». Questo è stato sufficiente, che non appena si accenna alla regalità, lui parla con ambizione e superbia, – perché il suo sangue lo sprona, lo incita e lo spinge a cose grandi –, e così quindi ha detto:
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«¡Que en la república inquieta de las aves también haya quien les jure la obediencia! En llegando a este discurso, mis desdichas me consuelan, pues, por lo menos, si estoy sujeto, lo estoy por fuerza, porque voluntariamente a otro hombre no me rindiera». Viéndole ya enfurecido con esto, que ha sido el tema de su dolor, le brindé con la pócima, y apenas pasó desde el vaso al pecho el licor, cuando las fuerzas rindió al sueño, discurriendo por los miembros y las venas un sudor frío, de modo que, a no saber yo que era muerte fingida, dudara de su vida. En esto llegan las gentes de quien tú fías el valor desta experiencia, y, poniéndole en un coche, hasta tu cuarto le llevan, donde prevenida estaba la majestad y grandeza que es digna de su persona. Allí en tu cama le acuestan, donde, al tiempo que el letargo haya perdido la fuerza, como a ti mismo, señor, le sirvan, que así lo ordenas. Y si haberte obedecido te obliga a que yo merezca galardón, sólo te pido
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«Che perfino nello stato irrequieto degli uccelli ci si sottometta a un re! Ma se rifletto su questo, mi consolo con le stesse mie sventure, che, se sono soggiogato, è con la forza, perché io spontaneamente non lo avrei mai consentito». Vedendo che si infuriava con questo, che è il chiodo fisso del suo dolore, gli ho porto la pozione, e non appena il liquido, dal bicchiere, gli è sceso giù nella gola, al sonno ha ceduto, e intanto gli scorreva per le membra un sudore così freddo che, a non sapere che era morte simulata, avrei temuto per la sua vita. Ed ecco arrivano quelli cui tu affidi la riuscita dell’esperimento, i quali, messolo in una carrozza, lo portano alle tue stanze, già preparate con tutta la regalità e lo sfarzo degni della sua persona. Lo stendono nel tuo letto, dove, quando perderà il letargo la sua forza, come fossi tu, signore, che lo servano comandi. E se l’averti obbedito ti fa ritenere ch’io abbia diritto a un premio, ti chiedo 333
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– perdona mi inadvertencia – que me digas qué es tu intento, trayendo desta manera a Segismundo a palacio. Clotaldo, muy justa es esa duda que tienes, y quiero sólo a vos satisfacerla. A Segismundo, mi hijo, el influjo de su estrella – vos lo sabéis – amenaza mil desdichas y tragedias. Quiero examinar si el cielo, – que no es posible que mienta, y más habiéndonos dado de su rigor tantas muestras en su crüel condición – o se mitiga o se templa por lo menos, y, vencido con valor y con prudencia, se desdice, porque el hombre predomina en las estrellas. Esto quiero examinar, trayéndole donde sepa que es mi hijo y donde haga de su talento la prueba. Si magnánimo se vence, reinará; pero, si muestra el ser crüel y tirano, le volveré a su cadena. Agora preguntarás que, para aquesta experiencia, ¿qué importó haberle traído dormido desta manera? Y quiero satisfacerte, dándote a todo respuesta. Si él supiera que es mi hijo hoy, y mañana se viera
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– perdonami l’imprudenza – di dirmi qual è il tuo intento nel portare in questo modo a palazzo Segismundo. Clotaldo, questo tuo dubbio è giustissimo, ed io voglio chiarirlo soltanto a voi. A Segismundo, mio figlio, l’influsso della sua stella minaccia – voi lo sapete – mille sventure e tragedie. Voglio vedere se il cielo, – che è impossibile che menta, tanto più avendoci dato tante prove di durezza nel suo crudele carattere – si mitiga o si addolcisce quanto meno, e, soggiogato con coraggio e con prudenza, si disdice, perché l’uomo può prevalere sugli astri. È quel che voglio vedere, portandolo dove sappia che è mio figlio, e dove faccia delle sue doti la prova. Se magnanimo si vince, regnerà; ma, se dimostra di esser crudele e tiranno, lo rimetterò in catene. Adesso mi chiederai: ma, per questo esperimento, a cosa serviva mai portarlo qui addormentato? E ti voglio accontentare, dando a tutto una risposta. Se sapesse che è mio figlio oggi, e domani di nuovo 335
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segunda vez reducido a su prisión y miseria, cierto es de su condición que desesperara en ella; porque, sabiendo quién es, ¿qué consuelo habrá que tenga? Y así he querido dejar abierta al daño esta puerta del decir que fue soñado cuanto vio. Con esto llegan a examinarse dos cosas: su condición la primera, pues él despierto procede en cuanto imagina y piensa; y el consuelo la segunda, pues aunque agora se vea obedecido, y después a sus prisiones se vuelva, podrá entender que soñó; y hará bien cuando lo entienda, porque en el mundo, Clotaldo, todos los que viven sueñan. Razones no me faltaran para probar que no aciertas. Mas ya no tiene remedio; y, según dicen las señas, parece que ha despertado y hacia nosotros se acerca. Yo me quiero retirar. Tú, como ayo suyo, llega, y de tantas confusiones como su discurso cercan le saca con la verdad. En fin, ¿que me das licencia para que lo diga?
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si vedesse ricondotto in prigione ed in miseria, dato il suo modo di essere dispererebbe di certo; perché, sapendo chi è, cosa lo consolerebbe? Così ho voluto lasciare questa via d’uscita aperta di dire che è stato un sogno quello che ha visto. Due cose così si mettono a prova: la prima, il suo modo d’essere, perché da sveglio agirà in ciò che immagina e pensa; e il conforto la seconda, perché se anche ora si vede riverito, mentre poi tornerà alla sua prigione, penserà di aver sognato; e farà bene a pensarlo, perché nel mondo, Clotaldo, chiunque vive, sta sognando. Non avrei pochi argomenti per provare che ti sbagli. Ma ormai, non c’è più rimedio; e, dai rumori che sento, credo che si sia svegliato e venga verso di noi. Io mi voglio allontanare. Tu, che l’hai allevato, vai e liberalo dai dubbi che la mente gli confondono con la verità. Ma allora mi dai licenza di dirglielo?
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Sí; que podrá ser, con saberla, que, conocido el peligro, más fácilmente se venza.
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Vase, y sale Clarín. CLARÍN
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(A costa de cuatro palos que el llegar aquí me cuesta de un alabardero rubio que barbó de su librea, tengo de ver cuanto pasa; que no hay ventana más cierta que aquella que, sin rogar a un ministro de boletas, un hombre se trae consigo; pues para todas las fiestas, despojado y despejado, se asoma a su desvergüenza.) (Este es Clarín, el crïado de aquella, ¡ay cielos!, de aquella que, tratante de desdichas, pasó a Polonia mi afrenta.) Clarín, ¿qué hay de nuevo? Hay, señor, que tu gran clemencia, dispuesta a vengar agravios de Rosaura, la aconseja que tome su propio traje. Y es bien, porque no parezca liviandad. Hay que, mudando su nombre y tomando, cuerda, nombre de sobrina tuya, hoy tanto honor se acrecienta que dama en palacio ya
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Sì, che può darsi, sapendola, che, conosciuto il pericolo, più facilmente si vinca. Si allontana, ed entra Clarín.
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(Contro quattro bastonate che per venir qui ho buscato da un alabardiere rosso a cui è spuntata la barba dalla livrea, voglio proprio vedere cosa succede; che non c’è miglior finestra di quella che, senza fare la trafila del biglietto, chiunque porta con sé; cosicché qualsiasi festa, spogliato e spigliato, guarda affacciato al davanzale della propria improntitudine.) (Questi è Clarín, servitore di colei, ahimè!, colei che, commerciando in sventure, il mio affronto ha qui portato.) Clarín, cosa c’è di nuovo? C’è che la tua gran clemenza, per vendicare le offese di Rosaura, le consiglia di riprender le sue vesti. Ben fatto, perché non sembri leggerezza. C’è che il nome cambiando e prendendo, saggia, nome di nipote tua, tanto si vede onorata che vive a palazzo, e dama
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de la singular Estrella vive. Es bien que de una vez tome su honor por mi cuenta. Hay que ella se está esperando que ocasión y tiempo venga en que vuelvas por su honor. Prevención segura es ésa; que al fin el tiempo ha de ser quien haga esas diligencias. Hay que ella está regalada, servida como una reina, en fe de sobrina tuya, y hay que, viniendo con ella, estoy yo muriendo de hambre, y naide de mí se acuerda; sin mirar que soy Clarín, y que si el tal Clarín suena podrá decir cuanto pasa al Rey, a Astolfo y a Estrella, porque Clarín y crïado son dos cosas que se llevan con el secreto muy mal; y podrá ser, si me deja el silencio de su mano, se cante por mí esta letra: Clarín que rompe el albor no suena mejor. Tu queja está bien fundada; yo satisfaré tu queja, y en tanto, sírveme a mí. Pues ya Segismundo llega.
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è già della straordinaria Estrella. È bene che infine mi preoccupi del suo onore. C’è che ora sta aspettando l’occasione e il tempo in cui rivendicherai il suo onore. Giusta precauzione è questa; che dopo tutto sta al tempo risolvere questi casi. C’è che adesso è riverita, come fosse una regina, perché tua nipote. E c’è che, venuto qui con lei, io sto morendo di fame, ed a me nessuno pensa; eppure io sono Clarín, e se suona, il mio clarino, potrà raccontare tutto al Re, ad Astolfo e ad Estrella, che Clarín e servitore sono due cose che vanno col segreto molto poco d’accordo; e se mi abbandona il silenzio, non escludo che si possano cantare per me quei versi che dicono: Clarino che rompe il silenzio dell’alba non squilla meglio. È fondata lamentela; ti darò soddisfazione, e intanto servirai me. Ecco, arriva Segismundo.
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Salen músicos cantando, y criados, dando de vestir a Segismundo, que sale como asombrado. SEGISMUNDO
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¡Válgame el cielo!, ¿qué veo? ¡Válgame el cielo!, ¿qué miro? Con poco espanto lo admiro, con mucha duda lo creo. ¿Yo en palacios suntüosos? ¿Yo entre telas y brocados? ¿Yo cercado de crïados tan lucidos y brïosos? ¿Yo despertar de dormir en lecho tan excelente? ¿Yo en medio de tanta gente que me sirva de vestir? Decir que sueño es engaño: bien sé que despierto estoy. ¿Yo Segismundo no soy? Dadme, cielos, desengaño; decidme: ¿qué pudo ser esto que a mi fantasía sucedió mientras dormía, que aquí me he llegado a ver? Pero, sea lo que fuere, ¿quién me mete en discurrir? Dejarme quiero servir y venga lo que viniere. ¡Qué melancólico está! Pues ¿a quién le sucediera esto, que no lo estuviera? A mí. Llega a hablarle ya. ¿Volverán a cantar? No, no quiero que canten más. Como tan suspenso estás, quise divertirte.
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Entrano dei musicisti cantando, e dei domestici, che danno da vestire a Segismundo, che entrerà come stupito. SEGISMUNDO
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Mi aiuti il cielo, che vedo! Mi aiuti il cielo, che scorgo! Senza stupore lo ammiro, con molti dubbi lo credo. Io in un palazzo sontuoso? Io in mezzo a tele e broccati? Io attorniato da domestici così aitanti e ben vestiti? Io risvegliarmi dal sonno in un letto così bello? Io circondato da tanti che mi danno da vestire? Dire che sogno è un inganno: so bene di essere sveglio. Io non sono Segismundo? Cieli, spiegate il mistero, ditemi: cos’è successo alla mia immaginazione mentre dormivo, che qui sono stato trasportato? Ma, qualsiasi cosa sia, perché dovrei arrovellarmi? Voglio lasciarmi servire, succeda quel che succeda. Com’è triste e pensieroso! Chi non lo sarebbe, se gli succedesse lo stesso? Io. Avvicinati a parlargli. Vuoi che tornino a cantare? No, non voglio più quei canti. Vedendoti tanto assorto pensavo ti distraessero.
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Yo no tengo de divertir con sus voces mis pesares; las músicas militares sólo he gustado de oír. Vuestra Alteza, gran señor, me dé su mano a besar; que el primero le ha de dar esta obediencia mi honor. (Clotaldo es; pues ¿cómo así quien en prisión me maltrata con tal respeto me trata? ¿Qué es lo que pasa por mí?) Con la grande confusión que el nuevo estado te da, mil dudas padecerá el discurso y la razón. Pero ya librarte quiero de todas, si puede ser, porque has, señor, de saber que eres príncipe heredero de Polonia. Si has estado retirado y escondido, por obedecer ha sido a la inclemencia del hado, que mil tragedias consiente a este imperio, cuando en él el soberano laurel corone tu augusta frente. Mas, fïando a tu atención que vencerás las estrellas, porque es posible vencellas a un magnánimo varón, a palacio te han traído de la torre en que vivías, mientras al sueño tenías el espíritu rendido.
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Non voglio distrarre i miei affanni con quelle voci; le musiche militari sono le sole che amo. Vostra Altezza, gran signore, mi dia la mano a baciare; ché per primo voglio darvi questa prova di obbedienza. (È Clotaldo; come mai chi in prigione mi maltratta, con tutto questo rispetto mi tratta ora? Che succede?) Nella grande confusione che ti dà il tuo nuovo stato, mille dubbi assedieranno la tua mente e i tuoi pensieri. Te ne voglio liberare, per quello che mi è possibile, e dunque sappi, signore, che sei il legittimo principe di Polonia. Se sei stato allontanato e nascosto, è stato per ubbidire all’inclemenza del fato, che mille tragedie al regno promette, da quando in esso ti coronerai d’alloro regale l’augusta fronte. Ma, fidando che tu, saggio, sappia vincere le stelle, perché è possibile vincerle a un uomo dal grande cuore, ti hanno portato a palazzo dalla torre in cui vivevi, mentre il tuo spirito al sonno aveva ceduto.
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Tu padre, el Rey mi señor, vendrá a verte, y dél sabrás, Segismundo, lo demás. Pues vil, infame y traidor, ¿qué tengo más que saber, después de saber quién soy, para mostrar desde hoy mi soberbia y mi poder? ¿Cómo a tu patria le has hecho tal traición, que me ocultaste a mí, pues que me negaste, contra razón y derecho, este estado? ¡Ay de mí triste! Traidor fuiste con la ley, lisonjero con el Rey, y crüel conmigo fuiste; y así el Rey, la ley y yo, entre desdichas tan fieras, te condenan a que mueras a mis manos. Señor... No me estorbe nadie, que es vana diligencia; y ¡vive Dios! si os ponéis delante vos, que os eche por la ventana. Huye, Clotaldo. ¡Ay de ti, que soberbia vas mostrando sin saber que estás soñando!
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Advierte... Apartad de aquí. ...que a su rey obedeció.
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Tuo padre, il Re mio signore, verrà a vederti, e da lui, saprai il resto, Segismundo. Vile, infame e traditore, che devo sapere ancora, sapendo oramai chi sono, per mostrare da oggi in poi la mia superbia e potere? Come hai potuto tradire a tal punto la tua patria da nascondermi e negarmi, contro ragione e diritto, questo stato? Ah, me infelice! Traditore con la legge, adulatore col Re, con me crudele, sei stato; ed il Re, la legge ed io, di fronte a tali sciagure, ti condannano a morire per mia mano. Sire... Non provi nessuno a impedirmelo, che è inutile; e vivaddio, se voi vi mettete in mezzo, vi butto dalla finestra. Fuggi, Clotaldo. Ah, infelice, che fai mostra di superbia e non sai che stai sognando! Esce.
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Considera... Via di qui. ...che al suo re egli ha obbedito. 347
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA SEGISMUNDO
[CRIADO] 2 SEGISMUNDO
CLARÍN
[CRIADO] 1 CLARÍN SEGISMUNDO
CLARÍN
SEGISMUNDO
CLARÍN
En lo que no es justa ley no ha de obedecer al rey; y su príncipe era yo. Él no debió examinar si era bien hecho o mal hecho. Que estáis mal con vos, sospecho, pues me dais que replicar. Dice el Príncipe muy bien, y vos hicistes muy mal. ¿Quién os dio licencia igual? Yo me la he tomado. ¿Quién eres tú? Di. Entremetido, y deste oficio soy jefe, porque soy el mequetrefe mayor que se ha conocido. Tú solo en tan nuevos mundos me has agradado. Señor, soy un grande agradador de todos los Segismundos.
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Sale Astolfo. ASTOLFO
¡Feliz mil veces el día, oh Príncipe, que os mostráis, sol de Polonia, y llenáis de resplandor y alegría todos estos horizontes con tan divino arrebol, pues que salís como el sol de debajo de los montes! Salid, pues, y aunque tan tarde se corona vuestra frente del laurel resplandeciente, tarde muera.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2 SEGISMUNDO
CLARÍN
[DOMESTICO] 1 CLARÍN SEGISMUNDO
CLARÍN
SEGISMUNDO
CLARÍN
Se una legge non è giusta obbedire non si deve; e poi, io ero il suo principe. Non stava a lui giudicare se era fatto bene o male. E voi vi volete male, visto che mi replicate. Dice il Principe assai bene, e avete fatto assai male. Chi vi ha dato la parola? L’ho presa da solo. Dimmi chi sei tu? Io? Un impiccione, maestro in questo mestiere, perché sono l’intrigante più grande che sia esistito. Tu soltanto, in questi nuovi mondi, hai saputo piacermi. Sire, gran compiacitore sono di ogni Segismundo. Entra Astolfo.
ASTOLFO
Sia felicissimo il giorno, Principe, che vi mostrate, sole polacco, e riempite di splendore e gioia tutti gli orizzonti del Paese con fulgore prodigioso, sorgendo, come fa il sole, dalle viscere dei monti! Sorgete, e, se si incorona tardi del fulgido alloro la vostra fronte, altrettanto tardi muoia.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA SEGISMUNDO ASTOLFO
SEGISMUNDO
[CRIADO] 2 (A Astolfo) (A Segismundo) SEGISMUNDO
[CRIADO] 2 SEGISMUNDO
[CRIADO] 2
SEGISMUNDO
Dios os guarde. El no haberme conocido sólo por disculpa os doy de no honrarme más. Yo soy Astolfo, duque he nacido de Moscovia y primo vuestro; haya igualdad en los dos. Si digo que os guarde Dios, ¿bastante agrado no os muestro? Pero ya que, haciendo alarde de quien sois, desto os quejáis, otra vez que me veáis le diré a Dios que no os guarde. Vuestra Alteza considere que como en montes nacido con todos ha procedido. Astolfo, señor, prefiere... Cansome como llegó grave a hablarme, y lo primero que hizo, se puso el sombrero. Es Grande. Mayor soy yo. Con todo eso, entre los dos que haya más respeto es bien que entre los demás. ¿Y quién os mete conmigo a vos?
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Sale Estrella. ESTRELLA
Vuestra Alteza, señor, sea muchas veces bien venido al dosel, que agradecido le recibe y le desea, adonde, a pesar de engaños, viva augusto y eminente,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO SEGISMUNDO ASTOLFO
SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2 (A Astolfo) (A Segismundo) SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2 SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2
SEGISMUNDO
Dio vi guardi. Non conoscermi è la sola scusa che vi do per questo poco onore che mi fate. Sono Astolfo, di Moscovia duca ed erede, e cugino vostro; da pari trattatemi. Se dico che Dio vi guardi, non vi compiaccio abbastanza? Ma visto che, sbandierando chi siete, ve ne lagnate, quando ci rincontreremo dirò a Dio che non vi guardi. Sappia Vostra Altezza che come chi è nato fra i monti con tutti si è comportato. Astolfo, sire, ha diritto... Mi è spiaciuta quella boria con cui mi ha parlato, e il gesto di rimettersi il cappello. È Grande. Di più io lo sono. Comunque, tra i due è bene che ci sia maggior rispetto che tra voi e gli altri. E chi vi autorizza a contraddirmi? Entra Estrella.
ESTRELLA
Vostra Altezza, sire, sia mille volte il benvenuto al trono, che lo riceve e lo desidera grato, dove, sventando ogni inganno, viva augusto ed eminente
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
SEGISMUNDO
CLARÍN SEGISMUNDO
ESTRELLA ASTOLFO
[CRIADO] 2
SEGISMUNDO
donde su vida se cuente por siglos, y no por años. Dime tú, agora, ¿quién es esta beldad soberana? ¿Quién es esta diosa humana, a cuyos divinos pies postra el cielo su arrebol? ¿Quién es esta mujer bella? Es, señor, tu prima Estrella. Mejor dijeras el sol. Aunque el parabién es bien darme del bien que conquisto, de sólo haberos hoy visto os admito el parabién; y así, del llegarme a ver con el bien que no merezco el parabién agradezco, Estrella, que amanecer podéis, y dar alegría al más luciente farol. ¿Qué dejáis que hacer al sol, si os levantáis con el día? Dadme a besar vuestra mano, en cuya copa de nieve el aura candores bebe. Sed más galán cortesano. (Si él toma la mano, yo soy perdido.) (El pesar sé de Astolfo, y le estorbaré.) Advierte, señor, que no es justo atreverte así, y estando Astolfo... ¿No digo que vos no os metáis conmigo?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
SEGISMUNDO
CLARÍN SEGISMUNDO
ESTRELLA ASTOLFO
[DOMESTICO] 2
SEGISMUNDO
una vita che si computi in secoli e non in anni. Dimmi tu ora, chi è questa bellezza regale? Chi è questa dea umana, ai cui piedi celestiali prostra il cielo il suo fulgore? Chi è questa donna bella? Sire, è tua cugina Estrella. Meglio avresti detto il sole. Anche se va bene farmi delle felicitazioni, le accetto solo del bene che è per me l’avervi visto; e perciò vi sono grato che con me vi rallegriate per un bene che non merito, Estrella, che fare giorno potete, e dare allegria al più splendente dei lumi. Che resta da fare al sole, se sorgete con il giorno? Datemi la vostra mano, nella cui coppa di neve l’aura sorbisce candore. Siate più cortese. (Se le prende la mano, sono perduto.) (Il cruccio conosco di Astolfo, e lo impedirò.) Bada, signore, che non è giusto esser tanto audace, ed in presenza di Astolfo... Non vi avevo forse detto di non contraddirmi?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
[CRIADO] 2
Digo lo que es justo.
SEGISMUNDO
A mí todo eso me causa enfado. Nada me parece justo en siendo contra mi gusto. Pues yo, señor, he escuchado de ti que en lo justo es bien obedecer y servir. También oíste decir que por un balcón, a quien me canse, sabré arrojar. Con los hombres como yo no puede hacerse eso. ¿No? ¡Por Dios, que lo he de probar!
[CRIADO] 2
SEGISMUNDO
[CRIADO] 2 SEGISMUNDO
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Cógele en los brazos y éntrase, y todos tras él, y torna a salir. ASTOLFO ESTRELLA
¿Qué es esto que llego a ver? ¡Llegad todos a ayudar! Vase.
SEGISMUNDO
ASTOLFO
SEGISMUNDO
Cayó del balcón al mar: ¡vive Dios que pudo ser! Pues medid con más espacio vuestras acciones severas, que lo que hay de hombres a fieras hay desde un monte a palacio. Pues en dando tan severo en hablar con entereza, quizá no hallaréis cabeza en que se os tenga el sombrero.
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Vase Astolfo y sale el Rey.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
[DOMESTICO] 2 SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2
SEGISMUNDO
[DOMESTICO] 2 SEGISMUNDO
Dico quello che è giusto. E a me tutto questo irrita assai. Nulla mi sembra sia giusto quando è contrario al mio gusto. Ma io, sire, ti ho sentito dire che agli ordini giusti è bene che si obbedisca. Mi hai anche sentito dire che saprò gettare giù da un balcone chi mi secca. Ad uomini come me non si può far questo. No? Perdio, ci voglio provare!
Lo afferra ed esce, e tutti dietro di lui, e dopo poco rientra. ASTOLFO ESTRELLA
Cosa mi tocca vedere? Aiuto, accorrete tutti! Esce.
SEGISMUNDO
ASTOLFO
SEGISMUNDO
È caduto giù nel mare: vivaddio, se era possibile! Misurate però meglio i vostri atti severi, che tra uomo e belva corre quanto tra un monte e il palazzo. Se però con gravità così severa parlate, può darsi non ritroviate dove mettere il cappello. Astolfo esce ed entra il Re.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA BASILIO SEGISMUNDO
CLARÍN BASILIO
SEGISMUNDO
BASILIO
¿Qué ha sido esto? Nada ha sido. A un hombre que me ha cansado de ese balcón he arrojado. (Que es el Rey está advertido.) ¿Tan presto una vida cuesta tu venida el primer día? Díjome que no podía hacerse, y gané la apuesta. Pésame mucho que cuando, Príncipe, a verte he venido, pensando hallarte advertido, de hados y estrellas triunfando, con tanto rigor te vea, y que la primera acción que has hecho en esta ocasión un grave homicidio sea. ¿Con qué amor llegar podré a darte agora mis brazos, si de sus soberbios lazos que están enseñados sé a dar muertes? ¿Quién llegó a ver desnudo el puñal que dio una herida mortal, que no temiese? ¿Quién vio sangriento el lugar adonde a otro hombre dieron muerte, que no sienta? Que el más fuerte a su natural responde. Yo así, que en tus brazos miro desta muerte el instrumento, y miro el lugar sangriento, de tus brazos me retiro; y aunque en amorosos lazos ceñir tu cuello pensé, sin ellos me volveré, que tengo miedo a tus brazos.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO BASILIO SEGISMUNDO
CLARÍN BASILIO
SEGISMUNDO
BASILIO
Che è successo? Proprio nulla. Da quel balcone ho gettato un uomo che mi ha seccato. (Stai attento, quello è il Re.) Una vita costa già il tuo arrivo, al primo giorno? Mi ha detto che non potevo farlo, e ho vinto la scommessa. Mi dispiace assai che quando, Principe, vengo a trovarti, pensando che, cauto, stessi di stelle e fato trionfando, ti veda invece crudele al punto che il primo gesto che hai fatto in questa occasione è stato un grave omicidio. Con quale amore potrò offrirti ora i miei abbracci, se dei tuoi superbi lacci so che già hanno imparato a uccidere? Chi, vedendo sguainato il pugnale che ferita mortale ha inferto, non teme? Chi, nel vedere il luogo cruento dove un altro uomo è stato ucciso, non trema? Ché anche il più forte paga tributo al suo istinto. E io, che vedo nel tuo abbraccio di questa uccisione l’arma, e vedo il luogo cruento, dal tuo abbraccio mi ritraggo; e anche se amorosi lacci volevo gettarti al collo, me ne andrò senza toccarti, che ho paura dei tuoi abbracci. 357
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA SEGISMUNDO
BASILIO
SEGISMUNDO
BASILIO
SEGISMUNDO
Sin ellos me podré estar como me he estado hasta aquí, que un padre que contra mí tanto rigor sabe usar, que con condición ingrata de su lado me desvía, como a una fiera me cría y como a un monstruo me trata, y mi muerte solicita, de poca importancia fue que los brazos no me dé, cuando el ser de hombre me quita. Al cielo y a Dios pluguiera que a dártele no llegara, pues ni tu voz escuchara ni tu atrevimiento viera. Si no me le hubieras dado no me quejara de ti, pero, una vez dado, sí, por habérmele quitado; que aunque el dar el acción es más noble y más singular, es mayor bajeza el dar para quitarlo después. ¡Bien me agradeces el verte, de un humilde y pobre preso, príncipe ya! Pues en eso ¿qué tengo que agradecerte? Tirano de mi albedrío, si viejo y caduco estás muriéndote, ¿qué me das? ¿Dasme más de lo que es mío? Mi padre eres y mi rey; luego toda esta grandeza me da la naturaleza
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BASILIO
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Posso anche farne a meno, come ho fatto fino adesso, che un padre che ha dimostrato con me tanta crudeltà, che con fermezza spietata dal suo fianco mi allontana, come una belva mi cresce e come un mostro mi tratta, e la mia morte procura, è di ben poca importanza che non mi offra il suo abbraccio se l’essere uomo mi toglie. Fosse al cielo e a Dio piaciuto che non te l’avessi dato; non dovrei ora ascoltarti, né vedere la tua audacia. Se non me l’avessi dato non avrei di che lagnarmi, ma, una volta dato, sì, per avermelo poi tolto; perché se il dare è l’azione più nobile e singolare, è maggior bassezza dare e subito dopo togliere. Proprio un bel ringraziamento per esserti ritrovato, da prigioniero che eri, principe! E perché mai dovrei di ciò ringraziarti? Se, tiranno del mio arbitrio, vecchio e decrepito stai per morire, che mi dai? Non mi dai ciò che è già mio? Sei mio padre e sei il mio re; quindi tutta questa gloria a darmela è la natura, 359
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
BASILIO
por derechos de su ley. Luego, aunque esté en este estado, obligado no te quedo, y pedirte cuentas puedo del tiempo que me has quitado libertad, vida y honor; y así, agradéceme a mí que yo no cobre de ti, pues eres tú mi deudor. Bárbaro eres y atrevido; cumplió su palabra el cielo; y así, para él mismo apelo, ¡soberbio, desvanecido! Y aunque sepas ya quién eres y desengañado estés, y aunque en un lugar te ves donde a todos te prefieres, mira bien lo que te advierto: que seas humilde y blando, porque quizá estás soñando aunque ves que estás despierto.
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Vase. SEGISMUNDO
¿Que quizá soñando estoy aunque despierto me veo? No sueño, pues toco y creo lo que he sido y lo que soy. Y aunque agora te arrepientas, poco remedio tendrás; sé quién soy, y no podrás, aunque suspires y sientas, quitarme el haber nacido desta corona heredero. Y si me viste primero a las prisiones rendido fue porque ignoré quién era;
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la sua legge e il suo diritto. Dunque, anche in questo stato, non ti devo gratitudine, e posso chiederti conto del tempo che mi hai sottratto libertà, vita ed onore; tu devi anzi ringraziarmi che non te ne chieda il prezzo, perché mi sei debitore. Sei barbaro ed insolente; si compie la profezia del cielo; a lui faccio appello, oh superbo, oh presuntuoso! E anche se sai già chi sei e la verità conosci, e anche se ti vedi ora superiore a tutti quanti, ascolta bene il mio avviso: sii umile e misurato, perché forse stai sognando anche se ti credi sveglio. Esce.
SEGISMUNDO
Perché sto forse sognando anche se mi credo sveglio? Non sogno, son ben cosciente di chi sono e sono stato. E anche se ora ti penti, non ci puoi più fare molto; so chi sono, e non potrai, per quanto te ne dispiaccia, togliermi l’essere nato erede della corona. E se un tempo mi hai veduto rassegnato alle catene, è stato perché ignoravo 361
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pero ya informado estoy de quién soy, y sé que soy un compuesto de hombre y fiera.
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Sale Rosaura, dama. ROSAURA
CLARÍN
SEGISMUNDO
ROSAURA SEGISMUNDO
(Siguiendo a Estrella vengo, y gran temor de hallar a Astolfo tengo, que Clotaldo desea que no sepa quién soy y no me vea, porque dice que importa al honor mío; y de Clotaldo fío su efeto, pues le debo, agradecida, aquí el amparo de mi honor y vida.) ¿Qué es lo que te ha agradado más de cuanto hoy has visto y admirado? Nada me ha suspendido, que todo lo tenía prevenido; mas si admirar hubiera algo en el mundo, la hermosura fuera de la mujer. Leía una vez, en los libros que tenía, que lo que a Dios mayor estudio debe era el hombre, por ser un mundo breve; mas ya que lo es recelo la mujer, pues ha sido un breve cielo, y más beldad encierra que el hombre, cuanto va de cielo a tierra; y más si es la que miro. (El Príncipe está aquí; yo me retiro). Oye, mujer, detente: no juntes el ocaso y el oriente huyendo al primer paso; que juntando el oriente y el ocaso, la lumbre y sombra fría, serás sin duda síncopa del día. (Pero ¿qué es lo que veo?)
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chi ero; ma ora so chi sono, e so cosa sono: un miscuglio di uomo e belva. Entra Rosaura, dama. ROSAURA
CLARÍN
SEGISMUNDO
ROSAURA SEGISMUNDO
(Mi trovo qui al seguito di Estrella, e temo molto di incontrare Astolfo; che Clotaldo desidera che non sappia chi sono e non mi veda, perché dice che importa all’onor mio; e in lui ho fiducia che a recuperarlo mi aiuti, visto che gli debbo, grata, di avermi qui protetto vita e onore.) Che cosa ti è piaciuto di più di quanto hai visto oggi e ammirato? Non mi ha stupito nulla, che tutto prevedevo; ma a dover ammirare qualcosa, la bellezza della donna ti direi. Nei miei libri lessi una volta che il maggior impegno lo richiese a Dio l’uomo, perché è un piccolo mondo. Ma ora penso che ancor di più gli debba la donna, visto che è un piccolo cielo; più bellezza racchiude dell’uomo, quanto va da cielo a terra; e ancora più se è colei che vedo. (Qui c’è il Principe; voglio ritirarmi.) Donna, ascoltami, ferma: non riunire l’oriente e l’occidente fuggendo al primo passo; che, se occidente ed oriente riunisci, la luce e l’ombra fredda, sarai senz’altro sincope del giorno. (Ma, cosa vedo mai?) 363
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA ROSAURA SEGISMUNDO
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(Lo mismo que estoy viendo, dudo y creo). (Yo he visto esta belleza otra vez). (Yo, esta pompa, esta grandeza he visto reducida a una estrecha prisión.) (Ya hallé mi vida.) Mujer, que aqueste nombre es el mejor requiebro para el hombre, ¿quién eres, que sin verte adoración me debes, y de suerte por la fe te conquisto que me persuado a que otra vez te he visto? ¿Quién eres, mujer bella? (Disimular me importa.) Soy de Estrella una infelice dama. No digas tal; di el sol, a cuya llama aquella estrella vive, pues de tus rayos resplandor recibe. Yo vi, en reino de olores, que presidía entre comunes flores la deidad de la rosa, y era su emperatriz por más hermosa. Yo vi, entre piedras finas de la docta academia de las minas, preferir el diamante, y ser su emperador por más brillante. Yo, en esas cortes bellas de la inquieta república de estrellas, vi en el lugar primero por rey de las estrellas el lucero. Yo, en esferas perfetas, llamando el sol a Cortes los planetas, le vi que presidía como mayor oráculo del día. Pues, ¿cómo, si entre flores, entre estrellas, piedras, signos, planetas, las más bellas
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO ROSAURA SEGISMUNDO
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(Dubito e credo a quel che sto vedendo.) (Questa bellezza ho visto un’altra volta.) (Io ho visto ridotta questa gloria e grandezza a un’angusta prigione.) (La mia vita ho ritrovato.) Donna, nome che è il miglior complimento per un uomo, chi sei? Che già ti adoro senza vederti; e tanto ti conquisto con la fede, che credo di averti visto già prima di ora. Chi sei tu, donna bella? (Devo dissimulare.) Son di Estrella una dama infelice. Non dir così: di’ il sole, alla cui fiamma quella stella può vivere, ricevendo splendore dai tuoi raggi. Io ho visto nel reame dei profumi presiedere tra i fiori più comuni la deità della rosa; è lei che regna, perché è la più bella. Nella dotta accademia mineraria delle pietre preziose, io ho visto che è il diamante a primeggiare: è lui che regna, perché è il più brillante. Nella corte splendente del mobile reame delle stelle io ho visto al primo posto la stella del mattino, che è regina. Fra le sfere perfette, riunito in gran consiglio coi pianeti, io ho visto il sole far da presidente come maggior oracolo del giorno. Come mai, se tra i fiori, tra le stelle, pietre, segni e pianeti, le più belle 365
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
prefieren, tú has servido la de menos beldad, habiendo sido, por más bella y hermosa, sol, lucero, diamante, estrella y rosa?
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Sale Clotaldo. CLOTALDO
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SEGISMUNDO
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(A Segismundo reducir deseo, porque en fin le he crïado. Mas ¿qué veo?) Tu favor reverencio: respóndate retórico el silencio. Cuando tan torpe la razón se halla, mejor habla, señor, quien mejor calla. No has de ausentarte, espera. ¿Cómo quieres dejar desa manera a escuras mi sentido? Esta licencia a Vuestra Alteza pido. Irte con tal violencia no es pedir, es tomarte la licencia. Pues, si tú no la das, tomarla espero. Harás que de cortés pase a grosero, porque la resistencia es veneno crüel de mi paciencia. Pues cuando ese veneno, de furia, de rigor y saña lleno, la paciencia venciera, mi respeto no osara, ni pudiera. Sólo por ver si puedo harás que pierda a tu hermosura el miedo, que soy muy inclinado a vencer lo imposible. Hoy he arrojado dese balcón a un hombre que decía que hacerse no podía; y así, por ver si puedo, cosa es llana que arrojaré tu honor por la ventana.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
primeggiano, tu servi chi di te è meno bella, quando, essendo più bella e più preziosa, sei sole, astro, diamante, stella e rosa? Entra Clotaldo. CLOTALDO
ROSAURA
SEGISMUNDO
ROSAURA SEGISMUNDO
ROSAURA SEGISMUNDO
ROSAURA
SEGISMUNDO
(A più miti consigli persuadere vorrei Segismundo, che, infine, l’ho allevato. Ma che vedo?) Mi inchino al tuo favore. Ti risponda, retorico, il silenzio; quando è tanto impacciata la parola, parla meglio colui che meglio tace. Non andartene, aspetta. Così i miei sensi vuoi lasciare al buio? Questo permesso chiedo a Vostra Altezza. Andar via così in fretta non è chiedere, è prendersi il permesso. Lo prendo infatti, se non me lo dai. Così mi spingi ad essere villano, perché la resistenza è aspro veleno per la mia pazienza. Ma se questo veleno, con furia e con crudezza, la pazienza vincesse, non potrebbe, non oserebbe vincere il rispetto. Per vedere se posso, mi scrollerò di dosso il timore che provo per la tua bellezza, ché mi piace fare ciò che è impossibile. Ho gettato da quel balcone un uomo che diceva che far non si poteva; e così ora, per veder se posso, dalla finestra getterò il tuo onore.
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(Mucho se va empeñando. ¿Qué he de hacer, cielos, cuando tras un loco deseo mi honor segunda vez a riesgo veo?) No en vano prevenía a este reino infeliz tu tiranía escándalos tan fuertes de delitos, traiciones, iras, muertes. Mas ¿qué ha de hacer un hombre que de humano no tiene más que el nombre, atrevido, inhumano, crüel, soberbio, bárbaro y tirano, nacido entre las fieras? Porque tú ese baldón no me dijeras tan cortés me mostraba, pensando que con eso te obligaba; mas, si lo soy hablando deste modo, has de decirlo, ¡vive Dios!, por todo. ¡Hola!, dejadnos solos, y esa puerta se cierre y no entre nadie.
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Vase Clarín. (Yo soy muerta.)
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Advierte... SEGISMUNDO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
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Soy tirano, y ya pretendes reducirme en vano. (¡Oh qué lance tan fuerte! Saldré a estorbarlo, aunque me dé la muerte.) Señor, atiende, mira... Segunda vez me has provocado a ira, viejo caduco y loco. ¿Mi enojo y mi rigor tienes en poco? ¿Cómo hasta aquí has llegado? De los acentos desta voz llamado, a decirte que seas más apacible, si reinar deseas;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO CLOTALDO
ROSAURA
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(Sta andando molto oltre. Che devo fare, cielo, se un folle desiderio mette a rischio il mio onore un’altra volta?) Non sbagliava il presagio che alla tua tirannia su questo regno scandali disastrosi collegava, delitti, tradimenti, furia e morte. Ma che può fare un uomo in cui di umano c’è soltanto il nome, audace ed inumano, crudele, fiero, barbaro e tiranno, che è nato tra le belve? Perché non mi dicessi questi insulti mi mostravo cortese, pensando che così ti avrei obbligato; ma, se parlar così non serve a nulla, insultami, per Dio, a ragion veduta. Olà! Soli lasciateci, e la porta chiudete, e nessuno entri. Esce Clarín.
ROSAURA
SEGISMUNDO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
CLOTALDO
(Sono morta.) Bada... Sono tiranno, ed ora cerchi di placarmi invano. (Che rischioso frangente! Mi frapporrò, dovesse pure uccidermi.) Signore, ascolta, guarda... È la seconda volta che mi provochi, vecchio caduco e folle. La mia ira e il mio castigo non ti importano? Come hai potuto arrivare fin qui? Chiamato dagli accenti di questa voce, a dirti di esser più mite, se regnare vuoi; 369
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SEGISMUNDO
y no, por verte ya de todos dueño, seas crüel, porque quizá es un sueño. A rabia me provocas cuando la luz del desengaño tocas. Veré, dándote muerte, si es sueño o si es verdad.
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Al ir a sacar la daga, se la tiene Clotaldo, y se arrodilla. CLOTALDO
SEGISMUNDO CLOTALDO
ROSAURA SEGISMUNDO
ROSAURA
Yo desta suerte librar mi vida espero. ¡Quita la osada mano del acero! Hasta que gente venga que tu rigor y cólera detenga, no he de soltarte. ¡Ay, cielos! ¡Suelta, digo, caduco, loco, bárbaro, enemigo! O será desta suerte (Luchan) el darte agora entre mis brazos muerte. ¡Acudid todos presto, que matan a Clotaldo!
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Vase. Sale Astolfo a tiempo que cae Clotaldo a sus pies, y él se pone en medio. ASTOLFO
SEGISMUNDO
ASTOLFO
Pues ¿qué es esto, príncipe generoso? ¿Así se mancha acero tan brïoso en una sangre helada? Vuelva a la vaina tu lucida espada. En viéndola teñida en esa infame sangre. Ya su vida tomó a mis pies sagrado, y de algo ha de servirme haber llegado.
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SEGISMUNDO
il dominio supremo non ti renda crudele, perché forse è tutto un sogno. Mi infurio quando fai balenare l’idea del disinganno. Vedrò, dandoti morte, se è sogno o verità.
Mentre sta per sguainare la daga, Clotaldo la trattiene, e si inginocchia. CLOTALDO
SEGISMUNDO CLOTALDO
ROSAURA SEGISMUNDO
ROSAURA
Io così cerco di salvarmi la vita. Leva l’audace mano dalla spada! Finché non verrà gente che freni la tua ira e la tua collera, non ti lascerò. Cielo! Lascia, dico, caduco, folle, barbaro nemico, se non vuoi che con queste braccia ti uccida adesso. (Lottano) Correte tutti, presto, che uccidono Clotaldo!
Esce. Entra Astolfo nel momento in cui Clotaldo cade ai suoi piedi, e lui si mette in mezzo. ASTOLFO
SEGISMUNDO
ASTOLFO
Che succede, principe nobilissimo? Così macchi il tuo acciaio vigoroso del sangue di un anziano? Rinfodera la tua lucente spada. Lo farò solo dopo averla immersa in questo sangue infame. Ha chiesto asilo la sua vita ai miei piedi; mi servirà a qualcosa essere qui! 371
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA SEGISMUNDO
ASTOLFO
Sírvate de morir, pues desta suerte también sabré vengarme con tu muerte de aquel pasado enojo. Yo defiendo mi vida, así la majestad no ofendo.
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Sacan las espadas, y sale el rey Basilio y Estrella. CLOTALDO
No le ofendas, señor.
BASILIO
Pues, ¿aquí espadas? (Astolfo es. ¡Ay de mí, penas airadas!) Pues, ¿qué es lo que ha pasado? Nada, señor, habiendo tú llegado.
ESTRELLA BASILIO ASTOLFO
Envainan. SEGISMUNDO
BASILIO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
Mucho, señor, aunque hayas tú venido: yo a ese viejo matar he pretendido. ¿Respeto no tenías a estas canas? Señor, ved que son mías; que no importa veréis. Acciones vanas querer que tenga yo respeto a canas; pues aun ésas podría ser que viese a mis plantas algún día, porque aún no estoy vengado del modo injusto con que me has crïado.
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Vase. BASILIO
Pues antes que lo veas, volverás a dormir adonde creas que cuanto te ha pasado, como fue bien del mundo, fue soñado.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO SEGISMUNDO
ASTOLFO
Sì, a morire ti serva; e in questo modo saprò anche vendicarmi della rabbia di prima. Io difendo solo la vita, senza fare offesa alla maestà.
Incrociano le spade, ed entrano il re Basilio ed Estrella. CLOTALDO BASILIO ESTRELLA BASILIO ASTOLFO
Non gli far male, sire. Cosa vedo? Qui spade? (È Astolfo! Ahimè, che ansia!) Che cosa è mai successo? Nulla, signore, ora che sei venuto. Rinfoderano le spade.
SEGISMUNDO
BASILIO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
Molto, signore, anche se sei arrivato; io questo vecchio ho cercato di uccidere. Non avevi rispetto dei suoi capelli bianchi? Essendo miei, signore, poco importa. Invano esigi da me il rispetto dei capelli bianchi; perché anche i tuoi potrei veder prostrati un giorno ai piedi miei, ché la vendetta ancora non ho avuto del modo ingiusto con cui m’hai cresciuto. Esce.
BASILIO
Prima che tu lo veda, tornerai, addormentato, dove quello che ti è successo crederai di averlo, come ogni bene terreno, sognato.
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Vase el Rey y Clotaldo. Quedan Estrella y Astolfo. ASTOLFO
ESTRELLA
¡Qué pocas veces el hado que dice desdichas miente, pues es tan cierto en los males cuanto dudoso en los bienes! ¡Qué buen astrólogo fuera si siempre casos crüeles anunciara, pues no hay duda que ellos fueran verdad siempre! Conocerse esta experiencia en mí y Segismundo puede, Estrella, pues en los dos hizo muestras diferentes: en él previno rigores, soberbias, desdichas, muertes, y en todo dijo verdad, porque todo, al fin, sucede; pero en mí, que al ver, señora, esos rayos excelentes, de quien el sol fue una sombra y el cielo un amago breve, que me previno venturas, trofeos, aplausos, bienes, dijo mal y dijo bien; pues sólo es justo que acierte cuando amaga con favores y ejecuta con desdenes. No dudo que esas finezas son verdades evidentes; mas serán por otra dama, cuyo retrato pendiente trujistes al cuello cuando llegastis, Astolfo, a verme; y siendo así, esos requiebros ella sola los merece. Acudid a que ella os pague;
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Escono il Re e Clotaldo. Restano Estrella e Astolfo. ASTOLFO
ESTRELLA
Quanto poco spesso il fato si sbaglia nelle disgrazie, tanto sicuro nei mali quanto incerto nelle gioie! Sarebbe migliore astrologo se sempre casi crudeli annunciasse, che senz’altro sarebbero veritieri! Che sia così lo dimostra il caso di Segismundo e mio, Estrella, avendo a entrambi predetto cose diverse. In lui ha previsto rigore, superbia, disgrazia e morte, ed in tutto ha detto il vero, perché tutto si realizza. A me invece, che, signora, per questi raggi splendenti di cui il sole è solo un’ombra, promessa abbreviata il cielo, nel prevedere fortuna, applausi, trofei e beni, ha detto il vero ed il falso; perché indovina soltanto nel promettermi favori e colpirmi col disdegno. Che queste galanterie siano vere, ben lo credo; ma saranno per un’altra, quella il cui ritratto al collo portavate quando siete venuto, Astolfo, a incontrarmi; e quindi, soltanto lei merita quei complimenti. Chiedetene a lei il compenso; 375
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que no son buenos papeles, en el Consejo de amor, las finezas ni las fees que se hicieron en servicio de otras damas y otros reyes.
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Sale Rosaura al paño. ROSAURA
ASTOLFO
(¡Gracias a Dios que han llegado ya mis desdichas crüeles al término suyo, pues quien esto ve nada teme!) Yo haré que el retrato salga del pecho, para que entre la imagen de tu hermosura. Donde entra Estrella no tiene lugar la sombra, ni estrella donde el sol; voy a traerle. (Perdona, Rosaura hermosa, este agravio, porque, ausentes, no se guardan más fe que ésta los hombres y las mujeres.)
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Vase. ROSAURA
ESTRELLA ROSAURA ESTRELLA
ROSAURA
(Nada he podido escuchar, temerosa que me viese.) Astrea. Señora mía. Heme holgado que tú fueses la que llegaste hasta aquí, porque de ti solamente fïara un secreto. Honras, señora, a quien te obedece.
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nel tribunale d’amore, galanterie e giuramenti fatti durante il servizio ad altre dame e altri re non hanno nessun valore. Entra Rosaura e rimane nascosta. ROSAURA
ASTOLFO
(Grazie a Dio, ora avranno fine le mie sventure crudeli, che, dopo quello che ho visto, niente più potrò temere!) Io farò in modo di togliere dal petto il ritratto, e che entri della tua beltà l’immagine. Dove entra Estrella non ha posto l’ombra, né la stella può stare dove c’è il sole. Vado a prenderlo. (Perdona, bella Rosaura, l’offesa: perché, una volta lontani, solo questa fedeltà resta, fra uomini e donne.) Esce.
ROSAURA
ESTRELLA ROSAURA ESTRELLA
ROSAURA
(Non son riuscita a sentire nulla, per paura che mi vedesse.) Astrea. Signora. Mi rallegro che sia stata proprio tu a venire qui, ché a te sola confidare posso un segreto. Signora, onori chi ti ubbidisce. 377
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA ESTRELLA
ROSAURA ESTRELLA
En el poco tiempo, Astrea, que ha que te conozco, tienes de mi voluntad las llaves; por esto, y por ser quien eres, me atrevo a fïar de ti lo que aun de mí muchas veces recaté. Tu esclava soy. Pues, para decirlo en breve, mi primo Astolfo – bastara que mi primo te dijese, porque hay cosas que se dicen con pensarlas solamente – ha de casarse conmigo, si es que la fortuna quiere que con una dicha sola tantas desdichas descuente. Pesome que el primer día echado al cuello trujese el retrato de una dama. Hablele en él cortésmente, es galán y quiere bien; fue por él, y ha de traerle aquí. Embarázame mucho que él a mí a dármele llegue. Quédate aquí, y cuando venga le dirás que te le entregue a ti. No te digo más. Discreta y hermosa eres; bien sabrás lo que es amor.
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Vase. ROSAURA
¡Ojalá no lo supiese! ¡Válgame el cielo! ¿Quién fuera tan atenta y tan prudente
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO ESTRELLA
ROSAURA
ESTRELLA
Anche se da poco tempo, Astrea, ti conosco, hai già le chiavi del mio cuore; per questo, e perché sei tu chi sei, oso confidarti qualcosa che anche a me stessa spesso ho nascosto. Una schiava hai in me. Per dirla in breve, mio cugino Astolfo – solo mio cugino potrei dire, che alcune cose si dicono limitandosi a pensarle – deve sposarsi con me, se la fortuna acconsente che con una gioia sola tante sventure si annullino. Mi è dispiaciuto che il primo giorno lui portasse al collo il ritratto di una dama. Gliel’ho detto gentilmente; è cortese e innamorato; è andato a prenderlo e viene qui. A me imbarazza molto riceverlo ora da lui. Rimani qui, e quando arriva, digli che lo dia a te. Niente altro devo dirti. Sei assennata e sei bella; certo saprai cos’è amore. Esce.
ROSAURA
Magari non lo sapessi! Il cielo mi aiuti! Fossi io così saggia e prudente 379
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que supiera aconsejarse hoy en ocasión tan fuerte? ¿Habrá persona en el mundo a quien el cielo inclemente con más desdichas combata y con más pesares cerque? ¿Qué haré en tantas confusiones, donde imposible parece que halle razón que me alivie, ni alivio que me consuele? Desde la primer desdicha no hay suceso ni accidente que otra desdicha no sea; que unas a otras suceden, herederas de sí mismas. A la imitación del fénix, unas de las otras nacen, viviendo de lo que mueren; y siempre de sus cenizas está el sepulcro caliente. Que eran cobardes, decía un sabio, por parecerle que nunca andaba una sola; yo digo que son valientes, pues siempre van adelante y nunca la espalda vuelven. Quien las llevare consigo a todo podrá atreverse, pues en ninguna ocasión no haya miedo que le dejen. Dígalo yo, pues en tantas como a mi vida suceden, nunca me he hallado sin ellas, ni se han cansado hasta verme, herida de la fortuna,
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da sapere cosa fare in così arduo frangente! A chi mai fa tanta guerra come a me il cielo inclemente, colpendolo con sciagure e assediandolo di pene? Che farò in questo groviglio, dove mi pare impossibile trovare un ragionamento che mi aiuti, né un aiuto che mi consoli? A partire dal momento della prima sventura, non c’è mai stato né episodio né incidente che non fosse altra sventura; le une alle altre si succedono, di se stesse ereditiere. Imitando la Fenice nascono l’una dall’altra, traendo vita dalla morte; è sempre caldo di ceneri il loro sepolcro. Un saggio diceva che sono vili, in quanto aveva notato che non vengono mai sole; io dico che hanno coraggio, perché vanno sempre avanti e non danno mai le spalle. Chi con sé le porta, a tutto potrà arrischiarsi, perché in nessuna circostanza ne temerà l’abbandono. Io ne sono la riprova: di tante che ne ho sofferte, mai mi son trovata senza né mi han lasciato, fin quando non mi hanno visto ferita 381
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en los brazos de la muerte. ¡Ay de mí! ¿Qué debo hacer hoy en la ocasión presente? Si digo quién soy, Clotaldo, a quien mi vida le debe este amparo y este honor, conmigo ofenderse puede, pues me dice que callando honor y remedio espere. Si no he de decir quién soy a Astolfo, y él llega a verme, ¿cómo he de disimular? Pues aunque fingirlo intenten la voz, la lengua y los ojos, les dirá el alma que mienten. ¿Qué haré? ¿Mas, para qué estudio lo que haré, si es evidente que por más que lo prevenga, que lo estudie y que lo piense, en llegando la ocasión ha de hacer lo que quisiere el dolor? Porque ninguno imperio en sus penas tiene. Y pues a determinar lo que he de hacer no se atreve el alma, llegue el dolor hoy a su término, llegue la pena a su estremo, y salga de dudas y pareceres de una vez; pero, hasta entonces, ¡valedme, cielos, valedme!
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Sale Astolfo con el retrato. ASTOLFO
Éste es, señora, el retrato; mas, ¡ay Dios!
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dalla fortuna, e ormai prossima a morire. Ahimè! Che devo fare in questa circostanza? Dico chi sono, e Clotaldo, cui devo la protezione e l’onore di cui godo, si risentirà con me, perché dice che tacendo devo aspettare il rimedio al mio onore. Non lo dico, ma quando Astolfo mi vede potrò mai dissimulare? Che anche se provo a fingere con la voce e con lo sguardo, l’anima dirà che mentono. Che farò? Ma perché medito su cosa fare, se è chiaro che, per quanto mi arrovelli, e ci mediti e ci pensi, giunto il momento, farò quel che mi detta il dolore? Nessuno domina infatti le sue pene. E poiché dunque la mia anima non riesce a decidere il da farsi, giunga il dolore al suo termine, giunga la pena al suo estremo, e finiamola una volta con i dubbi e le incertezze; ma fino a quel punto, cieli, aiutatemi, oh, aiutatemi! Entra Astolfo con il ritratto. ASTOLFO
Ecco, signora, il ritratto; ma, Dio mio!
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ASTOLFO
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ASTOLFO
¿Qué se suspende Vuestra Alteza? ¿Qué se admira? De oírte, Rosaura, y verte. ¿Yo Rosaura? Hase engañado Vuestra Alteza, si me tiene por otra dama; que yo soy Astrea, y no merece mi humildad tan grande dicha que esa turbación le cueste. Basta, Rosaura, el engaño, porque el alma nunca miente; y aunque como a Astrea te mire, como a Rosaura te quiere. No he entendido a Vuestra Alteza, y así no sé responderle. Sólo lo que yo diré es que Estrella – que lo puede ser de Venus – me mandó que en esta parte le espere, y de la suya le diga que aquel retrato me entregue – que está muy puesto en razón –, y yo misma se lo lleve. Estrella lo quiere así, porque aun las cosas más leves, como sean en mi daño, es Estrella quien las quiere. Aunque más esfuerzos hagas, ¡oh qué mal, Rosaura, puedes disimular! Di a los ojos que su música concierten con la voz; porque es forzoso que desdiga y que disuene tan destemplado instrumento, que ajustar y medir quiere
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Perché è stupita Vostra Altezza? Perché resta attonito? Nel vederti, Rosaura, e nell’ascoltarti. Io Rosaura? Si è sbagliata Vostra Altezza, se mi ha preso per un’altra dama; io sono Astrea, e la mia umiltà non merita di esser causa di codesto turbamento. Smetti, Rosaura, l’inganno, perché l’anima non mente; che se come Astrea ti vede, come Rosaura ti ama. Non capisco Vostra Altezza, e così, non so risponderle. Dirò soltanto che Estrella – che può esser stella di Venere – mi comandò di restare in questo luogo a aspettarla, per dirle da parte sua che quel ritratto mi dia – cosa invero ragionevole – e che sia poi io a portarglielo. Estrella vuole così, che anche le cose più futili, purché siano a mio discapito, è sempre Estrella a volerle. Per quanti sforzi tu faccia, come dissimuli male, Rosaura! Di’ ai tuoi occhi di accordare il loro suono con la voce; perché stona e ti smentisce per forza quello strumento scordato che vuole mettere insieme 385
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la falsedad de quien dice con la verdad de quien siente. Ya digo que sólo espero el retrato. Pues que quieres llevar al fin el engaño, con él quiero responderte. Dirasle, Astrea, a la Infanta que yo la estimo de suerte que, pidiéndome un retrato, poca fineza parece envïársele; y así, porque le estime y le precie, le envío el original; y tú llevársele puedes, pues ya le llevas contigo, como a ti misma te lleves. Cuando un hombre se dispone, restado, altivo y valiente, a salir con una empresa, aunque por trato le entreguen lo que valga más, sin ella necio y desairado vuelve. Yo vengo por un retrato, y aunque un original lleve que vale más, volveré desairada; y así, deme Vuestra Alteza ese retrato, que sin él no he de volverme. Pues ¿cómo, si no he de darle, le has de llevar? Desta suerte. ¡Suéltale, ingrato! Es en vano.
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ASTOLFO
ROSAURA
ASTOLFO
ROSAURA
ASTOLFO
la falsità della voce col vero dei sentimenti. Io dico solo che aspetto il ritratto. Poiché vuoi proseguire nell’inganno, voglio usarlo per risponderti. Dirai alla Principessa che lei mi sta così a cuore che, avendo chiesto un ritratto, mi sembra poco gentile mandarglielo; e perché al meglio possa apprezzarlo e ammirarlo, le mando l’originale; tu glielo potrai portare, perché lo porti con te, basta che porti te stessa. Quando un uomo si dispone, risoluto e coraggioso, a riuscire in un’impresa, anche se grazie a un accordo gli danno tre volte tanto, sciocco e beffato si sente a non averla compiuta. Io son qui per un ritratto, e anche se l’originale vale di più, senza quello beffata mi sentirò; mi dia quindi Vostra Altezza il ritratto, che non penso di andarmene senza di esso. Ma come farai a prenderlo se non te lo do? Così. Ingrato, lascialo! È inutile!
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ASTOLFO ROSAURA ASTOLFO ROSAURA
¡Vive Dios, que no ha de verse en manos de otra mujer! Terrible estás. Y tú aleve. Ya basta, Rosaura mía. ¿Yo tuya, villano? ¡Mientes!
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Sale Estrella. ESTRELLA ASTOLFO ROSAURA
ASTOLFO ROSAURA
Astrea, Astolfo, ¿qué es esto? (Aquesta es Estrella.) (Deme, para cobrar mi retrato, ingenio el amor.) Si quieres saber lo que es, yo, señora, te lo diré. (¿Qué pretendes?) Mandásteme que esperase aquí a Astolfo, y le pidiese un retrato de tu parte. Quedé sola, y como vienen de unos discursos a otros las noticias fácilmente, viéndote hablar de retratos con su memoria acordeme de que tenía uno mío en la manga. Quise verle, porque una persona sola con locuras se divierte. Cayóseme de la mano al suelo. Astolfo, que viene a entregarte el de otra dama, le levantó, y tan rebelde está en dar el que le pides que, en vez de dar uno, quiere llevar otro, pues el mío aun no es posible volverme
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO ROSAURA
ASTOLFO ROSAURA ASTOLFO ROSAURA
Vivaddio! Non finirà in mano ad un’altra donna! Sei tremenda. E tu infedele. Basta ora, Rosaura mia. Io tua, villano? Bugiardo! Entra Estrella.
ESTRELLA ASTOLFO ROSAURA
ASTOLFO ROSAURA
Astrea, Astolfo, che succede? (Ecco Estrella.) (Che l’amore mi dia prontezza di spirito per riprendermi il ritratto.) Se vuoi sapere che è stato, te lo dirò. (Cosa hai in mente?) Tu mi hai detto di aspettare qui Astolfo, e di farmi dare da lui un ritratto per te. Rimasta sola, e siccome i pensieri susseguendosi ne fanno nascere altri, parlando tu di ritratti mi è ritornato alla mente che anch’io ne avevo uno mio in questa tasca. Volevo guardarlo, che chi sta solo si distrae con cose futili. Mi è caduto dalla mano a terra. Astolfo, che entrava con quello di un’altra dama, l’ha raccolto e, riluttante a darti quello che chiedi, invece di dare il suo si vuol prendere anche l’altro. Poiché non riesco a riavere 389
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ESTRELLA
con ruegos y persuasiones. Colérica y impaciente yo se le quise quitar. Aquel que en la mano tiene es mío; tú lo verás con ver si se me parece. Soltad, Astolfo, el retrato.
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Quítasele. ASTOLFO ESTRELLA
ROSAURA ESTRELLA ROSAURA ESTRELLA ROSAURA
Señora... No son crüeles a la verdad los matices. ¿No es mío? ¿Qué duda tiene? Di que ahora te entregue el otro. Toma tu retrato, y vete. (Yo he cobrado mi retrato; venga ahora lo que viniere.)
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Vase. ESTRELLA
ASTOLFO
ESTRELLA
Dadme ahora el retrato vos que os pedí: que aunque no piense veros ni hablaros jamás, no quiero, no, que se quede en vuestro poder, siquiera porque yo tan neciamente le he pedido. (¿Cómo puedo salir de lance tan fuerte?) Aunque quiera, hermosa Estrella, servirte y obedecerte, no podré darte el retrato que me pides, porque... Eres villano y grosero amante.
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ESTRELLA
il mio né con persuasioni né con preghiere, impaziente ho cercato di strapparglielo. Quello che ora tiene in mano è il mio; lo potrai vedere vedendo se mi assomiglia. Lasciate, Astolfo, il ritratto. Glielo prende.
ASTOLFO
Signora...
ESTRELLA
Non è infedele al modello la pittura. Non è il mio? Non c’è alcun dubbio. Digli ora che ti dia l’altro. Prendi il tuo ritratto, e vai. (Ho riavuto il mio ritratto; che avverrà ora, non mi importa.)
ROSAURA ESTRELLA ROSAURA ESTRELLA ROSAURA
Esce. ESTRELLA
ASTOLFO
ESTRELLA
Datemi ora voi il ritratto che vi ho chiesto: che anche se non vi parlerò mai più, non voglio, no, che rimanga a voi, fosse solo in quanto, stolta, ve l’avevo chiesto. (Come farò a venir fuori da un frangente così arduo?) Pur volendo, bella Estrella, servirti in tutta obbedienza, il ritratto che mi chiedi non posso darti, perché... Sei un amante ben villano e scortese. Più non voglio
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
No quiero que me le entregues, porque yo tampoco quiero, con tomarle, que me acuerdes de que yo te le he pedido.
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Vase. ASTOLFO
¡Oye, escucha, mira, advierte! ¡Válgate Dios por Rosaura! ¿Dónde, cómo o de qué suerte hoy a Polonia has venido a perderme y a perderte?
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Vase. Descúbrese Segismundo como al principio, con pieles y cadena, durmiendo en el suelo. Salen Clotaldo, Clarín y los dos criados. CLOTALDO
[CRIADO] 1 CLARÍN
CLOTALDO
CLARÍN
Aquí le habéis de dejar, pues hoy su soberbia acaba donde empezó. Como estaba, la cadena vuelvo a atar. No acabes de despertar, Segismundo, para verte perder, trocada, la suerte, siendo tu gloria fingida una sombra de la vida y una llama de la muerte. A quien sabe discurrir así, es bien que se prevenga una estancia donde tenga harto lugar de argüír. Éste es el que habéis de asir y en ese cuarto encerrar. ¿Por qué a mí?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
che tu me lo dia, perché non voglio che mi ricordi che sono stata io a chiedertelo. Esce. ASTOLFO
Bada, ascolta, guarda, aspetta...! Maledizione, Rosaura! Dove, come, per qual via sei venuta qui in Polonia a perder te stessa e a perdermi?
Esce. Appare Segismundo come all’inizio, vestito di pelli e incatenato, sdraiato in terra, addormentato. Entrano Clotaldo, Clarín e due domestici. CLOTALDO
[DOMESTICO] 1 CLARÍN
CLOTALDO
CLARÍN
Qui lo dovete lasciare: la sua superbia oggi termina dov’è iniziata. Lo avvinco in catene come prima. Non svegliarti, Segismundo, se non vuoi vederti perso, la tua sorte rovesciata, e la tua gloria fittizia che è stata ombra della vita e fiammata della morte. A chi riesce a argomentare così, è bene che si offra una stanza dove abbia luogo e tempo per discorrere. Afferratemi costui e rinchiudetelo lì. Perché?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA CLOTALDO
CLARÍN
CLOTALDO CLARÍN
Porque ha de estar guardado en prisión tan grave Clarín que secretos sabe, donde no pueda sonar. ¿Yo, por dicha, solicito dar muerte a mi padre? No. ¿Arrojé del balcón yo al Ícaro de poquito? ¿Yo muero ni resucito? ¿Yo sueño o duermo? ¿A qué fin me encierran? Eres Clarín. Pues ya digo que seré corneta, y que callaré, que es instrumento rüín.
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Llévanle. Sale el rey Basilio rebozado. BASILIO CLOTALDO
BASILIO
CLOTALDO
BASILIO
CLOTALDO
¿Clotaldo? Señor, ¿así viene Vuestra Majestad? La necia curiosidad de ver lo que pasa aquí a Segismundo, ¡ay de mí!, deste modo me ha traído. Mírale allí reducido a su miserable estado. ¡Ay, príncipe desdichado y en triste punto nacido! Llega a despertarle, ya que fuerza y vigor perdió ese lotos que bebió. Inquieto, señor, está y hablando.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO CLOTALDO
CLARÍN
CLOTALDO
CLARÍN
Perché deve essere chiuso in cella di rigore, dove non possa suonare, Clarín che sa troppe cose. Ma son forse io che cerco di uccider mio padre? No. Ho gettato io dal balcone quell’Icaro da tre soldi? Son io che muoio e resuscito? Io che dormo o sogno? Allora perché mi rinchiudono? Sei Clarín. Allora sarò corno, e sempre starò zitto; che è uno strumento spregevole. Lo portano via. Entra il re Basilio mascherato.
BASILIO CLOTALDO
BASILIO
CLOTALDO
BASILIO
CLOTALDO
Clotaldo? Sire, così viene qui Vostra Maestà? La sciocca curiosità di vedere che succede a Segismundo, mi porta, ahimè, a venire così. Guardalo lì, restituito al suo miserando stato. Ah, principe sventurato, nato in infausto momento! Vai a svegliarlo, che ormai forza ed effetto hanno perso gli oppiacei che gli hanno dato. Appare inquieto, signore, e parla.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA BASILIO
SEGISMUNDO
(En sueños)
CLOTALDO BASILIO CLOTALDO BASILIO SEGISMUNDO
(En sueños)
¿Qué soñará agora? Escuchemos pues. Piadoso príncipe es el que castiga tiranos. Muera Clotaldo a mis manos, bese mi padre mis pies. Con la muerte me amenaza. A mí con rigor y afrenta. Quitarme la vida intenta. Rendirme a sus plantas traza. ¡Salga a la anchurosa plaza del gran teatro del mundo este valor sin segundo! Porque mi venganza cuadre, vean triunfar de su padre al príncipe Segismundo.
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Despierta.
BASILIO
(A Clotaldo)
Mas ¡ay de mí!, ¿dónde estoy? Pues a mí no me ha de ver, ya sabes lo que has de hacer. Desde allí a escucharte voy.
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Retírase. SEGISMUNDO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
¿Soy yo por ventura? ¿Soy el que preso y aherrojado llego a verme en tal estado? ¿No sois mi sepulcro vos, torre? Sí. ¡Válgame Dios, qué de cosas he soñado! (A mí me toca llegar a hacer la deshecha agora.) ¿Es ya de despertar hora? Sí, hora es ya de despertar.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO BASILIO
SEGISMUNDO
(In sogno)
CLOTALDO BASILIO CLOTALDO BASILIO SEGISMUNDO
(In sogno)
Che sognerà ora? Ascoltiamolo dunque. Misericordioso è il principe che sa punire i tiranni. Muoia Clotaldo, io lo uccido, baci mio padre i miei piedi. Di morte mi ha minacciato. Me, di un affronto crudele. La vita mi vuole togliere. Medita la mia sconfitta. Si mostri alla vasta piazza del gran teatro del mondo la mia audacia senza pari! Abbia effetto la vendetta, e trionfi su suo padre il principe Segismundo. Si sveglia.
BASILIO
Ma, ahimè! Dove mi trovo? (A Clotaldo) Non deve vedermi, e tu sai già quel che devi fare. Da laggiù ti ascolterò. Si ritira in un angolo.
SEGISMUNDO
CLOTALDO
SEGISMUNDO
Sono forse io? Sono io che, in ceppi e imprigionato, mi ritrovo in questo stato? E tu, non sei il mio sepolcro, torre? Sì. Mi aiuti il cielo, quante cose ho mai sognato! (A me tocca adesso andare e proseguire l’inganno.) Non è ora di svegliarsi? Sì, di svegliarsi è già ora.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA CLOTALDO
SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
¿Todo el día te has de estar durmiendo? ¿Desde que yo al águila que voló con tarda vista seguí, y te quedaste tú aquí, nunca has despertado? No, ni aun agora he despertado; que según, Clotaldo, entiendo, todavía estoy durmiendo. Y no estoy muy engañado, porque, si ha sido soñado lo que vi palpable y cierto, lo que veo será incierto; y no es mucho que, rendido, pues veo estando dormido, que sueñe estando despierto. Lo que soñaste me di. Supuesto que sueño fue, no diré lo que soñé, lo que vi, Clotaldo, sí. Yo desperté, y yo me vi – ¡qué crueldad tan lisonjera! – en un lecho que pudiera, con matices y colores, ser el catre de las flores que tejió la primavera. Aquí mil nobles, rendidos a mis pies, nombre me dieron de su príncipe, y sirvieron galas, joyas y vestidos. La calma de mis sentidos tú trocaste en alegría, diciendo la dicha mía; que, aunque estoy desta manera, príncipe en Polonia era.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO CLOTALDO
SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
Tutto il giorno vuoi passare a dormire? Dal momento in cui l’aquila nel cielo con lenta vista ho seguito, e tu sei rimasto qui, non ti sei svegliato? No, e neanche ora sono sveglio; che a quel che ne so, Clotaldo, anche adesso sto dormendo. E non credo di sbagliarmi, perché se quello che ho visto così tangibile e certo è stato un sogno, altrettanto ciò che vedo sarà incerto; e non sarà cosa strana, poiché vedo mentre dormo, che sogni mentre sto sveglio. Dimmi quello che hai sognato. Ammesso che fosse un sogno, non dirò quel che ho sognato, ma, Clotaldo, quel che ho visto. Mi sono svegliato, e stavo – che crudeltà seducente! – in un letto che imitava, per colori e sfumature, il baldacchino di fiori che intesse la primavera. Lì mille nobili, umili ai miei piedi, mi chiamavano il principe loro, e davano gale, gioielli e vestiti. La mia perplessità attonita in gioia l’hai tramutata, svelando la mia fortuna; che, anche se ora qui mi vedo, di Polonia lì ero il principe. 399
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA CLOTALDO SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
Buenas albricias tendría. No muy buenas; por traidor, con pecho atrevido y fuerte, dos veces te daba muerte. ¿Para mí tanto rigor? De todos era señor, y de todos me vengaba. Sólo a una mujer amaba; que fue verdad, creo yo, en que todo se acabó y esto solo no se acaba.
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Vase el Rey. CLOTALDO
(Enternecido se ha ido el Rey de haberle escuchado.) Como habíamos hablado de aquella águila, dormido, tu sueño imperios han sido; mas en sueños fuera bien entonces honrar a quien te crió en tantos empeños, Segismundo; que aun en sueños no se pierde el hacer bien.
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[Vase.] SEGISMUNDO
Es verdad; pues reprimamos esta fiera condición, esta furia, esta ambición, por si alguna vez soñamos. Y sí haremos, pues estamos en mundo tan singular que el vivir sólo es soñar; y la experiencia me enseña que el hombre que vive sueña lo que es, hasta despertar.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO CLOTALDO SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
Mi avrai certo ringraziato. Non proprio; di tradimento ti accusavo e, temerario, due volte tentai di ucciderti. Con me tanta crudeltà? Ero di tutti signore, di tutti mi vendicavo. Soltanto una donna amavo; e credo sia stato vero, perché tutto è ormai svanito, quello solo non svanisce. Il Re se ne va.
CLOTALDO
(Commosso il Re se ne è andato.) Poiché avevamo parlato di quell’aquila, dormendo hai sognato di regnare; ma allora anche in sogno avresti fatto bene a rispettare chi ti ha cresciuto fra tante difficoltà, Segismundo; che neanche in sogno si perde ad agire per il meglio. [Se ne va.]
SEGISMUNDO
È vero; e allora reprimi questo carattere fiero, questa furia ed ambizione, se mai tornerai a sognare. E così sarà, perché è così strano il nostro mondo, che vivere è solo un sogno; e l’esperienza mi insegna che colui che vive sogna quel che è, finché si sveglia. 401
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, SEGUNDA JORNADA
Sueña el rey que es rey, y vive con este engaño mandando, disponiendo y gobernando; y este aplauso que recibe prestado, en el viento escribe, y en cenizas le convierte la muerte, ¡desdicha fuerte! ¡Que hay quien intente reinar viendo que ha de despertar en el sueño de la muerte! Sueña el rico en su riqueza que más cuidados le ofrece; sueña el pobre que padece su miseria y su pobreza; sueña el que a medrar empieza, sueña el que afana y pretende, sueña el que agravia y ofende; y en el mundo, en conclusión, todos sueñan lo que son, aunque ninguno lo entiende. Yo sueño que estoy aquí destas prisiones cargado, y soñé que en otro estado más lisonjero me vi. ¿Qué es la vida? Un frenesí. ¿Qué es la vida? Una ilusión, una sombra, una ficción, y el mayor bien es pequeño; que toda la vida es sueño, y los sueños, sueños son.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO SECONDO
Sogna il re che è re, e vive credendo di comandare, di disporre e governare; ed il plauso che riceve è solo un prestito, scritto nel vento, e lo muta in cenere la morte – grave sventura! –. Che ci sia chi vuol regnare, pur sapendo che il risveglio coinciderà con la morte! Sogna il ricco le ricchezze che tanti affanni gli danno; sogna il povero che soffre in miseria e povertà; sogna chi cresce in fortuna, sogna chi si affanna e briga, sogna chi oltraggia ed offende; e nel mondo, in breve, tutti sognano quello che sono, e nessuno lo capisce. Io sogno di stare qui avvinto da questi ceppi, e ho sognato di esser stato in migliore condizione. Che è la vita? Ansia febbrile. Che è la vita? Un’illusione, solo un’ombra, una finzione, e il più grande bene è piccolo; che tutta la vita è un sogno, ed i sogni, sogni sono.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, TERCERA JORNADA
TERCERA JORNADA Sale Clarín. CLARÍN
En una encantada torre, por lo que sé, vivo preso. ¿Qué me harán por lo que ignoro, si por lo que sé me han muerto? ¡Que un hombre con tanta hambre viniese a morir viviendo! Lástima tengo de mí. Todos dirán: «Bien lo creo»; y bien se puede creer, pues para mí este silencio no conforma con el nombre Clarín, y callar no puedo. Quien me hace compañía aquí, si a decirlo acierto, son arañas y ratones: ¡miren qué dulces jilgueros! De los sueños desta noche la triste cabeza tengo llena de mil chirimías, de trompetas y embelecos, de procesiones, de cruces, de diciplinantes; y éstos, unos suben, otros bajan, otros se desmayan viendo la sangre que llevan otros. Mas yo, la verdad diciendo, de no comer me desmayo; que en esta prisión me veo donde ya todos los días en el filósofo leo Nicomedes, y las noches en el concilio Niceno. Si llaman santo al callar,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VITA È UN SOGNO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entra Clarín. CLARÍN
In una torre incantata, per quel che so, sto rinchiuso. Che mi faranno per quello che non so, se mi hanno ucciso per quel che so? Che si possa morire in vita di fame! Mi compatisco da solo. Direte: «Lo credo bene»; e si può davvero crederlo, perché questo mio silenzio non va d’accordo col nome Clarín, che non può tacere. Qui chi mi fa compagnia, riesco a malapena a dirlo, sono ragni e pantegane: proprio dei dolci uccellini! Dei sogni di questa notte ho la mia povera testa piena di mille zampogne, di trombette e di incantesimi, di processioni, di croci, di flagellanti; e di questi c’è chi sale, c’è chi scende, c’è chi sviene nel vedere il sangue che copre gli altri. Io invece, a dire il vero, svengo a non mangiare nulla; che qui seguo tutti i giorni i dettami del digiuno di Nicomede il filosofo, e le notti quelli imposti con il concilio Niceno. Se il silenzio è santo, come 405
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, TERCERA JORNADA
como en calendario nuevo, San Secreto es para mí, pues le ayuno y no le huelgo; aunque está bien merecido el castigo que padezco, pues callé, siendo crïado, que es el mayor sacrilegio.
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Ruido de cajas y gente, y dicen dentro: [SOLDADO] 1
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Ésta es la torre en que está. Echad la puerta en el suelo; entrad todos. ¡Vive Dios! que a mí me buscan es cierto, pues que dicen que aquí estoy. ¿Qué me querrán?
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Salen los soldados que pudieren. [SOLDADO] 1 [SOLDADO] 2 CLARÍN TODOS CLARÍN
[SOLDADO] 2
TODOS CLARÍN
Entrad dentro. Aquí está. No está. Señor... ¿Si vienen borrachos éstos? Tú nuestro príncipe eres; ni admitimos ni queremos sino al señor natural, y no príncipe estranjero. A todos nos da los pies. ¡Viva el gran príncipe nuestro! (¡Vive Dios, que va de veras! ¿Si es costumbre en este reino prender uno cada día y hacerle príncipe, y luego volverle a la torre? Sí,
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in un calendario nuovo, per me sarà San Segreto, perché osservo la vigilia e non lo festeggio mai; ma mi sta bene il castigo, perché, pur essendo un servo, sono stato zitto, e questo è il sacrilegio più grande. Rumore di tamburi e di gente, e dicono dentro: [SOLDATO] 1
CLARÍN
La torre in cui è chiuso è questa. Buttate a terra la porta; entrate tutti. Mio Dio! Cercano me di sicuro, se hanno detto che sto qui. Che vorranno? Entrino quanti più soldati sia possibile.
[SOLDATO] 1 [SOLDATO] 2 CLARÍN TUTTI CLARÍN
[SOLDATO] 2
TUTTI CLARÍN
Entrate dentro. È qui. Non è qui. Signore... Che questi sian tutti ubriachi? Solo tu sei il nostro principe; noi vogliamo ed accettiamo solo il sovrano legittimo, non un principe straniero. Dacci a baciare i tuoi piedi. Viva il gran principe nostro! (Vivaddio, fanno sul serio! Si usa forse in questo regno prendere ogni giorno un uomo per farlo principe, e poi rimetterlo nella torre? 407
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, TERCERA JORNADA
TODOS CLARÍN
[SOLDADO] 2
CLARÍN
[SOLDADO] 1 CLARÍN
[SOLDADO] 2 TODOS CLARÍN
pues cada día lo veo; fuerza es hacer mi papel.) Danos tus plantas. No puedo, porque las he menester para mí, y fuera defeto ser príncipe desplantado. Todos a tu padre mesmo le dijimos que a ti solo por príncipe conocemos, no al de Moscovia. ¿A mi padre le perdistis el respeto? Sois unos tales por cuales. Fue lealtad de nuestros pechos. Si fue lealtad, yo os perdono. Sal a restaurar tu imperio. ¡Viva Segismundo! ¡Viva! (¿Segismundo dicen? Bueno: Segismundos llaman todos los príncipes contrahechos.)
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Sale Segismundo. SEGISMUNDO CLARÍN
[SOLDADO] 2 SEGISMUNDO
[SOLDADO] 2 CLARÍN
¿Quién nombra aquí a Segismundo? (¡Mas que soy príncipe huero!) ¿Quién es Segismundo? Yo. Pues, ¿cómo, atrevido y necio, tú te hacías Segismundo? ¿Yo Segismundo? Eso niego. Que vosotros fuistis quien me segismundasteis; luego vuestra ha sido solamente necedad y atrevimiento.
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TUTTI CLARÍN
[SOLDATO] 2
CLARÍN
[SOLDATO] 2 CLARÍN
[SOLDATO] 1 TUTTI CLARÍN
Sì, già altre volte l’ho visto; mi tocca far la mia parte.) Dacci le piante dei piedi. Non posso, perché mi servono, e sarebbe un gran difetto esser principe e spiantato. Tutti, a tuo padre in persona, abbiam detto che te solo riconosciamo per principe, non il Moscovia. A mio padre avete perso il rispetto? Siete dei poco di buono. L’abbiam fatto per lealtà. Se è per lealtà, vi perdono. Vieni a riscattare il trono. Viva Segismundo! Viva! (Perché Segismundo? Beh, chiameranno Segismundo tutti i principi fasulli.) Entra Segismundo.
SEGISMUNDO CLARÍN
[SOLDATO] 2 SEGISMUNDO
[SOLDATO] 2
CLARÍN
Chi chiama qui Segismundo? (Eccomi già decaduto!) Chi è Segismundo? Io. E tu perché allora, sciocco e sfacciato, hai finto di essere Segismundo? Io? Lo nego. Siete stati voi a chiamarmi Segismundo; solo voi potete dirvi colpevoli di sciocchezza e sfacciataggine.
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[SOLDADO] 1
VOCES
(Dentro)
SEGISMUNDO
Gran príncipe Segismundo – que las señas que traemos tuyas son, aunque por fe te aclamamos señor nuestro –, tu padre, el gran rey Basilio, temeroso que los cielos cumplan un hado, que dice que ha de verse a tus pies puesto vencido de ti, pretende quitarte acción y derecho y dársela a Astolfo, duque de Moscovia. Para esto juntó su corte, y el vulgo, penetrando ya y sabiendo que tiene rey natural, no quiere que un estranjero venga a mandarle; y así, haciendo noble desprecio de la inclemencia del hado, te ha buscado donde preso vives, para que, valido de sus armas y saliendo desta torre a restaurar tu imperial corona y cetro, se la quites a un tirano. Sal, pues, que en ese desierto ejército numeroso de bandidos y plebeyos te aclama. La libertad te espera, oye sus acentos. ¡Viva Segismundo, viva! ¿Otra vez – ¿qué es esto, cielos? – queréis que sueñe grandezas que ha de deshacer el tiempo?
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[SOLDATO] 1
VOCI
(Dentro)
SEGISMUNDO
Gran principe Segismundo – che corrispondi in effetti a ciò che di te sappiamo, pur avendoti acclamato signore nostro per fede – tuo padre, il gran re Basilio, temendo che possa compiersi un vaticinio degli astri che dice che dovrà un giorno, vinto da te, a te inchinarsi, vuole privarti del trono e darlo ad Astolfo, duca di Moscovia. A questo scopo ha riunito la sua corte, ma il popolo, che ormai sa di avere un re naturale, non vuole che uno straniero venga a regnare; e così, tenendo in nobile spregio l’inclemenza della sorte, è venuto qui a cercarti dove vivi prigioniero, affinché tu, con l’aiuto delle sue armi, possa uscire da questa torre a riprenderti la tua corona e il tuo scettro, togliendoli a chi li usurpa. Esci, dunque, che qui fuori un esercito vastissimo di fuoriusciti e plebei ti acclama. La libertà ti attende; ascolta, ti chiama. Viva Segismundo, viva! Un’altra volta volete – è mai possibile, cieli? – farmi sognare grandezze che il tempo dissolverà? 411
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[SOLDADO] 2
¿Otra vez queréis que vea entre sombras y bosquejos la majestad y la pompa desvanecida del viento? ¿Otra vez queréis que toque el desengaño, o el riesgo a que el humano poder nace humilde y vive atento? Pues ¡no ha de ser, no ha de ser! Miradme otra vez sujeto a mi fortuna. Y pues sé que toda esta vida es sueño, idos, sombras, que fingís hoy a mis sentidos muertos cuerpo y voz, siendo verdad que ni tenéis voz ni cuerpo; que no quiero majestades fingidas, pompas no quiero fantásticas, ilusiones que al soplo menos ligero del aura han de deshacerse, bien como el florido almendro que, por madrugar sus flores sin aviso y sin consejo, al primer soplo se apagan, marchitando y desluciendo de sus rosados capillos belleza, luz y ornamento. Ya os conozco, ya os conozco, y sé que os pasa lo mesmo con cualquiera que se duerme. Para mí no hay fingimientos, que, desengañado ya, sé bien que la vida es sueño. Si piensas que te engañamos, vuelve a ese monte soberbio los ojos, para que veas
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[SOLDATO] 2
Un’altra volta volete che veda, appena abbozzati, fasto e apparato regali che il vento farà svanire? Un’altra volta volete che io provi il disinganno, rischio a cui il potere umano nasce e vive sottomesso? Ebbene, no e ancora no! Di nuovo sono in balìa della sorte. Ma ora che so che questa vita è un sogno, andate via, ombre, che oggi fingete ai miei morti sensi di aver corpo e voce, quando né voce né corpo avete; perché non voglio grandezze false, parate non voglio immaginarie, illusioni che a un soffio appena più forte si dissolvono nel vento, come il mandorlo fiorito che fa sbocciare i suoi fiori sconsigliato ed imprudente, e al primo soffio si spengono, appassendosi e perdendo le sue corolle rosate bellezza, luce e ornamento. Vi conosco, vi conosco, e so che fate lo stesso con chiunque si addormenti. Con me non riuscite a fingere, che, dal disinganno edotto, so già che la vita è un sogno. Se pensi che ti inganniamo, volgi a quel monte superbo gli occhi, e vedrai quanta gente 413
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SEGISMUNDO
[SOLDADO] 1
SEGISMUNDO
la gente que aguarda en ellos para obedecerte. Ya otra vez vi aquesto mesmo tan clara y distintamente como agora lo estoy viendo, y fue sueño. Cosas grandes siempre, gran señor, trujeron anuncios; y esto sería, si lo soñaste primero. Dices bien, anuncio fue; y, caso que fuese cierto, pues que la vida es tan corta, soñemos, alma, soñemos otra vez; pero ha de ser con atención y consejo de que hemos de despertar deste gusto al mejor tiempo; que, llevándolo sabido, será el desengaño menos, que es hacer burla del daño adelantarle el consejo. Y con esta prevención de que, cuando fuese cierto, es todo el poder prestado y ha de volverse a su dueño, atrevámonos a todo. Vasallos, yo os agradezco la lealtad; en mí lleváis quien os libre, osado y diestro, de estranjera esclavitud. Tocad al arma, que presto veréis mi inmenso valor. Contra mi padre pretendo tomar armas y sacar
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SEGISMUNDO
[SOLDATO] 1
SEGISMUNDO
aspetta, lassù riunita, di obbedirti. Un’altra volta ho già visto questa scena nel modo chiaro e distinto con cui adesso la vedo, e era un sogno. Imprese grandi sempre, gran signore, vengono preannunciate da presagi; per questo lo avrai sognato. Dici bene, era un presagio; e se fosse vero, e visto che la vita è così breve, sogniamo, anima, sogniamo un’altra volta; ma adesso sarà con prudenza e senno, con la consapevolezza che il risveglio può privarci della gioia sul più bello; perché, se lo si prevede, il disinganno è minore; ci si beffa del dolore prevenendolo col senno. E, tenendo bene in mente che, quand’anche fosse vero, il potere è solo un prestito e va reso al creditore, osiamo senza riserve. Vassalli, vi sono grato della lealtà; io mi impegno a affrancarvi, audace e abile, dalla schiavitù straniera. Chiamate all’armi, ché presto vedrete il mio gran valore. Intendo muovere guerra a mio padre e dimostrare 415
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA LA VIDA ES SUEÑO, TERCERA JORNADA
TODOS
verdaderos a los cielos: presto he de verle a mis plantas. (Mas, si antes desto despierto, ¿no será bien no decirlo, supuesto que no he de hacerlo?) ¡Viva Segismundo, viva!
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Sale Clotaldo. CLOTALDO SEGISMUNDO CLOTALDO
CLARÍN
¿Qué alboroto es éste, cielos? Clotaldo. Señor... (En mí su crueldad prueba.) (Yo apuesto que le despeña del monte.)
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Vase. CLOTALDO
SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
CLOTALDO
A tus reales plantas llego, ya sé que a morir. Levanta, levanta, padre, del suelo, que tú has de ser norte y guía de quien fíe mis aciertos; que ya sé que mi crïanza a tu mucha lealtad debo. Dame los brazos. ¿Qué dices? Que estoy soñando, y que quiero obrar bien, pues no se pierde obrar bien, aun entre sueños. Pues, señor, si el obrar bien es ya tu blasón, es cierto que no te ofenda el que yo hoy solicite lo mesmo. A tu padre has de hacer guerra: yo aconsejarte no puedo
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TUTTI
che il cielo diceva il vero: lo vedrò presto ai miei piedi. (Ma, se mi risveglio prima, non sarà meglio non dirlo, visto che non potrò farlo?) Viva Segismundo, viva! Entra Clotaldo.
CLOTALDO SEGISMUNDO CLOTALDO
CLARÍN
Che tumulto è questo, cieli? Clotaldo. Sire... (Ora provo la sua crudeltà.) (Scommetto che lo getta giù dal monte.) Se ne va.
CLOTALDO
SEGISMUNDO
CLOTALDO SEGISMUNDO
CLOTALDO
Eccomi, son qui ai tuoi piedi, pronto a morire. Rialzati, rialzati, padre, da terra, perché tu sarai la bussola che guiderà i miei trionfi; so che la mia educazione alla tua lealtà la debbo. Abbracciami. Cosa dici? Che sto sognando, e che voglio far bene, perché anche in sogno il far bene non va perso. Sire, allora, se il far bene è adesso il tuo motto, certo non ti offenderai se io cerco di fare altrettanto. A tuo padre muovi guerra: io consigliarti non posso 417
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SEGISMUNDO
CLOTALDO
contra mi Rey, ni valerte. A tus plantas estoy puesto: dame la muerte. ¡Villano, traidor, ingrato! (Mas ¡cielos! reportarme me conviene, que aún no sé si estoy despierto.) Clotaldo, vuestro valor os envidio y agradezco. Idos a servir al Rey, que en el campo nos veremos. Vosotros, tocad al arma. Mil veces tus plantas beso.
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[Vase.] SEGISMUNDO
A reinar, fortuna, vamos; no me despiertes si duermo, y si es verdad no me duermas. Mas, sea verdad o sueño, obrar bien es lo que importa: si fuere verdad, por serlo, si no, por ganar amigos para cuando despertemos.
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Vanse, y tocan al arma. Salen el rey Basilio y Astolfo. BASILIO
¿Quién, Astolfo, podrá parar prudente la furia de un caballo desbocado? ¿Quién detener de un río la corriente, que corre al mar, soberbio y despeñado? ¿Quién un peñasco suspender, valiente, de la cima de un monte desgajado? Pues todo fácil de parar ha sido, y un vulgo no, soberbio y atrevido.
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SEGISMUNDO
CLOTALDO
contro il mio Re, né aiutarti. Eccomi chino ai tuoi piedi: dammi la morte. Villano, traditore, ingrato! (Ma mi conviene trattenermi, che ancora non so se sono sveglio.) Invidia e gratitudine ho per il vostro coraggio. Andate a servire il Re, ci rivedremo sul campo. Voialtri chiamate all’armi. Bacio umilmente i tuoi piedi. [Esce.]
SEGISMUNDO
Incontro al regno, oh fortuna, andiamo: non mi svegliare se dormo, e, se è realtà, non mi far addormentare. Ma, che sia realtà o sogno, fare bene è quel che importa: se è realtà, perché lo è, se no, per avere amici per quando ci sveglieremo. Escono, e chiamano all’armi. Entrano il re Basilio e Astolfo.
BASILIO
Chi può, Astolfo, frenare con prudenza la furia di un cavallo imbizzarrito? Chi fermare di un fiume la corrente che corre verso il mare a precipizio? Chi trattenere un masso con coraggio che dall’alto di un monte s’è staccato? Eppure, tutto è facile frenare, meno un volgo sfrontato e temerario. 419
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ASTOLFO
Dígalo en bandos el rumor partido, pues se oye resonar en lo profundo de los montes el eco repetido, unos «Astolfo» y otros «Segismundo». El dosel de la jura, reducido a segunda intención, a horror segundo, teatro funesto es, donde importuna representa tragedias la fortuna. Suspéndase, señor, el alegría, cese el aplauso y gusto lisonjero que tu mano feliz me prometía; que si Polonia, a quien mandar espero, hoy se resiste a la obediencia mía, es porque la merezca yo primero. Dadme un caballo y, de arrogancia lleno, rayo decienda el que blasona trueno.
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Vase. BASILIO
Poco reparo tiene lo infalible, y mucho riesgo lo previsto tiene; si ha de ser, la defensa es imposible, que quien la escusa más, más la previene. 2455 ¡Dura ley! ¡Fuerte caso! ¡Horror terrible! Quien piensa que huye el riesgo, al riesgo viene. Con lo que yo guardaba me he perdido: yo mismo, yo, mi patria he destrüido. Sale Estrella.
ESTRELLA
Si tu presencia, gran señor, no trata de enfrenar el tumulto sucedido, que de uno en otro bando se dilata por las calles y plazas, dividido, verás tu reino en ondas de escarlata nadar, entre la púrpura teñido de su sangre; que ya con triste modo
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ASTOLFO
Ne è la prova il tumulto degli opposti bandi, per cui rimbombano i dirupi delle montagne, in echi ripetuti, «Astolfo» gli uni, gli altri «Segismundo». L’aula del giuramento, abbandonata a diversa intenzione, a nuovo orrore, è un teatro funesto in cui, importuna, rappresenta tragedie la fortuna. Si sospenda, signore, l’allegria, cessi il festoso plauso lusinghiero che mi aveva promesso la tua mano; che se oggi la Polonia, su cui spero di regnare, mi nega l’ubbidienza, è perché prima io possa meritarla. Dammi un cavallo, e al tuono dei propositi seguirà audace il lampo dell’effetto. Esce.
BASILIO
Poco si può contro l’inevitabile ed è molto rischioso prevederlo; se deve essere, impedirlo è impossibile, e chi più lo rifugge, più l’accelera. Dura legge! Caso crudele e orribile! Chi sfugge il rischio, rischia più di tutti. Le mie stesse cautele mi han perduto; io stesso, io, la mia patria ho distrutto. Entra Estrella.
ESTRELLA
Se con la tua presenza, gran signore, non raffreni il tumulto subentrato, che dilaga dall’uno all’altro bando per le strade e le piazze, disunito, vedrai sommerso tra flutti scarlatti il tuo regno, bagnato dalla porpora del sangue stesso suo; che in triste lutto 421
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todo es desdichas y tragedias todo. Tanta es la ruina de tu imperio, tanta la fuerza del rigor duro y sangriento, que visto admira y escuchado espanta. El sol se turba y se embaraza el viento; cada piedra un pirámide levanta y cada flor construye un monumento; cada edificio es un sepulcro altivo, cada soldado un esqueleto vivo.
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Sale Clotaldo. CLOTALDO BASILIO CLOTALDO
BASILIO
¡Gracias a Dios que vivo a tus pies llego! Clotaldo, pues ¿qué hay de Segismundo? Que el vulgo, monstruo despeñado y ciego, la torre penetró, y de lo profundo della sacó su príncipe, que, luego que vio segunda vez su honor segundo, valiente se mostró, diciendo fiero que ha de sacar al cielo verdadero. Dadme un caballo, porque yo en persona vencer valiente a un hijo ingrato quiero; y en la defensa ya de mi corona lo que la ciencia erró venza el acero.
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Vase. ESTRELLA
Pues yo al lado del sol seré Belona. Poner mi nombre junto al tuyo espero; que he de volar sobre tendidas alas a competir con la deidad de Palas.
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Vase, y tocan al arma. Sale Rosaura y detiene a Clotaldo. ROSAURA
Aunque el valor que se encierra en tu pecho desde allí
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tutto è sventura ed è tragedia tutto. È tanta la rovina del tuo regno, tanta la dura e cruenta spietatezza, che a vederla stupisce e a udirla scuote. Si offusca il sole e si trattiene il vento; innalza una piramide ogni pietra ed ogni fiore erige un monumento; ogni edificio è un sepolcro eminente, ogni soldato scheletro vivente. Entra Clotaldo. CLOTALDO BASILIO CLOTALDO
BASILIO
Grazie a Dio che ai tuoi piedi giungo vivo! Clotaldo, che ne è di Segismundo? Che il volgo, mostro imbizzarrito e cieco, è entrato nella torre e dal profondo il principe ne ha tratto, che, vedendosi restituire l’onore un’altra volta, il suo valore mostra, e dice fiero che mostrerà che il cielo è veritiero. Presto, un cavallo, perché io in persona voglio vincer da prode un figlio ingrato; ed in difesa della mia corona, se la scienza sbagliò, vinca la spada. Esce.
ESTRELLA
E io sarò Bellona accanto al sole. Vicino al tuo, il mio nome voglio mettere; e volerò sulle ali spiegate con la deità di Pallade a competere. Escono, e chiamano all’armi. Entra Rosaura e trattiene Clotaldo.
ROSAURA
So che il coraggio ti chiama ad andare, e tuttavia 423
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da voces, óyeme a mí, que yo sé que todo es guerra. Ya sabes que yo llegué pobre, humilde y desdichada a Polonia y, amparada de tu valor, en ti hallé piedad. Mandásteme, ¡ay cielos!, que disfrazada viviese en palacio, y pretendiese, disimulando mis celos, guardarme de Astolfo. En fin él me vio, y tanto atropella mi honor que, viéndome, a Estrella de noche habla en un jardín. Déste la llave he tomado, y te podré dar lugar de que en él puedas entrar a dar fin a mi cuidado. Aquí altivo, osado y fuerte, volver por mi honor podrás, pues que ya resuelto estás a vengarme con su muerte. Verdad es que me incliné, desde el punto que te vi, a hacer, Rosaura, por ti – testigo tu llanto fue – cuanto mi vida pudiese. Lo primero que intenté quitarte aquel traje fue, porque, si Astolfo te viese, te viese en tu propio traje, sin juzgar a liviandad la loca temeridad que hace del honor ultraje. En este tiempo trazaba cómo cobrar se pudiese tu honor perdido, aunque fuese
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ascolta anche me, che so che dappertutto c’è guerra. Sai già che sono arrivata povera, umile e in disgrazia qui in Polonia, e protezione in te ho trovato e pietà. Mi hai imposto, Dio mio!, di vivere con nome falso a palazzo, dissimulando la mia gelosia e stando lontana da Astolfo. Ma lui mi ha visto, e il mio onore così poco stima da parlar di notte, in un giardino, ad Estrella. Di quel giardino la chiave ho preso, e ti saprò dire quando potrai entrarvi dentro a porre fine ai miei crucci. Lì audace, forte e fiero, mi restituirai l’onore, poiché avevi già deciso di vendicarmi uccidendolo. È vero che ero disposto, dal momento in cui ti ho vista, a fare per te, Rosaura, – e le tue lacrime furono testimoni – tutto quanto potessi. E la prima cosa è stata cambiarti d’abito, perché, vedendoti Astolfo, ti vedesse nel tuo abito, non pensandoti leggera per la follia temeraria che arreca oltraggio all’onore. Intanto pensavo a come potessi recuperare il tuo onore, fosse anche 425
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– tanto tu honor me arrestaba – dando muerte a Astolfo. ¡Mira qué caduco desvarío! Si bien, no siendo rey mío, ni me asombra ni me admira. Darle pensé muerte, cuando Segismundo pretendió dármela a mí, y él llegó, su peligro atropellando, a hacer en defensa mía muestras de su voluntad, que fueron temeridad, pasando de valentía. Pues, ¿cómo yo agora, advierte, teniendo alma agradecida, a quien me ha dado la vida le tengo de dar la muerte? Y así, entre los dos partido el efeto y el cuidado, viendo que a ti te la he dado, y que dél la he recibido, no sé a qué parte acudir, no sé qué parte ayudar. Si a ti me obligué con dar, dél lo estoy con recibir; y así, en la acción que se ofrece, nada a mi amor satisface, porque soy persona que hace y persona que padece. No tengo que prevenir que, en un varón singular, cuanto es noble acción el dar es bajeza el recibir. Y este principio asentado, no has de estarle agradecido, supuesto que si él ha sido el que la vida te ha dado
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– così tanto mi importava – uccidendo Astolfo. Pensa che follia propria di un vecchio! Benché non sia così strano, visto che non è il mio re. Quando pensavo di ucciderlo, Segismundo provò a uccidere me, e Astolfo sopraggiunse noncurante del pericolo, dando a me, in mia difesa, una prova del suo affetto, che è stato atto temerario ancora più che coraggio. E dunque ora come posso, essendo io riconoscente, a chi mi ha dato la vita progettare di dar morte? Così, fra voi due ho diviso preoccupazione ed intenti, perché a te ho dato la vita e da lui l’ho ricevuta, e non so più a chi dar retta, né a chi dei due andare incontro. A te mi lega aver dato, a lui l’aver ricevuto, e così, in questo dibattito, nulla soddisfa il mio amore, perché sono querelante e, al tempo stesso, imputato. Non devo certo premettere che, per l’uomo di eccellenza, se nobile azione è il dare il ricevere è bassezza. E dato questo principio, non hai da essergli grato, poiché se è vero che è stato Astolfo a darti la vita 427
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y tú a mí, evidente cosa es que él forzó tu nobleza a que hiciese una bajeza, y yo una acción generosa. Luego estás dél ofendido, luego estás de mí obligado, supuesto que a mí me has dado lo que dél has recibido; y así debes acudir a mi honor en riesgo tanto, pues yo le prefiero, cuanto va de dar a recibir. Aunque la nobleza vive de la parte del que da, el agradecerla está de parte del que recibe; y pues ya dar he sabido, ya tengo con nombre honroso el nombre de generoso; déjame el de agradecido pues le puedo conseguir, siendo agradecido cuanto liberal, pues honra tanto el dar como el recibir. De ti recibí la vida, y tú mismo me dijiste, cuando la vida me diste, que la que estaba ofendida no era vida. Luego yo nada de ti he recibido; pues vida no vida ha sido la que tu mano me dio. Y si debes ser primero liberal que agradecido – como de ti mismo he oído –, que me des la vida espero, que no me la has dado, y pues
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e tu a darla a me, è evidente che lui ha costretto te nobile a commettere bassezza, io, un’azione generosa. Quindi, lui ti ha fatto offesa, quindi, a me devi esser grato, e questo perché mi hai dato ciò che da lui hai ricevuto; e così devi soccorrere il mio onore in tanto rischio, perché ho la priorità, quanto ce l’ha il dare sul ricevere. Anche se la nobiltà tocca tutta a chi sa dare, esserle grati è la parte che tocca a chi la riceve; e poiché ho saputo dare, già mi spetta con onore il nome di generoso; quello di riconoscente non mi togliere, poiché posso esser grato e munifico insieme, che onora tanto il dare quanto il ricevere. Da te ho avuto la vita, e tu stesso mi dicesti, quando la vita mi desti, che una vita senza onore non è vita. Dunque io nulla da te ho ricevuto; ché vita-non vita è stata quella che tu mi hai donato. E se devi essere prima generoso che non grato – come tu stesso hai affermato –, aspetto da te la vita, che non me l’hai data, e se 429
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el dar engrandece más, sé antes liberal; serás agradecido después. Vencido de tu argumento, antes liberal seré. Yo, Rosaura, te daré mi hacienda, y en un convento vive; que está bien pensado el medio que solicito, pues huyendo de un delito te recoges a un sagrado; que, cuando tan dividido el reino desdichas siente, no he de ser quien las aumente, habiendo noble nacido. Con el remedio elegido soy con el reino leal, soy contigo liberal, con Astolfo agradecido; y así escogerle te cuadre, quedándose entre los dos, que no hiciera – ¡vive Dios! – más, cuando fuera tu padre. Cuando tú mi padre fueras sufriera esa injuria yo; pero no siéndolo, no. Pues ¿qué es lo que hacer esperas? Matar al Duque. Una dama que padre no ha conocido, ¿tanto valor ha tenido? Sí. ¿Quién te alienta? Mi fama. Mira que a Astolfo has de ver... Todo mi honor lo atropella.
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il dare rende più grandi, sii generoso dapprima; poi sarai riconoscente. Sconfitto dai tuoi argomenti, sarò prima generoso. Io, Rosaura, ti darò le mie ricchezze, e in convento vivrai; quel che ti propongo è un rimedio ben pensato, perché, in fuga da un delitto, ti rifugi in luogo sacro; che, in un momento di tante divisioni per il regno, non sarò io ad aumentarle, visto che son nato nobile. Con il rimedio che scelgo sono leale col regno, sono con te generoso, e ad Astolfo sono grato; e ti conviene accettarlo, mantenendone il segreto, che non avrei per te fatto di più, se fossi tuo padre. Se tu lo fossi davvero sopporterei quest’offesa; ma poiché non lo sei, no. Ma cosa conti di fare? Uccidere il Duca. Tanto ardire ha in cuore una dama senza padre? Sì. Che cosa ti incoraggia? La mia fama. Bada che Astolfo sarà... Al mio onore nulla importa. 431
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ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO
ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA
...tu rey, y esposo de Estrella. ¡Vive Dios que no ha de ser! Es locura. Ya lo veo. Pues véncela. No podré. Pues perderás... Ya lo sé. ...vida y honor. Bien lo creo. ¿Qué intentas? Mi muerte. Mira que eso es despecho. Es honor. Es desatino. Es valor. Es frenesí. Es rabia, es ira. En fin, ¿que no se da medio a tu ciega pasión? No. ¿Quién ha de ayudarte? Yo. ¿No hay remedio? No hay remedio. Piensa bien si hay otros modos. Perderme de otra manera.
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Pues has de perderte, espera, hija, y perdámonos todos.
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ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO
ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA CLOTALDO ROSAURA
...tuo re, e marito di Estrella. Vivaddio, non sarà mai! È una follia. Lo vedo. Vincila allora. Non posso. Ma perderai... Lo so già. ...vita e onore. Certamente. Che vuoi? La mia morte. Bada, è disperazione. È onore. È frenesia. È valore. È delirio. È rabbia, è ira. Ma non si può metter freno alla tua cieca passione? No. Chi ti aiuterà? Io. Non c’è rimedio? Non c’è. Pensa se c’è un altro modo. Perdermi in altra maniera. Esce.
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Se devi perderti, aspetta, figlia, e perdiamoci tutti. Esce.
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Tocan y salen, marchando, soldados, Clarín y Segismundo, vestido de pieles. SEGISMUNDO
Si este día me viera Roma en los triunfos de su edad primera, ¡oh, cuánto se alegrara viendo lograr una ocasión tan rara de tener una fiera que sus grandes ejércitos rigiera, a cuyo altivo aliento fuera poca conquista el firmamento! Pero el vuelo abatamos, espíritu. No así desvanezcamos aqueste aplauso incierto, si ha de pesarme, cuando esté despierto, de haberlo conseguido para haberlo perdido; pues mientras menos fuere, menos se sentirá si se perdiere.
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Dentro, un clarín. CLARÍN
En un veloz caballo – perdóname, que fuerza es el pintallo en viniéndome a cuento –, en quien un mapa se dibuja atento, pues el cuerpo es la tierra, el fuego el alma que en el pecho encierra, la espuma el mar, el aire su suspiro, en cuya confusión un caos admiro, pues en el alma, espuma, cuerpo, aliento, monstruo es de fuego, tierra, mar y viento, de color remendado, rucio, y a su propósito rodado del que bate la espuela y en vez de correr vuela,
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Suono di trombe ed entrano, marciando, dei soldati, Clarín e Segismundo, vestito di pelli. SEGISMUNDO
Se oggi mi vedesse Roma nell’età sua prima e gloriosa, come sarebbe lieta di giovarsi di un caso tanto raro! Ecco, avrebbe una fiera al comando dei suoi eserciti immensi, al cui superbo ardire parrebbe poco conquistare il cielo! Ma voliamo più basso, spirito mio. Non facciamo svanire questo trionfo incerto, se poi mi spiacerà, una volta sveglio, l’averlo conseguito per poi subito perderlo; ché minore sarà, meno dispiacerà di averlo perso. Dentro, una tromba.
CLARÍN
Su un veloce cavallo – scusa, ma devo per forza descriverlo ora che ho l’occasione – sul quale un mappamondo è disegnato, poiché il corpo è la terra, l’anima che è racchiusa in petto il fuoco, la schiuma il mare, l’aria il suo respiro, nella cui agitazione un caos ammiro, perché in anima, schiuma, fiato, corpo, di fuoco, terra, mare e vento è un mostro, chiazzato e pomellato di color bigio, quasi apposta fatto per chi gli dà di sprone e non galoppa, vola,
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a tu presencia llega airosa una mujer. Su luz me ciega. ¡Vive Dios que es Rosaura! Vase.
SEGISMUNDO
El cielo a mi presencia la restaura. Sale Rosaura, con vaquero, espada y daga.
ROSAURA
Generoso Segismundo, cuya majestad heroica sale al día de sus hechos de la noche de sus sombras; y, como el mayor planeta, que en los brazos de la aurora se restituye luciente a las flores y a las rosas, y sobre mares y montes, cuando coronado asoma, luz esparce, rayos brilla, cumbres baña, espumas borda, así amanezcas al mundo, luciente sol de Polonia, que a una mujer infelice, que hoy a tus plantas se arroja, ampares por ser mujer y desdichada; dos cosas que, para obligar a un hombre que de valiente blasona, cualquiera de las dos basta, de las dos cualquiera sobra. Tres veces son las que ya me admiras, tres las que ignoras quién soy, pues las tres me has visto
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ti viene incontro bella una donna. La sua luce mi acceca. Vivaddio, ma è Rosaura! Esce.
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È il cielo a ricondurmela davanti.
Entra Rosaura, in veste da cacciatrice, con spada e daga. ROSAURA
Generoso Segismundo, tu la cui maestà eroica sorge al giorno delle gesta dalla notte delle ombre, e come il maggior pianeta, che nelle braccia d’Aurora s’offre di nuovo, lucente, alle piante ed alle rose, e sopra i mari ed i monti, quando coronato sorge, sparge luce, brilla raggi, bagna cime, borda spume; possa tu sorgere al mondo, chiaro sole di Polonia, come, spero, aiuterai una donna che infelice si getta ora ai tuoi piedi; proteggila perché è donna e sventurata: due cose che, per obbligare un uomo che valoroso si stima, delle due una sola basta, una delle due è già troppo. Sono già tre volte che mi ammiri, e tre che non sai chi sono, perché mi hai visto 437
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en diverso traje y forma. La primera me creíste varón, en la rigurosa prisión donde fue tu vida de mis desdichas lisonja. La segunda me admiraste mujer, cuando fue la pompa de tu majestad un sueño, una fantasma, una sombra. La tercera es hoy que, siendo monstruo de una especie y otra, entre galas de mujer armas de varón me adornan. Y porque, compadecido, mejor mi amparo dispongas, es bien que de mis sucesos trágicas fortunas oigas. De noble madre nací en la corte de Moscovia, que, según fue desdichada, debió de ser muy hermosa. En ésta puso los ojos un traidor, que no le nombra mi voz por no conocerle, de cuyo valor me informa el mío; pues siendo objeto de su idea, siento agora no haber nacido gentil para persuadirme, loca, a que fue algún dios de aquellos que en metamorfosis lloran, lluvia de oro, cisne y toro, Dánae, Cilene y Europa. Cuando pensé que alargaba, citando aleves historias, el discurso, hallo que en él te he dicho en razones pocas
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tutte e tre in diverso aspetto. La prima volta mi hai preso per un uomo, nella dura prigione dove vederti alleviò le mie sventure. La seconda mi hai ammirato come donna, quando fu la gloria del tuo regnare un sogno, un fantasma, un’ombra. La terza è oggi, che, riunendo come un mostro un sesso e l’altro, indosso vesti da donna e mi orno di armi da uomo. E perché tu, impietosito, mi possa aiutare meglio, ti racconterò le tragiche vicende della mia vita. Nacqui da nobile madre alla corte di Moscovia, che, viste le sue sventure, senz’altro fu molto bella. Mise gli occhi su di lei un traditore, il cui nome non dico perché non so, ma il cui valore conosco dal mio; perché, essendo frutto della sua idea, mi dispiace non esser nata pagana, ché potrei illudermi, folle, fosse stato un dio di quelli che, mutati in pioggia d’oro, cigno o toro, fanno piangere Danae, Silene ed Europa. Pensavo di dilungarmi con queste storie di inganni traditori, ma capisco che così ti ho detto in poche 439
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que mi madre, persuadida a finezas amorosas, fue como ninguna bella y fue infeliz como todas. Aquella necia disculpa de fe y palabra de esposa la alcanza tanto, que aun hoy el pensamiento la cobra, habiendo sido un tirano tan Eneas de su Troya que la dejó hasta la espada. Enváinese aquí su hoja, que yo la desnudaré antes que acabe la historia. Deste, pues, mal dado nudo que ni ata ni aprisiona, o matrimonio o delito, si bien todo es una cosa, nací yo tan parecida que fui un retrato, una copia, ya que en la hermosura no, en la dicha y en las obras; y así no habré menester decir que, poco dichosa heredera de fortunas, corrí con ella una propia. Lo más que podré decirte de mí, es el dueño que roba los trofeos de mi honor, los despojos de mi honra. Astolfo... – ¡ay de mí!, al nombrarle se encoleriza y se enoja el corazón, propio efeto de que enemigo se nombra – Astolfo fue el dueño ingrato que, olvidado de las glorias, porque en un pasado amor
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parole come mia madre, persuasa ad atti amorosi, fu bella come nessuna e infelice come tutte. La sciocca scusante della promessa di matrimonio la tocca tanto, che ancora la mantiene col pensiero, mentre l’ingiusto ha voluto somigliare a Enea perfino nel lasciarle la sua spada. La rimetto ora nel fodero, ma la sguainerò di nuovo sul finire del racconto. Dunque, da quel nodo incerto che non lega né imprigiona, o matrimonio o delitto, o forse entrambe le cose, nacqui io, a lei così simile che ne son stata il ritratto, non tanto per la bellezza quanto per sorte e vicende; e perciò non dovrò dirti come, erede sfortunata delle sue sventure, ebbi una sorte alla sua uguale. Quel che ancora posso dirti di me, è dirti chi ha rubato i trofei del mio onore, le spoglie della mia fama. Astolfo... – ahimè, nominandolo monta in collera e si infuria il cuore, sicura prova che si nomina un nemico – Astolfo è l’amante ingrato che, immemore delle gioie, perché di un passato amore 441
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se olvida hasta la memoria, vino a Polonia, llamado de su conquista famosa, a casarse con Estrella, que fue de mi ocaso antorcha. ¿Quién creerá que, habiendo sido una estrella quien conforma dos amantes, sea una Estrella la que los divida agora? Yo ofendida, yo burlada, quedé triste, quedé loca, quedé muerta, quedé yo, que es decir que quedó toda la confusión del infierno cifrada en mi Babilonia; y declarándome muda – porque hay penas y congojas que las dicen los afectos mucho mejor que la boca – dije mis penas callando, hasta que una vez, a solas, Violante mi madre – ¡ay cielos! – rompió la prisión, y en tropa del pecho salieron juntas, tropezando unas con otras. No me embaracé en decirlas, que en sabiendo una persona que a quien sus flaquezas cuenta ha sido cómplice en otras, parece que ya le hace la salva y le desahoga; que a veces el mal ejemplo sirve de algo. En fin, piadosa oyó mis quejas, y quiso consolarme con las propias. Juez que ha sido delincuente, ¡qué fácilmente perdona!
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si perde anche la memoria, è venuto qui in Polonia, bramoso di conquistarla, a sposarsi con Estrella, fiaccola del mio tramonto. Chi crederà che due amanti la cui unione fu voluta da una stella, da una Estrella vengano divisi ora? Io offesa, io abbandonata, restai triste, restai folle, restai morta, restai io, che è come dire che tutta la confusione infernale si compendiò nella mia; e dichiarandomi muta – ché ci sono pene e angosce che l’aspetto esprime meglio che non si possa a parole – i miei dolori tacendo dissi, fin quando una volta Violante mia madre – oh cielo! – ne ruppe il carcere, e a frotte dal cuore uscirono tutti, intralciandosi a vicenda. Non provai imbarazzo a dirli, ché, sapendo una persona che racconta debolezze a chi a sua volta ne ha fatte, sembra quasi che le dia il permesso di sfogarsi; ché a volte il cattivo esempio serve a qualcosa. Indulgente ascoltò dunque i miei pianti, e mi consolò coi suoi. Giudice che è stato reo, com’è facile al perdono! 443
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Y escarmentando en sí misma, – que, por dejar a la ociosa libertad, al tiempo fácil, el remedio de su honra, no le tuvo – en mis desdichas por mejor consejo toma que le siga y que le obligue, con finezas prodigiosas, a la deuda de mi honor; y para que a menos costa fuese, quiso mi fortuna que en traje de hombre me ponga. Descolgó una antigua espada que es esta que ciño – agora es tiempo que se desnude, como prometí, la hoja – pues, confïada en sus señas, me dijo: «Parte a Polonia, y procura que te vean ese acero que te adorna los más nobles; que en alguno podrá ser que hallen piadosa acogida tus fortunas y consuelo tus congojas». Llegué a Polonia, en efeto. Pasemos, pues que no importa el decirlo y ya se sabe, que un bruto que se desboca me llevó a tu cueva, adonde tú de mirarme te asombras. Pasemos que allí Clotaldo de mi parte se apasiona, que pide mi vida al Rey, que el Rey mi vida le otorga, que, informado de quién soy, me persuade a que me ponga mi propio traje y que sirva
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E avendo fatto esperienza che affidare al tempo facile e all’oziosa libertà il riscatto dell’onore non dà frutti, nel mio caso si risolve a consigliarmi di seguirlo e di obbligarlo, con dei prodigi di affetto, a soddisfare il suo debito; e perché non ne soffrisse la reputazione, volle che mi vestissi da uomo. Tirò giù un’antica spada che è questa che cingo – adesso posso sguainarne la lama come ti avevo promesso – e, fidando nel suo effetto, mi disse: «Vai in Polonia, e fai in modo che ti vedano questa spada che ti adorna i più nobili; che forse in qualcuno troveranno rifugio le tue disgrazie e conforto le tue angosce». E così giunsi in Polonia. Tralascio, ché non importa dirlo e si sa, che un cavallo sfrenato mi portò fino alla tua caverna, dove ti stupisci di vedermi. Tralascio che lì Clotaldo prende a cuore la mia causa, che chiede al Re la mia vita, e che il Re gliela concede, che, dicendogli io chi sono, mi persuade a rivestirmi da donna, entrando al servizio 445
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a Estrella, donde, ingeniosa, estorbe el amor de Astolfo y el ser Estrella su esposa. Pasemos que aquí me viste otra vez confuso, y otra, con el traje de mujer, confundiste entrambas formas; y vamos a que Clotaldo, persuadido a que le importa que se casen y que reinen Astolfo y Estrella hermosa, contra mi honor me aconseja que la pretensión deponga. Yo, viendo que tú, ¡oh valiente Segismundo! – a quien hoy toca la venganza, pues el cielo quiere que la cárcel rompas desa rústica prisión, donde ha sido tu persona al sentimiento una fiera, al sufrimiento una roca – las armas contra tu patria y contra tu padre tomas, vengo a ayudarte, mezclando, entre las galas costosas de Dïana, los arneses de Palas, vistiendo agora ya la tela y ya el acero, que entrambos juntos me adornan. Ea, pues, fuerte caudillo: a los dos juntos importa impedir y deshacer estas concertadas bodas: a mí porque no se case el que mi esposo se nombra, y a ti porque, estando juntos sus dos estados, no pongan
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di Estrella, e lì con ingegno porre ostacoli all’amore di Astolfo, e al suo matrimonio. Tralascio che tu mi hai visto qui una prima volta, e poi un’altra in vesti da donna, e hai confuso i miei due aspetti; e vado al dunque: Clotaldo, persuaso che sia opportuno che si sposino e che regnino Astolfo e la bella Estrella, contro il mio onore vorrebbe ch’io rinunci ai miei diritti. Io, poiché tu, valoroso Segismundo – a cui oggi spetta la vendetta, poiché il cielo vuole che tu rompa i vincoli di quella rozza prigione, dove sei stato finora alla passione una fiera, all’afflizione una roccia – le armi contro la tua patria e contro tuo padre volgi, vengo a aiutarti, sommando all’eleganza costosa di Dïana, l’armatura di Pallade, giacché porto sia la tela sia l’acciaio, che entrambi uniti mi adornano. Su, dunque, gran condottiero: tutti e due abbiamo interesse ad impedire e disfare queste nozze convenute: io perché non prenda moglie colui che è già mio marito, tu perché, riuniti in uno i due Stati, metterebbero 447
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con más poder y más fuerza en duda nuestra vitoria. Mujer, vengo a persuadirte el remedio de mi honra, y varón, vengo a alentarte a que cobres tu corona. Mujer, vengo a enternecerte cuando a tus plantas me ponga, y varón, vengo a servirte cuando a tus gentes socorra. Mujer, vengo a que me valgas en mi agravio y mi congoja, y varón, vengo a valerte con mi acero y mi persona. Y así piensa que, si hoy como a mujer me enamoras, como varón te daré la muerte en defensa honrosa de mi honor; porque he de ser, en su conquista amorosa, mujer para darte quejas, varón para ganar honras. (Cielos, si es verdad que sueño, suspendedme la memoria, que no es posible que quepan en un sueño tantas cosas. ¡Válgame Dios! ¡Quién supiera o saber salir de todas o no pensar en ninguna! ¿Quién vio penas tan dudosas? Si soñé aquella grandeza en que me vi, ¿cómo agora esta mujer me refiere unas señas tan notorias? Luego fue verdad, no sueño; y si fue verdad, que es otra confusión y no menor,
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con più potere e più forza in dubbio la tua vittoria. Donna, vengo a supplicarti di difendere il mio onore, uomo, vengo ad esortarti a riprendere lo scettro. Donna, vengo a intenerirti inchinandomi ai tuoi piedi, uomo, vengo al tuo servizio in soccorso ai tuoi soldati. Donna, ti chiedo un aiuto nell’offesa e nell’angoscia, uomo, vengo ad aiutarti con la spada e la persona. E così pensa che, se ora come donna mi corteggi, come uomo ti darò la morte in difesa onesta del mio onore; che sarò, nel lottare per riaverlo, donna per i miei lamenti, uomo per le mie conquiste. (Cieli, se è vero che sogno, fermatemi la memoria, che non si è mai visto che entrino in un sogno tante cose. Dio santo! Vorrei riuscire o a venir fuori da tutte, o a non pensare a nessuna. Quanti dubbi tormentosi! Se ho sognato quella gloria che ho visto, come mai adesso questa donna me ne parla con riferimenti certi? Dunque era realtà, non sogno; e se era realtà, che è un’altra confusione, e non da poco, 449
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¿cómo mi vida le nombra sueño? Pues ¿tan parecidas a los sueños son las glorias, que las verdaderas son tenidas por mentirosas, y las fingidas por ciertas? ¿Tan poco hay de unas a otras, que hay cuestión sobre saber si lo que se ve y se goza es mentira o es verdad? ¿Tan semejante es la copia al original, que hay duda en saber si es ella propia? Pues si es así, y ha de verse desvanecida entre sombras la grandeza y el poder, la majestad y la pompa, sepamos aprovechar este rato que nos toca, pues sólo se goza en ella lo que entre sueños se goza. Rosaura está en mi poder, su hermosura el alma adora. Gocemos, pues, la ocasión; el amor las leyes rompa del valor y confïanza con que a mis plantas se postra. Esto es sueño, y pues lo es, soñemos dichas agora, que después serán pesares. Mas con mis razones propias vuelvo a convencerme a mí: si es sueño, si es vanagloria, ¿quién por vanagloria humana pierde una divina gloria? ¿Qué pasado bien no es sueño? ¿Quién tuvo dichas heroicas
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perché l’ho considerata sogno? Allora, così simili ai sogni sono le glorie che quelle che sono vere si prendono per menzogne, e per realtà quelle finte? Così poco differiscono, da far discutere se ciò che si vede e si gode è menzogna o verità? Così simile è la copia all’originale, che si dubita se sia copia? Ma se è così, se è destino che svaniscano nell’ombra la grandezza ed il potere, il fasto e la maestà, approfittiamo del poco tempo che ci tocca in sorte, poiché si gode soltanto di ciò che in sogno si gode. Rosaura è alla mia mercé, la sua bellezza idolatro. Afferriamo l’occasione; l’amore violi le leggi del valore e la fiducia con cui si prostra ai miei piedi. Questo è un sogno, e se lo è, sogniamo adesso le gioie che poi saranno dolori. Ma coi miei stessi argomenti mi convinco del contrario: se è sogno, se è vanagloria, chi per vanagloria umana perde una divina gloria? Quale bene ormai passato non è un sogno? Chi ha goduto 451
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que entre sí no diga, cuando las revuelve en su memoria: «sin duda que fue soñado cuanto vi»? Pues si esto toca mi desengaño, si sé que es el gusto llama hermosa que le convierte en cenizas cualquiera viento que sopla, acudamos a lo eterno, que es la fama vividora donde ni duermen las dichas, ni las grandezas reposan. Rosaura está sin honor: más a un príncipe le toca el dar honor que quitarle. ¡Vive Dios! que de su honra he de ser conquistador antes que de mi corona. Huyamos de la ocasión, que es muy fuerte.) Al arma toca, que hoy he de dar la batalla antes que las negras sombras sepulten los rayos de oro entre verdinegras ondas. Señor, ¿pues así te ausentas? ¿Pues ni una palabra sola no te debe mi cuidado, no merece mi congoja? ¿Cómo es posible, señor, que ni me mires ni oigas? ¿Aun no me vuelves el rostro? Rosaura, al honor le importa, por ser piadoso contigo, ser crüel contigo agora. No te responde mi voz porque mi honor te responda; no te hablo, porque quiero
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della fortuna e la gloria, che fra sé non dica, quando gli ritornano alla mente: «è stato senz’altro un sogno tutto quanto»? E se capisco questo, se, disingannato, so che il piacere è una fiamma che il vento trasforma in cenere, aspiriamo a ciò che è eterno, che è la fama imperitura dove le glorie non dormono né le grandezze riposano. Rosaura non ha più onore: di più si addice ad un principe dare onore, che non toglierlo. Vivaddio! Della sua fama mi farò conquistatore prima che della corona. Rifuggiamo l’occasione tentatrice.) Chiama all’armi, che oggi muoverò battaglia prima che le ombre del buio spengano i dorati raggi nelle verdi onde del mare. Sire, così te ne vai? Non una sola parola riceve da te il mio affanno o merita la mia angoscia? Com’è possibile, sire, che né mi guardi né ascolti? Neanche volgi a me il tuo viso? Rosaura, il mio onore deve, per mostrartisi pietoso, esserti ora crudele. Non ti rispondo a parole perché il mio onore risponda; non ti parlo, perché voglio 453
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que te hablen por mí mis obras; ni te miro, porque es fuerza, en pena tan rigurosa, que no mire tu hermosura quien ha de mirar tu honra.
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¿Qué enigmas, cielos, son éstas? Después de tanto pesar ¡aún me queda que dudar con equívocas respuestas! Sale Clarín.
CLARÍN ROSAURA CLARÍN
ROSAURA CLARÍN
Señora, ¿es hora de verte? ¡Ay, Clarín! ¿Dónde has estado? En una torre encerrado, brujuleando mi muerte, si me da o no me da; y a figura que me diera, pasante quínola fuera mi vida, que estuve ya para dar un estallido. ¿Por qué? Porque sé el secreto de quién eres, y en efeto
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Dentro cajas.
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Clotaldo... Pero ¿qué ruido es éste? ¿Qué puede ser? Que del palacio sitiado sale un escuadrón armado a resistir y vencer el del fiero Segismundo.
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che per me parlino i fatti; né ti guardo, perché è bene che, in questo duro frangente, non guardi la tua bellezza chi vuol guardare al tuo onore. Escono. ROSAURA
Che enigmi sono mai questi? Dopo tanta sofferenza devo ancora dubitare con equivoche risposte? Entra Clarín.
CLARÍN ROSAURA CLARÍN
ROSAURA CLARÍN
Signora, chi si rivede! Ah, Clarín! Dove sei stato? In una torre rinchiuso, a sbirciare se la morte arrivava oppure no; se dal mazzo fosse uscita non valeva un due di picche la mia vita, ché già stavano per farmi saltare in aria. Perché? Perché so il segreto di chi sei, e perciò Clotaldo... Dentro, rullo di tamburi.
ROSAURA CLARÍN
Ma che rumore è mai questo? Che sarà? Che dal palazzo assediato, viene fuori uno squadrone di armati per contrastare l’esercito del feroce Segismundo. 455
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Pues ¿cómo cobarde estoy y ya a su lado no soy un escándalo del mundo, cuando ya tanta crueldad cierra sin orden ni ley?
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Vase. Dentro UNOS Dentro OTROS CLARÍN
¡Viva nuestro invicto Rey! ¡Viva nuestra libertad! ¡La libertad y el Rey vivan! Vivan muy enhorabuena, que a mí nada me da pena como en cuenta me reciban que yo, apartado este día en tan grande confusión, haga el papel de Nerón que de nada se dolía. Si bien me quiero doler de algo, y ha de ser de mí: escondido, desde aquí toda la fiesta he de ver. El sitio es oculto y fuerte entre estas peñas: pues ya la muerte no me hallará, dos higas para la muerte.
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Escóndese. Suena ruido de armas. Salen el Rey, Clotaldo y Astolfo, huyendo. BASILIO
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¿Hay más infelice rey? ¿Hay padre más perseguido? Ya tu ejército vencido baja sin tino ni ley. Los traidores vencedores quedan.
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Com’è che io, vigliacca, sto qui e non corro lì al suo fianco a meravigliare il mondo, quando la mischia infierisce senza più ordine né legge? Esce.
Dentro, ALCUNI Dentro, ALTRI CLARÍN
Viva il nostro invitto Re! La libertà nostra viva! Viva il Re e la libertà! Vivano, vivano pure, che a me proprio nulla importa, purché si accetti che io resti in disparte nel mezzo di questa gran confusione, e faccia come Nerone che di nulla si curava. Anche se voglio curarmi di qualcosa, e cioè di me: invisibile, da qui tutta la festa vedrò. Qui sto nascosto e protetto da queste rocce: e giacché la morte non può trovarmi, faccio le corna alla morte. Si nasconde. Si sente rumore di armi. Entrano il Re, Clotaldo e Astolfo, in fuga.
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Quale re fu più infelice? Quale padre più braccato? Già il tuo esercito disfatto va sbandato alla rovina. I traditori hanno vinto.
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En batallas tales, los que vencen son leales, los vencidos los traidores. Huyamos, Clotaldo, pues, del crüel, del inhumano rigor de un hijo tirano.
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Disparan dentro, y cae Clarín, herido, de donde está. CLARÍN
¡Válgame el cielo!
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¿Quién es este infelice soldado que a nuestros pies ha caído en sangre todo teñido? Soy un hombre desdichado que, por quererme guardar de la muerte, la busqué. Huyendo della, topé con ella, pues no hay lugar para la muerte secreto; de donde claro se arguye que quien más su efeto huye es quien se llega a su efeto. Por eso tornad, tornad a la lid sangrienta luego, que entre las armas y el fuego hay mayor seguridad que en el monte más guardado; que no hay seguro camino a la fuerza del destino y a la inclemencia del hado. Y así, aunque a libraros vais de la muerte con hüir, mirad que vais a morir si está de Dios que muráis.
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Nelle guerre come queste si chiama leale chi vince, e traditore chi perde. Fuggiamo, dunque, Clotaldo, dal crudele, disumano scempio di un figlio tiranno. Sparano dentro, e Clarín cade, ferito, da dove stava.
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CLARÍN
Il cielo mi aiuti! Chi è questo povero soldato che è caduto ai nostri piedi tutto bagnato di sangue? Sono un uomo disgraziato che, volendomi guardare dalla morte, l’ho cercata. Fuggivo da lei, ed in lei mi imbatto, che non c’è posto che alla morte sia segreto; e da ciò ben si deduce che chi più fugge da lei tanto più le si fa incontro. Perciò tornate, tornate subito alla cruenta mischia, che in mezzo alle armi ed al fuoco c’è maggiore sicurezza che nel monte più nascosto; che nessuna via è al riparo dalla forza del destino, dall’inclemenza del fato. E così, anche se pensate di scampare con la fuga, badate che morirete se Dio vuole che moriate. Cade dentro. 459
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«Mirad que vais a morir si está de Dios que muráis.» ¡Qué bien, ay cielos, persuade nuestro error, nuestra ignorancia, a mayor conocimiento este cadáver que habla por la boca de una herida, siendo el humor que desata sangrienta lengua que enseña que son diligencias vanas del hombre cuantas dispone contra mayor fuerza y causa! Pues yo, por librar de muertes y sediciones mi patria, vine a entregarla a los mismos de quien pretendí librarla. Aunque el hado, señor, sabe todos los caminos, y halla a quien busca entre lo espeso de dos peñas, no es cristiana determinación decir que no hay reparo a su saña. Sí hay, que el prudente varón vitoria del hado alcanza; y si no estás reservado de la pena y la desgracia, haz por donde te reserves. Clotaldo, señor, te habla como prudente varón que madura edad alcanza, yo como joven valiente. Entre las espesas ramas dese monte está un caballo, veloz aborto del aura; huye en él, que yo entre tanto te guardaré las espaldas.
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«Badate che morirete se Dio vuole che moriate». Cielo!, come esorta bene la colpevole ignoranza nostra ad una più alta scienza questa spoglia che ci parla per bocca di una ferita, che con lingua sanguinosa insegna che sono vane le premure che dispone l’uomo a ripararsi da una causa e una forza maggiori! Così io, per liberare dai conflitti la mia patria, l’ho consegnata agli stessi a cui volevo sottrarla. Benché il fato, sire, tutte le strade conosca, e trovi chi cerca fin dentro il chiuso di due rocce, ad un cristiano non è lecito affermare che ad esso non c’è riparo. C’è sì, che l’uomo prudente riesce a vincere sul fato; e se nulla ti protegge dal dolore e la disgrazia, devi pensar tu a proteggerti. Clotaldo, sire, ti parla in quanto uomo prudente che è ormai nell’età matura, io da giovane animoso. Tra i fitti rami di questo monte si trova un cavallo, veloce figlio del vento; montalo e fuggi, e io intanto ti proteggerò le spalle.
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Si está de Dios que yo muera, o si la muerte me aguarda, aquí hoy la quiero buscar, esperando cara a cara.
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Tocan al arma, y sale Segismundo y toda la compañía. SEGISMUNDO
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SEGISMUNDO
En lo intrincado del monte, entre sus espesas ramas, el Rey se esconde. Seguilde, no quede en sus cumbres planta que no examine el cuidado, tronco a tronco y rama a rama. ¡Huye, señor! ¿Para qué? ¿Qué intentas? Astolfo, aparta. ¿Qué intentas? Hacer, Clotaldo, un remedio que me falta. Si a mí buscándome vas, ya estoy, Príncipe, a tus plantas: sea dellas blanca alfombra esta nieve de mis canas. Pisa mi cerviz y huella mi corona; postra, arrastra mi decoro y mi respeto; toma de mi honor venganza, sírvete de mí cautivo; y tras prevenciones tantas cumpla el hado su homenaje, cumpla el cielo su palabra. Corte ilustre de Polonia, que de admiraciones tantas sois testigos, atended, que vuestro príncipe os habla. Lo que está determinado
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Se Dio vuole che io muoia, o se la morte mi aspetta, qui la voglio oggi cercare, e affrontarla a viso aperto.
Chiamano all’armi, ed entra Segismundo con tutta la compagnia. SEGISMUNDO
CLOTALDO BASILIO ASTOLFO BASILIO CLOTALDO BASILIO
SEGISMUNDO
In quest’intrico del monte, tra i fitti rami del bosco, si nasconde il Re. Inseguitelo, non rimanga un solo albero che non guardiate con cura, tronco a tronco e ramo a ramo. Fuggi, signore! Perché? Che vuoi fare? Astolfo, scostati. Che vuoi fare? Quel rimedio, Clotaldo, di cui ho bisogno. Se son io che stai cercando, ai tuoi piedi eccomi, Principe: sia a loro bianco tappeto questa mia testa canuta. Schiaccia il mio collo e calpesta la corona; prostra e umilia la mia dignità e il mio nome; vendicati del mio onore, fa’ di me il tuo prigioniero; e dopo tante cautele compia il fato i suoi decreti, compia il cielo i suoi presagi. Corte illustre di Polonia, che di tante meraviglie sei testimone, ora ascolta: il tuo principe ti parla. Quel che è stato stabilito 463
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del cielo, y en azul tabla Dios con el dedo escribió, de quien son cifras y estampas tantos papeles azules que adornan letras doradas, nunca mienten, nunca engañan; porque quien miente y engaña es quien, para usar mal dellas, las penetra y las alcanza. Mi padre, que está presente, por escusarse a la saña de mi condición, me hizo un bruto, una fiera humana; de suerte que, cuando yo por mi nobleza gallarda, por mi sangre generosa, por mi condición bizarra, hubiera nacido dócil y humilde, sólo bastara tal género de vivir, tal linaje de crïanza, a hacer fieras mis costumbres. ¡Qué buen modo de estorbarlas! Si a cualquier hombre dijesen: «Alguna fiera inhumana te dará muerte», ¿escogiera buen remedio en despertallas cuando estuviesen durmiendo? Si dijeran: «Esta espada que traes ceñida ha de ser quien te dé la muerte», vana diligencia de evitarlo fuera entonces desnudarla y ponérsela a los pechos. Si dijesen: «Golfos de agua han de ser tu sepultura en monumentos de plata»,
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dal cielo, e su azzurra tela ha scritto Dio con il dito, lasciandolo impresso su tante pergamene azzurre di lettere d’oro adorne, mai dice il falso, mai inganna; perché chi mente ed inganna è chi, per usarne male, le interpreta e le decifra. Mio padre, che qui vedete, per sottrarsi alla violenza del mio carattere, ha fatto di me una belva, una fiera; di modo che, anche se io per la mia alta nobiltà, per il mio sangue reale, per il mio animo grande, fossi nato buono e docile, sarebbe bastato solo questo genere di vita, questo modo di allevarmi, a fare di me un violento. Un bel modo di evitarlo! Se a qualsiasi uomo dicessero: «Una belva disumana ti ucciderà», sceglierebbe come rimedio svegliarla mentre dorme? Se dicessero: «Questa spada che tu cingi ti darà la morte», vana precauzione ad evitarlo sarebbe per lui sguainarla e rivolgersela al petto. Se dicessero: «Nei gorghi del mare sarai sepolto in una tomba d’argento»,
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mal hiciera en darse al mar, cuando soberbio levanta rizados montes de nieve, de cristal crespas montañas. Lo mismo le ha sucedido que a quien, porque le amenaza una fiera, la despierta; que a quien, temiendo una espada, la desnuda; y que a quien mueve las ondas de una borrasca; y cuando fuera, escuchadme, dormida fiera mi saña, templada espada mi furia, mi rigor quieta bonanza, la fortuna no se vence con injusticia y venganza, porque antes se incita más. Y así, quien vencer aguarda a su fortuna, ha de ser con prudencia y con templanza. No, antes de venir el daño, se reserva ni se guarda quien le previene; que aunque puede humilde, cosa es clara, reservarse dél, no es sino después que se halla en la ocasión, porque aquésta no hay camino de estorbarla. Sirva de ejemplo este raro espectáculo, esta estraña admiración, este horror, este prodigio; pues nada es más que llegar a ver, con prevenciones tan varias, rendido a mis pies a un padre y atropellado a un monarca. Sentencia del cielo fue;
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farebbe male a imbarcarsi, quando il mare alza superbo ricciute cime di neve, crespi monti di cristallo. La stessa cosa il Re ha fatto di colui che, minacciato da una belva, la risveglia; di chi, temendo una spada, la sguaina; e di chi sommuove le onde di una burrasca; e quand’anche fosse stata belva dormiente la mia ira, spada mite la mia furia, la mia crudeltà bonaccia, la fortuna non si vince con ingiustizia e vendetta, ché anzi così si inasprisce. E quindi, chi vuole vincere la sua fortuna, lo faccia con prudenza e temperanza. Chi cerca di prevenire un male prima che arrivi, non si difende né lo evita; ché anche se, con umiltà, certamente può difendersi, può farlo solo al momento in cui avviene, ché fin lì non c’è modo di impedirlo. Ne sia esempio questo raro spettacolo, questa strana meraviglia, quest’orrore, questo prodigio; ché nulla convince più che vedere, pur con tante precauzioni, sconfitto ai miei piedi un padre ed oltraggiato un monarca. Era sentenza del cielo; 467
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ASTOLFO
por más que quiso estorbarla, él no pudo. ¿Y podré yo, que soy menor en las canas, en el valor y en la ciencia, vencerla? Señor, levanta, dame tu mano; que ya que el cielo te desengaña de que has errado en el modo de vencerle, humilde aguarda mi cuello a que tú te vengues; rendido estoy a tus plantas. Hijo, que tan noble acción otra vez en mis entrañas te engendra, príncipe eres. A ti el laurel y la palma se te deben. Tú venciste: corónente tus hazañas. ¡Viva Segismundo, viva! Pues que ya vencer aguarda mi valor grandes vitorias, hoy ha de ser la más alta vencerme a mí. Astolfo dé la mano luego a Rosaura, pues sabe que de su honor es deuda, y yo he de cobrarla. Aunque es verdad que la debo obligaciones, repara que ella no sabe quién es; y es bajeza y es infamia casarme yo con mujer... No prosigas, tente, aguarda; porque Rosaura es tan noble como tú, Astolfo, y mi espada lo defenderá en el campo; que es mi hija, y esto basta. Qué dices?
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BASILIO
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pur cercando in ogni modo di impedirla, egli ha fallito. E potrò forse io, che sono minore in età, in valore e in scienza, vincerla? Sire, alzati, dammi la mano; ora che il cielo ti mostra che hai scelto il modo sbagliato per vincerlo, umile attende il mio collo il tuo castigo; eccomi chino ai tuoi piedi. Figlio, un gesto così nobile nuovamente nel mio petto ti genera: tu sei il principe. A te l’alloro e la palma spettano. È tua la vittoria: le tue gesta ti coronino. Viva Segismundo, viva! Giacché aspira il mio valore ancora a grandi vittorie, oggi la più alta di tutte sarà vincermi. Dia subito la mano Astolfo a Rosaura: sa che è un debito d’onore e io lo obbligo a pagarlo. È vero che sono in debito con lei, tuttavia considera che lei non sa chi è suo padre; ed è bassezza ed infamia sposarmi con una donna... Non proseguire, sta’ zitto; perché quanto te ella è nobile, Astolfo, e qui la mia spada potrà difenderlo in duello; che è mia figlia, e questo basta. Che dici?
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Que yo hasta verla casada, noble y honrada, no la quise descubrir. La historia desto es muy larga; pero, en fin, es hija mía. Pues siendo así, mi palabra cumpliré. Pues porque Estrella no quede desconsolada, viendo que príncipe pierde de tanto valor y fama, de mi propia mano yo con esposo he de casarla que en méritos y fortuna, si no le excede, le iguala. Dame la mano. Yo gano en merecer dicha tanta. A Clotaldo, que leal sirvió a mi padre, le aguardan mis brazos, con las mercedes que él pidiere que le haga. Si así a quien no te ha servido honras, ¿a mí, que fui causa del alboroto del reino, y de la torre en que estabas te saqué, qué me darás? La torre, y porque no salgas della nunca hasta morir, has de estar allí con guardas; que el traidor no es menester, siendo la traición pasada. Tu ingenio a todos admira. ¡Qué condición tan mudada! ¡Qué discreto y qué prudente!
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[SOLDATO] 1
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Che non volevo rivelarlo, per vederla prima sposata e onorata. È una storia molto lunga; a ogni modo, è figlia mia. Se è così, la mia parola manterrò. E perché Estrella non rimanga rattristata vedendo che perde un principe di tanto valore e fama, la sposerò di mia mano a un marito che, seppure per meriti e per fortuna non lo supera, gli è pari. Dammi la mano. Mi offri una gioia ben più grande. A Clotaldo, che leale mio padre ha servito, do le mie braccia, e le mercedi che lui riterrà di chiedermi. Se così onori coloro che non ti hanno servito, a me, che son stato causa della rivolta del regno, e dalla torre in cui stavi ti ho tratto, cosa darai? La torre, e perché non esca da lì fino alla tua morte, ti circonderò di guardie; non serve più il traditore, a tradimento compiuto. La tua saggezza stupisce. Che diverso modo d’essere! Come è avveduto e prudente!
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¿Qué os admira? ¿Qué os espanta, si fue mi maestro un sueño y estoy temiendo en mis ansias que he de despertar y hallarme otra vez en mi cerrada prisión? Y cuando no sea, el soñarlo sólo basta; pues así llegué a saber que toda la dicha humana, en fin, pasa como sueño. Y quiero hoy aprovecharla el tiempo que me durare, pidiendo de nuestras faltas perdón, pues de pechos nobles es tan propio el perdonarlas.
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Perché stupore e sorpresa? Se ho avuto per maestro un sogno, e angosciato temo ancora di svegliarmi e ritrovarmi un’altra volta nel chiuso del carcere? E se non fosse, sognarlo anche solo basta; ché così ho potuto apprendere che qualsiasi gioia umana trascorre via come un sogno. E oggi voglio approfittarne il tempo che durerà, chiedendo dei nostri errori perdono, che a cuori nobili ben si addice perdonarli.
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El príncipe constante Il principe costante Testo spagnolo a cura di ENRICA CANCELLIERE Nota introduttiva, traduzione e note di ENRICA CANCELLIERE
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Nota introduttiva
Opera giovanile redatta probabilmente nel 1628 e rappresentata l’anno dopo a Madrid, El príncipe constante di don Pedro Calderón de la Barca, è un capolavoro di drammaturgia che manifesta al pubblico le tematiche fondamentali che saranno proprie dell’autore nella sua produzione a venire, caratterizzando in maniera emblematica La vida es sueño (1635) – opera eminente nella grande stagione europea dei «teatri nazionali» – ma anche le simbologie dottrinarie degli Autos Sacramentales e le allegorie mitologiche delle commedie che si rappresentavano a corte nel Teatro del Coliseo. L’utopia di un mondo pacificato da un ordinamento cattolico universalistico di cui sia garante la monarchia assoluta e che assicuri dignità umana agli individui e ai popoli si confronta già in questa opera con l’atrocità della storia e con i mali del mondo, anche se Calderón non può ancora avere assunto quell’atteggiamento di desengaño (disillusione) che maturerà in lui con il disastroso andamento della Guerra dei Trenta Anni. Tuttavia, già quell’utopia assume nel suo eroe, don Fernando, i connotati della profezia, di una meta agognata raggiungibile solo in una dimensione meta-storica. Questa visione escatologica della storia1 si traduce infatti nell’ossessa visionarietà dell’eroe che, se anche addita quella meta come il Bene assoluto, getta per contro tutto il reale nel dominio illusorio dell’ombra destinata a svanire, del contingente e del mortale, dunque dell’inganno e dell’errore. Il martire Fernando assume la posizione doppia e l’attitudine visionaria di chi vive la lacerazione tra questo illusorio reale e l’utopia cui si è votato, ma che nella storia e nel mondo non è in atto: dimensione esisten477
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ziale agostiniana che lo vota alla rinuncia di ogni attrattiva mondana e all’erranza inesausta dello spirito. Questa dimensione progressivamente genera in lui l’ardente desiderio di una fine che è superamento dei limiti angusti della soggettività e naufragio nella luminosa ma ignota Verità, e ciò anche in netta opposizione al realismo politico sostenuto dalla monarchia portoghese (qui peraltro interprete, secondo Calderón dei valori che verranno assunti dalla Monarchia spagnola). Si tratta di una scelta esistenziale che l’autore connota di platonismo e stoicismo e che coniuga arditamente a sostegno dei sillogismi ad maiorem Dei gloriam che sono propri della seconda Scolastica. Questa commistione conferisce al tema della santità una modernità inusitata che attinge alla rêverie lirica e metafisica dei grandi mistici e innova radicalmente la codificata agiografia del popolare genere drammatico della «commedia di santi», inscenando la titanica figura di un martire che continua ad emozionare gli spettatori e i teatranti del nostro tempo. 1. La prima scena si svolge nell’incantato giardino sul mare del palazzo reale di Fez. Un triste canto di prigionieri sulla fugacità della vita è il contrappunto all’apparizione di una bellezza assoluta, che fa da pendent allo splendore del sole nascente, quella della principessa Fenix; ma nello specchio che le offrono le ancelle perché rimiri il suo aspetto al risveglio, ella vede soltanto tristezza. Arriva il re suo padre con in mano il ritratto di Tarudante, principe di Marocco cui desidera che la figlia vada sposa. La principessa appare angustiata da quella decisione dato che ama in segreto il giovane generale Muley, tuttavia non si sottrae all’obbligo fi liale dell’obbedienza. Bordate d’artiglieria annunciano proprio l’arrivo di Muley che torna da una rischiosa missione di ricognizione lungo le coste di Berberìa. Sebbene turbato dall’aver visto il ritratto di Tarudante in mano all’amata Fenix, il generale informa il re dell’impossibilità di riconquistare al momento Ceuta poiché occorre invece mandare ingenti rinforzi a protezione di Tangeri, minacciata da una numerosa flotta portoghese. La résis che Muley fa al sovrano è uno dei momenti poetici più alti dell’intero dramma: nell’arco di 210 versi si coniugano le ragioni dell’obbedienza e lealtà al sovrano e le ragioni etiche e religiose del dramma (dal punto di vista degli infedeli) con il racconto di quella trepida attesa negli ampi spazi marini in cui possono manifestarsi prodigi soprannaturali. Visio478
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ni aberrate di mostri, città favolose, paesaggi fantastici accompagnano, tra terrificanti tempeste, l’avanzare della flotta nemica all’orizzonte in una riflessione di cieli e acque che ingannano la vista e lasciano delirare la mente. Ernst Gombrich scrive: «Una descrizione grandiosa di queste incertezze e del lavorio che provocano nella mente di chi tenta di decifrare ciò che vede, si trova in uno dei drammi di Calderón, Il principe costante».2 Rimasto solo con Fenix, Muley pazzo di gelosia tenta invano di ottenere una promessa di fedeltà, prima di marciare contro il nemico al seguito del suo sovrano. Intanto, sulle coste africane sbarcano le armate guidate dai principi di Portogallo, don Fernando e don Enrique, con loro è don Juan Coutiño. La mischia è immediata e Muley viene fatto prigioniero da don Fernando che però, per la tristezza profonda che vede nel suo volto e percepisce dalle sue parole di amante deluso, si muove a pietà al punto da concedergli la libertà. Ma, poco dopo, l’arrivo del grosso dell’esercito moro costringe i Portoghesi alla resa e don Fernando è fatto prigioniero a sua volta. Nel secondo atto Fenix racconta all’amato Muley che, assopitasi in un bosco ameno, le è apparsa in sogno un’orribile vecchia africana: questa, con voce rantolante, le aveva annunciato che la sua bellezza sarebbe stata il «prezzo di un morto». Nella scena seguente Fernando partecipa ad una battuta di caccia con il re di Fez suo carceriere; subito dopo incontra Muley che gli professa la sua indefettibile gratitudine. Ma arriva don Juan Coutiño e informa che la nave, inviata dal re del Portogallo per trattare il riscatto dell’infante, sta per attraccare sventolando nere bandiere di lutto. Don Fernando pensa che i Portoghesi piangano la sua prossima dipartita, resa inevitabile da un patteggiamento impossibile. Ma così non è: suo fratello don Enrique viene ad annunciare al re di Fez che don Duarte, re di Portogallo, è morto per il dolore causato dal tragico destino del figlio. Però, prima di spirare, il sovrano ha ordinato nel suo testamento che Ceuta venga restituita ai Mori in cambio della libertà del principe. Don Fernando rifiuta subito di accettare il compromesso e si lancia in una argomentata perorazione che inneggia alla difesa della gente di Ceuta e della fede cristiana, e ancora dei fedeli che in essa si riconoscono: la difesa della loro vita e della loro libertà di fede è un compito più alto della doverosa obbedienza al padre e al sovrano, in quanto obbedisce alla legge di Dio. Strappa allora di mano a don Enrique il 479
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testamento, lo fa a pezzi e lo ingoia perché nessuno possa mai venire a conoscenza di questo compromesso. Il re di Fez, infuriato, decide che da quel momento in poi l’ingrato don Fernando venga sottoposto alla più dura prigionia e costretto ai lavori più umili, con ancor più rigore di quello che tocca agli altri prigionieri. Nel comminare questa punizione egli sarà inflessibile perché a tutti si dia l’esempio del suo potere, a meno che l’infelice principe non ceda e acconsenta allo scambio. Da questo momento Fernando affronta il martirio con stoica rassegnazione. Ha preso a lavorare da umile giardiniere quando incontra la bella Fenix. Le offre i fiori da lei richiesti con un sonetto, «a las flores», che le dischiude il mistero della caducità della bellezza e della vita stessa. La principessa, turbata, manifesta uno stato di profonda malinconia generato dal suo amore negato, malinconia che s’ammanta di inquietudini esistenziali degne di un animo nobile, ancorché sia essa un’infedele. La sua risposta con il sonetto «a las estrellas» richiude, nella riflessione speculare tra terra e cielo, la sfera del cosmo in quel giardino incantato, sotto il segno della caducità di tutto il creato. La condizione di Fernando si aggrava sempre più, e Muley, per assolvere al suo debito di gratitudine, gli propone un piano di fuga. Ma il re sospetta e, perciò, affida proprio al suo generale la sorveglianza del prigioniero. Il nobile moro, lacerato tra la riconoscenza verso l’amico e la lealtà al re, sceglie quest’ultima assecondando il pressante invito che lo stesso Fernando gli muove con capziose argomentazioni: la legge del vassallaggio infatti supera quella dell’amicizia. Poiché Fernando (nel terzo atto) è giunto allo stremo delle forze, Muley intercede apertamente presso il re, suscitandone l’ira. La stessa Fenix, allora, intercede presso il padre, ma senza miglior esito. Ma ecco che giunge a Fez il nuovo sovrano portoghese, don Alfonso, travestito da ambasciatore perché intende proporre uno scambio per denaro. Il re di Fez e il suo alleato Tarudante, però, respingono con sdegno la proposta. A don Alfonso, dunque, non rimane che, svelata la sua vera identità, dichiarare la guerra. Fernando è ormai alle soglie della morte causata da stenti e consunzione, ma trova ancora una volta la forza delirante per dichiarare in faccia al re moro la sua indisponibilità a qualsiasi trattativa sulla cristianissima Ceuta. Divampa la guerra, di nuovo atroce e sanguinosa come la precedente. In una scena notturna irrompe l’esercito portoghese e alla sua guida ap480
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pare lo spirito di don Fernando che, con una ardente fiaccola in mano, simbolo davvero emblematico della Fede che illumina ma anche della Speranza che ora si apre ai mortali grazie al suo sacrificio, conduce l’esercito alla vittoria. Tuttavia egli con quella fiaccola è lì, sulla scena, a testimoniare il suo vivere ormai di luce eterna, contrapponendosi all’immagine della sua stessa morte racchiusa con i suoi resti terreni in una bara. Infatti, sugli spalti di una torre si trova il re di Fez ed alcuni soldati che reggono sulle spalle la bara con le spoglie del santo martire. Queste, su richiesta di Alfonso, vengono restituite per ricevere cristiana sepoltura e le devozioni che si devono a un santo; in cambio verrà restituita Fenix che era stata catturata insieme a Muley e Tarudante. Accettato lo scambio, Alfonso intercede presso il re moro affinché siano celebrate le nozze tra Fenix e Muley. Il martirio del santo cristiano ha dunque assicurato la pace tra gente di diversa religione e libertà di culto ai cristiani di Ceuta, ma anche salvato la vita e l’amore dei due giovani infedeli. 2. L’intreccio del dramma deriva da un fatto storico: la sfortunata spedizione a Tangeri (1437) del principe Fernando, figlio di Juan I sovrano di Portogallo. Il principe venne fatto prigioniero dal re di Fez, e poco dopo ucciso a causa del mancato accordo sulla cessione di Ceuta agli infedeli. Il suo corpo fu esposto al pubblico ludibrio davanti alle porte di Fez, ma pare che alcuni compagni di prigionia siano riusciti a sottrarre il cuore e le viscere che consideravano sacre reliquie di un santo reso tale dal martirio. Nel 1471 Alfonso V, cugino di Fernando, avendo occupato Arzila ottiene dal governatore della città la restituzione dei resti mortali dell’eroe, nel quadro di un accordo per lo scambio dei prigionieri tra i quali il figlio del governatore e le due rispettive spose. A Lisbona il corpo del principe riceverà finalmente solenni esequie e cristiana sepoltura, ed i fedeli ne decreteranno con il loro culto la santificazione. Questa cronaca storica ha avuto un forte impatto sull’ispirazione di Calderón che, a quanto pare, ha tratteggiato nel personaggio di don Juan Coutiño un compagno di prigionia del principe Fernando che, per primo, avrebbe annotato quei prodigiosi accadimenti.3 Questi sono ricordati nel canto IV del poema epico nazionale Os Lusíadas (1572) di Camões e ancora nella Epítome de las historias portuguesas pubblicata a Madrid nel 1628 da Faría y Sousa. Sarebbe questa redazione storica 481
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la fonte primaria, e, a considerare la datazione, immediata del dramma calderoniano. Tra le fonti ricordiamo la commedia, attribuita a Lope de Vega, La fortuna adversa del infante Don Fernando, e la commedia di Vélez de Guevara dal titolo La fortuna adversa del infante don Alfonso de Portugal. Con tutta evidenza quegli eventi si prestavano ad ispirare una popolare commedia «di santi», specificatamente di quel ricco sottogenere che è il märthyredrama, secondo il Kayser.4 Ma ancora più interessante può essere l’annotare quali siano stati gli influssi che hanno portato l’autore ad una sostanziale rielaborazione dei fatti, condotta con una libertà che mostra come egli abbia avuto a cuore le necessità del «dover essere» aristotelico e la conseguente costruzione del verosimile storico a discapito del preteso «reale» della storiografia, ai fini di un’opera di teatro che raccontasse quei fatti atroci secondo una disposizione capace di generare la catarsi dello spettatore. Nella realtà storica, infatti, la decisione della monarchia portoghese di non trattare la cessione di Ceuta e di far prevalere la Ragion di Stato condannò a morte certa l’infante prigioniero. Alessandro Manzoni, nell’ambito del recupero romantico di quell’autentico aristotelismo che consente la rivalutazione del teatro barocco, non solo critica il rispetto delle «tre unità», che ritiene non-aristoteliche, ma si spinge fino a teorizzare la superiorità delle tragedia sulla storia. Infatti la prima, mettendo in scena il «verosimile» e non il vero, racconta il «dover essere» e dunque ciò che è assolutamente necessario.5 Nel suo lucido disegno drammatico di sicuro Calderón ha tenuto ben presenti i trattati agiografici che attribuivano la virtù della «costanza» al perfetto principe e ai santi, così come quelli dell’Emblematica che usavano delle immagini in chiave al tempo stesso simbolica e didattica secondo un ricorso all’iconografia che la cultura gesuitica teorizzava e diffondeva. A quella virtù faceva necessariamente ricorso il tema del conseguimento della «vera libertà», che piega la scelta umana e nobile del «libero arbitrio» al proposito di «vincere se stessi» – imperativo morale ignaziano – liberandosi dai condizionamenti degli interessi materiali, della vanagloria, degli appetiti e degli affetti terreni. Ma v’è anche un valore laico della «costanza» suggerito dalla tradizione classica come connotazione del tema dell’onore, il cui archetipo risiede in Attilio Regolo e nell’agiografia storico-leggendaria, nonché emblematica, che ne consegue. Gli stoici e Seneca hanno trattato il tema della «costanza» 482
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come virtù cardinale dell’Etica. Dal senecano De constantia sapientis, attraverso il «Seneca morale» di medievale fortuna, si giunge fino al De constantia (1584) dell’umanista Justo Lipsio. Sono dunque molteplici le suggestioni culturali che hanno indotto Calderón a completare l’esemplarità della triste vicenda di don Fernando con il tenace rifiuto del principe di aderire ad ogni compromesso, di fare del suo essere e della sua propria carne l’oggetto di scambio della cristianissima Ceuta. L’infedele Muley, amante infelice ma cavaliere leale e cortese capace di riconoscenza e sincera amicizia, è invece personaggio che trova riscontri nel romanzo moresco e nei romances fronterizos dell’epica medievale. Dal punto di vista dei topoi letterari ci appare invece in tutta la sua originalità di poetica d’autore il personaggio di Fenix. Certo, se ne potrebbero trovare echi nella tradizione novellistica fin dal Boccaccio per arrivare al genere cavalleresco; e perfino nei Vangeli, dove Maria di Magdala è anche essa una beltà perduta quanto caduca, ma di profondi sentimenti. Qui, però, il contesto del rapporto Fenix-Fernando è radicalmente diverso da ogni precedente, ed è un contesto esistenziale fatto di melanconie inconsapevoli, inquietudini, aneliti di qualcosa d’altro e di più vero che resta ignoto, concorrenti al tratteggio di un trepidante personaggio femminile che a sua volta si fa archetipo del tema della bella e del santo in una futura evoluzione letteraria e scenica, dai romantici a Dostoevskj. La contrapposizione dialettica vita-morte percorre, tuttavia, le arti figurative dal Manierismo al Barocco attraverso delle serie iconiche a forte valenza simbolica sul confronto tra la bellezza e il tempo inesorabile, o tra la bellezza e la raffigurazione della morte: fanciulle o Veneri allo specchio, spesso con scheletri o teschi, o ancora corpi mozzati. Citiamo fra i molti esempi La donna allo specchio e la morte da Le tre età della vita di Hans Baldung Grieng (1540 ca.): qui, una bella fanciulla, nel rimirarsi allo specchio, vede riflesso su questo uno scheletro con in mano una clessidra sospesa sul suo capo. Allegoria simbolica che investe il personaggio di Fenix: da immagine della bellezza che si rimira allo specchio, alla visione, in sogno, della caduca africana, la morte. Leo Spitzer ha dedicato alla figura di Fenix un saggio esemplare6 analizzandola nella sua relazione, perfino amorosa, con Fernando, e mettendola in luce come figura-chiave del valore emblematico che caratterizza il dramma. Questo valore pertanto si esalta nella scena del giardino e 483
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nella corrispondenza dei sonetti «a las flores» e «a las estrellas», momento acme d’illuminazione simbolica nel paradossale rapporto dei due personaggi. 3. Se all’inizio abbiamo ricordato il teatro europeo dell’epoca è perché, come ha notato Alessandro Serpieri,7 nelle grandi opere della poesia lirica e drammatica di quei primi decenni del Seicento sembrano rincorrersi da un autore all’altro, da un’opera all’altra, alcuni motivi fondanti che conferiscono loro uno spessore speculativo inusitato in una complessità di visione dell’immaginario che corrisponde alla complessità visuale delle arti figurative e architettoniche barocche. Siffatti motivi macrotestuali ed intertestuali sono designati da termini ricorrenti come «sogno», «ombra», «specchio», «tempo», tutti presenti anche ne Il principe costante con il loro potere di simbolizzazione del doppio, dell’illusione, dell’errore, della caducità del mondo e della vita umana infine, con tutte le sue passioni e i suoi valori. È significativo che già in quest’opera appaia il motivo macrotestuale calderoniano del «sogno» manifestandosi in tutte le possibili accezioni occorrenti nella Weltanshauung barocca europea: il sogno come delirio, illusione, dubbio ed errore o al contrario come stato di esaltazione, rivelazione o visione profetica, anelito al conseguimento dell’utopia, prefigurazione eroica di ciò che il nome, il sangue, la fede pone come inderogabile meta del vivere. Al fondo di questa propensione artistica e autorale c’è il compromesso più o meno libero e cosciente tra l’ideologia dominante della Ragion di Stato e della religione come instrumentum regni, quale si manifesta nel complesso dottrinario neoscolastico che regge la Controriforma, e l’affermazione di una soggettività esistenziale che si radica nella tradizione che dal Platonismo e Neoplatonismo giunge all’Agostinismo. Da Platone (Timeo) agli stoici, a Cicerone (Somnium Scipionis) il «sogno» non è solo delirio ed errore ma anche rivelazione di una verità più alta rispetto al reale effettuale, verità ignota, visione di una meta utopica che, per Sant’Agostino, illumina l’esistenza di chi persegue la Civitas Dei vivendo nella mondana Civitas diaboli. Malgrado la funzione addirittura metafisica assegnata alle strategie simboliche della scena, Calderón non dubita dei teoremi razionali di una neoscolastica che coniuga le ragioni della fede, del potere politico e dell’uomo in un sistema sillogistico di premesse e derivazioni. Ciò trova 484
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ampio posto nella sua scrittura, per esempio nelle reiterate dimostrazioni sillogistiche di don Fernando sull’incontrovertibilità delle sue decisioni e del suo comportamento, rese sia al sovrano di Fez che a don Enrique latore del compromesso regio. Tuttavia già in quest’opera è evidente l’effusione di quell’atteggiamento agostiniano che approda ad una sorta di visione cristiano-esistenzialista ante litteram. Infatti quei sillogismi, che connettono Ragion di Stato e dogmi religiosi ad un «dover essere» dell’uomo d’onore e di fede, vengono declinati dall’eroe con una tensione febbrile e ossessa che sembra approdare ad un delirio onirico assai più che ad una razionale analisi della situazione reale. Tanto più ciò si manifesta quanto più il suo stato fisico degenera in quello di una creatura sempre più consunta le cui parole, proprio perché rivelatrici e ispirate, non possono ora che appartenere al registro di quel delirio e perfino della follia in cui parla la voce dell’Alterità. Di fatto esse mantengono come costante invalicabile e reiterata solo l’ostinazione in cui si manifesta, a prescindere da ogni considerazione, il raggiungimento della soglia psichica e fisica della rinuncia alla vita, una vocazione al cupio dissolvi. Si proietta allora sulla scena la luce del mondo onirico stoiconeoplatonico che è una costante della poetica calderoniana e che opera una sintesi tra la razionalità della Scolastica e tutto quel pensiero, classico e cristiano, che postula l’anamnesi e il percorso dell’esistenza umana – quando vissuta in maniera degna di essere tale – come aspirazione al totale naufragio nel mistero di quella Alterità che ai viventi è negata. Quanto agli altri personaggi visionari – Muley e Fenix – essendo degli infedeli le loro fantasticherie sono inganni, incubi, aberrazioni, in una parola «errore». Ma questo «errore» è un «errare», che si è ormai disancorato dall’illusione del reale per cercare una realtà che non può conoscere, ma che in qualche modo sa o spera che esista anche se non gli è dato di attingervi. In questa loro evoluzione l’aura della vicinanza del santo martire ha un valore decisivo, costituendo la metafora della luce della tragedia sacrificale del Cristo che si riversa su tutte le creature, anche le più ignare. Reso necessario da questa connotazione cristologica, il cupio dissolvi, che si manifesta nella delirante e ostinata rêverie di don Fernando, si incide fisicamente e teatralmente sul suo disfacimento corporeo che si offre con inesorabile progressione al lettore-spettatore. In ciò il motivo del grande interesse di Grotowski8 per un testo che gli è sembrato emblematico di 485
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quella crudeltà e di quella sacrificale ritualità postulate da Artaud9 per la rinascita del teatro e adottate dalle nuove avanguardie fisico-gestuali del secondo Novecento. In tal modo il regista polacco è riuscito a ricollocare l’opera di Calderón al centro delle tensioni che attraversano ancora oggi il teatro dell’Occidente e la sua rifondazione. Ma «sogno» è anche in Calderón il «teatro», ovvero la verità di una finzione che denuncia e soppianta nella sua qualità di «verosimile» e come metaforico e necessario «dover essere» quella finzione di verità che è la vita reale. Ciò conferisce all’opera il suo valore di canone della teatralità barocca nel contesto di un aristotelismo rivisitato al lume della teoria della metafora e non più secondo l’interpretazione precettistica. La formulazione patristica del teatro come vanità e illusione, ingannevole regno delle ombre foriero di culti idolatrici10 viene da Calderón, autore pienamente barocco, rovesciata di segno: proprio perché regno di ogni illusione il teatro denuncia e mostra la vita terrena e il mondo, poiché vita e mondo sono illusioni che la scena con le sue rappresentazioni ci mostra come tali. Il lettore-spettatore è dunque avviato ad un percorso esoterico di vera conoscenza verso ciò che anche Sant’Agostino definiva come la «illuminazione» conseguente ad un’erratica ricerca. 4. La scena del corral11 è uno spazio vuoto. La deissi è dunque il procedimento retorico che fornisce, attraverso la parola poetica, agli occhi della mente del lettore-spettatore tutti gli accadimenti dell’azione scenica nel loro sviluppo spaziale e temporale che non possono essere realizzati sulla scena del corral. Anche ne Il principe costante la concatenazione dei procedimenti deittici agisce a tutti i livelli del testo, dalle singole parole e dai gesti che queste suggeriscono all’attore, ai versi, alle assonanze delle rime, ai ritmi, alle battute e alle intere scene. Tali procedimenti sono la struttura stessa di un linguaggio poetico la cui ambiguità e la cui complessità metaforizzante consiste proprio nel suo potere di continua evocazione in absentia. Proprio in virtù di questo il giardino incantato di Fenix, la profonda e oscura mazmorra (prigione sotterranea) dei prigionieri, l’orizzonte marino delle aberrazioni di Muley, le alte mura di Fez e perfino la logora stuoia del martire o la sua bara possono essere considerati dallo spettatore come qualcosa d’altro rispetto a quello che sono, qualcosa che attraverso il proprio valore simbolico attualizza lì sulla scena il «gran teatro del mondo». 486
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Tuttavia il corral mette in opera forti marche simboliche per sostenere un simile gioco deittico offerto all’immaginazione spettatoriale. Il perimetro stesso delimita i confini del mondo nella sua manifestazione e proiezione nell’ambito della messinscena teatrale, assecondando l’ideologia barocca del teatro-mondo, ordinato e organizzato in tutte le due componenti interne. Il fronte scenico, poi, nella sua verticalità sviluppata dai tre piani che simbolicamente rinviano agli Inferi, alla Terra e ai Cieli delle Sacre Rappresentazioni medievali, è un’articolazione di marche simboliche che dispone sulla verticale la discesa nell’Ade, o in una caverna esoterica, un pozzo, le viscere di una torre, una prigione, e le ascese ai Cieli delle «commedie di santi» (complice il pescante, unica notevole macchina scenica dell’essenziale tramoya ovvero il complesso scenografico). E in mezzo, sul tablado (pedana) si svolge tutta l’umana vicenda nella sua riproduzione teatrale, sia essa storica o di fantasia. Questa simbolizzazione in verticale consente inoltre quei rapporti figurativi e quella dialettica figura-sfondo che apparentano la visione scenica all’iconografia manierista e barocca, articolata sulla piega-soglia offerta dal piano di calpestio scenico nel suo limitare più profondo, come si evince dalle analisi iconologiche di Wölfflin12 o di Deleuze13 su grandi raffigurazioni simboliche come El entierro del conde de Orgaz (La sepoltura del conte di Orgaz, 1586-88) di El Greco. Il principe costante corrisponde nella sua diegesi alle esigenze di tutte queste marche simboliche del corral nell’estensione orizzontale e sulla verticale, offrendo nel testo i cardini di ogni possibile regia con un disegno esemplare. I giardini dove Fenix, scivolando sulle acque con la sua principesca imbarcazione esercita la sua malinconia, l’eros desideroso di una più salda e immutabile alterità che non quella offerta dalla sua immagine allo specchio, vedono compenetrarsi sul riflesso del sole nascente per specchi d’acqua in una complessità di visione indecidibile; così come nella scena del giardino (atto secondo) appariranno speculari i fiori, stelle della terra e le stelle, fiori dei cieli. A quei giardini dell’anima fanno da pendent i mari che offrono all’infedele e innamorato Muley le sue cangianti visioni aberrate. Tra questi due poli, percorrendo le distese sabbiose dei deserti che fanno vermigli di sangue, le macchie delle selve in cui appaiono, spaventosi, i presagi della morte, sentieri pietrosi percorsi da eserciti e recinti di mura calcaree, un’aula reggia en plein air e lidi sui quali si attende sempre un approdo salvifico, si traccia 487
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uno spazio ellissoidale e traslucido, tutto rifrangente nelle sue parti e tutto traversabile dalla luce dell’Alterità che è sul punto di manifestarsi. Questo cosmo dell’eros e del sangue, della bellezza e dell’errore attende l’intervento salvifico e sembra, a questo fine, farsi perimetro deittico del teatro stesso e della sua funzione. Ancora più pregnante è la dimensione verticale che esalta la simbologia della scena sulla bisettrice del corpo del martire: monumento di se stesso, Cristo piagato e deposto secondo iconografia rinascimentale e barocca. Proviene dagli Inferi della mazmorra (prigione sotterranea) e tende ai Cieli della gloria perenne; e dunque come simulacro è axis mundi, il vero sostegno di quel cosmo che altrimenti svanirebbe nella sua illusorietà, padre e totem di un rito arcaico che ora si rinnova perché quel rito è il teatro. Quando viene deposto, sorretto da mani pietose, e si macera sulla sua stuoia sotto il raggio del sole vitale, lì precipita davvero tutta l’essenza e la ragione della teatralità come rito di morte e rinascita. Se il corpo del martire è prono e piagato, misero resto mortale, più che mai si erige il suo spirito che si manifesta, davanti al tiranno, invincibile in quell’inesorabile gesto che misura il destino del mondo: boca arriba («mani giunte all’insù») per rappresentare la culla e la nascita, boca abajo («mani giunte all’ingiù») per la tomba e la morte, «pues, fue cuna boca arriba / lo que boca abajo fue tumba» («dato che all’insù fu culla / ciò che all’ingiù si fa bara») (vv. 2409-2410). Gesto che chiude l’intero cosmo nella sua verticalità speculare così come era avvenuto con la specularità dei due sonetti nell’atto secondo quando, inaspettatamente, una straordinaria beltà aveva risposto al disincanto mistico del martire. Metafora del Cristo che muore e rinasce, il martire don Fernando riappare, infatti, trionfante nel finale, sdoppiandosi dal suo stesso corpo terreno custodito nella bara esposta sugli spalti. Ma un magistrale chiasma inverte qui la biplanarità verticale manierista: la bara è lì in alto sulle mura di Fez mentre il santo trionfante e condottiero è sul piano della scena alla guida dell’esercito portoghese, portando la luce del suo trionfo. Sulla garanzia sacrificale dei resti del santo, può dunque tornare ora in terra la pace tra cristiani e infedeli e può tornare la bella Fenix dalla sua prigionia all’amore di Muley. Il chiasma della scena corrisponde a quello dei valori simbolici: la bellezza e la luce dell’eternità, grazie al martirio del principe entrano in correlazione speculare che si fa salvifica, sicché quella scena biplanare è metafora di un mondo che ormai la Grazia ha 488
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redento. In virtù di questo scambio simbolico forse anche la bellezza di Fenix, non più caduca grazie al «prezzo di un morto», ora risplende per la luce che pervade la sua anima ansiosa, e fa svanire le ombre di una mortale malinconia. 5. La cultura neoclassica e illuminista non nutre molto interesse per l’opera di Calderón così irregolare rispetto ai precetti neoaristotelici e così aliena dal criticismo scientifico laico settecentesco, sicché Il principe costante attraversa una prolungata stagione di relativo oblio. Nel 1792, però, María del Rosario Ferrnández, la prestigiosa attrice detta La Tirana, offre a Madrid una straordinaria interpretazione nei panni del principe. Il rinato interesse per l’opera di Calderón trae origine dal magistero teorico e teatrale di Lessing, direttore del teatro d’Amburgo e sostenitore del pathos scenico. Nel 1809 August Wilhelm Schlegel traduce in tedesco Il principe costante, fornendo così ad un Goethe entusiasta un capolavoro drammatico rappresentato con un elaborato allestimento iconico. Si racconta che alla rappresentazione di Weimar del 1811 il direttore dello Hoftheater pianse calde lacrime insieme al suo pubblico, grazie all’interpretazione del grande attore Pius Alexander Wolff. Nello stesso anno dell’acclamata rappresentazione di Weimer, quella di Ramón de la Cruz nella Siviglia che soffriva l’occupazione francese dovette assumere significati e generare emozioni cogenti, grazie ad un testo che poteva offrire suggestioni capaci di incendiare sia l’opposizione liberale sia quella nazionalista e religiosa in nome di una missione iberica nel mondo incarnata dall’eroe. L’anno dopo, la rappresentazione di E.T. A. Hoffmann allo Hoftheater di Bamberg esalta il legame tra la cultura romantica e Calderón con una messinscena che si affida a musiche affascinanti d’evocazione operistica e ad iconografie d’ascendenza barocca (i cristiani inginocchiati di fronte alla croce splendente, i giardini incantati, ecc.). Sarà lo stesso P. A. Wolff a portare a Berlino il dramma nel 1816, a segno del grande consenso da questo suscitato nel pubblico tedesco; e negli anni trenta Karl Leberecht Immermann ne allestisce un’edizione allo Hoftheater di Düsseldorf da lui diretto, avvalendosi delle musiche di scena di Mendelssohn-Bartholdy. In quell’occasione il regista sopprime i ruoli del gracioso Brito e del principe di Marocco Tarudante per arrivare ad un dramma tutto romanticamente accentrato sul nucleo patetico fondamentale. 489
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Nel 1915 il prestigioso regista russo Vsevolod Mejercol’d al teatro degli zar, l’Aleksandrinskij di Pietroburgo, dà del Principe costante una rappresentazione epica e ritmica di masse e di attori consona alle sue tendenze d’avanguardia, avvalendosi peraltro della straordinaria interpretazione di Natal’ia Kovalenskaja nei panni di don Fernando. È singolare la fortuna di Il Principe costante in Polonia. Anche lì il romanticismo patriottico e cattolico ne ha esalato la rappresentazione del 1874 al teatro Miejski di Cracovia nella traduzione e rielaborazione del poeta Julius Slowacki. Diverse sono state poi le riprese, fino a quella d’avanguardia della Reduta, organismo teatrale diretto e fondato da Julius Osterwa sotto l’influenza di Stanislavskij e di Copeau, che la notte del 22 maggio del 1926 ha coinvolto gli spettatori nella piazza Piotr Skarga di Vilna. Queste preziose esperienze hanno motivato la rappresentazione di Jerzy Grotowski con il suo Teatr Laboratorium sulla base del testo di Slowacki. Lo spettacolo è cresciuto nel corso degli anni sessanta tra la sede di gruppo di Wroclaw e il Teatro Ateneo di Roma, anteponendo il duro training attoriale all’esito finale secondo le modalità delle avanguardie fisico-gestuali artaudiane. È stato quello il momento più alto del «teatro povero», teorizzato dal maestro polacco in sintonia con lo «spazio vuoto» teorizzato da Peter Brook.14 Il memorabile attore Ryszard Cieslak ne fu l’alfiere: tra luci caravaggesche, il corpo nudo dell’attore suppliziato, non si risparmiava nulla delle pratiche del «teatro della crudeltà», ma si stagliava nella sua iconicità manierista sopra il nudo tavolaccio di tortura che era metafora della teatralità stessa. Non è una novità il fatto che i grandi classici possano rivivere nel tempo in maniera sempre nuova e pur sempre pertinente. Dopo i romantici e dopo le avanguardie storiche il prodigio si è ripetuto con il teatro fisicogestuale di Grotowski a segno dell’inesauribile ricchezza del capolavoro calderoniano e della sua specifica qualità di testo per la scena. ENRICA CANCELLIERE
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Frontespizio del Príncipe constante nella Primera Parte de Comedias de Don Pedro Calderón (copia della Biblioteca Apostolica Vaticana)
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EL PRÍNCIPE CONSTANTE COMEDIA FAMOSA PERSONAJES
DON FERNANDO,
príncipe DON ENRIQUE, príncipe
ROSA ZARA
DON JUAN COUTIÑO
viejo general BRITO, gracioso DON ALFONSO, rey de Portugal FÉNIX, infanta
ESTRELLA
REY MORO, MULEY,
CELIMA TARUDANTE,
rey de Marruecos SOLDADOS CAUTIVOS
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IL PRINCIPE COSTANTE COMMEDIA FAMOSA PERSONAGGI
DON FERNANDO,
principe DON ENRIQUE, principe
ROSA ZARA
DON JUAN COUTIÑO
vecchio generale BRITO, buffone DON ALFONSO, re di Portogallo FENIX, principessa
ESTRELLA
REY MORO, MULEY,
CELINA TARUDANTE,
re del Marocco SOLDATI PRIGIONIERI
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
PRIMERA JORNADA Salen dos cautivos cantando lo que quisieren, Zara. ZARA
CAUTIVO
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ZARA
CAUTIVO
1
ZARA CAUTIVO
ZARA
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Cantad aquí, que ha gustado, mientras toma de vestir Fénix hermosa, de oír las canciones, que ha escuchado tal vez en los baños, llenas de dolor y sentimiento. Música, cuyo instrumento son los hierros y cadenas que nos aprisionan, ¿puede haberla alegrado? Sí. Ella escucha, desde aquí cantad. Esa pena excede, Zara hermosa, a cuantas son, pues sólo un rudo animal sin discurso racional canta alegre en la prisión. ¿No cantáis vosotros? Es para divertir las penas propias, mas no las ajenas. Ella escucha, cantad pues.
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Cantan. Al peso de los años lo eminente se rinde, que a lo fácil del tiempo no hay conquista difícil.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Entrano due prigionieri cantando; Zara. ZARA
PRIGIONIERO
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ZARA
PRIGIONIERO
1
ZARA PRIGIONIERO
ZARA
2
Su col canto, Fenix bella, accingendosi a abbigliarsi, ha gradito riascoltare le canzoni che ha sentito salire dalle galere melanconiche e dolenti. Melodie che hanno a strumenti i ferri delle catene che ci imprigionano, possono averla allietata? Sì. Ella vi ascolta, da qui su cantate. Questa pena vince le altre, Zara bella, poiché solo un rude bruto canta allegro nella cella. E voi non cantate? Ma è per alleviare le pene nostre, non quelle altrui. Lei vi ascolta, su cantate. Cantano. Sotto il peso degli anni ogni grandezza s’arrende, che per il tempo fugace non c’è conquista perenne.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
Sale Rosa. ROSA
Despejad, cautivos; dad a vuestras canciones fin, porque sale a este jardín Fénix, a dar vanidad al campo con su hermosura, segunda Aurora del prado.
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Vanse los cautivos. Salen las moras vistiendo a Fénix. ESTRELLA ZARA
FÉNIX ESTRELLA
Hermosa te has levantado. No blasone el alba pura, que la debe este jardín la luz y fragancia hermosa, ni la púrpura la rosa, ni la blancura el jazmin. El espejo. Es excusado querer consultar con él los borrones que el pincel sobre la tez no ha dejado.
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Danle un espejo. FÉNIX
CELIMA FÉNIX
¿De qué sirve la hermosura, (cuando lo fuese la mía) si me falta la alegría, si me falta la ventura? ¿Qué sientes? Si yo supiera ¡ay Celima!, lo que siento, de mi mismo sentimiento lisonja al dolor hiciera. Pero de la pena mía no sé la naturaleza,
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Entra Rosa. Andate via, prigionieri; ai canti ponete fine, perché ora giunge al giardino, seconda aurora del prato, Fenix donando splendore con la sua bellezza ai fiori.
ROSA
Escono i prigionieri. Entrano le ancelle more che finiscono d’agghindare Fenix. ESTRELLA ZARA
FENIX ESTRELLA
Quanto bella sei al risveglio. L’alba tersa non si vanti che il giardino debba a lei luce e profumo fragrante, né la rosa la sua porpora, né il gelsomino il candore. Lo specchio. Ma è intento vano voler ricercare in esso quegli errori che il pennello sul volto non ha lasciato. Le porgono lo specchio.
FENIX
CELINA FENIX
A che serve la bellezza (quando lo fosse la mia) se mi manca l’allegria, se mi manca la fortuna? Che ti affligge? Se sapessi, ah Celina, quel che sento, con questo mio patimento il mio affanno allevierei. Ma la natura io non so della mia pena, ché allora 497
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
ZARA
ROSA
FÉNIX
que entonces fuera tristeza lo que hoy es melancolía. Sólo sé que sé sentir, lo que sé sentir no sé, que ilusión del alma fue. Pues no pueden divertir tu tristeza estos jardines que a la primavera hermosa labran estatuas de rosa sobre templos de jazmines, hazte al mar, un barco sea dorado carro del Sol. Y cuando tanto arrebol errar por sus ondas vea, con grande melancolía el jardín al mar dirá: «Ya el sol en su centro está, muy breve ha sido este día.» Pues no me puede alegrar, formando sombras y lejos, la emulación que en reflejos tienen la tierra y el mar, cuando con grandezas sumas compiten entre esplendores las espumas a las flores, las flores a las espumas; porque el jardín, envidioso de ver las ondas del mar, su curso quiere imitar; y así, al céfiro amoroso matices rinde y olores que soplando en ellas bebe, y hacen las hojas que mueve un océano de flores; cuando el mar, triste de ver la natural compostura del jardín, también procura
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO
ZARA
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potrei chiamare tristezza questa mia malinconia. Solo so che sto soffrendo, ma per cosa non lo so, che illusione fu dell’anima. Se non possono lenire la tristezza i tuoi giardini che alla bella primavera statue innalzano di rose su templi di gelsomini, metti in mare un bel vascello che sia aureo carro del sole. E quando tanto fulgore vedrà vagare tra le onde, con grande malinconia, il giardino dirà al mare: «già allo zenit splende il sole questo dì fu molto breve». Eppure non mi rallegrano questi riflessi che a gara terra e mare riverberano, ombre formando e visioni, quando con somma bellezza lottano in fulgidi raggi le spume a gara coi fiori i fiori contro le spume; perché il giardino invidioso, vedendo le onde del mare, il corso ne vuole imitare, sicché profumi e colori rende a Zefiro che soffia amoroso in esse e beve, mutando le fronde agitate in un oceano di fiori; ma il mare, triste a vedere quel portento naturale del giardino, anch’egli cerca 499
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adornar y componer su playa, su pompa pierde, y, a segunda ley sujeto, compite con dulce efeto campo azul y golfo verde, siendo ya con rizas plumas, ya con mezclados colores, el jardín un mar de flores, y el mar un jardín de espumas. Sin duda mi pena es mucha, no la pueden lisonjear campo, cielo, tierra y mar. Gran pena contigo lucha.
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Sale el Rey con un retrato. REY
(Aparte)
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Si acaso permite el mal, cuartana de tu belleza, dar treguas a tu tristeza, este bello original, (que no es retrato el que tiene alma y vida) es del Infante de Marruecos, Tarudante, que a rendir a tus pies viene su corona. Embajador es de su parte, y no dudo que embajador que habla mudo trae embajadas de amor. Favor en su amparo tengo: diez mil jinetes alista que enviar a la conquista de Ceuta, que ya prevengo. Dé la vergüenza esta vez licencia: permite amar a quien se ha de coronar rey de tu hermosura en Fez. ¡Válgame Alá!
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d’abbellire e ornare l’onde, perde la sua pompa allora, e soggetto a nuova legge, oppone con dolce effetto campi azzurri al golfo verde; increspate ora le spume, mischiati tutti i colori, mare di fiori è il giardino, giardino di spume il mare. Ma la mia pena è sì grande che non possono alleviarla terra, cielo, campo e mare. Grande è la pena che t’agita! Entra il Re con un ritratto.
RE
(Fra sé)
FENIX
Se permette questo male, che insidia la tua bellezza, di dar tregua alla tristezza, mira qui l’originale (non ritratto, poiché mostra anima e vita) è del principe del Marocco, Tarudante, che ai tuoi piedi ora verrà a darti la sua corona. Come ambasciatore viene, e se ambasciatore è muto, porta ambasciate d’amore. Confido che mi sia alleato: diecimila cavalieri può schierare alla conquista di Ceuta, che io ho predisposto. Questa volta dai licenza al tuo pudore: consenti che t’ami chi si incorona re del tuo splendore in Fez. M’aiuti Allah! 501
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FÉNIX REY FÉNIX
(Aparte)
(Aparte) REY FÉNIX
(Aparte)
¿Qué rigor te suspende de esa suerte? La sentencia de mi muerte. ¿Qué es lo que dices? Señor, si sabes que siempre has sido mi dueño, mi padre y Rey, ¿qué he de decir? (¡Ay Muley, grande ocasión has perdido!) El silencio (¡ay infelice!) hace mi humildad inmensa, (miente el alma si lo piensa, miente la voz si lo dice). Toma el retrato. (Forzada la mano le tomará, pero el alma no podrá).
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Disparan una pieza. ZARA
REY
Esta salva es a la entrada de Muley, que hoy ha surgido del mar de Fez. Justa es. Sale Muley con bastón de general.
MULEY REY MULEY
Dame, gran señor, los pies. Muley, seas bien venido. Quien penetra el arrebol de tan soberana esfera, y a quien en el puerto espera tal Aurora, hija del Sol, fuerza es que venga con bien; dame, señora, la mano, que este favor soberano puede mereceros quien
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FENIX RE FENIX
(Fra sé)
(Fra sé) RE FENIX
(Fra sé)
Che è questo gelo che ti sospende esitante? La mia sentenza di morte. Che stai dicendo? Signore, se sai che per me sei stato mio padre, signore e re, che debbo dire? (Ah, Muley, quale occasione hai perduto!) Mostri il silenzio (ah, infelice!) la mia assoluta obbedienza (mente l’anima a pensarlo, e mente la voce a dirlo!). Prendi il ritratto. (A forza potrà accoglierlo la mano, ma l’anima non potrà). Sparano a salve un colpo di cannone.
ZARA
RE
Questa salva è per l’arrivo di Muley che ora ritorna dal mar di Fez. Giusto onore. Entra Muley col bastone di generale.
MULEY RE MULEY
Mi prostro, sire, ai tuoi piedi. Muley, tu sia il benvenuto. Chi può mirar lo splendore di così sovrana sfera, e chi sa che in porto attende tale Aurora, al sole figlia, è per forza il benvenuto. Datemi la vostra mano, principessa, che favore sì alto potete concedere 503
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REY
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MULEY
(Aparte)
con amor, lealtad y fe nuevos triunfos te previene, y fue a serviros, y viene tan amante como fue. (¡Valgame el cielo! ¿Qué veo?) Tú, Muley (¡estoy mortal!) vengas con bien. (No, con mal será, si a mis ojos creo.) En fin, Muley, ¿qué hay del mar? Hoy tu sufrimiento pruebas, de pesar te traigo nuevas, porque ya todo es pesar. Pues cuanto supieres di, que en un ánimo constante siempre se halla igual semblante para el bien y el mal. – Aquí te sienta, Fénix. Sí haré. Todos os sentad. – Prosigue, y nada a callar te obligue. Ni hablar, ni callar podré. Salí, como me mandaste, con dos galeazas solas, gran señor, a recorrer de Berbería las costas. Fue tu intento que llegase a aquella ciudad famosa, llamada en un tiempo Elisa, aquella que está en la boca del Preto Eurelio fundada, y de Ceido nombre toma, – que Ceido, Ceuta en hebreo vuelto el árabe idïoma, quiere decir hermosura, y ella es ciudad tan hermosa – aquella, pues, que los cielos
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a chi vi offre nuovi trionfi con amore, lealtà e fede; chi partito per servirvi torna amante come prima (M’aiuti il cielo! Che mai vedo?) Muley, (ah, mi sento mancare!) benvenuto. (Non gradito, se credo a ciò che ora vedo.) Che nuove, Muley, dal mare? Contieni il tuo turbamento: tristi notizie ti porto, ché ormai tutto è gran tristezza. Di’ pure quello che sai. In un animo costante eguale aspetto si mostra nella buona e avversa sorte. Fenix, siedi qui. Obbedisco. Sedete tutti. Prosegui e a tacer nulla ti spinga. Né a tacer né a parlar riesco. Salpai ai vostri ordini, sire, con due golette soltanto, per perlustrare le coste di Barberia. Era tuo intento che io giungessi alla città famosa, che un tempo Elisa era nominata, quella che fu fondata alle bocche del Prete Eurelio e da Ceido prende il nome – giacché volto Ceido nell’ebraico Ceuta, questa nell’arabo idioma beltà sta a significare e invero è città assai bella – sì, proprio quella che i cieli 505
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quitaron a tu corona, quizá por justos enojos del gran profeta Mahoma, y en oprobio de las armas nuestras ya vemos ahora que pendones portugueses en sus torres se enarbolan, teniendo siempre a los ojos un padrastro que baldona nuestros aplausos, un freno que nuestro orgullo reporta, un Cáucaso que detiene al Nilo de tus victorias la corriente, y puesta en medio, el paso a España le estorba. Iba con órdenes, pues, de mirar e inquirir todas sus fuerzas para decirte la disposición y forma que hoy tiene, y cómo podrás a menos peligro y costa emprender la guerra. El cielo te conceda la victoria con esta restitución, aunque la dilate ahora mayor desdicha, pues creo que está su empresa dudosa y con más necesidad te está apellidando otra: pues, las armas prevenidas para la gran Ceuta, importa que sobre Tánger acudan, porque amenazada llora de igual pena, igual desdicha, igual ruina, igual congoja. Yo lo sé, porque en el mar una mañana – a la hora
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forse per il giusto sdegno di Maometto il gran profeta, tolsero alla tua corona, sicché sulle sue torri ora vediamo al vento garrire ad onta delle nostre armi, gli stendardi portoghesi, mentre davanti ai nostri occhi s’erge un baluardo che irride al nostro successo, un freno che avvilisce il nostro orgoglio, un Caucaso che trattiene al gran Nilo dei tuoi assalti la corrente e, posto in mezzo, il passaggio in Spagna blocca. In base all’ordine, dunque, bordeggiavo a perlustrare e spiare le sue difese attuali, e come potresti con minore rischio e periglio intraprendere la guerra. Ti conceda il cielo il premio di una tale riconquista, benché adesso l’allontani una più grande sventura: credo infatti questa impresa assai dubbia perché un’altra con più impellenza ti chiama. Le armi che avevi approntato per la grande Ceuta, è forza che accorrano su Tangeri, perché minacciata, piange eguale pena e sventura, eguale angoscia e rovina. Lo so, perché sopra il mare una mattina – nell’ora
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que, medio dormido el sol, atropellando las sombras del ocaso, desmaraña sobre jazmines y rosas rubios cabellos, que enjuga con paños de oro a la aurora lágrimas de fuego y nieve que el sol convirtió en aljófar que a largo trecho del agua venía una gruesa tropa de naves; si bien entonces no pudo la vista absorta determinarse a decir si eran naos o si eran rocas, porque como en los matices sutiles pinceles logran unos visos, unos lejos, que en perspectiva dudosa parecen montes tal vez, y tal ciudades famosas – porque la distancia siempre monstruos imposibles forma – así en países azules hicieron luces y sombras, confundiendo mar y cielo con las nubes y las ondas, mil engaños a la vista; pues ella entonces curiosa sólo percibió los bultos y no distinguió las formas. Primero nos pareció, viendo que sus puntas tocan con el cielo, que eran nubes de las que al mar se arrojan a concebir en zafir lluvias que en cristal abortan; y fue bien pensado, pues
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che il sole non è ancor desto, e sospingendo le ombre dell’occaso va sciogliendo sopra gelsomini e rose, auree chiome con cui asciuga quali panni d’oro, all’alba lacrime di fuoco e neve che il sole trasforma in perle – all’orizzonte del mare un’enorme flotta avanzava, sebbene allora la vista attonita, non poteva determinarsi a decidere se fossero navi o rocce; infatti, come i pennelli sottili, con chiaroscuri, figure e sfondi realizzano che in prospettiva dubbiosa a volte sembrano monti, a volte città famose – perché la distanza sempre conforma mostri aberranti – così nel paesaggio le luci e le ombre mi offrirono, confondendo mare e cielo con le nuvole e con le onde, mille inganni alla vista, che curiosa rimirando percepì solo le masse, ma non distinse le forme. Prima, vedendo le cime alte fino al cielo, nubi ci sembrarono, di quelle che si infrangono tra le onde, a concepire in zaffiro piogge abortite in cristallo; e avevo pensato bene, 509
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esta innumerable copia pareció que pretendía sorberse el mar gota a gota. Luego de marinos monstruos nos pareció errante copia, que a acompañar a Neptuno salían de sus alcobas; pues sacudiendo las velas, que son del viento lisonja, pensamos que sacudían las alas sobre las olas. Ya parecía más cerca una inmensa Babilonia, de quien los pensiles fueron flámulas que el viento azotan. Aquí, ya desengañada, la vista mejor se informa de que era armada, pues vio a los surcos de las proas, cuando batidas espumas ya se encrespan, ya se entorchan, rizarse montes de plata, de cristal cuajarse rocas. Yo que vi tanto enemigo, volví a su rigor la proa, – que también saber huir es linaje de victoria – y así, como más experto en estos mares, la boca tomé de una cala adonde, al abrigo y a la sombra de dos montecillos, pude resistir la poderosa furia de tan gran poder, que mar, cielo y tierra asombra. Pasan sin vernos, y yo deseoso – ¿quién lo ignora? –
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ché la flotta innumerevole sembrava come volesse bere il mare goccia a goccia. Poi ci parve una gran torma di erranti mostri marini che dagli abissi salivano al seguito di Nettuno, perché agitando le vele, che sono del vento lusinga, sembrava quasi agitassero le ali al di sopra delle onde. Ma avvicinandosi, apparve un’immensa Babilonia, con i pensili giardini come fiamme a tagliavento. Ma ecco, uscita dall’inganno, ben ravvisa ora la vista che si tratta di una armata, perché ai solchi delle prue, mentre le percosse spume si attorcigliano e si increspano, vede alzarsi monti argentei, rocce farsi cristalline. Quando vidi tanta armata, voltai la prua a questa furia, che anche sapere fuggire in qualche modo è vittoria. E così, essendo più esperto di questi mari, la bocca infilai di una caletta e lì, sotto riparo e ombra di due alture, ci potemmo sottrarre all’impari assalto di sì gran forza, che mare, terra e cielo spaventava. Passarono e non ci videro, sicché io ansioso – puoi crederlo – 511
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de saber dónde seguía esta armada su derrota, a la campaña del mar salí otra vez, donde logra el cielo mis esperanzas en esta ocasión dichosa, pues vi que de aquella armada se había quedado sola una nave, y que en el mar mal defendida zozobra, porque, segun después supe, de una tormenta que todas corrieron, había salido deshecha, rendida y rota; y así llena de agua estaba, sin que bastasen las bombas a agotarla, y titubeando ya a aquella parte, ya a estotra, estaba a cada vaivén si se ahoga o no se ahoga. Llegué a ella y, aunque moro, les di alivio a sus congojas, que el tener en las desdichas compañía de tal forma consuela, que el enemigo suele servir de lisonja. El deseo de vivir tanto a alguno le provoca, que haciendo animoso escalas de gúmenas y maromas a la prisión se vinieron; si bien otros les baldonan diciéndoles que el vivir eterno es vivir con honra; y aun así se resistieron: ¡portuguesa vanagloria! De los que salieron, uno
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di sapere quale rotta seguitasse quell’armata, di nuovo uscii verso il mare aperto, dove esaudiva il cielo le mie speranze per un caso fortunato. Vidi infatti che una nave era rimasta isolata dall’armata, e beccheggiava tra le onde senza difese, perché, come seppi dopo, da una tempesta che colse la flotta, questa ne usciva arresa, disfatta, a pezzi; e tanto d’acqua imbarcava che le pompe non bastavano ad asciugarla, e oscillando ora a destra ed ora a manca, sembrava che a ogni rollìo fosse lì per affondare. La abbordai e, sebbene moro, alleviai le loro angosce, perché avere chi ti aiuta nelle disgrazie consola talmente che anche al nemico può, allora, dare conforto. Il desiderio di vivere alcuni di essi muoveva tanto che con ardimento gomene e canapi usando, si dettero prigionieri; sebbene altri li ingiuriassero gridando: vive in eterno solo chi con onor vive; sì che ancora si battevano, vanagloria portoghese! Tra quelli che si salvarono, 513
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muy por extenso me informa. Dice, pues, que aquella armada ha salido de Lisboa para Tánger, y que viene a sitiarla con heroica determinación, que veas en sus almenas famosas las quinas que ves en Ceuta cada vez que el sol se asoma. Duarte de Portugal, cuya fama vencedora ha de volar con las plumas de las águilas de Roma, envía a sus dos hermanos, Enrique y Fernando, gloria de este siglo que los mira coronados de victorias. Maestres de Cristo y de Avis son; los dos pechos adornan cruces de perfi les blancos, una verde y otra roja. Catorce mil portugueses son, gran señor, los que cobran sus sueldos, sin los que vienen sirviéndolos a su costa. Mil son los fuertes caballos que la soberbia española los vistió para ser tigres, los calzó para ser onzas. Ya a Tánger habrán llegado, y ésta, señor, es la hora que, si su arena no pisan, al menos sus mares cortan. Salgamos a defenderla, tú mismo las armas toma, baje en tu valiente brazo el azote de Mahoma,
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uno m’informa di tutto. Dice, infatti, che la flotta da Lisbona era salpata con l’ordine di assediare Tangeri con strenua furia, perché veda sulle torri famose alti gli stendardi a cinque scudi che vedi a ogni alba su Ceuta. Duarte di Portogallo, re invitto la cui fama volerà adornata delle piume stesse delle trionfanti aquile di Roma, ha mandato Enrique e Fernando, suoi fratelli, gloria all’età che li ammira coronati di vittorie. Maestri d’Avis e di Cristo sono; a entrambi adorna il petto una croce in campo bianco, verde l’una e l’altra rossa. Maestà, quattordicimila Portoghesi hanno assoldato, ma molti altri da se stessi si son bene equipaggiati. Son mille i forti cavalli che la superbia spagnola imbrigliò per esser tigri, ferrò per essere lonze. Ormai già in vista di Tangeri saranno, sire, e a questa ora, se no ne calcano i lidi, certo ne solcano i mari. Accorriamo in sua difesa, e tu stesso prendi le armi, il tuo forte braccio impugni lo scudiscio di Maometto, 515
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y del libro de la muerte desate la mejor hoja, que quizá se cumple hoy una profecía heroica de Morábitos, que dicen que en la margen arenosa del África ha de tener la portuguesa corona sepulcro infeliz; y vean que aquesta cuchilla corva campañas verdes y azules volvió con su sangre rojas. Calla, no me digas más, que de mortal furia lleno, cada voz es un veneno con que la muerte me das. Mas sus bríos arrogantes haré que en África tengan sepulcro, aunque armados vengan sus Maestres los Infantes. Tú, Muley, con los jinetes de la costa parte luego, mientras yo en tu amparo llego; que si, como me prometes, en escaramuzas diestras le ocupas, porque tan presto no tomen tierra, y en esto la sangre heredada muestras, yo tan veloz llegaré como tú, con lo restante del ejército arrogante que en ese campo se ve; y así la sangre concluya tantos duelos en un día,
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e dal libro della morte stacchi la migliore pagina, perché forse oggi si compiono dei Morabiti gli eroici vaticini, che proclamano che sulle sponde sabbiose della nostra Africa avrà la corona portoghese una triste tomba; e vedano come questa scimitarra tinge i campi verdi e azzurri con il loro sangue rosso. Ora taci, e più non dire che di mortal furia pieno, ogni parola è un veleno con cui puoi darmi la morte. Ma delle loro ire altere farò che tomba sia l’Africa, se pure vengano in armi i loro Maestri, gli Infanti. Muley, tu parti all’istante coi cavalieri di costa, mentre io mi tengo alla posta, se il tuo valore è garante che li tratterrai in abili scaramucce, sicché tardino a prendere terra, e in questo mostri i tuoi natali nobili. Ma io veloce giungerò dove sei tu, con il resto della mia possente armata che ora qui accampata vedi; così il sangue porrà fine in un giorno a tante lotte,
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porque Ceuta ha de ser mía, y Tánger no ha de ser suya. Vase. MULEY
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Aunque de paso, no quiero dejar, Fénix, de decir, ya que tengo de morir, la enfermedad de que muero; que aunque pierdan mis recelos el respeto a tu opinión, si celos mis penas son, ninguno es cortés con celos. ¿Qué retrato, (¡ay enemiga!) en tu blanca mano vi? ¿Quién es el dichoso, di? ¿Quién? Mas espera, no diga tu lengua tales agravios; basta, sin saber quién sea, que yo en tu mano le vea, sin que le escuche en tus labios. Muley, aunque mi deseo licencia de amar te dio, de ofender e injuriar, no. Es verdad, Fénix, ya veo que no es estilo ni modo de hablarte; pero los cielos saben que en habiendo celos se pierde el respeto a todo. Con grande recato y miedo te serví, quise y amé; mas si con amor callé, con celos, Fénix, no puedo, no puedo. No ha merecido tu culpa satisfacción; pero yo por mi opinión
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perché Ceuta sarà mia, e non sarà mai sua Tangeri. Esce. MULEY
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Sebbene abbia poco tempo Fenix, voglio che tu sappia, dato che devo morire, di che male sto morendo; che per quanto i miei sospetti siano un’offesa al tuo onore, chi soffre per gelosia non può essere cortese. Quale ritratto (ah, nemica!) ho visto nella tua mano? Dimmi, chi è quel fortunato? Chi è? Ma ora taci, non dica la tua lingua tale offesa; non importa chi sia, basta vederlo nella tua mano, senza udirlo dal tuo labbro. Muley, benché il mio affetto ti ha consentito di amarmi, non ti è permesso ingiuriarmi. È vero, Fenix, capisco che non c’è stato rispetto nel mio dire, ma sa Iddio che quando c’è gelosia si perde il rispetto a tutto. Ti ho con onestà e riserbo servito, amato e voluto; ma se da amante ho taciuto, geloso, Fenix, non posso, non posso. Soddisfazione non merita la tua colpa, ma per rispetto al mio onore 519
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satisfacerte he querido, que un agravio entre los dos disculpa tiene; y así te la doy. ¿Pues hayla? Sí. ¡Buenas nuevas te dé Dios! Este retrato ha enviado... ¿Quién? Tarudante el Infante. ¿Para qué? Porque ignorante mi padre de mi cuidado... Bien... Pretende que estos dos reinos... No me digas más. ¿Esa disculpa me das? ¡Malas nuevas te dé Dios! Pues, ¿qué culpa habré tenido de que mi padre lo trate? De haber hoy, aunque te mate, el retrato recibido. ¿Pude excusarlo? ¿Pues no? ¿Cómo? Otra cosa fingir Pues ¿qué pude hacer? Morir, que por ti lo hiciera yo. Fue fuerza. Más fue mudanza. Fue violencia. No hay violencia. Pues, ¿qué pudo ser? Mi ausencia, sepulcro de mi esperanza.
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desidero soddisfarti, che l’offesa tra noi due ha una scusante, e così te la do. Dunque c’è? Sì. Sii benedetta da Dio. Questo ritratto lo ha inviato... Chi? Il principe Tarudante. Perché? Perché non curante mio padre del mio sentire Ebbene? Vuole che i due regni Non dire più nulla. Questa scusante mi dai? Sii maledetta da Dio! Ma, che colpa è mai la mia dei disegni di mio padre? Di avere accolto il ritratto, quando anche ti avesse uccisa. Come evitarlo? Potevi. Come? Inventando qualcosa. Che fare allora? Morire, perché io per te l’avrei fatto. Fu obbligo. No, leggerezza. Violenza. Non fu violenza. Che fu allora? La mia assenza, tomba del mio desiderio. 521
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Y para no asegurarme de que te puedes mudar, ya yo me vuelvo a ausentar, vuelve, Fénix, a matarme. Forzosa es la ausencia, parte. Ya lo está el alma primero. A Tánger, que en Fez te espero donde acabes de quejarte. Sí haré, si mi mal dilato. Adiós, que es fuerza el partir. Oye, ¿al fin me dejas ir sin entregarme el retrato? Por el Rey no le he deshecho. Suelta, que no será en vano que saque yo de tu mano a quien me saca del pecho.
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Vanse. Tocan un clarín, hay ruido de desembarcar, y van saliendo el Infante don Fernando, don Enrique, y don Juan Coutiño. DON FERNANDO
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Yo he de ser el primero, África bella, que he de pisar tu margen arenosa, porque oprimida al peso de mi huella sientas en tu cerviz la poderosa fuerza que ha de rendirte. Yo en el suelo africano la planta generosa el segundo pondré. ¡Válgame el cielo!
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Cae
DON FERNANDO
hasta aquí los agüeros me han seguido. Pierde, Enrique, a esas cosas el recelo, porque el caer ahora antes ha sido que ya, como a señor, la misma tierra los brazos en albricias te ha pedido.
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E perché io non trovi scampo da codesta tua incostanza, di nuovo torno a assentarmi, e tu, Fenix, ad uccidermi È un dovere andare, parti. L’anima è già dipartita. Va a Tangeri; a Fez t’aspetto lì lenirai i tuoi lamenti. Sì, se resisto alla pena. Ma devi partire, addio! Ascolta: lasci che io parta e non mi dai quel ritratto? Per il re non l’ho distrutto. Dammelo, non sarà invano, che io strappi dalla tua mano chi mi strappa dal tuo cuore.
Escono. Suona dentro una tromba; si ode rumore di milizie che sbarcano; stanno entrando in scena don Fernando, don Enrique, e don Juan Coutiño. DON FERNANDO
DON ENRIQUE
Il primo devo essere io, Africa bella, a calcare le tue sabbiose spiagge, perché, dal peso della mia orma, impressa sul capo tuo possa sentire immane la forza che ti piegherà. Io il secondo, la nobile orma a pressare sul suolo africano. Iddio m’aiuti! Fin qui Cade
DON FERNANDO
mi hanno seguito infelici presagi. Allontana, questi timori, Enrique, perché cadere adesso anzi vuol dire che questa terra, come al suo signore, l’abbraccio già ti ha chiesto come augurio. 523
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DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
Desierta esta campaña y esta sierra los Alarbes, al vernos, han dejado. Tánger las puertas de sus muros cierra. Todos se han retirado a su sagrado. Don Juan Coutiño, conde de Miralva, reconoced la tierra con cuidado; antes que el sol, reconociendo el alba, con más furia nos hiera y nos ofenda, haced a la ciudad la primer salva; decid que defenderse no pretenda, porque la he de ganar a sangre y fuego, que el campo inunde, el edificio encienda. Tú verás que a sus mismas puertas llego, aunque volcán de llamas y de rayos le deje al sol con pardas nubes ciego.
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Vase. Sale el gracioso Brito, de soldado. BRITO
[DON FERNANDO BRITO
DON ENRIQUE
¡Gracias a Dios que abriles piso y mayos, y en la tierra me voy por donde quiero, sin sustos, sin vaivenes ni desmayos! Y no en el mar, adonde, si primero no se consulta un monstruo de madera, que es juez de palo en fin, el más ligero no se puede escapar de una carrera en el mayor peligro. ¡Ah, tierra mía! ¡No muera en agua yo, como no muera tampoco en tierra hasta el postrero día. ¿Qué dices, Brito?] Una oración se fragua fúnebre, que es sermón de Berbería: panegírico es que digo al agua, y en emponomio horténsico me quejo; porque este enojo, desde que se fragua con ella el vino, me quedó, y ya es viejo. ¡Qué escuches este loco!
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DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
Deserti questi campi e questi monti gli arabi, nel vederci, hanno lasciato. Tangeri serra le porte alle mura. Tutti hanno fatto riparo all’asilo. Don Juan Coutiño, conte di Miralva, perlustrate con cura il territorio; prima che il sole, ritrovando l’alba, con più furia ci offenda e ci ferisca, sparate alla città la prima salva; bandite che non faccia resistenza, perché la prenderò con sangue e fuoco, che inonda i campi e gli edifici incendia. Tu mi vedrai arrivare alle sue porte, pur se, vulcano di fuoco e di fiamme, io accechi il sole con oscure nubi. Esce. Entra Brito il buffone, vestito da soldato.
BRITO
[DON FERNANDO BRITO
DON ENRIQUE
Grazie a Dio che calpesto viole e rose, e sulla terra vado dove voglio senza sussulti, salti e mancamenti! E no nel mare, dove, se dapprima non consulti un marchingegno di legno, un re da burla, che anche il più veloce non può darsela a gambe pur correndo nel più grande periglio. Ah, terra mia! Che io nell’acqua non muoia, e tanto meno in terra fino all’ultimo dei giorni. Brito, che dici?] Foggio un’orazione funebre, che è un sermone in stile berbero: panegirico che dedico all’acqua, un lamento in ortensica eloquenza, ché questa offesa, da quando con l’acqua si mischiò il vino, mi dura, anzi è antica. Ascolti questo pazzo? 525
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DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Y que tu pena, sin razón, sin arbitrio y sin consuelo, ¡tanto de ti te priva y te divierte! El alma traigo de temores llena; echada juzgo contra mí la suerte, desde que de Lisboa al salir, sólo imágenes he visto de la muerte. Apenas, pues, al berberisco polo prevenimos los dos esta jornada, cuando de un parasismo el mismo Apolo, amortajado en nubes, la dorada faz escondió, y el mar sañudo y fiero deshizo con tormentas nuestra armada. Si miro al mar, mil sombras considero; si al cielo miro, sangre me parece su velo azul; si al aire lisonjero, aves nocturnas son las que me ofrece; si a la tierra, sepulcros representa, donde mísero yo caiga y tropiece. Pues disfrazarte aquí mi amor intenta causa de un melancólico accidente: sorbernos una nave una tormenta, es decirnos que sobra aquella gente para ganar la empresa a que venimos; verter púrpura el cielo transparente es gala, no es horror, que si fingimos monstruos al agua y pájaros al viento, nosotros hasta aquí no los trajimos; pues, si ellos aquí están ¿no es argumento que a la tierra que habitan inhumanos pronostican el fin fiero y sangriento? Estos agüeros viles, miedos vanos, para los moros vienen, que los crean, no para que los duden los cristianos. Nosotros dos lo somos; no se emplean nuestras armas aquí por vanagloria de que en los libros inmortales lean
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La tua pena, troppo t’aliena e ti divaga il senno senza conforto, arbitrio né ragione! Sento l’anima gonfia di timori; contro di me la sorte si è abbattuta, perché dal dì che lasciammo Lisbona ho visto solo immagini di morte. Noi due avevamo da poco intrapreso verso la Barberia la traversata, che il sole, giunto al parossismo e avvolto da un sudario di nubi, nascondeva il volto d’oro, e il mare iroso e fiero con le tempeste disperse l’armata. Se guardo il mare infinite ombre avverto; se guardo il cielo, di sangue m’appare il suo velo azzurro; se l’aria soave, offre uccelli notturni alla mia vista se la terra, sepolcri rappresenta dove misero io inciampi e poi rovini. Ora il mio amore strapperà via il velo a così melanconici accidenti: se la nave la tormenta ha inghiottito è segno che eccedevano i soldati per vincere l’impresa a cui veniamo; che si imporpori il cielo adamantino non è orrore ma sfarzo; se ci appaiono mostri nell’acqua ed uccelli nel vento non fummo certo noi fin qui a portarli; che anzi, se qui s’annidano vuol dire che per la terra dove essi empi albergano annunciano rovina cruenta e fiera. Queste vane apprensioni, auspici vili, sono propri dei Mori, che ci credono, non per indurre dubbi tra i cristiani. E noi lo siamo. Oggi le nostre armate non combattono per la gloria vana che occhi di umani possano un dì leggere 527
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ojos humanos esta gran victoria. La fe de Dios a engrandecer venimos, suyo será el honor, suya la gloria, si vivimos dichosos, pues morimos; el castigo de Dios justo es temerle, éste no viene envuelto en miedos vanos; a servirle venimos, no a ofenderle; cristianos sois, haced como cristianos. Pero, ¿qué es esto?
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Sale don Juan. DON JUAN
DON FERNANDO
DON ENRIQUE
Señor, yendo al muro a obedecerte, a la falda de ese monte vi una tropa de jinetes que de la parte de Fez corriendo a esta parte vienen tan veloces que a la vista, aves, no brutos, parecen: el viento no los sustenta, la tierra apenas los siente; y así la tierra ni el aire sabe si corren o vuelen. Salgamos a recibirlos, haciendo primero frente los arcabuceros; luego los que caballos tuvieren salgan también a su usanza, con lanzas y con arneses. ¡Ea, Enrique, buen principio esta ocasión nos ofrece! ¡Ánimo! Tu hermano soy: no me espantan accidentes
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della vittoria nei libri immortali. La fede in Dio qui venimmo a innalzare, di Lui sarà l’onore, sua la gloria, se giusti in vita, che è forza morire. Giusto è temere il castigo di Dio, ma non giunge celato in ansie vane; veniamo qui a onorarlo, non a offenderlo; cristiani siete, agite da cristiani. Ma che succede? Entra don Juan. DON JUAN
DON FERNANDO
DON ENRIQUE
Signore, per ordine tuo marciavo verso le mura, e alle falde del monte ho visto una torma di cavalli provenienti da Fez verso noi di corsa, sì veloci che alla vista erano uccelli, non bestie: il vento non li trattiene, la terra appena li sente; sicché né terra né vento sanno se corrono o volano. Prepariamoci ad accoglierli disponendo in prima linea gli archibugieri; ma dopo avanzino i cavalieri, con armature e alabarde, secondo la nostra usanza. Su, Enrique, che un buon inizio offre a noi questa occasione. Animo! Son tuo fratello: non mi spaventano i casi
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del tiempo, ni me espantara el semblante de la muerte. Vanse. El cuartel de la salud me toca a mí guardar siempre. ¡Oh qué brava escaramuza! Ya se embisten, ya acometen. ¡Famoso juego de cañas! Ponerme en cobro conviene.
BRITO
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Vase y tocan al arma, salen peleando de dos en dos. Don Juan y don Enrique. DON ENRIQUE
DON JUAN
DON ENRIQUE
DON JUAN
DON ENRIQUE DON JUAN
A ellos, que ya los moros vencidos la espalda vuelven. Llenos de despojos quedan de caballos y de gentes estos campos. ¿Don Fernando dónde está, que no parece? Tanto se ha empeñado en ellos que ya de vista se pierde. Pues a buscarle, Coutiño. Siempre a tu lado me tienes.
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Vanse, y salen don Fernando, con la espada de Muley, y Muley, con adarga. DON FERNANDO
En la desierta campaña, que tumba común parece de cuerpos muertos, si ya no es teatro de la muerte, sólo tú, moro, has quedado, porque rendida tu gente se retiró, y tu caballo,
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del tempo, né mi spaventa il sembiante della morte. Escono. Sempre mi tocca la guardia del quartiere sanitario. Oh, che fiera scaramuccia! C’è chi cozza e chi si scaglia. È proprio una bella giostra! Meglio mettersi al riparo.
BRITO
Esce. Suonano all’armi. Entrano don Juan e don Enrique combattendo contro i Mori. Su, addosso! Che già i mori voltano vinti le spalle. Lasciano pieni di spoglie di soldati e di cavalli queste campagne. Dov’è Don Fernando, che non vedo? Tanto è entrato nella mischia che l’ho perduto di vista. Su, cerchiamolo, Coutiño. Resterò sempre al tuo fianco.
DON ENRIQUE
DON JUAN
DON ENRIQUE
DON JUAN
DON ENRIQUE DON JUAN
Escono ed entrano don Fernando con la spada di Muley e Muley con il solo scudo. DON FERNANDO
Nella deserta campagna che sembra tomba comune di corpi morti, se invece non è teatro di morte, solo tu, Moro, rimani perché, arresa la tua gente s’è dispersa, e il tuo cavallo, 531
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que mares de sangre vierte, envuelto en polvo y espuma, que él mismo levanta y pierde, te dejó, para despojo de mi brazo altivo y fuerte, entre los sueltos caballos de los vencidos jinetes. Yo ufano con tal victoria, que me ilustra y desvanece más que el ver esta campaña coronada de claveles, pues es tanta la vertida sangre con que se guarnece, que la piedad de los ojos fue tan grande, tan vehemente, de no ver siempre desdichas, de no mirar ruinas siempre, que por el campo buscaban entre lo rojo lo verde. En efecto, mi valor, sujetando tus valientes bríos, de tantos perdidos, un suelto caballo prende, tan monstruo, que siendo hijo del viento, adopción pretende del fuego, y entre los dos lo desdice y lo desmiente el color, pues siendo blanco dice el agua: «Parto es éste de mi esfera, sola yo pude cuajarle de nieve». En fin, en lo veloz, viento, rayo, en fin, en lo eminente, era por lo blanco cisne, por lo sangriento era sierpe, por lo hermoso era soberbio, por lo atrevido, valiente,
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che versa mari di sangue, l’ha lasciata come spoglia del mio braccio valoroso, tra i cavalli a briglia sciolta dei dispersi cavalieri. Fiero di tale vittoria che mi onora e inorgoglisce più che vedere ora questi campi adorni di garofani – tanto è, infatti, il sangue sparso di cui sono ricoperti – però mossi a pietà gli occhi così grande, così intensa, per mai più mirar sventure, per mai più vedere orrori, tra i campi vanno cercando il verde fra tanto rosso. Ed allora il mio valore, vinto il tuo coraggio audace, fra i numerosi dispersi ferma uno sciolto cavallo, sì prodigioso che essendo figlio del vento, si mostra nato dal fuoco, e i due padri li contraddice e smentisce il colore così candido che l’acqua mormora: «È parto della mia sfera, io soltanto l’ho ricoperto di neve». Veloce era come il vento, come il fulmine sublime, bianco, dunque, come il cigno, sanguinario come serpe, e per la bellezza altero, fiero poi per l’ardimento,
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por los relinchos, lozano, y por las cernejas, fuerte. En la silla y en las ancas, puestos los dos juntamente, mares de sangre rompimos, por cuyas ondas crueles este bajel animado, hecho proa de la frente, rompiendo el globo de nácar desde el codón al copete, pareció entre espuma y sangre, ya que bajel quise hacerle, de cuatro espuelas herido, que cuatro vientos le mueven. Rindióse al fin, si hubo peso que tanto Atlante oprimiese; si bien el de las desdichas hasta los brutos lo sienten; o ya fue que, enternecido, allá en su instinto dijese: «Triste camina el alarbe y el español parte alegre; ¿luego yo contra mi patria soy traidor y soy aleve? No quiero pasar de aquí.» Y puesto que triste vienes, tanto, que aunque el corazón disimula cuanto puede, por la boca y por los ojos, volcanes que el pecho enciende, ardientes suspiros lanza y tiernas lágrimas vierte; admirado mi valor de ver, cada vez que vuelve, que a un golpe de la fortuna tanto se postre y sujete tu valor, pienso que sea otra
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di nitrito assai gagliardo, di garretti vigoroso. Montati a cavallo entrambi, uno in sella e l’altro in groppa, solcammo mari di sangue, e per quelle onde crudeli questo vascello animato, fatta prua della sua fronte, fendendo il globo d’avorio, dalla coda alla criniera, tra schiuma e sangue appariva, sicché era proprio un vascello, ferito da quattro sproni, che quattro venti sospingono. S’arrese, alfine, se un peso può opprimere un tale Atlante; ma quello delle sventure lo sentono anche le bestie. O fu che, mosso a pietà, per istinto si dicesse: «Afflitto cavalca il Moro, lo spagnolo va contento. Dunque io contro la mia patria sono vile e traditore? Non voglio andare più avanti». Ma tu m’appari sì triste che, per quanto cerchi il tuo animo di simulare, sospiri lancia ardenti e versa tenere lacrime, giù per la bocca e giù per gli occhi, vulcani che ti arroventano il cuore. Il mio valore stupisce, quando volgendomi, vedo che ad un colpo della sorte tanto si prostri e assoggetti il tuo valore. Altra penso 535
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la causa que te entristece, porque por la libertad no era justo ni decente que tan tiernamente llore quien tan duramente hiere. Y así, si el comunicar los males alivio ofrece al sentimiento, entre tanto que Ilegamos a mi gente, mi deseo a tu cuidado, si tanto favor merece, con razones le pregunta, comedidas y corteses: ¿qué sientes?, pues ya yo creo, que el venir preso no sientes. Comunicado el dolor se aplaca, si no se vence; y yo, que soy el que tuvo más parte en este accidente de la fortuna, también quiero ser el que consuele de tus suspiros la causa, si la causa lo consiente. Valiente eres, español, y cortés como valiente; también vences con la lengua como con la espada vences. Tuya fue la vida, cuando con la espada entre mi gente me venciste; pero ahora que con la lengua me prendes es tuya el alma, porque alma y vida se confiesen tuyas, de ambas eres dueño; pues ya cruel, ya clemente, por el trato y por las armas me has cautivado dos veces.
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sia la causa che t’affligge, perché per la libertà, non sarebbe giusto o degno sì teneramente pianga chi così fiero combatte. E così, se confidare le proprie pene è un conforto al dolore, mentre insieme raggiungiamo la mia gente, ansioso per la tua pena, se merito il tuo favore, ti domando con parole amichevoli e cortesi: che t’affligge? Perché credo non ti affligga la cattura. La pena che si confida se non si vince, si placa; Io, come colui che ha avuto la parte più grande in questo triste caso della sorte, voglio essere ora chi allevia dei tuoi sospiri la causa, se la causa lo consente. Sei valoroso spagnolo, valoroso e anche cortese così vinci con la lingua come vinci con la spada. La mia vita fu tua quando con la spada tu mi hai vinto tra le mie schiere, ora invece che con la lingua mi vinci, è tua l’anima; e poiché ti si affidano vita e anima, d’entrambe sei tu il padrone; così, ora fiero ora mite, con le maniere e con le armi mi hai imprigionato due volte. 537
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Movido de la piedad de oírme, español, y verme, preguntado me has la causa de mis suspiros ardientes. Y aunque confieso que el mal repetido y dicho suele templarse, también confieso que quien le repite quiere aliviarse, y es mi mal tan dueño de mis placeres, que por no hacerles disgusto, y que aliviado me deje, no quisiera repetirle; mas ya es fuerza obedecerte, y quiérotela decir por quien soy y por quien eres. Sobrino del Rey de Fez soy; mi nombre es Muley Jeque, familia que ilustran tantos bajaes y belerbeyes. Tan hijo fui de desdichas desde mi primer oriente, que en el umbral de la vida nací en manos de la muerte. Una desierta campaña, que fue sepulcro eminente de españoles, fue mi cuna; pues, para que lo confieses, en los Gelves nací el año que os perdisteis en los Gelves. A servir al Rey mi tío vine infante; pero empiecen las penas y las desdichas; cesen las venturas, cesen. Vine a Fez, y una hermosura, a quien he adorado siempre, junto a mi casa vivía,
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Da pietà mosso, o spagnolo, mi hai domandato la causa di questi ardenti sospiri. Ma se è vero che la pena raccontata e confessata può placarsi, è vero pure che chi la narra vuol trarne sollievo; ma il mio dolore sì è tiranno alla mia gioia, che per non fare a lei torto, e per lasciarmi alleviato non vuol ridetta la pena. Ma adesso è forza obbedirti, e voglio a te confessarla per quel che io sono e tu sei. Sono al re di Fez nipote, il mio nome è Muley Sceik, di illustre stirpe onorata da tanti emiri e pascià. Tanto dal primo mio sorgere fui figlio della sventura che alla soglia della vita nacqui in mano della morte. Una deserta campagna, che fu tomba sterminata di spagnoli, mi fu culla; perché tu lo sappia, io nacqui a Gerba proprio nell’anno che a Gerba foste battuti. Venni a servire fanciullo il re mio zio; ma comincino le sventure ora e le pene, cessi, la fortuna, cessi. Venni a Fez e una bellezza, da allora sempre adorata, dimorava a me vicino,
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porque más cerca muriese. Desde mis primeros años, porque más constante fuese este amor, más imposible de acabarse y de romperse, ambos nos criamos juntos, y amor en nuestras niñeces no fue rayo, pues hirió en lo humilde, tierno y debil con más fuerza que pudiera en lo augusto, altivo y fuerte, tanto, que para mostrar sus fuerzas y sus poderes, hirió nuestros corazones con arpones diferentes. Pero como la porfía del agua en las piedras suele hacer señal, por la fuerza no, sino cayendo siempre, así las lágrimas mías, porfiando eternamente, la piedra del corazón, más que los diamantes fuerte, labraron; y no con fuerza de méritos excelentes, pero con mi mucho amor vino al fin a enternecerse. En este estado viví algún tiempo, aunque fue breve, gozando en auras süaves mil amorosos deleites. Ausentéme, por mi mal: harto he dicho en ausentéme, pues en mi ausencia otro amante ha venido a darme muerte. Él dichoso, yo infelice; él asistiendo, yo ausente;
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perché accanto le morissi. Fin dagli anni giovanili perché più costante fosse quest’amore, ed impossibile che finisse e si spezzasse, entrambi crescemmo insieme, e amore per noi fanciulli non fu un lampo, ma ferì umile, tenero e lieve, con più forza che se fosse potente, superbo e forte, tanto che per dimostrare la sua forza e il suo potere ferì dritto i nostri cuori con due strali differenti. E perciò, come la goccia con tenacia incide un segno sulla pietra, e non con forza ma seguitando a stillare, le mie lacrime egualmente, con costante ostinazione, quel cuore fatto di sasso, e più duro del diamante, scalfirono; e non per forza di miei meriti eccellenti, ma per traboccante amore finì con l’intenerirsi. In questo stato ho vissuto per qualche tempo, pur breve, godendo in un’aura soave mille amorosi diletti. Per disgrazia mi assentai, con «mi assentai» troppo ho detto, che in mia assenza un altro amante è venuto a darmi morte. Egli è felice ed io afflitto, egli presente, io lontano, 541
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yo cautivo, y libre él, me contrastará mi suerte cuando tú me cautivaste, ¡mira si es bien me lamente! Valiente moro y galán, si adoras como refieres, si idolatras como dices, si amas como encareces, si celas como suspiras, si como recelas temes, y si como sientes amas, dichosamente padeces. No quiero por tu rescate más precio de que le aceptes: vuélvete, y dile a tu dama que por su esclavo te ofrece un portugués caballero; y si obligada pretende pagarme el precio por ti, yo te doy lo que me debes, cobra la deuda en amor, y logra tus intereses. Ya el caballo, que rendido cayó en el suelo, parece con el ocio y el descanso que restituido vuelve; y porque sé qué es amor, y qué es tardanza en ausentes, no te quiero detener: sube en tu caballo y vete. Nada mi voz te responde, que a quien liberal ofrece, sólo aceptar es lisonja. Dime, portugués, ¿quién eres? Un hombre nobIe, y no más.
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egli libero ed io schiavo, avverserà la mia sorte, poiché tu mi hai catturato. Dimmi tu, se ho da dolermi. Moro intrepido e gentile, se ami quanto mi confidi, se adori quanto racconti, se idolatri quanto vanti, se peni quanto sospiri, se quanto sospetti temi, e se ami per quanto soffri fortunato è il tuo patire. A prezzo del tuo riscatto non voglio altro che l’accetti: torna indietro e alla tua dama dille che schiavo ti dona un nobile lusitano; e se grata ella volesse pagare a me il tuo riscatto, io do a te quel che mi devi: incassa il pegno d’amore e riscuoti gli interessi. Già il cavallo, che sfinito era stramazzato, sembra che con l’ozio e con la sosta le sue forze abbia ripreso; e poiché so che sia amare, e l’attesa di chi è assente, non ti voglio trattenere, monta e va sul tuo cavallo. La mia voce resta muta, ché a chi dona generoso l’accettare sia il compenso. Ma chi sei tu, portoghese? Un uomo nobile, e basta.
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Bien lo muestras, seas quien fueres. Para el bien y para el mal soy tu esclavo eternamente. Toma el caballo, que es tarde. Pues si a ti te lo parece, ¿qué hará a quien vino cautivo y libre a su dama vuelve?
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(Dentro)
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(Dentro)
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(Dentro)
DON FERNANDO
Generosa acción es dar, y más la vida. ¡Valiente portugués! Desde el caballo habla. – ¿Qué es lo que me quieres? Espero que he de pagarte algún día tantos bienes. Gózalos tú. Porque al fin, hacer bien nunca se pierde. Alá te guarde, español. Si Alá es Dios, con bien te lleve.
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Suena dentro ruido de trompetas y cajas. Mas, ¿qué trompeta es ésta que el aire turba y la región molesta? Y por estotra parte cajas se escuchan: música de Marte son las dos.
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Sale don Enrique. DON ENRIQUE
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¡Oh, Fernando! Tu persona, veloz vengo buscando. Enrique, ¿qué hay de nuevo?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO MULEY
DON FERNANDO MULEY
Chiunque tu sia, ben lo mostri. Sarò per sempre tuo schiavo nella buona e mala sorte. Prendi il cavallo, che è tardi. Se lo è per te, che sarà per chi, fatto schiavo, torna libero dalla sua dama? Esce.
DON FERNANDO
MULEY
(Dentro)
DON FERNANDO
MULEY
(Dentro)
DON FERNANDO MULEY
(Dentro)
DON FERNANDO
Azione nobile è il dare, tanto più la vita. Prode portoghese! Già cavalca e mi parla. Che vuoi dirmi? Così grandi benefici spero un dì di ricambiare. Godili tu. Perché infine mai si perde il fare bene. Allah ti guardi, spagnolo! Se Allah è Dio, ti protegga.
Dall’interno suono di trombe e rullo di tamburi. Ma, che tromba è mai questa che l’aria turba e dà molestia al campo? E da quest’altra parte s’odono tamburi: suoni di Marte sono entrambi. Entra don Enrique. DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Oh, Fernando! Di gran corsa son venuto a cercarti. Che accade, Enrique? 545
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Aquellos ecos, ejércitos de Fez y de Marruecos son, porque Tarudante al Rey de Fez socorre, y arrogante el Rey con gente viene. En medio cada ejército nos tiene, de modo que cercados somos los sitiadores y sitiados. Si la espalda volvemos al uno, mal del otro nos podemos defender: pues por una y otra parte nos deslumbran relámpagos de Marte. ¿Qué haremos, pues, de confusiones llenos? ¿Qué? Morir como buenos, con ánimos constantes. ¿No somos dos Maestres, dos Infantes, cuando bastara ser dos portugueses particulares para no haber visto la cara al miedo? Pues, Avis y Cristo a voces repitamos, y por la fe muramos, pues a morir venimos.
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Sale don Juan. DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
Mala salida a tierra dispusimos. Ya no es tiempo de medios: a los brazos apelen los remedios, pues uno y otro ejército nos cierra en medio. ¡Avis y Cristo! ¡Guerra, guerra!
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Éntranse sacando las espadas, dase la batalla y sale Brito. BRITO
Ya nos cogen en medio un ejército y otro sin remedio. ¡Qué bellaca palabra!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Quei clamori sono gli eserciti di Fez e di Marocco, ché Tarudante aiuta il re di Fez, e questi insuperbito con le sue schiere avanza. Due eserciti ci serrano nel mezzo, così che circondati, siamo gli assediatori e gli assediati. Se le spalle volgiamo all’uno, male dall’altro possiamo guardarci, ché dall’una e l’altra parte ci abbagliano con folgori di Marte. Cosa faremo in tanta confusione? Cosa? Morire da eroi con animo costante. Due Granmaestri, due Principi noi siamo, quando basta essere due portoghesi per ignorare quale sia la faccia della paura. Su, dunque Avis e Cristo a voce alta gridiamo, per la fede moriamo ché venimmo a morire. Entra don Juan.
DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
L’operazione di sbarco fu errata. Non c’è rimedio ormai: unico rimedio è dare battaglia, dato che ora i due eserciti ci stringono in mezzo. Avis e Cristo! Guerra! Guerra!
Escono sguainando le spade; si da inizio alla battaglia; entra Brito. BRITO
Già ci serrano in mezzo senza darci più scampo le due armate. Che brutta prospettiva! 547
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
La llave eterna de los cielos abra un resquicio siquiera, que de aqueste peligro salga afuera quien aquí se ha venido sin qué ni para qué. Pero fingido muerto estaré un instante, y muerto lo tendré para adelante.
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Cáese en el suelo, y sale un moro acuchillando a don Enrique. MORO
DON ENRIQUE
BRITO
¿Quién tanto se defiende, siendo mi brazo rayo que desciende desde la cuarta esfera? Pues, aunque yo tropiece, caiga y muera en cuerpos de cristianos, no desmaya la fuerza de las manos, que ella de quien yo soy mejor avisa. ¡Cuerpo de Dios con él, y qué bien pisa!
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Písanle, y éntranse, y salen Muley y don Juan Coutiño riñendo. MULEY
DON JUAN
BRITO
Ver, portugués valiente, en ti fuerza tan grande, no lo siente mi valor, pues quisiera daros hoy la victoria. ¡Pena fiera! Sin tiento y sin aviso son cuerpos de cristianos cuantos piso. Yo se lo perdonara, a trueco, mi señor, que no pisara.
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Vanse los dos, y salen por la otra puerta don Enrique y don Juan retirándose de los moros, y luego el Rey y don Fernando. REY
Rinde la espada, altivo portugués; que si logro el verte vivo
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO
La chiave eterna dei cieli dischiuda almeno uno spiraglio, perché da tanto rischio venga fuori chi fino a qui è arrivato non sapendo come e perché. Mi fingo per un istante morto se no, morto sarò da qui in eterno. Si butta a terra. Entra un moro combattendo con don Enrique. MORO
DON ENRIQUE
BRITO
Chi tanto controbatte al mio braccio, che è un lampo discendente dalla sfera del sole? Ammesso che io tracolli, cada e muoia tra i corpi dei cristiani, non verrà meno il vigore alla mano, perché anzi chi sono io meglio dimostra. Che Dio lo maledica, e quanto pesta! Lo calpestano ed escono. Entrano Muley e don Juan Coutiño combattendo.
MULEY
DON JUAN
BRITO
O prode portoghese, il mio valore non soffre vedendo in te forza sì grande ché vi vorrebbe invitti. Atroce pena! Senza cura e attenzione son corpi di cristiani che calpesto! Io potrei perdonarvi, mio signore, purché non mi pestiate.
Escono. Entrano dalla porta opposta don Enrique e don Juan che si ritirano dai Mori; quindi il Re e don Fernando. RE
Rendi la spada, fiero portoghese, che se vivo ti avrò 549
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
DON FERNANDO
en mi poder, prometo ser tu amigo. ¿Quién eres? Un caballero soy; saber no esperes más de mí. Dame muerte.
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Sale don Juan y pónese a su lado. DON JUAN
REY
Primero, gran señor, mi pecho fuerte, que es muro de diamante, tu vida guardará puesto delante. ¡Ea, Fernando mío, muéstrese ahora el heredado brío! Si esto escucho, ¿qué espero? Suspéndanse las armas, que no quiero hoy más felice gloria; que este preso me basta por victoria. Si tu prisión o muerte con tal sentencia decretó la suerte, da la espada, Fernando, al Rey de Fez.
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Sale Muley. MULEY DON FERNANDO
¿Qué es lo que estoy mirando? Sólo a un rey la rindiera, que desesperación negarla fuera.
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Sale don Enrique. DON ENRIQUE DON FERNANDO
REY
¡Preso mi hermano! Enrique, tu voz más sentimiento no publique; que en la suerte importuna éstos son los sucesos de fortuna. Enrique, Don Fernando está hoy en mi poder; y aunque, mostrando la ventaja que tengo,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO
DON FERNANDO
catturato, amicizia ti giuro. Chi sei tu? Un cavaliere; non sperare ch’altro ti dica. Dammi morte.
Entra don Juan e si pone al fianco di don Fernando. DON JUAN
RE
Prima, signore, il mio gagliardo petto, che è un muro di diamante, si frapporrà per salvarti la vita! Orsù, Fernando mio, del lignaggio ora si mostri il valore. Udito ciò, che aspetto? Cessi il combattimento che non chiedo oggi gloria maggiore, che un tale prigioniero è già la vittoria. Se a te prigione o morte la sorte inesorabile ha sancito, la tua spada, Fernando rendi al re di Fez. Entra Muley.
MULEY DON FERNANDO
Che sto mai vedendo? Solo a un re posso darla, che cieca insania sarebbe il negarla. Entra don Enrique.
DON ENRIQUE DON FERNANDO
RE
Vinto, oh fratello! Enrique, la tua voce non mostri tanta pena; che la sorte contraria gli accadimenti affida alla fortuna. Enrique, don Fernando è in mio potere ormai, e sebbene, usando il vantaggio che tengo, 551
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA
DON FERNANDO MULEY
(Aparte)
DON FERNANDO
DON ENRIQUE DON FERNANDO
DON ENRIQUE
DON FERNANDO DON ENRIQUE DON FERNANDO DON JUAN
DON FERNANDO DON ENRIQUE
pudiera daros muerte, yo no vengo hoy más que a defenderme, que vuestra sangre no viniera a hacerme honras tan conocidas como podrán hacerme vuestras vidas. Y para que el rescate con más puntualidad al Rey se trate, vuelve tú, que Fernando en mi poder se quedará, aguardando que vengas a librarle. Pero dile a Duarte que en llevarle será su intento vano, si a Ceuta no me entrega por su mano. Y ahora Vuestra Alteza, a quien debo esta honra, esta grandeza, a Fez venga conmigo. Iré a la esfera cuyo rayo sigo. (Porque yo tenga, ¡Cielos!, más que sentir entre amistad y celos). Enrique, preso quedo; ni al mal ni a la fortuna tengo miedo. Dirásle a nuestro hermano que haga aquí como príncipe cristiano en la desdicha mía. Pues, ¿quién de sus grandezas desconfía? Esto te encargo y digo: que haga como cristiano. Yo me obligo a volver como tal. Dame esos brazos. Tú eres el preso, y pónesme a mí lazos. Don Juan, adiós. Yo he de quedar contigo, de mí no te despidas. ¡Leal amigo! ¡Oh infelice jornada!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO
DON FERNANDO MULEY
(Fra sé)
DON FERNANDO
DON ENRIQUE DON FERNANDO
DON ENRIQUE
DON FERNANDO DON ENRIQUE DON FERNANDO DON JUAN
DON FERNANDO DON ENRIQUE
potrei darvi la morte, ora qui voglio difendermi soltanto; il vostro sangue non può offrirmi adesso più alta gloria di quella che mi darà risparmiarvi la vita. E perché col re esatta si abbia la trattativa del riscatto, torna tu, che Fernando in mio potere resta nell’attesa che venga a liberarlo. Ma di’ a Duarte che vana ogni proposta d’affrancarlo sarà se di sua mano Ceuta non mi cede. Adesso, vostra altezza, cui debbo questo onore e questa gloria, venite con me a Fez. Andrò verso il sole, seguendone i raggi. (Perché io, cieli!, più soffra per gelosia d’amante e come amico). Enrique, resto schiavo; la sventura non temo, né la sorte. Dirai a nostro fratello che agisca ora da principe cristiano nella disgrazia mia. Chi non confida nella sua grandezza? Te ne incarico e dico: che agisca da cristiano. E da cristiano mi impegno a ritornare. Ed ora abbracciami! Tu, prigioniero, stringi me in catene? Don Juan, addio. Ma io con te resterò, da me non congedarti. Leale amico! Che infelice giornata!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, PRIMERA JORNADA DON FERNANDO
Dirásle al Rey... mas no le digas nada, si con gran silencio el miedo vano estas lágrimas lleva al Rey mi hermano.
Vanse, y salen dos moros, y ven a Brito como muerto. 1 MORO 2 MORO
BRITO
Cristiano muerto es éste. Porque no causen peste echad al mar los muertos. En dejándoos los cascos bien abiertos a tajos y a reveses;
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Acuchíllalos. que ainda mortos somos portugueses.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO PRIMO DON FERNANDO
Dirai al re, ma no, non dirgli nulla, se a mio fratello il re un timore vano porterà in gran silenzio queste lacrime.
Escono. Entrano due Mori e vedono Brito come morto. 1 MORO 2 MORO
BRITO
Questo è un cristiano morto. A scanso della peste gettate i morti a mare. Non prima che vi spacchi le cervici a fendenti e a rovesci; Dà di sciabola. che anche da morti siamo portoghesi.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA
SEGUNDA JORNADA Sale Fénix. FÉNIX
¡Zara! ¡Rosa! ¡Estrella! ¿No hay quien me responda? Sale Muley.
MULEY
FÉNIX
Sí, que tú eres Sol para mí y para ti sombra yo, y la sombra al Sol siguió. El eco dulce escuché de tu voz, y apresuré por esta montaña el paso. ¿Qué sientes? Oye, si acaso puedo decir lo que fue. Lisonjera, libre, ingrata, dulce, süave una fuente hizo apacible corriente de cristal y undosa plata. Lisonjera se desata, porque hablaba y no sentía; süave, porque fingía; libre, porque claro hablaba; dulce, porque murmuraba; e ingrata, porque corría. Aquí cansada llegué, después de seguir ligera en ese monte una fiera, en cuya frescura hallé ocio y descanso; porque de un montecillo a la espalda, de quien corona y guirnalda fueron clavel y jazmín,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entra Fenix. FENIX
Zara! Rosa! Estrella! Non risponde nessuno? Entra Muley.
MULEY
FENIX
Sì, che per me tu sei il mio Sole e sono io l’ombra per te e come ombra seguo il sole. L’eco soave ho sentito della tua voce e ho affrettato su questa montagna il passo. Che t’affligge? Ascolta; ammesso che raccontartelo io possa. Libera, invitante, ingrata, dolce e soave una fonte formava un quieto ruscello di cristallo e onda argentata. Invitante si snodava come chi ha voce e non pena; soave perché ingannava; libera, perché parlava dolce perché mormorava; e ingrata perché fuggiva. Io qui arrivai affannata, mentre veloce inseguivo una fiera in questo monte; trovai nella sua frescura quiete e riposo, perché, con il riparo di un poggio, che gelsomini e garofani inghirlandano e incoronano, 557
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sobre un catre de carmín hice un foso de esmeralda. Apenas en él rendí el alma al susurro blando de las soledades, cuando ruido en las hojas sentí. Atenta me puse, y vi una caduca africana, espíritu en forma humana, ceño arrugado y esquivo, que era un esqueleto vivo de lo que fue sombra vana, cuya rústica fiereza, cuyo aspecto esquivo y bronco fue escultura hecha de un tronco sin pulirse la corteza. Con melancolía y tristeza, pasiones siempre infelices, para que te atemorices, una mano me tomó, y entonces ser tronco yo afirmé por las raíces. Hielo introdujo en mis venas el contacto, horror las voces, que discurriendo veloces, de mortal veneno llenas, articuladas apenas, esto les pude entender: «¡Ay infelice mujer! ¡Ay forzosa desventura! ¡Que en efecto esta hermosura precio de un muerto ha de ser!» Dijo; y yo tan triste vivo que diré mejor que muero; pues, por instantes espero de aquel tronco fugitivo cumplimiento tan esquivo,
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sopra un giaciglio di porpora feci un letto di smeraldo. Avevo qui appena reso al fruscio di solitudini l’anima, quando un rumore sentì venire dai rami. Osservai attenta e vidi una decrepita mora, dal ciglio aggrottato e schivo, un fantasma in forma umana anzi uno scheletro vivo di ciò che fu un’ombra vana la cui rustica fierezza, l’aspetto rozzo e sdegnoso era scolpito in un tronco coperto d’aspra corteccia. Con malinconia e tristezza, passioni sempre infelici, – perché tu ne provi orrore – una mano m’afferrò sì che anch’io divenni un tronco, ben piantato alle radici Il contatto mi introdusse nelle vene un gelo, orrore le parole che veloci, di mortal veleno gonfie, a fatica articolate, ciò mi lasciavano intendere: «Ah, creatura sventurata! Ah, disgrazia ineluttabile! che proprio questa bellezza il prezzo sarà di un morto!» Disse: e io vivo così triste che direi meglio che muoio, perché ad ogni istante aspetto di quel tronco fuggitivo la crudele profezia; 559
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de aquel oráculo yerto el presagio y fin tan cierto que mi vida ha de tener. ¡Ay de mí! ¡Que yo he de ser precio vil de un hombre muerto!
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Vase. Fácil es de descifrar ese sueño, esa ilusión, pues las imágenes son de mi pena singular. A Tarudante has de dar la mano de esposa; pero yo, que en pensarlo me muero, estorbaré mi rigor; que él no ha de gozar tu amor si no me mata primero. Perderte yo, podrá ser; mas no perderte y vivir; luego, si es fuerza el morir, antes que lo llegue a ver, precio mi vida ha de ser con que ha de comprarte, ¡ay Cielos!, y tú en tantos desconsuelos precio de un muerto serás, pues que morir me verás de amor, de envidia y de celos.
MULEY
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Salen tres cautivos y el Infante don Fernando. CAUTIVO
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Desde aquel jardín te vimos, donde estamos trabajando, andar a caza, Fernando, y todos juntos venimos a arrojarnos a tus pies.
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di quel oracolo inerte il presagio e fine certa decretati alla mia vita. Povera me ! Ché io sarò il prezzo vile d’un morto! Esce. Facile è da decifrare questo sogno e le visioni, immagini sono infatti della mia pena infinita. Dovrai dare a Tarudante la mano di sposa, ma io, che solo a pensarlo muoio, impedirò il mio dolore; egli non godrà il tuo amore se prima non mi avrà ucciso. Perderti io? Sarà possibile; perderti e vivere, no; dunque, se è forza il morire, prima ch’io arrivi a vederlo, la mia vita sarà il prezzo con cui ti dovrà comprare, Cieli! E tu in tanti dolori prezzo d’un morto sarai poiché mi vedrai morire d’amore, gelosia e invidia.
MULEY
Entrano tre prigionieri e l’Infante don Fernando. PRIGIONIERO
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Da quel giardino, Fernando, dove schiavi lavoriamo, ti vedemmo andare a caccia, e qui tutti siamo accorsi a inginocchiarci ai tuoi piedi.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA CAUTIVO
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CAUTIVO
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DON FERNANDO
Solamente este consuelo aquí nos ofrece el cielo. Piedad como suya es. Amigos, dadme los brazos; y sabe Dios si con ellos quisiera de vuestros cuellos romper los nudos y lazos que os aprisionan; que a fe que os darían libertad antes que a mí; mas pensad que favor del cielo fue esta piadosa sentencia: él mejorará la suerte, que a la desdicha más fuerte sabe vencer la prudencia. Sufrid con ella el rigor del tiempo y de la fortuna: deidad bárbara, importuna, hoy cadáver y ayer flor, no permanece jamás, y así os mudara de estado. ¡Ay Dios!, que al necesitado darle consejo no más no es prudencia; y en verdad, que aunque quiera regalaros, no tengo esta vez qué daros: mis amigos, perdonad. Ya de Portugal espero socorro, presto vendrá; vuestra mi hacienda será, para vosotros la quiero. Si me vienen a sacar del cautiverio, ya digo que todos iréis conmigo. Id con Dios a trabajar, no disgustéis vuestros dueños.
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DON FERNANDO
Questo è l’unico conforto che qui a noi ci manda il Cielo. Segno della sua pietà. Oh, amici, tra le mie braccia! Volesse Iddio che con queste spezzassi corde e catene che serrano i vostri colli; certo vorrebbero darvi libertà prima che a me; tuttavia pensate a questa sfortunata circostanza come a un favore del Cielo; vi allevierà Egli la sorte, ché la sventura più dura la prudenza saprà vincere. E con essa sopportate i crudi anni e la fortuna che è dea barbara, importuna, cadavere oggi, ieri fiore, e mai cessa di girare, il vostro stato mutando. Dio! Di certo non è saggio dar consigli e nulla più a chi soffre, e in verità, pure volendo aiutarvi amici miei perdonatemi, nulla davvero ho da darvi. Dal Portogallo m’attendo aiuti, e presto verranno; i miei beni sono vostri, è per voi che li reclamo. Se mai mi libereranno da queste catene, giuro che tutti con me verrete. Ma adesso, con Dio, al lavoro! Non dispiacete ai padroni.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA CAUTIVO
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CAUTIVO
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Señor, tu vista y salud hace nuestra esclavitud dichosa. Siglos pequeños son los del fénix, señor, para que vivas.
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Vanse. DON FERNANDO
MULEY
DON FERNANDO
MULEY DON FERNANDO
MULEY
El alma queda en lastimosa calma, viendo que os vais sin favor de mis manos. ¡Quién pudiera socorrerlos! ¡Qué dolor! Aquí estoy viendo el amor con que la desdicha fiera de esos cautivos tratáis. Duélome de su fortuna, y en la desdicha importuna, que a esos esclavos miráis, aprendo a ser infelice; y algún día podrá ser que los haya menester. ¿Eso Vuestra Alteza dice? Naciendo Infante, he llegado a ser esclavo; y así temo venir desde aquí a más miserable estado; que si ya en aqueste vivo, mucha más distancia trae de Infante a cautivo, que hay de cautivo a más cautivo. Un día llama a otro día, y así llama y encadena llanto a llanto y pena a pena ¡No fuera mayor la mía! Que Vuestra Alteza mañana,
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Signore, il vederti salvo fa la nostra schiavitù lieta. Se breve, signore, della fenice è la vita, che tu viva di più. Escono.
DON FERNANDO
MULEY
DON FERNANDO
MULEY DON FERNANDO
MULEY
L’anima resta in dolorosa inerzia vedendo che ve ne andate senza il mio aiuto. Ma come potrei aiutarli? Oh dolore! Sto ammirando ora l’amore con cui trattate la dura sorte di questi infelici. Piango la loro sventura, e dalla cattiva sorte che osservate in questi schiavi apprendo a essere infelice; un dì potrebbe accadere che mi servano d’esempio. Che dice mai Vostra Altezza? Nato Infante, sono giunto a essere schiavo, e così da qui temo di venire in più ben misero stato. Che se già in tal modo vivo, molta più distanza corre da principe a prigioniero che da prigioniero a schiavo. Un giorno ne chiama un altro, e così chiama e incatena pianto a pianto, pena a pena. Ma più grande è la mia pena! Un dì verrà, vostra altezza, 565
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DON FERNANDO
MULEY
aunque hoy cautivo está, a su patria volverá; pero mi esperenza es vana, pues no puede alguna vez mejorarse mi fortuna, mudable más que la luna. Cortesano soy de Fez, y nunca de los amores que me contaste te oí novedad. Fueron en mí recatados los favores. El dueño juré encubrir; pero a la amistad atento, sin quebrar el juramento, te lo tengo de decir. Tan solo mi mal ha sido como solo mi dolor, porque el fénix y mi amor sin semejante han nacido. En ver, oír y callar, fénix es mi pensamiento; fénix es mi sufrimiento en temer, sentir y amar; fénix mi desconfianza en llorar y en padecer; en merecerla y temer aun es fénix mi esperanza, fénix mi amor y cuidado; y pues que fénix te digo, como amante y como amigo, ya lo he dicho y lo he callado.
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Cuerdamente declaró el dueño amante y cortés:
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DON FERNANDO
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sebbene oggi prigioniero, che in patria ritornerete; ma ogni mia speranza è vana perché mai potrà cambiare in benigna la mia sorte più incostante della luna. Pur vivendo a Fez qui a corte non ho più di quell’ amore che mi avevi confidato udito nuove. Celati in me sono i suoi favori. Giurai di tacerne il nome; ma per la nostra amicizia, senza compiere spergiuro, te lo devo confessare. Uno soltanto è il mio male, uno solo il mio dolore, ché la fenice e il mio amore sono nati senza eguali. Nel vedere, udir, tacere, è fenix il mio pensiero; fenix il mio patimento nel temer, soffrire, amare; fenix è per me sconforto nel provar dolore e piangere, nel meritarla e temere fenix è la mia speranza, fenix mio amore e mio affanno, e poiché fenix ti ho detto, come amante e come amico te l’ho detto e anche taciuto. Esce.
DON FERNANDO
Con prudenza ha dichiarato la dama amante e cortese: 567
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA
si Fénix su pena es, no he de competirla yo, que la mía es común pena. No me doy por entendido; que muchos la han padecido y vive de enojos llena.
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Sale el Rey. REY
DON FERNANDO
REY
Por la falda de este monte vengo siguiendo a tu Alteza porque, antes que el sol se esconda entre corales y perlas, te diviertas en la lucha de un tigre que ahora cercan mis cazadores. Señor, gustos por puntos me inventas para agradarme: si así a tus esclavos festejas, no echarán menos la patria. Cautivos de tales prendas que honran al dueño, es razón servirlos de esta manera.
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Sale don Juan. DON JUAN
Sal, gran señor, a la orilla del mar, y verás en ella el más hermoso animal que añadió naturaleza al artificio; porque una cristiana galera llega al puerto, tan hermosa, aunque toda oscura y negra, que al verla se duda cómo es alegre su tristeza.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO SECONDO
se Fenix è la sua pena, la mia non potrà competere, ché la mia è pena comune. Ma granché non me ne curo, poiché molti la patiscono carica di sofferenze. Entra il Re. RE
DON FERNANDO
RE
Su per queste impervie balze vo’ cercando vostra altezza perché, prima che si asconda tra coralli e perle il sole, vi svaghiate con la caccia di una tigre ora braccata dai miei cacciatori. Sire, piaceri vai escogitando per dilettarmi: se i tuoi prigionieri in tal modo ospiti non piangeranno la patria. Prigionieri di tal rango che il loro signore onorano, vanno trattati così. Entra don Juan.
DON JUAN
Va, mio signore, alla riva del mare, e vedrai da presso l’ingegno vivo più bello che abbia unito la natura all’artificio; perché una galera cristiana giunge al porto, sì mirabile, anche se a vele abbrunate, che a vederla non si sa come il suo dolore allieti. 569
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DON FERNANDO
Las armas de Portugal vienen por remate de ella; que como tienen cautivo a su Infante, tristes señas visten por su esclavitud y a darle libertad llegan, diciendo su sentimiento. Don Juan, amigo, no es esa de su luto la razón, que si a librarme vinieran, en fe de mi libertad, fueran alegres las muestras.
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Sale don Enrique, de luto, con un pliego. DON ENRIQUE REY DON FERNANDO REY DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Dadme, gran señor, los brazos. Con bien venga Vuestra Alteza. ¡Ay Don Juan, cierta es mi muerte! ¡Ay Muley, mi dicha es cierta! Ya que de vuestra salud me informa vuestra presencia, para abrazar a mi hermano me dad, gran señor, licencia. ¡Ay Fernando! Enrique mío, ¿qué traje es ése? Mas cesa: harto me han dicho tus ojos, nada me diga tu lengua. No llores, que si es decirme que es mi esclavitud eterna, eso es lo que más deseo: albricias pedir pudieras, y en vez de dolor y luto vestir galas y hacer fiestas. ¿Cómo está el Rey mi señor? Porque, como él salud tenga, nada siento. ¿Aún no respondes?
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DON FERNANDO
Sui suoi pennoni sventolano gli stemmi del Portogallo, abbrunati perché tristi che sia schiavo il loro infante; libertà vengono a dargli palesando questa pena. Don Juan, amico, non questo del loro lutto è il motivo: se a liberarmi venissero, la mia libertà sperando, sarebbero vele a festa.
Entra in scena don Enrique vestito a lutto e con un plico. DON ENRIQUE RE DON FERNANDO RE DON ENRIQUE
DON FERNANDO
Sire, datemi le braccia. Benvenuto vostra altezza. Ah, don Juan, dovrò morire! Ah, Muley, avrò buona sorte! Già della vostra salute mi informa il vostro sembiante; però, sire, consentitemi d’abbracciare mio fratello. Ah, Fernando. Ah, mio Enrique. Che abito è questo? Ma taci: non direbbe la tua lingua nulla di più dei tuoi occhi. Non piangere, se vuoi dirmi che sarà eterna la mia schiavitù, perché l’agogno: potevi mostrare gioia, e invece di lutto e pena vestire a gala, e far festa. Come sta il re mio signore? Ché, se egli ha buona salute, nulla mi affligge. Non parli?
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DON FERNANDO
REY
DON ENRIQUE
Si repetidas las penas se sienten dos veces, quiero que sola una vez las sientas. Tú escúchame, gran señor, que aunque una montaña sea rústico palacio, aquí te pido me des audiencia, a un preso la libertad, y atención justa a estas nuevas. Rota y deshecha la armada, que fue con vana soberbia pesadumbre de las ondas, dejando en África presa la persona del Infante, a Lisboa di la vuelta. Desde el punto que Duarte oyó tan trágicas nuevas, de una tristeza cubrió el corazón, de manera que pasando a ser letargo la melancolía primera, desmintió muriendo a cuantos dicen que no matan penas. Murió el Rey, que esté en el cielo. ¡Ay de mí! ¿Tanto le cuesta mi prisión? De su desdicha sabe Alá lo que me pesa. Prosigue. En su testamento el Rey mi señor ordena que luego por la persona del Infante se dé a Ceuta. Y así yo con los poderes de Alfonso, que es quien le hereda, porque sólo este lucero supliera del Sol la ausencia,
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FERNANDO
RE
DON ENRIQUE
Se a ripetere le pene si soffre due volte, chiedo che una volta tu le senta. Ascoltami, gran signore, che sebbene una montagna serva da rustica reggia, qui ti chiedo darmi udienza, libertà ad un prigioniero, ascolto a queste notizie. Rotta e dispersa l’armata, che vanamente superba aveva oppresso i tuoi mari io, abbandonato l’infante qui in Africa prigioniero, feci ritorno a Lisbona. Dal momento che don Duarte udì sì tristi notizie velò di grande mestizia il suo cuore, cosicché divenuto ormai letargo il suo stato malinconico, con la morte smentì il detto che di pena non si muore. Il re è morto, vada in Cielo. Me infelice! Questo è il prezzo della prigionia? Sa Allah, se mi duole la sua morte Prosegui. Nel testamento dispone il re mio signore che in cambio della persona dell’infante, si dia Ceuta. Così, secondo il mandato di Alfonso, erede del re, solo astro che possa splendere come il Sole che si è spento 573
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vengo a entregar la ciudad; y así... No prosigas, cesa, cesa, Enrique; porque son palabras indignas éstas, no de un portugués Infante, de un Maestre que profesa de Cristo la religión; pero aun de un hombre lo fueran vil, de un bárbaro sin luz de la fe de Cristo eterna. Mi hermano, que está en el cielo, si en su testamento deja esa cláusula, no es para que se cumpla y lea, sino para mostrar sólo que mi libertad desea, y ésa se busque por otros medios y otras conveniencias, o apacibles o crueles. Porque decir: «Dése a Ceuta», es decir: «Hasta eso haced prodigiosas diligencias». Que a un Rey católico y justo, ¿cómo fuera, cómo fuera posible entregar a un moro una ciudad que le cuesta su sangre, pues fue el primero que con sola una rodela y una espada enarboló las quinas en sus almenas? Y esto es lo que importa menos. Una ciudad que confiesa católicamente a Dios, la que ha merecido iglesias consagradas a sus cultos con amor y reverencia,
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vengo a darti la città; e così... Non oltre, taci, taci Enrique, perché sono parole indegne non solo di un infante portoghese, di un Maestro che professa la religione di Cristo; ma di un uomo vile e barbaro, senza luce della fede che in Cristo risplende eterna. Se mio fratello, che in cielo riposa, nel testamento questa clausola lasciò, non fu perché la si esegua, ma perché a tutti sia chiaro quanto mi volesse libero; ma questa mia libertà si ottenga con altri mezzi e altri accordi, in pace e in guerra. Perché dire: «Si dia Ceuta» è dire: «Prima che a tanto si giunga, azzardate tutto». Un re cattolico e giusto come potrebbe mai dare ad un moro la città che gli è costata il suo sangue, giacché fu il primo che, armato solo di scudo e di spada, sulle sue torri ha innalzato le insegne del Portogallo? Ma questo importa di meno. Una città che professa cattolica fede in Dio, che con merito ha elevato chiese al culto consacrate,
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¿fuera católica acción, fuera religión expresa, fuera cristiana piedad, fuera hazaña portuguesa que los templos soberanos, Atlantes de las esferas, en vez de doradas luces, adonde el sol reverbera, vieran otomanas sombras; y que sus lunas opuestas en la iglesia, estos eclipses ejecutasen tragedias? ¿Fuera bien que sus capillas a ser establos vinieran, sus altares a pesebres, y cuando aqueso no fuera, volvieran a ser mezquitas? Aquí enmudece la lengua, aquí me falta el aliento, aquí me ahoga la pena: porque en pensarlo no más el corazón se me quiebra, el cabello se me eriza y todo el cuerpo me tiembla. Porque establos y pesebres no fuera la vez primera que hayan hospedado a Dios; pero en ser mezquitas, fueran un epitafio, un padrón, de nuestra inmortal afrenta, diciendo: «Aquí tuvo Dios posada, y hoy se la niegan los cristianos para darla al demonio». Aun no se cuenta – acá moralmente hablando – que nadie en casa se atreva de otro a ofenderle: ¿era justo
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sarebbe azione cattolica, sarebbe esempio di fede, sarebbe pietà cristiana, sarebbe atto portoghese che quei mirabili templi, giganti tra le alte sfere, invece di luci d’oro in cui il sole si riverbera vedessero ombre ottomane; che le loro lune imposte sulle chiese, come eclissi provocassero tragedie? Sarebbe giusto che stalle le cappelle divenissero, mangiatoie i loro altari, e quand’anche ciò non fosse, che tornassero meschite? Qui si fa muta la lingua, qui mi vien meno il respiro, qui mi soffoca il dolore: perché soltanto a pensarlo il cuore già mi si spezza, mi si rizzano i capelli, e tutto il corpo mi trema. Perché stalle e mangiatoie già in passato hanno fornito ospitalità al Signore; ma se moschee divenissero, un epitaffio, una lapide, sarebbero a eterna infamia, con su scritto: «Dio ebbe qui asilo, ma glielo negano oggi i cristiani per darlo al demonio». Però quando – in base a norme morali – se mai udito che qualcuno in casa d’altri lo offenda? 577
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que entrara en su casa mesma a ofender a Dios el vicio, y que acompañado fuera de nosotros, y nosotros le guardáramos la puerta, y para dejarle dentro a Dios echásemos fuera? Los católicos que habitan con sus familias y haciendas hoy, quizá prevaricaran en la fe, por no perderlas. ¿Fuera bien ocasionar nosotros la contingencia de este pecado? Los niños que tiernos se crían en ella, ¿fuera bueno que los moros los cristianos indujeran a sus costumbres y ritos para vivir en su secta en mísero cautiverio? ¿Fuera bueno que murieran hoy tantas vidas por una que no importa que se pierda? ¿Quién soy yo? ¿Soy más que un hombre? Si es número que acrecienta el ser Infante, ya soy un cautivo: de nobleza no es capaz el que es esclavo; yo lo soy, luego ya yerra el que Infante me llamare. Si no lo soy: ¿quién ordena que la vida de un esclavo en tanto precio se venda? Morir es perder el ser, yo le perdí en una guerra; perdí el ser, luego morí;
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Sarebbe giusto che entrasse nella casa di Dio a offenderlo l’errore, e che da noi fosse accompagnato, e noi fossimo a guardia di quella porta, e per lasciarlo lì dentro Dio ne cacciassimo fuori? I cattolici che abitano là con famiglie e commerci, forse dovranno abiurare la fede, pur di non perderli. Sarebbe giusto che offrissimo noi l’occasione di questo peccato? E i bimbi allevati in quella tenera età, sarebbe giusto che i mori questi cristiani forzassero ai costumi e riti loro, riducendoli a una setta in misera schiavitù? Sarebbe giusto che muoia sì tanta gente per una vita la cui dipartita non ha poi grande importanza? Chi sono? Son più d’un uomo? Se essere Infante è motivo di maggior pregio, ora sono uno schiavo: essere nobile non è da schiavo qual sono; Io lo sono: dunque sbaglia chi Infante mi chiamerà. Se non lo sono, chi impone che di uno schiavo si venda la vita a sì caro prezzo? Morire è perdere l’essere, io l’ho perso in una guerra; l’ho perso, dunque, son morto; 579
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morí, luego ya no es cuerda hazaña que por un muerto hoy tantos vivos perezcan. Y así, estos vanos poderes, hoy divididos en piezas, serán átomos del sol, serán del fuego centellas. Mas no, yo los comeré porque aun no quede una letra que informe al mundo que tuvo la lusitana nobleza este intento. – Rey, yo soy tu esclavo, dispón, ordena de mí; libertad no quiero, ni es posible que la tenga. Enrique, vuelve a tu patria; di que en África me dejas enterrado; que mi vida yo haré que muerte parezca. Cristianos, Fernando es muerto; moros, un esclavo os queda; cautivos, un compañero hoy se añade a vuestras penas; cielos, un hombre restaura vuestras divinas iglesias; mar, un mísero con llanto vuestras ondas acrecienta; montes, un triste os habita igual ya de vuestras fieras; viento, un pobre con sus voces os duplica las esferas; tierra, un cadáver os labra en las entrañas su huesa: porque Rey, hermano, moros, cristianos, sol, luna, estrellas, cielo, tierra, mar y viento, montes, fieras, todos sepan,
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son morto, non è dunque atto da saggi che per un morto sì tanti vivi periscano. E così questi vani ordini, che adesso qui strappo in pezzi, saranno atomi del sole, sprazzi di fuoco saranno. Ma no, è bene ch’io li inghiotta perché non resti parola che dica al mondo le mire da nobiltà lusitana concepite. – Re, io sono tuo schiavo, ordina, disponi di me, libertà non cerco, né è possibile ottenerla. Torna alla tua patria Enrique, di’ che mi hai lasciato in Africa sepolto, perché io farò che la mia vita sia morte. Cristiani, Fernando è morto; mori, avete ora uno schiavo; schiavi, un compagno s’unisce oggi alle vostre disgrazie; cieli, preserverà un uomo le vostre divine chiese; mare, un infelice accresce con le lacrime le tue onde; monti, tra voi un infelice, vive al pari delle fiere; vento, un misero raddoppia coi lamenti i tuoi domini; terra, un cadavere scava dentro di te la sua fossa; perché, re, fratello, mori, cristiani, sole, luna, astri, cielo, terra, mare e vento, monti e fiere, tutti sappiano 581
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que hoy un Príncipe Constante entre desdichas y penas la fe católica ensalza, la ley de Dios reverencia. Pues, cuando no hubiera otra razón más que tener Ceuta una iglesia consagrada a la Concepción eterna de la que es Reina y Señora de los cielos y la tierra, perdiera, vive ella misma, mil vidas en su defensa. Desagradecido, ingrato a las glorias y grandezas de mi reino, ¿cómo así hoy me quitas, hoy me niegas lo que más he deseado? Mas si en mi reino gobiernas más que en el tuyo, ¿qué mucho que la esclavitud no sientas? Pero ya que esclavo mío te nombras y te confiesas, como a esclavo he de tratarte: tu hermano y los tuyos vean que como un esclavo vil los pies ahora me besas ¡Qué desdicha! ¡Qué dolor! ¡Qué desventura! ¡Qué pena! ¡Mi esclavo eres! Es verdad, y poco en eso te vengas, que si para una jornada salió el hombre de la tierra, al fìn de varios caminos, es para volver a ella.
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che oggi un principe costante, fra sventure e pene esalta la fede in Cristo e si prostra alla legge del Signore. E quando non vi fosse altra ragione che mantenere in Ceuta una chiesa sacra all’eterna Concezione di Lei, Regina e Signora così in cielo come in terra, perché viva potrei perdere mille vite a sua difesa. Ingrato, irriconoscente alla grandezza e alla gloria del mio regno, come puoi ora togliermi, puoi ora negarmi ciò che ho più desiderato? Ma se ordini nel mio regno più che nel tuo, che stupore che non ti dolga il tuo stato? Però, dato che mio schiavo ti proclami e ti confessi, da schiavo dovrò trattarti: tuo fratello e la tua gente qual vile schiavo ti vedano costretto a baciarmi i piedi. Che disgrazia! Che dolore! Che sventura! Quale pena! Sei mio schiavo! Questo è vero! Ma, così, poco ti vendichi, ché, se l’uomo per un giorno nasce e vive in questa terra, compiuto il suo vario errare, alla terra tornerà. 583
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DON FERNANDO
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DON FERNANDO REY DON FERNANDO REY
Más tengo que agradecerte que culparte, pues me enseñas atajos para llegar a la posada más cerca. Siendo esclavo, tú no puedes tener títulos ni rentas. Hoy Ceuta está en tu poder: si cautivo te confìesas, si me confìesas por dueño, ¿por qué no me das a Ceuta? Porque es de Dios y no es mía. ¿No es precepto de obediencia obedecer al señor? Pues yo te mando con ella que la entregues. En lo justo dice el Cielo que obedezca el esclavo a su señor, porque si el señor dijera a su esclavo que pecara, obligación no tuviera de obedecerle, porque quien peca mandando, peca. Daréte muerte. Esa es vida. Pues para que no lo sea, vive muriendo; que yo rigor tengo. Y yo paciencia. Pues no tendrás libertad. Pues no será tuya Ceuta. ¡Hola!
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Così, ho di che esserti grato piuttosto che di incolparti, poiché mi insegni la strada più breve all’ultima casa. Essendo schiavo, non puoi avere titoli e rendite. Ma oggi Ceuta è in tuo potere: se ti riconosci schiavo, se mi chiami tuo signore, perché Ceuta non mi dai? Perché non è mia, è di Dio. Non è norma d’obbedienza l’obbedire a chi è il signore? Dunque a me obbedisci: t’ordino di consegnarla. Nel giusto il cielo vuole obbedienza da chi è schiavo al suo signore, perché se ordina il signore al suo schiavo di peccare, questi obbligo non avrebbe di obbedirgli, perché pecca anche chi pecca a comando. Ti darò morte. No è vita. Perché allora non lo sia vivrai morendo, poiché io sarò spietato. E io paziente. Mai riavrai la libertà. E mai Ceuta sarà tua. Ehi! Entra Celin.
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Luego al punto aquese cautivo sea igual a todos: al cuello y a los pies le echad cadenas; a mis caballos acuda, y en baño y jardín, y sea abatido como todos; no vista ropas de seda, sino sarga humilde y pobre; coma negro pan, y beba agua salobre; en mazmorras húmedas y oscuras duerma; y a criados y a vasallos se extienda aquesta sentencia. Llevadle todos. ¡Qué llanto! ¡Qué desdicha. ¡Qué tristeza! Veré, bárbaro, veré si llega a más tu paciencia que mi rigor. Sí verás, porque ésta en mí será eterna.
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Llévanle. REY
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Enrique, por el seguro de mi palabra que vuelvas a Lisboa te permito: el mar africano deja. Di en tu patria que el Infante, que su Maestre de Avis, queda curándome los caballos; que a darle libertad vengan. Sí harán, que si yo le dejo en su infelice miseria, y me sufre el corazón
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Da ora in avanti questo schiavo sia trattato come tutti gli altri: che abbia le catene al collo e ai piedi, accudisca ai miei cavalli, alle galere e ai giardini, e umiliato come tutti; non porti vesti di seta, ma poca e misera tela; mangi pane nero e beva acqua salmastra; in segrete umide e oscure riposi; e quest’ordine s’estenda ai suoi servi e ai suoi vassalli. Portatelo via. Che pianto! Che sventura! Che tristezza! Vedrò, barbaro, vedrò se il rigore vincerà la tua pazienza. Vedrai, perché eterna essa sarà. Lo portano via.
RE
DON ENRIQUE
Enrique, la mia parola sia garante che permetto che tu ritorni a Lisbona: lascia questo mare d’Africa. Là in patria di’ che l’infante, che il Gran Maestro d’Avis resta ad accudire le stalle. Che vengano a liberarlo. Lo faranno; e se lo lascio in misero e triste stato, e mi fa straziare il cuore 587
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(Aparte)
el no acompañarle en ella, es porque pienso volver con más poder y más fuerza para darle libertad. Muy bien harás, como puedas. (Ya ha llegado la ocasión de que mi lealtad se vea: la vida debo a Fernando, yo le pagaré la deuda).
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Vanse. Salen Celín y el Infante con cadena, y vestido de cautivo. CELÍN
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El Rey manda que asistas en aqueste jardín, y no resistas su ley a tu obediencia. Mayor que su rigor es mi paciencia.
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Salen los cautivos, y uno canta mientras los otros cavan en un jardín. CAUTIVO
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DON FERNANDO
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DON FERNANDO CAUTIVO
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A la conquista de Tánger, contra el bárbaro Muley, al Infante don Fernando envió su hermano el Rey. ¿Que un instante mi historia no deje de cansar a la memoria? Triste estoy y turbado. Cautivo, ¿cómo estáis tan descuidado? No lloréis, consolaos; que ya el Maestre dijo que volveremos presto a la patria, y libertad tendremos. Ninguno ha de quedar en este suelo. (¡Qué presto perderéis ese consuelo!) Consolad los rigores, y ayudadme a regar aquestas flores.
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(Fra sé)
non trovarmi accanto a lui, è perché voglio tornare con più forze e più potenza a ridargli libertà. E, potendo, farai bene. (Già è arrivata l’occasione che io mostri la mia lealtà: debbo la vita a Fernando è ora che gli paghi il debito).
Escono. Entrano Celin e l’Infante vestito da schiavo e in catene. CELIN
DON FERNANDO
Ordina il re che questi giardini tu coltivi e non ti opponga al patto d’obbedienza. La mia pazienza vince il suo rigore. Entrano i prigionieri e gli uni cantano, mentre gli altri scavano nel giardino.
I PRIGIONIERO
DON FERNANDO
II PRIGIONIERO
DON FERNANDO II PRIGIONIERO
Alla conquista di Tangeri contro il barbaro tiranno suo fratello il re inviò il principe don Fernando. La mia storia un istante può non gravare sulla mia memoria? Triste sono e turbato. Prigioniero perché sei tanto afflitto? Non piangere, consolati; l’infante disse che torneremo presto in patria e riavremo libertà. Non resterà nessuno in questa terra. (Quanto presto svanirà la speranza!) Lenisci i tuoi dolori, aiutami a irrigare questi fiori.
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DON FERNANDO
Tomad los cubos, y agua me id trayendo de aquel estanque. Obedecer pretendo. Buen cargo me habéis dado, pues agua me pedís, que mi cuidado, sembrando penas, cultivando enojos, llenará en la corriente de mis ojos.
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Vase. CAUTIVO
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A este baño han echado más cautivos. Sale don Juan y otro de los cautivos.
DON JUAN
CAUTIVO
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DON JUAN CAUTIVO
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Miremos con cuidado si estos jardines fueron donde vino, o si acaso éstos le vieron; porque en su compañía menos el llanto y el dolor sería, y mayor el consuelo. Dígasme, amigo, que te guarde el cielo, si viste cultivando este jardín al Maestre Don Fernando. No, amigo, no le he visto. Mal el dolor y lágrimas resisto. Digo que el baño abrieron, y que nuevos cautivos a él vinieron.
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Sale don Fernando con los cubos de agua. DON FERNANDO
Mortales, no os espante ver un Maestre de Avis, ver un Infante, en tan mísera afrenta, que el tiempo estas miserias representa.
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DON FERNANDO
Prendi quei secchi e vai dandomi l’acqua da quella vasca. Ubbidirò con gioia. Mi dai un gradito compito chiedendomi acqua, perché il mio dolore seminando pene e coltivando ansie, ingrosserà la corrente dei miei occhi. Esce. In cella hanno gettato altri schiavi.
I PRIGIONIERO
Entra don Juan e un altro prigioniero. Guardiamo bene attenti se siano questi i giardini dove è giunto, o se questi l’hanno visto; perché in sua compagnia meno sarebbe il pianto ed il dolore, ma più grande il conforto. Dimmi tu, amico, e che il cielo t’assista, hai visto don Fernando, il Granmaestro, accudire a questi fiori? No, amico, non lo ho visto. Dolore e pianto non posso frenare. Sì, hanno aperto le celle e altri prigionieri vi hanno gettato.
DON JUAN
II PRIGIONIERO DON JUAN III PRIGIONIERO
Entra don Fernando con due secchi d’acqua. DON FERNANDO
Non stupite, mortali, di vedere d’Avis un Maestro, un principe in sì oltraggioso stato: il tempo inscena siffatte miserie.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA DON JUAN
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DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
DON FERNANDO
Pues, señor, ¿Vuestra Alteza, en tan mísero estado? De tristeza rompa el dolor el pecho. ¡Válgate Dios, qué gran pesar me has hecho, Don Juan, en descubrirme! Que quisiera ocultarme y encubrirme entre mi misma gente, sirviendo pobre y miserablemente. Señor, que perdonéis, humilde os ruego, haber andado yo tan loco y ciego. Dadnos, señor, tus pies. Alzad, amigo, no hagáis tal ceremonia ya conmigo ved que yo humilde vivo, y soy entre vosotros un cautivo. Vuestra Alteza... ¿Qué Alteza ha de tener quien vive en tal bajeza? Ninguno así me trate, sino cómo a su igual. ¡Que no desate un rayo el cielo para darme muerte! Don Juan, no ha de quejarse de esa suerte un noble. ¿Quién del cielo desconfía? La prudencia, el valor, la bizarría se ha de mostrar ahora.
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Sale Zara. ZARA
DON FERNANDO
CAUTIVO ZARA
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Al jardín sale Fénix mi señora, y manda que matices y colores borden este azafate de sus flores. Yo llevársele espero, que en cuanto sea servir seré el primero. Ea, vamos a cogellas. Aquí os aguardo mientras vais por ellas.
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DON FERNANDO
I PRIGIONIERO
II PRIGIONIERO DON FERNANDO
DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
DON FERNANDO
Signore, Vostra Altezza in stato sì infelice? Di tristezza spezzi la pena il cuore. Ti salvi Iddio, don Juan, che struggimento scoprendomi mi hai dato! Preferivo nascondermi e celarmi tra la mia stessa gente, lavorando come misero schiavo. Chiedo perdono umilmente, signore, per essere stato sì pazzo e cieco. Siamo ai tuoi piedi, signore. Su, amico, non devi usarmi tale reverenza, vedi che io umile vivo, e che anch’io sono, tra voi, come schiavo. Vostra Altezza. Che Altezza chi vive in tale bassezza può avere? Che ognuno ormai mi tratti proprio come un suo pari. Voglia il Cielo scagliarmi un fulmine per darmi morte! Di questa sorte, Don Juan, non è nobile dolersi. Chi può del ciel disperare? La prudenza, il valore, l’ardimento ora si ha da mostrare. Entra Zara.
ZARA
DON FERNANDO
I PRIGIONIERO ZARA
Giunge al giardino, Fenix, mia signora, e vuole che ornino questo cestello fiori di belli e svariati colori. Vorrei portarglielo io, perché quanto a servire sarò il primo. Su, a raccoglierli andiamo. Vi aspetto qui mentre li raccogliete.
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No me hagáis cortesías; iguales vuestras penas y las mías son; y pues nuestra suerte, si hoy no, mañana ha de igualar la muerte, no será acción liviana no dejar hoy que hacer para mañana.
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Vanse todos, haciendo cortesías al Infante, quédase Zara y salen Fénix y Rosa. FÉNIX
ZARA FÉNIX
ROSA
ZARA FÉNIX
ZARA
FÉNIX
¿Mandaste que me trajesen las flores? Ya lo mandé. Sus colores deseé para que me divirtiesen. ¡Que tales, señora, fuesen, creyendo tus fantasías, tus graves melancolías! ¿Qué te obligó a estar así? No fue sueño lo que vi, que fueron desdichas mías. Cuando sueña un desdichado que es dueño de algún tesoro, ni dudo, Zara, ni ignoro que entonces es bien soñado; mas si a soñar ha llegado en fortuna tan incierta que desdicha le concierta, y aquello sus ojos ven, pues soñando el mal y el bien, halla el mal cuando despierta; piedad no espero (¡ay de mí!) porque mi mal será cierto. ¿Y qué dejas para el muerto si tú lo sientes así? Ya mis desdichas creí: ¡precio de un muerto! ¡Quién vio
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Per me niente riguardi, come le vostre pene le mie sono; domani, se non oggi, la nostra sorte eguaglierà la morte. Non sarà azione vana compiere oggi ciò che serve domani. Escono tutti usando cortesia verso l’Infante; resta in scena Zara. Entrano Fenix e Rosa.
FENIX
ZARA FENIX
ROSA
ZARA FENIX
ZARA
FENIX
Hai ordinato di portarmi dei fiori? L’ho già ordinato. Per lenire le mie pene ho voluto quei colori. Davvero grave è, signora, questa tua melanconia se credi a vane illusioni. Chi ti ha ridotta così? Non fu sogno quel che vidi, piuttosto la mia sventura. Quando sogna un disgraziato di possedere un tesoro, non ho dubbi e so per certo, Zara, che fu proprio un sogno; ma se è arrivato a sognare che la sua avversa fortuna gli prepara altre sventure, e con gli occhi questo vede, pur sognando il male e il bene, al risveglio trova il male. D’aver tregua, ahimè, non spero, perché ormai il mio male è certo. Ma se tanto è il tuo soffrire, che rimane per chi muore? So questa mia triste sorte: prezzo d’un morto! Si vide 595
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tal pena! No hay gusto, no, a una infelice mujer. ¿Que al fin de un muerto he de ser? ¿Quién será este muerto?
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Sale don Fernando, con las flores. DON FERNANDO FÉNIX DON FERNANDO FÉNIX
DON FERNANDO
FÉNIX
DON FERNANDO
FÉNIX
DON FERNANDO FÉNIX DON FERNANDO FÉNIX DON FERNANDO FÉNIX DON FERNANDO
FÉNIX DON FERNANDO FÉNIX
Yo. ¡Ay cielos!¿Qué es lo que veo? ¿Qué te admira? De una suerte me admira el oírte y verte. No lo jures, bien lo creo. Yo pues, Fénix, que deseo servirte humilde, traía flores, de la suerte mía jeroglíficos, señora, pues nacieron con la aurora y murieron con el día. A la maravilla dio ese nombre al descubrilla. ¿Qué flor, di, no es maravilla cuando te la sirvo yo? Es verdad. Di, ¿quién causó esta novedad? Mi suerte. ¿Tan rigurosa es? Tan fuerte. Pena das. Pues no te asombre. ¿Por qué? Porque nace el hombre sujeto a fortuna y muerte. ¿No eres Fernando? Sí soy. ¿Quién te puso así?
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maggior pena? Non c’è gioia, per una donna infelice. Infine, sarò io d’un morto? Chi sarà questo morto? Entra don Fernando con i fiori. DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO FENIX
DON FERNANDO
FENIX
DON FERNANDO
FENIX
DON FERNANDO FENIX FERNANDO FENIX DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO
FENIX DON FERNANDO FENIX
Io. Ah, cieli, che sto vedendo? Che ti stupisce? Vederti mi stupisce, e anche l’udirti. Non serve dirlo, ti credo. Io, Fenix, col desiderio di servire te umilmente, ti portavo, mia signora, dei fiori, della mia sorte geroglifici, ché nacquero all’alba e con il dì muoiono. «Meraviglia» li chiamarono quando furono scoperti. Ogni fiore è «meraviglia», quando sono io chi te lo offre. Vero. Dimmi chi causò questo cambio? La mia sorte. Così spietata? Crudele. Mi fai pena. Non stupirti. Perché? Perché l’uomo nasce a sorte soggetto e a morte. Non sei Fernando? Lo sono. Chi a questo ti ha tratto?
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FÉNIX
La ley de esclavo. ¿Quién la hizo? El Rey.
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¿Por qué?
DON FERNANDO
Porque suyo soy. ¿Pues no te ha estimado hoy? Y también me ha aborrecido. ¿Un día posible ha sido a desunir dos estrellas? Para presumir por ellas las flores habrán venido. Éstas, que fueron pompa y alegría despertando al albor de la mañana, a la tarde serán lástima vana durmiendo en brazos de la noche fría. Este matiz, que al cielo desafía, iris listado de oro, nieve y grana, será escarmiento de la vida humana: ¡tanto se emprende en término de un día! A florecer las rosas madrugaron, y para envejecerse florecieron: cuna y sepulcro en un botón hallaron. Tales los hombres sus fortunas vieron: en un día nacieron y expiraron; que pasados los siglos horas fueron. Horror y miedo me has dado, ni oírte ni verte quiero; sé el desdichado primero de quien huye un desdichado. ¿Y las flores? Si has hallado jeroglíficos en ellas, deshacellas y rompellas sólo sabrán mis rigores. ¿Qué culpa tienen las flores? Parecerse a las estrellas.
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FENIX DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO FENIX
DON FERNANDO
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DON FERNANDO FENIX
Legge da schiavo. E la fece? Il re. Perché? Perché gli appartengo. Dunque non ti stima più, ora? Anzi, ora, mal mi sopporta. Dunque, un sol giorno è bastato a disunire due stelle? Questi fiori son giunti al fine di trarne indizi. Questi che furono pompa e allegrezza nel fiorire alle luci dell’albore, saranno a sera perduto dolore, dormendo in braccio della notte fredda. Questi colori che sfidano il cielo, iride a liste d’oro, neve e porpora, saranno esempio della vita breve: tanto si compie nell’arco d’un giorno! Albeggiano le rose per sbocciare, ma pur fiorendo fu per appassire: un sol bocciolo fu sepolcro e culla. Attende l’uomo eguale sorte e il nulla: nel percorso d’un giorno nasce e muore, ed i trascorsi secoli sono ore. Mi empi di orrore e spavento! Non voglio udirti e vederti, sii tu il primo sventurato che uno sventurato fugge. E i fiori? Se vi hai trovato dei geroglifici occulti, ora sarà il mio castigo distruggerli e al vento spargerli. E che colpa ne hanno i fiori? Di somigliare alle stelle. 599
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DON FERNANDO FÉNIX
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¿Ya no las quieres? Ninguna estimo en su rosicler. ¿Cómo? Nace la mujer sujeta a muerte y fortuna, y en esa estrella importuna 1680 tasada mi vida vi. ¿Flores con estrellas? Sí. Aunque sus rigores lloro, esa propiedad ignoro. Escucha, sabráslo. Di. 1685 Esos rasgos de luz, esas centellas, que cobran con amagos superiores alimentos del sol en resplandores, aquello viven que se duele de ellas. Flores nocturnas son; aunque tan bellas, 1690 efímeras padecen sus ardores: pues, si un día es el siglo de las flores, una noche es la edad de las estrellas. De esa, pues, primavera fugitiva ya nuestro mal, ya nuestro bien se infiere; 1695 registro es nuestro, o muera el sol o viva. ¿Qué duración habrá que el hombre espere, o qué mudanza habrá, que no reciba de astro que cada noche nace y muere? Vase, y sale Muley.
MULEY
DON FERNANDO
A que se ausentase Fénix en esta parte esperé; que el águila más amante huye de la luz tal vez. ¿Estamos solos? Sí.
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DON FERNANDO FENIX
DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO
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Non li ami più? Non m’attrae quel lucore porporino. Perché mai? Nasce la donna soggetta a morte e sventura: da questa stella importuna si misura la mia vita. Fiori come le stelle? Sì. Benché ne pianga la sorte, questa qualità la ignoro. Ascolta, la conoscerai. Di’. Questi raggi di luce e di scintille, che al sole con presagi superiori prendono a nutrimento gli splendori, vivono quanto il sole se ne duole. Sono fiori notturni, e pur se belli essi patiscono effimeri ardori; perché se un giorno è il secolo dei fiori, solo una notte è l’età delle stelle. Ma questa primavera fuggitiva il nostro bene e il nostro male tiene; vi siamo scritti, muoia il sole o viva. Quale durata all’uomo non proviene, qual mutamento ch’egli non riceva da stella che al dì muore e a notte viene? Esce ed entra Muley.
MULEY
DON FERNANDO
Ho atteso da questa parte che Fenix si allontanasse; anche l’aquila più amante della luce può fuggirla. Siamo ora soli? Sì. 601
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, SEGUNDA JORNADA MULEY DON FERNANDO MULEY
Escucha. ¿Qué quieres, noble Muley? Que sepas que hay en el pecho de un moro lealtad y fe. No sé por donde empezar a declararme, ni sé si diga cuánto he sentido este inconstante desdén del tiempo, este estrago injusto de la suerte, este cruel ejemplo del mundo, y este de la fortuna vaivén. Mas a riesgo estoy si aquí hablar contigo me ven, que tratarte sin respeto es ya decreto del Rey. Y así, mi dolor dejando la voz, que él podrá más bien explicarse, como esclavo vengo a arrojarme a esos pies. Yo lo soy tuyo, y así no vengo, Infante, a ofrecer mi favor, sino a pagar deuda que un tiempo cobré. La vida que tú me diste vengo a darte; que hacer bien es tesoro que se guarda para cuando es menester. Y porque el temor me tiene con grillos de miedo al pie, y está mi pecho y mi cuello entre el cuchillo y cordel, quiero, acortando discursos, declararme de una vez: y así, digo que esta noche tendré en el mar un bajel prevenido; en las troneras
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO SECONDO MULEY DON FERNANDO MULEY
Ascolta. Che vuoi, nobile Muley? Che tu sappia che nel cuore di un moro c’è lealtà e fede. Non so da dove iniziare a spiegarmi, né so dirti quanto ho sofferto l’oltraggio di questo tempo incostante, questa violenza arbitraria della sorte, questo esempio crudele del mondo, questo pendolo della fortuna. Ma se a parlare mi vedono qui con te, corro dei rischi poiché il re ha ormai decretato che vilmente ti si tratti. E così, senza parole, ti parlerà il mio dolore meglio, dato che da schiavo vengo a prostrarmi ai tuoi piedi. E tale sono, e così non vengo, principe, a offrirti il mio aiuto, ma a pagare il debito già contratto. La vita che tu mi hai dato vengo a ridarti; il far bene è un tesoro da serbare per il tempo del bisogno. E poiché l’ansia mi tiene con catene del timore, e sta il mio collo e il mio cuore tra il capestro e la mannaia voglio, abbreviando i discorsi, dichiararti il mio disegno: terrò pronto questa notte un vascello armato in mare; metterò negli spioncini 603
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DON FERNANDO MULEY
de las mazmorras pondré instrumentos que desarmen las prisiones que tenéis; luego, por parte de afuera, los candados romperé. Tú, con todos los cautivos que Fez encierra, hoy en él vuelve a tu patria, seguro de que yo lo quedo en Fez, pues es fácil el decir que ellos pudieron romper la prisión; y así los dos habremos librado bien, yo el honor y tu la vida, pues es cierto que a saber el Rey mi intento, me diera por traidor con justa ley; que no sintiera el morir. Y porque son menester para granjear voluntades dineros, aquí se ve a estas joyas reducido innumerable interés. Éste es, Fernando, el rescate de mi prisión, ésta es la obligación que te tengo; que un esclavo noble y fiel tan inmenso bien había de pagar alguna vez. Agradecerte quisiera la libertad, pero el Rey sale al jardín. ¿Hate visto conmigo? No. Pues no des que sospechar.
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delle vostre celle tetre gli arnesi che spezzeranno i ferri che v’incatenano mentr’io, agendo dall’esterno, spezzerò quei chiavistelli Tu allora, e tutti gli schiavi che Fez rinchiude, potrete salpare verso la patria salvi come io sarò a Fez, ché sarà facile dire che i prigionieri da soli le catene hanno spezzato; così entrambi salveremo io l’onore e tu la vita: ma se il mio piano venisse il re a sapere, e mi desse la pena che spetta ai rei, non mi dorrebbe il morire. E poiché serve denaro per guadagnarsi i favori, ecco qui questi preziosi che si potranno mutare in un grande capitale. Questo è, Fernando, il riscatto della mia cattura, è questo l’obbligo verso di te: uno schiavo leale e nobile doveva pur ripagare un beneficio sì grande. Vorrei potere accettare la libertà, ma, sta uscendo il re in giardino. Ti ha visto con me? No. Allora non dare sospetti. 605
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De estos ramos haré rustico cancel que me encubra mientras pasa.
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Vase, y sale el Rey. REY
(Aparte)
MULEY REY MULEY REY
MULEY
REY
MULEY REY
(¿Con tal secreto Muley y Fernando? E irse el uno en el punto que me ve, y disimular el otro? Algo hay aquí que temer. Sea cierto, o no sea cierto, mi temor procuraré asegurar.) Mucho estimo... Gran señor, dame tus pies. Hallarte aquí. ¿Qué me mandas? Mucho he sentido el no ver a Ceuta por mía. Conquista, coronado de laurel, sus muros; que a tu valor mal se podrá defender. Con más doméstica guerra se ha de rendir a mis pies. ¿De qué suerte? De esta suerte: con abatir y poner a Fernando en tal estado que él mismo a Ceuta me dé. Sabrás pues, Muley amigo, que yo he llegado a temer que del Maestre la persona no está muy segura en Fez. Los cautivos que en estado tan abatido le ven, se lastiman, y recelo
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Con questi rami farò una rustica siepe che mi occulti mentre passa. Esce ed entra il Re.
RE
(Fra sé)
MULEY RE MULEY RE
MULEY
RE
MULEY RE
(Muley che parla in segreto con Fernando? Sicché l’uno al vedermi si allontana mentre l’altro si nasconde? C’è da temere qualcosa. che sia vero o immaginato il sospetto, farò in modo di accertarmene.) È un piacere Sire, lascia che mi prostri. Trovarti qui. Che comandi? Mi turba assai non vedere Ceuta in mano mia. Conquista, incoronato d’alloro, le sue mura; non potrà resistere al tuo valore,. Con più servile conflitto capitolerà a i miei piedi. E in quale modo? Così: con l’umiliare Fernando e ridurlo in tale stato da darmi egli stesso Ceuta. Sappi inoltre, Muley caro, che son giunto a sospettare che non sia sicura a Fez la persona dell’Infante. I prigionieri, vedendolo in sì abietta condizione ne provano pietà e temo 607
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MULEY
(Aparte)
REY
MULEY REY
que se amotinen por él. Fuera de esto, siempre ha sido poderoso el interés; que las guardas con el oro son fáciles de romper. (Yo quiero apoyar ahora que todo esto puede ser, porque de mí no se tenga sospecha.) Tú temes bien, fuerza es que quieran librarle. Pues sólo un remedio hallé, porque ninguno se atreva a atropellar mi poder. ¿Y es, señor? Muley, que tú le guardes, y a cargo esté tuyo; a ti no ha de torcerte ni el temor ni el interés. Alcaide eres del Infante, procura guardarle bien, porque en cualquiera ocasión tú me has de dar cuenta de él.
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Vase. MULEY
Sin duda alguna que oyó nuestros conciertos el Rey. ¡Valgame Alá! Sale don Fernando.
DON FERNANDO MULEY DON FERNANDO MULEY
¿Qué te aflige? ¿Has escuchado? Muy bien. ¿Pues para qué me preguntas qué me aflige, si me ves en tan ciega confusion,
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MULEY
(Fra sé)
RE
MULEY RE
che a causa sua si ammutinino. A parte ciò, è sempre forte dell’interesse il richiamo, sicché ogni grata con l’oro è facile da spezzare. (Ora dovrò sostenere che tutto ciò può accadere, in modo che non sospetti di me). Tu temi a ragione, che provino a liberarlo. Dunque, ho trovato un rimedio affinché nessuno ardisca oltraggiare il mio potere. Quale, sire? Tu, Muley, ne sia il guardiano e tu stesso ne risponda; né interesse né paura ti piegherà. Sii il guardiano dell’Infante, bada di guardarlo bene; perché in qualunque accidente di lui a me risponderai. Esce.
MULEY
Non v’è dubbio che il re ha udito questo nostro concertare. Allah m’aiuti. Entra don Fernando.
DON FERNANDO MULEY DON FERNANDO MULEY
Che t’affligge? Hai sentito? Molto bene. Perché, allora, mi domandi, cosa mi affligge, vedendomi in sì cieca confusione, 609
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DON FERNANDO
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y entre mi amigo y el Rey, el amistad y el honor hoy en batalla se ven? Si soy contigo leal, he de ser traidor con él; ingrato seré contigo, si con él me juzgo fiel. ¿Qué he de hacer (¡valedme, cielos!), pues al mismo que llegué a rendir la libertad me entrega, para que esté seguro en mi confianza? ¿Qué he de hacer si ha echado el Rey llave maestra al secreto? Mas para acertarlo bien te pido que me aconsejes; dime tú: ¿qué debo hacer? Muley, amor y amistad en grado inferior se ven con la lealtad y el honor. Nadie iguala con el Rey, él sólo es igual consigo; y asì mi consejo es que a él le sirvas y me faltes. Tu amigo soy; y porque esté seguro tu honor yo me guardaré también; y aunque otro llegue a ofrecerme libertad, no aceptaré la vida, porque tu honor conmigo seguro esté. Fernando, no me aconsejas tan leal como cortés. Sé que te debo la vida, y que pagártela es bien; y así lo que está tratado esta noche dispondré.
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quando tra il mio amico e il re, tra l’amicizia e l’onore ora c’è un’aspra battaglia? Se ora con te sono leale, con lui sarò traditore, ma ingrato sarò con te se a lui rimango fedele. Che fare? (che il cielo m’aiuti!) Se in custodia mi da proprio chi volevo fosse libero, sì che possa aver la prova della lealtà che gli porto? Che fare, se il re ha girato la chiave del mio segreto? Ti prego di consigliarmi, dimmi tu, che debbo fare? Muley, meritano ossequio minore amore e amicizia rispetto a onore e lealtà. Nessuno al re può esser pari, egli solo è pari a sé. Dunque è questo il mio consiglio: servi lui, e abbandona me. Sono tuo amico; e perché il tuo onore stia al sicuro, pure io me ne starò in guardia. Così se un altro venisse a offrirmi la libertà, non accetterei la vita, pur di serbare il tuo onore. Fernando, non consigliarmi, così leale e così amico. So che ti debbo la vita e che è bene che la paghi; questa notte disporrò quanto è stato progettato.
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Líbrate tú, que mi vida se quedará a padecer tu muerte; líbrate tú, que nada temo después. ¿Y será justo que yo sea tirano y cruel con quien conmigo es piadoso, y mate al honor, cruel, que a mí me está dando vida? No, y así te quiero hacer juez de mi causa y mi vida; aconséjame también. ¿Tomaré la libertad de quien queda a padecer por mí? ¿Dejaré que sea uno con su honor cruel por ser liberal conmigo? ¿Qué me aconsejas? No sé; que no me atrevo a decir sí, ni no: el no, porque me pesará que lo diga; y el sí, porque echo de ver si voy a decir que sí, que no te aconsejo bien. Sí aconsejas, porque yo, por mi Dios y por mi ley, seré un Príncipe Constante en la esclavitud de Fez.
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Liberati tu, a subire la tua morte resterà la mia vita; tu liberati, nulla poi potrò temere. E sarà giusto che io sia fiero tiranno con chi verso me è stato pietoso, che fiero annienti l’onore di chi ora mi offre la vita? No, e così ti faccio giudice della causa e vita mie; consigliami tu a tua volta. La libertà accetterò da chi rimane a patire per me? Lascerò che uno sia crudele con il suo onore, perché favorisca me? Su, che consigli? Non so; non mi azzardo a dirti sì, né no: perché se no dico, mi peserà averlo detto; e se sì, perché già intendo che se scelgo per il sì non ti ho consigliato bene. Dunque, consigliami il sì, ché io per la legge e il mio Dio, sarò un Principe Costante nella schiavitù di Fez.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, TERCERA JORNADA
TERCERA JORNADA Salen Muley y el Rey. MULEY
REY MULEY REY MULEY REY
MULEY REY
MULEY
REY MULEY
(Aparte)
(Ya que socorrer no espero, por tantas guardas del Rey, a Don Fernando, hacer quiero sus ausencias, que ésta es ley de un amigo verdadero.) Señor, pues yo te serví en tierra y mar, como sabes, si en tu gracia merecí lugar, en penas tan graves, atento me escucha. Di. Fernando... No digas más. ¿Posible es que no me oirás? No, que en diciendo Fernando ya me ofendes. ¿Cómo o cuándo? Como ocasión no me das de hacer lo que me pidieres, cuándo me ruegas por él. Si soy su guarda, ¿no quieres, señor, que dé cuenta de él? Di; pero piedad no esperes. Fernando, cuya importuna suerte sin piedad alguna vive, a pesar de la fama, tanto que el mundo le llama el monstruo de la fortuna, examinando el rigor, mejor dijera el poder de tu corona, señor, hoy a tan mísero ser le ha traído su valor
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ATTO TERZO Entrano Muley e il Re. MULEY
RE MULEY RE MULEY RE
MULEY RE
MULEY
RE MULEY
(A parte)
(Giacché non potrò soccorrere, fra tante guardie del re, don Fernando, prenderò almeno le sue difese: è obbligo di un vero amico). Sire, se averti servito come sai, sul mare e in terra, la tua grazia ho meritato, ora, tra pene sì gravi, ti prego, ascoltami Di’. Fernando... Non proseguire. Non mi vuoi, dunque, ascoltare? No. Pronunziando Fernando già m’offendi. Ma perché? Perché, per lui intercedendo, non mi dai la facoltà di fare ciò che mi chiedi. Sire, essendo il suo custode, di lui non debbo informarti? Di’, ma pietà non sperare. Fernando, la cui crudele sorte, senza pietà alcuna, dura a onta della sua fama, tanto che il mondo lo chiama prodigio della sfortuna, messo alla prova il rigore, meglio dirò la potenza della tua corona, sire, in così misero stato questo suo ardire l’ha tratto, 615
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que en un lugar arrojado, tan humilde y desdichado que es indigno de tu oído, enfermo, pobre y tullido piedad pide al que ha pasado; porque como le mandaste que en las mazmorras durmiese, que en los baños trabajase, que tus caballos curase, y nadie a comer le diese, a tal extremo llegó, como era su natural tan flaco, que se tulló; y así, la fuerza del mal brío y majestad rindió. Pasando la noche fría en una mazmorra dura, constante en su fe porfía; y al salir la lumbre pura del sol, que es padre del día, los cautivos, (¡pena fiera!) en una mísera estera le ponen en tal lugar, que es, ¿dirélo?, un muladar, porque es su olor de manera que nadie puede sufrirle junto a su casa, y así todos dan en despedirle, y ha venido a estar allí sin hablarle y sin oírle, ni compadecerse de él. Sólo un criado y un fiel caballero en pena extraña le consuela y le acompaña. Estos dos parten con él su porción, tan sin provecho, que para uno solo es poca,
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che, gettato in una cella, in stato misero e abietto, sì che è indegno del tuo ascolto, povero, infermo ed inerte, chiede a chi passa, pietà; così, avendo tu ordinato che dorma in una segreta, che pulisca le prigioni, che accudisca ai tuoi cavalli, che nessuno osi sfamarlo, a tale estremo è arrivato, essendo già cagionevole, che è tutto paralizzato. Ormai la forza del male Maestà e vigore ne ha vinto. Passando le freddi notti in quella dura segreta, nella sua fede è costante. E quando spunta la luce del sole, padre del giorno, gli schiavi (pena crudele!) sopra una misera stuoia lo depongono in un luogo che è – lo dico? – un letamaio, perché il suo fetore è tale che nessuno può soffrirlo vicino al proprio giaciglio; così tutti lo allontanano senza che alcuno gli parli o abbia per lui compassione. Solo un servo e un cavaliere, fedeli in pena sì estrema, gli danno consolazione. Essi con lui si spartiscono il loro misero pasto che è poco per uno solo,
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REY
pues cuando los labios toca se suele pasar al pecho sin que lo sepa la boca; y aun a estos dos los castiga tu gente, por la piedad que al dueño a servir obliga; mas no hay rigor ni crueldad, por más que ya los persiga, que de él los pueda apartar. Mientras uno va a buscar de comer, el otro queda con quien consolarse pueda de su desdicha y pesar. Acaba ya rigor tanto; ten del príncipe, señor, puesto en tan fiero quebranto, ya que no piedad, horror; asombro, ya que no llanto. Bien está, Muley.
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Sale Fénix. FÉNIX
REY FÉNIX REY
FÉNIX
REY
Señor, si ha merecido en tu amor gracia alguna mi humildad, hoy a Vuestra Majestad vengo a pedir un favor. ¿Qué podré negarte a ti? Fernando el Maestre... Está bien; ya no hay que pasar de ahí. Horror da a cuantos le ven en tal estado; de ti sólo merecer quisiera... ¡Detente, Fénix, espera! ¿Quién a Fernando le obliga para que su muerte siga,
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RE
tanto che, appena è alle labbra, fino alle viscere arriva, ma non lo sente la bocca. Entrambi sono puniti dai tuoi per il giusto amore che al loro signore li obbliga; ma nessun crudo rigore, per quanto siano vessati, da lui li può separare. Mentre uno va a cercar cibo, l’altro resta perché egli abbia con chi possa consolarsi delle sue pene e disgrazie. Smetti sì grande rigore, abbi del principe, sire, ridotto a tale rovina, se non pietà, almeno orrore; turbamento, se non pianto. E sta bene, Muley. Entra Fenix.
FENIX
RE FENIX RE
FENIX
RE
Sire, se la mia obbedienza qualche favore ha pur meritato dal tuo amore, Vostra Altezza una grazia ora t’imploro. Cosa mai potrei negarti? Fernando, il Maestro Sta bene; è inutile proseguire. Orrore incute a coloro che in tale stato lo vedono; vorrei che mi ricompensi... Fermati, Fenix, ascolta! Chi ha mai costretto Fernando a cercare la sua morte, 619
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para que infelice muera? Si por ser cruel y fiel a su fe sufre castigo tan dilatado y cruel, él es el cruel consigo, que yo no lo soy con él. ¿No está en su mano el salir de su miseria y vivir? Pues eso en su mano está, entregue a Ceuta, y saldrá de padecer y sentir tantas penas y rigores.
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Sale Celín. CELÍN
FÉNIX
(Aparte)
MULEY
(Aparte)
REY
Licencia aguardan que des, señor, dos embajadares: de Tarudante uno es, y el otro del portugués Alfonso. (¿Hay penas mayores? Sin duda que por mí envía Tarudante.) (Hoy perdí, cielos, la esperanza que tenía. Matenme amistad y celos, todo lo perdí en un día.) Entren, pues. En este estrado conmigo te asienta, Fénix.
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Siéntanse. Salen Alfonso y Tarudante, cada uno por su puerta. TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE
Generoso Rey de Fez... Rey de Fez altivo y fuerte... cuya fama... cuya vida... nunca muera...
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e a morire da infelice? Se perché ostinato e fermo nella sua fede, patisce sì lungo e fiero castigo, crudele è egli con se stesso, ma non io con lui crudele. Non è forse in suo potere tornare libero e vivere? E poiché è in sua potestà, mi dia Ceuta, e cesserà di sopportare e soffrire tante pene e patimenti. Entra Celin. CELIN
FENIX
(Fra sé)
MULEY
(A parte)
RE
Che dia loro udienza aspettano due ambasciatori, signore; da Tarudante uno è inviato e dal portoghese Alfonso l’altro. (Quale maggior pena? Di certo mi manda a prendere Tarudante). (Ho perso cieli ogni speranza. Amicizia e gelosia ora m’uccidono. ché tutto ho perso in un giorno). Entrino pure. E tu siedi, Fenix, sul trono a me accanto.
Si siedono. Entrano Alfonso e Tarudante, ognuno da una porta diversa. TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE
Generoso re di Fez... Re di Fez sovrano e forte... la cui fama... la cui vita... mai non muoia... 621
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viva siempre... y tú de aquel Sol Aurora... DON ALFONSO tú de aquel Ocaso Oriente... TARUDANTE a pesar de siglos dures... DON ALFONSO a pesar de tiempos reines... TARUDANTE porque tengas... DON ALFONSO porque goces... TARUDANTE felicidades... DON ALFONSO laureles... TARUDANTE altas dichas... DON ALFONSO triunfos grandes... TARUDANTE pocos males. DON ALFONSO Muchos bienes. TARUDANTE ¿Cómo mientras hablo yo, tú, cristiano, a hablar te atreves? DON ALFONSO Porque nadie habla primero que yo, donde yo estuviere. TARUDANTE A mí, por ser de nación alarbe, el lugar me deben primero; que los extraños donde hay propios, no prefieren. DON ALFONSO Donde saben cortesía, sí hacen; pues vemos siempre que dan en cualquiera parte el mejor lugar al huésped. TARUDANTE Cuando esa razón lo fuera, aun no pudiera vencerme, porque el primero lugar sólo se le debe al huésped. REY Ya basta; y los dos ahora en mis estrados se sienten. Hable el portugués, que en fin por de otra ley se le debe más honor. TARUDANTE (Aparte) (Corrido estoy.) DON ALFONSO Ahora yo seré breve: Alfonso de Portugal, DON ALFONSO TARUDANTE
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duri sempre... e tu di quel sole aurora... DON ALFONSO Tu di quel occaso oriente... TARUDANTE possa restare oltre i secoli... DON ALFONSO possa regnare oltre il tempo... TARUDANTE perché ottenga... DON ALFONSO perché goda... TARUDANTE grandi fortune... DON ALFONSO vittorie... TARUDANTE grandi glorie... DON ALFONSO immensi trionfi... TARUDANTE poche pene... DON ALFONSO molte gioie. TARUDANTE Come mai, mentre io parlo, osi parlare anche tu cristiano? DON ALFONSO Nessuno, là dove sto io, può parlare prima di me. TARUDANTE Vengo da regno islamico e dunque la precedenza spetta a me; ché gli stranieri non son primi in terra nostra. DON ALFONSO Dove usano cortesia, così fanno; infatti sempre in ogni occasione all’ospite viene dato il primo posto. TARUDANTE Quando fosse un argomento non potrebbe persuadermi, perché solo il primo posto all’ospite spetterebbe. RE Ormai basta; ed ora entrambi sedete su questi scanni. Parli, infine, il portoghese che è straniero, e gli si deve più onore. TARUDANTE (Fra sé) (Che umiliazione!) DON ALFONSO Allora intendo esser breve: Alfonso di Portogallo,
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TARUDANTE
Rey famoso, a quien celebre la fama en lenguas de bronce a pesar de envidia y muerte, salud te envía, y te ruega, que pues libertad no quiere Fernando, como su vida la ciudad de Ceuta cueste, que remitas su valor hoy a cuantos intereses el más avaro codicie, el más liberal desprecie; y que dará en plata y oro tanto precio como pueden valer dos ciudades. Esto te pide amigablemente. Pero si no se le entregas, que ha de librarle promete por armas, a cuyo efecto ya sobre la espaIda leve del mar ciudades fabrica de mil armados bajeles; y jura que a sangre y fuego ha de librarle y vencerte, dejando aquesta campaña llena de sangre, de suerte que cuando el sol se levante halle los matices verdes esmeraldas, y los pierda rubíes cuando se acueste. Aunque como embajador no me toca responderte, en cuanto toca a mi Rey, puedo, cristiano, atreverme – porque ya es suyo este agravio – como hijo que obededece al Rey, mi señor; y así, decir de su parte puedes
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TARUDANTE
re glorioso che la fama celebra con bronzee epigrafi, invidia e morte sfidando, salute ti augura e chiede, poiché Fernando non vuole libertà, ché la sua vita sarebbe il prezzo di Ceuta, che il suo valore rimetta a un costo con interessi che brami il più esoso avaro, e il liberale disprezzi: ti darà in oro e in argento un valore pari al prezzo di due città. Ciò ti chiede nel più amichevole modo. Ma se non lo cederai, promette di liberarlo con le armi, e per questo scopo, sulla mobile distesa del mare, eleva città di mille navi da guerra; e giura che a fuoco e a sangue, lo libererà vincendoti e lasciando questi campi intrisi di sangue, tanto che il sol nascendo li trovi illuminati di verde smeraldo, e al suo tramontare di rubino li abbandoni. Sebbene da ambasciatore non tocchi a me la risposta, che spetterebbe al mio re, posso osar tanto, cristiano, – poiché è lui che viene offeso – come figlio che ubbidisce al re, mio sire; e così, da parte sua riferisci 625
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DON ALFONSO
TARUDANTE
DON ALFONSO TARUDANTE
DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO REY
a don Alfonso que venga, porque en término más breve que hay de la noche a la aurora, vea en purpura caliente agonizar estos campos, tanto que los cielos piensen que se olvidaron de hacer otras flores que claveles. Si fueras, moro, mi igual, pudiera ser que se viese reducida esta victoria a dos jóvenes valientes; mas dile a tu Rey que salga si ganar fama pretende, que yo haré que salga el mío. Casi has dicho que lo eres, y siendo así, Tarudante sabrá también responderte. Pues en campaña te espero. Yo haré que poco me esperes, porque soy rayo. Yo viento. Volcán soy que llamas vierte. Hidra soy que fuego arroja. Yo soy furia. Yo soy muerte. ¿Que no te espantes de oírme? ¿Que no te mueras de verme? Señores, Vuestras Altezas, ya que los enojos pueden correr al sol las cortinas que le embozan y oscurecen, adviertan que en tierra mía campo aplazarse no puede sin mí; y así yo le niego, para que tiempo me quede de serviros.
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DON ALFONSO
TARUDANTE
DON ALFONSO TARUDANTE
DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO TARUDANTE DON ALFONSO RE
a don Alfonso che venga, poiché in un tempo più breve di quello tra notte e aurora, vedrà nella calda porpora questi campi agonizzare, sì che i cieli penseranno di aver scordato di creare altri fiori oltre i garofani. Moro, se fossi mio pari, ora potrebbe vedersi questa contesa risolta da due valorosi giovani; Ma di’ al tuo re che entri in campo, se aspira a conquistar fama, e io farò che entri il mio in campo. Che sei il re, lo hai quasi detto, e se è così, Tarudante da pari saprà risponderti. Dunque, ti aspetto sul campo. Farò breve la tua attesa, ché sarò fulmine. Io vento. Sono vulcano che esplode. Sono Idra che scaglia fiamme. Sono furia. Ed io la morte. Non ti spaventa l’udirmi? Non muori solo a vedermi? Signori, vostre maestà, giacché l’ira ha fatto scorrere i veli che il vostro sole appannavano e oscuravano, vi avverto che in terra mia non si può scendere in campo senza mio ordine, e io lo nego, perché disponga del tempo per onorarvi. 627
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REY
DON ALFONSO
No recibo yo hospedajes y mercedes de quien recibo pesares. Por Fernando vengo; el verle me obligó a llegar a Fez disfrazado de esta suerte. Antes de entrar en tu corte supe que a esta quinta alegre asistías, y así vine a hablarte, porque fin diese la esperanza que me trajo; y pues tan mal me sucede, advierte, señor, que sólo la respuesta me detiene. La respuesta, Rey Alfonso, será compendiosa y breve: que si no me das a Ceuta, no hayas miedo que le lleves. Pues ya he venido por él, y he de llevarle: prevente para la guerra que aplazo. Embajador, o quien eres, veámonos en campaña. ¡Hoy toda el África tiemble!
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Vase. TARUDANTE
FÉNIX
Ya que no pude lograr la fineza, hermosa Fénix, de serviros como esclavo, logre al menos la de verme a vuestros pies. Dad la mano a quien un alma os ofrece. Vuestra Alteza, gran señor, finezas y honras no aumente a quien le estima, pues sabe lo que a sí mismo se debe.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO TERZO DON ALFONSO
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Accoglienza e cortesie non ricevo da chi mi infligge dolori. Io sono qui per Fernando; per vederlo a Fez son giunto travestito in questo modo. Prima che in città arrivassi seppi che eri in questa villa per diporto, e qui son giunto a parlarti e a realizzare la speranza che mi ha tratto; ma, data questa accoglienza, bada, sire, che mi frena solo avere una risposta. E la risposta, re Alfonso, sarà concisa e stringata: se non mi consegni Ceuta, non c’è modo che lo liberi. Poiché per lui son venuto lo trarrò via: tu preparati, ti dichiaro, infatti, guerra. Messaggero, o chi tu sia, ci incontreremo sul campo. E ora tremi tutta l’Africa! Esce.
TARUDANTE
FENIX
Visto che non ho ottenuto il favore, Fenix bella, di servirvi come schiavo, mi sia concesso vedermi ai vostri piedi. A chi l’anima v’offre, donate la mano. Vostra Altezza, gran signore, grazie e onori non vi accrescono la stima, ché voi sapete quanto dovete a voi stesso. 629
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REY
TARUDANTE
REY
TARUDANTE
REY
(¿Qué espera quien esto llega a ver y no se da muerte?) Ya que Vuestra Alteza vino a Fez impensadamente, perdone del hospedaje la cortedad. No consiente mi ausencia más dilación que la de un plazo muy breve; y supuesto que venía mi embajador con poderes para llevar a mi esposa, como tú dispuesto tienes, no, por haberlo yo sido, mi fineza desmerece la brevedad de la dicha. En todo, señor, me vences; y así por pagar la deuda, como porque se previenen tantas guerras, es razón que desocupado quede de estos cuidados; y así volverte luego conviene antes que ocupen el paso las amenazadas huestes de Portugal. Poco importa, porque yo vengo con gente y ejército numeroso, tal, que esos campos parecen ciudades más que desiertos y volveré brevemente con ella a ser tu soldado. Pues luego es bien que se apreste la jornada; pero en Fez será bien, Fénix, que entres
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO TERZO MULEY
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RE
TARUDANTE
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(Che aspetta a darsi la morte chi arriva a vedere questo?) Giacché Vostra Altezza è giunto inaspettato qui a Fez perdoni questa modesta accoglienza. La mia assenza non potrà essere protratta se non d’un tempo assai breve: dato che il mio ambasciatore veniva con il mandato di portar via la mia sposa, come tu avevi disposto, ma essendo arrivato io stesso, la mia cortesia ben merita che presto arrivi la gioia. Signore, in tutto mi vinci; così, perché io paghi il debito, ma anche perché ora s’annunciano terribili guerre, è giusto che tu resti sollevato dalle altre cure; e così conviene che te ne torni prima che occupino il passo gli eserciti minacciosi del Portogallo. Che importa! Sono giunto con la scorta di una così ingente armata che queste distese appaiono più che deserti città, e subito alla sua testa torno schierato al tuo fianco. È bene disporsi al viaggio; perciò, Fenix, che tu rientri a Fez è cosa opportuna,
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MULEY
a alegrar esa ciudad. Muley. ¿Gran señor? Prevente, que con la gente de guerra has de ir sirviendo a Fénix, hasta que quede segura y con su esposo la dejes.
REY
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Vanse los tres. MULEY
Esto sólo me faltaba, para que, estando yo ausente, aun le falte mi socorro a Fernando, y no le quede esta pequeña esperanza.
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Vase. Sacan en brazos al Infante don Fernando, don Juan, Brito y cautivos, y sacan una estera en que sentarle. DON FERNANDO
Ponedme en aquesta parte, para que goce mejor la luz que el cielo reparte. ¡Oh inmenso, oh dulce Señor, qué de gracias debo darte! Cuando como yo se vía Job, el día maldecía, mas era por el pecado en que había sido engendrado; pero yo bendigo el día por la gracia que nos da Dios en él; pues claro está que cada hermoso arrebol, y cada rayo del sol, lengua de fuego será con que le alabo y bendigo.
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rallegrando la città. Muley. Signore? Preparati, con un drappello d’armati dovrai far da scorta a Fenix fino a che, posta al sicuro, possa lasciarla al suo sposo.
MULEY RE
Escono. Questo solo mi mancava, che costretto a allontanarmi verrà meno il mio sostegno a Fernando, e insieme a questo la più piccola speranza.
MULEY
Esce. Don Juan, Bruito e altri prigionieri trasportano in braccio don Fernando e lo depongono su una stuoia. DON FERNANDO
Da questa parte ponetemi, perché meglio mi rallegri la luce che il cielo effonde. Oh immenso, oh dolce Signore, quanto debbo esserti grato! In stato simile al mio Giobbe malediva il giorno, ma la causa era il peccato in cui venne concepito; però io benedico il giorno per la grazia che con esso Dio ci dona; infatti è chiaro che ogni dolcissimo lume, ed ogni raggio di sole, sarà una lingua di fuoco per benedirlo e lodarlo. 633
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PRÍNCIPE CONSTANTE, TERCERA JORNADA BRITO DON FERNANDO
CAUTIVO
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DON FERNANDO CAUTIVO CAUTIVO
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¿Estás bien, señor, así? Mejor que merezco, amigo. ¡Qué de piedades aquí, oh Señor, usáis conmigo! Cuando acaban de sacarme de un calabozo, me dais un sol para calentarme: liberal, Señor, estáis. Sabe el cielo si quedarme y acompañaros quisiera, mas ya veis que nos espera el trabajo. Hijos, adiós. ¡Qué pesar! ¡Qué ansia tan fiera!
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Vanse. DON FERNANDO DON JUAN DON FERNANDO DON JUAN
¿Quedais conmigo los dos? Yo también te he de dejar. ¿Qué haré yo sin tu favor? Presto volveré, señor, que sólo voy a buscar algo que comas, porque después que Muley se fue de Fez, nos falta en el suelo todo el humano consuelo; pero con todo eso iré a procurarle, si bien imposibles solicito, porque ya cuantos me ven, por no ir contra el edito que manda que no te den ni agua tampoco, ni a mí me venden nada, señor, por ver que te asisto a ti; que a tanto llega el rigor
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PRINCIPE COSTANTE, ATTO TERZO BRITO DON FERNANDO
I PRIGIONIERO
DON FERNANDO II PRIGIONIERO III PRIGIONIERO
Stai bene così, signore? Meglio di quanto mi merito, amico. Quanta pietà, oh Signore, mi mostrate! Mi hanno appena tratto fuori da un pozzo tetro, che un sole per scaldarmi già mi date: Siete prodigo, Signore! Sa il cielo quanto vorrei fermarmi e starvi vicino, ma, ci aspetta, lo sapete, il lavoro. Amici, addio. Che pena! Che angoscia atroce! Escono.
DON FERNANDO DON JUAN DON FERNANDO DON JUAN
Voi due restate con me? Anch’io ti devo lasciare. Che farò senza il tuo aiuto? Tornerò presto, signore, vado soltanto a cercare qualcosa perché ti sfami; dacché Muley è partito da Fez, in terra ci manca ogni umana carità; tuttavia me ne andrò in giro per procurarla, sapendo che cerco ciò che è impossibile, perché quelli che mi vedono, per non violare l’editto che prescrive di negarti anche un po’ d’acqua, signore, nulla vorranno vendermi, dato che è per aiutarti: a tanto giunge il rigore 635
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de la suerte. Pero aquí gente viene. Vase. DON FERNANDO
¡Oh si pudiera mover a alguno a piedad mi voz, para que siquiera un instante más viviera padeciendo!
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Salen el Rey, Tarudante, Fénix y Celín. CELÍN
REY
TARUDANTE DON FERNANDO
BRITO
DON FERNANDO BRITO
Gran señor, por una calle has venido que es fuerza que visto seas del Infante y advertido. Acompañarte he querido porque mi grandeza veas. Siempre mis honras deseas. Dadle de limosna hoy a este pobre algún sustento; mirad que hombre humano soy, y que afligido y hambriento muriendo de hambre estoy. Hombres doleos de mí, que una fiera de otra fiera se compadece. Ya aquí no hay pedir de esa manera. ¿Cómo he de decir? Así: moros, tened compasión, y algo que este pobre coma le dad en esta ocasión, por el santo zancarrón del gran profeta Mahoma.
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della sorte. Però qui viene gente. Esce. DON FERNANDO
Oh, se potesse muover qualcuno a pietà la mia voce, allora avrei da vivere in sofferenza un istante di più. Entrano il Re, Tarudante, Fenix e Celin.
CELIN
RE
TARUDANTE DON FERNANDO
BRITO
DON FERNANDO BRITO
Sire, per una via sei venuto in cui di certo ti ha visto l’Infante e riconosciuto. Ho voluto accompagnarti per mostrarti il mio potere. Cerchi sempre d’onorarmi. Fate a un povero elemosina, datemi un tozzo di pane; guardatemi, sono un essere umano, così stremato che esausto muore di fame. Uomini, abbiate pietà: compatisce anche una fiera un’altra fiera. Ma qui non è così che si chiede. Che devo dire? Così: mori, abbiate compassione; date a questo disgraziato qualche cosa da mangiare per quello stinco di santo di Maometto il gran profeta.
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Que tenga fe en este estado tan mísero y desdichado, más me ofende y más me infama. ¡Maestre!, ¡Infante! El Rey llama. ¿A mí, Brito? Haste engañado: ni Infante ni Maestre soy, el cadáver suyo sí; y pues ya en la tierra estoy, aunque Infante y Maestre fui, no es ése mi nombre hoy. Pues no eres Maestre ni Infante, respóndeme a mí Fernando. Ahora, aunque me levante de la tierra, iré arrastrando a besar tu pie. Constante te muestras a mi pesar. ¿Es humildad o valor esta obediencia? Es mostrar cuanto debe respetar el esclavo a su señor. Y pues que tu esclavo soy, y estoy en presencia tuya, esta vez tengo de hablarte, mi Rey y señor, escucha. Rey te llamé y, aunque seas de otra ley, es tan augusta de los reyes la deidad, tan fuerte y tan absoluta, que engendra ánimo piadoso; y así es forzoso que acudas a la sangre generosa con piedad y con cordura; que aun entre brutos y fieras este nombre es de tan suma
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Che in questo stato sì misero e derelitto non perda la fede, m’offende e infama. Maestro! Infante! Il re chiama. Chiama me, Brito? T’inganni. Non sono Infante, né Maestro, semmai il cadavere loro; e anche se sto sulla terra, sebbene fui Maestro e Infante, non mi chiamo oggi così. Se non sei più Maestro e Infante, come Fernando rispondimi. Ora, anche se dovrò alzarmi da terra, verrò strisciando a baciarti i piedi. A mia onta ti mostri così costante. Dunque, è umiltà o fierezza questa obbedienza? È la prova del rispetto che è dovuto dallo schiavo al suo signore. E poiché sono tuo schiavo, trovandomi al tuo cospetto, vorrei poterti parlare: ascolta mio re e signore. Re ti ho chiamato, e sebbene lo sia tu per altra legge, dei re la sacralità è così augusta e assoluta da rendere la loro anima pietosa; dunque ti è forza il tuo generoso sangue con saggezza assecondare e pietà, ché anche tra i bruti e le fiere questo nome 639
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autoridad, que la ley de naturaleza ajusta obediencias. Y así, leemos en repúblicas incultas al león rey de las fieras, que cuando la frente arruga de guedejas se corona, ser piadoso, pues que nunca hizo presa en el rendido. En las saladas espumas del mar el delfín, que es rey de los peces, le dibujan escamas de plata y oro sobre la espalda cerúlea coronas, y ya se vio de una tormenta importuna sacar los hombres a tierra, porque el mar no los consuma. El águila caudalosa, a quien copete de plumas riza el viento en sus esferas, de cuantas aves saludan al sol es emperatriz, y con piedad noble y justa, porque brindado no beba el hombre entre plata pura la muerte, que en los cristales mezcló la ponzoña dura del áspid, con pico y alas borra, deshace y enturbia. Aun entre plantas y piedras se dilata y se dibuja este imperio: la granada, a quien coronan las puntas de una corteza en señal de que es reina de las frutas, envenenada marchita
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è di tal somma maestà, che la legge naturale è l’obbedienza. Si legge che nei selvatici regni il leone, re delle fiere, che al corrugare la fronte, si incorona di criniere, è pietoso; infatti mai ha predato chi si è arreso. Nelle onde salse del mare, il delfino, re dei pesci, cui squame d’oro e d’argento sul dorso azzurro disegnano corone, ecco che si vede da una furiosa tempesta trarre gli uomini alla riva perché non li inghiotta il mare. L’aquila reale, cui il vento arriccia il ciuffo di piume nelle sue più eccelse sfere, di quanti uccelli salutano il sole, è l’imperatrice, e perché l’uomo non beva, invitato da onde argentee, la morte che in quei cristalli riversò il fiero veleno del serpe, con giusta e nobile cura, col becco e con l’ali li schizza, intorbida e sporca. Perfino tra piante e pietre la stessa legge si estende e si incide: la granata che incoronano le punte della sua scorza, a segnale che dei frutti è la regina, se è avvelenata fa smorti
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los rubíes que la ilustran, y los convierte en topacios, color desmayada y mustia. El diamante, a cuya vista ni aun el imán ejecuta su propiedad, que por rey esta obediencia le jura, tan noble es que la traición del dueño no disimula; y la dureza, imposible de que buriles la pulan, se deshace entre sí misma, vuelta en cenizas menudas. Pues si entre fieras y peces, plantas, piedras y aves, usa esta majestad de rey de piedad, no será injusta entre los hombres, señor: porque el ser no te disculpa de otra ley, que la crueldad en cualquiera ley es una. No quiero compadecerte con mis lástimas y angustias para que me des la vida, que mi voz no la procura; que bien sé que he de morir de esta enfermedad que turba mis sentidos, que mis miembros discurre helada y caduca. Bien sé, que herido de muerte estoy, porque no pronuncia voz la lengua cuyo aliento no sea una espada aguda. Bien sé, al fin, que soy mortal, y que no hay hora segura; y por eso dio una forma
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i rubini che l’illustrano e li converte in topazi, di colore smunto e spento. Il diamante, accanto al quale neanche usa la calamita le sue facoltà, se è pegno a un re di lealtà giurata, sì nobile è che non cela il tradimento al padrone; la sua durezza, impossibile a intaccarsi coi bulini, si sbriciola da se stessa e muta in minuta cenere. Dunque, se tra fiere e pesci, piante, pietre e uccelli, è norma che si addica la pietà alla maestà del re, ingiusta non sarà, sire, tra gli uomini; né ti discolpa che sia altra la tua legge, che la stessa in tutte è la crudeltà. Non voglio esser compatito per le pene mie e le angosce, perché tu mi offra la vita: non la chiede la mia voce, ché ben so che sto morendo per l’infermità che turba i miei sensi, e tra le membra scorre gelida e letale. So che son piagato a morte, poiché emette la mia lingua solo soffi di parole che come spade trafiggono. Ben so che sono mortale, e che non c’è ora sicura; e per questo la ragione una stessa forma ha dato, 643
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con una materia en una semejanza la razón al ataúd y a la cuna. Acción nuestra es natural cuando recibir procura algo un hombre, alzar las manos en esta manera juntas; mas cuando quiere arrojarlo, de aquella misma acción usa, pues las vuelve boca abajo porque así las desocupa. El mundo cuando nacemos, en señal de que nos busca, en la cuna nos recibe, y en ella nos asegura boca arriba; pero cuando, o con desdén o con furia, quiere arrojarnos de sí, vuelve las manos que junta, y aquel instrumento mismo forma esta materia muda, pues fue cuna boca arriba lo que boca abajo es tumba. Tan cerca vivimos, pues, de nuestra muerte, tan juntas tenemos, cuando nacemos, el lecho como la cuna. ¿Qué aguarda quien esto oye? Quien esto sabe, ¿qué busca? Claro está que no será la vida, no admite duda; la muerte sí; ésta te pido, porque los cielos me cumplan un deseo de morir por la fe; que, aunque presumas que esto es desesperación, porque el vivir me disgusta,
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una in materia e apparenza, sia alla bara che alla culla. Naturale è per noi il gesto, quando qualcosa si chieda, di protendere le palme in questo modo congiunte; ma se qualcosa si voglia gettare via, è eguale il gesto, però con palme all’ingiù, perché è così che si vuotano. Il mondo quando nasciamo, a segno che di noi cerca, nella culla ci riceve, cavità volta all’insù, nel cui seno ci assicura; ma quando con sdegno o furia via da sé ci vuol scagliare, all’ingiù volge la coppa delle sue mani, e un sol gesto forma la muta materia, dato che all’insù fu culla ciò che all’ingiù si fa bara. Tanto prossimi viviamo alla morte, tanto unite alla nascita troviamo la culla e il letto di morte. Che aspetta, chi questo ascolta? Chi sa questo, che mai cerca? È chiaro che non sarà la vita; non v’è alcun dubbio; la morte sì; e questa imploro a te, perché i cieli compiano la mia voglia di morire per la fede; e se sospetti che ciò sia disperazione, perché ho in odio la mia vita,
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no es sino afecto de dar la vida en defensa justa de la fe, y sacrificar a él la vida y alma juntas: y así, aunque pida la muerte, el afecto me disculpa; y si la piedad no puede vencerte, el rigor presuma obligarte. ¿Eres león? Pues ya será bien que rujas, y despedaces a quien te ofende, agravia e injuria. ¿Eres águila? Pues hiere con el pico y con las uñas a quien tu nido deshace. ¿Eres delfín? Pues anuncia tormentas al marinero que el mar de este mundo ocupa. ¿Eres árbol real? Pues muestra todas las ramas desnudas a la violencia del tiempo que iras de Dios ejecuta. ¿Eres diamante? Hecho polvos sé, pues, venenosa furia; y cánsate, porque yo, aunque más tormentos sufra, aunque más rigores vea, aunque llore más angustias, aunque más miserias pase, aunque halle más desventuras, aunque más hambre padezca, aunque mis carnes no cubran estas ropas, y aunque sea mi esfera esta estancia sucia, firme he de estar en mi fe: porque es el sol que me alumbra, porque es la luz que me guía,
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non è che brama di dare la vita in giusta difesa della fede, a Dio immolando l’anima insieme alla vita: così, se imploro la morte a discolparmi è quell’ansia; e se dunque non ti vince la pietà, sappia il rigore obbligarti. Sei tu leone? Che ruggisca sarà bene e che sbrani chi t’offende, chi ti ingiuria e chi ti oltraggia. Vuoi essere aquila? Ferisci con il becco e con gli artigli chi è una minaccia al tuo nido. Sei delfino? Annunzia allora le tempeste al marinaio che del mondo solca i mari. Sei quercia regale? Mostra ormai tutti i rami spogli per la violenza del tempo che esegue le ire di Dio. Sei diamante? Fatto polvere, sii, dunque, velenosa ira; e accanisciti, perché io, pur se più tormenti soffra, pur se veda più rigori, pur se pianga più supplizi, pur se provi più disgrazie, pur se incontri più sventure, pur se le carni non coprano questi stracci, e pur se questa lurida stuoia sia il mio mondo, fermo sarò nella fede: essa è il sole che m’illumina, è la luce che mi guida,
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es el laurel que me ilustra. No has de triunfar de la Iglesia; de mí, si quieres, trïunfa; Dios defenderá mi causa, pues yo defiendo la suya. ¿Posible es, que en tales penas blasones y te consueles, siendo propias? ¿Qué condenas no me duelan, siendo ajenas, si tú de ti no te dueles? Que pues tu muerte causó tu misma mano y yo no, no esperes piedad de mí; ten tú lástima de ti, Fernando, y tendréla yo.
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Señor, Vuestra Majestad me valga. ¡Qué desventura! Vase.
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FÉNIX DON FERNANDO
Si es alma de la hermosura esa divina deidad, vos, señora, me amparad con el Rey. ¡Qué gran dolor! ¿Aun no me miràis? ¡Qué horror! Hacéis bien; que vuestros ojos no son para ver enojos. ¡Qué lástima! ¡Qué dolor! Pues, aunque no me miréis, y ausentaros intentéis, señora, es bien que sepáis,
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è l’alloro che dà gloria. Non trionferai sulla Chiesa; su me, se vuoi, puoi trionfare; Difenda Dio la mia causa, dato che io la sua difendo. E tu puoi in siffatte pene consolarti, e anche vantarti di soffrirle? A ché m’accusi che non curo le altrui pene, se non soffri per le tue? Da te stesso hai decretato la tua morte, e non fui io: non ti attendere pietà; abbi di te compassione, e l’avrai da me, Fernando. Esce.
DON FERNANDO
TARUDANTE
Signore, Vostra Maestà, chiedo pietà. Che sventura! Esce.
DON FERNANDO
FENIX DON FERNANDO FENIX DON FERNANDO
FENIX DON FERNANDO
Se questa dea celestiale della beltà è la stessa anima proteggetemi, signora, presso il re. Che gran dolore! Non mi guardate? Che orrore! Fate bene; che i vostri occhi non son fatti per gli orrori. Che tormento! Che gran pena! Anche se non mi guardate, e cercate di sfuggirmi, signora, considerate 649
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que aunque tan bella os juzgáis, que más que yo no valéis, y yo quizá valgo más. Horror con tu voz me das, y con tu aliento me hieres. ¡Déjame hombre! ¿Qué me quieres? Que no puedo sentir más.
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Vase. Sale don Juan, con un pan. DON JUAN
DON FERNANDO DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
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Por alcanzar este pan que traerte, me han seguido los moros, y me han herido con los palos que me dan. Esa es la herencia de Adán. Tómale. Amigo leal, tarde llegas, que mi mal es ya mortal. Déme el cielo en tantas penas consuelo. Pero ¿qué mal no es mortal si mortal el hombre es, y en este confuso abismo la enfermedad de sí mismo le viene a matar después? Hombre, mira que no estés descuidado: la verdad sigue, que hay eternidad; y otra enfermedad no esperes que te avise, pues tú eres tu mayor enfermedad. Pisando la tierra dura de continuo el hombre está, y cada paso que da es sobre su sepultura.
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che pure se tanto bella vi apprezzate, non valete più di me, e forse io di più. La tua voce mi fa orrore, e il tuo alito mi ferisce. Lasciami! Che vuoi da me? Non reggo a questo disgusto. Esce. Entra don Juan con un pane.
DON JUAN
DON FERNANDO DON JUAN DON FERNANDO
DON JUAN
DON FERNANDO
Per arrivare a portarti questo boccone di pane, i mori mi hanno inseguito e ferito a bastonate. Di Adamo è l’eredità. Prendilo. Fedele amico, arrivi tardi, il mio male è ormai mortale. Che il cielo mi consoli in tante pene. Ma, che mal non è mortale essendo l’uomo mortale, sì che in questo cieco abisso la sua stessa infermità finisce poi per ucciderlo? Bada, o uomo, non sei libero d’affanni: se a vita eterna aspiri, persegui il vero, non aspettar che ti avvisi altra infermità, sei tu la tua infermità maggiore. L’uomo passa l’esistenza calcando la terra dura, e ad ogni passo che dà calca la sua sepoltura. 651
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Triste ley, sentencia dura es saber que en cualquier caso cado paso (¡gran fracaso!) es para andar adelante, y Dios no es a hacer bastante que no haya dado aquel paso. Amigos, a mi fin llego: llevadme de aquí en los brazos. Serán los ultimos lazos de mi vida. Lo que os ruego, noble don Juan, es que luego que expire me desnudéis; en la mazmorra hallaréis de mi religión el manto, que le traje tiempo tanto; con éste me enterraréis descubierto, si el Rey fiero ablanda la saña dura dándome la sepultura. Ésta señalad; que espero que, aunque hoy cautivo muero, rescatado he de gozar el sufragio del altar; que pues yo os he dado a vos tantas iglesias, mi Dios, alguna me habéis de dar.
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Llévanle. Sale don Alfonso, y soldados con arcabuces. DON ALFONSO
Dejad a la inconstante playa azul esa máquina arrogante de naves, que causando al cielo asombros el mar sustenta en sus nevados hombros; y en estos horizontes aborten gente los preñados montes
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Triste legge, aspra sentenza è sapere a ogni occorrenza che ogni passo, (che sventura!) verso quella ci sospinge, e Dio non giunge a impedire che venga dato quel passo. Amici, giungo alla fine: portatemi tra le braccia. Saranno gli ultimi abbracci della mia vita. Vi prego, nobile don Juan, che quando spirerò mi denudiate; nella cella troverete il manto della mia fede, che ho portato tanto tempo; con questo mi interrerete a capo scoperto, se il re la sua fiera ira addolcisca, donandomi sepoltura. E sia segnata, ché spero, pur morendo oggi da schiavo, di godere del riscatto al suffragio dell’altare; perché se, Oh Dio, vi ho donato sì tante chiese, almeno una la donerete Voi a me.
Lo portano sulle braccia. Entrano don Alfonso e soldati con archibugi. DON ALFONSO
Lasciate all’incostante plaga azzurra questa armata arrogante di navi, che con stupore del cielo, il mar sostiene sul dorso di neve; e tra questi orizzonti monti d’acqua pregni sgravino armate, 653
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del mar, siendo con máquinas de fuego cada bajel un edificio griego. Sale don Enrique. DON ENRIQUE
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DON ENRIQUE
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Señor, tú no quisiste que saliera nuestra gente de Fez en la ribera, y este puesto escogiste para desembarcar: infeliz fuiste, porque por una parte marchando viene el numeroso Marte, cuyo ejército al viento desvanece y los collados de los montes crece. Tarudante conduce gente tanta, llevando a su mujer, felice Infanta de Fez, hacia Marruecos... Mas respondan las lenguas de los ecos. Enrique, a eso he venido, a esperarle a este paso, que no ha sido esta elección acaso; prevenida estaba, y la razón está entendida: si yo a desembarcar a Fez llegara, esta gente y la suya en ella hallara; y estando divididos, hoy con menos poder están vencidos; y antes que se prevengan, toca al arma. Señor, advierte y mira que es sin tiempo esta guerra. Ya mi ira ningún consejo alcanza. No se dilate un punto esta venganza: entre en mi brazo fuerte por África el azote de la muerte. Mira que ya la noche, envuelta en sombras, el luciente coche del sol esconde entre las sombras puras.
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apparendo per gli ingegni di fuoco, ogni vascello un edificio greco. Entra don Enrique. DON ENRIQUE
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Sire, non hai voluto che sbarcasse sulla riva di Fez la nostra gente, e questo luogo hai scelto per approdare: ma non fosti accorto perché da quella parte marciando arriva un imponente esercito le cui armate perdendosi nel vento vanno a ingrossare i valichi dei monti. Guida l’immensa armata Tarudante scortando la lieta sposa, l’Infanta di Fez, verso il Marocco... Ma le voci dell’eco te lo dicano. Enrique, è questo il fine, aspettarlo a questo passo, e non fu a caso questa scelta anzi prevista, e in tutto meditata la ragione: se avessi fatto sbarco innanzi a Fez, là avrei trovato questa e l’altra armata; mentre stando divisi, più facilmente saranno sconfitti. Ma prima che si schierino, suona all’armi. Sire, aspetta, rifletti: quest’attacco è avventato. Il mio furore non sente alcun consiglio. La vendetta non tardi un solo istante: sferzi il mio braccio forte sull’Africa lo scudiscio di morte. Bada, che già la notte, avvolta in ombre, lo splendente carro del sol nasconde tra nitide brume. 655
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Pelearemos a oscuras, que a la fe que me anima ni el tiempo ni el poder la desanima. Fernando, si el martirio que padeces, pues es suya la causa, a Dios le ofreces, cierta está la victoria: mío será el honor, mía la gloria. Tu orgullo altivo yerra. ¡Embiste, gran Alfonso! ¡Guerra, guerra!
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(Dentro) ¿Oyes confusas voces romper los vientos tristes y veloces? DON ENRIQUE Sí, y en ellos se oyeron trompetas que a embestir señal hicieron. DON ALFONSO ¡Pues a embestir, Enrique!, que no hay duda que el cielo ha de ayudarnos hoy. DON FERNANDO (Dentro) Sí ayuda, DON ALFONSO
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Sale don Fernando con manto capitular y una luz. porque obligando al cielo, que vio tu fe, tu religión, tu celo, hoy tu causa defiende. Librarme a mí de esclavitud pretende, porque, por raro ejemplo, por tantos templos Dios me ofrece un templo; y con esta luciente antorcha desasida del Oriente, tu ejército arrogante alumbrando he de ir siempre delante, para que hoy en trofeos iguales, grande Alfonso, a tus deseos, llegues a Fez, no a coronarte ahora, sino a librar mi ocaso en el aurora.
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Combatteremo al buio! Ché la fede che m’anima non la abbatte né l’ora né il nemico. Fernando, se il martirio che patisci, a Dio lo doni, giacché sua è la causa, sicura è la vittoria: e mio sarà l’onore, mia la gloria. All’armi, prode Alfonso! Guerra! Guerra!
(Dentro) Senti grida confuse che il vento fendono tristi e veloci? DON ENRIQUE Sì, e il vento anche porta squilli di tromba a segnale d’attacco. DON ALFONSO Dunque all’assalto, Enrique, non c’è dubbio che oggi il ciel ci soccorre. DON FERNANDO (Dentro) Sì, soccorre, DON ALFONSO
Entra don Fernando con il mantello dell’Ordine e una fiaccola accesa. perché a te grato il cielo per la tua fede, il tuo credo e il tuo zelo, la tua causa difende. Dalla mia schiavitù mi vuole libero, perché, oh raro esempio, Dio mi offre un tempio per i molti templi; ed io con questa fulgida fiaccola presa dai raggi d’Oriente, al tuo superbo esercito farò luce andando sempre a lui innanzi, perché ottenendo allori uguali, grande Alfonso, alle tue brame, oggi tu giunga a Fez, no a incoronarti, ma a liberare il mio tramonto all’alba. Esce.
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Dudando estoy, Alfonso, lo que veo. Yo no, todo lo creo; y si es de Dios la gloria, no digas guerra ya, sino victoria.
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Vanse. Salen el rey y Celín; y en lo alto del tablado don Juan y un cautivo, y el Infante en un ataúd, que se vea la caja no más. DON JUAN
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Bárbaro, gózate aquí de que tirano quitaste la mejor vida. ¿Quién eres? Un hombre que, aunque me maten, no he de dejar a Fernando, y aunque de congoja rabie, he de ser perro leal que en muerte he de acompañarle. Cristianos, ese es padrón que a las futuras edades informe de mi justicia; que rigor no ha de llamarse venganza de agravios hechos contra personas reales. Venga Alfonso ahora, venga con arrogancia a sacarle de esclavitud; que aunque yo perdí esperanzas tan grandes de que Ceuta fuese mía, porque las pierda arrogante de su libertad, me huelgo de verle en estrecha cárcel. Aun muerto no ha de estar libre de mis rigores notables; y así puesto a la vergüenza quiero que esté a cuantos pasen.
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Come credere, Alfonso, a ciò che vedo. Invece a tutto io credo; e se è di Dio la gloria, non dire ormai più guerra, ma vittoria!
Escono. Entrano il Re e Celin; e nella parte alta del teatro don Juan e un prigioniero, e l’Infante in una bara di cui si veda solo la cassa. DON JUAN
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Barbaro, esulta pure ora, che da tiranno la vita più bella hai spento. Chi sei? Un uomo, e se anche mi uccidi Fernando non lascerò, che anche rabbioso d’angoscia, sarò il suo cane fedele e compagno nella morte. Cristiani, questo è l’esempio che dirà all’età future l’equità della mia legge; che crudeltà non può dirsi il castigo per le offese contro la persona reale. Venga, pure, Alfonso, venga con arroganza a tirarlo fuori dalla schiavitù; ché se ho perso ogni speranza di riconquistare Ceuta, perché egli, arrogante, quella della sua libertà ha perso, godo a vederlo in un carcere angusto. Né sfuggirà, morto al mio fiero rigore. Ordino, dunque, sia esposto al ludibrio dei passanti.
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Presto verás tu castigo, que por campañas y mares ya descubro desde aquí mis cristianos estandartes. Subamos a la muralla a saber sus novedades.
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Vanse. DON JUAN
Arrastrando las banderas, y destemplados los parches, muertas las cuerdas y luces, todas son tristes señales.
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Tocan cajas destempladas, sale el Infante don Fernando, con una hacha alumbrando a don Alfonso, y don Enrique, que traen cautivos a Tarudante, Fénix y Muley; y todos los soldados. DON FERNANDO
En el horror de la noche, por sendas que nadie sabe, te guié; ya con el sol pardas nubes se deshacen. Victorioso, gran Alfonso, a Fez conmigo llegaste; éste es el muro de Fez, trata en él de mi rescate.
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Vase. DON ALFONSO
¡Ah de los muros! Decid al Rey que salga a escucharme. Salen el Rey y Celín al muro.
REY DON ALFONSO
¿Qué quieres, valiente joven? Que me entregues al Infante, al Maestre Don Fernando,
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RE
Presto vedrai il tuo castigo; già da qui vado scorgendo per i campi e per il mare i miei stendardi cristiani. Saliamo fin sulle mura per capire che succede. Escono.
DON JUAN
A terra chini i vessilli, rullano sordi i tamburi, muore ogni fiaccola e torcia, tutti segni del dolore.
Rullano tamburi sordi, entra l’Infante don Fernando con una fiaccola in mano che illumina don Alfonso e don Enrique. Questi trascinano come prigionieri Tarudante, Fenix e Muley e tutti i soldati. DON FERNANDO
Nell’orrore della notte, per sentieri sconosciuti ti ho guidato; già col sole vanno via le nere nubi. Vittorioso e grande Alfonso, che con me sei giunto a Fez, di Fez questa è la muraglia, tratta, qui, del mio riscatto. Esce.
DON ALFONSO
Ehi, voi delle mura, dite al re che esca ad ascoltarmi. Entrano il Re e Celin sulle mura.
RE DON ALFONSO
Che vuoi, valoroso giovane? Che mi consegni l’Infante, il Gran Maestro don Fernando, 661
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REY
FÉNIX
REY
y te daré por rescate a Tarudante y a Fénix, que presos están delante. Escoge lo que quisieres: morir Fénix, o entregarle. ¿Qué he de hacer, Celín amigo, en confusiones tan grandes? Fernando es muerto, y mi hija está en su poder. ¡Mudable condición de la fortuna que a tal estado me trae! ¿Qué es esto, señor? Pues viendo mi persona en este trance, mi vida en este peligro, mi honor en este combate, ¿dudas qué has de responder? ¿Un minuto ni un instante de dilación te permite el deseo de librarme? En tu mano está mi vida, ¿y consientes (¡pena grave!) que la mía (¡dolor fiero!) injustas prisiones aten? De tu voz está pendiente mi vida (¡rigor notable!), ¿y permites que la mía turbe la esfera del aire? A tus ojos ves mi pecho rendido a un desnudo alfanje, ¿y consientes que los míos tiernas lágrimas derramen? Siendo Rey, has sido fiera; siendo padre, fuiste áspid; siendo juez, eres verdugo: ni eres Rey, ni juez, ni padre. Fénix, no es la dilación de la respuesta negarte
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RE
FENIX
RE
e io per riscatto darò a te Tarudante e Fenix, che vedi qui prigionieri. Scegli ciò che preferisci: consegnarlo, o Fenix muoia. Che fare, amico Celín, in sì grande confusione? Fernando è morto, e mia figlia è in suo potere. È girata la ruota della fortuna e m’ha tratto a tale stato! Che accade sire? Tu vedi la mia vita in questo azzardo, il mio essere in questo rischio, il mio onore in questo danno, e non sai cosa rispondere? Un minuto, o anche un istante ti consente di indugiare la tua brama d’affrancarmi? La mia vita è in mano tua e consenti (dura pena!) che le mie, (fiero dolore!) siano strette da catene? Da una tua parola pende la mia vita e tu permetti (inflessibile rigore!) che le mie turbino l’aria? Ai tuoi occhi è qui il mio petto a una nuda scure esposto eppure lasci che i miei spargano tenere lacrime? Da re, sei stato una fiera; da padre, sei stato un aspide; da giudice, un boia; non sei né re, né padre, né giudice. Fenix, non è questo indugio nella risposta dovuto 663
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FÉNIX
REY
DON ENRIQUE
DON ALFONSO
la vida, cuando los cielos quieren que la mía acabe. Y puesto que ya es forzoso que una ni otra se dilate, sabe, Alfonso, que a la hora que Fénix salió ayer tarde, con el sol legó el ocaso, sepultándose en dos mares, de la muerte y de la espuma, juntos el sol y el Infante. Esta caja humilde y breve es de su cuerpo el engaste. Da la muerte a Fénix bella; venga tu sangre en mi sangre. ¡Ay de mí! Ya mi esperanza de todo punto se acabe. Ya no me queda remedio para vivir un instante. ¡Valgame el cielo! ¿Qué escucho? ¡Qué tarde, cielos, qué tarde te llegó la libertad! No digas tal; que si antes Fernando en sombras nos dijo que de esclavitud le saque, por su cadáver lo dijo, porque goce su cadáver por muchos templos un templo, y a él se ha de hacer el rescate. Rey de Fez, porque no pienses que muerto Fernando vale menos de aquesta hermosura, por él, cuando muerto yace, te la trueco. Envía, pues, la nieve por los cristales, el enero por los mayos, las rosas por los diamantes,
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FENIX
RE
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al negare a te la vita, mentre i cieli la mia spengono. E poiché ora è ineluttabile entrambe più non protrarre, sappi Alfonso, che nell’ora in cui a sera partì Fenix anche il sole è tramontato, seppellendosi in due mari, della spuma e della morte, insieme il sole e l’Infante. Questa bara umile e breve è la nicchia del suo corpo. Uccidi la bella Fenix, nel mio sangue il tuo ora vendica. Ahimè! Ché ogni mia speranza senza rimedio s’è spenta. Ora non ho più motivo per vivere un altro istante. Il cielo mi aiuti! Che ascolto? Troppo tardi, troppo tardi ti è giunta la libertà. Non dire così: se prima l’ombra di Fernando chiese da schiavitù l’affrancassimo, parlava del suo cadavere, perché ora goda di un tempio chi tanti ne ha edificati, e ciò si chieda a riscatto. Re di Fez, perché non pensi che, morto, Fernando vale meno di questa bellezza, per lui, anche se morto giace, la scambio. Mandami allora la neve per i cristalli, inverno per primavera, le rose per i diamanti
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REY DON ALFONSO FÉNIX
REY
y al fin, un muerto infelice por una divina imagen. ¿Qué dices, invicto Alfonso? Que esos cautivos le bajen. Precio soy de un hombre muerto, cumplió el cielo su homenaje. Por el muro descolgad el ataúd, y entregadle; que para hacer las entregas a sus pies voy a arrojarme.
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Vase, y bajan el ataúd con cuerdas por el muro. DON ALFONSO
DON ENRIQUE DON JUAN
DON ALFONSO
DON JUAN
DON ALFONSO
En mis brazos os recibo, divino príncipe mártir Yo, hermano, aquí te respeto. Dame, invicto Alfonso, dame la mano. Don Juan, amigo, ¡buena cuenta del Infante me habéis dado! Hasta su muerte le acompañé, hasta mirarle libre; vivo y muerto estuve con él; mirad dónde yace. Dadme, tío, vuestra mano; que aunque necio e ignorante a sacaros del peligro vine, gran señor, tan tarde, en la muerte, que es mayor, se muestran las amistades. En un templo soberano haré depósito grave de vuestro sagrado cuerpo. A Fénix y a Tarudante te entrego, Rey, y te pido que aquí con Muley la cases,
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RE DON ALFONSO FENIX
RE
e infine un morto infelice per una divina immagine. Invitto Alfonso, che dici? Che i prigionieri lo calino. Io sono il prezzo d’un morto. Compì il cielo il suo presagio. Calate giù dalle mura la bara e sia consegnata; ché, in quest’atto di consegna voglio prostrarmi ai suoi piedi.
Esce, e calano la bara lungo le mura con delle corde. DON ALFONSO
DON ENRIQUE DON JUAN
DON ALFONSO
DON JUAN
DON ALFONSO
Tra le mie braccia ti accolgo, divino principe martire. Io, fratello, a te mi inchino. Dammi, invitto Alfonso, dammi la mano. Don Juan, amico, così dunque rispondete dell’Infante? Fino a morte gli fui accanto finché libero fosse; vivo o morto, accanto a lui; guarda dove giace. Datemi la vostra mano, zio, che inesperto e incosciente, tardi arrivo a trarvi in salvo, mio signore, dal pericolo, ma in morte, male più grave, si dimostra l’amicizia. In una eccelsa Basilica farò con rito solenne deporre il tuo santo corpo. Ti consegno Tarudante e Fenix, re, ma ti chiedo di darla in sposa a Muley, 667
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REY DON ALFONSO
por la amistad que yo sé que tuvo con el Infante. Ahora llegad, cautivos, ved vuestro santo y llevadle en hombros hasta la armada. Todos es bien le acompañen. Al son de dulces trompetas y templadas cajas marche el ejército con orden de entierro, para que acabe, pidiendo perdón aquí de yerros que son tan grandes, el Católico Fernando, Príncipe en la Fe Constante.
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FIN
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per l’amicizia che io so che egli ebbe con l’Infante. E adesso su, prigionieri, trasportate il vostro santo a spalla fino alle navi. E che tutti lo accompagnino. Al suono di meste trombe, e rullanti casse, marci l’esercito a passo funebre, ché qui finisce, chiedendo a voi perdono di errori che sono grandi, Fernando, nella sua fede cattolica, il gran Principe Costante. FINE
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El pintor de su deshonra Il pittore del proprio disonore Testo spagnolo a cura di ELENA ELISABETTA MARCELLO Nota introduttiva, traduzione e note di ELENA ELISABETTA MARCELLO
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Nota introduttiva
El pintor de su deshonra di Calderón mette in scena un conflitto d’onore, di cui è portavoce il protagonista che dà titolo all’opera: uno scapolo maturo, amante della pittura. A prima vista il dramma nasce da un matrimonio socialmente compatibile, ma dissimile per quanto riguarda l’età e i sentimenti dei contraenti. Infatti, una serie di circostanze esterne, rivelatesi in seguito fallaci, conducono la giovane dama Serafina a sposare il nobile «pittore» Don Giovanni. Il rientro imprevisto dello spasimante, che era stato dato per morto, provoca il primo attrito, che, però, viene immediatamente risolto dalla determinazione della dama a seguire il marito ed essergli fedele. Ciò nonostante, il pericolo connesso all’infedeltà non abbandona la scena de El pintor de su deshonra. Calderón ordisce una storia in cui le decisioni irriflessive di alcuni personaggi (Don Alvaro o lo stesso Don Giovanni) si intrecciano con le situazioni provocate inavvertitamente da altre figure del dramma (il principe, Don Luis e Doña Porcia) fino al raggiungimento della soluzione cruenta. Il pubblico assiste ai moti dell’animo di un nobile che, in virtù di un codice d’onore mutuato dalla società, uccide la moglie innocente. La storia d’amore tra Porcia, la sorella di Don Alvaro, ed un aristocratico italiano, che interseca l’azione principale in più d’una occasione, oltre a diversificare i toni dell’opera in un gioco di tensioni e pause idillico-festive, favorisce il finale funesto: Don Giovanni restaura il proprio onore uccidendo sia la moglie che il presunto amante a colpi di pistola. Un’arma da fuoco – non consona, si è spesso notato, alle vendette dell’onore –1 pone fine a una storia che, al di là del concertato assemblaggio delle sequenze drammatiche, non è né lineare né elementare. Pronto ad affrontare le conseguenze 673
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del suo atto omicida, Don Giovanni viene condonato proprio dal suocero e dal padre dell’ucciso, mentre il principe, per non essere da meno, prende in moglie Porcia. La complessa costruzione de El pintor... ha favorito molteplici approcci critici e promosso diversità di letture. Il ventaglio di interpretazioni, che spesso convivono tra di loro, testimonia l’abilità drammaturgica di Calderón de la Barca e l’impatto di un’opera intensa, coinvolgente, e densa di significati. Se, infatti, si analizza il dramma dal punto di vista del genere teatrale, esso costituisce uno dei paradigmi della «nuova» tragedia spagnola. A ragione la critica è solita affiancarlo ad altre due celeberrime pièces calderoniane: El médico de su honra (Il medico del proprio onore) e A secreto agravio, secreta venganza (A segreta offesa, segreta vendetta), scritte probabilmente nel 1635 e nel 1636,2 con cui forma una specie di trilogia. L’associazione viene legittimata sia dalla prossimità cronologica della sperimentazione calderoniana in direzione tragica, sia dalle coincidenze strutturali (metafore, simboli, sequenze, ecc.) e dalle diverse soluzioni date al nucleo drammatico centrale. Se, invece, ci si sofferma sugli aspetti comici dell’opera, El pintor... apre vie d’analisi legate alla precettistica teatrale, alla funzione del gracioso nelle opere serie, all’uso del racconto, ecc. E se, per finire, si presta attenzione al nesso con la pittura, evidente già dal titolo, i segni drammatici e lo svolgimento dell’azione offrono un’infinità di chiavi di lettura che il pubblico seicentesco (ma la decodificazione pervive al giorno d’oggi)3 decrittava senza problemi. L’onore è in primo piano fin dal titolo. Cosa rappresenta nell’universo drammatico dei Secoli d’Oro? È una legge esterna, un codice sociale, a cui sono soggetti i protagonisti di molti drammi; una «dura ley», come spesso clamano i personaggi, difficile da eludere. In quest’ambito le donne occupano una posizione difficile. Soggette ad una autorità maschile (padre, fratello o marito), sono depositarie dell’onore familiare o coniugale. Pertanto il loro comportamento è sempre sottoposto ad attenta indagine (il che non impedisce atteggiamenti sregolati o sconvenienti). Le regole dell’onore connettono l’individuo con la collettività. Pur tra mille oscillazioni, lo spagnolo distingue l’«honor», ovvero la reputazione che si ha di se stessi, dalla «honra», la stima in cui si è tenuti dagli altri. Lope de Vega ha descritto l’essenza di questa legge in un celebre passo de Los comendadores de Córdoba:
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NOTA INTRODUTTIVA
honra es aquella que consiste en otro, ningún hombre es honrado por sí mismo, que del otro recibe la honra un hombre. Ser virtuoso un hombre y tener mérito no [es] ser honrado...4
Questo vincolo con la società, che può rendere rispettabile un uomo senza onore e disonorato uno che invece è onesto, plasma molti nuclei tragici calderoniani. Rappresenta, infatti, il momento in cui la legge dell’onore si scontra con l’essere, con i sentimenti ed i princìpi che reggono il comportamento umano. Dal punto di vista drammatico, l’onore è fonte di conflitto con l’individuo per il rapporto che questi ha con gli altri: sancisce, infatti, il senso d’appartenenza ad una collettività. Non a caso, ne El pintor... Don Giovanni perde la propria identità, diventa un pittore sconosciuto e povero, quando, con il rapimento della moglie, è oggetto d’oltraggio pubblico. Una volta vendicata l’offesa, riassumerà il proprio nome e il posto in società. Anche Serafina, che sa di non aver commesso adulterio, è consapevole di aver perduto l’onore; la donna è cosciente del pericolo e della necessità di restare nascosta agli occhi del mondo. Ed è per questa ragione che implora il principe, che l’ha scoperta, di non rivelare a nessuno la sua presenza. L’onore entra in collisione pure con i sentimenti naturali o le convizioni personali che, spesso, ne minano le fondamenta. Si spiegano così, in ambito tragico, le molteplici figure femminili che, dibattute tra la passione amorosa ed il rispetto dovuto al nome familiare, scatenano il conflitto nel momento in cui decidono di seguire il cuore.5 L’implacabile codice dell’onore scombussola poi le certezze più profonde dell’individuo. Il dissidio intimo si riconosce nell’atteggiamento di quei mariti offesi che vanno alla ricerca di prove della colpevolezza della moglie, di riscontri irrefutabili, di indizi da esibire nel tribunale dell’onore – un’altra metafora di ampio successo –; sono uomini che indagano, che credono al valore probativo delle testimonianze e di quanto vedono con i propri occhi. Alla fine, questi esseri «razionali» si rendono conto dell’impossibilità di scoprire la verità oppure si convincono dell’innocenza della consorte. Eppure, nonostante questa loro consapevolezza, continuano a seguire le regole dettate dall’onore. L’oltraggio può essere pubblico o privato. In entrambi i casi, come si è detto, provoca nell’oltraggiato l’autoespulsione dalla società, in cui si 675
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reintegrerà una volta ottenuta la dovuta soddisfazione. Se l’offesa è pubblica, pubblica sarà la vendetta, che spesso viene sancita da un’autorità superiore; se, invece, è segreta, anche l’atto di riparazione sarà limitato all’ambito del privato. Di norma, un atto violento, l’uccisione del causante del disonore, restaura l’onore perduto. Tale azione, è stato spesso notato, entra in conflitto con gli insegnamenti cristiani. Logico domandarsi se il proposito di Calderón fosse quello di sacralizzare l’atto violento o smuovere la coscienza degli spettatori per mettere in dubbio la correttezza del procedimento. Al di là delle intenzioni, l’impatto delle questioni d’onore sulla scena è potente e perturbatore. Un esempio della multiforme casistica dell’onore è proprio la trilogia drammatica,6 di cui quest’opera rappresenta il punto d’arrivo. Il drammaturgo spagnolo combina in modo diverso gli elementi portanti dei tre drammi. Varia, per esempio, il comportamento delle protagoniste femminili e, di conseguenza, il loro grado di colpevolezza: doña Mencía (El médico...), pur non avendo commesso adulterio, ha agito imprudentemente; doña Leonor (A secreto...) è consapevole della temerarietà dei propri atti; doña Serafina (El pintor...), cosciente del pericolo, conserva dignità e decoro fino alla fine. La proiezione pubblica dell’offesa è in progressivo aumento: si passa dall’oltraggio privato delle prime due opere a quello pubblico de El pintor de su deshonra. È diversa anche la posizione sociale degli oltraggiati – Don Gutierre e Don Lope sono due nobili guerrieri, mentre Don Giovanni appartiene ad una casa illustre della Catalogna –, così come la tipologia delle figure autoritarie ed il valore dato al loro intervento: i due monarchi, Pedro I di Castiglia e Sebastián, re del Portogallo, sono consapevoli della vendetta, mentre il principe Orsini, testimone del finale sanguinoso, è un elemento chiave dell’agnizione. In quanto al tempo e allo spazio, Calderón avvicina il conflitto drammatico al pubblico: dall’epoca medievale spagnola de El médico... si arriva al Portogallo della seconda metà del Cinquecento di A secreto agravio... per giungere, infine, all’epoca a lui contemporanea, in uno spazio geografico noto al pubblico, con El pintor de su deshonra. Pur nella coincidente soluzione finale, il drammaturgo sperimenta l’effetto teatrale dell’oltraggio e della vendetta variandone le modalità di realizzazione. Si pensi all’entrata fraudolenta dell’amante nella casa di Don Giovanni, profanazione dello spazio intimo del signore (e quindi dell’onore), che si ripropone nei tre drammi ma con varianti interessanti. 676
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NOTA INTRODUTTIVA
Ne El médico... e A secreto agravio... quest’intrusione fa nascere i sospetti o accelera la vendetta; nel caso de El pintor..., pur destando la diffidenza di Don Giovanni, provoca un effetto diverso. L’oltraggio, infatti, sembra attutito dalla reazione di Serafina, che, qual donna virtuosa ed integerrima, rifiuta le avances di Don Alvaro. Questa prima ingiuria viene poi ridimensionata dal successivo rapimento della giovane, che rappresenta l’offesa pubblica determinante. Nella metafora del titolo, così simile a quella de El médico de su honra, l’onore si sposa con l’arte pittorica, di cui Calderón sarà valido paladino nel 1677, con la Deposición a favor de los profesores de la pintura..., scritta per evitare il pagamento d’una tassa che equiparava la professione del pittore a quelle meramente meccaniche. Le opinioni espresse nel libello, in cui il drammaturgo esalta la pittura quale summa delle arti liberali, possono essere integrate da quelle sparse in commedie e tragedie, tra cui spicca proprio la pièce in questione. Molti ispanisti si sono soffermati sul tema7 e, adottando un approccio «artistico», hanno svelato l’architettura interna dell’opera fin nei minimi dettagli. Ne El pintor... quest’arte figurativa è parte dell’azione e, allo stesso tempo, ekphrasis, descrizione. L’atto di dipingere si colloca al centro dell’intreccio drammatico: all’inizio del II atto Don Giovanni è intento a ritrarre la moglie. La sequenza, grazie alla disquisizione teorica sull’oggetto della pittura, permette di approfondire il carattere dei due personaggi principali e prefigura quello che, a livello metaforico, è il finale del dramma: il quadro dipinto con il sangue di Serafina e Don Alvaro, che, afferma il pittore del proprio disonore, è frutto della gelosia e non dell’amore (vv. 3022-3024). Sulla scena de El pintor... compaiono poi degli oggetti legati all’arte pittorica. All’inizio della vicenda, il protagonista principale accenna a un ritratto della giovane Serafina, ricevuto prima del matrimonio (v. 80). Topos della commedia a lieto fine, questo elemento serve a contemplare la donna amata e permette l’innamoramento in assenza. In questo caso, però, è da correlare con la citata sequenza in cui Don Giovanni è intento a ritrarre la moglie. Grande risalto ha poi sulla scena il quadro8 che il marito disonorato, trasferitosi a Napoli come pittore, descrive al mecenate, il principe Orsini. Vi si rappresenta il famoso ratto di Deianira, moglie di Ercole, ad opera del centauro Nesso. Il mito, noto al pubblico dell’epoca, viene descritto con gli opportuni tecnicismi pittorici (indicando i giochi di prospettiva e le tecniche usate) ed offre una chiave di lettura preziosa 677
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dell’azione. La leggenda narra come il centauro Nesso rapì Deianira, fingendo di aiutarla ad attraversare il fiume Eveno. Ferito a morte da una freccia di Ercole, Nesso convinse la donna a inzuppare nel suo sangue una camicia del marito. Con questo espediente avrebbe reso Ercole fedele per sempre. Deianira, credendo alle false promesse del suo rapitore, mise in pratica il consiglio e, così facendo, avvelenò il semidio. Il corpo di Ercole cadde poi sopra una pira e bruciò. Nel dipinto di Giovanni Roca si distinguono vari spaccati figurativi: in primo piano, campeggia la figura di Ercole, che, nella foga della persecuzione, sembra fuoriuscire dal quadro; in secondo piano, si vede il centauro che fugge con Deianira, una figura indistinta o quasi assente; sullo sfondo, infine, si intravvede, appena abbozzata, una pira funeraria su cui arde il corpo dell’eroe mitologico. Il quadro è corredato da un motto che ammonisce i gelosi, ricordando loro che moriranno sul fuoco della propria gelosia (vv. 2701-2703). La correlazione tra i protagonisti del mito e quelli della pièce calderoniana è palese: Don Giovanni, geloso e irato per il rapimento della moglie, è Ercole; il centauro Nesso, la cui sorte fatale viene subito decretata, il giovane Don Alvaro; e la povera Deianira, vittima di un atto brutale, non voluto né favorito, Serafina. Ma sono altrettanto chiare le differenze, soprattutto rispetto alla figura femminile. Deianira, innocente per quanto concerne il rapimento, non lo è in quanto fautrice della morte del semidio. Anche se l’inganno di Nesso potrebbe scagionarla dalla colpa, la donna, presa dalla gelosia, ha ucciso. E la moglie di Don Giovanni? Questa figura femminile calderoniana fin dall’inizio mantiene un contegno decoroso e continua, anche dopo il rapimento, a salvaguardare l’onore del marito. Commette, in un momento di sconforto, un unico errore, un piccolo cedimento d’animo che le è fatale: svegliatasi da un incubo in cui ha visto la propria morte, accetta l’abbraccio premuroso di Don Alvaro. Quest’ansia di pace, quest’atto di incoraggiamento la porta alla rovina. Un solo abbraccio basta a cancellare tutta la sua resistenza, il suo costante valore. Quindi, è giusto soffermarsi sulla condanna o meno di un’innocente (Deianira-Serafina), che nel quadro descritto dal pittore del proprio disonore non si vede, e che sembra, a questo punto della commedia (si è all’inizio del terzo atto), ancora passibile di un perdono. El pintor... è un eccellente esempio sia del prodotto teatrale dell’epoca – una felice combinazione di elementi tragici e comici – sia della destrezza di Calderón nel comporre un’opera intensa e tuttora avvincente. Molti 678
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NOTA INTRODUTTIVA
critici9 hanno affrontato la questione del genere di appartenenza, offrendo interessanti spunti interpretativi. Dal confronto con la tragedia neoaristotelica (e perfi no con El médico... e A secreto agravio...) l’ambiente, il tempo e la configurazione tragica dei protagonisti sono gli elementi discordanti o «innovativi» dell’opera. L’azione si svolge tra la Spagna e l’Italia, area di influenza ispanica, in un tempo vicino al pubblico dell’epoca. Calderón non solo abbandona, come si è detto, l’ambiente medievale o il passato storico spagnolo dei due drammi precedenti, ma evita quel tempo antico proposto dalla precettistica del genere. Le allusioni alle abitudini ed ai divertimenti dell’epoca, pur appartenendo ai clichés drammatici comici, sono perfettamente riconoscibili; e la presenza di un’arma omicida quale la pistola accorcia la distanza temporale con il pubblico. Ci si avvicina alla «tragedia contemporanea». In quanto alle figure tragiche, sono due i personaggi che vengono in mente: Don Giovanni e Serafi na. In entrambi i casi, si è di fronte a due persone onorate che, tra pregi e difetti, cercano di comportarsi seguendo i paramentri sociali (o sentimentali) corretti e che, nonostante i loro sforzi, commettono degli errori. Non sono figure monolitiche, tutta malvagità o tutta bontà e nemmeno le rinascimentali vittime dell’avversa e prospera Fortuna. Il manicheismo tragico si diluisce con Calderón. Tutto è più complesso. Esistono, però, altri elementi che incrinano la «purezza» tragica dell’opera e che appartengono alla sfera del comico. In primo luogo, la presenza di un secondo intrigo (l’idillio tra Porcia ed il principe) che intercala la storia principale di pause liriche; poi, le varie novellette raccontate da Juanete, il servo comico; e, per concludere, le sequenze «leggere», ergo, le scene pittoriche o musicali, ecc.10 Il finale de El pintor..., poi, è il visibile esempio di questa mescolanza tassonomica. Il telone si chiude, dichiara Juanete, con due morti e un matrimonio (v. 3135), mentre Porcia sottolinea l’eccezionalità della «tragedia» (v. 3093). L’affermazione del gracioso ribadisce questa volontà di conciliare il finale felice della commedia con quello funesto della tragedia. Qui l’esercizio teatrale raggiunge effetti artificiosi ed eccessivi, palesi nella volontà calderoniana di conferire simmetria all’uccisione di Serafina e Don Alvaro. Feriti a morte, i giovani cadono tra le braccia dei rispettivi progenitori. Le loro ultime parole confermano la legittimità della vendetta del pittore disonorato (vv. 30863093). Agli occhi moderni, la chiusura corale dell’opera è forse l’elemen679
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to più dissonante, sia per la rapidità con cui gli astanti perdonano Don Giovanni, sia per lo slancio con cui il principe dimentica la sua passione per Serafina e sposa Porcia. Eppure queste battute finali esaltano la dura legge dell’onore finalmente soddisfatta. Sia Don Pedro che Don Luis la antepongono, infatti, al proprio sangue e si sentono in obbligo con chi ha loro ucciso la prole, perché «quien venga su honor, no ofende» (v. 3126). Un’altra questione molto dibattuta dalla critica riguarda, come si è detto, la configurazione dei personaggi de El pintor de su deshonra. L’occhio si sofferma soprattutto su Don Giovanni Roca, sua moglie Serafina e il primo amore, Don Alvaro. I protagonisti del triangolo amoroso sono in potenza delle figure tragiche, il cui grado di colpevolezza è stato in più di una occasione – soprattutto nelle letture tardoromantiche – messo in discussione. Don Giovanni Roca11 è un aristocratico colto e raffinato, un uomo di una certa età (è, di fatto, amico di vecchia data di Don Luis, il padre del giovane Don Alvaro), dignitoso e corretto, che onora gli amici ed è consapevole del proprio ruolo in società. In gioventù si è dedicato agli studi e ha superato una cronica malinconia con la passione per la pittura, inconsueta tra i membri dell’aristocrazia perché va oltre il collezionismo. Don Giovanni ha imparato a dipingere. Immerso in tali passatempi, ha lasciato passare il tempo e solo adesso ha deciso di ottemperare i doveri del maggiorasco prendendo moglie. Nel primo atto, l’immagine che Don Giovanni dà al pubblico – se si tralascia il commento di Juanete sul matrimonio tra un vecchio e una giovane, che in un’opera comica avrebbe avuto esiti diversi, e il riferimento alla pittura – è abbastanza convenzionale. Il secondo atto, invece, ne approfondisce il carattere, sottolineando quell’ansia di perfezione che lo corrode e lo irrita quando sembra non possedere le qualità necessarie per ritrarre adeguatamente la bellezza di Serafina. Eppure questa sua inettitudine, che lo spinge prima ad accusarla e poi ad abbandonare l’impresa, può essere letta quale incapacità a comprendere realmente l’animo della moglie. Ad ogni modo, è questo il momento in cui inizia la metamorfosi dell’uomo, perché, il rapimento della moglie lo priva dell’onore e, quindi, della consapevolezza di se stesso e del suo ruolo. Don Giovanni si trasforma in pittore, assume un’altra identità e vive del mestiere. Le contingenze esterne l’hanno spinto verso una situazione estrema ed il caso lo pone di fronte al suo disonore: il principe gli commissiona il ritratto di una dama. Deve farlo di nascosto e mantenere il segreto. Scoprire i due amanti abbracciati 680
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sconvolge Don Giovanni, che li uccide. La sua è follia o lucidità? È una decisione cosciente o una scelta obbligata da contingenze esterne? Come giudicare Don Giovanni? Una vittima della società o di un abbaglio che trasforma un abbraccio in un adulterio inesistente? Creare il dubbio, percepire i tentennamenti di un uomo in balia delle passioni, sconvolgere le coscienze è forse il miglior esito del dramma. Marc Vitse, in un saggio12 ormai classico, ha difeso Serafina fino a considerarla un’eroina e concederle il dovuto protagonismo. Oggetto del desiderio di tre uomini, la giovane è il fulcro dell’azione drammatica. È una figura femminile forte, una donna che domina le proprie passioni e che è cosciente del proprio ruolo di amante, di figlia o di sposa. Perduto Don Alvaro, il cui amore non ha rivelato neppure all’amica, accetta il matrimonio con Don Giovanni e lo salvaguarda. Dal punto di vista morale, non si può dire sia colpevole di coltivare una passione erotica sfrenata e adultera, né di disobbedire ai doveri filiali o maritali. La confessione a Porcia del suo passato «amoroso» nel I atto culmina con uno svenimento da cui si sveglierà gridando «non uccidermi!» (v. 585). Ripresasi dal mancamento, la donna affronterà il pretendente creduto morto e che adesso dovrà, grazie al suo categorico rifiuto, «morire» ancora. Fin dall’inizio, dunque, Serafina uccide il ricordo di una passione amorosa ora irrealizzabile e difende questa sua decisione con validi argomenti, opponendosi all’atteggiamento dell’ex amante, che, preso dal dolore, la aggredisce verbalmente e dimentica decoro e sentimenti. Con la sequenza del ritratto, che apre il secondo atto, si evidenzia con quale determinazione la donna appoggi il marito. Soggiace a questa volontà un affetto sincero che, invece, non sembra dimostrare Don Giovanni, sostiene Vitse in polemica con le interpretazioni «artistiche» dell’opera (Paterson, Parker). Segue poi la scena compromettente con Don Alvaro e la nuova difesa dell’amore coniugale, dove la donna, attraverso le metafore dell’immobile roccia e della dura quercia, rifiuta di cedere alle insistenti profferte dell’ex amante. La fortezza di Serafina viene confermata dal successivo dialogo con il marito, quando l’indesiderato amante comprende di averla persa per sempre. Nell’ultimo atto, invece, Serafina è una donna in lacrime. Il suo è un pianto che scaturisce dalla lucida consapevolezza della propria rovina, della morte ineludibile. Sia il ragionamento esposto a Don Alvaro sia la richiesta fatta al principe di mantenere il silenzio dimostrano la sua lucidità, il suo tormento. La donna cerca nel sonno un attimo di sollievo, 681
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ma si sveglia di nuovo con quel grido foriero di sventura. La scena, ha giustamente notato l’ispanista francese, è da correlare con il mancamento iniziale. Questo risveglio, però, è ormai il principio della fine. Del triangolo amoroso il «villano» della storia è Don Alvaro. Pur partendo da premesse non incriminanti – è un giovane innamorato, vittima di circostanze sfortunate che lo hanno allontanato dalla donna amata –, il suo comportamento lo connota paulatinamente in modo negativo. Agisce in modo scorretto: non si rassegna alla perdita e, dimentico dell’onore, decide di seguire una donna sposata. Sono costanti le situazioni compromettenti create da Don Alvaro che coinvolgono Serafina: dall’irruzione in casa al ballo in maschera. L’acme, infine, si raggiunge con il rapimento, portato a termine approfittando di una circostanza imprevista e drammatica. È questa la colpa più grave, l’onta che priva definitivamente Don Alvaro delle qualità di un vero gentiluomo. Il secondo intrigo, concessione al pubblico coevo, è incentrato sul duetto tra il principe Orsini e Porcia. La storia, modulata sui toni della commedia amorosa, interagisce con quella principale in modo particolare. Una serie di coincidenze, in apparenza fortuite, favoriscono la svolta verso il finale fatale. Il principe ha conosciuto Don Giovanni, ma non ne ricorda l’aspetto, per cui non lo riconosce nei panni di pittore né ha remore quando s’invaghisce della di lui moglie. L’aristocratico italiano è poi il principale fautore dell’agnizione e della successiva difesa di Don Giovanni, momento in cui sembra riprendere gli attributi della figura autoritaria. Partner del principe è Porcia, una donna intraprendente, una dama da commedia. Rispetto a Serafina, è una figura di minor risalto, ma non per questo meno necessaria all’intreccio. Il vecchio Don Luis merita, seppur brevemente, alcuni commenti. In qualità di padre e di governatore ha il rango della figura autoritaria, ma il vecchio nobiluomo è anche, e soprattutto, un amico leale. È proprio il rapporto d’amicizia con Don Giovanni il centro della veloce caratterizzazione di Don Luis. L’ospitalità e la generosità sono le qualità che lo definiscono. E sono pure i fattori che assumono in seguito valenza negativa, perché è la sua insistenza a permettere gli incontri iniziali e, quindi, a dare il via alla tragedia. Tra i personaggi di bassa categoria, spicca il servo buffo Juanete, insistente come la dolorosa malformazione dell’alluce, la cipolla, che è il suo nome parlante. È una figura comica, ma non esclusivamente ludica, 682
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perché i suoi interventi «fuori luogo» aiutano a connotare i personaggi e ridimensionare gli eventi. Juanete è al seguito di Don Giovanni ed interviene per la prima volta nella seconda sequenza, subito dopo il dialogo tra il suo padrone e l’amico Don Luis. La sua entrata in scena è travolgente. La loquacità lo caratterizza: una logorrea irrefrenabile, un’ansia di «narrare», di raccontare storie. Subito dopo i convenevoli di rigore, Juanete snocciola, con rapidità e brio, tre aneddoti. Il primo (vv. 193-204) riguarda la contentezza di un villano che offre veementemente alloggio a due soldati, pregustando il piacere che proverà quando se ne andranno via. Il contrappunto con l’ospitale Don Luis, che non sente ragioni pur di rendere i dovuti omaggi a Don Giovanni, è palese. Il secondo (vv. 213228) ed il terzo (vv. 245-256) aneddoto vengono raccontati in risposta a due domande inerenti al matrimonio di Serafina e al suo stato d’animo. La storiella dell’invitato che riscalda la carne fredda immergendola nella bevanda calda istaura un paragone con la giovane che riscalderà il vecchio marito, mentre questi la raffredderà. Si sottolinea, quindi, umoristicamente, il potenziale pericolo di un matrimonio poco affine. L’altro racconto si ricollega alla satira dei costumi dell’epoca, in particolare all’uso delle carrozze che rendono le signore felici e contente. Infervorato dall’attenzione prestata ai suoi racconti, il gracioso sta per iniziarne un altro (vv. 259-261), ma viene interrotto. La compattezza e brevità della prima sequenza di Juanete – sono soltanto 80 versi – sottolineano questa sua peculiare qualità. Per tre volte tenterà di fi nire il racconto interrotto sui bambini (vv. 665, 1237, 2948-2959), e proprio questa bergsoniana ripetizione provocherà le risate degli spettatori ad ogni sua apparizione. Solamente nell’ultimo atto, si saprà il finale della storia. In mancanza di dati sulla rappresentazione dell’opera, il testo «letterario» e il luogo scenico forniscono informazioni utili alla ricostruzione della messinscena. A tal proposito, bisogna ricordare che tra la stesura di un testo drammatico per la prima e la posteriore pubblicazione a stampa interessi non sempre connessi con la volontà dell’autore intervengono spesso sul testo originario, apportandovi modifiche non indifferenti. Nel caso de El pintor..., l’apparato variantistico delle didascalie (acotaciones) è considerevole e viene corredato, come al solito, dalle indicazioni scenografiche disseminate nei dialoghi. La scenografia si contiene nei limiti del corral de comedias. È priva, cioè, di quegli eccessi spettacolari legati all’attrezzo, alla tramoya. Ne El pintor... è sistematica l’attenzione 683
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ai dettagli, non solo per l’accorto assemblaggio di tutti gli elementi, ma anche per la sensibilità con cui Calderón costruisce le sequenze. Nei momenti cruciali gli effetti sonori o visuali, in sintonia con gli elementi simbolici o le metafore disseminate nell’opera, amplificano la tensione fino a raggiungere risultati d’un intenso drammatismo. Si pensi agli spari con cui culmina la vendetta di Don Giovanni, preannunciati durante gli incontri, del primo e terzo atto, in cui Serafina congeda Don Alvaro. Nel primo caso (I, vv. 1066-1070), la salva di cannoni che annuncia la partenza spaventa lo spasimante; nel secondo (III, vv. 2325-2331), il colpo di fucile sparato durante la caccia è foriero di morte per Serafina. Nessuno dei due, però, durante l’ultimo tête à tête, sentirà arrivare il colpo letale. La musica, arte che affianca quella pittorica, si trasforma poi in uno strumento drammatico duttile e potente. Se la pittura si associa ai protagonisti del triangolo amoroso, la musica, invece, è connessa alla seconda coppia. Di fatto, è proprio l’aristocratico italiano a introdurre l’immagine del ballo in un breve dialogo con Celio (I, vv. 739-762). Con un exemplum, tratto, a quanto pare, da Boscán, si difende il ballerino che si muove al ritmo della passione amorosa e si condanna chi se ne allontana perché incapace di apprezzarla.13 L’analogia con questa «danza delle passioni», comprensibile quando a pronunciarla è un uomo innamorato come il principe, avrà però conseguenze negative in chi, come Don Giovanni, mosso dalla gelosia agisce appassionatamente. Quando fa atto di presenza l’accompagnamento musicale? Nelle situazioni idilliche o festive. Basta soffermarsi su due momenti del secondo atto. Una classica scena da commedia è l’incontro a suon di musica, in bilico tra il recitativo e il canto, tra Porcia e il principe (II, vv. 1622-1783). In questa sequenza la melodia, basata sui celebri versi d’amore e di gelosia del Conte di Villamediana, sincronizza i movimenti sullo scenario, l’andamento del discorso (i duetti, i «tra sé», le battute fuori scena) e dà voce a un’immagine (la gelosia) importante per lo svolgimento dell’opera. Questo piacevole gioco d’amore è un esempio di come si mescolano toni ed azioni dissimili all’interno della pièce. Collocato in una posizione cruciale (subito dopo l’intrusione di Don Alvaro in casa di Serafina e prima delle scene in maschera), questo gradevole interludio attenua le ombre che si addensano sui protagonisti principali, distrae il pubblico dal pericolo latente e lo convince che un finale positivo è ancora possibile. L’accompagnamento musicale riappare poi nelle scene del Carnevale 684
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(II, vv. 1820-1916). In questo caso, il drammaturgo spagnolo opta per una musica d’ambiente, costumbrista, tratta dalla tradizione linguistica e folklorica catalana. Riesce a ricreare in questo modo l’atmosfera gioviale, spensierata di un’allegra festa in maschera, tra l’esultanza dei musici e dei ballerini; un momento felice che viene incrinato soltanto dal ballo tra Serafina e Don Alvaro. Si è di fronte ad un’altra sequenza da commedia, su cui si innesta la tensione di una dama, il sospetto di un marito e lo sconforto di un corteggiatore respinto. Concludiamo queste brevi annotazioni su El pintor..., ricordando che, negli anni successivi, Calderón rielaborò il tema in un auto omonimo,14 sovvertendo il finale della vicenda. I paralleli tra le due opere, più volte segnalati, partono dalla correlazione dei personaggi: il pittore è Dio Creatore; Serafina è la Natura umana; Don Alvaro si trasforma nel rivale Lucero, ergo il diavolo; il principe Orsini, invece, è il Mondo, dove troverà riparo in un momento determinato la Natura; e, per finire, il servo buffo diventa Amore. Ovviamente, Dio che è perfezione, durante la creazione, dipinge senza alcun problema la Natura ed è tale la bellezza, che decide di animarla, di concederle «voz, aliento, vida y alma»; l’intervento, però, di Lucero trasforma il dipinto ad olio in un quadro a tempera che si rovina più facilmente. Lucero e la Colpa incominciano a deturpare la bellezza della Natura fino a convertirla in schiava del demonio e a sfregiarla con un chiodo. Il progressivo svilimento della Natura provoca il disonore di Dio creatore. È un momento cruciale, quello del rapimento, qui risolto nella fuga della Natura dal Mondo. E si giunge così al finale. Nell’auto sacramental, il pittore dipinge con sangue e chiodi – prefigurazione della Passione di Cristo – e, quando vede Lucero abbracciare la Natura, chiede ad Amore un’arma. Spara, uccidendo Lucero e la Colpa, mentre la Natura si salva. La lettura allegorica del secondo Pintor è palese: drammatizza la salvezza dell’Umanità, dalla Creazione alla Redenzione, e aumenta la sua valenza simbolica grazie al ruolo svolto dall’amore nell’azione. È, infatti, Amore che devia lo sparo del pittore, per cui muore la Colpa al posto della Natura. Diverse sono le ipotesi sulla data di composizione de El pintor de su deshonra. La critica è concorde a considerarla frutto di un Calderón maturo. L’opera viene pubblicata per la prima volta nel 1650, data assunta in un principio come terminus ante quem, poi spostato al 1647, perché, poco prima di quell’anno, Calderón rielaborò El pintor... nel citato auto 685
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sacramentale.15 È controverso, invece, fissare il terminus post quem, cui non soccorre nemmeno la data della prima rappresentazione, che resta, tuttora, ignota.16 L’esperienza catalana dell’autore degli anni 1640-1641 è, per alcuni, visibile nell’ambientazione – il secondo atto si svolge a Barcellona durante il Carnevale – e nell’allusione alla bellicosità della popolazione (vv. 1813-1815), a ricordo di uno dei momenti più complicati del governo di Filippo IV: la ribellione della Catalogna. La menzione di Don García de Toledo (v. 874), generale delle galere di Napoli dal 1635 al 1642, anticipa di qualche anno il suddetto lasso di tempo, ma di per sé non invalida l’ipotesi cronologica. Se poi si rammenta, come fa Cruickshank, un fatto di cronaca occorso nel mese di giugno del 1644 al pittore Alonso Cano e alla moglie, uccisa a pugnalate – possibile spunto dell’opera –, il limite di tempo slitterebbe di qualche anno e si potrebbe postulare la composizione de El pintor... tra i mesi di giugno del 1644 e febbraio del 1646, anno in cui si decreta la chiusura dei teatri. Lo stesso ispanista britannico ricorda, però, che tra le tante ipotesi, si è perfino supposto – ma la teoria viene invalidata dal modus scribendi calderoniano – che la commedia derivi dall’auto sacramentale e non viceversa.17 Pertanto, la data di composizione dell’opera oscilla tra la fine degli anni Trenta e la prima metà degli anni Quaranta del Seicento. È in fase di allestimento l’edizione critica de El pintor... che, si spera, risolverà l’intricata filiazione della tradizione manoscritta e a stampa.18 Affiancano la princeps (Parte XLII de comedias de diferentes autores, 1650) e la Séptima parte delle Comedias de Calderón del 1683, un numero consistente di sueltas – tra cui quella assemblata in un volume miscellaneo della British Library che Valbuena Briones usò come testo base per la sua edizione – e due manoscritti (Biblioteca Nacional de España, ms 17123 e Biblioteca del Instituto del Teatro di Barcellona, 82631).19 Tra le pubblicazioni moderne, oltre alla classiche edizioni di Luis Astrana Marín (Madrid, Aguilar, 1932)20 e di Ángel Valbuena Briones (Madrid, Espasa Calpe, 1956), conviene ricordare quella a cura di Francisco Ruiz Ramón, nel secondo volume delle Tragedias (Madrid, Alianza Editorial, 1969), che si riallaccia ai due filologi che lo hanno preceduto, e quella di Manuel Ruiz Lagos (Madrid, Ediciones Alcalá, 1969), che è corredata da un’utile appendice, che contiene la Deposición a favor de los profesores de la pintura... e un’antologia di brani teatrali dedicati alla pittura. Negli anni novanta Alan K. G. Paterson si è riproposto la que686
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stione filologica de El pintor... ed ha dato alle stampe un’edizione basata sul testo stabilito da Valbuena Briones (proveniente dal volume miscellaneo della British Library, che è stato consultato dall’ispanista inglese insieme al manoscritto della Biblioteca Nacional di Madrid ed alle stampe della tradizione alta) con traduzione a fronte in inglese (The Painter of his Dishonour, Warminster, Aris & Phillips Ltd., 1991). Sul versante delle traduzioni in italiano è imprescindibile citare la versione in prosa di Antonio Gasparetti pubblicata negli anni ottanta assieme a Il medico del proprio onore (Torino, Einaudi, 1981) e l’encomiabile traduzione in versi di Cesare Acutis per il tomo su Calderón del Teatro del “Siglo de Oro” (Milano, Garzanti, 1990). Il testo spagnolo scelto per la versione in italiano è quello della stampa curata da Vera Tassis (1683). Si è fissato il testo liberandolo da refusi e correggendolo là dove si è riscontrato un errore evidente o un’incongruenza. Per la constitutio textus è stata collazionata anche l’edizione del 1650, che, come ha giustamente notato Paterson, tra molte lacune ed errori, conserva letture utili alla riscostruzione testuale, e sono state prese in considerazione tutte le edizioni moderne citate. Non sono, invece, stati consultati i manoscritti. Il testo spagnolo è stato modernizzato in quanto a grafia (per esempio, le forme «escusar», «satisfación», «yelo» sono state regolarizzate in «excusar», «satisfacción», «hielo») e punteggiatura; è stato depurato dalle dieresi, quando vengono usate per questioni metriche; sono state risolte le abbreviature e le crasi. Si conservano le alternanze vocaliche, le oscillazioni dei nessi etimologici (spesso in rima) e le grafie arcaiche qualora abbiano valore fonologico. Pur cercando di riprodurre il lessico, le immagini o gli orpelli retorici del testo originale, la lingua calderoniana è stata adattata agli usi dell’italiano attuale, evitando, quindi, arcaismi o espressioni sentite come letterarie. I nomi di persona non sono stati tradotti, eccezion fatta per Don Giovanni ed Alvaro (piano in italiano) perché assimilati dalla nostra tradizione letteraria. Entrambe le scelte mirano ad avvicinare l’emotivo e intenso teatro del Seicento ai lettori o spettatori d’oggi. ELENA ELISABETTA MARCELLO
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EL PINTOR DE SU DESHONRA PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA
DON JUAN ROCA JUANETE,
su criado DON LUIS, viejo PORCIA, su hija DON ÁLVARO, su hermano DON PEDRO, viejo SERAFINA, su hija EL PRÍNCIPE DE URSINO FLORA,
criada
JULIA,
criada CELIO FABIO
[BELARDO, vejete] [HOMBRES, de máscara] [MUJERES, de máscara] [MARINEROS] [MÚSICA] [ACOMPAÑAMIENTO]
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IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE PERSONAGGI
DON GIOVANNI ROCA JUANETE,
suo servitore DON LUIS, vecchio PORCIA, sua figlia DON ALVARO, suo fratello DON PEDRO, vecchio SERAFINA, sua figlia IL PRINCIPE ORSINI FLORA,
servetta
JULIA,
servetta CELIO FABIO
[BELARDO, vecchietto buffo] [UOMINI, in maschera] [DONNE, in maschera] [MARINAI] [MUSICI] [SEGUITO di Corte]
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JORNADA I Sale don Juan, vestido de camino, por una puerta, y don Luis por otra. DON LUIS
DON JUAN
DON LUIS DON JUAN
DON LUIS
DON JUAN
DON LUIS DON JUAN
DON LUIS
Otra vez, don Juan, me dad y otras mil veces los brazos. Otra y otras mil sean lazos de nuestra antigua amistad. ¿Cómo venís? Yo me siento tan alegre, tan ufano, tan venturoso, tan vano, que no podrá el pensamiento encareceros jamás las venturas que poseo, porque el pensamiento creo que aún ha de quedarse atrás. Mucho me huelgo de que os haya en Nápoles ido tan bien. Más dichoso he sido de lo que yo imaginé. ¿Cómo? Ya os dije, señor don Luis, cuando por aquí pasé, que aunque siempre fui poco inclinado al amor, de mis deudos persuadido, de mis amigos forzado, traté de tomar estado; siendo así que divertido en varias curiosidades, dejé pasar la primera edad de mi primavera. Ya sé las dificultades que hubo en vuestra condición
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ATTO PRIMO Entrano don Giovanni, in abito da viaggio, da una porta, e dall’altra, don Luis. DON LUIS
DON GIOVANNI
DON LUIS DON GIOVANNI
DON LUIS
DON GIOVANNI
DON LUIS DON GIOVANNI
DON LUIS
Abbracciatemi, mio caro don Giovanni, un’altra volta. Mille e più siano gli abbracci di questa antica amicizia. Come state? Così allegro, così felice e contento, così leggero mi sento, che il pensiero non potrà farvi comprendere tutte le fortune che possiedo, perché nemmeno il pensiero, credo, vola tanto in alto. Che a Napoli vi sia andata così bene, mi rallegra. Sono stato fortunato, più di quanto immaginassi. E come? Vi avevo detto, l’ultima volta che sono passato, che, pur essendo poco propenso all’amore, dai parenti miei persuaso, dagli amici miei convinto, ho deciso d’accasarmi; proprio adesso che, distratto fra mille curiosità, se n’è andata via, fugace, tutta la mia giovinezza. So bene che il vostro umore era molto riluttante
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DON JUAN
para esa plática; y que, siempre que en ella os hablé, hallé vuestra inclinación muy contraria, habiendo sido de vuestro divertimiento lo postrero el casamiento, pues en libros suspendido gastabais noches y días; y si, para entretener tal vez fatigas del leer, con vuestras melancolías treguas tratábades, era lo prolijo del pincel su alivio, porque aun en él parte el ingenio tuviera: de cuyo noble ejercicio, que en vos es habilidad, o gala o curiosidad, pudiera otro hacer oficio; pues es tanta la destreza con que sus líneas formáis, que parece que le dais ser a la naturaleza. Cuando vuestro huésped fui, y en esto ocupado os vía, me acuerdo lo que os reñía. Pues siendo todo eso así, ya rendido a la atención de mis deudos, o a que fuera lástima que se perdiera, faltándome sucesión, un mayorazgo que creo que es ilustre y principal y no de poco caudal, correspondí a su deseo; y dando – lo que no había
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alla vita coniugale, ché, quando ve ne accennavo, eravate voi contrario; l’ultimo pensiero vostro, infatti, tra tanti impegni, era quello di sposarvi; giacché immerso nei libri passavate giorno e notte; e se, per svagarvi forse dalle pesanti letture, stipulavate una tregua con la dolente tristezza, era sollievo il paziente pennello, ché pure lì adopravate l’ingegno. Questo nobile esercizio, che in voi è destrezza, garbo, curiosità, qualcun altro lo farebbe per mestiere, perché è tanta la bravura con cui le linee tracciate, che sembra quasi che vita diate alla propria natura. Quando fui ospite vostro, nel vedervi così assorto nel dipingere, ricordo quanto vi rimproveravo. È proprio vero, ma mosso dalle insistenti premure dei miei parenti, o fors’anche dal rimorso di vedere scomparire, senza eredi, un maggiorasco che credo sia nobile ed importante e di non poco provento, ne ho seguito i consigli, e mi son concesso quello 693
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DON LUIS
DON JUAN DON LUIS DON JUAN
DON LUIS
DON JUAN
hecho en mi menor edad –, lugar a la voluntad que hasta entonces no tenía, tomar estado traté, dando a mi prima la mano, que es hija del castellano de Santelmo. Ya lo sé; y ya os dije, cuando aquí al pasar mi huésped fuisteis, la buena elección que hicisteis. Pues más lo es hoy. ¿Cómo así? Como aunque mi pecho ingrato, por las noticias que tuvo desde allá, inclinado estuvo de Serafina al retrato, después que vio a Serafina, tan del todo se rindió que aun yo no sé si soy yo. Es su hermosura divina, es su ingenio singular: de uno y otro soy testigo. Hoy, en fin, viene conmigo a ser Venus de este mar o Flora de sus riberas, por no perder la ocasión para nuestra embarcación, en llegando las galeras. Su padre con ella viene, que hasta Gaeta ha querido acompañarla. Esta ha sido la causa porque previene mi amistad adelantarme; porque, como os ofrecí ser vuestro huésped aquí cuando volviese a embarcarme,
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DON LUIS
DON GIOVANNI DON LUIS DON GIOVANNI
DON LUIS
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che in gioventù non avevo fatto e nemmeno credevo di voler fare: ho deciso di sposarmi ed ho chiesto la mano di mia cugina, la figlia del castellano di Sant’Elmo. Sì, lo so; e vi ho già detto, l’ultima volta che siete passato, che è stata una buona scelta. Ottima, direi. Davvero? Anche se il mio sordo cuore aveva sentito un debole per Serafina alla vista del suo ritratto e a sentirne le lodi, appena l’ha vista, si è completamente arreso, tanto che non so chi sono. La sua bellezza è divina, il suo ingegno è eccezionale; io ne sono testimone. Oggi, finalmente, è qui, Venere di questo mare, Flora di siffatte spiagge, ed ora non vogliam perdere l’occasione d’imbarcarci, se son giunte le galere. Viene con suo padre, il quale ha voluto accompagnarla fino a Gaeta; per questo motivo e per l’amicizia che vi porto, li precedo. Poiché vi avevo promesso di essere ospite vostro all’imbarco successivo, 695
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DON LUIS DON JUAN
DON LUIS
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he querido preveniros del forzoso inconveniente de venir con tanta gente; y así, me atrevo a pediros... ¿Qué? ...que licencia me deis para ir a mi posada, que estará ya aderezada. Notable agravio me hacéis. ¿Soy hombre yo que pudiera, igual dicha deseando, nada embarazarme, cuando todo Nápoles viniera con vos? Ya sé lo que os debo pero... No hay que responder: o a mi casa o a no ser más amigos. No me atrevo a aventurar amistad tan segura y verdadera. ¿Tan gran desaire pudiera hacerse a mi voluntad, y más, cuando por solo esto, si os digo verdad, estoy en el gobierno hasta hoy? ¿Cómo? Como había dispuesto retirarme a mi hacenduela, postrado a los desengaños de mis ya prolijos años; que como no me desvela el adquirir, desde el día que a don Álvaro perdí, estoy ya violento aquí.
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vi ho voluto prevenire del molesto inconveniente di venir con tanta gente; e mi permetto di chiedervi... Cosa? Dite. Concedetemi di andare in una locanda che a quest’ora sarà pronta. Grande offesa mi recate. Se qualcosa mi è gradita, sono io, per caso, un uomo che può fermare un ostacolo, quand’anche con voi venisse tutta Napoli? So quanto vi devo... Fermo lì. State da me, sennò non saremo più amici. Non ho l’ardire di perdere un’amicizia così solida e sincera. Uno sgarbo così grande mi fareste? Per di più, solo per questa ragione, se la verità confesso, sono rimasto al governo! Che dite? Che avevo già deciso di ritirarmi in campagna, ormai prostrato dalle tante delusioni di questa avanzata età. Dato che ormai non mi stimola accumulare ricchezze, dacché ho perso don Alvaro, mi sento a disagio qui. 697
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Confieso que no querría hablaros en esto, pero ya la plática salió: ¿nunca de él supisteis? No, sino el aviso primero, que fue, habiéndose embarcado a negocios que en España tuvo, que esa azul campaña le sepultó, derrotado el bajel. De esto tuvimos aviso porque una nave, que de la tormenta grave venir a abrigarse vimos, contó cómo a pique había visto irse su bajel. ¿Y cómo supo ser él? Como era desdicha mía. Venía de Barcelona, donde el viaje había de hacer, y lo confirma el no haber noticia de su persona; mas no hablemos más en esto. ¿Cuándo decís que vendrá vuestra esposa? Ya estará cerca de aquí. Pues id presto a esperarla y a decirla de mi parte que ir no puedo a servirla, porque quedo ocupado acá en servirla. De esa suerte lo diré, pues vos... No me digáis más.
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Confesso che non volevo toccare questo argomento, ma adesso che ne parliamo... Ci sono novità? No, tranne la prima notizia. E cioè, che, imbarcatosi per certi affari che aveva in Spagna, adesso è sepolto in quest’azzurra distesa che ne ha travolto il vascello. La notizia ci è arrivata da una nave che, sfuggendo alla burrasca, cercò riparo in porto e narrò in che modo aveva visto il suo vascello affondare. Proprio il suo? È sicuro? Sì, come la mia sfortuna. Veniva da Barcellona, dove lui era diretto. A conferma c’è il fatto che non ne ho più avuto nuove. Ma non parliamone più. Quando arriva vostra moglie? Ditemi. Ormai deve essere vicina. Andatele incontro allora e da parte mia ditele che son rimasto qui per servirla e, per questo, non sono lì. Presto, andate. Glielo riferirò, dato che voi... Non andate oltre.
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Vase, y sale Porcia. ¿Porcia? PORCIA DON LUIS
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¿Señor? Ya sabrás – mil veces te lo conté – las grandes obligaciones que a don Juan Roca he tenido. Que eres su amigo te he oído decir en mil ocasiones. Pues has de saber, que ya con su esposa por aquí vuelve. ¿Serafina? Sí, y hasta embarcarse, será mi huésped. Yo lo agradezco de mi parte. ¿Qué te obliga? Ser Serafina mi amiga, y pensará que la ofrezco el hospedaje. Está bien; y supuesto, siendo así, que por ti, Porcia, y por mí agasajarlos es bien, te ruego que a tus criadas las mandes aderezar ese cuarto en que han de estar. Prevenciones excusadas son: ¿cuándo no está, señor, uno y otro apercebido para huéspedes, si has sido aun más que gobernador, hostelero?
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Esce don Giovanni ed entra Porcia. Porcia! PORCIA DON LUIS
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Signore... Tu sai – mille volte te l’ho detto – quanti obblighi ho io verso don Giovanni Roca. Tante volte ti ho sentito dire che gli sei amico. Allora devi sapere che con la sua sposa torna qui. Con Serafina? Sì. Fino all’imbarco sarà mio ospite. Che piacere provo a saperlo. Perché? Serafina è amica mia e crederà che a ospitarla, padre, sono io. Va bene, e visto che tutti e due desideriamo con ogni riguardo accoglierli, Porcia, ordina alle domestiche di preparare la stanza dove devono alloggiare. Non c’è bisogno di dirlo. Quando mai, padre, le stanze non sono pronte per gli ospiti? Se più che un governatore, tu sei stato in questa casa un locandiere?
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Mi contento es festejar a quien pasa.
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Sale Juanete, de camino. JUANETE
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Paz sea en aquesta casa, y a ese propósito un cuento. «Llegando una compañía de soldados a un lugar, empezó un villano a dar mil voces en que decía: “¡Dos soldados para mí!”. “Lo que excusar quieren todos – dijo uno –, ¿con tales modos pides?”. Y él respondió: “Sí, que aunque molestias me dan cuando vienen, es muy justo admitirlos por el gusto que me hacen cuando se van”». Con esto, pues, y con que mi amo aquí manda esperar, dadme los dos a besar, vos la mano y vos el pie. Juanete, seas bien venido, que ya te echaba mi amor menos, viendo a tu señor. ¿Cómo de boda te ha ido? «Convidole a merendar un cortesano en el río a un forastero, y muy frío le dio un pollo al empezar. Pidió de beber y estaba tan caliente la bebida como fría la comida. Viendo, pues, que nada hallaba a propósito, cogió el pollo, y con sutil traza,
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Io adoro ospitare chi va e viene. Entra Juanete, in abito da viaggio.
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Pace e bene in questa casa! Ed eccovi una storiella che viene a fagiolo. «Giunse un giorno una compagnia di soldati in un paese, e allora sbraitò un villano: “Due soldati anche per me!” “Quello che tutti vogliono evitare – disse un tale – tu smaniando lo richiedi?”. Rispose: “Sì, perché quando vengono, danno fastidio, ma li alloggio per il gusto che ho, quando se ne vanno”». Il mio padrone mi ha detto che devo aspettarlo qui. Datemi, su, da baciare voi, la mano e voi, il piede. Juanete, sei benvenuto. Sentivo la tua mancanza, dacché ho visto il tuo signore. Come ti è andata, alle nozze? «Un cortigiano invitò un forestiero sul fiume a far merenda, e gli diede all’inizio un pollo freddo. L’ospite chiese da bere e il vino era caldo quanto il mangiare freddo era. Vedendo che non ne andava bene una, allora, prese il pollo e con furberia 703
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le echó dentro de la taza. El amigo que tal vio, “¿Qué hacéis?” dijo. Él impaciente respondió: “Así determino hacer que el pollo enfríe el vino o el vino al pollo caliente”». Lo mismo me ha sucedido en la boda, pues me han dado moza novia y desposado no mozo; con que habrá sido fuerza juntarlos fiel, porque él con ella doncella, o él la refresque a ella o ella le caliente a él. Deja locuras y di cómo Serafina viene. En coche. Y eso, ¿qué tiene que ver con lo que yo aquí te pregunto? Mucho, puesto que quien dice en coche, dice contenta, ufana y felice. ¿Por qué lo dices? Por esto: «Murió una dama una noche, y porque pobre murió, licencia el vicario dio para enterrarla en un coche. Apenas en él la entraban, cuando empezó a rebullir; y más cuando oyó decir a los que la acompañaban “Cochero, a San Sebastián.” Pues dijo a voces: “No quiero.
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lo ficcò dentro la tazza. L’amico, che lo guardava, disse: “Che state facendo?” Lui rispose con dispetto: “Col pollo raffreddo il vino, col vino riscaldo il pollo.”» La stessa cosa è successa alle nozze: mi hanno messo davanti giovane sposa e sposo non più giovane, per cui a forza bisogna unirli e far sì che avvenga o che lui rinfreschi lei o che lei riscaldi lui. Smettila! Dimmi, piuttosto: sai come va Serafina? In carrozza. E ora che c’entra con ciò che ti ho appena chiesto? Dimmi. C’entra, e molto, ché «in carrozza» vale a dire lieta, allegra e soddisfatta. Che vuoi dire? Ora mi spiego: «Morì una sera una dama in assoluta miseria, ed il vicario permise che ella venisse portata a seppellire in carrozza. Non appena la infilarono, cominciò ad agitarsi, specie quando sentì dire chi la stava accompagnando: “Cocchiere, a San Sebastiano!”. Allora sbraitò: “Non voglio!
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Da vuelta al Prado, cochero, que después me enterrarán.”» ¿A quién tu lengua perdona con aquesos cuentecillos? «A cuatro o cinco chiquillos daba un día en Barcelona de comer su padre...»
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Dentro. [VOCES] PORCIA JUANETE
¡Para! Ya parece que han llegado. De la boca me han quitado el cuento. Sale Julia.
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Señor, repara en que ya el huésped que esperas llega. A recibirle vamos. En los chiquillos quedamos. Ya suben las escaleras y llegan hacia esta parte.
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Sale don Juan, que trae de la mano a Serafina, vestida de camino, don Pedro y Flora. DON LUIS
Dadme, oh bella Serafina, cuya hermosura divina rayos con el sol reparte, a besar la mano, en muestra del contento y alegría que hoy tiene esta casa mía en solo parecer vuestra. Y perdonad si no es
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Cocchiere, fa’ un giro al Prado! Mi seppellirete dopo.”» Non ci si salva da queste tue storielle, chiacchierone! «A quattro o cinque bambini dava a Barcellona un giorno da mangiare il padre...» Si odono delle voci.
[VOCI] PORCIA JUANETE
Fermi! Devono essere arrivati. Mi hanno levato la storia di bocca. Entra Julia.
JULIA
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Padrone, bada che l’ospite che attendevi è arrivato. Andiamo a accoglierlo. Siamo rimasti ai bambini. Stanno salendo le scale e da questa parte vengono. Entrano don Giovanni, che conduce per mano Serafina, in abito da viaggio, don Pedro e Flora.
DON LUIS
O mia bella Serafina, la cui divina bellezza può competere col sole, datemi la vostra mano da baciare! A casa mia la sola presenza vostra fa regnare l’allegria. E perdonate, signora,
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capaz esfera, señora, de las luces del aurora. PORCIA Eso a mí me toca, pues es mía la obligación y la vergüenza de ver que no pueda merecer dichas que tan grandes son. Tú seas muy bien venida. SERAFINA Habiendo de responder a los dos, bien menester será que partido os pida; que a dos favores, ¡ay Dios!, estilo no hallo oportuno; y así, no respondo al uno por no agraviar a los dos. DON PEDRO Mucho me pesa de que don Juan no os haya excusado, señor don Luis, este enfado. DON LUIS No me corráis; pues en fe, señor don Pedro, de ser yo tan vuestro servidor, me hace don Juan este honor. JUANETE [A Flora] ¿Hay paciencia para ver una plática molesta de cumplimientos? FLORA ¿Peor no es oír a un preguntador?
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Disparan dentro. DON JUAN
Vamos. Mas, ¿qué salva es esta? Sale Fabio.
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La atalaya ha descubierto de Nápoles dos galeras
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[A Flora]
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se non basta questo cielo a contener tanta aurora. Questo spetta a me. Mi scuso, mia cara, perché non merito tanto onore né una gioia così grande. Benvenuta! Se a entrambi devo rispondere, mi vedo costretta a chiedervi di farmi grazia, perché – oh mio Dio! – non c’è risposta degna di tali premure. E così per non offendervi, dal rispondere mi astengo. Mi rincresce assai, signore, che don Giovanni non vi abbia sottratto a tanto disturbo. Non fatemi vergognare. Don Giovanni, a dire il vero, mi ha concesso il privilegio di esser vostro servitore. Quanta pazienza ci vuole per sopportare siffatte cerimonie! Non è peggio ascoltare un ficcanaso? Si odono degli spari.
DON GIOVANNI
Andiamo... E questi cannoni? Entra Fabio.
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Le vedette hanno avvistato due galere che da Napoli,
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que costeando sus riberas vienen ya tomando el puerto. ¡Qué placer me da el oír que vienen! (Es gran placer al ver los huéspedes, ver la recua en que se han de ir.) Junto viene todo el bien, pues en ellas imagino que el gran príncipe de Ursino vuelve a Nápoles, a quien es forzoso que reciba, y aunque en mi casa le hospede, si quien no es su dueño puede disponer de ella. Así viva que me hagáis merced de darme licencia... No hay para qué volver a esto, que yo sé que sabré desempeñarme. Porcia, lleva a Serafina bella a su cuarto, y los dos esperadme en él. Con vos saldremos a la marina. Yo lo permito porqué de los dos acompañado, llegue, si es él, más honrado. Y yo entre todos iré, por ver si entre los corrillos de la bulla hallo lugar... ¿Para qué? Para acabar el cuento de los chiquillos.
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Vanse, y quedan Porcia, Serafina y las criadas. 710
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costeggiando il litorale, stanno già entrando in porto. Che piacere quando arrivano! (Sì, fa piacere vedere, oltre agli ospiti, le mule con cui se ne andranno via!) Le buone notizie vengono tutte assieme. Penso, infatti, che a bordo delle galere il grande principe Orsini torni a Napoli. Ed io devo riceverlo in questa casa, di cui non son più signore, se mi è permesso disporne. Concedetemi licenza, vi prego... Non c’è bisogno di ricominciare. Sono in grado di farlo. Porcia, accompagna Serafina nei suoi alloggi, e aspettatemi lì tutte e due. Ed invece noi vi accompagniamo al porto. Ve lo concedo, perché, se è lui, la vostra scorta rende maggiore l’ossequio. Ed anch’io vi seguirò per vedere se tra il chiasso della folla trovo il modo... Di far cosa? Di finire la storiella dei bambini.
Escono don Luis e Juanete e restano in scena Porcia, Serafina e le domestiche.
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¿Fuéronse? Sí, ya se fueron. ¿Pues qué aguarda mi pasión? ¿Qué lágrimas esas son? Son, amiga, las que fueron, y pues tú no las ignoras, no será facilidad fiarlas a tu amistad. No sé más de ver que lloras. Sí sabes, si ya no es que, de mi olvido ofendida, te das por desentendida. No sé qué te diga. Pues quedemos solas ahora, verás si soy la que era. Julia, salte tú allá fuera. Vete tú con ella, Flora. Ven, si desde el mirador ver las galeras quisieras. Eso es echarme a galeras, y a dormir fuera mejor.
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Vanse las criadas. SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA
¿Estamos ya solas? Sí. ¿No nos oye nadie? No. ¿Quién supo mis dichas? Yo. Pues oye mis penas. Di. Ya te acuerdas, Porcia mía, de aquel venturoso tiempo que en Nápoles las dos fuimos
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Se ne sono andati?
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Sì. Che cosa aspetto a sfogarmi? Queste lacrime, che sono? Amica mia, sono lacrime antiche, che ben conosci, e sarà facile, quindi, affidarle all’amicizia. Vedo che piangi. Nient’altro so. Sì che lo sai. Ma forse non ti importa perché offesa sei dal mio lungo silenzio. Non so che dirti. Restiamo da sole e allora vedrai se sono quella di un tempo. Julia, va’ un momento fuori. Esci anche tu con lei, Flora. Se vuoi, possiamo vedere le galere dalla loggia. Questo è mandarmi in galera! Sarebbe meglio dormire.
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Escono le domestiche. SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA PORCIA SERAFINA
Siamo proprio sole? Sì. Nessuno ci sente? No. Felice ero un tempo. Sì. Ora, invece, soffro. Dimmi. Ti ricordi, Porcia mia, di quel tempo fortunato quando a Napoli eravamo 713
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tan amigas, que pudieron juzgar nuestros corazones, regidos de un movimiento, que había en un cuerpo dos almas o estaba un alma en dos cuerpos. Ya te acuerdas, no te extrañe el ver que desde aquí empiezo las fortunas de un amor que sabes tú y yo padezco; porque habiendo de ser este el vale último, el postrero trance de mi vida, es bien, pues las exequias celebro a una difunta esperanza, que nada te calle, puesto que cuanto diga de más, tendré que sentir de menos. En fin, ya te acuerdas, digo, de cuánta ocasión tuvieron nuestras continuas visitas para hablarnos, para vernos yo y don Álvaro, tu hermano. ¿Cómo, ¡ay infeliz!, refiero su nombre, sin que el dolor, áspid que abrigué en el pecho, pisado de la memoria que le alimenta acá dentro, no reviente, inficionando el aire con mis alientos? Mas, ¡ay de mí!, que no fuera tan mortal, tan cruel, tan fiero veneno que me matara de una vez, como veneno que obstinadamente tibio y porfiadamente lento, a todas horas está
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così amiche che sembrava che i nostri cuori battessero all’unisono, che fossimo quasi un corpo con due anime o due corpi con un’anima? Non sorprenderti se vedi che da qui inizio la storia di un amore che tu sai ed io patisco, perché l’ultimo addio è questo, il termine della vita, ed è bene non celarti nulla, poiché qui commemoro le esequie di una speranza defunta. Quanto più parlo, molto meno soffrirò. Dunque, ti ricordi quante occasioni hanno fornito le nostre frequenti visite a me e a tuo fratello Alvaro di parlarci, di vederci... Come mai, povera me!, quando pronuncio il suo nome, non fuoriesce il dolore, aspide protetto in petto, calpestato dal ricordo che l’alimenta qua dentro, e non scoppia, avvelenando l’aria col fiato che esalo? Ahimè! E non sarebbe forse meno atroce e doloroso, meno spietato un veleno che m’uccidesse all’istante, invece di questo tossico ostinatamente lieve, perseverante ma lento, che ad ognora mi tortura 715
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atormentando y no hiriendo. De aquellas, pues, continuadas visitas, Porcia, nacieron su atención y mi cuidado, su inclinación y mi afecto; que aunque es verdad que al principio le respondí con despegos, acá en el alma quedaba, si ahora la verdad confieso, cierto género de agrado, cierta especie de contento, que ni bien era cariño ni bien dejaba de serlo; porque a media luz no más andaba mi pensamiento en crepúsculos de amor, si agradezco o no agradezco. Muy pocas mujeres, Porcia, o ninguna, se ofendieron de ser amadas: quien más llore su aborrecimiento, a los desaires atienda de su dama, y verá en ellos que, aunque el valor los anima, andan en visos y lejos rebozados los favores a sombra de los desprecios. Dígalo yo, y aun tú puedes decirlo también, supuesto que tantas veces me viste culpar sus atrevimientos. Escribiome, ya lo sabes; rompí el papel, no fue exceso; quiso hablar, no le di oídos; volvió a escribir, hice extremos; valiose de ti fiado de tu amistad, culpé el medio;
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ma senza uccidermi mai. Ebbene, Porcia, da quegli assidui incontri fiorì una tenera attrazione: in lui amore e in me affetto. E se è vero che all’inizio gli risposi con freddezza, nell’anima, qui, restava – adesso confesso il vero – una sorta di piacere, certa specie d’allegria, che, se non era già affetto, non era neanche il contrario, perché il pensiero vagava al barlume delle luci, al crepuscolo d’amore, tra il desiderio e il timore. Pochissime donne, Porcia, forse nessuna, si offendono quando si sentono amate; chi piange per il rifiuto della sua dama, ne osservi gli sdegni, e vi scorgerà, dietro la risoluzione, i favori in lontananza, vagamente travestiti dalle ombre del disprezzo. Io posso dirlo, davvero!, e anche tu puoi dirlo, Porcia, ché m’hai visto tante volte dal suo ardire irritata. Mi scrisse, tu lo sai: ruppi la lettera, non per finta; volle parlarmi: io non volli; scrisse ancora: m’adirai; si servì di te, puntando sull’amistà: t’incolpai; 717
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persuadísteme, enojeme; porfió, hice sentimientos; vile llorar y reíme; siendo así que todo esto, quien me viera el corazón, viera con cuánto tormento hace el honor repugnancias cuando hace el amor esfuerzos. Una noche que yo acaso estaba tomando el fresco a una reja que caía sobre el mar, pudo encubierto llegar a hablarme; y después de los usados afectos de un rendido, que por ser lugares comunes, dejo, palabra me dio de esposo, con cuyo honestado medio, si no mejoró su dicha, mejoró su fingimiento; pues corriendo desde entonces, más licencioso el respeto, fue el desdén el embozado y el favor el descubierto. Esto he dicho, por si acaso lo ignoras; que el más pequeño escrúpulo no se quede contra mi honor. En efecto, desde aquella noche, ¡ay triste!, hablándonos en secreto, creció amor correspondido, aunque vulgares conceptos dicen que el amor sin trato ni es amor ni puede serlo. En este medio, mi padre trataba mi casamiento con don Juan Roca, mi primo;
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mi esortasti: mi arrabbiai; perseverò: me ne dolsi; lo vidi piangere e risi. Eppure chi avesse letto nel mio cuore avrebbe visto con quante tribolazioni l’onore resiste ai colpi incalzanti dell’amore. Una sera che, per caso, stavo godendomi il fresco da una finestra sul mare, si avvicinò di nascosto e riuscì, infine, a parlarmi. Disse parole d’amore, che tralascio perché sono quelle d’ogni innamorato, poi promise di sposarmi. Se con questo onesto mezzo non migliorò la sua sorte, sì cambiò la mia condotta: e così, da allora in poi, incrinandosi l’asprezza, lo sdegno si camuffò e si smascherò l’affetto. Ti ho detto questo, che forse non sai, perché tu non abbia neanche il più piccolo dubbio sul mio onore. Oh che tristezza! E infatti, da quella sera, coi nostri segreti incontri, crebbe l’amor corrisposto, anche se si dice in giro che l’amore non è amore se non c’è la consuetudine. E nel frattempo, mio padre preparava le mie nozze col cugino don Giovanni; 719
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I
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y el tuyo, en aqueste medio, también trató de ausentarse por venir a este gobierno, desde donde le envió a España a no sé qué pleitos; y confiriendo los dos si sería buen acuerdo que entre mi boda y su ausencia nos declarásemos, viendo que no era justo enojar a entrambos padres a un tiempo, sin reservar al delito sagrado en que retraernos, hasta la vuelta ajustamos callar. ¿Cuándo, cuándo, ¡cielos!, le estuvo mal al amor el valerse del silencio? Despedímonos, fiando él de mi parte el ingenio con que había de apartar de mi padre los intentos; yo fiando de la priesa en que habían sus deseos de dar la vuelta a mis brazos. Mas, ¡oh qué necios, qué necios son los que no tienen más que una esperanza, y sabiendo que al viento se la quitaron, vuelven a dársela al viento! Mi padre, pues, deseaba ejecutar los conciertos tratados... ¡Jesús mil veces! ¿Qué tienes? No sé qué tengo. No será nada. Y yo atenta a mi amor y a su respeto,
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al tempo stesso tuo padre lasciò Napoli ed andò a governare a Gaeta, da dove inviò tuo fratello in Spagna per certi affari. Dopo aver discusso a lungo se fosse una buona idea rivelare il nostro amore prima che si stabilissero le nozze e Alvaro partisse, poiché non era corretto inquietare entrambi i padri senza nemmeno un rifugio dove poter difenderci, decidemmo di tacere fino al suo rientro. Oh cielo! Quando il silenzio non fu un amico dell’amore? Ci congedammo. Lui certo delle mie capacità: che avrei distolto mio padre dai suoi intenti; io sicura che presto il suo desiderio l’avrebbe qui riportato, tra le mie braccia. Che stupidi! Che stupidi sono quelli che possiedono soltanto una speranza, nient’altro, e pur sapendo che al vento l’hanno strappata, l’affidano di nuovo al vento! Mio padre, dunque, voleva avviare gli accordi presi... Oh Gesù! Che succede? Non lo so. Non è nulla. Ed io divisa tra l’amore e il rispetto, 721
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me valía de razones contra la razón, diciendo que el haber de irme sin él a España... Otra vez ha vuelto a afligirme la congoja. ¡Válgame Dios! Yo me muero. Sosiégate, y no prosigas, si te aflige hablar en esto. Claro está, pues entra ahora el decir que en este tiempo llegó la nueva de que había don Álvaro muerto, derrotado de esos mares, donde ahora, ¡válgame el cielo!, con la muerte agonizando parece que le estoy viendo.
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Desmáyase. PORCIA
¡Serafina, amiga! Extraño accidente la ha cubierto el corazón. ¡Julia! ¡Flora! Nadie oye. Todas subieron a ver desde el mirador las galeras en el puerto. ¿Flora? ¿Julia?
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Sale Juanete. JUANETE
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Aunque no soy Flora ni Julia, me atrevo a entrar hasta aquí, porqué a pedir albricias vengo. ¿De qué has de pedirme albricias, si buena nueva no espero?
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ogni argomento opponevo alla ragione, dicendogli che dovere andare in Spagna senza di lui... Ho di nuovo un nodo in gola! Che angoscia! Signore, aiutami! Muoio. Calmati. Non continuare, se ti affligge il ricordo. Soffro così, perché adesso mi tocca dire che, intanto, la notizia arrivò che era morto don Alvaro, perso in queste acque dove adesso, – il ciel m’aiuti! – mi sembra di vederlo agonizzare e con la morte lottare. Sviene.
PORCIA
Serafina, amica mia! Le ha stretto il cuore uno strano malessere! Julia! Flora! Nessuno mi sente? Entrambe sono andate su a guardare le galere, ferme in porto. Flora! Julia! Entra Juanete.
JUANETE
PORCIA
Io non sono Flora né Julia; mi azzardo, però, a entrare perché cerco una bella ricompensa. E perché mai dovrei dartela? Non aspetto buone nuove.
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PORCIA JUANETE
PORCIA JUANETE
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Por eso será mejor; y por decirla de presto: tu hermano, señora, ¡vive! ¿Qué? ¿Qué dices? Lo que es cierto, con el príncipe de Ursino en las galeras ha vuelto. ¿Pues cómo...? No sé de cómos; que yo decirte no puedo más de que así como vi que el aviso no fue cierto, y vi a tu padre abrazarle, me he adelantado, creyendo que cuando nada me valga me valdrá contar un cuento. Aunque las albricias mando, y aunque la nueva agradezco, tengo mucho que sentir, más quizá de lo que siento; que este desmayo me quita grande parte del consuelo. ¿Desmayo? ¡Cuerpo de Dios, que yo pensé que era sueño, por eso no me asustaba! Asústome ahora y vuelvo a decirlo a mi señor.
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Vase. PORCIA
¡Oye! Él se va, y yo me quedo con dos gustos y una pena, tan sola como primero. Iré a llamar quien me ayude, pues Serafina no ha vuelto. ¡Hola! ¿No hay quien me responda?
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PORCIA JUANETE
PORCIA JUANETE
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Così è meglio. Aumenta il gusto. Eccola qui, fresca fresca: tuo fratello Alvaro è vivo. Che dici? Signora, il vero. Assieme al principe Orsini sulle galere è tornato. Ma, come...? Come non so. Solamente posso dirti che non appena ho capito che non era morto e ho visto tuo padre che lo abbracciava, sono corso qui, pensando che, se nulla ci guadagno, ho una storia da narrare. Grata per la buona nuova, ti darò una bella mancia, ora, però, sono triste, più di quanto sia mai stata, perché questo svenimento mi priva di ogni piacere. Svenimento! Oh perbacco, io credevo che dormisse! Per ciò non mi spaventavo. Ora sì, però! E scappo subito a dirlo al padrone. Esce.
PORCIA
Senti! (Se n’è andato, ed io resto sola come prima, con due piaceri e una pena. Andrò in cerca di un aiuto, visto che non si riprende.) C’è nessuno? Mi sentite?
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Deja a Serafina en una silla desmayada, vase, y sale don Álvaro por otro lado. DON ÁLVARO
No me ha sufrido el deseo de ver a mi hermana, hacer que asista a los cumplimientos del príncipe. Y así, a verla primero que todos, vengo. Fuera de que el haber visto con mi padre allá a don Pedro, el padre de Serafina, me trae con mejor afecto a saber si tiene nuevas de ella. Mas, ¿qué es lo que veo? ¿En mi casa Serafina tan sola y rendida al sueño? Poca dicha es de un ausente hallar su dama durmiendo. ¿Serafina? ¿Dueño mío?
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Habla entre sueños y despierta luego. SERAFINA
DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
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Déjame. Por Dios, te ruego, don Álvaro, no me mates. Sosiégate. ¿Cómo puedo, si estoy mirando, ¡ay de mí!, mi fantasía con cuerpo, con voz mi imaginación, con alma mi pensamiento? Mi bien, mi dueño, mi esposa, si el verme, por dicha, ha hecho horror a tus ojos, mira que vivo estoy. Ya te entiendo; y si en venganza me buscas de que tu fineza ofendo,
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Lascia Serafina svenuta su una sedia ed esce. Dall’altro lato entra don Alvaro. DON ALVARO
Non ho retto al desiderio di riveder mia sorella, e così ho abbandonato gli onori dovuti al principe, per abbracciarla per primo. E poi ho visto don Pedro, il padre di Serafina, assieme al mio, e mi sono precipitato, con l’ansia di saper se mia sorella ha sue notizie. Che vedo? Serafina sola in casa e addormentata! Non è fortunato chi ritorna e trova il suo amor che dorme. Serafina! Mio tesoro! Parla nel sonno e poi torna in sé.
SERAFINA
DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO
SERAFINA
Lasciami stare! Ti prego, don Alvaro, non uccidermi. Calmati. Come riuscirci, se ora vedo in carne e ossa le mie fantasie, se ascolto parlare il mio sogno e sento l’anima del pensier mio? Amore mio, sposa mia, se questa mia apparizione ti ha tanto impaurito, guardami. Io sono vivo! Capisco! E se ti vuoi vendicare perché ho oltraggiato il tuo amore 727
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de que mi palabra rompo, bastante disculpa tengo: contando a tu hermana estaba que hasta saber que habías muerto, no me persuadió mi padre a haber elegido dueño. Viuda de ti me he casado. Ahora conozco, ahora advierto que debe de ser verdad el asombro tuyo, puesto que no es posible estar tú casada y no estar yo muerto. Vuelve, vuelve, y no el espanto te haga decir desaciertos. Vivo estoy, y aunque corrí la tormenta que dijeron y se fue el bajel a pique, pude sobre sus fragmentos sustentarme hasta llegar las galeras que acudieron, por ser a vista de tierra, a socorrerme; si tengo culpa en no escribirlo, ha sido no haber ocasión de hacerlo. ¡Dame los brazos! También ahora conozco, ahora veo que debe de ser verdad que vives, Álvaro, puesto que soy yo tan desdichada, que aun una dicha que tengo, no lo es ya, pues muerto o vivo, de cualquier modo te pierdo. Luego... ¡Qué pena! ...¿es verdad...
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e mancato alla parola, io posso giustificarmi. Lo stavo dicendo adesso a tua sorella: mio padre non mi convinse a accettare un altro sposo, finché non seppi della tua morte. Vedova mi son sposata. Ora capisco, ora vedo che il tuo sconcerto è sincero, dato che non è possibile che io non sia morto, se tu ti sei sposata. Riprenditi! Torna in te! Dici spropositi a causa dello spavento. Sono vivo! Fui travolto dalla burrasca, che sai, ed il vascello affondò. Ma mi salvai aggrappato ai rottami fino a quando le galere, ché eravamo ancora vicino a terra, giunsero in nostro soccorso. Non ti ho scritto, è colpa mia; è stato proprio impossibile. Abbracciami, amore. Anch’io ora capisco, ora vedo che è vero. Sei vivo, Alvaro, poiché sono disgraziata. E lo sono così tanto che non c’è gioia che valga: vivo o morto che tu sia, io ti ho perduto oramai. Allora... Che pena! ...è vero... 729
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¡Qué ansia! ...que tú...
DON ÁLVARO
¡Qué veneno!
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...Serafina...
SERAFINA
¡Qué dolor! ...como has dicho... ¡Qué tormento! ...estás... ¡Qué rigor! ...casada? ¿Cómo puedo, cómo puedo decir que sí, si estás vivo, ni decir que no, si miento? Pues ¿cómo, ingrata, pues cómo...?
DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
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Salen Porcia, Flora y Julia. PORCIA FLORA JULIA PORCIA
DON ÁLVARO
Llegad las dos. Mas, ¿qué veo? ¿Buena mi ama? ¿Mi amo vivo? Pues cesen mis sentimientos, y dame, Álvaro, los brazos. ¡Ay Porcia!, si esos extremos son porque me ves con vida, te engañas, que no la tengo. Dime, Porcia, dime, Flora, y dime tú, Julia, presto, si es cierto que se ha casado Serafina.
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Apártanse a un lado, y salen don Juan, don Pedro y Juanete. DON JUAN
DON ÁLVARO DON PEDRO
¿Qué ha sido esto? ¡Mi bien, mi dueño, mi esposa! Ya no os pregunto si es cierto. A los dos ese criado dijo tu desmayo.
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Che ansia! ...che tu...
DON ALVARO
Che veleno!
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Serafina...
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Che dolore! ...come hai detto... Che tormento! ...sei... Che supplizio! ...sposata? Come posso, come posso dirti di sì, se sei vivo, o dirti di no, se mento? Come, ingrata? Allora come...?
DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO
Entrano Porcia, Flora e Julia. PORCIA FLORA JUANETE PORCIA
DON ALVARO
Venite, su! Ma... che vedo? La mia padrona sta bene! Ed è vivo il mio padrone! Allontaniamo ogni pena. Alvaro, dammi un abbraccio. Ah, Porcia! Se sprizzi gioia perché sono vivo, guarda che ti inganni: non lo sono. Dimmi, Porcia, dimmi, Flora, e pure tu, Julia, dimmi se è vero che si è sposata Serafina.
Mentre si appartano, entrano don Giovanni, don Pedro e Juanete. DON GIOVANNI
DON ALVARO DON PEDRO
Che è successo? Mio bene, amore, mia sposa! Non vi chiedo più se è vero. Ci ha detto del mancamento questo servitore. 731
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DON JUAN SERAFINA
JUANETE
DON JUAN DON PEDRO JUANETE PORCIA DON PEDRO DON JUAN DON ÁLVARO SERAFINA
PORCIA
Un hielo el corazón me cubrió. Y tanto, que te prometo que por muerto le ha tenido gran rato dentro del pecho. (Y es verdad, todo mi mal fue que le tuve por muerto.) ¿Y cómo, mi bien, te sientes? Aunque rendida me siento al dolor, sabré al dolor ponerle tantos esfuerzos que no te dé otro cuidado. Aquí viene bien mi cuento: «A cuatro o cinco chiquillos...» Quita, loco. Aparta, necio. ¡Ello! Hay cuentos desgraciados. Retírate a tu aposento. Ven, repararás el susto. Ven, mi amor, mi bien, mi cielo. (¿Que esto escuche? ¿Que esto vea?) (¡Oh, si fueran los postreros pasos que diera en mi vida!) Ya ves que dejar no puedo de ir con ella. Aguarda aquí, Álvaro, que al punto vuelvo.
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Vanse, quedando don Álvaro a una parte y Juanete a otra. JUANETE
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Pues yo no he de reventar. Alguien lo ha de oír: sobre eso haré que me oigan los sordos. ¡Qué es esto que miro, cielos! Serafina se ha casado, y viéndola yo en ajenos brazos, ¿no pierdo la vida?
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DON GIOVANNI DON PEDRO JUANETE PORCIA DON PEDRO DON GIOVANNI DON ALVARO SERAFINA
PORCIA
Un gelo mi ha stretto d’un tratto il cuore. A tal punto, che nel petto è stato dato per morto a lungo. Te lo assicuro. (È vero, il mio male è stato averlo creduto morto.) E come ti senti, amore? Sfinita, ma riuscirò a resistere al dolore, e così non ti darò più altre preoccupazioni. Qui vien bene il mio racconto. «A quattro o cinque bambini...» Smettila, sciocco. Va’ via. Certe storie hanno sfortuna. Ritirati un poco in camera. Vai, su. Ti riprenderai. Vieni, amore mio, tesoro. (Questo vedo? Questo sento?) (Magari fossero gli ultimi passi della vita mia!) Guarda, non posso evitare, Alvaro, di accompagnarla; aspettami qui, che torno.
Escono, mentre restano in scena don Alvaro, da un lato, e Juanete, dall’altro. JUANETE
DON ALVARO
Mamma mia, sto per scoppiare! Qualcuno deve sentirmi, perfino i sordi. Lo giuro. Cosa hanno visto i miei occhi! Serafina si è sposata, io la vedo tra le braccia di un altro uomo e non muoio? 733
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Salen el príncipe, don Luis, Celio y acompañamiento. PRÍNCIPE
DON LUIS
PRÍNCIPE
DON ÁLVARO DON LUIS DON ÁLVARO
DON LUIS PRÍNCIPE DON ÁLVARO
DON LUIS
Cada día que aquí llego, os debo nuevas finezas. Yo soy, señor, el que os debo nuevas honras cada día, y nunca os las agradezco; y esta de haberme traído hoy a don Álvaro, creo que no pagaré en mi vida. Fue notable su suceso. A vista de tierra estaba tormenta el bajel corriendo, como ya dije, y pasando las galeras, recogieron los desperdicios del mar y a don Álvaro con ellos. Estaba yo en Barcelona esperando viaje y, viendo que llegaba derrotado, procuré albergarle, siendo desde allí mi camarada. No, sino criado vuestro. ¿Has visto a tu hermana? Sí, señor. ¡Oh cuánto me huelgo! ¡Qué buen día habrá tenido! No mucho, porque sospecho que un accidente que ha dado aquí a una amiga, la ha puesto en cuidado de asistirla. ¿Accidente? Dadme, os ruego, licencia para saber, gran señor, qué ha sido esto.
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Entrano il principe, don Luis, Celio ed il seguito. PRINCIPE
DON LUIS
PRINCIPE
DON ALVARO DON LUIS DON ALVARO DON LUIS PRINCIPE DON ALVARO
DON LUIS
Ogni volta mi colmate di insolite gentilezze. Io vi devo, mio signore, ogni volta nuovi onori e giammai ve ne ringrazio. L’aver riportato oggi a casa il mio don Alvaro non potrò mai ripagarvelo! Un vicenda assai strana! Come vi ho detto, da terra si vedeva il suo vascello in balia della burrasca e le galere, passando, raccolsero dei relitti e don Alvaro con vita. Mi trovavo a Barcellona in attesa dell’imbarco e, vedendolo arrivare naufrago, gli diedi albergo. E da allora è mio amico No, il vostro servitore. Hai già visto tua sorella? Sì, signore. Mi rallegro! Che buon dì avrà avuto! Non proprio, direi, poiché un’amica sua ha avuto un lieve malore e lei è dovuta andare a assisterla. Un malore? Permettetemi, grande signore, di andare a vedere che è accaduto. [Esce.]
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A mí, para ir a buscar un grande amigo que tengo. (No es sino enemigo, pues voy a buscarme a mí mesmo.)
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Vase [don Álvaro con Juanete y acompañamiento.] PRÍNCIPE
CELIO PRÍNCIPE
CELIO
PRÍNCIPE
CELIO PRÍNCIPE CELIO
PRÍNCIPE
CELIO PRÍNCIPE
Celio, que hemos malogrado toda la fineza creo. ¿Por qué? Porque si no veo a Porcia, ¿de qué el cuidado ni la prisa me ha servido? Si su padre te previene de que otros huéspedes tiene, no te des ya por sentido del descuido. ¿Cómo no, si son siglos los instantes? Notables sois los amantes. ¿Nunca tú has amado? Yo mirón del amor he sido; y a pagar de mi dinero, a la que me quiere quiero y a la que me olvida olvido. Pues ya no extraño que aquí me culpes; que quien no tiene amor, juzgo no se aviene con quien ama. ¿Cómo? Así. Quien ve de lejos danzar al que más airoso ha sido, como no oye el dulce ruido de la música, en juzgar que está loco, juzga bien;
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Date licenza anche a me: devo cercare un amico. (Altro non è che un nemico, ché vado a cercar me stesso.) Esce [don Alvaro con Juanete ed il seguito.]
PRINCIPE
CELIO PRINCIPE
CELIO
PRINCIPE
CELIO PRINCIPE CELIO
PRINCIPE
CELIO PRINCIPE
O Celio, ci è andata male! Tante cortesie sprecate. Perché? Perché se non vedo Porcia, a che sono servite tutte queste mie premure? Se suo padre ti ha avvertito che ha degli ospiti a casa, non prendertela perché ti ha trascurato. Per me ogni istante vale un secolo! Siete strani voi amanti! Ma tu non hai mai amato? Un guardone dell’amore sono stato, che ha imparato a pagare con la stessa moneta: le amo, se mi amano, altrimenti, me le scordo. Allora non mi stupisco che mi accusi: chi non ama non va d’accordo con chi è innamorato. Davvero? Chi osserva lontan danzare un leggiadro ballerino, siccome non sente il suono della musica, lo crede pazzo, perché giustamente
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pues sin compás las acciones parecen desatenciones, lo que no sucede a quien de cerca oye la armonía, que es alma de su primor. Así, el que ignora de amor una y otra fantasía, a cuyo compás quien ama se mueve, estar loco puede juzgar, lo que no sucede a quien la dulzura inflama que le negó la distancia; pues atento al blando son, no oye voz, no mira acción, que no le haga consonancia. Acércate, pues, un poco al ruido de amor: verás que está danzando a compás el que piensas que está loco. Bien pudiera replicar que en quien se acerca o se aleja, aun siendo a compás, no deja de ser locura el danzar. Pero no es tiempo, pues vi que a verte Porcia salió.
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Sale Porcia. PORCIA PRÍNCIPE
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Aquí mi hermano quedó. Pues ya, Porcia, no está aquí; y si en esto habéis querido decir que, en dejaros ver, no tengo qué agradecer, no me doy por entendido del disfavor. Son errores; que cuando tan feliz fuera
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senza il ritmo i movimenti sembrano buffi; chi, invece, sente da vicino l’anima della danza, l’armonia, pensa il contrario. Così, chi ignora le fantasie dell’amore, ai cui accenti si muove l’innamorato, lo giudica folle, cosa che non succede a chi è acceso dalla dolcezza che l’altro, lontano, ignora, perché, avvinto dal soave suono, non sente, non vede nulla che non sia in consonanza. Quindi avvicinati un poco al brusio dell’amore; scoprirai che sta ballando chi, invece, credevi pazzo. Potrei ribattere allora che la danza, da vicino o da lontano, è pur sempre una follia «cadenzata», ma non è il momento. Porcia sta venendo a salutarti. Entra Porcia.
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E mio fratello, dov’è? Era qui. Porcia, non c’è. Se poi volevate farmi intendere che non siete qui per me, sorvolerò sul vostro sgarbo. Sbagliate. Se dovessi ricambiare 739
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PRÍNCIPE PORCIA PRÍNCIPE
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PRÍNCIPE
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que esa atención os debiera, en quejas, no en disfavores, la lograra. ¿En quejas? Sí. ¿De quién tenerlas podéis, sabiendo yo que sabéis las finezas que hubo en mí desde el venturoso día que en Nápoles os amé? De vos, pues de vos no fue estimada la fe mía en esta prolija ausencia. Yo sé que me disculpara, si gente, Porcia, no entrara. ¿Cuánto diera Vuexcelencia por el estorbo?
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Sale Serafina. SERAFINA
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No puedo, ¡ay amiga!, sosegar, y a ti te vuelvo a buscar, perdido a mi muerte el miedo. Mas, ¡ay Dios!, ¿quién está aquí? El príncipe. Vuexcelencia perdone mi inadvertencia. Confieso que no le vi, como turbada venía. Yo os agradezco la acción, porque en vuestra turbación pueda disculpar la mía. Pues si turbados los dos reconocemos estar,
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PRINCIPE PORCIA PRINCIPE
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le vostre attenzioni, certo non lo farei con dispetti, ma con accuse. Ah sì? Sì. E di chi vi lamentate? Voi sapete, lo so, quanto affetto vi ho dimostrato, da quel fortunato giorno che, a Napoli, vi ho veduta. È di voi che mi lamento, perché avete disprezzato la fedeltà con l’assenza. Porcia, scusarmi potrei, ma sento che viene gente. Eccellenza, quanto avrebbe dato per il contrattempo? Entra Serafina.
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Non riesco proprio a calmarmi! E torno a cercarti, amica, superata la paura della morte. Ma chi c’è? C’è il principe. Eccellenza, perdonate l’intrusione. Confesso di non avervi visto, tanto ero agitata. Ed io vi ringrazio, invece, perché il vostro turbamento potrà discolpare il mio. Se turbati tutti e due riconosciamo d’essere,
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poco tenemos que hablar: ¡mil años os guarde Dios!
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En toda mi vida vi cortesanía más bella. Fuerza es, señor, ir con ella. ¿Vereisme esta noche? Sí.
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PRÍNCIPE
CELIO PRÍNCIPE
¿Has visto, Celio, en tu vida plática más bien cortada? Si tan en sí está turbada, ¿cómo estará prevenida? ¿Quién aquesta dama es? ¿Yo, cómo lo he de decir, si ahora acabo de venir? Álvaro lo dirá, pues a tan buena ocasión viene. ¿Qué te va en esto? Saber, no más, quién será mujer que tanta hermosura tiene.
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Sale don Álvaro. DON ÁLVARO
PRÍNCIPE DON ÁLVARO PRÍNCIPE
(¡Qué mal descansa un dolor! Apenas de aquí me fui cuando ya me vuelvo aquí.) ¿Don Álvaro? ¿Gran señor? ¿Quién es una hermosa aurora, huéspeda de Porcia bella, con quien el sol es estrella?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO
abbiamo poco da dirci. Dio vi assista mille anni. Esce. PRINCIPE
PORCIA
PRINCIPE
In vita mia non ho visto così garbata creanza. Devo per forza seguirla. Ci vedremo, a sera? Sì. Esce Porcia.
CELIO
PRINCIPE CELIO
PRINCIPE
CELIO PRINCIPE
Con quanta grazia ha interrotto il discorso! Hai visto, Celio? Se è così quando è turbata, come sarà quando è calma? Tu lo sai chi è questa dama? E come posso saperlo, se sono appena arrivato? Me lo dirà Alvaro. Eccolo che arriva al momento giusto. Perché t’interessa? Voglio solo sapere chi sia una siffatta beltà. Entra don Alvaro.
DON ALVARO
PRINCIPE DON ALVARO PRINCIPE
(Il dolore non dà tregua! Me ne sono appena andato ed eccomi di ritorno.) Don Alvaro... Gran signore... Chi è quella bella aurora, ospite di Porcia? Il sole al suo confronto è una stella. 743
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I DON ÁLVARO
PRÍNCIPE DON ÁLVARO PRÍNCIPE
DON ÁLVARO PRÍNCIPE
DON ÁLVARO
PRÍNCIPE DON ÁLVARO PRÍNCIPE DON ÁLVARO
PRÍNCIPE DON ÁLVARO PRÍNCIPE
DON ÁLVARO
PRÍNCIPE
(Esto me faltaba ahora.) Esta es, señor, Serafina, hija de aquel noble anciano de Santelmo castellano. Es su hermosura divina. ¿Nunca la habíais visto? No, hasta ahora. Pues yo sí. Y en lo poco que la oí, discreta me pareció. Es su ingenio singular. (¿Hay confusión más extraña?) ¿Y qué hace aquí? Pasa a España. ¿A qué? (¿Hay más preguntar?) ¿A qué? Va a casada a ella. ¿Con quién? Con un deudo. Y pues, ¿quién aquese deudo es tan feliz que merecella pudo? Don Juan Roca, aquel caballero que llegó con mi padre a hablarte. No reparé entonces en él, como no le conocía; y aun si otra vez le viera, no sé si le conociera.
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Sale don Luis. DON LUIS
Si pudo la amistad mía mereceros, gran señor,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO DON ALVARO
PRINCIPE DON ALVARO PRINCIPE DON ALVARO PRINCIPE
DON ALVARO
PRINCIPE DON ALVARO PRINCIPE DON ALVARO
PRINCIPE DON ALVARO PRINCIPE
DON ALVARO
PRINCIPE
(Ci mancava solo questa!) È Serafina, signore, figlia del nobile anziano, che è castellano a Sant’Elmo. La sua bellezza è divina. Non l’avevate mai vista? No, finora. Ma io sì. E dal poco che ho sentito mi è parsa molto discreta. Ha un ingegno singolare. (Che bislacca situazione!) Cosa ci fa qui? Va in Spagna. Perché? (Ma quante domande!) Ci va, perché si è sposata. Con chi? Con un suo parente. E chi è mai il fortunato che è riuscito a meritarla? Dimmi. Don Giovanni Roca, il cavaliere che assieme a mio padre, vi ha accolto. Non devo averlo notato poiché non lo conoscevo; e se ora lo rivedessi, non lo riconoscerei. Entra don Luis.
DON LUIS
Se la mia amicizia, grande signore, vi può chiedere
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I
una fineza, por mí la habéis de hacer. PRÍNCIPE
DON ÁLVARO DON LUIS
PRÍNCIPE DON LUIS
PRÍNCIPE
Cuanto aquí tarda vuestra voz, mi amor tardará en obedeceros. (¿Hay confusiones más fieras?) El patrón de las galeras dice que solo a traeros hasta aqueste puerto viene, y que trae orden de que en él un hora no esté. Es verdad, ese orden tiene. Ya os dije que tengo aquí un huésped a quien quisiera festejar dos días siquiera; ha de ir en ellas y, así, el dilatarlas... No puedo, que está empeñado mi honor con palabra que al señor don García de Toledo le di de no detenellas; harto lo siento por vos. (Y porque imagino, ¡ay Dios!, que se me va un bien en ellas, que... Mas no imagino nada, que es necedad, que es locura, idolatrar hermosura antes perdida que hallada.)
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Vase con Celio. DON LUIS
DON ÁLVARO
Pues si eso no puede ser, bien es que no se dilate su partida y de ella trate. Aunque hoy el príncipe hacer no ha querido, o no ha podido,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO
PRINCIPE
DON ALVARO DON LUIS
PRINCIPE DON LUIS
PRINCIPE
una cortesia, dovreste concedermela. Più indugia la vostra voce ad esprimerla, più tarderò ad obbedirvi. (Che orribile confusione!) Mio signore, il comandante delle galere mi dice che è venuto qui soltanto per sbarcarvi e che ha l’ordine di non starci più di un’ora. È vero, l’ordine è questo. Vi ho già detto che ho un ospite in casa e vorrei onorarlo per due giorni, perlomeno; Deve imbarcarsi, e così, se si potesse... Non posso; vi è impegnato il mio onore: ho dato la mia parola a don García di Toledo di non causare ritardi. Sono molto dispiaciuto. (Spiace pure a me, perché mi portano via un bene che... Ma è meglio non pensarci; è sciocco, da folli, amare una bellezza perduta prima di averla trovata.) Esce con Celio.
DON LUIS
DON ALVARO
Visto che non si può fare, è meglio non dilatare i preparativi. Vado. Anche se quest’oggi il principe non ha voluto o potuto 747
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I
DON LUIS DON ÁLVARO
DON LUIS
DON ÁLVARO
DON LUIS
DON ÁLVARO DON LUIS
esta fineza por ti, tú has de hacer, señor, por mí otra que humilde te pido. ¿Qué es? A España me enviaste, y en el riesgo que me vi toda la hacienda perdí, que al partirme me entregaste. Hallándome en Barcelona pobre y desnudo, me fue forzoso volver, porque mal pudiera mi persona ir a la corte a pleitear sin lucimiento y dinero; y es lo que pedirte quiero, que me vuelvas a enviar, pues hay hoy embarcación. No es el riesgo a que te ofreces, Álvaro, para dos veces. Por esa misma razón te lo suplico, porque no se presuma de mí que a la fortuna rendí valor que de ti heredé. Aunque agradezco el deseo, no has de ir... (¿Quién mi muerte ignora?) ...por lo menos, por ahora.
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Vase. DON ÁLVARO
¡En qué confusión me veo! ¿Posible, ¡ay de mí!, posible es que Serafina, a cuya deidad idolatra el alma, sacrificó la más pura
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DON LUIS DON ALVARO
DON LUIS
DON ALVARO
DON LUIS
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farti questa cortesia, dovresti farne, signore, un’altra a me. Te ne supplico. Qual è? Dimmi. Mi hai mandato in Spagna e con la burrasca ho perduto il patrimonio che mi avevi consegnato. Mi son visto a Barcellona povero in canna e così, sono dovuto rientrare. Non potevo andare a corte a sbrigare i nostri affari senza soldi né vestiti. Voglio chiederti un favore: fammi ritornare in Spagna già che c’è un’imbarcazione. Alvaro, non puoi affrontare tanti rischi un’altra volta. Proprio per questa ragione te ne supplico. Non voglio che si pensi che il valore, che tu mi hai infuso, si sia arreso alla mala sorte. Apprezzo le tue intenzioni, ma non devi... (Sono morto!) ...andarci, almeno per ora. Se ne va.
DON ALVARO
In quale imbroglio mi trovo! Serafina si è sposata! Quest’idolo mio, che adoro nell’anima, ha disprezzato la fede più pura, quella che sfida ogni sacrilegio, 749
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fe que en profanos altares sacrílegamente injusta el ara sin sangre mancha, la imagen sin luz alumbra, se ha casado? Pero, ¿quién a un infeliz, desventuras que padece como proprias, como ajenas las pregunta? Cierta es mi muerte, pues es cierta la mudanza suya. Creámosla de una vez: ¿de qué sirve andar en busca de alivio? Que lo peor no debe dudarse nunca; y es echar a mal la queja lisonjear con la duda. Y aun para que no me quede en tanta queja ninguna esperanza de consuelo, tanto el tiempo me apresura los términos, que no deja lugar de quejarme. ¡Dura desdicha! Pero no tanto que ya el dolor no lo supla. Con mi hermana viene: ¿quién creerá que cuando más busca ocasión de hablar la voz es cuando queda más muda? ¡Oh qué de cosas tenía, antes de ver su hermosura, que decir! Pero al mirarla ya no encuentro con ninguna.
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Salen Porcia y Serafina. PORCIA
En fin, ¿es fuerza con tanta prisa partir?
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che macchia i profani altari senza sangue, che illumina un’icona senza luce. È mai possibile? Eppure chi interroga un infelice sulle sventure sofferte come se di un altro fossero? La mia morte è ormai sicura. Lei è cambiata: non mi ama! Crediamoci, finalmente. A che serve andare in cerca di conforto? Non si deve mai dubitare del peggio e si sprecano i lamenti lusingandoli col dubbio. E poi questo sfogo mio non ha più alcuna speranza di consolazione: il tempo, infatti, sta per scadere e non concede più spazio ai piagnistei. Oh crudele sorte! Ma non è da meno il dolore. Ecco che viene con mia sorella. Qualcuno potrà mai credere al fatto che più cerca di parlare, più resta muta la voce? Oh quante cose volevo dire, prima di vedere la sua bellezza! La guardo e non le ricordo più. Entrano Porcia e Serafina. PORCIA
Sicché dovete partire così presto?
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DON ÁLVARO
SERAFINA
DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
SERAFINA
¿Cuándo dura más que un instante la dicha, más que un punto el placer? Nunca. Y estando yo aquí, ¿por qué a Porcia se lo preguntas? Pues nadie mejor que yo, aleve, falsa, perjura, te podrá decir cuán breve es la edad de la ventura. Señor don Álvaro, puesto que satisfagáis la duda que acaso tuve, os suplico, no prosigáis, que es injusta penalidad oír la queja quien no ha de dar la disculpa. ¿Por qué, ingrata, no has de darla? Porque no tengo más que una; y esta muchas veces ya la he dicho. Es error; que nunca son para quien las estima las satisfaciones muchas; y una palabra en amor tanto los sentidos muda, que, aunque es una en quien la dice, siempre es otra en quien la escucha. Vuelve, pues, vuelve a decir esa razón en que fundas tu sinrazón. Ya no puedo, porque decir que viuda de ti me casé, fue bien cuando tu vista me turba tanto, que es disculpa ahora el dar entonces disculpa.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO SERAFINA
DON ALVARO
SERAFINA
DON ALVARO SERAFINA
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SERAFINA
Quando mai dura la felicità più di un istante? Giammai. E perché, se io sono qui, lo stai domandando a Porcia? Nessuno meglio di me, falsa, infida e traditrice, ti può dire quanto è breve la stagione della gioia. Signor don Alvaro, anche se potevate chiarire i miei dubbi, vi scongiuro di non proseguire. È ingiusta punizione lamentarsi con chi non può discolparsi. Perché non puoi farlo, ingrata? Perché ho soltanto una scusa, e l’ho detta molte volte ormai. Le scuse non sono mai troppe per chi le anela e cerca soddisfazione; una parola in amore ha molti significati: ne ha uno per chi la dice, un altro per chi l’ascolta. Ripeti, dunque, di nuovo questa scusa che scagiona il tuo errore. Ormai non posso. Ti ho già detto prima, quando ero sconvolta, che vedova mi sono sposata. Questa scusa, pronunciata allora, è la mia sola difesa.
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SERAFINA
Según eso, ¿mejor fuera ser hoy, en la opinión tuya, muerto que vivo? No sé; pues pudiera yo, segura de quien soy, llorarte muerto; y vivo fuera locura llorarte, pues la que entonces era lástima tan justa, sería liviandad ahora, trocando mi fama augusta, lástima que fue virtud, por satisfacción que es culpa.
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Quiere irse, y detiénela. DON ÁLVARO
SERAFINA DON ÁLVARO
SERAFINA
DON ÁLVARO
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Pues aunque muerto me llores, o me olvides vivo, escucha, que has de llevarte mis quejas, pues me dejas tus injurias. No he de escucharte. Escucharme tienes. Porcia, ¿no me ayudas a defender de un peligro en que ves que se aventura honor, ser y vida? Porcia, ¿tú ese peligro no excusas con mirar quién viene? Sí, que yo entre los dos confusa, ni quito ni pongo amor; pero hago en esta duda lo que debo a ser hermana. Mi cuidado te asegura;
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SERAFINA
Quindi, in base al tuo discorso, sarebbe meglio se adesso fossi morto? Non lo so. Forse da morto potrei piangerti, senza scordare chi sono, mentre da vivo sarebbe un’insensatezza: le lacrime allora giuste non lo sarebbero adesso. Il mio onore non vorrebbe scambiare quell’afflizione che fu una volta virtuosa per un colpevole sfogo. Prova ad andarsene, ma lui la trattiene.
DON ALVARO
SERAFINA DON ALVARO
SERAFINA
DON ALVARO
PORCIA
Anche se mi piangi morto, non dimenticar che vivo; porta via i miei lamenti, ché mi lasci le tue ingiurie. Non devo ascoltarti. Devi farlo. Perché non mi aiuti, Porcia, in questa circostanza? Ne va del mio onore. Rischio la vita e tutta me stessa. Porcia, potresti guardare chi viene? Sì, certo. Sono tanto perplessa e confusa, che non appoggio nessuno, ma nell’incertezza agisco come deve una sorella. Di me puoi fidarti, Alvaro.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I
quéjate, suspira, llora, pues no tienes más fortuna. Vase. SERAFINA
DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
SERAFINA
Pues si he de escuchar por fuerza, antes que empieces, escucha: don Álvaro, yo te amé cuando imaginé ser tuya; y pasando mi esperanza desde perdida a difunta, me casé. Ahora soy quien soy, sobre esto tus quejas funda. ¿Qué he de decir si tú lloras? Engáñaste, si lo juzgas. Si lloran, mienten mis ojos. ¿Es posible que reduzcas tan fácilmente a ser iras ya las ternezas? ¿Tan tuyas son tus pasiones que puedes, cuando de un rendido triunfas, llorar y no llorar? ¿Son las lágrimas, por ventura, tan bien mandadas que saben obedecer? Pues si alguna fineza has de hacer por mí, sea enseñarme cómo usas de las lágrimas, si a tiempo las viertes y las enjugas. Cuando me acuerdo quién fui, el corazón las tributa, cuando me acuerdo quién soy, él mismo me las rehúsa; y así, entre estos dos afectos, como el uno a otro repugna, las vierte al dolor, y al mismo tiempo el honor me las hurta,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO
Crucciati, sospira, piangi: non ti resta altro da fare. Esce. SERAFINA
DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO
SERAFINA
Se devo ascoltar per forza, prima d’iniziare, ascolta: don Alvaro, io ti ho amato, quando ero tua. La speranza, poi, si è infranta ed è morta, quindi mi sono sposata. E adesso sono chi sono. È di questo che mi accusi. Che devo dire, se piangi? Sbagli a crederlo. I miei occhi, se stanno piangendo, mentono. Com’è che riesci a cambiare così facilmente in ira la tenerezza? Controlli così tanto le passioni che piangi e insieme non piangi innanzi a chi ormai si è arreso? Sono lacrime a comando? Sanno obbedire? Puoi farmi allora una cortesia: insegnami come fai a versare delle lacrime e, all’istante, ad asciugarle. Quando ricordo chi ero, il cuore le fa sgorgare; quando ricordo chi sono, lo stesso cuore le frena; e così fra due emozioni contrastanti, se il dolore le sparge, allo stesso tempo l’onore me le carpisce,
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DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA DON ÁLVARO
porque no pueda el dolor decir que del honor triunfa. En fin, ¿sientes... No lo niego. ...ser ajena? ¿Quién lo duda? Luego... No hagas consecuencias. ...podré desde hoy... No arguyas. ...fiado en tu llanto... ¿En qué llanto? ...esperar... Será locura. ...que algún día... No es posible. ...se enmiende... No ha de ser nunca. ...mi desdicha... Soy quien soy. ...restituyendo... ¡Qué injuria! ...mi perdido bien... ¡Qué engaño! ...a mis brazos? ¿Tal pronuncias? Sí; y a este efecto... ¡Qué pena! ...tras ti... Tu peligro buscas. ...tengo de ir... Mi muerte intentas. ...a España. Mucho aventuras. ...donde... Me hallarás ajena. ...serás mía.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO PRIMO
DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO SERAFINA DON ALVARO
perché il dolore non dica che ha trionfato sull’onore. Ti addolora... Non lo nego. ...esser d’un altro? Hai dei dubbi? Quindi... Non far deduzioni. ...potrò... Non argomentare. ...dal tuo pianto... Quale pianto? ...sperare... Dici follie. ...che un giorno... Non è possibile. ...cambi... Non accadrà mai. ...la mia sorte... Sai chi sono. ...e renda il bene... Mi offendi! ...che ho perduto... Tu ti inganni! ...alle mie braccia? Osi dirlo? Sì, oso. Quindi... Che pena! ...dietro di te... Cerchi il danno! ...verrò... La mia morte, cerchi! ...in Spagna... Corri un gran rischio. ...dove... D’un altro sarò. ...sarai mia. 759
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA I
¿Yo ser tuya?
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Un rayo... Disparan dentro.
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¡Válgame el cielo! ¡Ay de mí! ¡Cuánto me asusta que el aire ejecute el trueno cuando tú el rayo pronuncias!
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Sale Porcia. Mirad que la pieza ya de leva el partir anuncia; [A Serafina] y viene por ti tu padre y tu esposo. DON ÁLVARO ¡Suerte dura! SERAFINA ¡Grave pena! PORCIA [A don Álvaro] No te vean con las dos. DON ÁLVARO ¡Sentencia injusta! Adiós, Serafina. SERAFINA Adiós, don Álvaro. DON ÁLVARO Piensa... SERAFINA Juzga... DON ÁLVARO ...que yo he de adorarte mucho. SERAFINA ...que yo no he de amarte nunca. PORCIA
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Io, sarò tua!? Un fulmine... Si odono degli spari.
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Il ciel m’aiuti! Povero me! Mi spaventa che, al nome del lampo, l’aria abbia risposto col tuono! Entra Porcia.
Il cannone sta annunciando la partenza. Non sentite? [A Serafina] Tuo padre viene a cercarti col tuo sposo. DON ALVARO Sorte amara! SERAFINA Pena atroce! PORCIA [A don Alvaro] Va’. Ti possono vedere con noi. DON ALVARO È ingiusto! Addio, Serafina. SERAFINA Addio, don Alvaro. DON ALVARO Pensa... SERAFINA Bada... DON ALVARO ...che continuerò a adorarti. SERAFINA ...che non posso mai più amarti. PORCIA
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
JORNADA II Córrese una cortina, y véese Serafina sentada en una silla y don Juan retratándola. DON JUAN SERAFINA
DON JUAN
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SERAFINA
DON JUAN SERAFINA DON JUAN
¿Cánsaste de estar así? Si es tu gusto el retratarme, ¿cómo puedo yo cansarme de lo que te agrada a ti? Muchas veces te pedí, si bien loco, altivo y vano, que por mí tu soberano cielo hiciera esta fineza de tener de tu belleza un retrato de mi mano. Y aunque estoy agradecido al haberlo tú otorgado, no sé si me hubiera holgado de no haberlo yo pedido. ¿Cómo así? Como rendido a tanto empeño, no sé si de él airoso saldré. ¿Tú, que a ti solo excedías, tanto de ti desconfías? Sí. ¿Por qué? Escucha por qué. De la gran naturaleza son no más que imitadores – vuelve un poco – los pintores; y así, cuando su destreza forma una rara belleza de perfección singular, no es fácil de retratar, porque como su poder tuvo en ella más que hacer,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Si apre una tenda e si scorgono Serafina, seduta su una sedia, e don Giovanni che le fa un ritratto. DON GIOVANNI SERAFINA
DON GIOVANNI
SERAFINA DON GIOVANNI
SERAFINA
DON GIOVANNI SERAFINA DON GIOVANNI
Ti stanchi, a star così ferma? Se per te farmi il ritratto è una gioia, come posso stancarmi di un tuo piacere? Io ti ho spesso scongiurato, forse ti sarò sembrato pazzo, superbo e vanesio, il permesso di ritrarre la tua celeste e regale bellezza con le mie mani. E anche se ti sono grato per avermelo concesso, era forse preferibile non chiedertelo per niente. Perché? Perché in un’impresa talmente grande, non so se ne uscirò vittorioso. Tu non hai fiducia? Tu, che hai superato te stesso? Sì. Perché? Ecco il perché. Della gran madre natura i pittori sono – gìrati un po’ – degli imitatori, e così, quand’essa forgia con maestria una bellezza di singolar perfezione, non è facile ritrarla; perché più si è prodigata la natura, più si impegnano 763
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da en ella más que imitar. Demás, que en una atención imprime cualquier objeto con más señas un defeto, mi bien, que una perfección. Y como sus partes son más tratables, se asegura la fealdad en la pintura; y así, con facilidad se retrata una fealdad primero que una hermosura. Confieso, esposo, que eso será en lo perfecto así; pero no conviene en mí la razón. Yo lo confieso también; que es tanto el exceso de tu hermosura, que aun esta disculpa no lo es. Dispuesta a oír la razón estoy, ya que dicho el desaire está. No está, si oyes la respuesta. De este arte la obligación – mírame ahora y no te rías – es sacar las simetrías que medida, proporción y correspondencia son de la facción; y aunque ha sido mi estudio, he reconocido que no puedo, desvelado, haberlas yo imaginado como haberlas tú tenido. Luego si en su perfección la imaginación exceden, mal hoy los pinceles pueden
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i pittori ad imitarla. E fra l’altro, amore mio, l’attenzione percepisce con più evidenza un difetto che la stessa perfezione; e siccome riprodurla è più semplice, in pittura la bruttezza riesce bene. È più facile ritrarre la bruttezza di una cosa piuttosto che la bellezza. Ammetto che sia così se parli di perfezione, ma allora questo discorso non mi riguarda. Lo ammetto anch’io, ché la tua bellezza è talmente eccezionale che non c’è scusa che valga. Son pronta a sentirne altre, se questa è stata scartata. Non del tutto, se mi ascolti. Di quest’arte è doveroso – guardami, adesso, e non ridere – mostrare le simmetrie che misura e proporzione e corrispondenza sono dei lineamenti del volto; pur essendomi impegnato, ammetto che non riesco a raffigurarle come sono in te, così perfette. Quindi se la perfezione vince l’immaginazione, difficilmente i pennelli
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seguir la imaginación. Y otra razón... ¿Qué razón? Fuego, luz, aire y sol niego que pintarse puedan; luego retratarse no podrá beldad que compuesta está de sol, aire, luz y fuego.
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Levántase, arrojando los pinceles.
SERAFINA
DON JUAN
Y así, me doy por vencido, y te pido, si mi amor volver quisiere a este error, no lo permitas, corrido de ver que no he conseguido retratarte parecida. Aunque quedo agradecida a las razones que das, ofrezco no volver más, si me costase la vida, a dejarme retratar de ti, porque disgustado no he de verte. Que me ha dado disgusto, enfado y pesar, no te lo puedo negar, al ver que solo a este intento me falta el conocimiento que tengo de la pintura; mas culpa es de tu hermosura.
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Sale Juanete. JUANETE DON JUAN
Aquí viene. ¿Quién?
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SERAFINA DON GIOVANNI
oggi possono seguirla. Ho un’altra ragione. Quale? Fuoco, luce, aria e sole non si possono ritrarre, quindi non si può dipingere una bellezza che è fatta di sole, aria, luce e fuoco... Si alza, gettando via i pennelli.
SERAFINA
DON GIOVANNI
Dunque mi dichiaro vinto e ti prego, se volessi ripetere questo errore: non permettermelo! Provo vergogna davanti a un quadro così poco somigliante. Pur essendo lusingata dalle tue motivazioni, giuro, a costo della vita, di non lasciarti più fare un ritratto che ti abbatte così tanto. Che mi hai dato rabbia, disgusto e sconforto, non te lo posso negare. Ho visto che in questa prova ho perso ogni abilità artistica, ma la colpa è di questa tua bellezza. Entra Juanete.
JUANETE DON GIOVANNI
Ecco, arriva... Chi?
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DON JUAN SERAFINA DON JUAN
SERAFINA
DON JUAN
SERAFINA
Un cuento. «Sordo un hombre amaneció; y viendo que nada oía de cuanto hablaban, decía: “¿qué diablos os obligó a hablar hoy de aquesos modos?” Volvían a hablarle bien y él decía: “¿hay tal que den hoy en hablar quedo todos?”, sin persuadirse a que fuese suyo el defecto». Tú así presumes que no está en ti la culpa; y aunque te pese, es tuya y no la conoces, pues das, sordo, en la locura de no entender la hermosura que el mundo la dice a voces. ¡Qué locura! Ven conmigo. ¿Adónde, mi señor, vas? Hasta el muelle iré no más, porque si verdad te digo, divertirme será bien de este necio sentimiento. Pues, ¿es tu divertimiento el no verme? Sí, mi bien; porque solo de esa suerte que yo me divierta es justo; pues con no verte, es el gusto mayor de volver a verte. No cortesano, señor, con esas galanterías, las desconfianzas mías quiera divertir tu amor; ya sé que te llevará el aplauso que pregona la fama de Barcelona,
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DON GIOVANNI SERAFINA DON GIOVANNI
SERAFINA DON GIOVANNI
SERAFINA
Un racconto. «Un mattino sordo un uomo si svegliò. Quando si accorse che non sentiva, esclamò: “Che diavolo succede oggi che parlate sottovoce?”. Gli parlavano e diceva: “Diamine! Ma che gli ha preso a tutti di sussurrare?”, e non ammetteva affatto che stava in lui il difetto.» Tu fai lo stesso: presumi che la colpa non sia tua. Ma ti piaccia o no, è tua. Lo neghi perché sei sordo, e non senti la bellezza che si grida ad alta voce. Sciocchezze! Vieni con me. Mio signore, dove vai? Fino al molo andrò, non oltre, perché, se sono sincero, ho bisogno di distrarmi da questa stupida rabbia. Non vedermi ti distrae? Sì, amore. Solamente così è giusto che mi svaghi, perché aumenta, non vedendoti, il gusto di rivederti. Non cercare di distrarre coi galanti complimenti di un amore lusinghiero la mia sfiducia, signore. Infatti, so che ti attrae la festosità che annuncia la famosa Barcellona,
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DON JUAN
SERAFINA
DON JUAN SERAFINA
DON JUAN JUANETE
DON JUAN JUANETE
DON JUAN JUANETE
viendo publicadas ya sus carnestolendas, pues mil disfrazadas bellezas merecerán tus finezas. No desconfiada des agora en pedirme celos, que a ti en el mundo no hay quien darlos pueda. Yo sé bien, mejor que tú, tus desvelos. ¿Mejor que yo? ¿Qué mujer propia más de su marido que aun él mismo, no ha sabido? Eso ¿cómo puede ser? «Cierto cura de un lugar con un vecino reñía donde su mujer lo oía; y entre uno y otro pesar, airado el cura y sañudo, dijo aquel nombre inhumano que empezando en “cor-tesano”, viene a acabar en “des-nudo”. Su mujer, a esta ocasión, dijo con desenvoltura: “Testigos me sean, que el cura revela mi confesión”». Mira pues si habrá sabido la mujer en sus defetos de su marido secretos, que no sabe su marido. ¡Oh, qué tema tan cansado! Aunque te enfades de oíllos: «A cuatro o cinco chiquillos...» Calla. ¡Oh, cuento desdichado!
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SERAFINA DON GIOVANNI SERAFINA
DON GIOVANNI JUANETE
DON GIOVANNI JUANETE
DON GIOVANNI JUANETE
visto che è già incominciato il Carnevale. E chissà quante beltà mascherate gradiranno i tuoi omaggi! Non essere diffidente e non fare la gelosa, che non c’è nessuno al mondo che ti possa ingelosire. Meglio di te, ti conosco. Davvero? La buona moglie sa più cose del marito di quante ne sappia lui. Dici sul serio? E in che modo? «Il curato di un paese litigava col vicino, mentre la moglie di questi li stava a sentire. A un tratto, l’astioso curato disse, tra tanti insulti ed ingiurie, quello sciagurato nome che inizia per cor-tigiano e finisce in mante-nuto. La moglie allora saltò fuori e disse disinvolta: “Siete tutti testimoni! Questo parroco rivela segreti di confessione.”» Guarda, allora, se la donna non sapeva del marito segreti che lui ignorava! Che storiella insopportabile! Anche se ti stufi, senti: «A quattro o cinque bambini...» Zitto! Oh fiaba sventurata!
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Quédate, mi bien, adiós, que al instante volveré.
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Vanse [don Juan y Juanete]. SERAFINA
Dios te guarde. ¡Oh cuánto fue, vendado y desnudo dios, el imperio tuyo! ¡Oh cuánto supo rendir y vencer de tus flechas el poder! Dígalo yo, pues el llanto que jamás imaginé que ver enjuto podría, tanto a un día y a otro día domesticado se ve que no es posible...
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Sale Flora alborotada. FLORA SERAFINA FLORA SERAFINA FLORA
SERAFINA
FLORA
SERAFINA FLORA SERAFINA FLORA SERAFINA
¿Señora? ¿Qué tienes? ¿Qué ha sucedido? Llamando a la puerta... Di. ...vi que era un hombre vestido de marinero. Pues bien, ¿qué quiere? Tiemblo al decirlo; Darte... ¿Qué? ...una carta. ¿Cúya? De Porcia. ¿Y eso ha podido turbarte?
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Arrivederci, amor mio! Resta qui che torno presto. Escono [don Giovanni e Juanete].
SERAFINA
Dio ti assista. Oh com’è grande il tuo potere, dio nudo e bendato! Quanti, Amore, si sono arresi alla forza delle tue frecce! Qualcosa ne so anch’io, per quel pianto che non avrei immaginato mai di potere asciugare e che, giorno dopo giorno, si va calmando. Mi sembra impossibile... Entra Flora, tutta agitata.
FLORA SERAFINA FLORA SERAFINA FLORA
SERAFINA
FLORA
SERAFINA FLORA SERAFINA FLORA SERAFINA
Padrona... Che cosa hai? Cosa è successo? Hanno bussato... Continua. ...e ho visto un uomo vestito da marinaio. Ed allora? Cosa vuole? Tremo a dirtelo. Darti... Cosa? ...una lettera... Di chi? Di Porcia. E ti agiti per così poco?
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SERAFINA FLORA SERAFINA
FLORA SERAFINA FLORA
SERAFINA
FLORA
¿Pues no, si es, ya que la verdad te digo, don Álvaro el marinero? ¿Le has visto tú? Yo le he visto. ¿Dístete por entendida de que él fuese? Fue preciso. ¿Y qué te dijo? Que a ti te lo dijese, me dijo. Pues di que no te atreviste, medrosa de mi castigo; y, como que de ti sale, añade de cuánto es digno el disfraz, y haz de manera que sin verme (¡estoy sin juicio!) ni que sepa que lo sé, se vuelva al instante mismo. Yo lo haré así.
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Sale don Álvaro, de marinero. DON ÁLVARO
SERAFINA
DON ÁLVARO
¿Para qué? Que habiendo entrado atrevido yo hasta aquí, porque de casa salir a don Juan he visto, ya es excusado que Flora me diga lo que yo he oído. Antes parece que no lo oísteis, pues habiendo sido lo que os dije, que os volvieseis sin verme, más es indicio el atreveros a verme de no oírlo, que de oírlo. Es verdad; pero eso fuera, hermoso imposible mío,
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SERAFINA FLORA SERAFINA
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Tu dici? Anche se il tal marinaio è, padrona, don Alvaro? L’hai visto bene? L’ho visto. E gli hai lasciato capire di averlo riconosciuto? Non ho potuto evitarlo. Che ti ha detto? Di avvisarti. Digli che non hai osato, per paura del castigo, e aggiungi, come se fosse cosa tua, che è proprio degno del travestimento! – Sono davvero impazzita! – E senza che mi abbia visto né sappia che lo so, mandalo via Farò così. Entra don Alvaro, vestito da marinaio.
DON ALVARO
SERAFINA
DON ALVARO
E a che scopo? Ho visto uscire di casa don Giovanni e, ardito, sono entrato, per cui non serve che Flora mi riferisca quello che ho sentito già. Sembra piuttosto il contrario. Ho detto che dovevate andar via senza vedermi, e voi vi siete azzardato a entrare. È, per caso, questo segno di averlo sentito? Hai ragione. Così sembra, mia impossibile bellezza,
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SERAFINA
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si de un delito no fuese consecuencia otro delito. Y pues a verte, no más, en este traje he venido, atento solo al recato con que tu belleza estimo, con que tu respeto adoro y con que tu opinión miro; no tanto extrañes el verme que, disgustada conmigo, sea ofensa la fineza y desmérito el servicio. Señor don Álvaro, no penséis que el pararme a oíros es consentida licencia que para hablar os permito; que no es sino turbación de que, cobrada, os suplico me hagáis merced de dejar la plática en los principios. Y si es verdad que esto puede ser que sea fineza, os pido la ilustréis con una acción digna de vos. ¿Cuál es? Iros tan presto que pueda yo veros a vos persuadido a que el amor de mi esposo, la paz del estado mío, la obligación de mi sangre, el trato, el gusto, el cariño, me han trocado de manera que, robusta encina, fijo escollo, será más fácil a los embates continuos del mar, o a los destemplados
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se questo errore non fosse la conseguenza di un altro. Son venuto travestito solamente per vederti, con il riserbo dovuto non solo alla tua bellezza, ma al tuo decoro e il tuo onore, che in tal modo salvaguardo. Non stupirti di vedermi e non scambiare, stizzita, l’omaggio per un’offesa, l’ossequio per un oltraggio. Don Alvaro, non crediate che, se mi sono fermata a ascoltarvi, vi ho concesso il permesso di parlarmi, perché ero sconvolta; adesso, però, mi sono ripresa, per cui fatemi la grazia, ve ne prego, di interrompere il discorso. E se davvero questo è un omaggio, vi invito a provarlo con un atto degno di voi. Ah, sì? Quale? Andarvene da qui subito. Solamente in questo modo vi riuscirò a persuadere che l’amore del mio sposo, la mia nuova condizione, i doveri del mio sangue, l’abitudine e l’affetto mi hanno talmente cambiata, che sarà la dura quercia, il saldo scoglio, più docile a smuoversi fra le ondate continue dell’ampio mare 777
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soplos del ábrego frío moverse, que mi firmeza, si contrastase mi brío todo el mar lágrimas hecho, todo el aire hecho suspiros. ¿Qué importará que blasonen tus altiveces conmigo de ser al agua y al viento dura encina, escollo altivo, si antes que rebelde tronco fuiste girasol que, al vivo rayo de amor abrasado, enamoraste sus visos, y edificio antes que escollo, en cuyo apacible sitio vive amor idolatrado de este humano sacrificio? Pues siendo así, ¿cómo puedo acobardar mis disignios, si antes de haber sido armada encina de hojas, yo mismo te conocí amante flor, y antes también de haber sido escollo armado de yedra, yo te conocí edificio? No lo niego. Mas también, si me valgo de ese indigno concepto que contra mí hallaron tus desvaríos, de esa humilde fácil flor hacer el tiempo ha podido, con las raíces que ha echado dentro de mi pecho invicto, inmortal tronco; y también, de ese amoroso edificio, caduca ruina. De suerte
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o le raffiche del vento, piuttosto che la costanza mia, quand’anche mi assaltasse un mare colmo di lacrime, un vento gonfio di gemiti. Cosa importa se il tuo orgoglio adesso si vanta di essere diventato al vento e all’acqua dura quercia, scoglio altero, se prima di esser ribelle tronco, fosti un girasole, arso dagli ardenti raggi dell’amore, e al suo riverbero subito ti innamorasti? Se ancor prima di esser scoglio, fosti un tempio sereno, ove viveva amore adorato da questa mia devozione? Dimmi, quindi, come posso fiaccare il mio desiderio, se prima che fossi quercia ispida di foglie e dura, ti conobbi fiore amante, e prima ancora di essere scoglio rivestito d’edera, ti conobbi che eri un tempio. Non lo nego; e se mi avvalgo dell’identica metafora che hanno forgiato e scagliato contro di me i tuoi spropositi, sappi che quel fiore docile il tempo l’ha trasformato, con le radici piantate nel mio invincibile petto, in un tronco eterno e saldo; e che quel tempio d’amore ora è caduca rovina. 779
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que, uno atento al precipicio y otro a la raíz atento, olvidaron sus principios tanto que, aun no conservando la memoria del olvido, han sido, son y han de ser, en fuerza y en desperdicios, ejemplo de lo que acaba la carrera de los siglos. ¿Qué siglos? ¿Si aún por instantes cuentan hoy mis desatinos la recién nacida edad de tus rigores esquivos? Ayer fue cuando me amaste: no, pues, con tirano estilo te valgas del tiempo ya, que ni es ni ha de ser ni ha sido posible que de un instante a otro, de uno a otro improviso, confesando tú que fuiste primero flor y edificio, crea yo que tan mudado, ¡oh hermoso, oh bello prodigio, de lo que fuiste primero estás tan desconocido. No la culpa de ese error quieras partirla conmigo, don Álvaro, que no es bien dudar tú lo que yo afirmo. Demás de que yo, a este efecto, de ti mismo solicito valerme; tú mismo sabes mi honor, mi altivez, mi brío. Y pues nadie como tú examinó en los principios lo ilustre de mis respetos, lo honrado de mis desvíos,
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E così precipitando l’uno e fissandosi l’altro sulle radici, hanno entrambi scordato che cosa furono e non ricordano neanche di averlo dimenticato: nella forza o lo sfacelo furono, sono e saranno esempio di quel che annulla la lunga corsa dei secoli. Perché mai parli di secoli, se il mio folle cuore conta in attimi l’età breve dei tuoi sdegni rigorosi? Ieri mi amavi. Era ieri! Dunque non usare il tempo come un crudele pretesto; non è possibile, infatti, non lo fu né lo sarà, che io creda all’improvviso che, essendo stata una volta fiore e tempio, o bel prodigio, sia cambiata tanto che di quella che fosti un tempo non serbi memoria alcuna. Non cercare di spartire la colpa di quest’errore, don Alvaro. Non è giusto dubitare delle mie parole. Inoltre tu sei per me un valido argomento. Conosci bene il mio onore, Il mio orgoglio, il mio coraggio; e nessuno più di te, fin dall’inizio, ha provato l’altezza dei miei principi, la prudenza del mio sdegno, 781
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(Dentro) FLORA SERAFINA DON ÁLVARO FLORA
DON ÁLVARO SERAFINA FLORA DON ÁLVARO FLORA
DON ÁLVARO
lo atento de mis decoros, lo noble de mis disignios, a ti mismo te examina en mi favor por testigo; porque si a ti mismo tú no te vences, será indicio que de ti mismo olvidado, no te acuerdas de ti mismo. Sí me acuerdo. Si me acuerdo... ¿Cómo, habiendo anochecido, no hay aquí luz? ¡Mi señor! ¡Muerta estoy! ¡Estoy perdido! (¡Que nunca falte a este paso galán, hermano o marido!) ¿Qué he de hacer? No sé. Yo sí. ¿Qué es? Esperar escondido en este cancel que él entre en su cuarto. Eso elijo, no por mi peligro, tanto como, ¡ay Dios!, por tu peligro.
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Escóndese, y sale don Juan. SERAFINA
DON JUAN SERAFINA
¡Que esto, sin mi culpa, pueda suceder, cielos divinos! ¿Cómo no hay aquí una luz? Descuido, señor, ha sido de las criadas.
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DON ALVARO DON GIOVANNI
(Fuori scena) FLORA SERAFINA DON ALVARO FLORA
DON ALVARO SERAFINA FLORA DON ALVARO FLORA
DON ALVARO
l’onestà del mio contegno, la grandezza delle scelte fatte. Tu, della difesa, sei il testimone! Interroga te stesso e se non sei in grado di vincerti, sarà indizio che di te stesso dimentico, non ricordi più te stesso. Mi ricordo. Se ricordo... Come mai qui non c’è luce se è già buio? Il padrone! Sono morta! Ed io perduto! (Non manca mai, a questo punto, padre, fratello o marito!) Che faccio? Non so. Io sì. Cosa? Aspettare, qua dietro nascosto, finché non entra nella sua stanza. Va bene. Non lo faccio per me, bada, ma per evitarti un rischio.
Don Alvaro si nasconde ed entra don Giovanni. SERAFINA
DON GIOVANNI SERAFINA
Come può accadermi questo senza averne colpa? Cielo! Perché non c’è un lume acceso? Signore, è stata una svista delle domestiche.
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Sale Flora con luces. FLORA
Aquí
están ya. Mucho te estimo (Esforcemos, corazón, la pena que no resisto.) el haber vuelto tan presto. DON JUAN Unos parientes y amigos me obligaron a volver a casa, habiéndome dicho que importaba que viniese a ella... SERAFINA (¡Ay de mí!) DON JUAN ...a darte aviso de que han trazado una fiesta... SERAFINA (¡Vivamos, alma!) DON ÁLVARO [Al paño] (De un hilo pendiente estuve.) DON JUAN ...en que salen mañana a los regocijos de Barcelona, embozadas sus familias, permitido uso entre nosotros, pues lo mejor y más lucido, con sus mujeres, hermanas y hijas, tienen por estilo gozar así los disfraces, juegos y otros artificios. Y como este es el primero año que no los has visto, han querido festejarte; y aun a la vuelta imagino que en la quinta de don Diego de Cardona – que es el sitio más deleitoso porque es sobre el mar – han prevenido SERAFINA
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Entra Flora con dei lumi. Eccoli
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qui. Davvero apprezzo molto... (Sopportiamo, cuore mio, questa pena che non reggo.) ...che siete tornato presto. DON GIOVANNI Alcuni parenti e amici mi hanno costretto a tornare, dicendomi che avrei fatto meglio a rincasare subito per... SERAFINA (Povera me!) DON GIOVANNI ...avvisarti che organizzano una festa... SERAFINA (Che sollievo!) DON ALVARO [Nascosto] (Stavo proprio appeso a un filo!) DON GIOVANNI ...e domani vogliono partecipare, in maschera, al Carnevale di Barcellona. È un’usanza che è permessa qua da noi. Anche la gente più in vista, con mogli, sorelle e figlie, è solita divertirsi con le mascherate, i giochi e gli altri divertimenti. E dato che è il primo anno che sei qui e non li hai visti, vogliono dare una festa in tuo onore, e poi immagino che ci aspetterà un banchetto nella villa di don Diego di Cardona, che è un bellissimo posto, con vista sul mare. SERAFINA
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un banquete. De su parte y de la mía te pido que te disfraces y salgas con ellas, que yo el vestido o traje que tú eligieres, de aquí a mañana me obligo a traerte. ¿Qué respondes? ¿Tengo yo elección ni arbitrio más que tu gusto? Él es solo alma y ley de mi albedrío. Y porque veas, señor, con cuánto gusto te sirvo, ven a mi cuarto, que quiero, ya que este favor recibo de ti, enseñarte unas muestras de tela que había traído a otro propósito, y quiero que veas la que yo elijo. ¿Quién pudiera de diamantes no solo hacerte el vestido, mas, para que le pisaras, irte empedrando el camino? Aunque yo no te merezca esas finezas, te afirmo que las merece mi amor: ven, pues.
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Toma ella la luz. DON JUAN SERAFINA
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¿Qué haces? ¿Qué? Mi oficio, que es servirte. Toma, Flora, tú esa luz. Es desatino, que Flora no ha de hacer más
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Da parte loro, e anche mia, ti prego di mascherarti e di uscire con le dame; entro domani mi impegno a farti avere il costume o l’abito che vorrai scegliere. Cosa ne dici? Ho, forse, altra volontà che il piacere tuo? È l’unica legge del volere mio. E affiché veda, signore, che ti servo volentieri, seguimi nella mia stanza; ho dei campioni di stoffa, comprati per altri scopi, che vorrei mostrarti, visto che ti devo questo invito. Così vedrai cosa scelgo. Ti vestirei di diamanti, amore! E vorrei perfino rivestire di diamanti la via dove posi il piede! Pur se non merito tali gentilezze, ti assicuro che le merita il mio amore. Vieni. Prende lei il lume.
DON GIOVANNI
Che fai? È servirti
SERAFINA
il mio dovere. Tu, Flora,
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prendi il lume. SERAFINA
È una follia. Flora deve fare solo
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de aquello que yo le digo; pues ella me sirve a mí
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Hace Serafina señas a Flora. en ver cómo yo te sirvo. Vanse los dos. FLORA
Señor don Álvaro, ya que está seguro el camino, seguidme. Toma la otra luz.
DON ÁLVARO
FLORA DON ÁLVARO
FLORA
Sí haré... con harto temor. ¿De qué? De haber visto la verdad de cuán valiente es en su casa un marido. Vamos de aquí. Mas... no salgas, espera.
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Al ir tras ella, suena ruido. DON ÁLVARO FLORA DON ÁLVARO
¿Qué ha sucedido? Que viene Juanete. Mata la luz haciendo algún ruido, que yo tomaré la puerta sin que me vea.
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Cae Flora, mata la luz, y sale Juanete. FLORA
Hecho y dicho. ¡Jesús mil veces!
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quello che le dico io, perché lei mi sta servendo Serafina fa dei cenni a Flora. se guarda come io ti servo. Escono tutti e due. Signor don Alvaro, avete la via libera. Potete uscire e seguirmi.
FLORA
Prende l’altro lume. Vengo,
DON ALVARO
ma temo... Cosa?
FLORA DON ALVARO
FLORA
Aver visto come è vero che un marito a casa sua è qualcuno. Andiamocene, ma no, aspettate. Mentre la segue, si sente un rumore.
DON ALVARO FLORA DON ALVARO
Che succede? Viene Juanete. Tu spegni la luce e fai del rumore, ed io uscirò dalla porta senz’essere visto.
Flora si lascia cadere e spegne la luce. Entra Juanete. Detto
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fatto. Oh Gesù! 789
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¿Qué es esto,
JUANETE
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Flora? FLORA
JUANETE
FLORA
Esto es haber caído, Juanete. ¿En la tentación o en qué? Qué sé yo en qué ha sido. Toma esta vela y volando ve a encenderla. Al ir a tomar la vela, tropieza con don Álvaro. ¡Jesucristo!
JUANETE FLORA
¿Qué es eso?
JUANETE
Ver, aunque a oscuras, cuán grande espanto has tenido, pues has barbado de espanto. (¡Que hubiese de dar conmigo! Pero ya hallé con la puerta.)
DON ÁLVARO
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Vase. FLORA JUANETE
¿Estás loco? Lo que digo es cierto, aquí anda más gente. ¿Señor? Sale don Juan con luz. ¿Qué voces, qué ruido
DON JUAN
es este? FLORA JUANETE
FLORA
No es nada. ¿Cómo que no es nada? Es muchísimo. Yendo a cerrar esa puerta tropecé: esto solo ha sido.
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Che succede,
JUANETE
Flora? FLORA
JUANETE
FLORA
Succede che sono caduta. In tentazione o in che cosa? Che ne so? Prendi la candela e corri a accenderla.
Mentre sta per prendere la candela, Juanete urta contro don Alvaro. Gesù Cristo!
JUANETE FLORA
Che c’è?
JUANETE
C’è che pure al buio so che impressione ti ha fatto: hai una barba da spavento! (Con me doveva scontrarsi! Ecco, ho trovato la porta.)
DON ALVARO
Esce. FLORA JUANETE
Sei pazzo? Ho soltanto detto il vero: qui c’è qualcuno. Padrone! Entra don Giovanni, con un lume. Che grida sono
DON GIOVANNI
queste? FLORA JUANETE
FLORA
Non è nulla. Come non è nulla? È cosa grossa. Mentre stavo andando a chiudere la porta, sono inciampata. È tutto. 791
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II JUANETE
DON JUAN JUANETE
DON JUAN
JUANETE FLORA
JUANETE
DON JUAN
JUANETE
Más ha sido que eso solo, pues yo también... Dilo, dilo. ...tropecé aquí con un hombre que de tu cuarto escondido salía. ¡Válgame el cielo! ¿Hombre aquí? Y nada lampiño. Yo era, señor, con quien él dio. No era, ¡vive Cristo! Miente, señor, por la barba. ¿Estás loco? ¿Estás sin juicio? (Mas, ¡ay cielos!, yo lo estoy si en un instante colijo que el llevarme Serafina de aquí, y con traidor aviso dejar aquí a Flora... Pero, ¿qué es esto? ¡Ay de mí! Yo mismo miento si lo digo, y miento, ¡ay de mí!, si no lo digo.) Toma, toma aquesta luz, que quiero, aunque no imagino que digas verdad, mirar la casa. Entra, pues, conmigo. (Apuremos, corazón, todo el veneno al peligro.) Ello, bien podrás no hallarlo; mas, señor, lo dicho, dicho.
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Saca la espada, y éntrase don Juan y Juanete con luz, y sale Serafina. SERAFINA FLORA
Flora, ¿qué ha sido esto? Apenas sabré, señora, decirlo.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO JUANETE
DON GIOVANNI JUANETE
DON GIOVANNI JUANETE FLORA JUANETE
DON GIOVANNI
JUANETE
No, c’è dell’altro, perché anch’io... Parla, parla. ...sono inciampato, ma contro un uomo che di nascosto usciva dalla tua stanza. Santo cielo! Un uomo, qui? Con una barba così! Ma ero io, padrone! No! Cribbio, mente! Per la barba. Sei impazzito? Senza senno? (Ma lo divento io, pazzo, se penso che Serafina mi ha portato via da qui mentre vi ha lasciato Flora, sua complice... Ma che dico? Mento a dirlo, ahimè, e ugualmente mento, ahimè, se non lo dico!) Prendi questo lume, prendi. Non credo tu stia dicendo la verità, ma conviene fare il giro della casa. Seguimi. (Cuore mio, bevi il veleno fino in fondo!) Se anche non trovi nessuno, quello che ho detto, l’ho detto.
Don Giovanni sguaina la spada ed esce insieme a Juanete, con un lume. Entra Serafina. SERAFINA
Com’è andata? Di’.
FLORA
Padrona, non so se saprò spiegarlo.
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SERAFINA
Don Álvaro iba a salir; Juanete a este tiempo vino; maté la luz; encontrole; dio voces; don Juan al ruido salió, y va mirar la casa. ¿Sabes si él ya habrá salido?
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Sale don Juan [y Juanete]. DON JUAN
SERAFINA
DON JUAN
FLORA JUANETE
La casa miré y no hay nadie. Serafina, ven conmigo a mi cuarto, escogerás qué joyas y qué vestido has de llevar a la fiesta. Tu gusto solo es el mío; (¡Válgame Dios! ¡Qué de asombros en solo un instante he visto!) (¡Válgame Dios! ¡Qué de cosas llevo que pensar conmigo!) Tú tienes culpa de todo. Pícara, lo dicho, dicho.
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Vanse todos. Salen el príncipe y Celio, de noche. CELIO PRÍNCIPE
CELIO
¡Notable es tu tristeza! ¡Ay, Celio! Tan rebelde la extrañeza es de mi pensamiento que solo siento el bien del mal que siento. Yo juzgaba estos días pasados que eran tus melancolías vivir de Porcia ausente; mas después que su padre cuerdamente dejó el Gobierno y vino a Nápoles, ni creo ni imagino que sea la causa ella,
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SERAFINA
Don Alvaro stava uscendo, quando è arrivato Juanete; ho spento la luce, al buio lui l’ha urtato ed ha gridato; don Giovanni è accorso e adesso sta controllando la casa. Sarà uscito? Rientra don Giovanni [con Juanete].
DON GIOVANNI
SERAFINA
DON GIOVANNI
FLORA JUANETE
Tutto a posto. In casa non c’è nessuno. Serafina, su, scegliamo i gioielli ed il vestito che indosserai alla festa. Il piacere tuo è il mio. (Signore, aiutami! Quanti soprassalti in un momento!) (Signore, aiutami! Quanti pensieri porto con me!) È tua la colpa, Juanete. Quello che ho detto, l’ho detto. Escono tutti. Entrano il principe e Celio. È notte.
CELIO PRINCIPE
CELIO
Sei davvero assai triste! Ah, Celio! Questo strano pensier mio è talmente ribelle, che sto bene soltanto quando soffro. Pensavo, giorni fa, che fosse stare lontano da Porcia causa di questa tua malinconia; ma da quando suo padre ha lasciato il governo ed è venuto a Napoli, davvero crederci più non posso, 795
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PRÍNCIPE
CELIO
PRÍNCIPE
CELIO
PRÍNCIPE
CELIO
PRÍNCIPE
pues que, favorecido de tu estrella, con la seña que tienes, a aquestas rejas cada noche vienes y tu mal no mejora; y más, señor, ahora que don Álvaro ausente aun te ha quitado aquese inconveniente. ¿Qué importa, Celio, ver a Porcia bella, si de mi pena no es la causa ella? Este divirtimiento es no más que engañar el pensamiento. Pues, ¿qué causa has tenido para que no sea amor este, ni olvido? Yo la causa dijera si al hablar no temiera que ha de calificarse por locura. Ya que eso se asegura de la objeción, explica tu tristeza. ¿Acuérdaste de ver una belleza que, huéspeda de Porcia el mismo día que de España venía, fue a mis ojos, en espacio breve, monstruosa exhalación de fuego y nieve? Bien me acuerdo, por señas, que ese día se fue también; y novedad sería que en la ausencia empezase tu violencia cuando se acaban otras en la ausencia. No porque al primer paso, antes de ver las sombras del ocaso, tal vez el sol en nubes se obscurece, podremos decir de él que no amanece; no porque al primer susto del relámpago y trueno tal vez se desvanezca el rayo, es justo decir que no fue rayo de iras lleno; no porque de su seno nazca tal vez, orilla
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PRINCIPE
CELIO
PRINCIPE
CELIO
PRINCIPE
CELIO
PRINCIPE
perché, dalla fortuna favorito, al segnale accordato, vieni ogni notte qui a questa finestra per vederla, ma il male non passa; e per di più, ora che don Alvaro se n’è andato, signore, non hai più nessun ostacolo. Che importa vedere la bella Porcia, se non è lei la causa del mio male? Questo è solo uno svago, Celio, che dai pensieri mi distoglie. Qual è la causa, allora, del tuo amore che non è disamore? Io te la direi, Celio, ma ho timore a parlare, perché ti sembrerò soltanto un pazzo. Le scuse sono inutili. Spiega le cause della tua tristezza. Ricordi quella bellissima donna, che era ospite di Porcia quando io arrivai dalla Spagna? La vidi solo un attimo ed un fulmine, di neve e fuoco insieme, mi colpì. Sì, mi ricordo, e anche che quel giorno stesso è partita; ma mi sembra strana questa passione nata nell’assenza, quando è l’assenza che ne spegne tante. Quando al sorger del giorno, prima delle ombre scure del tramonto, a volte il sole è coperto da nubi, non si dirà che il sole non è sorto; quando, al primo sussulto del fulmine e del tuono, la folgore alle volte si dilegua, è ingiusto dire che era sgonfia d’ira; quando nasce fugace in riva al mare
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CELIO
del mar, a breve edad la fuentecilla, donde su cuna en su sepulcro vea, dirán que su cristal, cristal no sea; no porque ardiente llama al primer resplandor con que se inflama expirase tal vez de un soplo herida, se dirá que no tuvo ser ni vida; y no porque, tal vez en el primero albor, la flor examinase el fiero hielo que su esplendor adormeciese, se dirá de la flor que flor no fuese. Luego no porque hallase en un momento la nube, el mar, el soplo, el hielo, el viento, mi amor recién nacido, sol, rayo, fuente, llama y flor no ha sido. Bien argüir pudiera contra aquesa razón, si ya no oyera en el jardín sonoro el instrumento, que es la seña de Porcia.
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[Tocan dentro.] PRÍNCIPE
Escucha atento, que el tono ha de decirme si llegaré a la reja, o si he de irme; pues de concierto están nuestros desvelos; que llegue si es amor, que huya si es celos.
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Dentro canta Porcia. PORCIA
¿Para qué es, Amor tirano, tanta flecha y tanto sol, tanta munición de rayos y tanto severo arpón?
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CELIO
a volte una sorgente, che nella culla trova il suo sepolcro, non si dirà che l’acqua sua cristallo non era; quando l’ardente fiamma, al suo primo bagliore, spira a volte annientata da un refolo di vento, non si dirà che vita non ha avuto; e quando, al primo albore, patisce il fiore a volte il gelo, che il fulgore ne addormenta, non si dirà che il fiore non fu fiore. Dunque, se il mio amore ha trovato presto la nube, il mare, il soffio, il gelo, il vento, dirai che non è stato sole, fulmine, fonte, fiamma e fiore? Ribattere potrei la tua argomentazione, ma già sento la musica suonare nel giardino, che è il segnale di Porcia. [Si ode suonare.]
PRINCIPE
Ascolta attento; che il canto saprà dirmi se avvicinarmi o meno alla finestra; perché, se intona un bel canto d’amore, mi accosto; e fuggo, se è di gelosia. Porcia canta fuori scena.
PORCIA
Perché mai, tiranno Amore, tante frecce e tanto sole, tanti raggi nel tuo arco e questo crudele arpone?
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Sale Porcia a la reja cantando. PRÍNCIPE
PORCIA
PRÍNCIPE
PORCIA
PRÍNCIPE
PORCIA
PRÍNCIPE
PORCIA
Esperando, Porcia bella, estuve a ver si tu voz me despedía con celos o llamaba con amor. Este es afecto, que aunque no fuera seña en los dos, siempre sucediera; pues cualquiera dama, señor, con el amor o los celos llama o despide. Es error, que yo sé alguna que, estando al revés de esa opinión, suele llamar con los celos y con los amores no. Muy necio será el amante que, viendo agravio y favor, haga de aqueste desprecio y del otro estimación. No digo yo que será cuerdo; solo digo yo que lo rebelde tal vez hace su efecto mayor. Bien mi firmeza amparara la opinión de esa opinión si esta noche, como otras, tuviésemos ocasión de hablar despacio. Pues, ¿qué nos lo embaraza? El temor de no estar ya recogido mi padre, pues le obligó el disgusto de la ausencia de mi hermano a la atención
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Entra Porcia, cantando affacciata alla finestra. PRINCIPE
PORCIA
PRINCIPE
PORCIA
PRINCIPE
PORCIA
PRINCIPE
PORCIA
Son rimasto, bella Porcia, per sapere se, cantando, gelosa mi congedavi o mi invitavi amorosa. Anche se il nostro segnale non fosse, è sempre così: qualsiasi dama, signore, sempre chiama con l’amore ma non con la gelosia, che congeda. Sei in errore; perché io conosco qualcuna che al contrario si comporta e non chiama con l’amore, bensì con la gelosia. Sarà insensato l’amante che tra il favore e l’offesa disprezzi l’uno e dell’altra sia, invece, un ammiratore. Non voglio dire che sia saggio, dico solamente che il rifiuto a volte accresce il sentimento d’amore. Io potrei perfettamente ribattere tutte queste tue ragioni, se stasera noi potessimo parlare con calma. Che cosa, dimmi, ce lo impedisce? Il timore che mio padre non si sia ritirato nei suoi alloggi; l’assenza di mio fratello l’obbliga, infatti, a seguire 801
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PRÍNCIPE
PORCIA
de unos despachos; y así, lo que haya de hablar con vos es fuerza que este instrumento lo acompañe, porque no pregunte por mí, escuchando que aquí divertida estoy; y pueda también, el ruido de la música el rumor desmentir de nuestras voces. No será esta la ocasión primera que hablado haya en cláusulas el amor, y fantasías; que todas compuesta música son. Pues escuchadme, que tengo mil cosas que hablar con vos; y aunque sea de esta suerte importa decirlas hoy.
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Toca y representa. Mi padre dejó el gobierno, ya lo sabéis, por razón de retirarse a vivir a la aldea de Belflor. Mi hermano, que embarazaba aquesta resolución con haber sin su licencia ídose sin que él ni yo sepamos dónde, le ha dado de apresurar la ocasión de suerte que irse mañana intenta de aquí. El dolor me enmudece, porque haya en mí tan nueva pasión
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PRINCIPE
PORCIA
delle pratiche; e così, bisognerà accompagnare tutto quel che ci diremo col suono di questo mio strumento. Non chiederà di me, se quaggiù mi sente distratta dal lieto canto; e al tempo stesso il rumore della musica potrà coprire le nostre voci. Non sarà la prima volta che parla l’amore in musica, in chiave di fantasia, perché sono tutti e due concertata armonia. Dunque, ascoltatemi. Oggi ho mille cose da dirvi, ed anche se in modo insolito, bisogna che ve le dica. Suona e recita. Mio padre lasciò il governo, lo sapete, perché aveva in mente di ritirarsi nel paese di Belfiore. Mio fratello era contrario e se n’è andato di casa senza il permesso paterno, per cui nessuno ora sa dove sia. Così mio padre ha deciso di partire prima e ha disposto di andarsene già domani. Qui il dolore mi impedisce di parlare, perché senta una passione proprio singolare: mentre 803
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PRÍNCIPE
PORCIA
que todos canten tañendo y llorando sola yo. Bien es menester, ¡oh Porcia!, disfrazar al dulce son de ese instrumento esa nueva, bien como para el dolor suele dorarse lo amargo del remedio; aunque mejor pudiera decir que es cierta especie de traición halagar con la dulzura y matar con el rigor. ¿Quién más que yo deseara...?
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Sale Julia. JULIA
PORCIA
Que ha bajado mi señor al jardín; sus pasos siento. Esto es cumplir con los dos. Canta. Si celos han de vencerme, aunque blasones de dios, ¿para qué es, Amor tirano, tanta flecha y tanto sol?
PRÍNCIPE
CELIO
De celos canta, señal cierta que al jardín entró. ¿Quién, sino tú, tuvo puesta en música su pasión?
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Retírase [el príncipe y Celio], y por dentro llega don Luis a la reja. JULIA PORCIA
¿Quién va? ¿Quién es?
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PRINCIPE
PORCIA
tutti cantano suonando, io sola canto piangendo. È giusto coprire, Porcia, questa notizia col dolce suono di questo strumento, così come agli ammalati si usa indorare le pillole amare; anche se dovrei dir che è quasi un tradimento con la dolcezza allettare e con il rigore uccidere. E chi più di me vorrebbe...? Entra Julia. Il padrone sta scendendo in giardino: sento i passi. Dovrò accontentare entrambi.
JULIA
PORCIA
Canta. Se la gelosia m’uccide, pur se dici d’esser dio, perché mai, tiranno Amore, tante frecce e tanto sole? PRINCIPE
CELIO
Se canta di gelosia, qualcuno è entrato in giardino. Chi, prima di te, ha veduto il suo amore messo in musica?
Si ritirano [il principe e Celio], mentre, da dietro le quinte, don Luis si avvicina alla finestra. JULIA PORCIA
Chi va là? Chi è?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II DON LUIS
PORCIA
DON LUIS
PORCIA
Yo soy, Porcia; que tanto me divirtió tu voz estando escribiendo, que su dulce suspensión me hizo bajar al jardín, bien que a pesar del dolor de la ausencia de tu hermano. En estas rejas estoy, gozando en ellas el blando viento que corre veloz, con mi voz y este instrumento divertida. ¿Qué mejor? Y mientras yo me paseo por él, te ruega mi amor vuelvas a cantar. Sí haré, si en eso gusto te doy. (Y más si te alejas, pues volverá a ser la canción...)
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Canta. Amor, si de tus rigores te vences, ¿para qué son tanta munición de rayos y tanto severo arpón? CELIO
PRÍNCIPE PORCIA
Ya dice que volver puedes, pues vuelve a cantar de amor. ¿Puedo llegar, Porcia? Sí, que aunque mi padre bajó al jardín, podrás oírme el aviso que te doy.
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Tañendo. 806
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO DON LUIS
PORCIA
DON LUIS
PORCIA
Son io, Porcia. Tanto mi ha distratto la tua voce, mentre stavo scrivendo, che questa dolce interruzione mi ha indotto a scendere qui in giardino, anche se la lontananza di Alvaro mi stringe il cuore. Me ne stavo alla finestra a godermi il venticello e mi svagavo cantando, suonando... Che c’è di meglio? Mentre sono qui a passeggio, ti prego, Porcia, riprendi a cantare. Lo farò, se proprio ti fa piacere. (E se ti allontani, meglio, ché sarà di nuovo il canto...) Canta. Amore, se il tuo rigore plachi, dimmi, perché mai tanti raggi nel tuo arco e questo crudele arpone?
CELIO
PRINCIPE PORCIA
Ti dice che puoi tornare: canta di nuovo d’amore. Mi avvicino, Porcia? Sì. E anche se mio padre è sceso in giardino, puoi ascoltare quello che ho ancora da dirti. Suonando. 807
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Mañana se va a su aldea, en ella tiene, señor, un castillo que del bosque es rústica población. Si en achaque de la caza a él quisieres ir, mejor en él tendremos mil veces para hablarnos ocasión. PRÍNCIPE Digo que iré, Porcia mía, a verte. DON LUIS [Dentro] ¿Porcia? PORCIA [A don Luis] ¿Señor? DON LUIS [Dentro] Ya es hora de recogerte. PORCIA Fuerza es irme. PRÍNCIPE Adiós. PORCIA Adiós, y ya que el tiempo me quita aun esta breve ocasión, hablando contigo iré, si no de celos, de amor, en otro sentido. PRÍNCIPE ¿Cuál? PORCIA Eso lo dirá mi voz.
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[Vase y canta dentro.] ¡Ay mortal ausencia! ¡Ay partida unión! ¡Ay noche sin día! ¡Ay día sin sol! PRÍNCIPE
Ya que de amor y de celos variar hubo la canción, fue de ausencia, pues así también convenga a los dos; mas con una diferencia:
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Domani va su in paese, dove possiede, signore, un castello in mezzo ai boschi, quasi un rustico casino; se col pretesto di andare a caccia vorrai venirci, tu e io potremo parlare con maggiore libertà. PRINCIPE Verrò a trovarti, mia Porcia. Ci verrò. DON LUIS (Fuori scena) Porcia! PORCIA [A don Luis] Signore? DON LUIS È ora che ti ritiri. [Fuori scena] PORCIA Devo andare. PRINCIPE Addio. PORCIA Addio. E poiché il tempo mi priva perfino di questi istanti, non me ne andrò via parlando di gelosia o d’amore, ma in un altro modo. PRINCIPE Quale? PORCIA Te lo dirà la mia voce. [Esce e canta fuori scena.] Ah, mortale assenza! Ah, spezzata unione! Notte senza giorno! Giorno senza sole! PRINCIPE
Non d’amore o gelosia parla adesso la canzone, ma di lontananza, e invero ben si addice a tutti e due, ma con una differenza: 809
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que ella habla conmigo y yo con aquel bello imposible, diciendo de ambos la voz. Ella, dentro, canta y él representa. LOS DOS
¡Ay mortal ausencia! ¡Ay partida unión! ¡Ay noche sin día! ¡Ay día sin sol!
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Vanse los dos. Sale don Álvaro y Fabio, de gala, con máscaras. DON ÁLVARO
FABIO
Aquesta la puerta es de palacio, a quien la fama de catalán nombre llama la plaza del Clos; y pues es aquí donde a parar todas las máscaras vienen, donde los músicos tienen tablado para danzar, aquí es donde esperaré ver aquella disfrazada que, de Flora acompañada, salió de casa; pues fue fuerza no haberla seguido hasta que, de esta manera, de máscara me vistiera para no ser conocido. No dudes que aquí, señor, ocasión de hablar tendrás, pues al máscara jamás se le ha negado el favor de hablar todo el tiempo que el rostro tenga cubierto,
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lei parla con me, ed io col mio impossibile amore. Entrambi cantiamo insieme... Lei canta fuori scena e lui recita. TUTTI E DUE
Ah, mortale assenza! Ah, spezzata unione! Notte senza giorno! Giorno senza sole!
Escono tutti e due. Entrano don Alvaro e Fabio, mascherati in modo elegante. DON ALVARO
FABIO
Ecco qui, questa è la porta del palazzo. Dalla fama in catalano è chiamata la piazza del Clos. Le maschere vengono a ballare qui, perché c’è il palco dei musici e lo spazio per danzare, e qui spero di vedere quella dama mascherata che è uscita di casa assieme a Flora e che, in quel momento, non ho potuto seguire, perché non avevo ancora provveduto a mascherarmi per non essere scoperto. Qui, signore, di sicuro potrai parlarle, perché non è mai stata negata alla maschera licenza di parlare con chiunque, purché sia coperto il volto
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DON ÁLVARO
FABIO
DON ÁLVARO
FABIO
como no sea descubierto quién sea. Notable fue la introdución de estos días, pues, aunque padre o marido las acompañen, han sido, Fabio, las galanterías permitidas. Y es de suerte que, con ser tan belicosa nación esta y tan celosa, no ha sucedido una muerte. Ea, ya en la plaza entrando diversos disfraces vi. Verlos podrás desde aquí pasar tañendo y cantando.
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Dentro suena grita, córrese una cortina y están en un tabladillo los músicos, y salen las mujeres que pudieren por una parte bailando con máscaras, y por otra los hombres con trajes diferentes. [Salen don Juan, Serafina, Flora y Juanete.] MUJER
1ª
HOMBRE
1º
DON JUAN
Veniu las miñonas, a bailar al Clos, tararera, que en las Carnestoltas se disfraz Amor, tararera. Veniu los fadrines al Clos a bailar, tararera, que en las Carnestoltas Amor se disfraz, tararera. ¿Qué, bien mío, te parece de esta común alegría?
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DON ALVARO
FABIO
DON ALVARO
FABIO
e non si sappia chi sia in realtà. Straordinaria usanza è quella permessa in questi giorni! Si possono corteggiare delle dame, anche se il padre o il marito le accompagnano! È vero. Pur essendo questo popolo così pugnace e geloso, non ci son stati incidenti. Andiamo, ho già visto entrare nella piazza gente in maschera. Restiamo qui, li vedrai mentre cantano passare.
Si ode vociare di gente e si apre una tenda: su di un piccolo palco si vedono i musici. Entrano, da una parte, tutte le donne a disposizione mentre ballano in maschera; e dall’altra, entrano gli uomini con abiti differenti. [Entrano don Giovanni, Serafina, Flora e Juanete.] PRIMA DONNA
PRIMO UOMO
DON GIOVANNI
Venite, ragazze, a ballare al Clos. Trallalera! Perché a Carnevale Amor si traveste. Trallalà! Venite, giovani, al Clos a ballare. Trallalera! Perché a Carnevale Amor si traveste. Trallalà! Che te ne pare, tesoro, di questa grande allegria?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II SERAFINA
DON JUAN
JUANETE MUJER
1ª
HOMBRE
1º
MÚSICOS TODOS
MÚSICOS
Que no tuve mejor día en mi vida, y te agradece mi amor el haberme hecho tal festejo. (Para mí lo fuera también, si aquí la confusión de mi pecho me le dejara gozar, aunque en vano me atormento con mi mismo pensamiento.) Volver quieren a bailar. Sonau, músicos, sonau. Prevenid las castañetas. Què voleu? Las paradetas digan tots. Que me plau.
1835
1840
1845
Bailan todos juntos, los unos quedan a una parte, y don Álvaro y Fabio a otra. HOMBRE MUJER
1º
1ª
JUANETE
FABIO DON ÁLVARO
FABIO
DON ÁLVARO
[A Serafina]
Aven per tot el llogar. Veniu vosaltres con mí. Aven, fadrines, de axí a altre carrer a bailar. ¿Hasla conocido? Sí; y el alma me lo dijera aun cuando yo no supiera que era ella. Pues aquí seguro puedes hablar mientras embozado estés. Gozaré la ocasión, pues. Máscara, ¿queréis danzar conmigo?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO SERAFINA
DON GIOVANNI
JUANETE PRIMA DONNA PRIMO UOMO UN MUSICISTA TUTTI
UN MUSICISTA
Non ho mai passato un giorno così bello in vita mia e ti ringrazio di cuore per tali festeggiamenti. (Altrettanto io direi, se soltanto il mio agitato cuore me lo permettesse; ma è inutile torturarmi con i miei stessi pensieri.) Vogliono ballare ancora. Ora, musici, suonate. Preparate delle nacchere. Che volete? Paradetas, paradetas! E va bene.
Ballano tutti insieme; i ballerini si dispongono da una parte e don Alvaro e Fabio dall’altra. PRIMO UOMO PRIMA DONNA JUANETE
FABIO DON ALVARO
FABIO
DON ALVARO
[A Serafina]
Andiamo per ogni dove. Venite con me voi altri. Andiamocene, ragazzi, da un’altra parte a ballare. L’hai riconosciuta? Sì. Me l’avrebbe detto il cuore, se non avessi saputo che era lei. Su, avvicinati e parlale. Sei al sicuro, finché resti mascherato. Colgo l’occasione, allora. Mascherina, permettete questo ballo?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II SERAFINA
DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
SERAFINA DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
DON JUAN
SERAFINA
DON JUAN SERAFINA
DON JUAN
DON ÁLVARO SERAFINA
Vuestra esperanza tarde pienso que llegó. ¿Por qué tarde? Porque yo no estoy para hacer mudanza; y es vana la pretensión vuestra. Pues yo presumía que una mudanza podría por mí hacerse. Es ilusión. Alguna vez la habréis hecho. Quizá que por eso estoy dispuesta a no hacerla hoy porque la hice ya. Mi pecho no debe desconfiar. El máscara te ha pedido danza; si te ha conocido o no, ya es fuerza el danzar: si te conoce, porqué sería descortesía; y si no, porque sería cuidado. Yo danzaré si tú licencia me das; que yo por ti me excusaba. ¿Por qué por mí? Porque estaba atenta a tu voz no más. Esto es permitido aquí. (¿Quién será el que a Serafina más que a las demás se inclina?) En fin, ¿no respondéis? Sí. ¿Qué es lo que danzar queréis,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO SERAFINA
DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO
SERAFINA DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO DON GIOVANNI
SERAFINA
DON GIOVANNI SERAFINA
DON GIOVANNI
DON ALVARO SERAFINA
Il vostro invito credo sia arrivato tardi. Tardi? Non mi aggrada adesso danzare, per cui declino la vostra offerta, signore. Io, invece, presumevo che con me avreste cambiato idea. Vi illudevate. L’avrete fatto, ogni tanto. Forse è per questo che oggi non sono disposta a farlo, perché l’ho fatto una volta. Non dispero, mascherina. La maschera ti ha invitato a ballare. Devi farlo, che ti abbia riconosciuta o no: sarebbe scortese, se ti conosce; e se no, creerebbe dei sospetti. Ballerò, col tuo permesso. Declinavo per riguardo a te. A me? Solamente obbedisco ai tuoi voleri. Qui sono cose permesse. (Chi sarà costui che ha scelto fra tante dame la mia?) Cosa rispondete? Sì. Quale ballo preferite,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
máscara? Que ser no quiero grosera... DON ÁLVARO [A un músico] Toca el Rugero. SERAFINA ¿Por qué el Rugero escogéis? DON ÁLVARO Porque, a vuestra vista atento, decir pueda en esta calma...
1890
Tocan, y mientras danzan, representan, y la música responde, todo a compás, sin pararse nunca los instrumentos. MÚSICA
DON ÁLVARO
MÚSICA
SERAFINA
MÚSICA
SERAFINA
MÚSICA
SERAFINA
DON ÁLVARO
SERAFINA
DON ÁLVARO SERAFINA
Reverencia os hace el alma, reina de mi pensamiento... Y más cuando en vos contemplo que Amor os debe adorar... ...por ídolo de su altar, por imagen de su templo. De nada ofenderme quiero, que quejarse de un rigor... Licencia daba el amor a que pueda un caballero... Mas lo que excusar intento es que pueda vuestra llama... ...en el sarao a su dama decirla su pensamiento. Y así, para cortesía, esto basta; perdonad. Bien dice en su brevedad esa dicha, que era mía. Mejor lo dirá adelante, avisándoos ofendida... ¿Qué? Que me importa la vida; que os volváis luego al instante. Vamos, amigas, de aquí.
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1900
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Cesan los instrumentos y quedan todos suspensos.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
maschera? Non vorrei essere scortese. DON ALVARO [A un musicista] Suona il Ruggiero. SERAFINA Perché scegliete il Ruggiero? DON ALVARO Perché guardandovi fisso, potrò dirvi sottovoce... Suonano, e mentre danzano, recitano. All’unisono, rispondono i musicisti col canto e gli strumenti non si fermano mai. MUSICISTI
DON ALVARO
MUSICISTI
SERAFINA
MUSICISTI
SERAFINA
MUSICISTI
SERAFINA
DON ALVARO
SERAFINA
DON ALVARO SERAFINA
Il mio cuor vi riverisce, regina dei miei pensieri... Specie quando in voi contempla che Amore deve adorarvi... ...come idolo del suo altare, e immagine del suo tempio. Non voglio offendermi, ché lagnarsi d’una violenza... Amore darà licenza perché possa un cavaliere... Quel che cerco di evitare è che possa il vostro ardire... ...nella danza, alla sua dama, rivelare i suoi pensieri. Basta così, sono stata più che cortese. Scusatemi. Dalla brevità capisco che questa gioia era mia. Vi parlerò chiaro: sono offesa, vi avverto... ...che..? ...che ne va della mia vita, se non mi lasciate subito. Andiamocene via, amiche. Smettono di suonare e restano tutti perplessi.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II DAMA
1ª
SERAFINA FLORA SERAFINA
HOMBRE
1º
DON JUAN
MÚSICO
1º
¿Con tanta priesa? ¿Por qué irte quieres? No lo sé. ¿No te agrada el puesto? Sí, pero ya parece que es hora que nos recojamos. Por la tarazana vamos a mi quinta. Mejor es; que allá, sin publicidad, nos podremos divertir. Pues deja ya de venir gente, los puestos dejad.
1920
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Vanse. DON JUAN
Juanete, saber procura, siguiéndole hasta después, ese máscara quién es.
1930
Vase. JUANETE
Mi cuidado te asegura [de que no le perderé] de vista, aunque al cabo vaya del mundo. [Se queda apartado.]
FABIO
DON ÁLVARO
¿De qué has quedado tan triste? De ver cuán vanas para mi imposible amor son todas mis esperanzas. Presumiendo hallar, ¡ay triste!,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO PRIMA DAMA
SERAFINA FLORA SERAFINA
PRIMO UOMO
DON GIOVANNI
PRIMO MUSICISTA
Di già? È presto! Perché vuoi andartene? Non lo so. Non ti piace il posto? Sì, ma mi sembra sia arrivato il momento di tornare. Passiamo dall’arsenale e andiamo alla villa. È meglio. Lì potremo divertirci senza tanti occhi addosso. Ormai non viene nessuno. Riponiamo gli strumenti. Escono.
DON GIOVANNI
Juanete, prova a sapere chi è quell’uomo mascherato. D’ora in poi, seguilo. Va’. Esce.
JUANETE
Te lo assicuro, padrone: non lo perderò di vista, se ne andasse pure in capo al mondo! [Resta in disparte.]
FABIO
DON ALVARO
Sei diventato triste. Come mai? Perché ho visto che ogni speranza è vana e che questo amore è impossibile. Pensando di trovare – che infelice! –, 821
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
JUANETE
[Siguiéndolos desde lejos.] DON ÁLVARO
algún alivio a mis ansias, fleté aquese bergantín que surto en el mar me aguarda, y sin despedirme, ¡ay cielos!, de mi padre y de mi hermana, vine a ver a Serafina... Mal dije, a esa fiera ingrata, esa esfinge, esa sirena, ese veneno, esa rabia. (Sin duda es fraile y está convidado en otra casa, pues que va con tanta priesa.) Y pues que finezas tantas merecerla, al verme, Fabio, no han podido una palabra de agrado, y la última fue decirme que el que me vaya su vida importa: ¿qué espero? Crean mis desconfianzas de una vez que ya este bien se perdió; y pues siempre se halla el principio del consuelo con el fin de la desgracia, tratemos de vivir. Toma estos trajes y estas galas.
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1945
1950
1955
1960
Quítase el capote y la máscara, y queda de marinero.
JUANETE
Vuélvelos a quien los dio, que yo, mientras de aquí faltas, la gente de mar haré que se junte, porque vayan por agua y viento mis dichas a buscar sus esperanzas. (¡Oigan qué transformación! Aunque no le veo la cara,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
un sollievo alle mie pene, noleggiai un brigantino, che adesso mi attende all’ancora, e partii in fretta e furia, senza salutare i miei, per vedere Serafina... No! Dovrei dire piuttosto quella belva ingrata o sfinge, quella sirena o veleno. JUANETE [Mentre (Deve essere un frate che hanno li segue da lontano] invitato in qualche casa, perché va così di fretta.) DON ALVARO Dopo tante cortesie, quando mi ha veduto, Fabio, non mi ha rivolto neppure una parola gentile. Mi ha allontanato dicendo che ne va della sua vita. Devo crederci, una volta per tutte: è finita. Tutto è perduto. E se il principio del conforto è alla fine della disgrazia, bisogna allora vivere. Prendi tutti questi bei vestiti Si toglie il mantello e la maschera e resta vestito da marinaio.
JUANETE
e rendili al proprietario; intanto, mentre sei via, io raduno l’equipaggio. La mia perduta speranza andrà a cercare fortuna tra i venti e le onde del mare. (Guarda, che trasformazione! Non riesco a vederlo in faccia,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
FABIO
DON ÁLVARO
JUANETE
DON ÁLVARO
que es marinero sé ya, pues es el traje en que anda.) La resolución más cuerda es esa. Porque no haga mi pena, entrando en consejo conmigo, alguna mudanza, ya me hallarás embarcado cuando vuelvas; porque es tanta la fe con que a Serafina ha querido y quiere el alma, que si a su vida le importa mi muerte, es justo buscarla. (Voy tras él porque no puedo verle, mas seguirle basta.) ¡Ah, del mar!
1975
1980
1985
Salen algunos marineros. MARINERO
1º
DON ÁLVARO
MARINERO
2º
DON ÁLVARO
[VOCES] Dentro DON ÁLVARO
MARINERO
[1º]
DON ÁLVARO
¿Señor? ¿Es tiempo para partir, camaradas? El mejor tiempo es del mundo, el mar se mira en bonanza. Pues, ¡alto! ¡A embarcar, amigos! (¡Adiós, adiós esperanzas! ¡Adiós, Serafina!) ¡Fuego, fuego! ¿Qué voces son varias las que oigo? A lo que se ve, toda la quinta se abrasa de don Diego de Cardona. (¡Ay de mí! ¡Que en ella estaba Serafina! Sentimientos, no acudáis a la venganza,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
FABIO
DON ALVARO
JUANETE
DON ALVARO
ma, dal vestito che indossa, ora so che è un marinaio.) La decisione più saggia è questa. Per evitare che, a forza di ripensarci, questa mia pena mi induca a cambiare idea, Fabio, al tuo rientro sarò già a bordo. Tanta è la fede con cui ho amato e amo ancora Serafina, che, se vuole la mia morte, andrò a cercarla. (Non sono ancora riuscito a vederlo, ma lo seguo.) Marinai! Entrano alcuni marinai.
PRIMO MARINAIO DON ALVARO
SECONDO MARINAIO
DON ALVARO
[VOCI Fuori scena] DON ALVARO
[PRIMO] MARINAIO
DON ALVARO
Signore... Il tempo è propizio per salpare? È il più bel tempo del mondo. il mare sembra in bonaccia. Allora, forza, imbarchiamo! (Addio, mie speranze, addio! Addio, Serafina!) Al fuoco! Al fuoco! Ma cosa sono tutte queste grida? Sembra che sia in fiamme la tenuta di don Diego di Cardona. (No! È proprio lì che andava Serafina! O mia passione, non pensiamo alla vendetta, 825
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
JUANETE
[VOCES] Dentro DON ÁLVARO
sino al reparo.) Venid conmigo. (Que fuera extraña fortuna de mis desdichas si hubiese venido a darla la vida cuando ella piensa que la muerte.) ¡Cielos! Tanta la violencia es del incendio, que en un instante a ser pasa volcán del mar. ¡Fuego, fuego! ¡Entre pavesas y llamas, monstruo de fuego, humo y polvo, un caballero a una dama saca en los brazos!
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2005
2010
Sale don Juan con Serafina [desmayada]. DON JUAN
DON ÁLVARO
Amigos, si esta ruina, esta desgracia, piadosos os ha traído para socorrer a tanta gente como aquí perece, la más noble, la más alta será que aquesta hermosura tengáis un instante en guarda, en tanto que vuelvo yo a costa de vida y alma a su socorro; que son los que mi favor aguardan deudos, parientes y amigos. Bien podéis, señor, dejarla.
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2020
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
JUANETE
[VOCI] Fuori scena DON ALVARO
bensì al rimedio.) Seguitemi! (Che ironia! Che strana sorte quella delle mie sventure: venire qui per salvarle la vita, quando diceva che le davo morte.) Cielo, con tanta furia divampa l’incendio che è diventato vulcano del mare. Al fuoco! Tra scintille e fiamme, un uomo, mostro di fuoco, di fumo e cenere, porta fuori una donna in braccio.
Entra don Giovanni con Serafina [svenuta]. DON GIOVANNI
DON ALVARO
Amici, che questa sciagura, questa catastrofe ha fatto accorrere in aiuto della gente che qui è a rischio della vita, l’aiuto più eccelso e nobile che vi chiedo è di occuparvi di questa bella signora soltanto un attimo, mentre torno indietro per soccorrere, a costo della mia vita, gli altri: sono degli amici e dei parenti che attendono tutti il mio aiuto. Lasciatela pure qui, signore.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
Y adiós, que el valor me lleva y obligaciones me llaman a su empeño.
DON JUAN
[Vase.] [VOCES] Dentro JUANETE
DON ÁLVARO
MARINERO MARINERO
1º 2º
FABIO DON ÁLVARO
¡Fuego, fuego! ¡Señor! ¡Oye! ¡Espera! ¡Aguarda! Otra vez se arroja allá, el diablo que tras él vaya. (¿Quién en el mundo habrá visto jamás dicha tan extraña? ¿En mis brazos Serafina no está ya? ¿No está en la playa aguardando un bergantín? Pues, ¿qué espera? Pues, ¿qué aguarda mi amor?) ¡Amigos, al mar! ¿Qué es lo que intentas? ¿Qué trazas? ¿Qué es esto, señor? Después lo sabréis. (Diga la fama que siempre la propia dicha está en la ajena desgracia.)
2030
2035
2040
Vanse, llevándola. ¿Oyen ustedes? ¿Qué digo? Miren que aquesa es mi ama.
JUANETE
2045
Dentro uno. CABALLERO
1º
Como la gente se salve, la hacienda no importa nada.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO DON GIOVANNI
Addio! Seguo, intrepido, il richiamo del dovere. [Esce.]
[VOCI] Fuori scena JUANETE
DON ALVARO
PRIMO MARINAIO SECONDO MARINAIO FABIO DON ALVARO
Al fuoco! Al fuoco! Padrone, fermati! Ascolta! Si è lanciato tra le fiamme e solo il diavolo può seguirlo. (Si è vista mai un’avventura così? Ma se mi fermo a pensarci, forse, andrà tutto in malora. Non ho ora Serafina tra le mie braccia? E non c’è un brigantino, lì all’ancora, che mi attende? Che aspettiamo, mia passione?) Amici, a bordo. Che vuoi fare? Cos’hai in mente? Che accade, signore? Dopo lo saprai. (Dice il proverbio: la fortuna di uno nasce dalle altrui disgrazie. È vero!) Escono, portandola via.
JUANETE
Ehi, signori! Mi sentite? Quella lì è la mia padrona! Si ode uno fuori scena.
PRIMO CAVALIERE
Purché la gente si salvi, importano poco i beni. 829
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
[Dentro.] [CABALLERO] 2º
De todos no ha parecido sino sola una criada de Serafina. Sale don Juan.
DON JUAN
JUANETE DON JUAN
JUANETE
DON JUAN
JUANETE
DON JUAN
Esperad que allá con vosotros vaya. Amigos, esa hermosura que os entregué desmayada, restituid a mis brazos, que ya... Señor, ¿con quién hablas? Con unos hombres del mar, a quien dejé vida y alma en Serafina. ¿Haslos visto? Que debieron de llevarla, sin duda, a albergar a alguna de aquesas pobres barracas. No la llevan sino al mar, pues aquel bergantín, que alas le da el viento y pies los remos, lleva a Serafina. Calla, si no quieres que mi aliento te abrase. ¡Gentil venganza! Llévate tu esposa quien de máscara se disfraza, siendo un pobre marinero, y ¿he de pagarlo yo? Aguarda. ¿El máscara era, ¡ay de mí!,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
[Fuori scena] SECONDO [CAVALIERE]
Di tutti manca all’appello solamente una domestica di Serafina. Entra don Giovanni.
DON GIOVANNI
JUANETE DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
Aspettatemi, che vi raggiungo in un attimo. Amici, restituite alle mie braccia la dama che vi ho affidato svenuta, che... Padrone, con chi parli? Con della gente di mare, cui ho lasciato Serafina, che è la mia vita. Li hai visti? Devono averla portata al riparo, in quelle loro nude baracche. Macché! In mare l’hanno portata. Quel brigantino laggiù, che col vento corre e vola, se la porta via. Taci, se non vuoi che il mio respiro ti incenerisca. Che bella vendetta! Quel marinaio che era prima mascherato rapisce tua moglie e sono io a pagarla! Un momento. L’uomo in maschera era forse
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA II
JUANETE DON JUAN
el marinero que estaba ahora aquí? Sí, señor. Matome mi confianza. Pero, ¿qué aguardo que no me arrojo al mar en venganza de mi honor?
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Salen todos los de la máscara. TODOS DON JUAN
¿Qué es esto? Es una desdicha, una rabia, una afrenta, una deshonra, tan grande, ¡ay de mí!, tan rara, que no me atrevo a decirla hasta después de vengarla. Y ha de ser de esta manera: ¡espera, ladrón, pirata de estos piélagos, que yo, contra el fuego y contra el agua, lidiaré igualmente! Dadme, ¡cielos!, o muerte o venganza.
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Éntrase, arrojándose al mar. [Los demás lo siguen dentro, excepto Juanete.] Por aqueste «¡hombre a la mar!» se dijo ya. TODOS Dentro ¡Al agua, al agua! JUANETE A remo y vela el bajel huye; y él, racional barca, en vano seguirle intenta. DON JUAN Dentro ¡Amparo, cielo! TODOS [Dentro] Él te valga. JUANETE
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO SECONDO
JUANETE DON GIOVANNI
quel marinaio che stava qui or ora? Sì, padrone. Che ingenuo! Mi hanno imbrogliato! Che aspetto a buttarmi in mare, a vendicare il mio onore? Che aspetto?
Entrano tutti i partecipanti alla festa in maschera. TUTTI DON GIOVANNI
Ma che succede? È una disgrazia, una rabbia, un’offesa, una vergogna così grande che non oso dirla, finché non sarà vendicata... Forse è proprio questo il momento perfetto. Aspetta, ladro, pirata di questi mari! Ho lottato col fuoco e con l’acqua adesso combatterò. Cielo, dammi o la vendetta o la morte.
Esce, gettandosi in mare. [Tutti gli altri lo seguono dietro le quinte, tranne Juanete]. JUANETE
TUTTI
Fuori scena
JUANETE
DON GIOVANNI
Ora so cosa significa «Uomo a mare!» In acqua! In acqua! Il vascello fugge, remi al vento, e lui, barca umana, cerca invano di seguirlo. Aiuto! Mio Dio, aiutami!
Fuori scena TUTTI [Fuori scena] Solamente Lui può farlo!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III
JORNADA III Sale don Luis, leyendo una carta. DON LUIS
Mandaisme que os avise de qué causa pudo tener a don Juan Roca tantos días sin escribiros. Y aunque quisiera excusarme de hablar en esto, no puedo dejar de obedeceros. Las Carnestolendas pasadas, estando en la quinta de don Diego de Cardona, se prendió en ella tan grande fuego que, no sin peligro, pudieron escapar la vida. Don Juan sacó a su esposa desmayada y dejándola, por acudir a los demás, en poder de unos marineros (que no falta quien diga que eran cosarios disfrazados), se hicieron a la mar con ella, arrojándose don Juan desesperado al agua, de donde le sacaron casi muerto algunos que acudieron a favorecerle; y apenas se hubo reparado cuando faltó de su casa sin llevar consigo más que un criado; y hasta hoy no se ha sabido de él ni de su esposa. No leo más, que no es posible que rendido, que postrado el corazón, a los ojos no salga deshecho en llanto. ¡Oh, válgame Dios, a cuántas desdichas y sobresaltos nace sujeto el honor del más noble, el más honrado! Aquí el serlo lo disculpe, pues a los ojos humanos, por más que esta sea desdicha no deja de ser agravio. Diera por saber adónde don Juan está, y a su lado correr su misma fortuna, cuanto soy y cuanto valgo,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entra don Luis, leggendo una lettera. DON LUIS
Mi avete chiesto se so il motivo per cui don Giovanni Roca non vi scrive da tanti giorni. Avrei perferito risparmiarvelo, ma non posso fare a meno di obbedirvi. Lo scorso Carnevale, mentre si trovava nella tenuta di don Diego di Cardona, scoppiò un incendio così grande che ne uscirono vivi per miracolo. Don Giovanni portò fuori sua moglie svenuta e la affidò ad alcuni marinai (ma qualcuno dice che erano corsari mascherati, e non marinai) per aiutare gli altri. Questi presero il largo portandosi via la donna. Don Giovanni, disperato, si gettò in acqua e ne fu tratto, quasi morto, da alcune persone che erano accorse in suo aiuto. E non appena si fu rimesso, se ne andò via di casa portando con sé soltanto un servitore. Da allora non si è saputo più nulla né di lui né di sua moglie. Non posso più andare avanti: il mio cuore addolorato è talmente sopraffatto, che nel pianto si dissolve. A quante sciagure e a quante sorprese è esposto l’onore del più nobile ed onesto degli uomini! Dio mi aiuti! Il suo buon nome dovrebbe bastare, ma una sventura tale agli occhi della gente è soltanto un disonore. Mi piacerebbe davvero sapere dove si trova don Giovanni e stargli accanto. Darei tutto quel che sono 835
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III
para que, juntos los dos, no dejásemos espacio escondido de la tierra que no inquiriésemos, dando, con la muerte del ladrón pirata, asombros y espantos al mundo.
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Sale Porcia y Julia. PORCIA DON LUIS PORCIA
DON LUIS
PORCIA
DON LUIS PORCIA
DON LUIS
PORCIA
¿Señor? ¿Qué hay, Porcia? ¿Qué es lo que tienes, que hablando contigo a solas estás, colérico y enojado? No sé, Porcia, lo que tengo. (Débame en aqueste caso, ya que me debe el sentirlo, también, don Juan, el callarlo.) Una carta recibí acerca de los pasados pleitos de mi residencia. Pésame de haberte hallado sin gusto, porque venía a pedirte mi cuidado, que me hicieras un favor. ¿Y en qué reparas? Reparo en que quien sin tiempo pide, es fuerza que desairado quede. Para ti no hay tiempo: unos siempre mis halagos son contigo. Pues en esa confianza a hablarte aguardo, don Álvaro...
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e valgo pur di dividere con lui la sua stessa sorte! Noi due insieme cercheremmo in ogni angolo nascosto della terra. Ed il castigo di quel ladro, quel pirata, stupirebbe tutti quanti. Entrano Porcia e Julia. PORCIA DON LUIS PORCIA
DON LUIS
PORCIA
DON LUIS PORCIA
DON LUIS
PORCIA
Signore! Che c’è? Cos’hai? Perché stai parlando solo pieno di collera e ira? Non so, Porcia, che cosa ho. (La sofferenza che provo per l’amico don Giovanni mi obbliga pure a tacere.) Ho ricevuto una lettera che riguarda vecchi affari del mio governatorato. Mi spiace averti trovato di malumore. Venivo a chiederti se potevi farmi un favore. Che aspetti? Chi chiede in brutto momento corre il rischio di restare deluso. Tutti i momenti sono buoni nel tuo caso, ché ti voglio bene. Allora, rincuorata, mi decido a parlare. Don Alvaro...
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III DON LUIS PORCIA DON LUIS
PORCIA
DON LUIS
PORCIA
DON LUIS
No prosigas. ¿Ves si hay tiempo o no? Es engaño, pues en cualquiera diré que no me hable en él tu labio; hartas veces te lo he dicho. ¿Qué es lo que ha hecho mi hermano, señor, para que con él te dure el enojo tanto? ¿Qué más que, sin mi licencia, sin saber cómo ni cuándo ni dónde, faltar de casa y venir luego muy falso, con presumir que ha de hallar la puerta abierta y los brazos? De todo eso le disculpa la libertad de los años, fuera de que ¿qué delito es, señor, si lo miramos sin pasión, que un hombre mozo, viendo que has determinado querer vivir en la aldea entre dos rudos villanos, neciamente se despeche, y que, mal aconsejado, falte de tu vista un mes, que desde que vino ha estado temeroso de tus iras, en la casa retirado del monte, sin salir de ella? Merézcate, pues, mi llanto, que vuelva a casa. Ahora bien, por ti, en fin, se ha de hacer algo. Avísale de que venga.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO DON LUIS
Ferma là.
PORCIA
Non è il momento, lo sapevo! Invece sbagli: te lo avrei impedito sempre. Te l’ho ripetuto spesso: non pronunciare il suo nome. Cosa ha fatto mio fratello, signore, che dura tanto la tua collera con lui? E ti sembra poco andarsene senza permesso, così, senza dire dove andava né perché, e poi, con menzogne, pretendere di trovare la porta e le braccia aperte? La giovinezza perdona questa sua impetuosità, e poi, pensandoci su freddamente, che delitto è se un giovane, vedendo il padre determinato a trascinarlo in campagna, a vivere tra i bifolchi, si indispettisca e, sventato, si allontani per un mese? Da quando è tornato ha tanto timore della tua ira, che se ne sta ritirato nella casa in mezzo al bosco e non osa uscirne. Piango per lui. Lo vedi, signore? Fallo tornare. Va bene. Lo farò per amor tuo. Digli di tornare a casa.
DON LUIS
PORCIA
DON LUIS
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DON LUIS
Guárdete el cielo mil años; y el aviso seré yo que aquesta tarde cazando iré al monte y le diré que venga a besar tu mano. Haz tú allá lo que quisieres. (¿Qué hiciera yo, ¡cielo santo!, por saber dónde don Juan está y dónde su contrario? Que, ¡vive Dios!, que se viera en mí el ejemplo más raro de amistad que ha visto el mundo.)
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Vase don Luis. JULIA
PORCIA
Bien, señora, se ha logrado la intención. Es cierto, pues no es cuanto dispongo y trazo amor de mi hermano solo, sino mío, procurando que la casa desocupe del monte, porque sin tantos riesgos el príncipe pueda ir allá tal vez, logrando mi amor la ocasión de verle. Y así, Julia, a ese criado que trajo el papel dirás que a caza esta tarde salgo; que bien puede en el castillo, pues ya conoce a Belardo su casero, entrar, que yo, en diciéndole a mi hermano como mi padre le espera, podré hablarle en él.
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DON LUIS
Il cielo ti benedica. Io stessa lo avviserò: me ne andrò a caccia nel bosco e gli dirò di venire qui, per baciarti le mani. Fa’ come ti pare. (Cielo, ed io cosa non darei per sapere dove sono don Giovanni e il suo nemico! Il mondo vedrebbe in me un eccezionale esempio d’amicizia. Sì, perbacco!) Esce don Luis.
JULIA
PORCIA
Padrona, ci sei riuscita. Brava! È vero, ma non tutto quel che ho fatto è per amore di mio fratello. Ho pensato anche a me: se, infatti, lascia la casa del bosco, allora il principe potrà andarci senza rischi ed il mio amore forse cogliere potrà l’occasione di vederlo. Perciò, Julia, di’ a quel servo che mi ha portato il biglietto che quest’oggi vado a caccia; il principe, che conosce Belardo, il fattore, può entrare nel castello, ove gli parlerò, non appena avrò detto a mio fratello che nostro padre l’aspetta.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III JULIA
PORCIA
JULIA
No en vano, como es pobre Amor, es todo trazas, cautelas y engaños. Dame un arcabuz, que quiero por el camino ir tirando; y venga atrás la carroza. Aquí está.
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Dala el arcabuz. PORCIA
¿Para qué me armo, Amor, con armas de fuego, si cuando a campaña salgo contra ti, me vences solo con una flecha y un arco?
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Vanse. Salen don Álvaro y Fabio. DON ÁLVARO FABIO
DON ÁLVARO
FABIO DON ÁLVARO
¿Qué hace Serafina? ¿Ya no sabes que es excusado el preguntarlo? Eso es decirme que está llorando. Es verdad. Desde el instante que desmayada en mis brazos pasó del golfo del fuego a incendios de agua, trocando del un extremo a otro extremo dos elementos contrarios, no se enjugaron sus ojos; pues apenas en el barco se vio en mi poder, cobrada
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PORCIA
JULIA
A ragione Amore è povero: vive di astuzie e di imbrogli. Dammi un archibugio; voglio cacciare lungo la strada. La carrozza può seguirci. Eccolo qui. Le dà un archibugio.
PORCIA
Perché mai prendo delle armi da fuoco, Amore, se quando scendo in guerra con te, mi batti con una freccia ed un arco? Escono. Entrano don Alvaro e Fabio.
DON ALVARO
Che fa Serafina?
FABIO
È proprio inutile domandarlo. Non lo sai? Questo vuol dire allora che sta piangendo. Sì, esatto. Dal momento in cui, svenuta, passò tra le mie braccia da un golfo di fuoco a un incendio d’acqua, da un estremo all’altro estremo, da un elemento al suo opposto, i suoi occhi non si sono mai asciugati. Sulla nave non si era ancora riavuta da quel lieve mancamento, quando, accortasi di essere in mio potere, si sciolse
DON ALVARO
FABIO DON ALVARO
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de aquel pálido desmayo, cuando a llorar empezó, de suerte que un breve espacio no han podido mis caricias hasta hoy suspender su llanto. Pensé yo... mas no pensé, que aun tiempo para pensarlo no tuve, que Serafina...
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Sale Serafina. SERAFINA
Espérate fuera, Fabio.
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Vase Fabio. Y tú, escúchame, porqué mi nombre oyendo en tus labios, y oyendo mi mal, del nombre también el intento, trato de aprovechar la ocasión porque de una vez salgamos tú de dudas, yo de penas y de confusiones ambos. ¿Pensaste, ¡ay de mí!, que fuera mi decoro tan liviano, tan fácil mi estimación, mi sentimiento tan vano, mi vanidad tan humilde, mi tormento tan villano y mi proceder tan otro, que me hubiera consolado de haber en un día perdido esposo, casa y estado, honor y reputación, con solo hallarme en tus brazos vencida de tus traiciones, forzada de tus agravios?
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in pianto. Le mie carezze non son riuscite finora a fermare le sue lacrime nemmeno per un istante. Avevo pensato... – no, non l’ho fatto: non ne ho avuto il tempo – che Serafina... Entra Serafina. SERAFINA
Aspetta qui fuori, Fabio. Fabio esce. E tu ascoltami, perché sentendoti pronunciare il mio nome, la mia pena aumenta; e sentendo pure con che intenzione lo dici, colgo al volo l’occasione per riuscire a liberarci tu dai dubbi, io dalle pene e da confusioni entrambi. Tu pensavi, ahimè!, che fosse così fragile il mio onore, così vago il mio decoro, così frivolo il mio affetto, così umile il mio orgoglio così comune il mio strazio così altra la mia condotta che mi sarei consolata di aver perso in un sol giorno sposo, casa, posizione, onore e reputazione, soltanto col ritrovarmi fra le tue braccia, rapita a tradimento ed offesa? 845
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SERAFINA
No pensé, pero pensé... ¿Qué? Que por el mismo paso que fue tan desesperada mi acción, fueran tus agrados menos crueles, pues vemos que amor en lo temerario vive, y disculpa no tiene un error enamorado, como no tener disculpa: tanto ama el que yerra tanto. Esa razón, tan sin ella para mí está, que antes saco que quien lo destruye todo nada estima; y así, ingrato, y así, aleve, y así, fiero, traidor, injusto, tirano... Pero no, no digo bien, ya de otro estilo me valgo: don Álvaro, mi señor, supuesto que ya este caso ha sucedido y no tiene remedio, ¿para qué andamos arguyendo en lo que hubiera sido mejor? Ya los astros lo dispusieron así, ya lo quisieron los hados, ya lo admitieron los cielos; pues bien, al remedio vamos, y débate yo el oírme, si es que he de deberte algo. Yo, don Álvaro, no aliento, sin temer que, inficionado el aire de los suspiros de don Juan, me encuentre; paso no doy que, creyendo verle, de mi sombra no me espanto,
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SERAFINA
Non l’ho pensato; pensavo... Che? Che di fronte ad un gesto così disperato, avresti risposto meno crudele, perché amore è temerario e un errore innamorato non ha bisogno di scuse: chi sbaglia molto, ama molto. Questo tuo ragionamento è astruso e privo di senso: chi distrugge tutto, nulla stima; e allora, ingrato, vile e allora, belva spietata, tu, traditore, tiranno... Ma no, sbaglio a dir così. Cambierò il tono e la forma. Don Alvaro, mio signore, ormai quel che è fatto è fatto, non ci sono scappatoie. Quindi, perché discutere su ciò che sarebbe stato meglio? L’hanno decretato le stelle, così ha voluto il Fato e permesso il cielo: cerchiamo, dunque, un rimedio. Ascoltami, per favore; te ne sarò debitrice. Io, don Alvaro, non oso respirare perché temo di trovare avvelenata tutta l’aria dai sospiri di don Giovanni; non muovo un passo senza che l’ombra mia non mi faccia paura,
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DON ÁLVARO
siendo a aquestas ilusiones aquesta casa de campo adonde tú me has traído, sepultura de mis años. Tú, conseguida, no puedes conseguirme, pues es claro que no consigue quien no consigue el alma; y es llano que una hermosura sin ella es como estatua de mármol, en quien está la hermosura sin el color del halago; vencida, mas no gozada. ¡Oh, mal haya amor villano, que la fuerza del cariño la funda en la de los brazos! Don Juan es noble ofendido: solo en esto digo harto. Que sepa de ti es forzoso, pues, habiéndose quedado Flora en Barcelona, ella lo habrá dicho. Pues pongamos a este miedo, a este peligro y a esta desdicha un reparo; este solo puede ser que tu amor desesperado de que en mí ha de hallar consuelo, se resuelva en rigor tanto a perderme de una vez: sea mi sepulcro el claustro de un convento en que ignorada mi vida... Suspende el labio, no prosigas, que primero que yo viva sin ti, un rayo me mate... ¡Válgame el cielo!
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perché credo di vederlo; sono talmente atterrita che questa dimora dove mi hai portata è diventata sepolcro della mia vita. Tu mi hai avuta e non puoi avermi, ché non si ha nulla, se non si conquista l’anima. Anche la donna più bella, senza l’anima, assomiglia ad una statua di marmo, dove la bellezza è spenta, ed anche se è stata vinta, non può essere goduta. Sia maledetto l’amore brutale, che sulla forza delle braccia e non su quella del sentimento si fonda! Don Giovanni è nobiluomo ed è offeso: ho detto tutto. Ormai saprà di te. Flora, che è rimasta a Barcellona, glielo avrà detto. Cerchiamo un rimedio a questa angoscia, a questo grave pericolo, a questa sventura. Vedo una sola via di scampo: che il tuo amore, che dispera di trovare in me conforto, si decida finalmente a perdermi. Il mio sepolcro sarà il chiostro di un convento, dove, ignorata da tutti... Sta’ zitta! Non proseguire. Piuttosto che stare senza di te, un fulmine mi uccida...
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Disparan dentro un arcabuz. SERAFINA
DON ÁLVARO
¡Ay de mí!, que ya este acaso segunda vez sucedió: mi muerte está pronunciando. No, no temas, que yo, aunque me asusto, no me acobardo. ¡Hola! ¿Qué es eso?
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Sale Belardo, vejete. BELARDO
DON ÁLVARO
BELARDO
DON ÁLVARO SERAFINA
Que Porcia, tu hermana, viene cazando por el bosque y a las puertas llega del castillo. En tanto que yo voy a recibirla, por si entrar quiere a este cuarto, Serafina, al aposento te retira de Belardo. ¿Cómo ha de salir de aquí, si ya Porcia ocupa el paso? Pues éntrate en esa cuadra. ¡Cielo, tu favor aguardo!
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Escóndese, y sale Porcia, de caza. DON ÁLVARO PORCIA
¡Hermana! Porcia, ¿qué es esto? Llegar, Álvaro, a tus brazos con dos gustos; uno es decirte que, más humano, mi padre me envía por ti; y otro, haber hecho, llegando a las puertas de la torre, el tiro más acertado que hice en mi vida, porqué
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Si ode lo sparo di un archibugio. SERAFINA
DON ALVARO
Cielo, è la seconda volta che accade e sembra che stia annunciando la mia morte. Non temere. Anch’ io ho avuto paura, ma non mi faccio intimorire. Che accade? Entra Belardo, vecchio.
BELARDO
DON ALVARO
BELARDO
DON ALVARO SERAFINA
Tua sorella sta cacciando per il bosco ed è arrivata alle porte della villa. Nel caso volesse entrare qui, mentre le vado incontro, ritirati, Serafina, negli alloggi di Belardo. Come vuoi che possa farlo se Porcia è già qui all’ingresso? Allora entra in quella stanza. Cielo, aiutami, ti prego!
Serafina si nasconde ed entra Porcia, in abito da caccia. DON ALVARO PORCIA
Come mai sei qui, sorella? Per abbracciarti, mio caro, e per darti buone nuove. La prima è che nostro padre, più umano, mi manda qui a cercarti e la seconda, che, mentre mi avvicinavo alla porta della torre, ho sparato il piú bel colpo della mia vita: un camoscio andava così veloce che l’ho ucciso non in corsa, 851
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tan veloz pasaba un gamo que con matarle corriendo, puedo decir que volando. DON ÁLVARO Que vengas gustosa estimo. PORCIA Tan ufana me ha dejado el tiro que no quisiera esta tarde tan temprano dejar el monte; y así, mientras yo quedo cazando, ve tú a la aldea; porqué mi padre, que has estimado el perdón, vea en la priesa con que le besas la mano. DON ÁLVARO Dices bien, mas no te quedes tú aquí. PORCIA Tras ti al monte salgo. DON ÁLVARO Pues en él te dejaré. PORCIA Norabuena. [Aparte a Belardo] (¿Oyes, Belardo? Di al príncipe que me espere aquí, si viniere acaso esta tarde.) BELARDO (Así lo haré.) DON ÁLVARO (Belardo, ¿oyes? En sacando [Aparte a Belardo] yo de aquí a Porcia, retira a esa dama de ese cuarto.)
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Vanse los dos hermanos. BELARDO
¿Que haya quien diga, señores, que es oficio aprovechado el de alcahuete y a mí no sepa valerme un cuarto? Ve aquí a don Álvaro y Porcia, que me hacen su secretario y al cabo del año no me dan sino sobresaltos.
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ma al volo. Proprio un bel tiro! Me ne rallegro, davvero. PORCIA Sono così soddisfatta del tiro, che questa sera non vorrei lasciare il bosco troppo presto. Quindi, Alvaro, mentre continuo a cacciare, scendi in paese perché nostro padre veda quanto gli sei grato del perdono, dalla fretta con cui corri da lui a baciargli le mani. DON ALVARO Sì, però, tu non restartene qui. PORCIA Ti seguo per il bosco. DON ALVARO Dove ci separeremo. PORCIA Buona fortuna! [Sottovoce a Belardo] (Belardo, senti, se per caso viene il principe questa sera, digli di aspettarmi qui.) BELARDO (Va bene.) DON ALVARO (Senti, Belardo. [Sottovoce a Belardo] Non appena ce ne andiamo, fa’ uscir di qui quella dama.) DON ALVARO
I fratelli escono. BELARDO
E poi dicono, signori, che il mestiere di mezzano rende bene! Io non vedo manco un soldo! Tanto Porcia quanto Alvaro mi hanno preso per il loro segretario, ma a fine anno guadagno solo dei grossi spaventi.
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Sale Serafina. SERAFINA BELARDO SERAFINA
BELARDO SERAFINA BELARDO
SERAFINA BELARDO
¿Fuese Porcia? Ya se fue. Y lo estuve deseando, porque si quisiera entrar no pudiera embarazarlo; que no tiene por de dentro, aunque la anduve buscando, llave ni aldaba esta puerta; pero ya segura salgo. No muy segura. ¿Por qué? Porque hasta aquí viene entrando un hombre. Vuelvo a esconderme. Y yo a temblar.
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Sale el príncipe. PRÍNCIPE BELARDO PRÍNCIPE
BELARDO
¿Qué hay, Belardo? Seas, señor, bien venido. Habiendo, Porcia, avisado de que hoy aquí la vería, faltando de aquí su hermano, vengo a verla. ¿Dónde está? Con él salió ahora al campo, mas dijo que aquí la esperes.
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Sale Porcia. PORCIA
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No será mucho el espacio, porque apenas el camino del aldea tomé, cuando vuelvo a verte. ¿Era hora de merecer favor tanto?
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Entra Serafina. SERAFINA BELARDO SERAFINA
BELARDO SERAFINA BELARDO
SERAFINA BELARDO
Se n’è andata Porcia? Sì. Non vedevo proprio l’ora! Se avesse voluto entrare, impedirlo non potevo. La porta non ha, da dentro, pur avendoli cercati, né chiave né chiavistello. Finalmente esco tranquilla. Non direi. Perché? Perché sta arrivando adesso un uomo. Corro a nascondermi ancora. Intanto io tremo. Entra il principe.
PRINCIPE BELARDO PRINCIPE
BELARDO
Belardo? Benvenuto, mio signore. Porcia mi ha avvertito che oggi l’avrei potuta vedere qui, visto che suo fratello è andato fuori. Dov’è? È uscita con lui, però mi ha detto che puoi aspettarla. Entra Porcia.
PORCIA
PRINCIPE
Non per molto tempo, spero. Appena ho preso la strada che porta al villaggio, sono tornata indietro. Aspettavo da tempo un tale piacere! 855
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SERAFINA
(¿Cómo podré remediar, que la otra no esté escuchando?) (Porcia y el príncipe son.)
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[Aparte, al paño.] PORCIA
PRÍNCIPE PORCIA
PRÍNCIPE
BELARDO SERAFINA
[Al paño] PORCIA PRÍNCIPE PORCIA
PRÍNCIPE
El estar aquí mi hermano ha sido causa de que aquesta ocasión perdamos; pero ya este inconveniente mi ingenio lo ha remediado. ¿Cómo? Haciendo con mi padre que a casa le vuelva, dando fin a su enojo. Yo estimo, como es justo, ese cuidado. (Miento, que aún dura en mi pecho aquel incendio pasado. Pero así, loca memoria, si no te venzo, te engaño.) (Ella oye cuanto se dicen.) (¿A qué parte, amor tirano, iré donde tú no reines?) Siempre yo quejarme trato. ¿Por qué ahora? Porque sé que os tiene un hermoso encanto en Nápoles divertido. ¿Quieres ver cuánto eso es falso? Pues ha muchos días que yo de Nápoles también falto, porque una grande tristeza me tiene tan retirado que en esta vecina quinta lloro tu ausencia; y es tanto el gusto de vivir solo, que aquestos días he dado en no salir de ella, y tengo
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(Che posso fare perché l’altra non stia a ascoltare?) SERAFINA [Nascosta] (È il principe assieme a Porcia!) PORCIA Finché era qui mio fratello, era vederci impossibile: mancavano le occasioni; ma il mio ingegno ora è riuscito a risolvere l’intoppo. PRINCIPE Come? PORCIA L’ho fatto tornare a casa ed ho rabbonito mio padre. PRINCIPE Apprezzo oltremodo tutte queste tue premure. (Sto mentendo, perché il cuore arde per un’altra fiamma, ma almeno, folle memoria, se non ti batto, t’inganno.) BELARDO (E lei sta sentendo tutto!) SERAFINA [Nascosta] (Dove andrò, tiranno Amore? C’è un posto dove non regni?) PORCIA Forse dovrei lamentarmi. PRINCIPE E perché, adesso? PORCIA Perché so di una splendida dama che a Napoli vi ha ammaliato. PRINCIPE Ti dimostro quanto sbagli? È da tanti giorni ormai che anch’io Napoli ho lasciato, perché una grande tristezza dal mondo intero mi isola: piango la tua lontananza in una vicina villa, dove vivo ritirato. E mi fa tanto piacere stare solo, che non esco da giorni. Mi sto occupando
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puesto el gusto en unos cuadros que para una galería me hacen los más celebrados pintores de toda Italia, y aun de España, pues yo he hallado alguno que a Apeles puede competir; y tan pagado de esto estoy, que todo el día solo en verles pintar gasto. PORCIA A mí mi desconfianza me había dicho... BELARDO Esto va malo. PRÍNCIPE ¿Qué tienes? PORCIA ¿Qué ha sucedido? BELARDO Aunque no es nada, tu hermano vuelve. PORCIA Pues en esa cuadra te esconde. PRÍNCIPE Por ti lo hago más que por mí. SERAFINA [Al paño] (Mal podré resistirlo.) BELARDO (¡San Hilario! ¡Zas, entrose ya!)
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Éntrase donde está Serafina, y sale don Álvaro. DON ÁLVARO
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DON ÁLVARO PORCIA
No puedo asegurar el cuidado de que Porcia a Serafina no vea; y así, tomando la vuelta, vengo a saber si la ha escondido Belardo. (¡Ay de mí! Sin duda viene de algún aviso informado.) (¡Aquí Porcia! ¿A qué habrá vuelto?) (Él llega. ¿Si sabe algo?)
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dei dipinti che preparano per una mia galleria i più celebri pittori d’Italia, e pure di Spagna, dove ne ho trovati in grado di gareggiare perfino con Apelle. Passo i giorni solo a vederli dipingere. PORCIA La diffidenza mi aveva detto... BELARDO Qualcosa va male. PRINCIPE Cosa c’è? PORCIA Cosa succede? BELARDO Una bazzecola! Torna tuo fratello. PORCIA Su, nasconditi in quella stanza! PRINCIPE Lo faccio più per te, che per me stesso. SERAFINA [Nascosta] (E adesso, che cosa faccio? Ahimè!) BELARDO (No, per Sant’Ilario! E voilà, è entrato.) Il principe si infila nella stanza dov’è Serafina ed entra don Alvaro. DON ALVARO
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DON ALVARO PORCIA
Sono inquieto. Temo che Porcia scopra Serafina. Allora ho deciso di tornare. Sarà riuscito, Belardo, a mantenerla nascosta? (Ahimè! Di sicuro torna perché ha scoperto ogni cosa!) (Porcia è qui? E perché mai?) (Si avvicina. Saprà tutto?)
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PORCIA DON ÁLVARO
PORCIA
DON ÁLVARO PORCIA BELARDO DON ÁLVARO
PORCIA
DON ÁLVARO PORCIA DON ÁLVARO PORCIA DON ÁLVARO PORCIA DON ÁLVARO PORCIA
¿Porcia? ¿Hermano? ¿Cómo el monte dejas tan presto? El cansancio me rindió, y vuelvo a buscar en este sitio el descanso. (Eso sí.) Mas tú, ¿a qué vuelves? A que, habiendo reparado la condición de mi padre, advierto lo mal que hago en ir sin ti... (Aun eso, bien.) ...porque, si vuelve a su enfado, tú le reportes. Pues, ¿hay más de que juntos volvamos? Eso quiero yo. Yo y todo. (¡Quién no os entendiera a entrambos!) (Así excuso que no vea a Serafina.) (Así trato de que al príncipe no vea.) ¿No vienes? Sí. Vamos. Vamos. (Lindamente se ha dispuesto...) (Lindamente se ha trazado...) (...pues mi hermana no la ha visto.) (...pues no le ha visto mi hermano.)
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Vanse los dos.
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PORCIA
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PORCIA
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PORCIA
DON ALVARO PORCIA DON ALVARO PORCIA DON ALVARO PORCIA DON ALVARO PORCIA
Porcia... Fratello... Perché non sei nel bosco? Ero stanca, e sono venuta qui per riprendermi un po’. (Bene.) E tu perché sei tornato? Considerando il carattere di nostro padre, ho pensato che avrei sbagliato a vederlo senza di te... (Tutto bene!) ...ché, se si arrabbiasse ancora, tu lo calmeresti. Allora, che aspettiamo? Andiamo a casa. È quello che voglio. Anch’io. (Vi conosco, mascherine!) (Così non potrà vedere Serafina.) (Non potrà così il principe scoprire.) Non vieni? Sì. Andiamo. Andiamo. (Sono proprio furbo io... (Sono proprio astuta io... ...poiché Porcia non l’ha vista.) ...poiché Alvaro non l’ha visto.) Escono tutti e due.
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¡Si bien lo supieras! Pero al fin, de mayores daños, aqueste ha sido el menor. ¡Ah, señores encerrados, sin estorbo, salir pueden!
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Sale el príncipe y Serafina, puesta la mano en el rostro. SERAFINA
PRÍNCIPE
SERAFINA PRÍNCIPE
BELARDO
SERAFINA
En vano intentáis osaros a conocerme. Y aun vos también lo intentáis en vano, no ser de mí conocida. Advertid... Quitad la mano del rostro, que es poca nube para esconder cielo tanto. Ya sé quién sois, y ya sé que ha sido de amor milagro el traeros donde os vea; y aunque imposibles acasos lo hayan dispuesto, no quiero saberlos ni averiguarlos, porque no me estará bien el perderos al hallaros en esta casa; y así, porque me dure el engaño de la duda, elijo el medio de estar creyendo y dudando. (Solo esto faltaba ahora; que estuviese enamorado el amante de la hermana de la dama del hermano.) Generoso Federico de Ursino, si intento en vano, como decís, ocultarme de vos, ¡oh infelice!, en cuanto
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Se sapeste! Ad ogni modo, tra tanti guai mi è sembrato questo il minore dei mali. Ehi, signori prigionieri, la via è libera. Uscite!
Entrano il principe e Serafina, che si copre il volto con la mano. SERAFINA
PRINCIPE
SERAFINA PRINCIPE
BELARDO
SERAFINA
Signore, invano tentate di riconoscermi. E voi è inutile che cerchiate di non farvi riconoscere. Badate che... Voi toglietevi la mano dal volto: è poca nube per celare tanto cielo. Oramai so chi siete. Un miracolo d’amore vi ha portato fin qui, dove posso vedervi. Lo so. E se l’ha voluto il caso, preferisco non saperlo. Adesso che vi ho trovata in questa casa, non voglio perdervi. Quindi, affinché duri l’illusione, scelgo di dubitare credendo. (Ci mancava solo questo! L’amante della sorella adesso si è innamorato della dama del fratello.) Generoso Federico Orsini, se, come dite, tento invano di occultarmi, vuol dire, ahimè!, che mi avete
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PRÍNCIPE
SERAFINA
PRÍNCIPE BELARDO
PRÍNCIPE SERAFINA PRÍNCIPE SERAFINA PRÍNCIPE SERAFINA PRÍNCIPE
SERAFINA
al ser de vos conocida, no en cuanto al segundo caso, pues yo tan bien contra vos de dos razones me valgo: la primera es el secreto que de mi vista os encargo, y la segunda es pediros que os vais, para que llorando a mis solas, mis desdichas pueda aliviarlas en algo. Una y otra razón vuestra ya conmigo han alcanzado su pretensión. Vuestro nombre jamás saldrá de mi labio; y apartándome de vos, bien que a mi pesar me aparto, daré esta penosa ausencia en albricias de este hallazgo. Quedad con Dios, advirtiendo que me debéis más cuidados que pensáis. Reconocerlos ofrezco, si no pagarlos. Id con Dios. Guárdeos el cielo. ¿Oís? ¿Sabéis aquel adagio, los dos, «cállate y callemos»? Yo os lo ofrezco. Yo os lo encargo. (¡Qué ventura!) (¡Qué desdicha!) (¡Favor, cielos!) (¡Piedad, hados!) (Que ya, viendo a Serafina, espero vivir amando.) (Que ya, sabiendo quién soy, por puntos mi muerte aguardo.)
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PRINCIPE
SERAFINA
PRINCIPE BELARDO
PRINCIPE SERAFINA PRINCIPE SERAFINA PRINCIPE SERAFINA PRINCIPE
SERAFINA
riconosciuta. Sul resto, però, ho molto da ridire per due valide ragioni. In primo luogo, vi prego di mantenere il segreto: non sapete dove sono; poi vi scongiuro di andarvene, affinché possa alleviare le mie disgrazie col pianto. Tutte e due queste ragioni mi hanno commosso e convinto. Non pronuncerò, signora, il vostro nome e, sebbene a malincuore, vi lascio. Questa triste lontananza è il caro prezzo che pago per avervi ritrovata. Dio sia con voi! Ricordate, però, che io tuttora vi amo. Io non posso ricambiare, ma vi sono grata. Andate con Dio. Che Lui vi protegga. Sentite... Non conoscete il detto «Il silenzio è d’oro»? Lo prometto. Ve ne supplico. (Caso strano!) (Che disgrazia!) (Cielo, aiuto!) (Pietà, Fato!) (Adesso che l’ho rivista, vivrò solo per amarla.) (Adesso che sa chi sono, attendo solo la morte.)
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Vanse, y salen don Juan, con vestido pobre, y Celio. CELIO DON JUAN
CELIO
DON JUAN CELIO
¿Qué es lo que queréis? Hablar con el príncipe quisiera, para que ese cuadro viera que acabo de retocar. Pues ahora no está aquí, que a caza esta tarde fue. ¿Vendrá presto? No lo sé.
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Vase. DON JUAN
¿Qué es lo que pasa por mí, fortuna deshecha mía? Pero no lo digas, no, que aun de ti no quiero yo oírlo, porque sería conmigo estar desairada mi pena, al ver que una vida que perdonó acontecida no perdona pronunciada. ¡Válgame Dios! ¡Qué de cosas debe en el mundo de haber fáciles de suceder y de creer dificultosas! Porque, ¿quién creerá de mí, que siendo, ¡ay de mí!, quien soy en aqueste estado estoy? Mas, ¿quién no lo creerá así? Pues todos la escrupulosa condición del honor ven. ¡Mal haya el primero, amén, que hizo ley tan rigurosa! Poco del honor sabía el legislador tirano
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Escono tutti ed entrano don Giovanni, con un misero vestito, e Celio. CELIO DON GIOVANNI
CELIO
DON GIOVANNI CELIO
Cosa volete? Parlare al principe per mostrargli questo dipinto che ho appena rifinito. Ora non c’è. È uscito ed è andato a caccia. Tornerà presto? Non so. Esce.
DON GIOVANNI
Cosa mi sta succedendo, sciagurata sorte mia? Ma no, non dirlo. Non voglio sentirlo neanche da te, perché che scorno sarebbe per la mia pena vedere che una vita, uscita illesa dalle circostanze, viene uccisa dalle parole! Dio, aiuto! Quante cose ci devono essere al mondo che, facili da accadere, a credersi non lo sono! Chi crederebbe mai che io, che sono chi sono, ahimè, sia ridotto in questo stato? E chi non ci crederebbe? Ormai tutti sanno quanto sia puntiglioso l’onore. Maledetto chi inventò legge così rigorosa! Sapeva poco d’onore quel legislator spietato 867
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que puso en ajena mano mi opinión, y no en la mía. ¡Que a otro mi honor se sujete y sea, oh injusta ley traidora, la afrenta de quien la llora y no de quien la comete! ¿Mi fama ha de ser honrosa cómplice al mal y no al bien? ¡Mal haya el primero, amén, que hizo ley tan rigurosa! ¿El honor que nace mío, esclavo de otro? Eso no. ¡Y que me condene yo por el ajeno albedrío! ¿Cómo bárbaro consiente el mundo este infame rito? Donde no hay culpa, ¿hay delito, siendo otro el delincuente? De su malicia afrentosa, ¡que a mí el castigo me den! ¡Mal haya el primero, amén, que hizo ley tan rigurosa! De cuantos el mundo advierte infelices, ¡ay de mí!, ¿habrá otro más que yo?
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Sale Juanete, mal vestido. JUANETE
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Sí, pues cómplice de tu suerte, tu misma vereda sigo; luego otro hay más desdichado. Pues a este tiempo has llegado, ven discurriendo conmigo. En busca de mi enemigo, patria y hacienda dejé...
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che non mise in mano mia, ma di un altro, il mio buon nome. Legge ingiusta, traditrice! Che il mio onore sia soggetto ad altri, e che il disonore ricada su chi lo piange e non su chi lo commette! È complice il mio buon nome del male, e del bene, no? Maledetto chi inventò legge così rigorosa! L’onore, che è nato mio, è adesso schiavo di un altro? No! Devo essere dannato perché un altro l’ha deciso? Come mai il mondo, barbaro, consente sì infame rito? Senza colpa c’è delitto? Io devo essere punito per un infame misfatto quando il colpevole è un altro? Maledetto chi inventò legge così rigorosa! Ci sarà qualcuno al mondo più infelice di me? Entra Juanete, mal vestito. JUANETE
DON GIOVANNI
Sì, io, che, tuo complice, seguo la tua stessa strada: quindi, c’è qualcuno più infelice. Arrivi al momento giusto. Vieni, ragioniamo insieme. Ho lasciato patria e beni per cercare il mio nemico...
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DON JUAN
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DON JUAN
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DON JUAN
Y no hallaste rastro, porque ya le llevabas contigo. ...no hallando huella en el mar, disfrazado, solo y triste... A Nápoles te veniste. La causa fue imaginar que si aquí fue amor primero, aquí sin duda vendría. Y aquí de un día a otro día nos hallamos sin dinero. A nadie quise llegar sin honra a decir quién era. Yo, juro a Dios, lo dijera, con hambre, a todo el lugar. ¿Don Luis no es tu amigo? Sí pero, ¿a qué amigo llegara yo a fiarme, en quien no hallara un testigo contra mí? ¡Yo, a que ninguno supiera mi desdicha cara a cara, que con cuidado me hablara y con lástima me viera! No ha de saberse quién soy, pues no soy, mientras vengado no esté; y así, me he aplicado en cuanto inquiriendo voy, a que la curiosidad nombre de oficio me dé. No eres el primero que sustenta su habilidad. Y así, viendo que se hacía esta obra de pintura, como oficial, (¡qué locura!, pero honrada como mía), en ella me acomodé,
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DON GIOVANNI
JUANETE DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
E non ne hai trovato traccia, perché lo avevi con te. Ho cercato in mare invano. Poi in incognito e afflitto... ...a Napoli sei venuto. Ho pensato, immaginato, che sarebbe ritornato sul luogo del primo amore. E qui, giorno dopo giorno, ci troviamo senza soldi. Non ho voluto cercare, disonorato, nessuno. Io, affamato, l’avrei detto a tutti quanti. Lo giuro! Don Luis non ti è amico? Sì, ma di quale amico posso fidarmi, che poi non sia testimone dell’accusa? Non so cosa farei..., basta che, vedendomi, nessuno mi legga l’onta negli occhi, mi parli e guardi pietoso! E non voglio che si sappia chi sono: io non esisto, finché non sarò riuscito a vendicare l’affronto. E per questo, mentre indago, quel mio vecchio passatempo ho tramutato in mestiere. Non sarai il primo che vive delle proprie abilità. Ho saputo che qui c’era del lavoro per pittori e mi sono offerto come artigiano. Una follia, ma onorata, perché è mia! 871
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JUANETE DON JUAN
JUANETE
y, si cuya era supiera, antes de hambre me muriera. Hicieras mal, mas, ¿por qué? Porque ya una vez me vio el príncipe, y recelara el conocerme. Repara en que tanto te trocó la fortuna, que temer no tienes, y estás de modo que te has demudado en todo cuanto no es enflaquecer. Fuera de que en este estado y en este traje, señor, fuera el presumirlo error; y más de quien sin cuidado una vez sola te vio. Pero este el príncipe es.
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Sale el príncipe. DON JUAN PRÍNCIPE
DON JUAN
PRÍNCIPE
DON JUAN
Dame, gran señor, tus pies. Español, ¿qué te obligó a esperarme aquí? Creyendo el gusto que has de tener, príncipe invicto, en saber que el cuadro que estaba haciendo está acabado, he querido ser yo el que antes te lo diga. Mucho tu atención me obliga. Pero, ¿qué fábula ha sido la que acabaste primero? La de Hércules, señor; en quien pienso que el primor unió lo hermoso y lo fiero.
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JUANETE DON GIOVANNI
JUANETE
Se solo avessi saputo chi avrei servito... Sarei morto di fame, piuttosto! Hai sbagliato! E poi, perché? Perché il principe una volta mi ha già visto, e ora potrebbe riconoscermi. Figurati! La sventura ti ha cambiato talmente, che non hai nulla da temere. Sei mutato in tutto; sei dimagrito che non ti si riconosce. Poi, padrone, in questo stato e così conciato, credi davvero che chi ti ha visto di sfuggita ed una sola volta, di te si ricordi? Ma ecco il principe che arriva. Entra il principe.
DON GIOVANNI PRINCIPE
DON GIOVANNI
PRINCIPE
DON GIOVANNI
Vi riverisco, signore. Spagnolo, cosa ti ha indotto ad aspettarmi qui? Principe illustre, ho appena finito il mio quadro e sono corso a dirvelo di persona, pensando che vi sarebbe piaciuto saperlo subito. Te ne sono molto grato. E quale favola, dimmi, hai terminato per prima? Quella di Ercole, signore, dove il pennello ha saputo fondere orrore e bellezza. 873
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PRÍNCIPE
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¿Cómo? Como está la ira en su entereza pintada, al ver que se lleva hurtada el centauro a Deyanira, y con tan vivos anhelos tras él va que, juzgo yo, que nadie le vea que no diga: «este hombre tiene celos». Fuera de la tabla está, y aún estuviera más fuera si en la tabla no estuviera el centauro tras quien va. Este es el cuerpo mayor del lienzo, y en los bosquejos de las sombras y los lejos, en perspectiva menor, se ve abrasándose; y es el mote que darle quiero: «Quien tuvo celos primero, muera abrasado después». No solo en esta ocasión, que el cuadro agradezca es bien; pero el concepto también te agradece mi pasión; y pues a tiempo has llegado que, trayendo mis desvelos celos, me has hablado en celos, te he de feriar un cuidado a precio de una fineza que quiero que hagas por mí. Para servirte nací. Sabrás que de una belleza que una vez vi solamente, tan rendido llegué a estar, que no la pude olvidar con haber vivido ausente.
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E come?
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Vi si dipinge la furia allo stato puro, l’ira di Ercole che vede il centauro sequestrare Deianira. Gli si avventa contro, lo segue con foga tale che chiunque, credo, dirà: «Quest’uomo è geloso». È quasi fuori dal quadro, e ne uscirebbe del tutto, se non ci fosse il centauro da inseguire sulla tavola. È questo il corpo maggiore della tela, e sullo sfondo, in ombra, appena abbozzato, in prospettiva minore, si vede Ercole morire arso vivo con il motto: «Chi geloso prima è stato, morirà bruciato dopo». Non solo, in questo frangente, ti sono grato del quadro; ma la mia stessa passione ti ringrazia del bel motto. E sei giunto proprio a tempo: perché la mia pena porta con sé quella gelosia di cui parli. Confidarmi voglio, in cambio d’un favore che vorrei tu mi facessi. Sono nato per servirti. Sai che mi sono invaghito d’una dama, una bellezza, che ho visto una volta sola e non so dimenticarla malgrado la lontananza.
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Hoy, bien acaso, he sabido dónde retirada vive; y en tanto que Amor percibe modo en que pueda rendido solicitar sus favores, imagino que no hubiera cosa que más divirtiera mis penas y mis rigores que tener suyo un retrato. Tú, al fin, como forastero, no la conoces, y quiero fiarle de ti. Solo trato servirte con alma y vida, mas no me atrevo, señor, si es beldad tan superior, sacarla tan parecida. ¿Por qué? Porque lo intenté alguna vez, y advertí que la hermosura, ¡ay de mí!, no se pinta bien. Ya sé que es difícil de pintar si es perfecta la belleza; pero de tu gran destreza puedo el acierto fiar; y cuando por el acierto, español, no te eligiera, por el secreto lo hiciera. Que te he de servir, es cierto. Pues ven conmigo, advertido de que, si nos dan lugar, a hurto la has de pintar. Yo a la puerta prevenido a todo trance estaré
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Oggi, per caso, ho saputo dove vive ritirata; e in attesa che il mio amore trovi il modo d’ottenere uno sguardo compiacente, una cosa sola, credo, riuscirebbe ad alleviare le mie pene ed i miei affanni: possedere un suo ritratto. A te, che sei forestiero e non la conosci, affido l’incarico. Di servirti cerco con la vita e l’anima. Eppure, se è così bella, non prometto di ritrarla con uguale perfezione. Perché? Perché ci ho provato una volta, ed ho compreso che non è facile, ahimè!, dipingere la bellezza. È difficile, lo so, soprattutto una bellezza perfetta, ma apprezzo molto il tuo talento e ci credo: tu lo farai con destrezza. Poi, spagnolo, se non fosse per la maestria, ti avrei scelto perché mi preme il segreto. Mi sforzerò di servirti. Vieni, dunque, ma ricordati che dovrai ritrarla, appena puoi, ma solo di nascosto. Io resterò sulla porta, pronto per ogni evenienza.
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por lo que allí sucediere, de que he de librarte infiere. Digo, gran señor, que iré en tu palabra fiado, y después en mi valor; que aunque un humilde pintor soy, quizá por ser honrado vivo así. De ti lo creo; cree de mí que, agradecido, verás tu deseo cumplido.
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Vase. DON JUAN JUANETE DON JUAN
JUANETE
DON JUAN
No sabes tú mi deseo. Señor, ¿qué es esto? En aquella caja pequeña pondrás colores y los demás pinceles, y trae con ella unas pistolas. ¿Qué nueva aventura aquesta fue? ¿Dónde vas? Yo no lo sé donde el príncipe me lleva; ya que ultrajes de mi honra quieren que pintor me vea hasta que con sangre sea el pintor de mi deshonra.
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Vanse, y salen don Álvaro y don Luis. DON ÁLVARO
Ya, señor, que he merecido que más humano me hables, habiendo debido a Porcia hacer estas amistades
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Di quello che può succedere, non hai nulla da temere. Grande signore, mi fido della tua parola, ma anche del mio valore. Sarò pure un povero pittore, ma forse vivo così perché sono un galantuomo. Ti credo, ma tu ricorda: te ne sarò così grato da appagare ogni tuo sogno. Esce.
DON GIOVANNI JUANETE DON GIOVANNI
JUANETE
DON GIOVANNI
Tu non sai qual è il mio sogno. Padrone, che si fa? Metti in quella cassetta tutti i colori ed i pennelli, e portati dietro pure delle pistole. Che nuova avventura è questa? Dove vai, padrone? Non lo so. Dove mi conduce il principe, perché il mio onore oltraggiato vuole che resti pittore, finché non sarò, col sangue, del mio disonor, pittore.
Escono don Giovanni e Juanete ed entrano don Alvaro e don Luis. DON ALVARO
Signore, ora che mi parli più comprensivo e che, grazie a Porcia, tra noi è tornata la pace, fammi, ti prego, 879
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DON LUIS
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segundo honor te merezca. ¿Qué es lo que tienes? ¿Qué traes, que las pasiones del pecho se te ven en el semblante? Mira que, como yo soy la causa de tus pesares, me tiene desconfiado tu tristeza, viendo que haces, como en las farsas, extremos disimulados aparte. Don Álvaro, mi tristeza de causa distinta nace; no tienes la culpa tú, esto que te digo baste por ahora. Poco fías de mí. ¿Quieres no apurarme? No me obligues que te diga que don Juan Roca me trae con esta pena. ¿Don Juan? Sí. Pues dime: de él, ¿qué sabes? (Apuremos, corazón, toda la malicia al lance.) Que es desdichado por ser mi amigo. (¡Duda notable!) Pues, ¿qué es lo que ha sucedido? ¿Qué más que haberle, un infame, aleve, traidor, robado... – aquí el aliento me falte, porque no es bien que contigo ni aun conmigo me declare; mas, ya lo dije – ...a su esposa,
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una nuova cortesia. Dimmi cos’hai. Quale pena ti stringe a tal punto il cuore, che ti si legge sul viso? So di essere la causa di tanti tuoi dispiaceri, ma mi inquieta la tristezza che ti leggo in viso. Parli gesticolando da solo, come accade nelle farse. Alvaro, sono ben altre le cause del mio dolore. Tu non ne hai nessuna colpa. Per adesso, quanto ho detto può bastare. Non ti fidi di me, allora. Tu mi assilli. Non mi costringere a dirti che è per don Giovanni Roca che mi affliggo. Don Giovanni! Sì. Dimmi, si sa qualcosa? (Proviamo a chiarire, o cuore, la gravità del pericolo.) Che è sfortunato perché è mio amico. (Sono inquieto!) Perché? Cosa gli è successo? C’è di peggio, che un infame traditore gli ha rapito...? Vorrei mi mancasse il fiato! Non posso svelarti nulla, nemmeno a me dovrei dirlo, ma ormai l’ho detto: sua moglie!
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sin ser posible ayudarle yo a vengar de su enemigo? (¡Ay de mí! Todo lo sabe, pues dice que no es posible de su enemigo vengarle. No sin mucha ocasión, ¡cielos!, conmigo llegó a enojarse. Desdichas, no me matéis... Pues ya, ¡ay Dios!, que llega a hablarme hoy tan claro, bien será que yo de mano le gane y cuente todo el suceso tratando de disculparme.) Señor, si... Nada me digas, que es en vano consolarme. Ya sé que querrás decirme que es necia fineza darme por entendido en desdicha en que no puedo ampararle, pues de él ni de su enemigo ni de su esposa se sabe desde el día que robada faltó. (Mejorose el lance. Alentemos, corazón, que ya es el recelo en balde.) ¡Qué desdicha! Si supiera yo del agresor cobarde, de su afrenta, le buscara, ¡vive Dios!, para matarle solo en fe de ser tu amigo. ¡Oh, cuánto estimo escucharte! Pues señor, si tú no puedes, como dices, ayudarle, divierte tu pena.
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DON LUIS
DON ALVARO
DON LUIS DON ALVARO
Ed io non posso aiutarlo ad affrontare il nemico. (Sventurato me. Sa tutto! Dice che non può aiutarlo ad affrontare il nemico. Capisco ora la sua collera! Sventure, non uccidetemi. Se mi parla con chiarezza, devo batterlo sul tempo, raccontargli tutto quanto e provare a discolparmi.) Signore, se... Non parlare, ché è inutile confortarmi. So già che cosa vuoi dirmi: che è da sciocchi tormentarsi per la sua disgrazia, dato che non posso dargli aiuto, perché non si sa più nulla né di lui né di sua moglie, dal giorno in cui è sparita, né del suo nemico. (Bene! Fatti forza, cuore mio, non spaventarti per nulla!) Che disgrazia! Se sapessi qualcosa di quel vigliacco che l’ha offeso, andrei a cercarlo per ucciderlo. E soltanto perché tu gli sei amico. Quanto mi è grato ascoltarti! Ma, signore, se non puoi, come tu dici, aiutarlo, almeno allevia la pena.
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DON ÁLVARO
Mal se divierten penas tales; pero, con todo, porque no presumas que me falte lugar para tu consejo, al monte saldré esta tarde ya que todos estos días de este gusto me privaste. Manda poner la carroza, que quiero, ya que las paces hicimos, dar por allá la vuelta. Yo, pues, delante iré, para que Belardo de casa, señor, no falte. (No es sino por prevenir que Serafina se guarde.)
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Vase. DON LUIS
Paréceme bien. Sale Julia.
JULIA
DON LUIS
Aquí don Pedro, señor, el padre de Serafina, te busca. Pues dile que entre, no aguarde.
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[Vase Julia.] Sin duda, el mismo cuidado que tengo es el que le trae.
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DON ALVARO
Non si mitigano tali pene! A ogni modo, Alvaro, non disprezzo il tuo consiglio, che, di fatto, seguirò. Questa sera andrò nel bosco. È un piacere, sai, del quale mi hai privato in questi giorni. Fa’ attaccare la carrozza: già che abbiamo fatto pace, voglio andare a fare un giro da quelle parti. Io, invece, ti precedo. Voglio essere certo che ci sia Belardo. (In realtà, devo avvisare Serafina di restare nascosta.) Esce.
DON LUIS
D’accordo. Va’. Entra Julia.
JULIA
DON LUIS
Padrone, c’è qui don Pedro, il padre di Serafina, che desidera vederti. Digli di entrare. Su, presto! [Julia esce.] La stessa pena che io sento lo porta qui, di sicuro.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III
Sale don Pedro. DON PEDRO
DON LUIS
DON PEDRO
DON LUIS
DON PEDRO DON LUIS
DON PEDRO
Señor don Luis, vuestros brazos me dad. ¿Ventura tan grande, señor don Pedro, merecen retiradas soledades? Un cuidado me ha traído: yo, señor don Luis... (¡Pesares, pues me afligís atrevidos, no me consoléis cobardes!) ...traigo una pena estos días que de los olvidos nace de mi hija y de don Juan, pues no me escriben; y nadie a quien yo escribo responde a propósito. Pues sabe el mundo que la amistad vuestra ejemplo es de amistades; merced me haced de decirme qué sabéis de él. (¡Duda grave! Pues decirlo y no decirlo es a su honor importante. Mas menor inconveniente es que lo dude y lo calle; que en materias del honor hablar sin pensado examen es muy difícil, aunque a muchos parece fácil.) ¿Qué me respondéis? Que ya no extraño que a mí me falten cartas, faltándoos a vos. Pues paso más adelante, pero dándome palabra
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO
Entra don Pedro. DON PEDRO DON LUIS
DON PEDRO
DON LUIS
DON PEDRO DON LUIS
DON PEDRO
Abbracciatemi, signore. Don Pedro, tale fortuna merito nel mio ritiro? Da voi mi spinge un pensiero. Mio caro signore... (Pene mie, che audaci mi assalite, non consolatemi, vili.) Sono in pensiero da giorni, dacché non ho più notizie di don Giovanni e mia figlia: non mi scrivono e nessuno mi risponde con chiarezza. In nome dell’amicizia, di cui siete esempio al mondo, ditemi, di grazia, cosa ne sapete. (Che imbarazzo! Glielo dico oppure taccio? In ogni caso è il suo onore in gioco; ma è meglio, stando zitto, lasciarlo nel dubbio, perché nei casi d’onore, è difficile parlare senza aver ben riflettuto, pur se può sembrare facile.) Che cosa mi rispondete? Che non mi sorprendo più di non ricevere lettere, se pure voi non ne avete. Vi dirò dell’altro allora, però datemi la vostra
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III
DON LUIS DON PEDRO
de que lo que os diga a nadie lo diréis. Sí doy. Pues yo... Sale Porcia.
PORCIA
DON PEDRO
PORCIA
DON LUIS
DON PEDRO
[A Porcia] PORCIA DON LUIS
[A Porcia]
Si vas al monte esta tarde, señor... Mas, ¿quién está aquí? Quien a vuestras plantas yace tendido siempre. Los brazos, señor, esta deuda paguen. Perdona, Porcia, que yo los cumplimientos ataje. Señor don Pedro, venid conmigo; y puesto que parte el camino de la corte el monte, que os acompañe hasta él es justo. [A don Pedro] (Hablaremos sin estas dificultades.) Obedeceros me toca. Quedad con Dios. Él os guarde. Ven tú en la carroza, pues ya va tu hermano delante.
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Vanse [don Luis y don Pedro]. PORCIA
Con más gusto fuera sola, si fuera a ver a mi amante. Vase, y sale el príncipe y don Juan, Juanete y Belardo.
PRÍNCIPE
Aquesto has de hacer por mí; y en prendas de que premiarte sabré, este diamante toma.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO
DON LUIS DON PEDRO
parola di non ripeterlo a nessuno. Lo prometto. Ebbene, io... Entra Porcia.
Se vai nel bosco, signore... Ma chi è con te? DON PEDRO Chi si inchina ai vostri piedi, sempre devoto. PORCIA Un abbraccio paghi tanta cortesia. DON LUIS Scusa, Porcia, se interrompo questi vostri convenevoli. Signor don Pedro, venite con me; visto che la strada che porta alla corte passa per il bosco, vi accompagno fin là. [A don Pedro] (Così parleremo senza incomodi e da soli.) DON PEDRO Devo obbedirvi. Che Iddio [A Porcia] vi guardi. PORCIA Che Dio vi aiuti. DON LUIS [A Porcia] Usa pure la carrozza: tuo fratello ci precede. PORCIA
Escono [don Luis e don Pedro.] PORCIA
Ci andrei volentieri sola, se mi aspettasse il mio amante.
Esce Porcia ed entrano il principe, don Giovanni, Juanete e Belardo. PRINCIPE
È questo che devi fare ed ecco un diamante, in pegno del compenso che avrai dopo. 889
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III BELARDO
DON JUAN
PRÍNCIPE
DON JUAN PRÍNCIPE
DON JUAN
Poco entiendo de diamantes, que no valen si se venden lo que si se compran valen. Pero volvamos al caso: mayores dificultades venceré por ti. [A don Juan] Venid conmigo vos, que yo en parte os pondré que podáis verla, sin ser sentido de nadie. Guiad vos, que obedecer me toca, no hacer examen. Piensa, español, que por mí aquestas finezas haces. Servirte, señor, deseo. Ningún temor te acobarde, que yo quedo aquí. ¿Temor? Mal, señor, mi valor, sabes; que no acobardan peligros a quien no matan pesares.
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Vase. BELARDO
Adiós; y para otra vez doblones y no diamantes.
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Vase. JUANETE
PRÍNCIPE JUANETE
¿De qué se queja el vejete? Pues que yo he callado, calle. ¿Qué tienes tú que decir? Un cuento lo diga antes, si no es que llega primero alguno que me le ataje: «A cuatro o cinco chiquillos daba de comer su padre cada día, y como eran
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DON GIOVANNI
PRINCIPE
DON GIOVANNI PRINCIPE
DON GIOVANNI
Non mi intendo di diamanti: so che a venderli non rendono quel che valgono a comprarli. Per te farò grandi cose, signore. [A don Giovanni] Voi, accompagnatemi. così vi porto in un posto da cui potrete vederla senza che nessuno sappia. Fatemi strada. A me tocca obbedire e non parlare. Pensa, spagnolo, che un grande favore mi stai facendo. Servirti è il mio desiderio. E non avere paura, perché resto qui. Paura? Signore, non mi conosci; chi dal dolore non muore sprezza del tutto il pericolo. Esce.
BELARDO
Addio; però, un’altra volta, bei dobloni e non diamanti. Esce.
JUANETE
PRINCIPE JUANETE
Di che si lagna, il vecchietto? Se io sto zitto, resti zitto. E tu, che cos’hai da dire? Una storiella. E la devo dire prima che qualcuno arrivi per interromperla. «A quattro o cinque bambini dava da mangiare il padre ogni giorno, e poiché erano
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tantas porciones iguales, un día se olvidó de uno. Él, por no pedir, que es grave desacato de los niños, estábase muerto de hambre. Un gato maullaba entonces; y dijo el chiquillo: “¡Zape! ¿De qué me pides los huesos si aun no me han dado la carne?”». A este propósito dije al viejo no me maullase al oído, pues hasta ahora aún no me han dado qué darle. Ya te he entendido, y aquesta cadena el descuido salve. Y a ti te salve y regine, deseslabonada a partes, la cadena del demonio en la vida perdurable; aunque solo oír el cuento para mí es paga bastante.
PRÍNCIPE
JUANETE
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Vanse los dos, y salen por otra puerta don Juan y Belardo. DON JUAN
BELARDO
Quitémonos de la puerta, y esperemos a esta parte retirados. De esta cuadra al jardín la reja sale donde ella suele venir a divertirse las tardes; entrad dentro y no hagáis ruido.
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Abre una puerta, entra don Juan por ella, y Belardo cierra con llave, y él se asoma a una reja. DON JUAN
No haré... mas, ¿qué es lo que haces?
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tutte uguali le porzioni, un giorno si scordò d’uno. E quello lì, per non chiedere, impertinenza dei bimbi, stava lì morto di fame. A un gatto che miagolava disse il ragazzino: “Sciò! Non stare a chiedere gli ossi, ché non mi han dato la carne”». Per questo ho detto al vecchietto di non stare a miagolarmi nelle orecchie, perché nulla mi han dato ancora da dargli. Ho capito. Una catena rimedi all’errore. Eccola. E a te ti salvi e regini, tutta rotta e spezzettata la catena del demonio vita natural durante; anche se mi hai già pagato ascoltando la mia storia.
PRINCIPE
JUANETE
Escono tutti e due ed entrano da un’altra porta don Giovanni e Belardo. DON GIOVANNI
BELARDO
Togliamoci dalla porta e andiamo a aspettare qua in disparte. La finestra di quella stanza si affaccia sul giardino. Normalmente lì si svaga il pomeriggio. Entrate, ma fate piano.
Belardo apre una porta e ci entra don Giovanni; Belardo lo chiude a chiave e lui si affaccia alla finestra. DON GIOVANNI
Sì... ma cosa stai facendo? 893
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III BELARDO
DON JUAN
BELARDO DON JUAN BELARDO
DON JUAN
Por más seguridad, echo por acá fuera la llave. No, no cierres. ¿No es mejor que yo tenga a todo trance la puerta abierta? No es. Advierte... Calla, no hables, que es la que viene hacia aquí. Pues ya es tiempo de que saque la lámina y los matices.
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Sale Serafina. SERAFINA
DON JUAN
BELARDO
SERAFINA
BELARDO SERAFINA
¡Oh cuántas veces, pesares, os saco a campaña a solas, sin que en tan duro combate, por vuestra parte o la mía, la vitoria se declare! (Aún no puedo verla el rostro, que está el villano delante.) ¿Pues todo ha de ser, señora, llorar? No, amigo, te espantes, si ya no es de ver que el llanto no haga la pena suave. Advierte... Nada me digas, y si quieres consolarme sea con dejarme sola; que quiero a la sombra que hacen estos emparrados, ver – tal el desvelo me trae – si con el sueño firmar puedo treguas si no paces.
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Siéntase de espaldas a la reja. 894
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO BELARDO
DON GIOVANNI
BELARDO DON GIOVANNI BELARDO
DON GIOVANNI
Per sicurezza, da fuori ho dato un giro di chiave. No, non chiudere, che è meglio lasciare la porta aperta. Non ti pare? Niente affatto. Senti... Zitto, non parlare. Sta venendo. È quella là. Non mi resta che tirare fuori la tela e i colori. Entra Serafina.
SERAFINA
DON GIOVANNI
BELARDO
SERAFINA
BELARDO SERAFINA
Quante volte, dispiaceri, vi ho combattuto da sola, senza che nessuna parte abbia vinto un tale scontro! (Non riesco a vederle il volto; c’è il villano lì davanti.) Mia signora, altro non fate che piangere. Non stupirti, amico mio. Meravigliati semmai che nemmeno il pianto dà sollievo alle mie pene. Ma ascolta... Non dirmi nulla e se davvero vuoi darmi conforto, lasciami sola. Voglio vedere se all’ombra di questa pergola, dove mi conduce l’apprensione, posso trattare col sonno se non la pace, una tregua. Si siede di spalle alla finestra. 895
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BELARDO
SERAFINA
(De espaldas se ha puesto; no es posible que la retrate.) Pues no te sientes así, mejor será hacia esta parte, porque de esas rejas corre más templadamente el aire. Dices bien. ¡Oh sueño, ven a dar alivio a mis males!
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Vuélvese de cara a la reja y quédase dormida. BELARDO
(¡Ce! ¡La dama es esta!)
[A don Juan] Ya
DON JUAN
aplico el pincel al naipe. Vase Belardo, dejándola descubierta, y don Juan, al verla, se suspende. Mas, ¡ay de mí!, que su sueño es de dos muertes imagen. ¿Qué miro? ¡Valedme, cielos, que quiere hacer el dolor que el retrato que el amor erró, le acierten los celos! Todo horrores, todo hielos soy, sin ser ni luz ni trato; que de mi valor ingrato mudarme el arte procura, pues ha hecho una escultura viniendo a hacer un retrato. Tan fuera de mí he quedado, sin aliento y sin acción, que pienso que el corazón a otro pecho se ha mudado, si ya no es que me ha dejado
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(Si è messa di spalle, in modo che è impossibile ritrarla!) Non ti sedere così, è meglio da questa parte, perché dal cancello spira un leggero venticello. Hai ragione. O sonno, vieni a dar sollievo ai miei mali!
DON GIOVANNI
BELARDO
SERAFINA
Si gira verso la finestra e si addormenta. (Ehi! La dama è questa.)
BELARDO
[A don Giovanni] DON GIOVANNI
Sono già pronto con il pennello. Belardo esce, facendola così vedere; don Giovanni, quando la vede, resta allibito. Oddio! Ahimè, questo sonno è immagine di due morti! Che vedo? Aiutami, cielo, perché il dolore pretende che il ritratto che l’amore errò, riesca a farlo adesso la gelosia. Per l’orrore sono un gelo, senza vita, senza luce e movimento. L’arte cerca di cambiare l’ingrato talento mio: venuto per un ritratto, ho creato una scultura. Sono fuori di me, senza respiro, paralizzato, tanto che il mio cuore deve essere in un altro petto; a meno che non sia andato 897
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por irla a reconocer dudando que puede ser que sin ver, hablar ni oír, se haya atrevido a dormir quien se ha atrevido a ofender. ¿Cómo en tan dura batalla tengo, a pesar de mi estrella, valor para conocella y temor para matalla? Mas, si encerrado me halla el lance, ¿qué he de intentar? ¡Que haya sabido el pesar hacer que esté preso yo donde pueda verle y no donde le pueda vengar! Venganza ha de ser segura la que ha de hacer el honor, que es la sobra de valor tal vez falta de cordura. Fuera de que, si se apura su venganza a mi esperanza, la media parte me alcanza; pues sufrir, temer, penar, corazón hasta tomar por entero la venganza...
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Despierta asustada y levántase. SERAFINA
Don Juan, esposo, señor, aguarda, espera. ¡No manches tu noble acero en mi vida! ¡No me mates! ¡No me mates!
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a guardarla da vicino, perché non gli pare vero che abbia osato, cieca, muta e sorda, prendere sonno chi ha osato offendere tanto. Che dura battaglia è questa! Vado contro il mio destino, se ho valore a riconoscerla e ad ucciderla ho timore? Ma che cosa posso fare se sono qua chiuso a chiave? La mia sventura è riuscita a imprigionarmi qua dentro dove, sì, posso vederla, ma non posso vendicarmi! Una vendetta sicura vuole l’onore, e così deve essere; troppo ardire significa qualche volta poca prudenza. Oltre al fatto che, se mi vendico adesso su di lei, perderei l’altro: sarebbe metà vendetta. Dunque, cuore mio, sopporta la pena; soffri, finché potrai avere per intero la vendetta. Serafina si sveglia spaventata e si alza. SERAFINA
Don Giovanni, sposo mio, fermati, aspetta; non macchiare col mio sangue questa tua nobile spada. Non uccidermi! Non farlo!
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Sale don Álvaro. DON ÁLVARO SERAFINA
DON ÁLVARO
DON JUAN
DON ÁLVARO
DON JUAN
¿Qué es esto, mi bien? Haber visto entre sueños la imagen de mi muerte. Nunca fueron tus brazos más agradables. La dicha de un desdichado siempre de un acaso nace. (¡Don Álvaro es, vive el cielo, hijo de don Luis, su amante!) Repórtate, que a decirte que viene hoy aquí mi padre me he adelantado. (¡Ya, cielos, no hay sufrimiento que baste! Cuantas razones propuse aquí para reportarme, al verla en sus brazos, todas es forzoso que me falten.) ¡Muere traidor! ¡Y contigo muera esa hermosura infame!
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Dispara una pistola a él y otra a ella; y cayendo los dos, vienen a parar, ella en los brazos de don Pedro, y él en los de don Luis, que salen al ruido, y Porcia. DON ÁLVARO
¡Ay de mí!
SERAFINA
¡Válgame el cielo! Ahora, más que me maten; que ya no estimo la vida. ¡El ruido se oyó a esta parte! ¡Entrad todos! ¿Qué ha sido esto? Llegar, infelice padre, muerta a tus brazos, porqué no tengas tú que matarme.
DON JUAN
TODOS DON LUIS DON PEDRO SERAFINA
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Entra don Alvaro. DON ALVARO SERAFINA
DON ALVARO
DON GIOVANNI
DON ALVARO
DON GIOVANNI
Cosa ti accade, mio bene? Ho sognato la mia morte. Non mi è mai stato così caro uno dei tuoi abbracci. Il bene di un infelice nasce assai spesso dal caso. (È don Alvaro il suo amante! Il figlio di don Luis, cielo!) Calmati. Sono venuto a avvertirti che oggi viene qua mio padre. (Ormai, oh cielo, non posso più sopportarlo. Tutti quei ragionamenti, fatti solo per reprimermi, ora che fra le sue braccia la vedo, vengono meno.) Muori, traditore, e muoia con te una bellezza infame!
Spara prima a lui e poi a lei. Nel cadere, finiscono l’una tra le braccia di don Pedro e l’altro tra quelle di don Luis, che entrano sconvolti dal rumore insieme a Porcia. DON ALVARO SERAFINA DON GIOVANNI
TUTTI DON LUIS DON PEDRO SERAFINA
Ahimè! Aiutami, cielo! Adesso posso morire. Non mi importa più, la vita. Da qui è venuto il rumore. Venite tutti. Che è stato? O infelice padre, cado morta fra le braccia tue, così non dovrai uccidermi.
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[Muere.] DON ÁLVARO
Yo a tus plantas, porque en ellas mi vida infeliz acabe.
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[Muere.] DON PEDRO DON LUIS PORCIA
¿Serafina? ¿Álvaro? ¡Cielos! ¿Quién vio tragedia tan grande? Sale el príncipe y Juanete.
Sin duda le han descubierto. PRÍNCIPE Al que pretenda injuriarle le quitaré yo mil vidas, puesto que está en esta parte en mi confianza. Pero, ¿qué espectáculo notable es aqueste? DON JUAN [Desde la reja.] Un cuadro es que ha dibujado con sangre el pintor de su deshonra. Don Juan Roca soy. Matadme todos, pues todos tenéis vuestras injurias delante. Tú, don Pedro, pues te vuelvo triste y sangriento cadáver una beldad que me diste; tú, don Luis, pues muerto yace tu hijo a mis manos; y tú, príncipe, pues me mandaste hacer un retrato que pinté con su rojo esmalte. ¿Qué esperáis? Matadme todos. JUANETE
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO
[Muore.] DON ALVARO
Io, padre, cado ai tuoi piedi, dove ha fine la mia vita. [Muore.]
DON PEDRO DON LUIS PORCIA
Serafina! Alvaro! Cielo! Che incredibile tragedia! Entrano il principe e Juanete.
JUANETE PRINCIPE
DON GIOVANNI
[Dalla finestra]
L’hanno scoperto. È sicuro. A chi osa fargli del male mille volte toglierò la vita, perché è per ordine mio che si trova qui, ma... ...che spettacolo è mai questo? Un dipinto che, col sangue, ha realizzato il pittore del suo disonore. Sono don Giovanni Roca. Tutti quanti uccidetemi pure, perché ho offeso tutti voi: tu, don Pedro, ché ti rendo cadavere insanguinato la bellezza che mi hai dato; tu, don Luis, perché ho ammazzato con le mie mani tuo figlio; tu, principe, ché mi hai chiesto un ritratto e l’hai avuto dipinto di rosso smalto. Che cosa aspettate? Datemi morte.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL PINTOR DE SU DESHONRA, JORNADA III
Ninguno intente injuriarle, que empeñado en defenderle estoy. Esas puertas abre.
PRÍNCIPE
[A Belardo]
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Abre la puerta que cerró Belardo, y sale don Juan. [A don Juan] DON PEDRO
DON LUIS
DON JUAN
PRÍNCIPE
PORCIA JUANETE
Ponte en un caballo ahora y escapa bebiendo el aire. ¿De quién ha de huir? Que a mí, aunque mi sangre derrame, más que ofendido, obligado me deja, y he de ampararle. Lo mismo digo yo, puesto que aunque a mi hijo me mate, quien venga su honor, no ofende. Yo estimo valor tan grande; mas, por no irritar la ira, me quitaré de delante. Honrados proceden todos; y para que en mí no falte también otra ilustre acción, la mano a Porcia he de darle de esposo. Dichosa he sido. Porque en boda y muerte acabe El pintor de su deshonra. Perdonad yerros tan grandes.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL PITTORE DEL PROPRIO DISONORE, ATTO TERZO PRINCIPE
[A Belardo]
Nessuno osi fargli del male. Sono impegnato a difenderlo io stesso. Aprigli la porta.
Belardo apre la porta che aveva chiuso ed entra in scena don Giovanni. [A don Giovanni]
DON PEDRO
DON LUIS
DON GIOVANNI
PRINCIPE
PORCIA JUANETE
Monta a cavallo, adesso, e scappa via veloce come il vento. Da chi deve fuggire? Io, anche se ha sparso il mio sangue, più che offeso, sono grato, e quindi devo proteggerlo. Anch’io lo dico. Mi ha ucciso il figlio, ma non offende chi vendica il proprio onore. Tanta nobiltà apprezzo, ma mi toglierò di torno per non provocarvi ancora. Procedono tutti quanti come uomini d’onore, e per non esser da meno, chiedo la mano di Porcia. Sono davvero felice. Tra nozze e morti finisce così Il pittore del proprio disonore. Perdonate degli errori così grandi.
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El alcalde de Zalamea Il giudice di Zalamea Testo spagnolo a cura di GIOVANNI CARAVAGGI Nota introduttiva, traduzione e note di GIOVANNI CARAVAGGI
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Nota introduttiva
El alcalde de Zalamea rappresenta una delle opere più famose e fortunate del teatro di Calderón de la Barca, per la sapienza della costruzione scenica, l’efficacia delle soluzioni spettacolari, la perizia dell’organizzazione formale e il saldo dominio degli effetti stilistici. Protagonista di questo applaudito intreccio drammatico è un anziano agricoltore di un villaggio dell’Estremadura, Pedro Crespo, facoltoso, onesto e stimato, che non intende tollerare i soprusi di un capitano prepotente, don Álvaro de Ataide, durante la sua breve sosta in quella località al comando di una compagnia; Pedro Crespo difende con ogni energia l’onore della figlia Isabel, senza arrendersi neppure quando la sventurata gli viene rapita di notte a viva forza ed è costretta a cedere a una violenza selvaggia. Sostenuto da una dignità straordinaria e dalla collaborazione solidale dei compaesani, che lo eleggono alcalde, si trasforma allora in un giustiziere implacabile; riesce a far arrestare il malfattore, insieme ai suoi complici; in un primo momento si sforza di proporgli, con atteggiamento umile e conciliante, la transazione onorevole di un matrimonio riparatore; ma al suo rifiuto sprezzante lo condanna a morte. Il comandante dell’esercito, il famoso generale don Lope de Figueroa, al quale, secondo la normativa vigente, spetterebbe il compito d’istituire il processo ad un militare, tenta invano di ostacolare l’azione giudiziaria dell’alcalde; la sentenza viene eseguita senza indugi. L’intervento finale del re, in tutti i sensi risolutivo, evita una rappresaglia dell’esercito contro gli abitanti di Zalamea e legittima l’operato del protagonista. Dramma strutturato magistralmente, ricco di colpi di scena e di episodi lirici delicati, El alcalde de Zalamea appartiene alla maturità artistica di 909
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Calderón; fu composto intorno al 1640, epoca di una grave crisi istituzionale per il regno di Filippo IV, a causa della simultanea rivolta della Catalogna, a fatica soffocata attraverso operazioni militari duramente repressive, e del Portogallo, che in poco tempo riuscì invece a riconquistare la propria indipendenza. Vigoroso conflitto d’onore, El alcalde de Zalamea venne ad assumere pertanto anche un significato politico, poiché l’autore ne collocò lo sviluppo all’epoca di Filippo II, e più esattamente durante le vicende che avevano portato all’annessione del Portogallo. La Corona portoghese era rimasta vacante alla morte del giovane re Sebastiano nella battaglia di Alcazarquivir (4 agosto 1578), al termine di una spedizione in Marocco avventata e infausta; vari pretendenti aspiravano alla successione al trono; nel gennaio del 1580 era scomparso anche il Cardinale-Infante don Enrico, che aveva assicurato la reggenza per pochi mesi, e Filippo II tornò ad avanzare le proprie pretese, che si fondavano su un duplice legame dinastico, poiché sua madre Isabel era sorella del re portoghese Giovanni III e sua moglie, Maria Manuela, era figlia dello stesso re e sorella del re Sebastiano. Nell’aprile del 1581 le Cortes di Tomar, con il prevalere del partito ispanofilo, accolsero le sue ragioni e lo proclamarono re del Portogallo, determinando così un’annessione effimera e assai impopolare, destinata a durare circa sessant’anni, ma subito contrastata. Nell’estate del 1581 un esercito spagnolo, composto dei tercios che si erano coperti di gloria su molti campi di battaglia, come quello comandato dal generale don Lope de Figueroa, accompagnò il monarca spagnolo nel suo viaggio trionfale a Lisbona. Calderón ambienta dunque il dramma in un villaggio dell’Estremadura, Zalamea de la Serena, in provincia di Badajoz, dove le truppe in marcia fanno una tappa di pochi giorni. Prescindendo dalla cornice storica, abbastanza fittizia (fra l’altro, non è documentato quel passaggio di truppe nel territorio di Zalamea), questo dramma riflette una realtà contemporanea alquanto critica, che il poeta dovette conoscere direttamente e forse ebbe anche modo di sperimentare di persona, durante il servizio militare prestato in Catalogna, cioè i soprusi che ufficiali e soldati compivano nei confronti della popolazione civile, costretta per legge ad ospitarli durante i loro trasferimenti, nonché il conflitto di competenza fra autorità militari ed autorità comunali in materia di amministrazione della giustizia. Come dimostrano molte fonti storiche coeve (Avisos, Memoriales ecc.), era infatti scandalosa l’impunità di cui godevano le 910
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NOTA INTRODUTTIVA
truppe in occasione d’infinite malefatte; la loro indisciplina, le continue vessazioni sui civili, in conseguenza anche dell’inefficienza organizzativa e di una sostanziale mancanza di controllo, mostravano tutti i sintomi di una decadenza militare ormai inarrestabile. Retrodatare a un passato di trionfale espansione e di gloriose conquiste, ancora vivo nella memoria, un problema di scottante attualità serviva dunque a conferire una patina di autenticità storica alla vicenda, oltre che a premunirsi da possibili interventi della censura. In un quadro di accadimenti negativi si colloca il disegno in gran parte utopistico di restituire dignità e prestigio a una categoria a lungo disprezzata e derisa, quella degli agricoltori. A partire dall’espulsione dei moriscos (1609), che aveva privato di abilissimi agronomi molte regioni agricole della Penisola, i contadini cominciarono a essere considerati non più solo attraverso lo specchio deformante dell’invettiva contro i villani. In effetti, per un pesante retaggio medievale il bobo, cioè il contadinotto volgare e sciocco, era ancora oggetto di una satira letteraria implacabile, e anche sulla scena soleva rappresentare l’antitesi delle qualità cortesi. Una caricatura parodistica analoga si era sviluppata sia nei fabliaux francesi che nella novellistica italiana (basti pensare al Calandrino boccaccesco). Il bobo rivelava atteggiamenti e sentimenti rozzi e ridicoli in ogni azione o manifestazione della sua esistenza; il suo linguaggio primitivo, i suoi gusti grossolani, il suo modo di vestire e di agire, il suo stesso rituale amoroso, aggressivo e sbrigativo, lo rendevano oggetto di derisione negli ambiti raffinati della società aristocratica. Ma nel corso del Rinascimento s’insinua, con sottile venatura erasmiana, una nuova riflessione sul buon senso sostanziale del contadino, che un personaggio come Sancho Panza finirà per testimoniare. Nel frattempo aveva già riscontrato un crescente successo letterario, a partire da Garcilaso de la Vega, l’utopia dell’Arcadia felice, il mito di una serenità ritrovata nel contatto con una natura idilliaca, lontano dagli intrighi assillanti della corte. Su queste proiezioni idealistiche di modelli virgiliani e oraziani, sempre pervase comunque da una sottile malinconia, s’innesta dunque il tentativo di ricupero di valori etici perduti. Il labrador honrado diventa il prototipo di una umanità fiduciosa e onesta, timorata di Dio, in pace con la natura e con la propria coscienza; egli sa coltivare i frutti della terra e diventa una figura esemplare soprattutto perché operoso ed attivo. 911
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Fin dall’inizio del secolo XVII la rivalutazione dell’agricoltura s’impone nei progetti degli statisti e degli economisti più lungimiranti, quali furono Pedro Fernández de Navarrete, Juan de Valverde Arrieta, Martín González de Cellorigo, Sancho de Moncada, Benito de Peñalosa ed altri ancora; e il teatro, luogo privilegiato del confronto ideologico, diventa immediatamente la cassa di risonanza di quella problematica impellente. Infatti, a provocare una grave crisi annonaria era soprattutto lo spopolamento delle campagne, dovuto, oltre alle espulsioni già menzionate, anche alla concomitanza di molteplici fattori, come le incessanti leve militari, le terribili epidemie pestilenziali, le carestie, l’emigrazione massiccia dei giovani verso le colonie americane, l’inurbamento di masse di diseredati; a ciò si univa il tradizionale disprezzo della casta dominante per ogni forma di attività manuale, in quanto segno di appartenenza a caste sospette di eterodossia; occorreva dunque trovare un rimedio immediato all’insufficiente produzione dei beni di prima necessità, anche perché successive ondate inflazionistiche stavano travolgendo il sistema economico del regno. Le piccole proprietà agricole, distrutte da un sistema di tassazione sproporzionato e da una pressione fiscale insostenibile, dovevano essere ricostituite al più presto. Ma la rivalutazione sociale del labrador, che fosse naturalmente «cristiano antico», cioè di provata limpidezza di sangue (condizione ideologica imprescindibile), non poteva che passare attraverso il riconoscimento del suo onore, vale a dire della sua rispettabilità nel consorzio civile, e quindi implicava la possibilità di concedergli, insieme al diritto di proprietà, il diritto di accesso al gradino inferiore della gerarchia aristocratica, mediante l’acquisto del titolo di hidalgo e dei relativi privilegi. Era un tentativo di rimarginare le lacerazioni del tessuto sociale in un modo non troppo sconvolgente, vale a dire mediante proposte, in realtà, scarsamente trasgressive, che non intaccavano, di fatto, i privilegi dell’alta aristocrazia (i Grandes di Spagna) e non mettevano in discussione l’assolutismo del potere monarchico. Grazie a Lope de Vega, il pubblico madrileno aveva accolto con entusiasmo, a partire dal secondo decennio del secolo XVII, questa tematica innovativa dell’onore contadino, che vedeva configurarsi, come prototipo eroico, il labrador puro e schietto, idealizzato come modello di virtù morali e civili, mentre il ruolo antagonistico veniva svolto da prepotenti nobilastri, da perfidi ufficiali, e soprattutto dagli odiosi comendadores 912
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NOTA INTRODUTTIVA
degli Ordini militari di Calatrava, Alcántara e Santiago (ormai esautorati politicamente, e pertanto attaccabili senza rischi eccessivi); una famosa trilogia lopiana, Peribáñez y el Comendador de Ocaña, Fuente Ovejuna, El mejor alcalde el Rey, aveva aperto una fortunata serie teatrale orientata verso l’esaltazione di questi nuovi valori; subito dopo non era mancato il contributo significativo di Tirso de Molina (La dama del olivar, La Santa Juana), di Vélez de Guevara (García del Castañar, La luna de la sierra, Los novios de Hornachuelos) e di Agustín Moreto (El valiente justiciero y rico hombre de Alcalá). Lo sviluppo letterario di questo motivo porta all’affermazione di un protagonista che non appartiene a nessuna categoria di privilegiati e riesce a contrapporsi con successo alle prepotenze e alle illegalità di marca feudale; veniva esaltato così un nuovo eroe, umile ma tenace, in un conflitto etico e politico che comportava un rovesciamento di ruoli tradizionali. In effetti il labrador honrado stava diventando un personaggio popolare, che esprimeva l’aspirazione collettiva ad un riequilibrio sociale; e questo mito dell’età barocca, illusorio quanto utopistico, se non poté impedire l’accentuarsi della crisi del mondo rurale, consentì peraltro, grazie alla pronta disponibilità del teatro madrileno, la presa di coscienza di un problema quanto mai complesso. Ma il modello diretto di Calderón fu una commedia adespota di pochi anni anteriore, che a partire dalla fine del secolo XVIII cominciò ad essere attribuita a Lope de Vega, senza prove convincenti, e venne trasmessa fino ai nostri giorni da una stampa «sciolta», priva di data, e da due copie manoscritte; risulta inoltre che fu rappresentata a Madrid, nel maggio del 1636, dalla compagnia di Antonio de Prado. L’identità del titolo, El alcalde de Zalamea, e delle linee generali della trama rivelano che Calderón conosceva direttamente il testo pseudolopiano e intese proporne, da par suo, un rifacimento; e i numerosi suoi debiti nei confronti di quel testo abbastanza mediocre nulla tolgono all’eccellenza del ricupero calderoniano, che consegue una coerenza interna ed una solidità strutturale sconosciute alla fonte. Già il confronto della diversa caratterizzazione dei personaggi lascia trasparire l’approfondimento psicologico e l’acuta indagine introspettiva introdotti da Calderón. Pedro Crespo, il protagonista, diventa più fiero nel sostenere la propria dignità oltraggiata ed evidenzia un affetto intenso verso i figli; Calderón non cede alla facile tentazione di farne una mac913
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chietta, come avviene in molti passi dell’alcalde pseudolopiano; anche la testardaggine con cui l’eroe si contrappone all’autorità di don Lope de Figueroa rivela in ogni occasione una notevole grandezza d’animo. Le due figlie sventate e sciocche del primo alcalde, Leonor ed Inés, si riducono ad una sola, Isabel, completamente trasfigurata, che personifica la delicatezza femminile e la prudenza assennata, e diventa l’unica vittima innocente di una violenza sfrenata. Anche suo fratello Juan è un personaggio nuovo, che si contrappone al padre non solo per l’ingenuità focosa, ma soprattutto per una concezione più convenzionale dell’onore, meno intimistica e più «orizzontale», fondata sugli automatismi aberranti determinati dalle apparenze, piuttosto che su autentiche motivazioni interiori, e pertanto vincolata all’opinione altrui; padre e figlio sono indubbiamente legati da una dedizione sincera, ma nelle loro scelte esistenziali si rivela un contrasto non solo di tipo generazionale. A Isabel si affianca poi la cugina Inés, smaliziata e frivola, ma, nel momento del pericolo, solidale con la famiglia che la ospita. Inoltre i due antagonisti, i capitani don Diego e don Juan, che avevano un ruolo piuttosto scialbo e a tratti eroicomico, si riducono per ovvi motivi di simmetria al solo don Álvaro de Ataide, un capitano in cui si accentuano i tratti sgradevoli dell’arroganza orgogliosa e tronfia, dell’egoismo vanitoso e spregiudicato; sprezzante verso gli umili, non esita a mentire al suo superiore, di cui teme il rigore intransigente; considera un privilegio indiscutibile della casta a cui appartiene la soddisfazione di ogni appetito, senza pentirsi minimamente delle sue azioni malvage; a lui Calderón riserva una fine infamante. Il generale don Lope de Figueroa, unico personaggio storico, che compariva già nel testo pseudolopiano in un’accentuata rappresentazione realistica, mantiene la sua funzione di antagonista di Pedro Crespo, e tuttavia non si rilevano ora soltanto i suoi scatti di rabbiosa insofferenza, ma piuttosto le sue doti di sensibilità e rettitudine, che lo portano gradualmente a stimare l’avversario e ad apprezzarne la coerenza morale. L’opera calderoniana eccelle poi nell’invenzione di personaggi secondari, con ruoli contrappuntistici, come don Mendo e Nuño, una coppia complementare, l’hidalgo squattrinato, vanaglorioso e insulso, e il suo servo perennemente affamato, entrambi grotteschi e caricaturali; in don Mendo si configura la parodia del gentiluomo, secondo schemi letterari già collaudati, a partire almeno dal Lazarillo de Tormes; nei suoi discorsi 914
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boriosi anche gli stereotipi dell’amor cortese si degradano al livello di proclami vacui e velleitari; i suoi atteggiamenti spregevoli sono sottolineati dallo stesso Nuño, che serve il padrone ma non lo rispetta e lascia trasparire il proprio disprezzo nelle repliche insistenti sulla sua grettezza materiale e morale. Una coppia picaresca è poi costituita da Rebolledo e dalla Chispa, un soldato senza scrupoli e una vivandiera intraprendente; entrambi appartengono alla frangia marginale del mondo militare e vivono di espedienti più o meno leciti, ma nel fondo del loro cinico disprezzo per ogni tipo d’ideale conservano comunque una reciproca dedizione, collaudata dalle infinite peripezie trascorse insieme. Le loro uscite espressive, cariche di allusioni e di sottintesi volgari, talora osceni, sono sfruttate per gli effetti comici che sanno suscitare. Anche nella costruzione degli spazi e nel dominio dei movimenti scenici emerge la maestria di Calderón, che riesce a conferire al dramma una struttura saldamente unitaria, senza preoccuparsi comunque di una rigida applicazione delle regole di matrice aristotelica, a superare le quali aveva già contribuito d’altronde la prassi teatrale inaugurata da Lope de Vega. La suddivisione delle tre jornadas canoniche in scene o quadri scenici non è definita in modo sistematico, e si deve ricuperare dal contesto, in base alle allusioni dei personaggi o a indicazioni indirette. L’azione si svolge in quattro giorni, dal pomeriggio del primo alla tarda mattinata o al pomeriggio del quarto, con una scansione temporale che evidenzia un’alternanza di ritmi, freneticamente dinamici o pacatamente distesi, e inizia con l’avanzata delle truppe verso Zalamea, sul far della sera. In tutta la prima jornada si effettua questo progressivo avvicinamento dei militari alla casa di Pedro Crespo, fino all’irruzione del capitano nella stanza segreta di Isabel, e all’intervento decisivo di don Lope de Figueroa, quando ormai sta calando la prima notte. Nella seconda jornada, dalla durata più estesa, si concatenano diverse sequenze: le appassionate dichiarazioni di don Álvaro, l’organizzazione della serenata, la cena di don Lope e il suo tranquillo conversare con Pedro Crespo, la loro furibonda interruzione della serenata (quando è già calata la seconda notte), la partenza delle truppe, durante la mattinata successiva, gli intrallazzi di don Álvaro per far ritorno a Zalamea dopo il tramonto, la partenza di Juan per il servizio militare, mentre calano ormai le tenebre della terza notte, e il rapimento violento di Isabel. 915
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Nella terza jornada, che si apre sul far dell’alba con la descrizione della disperata sofferenza di Isabel, si svolgono le contrastate vicende del processo penale, che presumibilmente si possono realizzare in poche ore, fino all’arrivo del re e alla soluzione conclusiva che impone dall’alto della sua autorità. Nell’insieme è proprio la solida compattezza della trama a rendere unitario il decorso dell’azione, anche perché la notevole concentrazione degli eventi della seconda jornada tende a creare un effetto di maggior restrizione temporale. A giusto titolo El alcalde de Zalamea viene considerato uno dei drammi calderoniani più significativi, per la continua tensione espressiva che ne sostiene l’impegno ideologico e per l’abile alternanza dei registri linguistici. Nelle battute dei dialoghi, nell’incalzare delle azioni, nel ritmo calibrato degli avvenimenti si percepiscono le qualità di uno dei capolavori più autentici del teatro barocco europeo. L’autografo calderoniano dell’Alcalde de Zalamea non ci è pervenuto; per di più nessuna delle edizioni seicentesche che hanno trasmesso l’opera venne controllata direttamente o approvata da Calderón de la Barca, che pur lamentandosi in varie occasioni per le deturpazioni inflitte ai propri testi in edizioni fraudolente, non si preoccupò mai di curarne la stampa. L’editio princeps, con ogni evidenza, comparve all’insaputa dell’autore, che non viene nemmeno menzionato; infatti con il titolo El garrote más bien dado il dramma calderoniano figura adespoto nella raccolta di commedie che un intraprendente letterato, José Alfay, dedicò a don Agustín de Hierro, El mejor de los mejores libros que ha salido de comedias nuevas (Alcalá, 1651); due anni dopo José Alfay ripropose la stessa operazione editoriale, con una nuova stampa madrilena, mantenendo al dramma calderoniano lo stesso titolo, ma indicandone questa volta l’autore (Madrid, 1653). Quasi contemporaneamente El garrote más bien dado comparve anche in una raccolta di commedie distinta da quelle già menzionate e pubblicata in Portogallo, Doze comedias de las más grandiosas que hasta ahora han salido de los mejores y más insignes poetas (Lisboa, 1653). Il titolo che ricevette l’avallo dell’autore, El alcalde de Zalamea, venne citato da Calderón in una lettera al Duque de Veragua, del 24 luglio del 1680, dove include un memoriale (quasi estremo) sulla propria creazione teatrale. Subito dopo la sua morte, l’opera fu stampata, con il titolo ormai consacrato, nella Séptima parte de comedias del célebre poeta español don Pedro Calderón de la Barca (Madrid, 1683), curata da Juan de Vera 916
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Tassis y Villaroel, che si proclama il «mayor amigo» del drammaturgo scomparso, e con le più nobili intenzioni ne corregge il testo in numerose occasioni, non senza interventi arbitrari. La sua edizione, comunque, venne considerata autorevole e conobbe un grande successo anche nel secolo successivo, insieme a quella curata da Juan Fernández de Apontes (Madrid, 1763). El alcalde de Zalamea fu trasmesso anche da una ventina di sueltas «descritte», edizioni sciolte (in gran parte del sec. XVIII) derivanti dalle stampe già indicate, che testimoniano soprattutto il vasto successo del dramma; vennero stampate infatti non solo nei grandi centri dell’editoria spagnola, come Madrid, Barcellona e Siviglia, ma anche in centri di minor importanza commerciale, come Salamanca, Saragozza, Valenza, Valladolid. GIOVANNI CARAVAGGI
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EL ALCALDE DE ZALAMEA PERSONAS
ISABEL,
EL REY FELIPE SEGUNDO DON LOPE DE FIGUEROA DON ÁLVARO DE ATAYDE,
capitán
hija de Pedro Crespo INÉS, prima de Isabel DON MENDO
UN SARGENTO
NUÑO,
REBOLLEDO,
UN ESCRIBANO
soldado
criado
«CHISPA»
SOLDADOS
PEDRO CRESPO,
VILLANOS
LA
JUAN,
labrador hijo de Pedro Crespo
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IL GIUDICE DI ZALAMEA PERSONAGGI
ISABEL,
IL RE FILIPPO II DON LOPE DE FIGUEROA DON ÁLVARO DE ATAIDE,
capitano
UN SERGENTE REBOLLEDO,
soldato [vivandiera] PEDRO CRESPO, agricoltore anziano JUAN, figlio di Pedro Crespo LA CHISPA
figlia di Pedro Crespo INÉS, cugina di Isabel DON MENDO
NUÑO,
servo di don Mendo UN SEGRETARIO SOLDATI CONTADINI
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
JORNADA PRIMERA Salen Rebolledo, la Chispa y soldados. REBOLLEDO
TODOS REBOLLEDO
SOLDADO
1°
REBOLLEDO
SOLDADO
2°
REBOLLEDO
¡Cuerpo de Cristo con quien de esta suerte hace marchar de un lugar a otro lugar sin dar un refresco! ¡Amen! ¿Somos gitanos aquí, para andar de esta manera? ¿Una arrollada bandera nos ha de llevar tras sí con una caja... ¿Ya empiezas? ...que este rato que calló, nos hizo merced de no rompernos estas cabezas? No muestres de eso pesar, si ha de olvidarse, imagino, el cansancio del camino a la entrada del lugar. ¿A qué entrada, si voy muerto? Y aunque llegue vivo allá, sabe mi Dios si será para alojar; pues es cierto llegar luego al comisario los alcaldes a decir que si es que se pueden ir, que darán lo necesario. Responderles, lo primero, que es imposible, que viene la gente muerta; y, si tiene el concejo algún dinero, decir: «Señores soldados, orden hay que no paremos; luego al instante marchemos.»
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Rebolledo, la Chispa, alcuni soldati. REBOLLEDO
TUTTI REBOLLEDO
PRIMO SOLDATO REBOLLEDO
SECONDO SOLDATO
REBOLLEDO
Vada a farsi benedire chi ci spinge a camminare dall’uno all’ altro villaggio senza un rancio... E così sia. Siamo forse dei gitani per vagare in questo modo? Una bandiera ravvolta ci trascinerà così dietro a un tamburo... Incominci? ...che adesso che si è quietato pare che ci abbia graziato dal romperci le meningi. Smettila di lamentarti! Ben potrai dimenticare la stanchezza del cammino all’entrata del paese. Quale entrata? Sono morto! E anche se ci giungo vivo, lo sa Iddio se resto privo di un alloggio; sta’ pur certo che presto dal commissario gli alcaldi verranno a dire: «Se voleste proseguire, forniremo il necessario». Lui risponderà dapprima: «Non se ne parli! Ho la truppa stanca morta...»: e se la Giunta un po’ di soldi racimola, dirà: «Signori soldati: ordine di non sostare! Dunque, in marcia, camminare!». 921
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
SOLDADO
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REBOLLEDO
SOLDADO
2°
REBOLLEDO
«CHISPA»
Y nosotros, muy menguados, obedecer al instante, a orden, que es, en caso tal, para él, orden monacal, y para mí, mendicante. Pues ¡voto a Dios! que si llego esta tarde a Zalamea, y pasar de allí desea por diligencia o por ruego, que ha de ser sin mí la ida; pues no, con desembarazo, sera el primer tornillazo que habré yo dado en mi vida. Tampoco será el primero, que haya la vida costado a un miserable soldado; y más hoy, si considero, que es el cabo de esta gente don Lope de Figueroa, que, si tiene tanta loa de animoso y de valiente, la tiene también de ser el hombre más desalmado, jurador y renegado del mundo, y que sabe hacer justicia del más amigo, sin fulminar el proceso. ¿Ven ustedes todo eso?, pues yo haré lo que yo digo. ¿De eso un soldado blasona? Por mí, muy poco me inquieta; sino por esa pobreta, que viene tras la persona. Seor Rebolledo, por mí vuecé no se aflija, no; que bien se sabe que yo barbada el alma nací;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
PRIMO SOLDATO
REBOLLEDO
SECONDO SOLDATO REBOLLEDO
«CHISPA»
E noi saremo fregati e ubbidiremo all’istante a un bell’ordine, in tal caso, per lui, ordine gaudente, per me invece, mendicante. Ma, vivaddio, se mai giungo a Zalamea questa sera e lui proseguire intende con lusinga o con preghiera, senza di me se ne vada; non sarà la prima volta che in vita mia, senza impaccio, abbia osato disertare. Né sarà la prima volta che la vita abbia costato ad un misero soldato. Oggi poi, se si considera che comanda questa gente don Lope de Figueroa, uomo certo rinomato perché ardito e coraggioso, ma anche perché non c’è al mondo un essere più spietato più blasfemo ed intrattabile, che saprebbe giustiziare anche il suo più caro amico senza farlo processare. Lorsignori hanno sentito? Ma farò quello che dico! Così un soldato si vanta? Non è per me che mi inquieto, ma per questa poveretta che segue la mia ventura. Sor Rebolledo, per me non si deve tormentare; sono nata, si sa bene, con un’anima barbuta. 923
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
REBOLLEDO
SOLDADO
2°
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
SOLDADO
1°
y ese temor me deshonra, pues no vengo yo a servir menos que para sufrir trabajos con mucha honra; que para estarme, en rigor, regalada, no dejara en mi vída, cosa es clara, la casa del regidor, donde todo sobra, pues al mes mil regalos vienen; que hay regidores, que tienen menos regla con el mes; y pues a venir aquí a marchar y perecer con Rebolledo, sin ser postema, me resolví, por mí ¿en qué duda o repara? ¡Viven los cielos, que eres corona de las mujeres! Aquesa es verdad bien clara. ¡Viva la Chispa! ¡Reviva! Y más, si por divertir esta fatiga de ir cuesta abajo y cuesta arriba, con su voz el aire inquieta una jácara o canción. Responda a esa petición citada la castañeta. Y yo ayudaré también. Sentencien los camaradas todas las partes citadas. ¡Vive Dios, que has dicho bien!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
REBOLLEDO
SECONDO SOLDATO
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
PRIMO SOLDATO
Non mi onora il suo timore, dato che vengo a servire non meno che per patire affanni con molto onore; se mi avesse interessato una vita più piacevole non avrei certo lasciato la casa dell’assessore, dove tutto abbonda, e giungono mille regali ogni mese: certi assessori alle prese non si trovano con regole! Visto che mi son decisa a marciare e anche a perire con Rebolledo, senza essere un impiastro, perché dubita di me? Perché resta incerto? Viva il cielo, che ti spetta la corona di ogni donna. Che verità sacrosanta! Evviva la «Chispa»! Evviva! Specie se per alleviare la fatica dell’andare su per monti e giù per valli, la sua voce leva al vento qualche ballata o canzone. Le nacchere, convocate, rispondano all’ingiunzione. Anch’io darò il contributo! Ai compagni la sentenza, sentite le parti in causa. Vivaddio, se hai detto bene!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
Cantan Rebolledo y la «Chispa». «CHJSPA» REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
SOLDADO
1°
REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
Yo soy tiritiritaina, flor de la jacarandaina. Yo soy tiritiritina, flor de la jacarandina. Vaya a la guerra el alférez, y embárquese el capitán. Mate moros quien quisiere; que a mí no me han hecho mal. Vaya y venga la tabla al horno, y a mí no me falte pan. Huéspeda, máteme una gallina; que el carnero me hace mal. ¡Aguarda! que ya me pesa – que íbamos entretenidos en nuestros mismos oídos –, caballeros, de ver esa torre, pues es necesario, que donde paremos sea. ¿Es aquélla Zalamea? Dígalo su campanario. No sienta tanto vusté, que cese el cántico ya; mil ocasiones habrá en que lograrlo; porque esto me divierte tanto, que como de otras no ignoran, que a cada cosica lloran, yo a cada cosica canto, y oirá ucé jácaras ciento. Hagamos aquí alto, pues justo, hasta que venga, es, con la orden el sargento, por si hemos de entrar marchando o en tropas.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
Cantano Rebolledo e la «Chispa». «CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
PRIMO SOLDATO
REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
Io sono, dindirindina un fiore di canzoncina, Io sono, dindirindetta un fiore di canzonetta. Vada alla guerra il tenente e s’imbarchi il capitano. Chi lo vuole, ammazzi i Mori, che a me, non mi han fatto male. Vada e venga la pala nel forno, e a me, non mi manchi il pane. Preparami, ostessa, la pollastrina, che il caprone mi fa male. Fermatevi, mi dispiace, il passatempo è gradito, miei signori, al nostro udito, ma ecco che laggiù si scorge quella torre, certo il luogo dove potremo alloggiarci. Quella, dunque, è Zalamea? Lo attesti il suo campanile; e non si dolga vossia che abbia fine la canzone; non mancherà l’occasione di riprenderla, poiché mi diverte alla follia. Certe donne, lo sapete, per nonnulla fanno un pianto; e io per nonnulla canto e cento ballate udrà. Facciamo allora una sosta, fin quando venga il momento che ci comandi il Sergente se procedere in parata o alla rinfusa.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA SOLDADO
2°
Él solo es quien llega ahora. Mas también el capitán esperando está.
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Salen don Álvaro y el Sargento. DON ÁLVARO
REBOLLEDO TODOS DON ÁLVARO
«CHISPA»
Señores soldados, albricias puedo pedir; de aquí no hemos de salir, y hemos de estar alojados, hasta que don Lope venga con la gente, que quedó en Llerena; que hoy llegó orden de que se prevenga toda, y no salga de aquí a Guadalupe, hasta que junto todo el tercio esté, y él vendrá luego; y así del cansancio bien podrán descansar algunos días. Albricias pedir podías. ¡Vítor nuestro capitán! Ya está hecho el alojamiento. El comisario irá dando boletas, como llegando fueren. Hoy saber intento, por que dijo, ¡voto a tal!, aquella jacarandina: Huéspeda, máteme una gallina; que el carnero me hace mal.
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Vanse todos, y quedan el Capitán y el Sargento.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO SECONDO SOLDATO
È ben lui che sta arrivando; ma pure è in attesa il capitano laggiù. Capitano e detti.
DON ÁLVARO
Signori soldati, vi potete rallegrare, che ci si deve fermare. Qui rimarremo alloggiati finché non venga don Lope con le truppe che a Llerena fanno tappa; è giunto appena l’ordine dell’adunata, e che nessuno da qui per Guadalupe prosegua, e si unisca il reggimento. Lui verrà presto, e così per qualche giorno riposo troverete alla stanchezza. Ci possiamo rallegrare. Viva il nostro capitano! Gli alloggi sono disposti e a ciascuno il commissario andrà dando lo scontrino all’arrivo. Ora, perbacco!, voglio capire perché dice quella canzoncina: Preparami, ostessa, la pollastrina, che il caprone mi fa male.
REBOLLEDO TUTTI DON ÁLVARO
«CHISPA»
Si allontanano tutti, tranne il Capitano ed il Sergente.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON ÁLVARO
SARGENTO DON ÁLVARO SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO SARGENTO DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO SARGENTO
Señor sargento, ¿ha guardado las boletas para mí, que me tocan? Señor, sí. Y ¿dónde estoy alojado? En la casa de un villano, que el hombre más rico es del lugar, de quien después he oído, que es el más vano hombre del mundo, y que tiene más pompa y más presunción, que un infante de León. Bien a un villano conviene rico aquesa vanidad. Dicen, que ésta es la mejor casa del lugar, señor; y si va a decir verdad, yo la escogí para ti, no tanto porque lo sea, como porque en Zalamea no hay tan bella mujer... Di. como una hija suya. Pues por muy hermosa y muy vana ¿será más que una villana con malas manos y pies? ¿Que haya en el mundo quien diga eso? ¿Pues no, mentecato? ¿Hay más bien gastado rato – a quien amor no le obliga, sino ociosidad no más – que el de una villana, y ver, que no acierta a responder a propósito jamás?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON ÁLVARO
SERGENTE DON ÁLVARO SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO SERGENTE DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO SERGENTE
Sergente, ha già prelevato anche per me lo scontrino che mi spetta? Signorsì. E dove sono alloggiato? In casa di un contadino, che è l’uomo più facoltoso del villaggio, benché senta che pure è il più vanitoso di chiunque, poiché ostenta più boria, più presunzione di un infante del León. Ben conviene ad un villano ricco tanta vanità. Dicono sia la migliore casa del posto, signore; ma l’ho scelta, in verità, espressamente per te non tanto perché lo era quanto perché in Zalamea non c’è ragazza... Su, dimmi! ...più bella di una sua figlia. Sia pur graziosa e leggiadra, avrà sempre, da villana, mani e piedi senza grazia. Ma qualcuno osa affermare questo? Forse no, balordo? Quale mai svago migliore (se non ti sospinge amore, ma soltanto oziosa voglia) che adulare una villana incapace, a ogni proposta, di azzeccare la risposta?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO SARGENTO DON ÁLVARO
Cosa es que, en toda mi vida, ni aun de paso me agradó; porque en no mirando yo aseada y bien prendida una mujer, me parece que no es mujer para mí. Pues para mí, señor, sí, cualquiera que se me ofrece. Vamos allá; que por Dios, que me pienso entretener con ella. ¿Quieres saber cuál dice bien de los dos? El que una belleza adora, dijo, viendo a la que amó: «Aquélla es mi dama»; y no: «Aquélla es mi labradora.» Luego, si dama se llama la que se ama, claro es ya que en una villana está vendido el nombre de dama. Mas ¿qué ruido es ése? Un hombre, que de un flaco rocinante a la vuelta de esa esquina se apeó, y en rostro y talle parece aquel Don Quijote, de quien Miguel de Cervantes escribió las aventuras. ¡Que figura tan notable! Vamos, señor; que ya es hora. Lléveme el sargento antes a la posada la ropa y vuelva luego a avisarme.
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Vanse.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO SERGENTE DON ÁLVARO
Non l’ho mai voluto fare neppure per passatempo, che se non posso ammirare una donna di gran classe, elegante, non mi pare degna della mia persona. E a me, signore, al contrario va bene quella che capita. Andiamo dunque, per Dio, che penso di divertirmi con lei. Vorresti sapere chi fra noi meglio ragiona? Lo spasimante che scorge la bella che sempre adora, dirà: «quella è la mia dama», non «è la mia contadina». Perciò se dama si chiama colei che si ama, di certo si spreca in una villana l’appellativo di dama. Ma chi fa rumore? È un uomo sceso da un magro ronzino all’angolo della strada; nel volto e nella persona assomiglia al don Chisciotte di cui Miguel de Cervantes ha narrato le avventure. Che curioso personaggio. Signore, è tempo di andare. Sergente, fate portare all’alloggio il mio bagaglio; poi mi verrete a avvisare. Escono.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
Salen don Mendo, hidalgo de figura, y Nuño. DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
¿Cómo va el rucio? Rodado, pues no puede menearse. ¿Dijiste al lacayo, di, que un rato le pasease? ¡Qué lindo pienso! No hay cosa, que tanto a un bruto descanse. Aténgome a la cebada. Y que a los galgos no aten, dijiste? Ellos se holgarán, mas no el carnicero. ¡Baste! Y pues que han dado las tres, cálzome palillo y guantes. ¿Si te prenden el palillo por palillo falso? Si alguien, que no he comido un faisán, dentro de sí imaginare, que allá dentro de sí miente, aquí y en cualquiera parte lo sustentaré. ¿Mejor no sería sustentarme a mí, que al otro, que en fin te sirvo? ¡Qué necedades! En efeto ¿que han entrado soldados aquesta tarde en el pueblo? Sí, senor. Lástima da el villanaje con los huéspedes que espera.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
Entrano Mendo, caricatura del gentiluomo, e Nuño. DON MENDO
Come va il baio?
NUÑO
Di schianto! Non si regge sulle zampe. Allo stalliere, l’hai detto di portarlo a passeggiare? Ottima biada! Niente altro riposa tanto una bestia. Io parlavo dell’ avena. E che i segugi non leghino lo hai detto? Faranno festa, ma non certo il macellaio. Basta, ormai sono le tre, m’infilo guanti e stecchino. Ma se paresse stecchino fasullo? Se mai qualcuno solamente immaginasse che un fagiano a colazione non ho mangiato, che mente col pensiero, qui e dovunque sosterrò. Non era meglio che piuttosto sostenessi me, tuo servo, in fin dei conti, non un altro? Che sciocchezze! A proposito, son giunti dei soldati questa sera nel villaggio? Sì, signore. Povero contadinume, con gli ospiti che si aspetta!
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA NUÑO
DON MENDO NUÑO
DON MENDO NUÑO DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO DON MENDO
NUÑO
Más lástima da y más grande con los que no espera... ¿Quién? La hidalguez, y no te espante; que, si no alojan, señor, en cas de hidalgos a nadie, ¿por qué piensas que es? ¿Por qué? Porque no se mueran de hambre. En buen descanso esté el alma de mi buen señor y padre, pues en fin me dejó una ejecutoria tan grande, pintada de oro y azul, exención de mi linaje. ¡Tomáramos que dejara un poco del oro aparte! Aunque, si reparo en ello, y si va a decir verdades, no tengo que agradecerle de que hidalgo me engendrase; porque yo no me dejara engendrar, aunque él porfiase, sino fuera de un hidalgo, en el vientre de mi madre. Fuera de saber difícil. No fuera, sino muy fácil. ¿Cómo, señor? Tú, en efeto, filosofía no sabes, y así ignoras los principios. Sí, mi señor, y los antes y postres, desde que como contigo; y es que, al instante, mesa divina es tu mesa, sin medios, postres ni antes.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO NUÑO
DON MENDO NUÑO
DON MENDO NUÑO DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO DON MENDO
NUÑO
Poveraccio soprattutto chi non ne aspetta. Ma chi? La nobiltà! Non stupirti! Signore, se non sistemano nessuno in casa dei nobili, perché succede? Perché? Perché non muoia di fame. In pace riposi l’anima del mio illustre genitore che mi ha lasciato un diploma di nobiltà, così grande, dipinto d’oro e d’azzurro, che esonera il mio lignaggio. Meglio se un po’ di quell’oro te ne lasciava in disparte! Tuttavia, ben riflettendo, cercando di dire il vero, non gli devo gratitudine se mi ha generato nobile; anche se lui si ostinava non mi sarei mai lasciato generare da mia madre, se non fosse stato nobile. Scoprirlo sarà difficile. Al contrario, facilissimo. Come, signore? Tu proprio non sai la filosofia, e ignori quindi i princìpi. Sissignore, e gli antipasti e il dessert, da quando mangio da te. Per certo è divina la tua mensa, che non vede principio, mezzo né fine.
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Yo no digo esos principios. Has de saber, que el que nace sustancia es del alimento que antes comieron sus padres... ¿Luego tus padres comieron? Esa maña no heredaste. Esto después se convierte en su propia carne y sangre; luego, si hubiera comido el mío cebolla, al instante me hubiera dado el olor, y hubiera dicho yo: «Tate, que no me está bien hacerme de excremento semejante.» Ahora digo, que es verdad. ¿Qué? Que adélgaza la hambre los ingenios. Majadero, ¿téngola yo? No te enfades; que, si no la tienes, puedes tenerla; pues de la tarde son ya las tres, y no hay greda, que mejor las manchas saque, que tu saliva y la mía. Pues ésa ¿es causa bastante para tener hambre yo? Tengan hambre los gañanes; que no somos todos unos; que a un hidalgo no le hace falta el comer... ¡Oh, quién fuera hidalgo! Y más no me hables de esto, pues ya de Isabel vamos entrando en la calle.
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Non parlo di quei princìpi. Sappi dunque che il neonato è sostanza di alimenti assunti dai genitori. Dunque, gli avi tuoi mangiavano? Non erediti quel vizio. Gli alimenti si convertono per lui, dopo, in carne e sangue. E se mio padre si fosse mai cibato di cipolle, io subito, nauseato, lo avrei ripreso: «Attenzione! Non sta bene costituirmi con simile secrezione». Dico, allora è proprio vero. Cosa? Che la fame aguzza l’ingegno. Che zoticone! Forse ho fame? Non stizzirti. Son le tre del pomeriggio: non hai fame, ma potresti forse averla; non c’è creta che le macchie meglio tolga della tua saliva, o mia. Forse è causa sufficiente perché senta di aver fame? I cafoni abbiano fame; mica siamo tutti uguali! E non ha bisogno un nobile di mangiare... Fossi nobile magari! Lasciamo perdere, poiché stiamo per entrare nella strada di Isabel. 939
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¿Por qué, si de Isabel eres tan firme y rendido amante, a su padre no la pides? Pues con esto tú y su padre remediaréis de una vez entrambas necesidades; tu comerás, y él hará hidalgos sus nietos. No hables más, Nuño, calla. ¿Dineros tanto habían de postrarme, que a un hombre llano por fuerza había de admitir? Pues antes pensé que ser hombre llano, para suegro, era importante; pues de otros dicen que son tropezones, en que caen los yernos. Y si no has de casarte, ¿por qué haces tantos extremos de amor? ¿Pues, no hay, sin que yo me case, Huelgas en Burgos, adonde llevarla, cuando me enfade? Mira, si acaso la ves. Temo, si acierta a mirarme Pero Crespo. ¿Qué ha de hacer, siendo mi criado, nadie? Haz lo que manda tu amo. Sí haré, aunque no he de sentarme con él a la mesa. Es propio de los que sirven, refranes. Albricias, que con su prima Inés a la reja sale.
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DON MENDO
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DON MENDO
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DON MENDO
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Ma perché, se con fermezza adori tanto Isabel, a suo padre non la chiedi? In un solo colpo, entrambi potreste porre rimedio alle due vostre esigenze: tu mangeresti, ed avrebbe lui, dei nobili nipoti. Taci, Nuño! Forse tanto il denaro mi avvilisce, da accettare un personaggio così basso? Io pensavo che avere un suocero, appunto, così basso, era importante; di loro dicono, infatti, che sono inciampi, e vi cascano i generi. Ma se invece non vuoi sposarla, perché tante smancerie d’amore? Non c’è in Burgos il convento di Huelgas? Senza sposarla, ce la porto, se mi annoia. Guarda un po’ se non la vedi. Temo proprio, se mi scopre Pedro Crespo... Ma chi vuoi che minacci un mio domestico? Ubbidisci al tuo padrone! Lo farò, ma alla sua tavola non potrò sedermi. È tipico il proverbio in bocca ai servi. Allegria! Con sua cugina viene Inés alla finestra.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON MENDO
Di que por el bello oriente, coronado de diamantes, hoy, repitiéndose el sol, amanece por la tarde.
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Salen a la ventana Isabel e Inés, labradoras. INÉS
ISABEL
INÉS
ISABEL INÉS
ISABEL INÉS ISABEL DON MENDO
ISABEL
Asómate a esa ventana, prima, así el cielo te guarde; verás los soldados, que entran en el lugar. No me mandes, que a la ventana me ponga, estando ese hombre en la calle, Inés, pues ya cuánto el verle en ella me ofende, sabes. En notable tema ha dado de servirte y festejarte. No soy más dichosa yo. A mi parecer, mal haces de hacer sentimiento de esto. Pues ¿qué había de hacer? Donaire. ¿Donaire de los disgustos? Hasta aqueste mismo instante, jurara yo, a fé de hidalgo, – que es juramento inviolable – que no había amanecido; mas ¿qué mucho que lo extrañe, hasta que a vuestras auroras segundo día les sale? Ya os he dicho muchas veces, señor Mendo, cuán en balde gastáis finezas de amor, locos extremos de amante haciendo todos los días en mi casa y en mi calle.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON MENDO
Di’ piuttosto che oggi il sole, coronato di diamanti, sorge, ripetendo il corso, dal bell’oriente, di sera. Si affacciano alla finestra lsabel e Inés, contadine.
INÉS
ISABEL
INÉS
ISABEL INÉS
ISABEL INÉS ISABEL DON MENDO
ISABEL
Affacciati alla finestra, cugina, che Iddio t’aiuti. Ecco i soldati che arrivano nel villaggio. Non mi chiedere che mi affacci alla finestra finché quell’uomo è per strada. Inés, tu sai quale offesa mi reca il solo vederlo. Ha una grande frenesia di servirti e di omaggiarti. Non ne sono più felice. A mio modo di vedere sbagli, a prendertela tanto. Ma, che fare? Divertirti! Divertirmi coi fastidi? Fino a questo istante avrei giurato, in fede di nobile – ed è un sacro giuramento – che non era sorta 1’alba; ma perché mi meraviglio se dopo le vostre aurore un secondo giorno spunta? Vi ho già detto molte volte, signor Mendo, che sprecate vane finezze d’amore, ogni giorno ripetendo sciocche assurdità di amante sotto casa e per la strada. 943
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON MENDO
ISABEL
Si las mujeres hermosas supieran, cuánto las hacen más hermosas el enojo, el rigor, desdén y ultraje, en su vida gastarían más afeite, que enojarse. Hermosa estáis, por mi vida; decid, decid más pesares. Cuando no baste el decirlos, don Mendo, el hacerlos baste de aquesta manera. – Inés, éntrate allá dentro, y dale con la ventana en los ojos.
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Vase. INÉS
Señor caballero andante, que de aventurero entráis siempre en lides semejantes, porque de mantenedor no era para vos tan fácil, amor os provea.
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Inés, las hermosuras se salen con cuanto ellas quieren. – ¡Nuño! ¡Oh, qué desairados nacen todos los pobres!
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Sale Pedro Crespo, labrador. PEDRO CRESPO
(¡Qué nunca entre y salga yo en mi calle, que no vea a este hidalgote pasearse en ella muy grave!)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON MENDO
ISABEL
Se sapessero le donne belle, quanto son più belle se le provocano collera, rigidezza, sdegno e oltraggio, non avrebbero cosmetico migliore dell’arrabbiarsi. Siete bella, in fede mia. Dite, dite altre insolenze. Se non basta che le dica, basterà che le commetta in questo modo, don Mendo: ritírati, Inés, e sbattigli la finestra sulla faccia. Si allontana.
INÉS
Signor cavaliere andante, voi che entrate in queste lizze sempre come avventuriero, perché entrare da campione non vi riesce tanto facile, che l’amore vi protegga. Si allontana.
DON MENDO
NUÑO
Ogni bella, Inés, ottiene ciò che vuole. Vieni, Nuño Quanto disprezzati nascono gli umili. Entra Pedro Crespo, agricoltore.
PEDRO CRESPO
(Ma è mai possibile? Se esco in strada o rientro in casa, sempre scorgo là, impettito, questo nobilastro a spasso!)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA NUÑO DON MENDO
Pedro Crespo viene aquí. Vamos por esta otra parte, que es villano malicioso. Sale Juan, su hijo.
JUAN
NUÑO DON MENDO PEDRO CRESPO JUAN DON MENDO
PEDRO CRESPO
(¡Que siempre que venga, halle esta fantasma a mi puerta, calzado de frente y guantes!) Pero acá viene su hijo. No te turbes ni embaraces. (Mas Juanico viene aquí.) (Pero aquí viene mi padre.) Disimula. – Pedro Crespo, Dios os guarde. Dios os guarde.
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Vanse don Mendo y Nuño.
JUAN
PEDRO CRESPO
(Él ha dado en porfiar, y alguna vez he de darle de manera que le duela.) (Algún día he de enojarme.) ¿De adónde bueno, señor? De las eras; que esta tarde salí a mirar la labranza, y están las parvas notables de manojos y montones, que parecen, al mirarse desde lejos, montes de oro, y aun oro de más quilates, pues de los granos de aqueste, es todo el cielo el contraste. Allí el bieldo, hiriendo a soplos el viento en ellos suave, deja en esta parte el grano, y la paja en la otra parte;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO NUÑO DON MENDO
Sta giungendo Pedro Crespo. Vieni da quest’altra parte: è uno zotico maligno. Entra Juan, suo figlio.
JUAN
NUÑO DON MENDO PEDRO CRESPO JUAN DON MENDO
PEDRO CRESPO
(Ogni volta che ritorno, trovo, con pennacchi e guanti, quel fantoccio alla mia porta!) Ma di qua viene suo figlio! Non ti turbare o agitare! (Ma Juanico arriva qui!) (Ma mio padre sta arrivando!) Lascia andare. – Pedro Crespo, Dio vi guardi, Dio vi guardi. Escono don Mendo e Nuño.
PEDRO CRESPO
JUAN
PEDRO CRESPO
(Vuole fare lo sbruffone, ma un bel giorno gliele suono fino a quando se ne pente.) (Un giorno o l’altro m’infurio.) Da dove vieni, signore? Dai campi; nel pomeriggio diedi un’occhiata al raccolto; i covoni sono splendidi, affastellati, ammucchiati che sembrano, se li osservi da lontano, monti d’oro, e di un oro molto fino; è competenza del cielo controllare i suoi carati. Qui la trebbia, quando il vento spira con leggeri soffi, fa cader da un lato il grano, e dall’altro va la pula; 947
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
JUAN
PEDRO CRESPO JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN
PEDRO CRESPO
que aun allí lo más humilde da el lugar a lo más grave. ¡Oh, quiera Dios que en las trojes yo llegue a encerrarlo, antes que algún turbión me lo lleve o algún viento me lo tale! Tú, ¿qué has hecho? No sé cómo decirlo, sin enojarte. A la pelota he jugado dos partidos esta tarde, y entrambos los he perdido. Haces bien, si los pagaste. No los pagué; que no tuve dineros para ellos; antes vengo a pedirte, senor... Pues escucha antes de hablarme: dos cosas no has de hacer nunca, no ofrecer lo que no sabes que has de cumplir, ni jugar más de lo que está delante; porque, si por accidente falta, tu opinión no falte. El consejo es como tuyo, y por tal debo estimarle; y he de pagarle con otro: en tu vida no has de darle consejo al que ha menester dinero. ¡Bien te vengaste!
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Sale el Sargento. SARGENTO PEDRO CRESPO SARGENTO
¿Vive Pedro Crespo aquí? ¿Hay algo que usté le mande? Traer a casa la ropa de don Álvaro de Ataide,
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JUAN
PEDRO CRESPO JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN
PEDRO CRESPO
anche qui chi ha meno peso deve cedere al più forte. Voglia Iddio che nel granaio lo possa stivare prima che un turbine se lo prenda o una ventata lo sparga. Tu, che hai fatto? Non so come dirlo senza un tuo rimbrotto. Nel pomeriggio ho giocato alle bocce due partite ed entrambe le ho perdute. Poco male, se hai pagato. Non l’ho fatto; non avevo più quattrini; e per l’appunto vengo a chiederti, signore... Ascoltami, non continuare! Due cose non devi fare: promettere, se sai bene di non poter mantenere; giocare, se non disponi, perché non manchi, coi soldi, la stessa reputazione. Da te mi viene il consiglio, e perciò ne tengo conto; ma lo ripago con questo: non dovresti mai offrire consigli a chi ti domanda quattrini. La botta è resa! Entra il Sergente.
SERGENTE PEDRO CRESPO SERGENTE
Abita qui Pedro Crespo? In cosa posso servirla? Porti in camera il bagaglio di don Álvaro de Ataide, 949
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PEDRO CRESPO
SARGENTO
que es el capitán de aquesta compañía, que esta tarde se ha alojado en Zalamea. No digáis más, esto baste; que para servir al Rey, y al Rey en sus capitanes, están mi casa y mi hacienda. Y en tanto, que se le hace el aposento, dejad la ropa en aquella parte, e id a decirle que venga, cuando su merced mandare, a que se sirva de todo. Él vendrá luego al instante.
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Vase. JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN PEDRO CRESPO
¿Que quieras, siendo tu rico, vivir a estos hospedajes sujeto? Pues ¿cómo puedo excusarlos ni excusarme? Comprando una ejecutoria. Dime por tu vida, ¿hay alguien que no sepa que yo soy, si bien de limpio linaje, hombre llano? No por cierto. Pues ¿qué gano yo en comprarle una ejecutoria al Rey, si no le compro la sangre? ¿Dirán entonces que soy mejor que ahora? No, es dislate. Pues ¿qué dirán? Que soy noble por cinco o seis mil reales; y esto es dinero y no es honra; que honra no la compra nadie. ¿Quieres, aunque sea trivial,
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PEDRO CRESPO
SERGENTE
capitano della nostra compagnia, che questa sera si acquartiera in Zalamea. Non occorre altro ragguaglio. Pongo al servizio del re, e quindi dei suoi capitani, la mia casa e i miei averi. E mentre gli si prepara l’alloggio, potete mettere da quella parte il bagaglio e andate a dirgli che venga, non appena lo desidera, e in tutto resti servito. Giungerà fra pochi istanti Il Sergente si allontana.
JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN PEDRO CRESPO
Sei così ricco e vuoi vivere sottomesso alla gabella dell’alloggio? Come posso evitarlo ed esentarmi? Compra un diploma di nobile. Ma dimmi, forse qualcuno non sa che sono d’origine umile, per quanto puro di stirpe? Non penso proprio! Che cosa, dunque, guadagno se dal re compro un diploma e il sangue non so comprare? Dirà la gente che sono migliore? Tutte sciocchezze! Diranno che sono nobile per cinque o sei mila scudi. Ma non è onore, è denaro. Nessuno compra l’onore! Vuoi ascoltare un esempio 951
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JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN
un ejemplillo escucharme? Es calvo un hombre mil años, y al cabo de ellos se hace una cabellera. Éste, en opiniones vulgares, ¿deja de ser calvo? No. Pues ¿qué dicen al mirarle? «Bien puesta la cabellera trae fulano.» Pues ¿qué hace, si, aunque no le vean la calva, todos que la tiene saben? Enmendar su vejación, remediarse de su parte, y redimir las molestias del sol, del hielo y del aire. Yo no quiero honor postizo, que el defeto ha de dejarme en casa. Villanos fueron mis abuelos y mis padres; sean villanos mis hijos. Llama a tu hermana. Ella sale.
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Salen Isabel e Inés. PEDRO CRESPO
Hija, el Rey, nuestro señor, que el cielo mil años guarde, va a Lisboa, porque en ella solicita coronarse como legítimo dueño; a cuyo efeto, marciales tropas caminan con tantos aparatos militares hasta bajar a Castilla el tercio viejo de Flandes con un don Lope, que dicen todos que es español Marte.
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JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN
che forse sarà banale? Un uomo è calvo da un secolo, e poi decide di farsi una parrucca. Per caso nell’opinione del volgo non è più calvo? No certo. E che diranno al vederlo? «Quel tale la porta bene la sua parrucca»; che importa se la calvizia non vedono quanti pur sanno che esiste? Può evitare l’oppressione e da sé trarsi d’impaccio, e ripararsi da offese di gelo, vento e canicola. Non voglio onore posticcio che mi conservi il difetto sotto il tetto. Contadini ebbi gli avi e i genitori; avrò figli contadini! Chiama tua sorella. Viene. Entrano Isabel e Inés.
PEDRO CRESPO
Figlia, il re nostro signore, che il cielo salvi mille anni, va a Lisbona, dove intende ricevere la corona di legittimo sovrano; per tale scopo, marziali truppe avanzano con tanti equipaggi militari; già in Castiglia cala il vecchio reggimento delle Fiandre, sotto un don Lope, che tutti chiamano Marte spagnolo. 953
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ISABEL
PEDRO CRESPO
Hoy han de venir a casa soldados, y es importante que no te vean. Así, hija, al punto has de retirarte en esos desvanes, donde yo vivía. A suplicarte me dieses esta licencia venía yo. Sé que el estarme aquí es estar solamente a escuchar mil necedades. En ese cuarto mi prima y yo estaremos, sin que nadie, ni aun el sol mismo, no sepa de nosotras. Dios os guarde. Juanico, quédate aquí; recibe a huéspedes tales, mientras busco en el lugar algo con que regalarles.
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Vase. ISABEL INÉS
Vamos, Inés. Vamos, prima. (Mas tengo por disparate el guardar a una mujer, si ella no quiere guardarse.)
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Vanse. Salen don Álvaro y el Sargento. SARGENTO DON ÁLVARO
Ésta es, señor, la casa. Pues del cuerpo de guardia al punto pasa toda mi ropa.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL
Oggi in casa arriveranno dei soldati, ed è importante che non abbiano a vederti. Figlia, subito ritírati nella soffitta, ove un tempo io vivevo. Proprio vengo a supplicarti di darmene il permesso. Rimanere so che vuole solo dire sentire mille sciocchezze. Mia cugina ed io vivremo in quella stanza, e nessuno – neppure il sole – di noi saprà mai. Dio vi protegga. Tu, Juanico, qui rimani; ricevi gli ospiti illustri, mentre cerco nel villaggio qualche cosa in loro omaggio. Vieni, Inés. Esce.
INÉS
Vengo, cugina. (Ma ritengo senza senso sorvegliare una ragazza, se non vuole sorvegliarsi.) Escono. Entrano don Álvaro e il Sergente.
SERGENTE DON ÁLVARO
Signore, ecco la casa. Qui dal corpo di guardia il mio bagaglio farai portare.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA SARGENTO
Quiero registrar la villana lo primero.
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Vase. JUAN
DON ÁLVARO JUAN
DON ÁLVARO
JUAN
Vos seáis bien venido a aquesta casa; que ventura ha sido grande venir a ella un caballero tan noble como en vos le considero. (¡Qué galán y alentado! Envidia tengo al traje de soldado.) Vos seáis bien hallado. Perdonaréis, no estar acomodado; que mi padre quisiera que hoy un alcázar esta casa fuera. Él ha ido a buscaros qué comáis, que desea regalaros, y yo voy a que esté vuestro aposento aderezado. Agradecer intento la merced y el cuidado. Estaré siempre a vuestros pies postrado.
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Vase y sale el Sargento. DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO SARGENTO
¿Qué hay, sargento? ¿Has ya visto a la tal labradora? Vive Cristo, que con aquese intento no he dejado cocina ni aposento, y que no la he topado. Sin duda el villanchón la ha retirado. Pregunté a una criada por ella, y respondióme que ocupada su padre la tenía en ese cuarto alto, y que no había de bajar nunca acá, que es muy celoso.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO SERGENTE
Voglio passar prima in rivista la ragazza. Esce.
JUAN
DON ÁLVARO JUAN
DON ÁLVARO
JUAN
In questa casa siate il benvenuto; gran ventura è stata che vi venga alloggiato un cavaliere di tanta nobiltà come ben noto. (Che fiero ed elegante! Mi attira la divisa del soldato.) Voi siate il ben trovato. Scusate la mancanza di conforti; piacerebbe a mio padre che oggi fosse una reggia questa casa. Ora è andato a cercare provviste con cui vuole deliziarvi; io vado a controllare che sia pronto il vostro alloggio. Voglio ringraziarvi per l’attenta premura. Sarò sempre prostrato ai vostri piedi. Esce. Entra il Sergente.
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO SERGENTE
Sergente, dunque, hai già potuto scorgere la bella contadina? Vivaddio, che con tale intenzione la cucina e ogni stanza ho visitato però non l’ho trovata. Senz’altro quel villano l’ha nascosta. Ne ho chiesto a una domestica e mi ha risposto che l’ha relegata il padre in una camera del piano soprastante, e che le ha imposto di non scendere mai; è ben guardingo! 957
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON ÁLVARO
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SARGENTO
DON ÁLVARO SARGENTO DON ÁLVARO
¿Qué villano no ha sido malicioso? De mí digo que, si hoy aquí la viera, caso de ella no hiciera; y sólo porque el viejo la ha guardado, deseo, vive Dios, de entrar me ha dado donde está. Pues ¿qué haremos, para que allá, señor, con causa entremos, sin dar sospecha alguna? Sólo por tema la he de ver, y una industria he de buscar. Aunque no sea de mucho ingenio para quien la vea hoy, no importará nada; que con eso será más celebrada. Óyela pues ahora. Di ¿qué ha sido? Tú has de fingir... Mas no, pues que ha venido este soldado, que es más despejado, él fingirá mejor lo que he trazado.
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Salen Rebolledo y la «Chispa». REBOLLEDO
«CHISPA»
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«CHISPA» REBOLLEDO
(A don Álvaro) DON ÁLVARO
Con este intento vengo a hablar al capitán, por ver si tengo dicha en algo. Pues háblale de modo que le obligues; que en fin no ha de ser todo desatino y locura Préstame un poco tú de tu cordura. Poco y mucho pudiera. Mientras hablo con él, aquí me espera. Yo vengo a suplicarte... En cuanto puedo ayudaré, por Dios, a Rebolledo, porque me ha aficionado su despejo y su brío.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON ÁLVARO
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DON ÁLVARO SERGENTE DON ÁLVARO
Non c’è villano che non sia maligno. In verità, se ora qui la vedessi, non me ne curerei; ma solo perché il vecchio l’ha nascosta, vivaddio, di raggiungerla m’è nata la smania. Ma che fare? Con che motivo vi potremo entrare senza dare sospetti? La vedrò per ripicca, ed un’astuzia saprò trovare. E anche se troppo scaltra non fosse, poco importa, se in giornata la riusciamo a vedere; anzi, così verrà meglio apprezzata. Allora senti questa. Che vuoi fare? Devi far finta... Ma, vedo arrivare questo soldato, ch’è più smaliziato: meglio simulerà quanto ho ideato. Entrano Rebolledo e la «Chispa».
REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
(A don Álvaro) DON ÁLVARO
Vengo qui per parlare al capitano, e vediamo se ottengo un po’ di buona sorte. Parla in modo da propiziarlo; e tutto ormai non sia sbandamento o follia. E tu prestami un po’ del tuo buon senso. Poco e molto potrei. Mentre gli parlo, stammi ad aspettare. Io ti vengo a pregare... Ben vorrei, vivaddio, aiutare Rebolledo perché m’ha conquistato col vigore spigliato. 959
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA SARGENTO DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» REBOLLEDO DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO DON ÁLVARO
Es gran soldado. Pues ¿qué hay que se le ofrezca? Yo he perdido cuanto dinero tengo y he tenido y he de tener, porque de pobre juro, en presente, en pretérito y futuro. Hágaseme merced de que, por vía de ayudilla de costa, aqueste día el alférez me dé... Diga, ¿qué intenta? ...el juego del boliche por mi cuenta; que soy hombre cargado de obligaciones y hombre, al fin, honrado. Digo que eso es muy justo, y el alférez sabrá que éste es mi gusto. (Bien le habla el capitán. ¡Oh, si me viera llamar de todos ya la Bolichera!) Daréle ese recado. Oye, primero que lo lleves; de ti fiarme quiero para cierta invención que he imaginado, con que salir intento de un cuidado, Pues ¿qué es lo que se aguarda? Lo que tarda en saberse, es lo que tarda en hacerse. Escúchame. Yo intento subir a ese aposento por ver si en él una persona habita, que de mí hoy esconderse solicita. Pues ¿por qué no le subes? No quisiera, sin que alguna color para esto hubiera, por disculparlo más; y así, fingiendo que yo riño contigo, has de irte huyendo por ahí arriba. Yo entonces, enojado, la espada sacaré. Tú, muy turbado,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO SERGENTE DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» REBOLLEDO DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO DON ÁLVARO
È un gran soldato. Che cosa posso fare? Io ho perduto i soldi che posseggo e ho posseduto e mai possederò; miseria giuro al presente, al passato ed al futuro. Mi si faccia mercede perché a titolo d’indennità di sede, oggi il tenente mi assegni... Cosa vuoi? Dimmelo pure! ...il gioco delle bocce per appalto. Sono carico d’obblighi, uomo d’onore sono, in fin dei conti! Questo mi pare giusto e il tenente saprà fare a mio gusto. Il capitano è affabile. Magari mi chiamassero tutti la Bocciara! Gli farò l’ambasciata. Ascolta, prima di parlargli. Di te voglio fidarmi per un certo progetto che ho ideato volendo liberarmi di un assillo. E che si aspetta a esporlo? Se si tarda a conoscerlo, si tarda a realizzarlo. Ascoltami. Io voglio salire alla soffitta per vedere se trovo una persona che tenta di nascondersi al mio sguardo. Perché dunque non sali? Proprio questo non farò senza avere un buon pretesto a mia discolpa; dunque, tu, fingendo una rissa tra noi, andrai fuggendo su per le scale; allora furibondo la spada sguainerò; tu tremebondo
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REBOLLEDO
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[En alta voz]
«CHISPA» DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» REBOLLEDO DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» SARGENTO
«CHISPA» SARGENTO
«CHISPA»
has de entrarte hasta donde esta persona que busqué se esconde. Bien informado quedo. (Pues habla el capitán con Rebolledo hoy de aquella manera, desde hoy me llamarán la Bolichera.) ¡Voto a Dios que han tenido esta ayuda de costa, que he pedido, un ladrón, un gallina y un cuitado! Y ahora que la pide un hombre honrado ¡no se la dan! (Ya empieza su tronera.) Pues ¿cómo me habla a mí de esa manera? ¿No tengo de enojarme, cuando tengo razón? No, ni ha de hablarme; y agradezca que sufro aqueste exceso. Ucé es mi capitán; sólo por eso callaré. Mas ¡por Dios! que si yo hubiera la bengala en mi mano... ¿Qué me hiciera? ¡Tente, señor! (Su muerte considera.) Que me hablara mejor. ¿Qué es lo que espero, que no doy muerte a un pícaro atrevido? Huyo, por el respeto que he tenido a esa insignia. Aunque huyas, te he de matar. Ya él hizo de las suyas. ¡Tente, señor! ¡Escucha! ¡Aguarda, espera! Ya no me llamarán la Bolichera.
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REBOLLEDO
«CHISPA»
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[A gran voce]
«CHISPA» DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» REBOLLEDO DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO
«CHISPA» SERGENTE
«CHISPA» SERGENTE
«CHISPA»
entrerai nella stanza dove colei che cerco si nasconde. Ho afferrato il tuo piano. (Se a Rebolledo parla il capitano ora con tono affabile, sarò presto chiamata la Bocciara!) Per Dio, non fu negata l’indennità di sede che ho richiesto, a un ladro, ad un vigliacco, ad un tapino! E se un uomo d’onore la richiede non gliela danno! (Ecco che ha aperto il fuoco!) Come osate parlarmi in questo modo? Non dovrei arrabbiarmi quando ho ragione? No! Chiudete il becco! Ringraziate se tollero l’eccesso. Solo perché voi siete il capitano tacerò; ma, per Dio, se avessi in mano la verga del comando... Che faresti? Fermatevi, signore! (È ormai spacciato!) Mi farei rispettare. Cosa aspetto a ammazzare un birbante screanzato? Fuggo per il rispetto che io porto ai gradi. Fuggi pure! Ti ammazzerò. Ne ha fatta una di troppo. Trattieniti, signore... Ascolta... Aspetta... La Bocciara oramai non sarò detta!
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Éntrale acuchillando y salen Juan con espada, y Pedro Crespo. JUAN PEDRO CRESPO JUAN
«CHISPA»
PEDRO CRESPO
«CHISPA» JUAN
¡Acudid todos presto! ¿Qué ha sucedido aquí? ¿Qué ha sido aquesto? Que la espada ha sacado el capitán aquí para un soldado, y esa escalera arriba sube tras él. ¿Hay suerte más esquiva? Subid todos tras él. Acción fue vana esconder a mi prima y a mi hermana.
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Éntranse y salen Rebolledo huyendo, e Isabel e Inés. REBOLLEDO
ISABEL
INÉS
ISABEL
Señoras, si siempre ha sido sagrado el que es templo, hoy sea mi sagrado aquéste, pues es templo de amor. ¿Quién a huir de esa manera os obliga? ¿Qué ocasión tenéis de entrar hasta aquí? ¿Quién os sigue o busca?
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Salen don Álvaro y el Sargento. DON ÁLVARO
ISABEL
Yo; que tengo de dar la muerte al pícaro. ¡Vive Dios, si pensase...! Deteneos, siquiera porque, señor, vino a valerse de mí; que los hombres, como vos, han de amparar las mujeres,
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Il Capitano esce inseguendo Rebolledo. Entrano Juan, la spada in mano, e Pedro Crespo. «CHISPA» PEDRO CRESPO JUAN
«CHISPA»
PEDRO CRESPO
«CHISPA» JUAN
Presto, accorrete tutti! Che succede qua dentro! Che è accaduto? La spada ha sguainato il capitano qui contro un soldato; e su per quelle scale lo va inseguendo. Che sfortuna immensa! Salite tutti! È stato proprio inutile celare mia cugina e mia sorella.
Escono. Nella stanza di Isabel e Inés entra correndo Rebolledo. REBOLLEDO
ISABEL
INÉS
ISABEL
Signore, se ha offerto sempre ogni tempio protezione, oggi mi protegga questo, perché è tempio dell’amore. Chi a fuggire in questo modo vi costringe? Che ragione vi fa entrare in questo luogo? Chi vi insegue? Chi vi cerca? Entrano don Álvaro e il Sergente
DON ÁLVARO
ISABEL
Io lo inseguo! Voglio uccidere quel mascalzone. Per Dio, se s’illude... Moderatevi, se non altro, perché ha chiesto il mio favore, signore. Un uomo del vostro rango delle donne è protezione, 965
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si no por lo que ellas son, porque son mujeres; que esto basta, siendo vos quien sois. No pudiera otro sagrado librarle de mi furor, sino vuestra gran belleza; por ella, vida le doy. Pero mirad que no es bien, en tan precisa ocasión, hacer vos el homicidio, que no queréis que haga yo. Caballero, si cortes ponéis en obligación nuestras vidas, no zozobre tan presto la intercesión. Que dejéis este soldado os suplico; pero no, que cobréis de mí la deuda, a que agradecida estoy. No sólo vuestra hermosura es de rara perfección, pero vuestro entendimiento lo es también; porque hoy en vos alianza están jurando hermosura y discreción.
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Salen Pedro Crespo y Juan, las espadas desnudas. PEDRO CRESPO
ISABEL PEDRO CRESPO
¿Cómo es eso, caballero? ¿Cuando pensó mi temor hallaros matando a un hombre, os hallo... (¡Válgame Dios!) ...requebrando a una mujer? Muy noble, sin duda, sois, pues que tan presto se os pasan los enojos.
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ISABEL
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non per quello che esse valgono ma perché donne; e ciò basta, dato quello che voi siete. Non potrebbe un altro tempio salvarlo dal mio furore, se non la vostra avvenenza; perciò la vita gli dono. Ma, badate, non è bello che in questo stesso frangente commettiate l’omicidio che m’impedite di compiere! Cavaliere, che cortese le nostre vite obbligate, non lasciate naufragare di colpo l’intercessione. Vi prego di perdonare quel soldato, ma non voglio che esigiate da me un debito del quale vi sono grata. Non solo il vostro splendore è di rara perfezione, ma la vostra intelligenza lo equivale; che oggi in voi ha giurato un’alleanza bellezza con discrezione.
Entrano Pedro Crespo e Juan, con le spade in mano. PEDRO CRESPO
ISABEL PEDRO CRESPO
Che succede, cavaliere? Io temevo di trovarvi pronto ad uccidere un uomo e vi trovo... (Dio mi guardi!) ...a far la corte a una donna? Siete certo molto nobile se la rabbia cosi in fretta vi è passata. 967
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
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(Al Capitán)
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JUAN
PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO
Quien nació con obligaciones, debe acudir a ellas; y yo al respeto de esta dama, suspendí todo el furor. Isabel es hija mía, y es labradora, señor, que no dama. (¡Vive el cielo, que todo ha sido invención, para haber entrado aquí! Corrido en el alma estoy de que piensen, que me engañan, y no ha de ser.) – Bien, señor capitán, pudierais ver con más segura atención lo que mi padre desea hoy serviros, para no haberle hecho este disgusto. ¿Quién os mete en eso a vos, rapaz? ¿Qué disgusto ha habido? Si el soldado le enojó, ¿no había de ir tras él? Mi hija os estima el favor del haberle perdonado, y el de su respeto yo. Claro está, que no habrá sido otra causa, y ved mejor lo que decís. Yo lo veo muy bien. Pues ¿cómo habláis vos así? Porque estáis delante, más castigo no le doy a este rapaz.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON ÁLVARO
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(Al Capitano)
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PEDRO CRESPO DON ÁLVARO
Uno che nasce con degli obblighi, li deve rispettare; e per riguardo di questa dama, ho voluto placare ogni mio furore. Isabel è figlia mia, è contadina, signore, non è dama. (Viva il cielo, è stato tutto un pretesto per entrare in questa stanza! E mi rende furibondo che pensino d’ingannarmi. Non accadrà.) – Capitano, potevate ben notare con più cortese attenzione quanto mio padre desidera farvi onore, ed evitare di recargli un dispiacere. Cosa c’entri, tu, ragazzo? Di che dispiacere parli? Se il soldato lo ha insultato, non lo doveva inseguire? Mia figlia apprezza il favore che lo abbiate perdonato; io stimo il vostro riguardo. Ovviamente altro motivo non avevo. E voi, guardate ciò che dite! Molto bene io vi bado! Come osate? Poiché siete intervenuto, non affibbio un bel castigo al ragazzo.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA PEDRO CRESPO
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DON ÁLVARO JUAN
DON ÁLVARO JUAN
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PEDRO CRESPO
¡Detened, señor capitán! que yo puedo tratar a mi hijo como quisiere, y vos no. Y yo, sufrirlo a mi padre, mas a otra persona no. ¿Qué habíais de hacer? Perder la vida por la opinión. ¿Qué opinión tiene un villano? Aquella misma que vos; que no hubiera un capitán, si no hubiera un labrador. ¡Vive Dios, que ya es bajeza sufrirlo! Ved que yo estoy de por medio.
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Sacan las espadas. ¡Vive Cristo, Chispa, que ha de haber hurgón! Aquí del cuerpo de guardia! ¡Don Lope! ¡Ojo avizor!
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
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Sale don Lope con hábito, muy galán, y bengala. DON LOPE
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
DON LOPE
¿Qué es aquesto? La primera cosa que he de encontrar hoy, acabado de llegar, ¿ha de ser una cuestión? (¡A qué mal tiempo don Lope de Figueroa llegó!) (¡Por Dios, que se las tenía con todos el rapagón!) ¿Qué ha habido? ¿Qué ha sucedido? ¡Hablad; porqué, voto a Dios,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO PEDRO CRESPO
JUAN
DON ÁLVARO JUAN
DON ÁLVARO JUAN
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
Moderatevi, Capitano, che a mio figlio io posso dare castighi come voglio, ma voi no. Io li accetto da mio padre, ma non da un’altra persona. Che faresti? Morirei, per difendere il mio onore! Quale onore avrà un villano? Lo stesso che voi avete; non si avrebbe un capitano se mancasse il contadino. Vivaddio! Già sopportarlo è viltà. Io sono in mezzo, state attento! Sguainano le spade.
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
Viva Cristo, «Chispa», avremo una baruffa! Aiuto! Corpo di guardia! Allerta! Allerta! Don Lope!
Entra don Lope, in alta uniforme, col bastone del comando. DON LOPE
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
DON LOPE
Che succede! Appena arrivo, non mi tocca oggi ricevere alcun altro benvenuto che non sia questa contesa? (In che brutto istante è giunto don Lope de Figueroa!) (Vivaddio, teneva testa proprio a tutti il mio monello!) Cosa è stato? Che è accaduto? Su, parlate, o giuroaddio, 971
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
PEDRO CRESPO DON LOPE DON ÁLVARO
DON LOPE DON ÁLVARO
DON LOPE
REBOLLEDO
ISABEL
DON LOPE REBOLLEDO DON LOPE REBOLLEDO
que a hombres, mujeres y casa eche por un corredor! ¿No me basta haber subido hasta aquí, con el dolor de esta pierna, que los diablos llevaran, amén, sino no decirme: aquesto ha sido? Todo esto es nada, señor. Hablad, decid la verdad. Pues es que alojado estoy en esta casa; un soldado... Decid: ...ocasión me dio a que sacase con él la espada. Hasta aquí se entró huyendo. Entréme tras él donde estaban esas dos labradoras; y su padre y su hermano, o lo que son, se han disgustado de que entrase hasta aquí. Pues yo a tan buen tiempo he llegado, satisfaré a todos hoy. ¿Quién fue el soldado, decid, que a su capitán le dio ocasión de que sacase la espada? (¿Que pago yo por todos?) Aqueste fue él que huyendo hasta aquí entró. Denle dos tratos de cuerda. ¿Tra...? ¿Qué me han de dar, señor? Tratos de cuerda. Yo hombre de aquesos tratos no soy.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
PEDRO CRESPO DON LOPE DON ÁLVARO
DON LOPE DON ÁLVARO
DON LOPE
REBOLLEDO
ISABEL
DON LOPE REBOLLEDO DON LOPE REBOLLEDO
donne, uomini ed alloggio getto fuori dalla porta! Non basta che sia salito fin quassù, con questa gamba che mi duole – vada al diavolo, e così sia – ma nemmeno mi si dice: «Questo è stato»? Nulla è successo, signore. Parlate! La verità! Gli è che mi trovo alloggiato in questa casa, e un soldato... E allora? ...mi ha provocato a tirar fuori la spada contro di lui, che fuggendo fin qui è entrato, e l’ho inseguito dove stavan queste due contadine; ed ecco il padre e il fratello – o quel che sono – mi si mostrano crucciati perché qui sono salito. Dunque sono giunto in tempo, e darò soddisfazione a ciascuno. Quale è stato il soldato che ha costretto il capitano a sguainare la spada. Devo pagare per voi tutti? È stato lui a entrare qui nel fuggire. Che abbia due tratti di corda. Tra... che cosa avrò, signore? Tratti di corda! Persona non sono cosi trattabile.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA
«CHISPA»
(De esta vez me lo estropean.) (¡Ah, Rebolledo, por Dios, [A él] que nada digas! Yo haré que te libren.) REBOLLEDO [A él] (¿Cómo no lo he de decir, pues si callo, los brazos me pondrán hoy atrás, como mal soldado?) [A don Lope] El capitán me mandó que fingiese la pendencia, para tener ocasión de entrar aquí. PEDRO CRESPO Ved ahora, si hemos tenido razón. DON LOPE No tuvisteis, para haber así puesto en ocasión de perderse este lugar. ¡Hola! Echa un bando, tambor: – Que al cuerpo de guardia vayan los soldados cuantos son, y que no salga ninguno, pena de muerte, en todo hoy. – Y para que no quedéis [A don Álvaro] con aqueste empeño vos, [A Pedro Crespo] y vos con este disgusto, y satisfechos los dos, (A don Álvaro) buscad otro alojamiento; que yo en esta casa estoy desde hoy alojado, en tanto que a Guadalupe no voy, donde está el Rey. DON ÁLVARO Tus preceptos, órdenes precisas son para mí.
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[Vanse los soldados.]
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO
«CHISPA»
(Questa volta me lo storpiano.) (Ah, Rebolledo, per Dio, [A Rebolledo] non dir nulla; farò in modo che ti liberino.) REBOLLEDO [A Don Álvaro] (Come non dirlo, che oggi, se taccio mi legan dietro le braccia come fossi un malfattore?) [A don Lope] Mi ha ordinato il capitano di fingere questa zuffa per avere un’occasione di arrivare qui. PEDRO CRESPO Vedete se non abbiamo ragione! DON LOPE Niente affatto, perché avete così messo a repentaglio la salvezza del villaggio. Tamburino, emetti un bando: «che tutti quanti i soldati restino al corpo di guardia, e che non esca nessuno, pena la morte, per oggi.» E perché non rimaniate [A don Álvaro] voi con quella ostinazione, [A Pedro Crespo] voi con questo dispiacere, anzi, entrambi soddisfatti, (A don Álvaro) cercatevi un altro alloggio! In questa casa io stesso mi fermerò, fino a quando partirò per Guadalupe, dove è il re. DON ÁLVARO Le tue ingiunzioni sono espliciti comandi per me. DON ÁLVARO
[Escono il Capitano e i soldati.]
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA PEDRO CRESPO
Entraos allá dentro. [Vanse Isabel, Inés y Juan.]
[A don Lope]
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
Mil gracias, señor, os doy por la merced, que me hicisteis de excusarme una ocasión de perderme. ¿Cómo habíais, decid, de perderos vos? Dando muerte a quien pensara ni aun el agravio menor... ¿Sabéis, ¡voto a Dios!, que es capitán? Sí, ¡voto a Dios! y aunque fuera él general, en tocando a mi opinión, le matara. A quien tocara ni aun al soldado menor sólo un pelo de la ropa, por vida del cielo, yo le ahorcara, A quien se atreviera a un átomo de mi honor, por vida también del cielo, que también le ahorcara yo. ¿Sabéis, que estáis obligado a sufrir, por ser quien sois, estas cargas? Con mi hacienda, pero con mi fama, no. Al Rey la hacienda y la vida se ha de dar; pero el honor es patrimonio del alma, y el alma sólo es de Dios.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO PEDRO CRESPO
Voi, là dentro entrate. [Escono Isabel, Inés e Juan.]
[A don Lope]
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
Mille grazie a voi, signore, se per il vostro favore ho evitato un’occasione di rovinarmi. Ma come potevate rovinarvi? Uccidendo chi pensava anche l’affronto minore... Che è un capitano, per Dio! lo sapete? Sì, per Dio! Ma fosse anche un generale e offendesse il mio decoro, lo ucciderei. Chi toccasse solo un pelo della giubba dell’ultimo mio soldato, prendo a testimone il cielo, l’impiccherei. Chi offendesse un atomo del mio onore, prendo a testimone il cielo, l’impiccherei a mia volta. Sapete che il vostro stato vi costringe a sopportare questi impegni? Con gli averi, non con la reputazione! Al re gli averi e la vita si daranno; ma l’onore è patrimonio dell’anima, che appartiene solo a Dio.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA PRIMERA DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
¡Juro a Cristo, que parece que vais teniendo razón! Sí, juro a Cristo, porque siempre la he tenido yo. Yo vengo cansado, y esta pierna, que el diablo me dio, ha menester descansar. Pues ¿quién os dice que no? Ahí me dio el diablo una cama, y servirá para vos. Y ¿diola hecha el diablo? Sí. Pues a deshacerla voy, que estoy, voto a Dios, cansado. Pues descansad, voto a Dios. (Testarudo es el villano; tan bién jura como yo.) (Caprichudo es el don Lope; no haremos migas los dos.)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO PRIMO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
Ho l’impressione, per Cristo, che voi abbiate ragione! Certamente sì, per Cristo, perché sempre io l’ho avuta. Mi sono molto stancato; questa gamba del demonio ha bisogno di riposo. E chi mai ve lo rifiuta? Là c’è un letto del demonio che ben vi potrà servire. L’ha già rifatto il demonio? Sì. Vado allora a disfarlo. Mi sento stanco, per Dio! Riposatevi, per Dio! (Questo villano è testardo, quanto me riesce a imprecare.) (Questo don Lope è cocciuto, noi non ce la intenderemo.)
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
JORNADA SEGUNDA Salen don Mendo y Nuño, su criado. DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO
¿Quién os contó todo esto? Todo esto contó Ginesa, su criada. El capitán, después de aquella pendencia, que en su casa tuvo, fuese ya verdad o ya cautela, ¿ha dado en enamorar a Isabel? Y es de manera, que tan poco humo en su casa él hace, como en la nuestra nosotros. Él todo el día no se quita de su puerta. No hay hora, que no le envíe recados; con ellos entra y sale un mal soldadillo, confidente suyo. ¡Cesa! que es mucho veneno, mucho, para que el alma lo beba de una vez. Y más no habiendo en el estómago fuerzas con que resistirle. Hablemos un rato, Nuño, de veras. ¡Pluguiera a Dios fueran burlas! ¿Y qué le responde ella? Lo que a ti; porque Isabel es deidad hermosa y bella, a cuyo cielo no empañan los vapores de la tierra.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano don Mendo e Nuño. DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO
E chi te l’ha raccontato? L’ha raccontato Ginesa, la cameriera. Finito quello scontro che sostenne (vero o fittizio che fosse) all’interno della casa, s’innamorò d’Isabel il capitano? Di certo non è più di noi intento a metter legna al camino. Non si allontana un momento dalla sua porta; le manda dei messaggi senza tregua; entra ed esce per recarli un ambiguo soldatino che ha la sua fiducia. Taci! Il veleno è troppo, troppo, perché l’anima lo beva tutto insieme. Specialmente senza forze nello stomaco per resistergli. Parliamo un po’ seriamente, Nuño! Dio volesse che scherzassi! E lei, come gli risponde? Come a te, perché Isabel è una dea splendida e bella e il suo cielo non offuscano i vapori della terra. 981
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA DON MENDO
¡Buenas nuevas te dé Dios! Dale [una manotada].
NUÑO
DON MENDO
NUÑO
A ti te dé mal de muelas, que me has quebrado dos dientes. Mas bien has hecho, si intentas reformarlos por familia que no sirve ni aprovecha. ¡El capitán! ¡Vive Dios, si por el honor no fuera de Isabel, que lo matara! Más mira por tu cabeza.
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Salen don Álvaro, el Sargento y Rebolledo. DON MENDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO, REBOLLEDO DON MENDO
NUÑO
(Escucharé retirado.) Aquí, a esta parte, te llega. Este fuego, esta pasión no es amor sólo, que es tema, es ira, es rabia, es furor. ¡Oh, nunca, señor, hubieras visto a la hermosa villana, que tantas ansias te cuesta! ¿Qué te dijo la criada? ¿Ya no sabes sus respuestas? Esto ha de ser. Pues ya tiende la noche sus sombras negras, antes que se haya resuelto a lo mejor mi prudencia, ven a armarme. ¡Pues qué! ¿Tienes más armas, señor, que aquellas que están en un azulejo sobre el marco de la puerta?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO DON MENDO
Dio ti possa compensare! Sbracciandosi [colpisce Nuño in faccia].
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DON MENDO
NUÑO
E a te mandi un mal di denti, che mi hai rotto due molari. Bene hai fatto, se intendevi licenziare quei domestici non più attivi né solerti. Il capitano! Per Dio, l’ammazzerei se non fosse per l’onore di Isabel. Bada invece alla tua testa. Entrano don Álvaro, il Sergente e Rebolledo.
DON MENDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO DON MENDO
NUÑO
(Ascolterò da lontano.) Vieni da quest’altra parte. Questo ardore, questa brama non è solo amore: è smania, rabbia, collera, furore. Mai, signore, avessi visto quella bella contadina che ti costa tanti affanni! Che ti ha detto la domestica? Non sai già la sua risposta? Lo farò! Poiché la notte già distende le sue tenebre, prima che la mia prudenza si risolva per il meglio, vieni a armarmi. Ma, Signore, disponi d’armi, oltre a quelle che nello stemma figurano sul frontone della porta?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA DON MENDO
NUÑO
En mi guadarnés presumo que hay para tales empresas algo que ponerme. Vamos, sin que el capitán nos sienta. Vanse.
DON ÁLVARO
SARGENTO
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¡Que en una villana haya tan hidalga resistencia, que no me haya respondido una palabra siquiera apacible! Éstas, señor, no de los hombres se prendan como tú. Si otro villano la festejara y sirviera, hiciera más caso de él. Fuera de que son tus quejas sin tiempo. Si te has de ir mañana, ¿para qué intentas, que una mujer en un día te escuche y te favorezca? En un día el sol alumbra y falta; en un día se trueca un reino todo; en un día es edificio una peña; en un día una batalla pérdida y victoria ostenta; en un día tiene el mar tranquilidad y tormenta; en un día nace un hombre, y muere: luego pudiera en un día ver mi amor sombra y luz, como planeta; pena y dicha, como imperio; gente y brutos, como selva;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO DON MENDO
NUÑO
Nel solaio avrò, suppongo, qualche cosa che mi serva per tali imprese. Scostiamoci, che non senta il capitano. Escono.
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO
Deve oppormi una villana tanta fiera resistenza da non avermi risposto non fosse che una parola cordiale? Queste, signore, non s’innamorano d’uomini del tuo rango. Se un villano la servisse e corteggiasse, gli sarebbe più propensa. D’altra parte, i tuoi lamenti sono fuori luogo. Parti già domani, e ora pretendi che una donna in un sol giorno ti ascolti benevolmente? In un giorno il sole splende e viene meno; in un giorno un regno cambia; in un giorno è un edificio un dirupo; in un giorno una battaglia rotta genera o vittoria; in un giorno mostra il mare la bonaccia o la burrasca; in un giorno un uomo nasce e muore; quindi il mio amore in un giorno può vedere ombra e luce come un astro, pena e gioia come un regno, gente e belve come un bosco, 985
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
SARGENTO
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SARGENTO
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paz e inquietud, como mar; triunfo y ruina, como guerra; vida y muerte, como dueño de sentidos y potencias. Y habiendo tenido edad en un día su violencia de hacerme tan desdichado, ¿por qué, por qué no pudiera tener edad en un día de hacerme dichoso? ¿Es fuerza que se engendren más de espacio las glorias que las ofensas? ¿Verla una vez solamente a tanto extremo te fuerza? ¿Qué más causa había de haber, llegando a verla, que verla? De sola una vez a incendio crece una breve pavesa; de una vez sola un abismo fulgúreo volcán revienta; de una vez se enciende el rayo, que destruye cuanto encuentra; de una vez escupe horror la más reformada pieza; de una vez amor ¿qué mucho, fuego de cuatro maneras, mina, incendio, pieza y rayo, postre, abrase, asombre y hiera? ¿No decías, que villanas nunca tenían belleza? Y aun aquesa confianza me mató; porque el que piensa que va a un peligro, ya va prevenido a la defensa; quien va a una seguridad, es el que más riesgo lleva, por la novedad que halla,
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SERGENTE
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quiete e furia come un mare, gloria e lutti come guerra, vita e morte come un essere ragionevole e sensibile. E poiché la sua violenza in un giorno ha avuto il tempo di farmi così infelice, perché dunque non potrebbe in un giorno avere il tempo di darmi gioia? Per forza sono lente a generarsi più le glorie che le offese? L’averla vista un istante a tali eccessi ti spinge? Dopo un solo sguardo, quale scelta avrei, se non vederla? In un istante la breve favilla un incendio suscita; in un istante un abisso, vulcano di fuoco, esplode; in un istante s’accende e distrugge tutto il fulmine; sputa orrore in un istante il cannone meno carico. Dunque, in un istante amore, fuoco di quattro nature, mina, incendio, bomba, folgore, prostra, brucia, turba e schianta! Non dicevi che è impossibile che sia bella una villana? Proprio quella sicurezza mi ha perduto; chi ritiene d’incontrar qualche pericolo va disposto alla difesa; chi va senza alcun timore è chi corre il maggior rischio, e lo attende una sorpresa 987
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si acaso un peligro encuentra. Pensé hallar una villana; si hallé una deidad, ¿no era preciso que peligrase en mi misma inadvertencia? En toda mi vida vi más divina, más perfecta hermosura. ¡Ay, Rebolledo, no sé qué hiciera por verla! En la compañía hay soldado, que canta por excelencla; y la Chispa, que es mi alcaida del boliche, es la primera mujer en jacarear. Haya, señor, jira y fiesta, y música a su ventana; que con esto podrás verla y aun hablarla. Como está don Lope allí, no quisiera despertarle. Pues don Lope ¿cuándo duerme, con su pierna? Fuera, señor, que la culpa, si se entiende, será nuestra, no tuya, si de rebozo vas en la tropa. Aunque tenga mayores dificultades, pase por todas mi pena. Juntaos todos esta noche, mas de suerte que no entiendan que yo lo mando. ¡Ah, Isabel, qué de cuidados me cuestas!
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Vanse don Álvaro, y el Sargento, y sale la «Chispa».
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REBOLLEDO
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se s’imbatte in qualche ostacolo. Pensavo a una contadina; se una dea trovai, non era il pericolo scontato nell’incauto mio procedere? Mai ho visto una bellezza più divina, più perfetta. Rebolledo, ahimè, non so che farei per rivederla! Nella truppa c’è un soldato che stupendamente canta; e la «Chispa», mio assessore delle bocce, non ha eguali quando intona uno stornello. Facciamo festose musiche, signore, alla sua finestra. E così potrai vederla e parlarle. Ma don Lope è presente, e non vorrei risvegliarlo. Ma don Lope dorme mai, con quella gamba? Poi, signore, se ci sente, a noi ne verrà la colpa, non a te, che andrai celato fra i soldati. Se anche urtassi in difficoltà maggiori, le vincerebbe il mio affanno. Qui venite questa notte, ma fate in modo che ignorino che lo ho ordinato. Ah, Isabel! Quanta apprensione mi costi.
Escono don Álvaro e il Sergente. Entra la «Chispa».
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«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
¡Téngase! Chispa, ¿qué es eso? Ahí un pobrete, que queda con un rasguño en el rostro. Pues, ¿por qué fue la pendencia? Sobre hacerme alicantina del barato de hora y media, que estuvo echando las bolas, teniéndome muy atenta a si eran pares o nones. Canséme y dile con ésta.
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Saca la daga.
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«CHISPA»
REBOLLEDO
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Mientras que, con el barbero, poniéndose en puntos queda, vamos al cuerpo de guardia, que allá te daré la cuenta. ¡Bueno es estar de mohina, cuando vengo yo de fiesta! Pues ¿qué estorba el uno al otro? Aquí está la castañeta. ¿Qué se ofrece que cantar? Ha de ser cuando anochezca, y música más fundada. Vamos y no te detengas. Anda acá al cuerpo de guardia. Fama ha de quedar eterna de mí en el mundo, que soy Chispilla, la Bolichera.
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Vanse. Salen don Lope y Pedro Crespo. PEDRO CRESPO
En este paso, que está más fresco, poned la mesa al señor don Lope. – Aquí
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
«CHISPA»
Prendi!
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«Chispa», che succede? Là un poveraccio rimane con la faccia sfigurata. Come è sorto questo alterco? Mi voleva abbindolare sul conto dell’ora e mezza che stette a giocare a bocce, mentre attenta controllavo se i punti eran pari o dispari. Spazientita, ho usato questa.
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
Estrae una daga.
REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
«CHISPA»
E intanto che lui discute di punti con il barbiere, andiamo al corpo di guardia, dove ti renderò conto. Non essere così furiosa mentre vengo tutto allegro. L’uno non esclude l’altro. Ecco pronte qui le nacchere. Che cosa vuoi che ti canti? Canterai quando fa notte, e in un concerto di musica. Andiamo, non ti fermare, seguimi al corpo di guardia. Eterna fama rimanga nel mondo di me, che sono Chispilla ormai la Bocciara. Escono. Entrano don Lope e Pedro Crespo.
PEDRO CRESPO
In quest’atrio, che è più fresco, apparecchiate la tavola al signor don Lope. Meglio 991
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
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DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO
os sabrá mejor la cena; que al fin los días de agosto no tienen más recompensa, que sus noches. Apacible estancia en extremo es ésta. Un pedazo es de jardín do mi hija se divierta. Sentaos. Que el viento süave, que en las blandas hojas suena de estas parras y estas copas, mil cláusulas lisonjeras hace al compás de esta fuente, cítara de plata y perlas, porque son, en trastes de oro, las guijas templadas cuerdas. Perdonad, si de instrumentos solos la música suena, de músicos que deleiten sin voces que os entretengan; que como músicos son los pájaros que gorjean, no quieren cantar de noche, ni yo puedo hacerles fuerza. Sentaos, pues, y divertid esa continua dolencia. No podré; que es imposible, que divertimiento tenga. ¡Valgame Dios! ¡Valga, amen! ¡Los cielos me den paciencia! Sentaos, Crespo. Yo estoy bien. Sentaos. Pues me dais licencia, digo, señor, que obedezco, aunque excusarlo pudierais.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO
gusterete qui la cena, poiché nei giorni d’agosto offrono solo le notti qualche ristoro. Ecco un posto davvero molto tranquillo. È un pezzetto di giardino per gli svaghi di mia figlia. Sedete. Il vento leggero che spira fra molli fronde sul pergolato e sugli alberi forma cadenze leggiadre al ritmo di questa fonte, cetra d’argento e di perle, poiché sono, in tasti d’oro, i sarmenti corde tese. Perdonate se la musica di strumenti solo suona, senza musici che allettino, senza voci che vi svaghino. I cantanti sono infatti gli uccellini che gorgheggiano, e non cantano di notte, e non li posso costringere. Sedetevi, distraete la continua sofferenza. Non potrò; non mi è possibile godere di qualche svago. Dio m’aiuti! E così sia. Che il Cielo mi dia pazienza! Sedete, Crespo. Io sto bene. Sedete! Se ne ho il permesso, signore, dico: obbedisco; ma non era necessario. 993
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Siéntase. DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
¿No sabéis qué he reparado? Que ayer la cólera vuestra os debió de enajenar de vos. Nunca me enajena a mí de mí nada. Pues ¿cómo ayer, sin que os dijera que os sentarais, os sentasteis, aun en la primera silla? Porque no me lo dijisteis; y hoy, que lo decís, quisiera no hacerlo. La cortesía tenerla con quien la tenga. Ayer todo erais reniegos, porvidas, votos y pesias; y hoy estáis más apacible, con más gusto y más prudencia. Yo, señor, siempre respondo en el tono y en la letra que me hablan. Ayer vos así hablabais, y era fuerza que fuera de un mismo tono la pregunta y la respuesta. Demás de que yo he tomado por política discreta jurar con aquel que jura, rezar con aquel que reza. A todo hago compañía; y es aquesto de manera, que en toda la noche pude dormir, en la pierna vuestra pensando, y amanecí con dolor en ambas piernas; que, por no errar la que os duele,
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Si siede. DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
Sapete che cosa noto? La vostra collera ieri vi ha fatto uscire di senno. Nulla al mondo mi fa andare fuor di senno. Perché dunque, senza che ve lo dicessi, ieri invece vi sedeste sulla seggiola più comoda? Perché non me lo chiedeste. Vorrei ora, al vostro invito, non sedermi; con chi usa cortesia, sono cortese. Ieri, solo imprecazioni, dinieghi, bestemmie e moccoli. Oggi siete più tranquillo, più prudente e compiacente. Signore, sempre rispondo con il tono e le espressioni che mi rivolgono; ieri mi parlavate in quel modo, e per forza s’intonavano la domanda e la risposta. In effetti, ho assunto, a metodo di contegno misurato, bestemmiar con chi bestemmia e pregare con chi prega. A ciascuno mi accompagno, e mi accade in modo tale che per tutta questa notte pensando alla vostra gamba non potei dormire; e all’alba le due gambe mi affliggevano: non sapendo se a dolervi
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DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO
si es la izquierda o la derecha, me dolieron a mí entrambas. Decidme ¡por vida vuestra! cuál es, y sépalo yo, porque una sola me duela. ¿No tengo mucha razón de quejarme, si ha ya treinta años, que asistiendo en Flandes al servicio de la guerra, el invierno con la escarcha, y el verano con la fuerza del sol, nunca descansé, y no he sabido qué sea estar sin dolor un hora? ¡Dios, señor, os dé paciencia! ¿Para qué la quiero yo? ¡No os la dé! Nunca acá venga, sino que dos mil demonios carguen conmigo y con ella. ¡Amén! Y si no lo hacen. es por no hacer cosa buena. ¡Jesús, mil veces Jesús! Con vos y conmigo sea. ¡Voto a Cristo, que me muero! ¡Voto a Cristo, que me pesa!
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Saca la mesa Juan. JUAN DON LOPE
PEDRO CRESPO
Ya tienes la mesa aquí. ¿Cómo a servirla no entran mis criados? Yo, señor, dije, con vuestra licencia, que no entraran a serviros, y que en mi casa no hicieran
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DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE PEDRO CRESPO
è la destra o la sinistra, tutte e due mi lancinavano; vi scongiuro d’indicarmi quale a voi fa male, e anch’io soffrirò da quella parte. Forse a torto mi lamento, se oramai più di trent’anni ho trascorso nelle Fiandre, fra gli impegni della guerra, con il ghiaccio dell’inverno, la calura dell’estate, senza trovare riposo né vivere un’ora sola risparmiato dal dolore? Vi conceda Iddio pazienza! Ma perché dovrei averne? Non ve la dia! Mai qui venga, e invece duemila diavoli insieme a me, se la prendano! Così sia. Se non lo fanno, è per non agire bene. Gesù, Gesù, mille volte! Sia con voi e con me sia. Per Cristo, che sto morendo! Per Cristo, che mi dispiace! Entra Juan, portando la tavola.
JUAN DON LOPE
PEDRO CRESPO
Ecco pronta qui la tavola. Perché a attendervi non entrano i miei servi? Con licenza, io, signore, ho domandato che a servirvi non entrassero né portassero provviste;
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DON LOPE
PEDRO CRESPO
prevenciones; que a Dios gracias, pienso que no os falte en ella nada. Pues no entran criados, hacedme favor que venga vuestra hija aquí a cenar conmigo. Dile que venga tu hermana al instante, Juan.
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Vase Juan. DON LOPE
PEPRO CRESPO
DON LOPE
Mi poca salud me deja sin sospecha en esta parte. Aunque vuestra salud fuera, señor, la que yo os deseo, me dejara sin sospecha. Agravio hacéis a mi amor, que nada de eso me inquieta; que el decirle que no entrara aquí, fue con advertencia de que no estuviese a oír ociosas impertinencias; que si todos los soldados corteses como vos fueran, ella había de acudir a servirlos la primera. (¡Qué ladino es el villano! ¡Oh, cómo tiene prudencia!)
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Salen Inés e Isabel [y Juan]. ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
¿Qué es, señor, lo que me mandas? El señor don Lope intenta honraros. Él es quien llama. Aquí está una esclava vuestra.
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DON LOPE
PEDRO CRESPO
grazie a Dio, nella mia casa penso non vi manchi nulla. Se i domestici non entrano, per favore, fate scendere vostra figlia, per cenare qui con me. Di’ a tua sorella, Juan, che si affretti a venire. Juan esce.
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
Il mio stato di salute allontana ogni sospetto. Pur se aveste la salute che io vi auguro, signore, non potrei nutrir sospetto. Al mio amore fate torto; quel pensiero non m’inquieta; le ordinai di allontanarsi, ma soltanto con l’intento di evitarle di ascoltare certe oziose impertinenze; se mostrassero i soldati questa vostra cortesia, lei per prima si sarebbe impegnata ad onorarli. (Questo contadino è saggio: come agisce con prudenza!) Entrano Inés e Isabel [e Juan].
ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
Che comandi, mio signore? Il signor don Lope intende farvi onore; lui vi chiama. Ecco qui la vostra schiava.
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ISABEL
DON LOPE PEDRO CRESPO
ISABEL
Serviros intento yo. (¡Qué hermosura tan honesta!) Que cenéis conmigo quiero. Mejor es que a vuestra cena sirvamos las dos. Sentaos. Sentaos. Haced lo que ordena el señor don Lope. Está el mérito en la obediencia.
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Tocan guitarras dentro. DON LOPE PEDRO CRESPO
DON LOPE
JUAN DON LOPE JUAN
UNO
[Dentro]
REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
¿Qué es aquello? Por la calle los soldados se pasean, cantando y ballando. Mal los trabajos de la guerra, sin aquesta libertad, se llevaran; que es estrecha religión la de un soldado, y darle ensanchas es fuerza. Con todo eso, es linda vida. ¿Fuérades con gusto a ella? Sí, señor, como llevara por amparo a Vuecelencia. Mejor se cantará aquí. ¡Vaya a Isabel una letra! Para que despierte, tira a su ventana una piedra. (A ventana señalada va la música. ¡Paciencia!)
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Cantan [Dentro] Las flores del romero, niña Isabel,
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ISABEL
DON LOPE PEDRO CRESPO
ISABEL
Io desidero servirvi! (Che bellezza delicata!) Vorrei che con me cenaste. Meglio è se alla vostra tavola noi serviamo. Accomodatevi. Sedete, come don Lope vi ha ordinato. Il nostro merito consiste nell’ubbidienza. Si ode fuori un accordo di chitarra.
DON LOPE
Che succede?
Per la strada i soldati vanno a spasso fra canzoni e balli. DON LOPE Male le fatiche della guerra senza queste concessioni sosterrebbero; all’austera disciplina del soldato dar sollievo è necessario. JUAN Nondimeno, è bella vita. DON LOPE Vi piacerebbe arruolarvi? JUAN Sì, signore, se mi offrisse Vostra Eccellenza un sostegno. UN SOLDATO [Dentro] Canteremo meglio qui. REBOLLEDO A Isabel s’innalzi un canto! E perché si desti, lancia alla sua finestra un sasso. PEDRO CRESPO (A una finestra specifica va la musica. Pazienza!) PEDRO CRESPO
Si sente cantare [Dentro]
I fiori del rosmarino, dolce Isabel,
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hoy son flores azules, y mañana serán miel. DON LOPE
PEDRO CRESPO
JUAN
(Música, vaya. Mas esto de tirar es desvergüenza. ¡Y a la casa donde estoy venirse a dar cantaletas!... Pero disimularé por Pedro Crespo y por ella.) ¡Qué travesuras! Son mozos. (Si por don Lope no fuera, yo les hiciera...) (Si yo una rodelilla vieja, que en el cuarto de don Lope está colgada, pudiera sacar...)
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Hace que se va. PEDRO CRESPO JUAN PEDRO CRESPO
¿Dónde vais, mancebo? Voy a que traigan la cena. Allá hay mozos que la traigan.
Cantan [Dentro] Despierta, Isabel, despierta. ISABEL
DON LOPE
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(¿Qué culpa tengo yo, cielos, para estar a esto sujeta?) Ya no se puede sufrir, porque es cosa muy mal hecha. Arroja don Lope la mesa.
PEDRO CRESPO
Pues ¡y cómo si lo es!
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Arroja Pedro Crespo la silla. 1002
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oggi sono fiori azzurri, domani saranno miele. DON LOPE
PEDRO CRESPO
JUAN
(Passi la musica! I sassi però sono una vergogna! E alla casa dove alloggio venire a far serenate!... Ma farò finta di nulla, per Pedro Crespo e per lei.) Che ragazzate! Son giovani! (Se non fosse per don Lope li farei...) (Se mi riuscisse di afferrare un vecchio scudo che sta appeso alla parete nella stanza di don Lope...) Fa per alzarsi.
PEDRO CRESPO JUAN PEDRO CRESPO
Dove vai, tu, giovanotto? Vado a cercare la cena. La porteranno i domestici.
Si sente cantare [Dentro]
Isabel, sveglia, sveglia!
ISABEL
(Dio mio, ma che male ho fatto per subire questi oltraggi?) Più non riesco a sopportare una cosa tanto indegna!
DON LOPE
Rovescia la tavola. PEDRO CRESPO
È davvero cosa indegna! Rovescia la sedia. 1003
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PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE ISABEL DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
DON LOPE
ISABEL
INÉS
PEDRO CRESPO JUAN PEDRO CRESPO
Llevéme de mi impaciencia. ¿No es, decidme, muy mal hecho, que tanto una pierna duela? De eso mismo hablaba yo. Pensé que otra cosa era. Como arrojasteis la silla... Como arrojasteis la mesa vos, no tuve que arrojar otra cosa yo más cerca. (¡Disimulemos, honor!) (¡Quién en la calle estuviera!) Ahora bien, cenar no quiero. Retiraos. En hora buena. Señora, quedad con Dios. El cielo os guarde. (A la puerta de la calle, ¿no es mi cuarto? y en él, ¿no está una rodela? (¿No tiene puerta el corral, y yo una espadilla vieja?) Buenas noches. Buenas noches. (Encerraré por defuera a mis hijos.) (Dejaré un poco la casa quieta.) (¡Oh qué mal, cielos, los dos disimulan que les pesa!) (Mal el uno por el otro van haciendo la desecha). ¡Hola, mancebo! ¿Señor? Aquí está la cama vuestra.
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Vanse.
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PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE ISABEL DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
DON LOPE
ISABEL
INÉS
PEDRO CRESPO JUAN PEDRO CRESPO
Mi ha travolto l’inquietudine. Non vi sembra proprio indegno che una gamba tanto dolga? Proprio questo voglio dire! Credevo ad altro pensaste nel rovesciare la seggiola. Giacché rovesciaste il tavolo, non potevo ribaltare altra cosa più vicina. (Farò finta, per l’onore!) (Potessi scendere in strada!) Orsù, cenare non voglio. Ritiratevi. Benissimo. Signora, Dio vi protegga, Vi assista il cielo. (Alla porta di strada non dà il mio alloggio? E non vi è appeso uno scudo?) (Non ha una porta il cortile? E non ho la vecchia spada?) Buona notte! Buona notte! (Chiuderò da fuori a chiave i miei figli.) (Farò in modo che la casa resti in pace.) (Cielo, quanto male entrambi celano il loro furore.) (Male tentano di trarsi in inganno, l’uno e l’altro.) Giovanotto! Sì, signore? Ecco qua la vostra stanza. Escono.
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Salen don Álvaro, el Sargento, la «Chispa» y Rebolledo, con guitarras, y soldados. REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» DON ÁLVARO
SARGENTO
«CHISPA» SARGENTO REBOLLEDO
«CHISPA»
Mejor estamos aquí; el sitio es más oportuno; tome rancho cada uno. ¿Vuelve la música? Sí. Ahora estoy en mi centro ¡Que no haya una ventana entreabierto esta villana! Pues bien lo oyen allá dentro. Espera. Será a mi costa. No es más de hasta ver quién es quien llega. Pues qué ¿No ves un jinete de la costa?
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Salen don Mendo con adarga, y Nuño. DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO DON MENDO
¿Ves bien lo que pasa? No, no veo bien; pero bien lo escucho. ¿Quién, cielos, quién esto puede sufrir? Yo. ¿Abrirá acaso Isabel la ventana? Sí, abrirá. No hará, villano. No hará. ¡Ah, celos, pena cruel! Bien supiera yo arrojar a todos a cuchilladas de aquí; mas, disimuladas
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Entrano don Álvaro, Rebolledo, il Sergente, la «Chispa» con una chitarra, alcuni soldati. REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» DON ÁLVARO
SERGENTE
«CHISPA» SERGENTE REBOLLEDO
«CHISPA»
Qui ci troveremo meglio. Questo è il posto più opportuno. Prenda ognuno posizione. E ricomincia la musica? Certo! Allora, eccomi al centro. Questa villana neppure ha socchiuso la finestra. Ma ben udranno, là dentro. Fermo! Ne farò le spese. Solo il tempo di osservare chi è che arriva. Non lo vedi? È una guardia della costa. Entrano don Mendo, armato di scudo, e Nuño.
DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO DON MENDO NUÑO DON MENDO
Puoi vedere quanto accade? Non lo vedo, ma lo sento chiaramente. Chi può, cielo, sopportarlo? Io ci riesco! Aprirà forse Isabel la finestra? Sì, che l’apre. No, villano! No, non l’apre. Gelosia, pena crudele! Sarei in grado di scacciarli tutti quanti a piattonate, ma le mie disgrazie devono
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NUÑO
DON MENDO
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
mis desdichas han de estar hasta ver si ella ha tenido culpa de ello. Pues aquí nos sentemos. Bien. Así estaré desconocido. Pues ya el hombre se ha sentado (si ya no es, que ser ordena algún alma que anda en pena de las cañas que ha jugado con su adarga a cuestas) da voz al aire. Ya él la lleva. Va una jácara tan nueva, que corra sangre. Sí hará.
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Salen don Lope y Pedro Crespo, a un tiempo, con broqueles. «CHISPA»
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«CHISPA»
Érase cierto Sampayo, la flor de los andaluces, el jaque de mayor porte, y el jaque de mayor lustre; éste, pues, a la Chillona topó un día... No le culpen la fecha, que el consonante quiere que haya sido en lunes. ...Topó, digo, a la Chillona, que, brindando entre dos luces, ocupaba con el Garlo la casa de los azumbres. El Garlo, que siempre fue, en todo lo que le cumple, rayo de tejado abajo, porque era rayo sin nube,
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NUÑO
DON MENDO
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
rimanere mascherate, finché sappia se lei mostra qualche colpa. Dunque stiamo qui seduti. Sì, che almeno non mi lascio riconoscere. Poiché l’uomo si è acquattato (sempre che non si riveli un’anima di dannato, per il torneo delle canne, con lo scudo in spalla) innalza la tua voce al vento. È fatto. E sia un canto così ardito che scorra sangue. D’accordo!
Entrano contemporaneamente don Lope e Pedro Crespo, armati di scudo. «CHISPA»
REBOLLEDO
«CHISPA»
C’era quel tale, il Sampaio, il fiore degli andalusi, il briccone più prestante, il più illustre dei ruffiani. Egli dunque un giorno trova la Chillona... Non si litighi per la data; era gennaio, come richiede la rima. ...trova, dico, la Chillona che brindando, mezza sbronza, se ne stava insieme al Garlo nella casa delle fiasche. Era sempre, questo Garlo, negli affari che trattava, da capo a piedi uno schianto, un fulmine a ciel sereno; 1009
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sacó la espada, y a un tiempo un tajo y revés sacude. Acuchíllanlos don Lope y Pedro Crespo. PEDRO CRESPO DON LOPE
Sería de esta manera. Que sería así no duden.
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Métenlos a cuchilladas y sale don Lope. DON LOPE
¡Gran valor! Uno ha quedado de ellos, que es el que está aquí. Sale Pedro Crespo.
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Cierto es que el que queda ahí sin duda es algún soldado. Ni aun éste no ha de escapar sin almagre. Ni éste quiero que quede sin que mi acero la calle le haga dejar. ¿No huís con los otros? ¡Huid vos, que sabréis huir más bien!
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Riñen. DON LOPE PEDRO CRESPO
¡Voto a Dios, que riñe bien! ¡Bien pelea, voto a Dios! Sale Juan.
JUAN
DON LOPE
(¡Quiera el cielo, que le tope!) Señor, a tu lado estoy. ¿Es Pedro Crespo?
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menò dunque, spada in mano, dei fendenti a destra e a manca. Don Lope e Pedro Crespo li attaccano. PEDRO CRESPO DON LOPE
Sarà stato in questo modo. Non c’è dubbio, in questo modo!
Li scacciano a colpi di spada. Don Lope rientra. DON LOPE
Bel coraggio! Ma sul campo uno ne è rimasto ancora. Ritorna Pedro Crespo.
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Quello che laggiù rimane è certo qualche soldato. Neanche lui deve sfuggirmi senza lividi! Non tollero neanche lui; con la mia spada lo caccerò dalla strada. Non fuggite assieme agli altri? Voi saprete farlo meglio! Si affrontano.
DON LOPE PEDRO CRESPO
Vivaddio, si batte bene! Lotta bene, vivaddio! Entra Juan.
JUAN
DON LOPE
(Voglia il cielo che lo incontri!) Signore, eccomi al tuo fianco. Ma voi, siete Pedro Crespo?
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PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
Yo soy. ¿Es don Lope? Sí, es don Lope. ¿Que no habíais, no dijisteis, de salir? ¿Qué hazaña es ésta? Sean disculpa y respuesta hacer lo que vos hicisteis. Aquesta era ofensa mía, vuestra no. No hay que fingir; que yo he salido a reñir por haceros compañía.
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Los Soldados, dentro. SOLDADO
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¡A dar muerte nos juntemos a estos villanos!
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Salen don Álvaro y todos. DON ÁLVARO DON LOPE
DON ÁLVARO
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Mirad... ¿Aquí no estoy yo? Esperad. ¿De qué son estos extremos? Los soldados han tenido, porque se estaban holgando en esta calle cantando sin alboroto y rüido, una pendencia, y yo soy quien los está deteniendo. Don Álvaro, bien entiendo vuestra prudencia; y pues hoy aqueste lugar está en ojeriza, yo quiero excusar rigor más fiero; y pues amanece ya, orden doy, que en todo el día, para que mayor no sea
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
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PEDRO CRESPO
Certo! E voi, siete don Lope? Proprio lui. Che storia è questa? Non avete forse detto che non dovevate uscire? Vi rispondo, a mia discolpa: ciò che avete fatto, ho fatto. Riguardava me l’offesa, e non voi. Senza più fingere, sono uscito ad azzuffarmi per tenervi compagnia. Soldati dentro.
UN SOLDATO
Raduniamoci a sconfiggere quei villani! Entrano don Álvaro e i soldati.
DON ÁLVARO DON LOPE
DON ÁLVARO
DON LOPE
State attenti... Non sono io presente? Fermi! Cosa sono questi eccessi? I soldati se ne stavano per la strada a divertirsi e a cantare, senza chiasso né schiamazzi, ed hanno avuto una zuffa; ed ora appunto io li stavo trattenendo. Don Álvaro, ben capisco tanta discrezione. E inoltre oggi è in collera il paese. Dunque intendo differire decisioni più violente; e siccome albeggia ormai vi comando che in giornata, per evitare altri guai,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
DON ÁLVARO
el daño, de Zalamea saquéis vuestra compañía. Y estas cosas acabadas, no vuelvan a ser, porque la paz otra vez pondré, voto a Dios, a cuchilladas. Digo que aquesta mañana la compañía haré marchar. (La vida me has de costar, hermosísima villana.)
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Vanse don Álvaro y los Soldados. PEDRO CRESPO
DON LOPE
(Caprichudo es el don Lope; ya haremos migas los dos.) Veníos conmigo vos, y solo ninguno os tope.
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Vanse. Salen don Mendo y Nuño herido. DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO
¿Es algo, Nuño, la herida? Aunque fuera menor, fuera de mí muy mal recibida, y mucho más que quisiera. Yo no he tenido en mi vida mayor pena ni tristeza. Yo tampoco. Que me enoje es justo. ¿Que su fiereza luego te dio en la cabeza? Todo este lado me coge.
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Tocan. DON MENDO
¿Qué es esto?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
DON ÁLVARO
da Zalamea ritirata sia la vostra compagnia. E concluse queste storie, non si ricominci, ovvero la pace farò tornare, vivaddio, con dei fendenti. Dico che farò marciare la compagnia stamattina. (La vita mi fai rischiare, bellissima contadina.) Esce con i soldati.
PEDRO CRESPO
DON LOPE
(Questo don Lope è cocciuto, ormai ce la intenderemo.) Voi, seguitemi! Nessuno voglio che vi trovi solo. Escono. Entrano don Mendo e Nuño, ferito.
DON MENDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO DON MENDO
NUÑO
Nuño, è grave la ferita? Se anche fosse più leggera non mi farebbe piacere; è più di quanto desidero. Non provai nella mia vita un’afflizione più triste. Io neppure. Che mi dolga sembra giusto. Ma il suo orgoglio ti ha colpito sulla testa? Mi fa male tutto un lato. Si ode il rullo di un tamburo.
DON MENDO
Che cos’è?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA NUÑO
DON MENDO
NUÑO
La compañía que hoy se va. Y es dicha mía, pues con esto cesarán los celos del capitán. Hoy se ha de ir en todo el día.
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Salen don Álvaro y el Sargento. DON ÁLVARO
SARGENTO
DON MENDO
NUNO
Sargento, vaya marchando, antes que decline el día, con toda la compañía, y con prevención que, cuando se esconda en la espuma fría del océano español ese luciente farol, en ese monte le espero. porque hallar mi vida quiero hoy en la muerte del sol. Calla, que está aquí un figura del lugar. Pasar procura, sin que entiendan mi tristeza. No muestres, Nuño, flaqueza. ¿Puedo yo mostrar gordura?
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Vanse. DON ÁLVARO
SARGENTO
Yo he de volver al lugar, porque tengo prevenida una criada, a mirar si puedo por dicha hablar a aquesta hermosa homicida. Dádivas han granjeado, que apadrine mi cuidado. Pues, señor, si has de volver, mira que habrás menester
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO NUÑO
DON MENDO
NUÑO
La compagnia sta partendo. Che fortuna! Oramai la gelosia del capitano avrà fine. In giornata se ne andranno. Entrano don Álvaro e il Sergente.
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON MENDO
NUÑO
Si metta in marcia, Sergente, con la compagnia intera prima che scenda la sera, e intendiamoci che quando si nasconda nelle gelide spume dell’oceano ispanico questo lume risplendente, ci aspettiamo su quel monte: voglio trovare la vita nella morte, oggi, del sole! Taci! Viene qui un fantoccio del villaggio. Passeremo senza che il mio affanno scorgano. Nuño, non mostrarti debole! Potrò mai mostrarmi in forze? Escono [don Mendo e Nuño].
DON ÁLVARO
SERGENTE
Devo tornare al paese dove con una domestica mi accordai, per appurare se ho la sorte di parlare alla bella che mi uccide; con regali ho procurato che sostenga il mio tormento. Se devi proprio tornare, sarà opportuno, signore, 1017
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO DON ÁLVARO
volver bien acompañado, porque, al fin, no hay que fiar de villanos. Ya lo sé. Algunos puedes nombrar, que vuelvan conmigo. Haré cuanto me quieras mandar. Pero ¿si acaso volviese don Lope, y te conociese al volver? Ese temor quiso también que perdiese en esta parte mi amor; que don Lope se ha de ir hoy también a prevenir todo el tercio a Guadalupe; que todo lo dicho supe, yéndome ahora a despedir de él; porque ya el Rey vendrá, que puesto en camino está. Voy, señor, a obedecerte. Que me va la vida, advierte.
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Vase el Sargento. Salen Rebolledo y la «Chispa». REBOLLEDO DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
Señor, albricias me da. ¿De qué han de ser, Rebolledo? Muy bien merecerlas puedo, pues solamente te digo... ¿Qué? ..que ya hay un enemigo menos a quien tener miedo. ¿Quién es? Dilo presto. Aquel mozo, hermano de Isabel.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE DON ÁLVARO
tornare con buona scorta. Ti conviene diffidare dei villani. Lo so bene. Devi scegliere qualcuno che con me ritorni. Eseguo quanto mi vuoi comandare. Ma se per caso tornasse don Lope e ti sorprendesse sul posto? La mia passione ha scongiurato il timore d’una simile evenienza. Deve recarsi don Lope oggi stesso a Guadalupe a schierare il reggimento perché il re vi sta per giungere, e si è messo già in cammino. Tutto questo l’ho saputo nell’andare a congedarmi. Vado a eseguire, signore. Bada che rischio la vita! Esce il Sergente. Entrano Rebolledo e la «Chispa».
REBOLLEDO DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
DON ÁLVARO REBOLLEDO
Signore, con me rallegrati. Per che cosa, Rebolledo? Me lo sono meritato! Solo questo devo dirti... Dimmi! C’è un nemico in meno di cui debba aver timore. Chi è costui? Dimmelo presto! È quel giovane, il fratello d’Isabel, perché don Lope 1019
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
DON ÁLVARO
REBOLLEDO DON ÁLVARO
Don Lope se le pidió al padre, y él se le dio, y va a la guerra con él. En la calle le he topado muy galán, muy alentado, mezclando a un tiempo, señor, rezagos de labrador con primicias de soldado. De suerte que el viejo es ya quien pesadumbre nos da. Todo nos sucede bien, y más, si me ayuda quien esta esperanza me da de que esta noche podré hablarla. No pongas duda. Del camino volveré; que ahora es razón que acuda a la gente, que se ve ya marchar. Los dos seréis los que conmigo vendréis.
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Vase. REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
Pocos somos, vive Dios, aunque vengan otros dos, otros cuatro y otros seis. Y yo, si tú has de volver allá, ¿qué tengo de hacer? Pues no estoy segura yo, si da conmigo el que dio al barbero que coser. No sé que he de hacer de ti, ¿No tendrás ánimo, di, de acompañarme?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO DON ÁLVARO
lo ha richiesto al padre, e quello glielo ha affidato, e ora parte insieme a lui per la guerra. Per la strada l’ho incontrato, elegante e vigoroso, e univa insieme, signore, rimanenze contadine con esordi militari. Quindi solamente il vecchio ci darà fastidio ormai. Tutto dunque va d’incanto, specialmente se mi aiuta chi mi ha dato la speranza che questa notte le possa parlare. Non esitare. Ripercorrerò la strada; è opportuno che ora vada a occuparmi della truppa che è già in marcia. Voi sarete quelli che mi scorteranno. Esce.
REBOLLEDO
«CHISPA»
REBOLLEDO
Pochi siamo in due, per Dio! E anche fossimo altrettanti, e altri quattro ed altri sei. Ma se tu devi tornare, io che cosa devo fare? Non mi sento più sicura se m’imbatto in chi ha fornito di che cucire al barbiere. Non so come sistemarti. Non avrai, dimmi, l’ardire di seguirmi?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
«CHISPA»
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» [Canta]
¿Pues no? Vestido no tengo yo; ánimo y esfuerzo, sí. Vestido no faltará; que ahí otro del paje está de jineta, que se fue. Pues yo a la par pasaré con él. Vamos, que se va la bandera. Y yo veo ahora, porque en el mundo he cantado, que el amor del soldado no dura un hora.
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Vanse, y salen don Lope, Pedro Crespo y Juan, su hijo. DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
JUAN
PEDRO CRESPO
A muchas cosas os soy en extremo agradecido; pero, sobre todas, ésta de darme hoy a vuestro hijo para soldado, en el alma os la agradezco y estimo. Yo os le doy para criado. Yo os le llevo para amigo; que me ha inclinado en extremo su desenfado y su brío, y la afición a las armas. Siempre a vuestros pies rendido me tendréis, y vos veréis de la manera que os sirvo, procurando obedeceros en todo. Lo que os suplico es que perdonéis, señor, si no acertare a serviros; porque en el rústico estudio,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
«CHISPA»
Perché dubiti? Io non porto l’uniforme, ma ho coraggio e forza d’animo. L’uniforme non ci manca, c’è quella del portainsegne che si è appena congedato. Assumo dunque il suo ruolo. Svelti, che già la brigata s’allontana. Ora capisco perché sovente ho cantato che l’amore del soldato non dura un’ora.
REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA» [Canta]
Escono. Entrano don Lope, Pedro Crespo e Juan. DON LOPE
PEDRO CRESPO DON LOPE
JUAN
PEDRO CRESPO
Per numerose ragioni io vi sono molto grato; ma specialmente di darmi oggi come mio soldato vostro figlio, vi ringrazio con tutto il cuore; e lo apprezzo. Ve lo cedo per domestico. Io l’accolgo come amico; mi ha colpito in lui moltissimo il vigore, la scioltezza, la passione militare. Riverente ai vostri piedi starò sempre; e ben vedrete come vi saprò servire, procurando d’ubbidirvi ogni volta. Vi scongiuro di perdonarlo, Signore, se sbagliasse nel servirvi, poiché nello studio rustico,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
DON LOPE
JUAN
adonde rejas y trillos, palas, azadas y bieldos son nuestros mejores libros, no habrá podido aprender lo que en los palacios ricos enseña la urbanidad, política de los siglos. Ya que va perdiendo el sol la fuerza, irme determino. Veré si viene, señor, la litera.
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Vase. Salen Inés e Isabel. ISABEL
DON LOPE
ISABEL
DON LOPE
¿Y es bien iros, sin despediros de quien tanto desea serviros? No me fuera sin besaros las manos y sin pediros que liberal perdonéis un atrevimiento digno de perdón, porque no el precio hace el don, sino el servicio. Esta venera que, aunque está de diamantes ricos guarnecida, llega pobre a vuestras manos, suplico que la toméis y traigáis por patena en nombre mío. Mucho siento que penséis, con tan generoso indicio, que pagáis el hospedaje, pues, de honra que recibimos, somos los deudores. Esto no es paga, sino cariño.
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DON LOPE
JUAN
dove i libri più proficui sono vomeri, rastrelli, badili, zappe e forconi, non avrà potuto apprendere ciò che insegna nei palazzi doviziosi il galateo, direttiva secolare. Poiché il sole già declina, stabilisco di partire. Vedo se è pronta, signore, la lettiga. Esce. Entrano Inés e Isabel.
ISABEL
DON LOPE
ISABEL
DON LOPE
E partireste senza prendere commiato da chi tanto vi è devota? Non me ne andrei, senza prima baciarvi le mani e chiedervi che, benigna, perdoniate un’audacia perdonabile, poiché a dar valore a un dono non è il prezzo, ma l’omaggio. Questa medaglia, per quanto contornata di diamanti ricchi, nelle vostre mani giunge povera; vi supplico d’accettarla e di portarla come ciondolo, a mio nome. Mi dispiace che intendiate ripagare l’accoglienza con un pegno generoso. Per l’onore ricevuto noi siamo in debito. Questo non è paga, bensì affetto. 1025
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA ISABEL
DON LOPE
Por cariño, y no por paga, solamente la recibo. A mi hermano os encomiendo, ya que tan dichoso ha sido que merece ir por criado vuestro. Otra vez os afirmo que podéis descuidar de él; que va, señora, conmigo.
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Sale Juan. JUAN DON LOPE PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Ya está la litera puesta. Con Dios os quedad. El mismo os guarde. ¡Ah, buen Pedro Crespo! ¡Oh, señor don Lope invicto! ¿Quién nos dijera, aquel día primero, que aquí nos vimos, que habíamos de quedar para siempre tan amigos? Yo lo dijera, señor, si allí supiera, al oiros, que erais... ¡Decid, por mi vida! ...loco de tan buen capricho.
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Vase don Lope. En tanto que se acomoda el señor don Lope, hijo, ante tu prima y tu hermana, escucha lo que te digo. Por la gracia de Dios, Juan, eres de linaje limpio, más que el sol, pero villano.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO ISABEL
DON LOPE
Lo ricevo solamente per affetto, non per paga. Proteggete mio fratello, poiché ha avuto la fortuna d’esser degno di servirvi. Nuovamente vi assicuro che potete star tranquilla: con me, signora, egli viene. Entra Juan.
JUAN DON LOPE PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
La lettiga è già disposta. Dio vi assista. Ed anche voi protegga. Oh, buon Pedro Crespo! Oh, signor don Lope invitto! Chi avrebbe detto, quel giorno del nostro incontro iniziale che dovevamo per sempre rimanere tanto amici? Io l’avrei detto, signore, se avessi saputo, a udirvi, che eravate... Dite, in fede. ...un matto così simpatico. Don Lope si allontana. Mentre il signore don Lope si appresta, figlio, a partire, ascolta, con tua sorella e tua cugina, un consiglio. Grazie a Dio, Juan, tu provieni da una discendenza limpida più del sole, anche se rustica.
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Lo uno y otro te digo; aquello, porque no humilles tanto tu orgullo y tu brío, que dejes, desconfiado, de aspirar, con cuerdo arbitrio, a ser más; lo otro, porque no vengas, desvanecido, a ser menos. Igualmente usa de entrambos disinios con humildad; porque, siendo humilde, con cuerdo arbitrio acordarás lo mejor; y como tal, en olvido pondrás cosas, que suceden al revés en los altivos. ¡Cuántos, teniendo en el mundo algun defeto consigo, le han borrado por humildes! ¡Y cuántos, que no han tenido defeto, se le han hallado, por estar ellos mal vistos! Sé cortés sobre manera; sé liberal y partido, que el sombrero y el dinero son los que hacen los amigos; y no vale tanto el oro, que el sol engendra en el indio suelo, y que consume el mar, como ser uno bienquisto. No hables mal de las mujeres; la más humilde, te digo que es digna de estimación; porque, al fin, de ellas nacimos. No riñas por cualquier cosa; que cuando en los pueblos miro muchos, que a reñir se enseñan, mil veces entre mí digo:
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Entrambe le condizioni noto perché non mortifichi il tuo orgoglio e il tuo coraggio da avvilirti, rinunciando a aspirare a migliorarti con prudenza; e d’altra parte perché non ti sminuisca la presunzione. Equamente segui questi due princìpi con umiltà; se sei umile, con avveduto giudizio potrai discernere il meglio, e non ti verranno in mente tante cose che si mostrano, al contrario, nei superbi. Quanti, colmi di difetti, se li fanno perdonare con un contegno modesto. Quanti invece, che son privi di difetti, li si incolpa perché sono insopportabili. Sii cortese in ogni modo, liberale, generoso; il cappello e il borsellino ti procurano gli amici. L’oro che genera il sole nelle terre indiane, e il mare divora, non vale tanto come l’essere apprezzati. Non sparlare delle donne; la più dimessa, ti dico, sarà degna di rispetto, poiché da loro nasciamo. Non duellare per inezie; quando vedo nei villaggi addestrarsi tanti al duello, fra me dico mille volte: 1029
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
JUAN
ISABEL
JUAN INÉS
PEDRO CRESPO
«Aquesta escuela no es la que ha de ser»; pues colijo que no ha de enseñarle a un hombre con destreza, gala y brío a reñir, sino a por que ha de reñir; que yo afirmo, que, si hubiera un maestro solo que enseñara prevenido, no el cómo, el por qué se riña, todos le dieran sus hijos. Con esto, y con el dinero que llevas para el camino, y para hacer, en llegando de asiento, un par de vestidos, al amparo de don Lope y mi bendición, yo fío en Dios, que tengo de verte en otro puesto. Adiós, hijo: que me enternezco en hablarte. Hoy tus razones imprimo en el corazón, adonde vivirán, mientras yo vivo. Dame tu mano. Y tú, hermana, los brazos; que ya ha partido don Lope mi señor, y es fuerza alcanzarlo. Los míos bien quisieran detenerte. Prima, adiós. Nada te digo con la voz, porque los ojos hurtan a la voz su oficio. Adiós. ¡Ea, vete presto! que cada vez, que te miro, siento más el que te vayas, y ha de ser, porque lo he dicho.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
JUAN
ISABEL
JUAN INÉS
PEDRO CRESPO
«Questa scuola non è certo conveniente», poiché credo che non bisogna insegnare a qualcuno come battersi con destrezza e gagliardia, ma a che fine debba battersi. Se ci fosse, affermo, solo un maestro che insegnasse «perché», non «come» lottare, gli darebbe ognuno i figli. E con questo, e col denaro che ti ho dato per il viaggio e per farti due divise, una volta giunto in sede, con l’aiuto di don Lope e la mia benedizione, spero in Dio che in altri luoghi ti riveda. Figlio, addio! Mi commuovo nel parlarti. I tuoi consigli m’imprimo oggi in cuore, e lì vivranno fino a quando sarò vivo. Dammi la mano! E tu, abbracciami, sorella, che è già partito il mio signore don Lope; devo seguirlo. Vorrei trattenerti fra le braccia. Addio, cugina! Non dico niente; tolgono alla voce il compito le mie lacrime. Addio! Su, non indugiare! Ogni volta che ti guardo mi dispiace che tu parta; ma avverrà come ho già detto. 1031
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA JUAN
El cielo con todos quede. Vase.
PEDRO CRESPO ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL INÉS
PEDRO CRESPO
INÉS ISABEL
El cielo vaya contigo. ¡Notable crueldad has hecho! Ahora, que no le miro, hablaré más consolado. ¿Qué había de hacer conmigo, sino ser toda su vida un holgazán, un perdido? Váyase a servir al Rey. Que de noche haya salido, me pesa a mí. Caminar de noche por el estío, antes es comodidad, que fatiga; y es preciso, que a don Lope alcance luego al instante. (Enternecido me deja, cierto, el muchacho, aunque en público me animo.) Éntrate, señor, en casa. Pues sin soldados vivimos, estémonos otro poco gozando a la puerta el frío viento que corre; que luego saldrán por ahí los vecinos. (A la verdad, no entro dentro, porque desde aquí imagino, como el camino blanquea, veo a Juan en el camino.) Inés, sácame a esta puerta asiento. Aquí está un banquillo. Esta tarde diz que ha hecho la villa elección de oficios.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO JUAN
Vi protegga tutti il cielo. Juan si allontana.
PEDRO CRESPO ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL INÉS
PEDRO CRESPO
INÉS ISABEL
Il cielo non ti abbandoni. Che crudele cosa hai fatto! Ora che più non lo scorgo parlerò serenamente. Se con me fosse rimasto, non sarebbe stato sempre un poltrone, un fannullone? A servire il re si dedichi! A me spiace che di notte sia partito. Camminare notte tempo, nell’estate è sollievo, non fatica. Ha il dovere di raggiungere, senza indugiare, don Lope. (Emozionato mi lascia certo questo mio ragazzo, ma mi faccio forza in pubblico.) Torniamo in casa, signore. Sono lontani i soldati; rimaniamo ancora un poco sulla soglia, per godere questa fresca brezza; presto usciranno anche i vicini. (In verità non rientro perché da qui biancheggiare vedo la strada, e mi immagino di veder Juan in cammino). Inés, portami una sedia sulla porta. Ecco un panchetto. Si dice che oggi la Giunta ha conferito le cariche. 1033
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA PEDRO CRESPO
Siempre aquí por el agosto se hace. Salen don Álvaro, el Sargento, Rebolledo, la «Chispa» y soldados.
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO DON ÁLVARO SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO
Pisad sin rüido. Llega, Rebolledo, tú, y da a la criada aviso de que ya estoy en la calle. Yo voy. Mas ¿qué es lo que miro? A su puerta hay gente. Y yo en los reflejos y visos, que la luna hace en el rostro, que es Isabel, imagino, ésta. Ella es; más que la luna, el corazón me lo ha dicho. A buena ocasión llegamos. Si, ya que una vez venimos, nos atrevemos a todo, buena venida habrá sido. ¿Estás para oír un consejo? No. Pues ya no te lo digo. Intenta lo que quisieres. Yo he de llegar y, atrevido, quitar a Isabel de allí. Vosotros, a un tiempo mismo, impedid a cuchilladas el que me sigan. Contigo venimos, y a tu orden hemos de estar. Advertid, que el sitio, en que habemos de juntarnos,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO PEDRO CRESPO
In agosto qui lo fanno Sempre. Entrano don Álvaro, il Sergente, Rebolledo, la «Chispa» e alcuni soldati.
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE DON ÁLVARO SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO
Procedete cauti! Vai avanti, Rebolledo, fa sapere alla domestica che mi trovo già per strada. Vado. Ma, che cosa scorgo? C’è qualcuno sulla porta. Dai riflessi luminosi della luna sul suo volto, che si tratti di Isabel penso. È lei! Più che la luna me l’ha rivelato il cuore. Arriviamo al buon momento. E una volta qua venuti, se siamo disposti a tutto, non sarà l’impresa vana. Vuoi sentire un mio consiglio? No! Perciò non te lo dico! Tenta quello che desideri! Voglio scagliarmi a rapire Isabel audacemente. Voi, restando tutti insieme, impedite con le spade che m’inseguano. Con te siamo giunti ed ai tuoi ordini rimarremo. Attenti! Il luogo dove ci ritroveremo
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REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
DON ÁLVARO PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO ISABEL DON ÁLVARO
es ese monte vecino, que está a la mano derecha, como salen del camino. ¡Chispa! ¿Qué? Ten esas capas. Que es del reñir, imagino, la gala, el guardar la ropa, aunque del nadar se dijo. Yo he de llegar el primero. Harto hemos gozado el sitio. Entrémonos allá dentro. Ya es tiempo. ¡Llegad, amigos! ¡Ah, traidor! – ¡Señor! ¿Qué es esto? Es una furia, un delirio de amor.
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Llévanla. ISABEL
(Dentro)
PEDRO CRESPO ISABEL
(Dentro)
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¡Ah, traidor! – ¡Señor! ¡Ah, cobardes! ¡Señor mío! Yo quiero aquí retirarme! Vase.
PEDRO CRESPO
REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
Como echáis de ver, ¡ah, impíos!, que estoy sin espada, aleves, falsos y traidores! Idos, si no queréis que la muerte sea el último castigo. ¿Qué importará, si está muerto mi honor, el quedar yo vivo? ¡Ah, quién tuviera una espada! Cuando sin armas te sigo es imposible. Y si, airado,
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REBOLLEDO
«CHISPA» REBOLLEDO
«CHISPA»
DON ÁLVARO PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO ISABEL DON ÁLVARO
è quel monte non lontano che si trova sulla destra fuori appena del cammino. «Chispa». Dimmi. Ecco i mantelli. Nella lotta il meglio è, immagino, stare a guardia dei vestiti; ma per il nuoto lo dicono. Sarò il primo ad attaccare. Abbastanza si è goduto della brezza; rincasiamo. È il momento. Avanti, amici! Perfido! Padre, che accade? È un furore, un’amorosa smania. La rapisce.
Traditore! Padre! Ah, vigliacchi! ISABEL (Da lontano) Padre mio! INÉS Sarà meglio che entri in casa. ISABEL
(Da lontano)
PEDRO CRESPO
Esce. PEDRO CRESPO
REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
Ah, malvagi! Avete visto, vili, che non ho la spada! Falsi, traditori! Via, se non volete la morte come l’ultimo castigo! Che m’importa ormai di vivere, se il mio onore è già perito? Avessi almeno una spada! Inseguirli senza un’arma non ha senso, e se mi attardo, 1037
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA
a ir por ella me animo, los he de perder de vista ¿Qué he hacer, hados esquivos? Que de cualquiera manera es uno solo el peligro.
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Sale Inés con la espada. Ésta, señor, es tu espada
INÉS
Vase. A buen tiempo la has traído. Ya tengo honra, pues ya tengo espada con que seguirlos. Soltad la presa, traidores cobardes, que habéis traído, que he de cobrarla o la vida he de perder. SARGENTO [Riñen] Vano ha sido tu intento, que somos muchos. PEDRO CRESPO Mis males son infinitos, y riñen todos por mí.... PEDRO CRESPO
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Cae.
REBOLLEDO SARGENTO
ISABEL
(Dentro)
PEDRO CRESPO REBOLLEDO
Pero la tierra que piso me ha faltado. ¡Dale muerte! Mirad, que es rigor impío quitarle vida y honor; mejor es en lo escondido del monte dejarle atado, porque no lleve el aviso. ¡Padre y señor! ¡Hija mía! Retírale, como has dicho.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO
furibondo, per cercarla, perderò le loro tracce. Che fare, destino avverso? Nell’uno e nell’altro modo il pericolo è lo stesso. Ritorna Inés, portando una spada. INÉS
Signore, ecco la tua spada. Esce.
In tempo me l’hai portata. L’onore è salvo, se impugno, per inseguirli, una spada! Perfidi, vili, lasciate la preda che mi carpite! Voglio riprenderla, o perdere la mia vita. SERGENTE [Attaccandolo] Sarà vano tentativo: siamo in molti! PEDRO CRESPO Sono infiniti i miei mali, e per me tutti combattono... PEDRO CRESPO
[Incespica e] cade. Ma la terra a cui mi abbatto mi ha tradito. REBOLLEDO Dagli morte! SERGENTE Bada che è delitto orrendo strappargli vita ed onore. Meglio lasciarlo legato nel folto della montagna, dove non darà l’allarme. ISABEL (Da lontano) Padre, mio Signore! PEDRO CRESPO Figlia! REBOLLEDO Portalo via come hai detto. 1039
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA SEGUNDA PEDRO CRESPO
Hija, solamente puedo seguirte con mis suspiros.
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[Llévanle.] Sale Juan. ISABEL
(Dentro)
JUAN PEDRO CRESPO
¡Ay de mí! ¡Qué triste voz! ¡Ay de mí!
(Dentro) JUAN
¡Mortal gemido! A la entrada de ese monte cayó mi rocín conmigo, veloz corriendo, y yo, ciego, por la maleza le sigo. Tristes voces a una parte, y a otra míseros gemidos escucho, que no conozco, porque llegan mal distintos. Dos necesidades son las que apellidan a gritos mi valor; y pues iguales, a mi parecer, han sido, y uno es hombre, otro mujer, a seguir ésta me animo; que así obedezco a mi padre en dos cosas que me dijo «reñir con buena ocasión, y honrar la mujer»; pues miro, que así honro a la mujer, y con buena ocasión riño.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO SECONDO PEDRO CRESPO
Figlia, solamente posso seguirti coi miei sospiri. [Lo portano via.] Entra Juan.
ISABEL
(Da lontano) Ahimè! Che triste lamento!
JUAN PEDRO CRESPO
Ahimè!
(Da lontano) JUAN
Che cupo gemito! Sul limitare del monte stramazza con me il cavallo e poi fugge; nel folteto alla cieca ora l’inseguo. Grida tristi odo da un lato e dall’altro miserevoli gemiti che non distinguo, poiché giungono confusi. Fanno appello al mio valore a gran voce due persone in pericolo; e mi sembrano analoghe invocazioni: di qua un uomo, là una donna. Dalla donna mi dirigo, accogliendo due consigli di mio padre, che diceva: «Lotta per motivi giusti e la donna onora»; e infatti io così la donna onoro, lotto per motivi giusti.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA
JORNADA TERCERA Sale Isabel como llorando. ISABEL
Nunca amanezca a mis ojos la luz hermosa del día, porque a su sombra no tenga vergüenza yo de mi misma. ¡Oh tú, de tantas estrellas primavera fugitiva, no des lugar a la aurora, que tu azul campaña pisa, para que con risa y llanto borre tu apacible vista! Y ya que ha de ser, ¡que sea con llanto, mas no con risa! ¡Detente, oh mayor planeta, más tiempo en la espuma fría del mar! ¡Deja que una vez dilate la noche fría su trémulo imperio! ¡Deja que de tu deidad se diga, atenta a mis ruegos, que es voluntaria y no precisa! ¿Para qué quieres salir a ver en la historia mía la más inorme maldad, la más fiera tiranía, que en venganza de los hombres quiere el cielo que se escriba? Mas ¡ay de mí! que parece que es fiera tu tiranía; pues desde que te rogué que te detuvieses, miran mis ojos tu faz hermosa descollarse por encima de los montes. ¡Ay de mí!
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Isabel, singhiozzando. ISABEL
Mai sorga per i miei occhi la bella luce del giorno, perché nell’ombra non debba vergognarmi di me stessa. Tu, primavera fuggiasca d’innumerevoli stelle, non dare luogo all’aurora che i tuoi campi azzurri invade per cancellare con risa e con pianti la tua vista. O, se deve essere, sia con pianti, ma non con risa! Trattieniti nella fredda spuma del mare più a lungo, astro maggiore! Una volta lascia che la notte gelida estenda il tremulo impero, e, piegato alle mie suppliche, si dica del tuo potere che è libero, non costretto! Perché vorresti spuntare a scorgere la più enorme perfidia nella mia storia, la più cupa prepotenza che a castigo degli uomini vuole il cielo che si scriva? Ahimè, invece si rivela la crudele tua tirannide, se da quando ti ho pregato d’indugiare, percepiscono i miei occhi il tuo bel volto elevarsi sulle cime delle montagne. Me misera, 1043
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA
PEDRO CRESPO
[Dentro]
que acosada y perseguida de tantas penas, de tantas ansias, de tantas impías fortunas, contra mi honor se han conjurado tus iras. ¿Qué he de hacer? ¿Dónde he de ir? Si a mi casa determinan volver mis erradas plantas, será dar nueva mancilla a un anciano padre mío, que otro bien, otra alegría no tuvo, sino mirarse en la clara luna limpia de mi honor, que hoy, desdichado, tan torpe mancha le eclipsa. Si dejo, por su respeto y mi temor afligida, de volver a casa, dejo abierto el paso a que diga que fui cómplice en mi infamia; y, ciega e inadvertida, vengo a hacer de la inocencia acreedora a la malicia. ¡Qué mal hice, qué mal hice de escaparme fugitiva de mi hermano! ¿No valiera más que su colera altiva me diera la muerte, cuando llegó a ver la suerte mía? Llamarle quiero, que vuelva con saña más vengativa, y me dé muerte. Confusas voces el eco repita, diciendo... ¡Vuelve a matarme! Serás piadoso homicida;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO
perseguitata, assediata da tante pene, da tante ansie, da tanta malvagia fortuna, contro il mio onore cospirano le tue ire. Che mai fare? Dove andare? Se decido di rivolgere verso casa i passi erranti, sarà aggiungere un’infamia all’anziano padre mio, che altro bene, altra letizia non ebbe se non riflettersi nella luna chiara e tersa del mio onore, sventurato, che oggi turpi macchie offuscano. Se, afflitta, per suo riguardo e per timore, rifiuto di tornare a casa, lascio corso libero al sospetto che sia complice in infamia; e per imprudenza cieca contro l’innocenza un credito vengo a offrire alla malizia. Quanto, quanto male ho fatto a fuggire a precipizio da mio fratello. Non era meglio che, con ira altera, mi mettesse a morte, quando giunse a scorgere il mio stato? Voglio chiamarlo, che torni con furia vendicativa e mi dia la morte. L’eco confuse voci ripeta dicendo... PEDRO CRESPO [Dentro] Torna ad uccidermi! Sarai pietoso omicida;
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL
que no es piedad el dejar a un desdichado con vida. ¿Qué voz es ésta, que mal pronunciada y poco oída, no se deja conocer? ¡Dadme muerte, si os obliga ser piadosos! ¡Cielos, cielos! Otro la muerte apellida, otro desdichado hay, que hoy a pesar suyo viva. Mas ¿qué es lo que ven mis ojos?
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Descúbrese Crespo atado. PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL PEDRO CRESPO ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
Si piedades solicita cualquiera que aqueste monte temerosamente pisa, llegue a dar muerte... Mas ¡cielos! ¿qué es lo que mis ojos miran? Atadas atrás las manos a una rigurosa encina... Enterneciendo los cielos con las voces que apellida... ...mi padre está. ...mi hija viene. ¡Padre y señor! ¡Hija mía! Llégate, y quita estos lazos. No me atrevo; que si quitan los lazos, que te aprisionan, una vez las manos mías, no me atreveré, señor, a contarte mis desdichas, a referirte mis penas; porque, si una vez te miras con manos y sin honor,
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO
ISABEL
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ISABEL
non è pietà risparmiare a un infelice la vita. Di chi è questa voce flebile che a stento riesco a sentire, ma non posso riconoscere? Mi dia la morte chi sente compassione. Cielo! Cielo! Un altro la morte invoca, un altro misero esiste vivo contro il suo volere. Ma che vedono i miei occhi? Si scorge Pedro Crespo legato.
PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
ISABEL PEDRO CRESPO ISABEL PEDRO CRESPO
ISABEL
Se qualcuno che percorre con cautela questo monte prova qualche compassione, venga a dar la morte... Cielo, ma che scorgono i miei occhi? Con le mani avvinte al tronco di una vigorosa quercia... Pietà in cielo suscitando con le tristi invocazioni... ...c’è mio padre. ...ecco mia figlia! Signor padre! Figlia mia! Vieni, e sciogli questi lacci. Non mi arrischio, perché appena le mie mani ti sciogliessero dai lacci che ti imprigionano, più non oserei, signore, raccontarti i miei affanni, riferirti le mie pene. Perché appena ti trovassi liberato e senza onore, 1047
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA
PEDRO CRESPO
ISABEL
me darán muerte tus iras; y quiero, antes que las veas, referirte a mis fatigas. Detente, Isabel, detente. No prosigas; que desdichas, Isabel, para contarlas, no es menester referirlas. Hay muchas cosas que sepas, y es forzoso que al decirlas tu valor se irrite, y quieras vengarlas antes de oírlas. Estaba anoche gozando la seguridad tranquila, que, al abrigo de tus canas, mis años me prometían, cuando aquellos embozados traidores – que determinan que lo que el honor defiende el atrevimiento rinda – me robaron; bien así, como de los pechos quita carnicero hambriento lobo a la simple corderilla. Aquel capitán, aquel huésped ingrato, que el día primero introdujo en casa tan nunca esperada cisma de traiciones y cautelas, de pendencias y rencillas, fue el primero que en sus brazos me cogió, mientras le hacían espaldas otros traidores, que en su bandera militan. Aquese intrincado, oculto monte, que está a la salida del lugar, fue su sagrado. ¿Cuándo de la tiranía
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ISABEL
m’ucciderebbe il tuo sdegno. Prima che succeda, voglio rivelarti i miei tormenti. Basta, calmati, Isabel! Non continuare! Si intendono Isabel, le avversità; non chiedono spiegazioni. Molti fatti devi apprendere, e per forza il tuo valore ti ecciterà alla vendetta, prima di ascoltarli tutti. Ieri notte mi godevo la tranquilla sicurezza che i miei anni promettevano al riparo del tuo senno, allorché quei traditori mascherati (presumendo che conceda l’impudenza quanto l’onore rifiuta) mi rapirono, nel modo che un crudel lupo famelico strappa l’innocente agnella dalle poppe della madre. Quel capitano, quell’ospite che, dal primo giorno, ingrato, introdusse in casa nostra l’inatteso turbamento di sospetti e tradimenti, di litigi e dissapori, fu colui che a viva forza mi afferrò, mentre le spalle gli coprivano altri perfidi che la sua bandiera aduna. Questo folto, occulto monte all’uscita del villaggio gli è servito di rifugio. Quando della prepotenza 1049
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no son sagrados los montes? Aquí, ajena de mí misma dos veces me miré, cuando aun tu voz, que me seguía, me dejó, porque ya el viento a quien tus acentos fías, con la distancia, por puntos adelgazándose iba; de suerte, que las que eran antes razones distintas, no eran voces, sino ríos; luego en el viento esparcidas, no eran voces, sino ecos de unas confusas noticias; como aquel que oye un clarín, que, cuando de él se retira, le queda por mucho rato, si no el ruido, la noticia. El traidor pues, en mirando que ya nadie hay quien le siga, que ya nadie hay que me ampare, porque hasta la luna misma ocultó entre pardas sombras, o crüel o vengativa, aquella ¡ay de mí! prestada luz, que del sol participa, pretendió ¡ay de mí otra vez y otras mil! con fementidas palabras buscar disculpa a su amor. ¿A quién no admira querer de un instante a otro hacer la ofensa caricia? ¡Mal haya el hombre, mal haya el hombre que solicita por fuerza ganar un alma! Pues no advierte, pues no mira que las victorias de amor
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non sono rifugio i monti? Qui, da me stessa alienata mi vidi due volte, quando mi lasciò pur la tua voce che mi seguiva, e nel vento a cui le parole affidi, gradualmente diventava, per la distanza, più fievole; in modo tale che quelle dapprima nitide frasi non voci erano, sussurri. Poi, trascinate dal vento, non voci erano, ma l’eco di confuse risonanze; come chi ascolta uno squillo, allorché se ne allontana, gli rimane non il suono, ma la risonanza, a lungo. E il traditore, notando che nessuno più lo segue, che nessuno mi difende, poiché perfino la luna occultò fra cupe tenebre, per vendetta o cattiveria, me infelice, quella luce che partecipa del sole, mille volte ahimè infelice, pretese di scagionare con parole menzognere il suo amore. Chi non turba voler mutare in un attimo il sopruso in tenerezza? Maledetto, maledetto l’uomo che intenta carpire l’anima con la violenza! Non comprende egli, non vede che le vittorie d’amore 1051
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no hay trofeo en que consistan, sino en granjear el cariño de la hermosura que estiman; porque querer sin el alma una hermosura ofendida, es querer una belleza hermosa, pero no viva. ¡Qué ruegos, qué sentimientos, ya de humilde, ya de altiva, no le dije! Pero en vano; pues (calle aquí la voz mía), soberbio (enmudezca el llanto), atrevido (el pecho gima), descortés (lloren los ojos), fiero, (ensordezca la envidia), tirano, (falte el aliento), osado, (luto me vista)... Y si lo que la voz yerra, tal vez el acción explica, de vergüenza cubro el rostro, de empacho lloro ofendida, de rabia tuerzo las manos, el pecho rompo de ira. Entiende tú las acciones; pues no hay voces que lo digan. Baste decir que a las quejas de los vientos repetidas, en que ya no pedía al cielo socorro, sino justicia, salió el alba, y con el alba, trayendo a la luz por guía, sentí ruido entre unas ramas. Vuelvo a mirar quién sería, y veo a mi hermano. ¡Ay cielos! ¿Cuándo, cuándo, ¡ah, suerte impía llegaron a un desdichado los favores con más prisa?
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non ammettono trofei se non conquista di affetto della donna vagheggiata. Possedere senza amore una bellezza ingiuriata è bramare una bellezza attraente, ma non viva! Che preghiere, che proteste gli rivolsi, ora dimessa, ora altera, sempre invano! Egli (taccia la mia voce), altezzoso (ceda il pianto), tracotante (gema il cuore), grossolano (gli occhi piangano), crudele (stordisca l’odio), tiranno (manchi il respiro), sfrontato (il lutto mi vesta)... E se la voce tradisce, forse il gesto sarà esplicito: per vergogna copro il volto, per disagio piango offesa, per rabbia torco le mani, dall’ira il petto mi lacero. Puoi capire l’accaduto, non ho parole per dirtelo! Solo aggiungo che fra i gemiti ripetuti dalle brezze, con cui non chiedevo al cielo aiuto ormai, ma vendetta, sorse l’alba, e alla sua luce mentre mi stavo orientando, sento un rumore tra i rami. Guardo chi stia per venire, vedo mio fratello! O cielo, quando mai, destino avverso, a un infelice arrivarono i soccorsi tempestivi? 1053
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Él, a la dudosa luz que, si no alumbra, ilumina, reconoce el daño antes que ninguno se lo diga; que son linces los pesares, que penetran con la vista. Sin hablar palabra, saca el acero, que aquel día le ceñiste. El capitán, que el tardo socorro mira en mi favor, contra el suyo saca la blanca cuchilla. Cierra el uno con el otro; éste repara, aquél tira; y yo, en tanto que los dos generosamente lidian, viendo temerosa y triste, que mi hermano no sabía si tenía culpa o no, por no aventurar mi vida en la disculpa, la espalda vuelvo, y por la entretejida maleza del monte huyo; pero no con tanta prisa, que no hiciese de unas ramas intrincadas celosías; porque deseaba, señor, saber lo mismo que huía. A poco rato mi hermano dio al capitán una herida. Cayó. Quiso asegurarle, cuando los que ya venían buscando a su capitán, en su venganza se incitan. Quiere defenderse; pero viendo que era una cuadrilla, corre veloz. No le siguen,
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Egli nell’incerta luce, che rischiara e non illumina, riconosce il danno prima che qualcuno glielo dica; sono i dispiaceri linci dallo sguardo penetrante. Senza una parola, sfodera la spada che il giorno stesso tu gli hai cinto; il capitano, scorgendo il tardo soccorso in mio favore, a sua volta sguaina la lama lucente. Si scagliano con furore, l’uno attacca, l’altro para; e mentre quelli combattono vigorosamente, triste e timorosa, vedendo che mio fratello ignorava se ero innocente o colpevole, per non rischiare la vita nel discolparmi, le spalle volgo, e in mezzo all’intricata boscaglia del monte fuggo: non però con tanta fretta da non fare con i rami fitte persiane allo sguardo; perché volevo, signore, sapere e insieme fuggire. Poco dopo mio fratello ha ferito il capitano che è caduto; stava dandogli l’ultimo colpo, ma il gruppo che già veniva a cercarlo, a vendicarlo si scaglia. Juan si appresta alla difesa, poi vede che sono quattro, corre via, e non lo inseguono 1055
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porque todos determinan más acudir al remedio, que a la venganza que incitan. En brazos al capitán volvieron hacia la villa, sin mirar en su delito; Que, en las penas sucedidas, acudir determinaron primero a la más precisa. Yo, pues, que atenta miraba eslabonadas y asidas unas ansias de otras ansias, ciega, confusa y corrida, discurrí, bajé, corrí, sin luz, sin norte, sin guía, monte, llano y espesura, hasta que a tus pies rendida, antes que me des la muerte, te he contado mis desdichas. Ahora, que ya las sabes, generosamente anima contra mi vida el acero, el valor contra mi vida; que ya, para que me mates, aquestos lazos te quitan mis manos; alguno de ellos mi cuello infeliz oprima.
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Desátale y se arrodilla. Tu hija soy, sin honra estoy, y tu libre; solicita con mi muerte tu alabanza, para que de ti se diga, que, por dar vida a tu honor, diste la muerte a tu hija.
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perché più urgente ritengono organizzare il soccorso che lanciarsi alla vendetta. Sulle braccia trasportarono al villaggio il capitano trascurando il suo delitto. Fra le sventure accadute decisero di provvedere prima a quella più assillante. Io che guardavo stupita concatenarsi e congiungersi tante angosce e sofferenze, cieca, confusa, turbata corsi, scesi, andai vagando senza luce, meta o guida per monti, vallate e forre, finché ai tuoi piedi prostrata, prima che mi dia la morte, ti ho narrato le mie pene. Ora che ti sono note, incoraggia con vigore la tua spada e il tuo valore a privarmi della vita. Ora le mie mani sciolgono i tuoi lacci, e tu potrai darmi morte; uno di questi stringa il mio collo infelice. Lo slega e si inginocchia. Son tua figlia, senza onore, e tu sei libero; affretta con la mia morte il tuo elogio perché di te si ricordi che per dar vita al tuo onore hai dato morte a tua figlia.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA PEDRO CRESPO
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PEDRO CRESPO
Álzate, Isabel, del suelo; no, no estés más de rodillas; que a no haber estos sucesos que atormenten y persigan, ociosas fueran las penas, sin estimación las dichas. Para los hombres se hicieron, y es menester que se impriman con valor dentro del pecho. Isabel, vamos aprisa; demos la vuelta a mi casa; que este muchacho peligra, y hemos menester hacer diligencias exquisitas, por saber de él, y ponerle en salvo. (¡Fortuna mía, o mucha cordura o mucha cautela es ésta!) Camina. (¡Vive Dios, que si la fuerza y necesidad precisa de curarse hizo volver al capitán a la villa, que pienso que le está bien morirse de aquella herida, por excusarse de otra y otras mil, que el ansia mía no ha de parar hasta darle la muerte!) ¡Ea! vamos, hija, a nuestra casa.
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¡Oh, señor, Pedro Crespo! ¡Dadme albricias! ¿Albricias? ¿De qué, escribano?
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
Alzati in piedi, Isabel, non rimanere in ginocchio; senza questi avvenimenti che tormentano ed affliggono, sarebbe vano il dolore, di poco prezzo la gioia; sono destinati all’uomo, e opportuno è che si imprimano con vigore nel suo petto. Isabel, andiamo in fretta, facciamo ritorno a casa; è in pericolo il ragazzo e dobbiamo dedicare attenzioni straordinarie per avere sue notizie e salvarlo. (Sorte mia, questa è una grande prudenza o grande astuzia.) Affrettiamoci. (Vivaddio, se l’esigenza e il bisogno improrogabile di curarsi han ricondotto al villaggio il capitano, penso che gli converrebbe morir di quella ferita per risparmiarsene un’altra e altre mille! La mia angoscia non cesserà se la morte non gli darò). Vieni, figlia, torniamo a casa. Giunge lo Scrivano.
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Signore, Pedro Crespo, complimenti! Complimenti? Per che cosa? 1059
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA ESCRIBANO
PEDRO CRESPO
[Al Escribano]
ESCRIBANO
PEDRO CRESPO
[A Isabél]
El Concejo aqueste día os ha hecho alcalde, y tenéis para estrena de justicia dos grandes acciones hoy. La primera es la venida del Rey, que estará hoy aquí, o mañana en todo el día, según dicen; es la otra, que ahora han traído a la villa, de secreto, unos soldados a curarse con gran prisa aquel capitán, que ayer tuvo aquí su compañía. Él no dice quién le hirió; Pero, si esto se averigua, será una gran causa. (¡Cielos, cuando vengarme imagina, me hace dueño de mi honor la vara de la justicia! ¿Cómo podré delinquir yo, si en esta hora misma me ponen a mí por juez, para que otros no delincan? Pero cosas como aquestas no se ven con tanta prisa.) En extremo agradecido estoy a quien solicita honrarme. Vení a la casa del Concejo, y, recibida la posesión de la vara, haréis en la causa misma averiguaciones. Vamos. A tu casa te retira.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO SCRIVANO
PEDRO CRESPO
[Allo Scrivano]
SCRIVANO
PEDRO CRESPO
[A Isabel]
La Giunta vi ha nominato oggi giudice, e dovete inaugurare l’incarico con due notevoli eventi. Uno è che il re sta arrivando oggi stesso, a quanto dicono, o al più tardi entro domani; l’altro è che hanno ricondotto segretamente i soldati nel villaggio, or non è molto, per curarlo in tutta fretta quel capitano che ieri portò qui la compagnia. Non dice chi l’ha ferito, ma se si scopre, che grande processo avrà inizio! (Cielo, ero spinto alla vendetta e ora mi rende l’onore la mazza del magistrato! Che delitto potrei compiere, se in questo stesso momento per giudice mi hanno eletto, perché altri non ne commettano? Ma faccende come queste non si risolvono in fretta.) Sono estremamente grato a chi con sollecitudine mi onora. Andiamo alla sede del Consiglio, e ricevuta la mazza del vostro ufficio, inizierete l’inchiesta processuale. Andiamo presto. E tu ritirati in casa!
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PEDRO CRESPO
(¡Duélase el cielo de mí!) Yo he de acompañarte. Hija, ya tenéis el padre alcalde, él os guardará justicia.
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Vanse. Salen don Álvaro con banda, como herido, y el Sargento. DON ÁLVARO
SARGENTO
DON ÁLVARO
SARGENTO DON ÁLVARO
Pues la herida no era nada, ¿por qué me hicisteis volver aquí? ¿Quién pudo saber lo que era, antes de curada? Ya la cura prevenida, hemos de considerar, que no es bien aventurar hoy la vida por la herida. ¿No fuera mucho peor, que te hubieras desangrado? Puesto que ya estoy curado, detenernos será error. Vámonos, antes que corra voz de que estamos aquí. ¿Están ahí los otros? Sí. Pues la fuga nos socorra del riesgo de estos villanos, que, si se llega a saber que estoy aquí, habrá de ser fuerza apelar a las manos.
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Sale Rebolledo. REBOLLEDO DON ÁLVARO
La justicia aquí se ha entrado. ¿Qué tiene que ver conmigo justicia ordinaria?
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PEDRO CRESPO
(Abbia il cielo compassione). Io dovrei seguirti. Figlia, oramai tuo padre è giudice e saprà farti giustizia. Escono. Entrano don Álvaro, bendato, e il Sergente.
DON ÁLVARO
SERGENTE
DON ÁLVARO
SERGENTE DON ÁLVARO
La ferita era da nulla, perché mi hai fatto tornare indietro? E chi lo sapeva, prima che fosse curata? Una volta medicata, possiamo considerare se ora convenga rischiare la vita per la ferita. Non sarebbe stato peggio se ti fossi dissanguato? Se ormai mi hanno medicato, fermarsi sarebbe errore. Andiamo, prima che corra voce della mia presenza. Ci sono gli altri? Ci sono! Che la fuga ci sottragga al furore dei villani; se si venisse a sapere che qui stiamo, inevitabile sarebbe menar le mani. Entra Rebolledo.
REBOLLEDO DON ÁLVARO
Hanno nominato un giudice. Può un tribunale locale riguardarmi? 1063
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA REBOLLEDO
DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO PEDRO CRESPO
[Dentro]
Digo, que ahora hasta aquí ha llegado. Nada me puede a mí estar mejor, llegando a saber que estoy aquí, y no temer a la gente del lugar; que la justicia, es forzoso remitirme en esta tierra a mi consejo de guerra; con que, aunque el lance es penoso, tengo mi seguridad. Sin duda se ha querellado el villano. Eso he pensado. Todas las puertas tomad, y no me salga de aquí soldado que aquí estuviere; y al que salirse quisiere, matadle.
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Salen Pedro Crespo con vara, el Escribano, y los que puedan. DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
Pues ¿cómo así entráis? Mas... ¡qué es lo que veo! ¿Cómo no? A mi parecer, la justicia ¿ha menester más licencia? A lo que creo, la justicia, cuando vos de ayer acá lo seáis, no tiene, si lo miráis, que ver conmigo. Por Dios, señor, que no os alteréis; que sólo a una diligencia vengo, con vuestra licencia,
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DON ÁLVARO
REBOLLEDO
DON ÁLVARO PEDRO CRESPO
[Dentro]
Ma ti dico che anche qui l’hanno istituito. Niente di meglio poteva capitarmi; se si avverte che sono qui, più non temo gli abitanti del villaggio! Il tribunale locale dovrà certo consegnarmi al consiglio militare; la situazione è penosa, ma mi sento più sicuro. Senza dubbio quel villano si è querelato. Lo penso. Bloccate tutte le porte, sicché neppure un soldato qui presente possa uscire; e chi volesse fuggire, uccidetelo!
Entrano Pedro Crespo, con la mazza della giustizia, lo Scrivano, e alcuni contadini. DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO
Qui entrare voi osate? Ma... che vedo?) Perché no? Pensate forse che un giudice abbia bisogno di un permesso? A ben riflettere, un giudice – se da ieri voi qui lo rappresentate – non ha, penso, a che vedere con me nulla. Vivaddio, non sdegnatevi, signore; per un’inchiesta soltanto vengo, con vostra licenza; 1065
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA
DON ÁLVARO
aquí, y que solo os quedéis importa. Salíos de aquí.
[A los soldados] PEDRO CRESPO
[Al Escribano] ESCRIBANO
Salíos vosotros también. Con esos soldados ten gran cuidado. Harélo así.
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Vanse. PEDRO CRESPO
Ya que yo, como justicia, me valí de su respeto, para obligaros a oírme, la vara a esta parte dejo, y como un hombre no más deciros mis penas quiero.
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Arrima la vara. Y puesto que estamos solos, señor don Álvaro, hablemos mas claramente los dos, sin que tantos sentimientos, como vienen encerrados en las cárceles del pecho, acierten a quebrantar las prisiones del silencio. Yo soy un hombre de bien; que a escoger mi nacimiento, no dejara, es Dios testigo, un escrúpulo, un defeto en mí, que suplir pudiera la ambición de mi deseo. Siempre acá, entre mis iguales, me he tratado con respeto.
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e che rimaniamo soli è importante. DON ÁLVARO [Ai soldati] Andate fuori. PEDRO CRESPO Ritiratevi anche voi! [Allo Scrivano] Tu non perdere di vista quei soldati. SCRIVANO Starò attento. Si allontanano. PEDRO CRESPO
Mi son valso del rispetto che si deve alla giustizia per costringervi ad udirmi; ma la mazza ora depongo, e da uomo ad uomo intendo riferirvi le mie pene. Depone la mazza della giustizia. Poiché siamo noi due soli, signor don Alvaro, quieti discorriamo, e non lasciamo che tanti risentimenti, fino ad ora imprigionati dentro al carcere del cuore, ottengano di spezzare le catene del silenzio! Io sono un uomo per bene: se la mia nascita avessi deciso – lo attesti Iddio –, non avrei lasciato scrupoli o difetti, che accettasse l’ambiziosa mia premura. Sempre qui, fra i miei consimili, ho meritato il rispetto;
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De mí hacen estimación el Cabildo y el Concejo. Tengo muy bastante hacienda, porque no hay, gracias al cielo, otro labrador más rico en todos aquestos pueblos de la comarca. Mi hija se ha criado, a lo que pienso, con la mejor opinión, virtud y recogimiento del mundo. Tal madre tuvo, ¡téngala Dios en el cielo! Bien pienso que bastará, señor, para abono de esto, el ser rico, y no haber quien me murmure; ser modesto, y no haber quien me baldone; y mayormente, viviendo en un lugar corto, donde otra falta no tenemos más que decir unos de otros las faltas y los defetos. ¡Y pluguiera a Dios, señor, que se quedara en saberlos! Si es muy hermosa mi hija, díganlo vuestros extremos... aunque pudiera, al decirlos, con mayores sentimientos llorar. Señor, ya esto fue mi desdicha. No apuremos toda la ponzoña al vaso; quédese algo al sufrimiento. No hemos de dejar, señor, salirse con todo al tiempo; algo hemos de hacer nosotros para encubrir sus defetos. Éste ya veis si es bien grande,
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e mi stimano il Capitolo e il Consiglio. Grazie al cielo un patrimonio possiedo consistente, e non esiste agricoltore più ricco in tutti questi villaggi della comarca. Mia figlia fu educata – a quanto penso – con la migliore opinione, onestà e riservatezza del mondo, grazie a sua madre (Dio l’accolga in paradiso). Basterà, penso, signore, a garanzia del mio stato ch’io sia ricco e che nessuno di me sparli; ch’io sia semplice e che nessuno mi oltraggi; tanto più che noi viviamo in un piccolo villaggio, senza avere altro difetto che scovare gli uni agli altri i difetti e le mancanze. E piacesse a Dio, signore, che ci bastasse conoscerli! Se mia figlia è molto bella i vostri eccessi lo attestino! Ma se voi lo dichiarate, potrei piangere con lagrime più cocenti; questa è ormai la mia disgrazia, signore. Non vuotiamo tutto il calice! Resti un margine al tormento. Non lasceremo, signore, che ponga rimedio il tempo; dobbiamo fare qualcosa per coprirne le brutture. Questa, vedete se è immensa, 1069
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pues aunque encubrirle quiero, no puedo; que sabe Dios, que a poder estar secreto y sepultado en mi mismo, no viniera a lo que vengo; que todo esto remitiera, por no hablar, al sufrimiento. Deseando, pues, remediar agravio tan manifiesto, buscar remedio a mi afrenta, es venganza, no es remedio; y vagando de uno en otro, uno solamente advierto, que a mí me está bien y a vos no mal; y es, que desde luego os toméis toda mi hacienda, sin que para mi sustento ni el de mi hijo, a quien yo traeré a echar a los pies vuestros, reserve un maravedí, sino quedarnos pidiendo limosna, cuando no haya otro camino, otro medio con que poder sustentarnos. Y si queréis desde luego poner una S y un clavo hoy a los dos y vendernos, será aquesta cantidad más del dote que os ofrezco. Restaurad una opinión, que habéis quitado. No creo, que desluzcáis vuestro honor, porque los merecimientos, que vuestros hijos, señor, perdieren, por ser mis nietos, ganarán con más ventaja, señor, con ser hijos vuestros.
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poiché non riesco a coprirla, pur volendo; lo sa Iddio che se rimanesse occulta e sepolta nel mio cuore non farei quanto ora faccio; pur di non parlarne, avrei lasciato tutto al dolore. Se ora intendo riparare un affronto manifesto, il castigo del mio oltraggio è vendetta, non rimedio; e pensando e ripensando, trovo solo una proposta che per me sia dignitosa e per voi non troppo misera: ogni mio avere vi cedo, senza riservare un soldo per il mio mantenimento o per quello di mio figlio (che prostrato ai vostri piedi vi trarrò), pur se dovessimo, in mancanza d’altra scelta, mendicare il necessario per potere sopravvivere. Se poi oggi voi voleste su entrambi imprimere il marchio degli schiavi, per poi venderci, aggiungete il ricavato alla dote che vi cedo. Restituiteci l’onore defraudato. Il vostro titolo non ritengo che si offuschi, poiché i meriti, signore, che potranno i vostri figli, come miei nipoti, perdere, come figli vostri, meglio li verranno a riacquistare. 1071
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En Castilla, el refrán dice, que el caballo – y es lo cierto – lleva la silla. Mirad,
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Híncase de rodillas.
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO DON ÁLVARO
que a vuestros pies os lo ruego de rodillas y llorando sobre estas canas que el pecho, viendo nieve y agua, piensa, que se me están derritiendo. ¿Qué os pido? Un honor os pido, que me quitasteis vos mesmo; y con ser mío, parece, según os lo estoy pidiendo con humildad, que no os pido lo que es mío, sino vuestro. Mirad, que puedo tomarle por mis manos, y no quiero, sino que vos me lo deis. (¡Ya me falta el sufrimiento!) Viejo cansado y prolijo, agradeced que no os doy la muerte a mis manos hoy, por vos y por vuestro hijo; porque quiero que debáis no andar con vos más cruel a la beldad de Isabel. Si vengar solicitáis por armas vuestra opinión, poco tengo que temer; si por justicia ha de ser, no tenéis jurisdicción. ¿Que en fin no os mueve mi llanto? Llantos no se han de creer de viejo, nino y mujer.
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Il cavallo, a quanto afferma un proverbio, e questo è certo, porta, in Castiglia, la sella. Si inginocchia.
DON ÁLVARO
PEDRO CRESPO DON ÁLVARO
Vedete, mi prostro in lagrime ai vostri piedi e vi supplico per le canizie che il petto pensa, al vedere acqua e neve, che mi si stanno sciogliendo. Che vi chiedo? Quell’onore che voi stesso mi rapiste; mi appartiene, e induce a credere l’umiltà con cui lo imploro, che vi chieda qualche cosa che appartenga invece a voi. Badate, posso riprenderlo con le mie mani, e non voglio: voi me lo dovete rendere. (Ho esaurito la pazienza!) Vecchio molesto e prolisso, ringraziatemi se adesso non vi do con le mie mani la morte, e anche a vostro figlio; e dovrete alla bellezza d’Isabel se ora mi astengo da maggiore spietatezza; se in un duello immaginaste di riscattare l’onore, non ho molto da temere; se in tribunale, vi manca la competenza giuridica. Non vi commuove il mio pianto? Pianto di vecchio, bambino, o donna non è credibile.
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¿Que no pueda dolor tanto mereceros un consuelo? ¿Qué mas consuelo queréis, pues con la vida volvéis? Mirad que, echado en el suelo, mi honor a voces os pido. ¡Qué enfado! Mirad que soy alcalde en Zalamea hoy. Sobre mí no habéis tenido jurisdicción. El consejo de guerra enviará por mí. ¿En eso os resolvéis? Sí, caduco y cansado viejo. ¿No hay remedio? El de callar es el mejor para vos. ¿No otro? No. Juro a Dios
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Levántase y toma la vara. que me lo habéis de pagar! ¡Hola! Salen el Escribano y los villanos. ESCRIBANO DON ÁLVARO
ESCRIBANO PEDRO CRESPO
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¿Señor? (¿Qué querrán estos villanos hacer?) ¿Qué es lo que manda? Prender mando al señor capitán. ¡Buenos son vuestros extremos! Con un hombre como yo,
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Un dolore così intenso qualche conforto non merita? Che altro conforto chiedete poiché in vita rimarrete? Inginocchiato, guardate, v’imploro per il mio onore. Che noia! Badate, sono il giudice di Zalamea. La vostra giurisdizione non mi concerne; mi attende il consiglio militare. Questo decidete? Certo, vecchio uggioso e vacillante! Non c’è rimedio? È tacere quanto vi conviene fare. Niente altro? No! Giuro a Dio Si alza ed impugna la mazza. che ve la farò pagare. Ehilà! Entrano lo Scrivano e vari contadini.
SCRIVANO DON ÁLVARO
SCRIVANO PEDRO CRESPO
DON ÁLVARO
Signore! (Che vogliono combinare quei bifolchi?) Che ordinate? Vi comando di arrestare il capitano. Non sopporto questi eccessi. Con un uomo del mio rango, 1075
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[Al Escribano]
[A don Álvaro]
en servicio del Rey, no se puede hacer. Probaremos. De aquí, si no es preso o muerto, no saldréis. Yo os apercibo que soy un capitán vivo. ¿Soy yo acaso alcalde muerto? Daos al instante a prisión. (No me puedo defender, fuerza es dejarme prender.) Al Rey de esta sinrazón me quejaré. Yo también de esa otra; y aun bien que está cerca de aquí, y nos oirá a los dos. Dejar es bien esa espada. No es razón que... ¿Cómo no, si vais preso? Tratad con respeto. Eso está muy puesto en razón. Con respeto le llevad a las casas, en efeto, del Concejo; y con respeto un par de grillos le echad y una cadena; y tened, con respeto, gran cuidado, que no hable a ningún soldado. Y a todos también poned en la cárcel, que es razón, y aparte, porque después, con respeto, a todos tres les tomen la confesión. Y aquí, para entre los dos,
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[Allo Scrivano]
[A don Álvaro]
ufficiale di carriera, non è lecito! Vedremo! Solo prigioniero o morto ne uscirete. Attento. Sono un capitano in servizio! Ed io, un giudice a riposo? Arrendetevi all’istante. (Poiché non posso resistere, devo lasciarmi arrestare.) Al re voglio fare appello per quest’infamia. Ed anch’io per quell’altra; sta per giungere, e potrà sentirci entrambi! Sarà bene consegnare quella spada. Non è giusto! Come no, se io vi arresto? Trattatemi con rispetto. Ciò mi sembra proprio giusto. Con rispetto trasferitelo alla sede del Consiglio, e con rispetto bloccatelo con due ceppi e una catena; e fate molta attenzione, con rispetto, che non parli ad alcun soldato; in carcere gettate anche tutti gli altri! Mi sembra giusto; e teneteli separati, poiché presto tutti e tre saranno indotti, con rispetto, a confessare. E sia detto qui tra noi,
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si hallo harto paño, en efeto, con muchísimo respeto, os he de ahorcar, juro a Dios!) ¡Ah, villanos con poder!
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Llévanle preso. Vanse. Salen Rebolledo, la «Chispa» y el Escribano. ESCRIBANO
PEDRO CRESPO
REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
REBOLLEDO PEDRO CRESPO REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
«CHISPA»
PEDRO CRESPO
«CHISPA» PEDRO CRESPO
Este paje, este soldado, son a los que mi cuidado sólo ha podido prender; que otro se puso en huida. Éste el pícaro es que canta. Con un paso de garganta no ha de hacer otro en su vida. Pues ¿qué delito es, señor, el cantar? Que es virtud siento, y tanto, que un instrumento tengo en que cantéis mejor. Resolveos a decir... ¿Qué? ...cuanto anoche pasó... Tu hija, mejor que yo, lo sabe. ...o has de morir. Rebolledo, determina negarlo punto por punto; serás, si niegas, asunto para una jacarandina, que cantaré. A vos, después, ¿quién otra os ha de cantar? A mí no me pueden dar tormento. Sepamos, pues, ¿por qué?
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se trovo tutte le prove, per Dio, vi faccio impiccare con moltissimo rispetto. Ah, i bifolchi ora comandano!
DON ÁLVARO
Escono e lo portano in prigione. Rientra lo Scrivano, con Rebolledo e la «Chispa». SCRIVANO
PEDRO CRESPO
REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
REBOLLEDO PEDRO CRESPO REBOLLEDO
PEDRO CRESPO
«CHISPA»
PEDRO CRESPO
«CHISPA» PEDRO CRESPO
Solo un paggio ed un soldato, malgrado la mia solerzia sono riuscito a arrestare; un altro, invece, è scappato. È il briccone canterino; con un trillo a gola tesa porrà fine alla carriera. Forse cantare è un delitto signore? Anzi, credo, un merito; tanto più che ho uno strumento su cui meglio canterete. Dite in fretta... Ma, che cosa? Quanto avvenne questa notte... Meglio di me lo sa certo vostra figlia! ...o morirete. Rebolledo, abbi il coraggio di negare ogni tua colpa. E se neghi, il personaggio diverrai d’uno stornello che ti canterò. Ma poi chi stornellerà di voi? Quanto a me, non posso espormi a torture. Questa è bella! Perché mai? 1079
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«CHISPA» PEDRO CRESPO
«CHISPA» PEDRO CRESPO
«CHISPA» PEDRO CRESPO
«CHISPA» PEDRO CRESPO
«CHISPA»
PEDRO CRESPO
«CHISPA»
[Canta] REBOLLEDO
Esto es cosa asentada, y que no hay ley que tal mande. ¿Qué causa tenéis? Bien grande. Decid, ¿cuál? Estoy preñada. ¿Hay cosa más atrevida? Mas la cólera me inquieta. ¿No sois paje de jineta? No, señor, sino de brida. Resolveos a decir vuestros dichos. Sí diremos, y aún más de lo que sabemos; que peor será morir. Eso excusará a los dos del tormento. Si es así, pues para cantar nací, he de cantar, vive Dios. ¡Tormento me quieren dar! Y ¿qué quieren darme a mí?
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[Canta] PEDRO CRESPO
«CHISPA»
¿Qué hacéis? Templar desde aquí, pues que vamos a cantar.
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Vanse. Sale Juan. JUAN
Desde que al traidor herí en el monte, desde que riñendo con él, porque llegaron tantos, volví la espalda, el monte he corrido, la espesura he penetrado, y a mi hermana no he encontrado.
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«CHISPA»
È antica usanza. Non c’è legge che le ammetta. PEDRO CRESPO Per che motivo? «CHISPA» Ben grave! PEDRO CRESPO Dite, quale? «CHISPA» Sono gravida. PEDRO CRESPO Quale replica sfrontata! Mi travolge ora la collera. Non siete paggio da lancia? «CHISPA» Nossignore, ma da briglia. PEDRO CRESPO Decidetevi a deporre la vostra testimonianza! «CHISPA» Sì, diremo tutto quello che sappiamo, ed altro ancora; sarebbe peggio morire. PEDRO CRESPO Questo vi farà scampare al supplizio. «CHISPA» In questo caso, poiché nacqui per cantare, canterò, m’aiuti Iddio: [Canta] Un tormento mi daranno! REBOLLEDO [Canta] E a me cosa mai faranno? PEDRO CRESPO Cosa fate? «CHISPA» Ora intoniamo, visto che poi canteremo. Escono. Entra Juan. JUAN
Quel traditore ho ferito, affrontandolo nel bosco, ma quando in tanti arrivarono sono fuggito; ho percorso tutto il monte, ho perlustrato le sue forre e inutilmente vi ho cercato mia sorella.
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En efeto, me he atrevido a venirme hasta el lugar, y entrar dentro de mi casa, donde todo lo que pasa a mi padre he de contar. Veré lo que me aconseja que haga, ¡cielos!, en favor de mi vida y de mi honor.
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Salen Isabel e Inés. INÉS
ISABEL
JUAN
Tanto sentimiento deja; que vivir tan afligida, no es vivir, matarte es. Pues ¿quién te ha dicho ¡ay Inés! que no aborrezco la vida? Diré a mi padre... ¡Ay de mi! ¿No es ésta Isabel? Es llano, pues ¿qué espero?
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Saca la daga. INÉS ISABEL
JUAN
ISABEL JUAN
¡Primo! ¡Hermano! ¿Qué intentas? Vengar así la ocasión, en que hoy has puesto mi vida y mi honor. ¡Advierte!... Tengo de darte la muerte, ¡viven los cielos!
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Sale Pedro Crespo con unos labradores. PEDRO CRESPO
¿Qué es esto?
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E pertanto ho corso il rischio di rientrare nel villaggio e di ritornare a casa per descrivere a mio padre tutto quanto è capitato. Vedrò ciò che mi consiglia, o cielo, perché difenda la mia vita ed il mio onore. Entrano Isabel e Inés. INÉS
ISABEL
JUAN
Ora calma la tua angoscia; vivere tanto attristata non è vivere, ma uccidersi. Inés, ahimè, chi ti dice che ormai non odio la vita? Dirò a mio padre... oh, me misero, non è Isabel? Proprio lei! Che attendo allora? Sguaina la spada.
INÉS ISABEL
JUAN
ISABEL JUAN
Cugino! Fratello! Che cosa intendi farmi? Vendicare l’onta di cui oggi mi hai macchiato vita e onore. Tieni a mente... Ti devo dare la morte, per Dio! Entrano Pedro Crespo e alcuni contadini.
PEDRO CRESPO
Che cosa succede?
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Es satisfacer, señor, una injuria, y es vengar una ofensa, y castigar... PEDRO CRESPO Basta, basta; que es error que os atreváis a venir... JUAN (¿Qué es lo que mirando estoy?) PEDRO CRESPO ...delante así de mí hoy, acabando ahora de herir en el monte un capitán. JUAN Señor, si le hice esa ofensa, que fue en honrada defensa de tu honor... PEDRO CRESPO ¡Ea, basta, Juan! [A los labradores] ¡Hola! ¡Llevadle también preso! JUAN ¿A tu hijo, señor, tratas con tanto rigor? PEDRO CRESPO Y aun a mi padre también con tal rigor le tratara. (Aquesto es asegurar su vida, y han de pensar, que es la justicia más rara del mundo.) JUAN Escucha por qué, habiendo un traidor herido, a mi hermana he pretendido matar también... PEDRO CRESPO Ya lo sé. Pero no basta sabello yo como yo; que ha de ser como alcalde, y he de hacer información sobre ello; y hasta que conste qué culpa te resulta del proceso, tengo de tenerte preso. (Yo le hallaré la disculpa.) JUAN
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PEDRO CRESPO
JUAN PEDRO CRESPO
JUAN
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[Ai contadini] JUAN
PEDRO CRESPO
JUAN
PEDRO CRESPO
Devo punire, signore, un’ingiuria, vendicare un’offesa, castigare... Basta, calmati! è un errore che tu osi comparire... (Ma che cosa sto scoprendo?) ...al mio cospetto, quest’oggi, poco dopo aver ferito nella selva un capitano! Se gli ho cagionato offesa, fu per la degna difesa del tuo onore... Juan, basta! Orsù, portate in prigione anche lui! Con tanta asprezza tratti tuo figlio, signore? Tratterei anche mio padre con altrettanto rigore. (Voglio solo tutelare la sua vita, e verrà inteso come esempio di giustizia straordinaria.) Sappi almeno perché, ferito un fellone, ho tentato anche di uccidere mia sorella. Già lo intendo. Ma non basta che lo sappia di persona; come giudice devo chiarirlo, e appurarlo con una inchiesta sui fatti. Fino a quando non risulti dal processo la tua colpa, devo metterti agli arresti. (Saprò certo scagionarti.)
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Nadie entender solicita tu fin, pues, sin honra ya, prendes a quien te la da, guardando a quien te la quita.
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Llévanle preso. PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
Isabel, entra a firmar esta querella, que has dado contra aquel que te ha injuriado. ¿Tú, que quisiste ocultar nuestra ofensa, eres ahora quien más trata publicarla? Pues no consigues vengarla, consigue el callarla ahora. No; ya que, como quisiera, me quita esta obligación satisfacer mi opinión, ha de ser de esta manera.
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Vase Isabel. Inés, pon ahí esa vara; pues que por bien no ha querido ver el caso concluido, querrá por mal. DON LOPE [Dentro] ¡Para, para! PEDRO CRESPO ¿Qué es aquesto? ¿Quién, quien hoy se apea en mi casa así? Pero ¿quién se ha entrado aquí?
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Sale don Lope. DON LOPE
¡Oh Pero Crespo! Yo soy, que, volviendo a este lugar de la mitad del camino, donde me trae – imagino –
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Non si riesce ad afferrare con che scopo metti in carcere chi ti ridona l’onore, salvando chi te lo ha tolto. Viene portato in prigione.
PEDRO CRESPO
ISABEL
PEDRO CRESPO
Vieni, Isabel, a firmare la denuncia presentata contro chi ti ha reso oltraggio. Tu che volevi celare l’onta ricevuta, adesso la vorresti pubblicare? Se non riesci a vendicarla, cerca almeno di occultarla. No! Questi obblighi mi vietano di dare soddisfazione, come vorrei, al mio onore; la otterrò con altri metodi. Isabel si allontana.
Inés, metti qui la mazza. Se non vuole sistemare con le buone la questione, si ricorra alle cattive! DON LOPE [Dentro] Ferma, ferma! PEDRO CRESPO Che succede? Chi si arresta alla mia porta? Chi sta entrando in questo modo? Entra don Lope de Figueroa. DON LOPE
Oh, Pedro Crespo, son io! Giunto a metà del cammino, faccio ritorno al villaggio per un affare, suppongo, 1087
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un grandísimo pesar, no era bien ir a apearme a otra parte, siendo vos tan mi amigo. ¡Guárdeos Dios! que siempre tratáis de honrarme. Vuestro hijo no ha parecido por allá. Presto sabréis la ocasión. La que tenéis, señor, de haberos venido, me haced merced de contar; que venís mortal, señor. La desvergüenza es mayor, que se puede imaginar. Es el mayor desatino, que hombre ninguno intentó. Un soldado me alcanzó, y me dijo en el camino... ¡Que estoy perdido, os confieso, de colera! Proseguí. que un alcaldillo de aquí al capitán tiene preso. Y ¡voto a Dios! no he sentido en toda aquesta jornada esta pierna excomulgada, sino es hoy, que me ha impedido el haber antes llegado donde el castigo le dé. ¡Voto a Jesucristo, que al grande desvergonzado a palos le he de matar! Pues habéis venido en balde; porque pienso que el alcalde no se los dejará dar.
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sommamente fastidioso. Non era bene che altrove mi fermassi, tanto amico mi siete. Vi aiuti Iddio. Volete sempre onorarmi. Non s’è visto vostro figlio dove stavo. Molto presto vi dirò il motivo. Siate tanto cortese, signore, da dirmi per che ragione così stravolto arrivate. E la più grave vergogna che si possa immaginare, la più assurda aberrazione che un uomo abbia mai commesso. Un soldato mi ha raggiunto nel tragitto e mi ha avvisato... Sto scoppiando, vi confesso, dalla rabbia!... Continuate. ... che qui un giudice paesano ha arrestato il capitano. E, per Dio!, non ho patito in tutta la spedizione per questa gamba dannata quanto oggi, che mi ha impedito di arrivare più spedito per infliggergli il castigo. Per Gesù Cristo, prometto di massacrare a legnate quel villano spudorato! Siete giunto, allora, invano, perché penso che quel giudice non permetterà di dargliele.
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Pues dárselos sin que deje dárselos. Malo lo veo; ni que haya en el mundo, creo, quien tan mal os aconseje. ¿Sabéis por qué le prendió? No; mas sea lo que fuere, justicia la parte espere de mí; que también sé yo degollar, si es necesario. Vos no debéis de alcanzar, señor, lo que en un lugar es un alcalde ordinario. ¿Será más de un villanote? Un villanote será, que, si cabezudo da en que ha de darle garrote, ¡par Dios!, se salga con ello. No se saldrá tal, ¡par Dios! Y si por ventura vos, si sale o no, queréis vello, decidme do vive o no. Bien cerca vive de aquí. Pues a decirme vení quién es el alcalde. Yo. ¡Voto a Dios, que lo sospecho! ¡Voto a Dios, como os lo he dicho! Pues, Crespo, lo dicho dicho. Pues, señor, lo hecho hecho. Yo por el preso he venido, y a castigar este exceso. Yo acá le tengo preso por lo que acá ha sucedido. ¿Vos sabéis que a servir pasa al Rey, y soy su juez yo?
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Gliele daremo, per quanto non voglia! Lo metto in dubbio; nessuno al mondo potrebbe consigliarvi tanto male. Sapete perché è in prigione? Non lo so! Ma in ogni modo la parte in causa si attenda da me giustizia; se è il caso, faccio anch’io decapitare. Non riuscite forse a intendere, signore, che cosa è un giudice nominato in un villaggio. Conterà più di un bifolco? Un bifolco che, se in testa sì è ficcato di dovere condannarlo alla garrotta, saprà spuntarla, per Dio! Non la spunterà, per Dio! E se per caso voleste constatare se vi riesce, ditemi dove trovarlo. Si trova molto vicino. Mi dovete dunque dire chi è quel giudice. Io sono. Vivaddio, lo immaginavo. Vivaddio, ve l’ho pur detto. Quel che è detto, è detto, Crespo! E quel che è fatto, signore, è fatto. Voglio il recluso, e castigare l’abuso. Io qui lo tengo in prigione per quello che qui ha commesso. Sapete che egli è al servizio del re, e che sono il suo giudice? 1091
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¿Vos sabéis que me robó a mi hija de mi casa? ¿Vos sabéis que mi valor dueño de esta causa ha sido? ¿Vos sabéis cómo atrevido robó en un monte mi honor? ¿Vos sabéis cuánto os prefiere el cargo que he gobernado? ¿Vos sabéis que le he rogado con la paz, y no la quiere? Que os entráis, no es bien se arguya, en otra jurisdicción. Él se me entró en mi opinión, sin ser jurisdicción suya. Yo os sabré satisfacer, obligándome a la paga. Jamás pedí a nadie, que haga lo que yo me pueda hacer. Yo me he de llevar el preso; ya estoy en ello empeñado. Yo por acá he sustanciado el proceso. ¿Qué es proceso? Unos pliegos de papel, que voy juntando, en razón de hacer la averiguación de la causa. Iré por él a la cárcel. No embarazo que vais; sólo se repare, que hay orden que al que llegare le den un arcabuzazo. Como a esas balas estoy enseñado yo a esperar... (Mas no se ha de aventurar
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Sapete che egli ha rapito dalla mia casa mia figlia? Sapete che il mio mandato mi riserva questa causa? Sapete come in un bosco osò togliermi l’onore? Sapete quanto vi supera la carica che rivesto? Sapete che l’ho implorato e che ogni accordo rifiuta? Si deduce che invadete la giurisdizione altrui. Il mio onore lui mi ha invaso, giurisdizione non sua. Io saprò farvi giustizia, garantendo l’indennizzo. A nessuno ho mai richiesto ciò che io stesso posso fare. Preleverò il prigioniero; questo è l’impegno che ho assunto. Qui peraltro ho già istituito il processo. Che processo? Qualche plico di scritture che ho messo insieme allo scopo di sviluppare le indagini sulla causa. Andrò a cercarlo alla prigione. Che andiate non v’impedisco. Si sappia che ho ordinato di respingere con gli archibugi ogni intruso. Poiché sono avvezzo ormai a affrontare le pallottole... (Ma non si deve rischiare
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nada en el acción de hoy.) ¡Hola, soldado! Sale un Soldado.
SOLDADO
1°
DON LOPE
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Id volando, y a todas las compañías, que alojadas estos días han estado, y van marchando, decid que, bien ordenadas, lleguen aquí en escuadrones, con balas en los cañones, y con las cuerdas caladas. No fue menester llamar la gente; que habiendo oído aquesto que ha sucedido, se ha entrado en el lugar. Pues ¡voto a Dios! que he de ver, si me dan el preso o no. Pues ¡voto a Dios! que antes yo haré lo que se ha de hacer.
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Éntranse. Tocan cajas, y dicen dentro. DON LOPE
ESCRIBANO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Ésta es la cárcel, soldados, adonde está el capitán. Si no os le dan, al momento, poned fuego y la abrasad. Y si se pone en defensa el lugar, todo el lugar. Ya, aunque rompan la cárcel no le darán libertad. ¡Mueran aquestos villanos! ¿Que mueran? Pues ¿qué? No hay más?
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oggi nulla in questa azione.) Ehi, soldato! Entra un soldato.
SOLDATO
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PEDRO CRESPO
Va’ di corsa, e tutte le compagnie che erano qui alloggiate giorni addietro, e sono in marcia, avverti che qui ritornino in ordinati squadroni, con le pallottole in canna e le micce predisposte. Non occorre richiamare le truppe; appena informate di quello che è capitato, sono entrate nel villaggio. Vivaddio, voglio vedere se il recluso mi consegnano. Vivaddio, voglio eseguire quello che si deve compiere. Escono. Fuori rullano i tamburi e si sente gridare.
DON LOPE
SCRIVANO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Ecco il carcere, soldati, dove è chiuso il capitano. Se non lo sciolgono subito, incendiate l’edificio, e se il villaggio si oppone, date fuoco anche al villaggio. Se anche il carcere bruciassero libertà non gli darebbero! Che muoiano, quei bifolchi! Che muoiano? E che? Niente altro?
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Socorro les ha venido. ¡Romped la cárcel, llegad, romped la puerta!
Sale el Rey [y don Lope, los soldados, Pedro Crespo y los villanos]. Todos se descubren. FELIPE SEGUNDO
DON LOPE
FELIPE SEGUNDO DON LOPE
FELIPE SEGUNDO PEDRO CRESPO FELIPE SEGUNDO PEDRO CRESPO
DON LOPE
¿Qué es esto? Pues ¿de esta manera estáis, viniendo yo? Ésta es, señor, la mayor temeridad de un villano, que vio el mundo. Y ¡vive Dios! que a no entrar en el lugar tan a prisa, señor, Vuestra Majestad, que había de hallar luminarias puestas por todo el lugar. ¿Qué ha sucedido? Un alcalde ha prendido un capitán, y viniendo yo por él no le quieren entregar. ¿Quién es el alcalde? Yo. ¿Y qué disculpa me dais? Este proceso, en que bien probado el delito está, digno de muerte, por ser una doncella robar, forzarla en un despoblado, y no quererse casar con ella, habiendo su padre rogádole con la paz. Éste es el alcalde, y es su padre.
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Han ricevuto rinforzi! Sfondate il carcere! Dagli! Giù la porta!
Entrano il Re [, don Lope con i soldati, Pedro Crespo con i contadini]. Tutti si scoprono il capo. FILIPPO II
DON LOPE
FILIPPO II DON LOPE
FILIPPO II PEDRO CRESPO FILIPPO II PEDRO CRESPO
DON LOPE
Che succede? È questo il modo di agire quando arrivo? Sire, è questa l’insolenza più sfrontata che un villano abbia compiuto. Se Vostra Maestà soltanto fosse giunta meno in fretta, vivaddio, avrebbe scorto, Signore, le luminarie appiccate nel villaggio. Che cosa è accaduto? Un giudice ha arrestato un capitano. Io qui vengo a prelevarlo e non vuole consegnarlo. Chi è quel giudice? Io sono. E che cosa vi giustifica? Questo processo, che bene ha comprovato un delitto meritevole di morte: ha rapito una ragazza, l’ha violentata in un bosco, si rifiuta di sposarla per quanto lo abbia implorato suo padre per un accordo. Costui è il giudice, e inoltre è suo padre.
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FELIPE SEGUNDO
PEDRO CRESPO
FELIPE SEGUNDO PEDRO CRESPO
No importa en tal caso; porque, si un extraño se viniera a querellar, ¿no había de hacer justicia? Sí. Pues ¿qué más se me da hacer por mi hija lo mismo que hiciera por los demás? Fuera de que, como he preso un hijo mío, es verdad que no escuchara a mi hija, pues era la sangre igual. Mírese, si está bien hecha la causa; miren, si hay quien diga que yo haya hecho en ella alguna maldad, si he inducido algun testigo, si está algo escrito demás de lo que he dicho, y entonces me den muerte. Bien está sustanciado. Pero vos no tenéis autoridad de ejecutar la sentencia, que toca a otro tribunal. Allá hay justicía, y así remitid el preso. Mal podré, señor, remitirle; porque, como por acá no hay más que sola una audiencia, cualquier sentencia que hay la ejecuta ella; y así, ésta ejecutada está. ¿Qué decís? Si no creéis que es esto, señor, verdad,
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FILIPPO II
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FILIPPO II PEDRO CRESPO
In questo caso, non importa. Se un estraneo la querela avesse sporto, non gli avrei reso giustizia? Certo! E allora, è forse strano se ho compiuto per mia figlia quanto avrei fatto per altri? Dato, inoltre, che ho arrestato mio figlio, non avrei certo favorito poi mia figlia, sangue dello stesso sangue. Si controlli se il processo fu corretto, se compare chi sostenga che ho seguito qualche ingiusta procedura, o corrotto un testimone, se i verbali non riflettono quanto affermo, e allora a morte mi si mandi. Regolari sono gli atti processuali; ma a voi manca facoltà di eseguire la sentenza che compete a un altro foro, pronto a compiere giustizia; date il prigioniero. Sire, non lo potrò liberare, perché dalle nostre parti c’è soltanto un tribunale, che eseguisce ogni sentenza pronunciata; ed anche a questa si è già dato esecuzione. Che dite? Se non credete, Sire, che abbia detto il vero,
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volved los ojos, y vello. Aqueste es el capitán. Aparece dado garrote en una silla don Álvaro. FELIPE SEGUNDO PEDRO CRESPO
FELIPE SEGUNDO
PEDRO CRESPO
FELIPE SECONDO
PEDRO CRESPO
FELIPE SEGUNDO
Pues ¿cómo así os atrevisteis? Vos habéis dicho que está bien dada aquesta sentencia, luego esto no está hecho mal. ¿El consejo no supiera la sentencia ejecutar? Toda la justicia vuestra es solo un cuerpo, no más; si éste tiene muchas manos, decid, ¿qué más se me da matar con aquesta un hombre, que esta otra había de matar? Y ¿qué importa errar lo menos, quien acertó lo demás? Pues ya que aquesto sea así, ¿por qué, como a capitán y caballero, no hicisteis degollarle? ¿Eso dudáis? Señor, como los hidalgos viven tan bien por acá, el verdugo que tenemos no ha aprendido a degollar; y ésa es querella del muerto, que toca a su autoridad; y hasta que él mismo se queje, no les toca a los demás. Don Lope, aquesto ya es hecho. Bien dada la muerte está; no importa errar lo menos quien acertó lo demás. Aquí no quede soldado
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volgete gli occhi e guardate: ecco laggiù il capitano. Si scopre don Álvaro strangolato con la garrota. FILIPPO II PEDRO CRESPO
FILIPPO II
PEDRO CRESPO
FILIPPO II
PEDRO CRESPO
FILIPPO II
Quale tracotanza è questa! Non avete ammesso che era regolare la sentenza? Dunque non ho agito male. Non la sapeva eseguire il consiglio militare? L’intera vostra giustizia costituisce un solo corpo. Se ha molte braccia, che importa se un braccio uccide il colpevole che un altro braccio doveva mettere a morte? Che importa se sbaglia un particolare chi ha azzeccato tutto il resto? Oramai la cosa è fatta. Ma perché, visto che egli era capitano e gentiluomo, non venne decapitato? Sire, volete saperlo? Dalle nostre parti vivono i nobili onestamente e il nostro boia a tagliare le teste non ha imparato. Questa è faccenda del morto e riguarda i suoi diritti. Se lui non sporge denuncia, agli altri non spetta farlo. Don Lope, la cosa è fatta! La condanna è stata giusta; se sbaglia un particolare chi ha azzeccato tutto il resto, poco importa. Non rimanga 1101
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[A Crespo] PEDRO CRESPO
alguno, y haced marchar con brevedad; que me importa llegar presto a Portugal. Vos, por alcalde perpetuo de aquesta villa os quedad. Solo vos a la justicia tanto supierais honrar.
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Vanse el Rey [y su acompañamiento, soldados y labradores]. DON LOPE
PEDRO CRESPO
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DON LOPE PEDRO CRESPO
Agradeced al buen tiempo que llegó Su Majestad. ¡Par Dios!, aunque no llegara no tenía remedio ya. ¿No fuera mejor hablarme, dando el preso, y remediar el honor de vuestra hija? Un convento tiene ya elegido y tiene Esposo, que no mira en calidad. Pues dadme los demás presos. Al momento los sacad.
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Salen Rebolledo y la «Chispa». DON LOPE
PEDRO CRESPO
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Vuestro hijo falta; porque, siendo mi soldado ya, no ha de quedar preso. Quiero también, señor, castigar el desacato que tuvo de herir a su capitán; que, aunque es verdad que su honor a esto le pudo obligar, de otra manera pudiera. Pero Crespo... ¡bien está! ¡Llamadle.
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[A Crespo] PEDRO CRESPO
nel villaggio alcun soldato. Presto, in marcia, perché ho fretta di arrivare in Portogallo. E voi, giudice perpetuo rimarrete nel villaggio. Solo voi sapete tanto esaltare la giustizia.
Escono il Re [, con il suo seguito, i soldati e i contadini]. DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE PEDRO CRESPO
Ringraziate che a buon punto Sua Maestà sia sopraggiunta. Anche se non arrivava, per Dio! non c’era rimedio. Non era meglio parlarmi, consegnarmi il reo, salvare l’onore di vostra figlia? Lei ha scelto già un convento e uno Sposo che non bada a questo tipo d’onore. Datemi gli altri reclusi. Ve li consegno all’istante. Entrano Rebolledo e la «Chispa».
DON LOPE
PEDRO CRESPO
DON LOPE
Manca vostro figlio; ormai è un mio soldato e non deve stare in prigione. Signore, intendevo castigare l’insolenza che ha commesso nel ferire il capitano. Ben è vero che il suo onore lo ha spinto a agire, ma forse c’erano altre soluzioni. Pedro Crespo... questo è giusto. Chiamatelo. 1103
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA EL ALCALDE DE ZALAMEA, JORNADA TERCERA PEDRO CRESPO
Ya él está aquí. Sale Juan.
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«CHISPA»
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Las plantas, señor, me dad; que a ser vuestro esclavo iré. Yo no pienso ya cantar en mi vida. Pues yo sí, cuantas veces a mirar llegue al pasado instrumento. Con que fin el autor da a esta historia verdadera. Los defetos perdonad.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA IL GIUDICE DI ZALAMEA, ATTO TERZO PEDRO CRESPO
Ecco che viene. Entra Juan.
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«CHISPA»
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Ai vostri piedi, signore, sarò sempre vostro schiavo. Non penso che in vita mia potrò più cantare. Invece potrò farlo, se mai scorgo quel genere di strumento. Qui l’autore pone fine a una storia veritiera. Perdonatene i difetti.
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Luis Vélez de Guevara
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La vita e le opere
Nato a Écija (Siviglia) il 26 agosto 1578, oppure il 1 agosto 1579 (come attesta il suo certificato di battesimo), terminati i propri studi a Osuna, si impiega presso il cardinale Rodrigo de Caro, arcivescovo di Siviglia, viene in Italia come soldato, e nel 1603 lo troviamo a Valladolid, poi a Siviglia; nel 1608 è al servizio del Conte di Saldaña. Inizia in questo periodo la sua brillante carriera letteraria, e nel 1615 è già molto conosciuto a Madrid. Serve poi altri signori, con poca fortuna economica; gli viene infine concesso l’incarico di usciere di camera del re nel 1625, che tuttavia non risolve la sua situazione, come non la risolvono i matrimoni (probabilmente tre) con dame che gli apportano una certa dote. Muore nel 1644 tra il generale riconoscimento dei letterati della capitale, ma con non pochi debiti. Sembra che scrivesse circa 400 commedie,1 ma ce ne restano solo un’ottantina, o attorno a temi storici (El águila del agua: L’aquila dell’acqua, sulle imprese del fratello bastardo di Filippo II, Juan de Austria; Reinar después de morir: Regnare dopo la morte, sugli sfortunati amori di don Pedro de Portugal per Inés de Castro), o leggendari (La serrana de la Vera: La montanara della Vera; La niña de Gómez Arias: La fanciulla di Gómez Arias; El diablo está en Cantillana: C’è il diavolo a Cantillana), mentre non coltiva la commedia di costumi contemporanei. In rapporto con le sue vicende biografiche, e soprattutto con una supposta ascendenza ebraica, si sono volute porre certe caratteristiche del suo teatro, come le dichiarazioni circa l’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio, o il motivo della povertà che sembra affliggere i suoi eroi. Ma si tratta in larga misura di concetti e situazioni topici, che si possono 1109
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rintracciare nell’opera di molti drammaturghi coevi, e che non giustificano una lettura strettamente biografica. Fatto sta che Vélez, tramite la propria brillante vena umoristica e l’inserimento nel vivace mondo teatrale, riesce ad assimilarsi perfettamente all’ambiente letterario della capitale, e perfino il figlio Juan ne seguirà le tracce di autore drammatico: il suo eventuale ribellismo verrebbe smentito quindi anche a questo primo livello biografico, se non urtasse anche più evidentemente con le caratteristiche del suo teatro. Vélez traduce infatti la lezione teatrale di Lope in un teatro aproblematico,2 in cui l’azione è sostenuta e ravvivata da scene laterali, rustiche o buffonesche, dove può profondere un brillante umorismo; o di caccia, con larga parte concessa alla musica ed al canto (magari con rielaborazioni di romances tradizionali). L’azione si conclude spesso in maniera piana e ordinata, e valga come esempio significativo la conclusione de La niña de Gómez Arias, organizzata su una materia romancistica tradizionale: Gómez Arias arriva a vendere al moro la giovane innamorata che gli si era affidata, ma viene alla fine perdonato da Isabel la Católica. È ovvio che molto diversa sarà la soluzione che darà Calderón al momento di riproporre lo stesso tema. Vélez stesso ironizza sui propri finali a-drammatici ed anti-convenzionali: Y aquí se da fin, señores, sin tragedia ni desgracia ni casamiento a la postre a La luna de la sierra. Y A lo que obliga el ser Rey de esta manera se acabe, sin muerte ni casamiento, que ha sido dicha notable.3
La tendenza alla crudeltà, che talora la critica gli ha attribuito, va assunta nel suo valore di gioco teatrale, di pittoresco ricorso dovuto ad influenze senechiste, come nella stessa commedia che si ritiene il suo capolavoro, La serrana de la Vera (1613), anch’essa appoggiata sulla materia del romancero, un tema di moda, che era già servito a Lope per una commedia di ugual titolo (1600 circa), e che poi Tirso de Molina riutilizzerà per La 1110
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ninfa del cielo (1613-1614?), e Valdivielso per il suo auto La serrana de Plasencia (1619?). La chiave del sistema teatrale di Vélez e dei suoi atteggiamenti preferenziali può essere fornita proprio dalla maniera in cui viene affrontato il problema dell’onore, in lui poco vivo e marginale. Perdendo i suoi confini d’intransigenza, e quando non serve a prospettare una soluzione nuova come nella Serrana de la Vera, il tema si risolve in appassionato lirismo come nella Luna de la Sierra, o sfuma della burla come nel Diablo está en Cantillana, dove un innamorato per impedire che il re seduca la sua fanciulla finge di essere un fantasma. Forse lo stesso personaggio della donna forte può essere considerato quale mezzo usato per preterire la questione d’onore; più che ai motivi di conflitto Vélez è insomma interessato agli aspetti tecnici e formali del proprio teatro. In questo senso la scelta e l’uso dei diversi gerghi è uno degli aspetti che più colpisce: la lezione di Lope è ampliata e ripetuta con tanta insistenza che ha fatto pensare addirittura a un «afán de realismo». Infatti Vélez non si limita all’uso di un convenzionale ed ormai stereotipato linguaggio rustico, o della fabla arcaica, o dell’asturiano, più o meno convenzionali. Egli si spinge fino a riservare larga parte nell’Amor en vizcaíno (L’amore in biscaglino) e nel Verdugo de Málaga (Il boia di Malaga) alle deformazioni e gli errori tipici dei biscaglini4 e dei morischi; tuttavia, quando si passa a fissare le caratteristiche dei gerghi impiegati, il preteso realismo svanisce, e si attenua molto anche il valore di cosciente uso comico. All’esigenza decorativa e di ambientazione si unisce l’esercitazione accademica, che ha gran parte nel desiderio di Vélez di provare nuove formule e nuovi gerghi: l’artificio verbale affascina sempre l’autore del Diablo cojuelo (Il diavolo zoppetto) come banco di prova della propria capacità inventiva se non innovativa; e in ciò egli riassume ed esemplifica una tipica caratteristica barocca. I vari ingredienti e materiali letterari vengono ovviamente messi in opera in una costruzione che può risemantizzarsi attraverso la loro interazione. Nel 1641 Vélez pubblica, preceduta da una beffarda dedica ai mosqueteros dei teatri di Madrid (cioè agli spettatori più irrequieti e irriducibili), il suo romanzo burlesco El Diablo Cojuelo, che doveva aver composto poco tempo prima, e probabilmente dopo il 1637, e che serve anche ad illuminare, da un diverso punto di vista, le caratteristiche del suo teatro. L’opera è stata classificata ora come picaresca, ora come satirico-bur1111
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lesca,5 ed universalmente apprezzata per l’arguzia e lo stile brillante; in effetti Vélez vi profonde quell’umorismo tante volte protagonista delle scene buffe delle sue commedie. Tenuissimo il pretesto narrativo: per sfuggire ad una dama di piccola virtù, da lui abbandonata, lo studente don Cleofás finisce nella soffitta dove un negromante custodisce un diavoletto zoppo. Liberato dall’ampolla che lo conteneva, e dopo avergli fatto contemplare scoperchiato il «gran pasticcio di Madrid», il diavoletto si offre di accompagnare lo studente in un viaggio, suddiviso non in capitoli, ma in trancos (zoppiconi), che si compirà in volo, con vari intermezzi (uno dei quali costituito da una allegoria della fortuna) e terminerà a Siviglia, come quello del Buscón, ma assai più allegramente: il suo autore dà un sospiro di sollievo per essere riuscito a finire il racconto, ed esorta il lettore al divertimento: Con que da fin esta novela, y su dueño gracias a Dios porque le sacó della con bien, suplicando a quien la leyere que se entretenga y no se pudra en su leyenda, y verá que bien se halla.6
Se i protagonisti del romanzo picaresco, emarginati dalla società, desiderano integrarsi ad essa, quelli del Cojuelo desiderano fuggirne e la contemplano con ironico distacco, in corrispondenza di una forma non specificamente narrativa, quanto piuttosto lucianesca, di dialogo satirico. I meccanismi valutativi da adottare non dovranno dunque essere quelli applicabili al romanzo (sulla scorta di essi una parte della critica ha considerato certe parti del trattatello scarsamente riuscite o noiose), ma quelli applicabibili alla prosa di idee. Più sermocinatio che narratio, l’opera penetra ed analizza vari settori sociali e vari luoghi della penisola, adottando lo stile letterario e retorico ad ognuno congruente, in una specie di scrittura a la manière de. La corrispondenza tra struttura e discorso è totale, e mentre l’importanza del tema del sogno impedisce di leggere l’opera in chiave di critica sociale, come talora è stato fatto; le lunghe digressioni (quali la descrizione di Siviglia, o l’enumerazione della nobiltà di Madrid, contemplata in uno specchio mentre sfila sulla Calle Mayor della capitale) si giustificano pienamente: messa in opera, infatti, del genere epidittico, utilizzato altra volta da Vélez nel suo teatro, come nell’ampia lode di Siviglia che appare nel Diablo está en Cantillana. Questa presentazione di un’umanità brulicante e formicolante, studenti, 1112
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mendicanti, letterati, servi, commedianti, la carne del pastelón de Madrid, viene effettuata in maniera disincantata e fulminea; la prospettiva è dall’alto, e non solo in senso spaziale e fisico, ma attraverso piani irreali (sogno, specchio), ed in una opposizione temporale (giorno-notte); soprattutto essa si compie attraverso il linguaggio, con l’uso di paranomasie, equivoci, metafore, citazioni mitologiche burlesche, uso distorto del proverbio e del modismo. E il suo successo fu notevole, come attestano le ripetute edizioni nel secolo XVII ed il seguente, e la brillante fortuna dell’adattamento francese di Lesage. MARIA GRAZIA PROFETI
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La serrana de la Vera La montanara della Vera Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva e note di MARIA GRAZIA PROFETI Traduzione di SILVIA ROGAI
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Prima pagina della Serrana de la Vera Biblioteca Nacional de Madrid (MS R. 101)
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Nota introduttiva
1. Nel 1613 Luis Vélez de Guevara prepara per la compagnia di Juan Morales de Medrano una riscrittura della leggenda della bella montanara che, disonorata da un cavaliere, si assume in prima persona la vendetta del torto subìto e decide di uccidere tutti gli uomini che passano sul sentiero antistante la capanna dove si è rifugiata.1 Un personaggio di grande rilievo antropologico e letterario, che poteva essere degnamente incarnato da Jusepa Vaca, moglie del capocomico committente, specializzata in ruoli virili.2 La montanara ribelle e mascolina affonda le proprie radici nelle leggende e nella letteratura medievale spagnola: già nelle prime decadi del Trecento l’Arcipreste de Hita inserisce nel suo Libro de buen amor una serie di componimenti poetici in cui una serrana ostacola il viaggio all’io narrante, lotta con lui, e lo obbliga a un servizio amoroso molto concreto e quindi molto lontano dall’amor cortese, tanto è vero che richieste così sfacciate sono state lette come parodia della pastourelle provenzale e francese. Si tratta di un passo del Libro de buen amor alquanto esteso, che comprende quattro frammenti descrittivi3 intervallati da quattro momenti più lirici, che recano tutti come epigrafe Cantiga de la serrana.4 Una campionatura minima: La Chata endiablada, ¡que Sant Illán la confonda! arrojome la cayada e rodeome la fonda, 1117
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enaventome el pedrero, diz:¡Par el Padre verdadero, tú me pagarás oy la ronda! [...] La vaqueriza traviessa diz: Luchemos un rato; liévate dende apriesa desembuélvete de aqués hato. Por la muñeca me priso, ove de fazer quanto quiso: creet que fiz buen barato. (strofe 963, 971)5 Hospedóme e diome vïanda mas escotar me la fizo; porque non fiz quanto manda, diz: ¡Roín, gaho, envernizo! ¡Cómo fiz loca demanda en dexar por ti el vaquerizo! Yo.t mostraré, si non ablandas, como se pella el erizo sin agua e sin roçío. (strofa 992)6
Nel Quattrocento poi il motivo si stilizza, ritornando alle rarefatte atmosfere francesi attraverso una mediazione galaico-portoghese, in una serranilla di Iñigo López de Mendoza, Marqués de Santillana: Moça tan fermosa non vi en la frontera com’ una vaquera de la Finojosa. Faziendo la vía del Calatraveño a Santa María, vençido del sueño, por tierra fraguosa perdí la carrera, do vi la vaquera 1118
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de la Finojosa. [...] Non tanto mirara su mucha beldad, porque me dexara en mi libertad. Mas dixe: Donosa, – por saber quién era –, ¿dónde es la vaquera de la Finojosa? Bien commo riendo dixo: Bien vengades, que ya bien entiendo lo que demandades. Non es desseosa de amar, nin lo espera aquessa vaquera de la Finojosa.7
Anche qui, dunque, un viaggio per luoghi impervi, e una profferta d’amore, questa volta molto sfumata, da parte del galante cavaliere, che la schiva ed elegante serranilla respinge. Il motivo si tramanda poi attraverso l’insieme delle ballate folkloriche spagnole, il romancero. Già a questo primo livello il tema è stato letto ora riconnettendolo ad una tradizione locale dell’Estremadura,8 ora dandone una interpretazione antropologica più ampia.9 Nella materia romanceril, infatti, si sono distinti tre momenti: un mito sacrificale, una leggenda iniziatica, e una serie di racconti matrimoniali. Il mito sacrificale si concentra intorno all’eliminazione dell’ostacolo (nel nostro caso un mostro-donna), che impedisce il passaggio dalla vita selvaggia alla cultura; successivamente si svolgono le prove iniziatiche notturne imposte a un giovane prima della liberazione, percepita come trionfo solare; infine appare l’unione agonistica della donna forte o selvaggia con un uomo, sottoposto ad una serie di prove (lotta e giochi erotico-sportivi) che devono attestare la sua capacità a svolgere il ruolo carismatico di sposo e fecondatore della dea.10 Il principio maschile e quello femminile così si confrontano. 1119
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2. Il teatro commerciale dei Secoli d’Oro, grande divoratore di argomenti, è pronto ad impossessarsi del tema della montanara bellissima, rude e virile, radicalizzando il conflitto, con le più varie soluzioni del contrasto alto-basso. Ora esso assume la forma di una fanciulla, la serrana de la Vera, tanto bella quanto rustica e refrattaria all’amore, che disonorata da un nobile non confida la vendetta a un parente (secondo la formula consueta), ma decide di riscattare da sola il proprio disonore, uccidendo tutti gli uomini che transitano sul suo sentiero. Va detto che il motivo si incrocia con una più ampia linea tematica, quella della donna virile e spesso vestita da uomo, molto presente nel teatro spagnolo dei Secoli d’Oro, ed ampiamente studiata;11 le donne incarnano ad esempio dei soldatacci (La monja alférez di Juan Pérez de Montalbán), o vestono i panni di un medico di grido (La hermosura aborrecida di Lope de Vega);12 di mostri selvaggi13 o di pericolosi banditi (Las dos bandoleras y fundación de la Santa Hermandad de Toledo di Lope de Vega).14 E alcune attrici erano specializzate nell’indossare panni maschili ed ostentare sul palcoscenico atteggiamenti da bravacci, con grande scandalo dei moralisti, e con vari tentativi di proibire queste esibizioni, che permettevano alle prime donne di mostrare le caviglie e forse addirittura il polpaccio. Non va dimenticato che il teatro commerciale del secolo XVII è un teatro di evasione e di intrattenimento, quindi i comportamenti e le caratteristiche dei personaggi devono essere valutati all’interno di una serie di convenzioni pre-stabilite, e soprattutto in rapporto alle compagnie che erano i committenti dei commediografi: i testi dovevano essere modellati sulla specializzazione professionale di attori ed attrici. Ricordo il caso della compagnia di Baltasar de Pinedo, la cui moglie, Juana de Villalba, si distingueva proprio per i ruoli di donna virile: per lei scrivono testi molto interessanti autori come Lope de Vega (per esempio la Hermosura aborrecida che ho appena citato e una prima versione de La serrana de la Vera stessa) o Luis Vélez de Guevara.15 Un caso analogo è quello di Jusepa Vaca, moglie del capocomico Juan de Morales Medrano, per la quale Lope scrive La mocedad de Roldán, El vaquero de Moraña, Las alamenas de Toro; e Vélez la sua Serrana de la Vera.16 Nel teatro aureo si conoscono infatti molte declinazioni del paradigma della serrana bella e virile: oltre La serrana de la Vera di Lope (scritta verso il 1600), e quella di Vélez de Guevara (1613, come vedremo), Tirso 1120
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de Molina riutilizzerà il tema per La ninfa del cielo (1613-1614?); e Valdivielso per il suo auto La serrana de Plasencia (1619?). Questa selva di riscritture ci dice innanzi tutto che il tema era gradito agli spettatori, se dal 1600 al 1619 se ne allestiscono quattro riproposte, culminanti nell’auto sacramental. E Vélez, che dà forse la migliore incarnazione teatrale della Serrana, è particolarmente affezionato al tema della contadina innamorata o sedotta da un nobile. Ricordo solo La montañesa de Asturias dove la montanara Olalla cede al corteggiamente di Ramiro, principe ereditario delle Asturie. Ormai disonorata, la montanara cerca di vendicare il suo onore offeso, e la vedremo apparire in scena annunciata dal canto della romanza che narra le sue disavventure, pronta ad uccidere ogni uomo che incontri sul suo cammino.17 Il testo della Montañesa de Asturias era posseduto nel 1614 da Pedro de Valdés, quindi la parte di Pelaya sarà stata destinata alla moglie del capocomico, Jerónima de Burgos. Anche nell’Amor en vizcaíno Vélez ripropone una protagonista che giura vendetta; e nella Montañesa effettua un evidente autoplagio nella scena della montanara che incede alla ribalta annunciata e descritta dal canto del romance.18 Ma la soluzione poi sarà molto diversa, in rapporto a un diverso gioco dell’intreccio, e la protagonista asturiana andrà semplicemente in un convento, che il re farà allestire apposta per lei. Sono dunque importantissimi gli elementi che ricollegano le varie commedie ad una sorta di bricolage del mestiere teatrale, come quelli che la rapportano alle performance di questa o di quell’attrice; ma ogni commediografo, poi, lavora con i dati consegnati dalla tradizione, e in primis dal romancero, assimilandoli alla sua maniera. Lope tende ad una conclusione felice, con le nozze finali, quindi predispone un intreccio adeguato: una nobile dama, Leonarda, irritata con il fratello e con il proprio innamorato si rifugia nella sierra e diventa bandito. La pièce, come si è visto, è la prima della serie: Lope inventa così anche il genere della commedia di bandoleros, ora declinata al femminile, che poi riprenderà ne Las dos bandoleras; in quest’ultima la protagonista Teresa dichiara proprio di volersi vendicare del suo ingannatore uccidendo tutti gli uomini che incontra sul suo cammino.19 Lope nella sua Serrana non mascolinizza completamente il personaggio, che appare fanciulla sensibile all’amore, non uccide nessuno ed alla fine, quando sta per essere giustiziata, riceve il perdono del re, ritorna al suo stato di nobile e sposerà il suo innamorato. 1121
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Non esiste quindi, nella sua commedia, una coppia oppositiva nobiltà/ popolo, né appare tanto marcata quella maschile/femminile. 3. Vélez de Guevara elabora il suo testo contando sulle capacità attoriali di Jusepa Vaca e sulla prenotorietà del romance della serrana da parte del pubblico, utilizzando il fascino del tessuto paremiologico, delle arguzie e del linguaggio rustico per ricostruire un ambiente contadinesco, a cui aggiunge altri spunti romancistici20 atti a ricreare una mitica età dei Re Cattolici, prototipo della coppia nobile ed armoniosa che ha riunito la Spagna e sta per cacciare i mori da Granada. Un capitano in viaggio per la Vera, per arruolare truppe per la sua compagnia, pretende di essere ospitato nella casa di un ricco contadino di Garganta la Olla, Giraldo, anche se questi assevera di essere esente dalla servitù di fornire alloggiamento alle truppe. La didascalia iniziale indica le caratteristiche dei due personaggi: Giraldo è un contadino vecchio, ricco, mentre il capitano don Lucas de Caravajal esibisce l’insegna del suo grado (gineta), il suo giovane corpo e la sua eleganza. Il dialogo è concitato; alla domanda del giovane capitano «¿No sois villano?» il vecchio dichiara di essere, sì, contadino, ma di non poter essere considerato villano, nel suo senso dispregiativo (vv. 31-44). Il conflitto viene dunque proposto fin dalla prima scena nella forma nobiltà vs plebe; centrato però da un punto di vista peculiare, per cui la sconsideratezza del giovane nobile si oppone alla saggezza del vecchio contadino. Giraldo sottolinea che, anche se non ha eredi maschi, potrà comunque essere difeso una una figlia straordinaria, di cui vanta la bellezza, la forza ed abilità nei giochi guerreschi. Il capitano non risparmia allusioni pesanti, che ricordano la lotta simbolica con la serrana medioevale; viene così proposta l’opposizione femminile vs maschile (vv. 168-176). Ma ecco giungere in scena la fanciulla, che entra scenograficamente dalla platea, passando a cavallo in mezzo agli spettatori,21 di ritorno da una battuta di caccia: le spoglie delle bestie uccise sono esibite sul palcoscenico mentre un canto la presenta in tutta la sua aurea folclorica (did. successiva al v. 204). Il padre rivolge lodi appassionate alla sua bellezza, mentre Gila racconta le proprie imprese di caccia, in una cinquantina di versi dove rifulge l’abilità che ha dimostrato nell’uccidere il cinghiale, l’orso ed il lupo: come si vede il contrasto si stabilisce ora tra la bellezza folgorante di Gila e la 1122
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sua maschile attitudine venatoria, che la trasforma in una specie di Diana cacciatrice. Il conflitto tra l’orgoglioso capitano e la decisa montanara si conclude con Gila che scaccia dal paese don Lucas; la didascalia di Vélez (successiva al v. 396) predispone e quasi predice la vivacità della recita dell’attrice Jusepa Vaca. Nella seconda parte dell’atto la scena si sposta alla città di Plasencia, che sta festeggiando l’arrivo dei Re Cattolici: lo spettatore lo apprende dalla conversazione di due abitanti e dai gridi dei venditori di torroni, limoni, confetture, mandorle. Entrano in scena un maestro d’armi con il suo aiutante e due bravacci, che si cimentano nella scherma, ma quando sopraggiungono Giraldo, Gila e la cugina Maddalena, la giovane avrà la meglio sugli uomini a forza di fendenti e parate. Frattanto un toro scappa dal suo recinto e si affacciano ad un balcone i Re Cattolici Fernando e Isabel: Gila si dichiara innamorata della grandezza e dall’eroismo virile della regina; e davanti ai monarchi affronta e vince il toro. I re stessi rimangono profondamente impressionati; ma la loro conversazione con la montanara viene interrotta da un annuncio ferale: il principe don Juan è caduto da cavallo e versa in condizioni gravissime; le feste e l’atto terminano con questa ombra angosciosa, e Gila ne ricava una triste premonizione (vv. 1053-54). Il secondo atto ripropone Gila nei suoi consueti atteggiamenti virili: ora la vediamo che ara e guida con mano ferma i buoi, insultandoli come il più rude dei contadini. E respinge l’amore del gracioso Mingo, cioè avversa una serena conclusione matrimoniale che potrebbe consegnarla ad una vita tranquilla: la sua virilità si esprime così anche nella ripulsa dell’amore. Sulla scena irrompe la cugina Madalena, che informa Gila che il capitano è giunto al villaggio con una compagnia di più di duecento soldati: Gila corre dunque verso Garganta la Olla per respingere don Lucas. Ma da un dialogo di Giraldo con il capitano apprendiamo che questi non è venuto con intenzioni belligeranti, ma a domandare la mano di Gila. Il vecchio, contentissimo, offre al nobile tutte le sue ricchezze, e di alloggiare l’intera compagnia. Quando sopraggiunge Gila il capitano le rinnova la proposta matrimoniale con elevate dichiarazioni; Gila a tutta prima rifiuta, e cede solo quando il capitano le offre di combattere a suo fianco, come una nuova Evadne o Pallade spagnola (vv. 16610-12).22 E qui, al centro dell’atto, da un colloquio tra il capitano e il suo luogotenente, lo spettatore apprende la morte del principe ereditario, il cui 1123
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tumulo viene descritto minuziosamente. Intanto Gila, anche se promessa al capitano, non riesce a controllare la propria indole: gioca ai dadi con alcuni soldati e ne schiaffeggia brutalmente uno. Ancora un intermezzo ci riporta alla corte dei Re Cattolici, dove la regina resiste eroicamente al dolore per la morte del figlio (vv. 1924-30); e non per caso riappare qui la stessa comparazione con Evadne, che poc’anzi veniva proposta per Gila; ma è proprio il controllo dei sentimenti che rende grande la regina, quel controllo che difetterà alla serrana. Quando ritorniamo a Garganta la Olla apprendiamo che Gila si è arresa alla corte del fidanzato, e questi dopo una notte d’amore abbandona la casa di Giraldo, con una tipica fuga da seduttore-don Giovanni; il secondo atto si chiude su una Gila burlata che promette una vendetta esemplare, utilizzando un altro tema del romancero, stavolta quello epico-carolingio (vv. 2139-50). Nel terzo atto, che si svolge quasi interamente su uno scosceso sentiero di montagna, assistiamo proprio a questa vendetta. Mingo ha smarrito la via ed ha perso il suo giumento, mentre un canto avvisa della crudele vendetta della serrana, che poi appare in scena, come la raffigura il romance (vv. 2202-13). Gila ucciderà sotto gli occhi degli spettatori il viandante che cantava la romanza, dopo averlo lusingato ed invitato nella sua capanna; segnala quindi la sua morte con una croce che pianta al lato del sentiero, accanto alle molte altre che ricordano tutti gli uomini uccisi. Poi in un dialogo con Mingo apprende i semplici fatti di Garganta la Olla avvenuti mentre essa si consegnava alla sua iperbolica vendetta. In quanto personaggio comico il gracioso scamperà alla morte comune: prima la dilaziona con i propri lazzi, poi Gila viene distratta da alcune voci e lo lega ad un albero. Ma ecco che sul sentiero appare lo stesso re Fernando, che libera Mingo; con il monarca si confronta Gila, che naturalmente lo risparmia: è vero che essa ha giurato di uccidere ogni uomo che transitasse sul suo territorio, ma il re non può essere considerato di natura solo umana, essendo Dio in terra (vv. 2564-70). Sul sentiero della serrana passano ora delle donne, una bambina la intrattiene con le sue ingenuità, fino a che – sperduto ed avvolto dalle ombre oscure della notte – lo stesso don Lucas bussa alla capanna. Gila lo riconosce dalla voce, egli conferma la sua identità, Gila si fa riconoscere e gli offre ospitalità. Inutilmente don Lucas cerca di rifiutare e poi reitera la propria offerta di nozze riparatrici; ormai Gila contempla la propria vita perduta, che ha visto rispecchiata nelle parole di Mingo e della bambina 1124
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(vv. 3069-72). La Santa Hermandad, una forza di polizia con compiti di controllo sul territorio, appena istituita dai Re Cattolici, circonderà la serrana, che consegnerà le armi solo al padre; egli si mostra in scena come incarnazione della legge, con la vara, cioè l’insegna che contraddistingue le funzioni civili e penali del sindaco. Una nuova apparizione dei Re Cattolici propone una inedita Isabella, gelosa della serrana, ma subito tranquillizzata dal re. Tutta la compagnia si riunisce in scena per assistere al castigo esemplare, di cui Gila rende responsabile il padre, che non ha saputo morigerare i suoi eccessi con una adeguata educazione. Essa accetta rassegnata questa morte sul patibolo, come disposizione provvidenziale, visto che ormai i propri delitti hanno reso impossibile qualsiasi altra soluzione (vv. 3226-33). Minuziose didascalie illustrano l’accompagnamento delle guardie, fino alla esposizione del corpo dopo il supplizio, in cui Gila appare piena di frecce e con i capelli sul viso (didascalia al v. 3284). I Re Cattolici chiudono l’azione, dopo aver compensato Giraldo della perdita subita, concedendogli di essere sindaco perpetuo del villaggio, e rendendolo libero, cioè affrancato dalle gabelle, ormai entrato a far parte di uno stato paranobiliare. La serie di metri che Vélez usa è funzionale al doppio aspetto (nobile e villanesco) del testo: i frammenti popolari e tradizionali vengono accolti nel romance; il dialogo spesso utilizza le redondillas, che è il metro più impiegato. I metri nobili come ottave, endecasillabi sciolti (con rime baciate irregolari), o terzine si riservano a momenti alti, come il racconto del ferimento del principe, la richiesta di nozze da parte del Capitano e l’accettazione di Gila, o l’ultima apparizione in scena dei Re Cattolici. Complessa costruzione, quindi, riconnessa ad una visione di passaggio, che evoca l’anarchia di un regine feudale e lo strapotere dei nobili, per riconfermare la nuova costruzione monarchica; e non a caso le figure dei Re Cattolici23 appaiono così presenti e connotate nel coté più umano, sia attraverso la sottolineatura del loro amore materno-paterno, sia dell’amore-gelosia della coppia. Una monarchia che attraverso la morte dell’unico erede maschio passerà ad essere appannaggio di una donna, l’infanta Juana (riproponendo anche a questo livello l’opposizione maschile vs femminile, che tuttavia appare accettata e quindi sanata); una monarchia che si farà carico della amministrazione diretta della giustizia attraverso l’istituzione della Santa 1125
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Hermandad. Nessuna vendetta personale fuori dal diritto sarà dunque da ora in poi possibile, pur attraverso la rilevazione di una pietas che la figura di Gila induce. Va ricordato che al tempo della redazione della commedia il fenomeno del banditismo nobiliare era ancora prassi frequente, e che Vélez dedica al tema una commedia, El catalán Serrallonga (stilata con Coello e Rojas Zorrilla). Quindi quel che viene proposto non è solo un conflitto antropologico tra maschile e femminile come nei testi medioevali, ma una contrapposizione storica (superata per altro dalla normativa del tempo di Filippo IV), tra nobiltà e contado in primis e poi tra frazionamento feudale e centralità monarchica.24 Vélez è consapevole delle tensioni, anche politico-nobiliari, che disegna nel testo, tanto che lo chiama, nelle didascalie di congedo, tragedia.25 Le rassegne della nobiltà a cui il commediografo indulge (vedi ad esempio i vv. 1938-77), rimandano poi all’ambiente cortigiano del suo tempo, di cui egli faceva parte, in quel periodo come criado del Conde de Saldaña (incarico che ricoprì fino al 1618), secondo figlio del duca di Lerma, il potente valido del re Filippo III.26 Poeta palatino, Vélez firma la sua Serrana a Valladolid, dove risiedeva la corte; e non pare inusitato che essa venisse ripescata dieci anni più tardi, il 14 giugno 1623, per essere messa in scena a palazzo, ancora con Jusepa Vaca come protagonista, in occasione dei festeggiamenti per la venuta a Madrid del Principe di Galles (il futuro Carlo I di Inghilterra), pretendente della principessa María, figlia del Re. Non meraviglia anche perché Vélez era stato nominato per l’occasione Ujier de Cámara del Principe.27 Quindi un dramma rusticopastorale si trasforma in intrattenimento di corte, in tragedia esemplare, che esorta ad un corretto rapporto con le plebi, mentre si diletta della deformazione del linguaggio contadinesco. 4. Il percorso del tema si può concludere con l’auto sacramental La Serrana de Plasencia. Qui Valdivielso lo utilizza come base per la consueta elaborazione simbolica dell’auto: la ribelle serrana sarà ora l’Anima, che lo sposo-Cristo redime dai suoi eccessi. È la Ragione che ne racconta la ribellione, e la prenotorietà del romance da parte del pubblico viene usata per creare un’atmosfera di incanto rustico, ed allo stesso tempo serve per dipingere lo stato di colpevolezza dell’Anima, con una serie di allusioni:
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Allá en Garganta la Olla, en la Vera de Plasencia, salteóme una serrana pelirrubia, ojimorena. Recogidos los cabellos debajo de una montera, una ballesta en el hombro y su espada en la correa, a saltear caminantes se sale por la ladera. Quiso Dios por mi ventura que me encontrase con ella. Pensé que me respetara, pensé que me conociera, porque juntos nos criamos en lo mejor de la Vera [...] Mientras siguió mis consejos fue llamada de Plasencia mujer de buena razón, sabia, recogida, honesta, hasta que el libre Apetito, con desenvoltura necia, dio en encontrarse conmigo, por revolverme con ella. Representole deleites, gustos, regalos, riquezas, mas todo representado como reyes de comedia.28
Il tragitto tematico dunque mette in luce non solo il depotenziamento di un tema eversivo, che raggiunge la sua punta di diamante nella prima decade del Seicento (con l’inclusione e la soluzione di nuovi conflitti), ma anche la sua successiva utilizzazione per la costruzione di un percorso morale, didattico e salvifico. 5. La Serrana de la Vera è una commedia doppiamente interessante, sia per il tema che per il manoscritto autografo che ci consegna il testo, con1127
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servato presso la Biblioteca Nacional di Madrid con segnatura Res. 101;29 unica fonte della commedia, che non fu mai stampata nel suo secolo, e ha conosciuto solo una diffusione moderna.30 Il Ms. presenta varie cassature, puntualmente indicate da Menéndez Pidal: lo studio recente dei manoscritti appartenuti alle compagnie ci permette oggi di ipotizzare interventi effettuati per alleggerire il testo al momento della messa in scena. Il Pidal non aveva strumenti altrettanto consapevoli del ruolo teatrale dei testi, tanto è vero che parla di una «devoción que la actriz despertó en Lope y en Vélez»,31 per spiegare le commedie che essi le dedicano, invece di pensare a una precisa committenza da parte di Juan de Morales Medrano, marito di Jusepa Vaca. Tali cassature consistono quasi sempre in riquadri tracciati su vari frammenti testuali, a volte con dizioni a lato come «no» (vedi f. 51r) oppure «ojo» (f. 53r). Talora si tratta invece di croci trasversali. La ratio dei vari tagli appare sempre comprensibile: si vedano tutti quelli che implicano la presenza di Mingo, e che ci fanno ipotizzare che la compagnia di Medrano non disponesse di un buffo con la forza scenica necessaria per la parte, quindi drasticamente ridotta. O che poco interessanti si ritenessero i brani che si riferiscono alle feste di Plasencia, quelli attribuiti a personaggi minori come Andrés o Madalena, o collocati alla fine degli atti, come i vv. 3128-79, dove si espunge l’intera scena finale dei Re Cattolici. Poiché questi tagli ci danno il polso di quello che fu il testo-spettacolo, ne do informazione nelle note, anche se – seguendo il principio della volontà dell’autore – li considero parte integrante del testo.32 Tutte le edizioni successive dipendono da quella di Menéndez Pidal, e d’altro canto appare difficile sottrarsi al fascino del grande padre della filologia spagnola. Anche se in certi casi un ripensamento critico appare ineludibile. Esamino solo i vv. 1631-32, f. 33v, dove Vélez scrive: CAPITÁN
DON GARCÍA
¿En qué estado queda el príncipe? Muerto y enterrado.
La risposta di don García alla domanda del capitano dovette sembrare quasi violenta; una seconda grafia la corregge nel più neutro «Oydme con cuydado», che ha tutto l’aspetto di una zeppa, voluta da chi mise in scena l’opera. Menéndez Pidal dà una descrizione dell’intervento, senza 1128
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NOTA INTRODUTTIVA
rilevare esplicitamente che la mano è diversa («se tacharon»), anche se sottolinea che è stato effettuato con tinta diferente.33 Ebbene: nessuno degli editori moderni interviene a restaurare la lezione voluta da Vélez, con la sua laconicità, che si distende poi dell’ampia e articolata descrizione foriera di una calibrata pietas. Restauro dunque alcune letture, dandone informazione nelle note.34 Mantengo la divisione dei personaggi che appaiono nei tre atti, secondo il criterio adottato da Menéndez Pidal e Bolaños, mentre Rodríguez Cepeda e Peale seguono l’uso moderno di riunirli tutti in un reparto iniziale. Trascrivo all’inizio del primo atto le iscrizioni che Vélez era solito apporre; e alla fine degli atti le sigle o le firme per esteso. Le lezioni supplite per congettura si trascrivono tra parentesi quadre. Vélez non segnala i frammenti che i personaggi devono dire tra sé, contando sulla professionalità della compagnia; come di consueto li trascrivo tra parentesi. Alcune lacerazioni nel Ms. interessano passaggi sanati da Menéndez Pidal, che tutti gli editori moderni seguono; li riporto tra parentesi quadre, e ne do informazione nelle note; ugualmente consegno in nota le letture sanate e le commento. Le note si limitano a informazioni essenziali, dirette fondamentalmente a un lettore italiano, ma fornisco tuttavia le coordinate per ampliarle. La Serrana de la Vera è stata tradotta in italiano per la prima volta nel 2010, pubblicata con un contributo della Dirección general del Libro, Archivos y Bibliotecas del Ministerio de Cultura spagnolo, e viene ora ristampata per gentile concessione di Alinea Editrice di Firenze. La traduzione di Silvia Rogai ha ricevuto a Monselice il premio Leone Traverso nel 2011. MARIA GRAZIA PROFETI
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Ave María LA SERRANA DE LA VERA Para la señora Jusepa Vaca LOS QUE HABLAN EN ESTE ACTO PRIMERO
GIRALDO,
labrador viejo
DON LUCAS, capitán MINGO,
gracioso
PASCUAL VICENTE LLORENTE BRAS GILA, la
serrana otra DON GARCÍA, alférez MADALENA,
ANDRÉS GERÓNIMO,
bravos
AGUADOR DON FERNANDO,
rey reina DON NUÑO, un criado DON RODRIGO GIRÓN, maestre de Calatrava [MAESTRO DE ESGRIMA] [PERICO] DOÑA ISABEL,
DOS DE PLASENCIA
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Ave Maria LA MONTANARA DELLA VERA Per la signora Jusepa Vaca PERSONAGGI DEL PRIMO ATTO
GIRALDO,
vecchio agricoltore capitano MINGO, buffone
LUCA,
PASQUALE VICENTE LLORENTE BRAS GILA,
la montanara un’altra montanara GARCIA, alfiere MADDALENA,
ANDREA GERONIMO,
bravacci
ACQUAIOLO FERNANDO,
re regina NUÑO, un servitore RODRIGO GIRÓN, gran maestro di Calatrava [MAESTRO DI SCHERMA] [PERICO] ISABELLA,
DUE DI PLASENCIA
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Jesús, María, Josef, Luis, Úrsola, Francisco, Juan, Antonio ACTO I Giraldo, labrador viejo, rico, y don Lucas de Caravajal, capitán, con su gineta y en cuerpo, muy galán; y dice Giraldo. GIRALDO
CAPITÁN GIRALDO
CAPITÁN GIRALDO
CAPITÁN GIRALDO
Si sois capitán del rey, seldo muy enhorabuena, que no me puede dar pena el serville a toda ley; pero en mi casa jamás se alojó nadie, y sospecho que el concejo no lo ha hecho, ni el alcalde. ¿El rey no es más? ¿Quién lo niega? Mas aquí ellos al rey representan, y nunca mi casa afrentan, si puede decirse así, con hacerla alojamiento. ¿Sois hidalgo? No, señor; pero soy un labrador con honrado nacimiento, cristiano viejo y honrado, que nosotros no pudimos escoger, cuando nacimos, la nobleza ni el estado; que a fe que a ser en mi mano, y a quererlo también Dios, naciera mejor que vos. ¡Qué filósofo villano! Mas a espacio, si es posib[le], señor capitán, que a fe
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Gesù, Maria, Giuseppe, Luis, Ursula, Francisco, Juan, Antonio ATTO PRIMO Giraldo, un agricoltore vecchio e ricco, e il capitano Luca de Caravajal, con una lancia corta, senza mantello, molto elegante. Giraldo dice: GIRALDO
CAPITANO GIRALDO
CAPITANO GIRALDO
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E così lei è un ufficiale inviato dal re? Bene! Sono a sua disposizione; farò ciò che mi comanda; ma sappia che in casa mia non sono affatto obbligato ad alloggiare le truppe, non può avervi autorizzato né il sindaco né il consiglio. Ma il re non vale di più? Senza dubbio, ma son loro a rappresentare il re, e non hanno mai umiliato, se si può dire così, questa mia casa, ordinando di farne un accampamento. Siete nobile? Per niente; però sono un contadino di una famiglia per bene e di origini cristiane. A nessuno viene dato di decidere il suo stato quando veniamo alla luce; ma, mi creda, fosse stato per me, volendolo Dio, sarei meglio di lei, io. Che filosofo villano! Capitano, si controlli, le conviene stare in guardia, 1133
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
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que, aunque estoy viejo, sabré tener valor invencible para no dejar que vos me ofendáis. ¿No sois villano? Hombre soy humilde y llano, mas villano no, por Dios, sino es porque vivo en villa; que villano es el que intenta a traición muerte o afrenta. Hombres buenos en Castilla sus reyes nos han llamado, y los que son hombres buenos de ese nombre están ajenos. Pero habláis como soldado, y aún como soldado mozo; que a ser más viejo, en efeto, tratara con más respeto estas canas vuestro bozo. Los que nobles han nacido, servicios no han menester con los reyes, para ser lo que otros han merecido cuando muchos les han hecho, que en impresas semejantes sirvieron por ellos antes con más que invencible pecho sus nobles antepasados; y Plasencia de los míos conoce muy bien los bríos que en ella están sepultados, aunque han fama inmortal; que, de los Caravajales, sirviendo como leales a la corona real y como muy valerosos en Portugal y en Castilla,
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che anche se sono ormai vecchio io conosco il fatto mio: non me ne starò a guardare mentre lei mi sta a insultare. Dunque non siete villano? Son modesto e popolano, ma villano proprio no anche se sto in un villaggio: è villano chi tradisce uccidendo od offendendo. I suoi re ci han definito «brava gente di Castiglia», e se siamo brava gente non possiamo esser villani. Ma d’altronde lei è un soldato, ed in più alle prime armi: altrimenti il suo pizzetto porterebbe più rispetto a questi capelli bianchi. Ma chi ha nobili natali non ha più bisogno alcuno di avere dai propri re delle onorificenze. Bastano le eredità che si sono guadagnati i suoi nobili antenati con azioni valorose e coraggio ardimentoso. E dei miei in quel di Plasencia è ben nota l’importanza, poiché lì son sotterrati e la loro fama è eterna: perché i Caravajal, per la corona real han servito questa terra da leali e valorosi, in Portogallo e Castiglia: 1135
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dan muestras en su capilla mil trofeos generosos. Y así los reyes – que guarde mil siglos, amén, el cielo en el castellano suelo – de quien son haciendo alarde, para la famosa guerra de Granada, me han nombrado por capitán, y me han dado patente para mi tierra por mayor merced; y así en toda la Vera puedo hacer gente, y hoy me quedo a tocar cajas aquí y a levantar la bandera, porque en Plasencia querría entrar ya con compañía de la gente de la Vera; porque es grande gusto entrar por su patria tan honrado el que salió a ser soldado. Y por ser tan buen lugar Garganta la Olla, quise que tenga principio en él, y en vuestra casa, pues dél no hay nadie que no me avise que es la mejor, y sois vos el más rico del lugar, y es buen puesto para estar la bandera. ¡Guárdeos Dios por la merced que me hacéis! Pero yo os agradeciera, en lo que posible fuera, mucho más que lo escuséis;
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splendono nella cappella mille e più trofei gloriosi. Per questo i re – loro onore sia reso, amen, per sempre sulle castigliane terre – dimostrando gran valore in quella famosa guerra di Granada, mi hanno fatto capitano, e mi han concesso, come premio, una patente per ingaggiare soldati in queste terre, così in tutta la Vera adesso reclutar soldati posso, e oggi me ne resto qui e ci pianto la bandiera: vorrei avere una squadra della gente della Vera quando arriverò a Plasencia. È un gran piacere tornare sul suolo natio onorato per chi l’aveva lasciato per servire il proprio re. Poiché mi sembra un bel posto Garganta la Olla voglio iniziar proprio da qua, da casa vostra, che già mi hanno tutti confermato che è di certo la migliore e che voi siete il più ricco: è un bel posto, ci conficco la bandiera. Ma che onore! Il buon Dio la benedica! Però la ringrazierò nel sol modo in cui potrò e di questo mi perdoni: 1137
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y os serviré desde aquí en cuanto queráis mandarme. Si he de llegar a enfadarme, escusaldo vos. A mí nunca me echaron soldados, y no los he de tener. Esto esta vez ha de ser, ¡por vida del rey! Criados y vasallos suyos somos, pero no pienso serviros en eso. Yo sí mediros con la gineta los lomos, y hacer a palos aquí lo que por bien no queréis; que como encinas daréis el fruto mejor así. Idos, señor capitán, más a la mano, ¡por Dios!, que ni encina soy, ni vos sois el paladín Roldán para mostraros tan fiero conmigo en mi casa. Haré lo que digo, por la fe de soldado y caballero. Pues por la fe de hombre honrado que no lo hagáis, que aunque estoy viejo, padre de hijos soy; y si el cielo no me ha dado varón que pueda volver, vida arrestando y honor, por las ofensas, señor, que vos me podáis hacer,
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io la servirò da qui, farò quel che c’è da fare. Se mi sto per arrabbiare perdonatemi voi. Qui non ho proprio mai ospitato dei soldati, e non ne voglio! In nome del nostro re, quel momento ora è arrivato! Mi consideri suo servo, ma non ho alcuna intenzione di obbedirle in quanto a questo. Io vi prendo le misure del groppone con la spada: vi convinco col bastone se non riesco con le buone; e come i noci darete il vostro frutto migliore. Suvvia, signor capitano, si contenga un po’, per Dio!, che non sono un noce io né mi pare lei un Orlando: come si permette allora di venire a casa mia con quest’aria da sbruffone? Farò come ho detto, giuro da soldato e cavaliere. Allora le giurerò, in quanto uomo dabbene, che le conviene non farlo: sebbene sia vecchio ormai, sono pur sempre un padre; benché Dio non mi abbia dato come erede un figlio maschio che rischiando vita e onore mi difenda, mio signore, dagli oltraggi che vuol farmi, 1139
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una hija me dio el cielo que podré decir que vale por dos hijos, porque sale a su padre y a su agüelo; que fuera de la presencia hermosa, tan gran valor tiene, que no hay labrador en la Vera de Plasencia que a correr no desafíe, a saltar, luchar, tirar la barra, y en el lugar no hay ninguno que porfíe a mostrar valor mayor en ninguna cosa destas, porque de las manifiestas vitorias de su valor tienen ya grande experiencia, que es su ardimiento bizarro. De bueyes detiene un carro, de un molino la violencia; corre un caballo mejor que si en él cosida fuera, y en medio de la carrera y de la furia mayor, que parece que al través a dar con un monte viene, suelta el freno y le detiene con las piernas y los pies. Esta mañana salió en uno al monte a cazar, y casi todo el lugar tras ella, que la siguió siempre que a caza ha salido, por verla con la escopeta, como los vientos sujeta, que ningún tiro ha perdido al vuelo, de tal manera
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una figlia invece ho avuto che potrei dire che vale per due figli, poiché è tale e quale al padre e al nonno. E oltre ad essere bella ha un così grande valore che non vi è un agricoltore nella Vera di Plasencia che la vinca nella corsa, nella lotta, lancio, o salto, e nessuno qui del posto si azzarda mai a provare a competere con lei: hanno tutti avuto assaggio del suo evidente valore, del suo impetuoso coraggio. Trattiene un carro di buoi, o le pale di un mulino, e quando è in sella a un cavallo ci sembra cucita sopra, poi nel mezzo della foga, a galoppo ormai sfrenato, quando sembra che stia quasi per scontrarsi contro un monte, tira il morso e con le gambe ed i piedi lo raffrena. Proprio stamani ne ha preso uno per andare a caccia e quasi tutti i paesani l’han seguita nel suo giro, come sempre in questi casi, per vederla col suo schioppo come il vento a gran galoppo, non mancare neanche un tiro: ed è per questo motivo
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CAPITÁN
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que no hay ave que la aguarde ni todo el furioso alarde de los brutos. No me diera mucha pesadumbre a mí, que yo luchara con ella de buena gana; y si es bella, como referís aquí, y tan diestra en el luchar como en todo maravilla, con alguna zancadilla la intentara derribar. Castigar sabe también malicias de esa manera. Pondráse aquí la bandera, y después sabremos quién podrá más de ambos a dos; que según la habéis pintado, si quiere ser mi soldado, os doy palabra, por Dios, de darle mi escuadra. Estáis de espacio y de buen humor.
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Ya pienso que el atambor, puesto que vos no gustáis, del cuerpo de guardia aquí quiere tomar posesión, y echar el bando en razón de mi patente; y así haced... ¿Cómo es vuestra gracia? Giraldo. Giraldo amigo, para todo lo que os digo sin género de desgracia
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che è il terrore di ogni uccello e di ogni bestia del bosco. Io invece non ho paura, e anzi combatterei ben volentieri con lei, e soprattutto se è bella, e tanto brava a lottare, e proprio senza un difetto come avete appena detto: conosco qualche trucchetto per farle un bello sgambetto. Lei saprà come punire anche queste insinuazioni. Io pianto qui la bandiera, e poi staremo a vedere chi dei due sarà il migliore: da come è stata descritta se vuol essere mia coscritta, parola d’uomo d’onore, la prendo nella mia squadra. Mi sembra di buon umore! Suonano un tamburo.
CAPITANO
GIRALDO CAPITANO
Penso che il mio banditore malgrado voi vi opponiate, voglia far di casa vostra il nostro corpo di guardia e secondo i miei comandi bandire ciò che è previsto dalla patente reale; dunque voi farete... come vi chiamate, vostra grazia? Giraldo. Giraldo, amico, ora fate ciò che dico, preparate, presto presto, 1143
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
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apercebir luego luego lo que fuere necesario. Y no lo hagáis al contrario, ya que por bien os lo ruego, si hacerme queréis favor, pues que no se escusa ya. Ya viene Gila y podrá daros recado, señor.
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Suenen relinchos de labradores, y vayan entrando por el patio cantando toda la compañía, menos los dos que están en el tablado, con co[ronas] de flores, y uno con un palo largo y en él metido un pellejo de un lobo con su cabeza, y otro con otro de oso de la misma suerte, y otro con otro de jabalí. Y luego, detrás, a caballo, Gila, la serrana de la Vera, vestida a lo serrano de mujer, con sayuelo y muchas patenas, el cabello tendido y una montera con plumas, un cuchillo de monte al lado, botín argentado y puesta una escopeta debajo del caparazón del caballo. Y lo que cantan es esto, hasta llegar al tablado, donde se apea. Cantan ¡Quién como ella, 205 la serrana de la Vera! Co[pla.] A dar flores sale al prado, la serrana de la Vera, bizarra puesta a caballo, la serrana de la Vera. En crenchas lleva el tocado, la serrana de la Vera, ojos hermosos rasgados, la serrana de la Vera; lisa frente, rojos labios, la serrana de la Vera; pelo de ámbar, blancas manos, la serrana de la Vera; cuerpo genzor y adamado,
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senza farne una tragedia, tutto ciò che è necessario. E non siatemi contrario, ve lo chiedo gentilmente, fatemi questo favore: sto perdendo la pazienza. Ecco Gila, sta arrivando, chieda pure a lei, signore.
Si sente il chiasso dei contadini in festa e tutti gli attori entrano dalla platea cantando (eccetto i due che già si trovano sul palco) con co[rone] di fiori. Uno di loro porta un lungo palo su cui è esposta una pelle di lupo con la testa attaccata, un altro porta allo stesso modo una pelle d’orso e un altro invece una di cinghiale. Dietro, a cavallo, Gila, la montanara della Vera, vestita alla montanara, con una casacca e vari medaglioni, i capelli sciolti, un cappello con le piume, un coltello da montagna alla cintura, stivaletti argentati e un fucile attaccato alla sella del cavallo. Mentre si dirigono sul palco, dove lei scende, cantano i seguenti versi. Cantano
Nessuna è come lei, montanara della Vera! Canzone. Più fiorita di un bel prato, montanara della Vera, gagliarda sopra il cavallo, montanara della Vera. In due bande i suoi capelli, montanara della Vera; gli occhi a mandorla più belli, montanara della Vera; fronte liscia, labbra rosse, montanara della Vera; chioma d’ambra, mani bianche, montanara della Vera; corpo fine ed elegante, 1145
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
la serrana de la Vera, ¡Quién como ella, la serrana de la Vera! 2º A dar flores sale al valle, la serrana de la Vera; genzor cuerpo, hermoso talle, la serrana de la Vera. Su belleza y su donaire, la serrana de la Vera, viene enamorando el aire, la serrana de la Vera. Sus ojos negros y graves, la serrana de la Vera, no hay quien mire que no adame, la serrana de la Vera. Dios mil años nos la guarde, la serrana de la Vera, y la dé un galán amante, la serrana de la Vera, para que con ella case, la serrana de la Vera, y para a los Doce Pares, la serrana de la Vera. ¡Quién como ella, la serrana de la Vera!
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Gila apéase y dice, tomando la escopeta de la silla del caballo: GILA
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Lleva, Mingo, ese caballo al pesebre, y del arzón esa caza quite Antón. (De puro admirado callo. No he visto en hombre jamás tan varonil bizarría).
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montanara della Vera; nessuna è come lei, montanara della Vera! 2a Più fiorita di una valle, montanara della Vera; corpo fine, bell’aspetto, montanara della Vera. Ha una grazia straordinaria, montanara della Vera, che di amore riempie l’aria, montanara della Vera. I suoi occhi neri e gravi, montanara della Vera, chi li guarda s’innamora, montanara della Vera. Che il buon Dio ce la preservi, montanara della Vera, e le dia un bel giovanotto, montanara della Vera, che la prenda come sposa, montanara della Vera, metta al mondo paladini, montanara della Vera. Nessuna è come lei, montanara della Vera! Gila scende da cavallo prendendo il fucile dalla sella e dice: GILA
CAPITANO
Mingo, su, porta il cavallo alla greppia, mentre Antonio tira giù la selvaggina. (Io sono senza parole! Non ho mai incontrato un uomo che avesse tanta energia.) 1147
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GIRALDO GILA GIRALDO
GILA
GIRALDO GILA
Vengas con bien, hija mía. ¡Oh padre! ¡Gallarda estás! Cada vez que te contemplo, vida pienso que me añades, Jordán de mi edad. ¡Que edades sin fin vivas, para ejemplo de mujeres españolas! ¿A los jazmines contigo cómo les fue? ¿Y entre el trigo a las rojas amapolas? Los azules alhelíes, ¿han querido competir con tus venas de zafir? ¿A tus labios carmesíes, atrevióse algún clavel? ¿Hubo algunas maravillas al nácar de tus mejillas descorteses? Un cruel jabalí se me atrevió solamente; mas de suerte que solicitó su muerte por donde menos pensó. ¿De qué modo? Yo corría tras de un corzo al viento igual, y al descubrir el cristal de una hermosa huente fría que hendo a unos ruinseñores caricio porque callaba y tan en tanto ensartaba perlas en hilos de flores en colchones de alhelíes, un sangriento jabalí vi echado, que desde allí
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO GIRALDO GILA GIRALDO
GILA
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Bentornata figlia mia! Padre! Figlia valorosa! Ogni volta che ti guardo mi riporti a nuova vita, come l’acqua del Giordano. Possa esser tu d’esempio per le donne della Spagna! Che hanno fatto i gelsomini nel vederti? E cosa mai hanno fatto, in mezzo al grano, tutti i papaveri rossi? Le viole blu han tentato di vincere le tue vene di puro zaffiro azzurro? Qualche garofano ha osato sfidarti le labbra cremisi? Le margherite han mancato di rispetto alle tue guance d’avorio? No, mi ha sfidato solo un crudele cinghiale, ma in risposta ha ricevuto, e mai lo avrebbe creduto, l’ultimo colpo mortale. E come? Mentre rincorro un capriolo sfrecciante, giungo a una splendida fonte di fresca acqua che scorre, che lusinga gli usignoli col suo silenzio tranquillo mentre con calma dispone perle in collane di fiori, su un materasso di viole; vedo un cinghiale feroce steso, che sta trasformando 1149
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perlas trocaba a rubíes: que tan caro le convida la hermosa huente a beberlas, que por la sed de las perlas daba la sangre y la vida. Apenas sintió el roído, cuando, puesto en cuatro pies, el fiero animal montés, de espuma y sangre teñido, desenvainó del cristal de la huente los colmillos que son mortales cochillos, y el espumoso animal al caballo arremetió terrible y determinado, lo que alcanzó por un lado, y hurtele la vuelta yo. Vuelve otra vez sobre mí, y yo revuelvo sobre él, y más airado y cruel el cerdoso jabalí otra vez arremetió a los pechos del caballo; pudo herillo, a no apartallo con tanta destreza yo; vuelvo las ancas, aflojo el freno, doyle al ijar la espuela, y vuélveme a dar asalto, en su sangre rojo. Tuerzo el cuerpo, y sobre el lado izquierdo pongo el cañón, corre el gatillo al fogón, y al pardo plomo colado el sediento pedernal, y apenas sufre que ocupe la pólvora, cuando escupe
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le perle in tanti rubini: che a caro prezzo lo invita la fonte splendida a berle e, per la sete di perle, lui perde il sangue la vita. Appena sente i miei passi la fiera bestia selvaggia si drizza immediatamente, sporca di schiuma e di sangue, sguaina le zanne tremende, mortali come un coltello, dal trasparente ruscello. Poi lo schiumoso animale, crudele e determinato, si lancia contro il cavallo, per sopraffarlo di lato, ma io mi giro e lo abbatto. Poi mi viene ancora addosso e io di nuovo lo attacco, ma quell’orrendo cinghiale, stavolta ancor più crudele e infuriato, si è scagliato contro il petto del cavallo; certo l’avrebbe ferito se non l’avessi bloccato con grande abilità; svelta mi giro di scatto, lascio il freno e sprono il fianco, lui mi torna ancora addosso pieno del suo sangue rosso. Mi volto sulla sinistra miro e poi premo il grilletto, scatta il fuoco dal moschetto e parte il piombo lucente dalla focaia impaziente: e mentre a stento resiste alla polvere, già esplode 1151
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
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GIRALDO GILA
GIRALDO GILA CAPITÁN GILA CAPITÁN GILA
CAPITÁN
GILA
contra el sangriento animal un rayo que le reciba por la vista y las orejas, y partiéndole las cejas di con él patas arriba. Maté este lobo después y ese oso fiero, señor, y de la caza menor alguna que entre los pies el caballo atropellaba, y con los perros corrimos. Y con esto nos volvimos, como ardiendo el sol bajaba, deseosa que esta tarde vamos a ver a Plasencia las fiestas, con tu licencia. Muchos años Dios te guarde, que yo, Gila, determino acompañarte también. ¿Quién es este hombre de bien que tan galán de camino estaba con vos aquí? Es un capitán. ¿Querrá alojarse? Claro está. Pues yo no quiero. Yo sí. ¿No hay más que quererlo vos? Aquí no pienso que hay más. No vi capitán jamás tan resuelto, ¡vive Dios! Ni yo mujer que tan bien lo jure. Si imagináis que lo soy, os engañáis, que soy muy hombre.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
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GIRALDO GILA CAPITANO GILA CAPITANO GILA
CAPITANO
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contro la belva furente un lampo che gli attraversa occhi e orecchie e che gli taglia le sopracciglia a metà; lui crolla a pancia all’aria. Dopo ho ammazzato quest’orso e questo lupo, signore, e qualche preda minore che mi correva tra i piedi e che il cavallo ha investito, o che hanno stanato i cani. Poi abbiamo fatto ritorno passato già mezzogiorno, perché, con il tuo permesso, io vorrei andare adesso alle feste di Plasencia. Il buon Dio ti benedica, Gila, sono intenzionato a venire anch’io con te. Ma chi è questo signore, così elegante, da viaggio, che parlava qui con te? È un capitano. Che vuole? Alloggiare in casa nostra? Purtroppo è proprio così. Beh, io non voglio. Io sì. E questo crede che basti? Non credo serva nient’altro. Mai ho visto un capitano più risoluto, per Dio! Né io ho mai visto una donna che bestemmi in questo modo. Sbaglia a pensarla così: io sono uomo verace.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I CAPITÁN
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Pues bien, ¿qué importa, señora Gila, cuando fuera su merced dos Hércules? Pretended, pues el hablar aniquila a los que de hombres se precian, que acortemos de razones, que tales conversaciones más que estiman menosprecian, como lo dice el refrán; y busque otro alojamiento el alférez o el sargento para el señor capitán, porque mi padre no aloja sino es a mí solamente, a su ganado, a su gente y al güésped que se le antoja; y a soldados, camarada, aunque el rey se lo soprique, nunca lo acostumbra. Pique, que más abajo hay posada; que en esta casa, yo fío que os la den de mala gana. ¡Oh, qué cansada villana! ¡Oh, qué fanfarrón jodío! ¡Vive Dios, que hemos de ver cómo me contradecís alojarme. Vos venís donde no queréis volver, ¡Ah, señor alférez! ¡Ola, señor sargento! Esperad, no os enojéis, y escuchad aquesta palabra sola. ¿Qué quieres?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO CAPITANO
GILA
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GILA
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Che importa, signora Gila, se anche vossignoria fosse due Ercoli? È meglio finirla qui senza farla tanto lunga, non è uomo chi si perde in discussioni; che in queste conversazioni, come ricorda il proverbio, in realtà chi compra sprezza. Trovi dunque un altro posto l’alfiere oppure il sergente per il signor capitano: mio padre non darà alloggio a nessuno eccetto me, il suo gregge e la sua gente, o a chi pare e piace a lui. E i soldati poi, compagno, non li può proprio soffrire, neanche se lo supplicasse il re. Perciò se ne vada, potrà alloggiare più avanti; in questa casa, mi creda, lei non è affatto gradito. Oh, che villana seccante! Oh, che spaccone sfacciato! Voglio vedere, di grazia, come me lo impedirete! Stia attento, che lei così si sta mettendo nei guai. Ah sì? Alfiere, sergente! Venite qui! No, su, aspetti, senza arrabbiarsi, mi ascolti solo una cosa, è importante. Ora che vuoi?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GILA
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GILA CAPITÁN GILA
CAPITÁN GILA
Que os alojéis muy en buen hora, que llanos estamos ya. ¡Al fin, villanos, que nada por bien hacéis! ¡Temiendo que la gineta no hiciera el alojamiento! ¿Cuál ha de ser mi aposento? El cañón desta escopeta. ¿Qué dices? Procura entrar, fanfarrón. Escucha, advierte... ¡Vive Dios, que desta suerte os he de echar del lugar!
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Éntrase el capitán retirando, y Gila poniéndole la escopeta a la vista, que lo hará muy bien la señora Jusepa. GIRALDO
PASCUAL
MINGO
VIZENTE
LLORENTE MINGO
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Eso sí, Gila, y no quiera sopetearnos nenguno. Si hueran diez, como es uno, lo propio, Giraldo, huera. ¡Ojo, cuál va por la calle el fanfarrón capitán! ¡Mala Pascua y mal San Juan le dé Dios, y nunca halle en toda la Vera apenas un soldado que le siga! ¡Todo el cielo le maldiga! ¡Pardiobre!, que me dan venas de atordille desde aquí, Giraldo, con un guijarro. ¡Y si cojo de un chaparro una estaca yo!...
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CAPITANO
GILA CAPITANO GILA
CAPITANO GILA
Che lei resti e con piacere; io adesso sono più calma. Era ora! Ossi duri, eh, i villani? Ma per domarli, si sa, basta mostrare le armi. Dove posso accomodarmi? Sulla canna del fucile. Come hai detto? Prova a entrare, fanfarone! Ascolta, aspetta! Ora ti faccio vedere che ti caccio dal paese!
Il capitano esce di scena ritraendosi, mentre Gila gli punta il fucile alla testa, cosa che la signora Jusepa saprà fare molto bene. GIRALDO
PASQUALE
MINGO
VICENTE
LLORENTE MINGO
BRAS
Brava Gila, mai nessuno si riprovi a maltrattarci. Che siano in dieci o sia uno, è così che si risponde. Con la coda tra le gambe se ne va quello spaccone! Che gli vada tutto a rotoli, e che non riesca a trovare, nella Vera in lungo e in largo, un soldato che lo segua. Sia maledetto! Mio Dio! Ora non resisto più dalla voglia di tirargli una pietra sulla testa. Dopo che hai finito tu io continuo col bastone.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GIRALDO
MINGO
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Vení, y no perdamos a Gila de vista. Giraldo, vamos; aunque, si mal no miramos, los mocos le despabila, y no hay della que temer con un hombre tan roín. ¡Hija de Giraldo al fin! Volvé a cantar y tañer.
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Éntranse cantando. ¡Quién como ella, la serrana de la Vera! Entre agora el Capitán retirándose y Gila con la escopeta en los ojos, y dice él: CAPITÁN
GILA
Serrana hermosa y cruel, ¿dónde me intentas llevar? Ésta es la cruz del lugar, la horca aquélla y aquél el camino de Plasencia, aquél el de Jarandilla; no volváis más a la villa a tentarme de pacencia, que os volaré, ¡vive Dios!, mucho mejor que lo digo. Basta lo que vos conmigo y yo he pasado con vos, para que no segundéis, que sufro mal demasías; que a otras cuatro compañías lo mismo hiciera que veis, cuanto y más a un capitán
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO GIRALDO
MINGO
GIRALDO
Su, muovetevi, venite non voglio perder di vista Gila. Giraldo, arriviamo! Anche se, a quanto vediamo, lo sta prendendo a schiaffoni, e non c’è di che temere con un uomo tanto vile. Degna figlia di suo padre! Rimettetevi a cantare! Escono di scena cantando. Nessuna è come lei, montanara della Vera!
Entra in scena il capitano ritraendosi, mentre Gila gli punta il fucile, e dice: CAPITANO
GILA
Dove pensi di portarmi, bella e aspra montanara? Qui è l’inizio del paese, lo segnala questa croce e quella forca; e laggiù la strada verso Plasencia, e quella è per Jarandilla. Non si riprovi a tornare o perderò la pazienza e sarà peggio per lei: l’ho avvisata. È sufficiente quel che le ho fatto passare e che ho passato con lei: non ripetiamo la scena, non sopporto i prepotenti. Ne scaccerei altre quattro di compagnie, in questo modo, e a un capitano scortese 1159
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
tan descortés y hablador. Y adviértoos que este rigor pasará – a ser vos Roldán – adelante si volvéis, no solamente a mi casa, sino al lugar, pues que pasa lo que a vuestros ojos veis. Y poneos a escoger cuál destos caminos dos más os agrada, y ¡adiós!
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Vase. CAPITÁN
¿Hay más notable mujer? Haciéndome cruces quedo, porque vence con valor, con hermosura y amor, y dos veces decir puedo que vencido me ha dejado. Hasta el campo me sacó; que más rigor no se osó con un recién azotado, que le apean del jumento para desterralle. Estoy sin mí.
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Don García, alférez. GARCÍA
CAPITÁN
GARCÍA
En vuestra busca voy, y lo mismo hace el sargento. ¿Qué es lo que os ha sucedido, señor capitán? No sé; que una mujer sola... ¿Fue la serrana?
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e tanto impertinente riserverò il trattamento ancora più volentieri. E sarò ben più violenta se si mette a far l’eroe e si azzarda a ritornare non soltanto a casa mia, ma al paese: lei sa bene cosa l’aspetta se torna. Adesso basta, su, scelga quale di queste due strade fa al caso suo. E a mai più! Esce di scena. CAPITANO
Ma che donna straordinaria! Mi ha lasciato a bocca aperta: Trionfa per il valore, per la bellezza e l’amore, e lo posso dire forte di essere stato sconfitto. Mi ha scacciato dal paese: neanche chi viene esiliato, dopo esser stato frustato sopra il somaro, è trattato tanto male. Sono fuori di me. Garcia, l’alfiere.
GARCIA
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GARCIA
Vi stavo cercando, e come me anche il sergente. Ma che cosa vi è successo, capitano? Non lo so. Era una donna, e da sola... La montanara? 1161
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I CAPITÁN
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No ha tenido Aquiles mayor valor, aunque mis locos antojos más temieron a sus ojos. Si es la serrana, señor don Lucas, tiene en la Vera notable fama de hermosa y de mujer valerosa. Haced sacar la bandera de la villa, don García que mejor será en Plasencia levantalla, y con violencia de toda una compañía abrasar este lugar y gozar esta muger tan brava. Es buen parecer. Bien podrás luego marchar, que ésta es belicosa gente, y estando sin compañía hará una superchería. Esta serrana valiente he de rendir si me cuesta mil vidas, alférez. Luego puedes. De furia estoy ciego, pero no es ocasión ésta. Determínate, que yo solo a Garganta la Olla abrasaré, y esa polla, que entre sus gallos crió, te la daré sazonada en el plato que quisieres,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO CAPITANO
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Nemmeno il prode Achille avrà avuto un così grande valore; ma i miei folli desideri più di tutto hanno temuto i suoi occhi. Signor Luca, se è stata la montanara, quella donna ha nella Vera fama di grande bellezza e di donna valorosa. Sia levata la bandiera dal villaggio, su, Garcia, meglio spostarla a Plasencia e poi, con grande violenza, con l’intera compagnia, metteremo a ferro e fuoco il villaggio, e violeremo quella ragazza ribelle. Mi sembra un’ottima idea. Però adesso è meglio andare, che questa è gente violenta: noi siamo senza soldati e potrebbero assalirci. Devo riuscire a domare la montanara spavalda, anche dovesse costarmi la vita. Ci riuscirai. Ora son fuori di me, ma non è ancora il momento. Io potrei radere al suolo tutta Garganta la Olla da solo e poi consegnarti quella pollastra, allevata tra quei suoi galli, servita sopra un vassoio d’argento, 1163
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
CAPITÁN
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y todas cuantas mujeres tiene dentro, si te agrada. Resuélvete tú, y verás el valor de don García. No basta ser sangre mía para intentar esto y más. No hay sino decir: “Yo quiero”, y remitillo a esta espada, que el mundo en gustando es nada, por la fe de caballero.
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Suenan relinchos de labradores. CAPITÁN
GARCÍA
CAPITÁN
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CAPITÁN
Gente de la villa sale, que deben de ir a Plasencia a las fiestas. Tu pacienc[ia] de salvaguardia les v[ale], que por la fe de soldado que habían de ver quién soy. Por ser capitán estoy a esto, alférez, obligado; que siendo oficial del rey, no es justa razón causar alboroto en un lugar; mas yo romperé esta ley en más cómoda ocasión, si no mudan pareceres. Míraslo como quien eres, y obedecerte es razón. Voy a sacar la bandera. Sácase, y vamos de aquí. Loco me lleva y sin mí la serrana de la Vera.
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Vanse.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
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così come ogni altra donna del paese, se lo vuoi. Tu deciditi e vedrai il valore di Garcia. Non basta avere il mio sangue per riuscire nell’impresa. Bisogna solo ordinarlo e affidarsi alla mia spada, se lo vuoi il mondo è tuo: parola di cavaliere. Risuonano le grida di festa dei contadini.
CAPITANO
GARCIA
CAPITANO
GARCIA
CAPITANO
Dal villaggio arriva gente, staranno andando alle feste di Plasencia. La tua calma le risparmierà la vita: io le avrei fatto vedere di che pasta sono fatto. Un capitano non può fare altrimenti, Garcia: sono ufficiale del re non posso andarmene in giro a provocare scompiglio. Ma se non cambiano idea disobbedirò ai comandi quando arriverà il momento. Tu fai ciò che ti si addice, io farò come mi dici. Vado a levar la bandiera. Toglila e poi ce ne andiamo. Mi fai andar fuori di testa, montanara della Vera! Escono di scena.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
Salgan dos de la ciudad en Plasencia. PRIMERO SEGUNDO
PRIMERO
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PRIMERO
SEGUNDO
PRIMERO
SEGUNDO PRIMERO SEGUNDO PRIMERO SEGUNDO
PRIMERO
SEGUNDO
¿Cuántos son los toros? Creo que son doce, pero son cada cual como un león. ¡Qué dellos rodando veo, si hay lanzadas y rejones y no lo saben hacer! Sacres por fuerza ha de haber, siendo los toros leones, que volarán de las sillas, más que hacia arriba, hacia abajo. Ése es notable trabajo, aún haciendo el asta astillas. A los que ven desde lejos fácil les parece todo, y en el coso de otro modo. Siempre seguí los consejos de los que dicen que cosa sin quien se puede pasar, o hacella bien o mirar. La plaza está milagrosa. No la he visto así jamás. Bien te admiras y la estrañas. ¿Cómo es el juego de cañas? Capas y gorras no más, porque lugar no tuvieron para libreas, por ser con tanta prisa el querer pasar sus altezas. ¿Fueron ciertas las nuevas de Alhama? Don Rodrigo Girón es el que la puso a sus pies; digna hazaña de su fama.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Entrano in scena due abitanti di Plasencia. PRIMO SECONDO
PRIMO
SECONDO
PRIMO
SECONDO
PRIMO
SECONDO PRIMO SECONDO PRIMO SECONDO
PRIMO
SECONDO
Quanti sono i tori? Credo solo dodici, ma ognuno ha la forza di un leone. Molti andranno a ruzzoloni se vogliono toreare e poi non lo sanno fare! Chiunque si azzardi a provare volerà come un falcone: quei tori, come leoni, lo faranno andare giù dalla sella, a gambe all’aria! Sarà un’impresa rischiosa, da frantumare le lance. A guardare da lontano sembra un gioco da ragazzi... ma nell’arena è ben altro! Ho sempre dato ragione a chi dice che una cosa che si può anche non fare o farla bene o guardare. La piazza è meravigliosa. Non l’ho mai vista così. Hai ragione a sbalordirti! Ma com’è andata la giostra? Solo mantelli e berretti, perché non c’è stato tempo di preparare livree: i re avevano fretta di partire. Sono vere le notizie di Alhama? A conquistarla è stato Rodrigo Girón: impresa ben degna della sua fama! 1167
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I PRIMERO
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PRIMERO
SEGUNDO
PRIMERO SEGUNDO PRIMERO
SEGUNDO
PRIMERO
SEGUNDO
Con justa causa le alaba la castellana nación. Al fin Pacheco y Girón, maestre de Calatrava. Él podrá poco, o pondrá a sus pies del mismo modo a Granada. El coso todo de gente cubierto está, y ocupando las ventanas damas bizarras y bellas. Hoy sale el sol con estrellas. Bellas son las plasencianas. ¿No tomaremos lugar en un tablado? Tomemos, porque después no podremos sitio tan a gusto hallar. ¿Hacia a qué acera os inclina la voluntad? A esta acera.
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De adentro, vendiendo, diferentes voces: TERCERO CUARTO QUINTO SEXTO SÉPTIMO OCTAVO NOVENO AGUADOR
¡Limas dulces de la Vera! ¡Turrón! ¡Confitura fina! ¡Lindas camuesas y peros! ¡Cerezas! ¡Piñón mondado! ¡Azúcar blanco rosado! ¡Agua y anís, caballeros!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO PRIMO
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PRIMO
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PRIMO SECONDO PRIMO
SECONDO
PRIMO
SECONDO
Non è un caso che lo ammiri tutta quanta la nazione. Proprio un Pacheco e Girón, maestro di Calatrava! Il suo valore potrà far arrendere ugualmente Granada. L’arena è tutta già piena zeppa di gente. Che belle dame eleganti affacciate alle finestre! Oggi c’è il sole e le stelle. Le plasenciane son belle. Ma perché non ci mettiamo a sedere? Certo, andiamo! Altrimenti va a finire che rimangono soltanto i posti peggiori. Dove preferisci stare? Qui. Da dentro si sentono alcune voci di venditori:
TERZO QUARTO QUINTO SESTO SETTIMO OTTAVO NONO ACQUAIOLO
Limoni dolci di Vera! Torrone! E marmellata! Mele e pere sopraffine! Ciliegie! Pinoli freschi! Zucchero bianco rosato! Acqua e anice, signori!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
Un maestro de esgrima y un muchacho con espadas y cascos. MAESTRO
PERICO
Planta, Perico, el arnés en este sitio. Hoy es día de poleo y valentía.
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Dos bravos, el uno con espada, y el otro, que es Andrés, vestido como carretero, sin ella, y con montera y polainas y un capote de dos haldas, y debajo dél un coleto y caída por detrás la capa. GERÓNIMO ANDRÉS
GERÓNIMO
ANDRÉS
GERÓNIMO
MAESTRO
GERÓNIMO ANDRÉS
GERÓNIMO
ANDRÉS
MAESTRO
¿No hugaremos, Andrés? Herónimo, en viendo entrar de Garganta la Olla hente, tomaré la espada. A veinte de Cuacos en su lugar dieron mucha pesadumbre las fiestas pasadas. Hoy esperándolos estoy. Siempre tienen de costumbre bravear en su lugar, aunque los dessa aldehuela les mearon la pajuela. ¡Ea, galanes, entrar para hacer nombre de Dios! ¿Qué responde Andrés a eso? Pues lo dice el so maeso, huguemos ambos a dos. Tenga, macebo, esta capa y esta espada. Tengamé esta mía. Jueguesé.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Si avvicinano un maestro di scherma e un ragazzo, con le spade e i caschetti. MAESTRO PERICO
Perico, posa gli attrezzi. Oggi è giorno di duelli in cui mostrare coraggio.
Due bravacci: uno con la spada e l’altro, Andrea, invece senza, vestito da carrettiere con un cappello, calze, una giubba a due falde con sotto un giustacuore e un mantello buttato all’indietro. GERONIMO ANDREA
GERONIMO
ANDREA
GERONIMO
MAESTRO
GERONIMO ANDREA
GERONIMO
ANDREA MAESTRO
Noi non ci battiamo, Andrea? Se vedo gente, Geronimo, che è di Garganta la Olla prendo la spada. Ricorda che nelle ultime feste, a Cuacos, gliele hanno date proprio di santa ragione a quelli del posto. Bene, oggi io li aspetto qui. Sono abituati sempre a far tutti gli spacconi, anche se quelli di qui gliel’hanno fatta vedere. Venite, per Dio, signori, fatevi sotto, coraggio! Come gli rispondi, Andrea? Beh, se lo dice il maestro, andiamo a dargli un assaggio! Giovane, ecco il mantello, e poi tienimi la spada. Reggimi anche la mia. Pronti? Uno, due, tre... via!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
Toman las espadas y dice: ANDRÉS
MAESTRO
ANDRÉS
No he de perdonar al Papa, no siendo de mi lugar. Sea para bien la estrena. Toquen casco. Dorabuena.
Tocan casco, y luego como acostumbran sus idas y venidas. MAESTRO
Limpio, y sólo señalar; que aquí a enseñar se camina y es lo demás borrachera.
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Entretanto que desde adentro se pregona:
AGUADOR MAESTRO
GERÓNIMO
¡Limas dulces de la Vera! ¡Turrón! ¡Confitura fina! ¡Lindas camuesas y peros! ¡Cerezas! ¡Piñón mondado! ¡Azúcar blanco rosado! ¡Agua y anís, caballeros! Yo la vi. Vaya otra, y tiento con la vista. Eso buscamos.
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Giraldo agora; Mingo con capa, puesto a lo gracioso, de bravo, y Madalena y Gila con rebozos en la cara de volante y sombreros de palma y ferreruelos. GILA MADALENA
GILA
A lindo tiempo llegamos. Camínase por el viento, Gila, cuando a fiestas es. Éstas, prima Madalena, son de mayor gusto.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Prendono le spade e Andrea dice: ANDREA
MAESTRO
ANDREA
Non risparmio neanche il Papa se non è del mio paese. Su, forza, fatevi sotto! Saluto. Buona fortuna.
Si portano la mano al caschetto e poi, come è uso, iniziano a combattere. MAESTRO
Piano, fate solo finta, siamo qui per imparare: non bisogna esagerare! Nel frattempo da dentro si sente gridare:
ACQUAIOLO MAESTRO
GERONIMO
Limoni dolci di Vera! Torrone! E marmellata! Mele e pere sopraffine! Ciliegie! Pinoli freschi! Zucchero bianco rosato! Acqua e anice, signori! Toccato! Su, forza, ancora: stai attento! Puoi giurarci!
Entrano in scena Giraldo, Mingo con un mantello, vestito in maniera ridicola, da bravaccio, Maddalena e Gila, entrambe con il volto coperto da un velo, un cappello di paglia e un mantellino corto. GILA MADDALENA
GILA
Arriviamo giusto in tempo! Si va in fretta, cara Gila, quando si tratta di feste. Queste sono le migliori, Maddalena. 1173
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I MADALENA
GILA
MADALENA
GILA
MAESTRO
¿Llena la plaza de hombres, no ves? Como los reyes honrar esta ciudad han querido, toda la Vera ha venido, que no ha faltado lugar. Rabiando vengo por ver a la reina, porque della, después de decir que es bella, dicen que es brava mujer, que al lado de su marido, que le guarde Dios mil años, le ven her hechos estraños; mas tal madre la ha parido y tal padre la engendró. Su valor pintado han en el príncipe don Juan. Madalena, en viendo yo mujeres desta manera, me vuelvo de gusto loca. Esta vaya, y punto en boca.
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De adentro:
GIRALDO MINGO
¡Limas dulces de la Vera! Gila, tomemos lugar. Siempre que en el coso estoy, de mí imagino que doy un olor particular, que debe de ser de miedo, y es para el que tenga al lado...
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De adentro:
MINGO
¡Azúcar blanco rosado! Y membrillos de Toledo.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO MADDALENA
GILA
MADDALENA
GILA
MAESTRO
Guarda là! La piazza è piena di gente! Dal momento che verranno anche i re ad onorare la città, sono arrivati da ogni parte della Vera. Io non sto più nella pelle, voglio veder la regina: pare non solo sia bella ma valorosa, perché a fianco di suo marito, Dio lo protegga in eterno, ha compiuto grandi imprese. Ebbe certo un padre illustre e una madre non da meno! Si scorge il loro valore anche nel principe Juan. Cugina mia, quando vedo questo genere di donne io impazzisco dal piacere. Questa è l’ultima; ora basta! Da dentro:
GIRALDO MINGO
Limoni dolci di Vera! Gila, scegliamoci un posto. Quando io sto nell’arena mi sento addosso un odore alquanto particolare, credo che sia di paura, e per chi mi sta vicino non dev’essere un piacere... Da dentro:
MINGO
Zucchero bianco rosato! E cotogne di Toledo. 1175
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GILA
GIRALDO MADALENA
GILA
Juego de armas hay aquí; lleguemos, padre, a mirar, que no faltará lugar. Tal inclinación no vi. Erró la naturaleza, Gila, en no herte varón. ¡Ay, prima!, tienes razón.
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De adentro:
ANDRÉS
GERÓNIMO
De adentro
¡Piñón mondado!... ¡Cereza! Llegando van forasteros. Sienta, Herónimo. Andrés, sí haré para entrar dempués. ¡Agua y anís, caballeros!
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Toma Gerónimo su capa y su espada y echa un cuarto en el casco que se quita el muchacho de la cabeza. Toma el montante el Maestro y hace plaza agora. MAESTRO
GILA
MINGO
GILA MINGO
GILA
Plaza, hidalgos, ¡fuera, fuera!; guardar los pies. Mingo, toma la espada tú. ¿Yo? ¡Mahoma con este de la montera! ¡Gila la puede tomar! ¡Vive Dios, que eres gallina! Pues si eso te da mogina, yo te quiero contentar, que quiero salir por ti esta vez descalabrado. Entra tú determinado, y ten hígados, y di que te descalabre.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO GILA
GIRALDO MADDALENA
GILA
Qui si fanno dei duelli: su, padre, andiamo a vedere, ci saranno ancora posti! Mai vista tanta passione! La natura si è sbagliata, Gila, a farti nascer donna. Cara cugina, hai ragione! Da dentro:
ANDREA
GERONIMO
Da dentro
Pinoli freschi!... Ciliegie! Arrivano forestieri. Fermo, Geronimo. Andrea, mi fermo e poi ricomincio. Acqua e anice, signori!
Geronimo prende la spada e il mantello e butta una moneta nel caschetto che si è tolto il ragazzo. Il maestro prende lo spadone e si fa largo. MAESTRO
GILA
MINGO
GILA MINGO
GILA
Fate largo! Fuori, fuori! Andate via! Mingo, su, prendi la spada. Un duello con questo qui col cappello? Al diavolo! Proprio no! Gila, lo lascerò a te! Mio Dio, quanto sei fifone! Bene, se ci tieni tanto voglio proprio accontentarti, scenderò in campo per te, mi farò spaccar la testa! Entra senza aver paura, abbi fegato e incoraggia il tuo nemico all’attacco.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I MINGO
GILA
MINGO
GILA
MINGO
ANDRÉS
MINGO
GILA
MINGO
MAESTRO ANDRÉS MAESTRO MINGO MADALENA GILA
GIRALDO
Voy, aunque con miedo cruel. Escucha, déjate dél cargar la espada. Ya estoy en lo que dices. Y luego alza y tírale un mandoble, que aunque la espada se doble, saque de los cascos huego, y déjalo luego estar, que aquí estoy yo. Que no quiero contra aqueste carretero más, Gila, que verme entrar. Mira del modo que tomo la espada y cómo me quito la capa. Ya estoy agito déste payo. Y mira cómo voy entrando. Siempre tieso y a la vista; eso me agrada. Un cuervo llevo en la espada. Apártese, so maeso. ¡Toquen casco! ¡Dorabuena! Limpio. Yo tendré cuidado. Bravamente Mingo ha entrado. ¿Pues no ha de entrar, Madalena, estando yo aquí? Yo estoy remozándome de ver jugar las armas. Ayer, tal día como el que es hoy,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO MINGO GILA
MINGO GILA
MINGO
ANDREA
MINGO
GILA
MINGO
MAESTRO ANDREA MAESTRO MINGO MADDALENA GILA
GIRALDO
Vado, ma muoio di fifa. Ascolta, devi lasciare che lui ti si faccia sotto... Farò tutto ciò che dici. E poi dàgli una stoccata forte da piegar la spada, da fracassargli la testa, e dopo lascialo stare che ci sono io qui. Gila, ora voglio farmi sotto contro questo carrettiere. Guarda adesso come prendo la spada e poi mi levo il mantello. Quel villano mi ha seccato. E adesso guarda come entro. Sempre attento e sveglio: così mi piace! Questa mia spada è mortale! Maestro, mi faccia posto. Saluto. Buona fortuna. Piano. Sì, farò attenzione. Mingo è entrato da campione. Come potrebbe non farlo davanti a me? Io mi sento ringiovanire, difronte a tutti questi duelli. E mi sembra quasi ieri,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
me parece que hue el día que en este mismo lugar ¡ah mocedad!, a pesar de la mayor valentía que tuvo toda la Vera, a un bravo di en qué entender. Todo pasa por correr tan breve la edad ligera.
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Agora vuelven a la segunda ida y venida. Dale en la cabeza y suelta la espada. Un pan le he de dar agora, si puedo, como unas nueces. Esto no es para dos veces; entre otro, amigo. En buena hora.
ANDRÉS
MINGO
GILA
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Arremeten Gerónimo y Gila a la espada, y cójela Gila. GERÓNIMO
GIRALDO GILA
ANDRÉS
MINGO
ANDRÉS MINGO
Tarde llegué, y ¡vive Dios! que es mujer la que ha tomado la espada. Gila, ¿en qué has dado? Ya lo veréis, padre, vos. Ten la capa, Madalena, que a este bravo pienso her que me sueñe. ¿Una muher toma la espada? No suena una calabaza más. Algo pago de vacío en los cascos. ¡Bravo brío! Con carreteros, no más, que es gran gente de chichón,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
in un giorno come questo, quando, proprio in questo luogo, ah gioventù!, nonostante i giovanotti più forti di tutta quanta la Vera, feci tremare un bravaccio. Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Inizia il secondo scontro. Lo colpisce sulla testa e lo disarma. ANDREA
MINGO
GILA
E se questo non gli basta gliene posso dare ancora... Io non ci ricasco più! Sotto un altro! Finalmente!
Gila e Geronimo corrono a prendere la spada ma è Gila ad afferrarla per prima. GERONIMO
GIRALDO GILA
ANDREA MINGO
ANDREA MINGO
Per Dio! Non ho fatto in tempo! È una donna ad aver preso la spada. Gila, che fai? Ora, padre, lo vedrai... Maddalena, ecco il mantello, farò in modo che il bravaccio si ricordi la mia faccia. Una donna con la spada? Ho la testa che rimbomba: è più vuota di una zucca. Che botta! Che coraggiosa! Coi carrettieri io ho chiuso, è gente che pianta grane!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
ANDRÉS
GILA
ANDRÉS GILA MINGO
y ¡vive Dios! que el que tiento, que es otra cabeza, y siento en el alma el coscorrón, que imagino que también ha quedado no sé cómo. ¡Oh carretero de plomo!, mala pedrada te den, derríbente las encías con un almirez, un boj te mate. Para reloj famosa mano tenías, que asentara lindamente cuando dieras el caíz. Señora Aldonza o Beatriz, si es su amigo o su pariente el payo del coscorrón y le pretende vengar, busque uno de su lugar y llevará otro chichón; que a mujeres tengo miedo, sí, ¡por ell agua de Dios! y más si son como vos. Bien sé que dársele puedo, mi señor, carro o carreta, más que por mujer por hombre. Lindo dicho. No os asombre. Plega a Dios que no se meta Gila, por querer ser br[ava], donde no pueda salir. Bien nos pudiéramos ir, que ya yo me contentaba
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
ANDREA
GILA
ANDREA
GILA MINGO
Perbacco! Ho qui un bernoccolo grosso come un’altra testa; quello scappellotto, Ahimè, mi è arrivato fino alle ossa: non so come c’è restato! Oh, carrettiere, che male! Che ti prendano a sassate, che un pestello ti distrugga le gengive e tutti i denti, e che un mortaio ti ammazzi! Hai una mano rinomata, precisa, da orologiaio! Sarebbe proprio adatta a battere il mezzogiorno con i suoi dodici colpi! Cara mia Aldonza o Beatrice, se quel villano cafone è un suo amico o un suo parente e lo vuole vendicare, ne scelga, tra la sua gente, uno ch’io possa picchiare: ho paura delle donne, lo giuro in nome di Dio, specie se son come voi. Vorrà dire che vedrò, signore, carro o carretta, di suonargliele da uomo più che da donna. Però... Bella battuta! Non tema. Voglia Dio che Gila adesso non si metta in mezzo ai guai per mostrare quanto vale. Per quanto riguarda me, ce ne potremmo anche andare, mi accontento del rovescio 1183
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
GIRALDO MAESTRO
GILA
MAESTRO GILA MAESTRO ANDRÉS
GILA ANDRÉS
GILA
MAESTRO
GILA
MAESTRO
GILA
con que haya sido chichón el tajo del carretero; aunque hue Tajo y hue Duero. No hay quien la meta en razón. Doncella, siente la espada y no nos entrampe el juego. Señor maeso, yo juego, y ya la tengo empuñada, y no he de her otra cosa que la que digo. Pues vaya. Mujer soy sólo en la saya. Y seréis mujer famosa. ¿Al fin, señora doncella, quiere jugar? Es antojo. Por San Rorro, si me enojo, que pueden doblar por ella. Jugar y callar parece mucho mejor. Nunca vi tal mujer. Yo siempre hui deste parecer. Merece corónica este valor. Brava postura, famoso partir cerrado y airoso; no pudo hacerlo mejor el mismo que lo ha inventado. ¡Por vida de mase Juan! Reconociéndose van. Éste es revés por un lado.
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Cárgale la espada Andrés y ella le da muy bien, y mete el montante.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
GIRALDO MAESTRO
GILA
MAESTRO GILA MAESTRO
ANDREA
GILA ANDREA
GILA
ANDREA
GILA
MAESTRO
GILA
che mi ha dato il carrettiere, che per essere un rovescio mi è arrivato bello dritto! Fa sempre di testa sua. Ragazzina, giù la spada e non ci rovini il gioco. Maestro, voglio duellare; la spada l’ho già impugnata. Son determinata a fare quello che ho detto. E va bene! Son donna solo di aspetto. E un giorno sarà una donna famosa. Insomma, signora, vuole battersi? Di corsa! Perbacco, se io mi arrabbio possono suonare a morto! Credo che sia meglio battersi e stare zitti. Mai viste donne così! Lo sostengo da sempre. Il suo coraggio merita eterna memoria: postura ferma, eccellenti mosse, precise e veloci, non saprebbe farle meglio nemmeno chi le ha inventate. Per il maestro spadaio! Ora si stanno scrutando. Ecco un rovescio. Andrea attacca e lei si difende molto bene. Il maestro li separa con lo spadone. 1185
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I MAESTRO ANDRÉS
GILA
MAESTRO
Yo la vi, basta. Y aún yo la he sentido y me ha aturdido, ¡vive Dios! Esto no ha sido nada, ¡por Dios!, que corrió la espada sobre la suya. ¡Vaya otra! ¡Estraña mujer!
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Metiendo el montante. GILA MAESTRO
MINGO
MAESTRO
ANDRÉS
GERÓNIMO GILA
So maeso, ésta ha de ser. Aquí es bien que se concluya. Siente, Andrés. Pienso que siente lo mismo que yo sentí. En toda mi vida vi una mujer tan valiente. Que esto hue buscar moginas con todo el lugar sospecho. Digo que ha sido mal hecho. Mienten como unos gallinas.
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Da sobre ellos Gila con la espada de esgrima, y Gerónimo desenvaina la suya, y Andrés con la que tiene en la mano. MAESTRO GILA MAESTRO
GILA
Asienta, mujer, la espada. Ya es tarde. Derribarete con el montante. ¡Ea!, vete. Dale al maestro.
MAESTRO
¿Al maestro, cuchillada?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO MAESTRO ANDREA
GILA
MAESTRO
Toccato! Altroché se mi ha toccato! L’ho sentita proprio bene e mi ha anche un po’ stordito, accidenti! Non è niente: è soltanto scivolata la mia spada sulla sua. Ancora. Che strana donna. Separandoli con lo spadone.
GILA MAESTRO
MINGO
MAESTRO
ANDREA
GERONIMO GILA
Maestro, ci lasci fare. Meglio che finisca qui. Basta, Andrea. Gli è già bastato, proprio come basta a me. Non ho mai visto una donna tanto ardimentosa, mai. Ho l’impressione che voglia sfidare tutto il paese. Non è corretto, vi dico! Mentite come conigli!
Gila si fa sotto con la spada da scherma, Geronimo sguaina la propria e Andrea usa quella che ha già in mano. MAESTRO GILA MAESTRO
GILA
Da brava, posa la spada. Troppo tardi! Io ti fermo con lo spadone! Via, fuori! Dà una stoccata al maestro.
MAESTRO
Una stoccata al maestro? 1187
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GILA MAESTRO GILA
GIRALDO GILA
GIRALDO
MADALENA
MINGO GILA MADALENA
AGUADOR
Por esto se dijo. Espera. ¿Dónde, gallinas, me voy? ¡Ah perros!, huid, que soy la serrana de la Vera. ¡Hija, Gila! Apartaos, padre, no os pierda el respeto aquí. Pondré las manos en ti, ¡por el siglo de tu madre! Quebrarete este bordón en la cabeza. Giraldo, pues no hay remedio, dejaldo. Voyme con mi coscorrón. ¡Ah, gallinas! El decoro, enojada, ha de perderos. ¡Agua y anís, caballeros!
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Salga el que vende agua y anís, y en diciendo este verso, le quiebre el cántaro Gila, y digan de adentro: De adentro MINGO
GILA
¡Guarda el toro! ¡Guarda el toro! Aún esto huera peor. Voyme a subir a un tablado. Como a toro me han dejado; conocieron mi furor. Pésame que con espadas y el montante se me fueron; pero en efeto huyeron como gallinas mojadas. Tomaos eso que os lleváis, pues para volver, cuitados,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO GILA MAESTRO GILA
GIRALDO GILA
GIRALDO
MADDALENA
MINGO GILA MADDALENA
ACQUAIOLO
Ti avevo avvisato. Aspetta. Vado forse via, fifoni? Scappate, bestie, c’è la montanara della Vera. Figlia mia! Stai indietro, padre, o ti manco di rispetto. Ti metto le mani addosso, per l’anima di tua madre! Ti spacco questo bastone sulla testa. Su, Giraldo, è meglio lasciare stare. Vado via col mio bernoccolo. Codardi! È proprio infuriata, non risponde più di sé. Acqua e anice, signori!
Entra in scena l’uomo che vende acqua e anice e mentre grida il suo annuncio Gila gli spacca l’anfora. Da dentro si sente: Da dentro MINGO
GILA
Occhio al toro! Occhio al toro! Dalla padella alla brace... Meglio salire su un palco. Scappati come codardi davanti a un toro feroce. Purtroppo si sono presi sia il montante che le spade nella fuga, ma del resto se la sono data a gambe come conigli impauriti. Bene, teneteli pure, ma state attenti perché quando poi ritornerete, con la coda tra le gambe, 1189
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
como dicen, trasquilados, con la serrana os tomáis; con la que a brazo partido mata al oso, al jabalí; con la que un molino así mil veces ha detenido; con la que arroja más alta la barra que el pensamiento; con la que aventaja el viento cuando corre o cuando salta; con quien güesos y costillas luchando a un hombre deshace; con la que en las manos hace tres herraduras astillas; con quien como mimbres tiernos corta una encina, una oliva; con la que un toro derriba asiéndole por los cuernos; con la que en medio el furor detiene un carro de bueyes.
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Tocan atabalillos y salen arriba a una ventana don Fernando y doña Isabel, y siéntanse en dos sillas. Ya parece que los reyes salen a este corredor. Más agradables presencias, en toda mi vida vi; helles quiero desde aquí dos corteses reverencias. Guárdeos Dios, Reyes Cristianos, y dempués que ambos viváis cuatro mil años, os vais al cielo dadas las manos, porque casados tan buenos,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
ve la dovrete vedere con me, con la montanara! Con quella che a mani nude uccide un orso e un cinghiale; quella che mille e più volte ha trattenuto un mulino, quella che lancia il bastone più in alto dei suoi pensieri; quella che vince anche il vento quando corre o quando salta; quella che quando gareggia spacca le ossa di un uomo; quella che con le sue mani riesce a frantumare il ferro; quella che sa sradicare gli ulivi oppure le querce come se fossero giunco; quella che ribalta un toro prendendolo per le corna; quella che con la sua furia trattiene un carro di buoi. Suonano dei piccoli tamburi e a una finestra in alto si affacciano Fernando e Isabella, che si mettono a sedere. Pare che i re finalmente si affaccino al balcone. In tutta la vita mai mi fu dato di vedere persone tanto gradevoli: voglio far loro, da qui, uno a ciascuno, un inchino. Dio vi protegga, miei re, e che vivere possiate quattromila anni e andiate per mano al cielo, perché siete due sposi perfetti 1191
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
FERNANDO ISABEL
como hiedra y olmo es bien, que aquí y en el cielo estén jamás de gozarse ajenos. Que de vos, alta señora, ha muchos días que estoy enamorada, y os doy los parabienes agora de los triunfos que gozáis de las cosas que habéis hecho, que bien el valor del pecho en el semblante mostráis. Ruego a Dios que no paréis hasta ganar a Granada, porque dempués coronada de sus granates quedéis, que dirán bien en la frente de tan divina amazona. Vos tenéis gentil presona y malhaya yo si miente en cuanto dice de vos la Fama, y que, si hombre huera, por vos sola me perdiera, y aún así lo estoy, ¡por Dios! Perdone, hermosa Isabel, vuestro Fernando dichoso, que lo hue en ser vueso esposo como vos en serlo dél. Con esto, adiós, que de mal vos libre y quede con vos, y echadme entrambos a dos vuesa bendición real, que de hinojos os adoro. ¡Qué serrana tan graciosa! ¡Y cuanto ser puede, hermosa!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
FERNANDO ISABELLA
come l’edera con l’olmo: che il vostro amore sia eterno e resista in terra e in cielo. E per voi, signora, provo già da molto tempo ormai, grande amore, così i miei complimenti vi rinnovo, per le vittorie ottenute, per quello che avete fatto. Il vostro enorme valore si vede già dall’aspetto. Spero che presto possiate conquistare anche Granada, e che siate incoronata dai suoi rossi granati, che staranno molto bene su un’amazzone radiosa. Siete una donna graziosa, Dio mi fulmini se è falsa la vostra fama; se fossi un uomo avrei già perso per voi la testa, anzi credo di averlo fatto, in realtà! Perdonatemi, regina, e faccia altrettanto il re, che è un grand’uomo, e fortunato ad avervi presa in moglie, proprio come siete voi ad averlo per marito. Con ciò, che Dio vi protegga, vi difenda e vi accompagni; e ora io chiedo ad entrambi la vostra benedizione, mentre mi inchino e vi omaggio. Montanara deliziosa! E bellissima, direi.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
De adentro:
FERNANDO
¡Guarda el toro! ¡Guarda el toro! Bizarro toro han sacado. Pónese en pie la serrana.
GILA
Hoy he de her por serviros una suerte, sin pediros licencia, pues me ha encontrado en el coso la ocasión, y yo a Isabel enamoro.
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De adentro: ¡Guarda el toro! ¡Guarda el toro! Entren cayendo y levantándose algunos, y Mingo caídas las bragas y huyendo y diciendo: MINGO
GILA
¡Aún éste es peor chichón! No temí en balde de estar, pues esto pude temer, en el coso, sin saber la trasera asegurar. ¿Dónde vas como Redina, Mingo, todo desbragado?
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Entre Mingo huyendo. MINGO
GILA
Voy huyendo, que me ha echado el toro una melecina. Escupiendo espuma al cielo viene el toro; yo me arrojo,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Da dentro:
FERNANDO
Occhio al toro! Occhio al toro! Hanno liberato un toro violento! La montanara si alza in piedi.
GILA
Oggi, signori, io voglio rendervi onore senza chiedervi il permesso, poiché mi si è presentata l’occasione nell’arena. Mia regina, io vi adoro. Da dentro: Occhio al toro! Occhio al toro! Alcuni entrano in scena cadendo e poi rialzandosi. Mingo entra scappando, con i pantaloni abbassati, e dice:
MINGO
GILA
Questa botta è ancora peggio: avevo proprio ragione ad aver paura a stare nell’arena e non sapere come pararmi il didietro. Dove vai come un ossesso, Mingo, tutto sbrindellato? Mingo esce di scena scappando di corsa.
MINGO
GILA
Sto scappando, perché il toro mi ha appena dato un purgante... Tutto bavoso e infuriato ecco lì il toro che viene:
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
que si los cuernos le cojo, le he de her medir el suelo. Éntrese arremetiendo hacia el vestuario. ISABEL D. NUÑO
FERNANDO
Loca aquella labradora, Nuño, al parecer está. Por los cuernos asió ya al toro feroz, y agora le rinde como si fuera una oveja. ¡Qué osadía!
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Descúbrese agora entre los paños la cabeza del toro solamente, y ella echándole patas arriba. GILA
FERNANDO ISABEL FERNANDO D. NUÑO FERNANDO
NUÑO
ISABEL
GILA
NUÑO ISABEL
Ya saben la huerza mía los novillos de la Vera. ¡Qué valerosa mujer! No he visto mayor valor. ¡Ola, don Nuño! ¡Señor! Mercedes le quiero hacer a esa mujer; sabed della de adónde es. ¡Ah, labradora!, ¿de adónde sois? Enamora verla tan valiente y bella. Con reverencia y perdón, soy de Garganta la Olla, que de tan bizarra polla fue otra igual el cascarón, que no hue menos gentil. ¿Qué nombre tenéis? Llamalda.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
io lo prendo per le corna e dopo lo sbatto a terra. Esce di scena correndo verso la porta centrale. ISABELLA
NUÑO
FERNANDO
Quella contadina è folle, Nuño, stando a quel che vedo. Ha già preso per le corna il toro feroce, adesso lo doma come se fosse un agnellino. Che audacia!
A questo punto si vede dalla tenda la testa del toro soltanto, e lei che lo butta a gambe all’aria. GILA
FERNANDO ISABELLA FERNANDO NUÑO FERNANDO
NUÑO
ISABELLA
GILA
NUÑO
ISABELLA
È ben nota la mia forza tra i torelli della Vera. Ma che donna valorosa! Mai visto tanto coraggio. Nuño, vieni qui! Signore. Voglio premiare il valore di quella donna. S’informi per sapere di dov’è. Ehi, mi scusi, contadina! Da dove viene? M’incanta la sua bellezza e il coraggio. Mi inchino a voi; con licenza, son di Garganta la Olla: di una donna coraggiosa che non fu meno gentile sono figlia. E qual è il vostro nome? Parlate. 1197
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I GILA
ISABEL
Llámanme Gila Giralda, hija de Giraldo Gil. La labradoraza es brava.
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Tocan cajas de adentro. FERNANDO NUÑO
ISABEL
NUÑO
FERNANDO ISABEL GILA
¿Éstos qué atambores son? De don Rodrigo Gi[rón], maestre de Calatrava. El maestre viene; alguna nueva nos trae, pues marchando entra en Plasencia, Fernando. Ya el bravo Girón de Osuna llega. Extraña novedad. Algo será de Granada. Bien el valor de su espada muestra el traje y majestad.
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Entre el maestre de Calatrava, don Rodrigo Girón, en cuerpo, de negro, con plumas negras en el sombrero y una ropilla como vaquero cerrada por delante y en medio del pecho una cruz, mayor que las ordinarias de Calatrava, y bastón, y haciendo sus reverencias diga: RODRIGO
Católicos monarcas de Castilla Isabel y Fernando, a quien el cielo prospere, amén, y en la española orilla os haga tributar el indio suelo, entrando por el río de Sevilla – que fue al valor de vuestro santo agüelo espejo – de sus climas más remotas todos los años dos bizarras flotas; yo llegué a Salamanca con la gente castellana, estremeña y andaluza, al orden que me distes obediente,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO GILA
ISABELLA
Mi chiamo Gila Giralda, figlia di Giraldo Gil. Che contadina gagliarda! Da dentro si sentono dei tamburi.
FERNANDO NUÑO
ISABELLA
NUÑO
FERNANDO ISABELLA GILA
Che tamburi sono questi? Son di Rodrigo Girón, maestro di Calatrava. Eccolo, arriva. Ci porta certo qualche novità, Fernando, perché sta entrando dentro Plasencia marciando. L’abile Girón de Osuna sta arrivando. Alquanto strano! Si tratterà di Granada. Già dall’aspetto è evidente la valorosa sua spada.
Entra in scena il gran maestro di Calatrava, Rodrigo Girón, senza mantello, vestito di nero, con delle piume nere sul cappello, una sopraveste chiusa davanti, una croce sul petto, più grande di quelle che di solito portano i cavalieri di Calatrava, e il bastone. Mentre si inchina dice: RODRIGO
Cattolici sovrani di Castiglia, Fernando ed Isabella, il ciel v’aiuti, vi benedica, e porti meraviglia dall’indie terre in Spagna di tributi: che arrivino dal fiume di Siviglia – di intrepidi antenati da voi avuti lo specchio – da quelle remote rotte, ogni anno due valorose flotte. Son giunto a Salamanca con la gente di Estremadura, Andalusia e Castiglia, fedele ai vostri ordini e obbediente, 1199
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
después de la postrera escaramuza adonde cuerpo a cuerpo di al valiente Albayaldos cegrí y al gomel Muza, entre Ronda y Morón, muerte, a despecho de un morisco escuadrón por mí desecho. Hallé llorando a todos vuestra ausencia; pero en vuestro retrato generoso vuestro mismo valor, vuestra prudencia y vuestro mismo pecho valeroso, que las precisas causas que a Plasencia os trujeron me dijo, y del forzoso socorro a Alhama el orden juntamente, que es luna al fin de vuestro sol absente. No quise en la ciudad dormir, que luego volví a marchar aquella misma tarde, porque la guerra no admitió sosiego en el valor que nunca fue cobarde. Del juvenil ardor, del marcial fuego el príncipe alentado, en el alarde quiso salir honrando mi persona, y dejando inmortal vuestra corona, sobre un polaco de villana raza, de hermosa vista y de faiciones toscas, que a corbetas las nubes amenaza, entre la cola y clin hecho mil roscas, la piel de la color de la linaza nevada a trechos de unas blancas moscas al parecer tan vivas, y a la espuela, que le han dado las alas con que vuela. Apenas el bucéfalo villano escuchó el son de la marcial trompeta, cuando de un mar de espuma crespa cano, siendo el príncipe un monte, se inquieta, alza el errado pie, baja la mano y da un salto, una coz y una corbeta, midiendo de las casas lo más alto con la corbeta, con la coz y el salto.
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conclusa la mia ultima battaglia, in cui a corpo a corpo quei valenti Albaialdos e Muza sbaragliai, tra Ronda e Morón, a miglior vita, vincitore di una truppa araba ardita. Tutti rimpiangon là la vostra assenza, però nel vostro figlio generoso ho ritrovato animo e prudenza e il vostro stesso cuore coraggioso. Mi ha detto lui i motivi che a Plasencia vi hanno condotto, e poi del doveroso aiuto che ad Alhama voi prestate, giacché supplisce lui se vi assentate. Non ho dormito dentro la città, mi son rimesso in marcia il pomeriggio, poiché la guerra riposar non fa. Il principe, mostrando il suo coraggio e giovanile temerarietà, si volle presentare alla rassegna, per onorare questa mia persona e rendere immortale la corona, sopra un cavallo di razza non pura, dal bell’aspetto e dall’indole rozza, che al cielo, se si impenna, fa paura, con mille pieghe tra il crine e la coda, la pelle color grigio, molto scura, di macchie bianco neve seminata, che scatta così in fretta se lo sproni che sembra quasi che abbia le ali e voli. Appena ode la tromba militare che suona, quel cavallo mascalzone, simile, per la schiuma, a un bianco mare, al principe, che è roccia, lui si oppone. Sbagliando passo gli scappa di mano, fa un salto, un’impennata e uno scossone e si alza poi più delle case in alto con l’impennata, lo scossone e il salto. 1201
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I
Quiso probar a darle una carrera, ¡plug[u]iera a Dios que nunca lo intentara!; parte el furioso bruto, de manera que imaginamos que jamás parara; el vulgo atento el fin violento espera, que le temió primero que llegara, que como con su voz Dios le autoriza, también algunas veces profetiza. Cuando en medio de aquesta ligereza, que al viento, al pensamiento maravilla, en su velocidad misma tropieza y en el arena pone una rodilla, entre las manos mete la cabeza y a un corcovo le arroja de la silla, y aunque se asió a las crines, por la frente cayó sobre los ojos de la gente. Levantóse en el vulgo un alarido mirando la desdicha que temía, dejarretando al bruto, que corrido del desmán desdichado se escondía. Levantamos del suelo sin sentido al príncipe don Juan, que ya volvía en sí animoso, desde allí a la cama, y marcho luego a socorrer a Alhama. No se atrevieron a escribir, y quise de camino avisaros sin pararme, porque el alarbe bárbaro no pise el muro que una vez llegó a entregarme. De su salud confía que os avise la infanta doña Juana. Mandad darme licencia, pues importa la presteza, y guarde Dios mil años a su Alteza.
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Éntrese tocando las cajas. ISABEL
Para aquí es el valor, Fernando; agora es menester el pecho generoso.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO
Volle provare a dargli una sferzata, magari non ci avesse mai provato! Partì il furioso bruto in galoppata sembrò che mai si sarebbe fermato, il popolo si aspetta una disgrazia, la teme ancora prima che si avveri, che, dato che Dio parla per sua bocca, il volgo qualche volta è anche profeta. Nel mezzo di quell’instabilità, che meraviglia il vento e l’intelletto, inciampa nella sua velocità, con un ginocchio nell’arena crolla, la testa tra le mani, mentre già a una scrollata cade dalla sella, e nonostante di aggrapparsi tenti, si schianta sotto gli occhi dei presenti. Si alza dalla folla un urlo orrendo nel constatare ciò che si temeva, si azzoppa poi la bestia, che fuggendo dalla violenza sua si nascondeva. Rialzammo su da terra, senza sensi, il buon principe Juan; e lui, portato a letto, eroicamente in sé tornava, poi son partito ad aiutare Alhama. Non hanno osato scrivervi, ho deciso di passare io a avvisarvi in tutta fretta: non si riprenda l’arabo a noi inviso le stesse terre che un dì mi cedette. La principessa Juana, spero presto, vi darà bune nuove. Ora vi chiedo congedo: è necessaria gran prontezza. Dio benedica sempre vostra Altezza. Esce di scena mentre suonano i tamburi. ISABELLA
Fernando, ora bisogna essere forti, è necessario animo e coraggio. 1203
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO I FERNANDO
ISABEL
FERNANDO ISABEL GILA
Católica Dïana y vencedora de tanto cuello alarbe belicoso, ese heroico valor que España adora, en tan triste ocasión será forzoso que se le dé a mi pecho, que en los reyes del valor quiebra amor las graves leyes. La fiesta cese aquí, y el cielo, al ruego de España, enseñe aquella piedad franca que siempre nos mostró. Partamos luego, sin parar en Plasencia, a Salamanca. Vamos. Sin seso voy de llanto ciego. De sentimiento el alma se me arranca. Con esto estorbó el cielo que no huera dichosa la serrana de la Vera.
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Fin del acto primero
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO PRIMO FERNANDO
ISABELLA
FERNANDO ISABELLA GILA
Cattolica Diana, vincitrice di tanti arabi fieri combattenti, questo valore eroico che la Spagna onora, è d’uopo, in questi tristi eventi, che mi riempia il petto, che nei re l’amor rompe le leggi del valore. Cessi la festa e il cielo ci dimostri, la Spagna glielo chiede, la pietà che ci ha sempre mostrato. Presto, andiamo a Salamanca, senza trattenerci oltre a Plasencia, su, facciamo in fretta. Andiamo. Io mi struggo dal dolore. L’anima mia vacilla dal tormento. Così non vuole il cielo far felice Gila, la montanara della Vera. Fine del primo atto
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO II
LOS QUE HABLAN EN ESTE ACTO SEGUNDO GILA
ANDRÉS
MINGO
GERÓNIMO REINA DOÑA ISABEL
MADALENA
DON FERNANDO,
GIRALDO DON LUCAS,
capitán
DON RODRIGO GIRON,
DON GARCÍA CABO DE ESCUADRA
rey maestre de Calatrava SARGENTO
ACTO II Gila junto al vestuario asida de la mancera de un arado, como que está arando, y una aguijada en esotra mano, y dice: GILA
¡Aquí, Naranjo! ¡Ah, Bragado! ¡Malas adibas te den! ¡Cejar y dalle también! ¡Oh!, pues si dejo el arado, la aguijada os he de her entre los cuernos pedazos, que ya conocéis los brazos que Gila puede tener. ¿Otra vez? ¡Vuelve aquí, loco! ¡Ojo las coces que da! ¿Qué mosca te picó ya? ¡Ah, Bragado! Poco a poco. ¡Oh!, que te dé rabia mala. ¡Respingar y a ello, eso sí! Pues si apaño desde aquí un guijarro, no habrá bala que salga de la escopeta tan recia como saldrá desde mi brazo. ¡Merá! ¿Qué diabros te inquieta?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO SECONDO
PERSONAGGI DEL SECONDO ATTO GILA
ANDREA
MINGO
GERONIMO LA REGINA ISABELLA
MADDALENA GIRALDO LUCA,
capitano
RODRIGO GIRÓN,
GARCIA UN CAPO DI SQUADRA
FERNANDO, re gran maestro di Calatrava Un SERGENTE
ATTO SECONDO Gila, vicino alla porta centrale, con una mano appoggiata alla stiva di un aratro, come se stesse arando, e nell’altra mano un pungolo; e dice: GILA
Forza, Arancio! Vieni qui! Su, Macchiato! Torna indietro! Che ti venga un accidente! Stai attento, se ti prendo ti spacco in testa il bastone e ti sbriciolo le corna: la conosci più che bene la forza delle mie braccia. Continui? Stupido, qua! Ma guarda un po’ come scalcia! Mi dici cosa ti prende? Su, Macchiato! Piano, piano. E dai! Accidenti a te! Non fai altro che scalciare! Se continui prendo un sasso e poi te lo tiro dietro: un proiettile sparato da un fucile non farà mai male quanto una pietra scagliata dalle mie braccia! Si può sapere che hai? 1207
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¡Eso sí!; pues ha de ser arar y no respingar; que respingar y no arar con otra lo podréis her que sufra menos que yo condición y pareceres de alimañas y mujeres; al fin, que aunque me formó el cielo con ese ser, ya no podré a mi pesar dejarlo de confesar por no parecer mujer, que es lo que yo más deseo; que el varonil corazón me dio con esta pensión. De Garganta la Olla creo que torna Mingo.
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De adentro Mingo: MINGO
GILA MINGO
GILA
MINGO
GILA MINGO
¡Jo, jo! ¡Jo, jo, burra de bellaco! ¿Qué hay, Mingo? En viéndote aplaco cualquiera cólera. Yo te agradezco la fineza. ¿Qué hay de nuevo en el lugar? Mucha noche y desear el día de tu belleza, que dempués que estás arando en el lugar no amanece. Que vienes de humor parece. Vengo, Gila, deseando ver tus ojos y mirar las flores que dan tus pies, y besártelos dempués.
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Ora sì! Così va bene: devi arare, non scalciare! Di scalciare anziché arare lo farai con qualcun’altra che sopporti più di me il carattere e l’umore delle bestie e delle donne. Perché, in fondo, benché il cielo mi abbia dato questo aspetto, io non posso, mio malgrado, soffocare ciò che sento, né il mio grande desiderio di non esser nata donna: dentro questo corpo alberga un cuore da vero uomo. Credo stia arrivando Mingo che ritorna da Garganta la Olla. Mingo, da dentro: MINGO
GILA MINGO
GILA
MINGO
GILA MINGO
Stupida mula! Vai, vai! Su, datti una mossa! Che c’è, Mingo? Nel vederti subito mi tranquillizzo. Grazie per il complimento. Che si dice? Novità? Tanto buio e grande attesa della tua splendida luce, perché non sorge mai il sole quando sei fuori ad arare. Oggi hai voglia di scherzare. Cara Gila, ho solo voglia di rivedere i tuoi occhi, i fiori che fan spuntare i tuoi piedi, e poi baciarli. 1209
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO II
GILA
MINGO
¡Ah! ¡Si quisieses amar! ¡Si dieses como las otras zagalas en dar favores a sus firmes amadores!; pero luego te enquillotras en tratándote de amor, y no quieres conocer cómo naciste mujer. Todo es fiereza y rigor, todo es matar; y a la he, Gila, si en mirallo das, que matan tus ojos más, pero es de amores. No sé, Mingo, lo que has visto en mí agora más que otras veces. Lo que agora me pareces siempre, Gila, conocí; más no he tenido ocasión de decirte lo que siento, sino es esta vez que intento declararte mi pasión. Y no sé lo que se tienen un hombre y una mujer a solas, que aún sin querer, a mayores cosas vienen. Dígalo fray Juan Guarín y otros muchos que ha tentado la soledad y han gozado de altas empresas el fin; que en cuantas mujeres ves que casi imposibles son, alcanza más la ocasión que el amor ni el interés. ¿Aquel cuento no has oído
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GILA
MINGO
Ah! Se tu ti decidessi ad amare! Se facessi come tutte le altre donne che concedono favori ai tenaci ammiratori! Ma tu invece ti stizzisci quando si parla di amore, non ne vuoi proprio sapere dell’essere nata donna. Sei tutta sdegno e fierezza, vuoi solamente ammazzare, e in effetti quando guardi i tuoi occhi fanno strage, ma di cuori. Io non so, Mingo, che ci trovi in me, oggi ancora più di sempre. Quello che ci trovo oggi io ce l’ho sempre trovato, ma non ho mai avuto modo di spiegarti ciò che provo; cerco, per la prima volta, di dichiararti il mio amore. Io non so cos’è che accade tra un uomo ed una donna quando rimangono soli, che, pure senza volerlo, finiscono a far di tutto. Lo ha detto Frate Guarín e insieme a lui molti altri che hanno provato a star soli, compiendo imprese grandiose, che con le tante signore, che sembran fuori portata, l’occasione ha più fortuna dell’amore o l’interesse. Non hai mai sentito dire 1211
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de aquel rey que por ahí dicen que estaba de sí tan loco y desvanecido, que no pensaba que había otro hombre criado el cielo más perfeto sobre el suelo, y estando mirando un día por los resquicios acaso de una puerta, descubrió a la reina dentro, y vio que tenía, ¡estraño caso!, en los brazos un enano, escarmiento de señores, haciéndole mil amores sólo porque le halló a mano, olvidando la hermosura, la grandeza y perfeción del rey, porque la ocasión goza de la coyuntura? Ésta ha sido la que a mí, Gila, me da atrevimiento de decirte lo que siento. Ama y volverás por ti, que viéndote tan hermosa, tan moza, tan alentada, tan bien vestida y calzada, tan discreta, tan airosa, los que de las quejas suyas ven que no tienes cuidado, han dicho que lo has dejado por faltas secretas tuyas; y bien se ve que han mentido, porque no pueden caber en tan hermosa mujer otras faltas que su olvido. Ama, Gila, pues que ves
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di quel re che, si racconta, era talmente superbo e così pieno di boria che pensava non ci fosse al mondo un uomo migliore e più perfetto di lui? Un giorno stava guardando, per caso, dalle fessure di una porta, quando vide nella stanza la regina che tra le braccia, che roba!, si teneva stretto un nano, sia esempio ad ogni signore, facendo giochi d’amore: lui era a portata di mano, e lei scordò la beltà, grandezza e perfezione del re, poiché l’occasione fa l’uomo ladro, si sa. Cara Gila, questa storia mi fa prendere coraggio per dirti quello che provo. Ama e ti farai un favore: coloro che tu trascuri, nel vederti così bella, tanto giovane ed audace, ben vestita e ben calzata, tanto educata e vivace, dicono che non ti importa niente di loro soltanto perché ti manca qualcosa, ma è evidente si sbagliano: a una donna così bella non può mancare nient’altro che l’interesse per loro. Ama, Gila, tu sai bene
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GILA
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GILA
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que ama el oso, el jabalí, el toro, el jumento. ¿Así querrás tú? Gila, dempués que te conozco, no soy señor de mi libertad; y si va a decir verdad, tan enquillotrado estoy, que he de her un disparate si a la mano no me vas, adonde nunca jamás, Gila, me encuentren. No trate, pues consiste en mí el remedio, tu amor de temeridades. Si a amarme te persuades, y no hay mar ni monte en medio que lo estorbe, yo procuro hacerte, Mingo, favores. Dime requiebros y amores. ¡Gracias al cielo que el muro de imposible tan estraño rindió al amor el desdén! Yo me doy el parabién y adoro tu desengaño, pues te alumbró a conocer la necedad que hasta aquí has hecho. Yo estoy sin mí, Gila, de amor y placer. ¿Qué requiebros te diré que igualen a tu hermosura? ¿Sol? Ya es viejo y su fegura no llega, Gila, a tu pie; que es carirredondo y rojo, y no tiene pies ni manos.
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GILA MINGO
GILA
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che ama l’orso e anche il cinghiale, amano il toro e il somaro. È questo ciò che vuoi? Gila, è da quando ti ho incontrata che non sono più lo stesso, e se vuoi proprio saperlo sono così innamorato che farò delle sciocchezze, se tu non mi vieni dietro: andrò dove più nessuno potrà trovarmi. Se è vero che spetta a me la tua cura, non devi aver più paura. Se sei convinto di amarmi, e niente ce lo impedisce, Mingo, ti concederò i miei favori. Ma adesso fammi qualche complimento. Grazie al cielo quel tuo muro di bizzarra ostinazione ha messo l’odio da parte per fare posto all’amore! Mi congratulo con me! Grazie al cielo finalmente hai capito di aver fatto fino ad ora una sciocchezza. Io sono fuori di me, Gila, di gioia e di amore. Ma che complimenti posso fare mai alla tua bellezza? A cosa paragonarti? Al sole? È vecchio e l’aspetto non sarà mai alla tua altezza: ha la faccia tonda, è rosso, e non ha piedi né mani. 1215
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¿Pues luna? No es de cristianos, y es mudable a cada antojo. ¿Estrella? Mirado bien es requiebro de rey mago. Si ángel del cielo te hago, te vengo a ofender también, porque no hay ángel nenguno que menos de cinco mil años tenga. Pues si abril de los campos, todo es uno, porque ha que el abril nació otros cinco mil también, y que este nombre te den nunca bien me pareció, porque al más florido prado suele un jumento atreverse y un caminante ponerse a dejarlo perfumado, sino es que a tan malhechores les hacen contradicción las ortigas, porque son mensegueros de las flores. Pues si te trueco el cabello en oro, la tez en plata, las mejillas de escarlata en nácar, el blanco cuello en el más terso marfi l, la roja boca en coral y los dientes en cristal con el aliento de abril, y otras cosas que aún los rudos troncos lo publican ya, para tu beldad será trocarte, Gila, en menudos; y siendo tu cuerpo entero carne y güeso como todos,
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Luna? Non è da cristiani, e fa un po’ come le gira. Stella? Mi sembra in realtà complimento da re magio. Ti offendo anche se dico che sei un angelo alato, perché non ne esiste uno che non abbia perlomeno cinque migliaia di anni. Chiamarti prato d’aprile, non mi sembra proprio il caso, perché pure aprile esiste da altri cinquemila anni; e poi questo paragone mi pare poco gentile, perché spesso si è azzardato un somaro od un viandante a lasciare un «ricordino» sopra il prato più fiorito, sempre che a quei malfattori non lo impedisca, nemica, l’ostilità dell’ortica, la protettrice dei fiori. Se paragono i capelli all’oro, a argento la pelle, le guance rosse alla perla, ed il bianchissimo collo al marmo più levigato, la bocca rossa al corallo, i tuoi bei denti al cristallo e l’alito ad un profumo, o altre cose che oramai dicono anche i più rozzi, vorrebbe dir fare a pezzi la tua bellezza, mia Gila, ed il tuo corpo, che è intero, carne e ossa, come tutti, 1217
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herte con estos apodos aparador de pratero. Lo que te podré decir es que le han dado tus ojos al alma tales antojos, que le han de hacer malparir, si antes beber no me dejas por esa boca penada. Pero lo que más me agrada, Gila, en ti son las orejas, que cada vez que te pinto acá en la imaginación, no las hallo, porque son, Gila, orejas de Corinto; y si mordellas me dejas, será favor soberano, porque tengo el gusto alano que se me va a las orejas. ¿Pequeñas te han parecido mis orejas? ¿Y te he dado plato de orejas, guisado de que tú solo has comido, y aún no quedas satisfecho? Espero favor mayor, que es el huego y el amor de esa condición. Sospecho que tomarás una mano agora, si te la doy. Y de allí a los pies me voy, que no quiero ser villano. Dame a besar su cristal, su marfil, nieve, su cielo. Toma.
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con questi miei complimenti, io lo farei diventare vetrina di argenteria. Ti posso dire soltanto che la mia anima è piena, grazie ai tuoi occhi, di voglie: e mi farai abortire se non mi lascerai bere dalla tua bella boccuccia. Ma quello che più mi piace, Gila, di te son le orecchie, che quando mi torni in mente, nel provare a immaginarti, non le riesco mai a trovare perché sono piccoline; se me le lasci assaggiare mi farai un uomo felice: ho voglia, come un cane, di rosicchiartele tutte. Il mio orecchio tu lo trovi piccolino, nonostante fino ad ora io te l’abbia già prestato in abbondanza? Non sei ancora soddisfatto? Vorrei un favore maggiore, perché il fuoco dell’amore è proprio fatto così. Immagino tu ora voglia che io ti porga la mano. E scenderei fino ai piedi, per non sembrarti villano. Fammi baciar quel cristallo, l’avorio, la neve, il cielo. Prendi! [Gli stringe forte la mano.]
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¡Ah! ¡Pesar de mi agüelo! ¿Tanto bien puede hacer mal? Que me matas, Gila, ¡suelta! Mingo, ¿no ves que te quiero favorecer? Yo no espero favor de ti. Estoy resuelta de que sea esta amistad apretada entre los dos. Afloja, Gila, ¡por Dios!, que yo diré la verdad. ¿A la primer vuelta cantas en el tormento, gallina? Los güesos me has hecho harina. ¿De aquesto poco te espantas? ¿Esto es poco, ¡pesia mí!, y me has dejado sin dedos? Qué bueno para los miedos que yo te he tenido a ti, viéndome sola contigo, mujer y en un despoblado. Hoy sólo lo has confesado; pero mi mano es testigo, aunque no podrá firmallo, que eres fiera y no mujer, que eres tenaza en morder y en el aspereza rallo, albarda en matarme, espuela en picarme el corazón, sastre en mentirme afición, lobo y zorra en la cautela, mujer en arrepentirte, escribano en apretar, cebolla en herme llorar,
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Ahi! Maledizione! Può far male tanto bene? Mi uccidi, Gila, accidenti! Mingo, non vedi che voglio concederti i miei favori? Smettila Gila! Non voglio alcun favore da te. Ho deciso ormai, vedrai che bella amicizia stretta che ci sarà tra di noi. Lasciami, Gila, per Dio, e dirò la verità. Solo alla prima cottura, piangi, povero coniglio? Mi hai frantumato le ossa! Di così poco hai paura? E questo sarebbe poco? Non mi sento più le dita! È la giusta ricompensa per la paura che ho avuto a stare sola con te, donna e in un luogo isolato. Finalmente l’hai ammesso! Questa mia mano è la prova, ma non potrà più firmarlo, che non sei donna, ma bestia, mordi come una tenaglia, ruvida come grattugia, sei lancia nell’ammazzarmi, sperone a ferirmi il cuore, bugiarda in fatto d’amore, astuta come una volpe ed un lupo messi insieme, ma nel pentirti sei donna, brusca come un funzionario, fai pianger come cipolla,
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vestido viejo en reírte, suegra en mostrarme rigor, en la voluntad cuñado, en la ingratitud criado y en las promesas señor; memoria en atormentarme, tiempo en burlarme sotil, marzo en la cola, alguacil en prenderme y no soltarme, en mudanzas baile y mar, más tiesa en tu parecer que de gorra suele ser el alcalde de un lugar, en lo zaino coz, mostaza en lo huerte, en lo roín necio rogado, rocín en querer ser tú almohaza, en el sacudirte galgo, en maltratar pechos tos, en dar pesadumbres «vos» de la boca de un hidalgo, en tener vueltas espada y en nunca tenellas vira, en desdecirte mentira, casamiento en ser pesada. Quédate, que yo me voy donde jamás vuelva a verte; aunque voy, Gila, de suerte que han de darte nuevas hoy de que me han visto ahorcar. Vuelve, Mingo, que no quiero verte morir, pues no espero ninguna cosa heredar;
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e se ridi sembri proprio una veste sbrindellata, suocera in quanto a rigore, nella volontà cognato, servo nell’infedeltà, prometti e poi non mantieni come fan sempre i signori; sei tale e quale un ricordo che non fa che tormentare, sei tempo nell’ingannarmi, pazza proprio come marzo, guardia che acchiappa e non molla, ballerina come il mare, rigida nei tuoi pareri come di solito è il sindaco di un paese, colpo dato a tradimento, aspra come la mostarda, come gli sciocchi ostinata, mulo davanti alla striglia, levriero che si dimena, tosse che maltratta i petti, che fa più male del «tu» sulla bocca di un signore, fai più mosse di una spada, vai più dritta di una freccia, bugiarda nel contraddirti, ed ancora più pesante di quanto sia un matrimonio. Rimani, io me ne vado dove non ti vedrò più: ma vado tanto abbattuto che oggi stesso ti diranno di avermi visto impiccato. Torna, Mingo, io non voglio vederti morto, perché non mi aspetto eredità. 1223
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antes pretendo, si gustas, hacerte favores más, si tú apercebido estás que para cosas tan justas tengo el pecho más humano. Ya no quiero más favor, que me has quitado el amor, Gila, como con la mano.
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Entre Madalena alborotada. MADALENA GILA MADALENA
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Gila, ¿qué esperas aquí? ¿Qué hay de nuevo, Madalena? El concejo alborotado, toda la villa revuelta. ¿De qué modo? El capitán que, Gila, con la escopeta del lugar echaste un día, ha dado al lugar la vuelta con más de docientos hombres de compañía, que piensa satisfacer el agravio con abrasarnos la tierra. Por escusar el concejo alborotos y revueltas con los soldados, al campo les sacaron tres terneras, veinte carneros, dos vacas, de pan como el sol – que apenas entre la nieve y el pan no hay nenguna diferencia – seis hanegas, un corral de gallinas, ocho espuertas de longanizas, chorizos y perniles de la sierra,
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Preferisco, se ti va, farti qualche altro favore, sempre se sei bendisposto, che per cose tanto giuste il mio animo è più umano. Io non voglio altri favori, tu mi hai già spezzato il cuore, Gila. E pure la mano. Entra Maddalena, sconvolta.
MADDALENA GILA MADDALENA
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Gila, che fai ancora qui? Maddalena, che è successo? Il consiglio è in gran subbuglio ed il paese in scompiglio. Perché? Ti ricordi quel capitano che scacciasti tempo fa col tuo fucile? È tornato, ed ha con sé duecento uomini o più: è al villaggio ed ha intenzione di vendicare l’offesa bruciando la nostra terra. Per evitare rivolte e guai con questi soldati, sono già stati portati fino al loro accampamento venti montoni, due vacche, perfino tre bei vitelli, pane tondo come il sole e più bianco della neve, sei libbre ed un pollaio intero, otto canestri di salsicce, di salami e cosciotti di maiale,
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muchos cabritos y gansos, mucha fruta de la Vera y seis pellejos, sin esto, de vino, que casi tiembla de edad, tinto y blanco y tal que hace hablar en varias lenguas a los que aprenden sus brindis, a los que beben su cencia, y sin esto cien escudos al capitán porque hiciera la gente pasar a Cuacos, a Valdeflor o a la Venta. A cuyo presente, Gila, no dieron otra respuesta que colgar cuanto te he dicho, sin temor y sin vergüenza de Dios ni del rey, del rollo, como si estas cosas hueran ladrones o pesos falsos, y entrársenos por las puertas. Entró el capitán delante, todo plumas, la gineta en la mano, y un mochacho que le lleva una rodela; todos tras él, disparando, de cinco en cinco en hilera, y al son de los atambores, plumas dando, haciendo piernas. Uno con una alabarda, dando carreras y vueltas, como procesión los rige, y el que lleva la bandera
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molti capretti e anche oche, tanta frutta della Vera, senza contare sei otri di vino, di quello vecchio, rosso e bianco, così buono che fa parlare più lingue a chi ci impara a brindare, a chi ne beve la scienza; ed inoltre hanno portato cento scudi al capitano perché si riporti via con sé i suoi uomini a Cuacos, alla Venta o a Valdeflor. E come ringraziamento, quelli non han fatto altro che attaccare tutto quello che ti ho appena riferito alla forca che si trova all’inizio del paese, senza timore e rispetto di Dio o del re, come se si trattasse di ladroni o di monete fasulle; poi hanno invaso il paese. Il capitano per primo tutto impiumato, impugnando la lancia, con un ragazzo che gli portava lo scudo; e dopo, in fila per cinque, in grande pompa e marciando, tutti gli altri a fare fuoco con il rullo dei tamburi. Uno che con l’alabarda correndo e girando in cerchio apre la strada al corteo, come una processione, e quello con la bandiera 1227
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la va tremolando al aire, que es de más colores hecha que el pendón de un sastre, toda llena de cifras y letras, que, según el sacristán, que es astrólogo y poeta, leyó desde el campanario, ha dicho que dice en ellas «Gila y Lucas». Mal la cifra con el intento concierta, si ésas son muestras de amor y esotras de nuestra ofensa. Después que pasaron todos, otra compañía llega de mujeres que llevaban, que también van a la guerra, todas puestas de camino y en jumentos caballeras, más afeitadas de cara que una casa de un aldea. A la de tu padre, Gila, llegaron desta manera, no sé con qué intento, prima; sólo sé que mandó apriesa cerrar las puertas; y yo por una falsa pequeña que al campo sale, he venido corriendo a darte estas nuevas. ¡Oh, pesar de mi descuido, que dejase mi escopeta en casa esta vez! Mas vaya, que no importa, mientras lleva Gila a sí mesma consigo y esta honda y cuatro piedras, que suele, si al aire escupe,
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che la sventola per aria, con più colori di quelli degli scampoli di un sarto: piena di lettere e segni, che il sacrestano, poeta e astrologo, che l’ha vista dal campanile, ha spiegato che ciò che vogliono dire è «Gila e Luca». Quei segni non si accordano all’intento: gli uni dimostrano amore e l’altro invece è un affronto. Dopo che sono passati arriva un altro drappello al loro seguito: donne che vanno in guerra anche loro, tutte vestite da viaggio, a cavallo di giumenti, intonacate e dipinte come casette imbiancate. Sono giunti, in questo modo, alla casa di tuo padre, non so con quali intenzioni: so solamente che lui ha fatto chiuder le porte in fretta e furia; intanto io da un portello nascosto, che dà sui campi, di corsa, sono venuta a avvisarti. Accidenti, che distratta! Oggi ho lasciato il moschetto a casa! Ma non importa! A Gila non serve altro che portar con sé se stessa, questa fionda e qualche sasso; che non appena li scaglia 1229
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hacer temblar esta sierra. Mete, Mingo, en el corral esos bueyes, y esa reja guarda en el cortijo, y vamos, que allá te aguardo. Eso huera a no tener miedo yo. ¡Vive el cielo, Madalena, que han de saber hoy quién es la serrana de la Vera!
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Vanse. Entre Giraldo solo, tocando adentro la caja. GIRALDO
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Abre de par en par, Pascual, las puertas, y el señor capitán entre en buen hora: veamos qué pretende de mi casa, que reyes, a Dios gracias, y justicia tenemos para agravios semejantes. Hagan alto a la puerta desta casa hasta que avise yo, señor sargento.
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Entre. De adentro:
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Alto de mano en mano. ¡Alto! ¡Alto! Aquí está el dueño desta casa humilde: el señor capitán haga en mí y ella cuanto gusto le diere; pero mire que hay Dios y que hay justicia.
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Alzad, Giraldo, que no vengo a ofenderos, sino a daros ocasión de que honréis la sangre vuestra.
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tremano anche le montagne. Tu, Mingo, riporta i buoi nel recinto, e metti a posto l’aratro, poi ce ne andiamo. Ti aspetto là. Lo farei se non avessi paura. Oggi farò vedere loro, Maddalena, chi è la montanara della Vera!
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Escono di scena. Entra Giraldo, da solo. Da dentro suonano dei tamburi. GIRALDO
CAPITANO
Pasquale, su, spalancami le porte, ed entri il capitano, finalmente! Vediamo cosa vuol da casa mia, che tanto, grazie a Dio, per questi oltraggi esistono i sovrani e la giustizia. Fermatevi davanti a questa porta finché non ve lo dico io, sergente. Entra in scena. Da dentro:
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Fermatevi qui! Fermi! Fermi tutti! Il padrone di quest’umile casa è qui davanti a lei, su, faccia pure di me quello che vuole, ma stia attento: c’è un Dio e una giustizia. [Giraldo si inchina.]
CAPITANO
Su, Giraldo non son venuto a offendervi, ma a offrirvi un’occasione per rendervi onore.
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De la nobleza que tenéis dais muestra; pero, ¿cómo, señor, queréis que piense que me venís a honrar desta manera, sacándome las puertas de los quicios para entrar en mi casa? Con intento de lo que digo ha sido. Estadme atento. Ya estaréis de mi sangre satisfecho primeramente. Vuestra noble sangre es la más noble de Plasencia, y creo que a vuestro padre conocí, y aún fuera de vuestro padre a vuestro agüelo y todo, que fueron valerosos caballeros. Pues yo pretendo honraros con haceros, Giraldo, padre mío. ¿De qué modo? Si sois mi padre vos, cosa es bien clara que a Gila quiero por mi esposa. Agora digo, señor don Lucas, perdonadme, que no venís a honrarme, sino sólo a burlaros de mí. Giraldo, amigo veras son y muy veras las que os digo. Gila no es para vos, señor don Lucas que es una labradora, hija de un hombre llano y humilde, aunque de limpia sangre: rica para el lugar donde ha nacido, pero no para vos, que sois tan noble. Buscad una señora que os iguale, que Gila para vos muy poco vale. Antes de su valor, Giraldo, nace el pretendella yo, que su hermosura y su valor me tienen inclinado de tal manera, que ninguna cosa será causa a poder desto apartarme;
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Signore, lei di certo è un nobiluomo, ma come posso credere davvero che venga ad onorarmi in questo modo, forzandomi la porta con violenza e entrando in casa mia? L’ho fatto proprio per omaggiarvi, e posso assicurarvi che presto voi sarete molto grato a questo sangue nobile. A Plasencia senz’altro il suo è il più nobile, mi pare di avere conosciuto anche suo padre, e certo sia suo padre che suo nonno son stati valorosi cavalieri! E io, Giraldo, voglio oggi onorarvi rendendovi mio padre. In che maniera? Se io vi chiamo padre, è presto detto: desidero che Gila sia mia sposa. Mi pare, capitano, mi perdoni, che lei non sia venuto ad onorarmi ma a prendermi in giro. È più che vero, Giraldo, amico mio, quanto vi ho detto. Gila non fa per lei, signore, creda, non è che contadina, ed è la figlia di un umile cristiano, anche se onesto: è ricca per il luogo in cui è nata, ma non per lei, che è nobile davvero. Si cerchi una signora alla sua altezza, che Gila non è certo al suo livello. È stato il suo incredibile valore a far che io la voglia, e insieme a quello anche la sua bellezza, entrambi ormai mi hanno conquistato in modo tale che niente mi farà cambiare idea.
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y ésta ha sido también la que me obliga a venir como veis a vuestra casa y a Garganta la Olla, porque tengo patente general para alojarme 1500 por todos los lugares de la Vera. Sólo este bien de vos mi dicha espera: Gila ha de ser mi esposa y vos mi padre, que ¿qué madre mejor puedo a mis hijos darles que una mujer que es tan famosa? 1505 No repliquéis palabra, sino dadme las manos a besar, y háganse luego las escrituras; que la hacienda vuestra con la poca que tengo de mis padres ayudarán para pasar, Giraldo, 1510 en Plasencia muy bien, cuando yo quiera dejar la guerra y retirarme a vida más sosegada y menos divertida. Ya fuera necedad y grosería no admitir la merced, señor don Lucas, 1515 que hacéis a Gila y a mi sangre. Digo que cuanto yo tuviere es vuestro todo, y no será tan poco que no sea para pasar muy bien en cualquier parte, aunque colguéis la azada y los arados; 1520 y hágaos el cielo, amén, buenos casados. Dadme la mano como padre, y luego a Plasencia enviaré para que traigan las amonestaciones, que con una desposarnos podremos; y esto sea 1525 con el mayor silencio que pudiéremos, porque mis deudos no lo contradigan. Disponéis como cuerdo vuestras cosas: dadme los brazos, que mi hacienda es vuestra, mi honor, mi Gila. Y vuestra compañía 1530 alójese en mi casa toda junta, y vos haced y deshaced en ella,
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Ed è proprio per questo che ho deciso di venir, come vedete, a casa vostra e a Garganta la Olla, poiché ho una patente per l’alloggiamento valida in ogni luogo della Vera. Da voi non voglio niente più di questo: Gila dev’esser moglie mia e voi padre. Che madre posso dare io ai miei figli migliore di una che è tanto famosa? Non rispondete niente, voglio solo baciar le vostre mani e predisporre i documenti; il vostro patrimonio e il poco ch’io possiedo di famiglia, Giraldo, ci permetteranno presto di vivere in tranquillità a Plasencia, quando io lasci le armi e mi ritiri a vita più tranquilla e meno allegra. Sarebbe certo sciocco e irrispettoso, signore, rifiutare quest’omaggio che lei vuol fare a Gila e al mio lignaggio. Tutto quel che possiedo adesso è suo, e non è così poco che non basti a vivere tranquilli in ogni posto, ed anche abbandonando zappa e aratro: vi benedica Dio, io l’ho già fatto. Ora vorrei abbracciarvi, come un padre, poi manderò qualcuno là a Plasencia, per le pubblicazioni, basta una e poi ci sposeremo, ma va fatto in gran segreto, così da evitare che i miei parenti possano obbiettare. Si faccia tutto come meglio crede. Mi abbracci, ora è suo ogni mio bene, l’onore e la mia Gila. La sua squadra si fermi ad alloggiare a casa mia e lei disponga tutto ciò che vuole;
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que estoy loco de gusto, porque días tan alegres los padres enloquecen. Mis nobles pensamientos lo merecen. Para que vayan a llamar a Gila me dad licencia, porque está en la arada, si va a decir verdad. Del mismo modo que salió della para rey de España Vamba, puedo estimar que salga Gila, Giraldo, para reina de mi alma. Razones son de vuestro heroico pecho. Volvé a abrazarme. Muy en horabuena.
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Entre Gila con la honda en la mano y en ella puesta una piedra, y Madalena con ella. GILA MADALENA GILA
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¿Es esto lo que dices, Madalena? Todo el rigor se convirtió en abrazos. Yo he echado a perder hoy la mayor cólera que he tenido en mi vida. ¡Gila! ¡Padre! Muy bien venida seas. Yo venía más belicosa que era necesario para lo que he hallado, pues los brazos señal de amistad son. Adiós, que quiero a la arada tornar como primero. Vuelve acá, Gila, mira que te aguardan, con la dicha mayor que mujer tuvo, el cielo y la fortuna. ¿Hanme elegido por general, por rey, obispo o papa? ¿He heredado las casas, las haciendas
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io adesso sono pazzo dalla gioia: un padre in questi casi perde il senno! È degno dei miei nobili pensieri. Col suo permesso manderei qualcuno a far chiamare Gila, che al momento dovrebbe essere ad arare i campi secondo quel che credo. Come Wamba che abbandonò sia i campi che l’aratro per esser re di Spagna, farà Gila, per essere regina del mio cuore. Parole di chi ha un animo da eroe. Un altro abbraccio. Con grande piacere.
Entra in scena Gila con in mano una fionda con un sasso e con lei Maddalena. GILA MADDALENA GILA
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GIRALDO
GILA
È questo ciò che hai visto, Maddalena? L’ostilità si è sciolta in un abbraccio. Oggi ho sprecato la più grande rabbia di tutta la mia vita. Gila! Padre! Bentornata, mia cara. Son tornata più arrabbiata di quanto in verità quel che ho trovato qui si meritasse, poiché gli abbracci, come ben si sa, son segno di amicizia. Arrivederci, io me ne torno ad arare i campi. Vieni qui, Gila, che in serbo per te c’è la miglior sorpresa che una donna possa desiderar dalla fortuna. Son stata nominata generale? O eletta forse re, vescovo o papa? Ho ereditato case e proprietà 1237
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de los señores de Castilla? ¿Vienen por mí para gran turca bautizada? ¿Llámanme para herme prencipesa 1560 de Castilla y León, o Preste Juana en las Indias, del Cairo gran señora, u de Alimaña y Roma emperadora? Muy altos son tus pensamientos, Gila. Pedilde, padre, cuenta a las estrellas 1565 de esa altivez, pues ellas son la causa. Medir con la humildad del nacimiento, Gila, la voluntad y el pensamiento. ¿Qué dicha, padre, al fin es la que aguardo del cielo y la fortuna? Tu remedio. 1570 Pues ¿qué? ¿Quieres casarme? Sí, y advierte si es dicha la que aguardas, pues te caso con el señor don Lucas, caballero de los Caravajales de Plasencia, y juntamente capitán, que a sólo 1575 este efeto no más, Gila, ha venido a Garganta la Olla. Hasta agora me imaginaba, padre, por las cosas que yo me he visto her, hombre y muy hombre, y agora echo de ver, pues que me tratas 1580 casamiento con este caballero, que soy mujer, que para tanto daño ha sido mi desdicha el desengaño. No me quiero casar, padre, que creo que mientras no me caso que soy hombre. 1585 No quiero ver que nadie me sujete, no quiero que ninguno se imagine dueño de mí; la libertad pretendo. El señor capitán busque en Plasencia mujer de su nobleza que le iguale, 1590 que yo soy una triste labradora
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di qualche signorotto di Castiglia? Mi eleggono come regina turca? Mi cercano per farmi principessa di Castiglia e León, o viceré delle Indie, d’Egitto gran sultana o imperatrice di Roma e Germania? I tuoi pensieri sono assai superbi. Chiedi alle stelle, padre, spiegazioni della superbia mia, che è colpa loro. Adegua all’umiltà da cui provieni, figlia, i tuoi desideri ed i pensieri. Quale fortuna mi riservan, padre, il cielo e la mia sorte? Ti sistemi! Che dici? Vuoi accasarmi? Sì, e non dirmi che non sei fortunata, che ti sposo col capitano Luca, cavaliere di quei Caravajales di Plasencia, oltre che capitano, che è venuto, Gila, soltanto per questo motivo a Garganta la Olla. Fino ad ora immaginavo, padre, dalle cose che ho sempre fatto, d’esser nata uomo, ma adesso che hai deciso di sposarmi a questo cavaliere io mi accorgo di essere una donna, questo è il danno a cui mi ha condannata il disinganno. Io non voglio sposarmi, perché penso che finché non mi sposo resto un uomo. Non voglio che qualcuno mi comandi, nessuno potrà mai considerarsi padrone mio: pretendo libertà. Si trovi il capitano là a Plasencia una che sia davvero alla sua altezza, sono una contadina poveretta, 1239
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muy diferente del, para los campos buena, que me conocen, y no quiero meterme agora a caballera y herme mujer de piedra en lo espetado y tieso, 1595 encaramada en dos chapines, padre, y con un verdugado hecha campana, lominaria con una lechuguilla, aprendiendo de nuevo reverencias, que será para mí darme ponzoña, 1600 y Gila no es buen nombre para doña. No es bien que despreciéis, hermoso dueño de mis deseos y del alma mía – perdóneme Giraldo, vuestro padre, que desde aquí le tengo ya por mío –, 1605 amor que se reduce a pensamientos tan bien nacidos, tan en honra vuestra, que por vida de vuestros dos luceros, ojos del cielo de esa hermosa cara, que habéis de ser al lado de don Lucas, 1610 si merezco esa mano, otra Semíramis, otra Evadnes y Palas española. Esa razón me puede obligar sola, por imitar a vuestro lado luego a la gran Isabel, que al de Fernando 1615 emprende heroicos hechos; que si vivo, y ocasiones me ofrece la fortuna, ha de quedar contra la edad ligera fama de la serrana de la Vera. Pedidme albricias, por que os dé deseos 1620 nuevos, almas y vidas con que amaros. Aunque no supe amar, pienso pagaros. Goza el estado muchos años, Gila.
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ho poco a che spartire io con lui, son buona solamente per i campi, che sanno come sono, non ho voglia di mettermi ora a far la nobildonna tutta d’un pezzo, far la sostenuta, arrampicata sopra due tacchetti, la gonna che assomiglia a una campana, e quel gran collo tutto fatto a pieghe, ad imparare gesti e portamento, che per me è come un avvelenamento; poi Gila non è un nome da signora. Non credo che sia giusto disprezzare, signora del mio cuore e dei miei sogni − e chiedo scusa al vostro caro padre che d’ora in poi considero anche mio −, un sentimento tanto onesto e puro che ha come unico scopo l’onorarvi. Vi giuro sulle due stelle brillanti, occhi nel cielo del vostro bel volto, che accanto a Luca, sempre che sia ammesso che io sia degno di cotanto onore, sarete al pari di una nuova Atena, Evadne, Semiramide spagnola. È l’unica ragione che mai possa costringermi a accettare, così un giorno al vostro fianco io potrò emulare la splendida Isabella, che col re affronta imprese eroiche: se non muoio e la fortuna me ne dà occasione, ci si ricorderà per molto tempo di Gila, montanara della Vera. Vi porterò in omaggio desideri nuovi, anime e vite con cui amarvi. Sebbene io non abbia mai amato, vi ricompenserò. Ti auguro, Gila, di poter essere felice a lungo. 1241
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Será para servirte, Madalena. Don García, de camino.
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Nunca en la Vera imaginé alcanzaros. Seáis muy bien venido, don García, que habéis estado a fe bien deseado. ¿Cómo habéis, en efeto, despachado? Luego en llegando me aprobó el consejo, aunque llegué a ocasión a Salamanca para España bien trágica. ¿En qué estado queda el príncipe? Muerto y enterrado. Después que de la carrera de aquel caballo que a España fue el de Troya, pues ha sido de tan gran desdicha causa, quedó el príncipe don Juan tan enfermo en Salamanca, de su mal lograda vida con tan pocas esperanzas, Fernando y doña Isabel, la jornada de Granada dejando, dieron la vuelta a llorar tan gran desgracia. Siete dotores lo curan, y entre ellos el de la Parra, nuevo Galeno español que a Esculapio se adelanta. Todos hasta el catorceno la vida al príncipe alargan, y el de la Parra una noche le dice tales palabras: «Muy malo está vuestra alteza, don Juan, príncipe de España;
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Io ti ringrazio, cara Maddalena. Arriva Garcia, vestito da viaggio.
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Credevo non vi avrei mai ritrovato nella Vera. Garcia, benarrivato, è proprio lei che stavamo aspettando. È riuscito a far quello che doveva? Hanno approvato tutti i documenti; però sono arrivato a Salamanca in un triste momento per la Spagna. Come sta il principe? Morto e sepolto! Dopo la tragica corsa su quel cavallo − che in Spagna, per il gran danno causato, è come quello di Troia − il buon principe è rimasto a Salamanca infermo e senza molte speranze per la sua povera vita. Sia Fernando che Isabella hanno abbandonato il campo di battaglia di Granada, per tornare in tutta fretta a piangere la disgrazia. Lo curan sette dottori, tra cui il noto Della Parra, nuovo Galeno spagnolo, migliore di Esculapio. Per ben quattordici giorni tengono il principe in vita, e il Della Parra una notte gli dice queste parole: «State male, Vostra Altezza buon Juan, principe di Spagna, 1243
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al cuerpo faltan remedios, acúdanse a los del alma. La muerte a nadie perdona, que de los reyes las guardas atropella y no respeta como mayor rey la manda. Tres horas tenéis de vida, y la una ya se pasa, que de la vida es el pulso el reloj que las señala. Quien os engaña no os quiere, y a quien hoy os desengaña debéis más, que las lisonjas aquí no sirven de nada. Sin herederos vos deja el cielo: secretas causas debe de haber que lo ordenan, que en la tierra no se alcanzan. El reino, por vuestra muerte, queda a la señora infanta; ampare Dios a Castilla y a vos os perdone el alma.» Valor mostrando, responde el príncipe al de la Parra: «Con ser la verdad primera que me han dicho, no me espanta. Natural cosa es la muerte; sólo me aflige la falta que puedo hacer a Castilla, aunque dejo tres hermanas; pero Dios, que determina que muera, sabrá amparalla
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per il corpo non c’è più niente che si possa fare, pensiamo all’anima adesso. Non guarda in faccia nessuno la morte, vince e sbaraglia le guardie di ogni sovrano: perché gli ordini che esegue vengon da molto più in alto. Vi rimangono tre ore di vita e mentre parliamo la prima già sta passando; è il polso che le scandisce, l’orologio della vita. Chi vi inganna non vi ama, mentre chi vi mostra il vero vi è vicino: in questi casi fingere non serve a niente. Il Cielo vuole lasciarvi senza eredi, ci saranno cause segrete a ordinarlo, che sulla Terra ignoriamo. Il regno, poiché morite, passerà alla principessa; Dio protegga la Castiglia, e assolva l’anima vostra.» Da valoroso, risponde il principe al Della Parra: «È la prima verità che mi dicono, però non mi spaventa. La morte fa parte della natura, mi rattrista solamente pensare alla mancanza che causerò alla Castiglia, pur lasciando tre sorelle. Ma se Dio ha determinato che io muoia, penserà 1245
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con herederos que importen más a su iglesia romana.» Y recibiendo de nuevo los sacramentos, dio el alma al cielo, luto a Castilla y general llanto a España. En la catredal se hizo un túmulo, cuya rara fábrica admiró en su pompa la arquitectura romana. El edificio soberbio las cuatro especies mostraba de las colunas antiguas que inventó Efesia y Acaya: las dóricas y corintias, las jónicas y tuscanias, que el español mauseolo hasta los cielos levantan sobre los embasamentos de pedestales y basas, cuadros, equinos, boceles, lengüetas, escitas, zanjas, nacelas, filetes, plintos, murecillos, contrabasas, trochilos, planos, talones, armilas, gradillas, bandas, cuyo hermoso frontispicio con el capitel rematan arquitrabes y cornijas, frisos y molduras varias, coronas, gulas, casetos, gotas, balaustres, armas, ejes, triglifos, metopas, témpanos, linteles, jambas. Tocaba el capel ardente en la cúpula musaica
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a come fare a proteggerla con eredi convenienti alla sua Chiesa di Roma.» E ricevendo di nuovo i sacramenti, volò l’anima al cielo, portando lutto in Castiglia e gran pianto in tutta quanta la Spagna. Nella cattedrale, allora, si eresse un tumulo dalla fattura tanto sublime che ne ammirò il grande fasto l’architettura romana: una struttura grandiosa ornata dei quattro tipi di quelle antiche colonne create a Efeso e in Grecia: le doriche e le corinzie, le ioniche e le toscane, che innalzano fino al cielo il mausoleo spagnolo, sopra dei gran basamenti di piedistalli e pilastri, fregi, rilievi, listelli, ovuli, gole e tondini, sostegni, plinti e dentelli, vari motivi e supporti, baccellature, ghirlande, e le cornici e architravi chiudono col capitello il frontespizio stupendo; frontoni e modanature, trabeazioni, cassettoni, balaustre, cornicioni, triglifi, metope, assi, timpani, stipiti e travi. Nella cupola a mosaico 1247
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de la capilla mayor, adonde un águila estaba al sol probando sus hijos, y uno dellos con las alas batiendo sus rayos de oro, con unas letras doradas que dicen: «Éste es mi nido. ¡Adiós, grandezas humanas, que parecéis muy pequeñas desde tan alto miradas!» Doce pendones pendían luego con las castellanas y aragonesas insinias; y en el capitel, España, armada como la pintan, pisando yelmos y espadas, cuyas lágrimas son letras que desta suerte lloraban: «Yo he perdido solamente, que el príncipe don Juan gana más dichosas monarquías, conquistas más soberanas.» Al lado derecho suyo estaba también la Fama, y al siniestro la Fortuna, que rendida se mostraba, y más abajo la muerte, arrepentida y turbada, reclinando el flaco cuerpo sobre su corva guadaña. En medio deste edificio, que ardiendo en luces estaba, el del príncipe pusieron, armado con blancas armas,
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della cappella maggiore c’era la camera ardente, e una raffigurazione di un’aquila che conduce i suoi figli verso il sole, e uno di questi che apre le ali verso i raggi d’oro, con su scritte le parole dorate: «Questo è il mio nido. Addio, grandezze umane! Quanto piccole apparite viste da quassù in alto!» Dodici stendardi appesi con le valorose insegne di Castiglia e di Aragona; sul capitello la Spagna, armata, mentre calpesta elmi e spade, come sempre si usa raffigurare, le cui lacrime son lettere che piangevano così: «Ho perso io solamente, mentre il principe guadagna regni ben più vantaggiosi e conquiste più sovrane.» E poi, sul lato di destra, raffigurata la Fama, a sinistra la Fortuna, che si mostrava sconfitta, e un po’ più in basso la Morte, assai pentita e turbata, con il secco corpo chino sulla sua falce ricurva. Al centro del catafalco che scintillava di lumi, il principe fu deposto armato di armi leggere, 1249
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la corona en la cabeza, puesta la mano en la espada, dando ocasión a los ojos, que con lágrimas cegaran. Mostrando el valor que tienen, los Católicos Monarcas, a las obsequias asisten; y luego, en siendo acabadas, los monteros de Espinosa el cuerpo en hombros levantan y a la bóveda le llevan, donde un secretario aguarda, que toma por testimonio que queda en aquella caja de plomo el cuerpo; y con esto todos los actos se acaban, previniendo el juramento de la infanta doña Juana, que mil años guarde el cielo como ha menester España. Notable desgracia ha sido. Toda esta vida es desgracias. Las lágrimas, Madalena, de lástima se me saltan. No te he visto jamás tierna sino es hoy. La misma causa trae consigo el llanto, prima. ¡Hay novedades estrañas! ¿Dónde ha de estar la bandera? Aquí, que el cuerpo de guardia quiere Giraldo que sea dentro de su misma casa. Vamos a alojar la gente. Adiós, Giraldo. Dios vaya con vos.
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la corona sulla testa e la spada tra le mani, costringendo chi guardava a accecarsi con il pianto. I cattolici sovrani assistettero alle esequie dimostrando gran valore; poi quando il rito finisce le stesse guardie reali portano in spalla la bara fino alla cupola dove un segretario li attende e rende testimonianza che quella cassa di piombo contiene davvero il corpo; e poi, dopo tutto questo, termina la cerimonia, e la principessa Juana si prepara al giuramento, che il Cielo la protegga: la Spagna ne ha gran bisogno! Che terribile disgrazia! La vita ne è proprio piena! Ho già le lacrime agli occhi dal dolore, Maddalena. Tenera come quest’oggi, Gila, non ti ho vista mai... È colpa di questa storia. Ma che strane novità! Dove metto la bandiera? Qui, Giraldo si è deciso a ospitare in casa sua il nostro corpo di guardia. Andiamo a chiamare gli altri. Arrivederci, Giraldo. Dio sia con voi.
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Adiós, dueño mío. El mismo os guarde. No es mala, don Lucas, la motilona. A Gila le dejo el alma. Vanse don Lucas y don García.
GIRALDO
Aliña la casa, Gila, y haz que se pongan dos camas para el capitán y alférez: las sábanas nuevas saca de tu ajuar, y las colchas, y enfunda cuatro almohadas, que no huela más que a limpio todo, y quita de la sala los ciegayernos, que agora sólo los ciega tu cara y tu varonil valor, que es la dote que te casa; y a los capones más gordos tuerce los cuellos, y mata un lechón, y arroja dentro de la olla dos torcazas palomas y algún sisón, que de lo que toca a vaca y carnero buena queda; y mientras voy a la plaza, pon la mesa, y queda adiós.
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Prima Gila, ordena y manda, que yo te ayudaré a todo.
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Mia signora, a presto. Dio vi protegga. Non male la ragazzona. A Gila lascio il mio cuore. Luca e Garcia escono di scena.
GIRALDO
Gila, sistema la casa, e poi prepara due letti al capitano e all’alfiere: prendi le lenzuola nuove dal tuo corredo, coperte, e dopo metti le federe a quattro bei cuscini, che sia tutto profumato di pulito, e dalla sala metti via ogni carabattola: d’ora in poi l’unica cosa a esser cara, in questa casa, sarà il tuo viso e il valore, la dote con cui ti sposi. Poi tira il collo ai capponi più grassi, ammazza un maiale, e butta subito in pentola due colombacci ed alcune gallinelle prataiole, che di vacca e di vitello il lesso è più che abbondante. E mentre io vado in piazza apparecchia e aspetta. A dopo. Giraldo esce di scena.
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Gila, cosa devo fare? Ci sono io ad aiutarti.
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Vamos primero que nada a ver del modo que ponen, prima, la bandera y armas. Soldados salen aquí a jugar, si no me engaña, Gila, la maginación, los dados sobre una caja, que así suelen herlo siempre. De buena gana jugara, prima, los dados con ellos. Sabes? Cuando estuvo en casa del barbero la bandera el año pasado, daba en mirar y aprendí el juego. Todo cuanto hay se te alcanza. Por inclinación soy hombre.
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Salgan Andrés y Gerónimo y otro soldado con una caja y dados para jugar. ANDRÉS
El socorro huego.
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Vaya. Que me ha picado, ¡por Dios!, el señor cabo de escuadra. Pues adviértole que luego muda la posta de guarda. Dorabuena. Más al once. Esto paro a la trocada. Tire, que un once ganó. ¡Oh cuatro veces malhaya quien es desdichado y juega!
ANDRÉS
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MADDALENA GILA
Andiamo, prima di tutto, a vederli sistemare armi e bandiera, cugina. Stanno uscendo dei soldati per giocare, se la mia immaginazione, Gila, non mi inganna, con i dadi sopra un tamburo, così come usano far sempre. Giocherei ben volentieri ai dadi insieme con loro. Sai giocare? L’anno scorso, quando si erano alloggiati nella casa del barbiere, li ho osservati ed ho imparato. Riesci proprio a fare tutto! La mia è un’indole da uomo.
Entrano Andrea, Geronimo e un altro soldato con un tamburo e i dadi per giocare. ANDREA GERONIMO ANDREA
CAPO
ANDREA GERONIMO
ANDREA GERONIMO ANDREA
Mi gioco la paga. Bene. Mi ha proprio punto sul vivo il signor capo di squadra! E la avverto che tra poco ci sarà il cambio di guardia. Alla buon’ora! Io punto sull’undici. Io mi fermo. Vai, tira! L’undici ha vinto. Possa essere dannato chi è sfortunato ma gioca!
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Lléganse a ver jugar Gila y Madalena; saca el dinero y pónelo en la mesa y toma los dados. CABO GILA
CABO GILA CABO ANDRÉS
GERÓNIMO
ANDRÉS
GILA ANDRÉS GILA GERÓNIMO
CABO ANDRÉS GILA
¿Quiere jugar, camarada? De buena gana por cierto yo juego. ¿Hay dinero? En plata. Moza varonil, ¡por Dios! Herónimo, la serrana es ésta que allá en Plasencia... Ya te acuerdas. ¿Pues no basta para memoria los toques que contra negras y blancas espadas nos dio a los dos con sola una negra espada? Su casa pienso que es ésta. Desimula agora y calla, que antes de marchar un chirlo le ha de quedar por la cara. ¿No juegan? Pues, ¿por qué no? A todos digo. Quien paga tan francamente no es mucho que lo diga. A todos gana. Si no es a mí que no quiero. De barato se lo daba si no hubiera puesto encima la mano.
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Si avvicinano Gila e Maddalena per vederli giocare; Gila tira fuori i soldi, li mette sul tavolo e prende i dadi. CAPO GILA CAPO GILA CAPO ANDREA
GERONIMO
ANDREA
GILA ANDREA GILA GERONIMO
CAPO ANDREA
Ehi, compagna, vuoi giocare? Certo che sì, volentieri. Soldi ne hai? In argento. Che donna tosta, per Dio! Ma è quella montanara, Geronimo, che a Plasencia... ti ricordi? E ti pare che io non me la ricordi dopo che ce le ha suonate di santa ragione e in più con una spada da gioco mentre le nostre eran vere? Credo che sia casa sua. Zitto, fai finta di niente, che, prima che ce ne andiamo, voglio sfregiarle la faccia. Non giocate? Perché no? Parlo con tutti. Chi paga così generosamente non deve dirlo due volte. Vince su tutti. Sì certo, tranne con me, che non voglio. [Mette la mano sui soldi.]
GILA
Ve lo avrei dato di mancia se voi non ci aveste messo sopra la mano!
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GILA
ANDRÉS GILA
ANDRÉS
GILA
Las suyas blancas beso por esa merced; pero aténgome a mis garras. Pues conmigo se las corta, so soldado. ¿No bastaba para conocer mi humor lo que no ha muchas semanas que a los dos pasó conmigo? Mírelo bien, sora honrada. ¿No es el a quien yo molí a espaldarazos, que habla? ¿Tiene más que haber dejado por los frascos, las reatas; por el arcabuz, las mulas, y las ruedas por las cajas? Quien lo imaginare digo, que si no miente, se engaña. Para tales ocasiones guardo yo estas bofetadas.
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Dale una bofetada. ANDRÉS
Las muelas me ha echado fuera.
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Quítase la honda Gila. GILA
CABO
Piedras, Madalena, y salgan los gallinas porque acaben de conocer la serrana. Vuacé se tenga y ninguno se mueva a sacar la espada,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO SECONDO ANDREA
GILA
ANDREA
GILA
ANDREA
GILA
E per questo favore bacio le sue di mani, bianche, ma resto ben aggrappato, non mollo la presa dei miei unghielli. Beh, con me lei se li taglia, soldato. Non vi è bastato, quel che vi ho fatto passare qualche settimana fa per capire di che pasta sono fatta? Stia attenta a quel che dice, madama! L’uomo che parla non è quello che ho preso a spadate? Cos’è successo? Ha lasciato il carro per queste armi, le mule per l’archibugio, le ruote per i tamburi? A chi le crede io dico che se non mente, si sbaglia. Per occasioni così ho in serbo questi schiaffoni. Gli dà uno schiaffo.
ANDREA
Mi ha spaccato la mascella. Gila tira fuori la fionda.
GILA
CAPO
Maddalena, dammi i sassi: i conigli scapperanno non appena capiranno di che stampo è fatta questa contadina montanara. Su, si fermi! E che nessuno osi sguainare la spada: 1259
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO II
ANDRÉS CABO GERÓNIMO CABO
GILA CABO
GILA
porque es mujer en efeto y es, éste, cuerpo de guardia. Basta que voacé lo diga. Nunca una mujer agravia. Así lo entiendo. Pues sean amigos. ¡No dicen nada! Sus amigos quieren ser; déme aquesa mano y basta, reina. Yo no soy amiga de gallinas.
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Vanse Gila y Madalena, volviendo Gila la cara. CABO
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¡Mujer brava! Ésta debe ser, sin duda, la que tiene tanta fama. Preguntádselo a mis muelas. No más burlas con serranas.
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Vanse. La reina doña Isabel y el maestre de Calatrava con ferreruelo de bayeta. ISABEL RODRIGO
ISABEL RODRIGO
Seáis, maestre, bien venido. Déme vuestra alteza su mano, que ya he dado el pésame del príncipe a su alteza que justamente... ¿Cómo queda Alhama? Ya lo sabréis de boca de la fama, que ésa fue la ocasión de haber venido a mostrar la tristeza, que las deudas
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ANDREA CAPO GERONIMO CAPO
GILA CAPO
GILA
lei è pur sempre una donna e questo un corpo di guardia. Basta che lei lo comandi. Non disonora una donna. Certo, ha ragione. Perciò fate pace. Non parlate? Vogliono esserle amici, datemi la mano e adesso finiamola qui, regina. Io non sono affatto amica di conigli.
Gila e Maddalena se ne vanno, e Gila gira la testa [con disprezzo]. CAPO
ANDREA
Donna audace! Senza dubbio sarà lei quella che è tanto famosa. Chiedilo alla mia mascella! Meglio non scherzare più con montanare così. Escono di scena. La regina Isabella e il gran maestro di Calatrava con una cappa corta di flanella.
ISABELLA RODRIGO
ISABELLA RODRIGO
Maestro, benvenuto. Vostra altezza, mi dia la mano, ho appena fatto adesso le condoglianze al re per l’accaduto al principe... Cosa succede a Alhama? La fama forse mi ha già preceduto: son giunto per la triste circostanza a dimostrare tutto il mio cordoglio,
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ISABEL RODRIGO
ISABEL RODRIGO
ISABEL
de mis obligaciones justamente publican y en el suelo castellano... ¿Cómo dejáis al conde vuestro hermano? Bueno, señora, y de la misma suerte 1915 que yo, lleno del justo sentimiento, que a tal falta se debe, en las fronteras de Archidona y Morón, donde ha mostrado que al príncipe... Es el conde un gran soldado. Los mal logrados años de su alteza 1920 son de igual sentimiento con la falta que tienen estos reinos de heredero y más tan valeroso y tan amable... Maestre, guárdeos Dios. Éntrese la reina y quede solo el maestre.
RODRIGO
¡Valor notable! No pudo resistir el llanto y quiso entrarse porque nadie decir pueda que la ha visto llorar. ¡Oh castellana Evadnes! ¡Oh Semíramis cristiana! ¡Oh invencible católica española! Tú puedes ser del mundo Fenis sola.
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1930
Entre el rey leyendo una carta. FERNANDO RODRIGO
FERNANDO
Maestre, ¿adónde está la reina? Agora se retiró con sus altezas. Basta, que el Rey Chico me escribe deseoso de hacer paces conmigo y alianza, que otra vez a Granada ponga sitio; porque, como sabéis, están en bandos él y Muley su tío, el que posee
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ISABELLA RODRIGO
ISABELLA RODRIGO
ISABELLA
come si addice al ruolo che ricopro, del resto; sulle terre di Castiglia... E come sta vostro fratello il conte? Bene, signora, e proprio come me: pervaso da un’identica afflizione dovuta a questa perdita, al confine tra Archidona e Morón, dove ha mostrato che al principe... Il conte è un gran soldato. Ed era tanto giovane Sua Altezza che ciò accresce il dolore per l’assenza di un successore per il nostro regno, e in più tanto cortese e coraggioso... Dio sia con voi, maestro. La regina esce di scena e il gran maestro rimane solo.
RODRIGO
Che valore! Siccome non riusciva a trattenere le lacrime è uscita, in questo modo nessuno potrà dire che l’ha vista mentre piangeva. Oh, quale castigliana Evadne, Semiramide cristiana! Cattolica spagnola vincitrice! Tu sei del mondo l’unica Fenice! Entra il re, che legge una lettera.
FERNANDO RODRIGO FERNANDO
Maestro, avete visto la regina? Si è appena ritirata. Bene. Ha scritto il re Chico che vuole fare pace con me per allearci e predisporre ch’io metta nuovamente sotto assedio Granada perché, come voi sapete, sono in conflitto in due fazioni opposte lui e Muley, suo zio, che già possiede 1263
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RODRIGO
la parte de la Alhambra. ¿A quién, maestre, a vuestro parecer podré encargalle esta ocasión? Porque el marqués de Cádiz, el señor de Aguilar, el Guzmán Bueno de Niebla, el gran Ribera, adelantado de Andalucía y vuestro hermano el conde y el de Palma se ofrecen a la impresa, ya que tengo jurada a la princesa. Pues me llegáis a pedir parecer, os lo he de dar, que no tengo de engañar a quien tengo de servir, y hablar verdades me obliga después de Isabel y vos, ¡por vida de ambos a dos!, o el mismo moro lo diga que en mis vitorias me alaba, que toca aquesta ocasión a don Rodrigo Girón, maestre de Calatrava. Bien me pueden perdonar el de Cádiz y el de Niebla que el mar de despojos puebla, el de Palma y Aguilar, el famoso adelantado que tantos triunfos enseña, mi hermano el conde de Ureña que esta impresa han deseado; que son, como he visto yo, entre desnudos aceros generosos caballeros, pero más valientes no.
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RODRIGO
la parte della Alhambra. A chi potrei, maestro, incaricare la missione, secondo voi? Si offron per adesso a compiere l’impresa, il marchese di Cadice, il signore di Aguilar, Guzmán Bueno di Niebla, il gran Ribera, governatore dell’Andalusia, vostro fratello e il conte di Palma; mentre la principessa ha già compiuto il giuramento come erede al trono. Poiché volete sapere il mio parere, lo avrete, giacché non posso ingannare colui che devo servire: bisogna che dica il vero dinnanzi a voi e Isabella − eterno onore ad entrambi! − credo che questa occasione possa spettare soltanto a me, Rodrigo Girón, maestro di Calatrava: lo dica l’arabo stesso, che loda le mie vittorie. Spero non me ne vorranno né il marchese di Cadice e neanche quello di Niebla, tanto abili sul mare, quelli di Palma e Aguilar, né il governatore illustre che ostenta grandi successi, conte d’Ureña e fratello mio, che voleva il comando: sono, e posso attestarlo, generosi cavalieri, valenti nelle battaglie, ma non sono certamente più valorosi di me. 1265
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FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
Y por la cruz que estos pechos marca, que habéis de mirar en breve tiempo juntar a estos dichos muchos hechos. Los pendones castellanos marchen a Granada, pues, que yo os la pondré a los pies o me cortaré las manos. Dadme los brazos, maestre, que esto fue, a decir verdad, probar vuestra voluntad. Mi propia sangre la muestre, tantas veces derramada. No me tenéis que advertir; lo que importa es prevenir brevemente la jornada, que importa la diligencia, y el hallarme yo presente, bajando primeramente por Guadalupe a Plasencia, a dar a unos bandos fin que hay entre Caravajales y Estúñigas. Las reales presencias, señor, al fin acaban cualquiera impresa con más prisa y brevedad. Maestre, a besar entrad las manos a la princesa.
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FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
E per la croce che porto su questo petto, vedrete che presto a queste parole io farò seguire i fatti. Si preparino a partire gli stendardi castigliani verso Granada, così la vedrete ai vostri piedi o mi taglierò le mani. Abbracciatemi, maestro: in verità è stato solo perché voi mi deste prova della vostra volontà. Lo mostra già il mio sangue, più e più volte versato. Non c’è bisogno di dirlo! Bisognerà organizzare subito la spedizione; è necessaria prontezza e sarò presente anch’io. Passeremo, in primo luogo, da Guadalupe a Plasencia, a porre fine ai conflitti sorti tra Caravajal ed Estuñiga. Se i re sono presenti, signore, ogni impresa si conclude prima e più rapidamente. Maestro, entrate a baciare la mano alla principessa. Escono di scena.
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El sargento y don García. SARGENTO
GARCÍA
SARGENTO
GARCÍA
SARGENTO GARCÍA
SARGENTO
GARCÍA
Señor alférez, ya está en orden la compañía para marchar. No querría que se arrepintiese ya si la moza le ha agradado, como suele suceder, porque no llegase a ser de veras lo imaginado de burlas. Con la ocasión de acercarse el casamiento debió de cumplir su intento, que su altiva condición no pienso que de otra suerte pudiera nadie rendir. Y aún así ha sido esculpir un diamante. Mujer fuerte. Esta noche es la primera que rindió su voluntad. Pues si va a decir verdad ya amanece; no quisiera que nos cogiera aquí el día, porque es, según se me alcanza, cierta señal de mudanza. Gente viene.
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Salga don Lucas el capitán. CAPITÁN GARCÍA CAPITÁN
¿Es don García? Y el sargento. Vamos, pues, que ya cogió la venganza
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Entrano il sergente e Garcia. SERGENTE
GARCIA
SERGENTE
GARCIA
SERGENTE GARCIA
SERGENTE
GARCIA
Signor alfiere, qui c’è la compagnia, già schierata e pronta a mettersi in marcia. Io spero che il capitano non abbia cambiato idea: se la bella gli è piaciuta, come poi succede spesso, non vorrei che la finzione diventasse verità. E siccome ha già promesso di sposarla, avrà ottenuto quello che desiderava: l’indole tanto selvaggia di quella donna superba non si poteva domare altro che col matrimonio! E anche così è stato quasi come scolpire un diamante. Che donna forte! Stanotte è stata l’unica notte in cui si è arresa a qualcuno. Ecco l’alba, non vorrei che arrivasse il nuovo giorno mentre siamo ancora qui, perché annuncia, come sempre, cambiamenti e novità. Arriva gente. Entra in scena il capitano Luca.
CAPITANO GARCIA CAPITANO
Garcia? E il sergente. Allora andiamo! Ho compiuto la vendetta 1269
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GARCÍA CAPITÁN
GARCÍA CAPITÁN
GARCÍA
CAPITÁN GARCÍA CAPITÁN
SARGENTO CAPITÁN
lo que sembró mi esperanza, y lo que Gila después despierta habrá de llorar. ¡Buena moza! Yo me fundo en que no la tiene el mundo en llegándola a gozar. ¡Qué presto que el freno tascas! Con la que amor más estima, en descubriendo el enima, todo es bochornos y bascas. Reniega tú de picarte y de hallar alguna cosa, aún en la que no es hermosa, que pueda cuidado darte del no sé qué que se dice que se alcanza por ventura, que querrás que su hermosura todo el mundo solenice, y en los aires andarás; que también con más rigor suele ser mosca el amor. No me sucedió jamás. A mí sí. Vamos de aquí, y agradézcame el lugar que no le abraso. Marchar. Yo llegué, engañé y vencí.
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Éntrense, y toca el atambor a marchar, y de adentro dice Gila, y salga luego con un manteo como que se levanta de la cama.
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GARCIA CAPITANO
GARCIA CAPITANO
GARCIA
CAPITANO GARCIA CAPITANO
SERGENTE CAPITANO
come io desideravo, così Gila, al suo risveglio, dovrà piangere a dirotto. È una gran donna! Io posso dirlo forte che nel mondo non ne esiste un’altra uguale, poiché l’ho appena goduta! Ti passa presto la voglia. Anche con la donna amata, quando si svela il mistero, non può restare nient’altro che nausea e noia. Vedrai quando ti capiterà di incontrarne anche tu una, e magari neanche bella, e di trovarci qualcosa che saprà farti provare quel «non so che» che si dice si raggiunge per ventura: vorrai che la sua bellezza sia celebrata da tutti e sarai al settimo cielo; perché anche quando è duro l’amore è un tarlo tenace. Non mi è ancora mai successo. A me sì. Su, andiamo via, e il paese mi ringrazi che non gli ho appiccato fuoco. Via! Venni, ingannai e vinsi.
Escono di scena mentre il tamburo suona la marcia. Gila inizia a parlare fuori scena, poi entra con addosso una sottoveste come se si fosse appena alzata dal letto. 1271
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¡Traición! ¡Traición! ¡Padre! ¡Prima! ¡Mingo! ¡Pascual! ¡Antón! ¡Presto, socorred mi afrenta todos! ¡Ah de mi casa! ¡Ah del pueblo! ¡Que se me van con mi honor; que un ingrato caballero me lleva el alma! ¡Socorro, que me abraso, que me quemo! ¡Ay, confusos atambores, enemigos istrumentos de la muerte y de la envidia, que en el alma dais los ecos del ánimo y la venganza, despertadores soberbios, relojes de mis desdichas, de mi agravio pregoneros! ¿Qué os hizo mi honor, que vais tocando alarma y huyendo? ¿Por qué, si vais vitoriosos, las espaldas habéis vuelto? Esperad o no venzáis, que no es bien, cobardes siendo, dejéis a mi honor vencido en la muralla del sueño. ¡Ay furia! ¡Ay rabia! ¡Ay cielos, que se me abrasa el alma! ¡Huego! ¡Huego!
GILA
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Salgan agora alborotados Giraldo, Pascual, Madalena y Mingo envuelto en la manta de la cama. GIRALDO MADALENA MINGO GILA
¿Qué voces son éstas, Gila? Prima, ¿qué es esto? ¿Qué es esto? Mi desdicha y vuestra culpa, mi engaño y vuestros consejos.
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Mi hanno tradita! Padre! Maddalena! Mingo! Pasquale! Antonio! Presto, presto, su, venite! Vendicate il disonore! Ah, di casa! Ah, del paese! Se ne vanno col mio onore, e un ingrato cavaliere mi ha preso l’anima! Aiuto! Io brucio, io ardo tutta! Ah, voi, confusi tamburi, voi, nemici strumenti della morte e dell’invidia, l’anima riempite d’echi di coraggio e di vendetta; sveglie superbe, orologi di tutte le mie sventure, banditori del mio affronto! Cosa vi ha fatto il mio onore per battere in ritirata? Perché ve ne state andando pur avendo in realtà vinto? O vi fermate qui, oppure non avrete vinto niente: non va bene, da codardi, lasciare il mio onore vinto nella muraglia del sonno. Ah furia! Rabbia! Cieli! L’anima mi divampa! Fuoco! Fuoco!
GILA
Entrano agitati Giraldo, Pasquale, Maddalena e Mingo, avvolto nella coperta del letto. GIRALDO MADDALENA MINGO GILA
Gila, perché stai urlando? Cosa è successo? Che c’è? Mia sfortuna e colpa vostra, vostri consigli e mio errore. 1273
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Nunca yo diera la mano por vos a aquel mostro fiero, que en mi afrenta se ha cebado, en mis agravios sangriento; que no sé por ella al alma, padre, qué invisible fuego me penetró los sentidos desde la suya de hielo, qué hechizo me adormeció, que comencé desde luego a dársela por los ojos en amorosos deseos. Reniegue el que es menos sabio de la de más huerte pecho, que no hay mujer que resista en mirando y en oyendo. Como imaginé que estaba tan cercano el casamiento, le di esta noche en mis brazos ocasión para ofenderos. ¡Malhaya, padre, quien fía de sus mismos pensamientos, de palabras de los hombres, de regalos y requiebros! que estas galas enemigas, dicen, tremolando al viento: aquí se alojan agravios a costa del propio dueño. Echaldo de ver, pues marcha ese capitán Vireno haciéndome Olimpia a mí y roca su ingrato pecho.
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Io non avrei mai dovuto dare la mano a quel mostro, così affamato di offesa, crudele nell’umiliarmi; padre, non riesco a capire con quale fuoco invisibile la sua anima di ghiaccio mi abbia penetrato i sensi, né con quale sortilegio lui mi abbia addormentata, così da farmi iniziare a offrirgli tutta me stessa in desideri amorosi. Scommetta chi non è saggio su quella che è più ribelle: non c’è donna che resista agli sguardi o alle parole. Poiché credevo che fosse vicino il matrimonio, tra le mie braccia stanotte gli ho fornito l’occasione per offendervi. Dannato, padre, chi osa fidarsi dei suoi stessi desideri, delle promesse degli uomini, di regali e smancerie! Lo sventolare nel vento di tutte queste bandiere nemiche sta a voler dire: in questa casa si sono accampati degli oltraggi contro lo stesso padrone. Guardatelo, se ne va quel capitano Bireno, facendo di me un’Olimpia e del suo cuore uno scoglio.
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GIRALDO
GILA
¡Ay furia! ¡Ay rabia! ¡Ay cielos, que se me abrasa el alma! ¡Huego! ¡Huego! Las quejas dejemos, Gila, y acudamos al remedio. Bien decís. Dadme un caballo que imite a mis pensamientos, y tú, Madalena, dame de vestir; tú, Pascual, luego dos escopetas me carga; tú, Mingo, convoca al pueblo para que salgan a darme ayuda; y ruego a los cielos que ofendidos no castiguen a mi enemigo primero, ni que primero que yo ninguno le mate, siendo restaurador de mi honra, que por estos brazos mesmos mi agravio quiero vengar, que sólo a todos les ruego que vengan a ser testigos de la suerte que me vengo. Y guárdense de mí todos cuantos hombres tiene el suelo si a mi enemigo no alcanzo, que hasta matarlo no pienso dejar hombre con la vida; y hago al cielo juramento de no volver a poblado, de no peinarme el cabello, de no dormir desarmada, de comer siempre en el suelo sin manteles, y de andar siempre al agua, al sol y al viento, sin que me acobarde el día y sin que me venza el sueño, y de no alzar, finalmente,
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GIRALDO
GILA
Ah furia! Rabbia! Cieli! L’anima mi divampa! Fuoco! Fuoco! Smettiamo di lamentarci, cerchiamo una soluzione. Giusto. Datemi un cavallo lesto come i miei pensieri; e tu, Maddalena, dammi da vestire; tu, Pasquale, caricami due moschetti; Mingo, convoca la gente del paese ad aiutarmi; prego il cielo che non riescano, anche se offesi, a punire il mio nemico per primi, e che nessuno lo uccida prima di me, per lavare il disonore causato! Voglio vendicar l’offesa con queste stesse mie mani: l’unica cosa che chiedo è che siate testimoni della vendetta che compio. E mi stiano ben lontani tutti gli uomini del mondo se non trovo il mio nemico, che finché non lo avrò ucciso non ne lascerò uno vivo; faccio giuramento al cielo di non tornare al paese, non pettinarmi i capelli, non dormire disarmata, mangiare senza tovaglia, sempre a terra, camminare sempre all’acqua, al sole, al vento, senza che mi turbi il giorno, senza che mi vinca il sonno, e giuro di non alzare 1277
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MINGO GIRALDO
GILA
los ojos a ver el cielo hasta morir o vengarme. Todos decimos lo mesmo. ¡Ea! ¿A qué esperamos, hija? Vamos de aquí. Rabio y muero. Sin honra estoy. Vamos, padre, que de coraje reviento. ¡Ay furia! ¡Ay rabia! ¡Ay cielos, que se me abrasa el alma. ¡Huego! ¡Huego!
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Fin del acto segundo
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MINGO
GIRALDO
GILA
mai più gli occhi verso il cielo, finché non muoia o non compia la mia vendetta. Noi siamo tutti d’accordo con te. Via! Cosa stiamo aspettando? Andiamo! Io soffro e muoio. Son disonorata. Andiamo, padre, scoppio dalla rabbia! Ah furia! Rabbia! Cieli! L’anima mi divampa! Fuoco! Fuoco! Fine del secondo atto
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
LOS QUE HABLAN EN ESTE ACTO TERCERO MINGO
ANDRÉS
CAMINANTE
MADALENA PASCUALA,
GILA DON FERNANDO DOÑA ISABEL DON ROGRIGO GIRÓN,
niña
MÚSICOS GIRALDO
maestre
DON JUAN DE CARAVALAL,
alcalde de la Hermandad
DON LUCAS DON GARCÍA
CUADRILLEROS
ACTO III De adentro voces: ¡Echa, hao, a man derecha por el camino de abajo! Sale Mingo. MINGO
No hay atajo sin trabajo, cualquiera senda es estrecha. Temeroso de encontrar con Gila, que airada y fuerte, como si fuera la muerte, nadie quiere perdonar; que como en el capitán su agravio no santisfizo, y el juramento que hizo en cuantos vienen y van cumpre valerosamente, siendo tan brava homecida, que no deja con la vida padre, amigo ni pariente,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
PERSONAGGI DEL TERZO ATTO MINGO
ANDREA
VIANDANTE
MADDALENA PASQUALINA,
GILA FERNANDO ISABELLA RODRIGO GIRÓN,
bambina MUSICISTI GIRALDO
gran maestro
JUAN DE CARAVAJAL,
LUCA GARCIA
comandante della Santa Hermandad GUARDIE
ATTO TERZO Grida da dentro: Ehi! Vieni qui, sulla destra, per il sentiero di sotto! Entra in scena Mingo. MINGO
Non esiste scorciatoia che non sia una vera noia, solo e soltanto vie strette. Ho paura di incontrare Gila che, arrabbiata e forte, come se fosse la morte, non guarda in faccia nessuno; e poiché non ha punito l’offesa del capitano, tiene fede al giuramento e lo compie con ferocia contro chiunque lei incontri: è un’assassina spietata, non avrebbe esitazioni ad uccidere suo padre, un suo amico od un parente. 1281
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
por aquesa cordillera me arrojé con un rocín que está cerca de su fin. Nunca yo se lo pidiera al boticario emprestado, que no sé en esta ocasión qué muermo le dio o torzón, que dio conmigo en el prado; y no hay remedio con él de podelle levantar. ¡Bueno, volveré al lugar con esta nueva y sin él! Para de aquí a Jarandilla a pata pudiera ir [yo]; ¿quién diabros me subió de sellalbarda a la silla? Ojo, que tendido está; no hay esperanza tan larga; él se arrojó con la carga. Quiero volver y quizá que se levante ser puede, asiéndole por la cola; pero temo que ella sola en la mano se me quede según está desmayado y tien la cola madura. Yo tengo poca ventura: ¡nunca más rocín prestado!
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Éntrese, y comience uno a cantar este romance desde adentro: CAMINANTE
Allá en Garganta la Olla, en la Vera de Plasencia, salteóme una serrana blanca, rubia, ojimorena.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
Giù per questa cordigliera son caduto, e il mio ronzino è ormai vicino alla morte. Vorrei non averlo chiesto in prestito al farmacista! È successo, questa volta, per non so che malattia, se per colica o per asma, che si è buttato per terra; non c’è più niente da fare: non riesce proprio a rialzarsi! Beh! Me ne torno in paese con questa bella notizia e senza di lui. Comunque da qui fino a Jarandilla potevo andarci anche a piedi: ma chi diavolo mi ha messo dal basto sopra una sella? Oddio, oramai è a terra: non c’è più molta speranza; si è buttato con la soma. Voglio tornare, magari può darsi che si rialzi tirandolo per la coda, ma ho paura che alla fine quella mi rimanga in mano, dal momento che è svenuto ed ha già la coda dura. Io non ho molta fortuna: mai più in prestito un ronzino! Esce di scena e da dentro qualcuno inizia a cantare i versi seguenti: VIANDANTE
Laggiù a Garganta la Olla, nella Vera di Plasencia, mi assalì una montanara bianca, bionda, gli occhi scuri. 1283
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
Botín argentado calza, media pajiza de seda, alta basquiña de grana que descubre media pierna; sobre cuerpos de palmilla suelto airosamente lleva un capote de dos faldas hecho de la misma mezcla.
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Agora vaya bajando por la sierra bajo, abriendo una cabaña que estará hecha arriba, Gila, la serrana, como la pinta el romance, sin hablar. El cabello, sobre el hombro lleva partido en dos crenchas, y una montera redonda de plumas blancas y negras; de una pretina dorada dorados frascos le cuelgan; al lado izquierdo un cuchillo, y en el hombro una escopeta. Si saltea con las armas, también con ojos saltea.
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Pone agora la escopeta entre las ramas y dice: GILA CAMINANTE GILA CAMINANTE
GILA CAMINANTE GILA CAMINANTE GILA
Tente, caminante. ¡Ay Dios! Apéate, acaba. Espera. ¡Qué hobe de encontralla aquí pensando que era conseja! ¿Dónde vienes? De Toledo. ¿Adónde vas? A Plasencia. ¿Qué dinero llevas?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
Con stivaletti d’argento e calze di seta gialle, un lungo vestito rosso con mezza gamba scoperta; e sul corpetto di panno indossa, con leggiadria, una giubba a doppia falda fatta della stessa stoffa. A questo punto scende a piedi dalla montagna, uscendo da una capanna che sarà situata più in alto, la montanara Gila, che arriva proprio come la descrivono i versi, senza parlare. I capelli sulle spalle e ripartiti in due bande; un cappello sulla testa con le piume bianche e nere; porta fiasche d’oro appese a una cintura dorata; sulla sinistra un coltello, e un fucile sulla spalla. Se assale con le armi, ferisce anche con gli occhi. Gila mette il fucile tra i rami e dice: GILA VIANDANTE GILA VIANDANTE
GILA VIANDANTE GILA VIANDANTE GILA
Fermo, viandante. Mio Dio! Fermati, smettila. Aspetta! È proprio lei, l’ho trovata! Credevo fosse leggenda! Da dove vieni? Toledo. E dove vai? A Plasencia. Hai del denaro? 1285
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III CAMINANTE GILA CAMINANTE
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Poco. Saca luego cuanto llevas. En esta bolsa va todo; perdona el ser poco. Muestra. Tú cantas mal y porfías. Tu historia pienso que es ésta. Ya sé que es mi historia. Agora no solamente en la Vera, sino en Castilla, no cantan otra cosa, y tu belleza y tu fama se aventaja. ¿Parézcote hermosa? Afrentas al sol, al alba, a las flores. ¿Estimaras que te hiciera favor? Y será bien grande si con la vida me dejas. Esa sierra arriba sube, que en la cumbre de esa sierra tengo una choza en que vivo, de encinas y robles hecha, donde quiero que conmigo hasta ver el alba duermas, que desde allí con el día podrás pasar a Plasencia. Tuyo soy, daréte el alma. Sube. ¿Qué cruces son éstas? De hombres que he muerto. Des[dicen] tu hermosura y tu fiereza.
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Non molto. Dammi tutto ciò che hai. Eccolo! È qui, in questa borsa! Scusa, è poco. Fai vedere. Canti male e sei noioso. Quella che stavo cantando credo che sia la tua storia. Certo che è la mia storia. Non soltanto nella Vera, ma in Castiglia, non si canta altro, e sono conosciute la tua bellezza e la fama. Ti sembro bella? Tu oscuri il sole, l’alba ed i fiori. Cosa vorresti da me come favore? Soltanto che tu mi lasciassi vivo. La montagna sale in alto e sulla cima del monte c’è la capanna in cui vivo, fatta di querce e di lecci dove voglio che tu passi tutta la notte con me e poi da lì, con il giorno, potrai andare a Plasencia. Sono tuo, completamente. Su, sali. Che cosa sono queste croci qui piantate? Di uomini che ho ammazzato. Non rendono certo onore alla tua grazia e al valore.
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Tengo razón de mostralla. ¡Qué altas están estas peñas! Pues desde aquí has de ir al río.
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Arrójale. CAMINANTE GILA
Engañásteme, sirena. También a mí me engañaron.
Pone una cruz, que estará hecha de dos palos pequeños. Esta cruz te debo; tenga el cielo de ti piedad. Gente parece que suena; otro cayó en el garlito; no es hombre, parece bestia, aunque camina en dos pies, con silla y freno.
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Entre Mingo con la silla puesta y apretadas las cinchas y el freno puesto en la cabeza también. MINGO
¡Qué venga desta suerte un hombre humano por llevar cosas ajenas! En sus trece dio el rocín, que esto de dar de cabeza porfiando en una cosa es de necios y de bestias; bien es verdad que acabó como si un pájaro fuera: todos hemos de parar en esto mismo por fuerza.
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Ho le mie buone ragioni per esibirli così. Sono alte queste rocce! Bene, perché tu da qui andrai dritto dritto al fiume! Lo butta di sotto.
VIANDANTE GILA
Tu mi hai ingannato, sirena. Anch’io son stata ingannata. Mette una croce fatta con due bastoncini. Io ti devo questa croce: di te il cielo abbia pietà. Pare che arrivi qualcuno: un altro finito in trappola; non sembra un uomo, piuttosto sembra una bestia, perché anche se sta su due piedi porta la sella ed il freno. Entra in scena Mingo con la sella addosso, il sottopancia legato e il freno sulla testa.
MINGO
Ahimè, che brutta disgrazia ritrovarsi in questo stato, solo per aver usato le cose di qualcun altro! Il ronzino si è impuntato: ma lo sbatterci la testa insistendo in qualche cosa è da stupidi e da bestie; è finito proprio come un uccello giù dal nido: tutti in sostanza facciamo la sua stessa brutta fine. 1289
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
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¡Oh necesidad infame que a un hombre ensillas y enfrenas! Pero quien merece albarda, no es mucho que silla tenga. ¡Pardiobre! ¡Yo di con Gila! ¿Qué he de her? Mas linda treta me ofrece el freno y la silla, que me matará esta fiera en sabiendo que soy hombre; hoy me ha de valer ser bestia. Yo me pongo en cuatro pies y tiro coces soberbias, y doy saltos y relincho, y piso y hago corbetas. Este villano procura engañarme, y por la mesma treta cojerle imagino. ¡Ciégala, santa Guiteria! Caballito, caballito, el de las piernas de jerga, por la virtud que hay en ti que me digas quién te lleva,
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Mingo pónese en dos pies.
MINGO
quién te rige, quién te manda, quién te da cebada nueva, quién te enfrena, quién te ensilla, quién te limpia, quién te hierra. Por la gracia de Dios Padre el caballo hablado hoviera, las palabras que decía eran en su misma lengua: Mingo soy, que ando perdido hoy en fegura de bestia, aunque el mismo papel hacen
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Com’è perfido il bisogno che mette la sella a un uomo e lo doma! Ma colui che meriterebbe un basto non dovrebbe aver la sella. Accidenti! Quella è Gila. E ora che faccio? Un bel trucco mi offrono il freno e la sella; mi ucciderà quella belva, sapendo che sono un uomo: mi conviene essere bestia! Io mi metto a quattro zampe a scalciare con violenza a fare salti e a nitrire, e poi mi impunto e mi impenno. Quel villano sta cercando di ingannarmi, adesso voglio fargli lo stesso trucchetto. Ciècala, Santa Lucia! Cavallino arrì arrò, per la biada che ti do, per tutto quel che sai fare, dimmi chi è che ti porta, Mingo si rialza.
MINGO
chi ti guida e ti comanda, chi ti dà la biada nuova, chi ti frena, chi ti sella, chi ti lava e mette i ferri. Per la grazia del Signore, così parlò il cavallo, e le parole che disse nel suo linguaggio eran queste: Sono Mingo, e oggi mi sono perso, vestito da bestia, anche se l’abito, in fondo, 1291
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muchos vestidos de seda. Prestóme por mi desdicha – o por la suya pudiera decir mejor – un caballo para llegarme a esta aldea allá nuestro boticario, que según dijo el albéitar, que nació con él, cumplía cincuenta años a estas hierbas, y dióle tan gran torzón atravesando esta sierra, que se quedó como espada, aunque hue espada sin vuelta; y ensillado y enfrenado, como ves, desta manera vuelvo a Garganta la Olla. De tu desdicha me pesa. Soy desdichado en rocines. Nadie es dichoso con bestias. ¿Qué hay de nuevo en el lugar, Mingo? Mil cosas hay nuevas. ¿Vive el cura? Y su sobrina se hue a casar a Plasencia con un hidalgo. ¿Y el sastre? Murió. San Dimas le sea con Dios abogado, Mingo. El que heredó sus tijeras hue el sacristán, porque a todos corta de vestir su lengua, y ha dado, a pesar del mundo, en ser músico y poeta. No hay cosa agora más fácil.
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non fa il monaco, si sa. Mi prestò, per mia sfortuna – forse farei meglio a dire per la sua –, il farmacista del paese, per venire fino a qua, un suo ronzino. Ha detto il veterinario, che è nato proprio con lui, che quest’anno avrebbe fatto cinquant’anni a primavera. Mentre attraversava i monti una colica l’ha steso, è rimasto lì stecchito senza più alcuna speranza; io, sellato e con il freno, torno a Garganta la Olla. Mi dispiace per te, Mingo. Non ho fortuna in ronzini. Nessuno ne ha con le bestie. Che c’è di nuovo, in paese? Ci son mille novità. Il prete è ancora vivo? Sua nipote si è sposata con un nobile, a Plasencia. E il sarto? Morto. San Disma lo difenda innanzi a Dio. Ci ha pensato il sacrestano a ereditarne le forbici, dato che con la sua lingua taglia e cuce tutti quanti; e ora è, malgrado tutto, musicista e anche poeta. Niente è più facile, adesso.
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También compone comedias tan malas, que dicen todos: “No las hagas, no las temas.” ¿Qué se ha hecho el escribano? Metido en causas ajenas, levantando testimonios y el arancel por guinea. ¿Murió Pero Grullo? Huese a Jarandilla y su nuera con el sacristán de Cuacos, que es rofián por la igreja. ¿Y el barbero? Tabardillos con el boticario juega, y van horros a matar con el médico y albéitar. ¿Y el albardero? Enviudó agora por la cuaresma. No hay albarda que no mate, y muchas con mayor fuerza. Y quien las merece, más. ¿Qué se hizo Maricrespa? Casóse con Juan Carrasco. ¿Y mi prima Madalena? Agora pienso que trata de casarse, aunque desea irse a Plasencia a vivir. Casen muy enhorabuena. No se usa otra cosa ya, y no hay quien no se arrepienta,
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Compone anche commedie così brutte che si dice: che «chi le fa le aspetti». Cosa ha fatto lo scrivano? Ha messo il naso in affari che non spettavano a lui, ha fatto nomi e cognomi davanti alla giustizia: e adesso paga le tasse. Ed è morto Pero Grullo? È a Jarandilla e sua nuora col sacrestano di Cuacos, ruffiano riconosciuto dalla stessa Santa Chiesa. E il barbiere? Gioca al tifo col suo amico farmacista; fanno sempre coppia fissa a ammazzare e insieme a loro dottore e veterinario. E il sellaio? È diventato vedovo, questa quaresima. Non c’è sella che non faccia qualche livido, si sa, e alcune più delle altre. Se te lo meriti, bene! Cosa ha fatto Maricrespa? Ha sposato Juan Carrasco. Mia cugina Maddalena? Credo ora abbia intenzione di sposarsi, ma vorrebbe andare a stare a Plasencia. Si sposi, i migliori auguri! Tanto ormai lo fanno tutti, è diventata una moda,
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y siempre tienen los curas que her: no habrá quien lo entienda. ¿Qué ha hecho Dios de mi padre? Tus desdichas y su afrenta pesa a lágrimas. ¡Buen viejo! Diéronle casi por huerza la vara de alcalde agora. Querrá prenderme con ella. Dios te libre, Gila, amén, de que la Hermandad te prenda, que a la he que te despachen, que la de toda la Vera anda en tu busca. No importa mientras yo tengo estas peñas, donde vivo, por muralla, y estos brazos por defensa. Quinientos escudos dan a quien traiga tu cabeza. Escarmentará en la suya quien no lo hiciere en la ajena. Mira si me mandas más, que con una silla a cuestas aun suele aguarse un rocín. ¿Pues ya, Mingo, no te acuerdas del juramento que he hecho hasta que vengue mi ofensa? Luego ¿soy yo de los hombres que también entran en cuenta de tu venganza? Sí, Mingo.
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ma non c’è chi non si penta e i preti han sempre da fare: non si capisce perché. Di mio padre che ne è stato? Sopporta le tue sfortune e il suo grande disonore con le lacrime. Buon uomo! Gli hanno dato, quasi a forza, l’incarico come sindaco. Gli servirà ad arrestarmi. Oh Gila, che Dio ti salvi dal cadere nelle mani di quella Santa Hermandad: ti ammazzeranno di certo, ti cercano in tutta quanta la Vera. Non me ne importa, fino a quando le montagne mi faranno da muraglia e ho le braccia per difendermi. Avrà cinquecento scudi chi porterà la tua testa! Lo imparerà a proprie spese, chi non impara dagli altri. Se non ti servo più, vado: che con una sella in groppa un cavallo si costipa. Mingo, ti sei già scordato del giuramento che ho fatto fino a quando io non riesca a vendicare l’offesa? Dunque sono anch’io tra quelli che rientrano nel conto della vendetta? Sì, Mingo.
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¿No me escusará siquiera el hábito de rocín? Si fueras rocín sin lengua, pudiera ser permitillo; pero rocín que habla, muera, que no hay entre los rocines rocín, por poco que sepa, que por lo menos tal vez no tire coces y muerda. Lo que puedo her por ti, Mingo, por ser de una tierra y en una casa criados, es que escojas la manera de muerte que más gustares. ¡Miren qué paño o qué seda para que corte un vestido! Y esto ha de ser muy apriessa, que tengo donde acudir, y he sabido que a Plasencia van los reyes, y querría ver si va gente de guerra con ellos, que puede acaso ir mi enemigo, y mi ofensa satisfacer como aguardo; ya que mi contraria estrella quiso que errase el camino cuando le seguí. ¿Qué esperas? No más de saber de ti en qué tantos grados era tu pariente este rocín, que con mi muerte le vengas. No estoy, Mingo, para burlas. Luego ¿díceslo de veras? Presto lo verás.
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Non mi esenterà nemmeno il vestito da cavallo? Fossi un cavallo sprovvisto di lingua lo avrei permesso; ma un cavallo che sia in grado di parlare è sempre meglio che muoia: a quanto ne so, non c’è cavallo che a volte non tiri calci e non morda. Quello che io posso fare visto che siamo paesani e siamo cresciuti insieme, è farti scegliere il tipo di morte che preferisci. Devo dire che mi lasci l’imbarazzo della scelta! E devi farlo anche in fretta, io ho ben altro a cui pensare: ho saputo che a Plasencia arriveranno i re, voglio vedere se li accompagna gente di guerra: può darsi che ci sia anche il mio nemico e ch’io possa vendicare l’offesa, lo spero proprio; poiché la mia stella avversa mi ha fatto sbagliare strada nel seguirlo. Su, che aspetti? Voglio soltanto sapere di che grado era parente tuo, questo ronzino qua, visto che per vendicarlo hai deciso di ammazzarmi. Non ho voglia di scherzare. Quindi tu parli sul serio? Lo vedrai presto.
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De adentro:
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¡Ataja! ¡Al agua! ¡Al agua! Ésta es fiera que algunos monteros siguen; del rey son, porque esta sierra, de miedo que en ella vivo, los cazadores respetan. Mingo, para darte espacio que tu muerte escoger puedas, atado quiero dejarte de un robre hasta dar la vuelta. Muestra las manos, que aquí traigo guardada una cuerda con que algunos hombres ato para echarlos destas peñas.
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Átale de un roble. MINGO
GILA
Como me ves ensillado y en este prado me dejas, trabas me quieres echar; ¿quién vio tan grande fiereza? Yo daré la vuelta, Mingo, tan presto que te arrepientas.
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De adentro.
GILA
¡Al arroyo! ¡Ataja! ¡Ataja! Por aquí las voces suenan. Éntrese Gila, y diga Mingo, atado al roble:
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Los que rocines matáis que para un camino os prestan,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
Da dentro:
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Di là! Su, verso il fiume! È una belva rincorsa dai battitori, saranno sicuramente del re, perché i cacciatori se ne restano alla larga da questi monti in cui vivo: hanno paura di me. Mingo, per lasciarti tempo di scegliere la tua morte ti legherò a questa quercia fino a quando non ritorno. Dammi le mani: ho una corda per legare alcuni uomini che butto giù dalla rupe. Lo lega ad una quercia.
MINGO
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Oramai sono sellato, e mi abbandoni nel prato: mi vuoi pure impastoiare! Mai vista tanta ferocia! Io tornerò presto, Mingo, e tu te ne pentirai. Da dentro:
GILA
Al ruscello! Per di là! Sento le voci da qui. Gila esce di scena e Mingo, legato alla quercia, dice:
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Voi che uccidete i ronzini imprestati per un viaggio, 1301
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
catad bien la historia mía porque escarmentéis en ella, que en el trebunal que rige la serrana de la Vera pide su sangre josticia contra mi pobre inocencia.
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De adentro: ¡Ataja! OTRO
MINGO
Para seguirle, entre las ramas espesas de ese jaral intricado dejó el caballo su alteza. ¡Oh, si viniese algún hombre que desatarme pudiera!
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Entre el rey don Fernando con un venablo. FERNANDO
MINGO
FERNANDO MINGO FERNANDO MINGO FERNANDO MINGO FERNANDO
Cebado en el jabalí, a la falda desta sierra he llegado. ¡Oh caza!, imagen justamente de la guerra, como de la muerte el sueño. Un hombre he visto entre aquellas ramas del jaral; sin duda es ángel que Dios ordena que me venga a desatar. ¡Qué peñascos, qué aspereza! ¡Ola! ¡Hao, hombre de bien! Allí un hombre me vocea. ¡Hao! ¡A la sierra! ¡Acârriba! Quiero llegarme más cerca. Ya viene; gran dicha ha sido. Villano es.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
ascoltate la mia storia ed imparate da essa, che nel tribunale della montanara della Vera chiede vendetta il suo sangue, anche se sono innocente! Da dentro:
UN ALTRO
MINGO
Su, per di là! Per seguirlo, tra i fitti rami robusti di questo bosco intricato il re ha lasciato il cavallo. Oh, se venisse qualcuno che mi potesse slegare! Entra il re Fernando con un giavellotto.
FERNANDO
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FERNANDO MINGO FERNANDO MINGO FERNANDO MINGO FERNANDO
Per inseguire il cinghiale sono arrivato alla falda della montagna. Ah, la caccia! Immagine della guerra, come il sonno della morte. Ho visto un uomo tra i rami del bosco; non ci son dubbi: sarà un angelo mandato dal buon Dio per liberarmi. Che rocce! E che fatica! Mi scusi! Buon uomo! Ehi! Laggiù qualcuno mi chiama. Guardi su! Sono qua sopra! Voglio avvicinarmi un po’. Sta arrivando: che fortuna! Pare un villano.
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FERNANDO
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Si escapo desta, a la imagen más devota prometo un Mingo de cera. Atado, si no me engaño, a un roble está. Pues las muestras tenéis de noble, señor, mostrad hoy vuestra nobleza en desatarme de aquí, si tenéis de mí cremencia.
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Comiéncele a desatar. FERNANDO MINGO FERNANDO MINGO
FERNANDO MINGO
¿Quién desta suerte te puso? La serrana de la Vera. ¿Esa mujer anda aquí? No tiene palmo esta sierra, este bosque ni ese valle donde no haya una cruz puesta de los hombres que ella mata, porque las pone ella mesma. No sé esta Hermandad, que han hechos los reyes, para qué es buena, pues no prende a este diabro, que a todos mata y saltea. Guárdeos Dios, que me habéis dado la vida, que estaba puesta al tabrero de su gusto. ¿Cómo te dejó con ella? Porque tuvo aviso aquí que pasa el rey a Plasencia a no sé qué novedades,
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Se riesco a uscirne vivo, prometto in voto un Mingo di cera all’immagine più sacra. È legato ad una quercia, se non sbaglio. Mi sembrate un nobiluomo, signore: dimostrate il vostro rango sciogliendomi questi lacci. Abbiate pietà di me! Comincia a slegarlo.
FERNANDO MINGO
FERNANDO
MINGO
FERNANDO MINGO
Chi ti ha ridotto così? È stata la montanara della Vera. Quella donna è qui? Non c’è alcuna parte di montagna, bosco, o valle, dove non ci sia una croce per ogni uomo che uccide; le ha messe tutte lei stessa! Io non capisco a che serva questa Hermandad che hanno fatto i re, se poi non è in grado di acchiappare quel demonio che assale ed uccide tutti! Dio vi protegga! Mi avete restituito la vita, che oramai consideravo in balia di quella donna! Come mai non ti ha ammazzato? Perché è venuta a sapere che il re passa da Plasencia, non so per che circostanza, 1305
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
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juntamente con la reina, y piensa que un enemigo, de quien vengarse desea, vendrá con ellos acaso, y hasta dar, señor, la vuelta, como veis me dejó atado. Yo me voy, y guardaos della, que es una tíguere. Aguarda; ¿cómo vas de esa manera? Porque quien mata un rocín está obligado a esta pena.
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Éntrese Mingo, y dicen de adentro: ¡Muera! FERNANDO MAESTRE GILA MINGO GILA
¿Qué es esto? ¡Matalda! Aquí aguardo en estas peñas. Y yo en Garganta la Olla. Aquí aguarda un hombre; ¡muera!
Encara la escopeta, y vuelve la cara el rey don Fernando. FERNANDO
Tente, mujer.
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Si la cara no vuelves, Castilla queda sin rey, como quedó agora sin príncipe, que Dios tenga; que de ti mismo me dio luego tu persona nuevas, si los ojos no me engañan, de haberte visto en Plasencia; mas las personas reales
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insieme con la regina, e pensa che lì con loro possa esserci un nemico di cui vuole vendicarsi, e ha deciso di lasciarmi come vedete, signore, qui legato a questa quercia, fino a quando lei non torna. Me ne vado, state in guardia: quella è una tigre. Aspetta! Come mai sei in questo stato? Quando si uccide un ronzino si è obbligati a questa pena. Mingo esce di scena e da dentro dicono:
FERNANDO GRAN MAESTRO GILA MINGO GILA
A morte! Che c’è? Uccidete! Vi aspetto su queste rocce. Io a Garganta la Olla. Qui c’è un altro uomo: a morte! Gila punta il fucile e il re Fernando si volta.
FERNANDO GILA
Ferma, donna! Se il tuo volto non mostravi, la Castiglia rimaneva senza re come è appena rimasta senza principe: che Dio lo accolga nella sua gloria. Ti ho riconosciuto bene, se la vista non mi inganna, perché ti ho visto a Plasencia; ma una persona regale 1307
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
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tan grande secreto encierran, que, aún no siendo conocidas, con el alma se respetan. El rey soy, serrana. Vivas eternos años y seas señor de cuanto vee el sol, con la que es hermosa hiedra de tus brazos, Isabel, que quitada la montera te reverencio, Fernando, por ley de naturaleza, como a mi rey y señor. ¿No te he visto yo en Plasencia? Asir un toro me viste por los cuernos en las fiestas que te hicieron, y rendillo. ¿Y por qué ocasión salteas dando muerte a cuantos pasan? Por santisfacer la ofensa de un hombre, y hasta matalle he prosupuesto que mueran con solene juramento cuantos encontrare, y piensa que tú sólo has sido el hombre que perdona mi fiereza; y no quiebro el juramento, que el rey es Dios en la tierra, y en lugar suyo, Fernando, la justicia representas. Y pues no eres hombre, voy a buscar hombres que puedan
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racchiude in sé un segreto tanto grande che perfino quando non si riconosce si rispetta per istinto. Io sono il re, montanara. Tu possa vivere sempre regnando su quanto il sole bacia, insieme ad Isabella, edera delle tue braccia. Togliendomi il cappello a te mi inchino, Fernando, come è legge di natura in quanto re e mio signore. Non ti ho già vista a Plasencia? Mi hai vista prendere un toro per le corna e poi domarlo, alle feste che hanno fatto in tuo onore, tempo fa. E ora perché mai assali e uccidi chiunque passi? Per vendicare l’offesa di un uomo: finché non riesco ad ammazzarlo ho promesso, con solenne giuramento, che tutti quelli che trovo sulla mia strada dovranno morire. Pensa che tu sarai l’unico a esser stato graziato dalla mia furia, ma non per questo, comunque, infrango la mia promessa, poiché il re è come Dio in terra; e al posto suo tu, Fernando, rappresenti la giustizia. Dunque, visto che tu non sei uomo, vado a cercarne qualcheduno, 1309
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
FERNANDO
GILA
FERNANDO
GILA
hartar la sed de mi agravio que es hidrópica mi afrenta; y al que mujeres agravia castigad. Serrana bella, guárdate de mi Hermandad. Guárdense de mi escopeta. ¿Un hombre no estaba aquí atado? Yo por mis mesmas manos le corté los lazos. A tus manos lo agradezca, que ése también se me escapa.
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Entre el maestre don Rodrigo Girón. RODRIGO FERNANDO
RODRIGO
Locos nos trae vuestra alteza. Cebéme en el jabalí, maestre. Dadme licencia agora para matar esa mujer, esa fiera, que ha muerto cuatro monteros vuestros con esa escopeta.
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Retirándose Gila. GILA
FERNANDO
Maestre de Calatrava, reportaos, por vida vuestra, que aún hay dentro munición y está el gatillo muy cerca. Dejalda. Vete.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
FERNANDO
GILA
FERNANDO
GILA
per riuscire a soddisfare questa sete di vendetta; la mia rabbia non si placa, e voi dovete punire chi ha oltraggiato delle donne. Bella montanara, attenta alla mia Santa Hermandad. Stiano ben attenti loro al mio fucile. Ma qui non c’era un uomo legato? Con queste mie stesse mani io gli ho tagliato la corda. Che sia grato alle tue mani: mi è scappato pure lui! Entra in scena il gran maestro Rodrigo Girón.
RODRIGO FERNANDO
RODRIGO
Ci fate impazzire, Altezza. Maestro, mi sono perso dietro a quel cinghiale. Adesso datemi, mio re, il permesso di ammazzare questa donna, la belva che ha assassinato quattro vostri battitori con il fucile. Gila indietreggia.
GILA
FERNANDO
Attenzione, Maestro di Calatrava, state indietro, vi conviene, che io ho ancora munizioni e ora premerò il grilletto. Lasciatela! Su, vai via!
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III GILA
MAESTRE
GILA
Yo haré lo que me mandéis, y advierta vuestra alteza que esta vida me debe más. Ésa es deuda que yo os la agradezco y todo. Guarde Dios a vuecelencia.
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Vase. RODRIGO FERNANDO
RODRIGO FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
¡Estraña mujer! ¡Notable! Vamos a buscar la reina. Un caballo tengo aquí. No será la vez primera que a sus reyes dan caballos los Girones. Vuestra alteza como quien es sabe honrarnos. Con grande estremo me lleva, maestre, admirado agora la serrana de la Vera.
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Vanse. Salgan de camino con botas y espuelas don Lucas y don García y ferreruelos puestos. CAPITÁN
Andrés, quita esos frenos a las mulas, pues el camino hemos perdido y vamos tan cansados, que luego encontraremos pastor o caminante que nos ponga en el real camino de Plasencia.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO GILA
GRAN MAESTRO
GILA
Farò come avete detto ma ricordatevi, Altezza: mi dovete un’altra vita. Sono in debito anche io, e per questo vi ringrazio. Dio protegga Sua Eccellenza. Esce di scena.
RODRIGO FERNANDO
RODRIGO FERNANDO
RODRIGO
FERNANDO
Strana donna! Straordinaria! Adesso andiamo a cercare la regina. Ho qui un cavallo. Non sarà la prima volta che un Girón dà il suo cavallo al proprio re. Vostra Altezza sa come rendermi onore. Mi lascia senza parole, maestro Rodrigo, quella montanara della Vera.
Se ne vanno. Entrano in scena Luca e Garcia, vestiti da viaggio, con stivali, speroni e cappe corte. CAPITANO
Andrea, su, togli i morsi a queste mule, giacché ci siamo persi e adesso siamo fin troppo stanchi; dopo troveremo un viandante o un pastore che ci mostri la strada per raggiungere Plasencia.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
Entre Andrés con la bota. ANDRÉS
D. GARCÍA
ANDRÉS
CAPITÁN
GARCÍA ANDRÉS
Mientras hay bota, puede haber paciencia. Brindis, señor don Lucas, y rebrindis al señor don García. Con el agua de ese arroyuelo la razón haremos, que convida al sediento y caluroso en búcaros de juncia bullicioso. No dihera un poeta de romances eso mejor, pintando un verde prado, y más cuando su dama lo ha pisado. Sobre la hierba que éste nos ofrece, hasta ver si parece alguna guía, reclinemos los cuerpos, don García. Soy de ese parecer. Y yo del propio.
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Tiéndese sobre la hierba.
CAPITÁN
Sirva lo que he bebido de frezada y la señora bota de almohada. Gracias a Dios que me sacó tan presto del engaño cruel de ser soldado, sujeto, sin ser fraile ni pupilo, a tantas necedades y miserias. Toda mi dicha estuvo en reformaros, que luego al nuevo capitán y alférez di trascartón, y quise más ser mozo del camino que ser en la melicia maese de campo de cuarenta tercios, aunque pienso volverme a mis guitarras y estar pienso en un carro más honrado: que el sol es carretero y no soldado. ¡Qué hará Gileta agora, don García?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
Entra in scena Andrea con l’otre del vino. ANDREA
GARCIA
ANDREA
CAPITANO
GARCIA ANDREA
Si sa: finché c’è vino c’è pazienza. Brindiamo, signor Luca, e ribrindiamo, al buon Garcia. Al brindisi ricambio con l’acqua fresca di questo ruscello, che invita l’assetato e l’accaldato in coppe ribollenti di giunchiglie. Nemmeno un poeta dipingendo un verde prato lo direbbe meglio, neanche se lo avesse calpestato la sua dama. Sull’erba che ci è offerta, finché non troveremo qualche guida, distendiamoci un poco, su, Garcia. Io sono ben d’accordo. Ed io altrettanto. Si distendono sull’erba.
CAPITANO
Mi scaldi come una coperta il vino e l’otre invece faccia da cuscino. Ringrazio Dio di avermi tolto presto dal duro inganno di essere soldato, che, pur senza esser frati né orfanelli, si vive in gran miseria e tra balordi. La mia fortuna è che vi han congedato, così che al nuovo capitano e alfiere ho dato il benservito, e ho preferito essere mulattiere: molto meglio che stare a capo di quaranta squadre! Penso che tornerò alle mie chitarre, e su di un carro sarò più onorato: il sole è carrettiere e non soldato! Garcia, cosa farà Giletta adesso?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III GARCÍA
ANDRÉS
GARCÍA
ANDRÉS
Lo que han hecho otra muchas: remendarse y darse a un boquimuelle de su pueblo, por sana de los pies y de las manos, que eso duendes y leguas hay muy pocos que las entiendan ni los habían visto. 2645 ¡Jo, rucia! ¡Jo! ¡Te voto a Jerolisto! ¡Ah, mohina! ¡Pardiós si me levanto! ¿Coces das? Las aciones de los frenos han rompido. ¡Jo, rucia! ¡Jo, mohina! Levántase Andrés.
CAPITÁN ANDRÉS
Sueltas van. El diablo que las tenga si de la sierra la vereda cogen.
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Éntrase tras ellas Andrés. CAPITÁN GARCÍA
Vámoslas a atajar por esta parte. Dificultosas son no pongas [duda] de coger y mudar [de pareceres] cuando se sueltan mulas y mujeres.
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Éntrese y salgan agora labradores cantando y bailando, y Madalena y Pascuala niña, y lo que cantan es esto: Salteome la serrana juntico al pie de la cabaña. Serrana, cuerpo garrido, manos blancas, ojos bellidos, salteome en escondido, juntico al pie de la cabaña. Salteóme la serrana juntico al pie de la cabaña. Serrana, cuerpo lozano,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO GARCIA
ANDREA
GARCIA
ANDREA
Quel che hanno fatto in molte: rammendarsi e darsi poi allo scemo del paese, perché comunque ha mani e piedi sani; il resto pochi potranno attestarlo. Piano, somara! Piano! Piano! Cristo! Ah, mula! Ora lo vedi, se mi alzo! Che fai adesso? Scalci? Ora le corde dei morsi si son rotte. Mula, piano! Andrea si alza.
CAPITANO ANDREA
Stanno scappando! Il diavolo le porti, se prendono i sentieri di montagna! Andrea esce di scena inseguendole.
CAPITANO GARCIA
Corriamo ad acchiapparle, per di qua! Se scappano, le donne e le somare, sono difficili, ci puoi giurare, da prendere e da far tornare indietro.
Escono di scena ed entrano adesso alcuni contadini che cantano e ballano, insieme a Maddalena e a Pasqualina. Cantano i versi seguenti: Mi assalì la montanara lì, vicino alla capanna. Montanara, corpo forte, mani bianche, occhi lucenti, e mi assalì di nascosto, lì, vicino alla capanna. Mi assalì la montanara lì, vicino alla capanna. Montanara, corpo aitante,
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
MADALENA
ojos negros, blancas manos, salteome en escampado, juntico al pie de la cabaña. Salteome la serrana juntico al pie de la cabaña.
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Huyamos, porque esta fiera sobre nosotros está, y nadie se escapará si fuese su padre.
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Entre por abajo Gila. Huyen todo[s] y coge Gila a Pascuala, la niña. GILA PASCUALA GILA
PASCUALA
GILA PASCUALA
GILA
Espera. ¡Ay, desdichada de mí! ¿Qué temes? ¿No os santisface que sólo mi furor hace mal a los hombres aquí y que a las mujeres no? Que el que he de santisfacer es agravio de mujer, y soy la ofendida yo. Hante pintado tan fiera, Gila, que no hay de tu nombre solmente quien no se asombre. Más blanda soy. ¡Tirte huera! para quien fuere tan boba que se fíe de tu amor. Soldemente mi furor a los hombres mata y roba, que a las mujeres regalo, y con este ejemplo aviso.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
mani bianche, occhi neri, e mi assalì di sorpresa, lì, vicino alla capanna. Mi assalì la montanara lì, vicino alla capanna. MADDALENA
Scappiamo, che questa belva ci viene dietro e nessuno potrà riuscire a sfuggirle, nemmeno suo padre. Da sotto arriva Gila. Scappano tutti, ma Gila riesce a prendere Pasqualina.
GILA PASQUALINA GILA
PASQUALINA
GILA PASQUALINA
GILA
Aspetta. O mio Dio! Povera me! Di che hai paura? Non sai che la mia furia colpisce soltanto gli uomini e invece non faccio niente alle donne? Quel che devo vendicare è l’offesa ad una donna, e la vittima son io. Dicono che sei cattiva, Gila, e hanno tutti paura solo a sentire il tuo nome. Io sono dolce. Vai via! Credi che sia tanto ingenua da fidarmi del tuo affetto? La mia violenza furiosa ammazza e deruba solo gli uomini, mentre alle donne faccio regali: le metto in guardia con il mio esempio.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III PASCUALA
GILA
PASCUALA
GILA
PASCUALA
La que engañan, se lo quiso, porque no hay hombre tan malo que cuando da la mujer coces, la pueda ensillar. ¿Qué dicen en el lugar de mí? Que eres Locifer, saltabardales, machorra, el coco de las consejas, el lobo de sus ovejas, de sus gallinas la zorra; los niños callan contigo, los hombres huyen de ti, los viejos dicen que así hue la Cava de Rodrigo; las mozas que otra pareja no tuvo el mundo, y el cura como ñublo te conjura a la puerta de la Igreja; cada vez que nuevas dan de tu condición ingrata, descomulgándote, mata candelas el sacristán; y dicen que en haz y en paz de toda esta serranía te han de colgar algún día como racimo de agraz. Como eso dirán de mí, ¿por qué a prenderme no vienen? Gila, en veluntad lo tienen.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO PASQUALINA
GILA
PASQUALINA
GILA
PASQUALINA
Colei che viene oltraggiata in fondo se l’è cercato, non c’è un uomo che sia in grado di cavalcare una donna se nel frattempo lei scalcia. Cosa si dice in paese di me? Che sei un demonio, indecente, mascolina, l’uomo nero delle storie, il lupo dei loro greggi, la volpe delle galline. Quando si parla di te i bambini stanno zitti, gli uomini filano via, i vecchi dicon che sei una disgrazia tremenda come fu per re Rodrigo la Cava, da lui amata. Le ragazze, che nel mondo non esiste un’altra uguale, mentre il prete fa scongiuri sulla porta della chiesa; quando riceve notizie della tua indole ingrata, scomunicandoti, spegne le candele il sacrestano; e sono tutti d’accordo su questi monti, nel dire che ti dovranno impiccare come un bel grappolo acerbo. Ma se dicono così, perché allora non mi vengono a acchiappare? È proprio quello che vogliono fare, Gila.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III GILA
PASCUALA
GILA
PASCUALA
GILA
PASCUALA
GILA
PASCUALA GILA
Vengan, pues, que desde allí peñascos han de llover por esta mano arrojados, que no dejen hombre. Armados cien hombres, escuché ayer, que con la Santa Hermandad de Plasencia andan tras ti; guárdate, Gila. (No vi mayor donaire y beldad.) Decid, ¿de adónde, Pascuala, toda esa gente venía? Gila, de una romería, que no ha quedado zagala ni labrador en la villa que no haya acudido allá. De esa fiesta tengo ya noticia. Y hue maravilla dar con nosotros aquí, siendo éste tan apartado camino. Tras un cuidado que me trae fuera de mí, que debió ser fantasía de mi loco pensamiento, bajé aquí imitando el viento. Ya se va acabando el día; vete, Pascuala. Adiós, pues. ¿Sabrás el camino?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO GILA
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PASQUALINA
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PASQUALINA
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PASQUALINA GILA
Vengano, che da quassù pioveranno molti massi scagliati da questa mano che non lasceranno uomo vivo. Ieri ho sentito di cento uomini armati che, con la Santa Hermandad di Plasencia, sono andati a cercarti: stai attenta! (Non ho mai visto nessuno con tanta grazia e bellezza.) Pasqualina, di’, da dove viene tutta questa gente? Viene da un pellegrinaggio: non c’è alcuna pastorella né contadino del posto che oggi non ci sia andato. Avevo sentito dire del pellegrinaggio. È un caso che tu ci abbia incontrati proprio su questo sentiero fuori mano. Io inseguivo un dolore smisurato che mi sconvolge la mente e che forse è fantasia dei miei pensieri confusi; sono arrivata quaggiù come sospinta dal vento. Sta per calare la notte, vai via, Pasqualina. Ciao. La sai la strada?
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III PASCUALA
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GILA
PASCUALA
Sí, y hay muy poco desde aquí al lugar. Si acaso ves a mi padre, no le digas que me has visto ni encontrado. Él está contigo airado; picándote están ortigas. No; estoy muy segura aquí, puesto que si me acomete el mundo, no importa. Vete, y a los del lugar les di que se guarden de mí. Adiós.
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Vase yendo la niña Pascuala. GILA
PASCUALA GILA PASCUALA
GILA
Y que si dan en hablar, que iré a abrasar el lugar. Malos años para vos. ¿Mi furor no te acobarda? Alcanzarme es por demás. Gila, aquí regañarás con sal y vinagre. Aguarda.
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Vase la niña corriendo. Notable gracia ha tenido. La noche baja, yo quiero retirarme. Entre Andrés solo agora. ANDRÉS
Desespero; cansado vengo y rendido;
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO PASQUALINA
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PASQUALINA
La so, e poi qui siamo vicini al paese. Se per caso vedi mio padre, non dirgli che mi hai vista, né incontrata. Lui è arrabbiato con te; ti stanno già alle calcagna! Ma io qui sono al sicuro; ed anche se mi aggredisce tutto il mondo, non mi importa! Vai ora e di’ a tutti quanti di stare in guardia. Ciao, Gila. Pasqualina si allontana.
GILA
PASQUALINA GILA
PASQUALINA
GILA
E poi che se parleranno io darò fuoco al paese. Che tu sia dannata! Come, non hai paura di me? Ormai non mi prendi più, Gila, non ce la farai neanche per sogno! Aspetta! La bambina esce di scena di corsa. È stata proprio carina! Scende la notte, ora voglio andare via. Entra Andrea, da solo.
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Che sconforto! Io sono ormai stanco morto; 1325
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
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las mulas se han despeñado desta sierra áspera y fría, o para desdicha mía la tierra las ha tragado. Al diablo doy oficio de tanta costa de pies y de tan poco interés. Vengo perdiendo el juicio. ¡Vive Dios! Si contra mí un millón de hombres [bajara], que con todos me matara. Una mujer está aquí. (Éste ha perdido el camino y ha dado con gentil guía.) ¿A quién digo? ¡Ah tía! ¡Ah tía! ¿Qué es lo que mandáis, sobrino? ¿Habéis visto por aquí dos mulas? Cada momento encuentro bestias. ¡Contento para pullas vengo! A mí me pesa que no vengáis de muy buen gusto. ¿Sois mozo de mulas? ¡Lindo escorrozo! ¡Soy el diablo! No habláis, para hombre de bien, muy bien. ¡Oh cuerpo de Dios con ella! ¿Qué he de hablar cuando la estrella de Venus en la sartén de la noche con las otras sale a estrellarse, y yo estoy de la manera que voy, las plantas llenas de potras
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le mule si son buttate da questo ripido monte o, per la mia mala sorte, se le è inghiottite la terra. Al diavolo do la colpa di questa costa scoscesa e dello scarso profitto. Son proprio fuori di me! Ah, se Dio ora mi mandasse contro un milione di uomini, con tutti mi batterei! Lì c’è una donna. (Quest’uomo ha smarrito la sua strada, ma ecco qua la guida adatta...) Chi va là? Voi, brava donna! Cosa ti serve, figliolo? Avete visto qui in zona due mule? M’imbatto in bestie continuamente. Che bello, son proprio in vena di scherzi! Mi dispiace che non siate di buon umore. Voi siete mulattiere? Che battuta! Sono il demonio! Parlate più come un maleducato. Accidenti che sfacciata! Che dovrei dire? La stella Venere nella padella della notte con le altre sale a friggere e mi trovo proprio come tu mi vedi: ho pieni di tagli i piedi, 1327
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como ell ánima también; cansado, errado el camino, sin mulas, con poco vino? Mirad con quién y sin quién. Ya es fuerza tener paciencia; pues que no podéis llegar agora a ningún lugar, a la Venta ni a Plasencia, yo os daré donde esta noche paséis muy bien y cenéis, y con el alba saldréis. Cuando tendido en un coche o en una litera fuera, el hospedaje acetara. ¿Dormís sola, linda cara? No hay serrana de la Vera que acudir más libre pueda a lo que fuerdes servido, porque me habéis parecido muy bien. Hoy pongo a la rueda de la fortuna mil clavos; perdello todo es razón, pues de vuestros ojos son mis pensamientos esclavos. Comenzá a subir. ¿Por dónde? Por esas peñas, que allí tengo yo mi choza. Así, pues tu amor me corresponde, estuviera sobre el sol y aún sobre el sol fa mi re,
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l’anima simile a loro, stanco, ho perduto il cammino, senza più mule né vino. Ma che bella compagnia! Bisogna avere pazienza; ora è tardi per andare da qualche parte, arrivare alla Venta o a Plasencia; vi ospiterò io stanotte: vi riposate e cenate, così poi all’alba partite. Anche se non fossi a piedi ma in carrozza o portantina, accetterei quest’invito. Dormi sola, bel faccino? Non esiste montanara della Vera che vi possa dare ciò che meritate con più libertà di me, giacché infatti mi sembrate un bel tipo. Oggi pare che giri dalla mia parte la ruota della fortuna, e io la faccio fermare, tutto il resto non importa: oramai io sono schiavo dei tuoi splendidi occhi. Comincia a salire! Dove? Su queste rocce, è lì la mia capanna. Così, visto che mi corrispondi, salirei anche sopra il sol e anche sul sol, fa, mi, re,
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que allá entrara, por la fe de soldado y español. Sube. Ya voy agarrando. Pues te cansas, dueño mío, desde este peñasco al río quiero que bajes volando. No me despeñes, ¡espera! ¿Quién eres, mujer ingrata? Gila, fanfarrón, te mata, la serrana de la Vera.
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Arrójale y dice luego: Esto bastará por hoy, porque ya la sombra obscura vestir los montes procura de miedo y luto, y yo soy de poco provecho aquí, si nuevos lances espero. Entrarme en mi choza quiero y esperar al sol allí para volver a buscar vidas, Gila, en que te cebes. ¡Ah noche!, lo que me debes, ¿cuándo me lo has de pagar?
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Éntrese en su choza y salga don Lucas, perdido, diciendo: CAPITÁN
¡Noche obscura, ah, madre helada del engaño y la ocasión!, que al amante y al ladrón das de una suerte posada, de cuya capa estrellada
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per entrare là, parola di soldato e di spagnolo! Sali! Mi sto arrampicando... Visto che sei stanco, caro, ti faccio scendere a volo da questa rupe giù al fiume. Non mi buttare giù, aspetta! Ma chi sei tu, donna ingrata? Chi ti uccide, fanfarone, è Gila, la montanara della Vera! Lo spinge giù e poi dice: Io direi che per oggi questo basta, poiché ormai le ombre scure stanno rivestendo i monti di paura e di morte ha poco senso star qua a aspettare novità. Voglio andare alla capanna per attendere lì il sole, e poter poi ritornare a placare la mia fame di vendetta, assassinando. Ah notte! Quel che mi devi quando me lo pagherai?
Si ritira nella capanna ed entra in scena Luca, smarrito, che dice: CAPITANO
Notte scura, fredda madre di pericoli e di insidie, che agli amanti ed ai ladroni offri sempre il tuo riparo, sotto il cui manto stellato 1331
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se visten tantas traiciones, tantas varias invenciones, tantos ardides y enredos, tantas vergüenzas y miedos, tanto honor en opiniones, ¿dónde me vas remontando del camino y del lugar?, que por preciarte de errar quieres que camine errando, que voy perdiendo y buscando, entre peñascos y estrellas, dellos espantadas ellas, dellas ellos respetados, tanto que están coronados de sus blancas luces bellas. En ese jaral espeso perdí, al tramontar del día, con el sol a don García, que iguala un propio suceso. Que voy con miedo confieso; no hay rama que se me ofrezca que un hombre no me parezca. ¡Oh! ¡Si el alba, con llorar perlas, diese en sobornar al sol para que amanezca! Todo con la sombra vana me altera y me desconfía; hidalga cosa es el día cuanto es la noche villana. ¡Oh sol!, de la espuma cana saca tu roja cabeza, restituye la belleza que robó la sombra escura, porque venza tu hermosura a su cobarde tristeza.
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si nascondono fin troppi tradimenti, le menzogne più svariate, tante astuzie, troppi inganni e disonori, timori e reputazioni in pericolo continuo, fin dove mi stai spingendo, lontano dall’abitato, e fuori dal mio cammino? Per vantarti di sbagliare vuoi che io cammini errando, e che mi perda e che cerchi, tra questi monti e le stelle: queste impaurite da quelli, questi onorati da quelle, poiché sono coronati dalle loro luci bianche. In questo bosco intricato, all’ora in cui tramonta il sole, ho perso Garcia, che sarà anche lui smarrito. Confesso d’aver paura: non c’è ramo che io veda che non scambi per un uomo. Oh, se l’alba ottenesse, con il suo pianto di perle, che il sole infine sorgesse! Tutto mi turba e scoraggia nell’inganno delle ombre; il giorno è nobile cosa, quanto villana è la notte. Oh sole, dalle onde bianche fai spuntare la tua luce, e riporta la bellezza che ha rubato l’ombra scura, perché il tuo splendore vinca la sua ignobile tristezza! 1333
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¡Malhaya, amén, la ocasión de desatinos iguales! pero quien sigue animales merece este galardón. Altas estas peñas son, no hay camino por aquí; parece que he visto allí luz; aunque lejos está, he de caminar allá. ¿Lumbre de pastores? Sí; cabaña debe de ser; parece que está en el cielo. Que pueda llegar recelo, aunque he de hacer por poder, que mejor podré tener la noche allí que en la sierra, donde me aperciben guerra, miedo, sueño y noche fría, que presto el sol con el día del mar saltará a la tierra.
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Llegue tentando. Gracias a Dios que llegué. Ésta es la puerta; durmiendo deben de estar; yo pretendo llamar, que ésta dicha fue. De la noche pasaré aquí lo que pueda ya.
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Llama el capitán, y responde Gila de adentro. CAPITÁN GILA CAPITÁN
¡Ah de la choza! ¿Quién va? Amigos.
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Maledetta l’occasione di fare simili errori, ma chi insegue gli animali merita questo compenso! Sono alti questi monti, qui non vedo alcun sentiero; sembra una luce, laggiù, è lontana ma comunque devo riuscire a raggiungerla. Sembra un fuoco di pastori: dev’esserci una capanna; sembra sospesa nel cielo. Non so se riesco a arrivarci, ma devo almeno provarci: passerò meglio la notte lì che su queste montagne, dove mi aspetta paura, guerra, sonno, buio e freddo, e presto il sole, col giorno, spunterà in terra dal mare. Arriva a tentoni. Grazie a Dio sono arrivato! Questa è la porta, staranno dormendo, provo lo stesso a chiamare. Che fortuna! Quel che resta della notte lo potrò passare qui. Il capitano chiama e da dentro risponde Gila. CAPITANO GILA CAPITANO
C’è nessuno? Chi è che chiama? Amici.
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No puede ser; mas ya me levanto a ver quién ese nombre se da. La voz que me ha respondido dentro de aquesta cabaña, si el sentido no me engaña, de mujer me ha parecido. ¡Mas si el haberme perdido fuese de importancia alguna para darme la fortuna alguna hermosa serrana con quien la alegre mañana me pareciese importuna! Que toda esta Vera da, entre los muchos frutales, hermosuras celestiales, y alguna en la sierra está. La puerta han abierto ya.
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Salga Gila con la escopeta a la puerta. GILA
¿Quién es?
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Un perdido soy, que no acierto dónde estoy. ¿Dónde vais que así os perdéis? Mujer es. ¿No respondéis? Serrana, a Plasencia voy. Pues ¿qué os trujo por aquí? Perdí las mulas ayer, y un amigo por correr tras ellas; y me perdí justamente, pues así perdido supe ganarme, pues a perderme y hallarme vengo en vos, serrana mía. Esa voz conozco.
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Non credo proprio; ma adesso voglio vedere chi si presenta così. La voce che mi ha risposto da dentro questa capanna, se l’udito non mi inganna, mi è sembrata di una donna. Ah, se l’essermi smarrito fosse l’occasione buona per avere la fortuna di una bella montanara con cui l’allegra mattina mi sembrasse inopportuna; che questa Vera è provvista, tra i numerosi frutteti, di bellezze celestiali: ce ne sono anche sui monti. Mi hanno già aperto la porta. Gila esce sulla porta con in mano il fucile.
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Chi è? Mi sono smarrito e non so più dove sono. Dove andate, per smarrirvi? È una donna. Non parlate? Sto andando verso Plasencia. Cosa vi ha condotto qui? Ieri ho perso le mie mule, e un amico, per seguirle; per fortuna mi son perso, perché poi ci ho guadagnato, visto che ho avuto l’onore di quest’incontro con voi, oh mia montanara bella. Riconosco questa voce. 1337
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El día con vos podrá acreditarme, porque soy hombre de bien y el talle es información. Muy pocos hombres lo son, aunque lo dicen también. El comenzar por desdén es señal que he de ganar. Tahur os queréis mostrar de amor. Soy acuchillado. ¿Sois de Plasencia? Y honrado. ¿Conocéis en el lugar gente? A los más principales que sangre Plasencia dio con tanto valor. Pues yo soy de los Caravajales. Al mismo rey son iguales. ¿Qué nombre tenéis? Se[rrana], don Lucas. No [salió vana] mi sospecha. De la guerra vuelvo a vivir a mi tierra y a retirarme con gana de tomar en ella estado, de una hermosa compañía que saqué de infantería de la Vera, reformado. A buen puerto habéis llegado. (Noche, piedad has tenido, pues que me has restituido la ocasión que me debías
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Il giorno mi renderà giustizia: sono un brav’uomo, ve lo conferma l’aspetto. Pochi uomini lo sono, però lo affermano in molti. Se si inizia col disprezzo è segno che vincerò. Mi sembrate un imbroglione in amore. Sono esperto. Plasenciano? E me ne vanto. Voi conoscete qualcuno di quelle parti? I migliori che sono nati a Plasencia con gran valore. Beh, io sono dei Caravajal. Sono alla pari del re. Come vi chiamate? Luca, montanara. (Il mio sospetto era giusto.) Dalla guerra io ritorno alla mia terra, e mi voglio ritirare, per potermi sistemare dopo esser congedato da una bella compagnia che ho arruolato nella Vera. Beh siete giunto a buon porto! (Notte, hai avuto pietà, poiché infine mi hai offerto l’occasione di vendetta:
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para las venganzas mías, aunque en largas me has traído. Hoy contigo cuentas hago, y pues satisfecha estoy de lo que me debes, hoy te daré carta de pago, que aunque es mayor el estrago de las costas que te he hecho por cobrar de ti, sospecho, según duró mi esperanza, que no llega la venganza al agravio de mi pecho). Serrana, suspensa estás; si satisfecha de mí me quisieres dar aquí posada, merced me harás. Ya no han de engañarme más, porque de uno me fie como vos, y dél quedé, de que me quiso, engañada, infamemente burlada, y él a la guerra se hue, que era también capitán como vos, y se llamaba don Lucas, y se preciaba del apellido que os dan; muy traidor y muy galán, muy noble y muy fementido, muy falso y muy bien nacido, muy valiente y muy cruel; y a la he, si no sois él, que me lo habéis parecido. (¡En notable confusión este suceso me ha puesto! ¡Sueño parece que es esto, pintura, imaginación! Gila es ésta, y éstas son
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e ce ne hai messo, di tempo! Finalmente faccio i conti con te, e essendo soddisfatta di quel che mi hai dato, ora ti darò la ricevuta, anche se il danno rimane, e di gran lunga più grande del compenso che ti ho chiesto da riscuotere; mi pare, dopo questa lunga attesa, che non basti la vendetta a risarcire il mio onore.) Montanara, sei dubbiosa? Se ti fidassi di me e mi volessi ospitare qui, mi faresti un favore. Non mi inganna più nessuno, perché mi fidai di uno come voi, e ci rimasi ingannata e raggirata; lui poi partì per la guerra, giacché era un capitano come voi, e si chiamava Luca, e anch’egli vantava il vostro stesso cognome, traditore e gran signore, grande nobile e impostore, grande falso e cavaliere, coraggioso e assai crudele. Giuro, se non siete lui, gli somigliate parecchio! (Questa storia mi ha portato solamente confusione! Sembra che sia tutto un sogno, uno scherzo della mente! Questa è Gila e i suoi lamenti
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quejas de que dueño he sido. ¡A gentil puerto he venido! Pero, ¿qué puerto ha de hallar quien de la noche en el mar corre tormenta, perdido? Y apelar a bien no espero, pues de plano he confesado). Voz parecéis hombre honrado y daros posada quiero. No, serrana, que el lucero de la aurora desafía a la noche con el día; yo agradezco ese favor; quedaos adiós. No, señor, mi güésped habéis de ser. Estáis sola y sois mujer, y yo estimo vuestro honor. ¿De cuándo acá lo estimáis? Desde el día en que nací. Mentís, que hay testigo aquí de que verdades no habláis. Yo soy Gila, a quien estáis deudor de tan justa queja, que el delito os aconseja lo mismo que vos huís, y a la cárcel os venís por entraros en la igreja; que el cielo, a quien traidor huistes, con esta noche me ampara, porque en ella me vengara de la que vos me ofendistes; y puesto que os encubristes con la mentirosa capa que tantos delitos tapa,
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sono indirizzati a me. Proprio un bel porto ho raggiunto! Ma qual è un porto sicuro per chi naviga nel mare della notte e si ritrova perso dentro una tempesta? Non posso uscirne bene, ho già confessato tutto.) Mi sembrate un uomo onesto, e voglio darvi riparo. Non importa, montanara, Venere sta scomparendo, e sta tornando il mattino; vi ringrazio del favore, arrivederci. Signore, insisto, voglio che siate mio ospite per stanotte. Siete sola e siete donna, io rispetto il vostro onore. Da quando lo rispettate? Dal giorno in cui sono nato. Falso, qui c’è chi può dire che sono tutte bugie. Sono Gila, e voi avete con me un debito in sospeso, il delitto vi conduce verso ciò da cui fuggite: arrivate alla prigione credendo di entrare in chiesa; il cielo, che voi tradiste, con questa notte mi aiuta perché io abbia vendetta di quella in cui mi offendeste, anche se siete nascosto dal menzognero mantello che copre tanti delitti 1343
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de tal manera saltea, roba mi honor y capea, que aún la noche no se escapa, hoy de los hombros le quito la capa a la noche fría, aunque lo mismo hace el día, que en esta ocasión imito. Mi venganza solicito, y en estando yo vengada, los ejes de la estrellada fábrica sobre mí den, porque no espera otro bien una mujer agraviada. Gila, palabra te di de ser tu esposo. Aquí estoy: tu esposo y tu esclavo soy. Ya es tarde, ingrato. De aquí has de volar, pues por ti al cielo he sido traidora con tantas culpas. ¡Señora! No hay ruego que mi honra estrague, quien tal hace, que tal pague, y cáigase el cielo agora.
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Arrójale, y luego dicen de adentro por arriba y por abajo, cogiéndola en medio. PRIMERO DON JUAN GILA
¡Ésta es su choza! ¡Abrasalda! Ya no hay temor que me altere.
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e così facendo assale, ruba il mio onore e lo infanga, che alla notte non si sfugge; oggi io tolgo il mantello dalle spalle della notte fredda, sebbene sia ciò che di solito fa il giorno, che adesso voglio imitare. Io mi sto per vendicare; quando sarò vendicata allora cadano pure a seppellirmi le travi dell’edificio stellato: non desidera nient’altro una donna che è oltraggiata. Gila, ti do la parola di sposarti. Sono qui: sono tuo sposo e tuo schiavo. Oramai è tardi, ingrato. Da qui volerai, per te ho tradito il cielo e ho avuto tante colpe. Mia signora! Puoi pregarmi, non ci casco, ognuno ha ciò che merita; e adesso il cielo sprofondi!
Lo spinge, poi si sentono alcune voci da dentro, da sopra e da sotto, mentre la accerchiano. PRIMO JUAN GILA
La sua capanna! Bruciatela! Ora non ho più timori.
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Cuando darse no quisiere, muera, abrasalda, quemalda. Por la cumbre y por la falda vienen a cogerme en medio; ya no hay de escapar remedio.
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Por arriba cuadrilleros con arcabuces, por abajo también, y con ellos don Juan de Caravajal, alcalde de la Hermandad de Plasencia, y Giraldo, padre de Gila, también con su vara, y Mingo también, como cuadrillero. MINGO DON JUAN
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Aquí está. ¡Llegad, llegad! Tente a la Santa Hermandad. ¿Qué haré? Que romper por medio es imposible. Ya estoy vengada, y esto ha de ser. ¡Acaba, date, mujer! Tu hija pienso que soy. Ese nombre no te doy por las crueldades que has hecho. Tú eres hija de ese pecho cruel, que no pude yo engendrarte. ¿Por qué no, si me ha forzado mi afrenta? Al cielo darás la cuenta, pues tu castigo ll[egó], que ha permitido que venga a prenderte yo también. Padre, habéis hecho muy bien. Tu engaño no nos detenga: date a prisión.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO JUAN
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Se non si arrende al più presto allora deve morire: datele fuoco, bruciatela! Arrivano dalla vetta del monte e dalla valle: sono bloccata nel mezzo, non c’è modo di scappare.
Arrivano delle guardie con gli archibugi sia dall’alto che dal basso, con loro c’è anche Juan de Caravajal, comandante della Santa Hermandad di Plasencia, Giraldo, padre di Gila, con il bastone da sindaco, e Mingo, come guardia. MINGO JUAN
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Eccola! Svelti, venite! Consègnati alla giustizia! Che faccio? Adesso scappare è impossibile. Ormai sono vendicata, e così sia. Arrenditi! Ferma, donna! Credevo fossi mio padre. Non ti considero figlia dopo tutto ciò che hai fatto. Tu sei figlia del tuo cuore disumano, che non posso aver generato io. Perché no? Mi ci ha costretta l’offesa. Tu farai i conti con il cielo, è giunta l’ora del castigo, e hanno voluto che venissi pure io a prenderti ed arrestarti. Padre, avete fatto bene. Non farci perdere tempo: arrenditi.
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DON JUAN GILA DON JUAN GILA
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Hoy se venga mi honor, y llega con él de la fortuna cruel la temida ejecución. Acaba, date a prisión. Las manos rindo al cordel. Rinde las armas primero. ¿Aún teméis con tanta gente? A mi padre solamente rendir las armas espero, que aunque vos sois caballero, para mí es mi padre más. Muestra. No he visto jamás en hombre tan gran valor.
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Dale a Giraldo la escopeta y el cuchillo de monte. GILA DON JUAN MINGO
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Vengué, en efeto, mi honor. Esposas. Perdonarás a Mingo este atrevimiento, porque me han cabido a mí. Si yo te matara a ti, escusara el cumplimiento.
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Pónele las esposas. DON JUAN GILA
DON JUAN GILA
Grillos y cadena. El viento no me llevará, señor alcalde. ¡Estraño valor! No hay sino tener paciencia.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO GILA
JUAN GILA JUAN GILA
GIRALDO JUAN
Oggi stesso ho vendicato il mio onore, però il destino crudele ha voluto che arrivasse anche il temuto momento della mia esecuzione. Ora basta, devi arrenderti! Mi consegno alla giustizia. Prima consegna le armi. Così in tanti e mi temete? Solo a mio padre ho intenzione di consegnare le armi: voi sarete un cavaliere ma per me è di più mio padre. Dammele. Non ho mai visto tanto valore in un uomo. Consegna a Giraldo il fucile e il coltello da montagna.
GILA JUAN MINGO
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Ho vendicato il mio onore. Manette! Scusami, Gila, se mi azzardo a fare questo, ma è toccato proprio a me. Se io ti avessi ammazzato non mi chiederesti scusa. Le mette le manette.
JUAN GILA
JUAN GILA
Ceppi e catena. Tranquillo, signore, il vento non può portarmi via. Che coraggio! Bisogna avere pazienza.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
Pónenle a los pies grillos y una cadena. CUADRILLERO DON JUAN GILA
Ya está esto puesto. A Plasencia. Vengué, en efeto, mi honor. Vanse todos rodeando a Gila con los arcabuces, y salga don Fer[nando y doña Isabel.]
FERNANDO
ISABEL FERNANDO
ISABEL
FERNANDO
ISABEL FERNANDO
No se puede pintar la gallardía, la belleza, el valor de la serrana. Celos me dais, por vuestra vida y mía. 3130 ¿A vos os puede dar mujer humana celos, siendo vos cielo de mis ojos? Tal vez suele agradar una villana como tosco manjar, que por antojos da el harto del faisán al apetito. 3135 Nunca al amor da el gusto esos enojos; mas necio vengo a ser, pues solicito daros satisfación, Isabel mía, del que vos conocéis, y es infinito. Dadme esos brazos porque envidie el día 3140 los que yo os diere a vos, si la serrana a celos con mi amor os desafía; que por la vida de Isabel y Juana, que voy con intención de que se prenda, porque demás de ser tan inhumana, 3145 no hay en la Vera de Plasencia senda ni camino que della esté seguro. Pues la Hermandad es bien que en eso entienda. Sírvenle de defensa y alto muro esa sierra en que está, y así es en vano 3150 el llegalla a prender; mas yo procuro con cuatro compañías desde el llano batirle esos peñascos.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO
Le mette ai piedi i ceppi e una catena. Tutto a posto. A Plasencia! Ho vendicato il mio onore.
GUARDIA JUAN GILA
Escono tutti di scena circondando Gila con gli archibugi, ed entrano Fer[nando e Isabella.] FERNANDO
ISABELLA FERNANDO
ISABELLA
FERNANDO
ISABELLA FERNANDO
Non si posson descrivere coraggio, grazia e valore della montanara. Mi fate ingelosire, in questo modo! Potete esser gelosa di una donna terrena, voi, il cielo dei miei occhi? A volte può piacere una villana come succede con un cibo rozzo: la noia del fagiano, per capriccio, può anche stuzzicare l’appetito. Il gusto non scalfisce mai l’amore, ma che sciocchezze dico, mia Isabella, per darvi prova del mio sentimento per voi, che conoscete ed è infinito. Abbracciatemi, sia invidioso il giorno di questi abbracci, se la montanara sfida il mio amore con la gelosia; che, giuro su di voi e nostra figlia, io sono intenzionato a catturarla, perché, oltre ad esser così disumana, non c’è in tutta la Vera di Plasencia sentiero che da lei sia più al sicuro. Si devono avvertire anche le guardie. Le fanno da muraglia e da difesa quelle montagne: è proprio un’ardua impresa riuscire a catturarla; ma ho intenzione, con quattro compagnie, dalla vallata, di circondare i monti.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III ISABEL RODRIGO
FERNANDO
RODRIGO
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¿Qué hay, maestre? La Hermandad de Plasencia, que con mano armada asalta esa muralla alpestre 3155 de esos riscos, ha preso a la serrana, por que el valor de la Hermandad se muestre, llevándola a Plasencia esta mañana, adonde habrán de hacer justicia della, sino es que apela a la piedad cristiana 3160 de vuestros pechos. La común querella, los atroces delitos no per[miten] que se tenga piedad, Girón, con ella, y no es razón que a la Hermandad le quiten, pues que tan nueva está, las exenciones 3165 que nuestros previlegios les admiten. Castiguen como es justo a los ladrones, sin que haya apelación, que desta suerte se evitarán muy grandes ocasiones; fuera de que ésta ha dado a muchos muerte 3170 y la merece por razón de estado. Con intención justísima lo advierte Vuestra Alteza, señor. Pena me ha dado, sabiendo que es mujer. Ya las literas aguardan y las guardas han llegado. 3175 Partamos a Plasencia. Las primeras sospechas brevemente os desengañan. No las tuve jamás por verdaderas, aunque al amor los celos acompañan.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO ISABELLA
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RODRIGO
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Che succede, gran maestro Rodrigo? La Hermandad di Plasencia ha assalito a mano armata la muraglia di rocce e ha catturato la montanara; perché sia evidente il merito della Hermandad, la donna viene condotta stamani a Plasencia, dove presto avverrà l’esecuzione, se non si appella alla pietà cristiana dei vostri cuori. La rabbia di tutti ed i delitti atroci che ha commesso fan sì che non si possa più, oramai, aver pietà, Girón, di quella donna; né voglio che si privi la Hermandad, che è un’istituzione appena nata, dei privilegi che le concediamo. I ladri, com’è giusto, sian puniti senza misericordia, in questo modo si eviteranno altre malefatte: e lei che ha già ammazzato tanta gente merita morte per ragion di stato. Mi pare un’opinione più che giusta, vostra altezza, signore. Mi fa pena, pensare che è una donna! Sono pronte le portantine e sono anche arrivate le guardie. Su, coraggio, andiamo adesso a Plasencia! Hanno fatto molto in fretta a dissiparsi tutti i tuoi sospetti. A dire il vero non li ho mai avuti, ma non c’è amore senza gelosia.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
Éntrense. Salga don García, solo. GARCÍA
Perdido ya de dos días vengo a dar en las murallas de Plasencia, sin saber de Andrés ni de don Lucas nada, de las mulas, ni de mí, que aún pienso que no se acaban los jarales y las peñas destas dos noches pasadas. Temo por lo que me han dicho de Gila, de la serrana a quien don Lucas burló, no haya tomado venganza, pues por esta causa sola en la sierra salteaba, y sin querer ni sabello perdido pudo encontralla. De la ciudad sale gente; quiero saber a qué causa, que me parece en la prisa novedad.
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Madalena y Pascuala. MADALENA PASCUALA D. GARCÍA MADALENA D. GARCÍA MADALENA
Anda, Pascuala. No voy de pesar en mí. ¿Qué es esto, hermosas serranas? Es la desdicha mayor que se ha visto. ¿Cómo? Sacan a josticiar aquí, huera de la ciudad, como manda la Santa Hermandad, a Gila,
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Escono di scena. Entra Garcia, da solo. GARCIA
Smarrito già da due giorni mi imbatto nelle muraglie di Plasencia, senza avere notizie di Andrea e Luca, delle mule né di me; mi sembrano non finire i boschi né le montagne delle due notti passate! Ho paura, stando a quanto mi hanno detto ormai in molti, di Gila, la montanara che Luca ha preso in giro: fa’ che non abbia compiuto la sua vendetta, giacché era soltanto per questo che assaliva sopra i monti; lui, senza ancora saperlo, perso, forse l’ha incontrata. Dalla città arriva gente, vorrei saperne il motivo: mi sembra, dalla gran fretta, che ci siano novità. Maddalena e Pasqualina.
MADDALENA PASQUALINA GARCIA MADDALENA
GARCIA MADDALENA
Su, cammina, Pasqualina! Non ci riesco dal dolore. Che succede, montanare? È la sfortuna più grande che si sia mai vista. Cosa? Stanno portando qui, fuori dalla città, a giustiziare, secondo quanto comanda la nostra Santa Hermandad, 1355
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III
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MADALENA
PASCUALA
esa serrana gallarda que entre Garganta la Olla y Plasencia salteaba. Don Juan de Caravajal, que es alcalde de la Santa Hermandad, la prendió, y toda la de la Vera en su guarda, que de haber muerto a don Lucas, su primo, toma venganza con esto. ¿A don Lucas dices que ha muerto? Eso es cosa rara. Quedaos a Dios, que ya llega. Vamos.
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Póngase Pascuala a un lado, y Madalena en el tablado. D. GARCÍA
Nunca miente el alma; parece sueño. Las nuevas, aunque de mí receladas, me han dejado sin sentido. Vengose al fin la serrana. Dios te perdone, don Lucas, de tantas desdichas causa.
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Éntrese don García, y suenen agora campanillas, y salgan cuadrilleros con ballestas y flechas en ellas, capotes verdes de dos faldas, y luego Gila con esposas en las manos, como la prendieron, y don Juan con su vara detrás, de negro, vestido con ferreruelo, y Giraldo con vara también. GILA
Nadie de mí se lastime, los que me ven tan amarga
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GARCIA
MADDALENA
PASQUALINA
Gila, montanara forte, che tra Garganta la Olla e Plasencia assaliva ogni uomo che passava. È Juan de Caravajal, che sarebbe il comandante di quella Santa Hermandad, che l’ha presa e insieme a lui gente di tutta la Vera: lei ha ucciso suo cugino, Luca, e lui si è vendicato così. Cosa avete detto? Luca è morto? Non c’è dubbio. Dio sia con voi, sta arrivando! Andiamo!
Pasqualina si mette da una parte e Maddalena rimane sul palco. GARCIA
Non mente mai l’anima, mi sembra un sogno. Queste cattive notizie, anche se le immaginavo, mi lasciano tramortito. Alla fine ce l’hai fatta, montanara, a vendicarti. Che Dio ti perdoni, Luca, causa di tante disgrazie.
Garcia esce di scena, suonano dei campanelli, entrano alcune guardie con balestre e frecce, giubbe verdi a due falde, poi Gila, ammanettata come quando l’hanno catturata, Juan con il bastone, vestito di nero con una cappa corta, e Giraldo, anch’egli con il bastone da sindaco. GILA
Che nessuno mi compianga nel vedermi condannata 1357
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PASCUALA
MADALENA GILA GIRALDO GILA GIRALDO GILA MADALENA GILA GIRALDO
GILA
muerte morir, porque yo no la tengo por desgracia. Contenta muero por ver que el cielo, con ésta, traza de mi predestinación el bien que mi muerte aguarda, que de otra suerte parece que fuera imposible, a causa de los delitos que he hecho sólo por tomar venganza, que, sin robos y salteos, por estas manos ingratas tengo a cargo dos mil vidas, de que pido perdón. Rasgan, Madalena, el corazón sus razones. Sí, Pascuala. ¡Ah padre! ¡Ah señor! ¿Qué quieres? Escúchame una palabra. ¿Qué dices? Llega el oído. Querrá encargalle su alma. Llégate más. Ya me llego. ¿La oreja, ingrata, me arrancas con los dientes? Padre, sí, que esto merece quien pasa por las libertades todas de los hijos. Si tú usaras rigor conmigo al principio de mi inclinación gallarda, yo no llegara a este extremo:
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PASQUALINA
MADDALENA GILA GIRALDO GILA GIRALDO GILA MADDALENA
GILA GIRALDO
GILA
a una morte tanto amara: per me non è una sciagura, muoio contenta del fatto che il cielo così facendo dalla morte ottiene un bene, e si compie il mio destino; e non credo che potrebbe essere diversamente: ho causato troppe morti soltanto per vendicarmi, che, pure senza contare i vari furti e gli assalti, con queste mani malvagie mi porto sulla coscienza almeno duemila vite, di cui domando perdono. Maddalena, ciò che dice tocca il cuore! Hai ragione. Padre! Signore! Che vuoi? Ascolta solo un momento. Dimmi. Avvicina l’orecchio. Gli vorrà raccomandare l’anima. Su, più vicino. Sto arrivando, ecco. Come? Mi strappi, ingrata, l’orecchio con i denti? Padre, sì! Questo è quello che si merita chi concede ai propri figli troppa libertà. Se avessi dall’inizio messo freno alla mia indole audace non sarei arrivata a tanto: 1359
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escarmienten en tus canas y en mí los que tienen hijos. Confieso que es justa paga a mi descuido. ¡Estraña cosa! Subid con ella.
GIRALDO
DON JUAN
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Éntrese con ella agora, y queden Pascuala y Madalena. MADALENA
PASCUALA
MADALENA PASCUALA MADALENA
PASCUALA MADALENA
PASCUALA
MADALENA
PASCUALA
Pascuala, ¿has visto tal cosa? El viejo sangre y lágrimas derrama. Al palo llegan con ella. Ya la arriman, ya la at[an]. Pascuala, los cuadrilleros se aperciben a tiralla, que ya el verdugo [le pone] el garrote a la garganta. Perdónete Dios, amén. Ésta hue tu estrella amarga; nunca nacieras al mundo. Mejor fue nacer, pues pasa desde aquel palo a una vida que eternamente se acaba. Ya disparan las saetas los cuadrilleros, Pascuala. A San Sebastián parece.
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Maestre de adentro: RODRIGO MADALENA PASCUALA
Aquí es el suplicio. ¡Plaza! Pascuala, éstos son los reyes. ¡Oh, si primero llegaran!
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GIRALDO
JUAN
e chi ha dei figli cerchi di imparare la lezione dai tuoi capelli ormai bianchi e da me. Io riconosco che è la giusta punizione alle mie colpe. Che strano! Su, adesso andate con lei.
Escono di scena e rimangono soltanto Pasqualina e Maddalena. MADDALENA PASQUALINA
MADDALENA PASQUALINA MADDALENA
PASQUALINA MADDALENA
PASQUALINA
MADDALENA
PASQUALINA
Hai visto? Il vecchio è sconvolto; si scioglie in lacrime e sangue. Stanno arrivando alla forca. L’avvicinano! La legano! Pasqualina, ora le guardie si preparano a tirare, perché il boia le ha già messo la garrotta sulla gola. Che Dio ti perdoni, amen. Ah, che destino crudele! Se tu non fossi mai nata! Meglio esser nata, se passa da quel palo a un’altra vita, vita che dura in eterno. Le guardie le stan tirando le frecce contro. Assomiglia proprio a San Sebastiano. Il gran maestro, da dentro:
RODRIGO MADDALENA PASQUALINA
L’esecuzione è qui, largo! Ci sono i re, Pasqualina. Fossero arrivati prima! 1361
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III MADALENA
Adrede llegan agora, porque quieren que su Santa Hermandad castigue.
Entre don Fernando y doña Isabel, y el maestre y los que pudieren de acompañamiento, y corren el tafetán, y parezca Gila en el palo, arriba, llena de saetas y el cabello sobre el rostro, y salgan abajo Giraldo y don Juan. FERNANDO
MADALENA
ISABEL DON JUAN FERNANDO
DON JUAN
FERNANDO
GIRALDO
RODRIGO
FERNANDO
Ha sido justo castigo. Bizarra quedó en el palo también. A mí me enternece el alma. Éste es su padre, señor. No sé qué merced os haga, don Juan, por este servicio, sino es que tengáis la vara perpetua en Plasencia. Beso vuestras generosas plantas. Y a vos, que luego os entrieguen el cuerpo para enterralla, quedando allí una memoria que de ejemplo sirva a España, haciéndoos franco también. Vuestra piedad nos ampara, que ésta fue desdicha mía. Ya puesto en orden aguarda de Plasencia el regimiento. Vamos, señora.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO MADDALENA
Di proposito l’han fatto di arrivare solo adesso: vogliono che la Hermandad la punisca.
Entrano Fernando e Isabella, Rodrigo Girón e chiunque possa accompagnarli. Aprono una tenda e appare Gila legata al palo, in alto, piena di frecce e con i capelli sul viso, mentre Giraldo e Juan entrano in scena. FERNANDO
MADDALENA ISABELLA JUAN FERNANDO
JUAN FERNANDO
GIRALDO
RODRIGO
FERNANDO
Si è trattato di un castigo meritato. È bella anche così. A me intenerisce il cuore. Questo è suo padre, signore. Non so come ringraziarvi: mi avete servito bene, voglio dunque nominarvi reggitore di Plasencia. Vi ringrazio immensamente. E a voi, che sia consegnato il corpo per seppellirla, e ne rimanga memoria che sia d’esempio alla Spagna; poi vi affranco dai gravami. La vostra bontà consola, questa fu la mia disgrazia. Lo squadrone di Plasencia è già pronto e sta aspettando. Andiamo, oh mia regina.
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA SERRANA DE LA VERA, ACTO III RODRIGO
Aquí acaba La serrana de la Vera, que fue prodigio de España. Laus Deo Fin de la tragedia de “La serrana de la Vera”. En Valladolid a 7 [sic] de 16[1]3 Luis Vélez de Guevara Para la señora Jusepa Vaca
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LUIS VÉLEZ DE GUEVARA LA MONTANARA DELLA VERA, ATTO TERZO RODRIGO
E così finisce La montanara della Vera, grande prodigio di Spagna. Laus Deo Fine della tragedia «La montanara della Vera». Valladolid, 7 [sic] 16[1]3 Luis Vélez de Guevara Per la signora Jusepa Vaca
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Juan Ruiz de Alarcón
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La vita e le opere
Nasce in Messico nel 1580 o nel 1581, è di ricca famiglia, studia all’Università di Città del Messico dal 1592, poi si reca in Spagna per continuare gli studi a Salamanca, dove si laurea; in difficoltà economiche si trasferisce a Siviglia, cerca nel 1607 di tornare in Messico, ma ci riesce solo l’anno seguente. Nel 1609 si addottora presso l’università messicana, per ben tre volte aspira a una cattedra universitaria e viene ripetutamente bocciato; esercita come avvocato. Nel 1613 ritorna in Spagna e nel 1625 ottiene un posto in una «Audiencia» americana; è in buone condizioni economiche, cessa di scrivere e muore nel 1639 a Madrid. Estraneo all’ambiente letterario della penisola e di Madrid, la sua diferenza sarà marcata anche fisicamente da una doppia gobba e dal ginocchio valgo: difetti che gli vengono impietosamente rinfacciati nel 1623 da Montalbán, Góngora, Vélez, Tirso, Salas Barbadillo, Quevedo,1 che gli si accaniscono contro in componimenti satirici assolutamente crudeli. Antipatia denunciata poi da altri episodi, come quando si tentò di far naufragare malamente la «prima» del suo Anticristo mettendo nel patio un’ampolla maleodorante. E diversa in certa misura anche la sua maniera teatrale: poche opere (in rapporto all’abbondanza dei contemporanei), venti commedie riunite da lui stesso in due parti pubblicate a Madrid nel 1628 e a Barcellona nel 1634; di un moralismo scontroso e quasi aggressivo, che diventa malevolenza verso una società contemporanea vista in negativo; centrate su alcuni «caratteri»: drammi a tesi, si direbbero. Quindi la critica che ama un teatro «regolato», ha tributato lodi entusiaste alla commedia alarconiana; che lascia freddi, invece, coloro che 1369
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN
apprezzano di più le forme brillanti della drammaturgia coeva; anche recentemente si è sottolineato che la sua pretesa abilità nella creazione di caratteri è più apparente che reale (la caratterizzazione si basa infatti su una anomalia quasi patologica e non sulla ricchezza di sfumature del «personaggio»), che la incisività della sua critica «sociale» appare molto ridotta, e che non si può certo parlare di un nuovo tipo di commedia «morale», dal momento che egli si muove completamente nell’ambito delle forme lopiane.2 Le sue opere che più hanno riscosso consensi sono proprio quelle di «capa y espada»; se ne sottolineano tesi e personaggi: La verdad sospechosa, il cui bugiardo protagonista ha ispirato Le menteur di Corneille;3 Las paredes oyen (Le pareti ascoltano) sul tema della maldicenza; No hay mal que por bien no venga (Non c’è male che non vada a finir bene) sull’obbedienza alla propria coscienza morale, anche contro le vane apparenze. Ma per una più completa considerazione del suo teatro bisognerà ricordare che Alarcón coltivò anche la commedia storica, de santos, di tema magico (La cueva de Salamanca: La grotta di Salamanca), di argomento biblico-religioso (El Antecristo: L’ Anticristo), commedia tesa a sfruttare le possibilità spettacolari, gli effetti de tramoya, che tanto piacevano al pubblico del corral in cerca di intrattenimento, sostenendoli con una dizione ornata e magniloquente. Più che i fiumi di inchiostro versati sul commediografo, soprattutto da parte americana, sulla peculiarità del suo teatro, dei suoi personaggi, del suo moralismo, credo possa essere illuminante la verifica formale dei suoi due modi di fare commedia. Soprattutto per quanto riguarda la commedia di intreccio, può essere utile dimenticare l’illustrazione dei contenuti e dei «caratteri», ed esaminare il ripresentarsi delle forme. Alarcón sembra ripercorre in maniera ossessiva uno schema secondo il quale un pretendente dovrà superare una serie di ostacoli per raggiungere l’oggetto amato, progetto che è allo stesso tempo di realizzazione affettiva e di inserimento sociale; la strategia utilizzata consiste nell’occultare la propria personalità: la complicazione degli inganni e degli smacchi porta al fallimento della strategia. All’inganno e la manipolazione degli altri si oppone la virtù, spesso alquanto passiva; è più che altro per una serie di casualità questa virtù in tono minore potrà trionfare.4 1370
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LA VITA E LE OPERE
El examen de maridos (L’esame dei mariti) non potrebbe illustrare meglio la freddezza moralistica di Alarcón ed i suoi abiti avvocateschi. La marchesa Inés, restata sola alla morte del padre, decide di «esaminare» con precisione e minuzia i vari candidati alla sua mano, ripetendo i meccanismi legali che l’autore ben conosceva:5 i candidati porgono i propri memoriali alla dama nella scena centrale del primo atto,6 ed i vari certificati e attestati vengono esaminati nella scena finale del secondo. E chi sarà condannato senza appello perché è stato giocatore, o perché usa giri cultisti, o perché troppo maturo, o perché ha in atto un giudizio con cui reclama un viceregno o un titolo di conte, o perché sa il greco, o addirittura perché troppo ricco. Agli occhi di doña Inés (e di Alarcón) questa sfilata di figurine non ha appello né salvezza; né appaiono sullo sfondo le doti morali positive capaci di riscattare un’umanità tanto doppia per cui ad ogni pregio apparente deve corrispondere un difetto segreto. I pretendenti validi sono due: il marchese don Fadrique ed il conte Carlos; e sono tutt’altro che campioni privi di macchia: amici intimi, si nascondono l’un l’altro condotte ed inclinazioni; e sono poi pronti a mettere in gioco l’amicizia per il «buon nome»: una specie di retorica dell’occultamento viene dispiegata da questi due campioni lungo tutta la commedia. Il ritardo nel compimento dei propri desideri viene dall’amore che un tempo don Fadrique ha avuto per Blanca, amore che ora è finito per ragioni puramente utilitaristiche, e che certo non tornano ad onore del cavaliere. Blanca a sua volta si vendica diffamando don Fadrique, ed inventando una storia priva di qualsiasi fondamento. Anche il mondo basso dei servi contribuisce alle reti dell’inganno: la servetta di Blanca, Clavela, calunnia don Fadrique; Mencía, cameriera di Inés, gioca una burla al gracioso Ochavo, chiudendolo in un camino da dove egli assiste alle false accuse nei riguardi del suo padrone, don Fadrique, e giunge a crederle; il marchese lo vede poi uscire all’alba dalla casa di Inés, desumendone quindi mezognere conclusioni sul buon nome della dama. Dallo stesso Ochavo invece apprenderà che qualcuno tenta di farlo mal figurare agli occhi dell’amata. La scena finale vede i due amici difendersi l’un l’altro davanti a Inés, con lunghe arringhe così poco chiare che la dama le intende al rovescio; essa accorda dunque la mano a Carlos, e solo perché questi sbrigativamente la «cede» all’amico la commedia più terminare felicemente. 1371
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN
Come si vede, e nemmeno paradossalmente, lo scontro non è mai tra Essere e Apparire, come nelle più coinvolgenti prove del teatro barocco, perché i due dati della Verità e dell’Inganno sono costantemente in possesso dello spettatore; il processo (e utilizzo il termine nelle due accezioni di «sviluppo della trama nella scrittura» e di «procedimento giudiziario») è solo relativo alla progressiva acquisizione ed esibizione delle prove, che potranno portare unicamente alla condanna. MARIA GRAZIA PROFETI
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La verdad sospechosa La verità sospetta Testo spagnolo a cura di FAUSTA ANTONUCCI Nota introduttiva, traduzione e note di BARBARA FIORELLINO
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Nota introduttiva
1. Juan Ruiz de Alarcón y Mendoza (1581?-1639) era di famiglia nobile spagnola residente in Messico. Nato nella Colonia, dopo aver iniziato gli studi universitari si era trasferito in Spagna e, laureatosi presso l’Università più antica della penisola, quella di Salamanca – città dalla spiccata caratterizzazione goliardico-studentesca, che troveremo allusa in La verdad sospechosa – inizia ad esercitare l’avvocatura. Dopo un periodo passato a Siviglia, dal 1608 al 1613 è di nuovo nella Nuova Spagna, forse spintovi da difficoltà economiche; proseguiti gli studi dottorali, tenta più volte di ottenere una cattedra ma è costretto a rinunciare, per poi stabilirsi di nuovo e definitivamente nella madrepatria, a Madrid, dove parallelamente alla carriera giuridica inizia a scrivere opere teatrali. Nel 1625 ottiene un posto nel Consejo de Indias che gli consente l’agiatezza economica, nel 1635 cerca inutilmente un posto in un’ Audiencia americana, e dopo qualche anno di inattività letteraria muore nel 1639 a Madrid. In contrasto con la prolificità di alcuni dei contemporanei, lascia appena una ventina di commedie – pubblicate in due raccolte curate dall’autore nel 1628 e nel 1634 – ed è spesso indicato nei testi di letteratura come uno degli autori del «ciclo di Lope» o «seguaci di Lope», anche se con Lope de Vega i rapporti non furono mai cordiali; al di là della classificazione che può apparire artificiosa, e nonostante le differenze, è comunque significativo che La verdad sospechosa sia comparsa dapprima nella Parte 22 (1630) delle opere di Lope, a quest’ultimo erroneamente attribuita, e solo dopo (1634) nella seconda parte delle opere di Alarcón, con una precisazione dell’autore sulla sua paternità.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA
2. La vita letteraria di Alarcón è costellata dalle critiche sferrategli dall’ambiente teatrale e letterario spagnolo a lui contemporaneo, che mal lo accetta, forse anche per la sua qualità di «indiano», e che si burla dei suoi difetti fisici; nessuno come lui ha potuto conoscere i veleni della capitale, dove è stato costretto a incassare le crudeli satire di Góngora, Montalbán, Vélez de Guevara, Tirso de Molina, Salas Barbadillo sulla sua bassa statura, la gobba e l’andatura claudicante, e dove la prima dell’Anticristo gli è stata rovinata da un’ampolla maleodorante. La sua modalità teatrale è probabilmente in qualche modo influenzata da questo mancato inserimento, anche se i valori intrinseci di essa non sono certo spiegabili sulla base di un mero spirito di rivalsa. Dell’ambiente spagnolo – dei diversi ambienti urbani di cui ha esperienza, Madrid, Salamanca e Siviglia –1 visto frequentemente, nelle commedie, con sguardo del nuovo arrivato, come dell’ambiente umano – negli strati socialmente elevati – che lo popola, evidenzia i difetti, con un piglio che è stato considerato moralistico. Tuttavia, la critica è stata a volte troppo netta nell’attribuire alla provenienza messicana di Alarcón il moralismo che affiora nella sua opera. Come punti estremi Lola Josa, autrice dell’edizione critica della commedia presente nella sezione Clásicos hispánicos del Centro Virtual Cervantes, 2 cita da un lato José María Díez Borque, che «se aproxima a Ruiz de Alarcón considerando que las críticas de sus coetáneos a su semblante y nacimiento mexicano le obligaron a inclinarse hacia el aleccionamiento moral como desquite. Tesis que se viene sosteniendo en cualquier estudio, edición o historia del teatro que se publica, y es frecuente, a su vez, que semejante juicio, totalmente alejado del arte dramático de Ruiz de Alarcón, per se, vaya acompañado de críticas y juicios fundados que, cuando menos, lo descalifican como dramaturgo»; e, dall’altro, indica che «Los trabajos que más revaloran la maestría y el legado de la obra alarconiana dentro de nuestra historia de la literatura, por centrarse, exclusivamente, en los textos, son los de Rosa Navarro Durán».3 3. Alarcón ha mostrato particolare interesse per la commedia di intreccio amoroso.4 La maggior parte dei testi teatrali che ha prodotto si situa in questo ambito, anche se non mancano testi tragici (El dueño de las estrellas, La crueldad por el honor), magici (La cueva de Salamanca, La Manganilla de Melilla) e religiosi (El Anticristo). Tra le commedie, quelle 1376
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NOTA INTRODUTTIVA
che hanno riscosso maggior interesse sono Las paredes oyen e quella di cui ci occupiamo. La verdad sospechosa presenta il caso di un giovane che, in quanto secondogenito, non era destinato ad ereditare il patrimonio e il casato illustre di cui fa parte, e che quindi viene mandato a studiare a Salamanca. L’inizio della commedia si situa nel momento in cui, a causa della morte del fratello maggiore, don García, ormai passato al ruolo di futuro erede, viene richiamato a Madrid dal padre che lo costringe a lasciare gli studi intrapresi a Salamanca per essere inserito a corte. Ma a Madrid il cambiamento di ambiente richiederebbe una radicale e immediata revisione del sistema di valori e del comportamento che il giovane ex studente, don García, non ha la maturità sufficiente per affrontare né la prontezza di comprendere. Il precettore che lo assisteva a Salamanca avverte il padre che il protagonista ha contratto una goliardica e tenace abitudine alla bugia, che il precettore attribuisce alla giovane età e all’ambiente ma che a corte gli sarebbe di grave danno, essendo in contrasto col senso dell’onore e della rispettabilità connesso all’alto lignaggio della famiglia, pur in un ambiente come quello madrileno non esente dal difetto della menzogna. Gli viene così affiancato un servitore, Tristán, di non umili natali ma costretto a servire per necessità; questi gli trasmette un’idea dei rapporti sociali madrileni in cui l’apparire conta più che l’essere e le donne sono sensibili solo al fascino del denaro. È questa la situazione di base sulla quale, a partire dal verso 375, si sviluppa l’azione, che consiste fondamentalmente in una serie sempre più accelerata di equivoci provocati dalle fantasiose bugie sciorinate dal protagonista e dagli scambi di persona ottenuti ad arte dosando le informazioni fraintese e i dati scenici visivi e uditivi che ingannano i personaggi ma non lo spettatore. Don García, entrato in un negozio d’argentiere, si innamora della prima dama che vede, che è accompagnata da un’altra altrettanto bella; il gioco degli equivoci nasce proprio dall’idea convenzionale di bellezza che dev’essere superlativa nella donna amata, e che per la servitù dev’essere massima nella propria padrona. Così Tristán, informatosi dal cocchiere, gli riporta il nome della dama più bella tra le due, che per quello è ovviamente la propria padrona, Lucrecia; anche per Tristán è Lucrecia la più bella, per il semplice fatto di aver taciuto; per don García la più bella è quella di cui si è incapricciato, Jacinta, che però crede, dalle parole del cocchiere, che si chiami Lucrecia e alla quale aveva raccontato di essere 1377
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA
uno spagnolo arricchitosi nelle colonie e tornato un anno prima dal Perù nella capitale, dove l’aveva vista rimanendo immediatamente innamorato. Poco ci vuole a notare che le esperienze dell’autore («indiano» a Madrid dopo l’esperienza salmantina) sono utilizzate qui nelle caratterizzazioni di personaggi e ambienti. Jacinta è corteggiata da tempo da don Juan de Luna, conoscente di don García dai tempi di Salamanca, al quale manca l’abito dell’ordine cavalleresco di Calatrava per poter chiedere ufficialmente la sua mano. E proprio don Juan è il bersaglio della nuova balla inventata dal protagonista, che racconta di aver offerto una sontuosa cena a una inesistente dama che don Juan crede essere Jacinta. Ne scaturisce un duello, appena accennato e interrotto dall’amico don Félix; a Tristán, che è assente, García racconterà poi di aver ucciso il rivale spargendone il cervello per tutta la campagna circostante. I tre personaggi anziani, tutori (padri o zii) di don García (don Beltrán) e delle due dame (don Sancho e un secondo don Juan), rappresentano i valori socialmente condivisi e saranno gli artefici dello scioglimento. Dapprima don Beltrán, convinto che un matrimonio potrà risolvere i problemi di immaturità di don García, va a casa di Jacinta e tratta direttamente con lei una proposta di matrimonio. Lei accetta di guardare dalla finestra il figlio di don García, ma non di parlargli; don Juan non riceve ancora l’abito di Calatrava, ma lei non vuole allontanarlo prima di essere certa di sposare un altro, ed è stata affascinata nell’argenteria dalla galanteria del falso indiano. Quando lo vede passare sotto le finestre con don Beltrán, si sdegna, ma la sua cameriera, Isabel, fa notare che probabilmente la proposta di matrimonio è stata fatta su richiesta del giovane che, per colpirla, avrebbe inventato di essere tornato dal Perù e il cui amore potrebbe essere sincero. Per accertarsene, Jacinta prega l’amica Lucrecia di convocarlo per un colloquio. L’invito e il luogo (il balcone di Lucrecia) confermano don García nella convinzione che sia Lucrecia l’oggetto del suo amore, ed è comunque certo di riconoscerne la voce. Quando, celata insieme all’amica, Jacinta gli parla la convinzione diventa certezza e don García confessa il suo amore indicando esplicitamente Lucrecia come destinataria. Tanto decanta le virtù di Lucrecia (a cominciare dalla nobiltà dei genitori e dall’ingente ricchezza di cui sarà erede) che Jacinta, da un lato, si disillude e gli si allontana mentre Lucrecia, dall’altro, inizia a prenderlo in considerazione come possibile 1378
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spasimante, anche a motivo delle bugie che don García ha detto pur di non sposare un’altra, delle quali le due donne hanno già avuto notizia. Infatti, una bugia veramente grossa, ormai molto poco goliardica, don García l’aveva detta poco prima al padre che gli comunicava di aver chiesto per lui la mano di Jacinta: per mandare a monte le nozze, si era inventato un avventuroso matrimonio a Salamanca con una inesistente donna nobile ma povera che avrebbe compromesso. Le avventurose scene di cui García condisce l’elaborata menzogna hanno un ritmo incalzante che oggi diremmo cinematografico e una invidiabile precisione schermistica derivata dalla trattatistica coeva. Poco dopo, per non essere costretto dal padre ad andare a prenderla per condurla a Madrid, dirà che aspetta un bambino, e per mantenere il padre nell’inganno progetta di intercettare le lettere scrivendo poi lui stesso le risposte. Lucrecia, che riceve una missiva in cui don García la chiede in sposa, la legge e dice al suo servitore Camino di rispondere, da parte di lei, che l’ha strappata senza leggerla, ma di lasciargli intendere, come per iniziativa propria, che potrà incontrarla nel pomeriggio all’ottava nella chiesa della Maddalena. Ed in chiesa si svolge una lunga scena che è centrale nel complicare il gioco degli equivoci e nel creare un sottile gioco di gelosie tra le due donne, nella quale chi parla è Jacinta mentre Lucrecia le è accanto, velata; don García si dichiara a Jacinta senza dirne il nome, e quando Lucrecia già si dà per vinta e Jacinta nega di essere Lucrecia, don García specifica che il suo amore è per Lucrecia credendo che Jacinta lo faccia per non essere riconosciuta proprio dalla dama velata che ha a fianco. Con un ritmo incalzante, ad ogni nuova incongruenza le due donne o don García trovano una giustificazione, trasformando di conseguenza il proprio modo di reagire tra l’ilarità, si suppone, del pubblico che è l’unico ad avere costantemente la chiave di lettura delle situazioni. Don García è ormai deciso a chiedere in moglie Lucrecia, e convince il padre a farlo per lui; intanto don Juan de Luna, ricomparso vivo con sorpresa di Tristán e presumibili risate degli spettatori, ha ricevuto l’abito di Calatrava ed ottiene la mano di Jacinta. In una scena finale in cui i tre anziani si sono accordati con l’assenso di tutte le parti, l’incontro con le dame – di cui finalmente è chiarita a tutti l’identità – spinge don García a fare l’ultimo colpo di testa: gridare che si è trattato di un errore e che quella che lui ha chiesto in moglie, si chiami come si chiami, è in realtà Jacinta. Ma la lettera firmata diretta a Lucrecia, la volontà di don Juan e 1379
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Jacinta di sposarsi tra loro, le minacce degli anziani don Beltrán e don Juan di ucciderlo per recuperare l’onore in caso di rifiuto, la ramanzina di Tristán fanno sì, nel breve giro della trentina di versi che costituiscono il finale dell’opera, che il protagonista si convinca ad accettare il matrimonio con Lucrecia, per lui comunque tutt’altro che svantaggioso e da Lucrecia ormai desiderato. 4. Molti critici si sono chiesti se la conclusione rappresenti o no una punizione per il protagonista.5 È possibile che questa domanda risenta della mentalità moderna, che pone l’amore a base della scelta matrimoniale, mentre nell’epoca barocca il corteggiamento era sì importante ma il matrimonio non poteva essere neanche preso in considerazione se non tra contraenti di pari livello sociale, e – per i nobili – all’interno di convenzioni molto rigide. Per don García, l’unico modo per sottrarsi a un matrimonio nel quale suo padre aveva messo in gioco la propria parola era quello di inventarne un altro, avvenuto per decisione del destino con una donna povera sì, ma di famiglia illustre. Solo in questo caso la bugia poteva stare in piedi, perché con una donna non nobile il matrimonio non sarebbe stato pensabile. Così, quando don Beltrán è costretto a rimangiarsi la parola data per un motivo che appare di forza maggiore, non c’è più modo di tornare indietro; le convenzioni sociali non sono un gioco e mettono in campo l’attendibilità e l’onore del casato, che la menzogna può macchiare quanto in altri casi il disonore femminile. È per questo che la conclusione è sfavorevole, almeno apparentemente, al protagonista, che deve rinunciare al proprio «capriccio», e rappresenta da questo punto di vista una punizione, ma è innegabile che l’impalcatura moraleggiante di condanna del mentire sistematico di don García, che lo porta a dover sparare panzane sempre maggiori per coprire le precedenti, riesce ad essere qui compatibile con un’ironia situazionale e con un ritmo in molti passaggi davvero incalzante. Vera commedia comica e degli equivoci, da assegnare al genere della commedia urbana di cappa e spada – non a caso, per le ragioni esposte sopra, il genere preferito da Alarcón – ha avuto un successo notevole che si è espresso in particolare nelle derivazioni francesi, italiane ed inglesi. 5. Fu solo nel 1643, pochi anni dopo l’apparizione della commedia nel ventiduesimo tomo delle opere di Lope de Vega che Corneille, senza 1380
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conoscerne al momento il vero autore – avrebbe avuto tra le mani il secondo volume delle opere alarconiane solo successivamente – decise di estrarre da essa un’opera «en partie traduite, en partie imitée de l’espagnol» destinata ad avere grande successo di pubblico e di continuatori, Le menteur. La vicenda è trasportata in Francia; il protagonista, il giovane gentiluomo Dorante, è stato studente a Poitiers ed arriva nella capitale, dove incontra insieme due nobili fanciulle, Clarice e Lucrèce, cadendo nell’identico equivoco sull’identità dell’amata sul quale Alarcón aveva basato la propria commedia. La pièce si snoda in modo parallelo, sostituendo al passato da «indiano» una storia precedente da soldato, e disponendo la materia su cinque atti anziché tre, ristabilendo, all’interno di un ambiente teatrale assai più conservatore di quello spagnolo, le prescritte unità aristoteliche. Dopo alterne vicende, e nonostante la fedeltà di fondo alla fonte, sembrò a Corneille una punizione eccessiva obbligare don García a un matrimonio non desiderato; modificò così il finale in modo da fare allontanare il protagonista dalla primitiva passione per inclinarsi maggiormente verso Lucrèce e permettere lo scioglimento consensuale. In questo modo la sorpresa, che Alarcón aveva riservato agli ultimissimi versi, rimaneva molto attenuata e presumibilmente più accettabile per il pubblico francese cui la rifusione era diretta. Il successo dell’opera e la creazione di un carattere che giunge a coincidere con un vizio eserciteranno un’influenza notevole su Molière, che comunque non riprende direttamente questa commedia. Lo faranno invece, un secolo dopo, in Italia Goldoni con Il Bugiardo (1750) e in Inghilterra Samuel Foote con The Lyar. La libertà di Goldoni nel riallestire la materia conciliandola con gli elementi mutuati dalla commedia dell’arte italiana è dichiarata nel prologo: «Il valoroso Pietro Cornelio, colla più bella ingenuità del mondo, ha confessato al Pubblico aver lavorato il suo Bugiardo sul modello di quello che fu attribuito in Ispagna a Lopez de Vega, quantunque un altro Autore Spagnuolo lo pretendesse per suo. Io con altrettanta sincerità svelerò a’ miei Leggitori aver il soggetto della presente Commedia tratto in parte da quella del sopraddetto Cornelio. Vanta l’Autor Francese aver condotto l’opera sua con quella varietà nell’intreccio, che più gli parve adattata al gusto della nazione, a cui doveva rappresentarsi. Tanto ho fatto io nel valermi di un tal soggetto: servito appena mi sono dell’argomento; seguito ho in qualche parte l’intreccio; ma chi vorrà riscontrarlo, dopo alcune scene che si somi1381
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gliano, troverà il mio Bugiardo assai diverso dagli altri due; talmentechè avrei potuto darmi merito dell’invenzione ancora, se sopra un tal punto non fossi io assai scrupoloso, e nemicissimo di qualunque impostura». Goldoni, il cui mentitore non è nobile, ha smesso di lavorare per equivalenze come aveva fatto Corneille; si è limitato a riprendere le scene che ha reputato utili, in particolare quelle comiche, come la riapparizione immediata dell’avversario che si è detto ucciso in duello; anche la conclusione è più impietosa: «Ameremo noi sempre la bellissima verità, apprendendo dal nostro bugiardo, che le bugie rendono l’uomo ridicolo, infedele, odiato da tutti; e che per non esser bugiardi, conviene parlar poco, apprezzare il vero, e pensare al fine». La versione di Foote riprende anch’essa il tema senza accostarsi troppo all’originale spagnolo, conosciuto attraverso una traduzione, o meglio un poco fortunato rifacimento piuttosto vicino all’originale – anche se ricontestualizzato – di Richard Steele. In termini di cultura europea, le riprese francesi, italiane e inglesi, al di là delle differenze nel trattamento della materia, rendono il personaggio alarconiano altrettanto emblematico che il Burlador di Tirso, dando nel tempo all’opera una diffusione e una fama europea paragonabili solo a quelle del Convidado de piedra e de La vida es sueño. 6. Nell’affrontare la traduzione di questo testo alarconiano, data la mia abitudine al rispetto, ove possibile, dei metri così come proposti dall’originale, non ho potuto non soffermarmi a fare delle considerazioni di carattere strutturale basate appunto sull’allestimento della versificazione e preliminari all’atto traduttivo. Due aspetti mi hanno particolarmente colpito nel testo di partenza: il primo, evidente fin dalla uniformità altalenante dei primi 664 versi, è l’assoluta preponderanza della redondilla come base ritmico-musicale su cui si snodano le vicende; e infatti questa forma metrica costituisce oltre il 72% del primo atto (vv. 1-664; 873-960; 1041-1116), quasi il 70% del secondo (vv. 1117-1308; 1384-1395; 1732-2151) e oltre il 53% nel terzo (vv. 2152-2475; 2526-2717). La presenza strutturale della redondilla come elemento portante contribuisce non poco, a mio avviso, a dare una caratterizzazione «leggera» al tessuto linguistico e conferma, in ultima analisi, l’attribuzione, da parte della critica, di una caratteristica di «exploración sarírica [...] en tono menor».6 Il secondo aspetto, che mi sembra conver1382
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gere nel conformare uno stile non aulico, è l’assoluta assenza di sonetti, caratteristica che, per chi ha tradotto il testo di teatro aureo che ne è maggiormente ricco – Il cane dell’ortolano di Lope – non può passare inosservata. E poiché nell’Arte nuevo Lope dice che «el soneto está bien en los que aguardan», la sua omissione dev’essere imputata a mancanza di momenti di riflessione lirica, mancanza confermata dall’assenza del monologo riflessivo e in generale dell’introspezione. All’interno di quest’ossatura, che costituisce quasi i due terzi del testo (63,2%), operano pochi altri metri; il romance (vv. 665-872 nel primo atto; 1396-1523 e 1524-1731 nel secondo; 2718-2975 e 3049-3112 nel terzo), utilizzato nell’ortodossia lopesca di verso narrativo e presente nella proporzione del 27,9%; le quintillas (vv. 961-1040 nel primo atto e 13091383 nel secondo) che impreziosiscono qualche passaggio (4,9%) e alla cui mancanza nel terzo sopperiscono terzine incatenate (vv. 2976-3048) e décimas (2476-2525), i metri più aristocratici, rispettivamente nelle proporzioni del 2,3 e dell’1,6%. All’interno della macrostruttura-cornice di tonalità leggera, rappresentata dalla redondilla, il romance appare come il modo della bugia narrativa, ed è caratterizzato da un ritmo incalzante nei passaggi d’azione. Nel primo atto con questa forma inizia l’articolata bugia della festa nel giardino; nel secondo atto il romance e-o coincide con la ramanzina del padre contro il vizio del mentire, mentre il cambiamento all’assonanza o-e avviene proprio all’inizio della bugia centrale dell’opera, quella in cui don García descrive l’avventuroso modo in cui sarebbe stato spinto al matrimonio con l’inesistente dama di Salamanca. Nel terzo atto, invece, al romance è affidato lo scioglimento. Il cambiamento metrico è sensibile e sottolinea punti importanti. Di fronte a ciò, il traduttore deve prendere delle decisioni, estendendo di fatto l’idea negoziale di Umberto Eco nella traduzione alla tutela dell’aspetto più squisitamente formale considerato come una delle dominanti del testo. La redondilla è, tra i metri usati nel teatro aureo, uno di quelli più insidiosi, qualora lo si voglia tradurre rispettando la rima, perché la brevità del verso ottosillabo e l’insistenza dello schema abba rende concreto il rischio della banalizzazione. Lo si è comunque tentato, sostituendo spesso alla rima consonante l’assonanza, per non far perdere di vista al lettore italiano l’aspetto di ricorrenza fonica; per gli altri metri, valgono i criteri enunciati altrove,7 applicati con l’intenzione di privile1383
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giare, oltre alla semantica testuale e della performance, l’accuratezza della ricerca formale, nella convinzione che l’autore barocco non avrebbe piegato i contenuti alle forme, ma piuttosto cercato una formulazione di quelli affinché si adattassero ai moduli precostituiti di queste. BARBARA FIORELLINO
Questa edizione La verdad sospechosa fu pubblicata per la prima volta nella Parte veynte y dos de las comedias del Fénix de España, Lope de Vega Carpio (1630), attribuita dunque a Lope; nel 1634, Ruiz de Alarcón la pubblicò nella Parte segunda delle sue commedie, citandola nel prologo fra quelle che erano state stampate in precedenza e falsamente attribuite ad altri drammaturghi. I due testi divergono in una gran quantità di letture (didascalie, singole parole, segni di interpunzione...); inoltre, il primo atto dell’edizione del 1630 contiene un maggior numero di versi, che risultano espunti nel testo della Parte segunda di Alarcón (1634). La critica è concorde nel ritenere che queste divergenze si debbano a un lavoro di controllo e revisione del proprio testo da parte di Alarcón, e che dunque vadano accettate come frutto della volontà definitiva dell’autore. Di conseguenza, tutti gli editori moderni dell’opera seguono il testo della Parte segunda (1634), salvo correggerne i pochi errori, quando è possibile, con l’aiuto del testo della Parte veynte y dos (1630). Nel preparare il testo spagnolo della commedia per questa edizione italiana mi sono attenuta allo stesso criterio, benché abbia forti dubbi sulla «autorialità» della versione inclusa nella Parte segunda, che mi pare piuttosto l’esito di una diversa linea di trasmissione del testo, dovuta alle varie vicende delle compagnie teatrali, che spesso tagliavano versi superflui per accorciare il tempo della rappresentazione. Una prova del fatto che questo testo, così come lo leggiamo nella Parte segunda, non può essere uscito direttamente dalla penna di Alarcón, la vedrei nel suo sistematico leísmo (uso del pronome «le», proprio dei casi obliqui, per la funzione di complemento oggetto, invece del corretto «lo») che è caratteristico dell’uso linguistico castigliano, e del quale non vi è quasi traccia nel testo della Parte veynte y dos, forse più prossimo quindi all’atto iniziale di scrittura da parte del 1384
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messicano Alarcón. Ma non è questa una questione da potersi discutere in questa sede. Il testo e le didascalie della commedia, salve le correzioni che mi sono parse imprescindibili, sono dunque quelli della Parte segunda; l’uso dei segni di interpunzione è stato modernizzato, come anche l’ortografia, salvo nei casi che abbiano valore fonologico; ho mantenuto quindi la riduzione del gruppo colto -ct (defeto, efeto, ecc.); l’oscillazione vocalica in posizione atona (recebir/recibir); alcuni arcaismi ancora in uso all’epoca come priesa per prisa; l’assimilazione e palatalizzazione della -r dell’infinito (hablalle, sabello, ecc.); l’uso dell’articolo maschile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale atona e dell’articolo femminile davanti a nomi femminili che iniziano con vocale tonica (al contrario dell’uso odierno); il mantenimento della congiunzione y davanti a i- iniziale di parola. Gli «apartes» dei personaggi, non sempre segnalati nel testo originale, sono indicati dalle parentesi tonde. FAUSTA ANTONUCCI
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LA VERDAD SOSPECHOSA PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA:
Don GARCÍA, galán Don JUAN [de Sosa], galán Don FÉLIX, galán Don BELTRÁN, viejo grave Don SANCHO, viejo grave Don JUAN [de Luna], viejo grave TRISTÁN, gracioso
JACINTA,
dama dama ISABEL, criada Un LETRADO CAMINO, escudero Un PAJE [Un CRIADO] LUCRECIA,
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LA VERITÀ SOSPETTA PERSONAGGI
Don GARCÍA, corteggiatore Don JUAN [de Sosa], corteggiatore Don FÉLIX, corteggiatore Don BELTRÁN, anziano austero Don SANCHO, anziano austero Don JUAN [de Luna], anziano austero TRISTÁN, servitore buffo
JACINTA,
dama dama ISABEL, ancella Un PRECETTORE CAMINO, scudiero Un PAGGIO [Un SERVITORE] LUCRECIA,
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ACTO PRIMERO Salen por una puerta don García y un Letrado viejo, de estudiantes, de camino, y, por otra, don Beltrán y Tristán. BELTRÁN GARCÍA BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN
TRISTÁN BELTRÁN
TRISTÁN
BELTRÁN
GARCÍA
Con bien vengas, hijo mío. Dame la mano, señor. ¿Cómo vienes? El calor del ardiente y seco estío me ha afligido de tal suerte que no pudiera llevallo, señor, a no mitigallo con la esperanza de verte. Entra, pues, a descansar. Dios te guarde, ¡qué hombre vienes! ¡Tristán! ¿Señor? Dueño tienes nuevo ya de quien cuidar. Sirve desde hoy a García; que tú eres diestro en la corte y él bisoño. En lo que importe, yo le serviré de guía. No es criado el que te doy, mas consejero y amigo. Tendrá ese lugar conmigo.
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Vuestro humilde esclavo soy.
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ATTO PRIMO Entrano da una porta don García e un precettore anziano, in abiti da viaggio, e da un’altra don Beltrán e Tristán. DON BELTRÁN DON GARCÍA DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
TRISTÁN DON BELTRÁN
TRISTÁN
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
Ben arrivato, figliolo. Dammi la mano, signore. Come giungi? Il gran calore mi ha afflitto in un tale modo, nei mesi secchi ed ardenti, che non l’avrei sopportato se non l’avesse attenuato la speranza di vederti. Entra, dunque, a riposarti. Dio sia con te. Sei già un uomo! Tristán! Signore? Ecco un nuovo padrone di cui curarti. Obbedirai a don García; tu sei esperto della corte, lui è novello... In ciò che occorre gli offro l’esperienza mia. Non ti do un servo; piuttosto un amico e un consigliere. Per tale lo vorrò avere. Esce.
TRISTÁN
Vostro schiavo umile sono. Esce.
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LETRADO BELTRÁN LETRADO
BELTRÁN
LETRADO BELTRÁN
LETRADO
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Déme, señor Licenciado, los brazos. Los pies os pido. Alce ya. ¿Cómo ha venido? Bueno, contento, y honrado de mi señor don García, a quien tanto amor cobré que no sé cómo podré vivir sin su compañía. Dios le guarde, que, en efeto, siempre el señor Licenciado claros indicios ha dado de agradecido y discreto. Tan precisa obligación me huelgo que haya cumplido García, y que haya acudido a lo que es tanta razón. Porque le aseguro yo que es tal mi agradecimiento que, como un corregimiento mi intercesión le alcanzó, según mi amor desigual de la misma suerte hiciera darle también, si pudiera, plaza en Consejo Real. De vuestro valor lo fío. Sí, bien lo puede creer. Mas yo me doy a entender que, si con el favor mío en ese escalón primero se ha podido poner, ya sin mi ayuda subirá con su virtud al postrero. En cualquier tiempo y lugar he de ser vuestro criado. Ya, pues, señor Licenciado que el timón ha de dejar
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PRECETTORE DON BELTRÁN PRECETTORE
DON BELTRÁN
PRECETTORE DON BELTRÁN
PRECETTORE
DON BELTRÁN
Mi dia, signor precettore, le braccia. I piedi vi bacio. Si alzi, su! Come è arrivato? Sano, lieto, ed onorato dal signor mio don García, che ho preso in affetto tale che non so se potrei stare senza la sua compagnia. Dio sia, tutore sapiente, con lei, che ha sempre mostrato indizi di essere stato discreto e riconoscente. Che García abbia ottemperato a tale alto suo dovere non può che farmi piacere, e che al giusto sia arrivato. E voglio farle sapere che le sono tanto grato; che se già un funzionariato per mio mezzo poté avere, il mio smisurato amore ora le farebbe avere un posto da consigliere, se ne potesse disporre. Da voi, mi posso fidare. Certo, lei lo può ben credere, ma do a me stesso ad intendere che se lei ha potuto fare, con il mio aiuto, quei primi passi sulla scala, già senza aiuto salirà, per virtù sua, i successivi. In qualsiasi situazione sarò vostro servitore. Giacché, signor precettore, dovrà lasciare il timone 1391
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de la nave de García, y yo he de encargarme de él, que hiciese por mí y por él sola una cosa querría. Ya, señor, alegre espero lo que me queréis mandar. La palabra me ha de dar de que lo ha de hacer, primero. Por Dios juro de cumplir, señor, vuestra voluntad. Que me diga una verdad le quiero solo pedir. Ya sabe que fue mi intento que el camino que seguía de las letras don García fuese su acrecentamiento; que, para un hijo segundo como él era, es cosa cierta que es ésa la mejor puerta para las honras del mundo. Pues como Dios se sirvió de llevarse a don Gabriel, mi hijo mayor, con que en él mi mayorazgo quedó, determiné que, dejada esa profesión, viniese a Madrid, donde estuviese, como es cosa acostumbrada entre ilustres caballeros en España; porque es bien que las nobles casas den a su rey sus herederos. Pues como es ya don García hombre que no ha de tener maestro, y ha de correr su gobierno a cuenta mía, y mi paternal amor
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– che sarà in carico a me – della nave di García, di fare una cortesia le chiedo, per lui e per me. Signore, con gioia attendo ciò che volete ordinare. Parola mi deve dare di fare ciò che le chiedo. Signore, farò, lo giuro, ogni vostra volontà. Di dirmi una verità solamente la scongiuro. Sa che solo volli fare in modo che con la via delle lettere García si vedesse migliorare; per un figliolo secondo com’era lui, è cosa certa che quella è una porta aperta per avere onori al mondo. Ma poiché il mio primo nato, don Gabriel, Dio lo chiamò, e don García restò l’erede privilegiato, ho deciso che lasciasse gli studi e venisse qui, come conviene, a Madrid, e che alla corte abitasse come gli alti cavalieri di Spagna sogliono fare, nella nobiltà, per dare al sovrano i loro eredi. Ormai uomo, don García, non necessita figura di maestro; è la sua cura responsabilità mia, ed il mio paterno amore 1393
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con justa razón desea que, ya que el mejor no sea, no le noten por peor, quiero, señor Licenciado, que me diga claramente, sin lisonja, lo que siente – supuesto que le ha criado – de su modo y condición, de su trato y ejercicio, y a qué género de vicio muestra más inclinación. Si tiene alguna costumbre que yo cuide de enmendar, no piense que me ha de dar, con decirlo, pesadumbre; que él tenga vicio es forzoso; que me pese, claro está; mas saberlo me será útil, cuando no gustoso. Antes en nada, a fe mía, hacerme puede mayor placer, o mostrar mejor lo bien que quiere a García, que en darme este desengaño, cuando provechoso es, si he de saberlo después que haya sucedido un daño. Tan estrecha prevención, señor, no era menester para reducirme a hacer lo que es tanta obligación. Pues es caso averiguado que, cuando entrega al señor un caballo el picador que lo ha impuesto y enseñado, si no le informa del modo y los resabios que tiene,
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desidera giustamente che, anche non fosse il vincente, non passi per il peggiore. Da lei, maestro, vorrei mi dicesse chiaramente, senza lusinghe, che sente – poiché l’ha cresciuto lei – del suo modo e condizione, educazione e esercizio, e a che genere di vizio dimostra più inclinazione. Se ha qualche brutta tendenza cui io possa rimediare, non pensi che mi ha da dare, nel dirmelo, sofferenza; che abbia dei vizi è fatale; che mi dispiaccia, è evidente, ma saperlo mi consente di sorridere e emendare. Anzi in nulla, in fede mia, potrebbe farmi maggiore piacere e mostrar migliore affetto verso García che col darmi un disinganno che vantaggioso sarebbe, perché un ritardo potrebbe provocare forse un danno. Signore, non occorreva così puntuale premessa perché vi fosse concessa cosa che vi si doveva. Perché è caso già accertato che, se un cavallo al signore conduce l’addestratore che l’ha educato e impostato, e non gli dice di come cavalca e i vizi che ha, 1395
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un mal suceso previene al caballo y dueño y todo. Deciros verdad es bien; que, demás del juramento, daros una purga intento que os sepa mal y haga bien. De mi señor don García todas las acciones tienen cierto acento, en que convienen con su alta genealogía. Es magnánimo y valiente, es sagaz y es ingenioso, es liberal y piadoso, si repentino y impaciente. No trato de las pasiones proprias de la mocedad, porque, en ésas, con la edad se mudan las condiciones. Mas una falta no más es la que le he conocido, que, por más que le he reñido, no se ha enmendado jamás. ¿Cosa que a su calidad será dañosa en Madrid? Puede ser. Cuál es decid. No decir siempre verdad. ¡Jesús! ¡Qué cosa tan fea en hombre de obligación! Yo pienso que o condición o mala costumbre sea. Con la mucha autoridad que con él tenéis, señor, junto con que ya es mayor su cordura con la edad, ese vicio perderá.
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incidenti causerà al cavallo ed al padrone. Dirvi la verità è un bene; poiché ho fatto il giuramento, di darvi un purgante intendo amaro ma che fa bene. Il mio signore García a tutte le azioni dà un alto piglio, che dà lustro alla genealogia; è magnanimo e valente, è sagace ed ingegnoso, è liberale e pietoso, se repentino, impaziente. Non dirò delle passioni proprie della pubertà, perché in queste, con l’età mutano le condizioni. Un solo modo di fare è quello che gli ho notato, da cui, se pur rimbrottato, non s’è voluto emendare. Il nome ne soffrirà, se lo sa la capitale? Può darsi. Ditemi quale. Non dire la verità. Gesù, che brutto in persona di responsabilità! La sua natura sarà, o abitudine non buona. Con la molta autorità che avete su lui, signore, e dato che è già maggiore la saggezza con l’età, perderà questo difetto.
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Si la vara no ha podido, en tiempo que tierna ha sido, enderezarse, ¿qué hará siendo ya tronco robusto? En Salamanca, señor, son mozos, gastan humor, sigue cada cual su gusto; hacen donaire del vicio, gala de la travesura, grandeza de la locura; hace, al fin, la edad su oficio. Mas en la corte, mejor su enmienda esperar podemos, donde tan validas vemos las escuelas del honor. Casi me mueve a a reír ver cuán ignorante está de la corte. ¿Luego acá no hay quien le enseñe a mentir? En la corte, aunque haya sido un extremo don García, hay quien le dé cada día mil mentiras de partido. Y si aquí miente el que está en un puesto levantado, en cosa que al engañado la hacienda o el honor le va, ¿no es mayor inconveniente? ¿Quién por espejo está puesto al reino? Dejemos esto, que me voy a maldiciente. Como el toro a quien tiró la vara una diestra mano arremete al más cercano sin mirar a quién le hirió, así yo, con el dolor que esta nueva me ha causado,
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Se il rametto non è stato da sottile, raddrizzato, chi potrà drizzarlo adesso, fattosi tronco robusto? A Salamanca, signore, sono ragazzi d’umore gioviale, seguono il gusto; si danno gala col vizio, lustro con la goliardia, grandezza con la follia; e l’età fa il suo servizio. Ma nella corte, migliore correzione ci aspettiamo, giacché valide vediamo qui le scuole dell’onore. Molto mi fa divertire vedere che lei non sa com’è Madrid... forse qua non c’è chi insegni a mentire? Fosse anche don García un caso estremo, qui a corte c’è chi ogni dì mille volte lo vince nella bugia. E quando mente chi sta in un posto altolocato, in cose in cui all’ingannato la ricchezza o il nome va, è maggior inconveniente o no, se da specchio è messo nel regno? Lasciamo adesso, che mi faccio maldicente. Come il toro a cui ha tirato la lancia una destra mano attacca il meno lontano, non colui che la lanciava, così io, con il dolore che questa nuova mi ha dato, 1399
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en quien primero he encontrado ejecuté mi furor. Créame, que si García mi hacienda, de amores ciego, disipara, o en el juego consumiera noche y día; si fuera de ánimo inquieto y a pendencias inclinado, si mal se hubiera casado, si se muriera, en efeto, no lo llevara tan mal como que su falta sea mentir. ¡Qué cosa tan fea! ¡Qué opuesta a mi natural! Ahora bien; lo que he de hacer es casarle brevemente, antes que este inconveniente conocido venga a ser. Yo quedo muy satisfecho de su buen celo y cuidado, y me confieso obligado del bien que en esto me ha hecho. ¿Cuándo ha de partir? Querría luego. ¿No descansará algún tiempo y gozará de la corte? Dicha mía fuera quedarme con vos; pero mi oficio me espera. Ya entiendo; volar quisiera porque va a mandar. Adiós.
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a chi per primo ho trovato ho rivolto il mio furore. Se pure García, mi creda, i miei soldi dissipasse, cieco all’amore, o giocasse il giorno e la notte intera, se fosse troppo impulsivo ed alle risse inclinato, se mal si fosse sposato, se mi morisse, le dico che non l’avrei tanto a male come sapere che dice menzogne. Vizio infelice! Opposto al mio naturale! Ebbene, per rimediare lo ammoglierò sveltamente, prima che l’inconveniente si venga a manifestare. E rimango soddisfatto di lei per il grande zelo; obbligato mi rivelo per il bene che mi ha fatto: Quando partirà? Vorrei presto. Non riposerà un poco, non si godrà Madrid? Desidererei restare ancora ma vado, il mio lavoro mi attende. Capisco; addio. Il volo prende per assumere il comando. Esce don Beltrán.
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Guárdeos Dios. Dolor extraño le dio al buen viejo la nueva. Al fin, el más sabio lleva agramente un desengaño.
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Vase. Salen don García, de galán, y Tristán. GARCÍA TRISTÁN
GARCÍA
¿Díceme bien este traje? Divinamente, señor. ¡Bien hubiese el inventor de este holandesco follaje! Con un cuello apanalado, ¿qué fealdad no se enmendó? Yo sé una dama a quien dio cierto amigo gran cuidado mientras con cuello le vía; y una vez que llegó a verle sin él, la obligó a perderle cuanta afición le tenía, porque ciertos costurones en la garganta cetrina publicaban la ruina de pasados lamparones. Las narices le crecieron, mostró un gran palmo de oreja, y las quijadas, de vieja, en lo enjuto, parecieron. Al fin el galán quedó tan otro del que solía, que no le conocería la madre que le parió. Por ésa y otras razones me holgara de que saliera premática que impidiera esos vanos cangilones.
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Dio vi guardi. Che dolore dà al buon vecchio questa nuova! Perfino il più saggio trova amara la delusione. Esce. Entrano don García e Tristán.
DON GARCÍA TRISTÁN
DON GARCÍA
Così vestito sto bene? Divinamente, signore.. Benedetto l’inventore di quel frondame olandese! Questo collo ad alveare che bruttezza non ripara? So che una volta una dama un uomo prese ad amare perché aveva la gorgiera; ma dopo averlo guardato senza di quella, annullato fu l’interesse che aveva, perché la pelle macchiata lungo la gola cedrina denunciava la rovina della scrofola passata. Il naso gli raddoppiava, mostrava un palmo d’orecchia e le mascella, da vecchia, scarna com’era, affiorava. Fu l’aspetto che ne ebbe tanto diverso così che anche chi lo partorì non lo riconoscerebbe. Per questa ed altre ragioni mi piacerebbe che uscisse un decreto che bandisse questi vani lattugoni.
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Que, demás de esos engaños, con su holanda el extranjero saca de España el dinero para nuestros propios daños. Una valoncilla angosta, usándose le estuviera bien al rostro, y se anduviera más a gusto a menos costa. Y no que, con tal cuidado, sirve un galán a su cuello que, por no descomponello, se obliga a andar empalado. Yo sé quien tuvo ocasión de gozar su amada bella, y no osó llegarse a ella por no ajar un cangilón. Y esto me tiene confuso; todos dicen que se holgaran de que valonas se usaran, y nadie comienza el uso. De gobernar nos dejemos el mundo. ¿Qué hay de mujeres? El mundo dejas ¿y quieres que la carne gobernemos? ¿Es más fácil? Más gustoso. ¿Eres tierno? Mozo soy. Pues en lugar entras hoy donde Amor no vive ocioso. Resplandecen damas bellas en el cortesano suelo, de la suerte que en el cielo brillan lucientes estrellas. En el vicio y la virtud y el estado hay diferencia,
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Con questi olandesi inganni spende ricchezze la Spagna e l’estero ci guadagna, procurandoci dei danni. Un bel colletto di tela, se si usasse, donerebbe al viso, e ciascuno andrebbe più comodo a minor spesa. E non sia che, preoccupato, un uomo debba omaggiarlo tanto, per non rovinarlo, da camminare impalato. C’è chi ha avuto l’occasione di godere la sua amata, e non l’ha neanche sfiorata perché aveva un gorgierone. Però io sono confuso: perché, se tutti sostengono che i colli bassi convengono, nessuno comincia l’uso? Ma via, il governo lasciamo del mondo. E le donne? Dimmi. Lasci il mondo? Preferisci che la carne governiamo? È più facile? È gustoso. Sei blando? Giovane sono. Entrerai, ora, in un luogo dove Amore non è ozioso. Risplendono dame belle nel cortigiano terreno come brillano nel cielo le più luminose stelle, con, in virtù o corruzione e in rango, più differenza
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como es varia su influencia, resplandor y magnitud. Las señoras, no es mi intento que en este número estén, que son ángeles a quien no se atreve el pensamiento. Sólo te diré de aquellas que son, con almas livianas siendo divinas, humanas; corruptibles, siendo estrellas. Bellas casadas verás, conversables y discretas, que las llamo yo planetas porque resplandecen más. Éstas, con la conjunción de maridos placenteros, influyen en extranjeros dadivosa condición. Otras hay cuyos maridos a comisiones se van, o que en las Indias están, o en Italia, entretenidos. No todas dicen verdad en esto, que mil taimadas suelen fingirse casadas por vivir con libertad. Verás de cautas pasantes hermosas recientes hijas; éstas son estrellas fijas, y sus madres son errantes. Hay una gran multitud de señoras del tusón, que, entre cortesanas, son de la mayor magnitud. Síguense tras las tusonas otras que serlo desean,
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che nelle stelle influenza, e splendore e dimensione. Ma non voglio calcolare le signore nel drappello; sono angeli il cui livello non può il pensiero sfidare. Solo ti dirò di quelle che sono, anime mondane, anche se divine, umane, tangibili anche se stelle. Belle spose vedrai tu, abbordabili e discrete, che chiamo pianeti, stelle che risplendono di più. Queste, con la congiunzione dei loro sposi leggeri, influenzano stranieri dall’agiata condizione. Di altre i mariti, chiamati dagli affari, se ne vanno, o nelle colonie stanno o in Italia, spensierati. Non tutte dicono il vero in ciò; mille smaliziate fingono d’esser sposate per vivere in libertà. Vedrai furbe coadiuvanti con belle recenti figlie; queste sono stelle fisse, le madri comete erranti. C’è una grande moltitudine di signore tosonate, le cortigiane dotate di maggiore magnitudine; segue chi, non tosonata, il tosone lo vorrebbe,
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y, aunque tan buenas no sean, son mejores que busconas. Éstas son unas estrellas que dan menor claridad; mas, en la necesidad, te habrás de alumbrar con ellas. La buscona, no la cuento por estrella, que es cometa; pues ni su luz es perfeta ni conocido su asiento. Por las mañanas se ofrece amenazando al dinero, y, en cumpliéndose el agüero, al punto desaparece. Niñas salen que procuran gozar todas ocasiones; éstas son exhalaciones que, mientras se queman, duran. Pero que adviertas es bien, si en estas estrellas tocas, que son estables muy pocas, por más que un Perú les den. No ignores, pues yo no ignoro, que un signo el de Virgo es, y los de cuernos son tres: Aries, Capricornio y Toro. Y así, sin fiar en ellas, lleva un presupuesto solo, y es que el dinero es el polo de todas estas estrellas. ¿Eres astrólogo? Oí, el tiempo que pretendía en palacio, astrología. ¿Luego has pretendido? Fui pretendiente por mi mal.
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e sono migliori queste certo di quelle di strada. Hanno, queste ultime stelle, poca luminosità, ma se sei in necessità devi far luce con quelle. Quella di strada non dico che sia stella, ma cometa; la luce non è perfetta ed il posto non è fisso. Al mattino ai soldi appare come augurio sfortunato, e a presagio realizzato subitamente scompare. La ragazza che procura di godere a ogni occasione è come l’esalazione che il tempo che brucia dura. Ma sappi che anche se tu vorrai toccare questi astri, pochi ne troverai stabili anche gli dessi un Perù. La Vergine – io non lo ignoro, non lo ignorare – una è; ma i cornuti sono tre: Capricorno, Ariete e Toro. Senza fidarti di quelle dunque, segui un punto solo, cioè che il denaro è il polo di ognuna di tali stelle. Sei astrologo? Ho studiato, mentre cercavo una via a palazzo, astrologia. Un impiego? Sono stato postulante per mio male. 1409
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¿Cómo en servir has parado? Señor, porque me han faltado la fortuna y el caudal; aunque quien te sirve, en vano por mejor suerte suspira. Deja lisonjas y mira el marfil de aquella mano, el divino resplandor de aquellos ojos, que, juntas, despiden entre las puntas flechas de muerte y amor. ¿Dices aquella señora que va en el coche? Pues ¿cuál merece alabanza igual? ¡Qué bien encajaba agora esto de coche del sol, con todos sus adherentes de rayos de fuego ardientes y deslumbrante arrebol! La primer dama que vi en la corte me agradó. La primera en tierra. No; la primera en cielo, sí; que es divina esta mujer. Por puntos las toparás tan bellas, que no podrás ser firme en un parecer. Yo nunca he tenido aquí constante amor ni deseo, que siempre por la que veo me olvido de la que vi. ¿Dónde ha de haber resplandores que borren los de estos ojos? Míraslos ya con antojos que hacen las cosas mayores.
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Come sei giunto a servire? Signore, ho visto finire la fortuna e il capitale; ma poiché ti servo, è vano pensare a sorte più alta. Smetti le lusinghe e guarda l’avorio di quella mano, che col divino splendore di quei due occhi, congiunte, proiettano fra le punte frecce di morte e di amore. Vuoi dire quella signora nel cocchio? Altrimenti quale che meriti lode uguale? Sarebbe perfetta ora la metafora del sole, col carro e gli altri ingredienti, i raggi di fuoco ardenti e il luminoso fulgore! La prima dama di qui che ho visto mi innamorò. Prima in questa terra. No; la prima nel cielo, sì; più che una donna, è una dea. A breve ne incontrerai altre così, e non potrai esser fedele a un’idea. A Madrid non ho mai avuto fermo amore e desiderio, perché per ciò che vedevo dimenticavo il veduto. Può esserci uno splendore che superi sguardi tali? Stai guardando con occhiali che fanno tutto maggiore. 1411
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¿Conoces, Tristán?... No humanes lo que por divino adoras; porque tan altas señoras no tocan a los Tristanes. Pues yo, al fin, quien fuere sea, la quiero y he de servilla. Tú puedes, Tristán, seguilla. Detente, que ella se apea en la tienda. Llegar quiero. ¿Úsase en la corte? Sí, con la regla que te di de que es el polo el dinero. Oro traigo. ¡Cierra, España!, que a César llevas contigo; mas mira si en lo que digo mi pensamiento se engaña; advierte, señor, si aquélla que tras ella sale agora puede ser sol de su aurora, ser aurora de su estrella. Hermosa es también. Pues mira si la criada es peor. El coche es arco de amor y son flechas cuantas tira. Yo llego. A lo dicho advierte. ¿Y es? Que a la mujer rogando, y con el dinero dando. ¡Consista en eso mi suerte!
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Conosci...?
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Non fare umano ciò che per divino adori; quelle dame superiori ai Tristani non si danno. Sia chi sia, io ormai l’ho amata e ho deciso di servirla. E tu puoi, Tristán, seguirla. Aspetta, che si è fermata alla bottega. Io vado. Si usa nella corte? Sì, con la regola che qui polo in amore è il denaro. Ho dell’oro. Forza, Spagna, con un Cesare al tuo lato! Guarda se in ciò che ho enunciato il mio pensiero si inganna! Guarda, signore, se quella che viene dietro a lei ora qual sole segue l’aurora, o quale aurora la stella. Bella anche lei. Dunque guarda se la sua ancella è peggiore. Il cocchio è arco d’amore e frecce quelle che manda. Io vado. Ricorda il detto. Quale? La donna pregare e dalla borsa sganciare. Sia la mia fortuna in questo!
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO TRISTÁN
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Pues yo, mientras hablas, quiero que me haga relación el cochero de quién son. ¿Dirálo? Sí, que es cochero.
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Vase. Salen Jacinta, Lucrecia, Isabel con mantos; cae Jacinta y llega don García y dale la mano. JACINTA GARCÍA
JACINTA
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¡Válgame Dios! Esta mano os servid de que os levante, si merezco ser Atlante de un cielo tan soberano. Atlante debéis de ser, pues le llegáis a tocar. Una cosa es alcanzar y otra cosa merecer. ¿Qué vitoria es la beldad alcanzar por quien me abraso, si es favor que debo al caso, y no a vuestra voluntad? Con mi propria mano así el cielo, mas ¿qué importó, si ha sido porque él cayó y no porque yo subí? ¿Para qué fin se procura merecer? Para alcanzar. Llegar al fin, sin pasar por los medios, ¿no es ventura? Sí. Pues ¿cómo estáis quejoso del bien que os ha sucedido, si el no haberlo merecido os hace más venturoso?
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Io cercherò di sapere chi siano loro, intanto, al cocchiere domandando. Lo dirà? Certo; è cocchiere.
Va via Tristán. Entrano Jacinta, Lucrecia e Isabel, con i mantelli; Jacinta cade e don García le si avvicina porgendo la mano. JACINTA
Dio mi aiuti!
DON GARCÍA
Questa mano che vi rialzi lasciate, se merito essere Atlante di un cielo così sovrano. Atlante dovete essere, se lo potete toccare. Una cosa è l’arrivare, altra per merito accedere. Che vittoria è la beltà raggiungere, per cui avvampo, se è dono che devo al caso, non a vostra volontà? Ho toccato con la mano il cielo, ma cosa ho avuto, se è stato perché è caduto, non perché mi sia elevato? E a che fine si procura merito? Per arrivare. Giungere senza passare dal mezzo, non è fortuna? Sì. Perché non stimate il bene che è capitato, se chi non ha meritato fortunato anche a voi pare?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO GARCÍA
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Porque, como las acciones del agravio y el favor reciben todo el valor sólo de las intenciones, por la mano que os toqué no estoy yo favorecido, si haberlo vos consentido con esa intención no fue. Y así, sentir me dejad que, cuando tal dicha gano, venga sin alma la mano y el favor sin voluntad. Si la vuestra no sabía, de que agora me informáis, injustamente culpáis los defetos de la mía.
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Sale Tristán. TRISTÁN
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(El cochero hizo su oficio; nuevas tengo de quién son). ¿Que hasta aquí de mi afición nunca tuvistes indicio? ¿Cómo, si jamás os vi? ¿Tampoco ha valido, ¡ay Dios!, más de un año que por vos he andado fuera de mí? (¿Un año, y ayer llegó a la corte?) ¡Bueno a fe! ¿Más de un año? Juraré que no os vi en mi vida yo. Cuando del indiano suelo por mi dicha llegué aquí, la primer cosa que vi fue la gloria de ese cielo.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO DON GARCÍA
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Perché, dato che le azioni dell’offesa e del favore ricevono ogni valore soltanto dalle intenzioni, per la mano che ho toccato non mi sento favorito, se averlo voi consentito senza questo scopo è stato. Perciò tristezza mi dà che, avendo avuto il favore, mano venga senza cuore, grazia senza volontà. Se della volontà vostra solo ora mi informate, ingiustamente incolpate la mia come difettosa. Entra Tristán.
TRISTÁN
DON GARCÍA
JACINTA DON GARCÍA
TRISTÁN
JACINTA
DON GARCÍA
(Il postiglione ha parlato; so tutto delle signore.) Ma davvero del mio amore nessun segno vi è arrivato? Ma se non vi ho mai veduto! A nulla è valso, mio Dio, che da più di un anno io fuori di me sia vissuto? (Se solo ieri è arrivato a corte!) Da un anno, via! Giurerei che in vita mia non vi avevo mai incontrato. Quando il suolo del Perù per la mia gioia lasciai, ciò che per primo incontrai la gloria di un cielo fu.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO
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Y aunque os entregué al momento el alma, habéislo ignorado porque ocasión me ha faltado de deciros lo que siento. ¿Sois indiano? Y tales son mis riquezas, pues os vi, que al minado Potosí le quito la presunción. (¿Indiano?) ¿Y sois tan guardoso como la fama los hace? Al que más avaro nace, hace el amor dadivoso. ¿Luego, si decís verdad, preciosas ferias espero? Si es que ha de dar el dinero crédito a la voluntad, serán pequeños empleos, para mostrar lo que adoro, daros tantos mundos de oro como vos me dais deseos. Mas ya que ni al merecer de esa divina beldad, ni a mi inmensa voluntad ha de igualar el poder, por lo menos os servid que esta tienda que os franqueo dé señal de mi deseo. (No vi tal hombre en Madrid. Lucrecia, ¿qué te parece del indiano liberal?) (Que no te parece mal, Jacinta, y que lo merece.) Las joyas que gusto os dan, tomad de este aparador.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO
JACINTA DON GARCÍA
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L’anima a voi in quel momento diedi, e l’avete ignorato perché modo non c’è stato di dirvi quello che sento. Siete delle Indie? E così ricco, dopo il vostro incontro, che non reggono al confronto le miniere in Potosí. (Indiano?) E parsimonioso come di voi viene detto? Anche chi tiene più stretto, l’amore fa generoso. Quindi, se è la verità, doni mi devo aspettare? Se il denaro deve dare garanzia alla volontà, non sarà malvolentieri, per mostrare ciò che adoro, darvi tanti mondi d’oro quanti a me voi desideri. Non può vincer lo splendore della divina bellezza vostra, né la mia saldezza nel dimostrarvi l’amore, ma proverà, se vi pare, mettendo a disposizione questo emporio, l’affezione. (A Madrid, mai visto uguale.... Del generoso straniero, Lucrezia, che te ne pare?) (Vedo che non sembra male a te... e merita davvero!) I gioielli del bazar che vi piacciono scegliete.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO TRISTÁN GARCÍA ISABEL JACINTA
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GARCÍA
JACINTA GARCÍA JACINTA GARCÍA
JACINTA
(Mucho te arrojas, señor.) (Estoy perdido, Tristán.) (¡Don Juan viene!) Yo agradezco, señor, lo que me ofrecéis. Mirad que me agraviaréis si no lográis lo que ofrezco. Yerran vuestros pensamientos, caballero, en presumir que puedo yo recebir más que los ofrecimientos. Pues ¿qué ha alcanzado de vos el corazón que os he dado? El haberos escuchado. Yo lo estimo. Adiós. Adiós, y para amaros me dad licencia. Para querer no pienso que ha menester licencia la voluntad.
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Vanse las mujeres. GARCÍA TRISTÁN
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Síguelas. Si te fatigas, señor, por saber la casa de la que en amor te abrasa, ya la sé. Pues no las sigas, que suele ser enfadosa la diligencia importuna. «Doña Lucrecia de Luna se llama la más hermosa, que es mi dueño; y la otra dama que acompañándola viene
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO TRISTÁN DON GARCÍA ISABEL JACINTA
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DON GARCÍA
JACINTA DON GARCÍA JACINTA DON GARCÍA
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(Signore, assai vi esponete!) (Mi sono perso, Tristán.) (Ecco Don Juan!) Grata sono, signore, per quel che offrite. Guardate che mi ferite se non accettate il dono. Il vostro pensiero erra, cavaliere, nel pensare che io potrei mai accettare qualcosa più che l’offerta. Dunque che ho ottenuto io dopo che il cuore vi ho dato? L’avervi io ascoltato. Io lo apprezzo. Addio. Addio; datemi di corteggiarvi il permesso. Per amare, non penso si debba dare permesso alla volontà. Le donne vanno via.
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Seguile.
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Se è per andare, signore, a vedere dove vive chi ti arde d’amore, già lo so. Quindi restare sarà meglio; è indisponente la premura inopportuna. «Donna Lucrecia de Luna si chiama la più avvenente, mia padrona; e l’altra dama che accompagnandola viene,
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sé dónde la casa tiene, mas no sé cómo se llama.» Esto respondió el cochero. Si es Lucrecia la más bella, no hay más que saber, pues ella es la que habló y la que quiero; que, como el autor del día las estrellas deja atrás, de esa suerte a las demás la que me cegó vencía. Pues a mí la que calló me pareció más hermosa. ¡Qué buen gusto! Es cierta cosa que no tengo voto yo; mas soy tan aficionado a cualquier mujer que calla, que bastó para juzgalla más hermosa haber callado. Mas dado, señor, que estés errado tú, presto espero, preguntándole al cochero la casa, saber quién es. Y Lucrecia, ¿dónde tiene la suya? Que a la Vitoria dijo, si tengo memoria. Siempre ese nombre conviene a la esfera venturosa que da eclíptica a tal luna.
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Salen don Juan y don Félix, por otra parte. JUAN GARCÍA
¿Música y cena? ¡Ah, Fortuna! ¿No es éste don Juan de Sosa?
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so dove la casa tiene ma non so come si chiama». Questo ha detto il postiglione. Se è Lucrecia la più bella, tutto è chiaro; lei è quella che ha parlato e per cui ho amore; come l’autore del dì ogni altra stella oltrepassa, tutte le altre sopravanza lei che mi accecò così. Quella che non ha parlato mi è sembrata più graziosa. Che buon gusto! È certa cosa che non mi hanno interpellato; ma ho così bene voluto a ogni donna che non parla, che mi basta, a giudicarla più bella, che abbia taciuto. Ma giacché, signore, sei forse in errore, al cocchiere domanderò per sapere dove viva e chi sia lei. E Lucrecia, dove ha la sua? Mi pare, a Vitoria, se non erra la memoria. Questo nome si confà alla sfera venturosa che dà eclittica a tal luna. Entrano don Juan e don Félix, dall’altro lato.
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Musica e cena? Ah, Fortuna! Lui non è don Juan de Sosa?
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El mismo. ¿Quién puede ser el amante venturoso que me tiene tan celoso? Que lo vendréis a saber a pocos lances, confío. ¡Que otro amante le haya dado, a quien mía se ha nombrado, música y cena en el río! ¡Don Juan de Sosa! ¿Quién es? ¿Ya olvidáis a don García? Veros en Madrid lo hacía, y el nuevo traje. Después que en Salamanca me vistes muy otro debo de estar. Más galán sois de seglar que de estudiante lo fuistes. ¿Venís a Madrid de asiento? Sí. Bien venido seáis. Vos, don Félix, ¿cómo estáis? De veros, por Dios, contento. Vengáis bueno en hora buena. Para serviros. ¿Qué hacéis? ¿De qué habláis? ¿En qué entendéis? De cierta música y cena que en el río dio un galán esta noche a una señora era la plática agora. ¿Música y cena, don Juan? ¿Y anoche? Sí. ¿Mucha cosa? ¿Grande fiesta? Así es la fama.
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Proprio lui. Chi mai sarà il fortunato moroso che tanto mi fa geloso? Credo che lo si saprà secondo me, in poco tempo. Che ci sia un altro che dava, per lei che mia si chiamava, sul fiume un ricevimento! Don Juan de Sosa! Chi siete? Don García... già mi scordate? Siamo a Madrid, e indossate altre vesti... Conoscete me da Salamanca e credo che ero molto differente. Da laico ben più attraente che da studente vi vedo. Venite a stare a Madrid? Sì. Ben ricevuto siate. Voi, don Félix, come state? Contento che siate qui; state bene alla buon’ora. Per servirvi. E voi, che fate? Che dite? Di che parlate? Ieri al fiume, a una signora, pare che un corteggiatore un ricevimento tale abbia offerto, musicale... Musica e cena, signore? Ieri sera? Sì. Fastosa? Gran festa? Così è la fama. 1425
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¿Y muy hermosa la dama? Dícenme que es muy hermosa. ¡Bien! ¿Qué misterios hacéis? De que alabéis por tan buena esa dama y esa cena, si no es que alabando estéis mi fiesta y mi dama así. ¿Pues tuvistes también boda anoche en el río? Toda en eso la consumí. (¿Qué fiesta o qué dama es ésta, si a la corte llegó ayer?) ¿Ya tenéis a quien hacer, tan recién venido, fiesta? Presto el amor dio con vos. No ha tan poco que he llegado que un mes no haya descansado. (Ayer llegó, ¡voto a Dios! Él lleva alguna intención). No lo he sabido, a fe mía, que al punto acudido habría a cumplir mi obligación. He estado hasta aquí secreto. Ésa la causa habrá sido de no haberlo yo sabido. Pero la fiesta, en efeto, ¿fue famosa? Por ventura no la vio mejor el río. (¡Ya de celos desvarío!) ¿Quién duda que la espesura del Sotillo el sitio os dio? Tales señas me vais dando, don Juan, que voy sospechando que la sabéis como yo.
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E molto bella la dama? Estremamente graziosa. Bene! Cosa vi fa strano? Che lodiate come bella quella dama e quella festa, tranne che stiate lodando la mia festa e la mia dama. A nozze anche voi la sera ieri in riva al fiume? Intera in questo l’ho consumata. (Che festa e che dama è questa, se solo da ieri è qui?) Appena giunto a Madrid e avete già a chi far festa? Presto vi ha colpito amore. Sono da un mese arrivato e a riposo l’ho passato. (Ma se è qui da poche ore! Trama qualcosa, perdio!) Se solo avessi saputo; sarei subito venuto, com’era dovere mio. Sono stato qui in segreto. Dunque perciò sarà stato che non me ne hanno parlato. Ma allora, è stato un discreto banchetto? Forse mai il fiume tanto sfarzo aveva visto. (Dalla gelosia impazzisco!) Il verdore, si presume, del Sotillo fu la sede? Tali indizi state dando, don Juan, che sto sospettando che quanto me ne sapete. 1427
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No estoy de todo ignorante, aunque todo no lo sé; dijéronme no sé qué confusamente, bastante a tenerme deseoso de escucharos la verdad, forzosa curiosidad en un cortesano ocioso (o en un amante con celos).
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Don Félix habla aparte a don Juan. FÉLIX
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(Advertid cuán sin pensar os han venido a mostrar vuestro contrario los cielos.) Pues a la fiesta atended: contaréla, ya que veo que os fatiga ese deseo. Haréisnos mucha merced. Entre las opacas sombras y opacidades espesas que el Soto formaba de olmos y la noche de tinieblas, se ocultaba una cuadrada, limpia y olorosa mesa, a lo italiano curiosa, a lo español opulenta. En mil figuras prensados manteles y servilletas, sólo invidiaban las almas a las aves y a las fieras. Cuatro aparadores puestos en cuadra correspondencia, la plata blanca y dorada, vidrios y barros ostentan. Quedó con ramas un olmo en todo el Sotillo apenas,
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Non sono in tutto ignorante, ma non ogni cosa so; mi hanno detto solo un po’ e senz’ordine, bastante a farmi desideroso di udire la verità, forzata curiosità in un cortigiano ozioso... (o in un amante geloso). Parlano don Juan e don Félix tra loro.
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(Vedete, senza pensare vi vuole il Cielo indicare chi è il rivale misterioso.) Ora il racconto ascoltate della festa, giacché osservo che ne avete desiderio. Un gran favore ci fate. In mezzo alle opache ombre e ad all’oscurità spessa che dava la macchia di olmi e la notte di tenebra, si occultava una pulita, quadra ed odorosa mensa, italiana in eleganza e spagnola in opulenza. Piegati in mille decori tovaglioli e tovagliette solo invidiavano l’anima agli uccelli ed alle fiere. In quattro servizi posti in quadra corrispondenza argenti bianchi e dorati, vetri e stoviglie si ostenta. Conservò la chioma un olmo in tutto il boschetto appena, 1429
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que de ellas se edificaron, en varias partes, seis tiendas. Cuatro coros diferentes ocultan las cuatro de ellas; otra, principios y postres, y las vïandas, la sexta. Llegó en su coche mi dueño, dando envidia a las estrellas, a los aires, suavidad, y alegría a la ribera. Apenas el pie que adoro hizo esmeraldas la hierba, hizo cristal la corriente, las arenas hizo perlas, cuando, en copia disparados cohetes, bombas y ruedas, toda la región del fuego bajó en un punto a la tierra. Aún no las sulfúreas luces se acabaron, cuando empiezan las de veinte y cuatro antorchas a obscurecer las estrellas. Empezó primero el coro de chirimías; tras ellas, el de las vihuelas de arco sonó en la segunda tienda. Salieron con suavidad las flautas de la tercera, y, en la cuarta, cuatro voces, con guitarras y arpas suenan. Entre tanto, se sirvieron treinta y dos platos de cena, sin los principios y postres, que casi otros tantos eran. Las frutas y las bebidas en fuentes y tazas hechas del cristal que da el invierno
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perché qua e là con i rami sei chioschi a forma di tenda si fecero, e in quattro di essi c’era in ciascuno un’orchestra, in un’altra entrate e dolci, e le pietanze la sesta. Giunse in cocchio la mia dama, facendo invidia a ogni stella, facendo allegro il ruscello, dando ai venti morbidezza. Appena il piede che adoro rese smeraldo quell’erba rese cristallo quell’acqua e la sabbia rese perla, mille botti, ruote e razzi si esplosero con larghezza, tutta la sfera del fuoco facendo scendere in terra. Quella luce solforosa ancora non si era spenta che due dozzine di torce oscurarono ogni stella. Un coro di clarinetti suonò dalla prima tenda, seguiti da viole ad arco da un’altra, e dopo di essa fece udire soavemente i dolci flauti la terza, e quattro voci la quarta con arpe e chitarre getta. Trentadue cibi si servono nel frattempo, come cena, non contando entrata e dolce, che uguale abbondanza aveva. Frutta e bevande in vassoi o tazze poste, di quella materia che dà l’inverno, 1431
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y el artificio conserva, de tanta nieve se cubren que Manzanares sospecha, cuando por el Soto pasa, que camina por la sierra. El olfato no está ocioso cuando el gusto se recrea, que de espíritus süaves, de pomos y cazolejas y distilados sudores de aromas, flores y hierbas, en el Soto de Madrid se vio la región sabea. En un hombre de diamantes delicadas de oro flechas, que mostrasen a mi dueño su crueldad y mi firmeza, al sauce, al junco y al mimbre quitaron su preeminencia; que han de ser oro las pajas cuando los dientes son perlas. En esto, juntos en folla, los cuatro coros comienzan, desde conformes distancias, a suspender las esferas; tanto que, invidioso, Apolo apresuró su carrera, porque el principio del día pusiese fin a la fiesta. ¡Por Dios, que la habéis pintado de colores tan perfetas que no trocara el oírla por haberme hallado en ella! (¡Válgate el diablo por hombre! ¡Que tan de repente pueda pintar un convite tal que a la verdad misma venza!)
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conservata con la tecnica, di tanta neve si coprono che il Manzanarre sospetta, quando passa per il Soto, che scorre in mezzo alla sierra. Né l’olfatto resta in ozio mentre il gusto si ricrea, giacché in spiriti soavi, da qualche ampolla e brocchetta ed in stillati sudori di aromi, di fiori ed erba, lì, nel Soto di Madrid, trovò di Saba la terra. In un uomo di diamante, qualche dorata saetta, mostrando alla mia signora sua crudeltà, mia fermezza, al salice, al giunco e ai vimini toglieva la preminenza, perché dev’essere d’oro lo stecco se il dente è perla. In ciò, in coro da un drappello una musica si leva, dalle conformi distanze, a raggiungere ogni sfera; tanto che, invidioso, Apollo la corsa rese più svelta perché l’inizio del giorno ponesse fine alla festa. Per Dio, l’avete dipinta nei toni così perfetta, che non cambierei il racconto nemmeno con la presenza! (Che uomo! Lo porti il diavolo! Che così svelto riesca a descrivere un banchetto meglio della realtà stessa!) 1433
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Hablan don Juan y don Félix aparte. JUAN
(¡Rabio de celos!)
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(No os dieron del convite tales señas.) (¿Qué importa, si en la substancia, el tiempo y lugar concuerdan?) ¿Qué decís? Que fue el festín más célebre que pudiera hacer Alejandro Magno. ¡Oh! Son niñerías éstas ordenadas de repente. Dadme vos que yo tuviera para prevenirme un día, que a las romanas y griegas fiestas que al mundo admiraron nueva admiración pusiera.
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Don García mira dentro. Hablan don Félix y don Juan aparte. FÉLIX
JUAN
FÉLIX JUAN
(Jacinta es la del estribo, en el coche de Lucrecia.) (Los ojos a don García se le van, por Dios, tras ella.) (Inquieto está y divertido.) (Ciertas son ya mis sospechas.)
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Adiós.
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Entrambos a un punto fuistes a una cosa mesma. Vanse don Juan y don Félix.
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No vi jamás despedida tan conforme y tan resuelta.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO
Parlano don Juan e don Félix tra loro. DON JUAN
(Che rabbia!)
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(Non ci hanno detto queste cose della festa.) (Ma se concorda in sostanza, tempo e luogo, è proprio quella.) Che dite? Che un tal banchetto oltrepassare poteva quelli di Alessandro Magno. Oh! È una piccolezza questa messa insieme all’improvviso. Se facessi senza fretta, con un giorno di preavviso, ad ogni romana o greca festa abbia sorpreso il mondo, aggiungerei altra sorpresa.
DON JUAN
DON GARCÍA DON JUAN
DON GARCÍA
Don García guarda fuori scena. Parlano don Félix e don Juan tra loro. DON FÉLIX
DON JUAN
DON FÉLIX DON JUAN
Jacinta sta allo scalino del calesse di Lucrecia. Dietro di lei perde gli occhi don García, per Dio, a vederla. Sembra agitato e distratto. La mia idea si è fatta certa.
DON JUAN E DON GARCÍA
Addio.
DON FÉLIX
Tutti e due all’unisono diretti a una cosa stessa. Se ne vanno don Juan e don Félix.
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Mai visto un arrivederci così concorde e di fretta.
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Aquel cielo, primer móvil de mis acciones, me lleva arrebatado tras sí. Disimula y ten paciencia, que el mostrarse muy amante antes daña que aprovecha, y siempre he visto que son venturosas las tibiezas. Las mujeres y los diablos caminan por una senda, que a las almas rematadas ni las siguen ni las tientan; que el tenellas ya seguras les hace olvidarse de ellas, y sólo de las que pueden escapárseles se acuerdan. Es verdad, mas no soy dueño de mí mismo. Hasta que sepas extensamente su estado, no te entregues tan de veras; que suele dar, quien se arroja creyendo las apariencias, en un pantano cubierto de verde, engañosa hierba. Pues hoy te informa de todo. Eso queda por mi cuenta. Y agora, antes que reviente, dime, por Dios, ¿qué fin llevas en las ficciones que he oído? Siquiera para que pueda ayudarte, que cogernos en mentira será afrenta. Perulero te fingiste con las damas. Cosa es cierta, Tristán, que los forasteros
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Quel cielo, quel primo mobile dei miei atti, con violenza mi trascina dietro sé. Maschera ed abbi pazienza, che il mostrarsi molto amante solitamente danneggia, più che aiutare, ed è sempre fortunata la freddezza. Le donne e i diavoli vanno per una strada, la stessa: l’anima già conquistata non si segue né si tenta, perché averla già al sicuro li fa scordare di essa, ricordando solamente quella che non si è già presa. Già, ma non sono padrone di me... Finché con certezza non conoscerai il suo stato, non darti con interezza; perché trova, chi si lancia credendo nell’apparenza, una palude coperta di verde, infida erba. Oggi informati di tutto. Questo è di mia competenza. E ora – muoio per saperlo – di’, per Dio, qual è la meta delle bugie che ho sentito? Almeno, che io ti tenga il gioco, perché esser presi in castagna è grande offesa. Fingi d’essere tornato dal Perù... È faccenda certa, Tristán, che ha maggior fortuna 1437
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tienen más dicha con ellas, y más si son de las Indias, información de riqueza. Ese fin está entendido; mas pienso que el medio yerras, pues han de saber al fin quién eres. Cuando lo sepan habré ganado en su casa o en su pecho ya las puertas con ese medio, y después yo me entenderé con ellas. Digo que me has convencido, señor; mas agora venga lo de haber un mes que estás en la corte. ¿Qué fin llevas, habiendo llegado ayer? Ya sabes tú que es grandeza esto de estar encubierto o retirado en su aldea, o en su casa descansando. ¡Vaya muy en hora buena! Lo del convite entre agora. Fingílo porque me pesa que piense nadie que hay cosa que mover mi pecho pueda a invidia o admiración, pasiones que al hombre afrentan: que admirarse es ignorancia, como invidiar es bajeza. Tú no sabes a qué sabe, cuando llega un portanuevas muy orgulloso a contar una hazaña o una fiesta, taparle la boca yo con otra tal, que se vuelva
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con loro chi si presenta straniero, specie se indiano, cosa che indica ricchezza. Bene, il fine l’ho capito, ma il mezzo errato mi sembra, perché infine lo sapranno. Quando ne avranno coscienza di già la porta di casa o del cuore avranno aperta, grazie a questo mezzo, e allora ci troveremo d’intesa. Ti dico che mi hai convinto su questo, ma adesso venga quell’altra bugia: che è un mese che sei qui a corte. L’hai detta a quale scopo, se è un giorno? Sai che è una ricercatezza da altolocati, occultarsi in campagna in segretezza o stare a riposo in casa. E sia, vada pure questa! Ma che c’entrava il banchetto? L’ho finto, perché mi pesa che si possa immaginare che ci sia qualche faccenda che mi dia invidia o stupore, recando al mio onore offesa, giacché stupirsi è ignoranza come invidiare è bassezza. Non sai come mi diverto a qualcuno che novella molto orgoglioso di qualche grande impresa o bella festa a tappargli io la bocca con una tale che tenga
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con sus nuevas en el cuerpo y que reviente con ellas. ¡Caprichosa prevención, si bien peligrosa treta! La fábula de la corte serás, si la flor te entrevan. Quien vive sin ser sentido, quien sólo el número aumenta y hace lo que todos hacen, ¿en qué difiere de bestia? Ser famosos es gran cosa, el medio, cual fuere sea. Nómbrenme a mí en todas partes, y murmúrenme siquiera; pues uno, por ganar nombre, abrasó el templo de Efesia. Y, al fin, es éste mi gusto, que es la razón de más fuerza. Juveniles opiniones sigue tu ambiciosa idea, y cerrar has menester en la corte la mollera.
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Vanse y salen Jacinta y Isabel con mantos, y don Beltrán y don Sancho. JACINTA BELTRÁN
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¿Tan grande merced? No ha sido amistad de solo un día la que esta casa y la mía, si os acordáis, se han tenido; y así, no es bien que extrañéis mi visita. Si me espanto es, señor, por haber tanto que merced no nos hacéis.
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per sé quella storia in corpo fino a scoppiare con essa! Capricciosa strategia, pericolosa difesa! Sarai zimbello di corte se questa storia si svela! Chi vive senza esser visto, chi solo il numero aumenta e fa ciò che fanno tutti, in che è meglio della bestia? Avere fama è gran cosa, quale che sia la maniera. Mi si nomini dovunque, anche in maniera malevola, dato che uno, per la fama, incendiò il tempio di Efesia. Infine, questo è il mio gusto, ragione che ha più potenza. Opinioni giovanili segue l’ambiziosa idea che esponi, e bisogna a Corte chiudere la fontanella.
Escono ed entrano Jacinta e Isabel, con le mantelle, e don Beltrán e don Sancho. JACINTA
Voi qui? Che onore!
DON BELTRÁN
Non breve è stata la simpatia che questa casa e la mia legò già; perciò non deve stupirvi la mia presenza qui. Se mostriamo emozione è perché è molto, signore, che ne abbiamo fatto senza.
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Perdonadme que, ignorando el bien que en casa tenía, me tardé en la Platería, ciertas joyas concertando. Feliz pronóstico dais al pensamiento que tengo, pues, cuando a casaros vengo, comprando joyas estáis. Con don Sancho, vuestro tío, tengo tratado, señora, hacer parentesco agora nuestra amistad, y confío – puesto que, como discreto, dice don Sancho que es justo remitirse a vuestro gusto – que esto ha de tener efeto. Que, pues es la hacienda mía y calidad tan patente, sólo falta que os contente la persona de García. Y aunque ayer a Madrid vino de Salamanca el mancebo, y de envidia el rubio Febo le ha abrasado en el camino, bien me atreveré a ponello ante vuestros ojos claros, fiando que ha de agradaros desde la planta al cabello, si licencia le otorgáis para que os bese la mano. Encarecer lo que gano en la mano que me dais, si es notorio, es vano intento, que estimo de tal manera las prendas vuestras, que diera luego mi consentimiento, a no haber de parecer
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Perdonate che, ignorando qui tanto bene di avere tardassi dall’argentiere, certi gioielli ordinando. Buon pronostico mi date ad un progetto che tengo, se quando a sposarvi vengo comprando gioielli state. Con don Sancho, vostro zio, ho stabilito, signora, di far parentela ora la nostra amicizia, e fido – visto che, da buon discreto, dice don Sancho che è giusto rimandare al vostro gusto – che ciò possa avere effetto. E se la ricchezza mia e il rango sono evidenti, manca solo che presenti la persona di García. Anche se ieri è arrivato da Salamanca il rampollo, invidia del biondo Apollo che per strada l’ha abbronzato, oserò ai vostri occhi belli la sua persona mostrare fidando possa gustare dai piedi fino ai capelli, se licenza concedete perché vi baci la mano. Insistere sul guadagno che ho in ciò che mi proponete è evidente e non ha senso; ho sempre tanto stimato le vostre doti che dato avrei subito il consenso; però sarebbe sembrata 1443
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– por mucho que en ello gano – arrojamiento liviano en una honrada mujer. Que el breve determinarse en cosas de tanto peso, o es tener muy poco seso o gran gana de casarse. Y en cuanto a que yo lo vea me parece, si os agrada, que, para no arriesgar nada, pasando la calle sea. Que si, como puede ser y sucede a cada paso, después de tratarlo, acaso se viniese a deshacer, ¿de qué me hubieran servido, o qué opinión me darán las visitas de un galán con licencias de marido? Ya por vuestra gran cordura, si es mi hijo vuestro esposo, le tendré por tan dichoso como por vuestra hermosura. De prudencia puede ser un espejo la que oís. No sin causa os remitís, don Sancho, a su parecer. Esta tarde con García a caballo pasaré vuestra calle. Yo estaré detrás de esa celosía. Que le miréis bien os pido, que esta noche he de volver, Jacinta hermosa, a saber cómo os haya parecido.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO
DON BELTRÁN
DON SANCHO
DON BELTRÁN
JACINTA
DON BELTRÁN
– anche se a me conveniva – cosa leggera e impulsiva, poco da donna onorata; e in fretta determinarsi in cosa alta come questa, o è avere poca testa o è gran voglia di sposarsi. E sul vederlo, che sia – se credete che convenga – per non rischiare, che avvenga mentre passa per la via. Perché se, come è successo e succede di frequente, non se ne facesse niente dopo che l’avessi ammesso, a che mi sarà servito nella comune opinione avere un corteggiatore con licenza di marito? Per la gran vostra saggezza, se mio figlio sposerete felice lo renderete, oltre che per la bellezza. Uno specchio di prudenza è colei che vi ha parlato. Date a ragione, don Sancho, appoggio alla sua sentenza. Questa sera, con García, in sella percorrerò la vostra strada. Sarò dietro quella gelosia. Quando l’avrete guardato, la sera, io tornerò Jacinta bella, e saprò che ve ne sarà sembrato.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO JACINTA BELTRÁN
JACINTA BELTRÁN SANCHO BELTRÁN SANCHO
¿Tan apriesa? Este cuidado no admiréis, que es ya forzoso; pues si vine deseoso vuelvo agora enamorado. Y adiós. Adiós. ¿Dónde vais? A serviros. No saldré. Al corredor llegaré con vos, si licencia dais.
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Vanse los dos. ISABEL JACINTA
ISABEL
JACINTA
Mucha priesa te da el viejo. Yo se la diera mayor, pues tan bien le está a mi honor, si a diferente consejo no me obligara el amor; que, aunque los impedimentos del hábito de don Juan – dueño de mis pensamientos – forzosa causa me dan de admitir otros intentos, como su amor no despido, por mucho que lo deseo – que vive en el alma asido – tiemblo, Isabel, cuando creo que otro ha de ser mi marido. Yo pensé que ya olvidabas a don Juan, viendo que dabas lugar a otras pretensiones. Cáusanlo estas ocasiones, Isabel, no te engañabas. Que como ha tanto que está el hábito detenido,
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO JACINTA DON BELTRÁN
JACINTA DON BELTRÁN DON SANCHO DON BELTRÁN DON SANCHO
Così presto ritornate? Non vi stupisca; è forzoso che se fui desideroso ora ritorni adorante. Addio. Addio. Dove andate? A servirvi. Non andrò. Fino al portico verrò con voi, se licenza date. Vanno via entrambi.
ISABEL JACINTA
ISABEL
JACINTA
Quanta fretta ha questo vecchio. E io ce l’avrei maggiore, perché verrebbe a mio onore, se a diverso atteggiamento non mi obbligasse l’amore; perché se gli impedimenti dell’abito di don Juan – centro dei miei sentimenti – causa obbligata mi danno di ammettere pretendenti, il suo amore non lo lascio, nonostante lo vorrei – vive all’anima legato –; tremo al rischio che potrei, Isabel, sposare un altro. Pensavo che già scordavi don Juan, vedendo che davi luogo ad altri pretendenti. È per questi accadimenti, Isabel, non ti ingannavi. Ma poiché da molto attende l’abito di cavaliere,
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO
ISABEL
JACINTA
ISABEL
JACINTA
ISABEL JACINTA
ISABEL
y no ha de ser mi marido si no sale, tengo ya este intento por perdido. Y así, para no morirme, quiero hablar y divertirme, pues en vano me atormento; que en un imposible intento no apruebo el morir de firme. Por ventura encontraré alguno tal que merezca que mano y alma le dé. No dudo que el tiempo ofrezca sujeto digno a tu fe; y, si no me engaño yo, hoy no te desagradó el galán indiano. Amiga, ¿quieres que verdad te diga? Pues muy bien me pareció. Y tanto, que te prometo que si fuera tan discreto, tan gentilhombre y galán el hijo de don Beltrán, tuviera la boda efeto. Esta tarde le verás con su padre por la calle. Veré sólo el rostro y talle; el alma, que importa más, quisiera ver con hablalle. Háblale. Hase de ofender don Juan si llega a sabello, y no quiero, hasta saber que de otro dueño he de ser, determinarme a perdello. Pues da algún medio, y advierte que siglos pasas en vano
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ISABEL
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ISABEL
JACINTA
ISABEL JACINTA
ISABEL
e non posso, se non lo ha, sposarlo, è bene che già dia il progetto per perdente. E così, per non morire, mi voglio un po’ divertire perché invano mi tormento; non trovo giusto perire fedele a un assurdo intento. Prima o dopo troverò uno che meriti, e allora mano ed anima darò. Sono certa che in buon’ora sarai fortunata in ciò. Ed oggi, se ho ben capito, non ti è rimasto sgradito il galante indiano. Amica, vuoi davvero che ti dica? Mi è rimasto assai gradito; e tanto che, in verità, se avesse tanta beltà, grazia e eleganza il figliolo di Don Beltrán, dico solo che la mia mano otterrà. Questa sera passerà col padre, e lo guarderai. Viso e corpo si vedrà; l’anima più peso ha; la guarderei col parlargli, Parlagli. Si offenderebbe don Juan se mai lo sapesse, e non voglio, se non so che di un altro io sarò, dato che mi lascerebbe. Trova un modo, e non scordare che passi secoli invano; 1449
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO
JACINTA
ISABEL
JACINTA
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y conviene resolverte, que don Juan es, de esta suerte, el perro del hortelano. Sin que lo sepa don Juan podrás hablar, si tú quieres, al hijo de don Beltrán; que como en su centro están las trazas en las mujeres. Una pienso que podría en este caso importar. Lucrecia es amiga mía; ella puede hacer llamar de su parte a don García; que, como secreta esté yo con ella en su ventana, este fin conseguiré. Industria tan soberana sólo de tu ingenio fue. Pues parte al punto, y mi intento le di a Lucrecia, Isabel. Sus alas tomaré al viento. La dilación de un momento le di, que es un siglo en él.
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Don Juan encuentra a Isabel al salir. JUAN ISABEL
¿Puedo hablar a tu señora? Sólo un momento ha de ser, que de salir a comer mi señor don Sancho es hora. Vase.
JUAN
JACINTA
Ya, Jacinta, que te pierdo, ya que yo me pierdo, ya... ¿Estás loco?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO
JACINTA
ISABEL
JACINTA
ISABEL JACINTA
don Juan fa proprio pensare al cane dell’ortolano, non mangia e non fa mangiare. Senza farglielo scoprire, a parlare riuscirai col figlio di don Beltrán; che le trame, come sai, le donne le sanno ordire. Una immagino che sia opportuna da applicare: Lucrecia è amica mia; lei potrebbe far chiamare da parte sua don García, e se lei sarà discreta, io con lei, alla sua finestra, raggiungerò la mia meta. Una trama come questa tu sola potevi tesserla. Vai subito, e del mio intento Lucrecia informa, Isabel. Ruberò le ali al vento. Di’ che non tardi: un momento sono cent’anni per me. Esce don Juan e va loro incontro.
DON JUAN ISABEL
Mi annunci alla tua signora? Solo un momento può stare, ché deve andare a mangiare don Sancho proprio a quest’ora. Va via Isabel.
DON JUAN
JACINTA
Ormai, Jacinta, ti perdo, già che io mi perdo già... Sei impazzito?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO JUAN
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JUAN
JACINTA JUAN
¿Quién podrá estar con tus cosas cuerdo? Repórtate y habla paso, que está en la cuadra mi tío. Cuando a cenar vas al río, ¿cómo haces de él poco caso? ¿Qué dices? ¿Estás en ti? Cuando para trasnochar con otro tienes lugar, ¿tienes tío para mí? ¿Trasnochar con otro? Advierte que, aunque eso fuese verdad, era mucha libertad hablarme a mí de esa suerte; cuanto más que es desvarío de tu loca fantasía. Ya sé que fue don García el de la fiesta del río; ya los fuegos que a tu coche, Jacinta, la salva hicieron; ya las antorchas que dieron sol al Soto a media noche; ya los cuatro aparadores con vajillas varïadas; las cuatro tiendas pobladas de instrumentos y cantores. Todo lo sé; y sé que el día te halló, enemiga, en el río; di agora que es desvarío de mi loca fantasía. Di agora que es libertad el tratarte de esta suerte, cuando obligan a ofenderte mi agravio y tu liviandad. ¡Plega a Dios!... Deja invenciones, calla, no me digas nada,
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO DON JUAN
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JACINTA
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Chi potrà restare sano con questo? Calmati e parla più basso, c’è mio zio che può ascoltare. Quando al fiume vai a cenare, com’è che non ci fai caso? Che stai dicendo? Sei in te? Per fare tardi la sera impedimento non c’era mentre c’è tuo zio per me? Tardi con un altro? Sappi che, anche quando fosse vero, certo a nessuno è permesso in tal modo di parlarmi, e più essendo uno svarione della tua strana follia. So che è stato don García quello della festa al fiume; e dei fuochi che il tuo cocchio, Jacinta, a salve accoglievano, delle torce che splendevano come sole a mezzanotte; e dei quattro tavolini con le stoviglie variate, le quattro tende abitate da strumenti e da cantori. So tutto; e so anche, nemica, che il giorno ti trovò al fiume; ora di’ che è uno svarione della mia strana follia. Ora di’ che non permetti che io ti parli in tal maniera, se mi spingono all’offesa l’onta e la tua leggerezza! Dio mio! Lascia le invenzioni. Silenzio. Non dire niente, 1453
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO PRIMERO
JACINTA JUAN
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que en ofensa averiguada no sirven satisfaciones. Ya, falsa, ya sé mi daño; no niegues que te he perdido; tu mudanza me ha ofendido, no me ofende el desengaño. Y aunque niegues lo que oí, lo que vi confesarás; que hoy lo que negando estás en sus mismos ojos vi. Y su padre, ¿qué quería agora aquí? ¿Qué te dijo? ¿De noche estás con el hijo y con el padre de día? Yo lo vi; ya mi esperanza en vano engañar dispones; ya sé que tus dilaciones son hijas de tu mudanza. Mas cruel, ¡viven los cielos que no has de vivir contenta! Abrásete, pues revienta, este vulcán de mis celos. El que me hace desdichado te pierda, pues yo te pierdo. ¿Tú eres cuerdo? ¿Cómo cuerdo, amante y desesperado? Vuelve, escucha; que si vale la verdad, presto verás cuán mal informado estás. Voyme, que tu tío sale. No sale; escucha, que fío satisfacerte. Es en vano, si aquí no me das la mano. ¿La mano? Sale mi tío.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO PRIMO
JACINTA DON JUAN
JACINTA
DON JUAN JACINTA
DON JUAN
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perché in offesa evidente non servono spiegazioni. Falsa, conosco il mio danno; non negare che ti ho perso; la tua incostanza mi ha offeso, non mi offende il disinganno. E se neghi quel che udii, quel che vidi ammetterai; quel che oggi negando stai io coi miei stessi occhi vidi. E suo padre, qui d’intorno cosa faceva in consiglio? La notte stai con il figlio e con il padre di giorno? Ti ho vista; la mia speranza a ingannare ti disponi invano; le dilazioni son figlie dell’incostanza. Ma, crudele, in fede mia, contenta non potrai stare! Ardi; sta per eruttare, vulcano, la gelosia! Chi mi rende sventurato ti perda, come io ti perdo. Sei in te? Potrebbe mai esserlo un amante disperato? Torna indietro e sta a sentire, che se la verità vale vedrai che hai capito male. Vado; tuo zio deve uscire. Non esce; ascolta, confido che saprò spiegarti. Invano, se qui non mi dai la mano. La mano? Arriva mio zio.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO Salen don García, en cuerpo, leyendo un papel, Tristán y Camino. PAPEL
«La fuerza de una ocasión me hace exceder el orden de mi estado. Sabrála v.m. esta noche por un balcón que le enseñará el portador, con lo demás que no es para escrito, y guarde Nuestro Señor...»
GARCÍA
¿Quién este papel me escribe? Doña Lucrecia de Luna. (El alma, sin duda alguna, que dentro en mi pecho vive.) ¿No es ésta una dama hermosa que hoy, antes de medio día, estaba en la Platería? Sí, señor. (¡Suerte dichosa!) Informadme, por mi vida, de las partes de esta dama. Mucho admiro que su fama esté de vos escondida. Porque la habéis visto, dejo de encarecer que es hermosa; es discreta y virtüosa, su padre es viudo y es viejo; dos mil ducados de renta los que ha de heredar serán, bien hechos. ¿Oyes, Tristán? Oigo, y no me descontenta. En cuanto a ser principal, no hay que hablar: Luna es su padre y fue Mendoza su madre, tan finos como un coral.
CAMINO GARCÍA
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO Entrano in scena don García, in vesti da casa, leggendo un biglietto, Tristán e Camino. BIGLIETTO
«La forza di un’occasione mi porta a prescindere da ciò che si conviene al mio stato. La conoscerà Vostra Grazia stanotte da un balcone che il latore della presente le mostrerà, con tutto ciò che non è opportuno scrivere, e conservi Nostro Signore...»
DON GARCÍA
Chi questa carta mi scrive? Donna Lucrecia de Luna. (L’anima, non ho nessuna incertezza, che in me vive.) Non è quella bella dama che proprio questa mattina era nell’argenteria? Sì, signore. (Sorte grata!) Raccontatemi, vi prego, le doti di questa dama. È strano che la sua fama non vi sia giunta all’orecchio. L’avete vista, ed ometto di dirvi che è assai graziosa; è discreta ed è virtuosa; suo padre è vedovo e vecchio; duemila scudi di rendita alla sua morte lei avrà e oltre. Sentito, Tristán? Sentito, e non mi scontenta. In quanto ad alti natali non c’è dubbio; è un Luna il padre, e Mendoza era la madre, nobili come coralli.
CAMINO DON GARCÍA
CAMINO DON GARCÍA
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
GARCÍA
CAMINO GARCÍA
CAMINO GARCÍA CAMINO
GARCÍA
CAMINO
Doña Lucrecia, en efeto, merece un rey por marido. (¡Amor, tus alas te pido para tan alto sujeto!) ¿Dónde vive? A la Victoria. (Cierto es mi bien.) Que seréis, dice aquí, quien me guiéis al cielo de tanta gloria. Serviros pienso a los dos. Y yo lo agradeceré. Esta noche volveré, en dando las diez, por vos. Eso le dad por respuesta a Lucrecia. A Dios quedad.
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Vase. GARCÍA
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TRISTÁN
GARCÍA
¡Cielos! ¡Qué felicidad! Amor, ¿qué ventura es ésta? ¿Ves, Tristán, cómo llamó la más hermosa el cochero a Lucrecia, a quien yo quiero? Que es cierto que quien me habló es la que el papel me envía. Evidente presunción. Que la otra, ¿qué ocasión para escribirme tenía? Y a todo mal suceder, presto de duda saldrás, que esta noche la podrás en la habla conocer. Y que no me engañe es cierto, según dejó en mi sentido impreso el dulce sonido de la voz con que me ha muerto.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
DON GARCÍA
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CAMINO DON GARCÍA CAMINO
DON GARCÍA
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Donna Lucrecia davvero merita un re di sposare. (Amore, mi dovrai dare le tue ali a tale effetto!) Dove abita? Alla Vitoria. (Certo è il mio bene). Sarete voi, leggo, che guiderete me al cielo di tanta gloria. Voglio servire lei e voi. E ve ne ringrazierò. Questa notte tornerò, alle dieci, qui da voi. Per risposta date questa a Lucrecia. In Dio restate! Esce.
DON GARCÍA
TRISTÁN DON GARCÍA
TRISTÁN
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Cieli, che gioia mi date! Amore, che sorte è questa? Il cocchiere ha menzionato Lucrecia, che è la mia amata, come quella più aggraziata; è quella che mi ha parlato, dunque, che il foglio spediva. Legittima deduzione. L’altra per quale ragione mi invierebbe una missiva? E se anche così non fosse il dubbio ti toglierai, perché stanotte potrai riconoscerne la voce. Non sbaglierò, è garantito; conservo nel sentimento il dolce suono, qui impresso, della voce che mi ha ucciso. 1459
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
Sale un Paje con un papel; dalo a don García. PAJE
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Éste, señor don García, es para vos. No esté así. Criado vuestro nací. Cúbrase, por vida mía.
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Lee a solas don García. «Averiguar cierta cosa importante a solas quiero con vos. A las siete espero en San Blas. Don Juan de Sosa.» (¡Válgame Dios! ¿Desafío? ¿Qué causa puede tener don Juan, si yo vine ayer y él es tan amigo mío?) Decid al señor don Juan que esto será así.
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Vase el Paje. TRISTÁN
GARCÍA TRISTÁN GARCÍA TRISTÁN GARCÍA
Señor, mudado estás de color. ¿Qué ha sido? Nada, Tristán. No puedo saberlo? No. Sin duda es cosa pesada. Dame la capa y espada.
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Vase Tristán. (¿Qué causa le he dado yo?) Sale don Beltrán. 1460
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
Entra un Paggio recando un foglio, e lo porge a don García. PAGGIO
DON GARCÍA PAGGIO DON GARCÍA
Don García, vi porto questo foglio. Non resti inchinato. Servo vostro sono nato. Si copra il capo, la prego. Legge da parte don García. «Trattare una certa cosa con voi a quattr’occhi pretendo; oggi alle sette vi attendo a San Blas. Don Juan de Sosa.» (Iddio mi aiuti! Un duello! Che motivo ci sarà se è tanto amico don Juan e io sono giunto adesso?) Dite pure al signor Juan che ci sarò. Il Paggio se ne va.
TRISTÁN
DON GARCÍA TRISTÁN DON GARCÍA TRISTÁN DON GARCÍA
Mio signore, sei mutato di colore. Che è stato? Nulla, Tristán. Non posso saperlo? No. Certo è cosa complicata. Portami qui cappa e spada. Va via Tristán. (Ma cosa fatto gli avrò?) Entra don Beltrán. 1461
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO BELTRÁN GARCÍA BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
¿García? ¿Señor? Los dos a caballo hemos de andar juntos hoy, que he de tratar cierto negocio con vos. ¿Mandas otra cosa? ¿Adónde vais cuando el sol echa fuego?
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Sale Tristán y dale de vestir a don García. GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
Aquí a los trucos me llego de nuestro vecino el conde. No apruebo que os arrojéis, siendo venido de ayer, a daros a conocer a mil que no conocéis; si no es que dos condiciones guardéis con mucho cuidado, y son: que juguéis contado y habléis contadas razones. Puesto que mi parecer es éste, haced vuestro gusto. Seguir tu consejo es justo. Haced que a vuestro placer aderezo se prevenga a un caballo para vos. A ordenallo voy. Adiós.
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Vase [don García]. BELTRÁN
(¡Que tan sin gusto me tenga lo que su ayo me dijo!) ¿Has andado con García, Tristán?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO DON BELTRÁN DON GARCÍA DON BELTRÁN
GARCÍA DON BELTRÁN
Don García? Signore? Noi quest’oggi a cavallo andremo insieme, perché dovremo trattare affari, io e voi. Desideri altro? Vai dove, mentre in alto il sole arde?
Entra Tristán portando il mantello a don García. DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON GARCÍA DON BELTRÁN
DON GARCÍA DON BELTRÁN
Al truco vado a giocare dal nostro vicino, il conte. Non voglio che vi lanciate, essendo qui da un sol giorno, a farvi notare intorno da mille che non notate; due condizioni vi pongo strettamente da osservare: la prima, poco giocare e l’altra, parlare poco. Ecco, questo è il mio parere; ora fate a vostro gusto. Seguire il consiglio è giusto. Fate che a vostro piacere a lusso bardato venga un cavallo per voi adesso. Vado a dar l’ordine. A presto. Esce [don García].
DON BELTRÁN
(Che così afflitto mi tenga ciò che l’aio ha riferito!) Sei andato con lui intorno, oggi, Tristán? 1463
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO TRISTÁN BELTRÁN
TRISTÁN
BELTRÁN
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BELTRÁN
TRISTÁN
BELTRÁN TRISTÁN
Señor, todo el día. Sin mirar en que es mi hijo, si es que el ánimo fiel que siempre en tu pecho he hallado agora no te ha faltado, me di lo que sientes de él. ¿Qué puedo yo haber sentido en un término tan breve? Tu lengua es quien no se atreve, que el tiempo bastante ha sido, y más a tu entendimiento. Dímelo, por vida mía, sin lisonja. Don García, mi señor, a lo que siento – que he de decirte verdad, pues que tu vida has jurado – ... De esa suerte has obligado siempre a ti mi voluntad. ...tiene un ingenio excelente, con pensamientos sutiles; mas caprichos juveniles con arrogancia imprudente. De Salamanca rebosa la leche, y tiene en los labios los contagiosos resabios de aquella caterva moza: aquel hablar arrojado, mentir sin recato y modo; aquel jactarse de todo y hacerse en todo extremado... Hoy, en término de un hora, echó cinco o seis mentiras. ¡Válgame Dios! ¿Qué te admiras?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO TRISTÁN DON BELTRÁN
TRISTÁN
DON BELTRÁN
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DON BELTRÁN
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DON BELTRÁN TRISTÁN
Tutto il giorno. Non guardare che è mio figlio; se la fedeltà di cui sempre sei apparso dotato dal petto non hai strappato, dimmi che pensi di lui. Cosa posso aver pensato stando con lui poche ore ? La lingua non vuol rispondere ma il tempo abbastanza è stato, come il tuo discernimento. Dimmelo, per vita mia, senza tema. Don García, mio signore, a quel che sento – ti dirò la verità, sulla tua vita hai giurato... – Proprio così hai obbligato sempre la mia volontà. ...ha un ingegno che è eccellente, pensieri sempre sottili; ma capricci giovanili con arroganza imprudente. Salamanca l’ha imbevuto del suo latte, e sulla labbra della masnada goliardica ha il pesante retrogusto: quel parlare irrefrenato, mentire senza prudenza, vantarsi con impudenza, render tutto estremizzato... Oggi, nel giro di un’ora cinque o sei volte ha mentito. Dio mi assista! Sei stupito?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
BELTRÁN TRISTÁN
BELTRÁN TRISTÁN
BELTRÁN
Pues lo peor falta agora; que son tales, que podrá cogerle en ellas cualquiera. ¡Ah, Dios! Yo no te dijera lo que tal pena te da, a no ser de ti forzado. Tu fe conozco y tu amor. A tu prudencia, señor, advertir será excusado el riesgo que correr puedo si esto sabe don García, mi señor. De mí confía; pierde, Tristán, todo el miedo. Manda luego aderezar los caballos.
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Vase Tristán. Santo Dios, pues esto permitís vos, esto debe de importar. A un hijo solo, a un consuelo que en la tierra le quedó a mi vejez triste, dio tan gran contrapeso el cielo? Ahora bien, siempre tuvieron los padres disgustos tales; siempre vieron muchos males los que mucha edad vivieron. ¡Paciencia! Hoy he de acabar, si puedo, su casamiento. Con la brevedad intento este daño remediar, antes que su liviandad, en la corte conocida,
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
DON BELTRÁN TRISTÁN
DON BELTRÁN TRISTÁN
DON BELTRÁN
Non conosci il peggio ancora; bugie tali, che potrà chiunque coglierlo in fallo. Dio mio! Non te ne avrei fatto cenno, sapendo che dà pena a te, se non costretto. So la tua fede e il tuo amore. La tua prudenza, signore, certo avvertire non devo del rischio che correrà, se sa questo don García, il suo servo. In me confida. Non c’è alcun rischio, Tristán. Ora vai pure, e prepara i cavalli. Va via Tristán.
DON BELTRÁN
Santo Iddio, ci dev’essere un motivo se permettete che accada. A un figlio solo, al sostegno che qui in terra mi lasciate per la vecchiaia, voi date tale contrappeso, Cielo? Ebbene, sempre hanno avuto i genitori guai tali, sempre ha visto molti mali chi una lunga età ha vissuto. Basta; farò terminare con le nozze tutto ciò, e in breve tempo potrò questo danno rimediare, prima che la leggerezza sia qui a corte conosciuta 1467
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
los casamientos le impida que pide su calidad. Por dicha, con el cuidado que tal estado acarrea, de una costumbre tan fea se vendrá a haber enmendado. Que es vano pensar que son el reñir y aconsejar bastantes para quitar una fuerte inclinación.
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Sale Tristán. TRISTÁN
BELTRÁN TRISTÁN
Ya los caballos están, viendo que salir procuras, probando las herraduras en las guijas del zaguán. Porque con las esperanzas de tan gran fiesta, el overo a solas está, primero, ensayando sus mudanzas; y el bayo, que ser procura émulo al dueño que lleva, estudia con alma nueva movimiento y compostura. Avisa, pues, a García. Ya te espera tan galán, que en la corte pensarán que a estas horas sale el día.
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Vanse. Salen Isabel y Jacinta. ISABEL
La pluma tomó al momento Lucrecia, en ejecución de tu agudo pensamiento, y esta noche en su balcón,
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e un matrimonio precluda confacente alla sua altezza. Per mia gioia, con lo stato e i pensieri che comporta, da una piaga così sconcia si vedrà presto emendato. Vana, infatti, è l’opinione che ammonire e consigliare bastino ad eliminare una tale propensione. Entra Tristán. TRISTÁN
DON BELTRÁN TRISTÁN
Già i cavalli hanno iniziato, poiché hai deciso di uscire, a provare, giù in cortile, i ferri sul lastricato. Perché avendo la speranza di tale festa, il marrone da solo sta, in previsione, provando passi di danza. E il baio, che l’andatura vuole adeguare al padrone, studia con nuova attenzione le movenze e la postura. Avvisa García, allora. Ti aspetta, così abbigliato che tutti a Madrid diranno che sorge il giorno a quest’ora. Escono. Entrano Isabel e Jacinta.
ISABEL
Subito ha preso la penna Lucrecia, in esecuzione della tua felice idea, e questa notte al balcone, 1469
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JACINTA ISABEL
JACINTA ISABEL JACINTA
para tratar cierto intento, le escribió que aguardaría, para que puedas en él platicar con don García. Camino llevó el papel, persona de quien se fía. Mucho Lucrecia me obliga. Muestra en cualquier ocasión ser tu verdadera amiga. ¿Es tarde? Las cinco son. Aun durmiendo me fatiga la memoria de don Juan, que esta siesta le he soñado celoso de otro galán.
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Miran adentro. ISABEL
JACINTA ISABEL
JACINTA
ISABEL
¡Ay, señora! Don Beltrán y el perulero a su lado. ¿Qué dices? Digo que aquél que hoy te habló en la Platería viene a caballo con él. Mírale. ¡Por vida mía que dices verdad, que es él! ¿Hay tal? ¿Cómo el embustero se nos fingió perulero, si es hijo de don Beltrán? Los que intentan siempre dan gran presunción al dinero, y con ese medio, hallar entrada en tu pecho quiso, que debió de imaginar que aquí le ha de aprovechar más ser Midas que Narciso.
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JACINTA ISABEL
JACINTA ISABEL JACINTA
per trattare un certo tema, scrisse che l’aspetterà, perché tu da più vicino a don García parli, e già portò il messaggio Camino, di cui sa la fedeltà. Molto devo esserle grata. Lucrecia si è dimostrata sempre una tua grande amica. È ora? Le cinque; è vicina. Anche dormendo mi assilla la memoria di don Juan, che proprio oggi ho sognato ingelosirsi di un altro. Guardano fuori scena.
ISABEL
JACINTA ISABEL
JACINTA
ISABEL
Oh signora! Don Beltrán col peruviano al suo fianco. Cosa? Dico che colui che era nell’argenteria viene a cavallo con lui. Guarda. Per la vita mia! Dici il vero, è proprio lui! Si è mai visto? Il truffatore non viene dalle colonie ma è figlio di don Beltrán! Chi corteggia ai soldi dà sempre parecchio valore; pensò di poter trovare per il tuo cuore un appiglio, e dovette immaginare che qui avrebbe più profitto da Mida che da Narciso. 1471
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ISABEL
JACINTA
ISABEL
En decir que ha que me vio un año, también mintió, porque don Beltrán me dijo que ayer a Madrid su hijo de Salamanca llegó. Si bien lo miras, señora, todo verdad puede ser, que entonces te pudo ver, irse de Madrid, y agora de Salamanca volver. Y cuando no, ¿qué te admira que, quien a obligar aspira prendas de tanto valor, para acreditar su amor se valga de una mentira? Demás que tengo por llano, si no miente mi sospecha, que no lo encarece en vano; que hablarte hoy su padre, es flecha que ha salido de su mano. No ha sido, señora mía, acaso que el mismo día que él te vio y mostró quererte, venga su padre a ofrecerte por esposo a don García. Dices bien; mas imagino que el término que pasó desde que el hijo me habló hasta que su padre vino, fue muy breve. Él conoció quién eres; encontraría su padre en la Platería, hablóle, y él, que no ignora tus calidades y adora justamente a don García, vino a tratarlo al momento.
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ISABEL
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Nel dire che mi ha già visto un anno fa, mi ha mentito, perché ha detto don Beltrán che solo da ieri il figlio che era a Salamanca, è qua. A ben guardare, signora, potrebbe essere accaduto; forse ti avrà conosciuto prima di partire, ed ora da Salamanca ritorna. E se no, non ti stupisca che chi a meritare aspira gioie di tale valore, per accreditar l’amore si avvalga di una bugia. E do inoltre per scontato, se non mi inganno, che al padre non ti abbia elogiato invano; la proposta è stata strale scagliato dalla sua mano. Non sarà di certo un caso che il dì stesso che García ti ha visto e ti ha corteggiato il padre, signora mia, per lui chieda la tua mano. Dici bene, ma mi pare che poco tempo ha voluto porre in mezzo, ed è venuto il padre senza aspettare abbastanza. Avrà saputo chi sei; poi avrà incontrato suo padre in argenteria; e il padre, che non ignora le tue qualità e che adora giustamente don García, venne a trattare al momento. 1473
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Al fin, como fuere sea. De sus partes me contento, quiere el padre, él me desea; da por hecho el casamiento.
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Vanse. Salen don Beltrán y don García. BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
¿Qué os parece? Que animal no vi mejor en mi vida. ¡Linda bestia! Corregida de espíritu racional. ¡Qué contento y bizarría! Vuestro hermano don Gabriel, que perdone Dios, en él todo su gusto tenía. Ya que convida, señor, de Atocha la soledad, declara tu voluntad. Mi pena, diréis mejor. ¿Sois caballero, García? Téngome por hijo vuestro. ¿Y basta ser hijo mío para ser vos caballero? Yo pienso, señor, que sí. ¡Qué engañado pensamiento! Sólo consiste en obrar como caballero el serlo. ¿Quién dio principio a las casas nobles? Los ilustres hechos de sus primeros autores. Sin mirar sus nacimientos, hazañas de hombres humildes honraron sus herederos.
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Infine, sia come sia, dei suoi pregi mi contento. Vuole il padre, lui desidera; si faccia il fidanzamento. Escono. Entrano don Beltrán e don García.
DON BELTRÁN
Che dite?
DON GARCÍA
Una bestia tale non ho mai visto finora. Bel cavallo! Avesse ancora lo spirito razionale, che eleganza e che allegrezza! Don Gabriel, vostro fratello, che Dio guardi, aveva in quello tutta la sua contentezza. Giacché, signore, di Atocha propizia è la solitudine, il tuo volere di’ pure. Dite invece la mia angoscia. Siete uomo degno, García? Per vostro figlio mi tengo. E basta essere mio figlio per essere un uomo degno? Io penso di sì, signore. Che ingannevole pensiero! Nell’agire come tale soltanto consiste l’esserlo. Che diede inizio ai casati illustri? L’agire degno dei loro primi antenati. Lignaggio anche non avendo, le grandi imprese degli umili agli eredi danno aumento.
DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
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GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
Luego en obrar mal o bien está el ser malo o ser bueno. ¿Es así? Que las hazañas den nobleza, no lo niego; mas no neguéis que sin ellas también la da el nacimiento. Pues si honor puede ganar quien nació sin él, ¿no es cierto que, por el contrario, puede, quien con él nació, perdello? Es verdad. Luego si vos obráis afrentosos hechos, aunque seáis hijo mío, dejáis de ser caballero; luego si vuestras costumbres os infaman en el pueblo, no importan paternas armas, no sirven altos abuelos. ¿Qué cosa es que la fama diga a mis oídos mesmos que a Salamanca admiraron vuestras mentiras y enredos? ¡Qué caballero y qué nada! Si afrenta al noble y plebeyo sólo el decirle que miente, decid, ¿qué será el hacerlo? Si vivo sin honra yo, según los humanos fueros, mientras de aquél que me dijo que mentía no me vengo, ¿tan larga tenéis la espada, tan duro tenéis el pecho, que penséis poder vengaros diciéndolo todo el pueblo?
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DON GARCÍA
DON BELTRÁN
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Dunque agire male o bene sarà male o sarà lecito. É così? Che le alte imprese diano onore, non lo nego; ma non negate che senza di ciò dal sangue lo ottengo. Ma se onore può ottenere chi è nato senza di esso, non è vero che al contrario chi con lui nasce, può perderlo? È vero. Quindi se voi operaste in modo indegno, anche se siete mio figlio smettete di essere degno; se delle vostre abitudini mormora il paese intero, non c’è stemma che vi serva né sangue che sia di schermo. Dite, com’è che la fama è giunta fino al mio orecchio delle bugie e degli inganni che laggiù avete commesso? Che degno e degno! Se offende il nobile ed il plebeo che gli si dica che mente, che sarà il farlo? Se devo vivere io senza onore nell’altrui discernimento, fin quando di chi mi dice che ho mentito non mi vendico, così lunga è quella spada, così duro è il vostro petto da pensare alla vendetta, se lo dice il paese intero?
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GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA BELTRÁN
¿Posible es que tenga un hombre tan humildes pensamientos que viva sujeto al vicio, mas sin gusto y sin provecho? El deleite natural tiene a los lacivos presos; obliga a los cudiciosos el poder que da el dinero; el gusto de los manjares al glotón; el pasatiempo y el cebo de la ganancia a los que cursan el juego; su venganza al homicida; al robador su remedio; la fama y la presunción al que es por la espada inquieto. Todos los gustos, al fin, o dan gusto o dan provecho; mas de mentir, ¿qué se saca sino infamia y menosprecio? Quien dice que miento yo, ha mentido. También eso es mentir, que aun desmentir no sabéis sino mintiendo. Pues, ¡si dais en no creerme...! ¿No seré necio si creo que vos decís verdad solo y miente el lugar entero? Lo que importa es desmentir esta fama con los hechos, pensar que éste es otro mundo, hablar poco y verdadero; mirar que estáis a la vista de un rey tan santo y perfeto, que vuestros yerros no pueden hallar disculpa en sus yerros;
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DON GARCÍA
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Possibile che abbia un uomo un tanto basso pensiero da stare soggetto al vizio più inutile e meno bello? Dal naturale piacere il libidinoso è preso; il potere del denaro motiva l’avaro gretto; il gusto delle vivande il goloso; il passatempo e il desiderio di soldi, chi al gioco d’azzardo è dedito; la vendetta, l’omicida; il ladro, il proprio rimedio; la fama e la presunzione chi usa la spada da inquieto. Tutti sbagliano, alla fine, o perché è utile, o bello; ma dal mentire, che viene se non infamia e disprezzo? Chi dice che io mentisco ha mentito. Pure questo è mentire, che smentire non potete che mentendo. Beh, se vi ha preso a non credermi... Non sarò sciocco se credo a voi soltanto, pensando che menta il paese intero? Quello che importa è smentire coi fatti il pettegolezzo, pensare che qui è diverso, dire poco e dire il vero; qui siete sotto lo sguardo di un re che è santo e perfetto al punto da non scusare con il suo un vostro difetto; 1479
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GARCÍA BELTRÁN
GARCÍA
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GARCÍA
BELTRÁN GARCÍA BELTRÁN
que tratáis aquí con grandes, títulos y caballeros, que, si os saben la flaqueza, os perderán el respeto; que tenéis barba en el rostro, que al lado ceñís acero, que nacistes noble al fin, y que yo soy padre vuestro. Y no he de deciros más, que esta sofrenada espero que baste para quien tiene calidad y entendimiento. Y agora, porque entendáis que en vuestro bien me desvelo, sabed que os tengo, García, tratado un gran casamiento. (¡Ay, mi Lucrecia!) Jamás pusieron, hijo, los cielos tantas, tan divinas partes en un humano sujeto como en Jacinta, la hija de don Fernando Pacheco, de quien mi vejez pretende tener regalados nietos. (¡Ay, Lucrecia! Si es posible, tú sola has de ser mi dueño). ¿Qué es esto? ¿No respondéis? (Tuyo he de ser, ¡vive el cielo!) ¿Qué os entristecéis? ¡Hablad! No me tengáis más suspenso. Entristézcome porque es imposible obedeceros. ¿Por qué? Porque soy casado. ¡Casado! ¡Cielos! ¿Qué es esto? ¿Cómo, sin saberlo yo?
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DON GARCÍA DON BELTRÁN
DON GARCÍA
DON BELTRÁN DON GARCÍA DON BELTRÁN
DON GARCÍA
DON BELTRÁN DON GARCÍA DON BELTRÁN
qui trattate con dei grandi, cavalieri di rispetto, che se sanno il vostro debole vi terranno in scarso pregio. Vi cresce ormai barba in viso, al fianco cingete un ferro, siete nobile, e io sono vostro padre, vi rammento. Non devo dire di più; questa reprimenda spero che basti per chi è dotato di intelligenza e livello. E adesso, perché capiate quanto al vostro bene penso, dirò che per voi, García, ho un gran matrimonio in serbo. (Oh, la mia Lucrecia!) Mai ha dotato, figlio, il cielo di tali e tanto divine doti un umano soggetto come Jacinta, la figlia di don Fernando Pacheco, da cui nipoti affettuosi nella vecchiaia mi attendo. (Ahimè! Solo te, Lucrecia, voglio avere, se riesco!) Cosa c’è? Non rispondete? (Tuo sarò, mi aiuti il cielo!) Vi intristite? Rispondete! Non mi tenete in sospeso. Mi intristisco perché non vi posso obbedire in questo. Perché? Sono già sposato. Sposato! Cieli, che sento? E senza che io lo sappia? 1481
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BELTRÁN
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Fue fuerza, y está secreto. ¿Hay padre más desdichado? No os aflijáis, que, en sabiendo la causa, señor, tendréis por venturoso el efeto. Acabad, pues, que mi vida pende sólo de un cabello. (Agora os he menester, sutilezas de mi ingenio). En Salamanca, señor, hay un caballero noble, de quien es la alcuña Herrera y don Pedro el propio nombre. A éste dio el cielo otro cielo por hija, pues con dos soles sus dos purpúreas mejillas hacen claros horizontes. Abrevio, por ir al caso, con decir que cuantas dotes pudo dar Naturaleza en tierna edad, la componen. Mas la enemiga fortuna, observante en su desorden, a sus méritos opuesta, de sus bienes la hizo pobre; que, demás de que su casa no es tan rica como noble, al mayorazgo nacieron, antes que ella, dos varones. A ésta, pues, saliendo al río, la vi una tarde en su coche, que juzgara el de Faetón si fuese Erídano el Tormes. No sé quién los atributos del fuego en Cupido pone, que yo de un súbito hielo me sentí ocupar entonces.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO DON GARCÍA DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
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Fu per forza, ed è segreto. C’è un padre più sfortunato? Non vi affliggete; sapendo la causa, padre, terrete per fortunato l’effetto. Terminate; la mia vita pende solo da un capello. (Assistimi come sempre, sottigliezza del mio ingegno!) A Salamanca, signore, vive un cavaliere nobile il cui lignaggio è Herrera, e di cui don Pedro è il nome. Il cielo gli diede un cielo per figlia, sulle cui gote purpuree stanno due soli come sul loro orizzonte. Dirò in breve solamente che, pur giovane, ogni dote possa dare la Natura la sua persona raccoglie. Ma, dedita all’alternanza com’è suo uso, la sorte nemica, opposta ai suoi pregi, le sue ricchezze le tolse, perché, oltre che la sua casa è meno ricca che nobile, non le spetta ereditare perché è la figlia minore. Andando al fiume la vidi in quella che di Fetonte avrei creduto carrozza, se fosse Eridano il Tormes. Non so chi è che gli attributi del fuoco in Cupido pone; io venni preso da un gelo fulmineo a quella visione. 1483
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¿Qué tienen que ver del fuego las inquietudes y ardores con quedar absorta un alma, con quedar un cuerpo inmóvil? Caso fue, verla, forzoso; viéndola, cegar de amores; pues, abrasado, seguirla, júzguelo un pecho de bronce. Pasé su calle de día, rondé su puerta de noche; con terceros y papeles le encarecí mis pasiones hasta que, al fin, condolida o enamorada, responde, porque también tiene Amor jurisdición en los dioses. Fui acrecentando finezas y ella aumentando favores, hasta ponerme en el cielo de su aposento una noche. Y cuando solicitaban el fin de mi pena enorme, conquistando honestidades, mis ardientes pretensiones, siento que su padre viene a su aposento; llamóle – porque jamás tal hacía – mi fortuna aquella noche. Ella, turbada, animosa, ¡mujer al fin!, a empellones mi casi difunto cuerpo detrás de su lecho esconde. Llegó don Pedro, y su hija, fingiendo gusto, abrazóle, por negarle el rostro en tanto que cobraba sus colores. Asentáronse los dos,
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Che ha da vedere del fuoco l’irrequietezza e l’ardore con l’anima che sta assorta, col corpo che resta immobile? Fu per caso quell’incontro; vidi, e mi accecò l’amore; ché se, ardente, la seguii mi condanni un petreo cuore. Il dì passai alla finestra, stetti alla porta di notte, con mezzani e con biglietti le dissi la mia passione; fino a quando, impietosita o innamorata, rispose, perché ha anche sugli dei giurisdizione l’amore. Andai aumentando premure e lei accrescendo il favore, fino a mettermi nel cielo delle sue stanze una notte. E, quando già domandava fine alla mia pena enorme, conquistando l’onestà, la mia pretesa d’amore, sento che suo padre viene nella stanza; fu la voce – perché mai l’aveva fatto – della sorte quella notte. Lei, turbata, inquieta – infine, donna – con qualche spintone il mio quasi morto corpo dietro il suo letto nasconde. Giunse don Pedro, e sua figlia, fingendo gioia, lo accoglie con l’abbraccio, perché il viso non mostrasse il suo rossore. Si accomodarono entrambi 1485
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y él, con prudentes razones, le propuso un casamiento con uno de los Monroyes. Ella, honesta como cauta, de tal suerte le responde, que ni a su padre resista ni a mí, que la escucho, enoje. Despidiéronse con esto, y, cuando ya casi pone en el umbral de la puerta el viejo los pies, entonces..., – ¡mal haya, amén, el primero que fue inventor de relojes! – uno que llevaba yo a dar comenzó las doce. Oyólo don Pedro, y vuelto hacia su hija: «De dónde vino ese reloj?» le dijo. Ella respondió: «Envióle, para que se le aderecen, mi primo don Diego Ponce, por no haber en su lugar relojero ni relojes». «Dádmele» dijo su padre, «porque yo ese cargo tome». Pues entonces doña Sancha – que éste es de la dama el nombre – a quitármele del pecho, cauta y prevenida, corre, antes que llegar él mismo a su padre se le antoje. Quitémelo yo, y al darle, quiso la suerte que toquen a una pistola que tengo en la mano los cordones. Cayó el gatillo, dio fuego; al tronido desmayóse
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e, con prudente ragione, lui le propose con uno dei Monroy di andare a nozze. Lei, onesta quanto cauta, in tal modo gli risponde da non contraddire il padre né dare a me delle noie. Si salutarono in questo, e quando già quasi pone sulla soglia della porta il vecchio il piede, la sorte... Maledetto l’inventore dell’orologio! Siccome ne portavo addosso uno, mi suonò la mezzanotte. L’udì don Pedro e, rivolto a lei, domandò da dove venisse quell’orologio. «L’ha inviato», lei rispose, «per una riparazione, mio cugino Diego Ponce; orologi e orologiai la sua terra non conosce». «Datemelo», disse il padre, «perché io prenda quest’onere». Ed allora donna Sancha – questo è della dama il nome – a togliermelo dal petto con prudenza e discrezione, affinché non venga in mente al padre di entrare, corre. Me lo tolsi e glielo diedi; ma volle la mala sorte che la pistola che porto si impigliasse nel cordone del braccio, ed il percussore in quell’urto un colpo esplose. 1487
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doña Sancha; alborotado el viejo, empezó a dar voces. Yo, viendo el cielo en el suelo y eclipsados sus dos soles, juzgué sin duda por muerta la vida de mis acciones, pensando que cometieron sacrilegio tan enorme del plomo de mi pistola los breves, volantes orbes. Con esto, pues, despechado, saqué rabioso el estoque; fueran pocos para mí, en tal ocasión, mil hombres. A impedirme la salida, como dos bravos leones, con sus armas sus hermanos y sus criados se oponen; mas, aunque fácil por todos mi espada y mi fuerza rompen, no hay fuerza humana que impida fatales disposiciones; pues, al salir por la puerta, como iba arrimado, asióme la alcayata de la aldaba por los tiros del estoque. Aquí, para desasirme, fue fuerza que atrás me torne, y, entre tanto, mis contrarios muros de espadas me oponen. En esto cobró su acuerdo Sancha, y para que se estorbe el triste fin que prometen estos sucesos atroces, la puerta cerró, animosa, del aposento, y dejóme
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Lei svenne e gridava il vecchio in preda a gran confusione. Caduto in terra il mio cielo, eclissato ciascun sole, pensai che fosse spirata chi dà vita alla mia azione, e che avessero commesso sacrilegio così enorme le piccole, plumbee sfere dalla mia pistola esplose. Con ciò sguainai, incollerito, la spada con gran furore; avrei affrontato da solo mille in quella situazione. Ad impedirmi l’uscita con coraggio da leone con i suoi fratelli armati la servitù si frappone, ma, se un varco facilmente la mia arma e la forza rompe, nulla può l’umana forza contro il fato che si oppone; stavo per varcar la porta, infatti, quando il cordone della spada, andando raso, al chiavistello si avvolge. Lo sforzo di svincolarmi di retrocedere impose, dando modo agli avversari muri di spade di opporre. Sancha si riprese allora e per evitare fosse portato a termine il danno che si prospettava atroce, chiuse la porta, lasciando fuori di essa la legione
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a mí con ella encerrado y fuera a mis agresores. Arrimamos a la puerta baúles, arcas y cofres, que al fin son de ardientes iras remedio las dilaciones. Quisimos hacernos fuertes; mas mis contrarios, feroces, ya la pared me derriban y ya la puerta me rompen. Yo, viendo que, aunque dilate, no es posible que revoque la sentencia de enemigos tan agraviados y nobles, viendo a mi lado la hermosa de mis desdichas consorte, y que hurtaba a sus mejillas el temor sus arreboles; viendo cuán sin culpa suya conmigo Fortuna corre, pues con industria deshace cuanto los hados disponen, por dar premio a sus lealtades, por dar fin a sus temores, por dar remedio a mi muerte, y dar muerte a más pasiones, hube de darme a partido y pedirles que conformen con la unión de nuestras sangres tan sangrientas disenciones. Ellos, que ven el peligro y mi calidad conocen, lo acetan, después de estar un rato entre sí discordes. Partió a dar cuenta al obispo su padre, y volvió con orden
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e noi due nella sua stanza, protetti da ogni aggressione. Accostammo arche, bauli, cofani all’uscio, per porre alle ire ardenti rimedio creando una dilazione. Volevamo rinforzarci; ma quella gente feroce fa crollare la parete ed anche la porta rompe. Io, che, pur posticipata, vedo la sentenza incombere – senza poter evitarla – del nemico offeso e nobile, vedendo accanto la bella delle mie pene consorte – dal timore ormai private dell’aurora le sue gote – visto che senza sua colpa la fortuna mi si oppone, avendo lei con l’industria saputo il fato stravolgere, per premiare la sua fede, per fugare il suo timore, per evitarmi la mia morte ed ogni tribolazione, decisi di fare il passo chiedendo loro di porre con l’unione dei casati fine a tanto dissapore. Loro, sapendo il pericolo e conoscendo il mio nome accettano, dopo avere superato le discordie. Mandò dal vescovo il padre a spiegare la questione,
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BELTRÁN
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BELTRÁN
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de que el desposorio pueda hacer cualquier sacerdote. Hízose, y en dulce paz la mortal guerra trocóse, dándote la mejor nuera que nació del sur al norte. Mas en que tú no lo sepas quedamos todos conformes, por no ser con gusto tuyo y por ser mi esposa pobre; pero, ya que fue forzoso saberlo, mira si escoges por mejor tenerme muerto que vivo y con mujer noble. Las circunstancias del caso son tales, que se conoce que la fuerza de la suerte te destinó esa consorte, y así, no te culpo en más que en callármelo. Temores de darte pesar, señor, me obligaron. Si es tan noble, ¿qué importa que pobre sea? ¡Cuánto es peor que lo ignore, para que, habiendo empeñado mi palabra, agora torne con eso a doña Jacinta! ¡Mira en qué lance me pones! Toma el caballo, y temprano, por mi vida, te recoge, porque de espacio tratemos de tus cosas esta noche. Iré a obedecerte al punto que toquen las oraciones.
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DON BELTRÁN
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perché potesse sposarci un qualsiasi sacerdote. Si fece, e la guerra in pace trasformarono le nozze, dandoti la miglior nuora, da nord a sud, che ci fosse. Ma non dovevi saperlo, per decisione concorde, perché è povera e non chiesi a te l’autorizzazione; però giacché ora ho dovuto dirlo, pensa se migliore cosa sia sapermi morto o vivo e con moglie nobile. La circostanza del fatto è tale, che si conosce che è il destino a averti dato in sorte tale consorte; delle nozze non ti incolpo, ma di tacerle. Il timore signore, di rattristarti mi ha obbligato. Ma se è nobile, la povertà cosa importa? Peggio è non farne menzione, perché, avendo ora impegnato la mia parola, è questione di dirlo a donna Jacinta! Guarda in che affanni mi pone! Per la mia vita, il cavallo prendi e torna presto; occorre che discutiamo con calma delle tue cose stanotte. Ti obbedirò in punto, all’ora in cui suona l’orazione.
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Vase [don Beltrán]. Dichosamente se ha hecho. Persuadido el viejo va. Ya del mentir no dirá que es sin gusto y sin provecho; pues es tan notorio gusto el ver que me haya creído, y provecho haber huído de casarme a mi disgusto. ¡Bueno fue reñir conmigo porque en cuanto digo miento, y dar crédito al momento a cuantas mentiras digo! ¡Qué fácil de persuadir quien tiene amor suele ser! Y ¡qué fácil en creer el que no sabe mentir! Mas ya me aguarda don Juan.
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Dirá adentro: ¡Hola! Llevad el caballo. Tan terribles cosas hallo que sucediéndome van, que pienso que desvarío. Vine ayer y, en un momento, tengo amor y casamiento y causa de desafío.
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Sale don Juan. JUAN
GARCÍA
Como quien sois lo habéis hecho, don García. ¿Quién podía, sabiendo la sangre mía, pensar menos de mi pecho?
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Esce [don Beltrán]. M’è uscita proprio a pennello! Convinto il vecchio ormai va; del mentire non dirà che è inutile e non è bello; perché è un tale chiaro gusto vedere che ci è cascato, e utile aver evitato di sposarmi a mio disgusto. Mi ha fatto la ramanzina perché in quel che dico mento, e crede dopo un momento a ogni menzogna che dico! Com’è facile irretire qualcuno che prova affetto! E come inganni ad effetto chi le bugie non sa dire! Ma don Juan mi sta attendendo. Dice rivolgendosi all’esterno della scena: Olà! Portate il destriero! Pessime cose davvero trovo mi stiano accadendo, che penso siano follia. Giungo ieri e, in un momento, ho amore e fidanzamento, e a duello mi si sfida. Entra don Juan. DON JUAN
DON GARCÍA
Da pari vostro, García avete agito. Credete, giacché il mio sangue sapete, che da meno il cuore sia? 1495
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JUAN
GARCÍA
Mas vamos, don Juan, al caso porque llamado me habéis. Decid, ¿qué causa tenéis – que por sabella me abraso – de hacer este desafío? Esa dama a quien hicistes, conforme vos me dijistes, anoche fiesta en el río, es causa de mi tormento, y es con quien dos años ha que, aunque se dilata, está tratado mi casamiento. Vos ha un mes que estáis aquí, y de eso, como de estar encubierto en el lugar todo este tiempo de mí, colijo que, habiendo sido tan público mi cuidado, vos no lo habéis ignorado, y así, me habéis ofendido. Con esto que he dicho, digo cuanto tengo que decir, y es que, o no habéis de seguir el bien que ha tanto que sigo, o, si acaso os pareciere mi petición mal fundada, se remita aquí a la espada, y la sirva el que venciere. Pésame que, sin estar del caso bien informado, os hayáis determinado a sacarme a este lugar. La dama, don Juan de Sosa, de mi fiesta, vive Dios que ni la habéis visto vos, ni puede ser vuestra esposa; que es casada esta mujer,
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Ma veniamo alla questione per cui chiamato mi avete. Dite: che causa vedete per sfidarmi qui a tenzone? Io mi struggo per saperla. Quella dama a cui faceste, come voi stesso diceste, al fiume ieri una festa, è causa del mio tormento, essendo due anni che già, pur con ritardi, si sta trattando il fidanzamento. Siete da un mese a Madrid, e da questo e dallo stare a me nascosto, mi pare si deduca che, se qui è il mio amore così noto che ve ne avranno parlato, non potevate ignorarlo e, dunque, mi fate torto. Con ciò che ho detto, vi dico ciò che ho in animo di dire: non dovete perseguire il bene a cui tanto aspiro; a meno che non vi sembri la mia richiesta infondata, e allora parli la spada e chi vince la corteggi. Mi duole che, non avendo di ciò ragguaglio preciso vi siate di già deciso a sfidarmi qui a duello. La dama, don Juan de Sosa, della festa, vivaddio, non conoscete, dico io, né potrebbe esservi sposa; perché è una donna sposata, 1497
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GARCÍA
y ha tan poco que llegó a Madrid, que sólo yo sé que la he podido ver. Y, cuando ésa hubiera sido, de no verla más os doy palabra, como quien soy, o quedar por fementido. Con eso se aseguró la sospecha de mi pecho y he quedado satisfecho. Falta que lo quede yo, que haberme desafiado no se ha de quedar así; libre fue el sacarme aquí, mas, habiéndome sacado, me obligastes, y es forzoso, puesto que tengo de hacer como quien soy, no volver
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Sacan las espadas y acuchíllanse.
JUAN
sino muerto o victorioso. Pensad, aunque a mis desvelos hayáis satisfecho así, que aún deja cólera en mí le memoria de mis celos.
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Sale don Félix. FÉLIX
GARCÍA
FÉLIX
Deténganse, caballeros, que estoy aquí yo. ¡Que venga agora quien me detenga! Vestid los fuertes aceros, que fue falsa la ocasión de esta pendencia.
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DON JUAN
DON GARCÍA
e da così poco è qui che soltanto io, a Madrid so di averla visitata. Ma se fosse lei davvero, da quello che sono, giuro che non la vedrò più; è sicuro, o passi per menzognero. Con questo nel petto mio ogni sospetto è calmato. Mi ritengo soddisfatto. Ma occorre che lo sia anch’io, giacché avermi voi sfidato non si soddisfa così; mi avete voluto qui, e avendomi convocato mi costringete, è forzoso, giacché mi devo portare da pari mio, a non tornare Sguainano le spade e combattono.
DON JUAN
se non morto o vittorioso. Pensate che se la mia preoccupazione calmate, la memoria non sedate della mia aspra gelosia. Entra don Félix.
DON FÉLIX
DON GARCÍA
DON FÉLIX
Fermatevi, cavalieri, sono qui io. Che ora venga qualcuno che mi trattenga! Vestite gli acciai guerrieri, perché è falsa l’occasione della contesa.
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FÉLIX
Ya había dícholo así don Garcia; pero, por la obligación en que pone el desafío, desnudó el valiente acero. Hizo como caballero de tanto valor y brío. Y, pues bien quedado habéis con esto, merezca yo que, a quien de celoso erró, perdón y la mano deis.
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Dense las manos. GARCÍA
Ello es justo y lo mandáis. Mas mirad de aquí adelante, en caso tan importante, don Juan, cómo os arrojáis. Todo lo habéis de intentar primero que el desafío, que empezar es desvarío por donde se ha de acabar.
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Vase. FÉLIX
JUAN FÉLIX JUAN FÉLIX
JUAN
FÉLIX
Extraña ventura ha sido haber yo a tiempo llegado. ¿Que en efecto me he engañado? Sí. ¿De quién lo habéis sabido? Súpelo de un escudero de Lucrecia. Decid, pues, ¿cómo fue? La verdad es que fue el coche y el cochero de doña Jacinta anoche
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DON FÉLIX
L’ha detto don Garcia; ma ancora avendo l’obbligo della tenzone per esser stato sfidato, con l’arma si fa valere. Ha agito da cavaliere di brio e coraggio dotato. E, allora, se figurate bene ormai, spero otterrò che a chi gelosia mostrò la mano e il perdono diate. Si danno la mano.
DON GARCÍA
È giusto e voi lo ordinate. Ma attento da qui in avanti, don Juan, in così importanti casi, a come vi lanciate. Tutto dovete tentare prima di andare a duello; folle è partire da quello a cui si suole arrivare. Esce.
DON FÉLIX
DON JUAN DON FÉLIX DON JUAN FÉLIX
DON JUAN
DON FÉLIX
Strana fortuna ha voluto che io sia in tempo arrivato. Mi sono dunque ingannato? Sì. Cosa avete saputo? Mi ha parlato uno scudiere di Lucrecia. Dite qua. Com’è andata? In verità, andò carrozza e cocchiere di Jacinta ieri sera 1501
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JUAN FÉLIX
JUAN FÉLIX
JUAN
FÉLIX
al Sotillo, y que tuvieron gran fiesta las que en él fueron; pero fue prestado el coche. Y el caso fue que, a las horas que fue a ver Jacinta bella a Lucrecia, ya con ella estaban las matadoras, las dos primas de la quinta. ¿Las que en el Carmen vivieron? Sí; pues ellas le pidieron el coche a doña Jacinta, y en él, con la escura noche, fueron al río las dos. Pues vuestro paje, a quien vos dejastes siguiendo el coche, como en él dos damas vio entrar cuando anochecía, y noticia no tenía de otra visita, creyó ser Jacinta la que entraba y Lucrecia. Justamente. Siguió el coche diligente y, cuando en el Soto estaba, entre la música y cena lo dejó y volvió a buscaros a Madrid, y fue el no hallaros ocasión de tanta pena, porque, yendo vos allá, se deshiciera el engaño. En eso estuvo mi daño. Mas tanto gusto me da el saber que me engañé, que doy por bien empleado el disgusto que he pasado. Otra cosa averigüé que es bien graciosa.
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DON JUAN DON FÉLIX
DON JUAN DON FÉLIX
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al Sotillo, e lì trovarono gran festa quelle che andarono, ma il cocchio in prestito era. Fu così: alle ore precise in cui andò Jacinta bella da Lucrecia, già da quella stavano le due, le assassine, le cugine della villa. Le due che al Carmen risiedono? Sì; dunque quelle richiedono il cocchio a donna Jacinta, e con quello, nella scura notte, al fiume se ne vanno. E il vostro fedele paggio le segue nella radura, e poiché due dame vede nella carrozza sedere e non poteva sapere dell’altra visita, crede sia Jacinta accompagnata da Lucrecia. Propriamente. La pedinò, diligente; quando al Soto si è fermata, tra la musica e la cena, tornò indietro per cercarvi a Madrid, ma il non trovarvi fu causa di tanta pena; la vostra presenza là avrebbe sciolto l’inganno. In quello è stato il mio danno. Ma tanto gusto mi dà sapere che non è vero, che do per ben impiegato il disgusto che ho passato. Anche un’altra cosa ho appreso che è assai divertente. 1503
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO JUAN FÉLIX
JUAN FÉLIX JUAN FÉLIX
JUAN
FÉLIX
JUAN
FÉLIX
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Decid. Es que el dicho don García llegó ayer en aquel día de Salamanca a Madrid, y en llegando se acostó y durmió la noche toda, y fue embeleco la boda y festín que nos contó. ¿Qué decís? Esto es verdad. ¿Embustero es don García? Eso un ciego lo vería; porque tanta variedad de tiendas, aparadores, vajillas de plata y oro, tanto plato, tanto coro de instrumentos y cantores, ¿no eran mentira patente? Lo que me tiene dudoso es que sea mentiroso un hombre que es tan valiente que de su espada el furor diera a Alcides pesadumbre. Tendrá el mentir por costumbre y por herencia el valor. Vamos, que a Jacinta quiero pedille, Félix, perdón, y decille la ocasión con que esforzó este embustero mi sospecha. Desde aquí nada le creo, don Juan. Y sus verdades serán ya consejas para mí.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO DON JUAN DON FÉLIX
DON JUAN DON FÉLIX DON JUAN DON FÉLIX
DON JUAN
DON FÉLIX
DON JUAN
DON FÉLIX
DON JUAN
Dite. È che don García da un giorno soltanto ha fatto ritorno da Salamanca a Madrid, ieri sera, e a letto andò dormendo tutta la notte; son frottole le fastose feste che ci raccontò. Che dite? È la verità. Un truffatore sarebbe? Anche un cieco lo vedrebbe; perché tanta varietà di tende, di vasellame, di piatti d’argento ed ori, di tavolini, cantori e apparato strumentale non era bugia evidente? Ciò che mi fa dubitare è che sia un bugiardo tale un uomo così valente; della sua spada il furore darebbe pensiero a Alcide. Come vizio avrà il mentire, come eredità il valore. Andiamo; a Jacinta devo chiedere, Félix, perdono, e spiegarle perché sono stato indotto a tal sospetto da quel bugiardo. Don Juan, da ora in poi, io non gli credo. Ogni sua verità adesso per me apologo sarà. Escono.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
Salen Tristán, don García y Camino, de noche. GARCÍA
TRISTÁN
GARCÍA
Mi padre me dé perdón, que forzado le engañé. Ingeniosa excusa fue, pero, dime: ¿qué invención agora piensas hacer con que no sepa que ha sido el casamiento fingido? Las cartas le he de coger que a Salamanca escribiere, y, las respuestas fingiendo yo mismo, iré entreteniendo la ficción cuanto pudiere.
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Salen Jacinta, Lucrecia e Isabel a la ventana. JACINTA
LUCRECIA
JACINTA LUCRECIA
JACINTA LUCRECIA JACINTA
LUCRECIA
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Con esta nueva volvió don Beltrán bien descontento, cuando ya del casamiento estaba contenta yo. ¿Que el hijo de don Beltrán es el indiano fingido? Sí, amiga. ¿A quién has oído lo del banquete? A don Juan. Pues ¿cuándo estuvo contigo? Al anochecer me vio, y en contármelo gastó lo que pudo estar conmigo. Grandes sus enredos son. ¡Buen castigo te merece! Estos tres hombres parece que se acercan al balcón. Vendrá al puesto don García, que ya es hora.
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Entrano Tristán, don García e Camino, avvolti in mantelli da notte. DON GARCÍA
TRISTÁN
DON GARCÍA
Che mio padre mi perdoni! Per bisogno l’ho ingannato. Bell’espediente hai trovato! Ma dimmi: che altre invenzioni pensi ora di escogitare per non fargli sospettare che il matrimonio è inventato? Le lettere prelevare che a Salamanca invierà e, le risposte fingendo io stesso, andrò proseguendo fino a quando si potrà. Si affacciano Jacinta, Lucrecia e Isabel alla finestra.
JACINTA
LUCRECIA
JACINTA LUCRECIA
JACINTA LUCRECIA JACINTA
LUCRECIA
JACINTA
LUCRECIA
Con questa nuova è tornato don Beltrán molto scontento, quando già il fidanzamento avevo in cuor mio accettato. Il figlio di don Beltrán è dunque quel finto indiano? Sì, amica. E chi ti ha informato su quel banchetto? Don Juan. Ma quando è stato da te? Al tramonto mi incontrò, e tutto il tempo impiegò che trascorse insieme a me. Sono truffe belle e buone. Lo devi ben castigare! Questi tre uomini pare stiano venendo al balcone. Sarà già qui don García; è l’ora. 1507
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO JACINTA
LUCRECIA
ISABEL
Tú, Isabel, mientras hablamos con él, a nuestros viejos espía. Mi padre está refiriendo bien de espacio un cuento largo a tu tío. Yo me encargo de avisaros en viniendo.
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Vase. CAMINO
Éste es el balcón adonde os espera tanta gloria. Vase.
LUCRECIA
GARCÍA JACINTA GARCÍA
JACINTA
LUCRECIA JACINTA GARCÍA
Tú eres dueño de la historia; tú en mi nombre le responde. ¿Es Lucrecia? ¿Es don García? Es quien hoy la joya halló más preciosa que labró el cielo en la Platería. Es quien, en llegando a vella, tanto estimó su valor, que dio, abrasado de amor, la vida y alma por ella. Soy, al fin, el que se precia de ser vuestro, y soy quien hoy comienzo a ser, porque soy el esclavo de Lucrecia. (Amiga, este caballero para todas tiene amor.) (El hombre es embarrador.) (Él es un gran embustero.) Ya espero, señora mía, lo que me queréis mandar.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO JACINTA
LUCRECIA
ISABEL
Isabel, orsù, mentre noi parliamo tu i nostri parenti spia. Mio padre sta riferendo qualcosa in modo assai ampio a tuo zio. Io me ne incarico; chiamo se stanno venendo. Va via.
CAMINO
È questo il balcone d’onde attende voi tanta gloria. Va via.
LUCRECIA
DON GARCÍA JACINTA DON GARCÍA
JACINTA
LUCRECIA JACINTA DON GARCÍA
Tu sei chi inventò la storia; tu chi in nome mio risponde. È Lucrecia? È don García? Colui che perla trovò, la più ricca che creò Dio nell’oreficeria. Colui che, giunto a vederla tanto stimò il suo valore che diede, ardente d’amore, vita e anima per quella. Colui, infine, che si pregia d’esser vostro, e che da adesso a essere comincia, essendo servitore di Lucrecia. (Amica, quel cavaliere a tutte promette amore.) (Quest’uomo è un ingannatore.) (Proprio un grande paroliere.) Eccomi, signora, attendo quanto vorrete ordinare. 1509
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO JACINTA
TRISTÁN
(Al oído)
GARCÍA JACINTA
GARCÍA JACINTA GARCÍA JACINTA GARCÍA
JACINTA LUCRECIA JACINTA GARCÍA JACINTA LUCRECIA
GARCÍA
JACINTA
GARCÍA
JACINTA
GARCÍA
Ya no puede haber lugar lo que trataros quería... ¿Es ella? Sí. ...que trataros un casamiento intenté bien importante, y ya sé que es imposible casaros. ¿Por qué? Porque sois casado. ¿Que yo soy casado? Vos. Soltero soy, ¡vive Dios! Quien lo ha dicho os ha engañado. (¿Viste mayor embustero?) (No sabe sino mentir.) ¿Tal me queréis persuadir? ¡Vive Dios, que soy soltero! (¡Y lo jura!) (Siempre ha sido costumbre del mentiroso de su crédito dudoso jurar para ser creído.) Si era vuestra blanca mano con la que el cielo quería colmar la ventura mía, no pierda el bien soberano, pudiendo esa falsedad probarse tan fácilmente. (¡Con qué confianza miente! ¿No parece que es verdad?) La mano os daré, señora, y con eso me creeréis. Vos sois tal, que la daréis a trecientas en un hora. Mal acreditado estoy con vos.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
Non ha luogo ormai trattare il tema che prevedevo... TRISTÁN (All’orecchio) (È lei?) DON GARCÍA (Sì.) JACINTA Perché parlarvi di un matrimonio intendevo, ma poco fa non sapevo che non potete sposarvi. DON GARCÍA Perché? JACINTA Siete già sposato. DON GARCÍA Io, sposato? JACINTA Voi, sicuro. DON GARCÍA Sono scapolo, lo giuro. Chi lo ha detto vi ha ingannato. JACINTA (C’è un più grande truffatore?) LUCRECIA (Non fa altro che mentire.) JACINTA Questo mi venite a dire? DON GARCÍA Scapolo! Lo sa il Signore! JACINTA (E lo giura!) LUCRECIA (Ha sempre avuto abitudine chi mente di giurare, ché è cosciente che non suole esser creduto.) DON GARCÍA Se la vostra bianca mano è ciò che il Cielo mi offriva per grande fortuna mia, non perda il bene sovrano, potendo la falsità provarsi assai facilmente. JACINTA (Con che padronanza mente! Non sembra sia verità?) DON GARCÍA La mano vi do, signora; con questo mi crederete. JACINTA Siete tale, che darete la mano a mille in un’ora! DON GARCÍA Basso credito riscuoto da voi.
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TRISTÁN GARCÍA
JACINTA GARCÍA JACINTA GARCÍA JACINTA
GARCÍA
Es justo castigo; porque mal puede conmigo tener crédito quien hoy dijo que era perulero siendo en la corte nacido; y, siendo de ayer venido, afirmó que ha un año entero que está en la corte; y habiendo esta tarde confesado que en Salamanca es casado, se está agora desdiciendo; y quien, pasando en su cama toda la noche, contó que en el río la pasó haciendo fiesta a una dama. (¡Todo se sabe!) Mi gloria, escuchadme, y os diré verdad pura, que ya sé en qué se yerra la historia. Por las demás cosas paso, que son de poco momento, por tratar del casamiento, que es lo importante del caso. Si vos hubiérades sido causa de haber yo afirmado, Lucrecia, que soy casado, ¿será culpa haber mentido? ¿Yo la causa? Sí, señora. ¿Cómo? Decírosla quiero. (Oye, que hará el embustero lindos enredos agora.) Mi padre llegó a tratarme de darme otra mujer hoy;
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO JACINTA
TRISTÁN DON GARCÍA
JACINTA DON GARCÍA JACINTA DON GARCÍA JACINTA
DON GARCÍA
È giusta punizione; non ha considerazione presso di me chi oggi proprio disse di esser peruviano, mentre qui a Madrid è nato, e, essendo ieri arrivato, affermò che è un anno intero che è nella corte, ed avendo questa sera confessato che a Salamanca è sposato, sta ora se stesso smentendo. E infine, che stando in casa tutta la notte, ha narrato di avere una festa dato al fiume per una dama. (Tutto si scopre!) Mia gloria, ascoltatemi, e dirò tutta la verità; so in che cosa erra la storia. Nelle altre cose non entro, che adesso importano poco; parlerò del matrimonio, che è l’importante al momento. Se foste stata il motivo proprio voi, per cui ho affermato, Lucrecia, di esser sposato, sarà colpa aver mentito? Io, la causa? Sì, signora. Come? Sto per raccontarlo. (Ascolta; questo bugiardo dirà altre frottole ora.) Mio padre venne a propormi oggi un’altra di sposare;
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO
LUCRECIA JACINTA
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pero yo, que vuestro soy, quise con eso excusarme. Que, mientras hacer espero con vuestra mano mis bodas, soy casado para todas, sólo para vos soltero. Y, como vuestro papel llegó esforzando mi intento, al tratarme el casamiento puse impedimento en él. Éste es el caso; mirad si esta mentira os admira, cuando ha dicho esta mentira de mi afición la verdad. (Mas ¿si lo fuese?) (¡Qué buena la trazó y qué de repente!) Pues ¿cómo tan brevemente os puedo dar tanta pena? Casi aún no visto me habéis ¡y ya os mostráis tan perdido! ¿Aún no me habéis conocido y por mujer me queréis? Hoy vi vuestra gran beldad la vez primera, señora; que el amor me obliga agora a deciros la verdad. Mas si la causa es divina, milagro el efeto es, que el dios niño, no con pies, sino con alas camina. Decir que habéis menester tiempo vos para matar, fuera, Lucrecia, negar vuestro divino poder. Decís que sin conoceros estoy perdido. ¡Pluguiera
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LUCRECIA JACINTA
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ma sono vostro, e tentare di esimermi con ciò volli. Perché mentre sto sperando di avere la vostra mano, per tutte sono sposato, per voi sola sono scapolo. E poiché il vostro biglietto rafforzò la mia intenzione, a nozze in preparazione frapposi un impedimento. Così è andata; e pensate se la bugia vi stupisce, quando tale bugia dice del mio amore la realtà. (E se fosse?) (L’ha pensata bella e assai rapidamente!) Come così sveltamente tanta pena avrei causata? Quasi vista non mi avete e andate così perduto! Non mi avete conosciuto e per moglie mi volete? Vidi la vostra beltà appena oggi, signora; l’amore mi obbliga ora a dire la verità. Ma se la causa è divina l’effetto prodigio è, che il dio bimbo non coi piè ma con le ali cammina. E dire che abbisognate di tempo per ammazzare, Lucrecia, sarà negare che in quanto dea ammaliate. Dite che senza vedervi mi sono perso. L’avesse 1515
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LUCRECIA JACINTA
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JACINTA GARCÍA JACINTA
GARCÍA
a Dios que no os conociera, por hacer más en quereros! Bien os conozco; las partes sé bien que os dio la Fortuna, que sin eclipse sois Luna, que sois Mendoza sin martes, que es difunta vuestra madre, que sois sola en vuestra casa, que de mil doblones pasa la renta de vuestro padre. Ved si estoy mal informado. ¡Ojalá, mi bien, que así lo estuviérades de mí! (Casi me pone en cuidado). Pues Jacinta, ¿no es hermosa? ¿No es discreta, rica y tal que puede el más principal desealla por esposa? Es discreta, rica y bella; mas a mí no me conviene. Pues decid, ¿qué falta tiene? La mayor, que es no querella. Pues yo con ella os quería casar, que esa sola fue la intención con que os llamé. Pues será vana porfía; que por haber intentado mi padre don Beltrán hoy lo mismo, he dicho que estoy en otra parte casado. Y si vos, señora mía, intentáis hablarme en ello, perdonad, que por no hacello seré casado en Turquía. Esto es verdad, ¡vive Dios!, porque mi amor es de modo
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LUCRECIA JACINTA
DON GARCÍA
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DON GARCÍA
voluto Dio, perché avesse maggior merito il volervi! Ma vi conosco. Le carte so che vi diede Fortuna: senza eclissi siete Luna e Mendoza senza marte. È defunta vostra madre; sola vivete qui in casa; è mille dobloni e passa l’entrata di vostro padre. Se sono male informato vedete; vorrei che aveste di me notizia ugualmente! (Quasi quasi mi ha toccato!) Non è Jacinta graziosa? Non è saggia, ricca e tale che può l’uomo più importante desiderarla per sposa? È saggia, è ricca ed è bella; però per me lei non va. E, dite, che difetto ha? Il più grande; non volerla. Ma io con lei proponevo le nozze, e solo per questo vi ho fatto venire adesso. Ma sarebbe vano intento; per aver solo accennato mio padre oggi, don Beltrán, lo stesso, ho detto che già altrove sono sposato. E se voi, signora mia, proverete a riaccennarlo, inventerò, per non farlo, delle altre nozze in Turchia. Dico il vero, vivaddio, perché questo amore è tale,
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LUCRECIA JACINTA
GARCÍA
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que aborrezco aquello todo, mi Lucrecia, que no es vos. (¡Ojalá!) ¡Que me tratéis con falsedad tan notoria! Decid, ¿no tenéis memoria, o vergüenza no tenéis? ¿Cómo, si hoy dijistes vos a Jacinta que la amáis, agora me lo negáis? ¿Yo a Jacinta? ¡Vive Dios!, que sola con vos he hablado desde que entré en el lugar. ¿Hasta aquí pudo llegar el mentir desvergonzado? Si en lo mismo que yo vi os atrevéis a mentirme, ¿qué verdad podréis decirme? Idos con Dios, y de mí podéis desde aquí pensar, si otra vez os diere oído, que por divertirme ha sido; como quien, para quitar el enfadoso fastidio de los negocios pesados, gasta los ratos sobrados en las fábulas de Ovidio.
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Escuchad, Lucrecia hermosa. (Confusa quedo).
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¡Estoy loco! ¿Verdades valen tan poco?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO SECONDO
LUCRECIA JACINTA
DON GARCÍA
JACINTA
Lucrecia, da farmi odiare tutto ciò che non è voi. (Fosse vero!) Mi trattate con falsità manifesta! Dite, non avete testa, o è che non vi vergognate? Come, se avete oggi detto a Jacinta che la amate, adesso me lo negate? Jacinta? Dio benedetto! Soltanto a voi ho parlato giunto nella capitale. Fin qui è potuto arrivare il mentire svergognato? Se in ciò stesso che vidi io voi vi azzardate a mentirmi, che vero potete dirmi? Andate dunque con Dio, e di me da ora pensate, se ancora prestassi orecchio, che sia per divertimento; come chi, per mitigare il laborioso fastidio degli affari suoi pesanti, spende i momenti restanti sulle favole di Ovidio. Va via.
DON GARCÍA LUCRECIA
Ascolta, Lucrecia bella... (Mi confondo). Va via.
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Pazzo sono! Il vero vale sì poco? 1519
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO SEGUNDO TRISTÁN GARCÍA
TRISTÁN
En la boca mentirosa. ¡Que haya dado en no creer cuanto digo! ¿Qué te admiras, si en cuatro o cinco mentiras te ha acabado de coger? De aquí, si lo consideras, conocerás claramente que quien en las burlas miente pierde el crédito en las veras.
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TRISTÁN
Nella bocca menzognera. Che non creda verità quel che dico! Ti stupisci? Ha saputo che mentisti quattro o cinque volte già! Da ciò, se lo guardi bene, comprenderai chiaramente che chi per giocare mente davvero il credito perde.
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ACTO TERCERO Salen Camino con un papel y Lucrecia. CAMINO
LUCRECIA
CAMINO
Éste me dio para ti Tristán, de quien don García con justa causa confía, lo mismo que tú de mí; que, aunque su dicha es tan corta que sirve, es muy bien nacido, y de suerte ha encarecido lo que tu respuesta importa que jura que don García está loco. ¡Cosa extraña! ¿Es posible que me engaña quien de esta suerte porfía? El más firme enamorado se cansa, si no es querido, y éste ¿puede ser fingido, tan constante y desdeñado? Yo, al menos, si en las señales se conoce el corazón, ciertos juraré que son, por las que he visto, sus males. Que quien tu calle pasea tan constante noche y día, quien tu espesa celosía tan atento brujulea, quien ve que de tu balcón cuando él viene te retiras, y ni te ve ni le miras, y está firme en tu afición, quien llora, quien desespera, quien, porque contigo estoy, me da dineros – que es hoy
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano in scena Camino, con una lettera in mano, e Lucrecia. CAMINO
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Questo mi ha dato per te Tristán, a cui don García prudentemente si affida, come tu ti affidi a me; che anche se ha fortuna corta e serve, è molto ben nato, e ha in tal modo perorato un’immediata risposta dicendo che don García è impazzito. Cosa strana! Si può pensare che inganna chi in questo modo si ostina? Il più fermo innamorato cede, a non vedersi amare, e questo può simulare, così costante e sprezzato? Io, almeno, se dai segnali si riconosce l’amore, giurerei che nel suo cuore sono reali i suoi mali. Chi la tua strada percorre così assiduo, notte e giorno, e alle gelosie, qui sotto, così spesse, attento accorre; chi vede che dal balcone, quando viene, ti ritiri, né ti vede, né rimiri, ma mantiene l’affezione; chi piange e non si dà pace, chi perché con te mi trovo mi dà denaro – e ciò trovo
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la señal más verdadera – yo me afirmo en que decir que miente es gran desatino. Bien se echa de ver, Camino, que no le has visto mentir. ¡Pluguiera a Dios fuera cierto su amor! Que, a decir verdad, no tarde en mi voluntad hallaran sus ansias puerto. Que sus encarecimientos, aunque no los he creído, por lo menos han podido despertar mis pensamientos. Que, dado que es necedad dar crédito al mentiroso, como el mentir no es forzoso y puede decir verdad, oblígame la esperanza y el propio amor a creer que conmigo puede hacer en sus costumbres mudanza. Y así – por guardar mi honor, si me engaña lisonjero, y, si es su amor verdadero, porque es digno de mi amor – quiero andar tan advertida a los bienes y a los daños que ni admita sus engaños ni sus verdades despida. De ese parecer estoy. Pues dirásle que, cruel, rompí, sin vello, el papel; que esta respuesta le doy. Y luego tú, de tu aljaba, le di que no desespere, y que, si verme quisiere,
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sia il segnale più verace – sono convinto che dire che mente sia irragionevole. Camino, si vede bene che non lo hai visto mentire. Piacesse a Dio che davvero mi amasse! Io, in verità, presto nella volontà darei approdo a un tale affetto. Perché i suoi corteggiamenti, anche se non l’ho creduto, hanno lo stesso potuto svegliare i miei sentimenti. E poiché è stupidità dar credito al mentitore, ma quando non c’è ragione può dire la verità, mi costringe la speranza e l’amor proprio a pensare che per me potrebbe fare nei suoi costumi mutanza. Perciò, per serbar l’onore se mi inganna lusinghiero e vedere se davvero ama e merita il mio amore, mi voglio ben preparare tanto ai beni quanto ai danni, per non subire gli inganni né le verità sdegnare. Per me, ragione ti do. Gli dirai che io, crudele, l’ho strappata senza leggere; questa risposta gli do. Poi tu, come per tua idea, digli di non disperare, e che all’ottava può andare,
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vaya esta tarde a la otava de la Madalena. Voy. Mi esperanza fundo en ti. No se perderá por mí, pues ves que Camino soy.
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Vanse, y salen don Beltrán, don García y Tristán Don Beltrán saca una carta abierta. Dala a don García. BELTRÁN GARCÍA BELTRÁN
GARCÍA
BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA
¿Habéis escrito, García? Esta noche escribiré. Pues abierta os la daré, porque, leyendo la mía, conforme a mi parecer a vuestro suegro escribáis; que determino que vais vos en persona a traer vuestra esposa, que es razón; porque pudiendo traella vos mismo, envïar por ella fuera poca estimación. Es verdad; mas sin efeto será agora mi jornada. ¿Por qué? Porque está preñada; y hasta que un dichoso nieto te dé, no es bien arriesgar su persona en el camino. ¡Jesús! Fuera desatino, estando así, caminar. Mas dime, ¿cómo hasta aquí no me lo has dicho, García? Porque yo no lo sabía; y en la que ayer recebí
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se vuol vedermi, stasera, alla Magdalena. Corro. La mia speranza è con te. Non si perderà per me, dato che Camino sono.
CAMINO LUCRECIA CAMINO
Vanno via. Entrano don Beltrán, don García e Tristán. Don Beltrán mostra una lettera aperta e la porge a don García. DON BELTRÁN DON GARCÍA DON BELTRÁN
DON GARCÍA
DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
Avete scritto, García? Questa notte scriverò. Aperta questa vi do, perché, leggendo la mia, d’accordo col mio pensiero al suocero voi scriviate; giacché ho deciso che andiate a accompagnare voi stesso qui vostra moglie, a ragione; perché, potendo scortarla, altri mandare a chiamarla sarebbe scarsa attenzione. È vero; ma adesso un viaggio è inutile a Salamanca. Perché? Perché è in gravidanza, e finché non ti avrà dato un nipote, può rischiare la sua vita per la via. Gesù! Sarebbe follia, se questo è vero, viaggiare. Perché fino a questo punto García, non me lo hai detto? Perché neanch’io lo sapevo; ma in quella che ho ricevuto
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BELTRÁN
de doña Sancha, me dice que es cierto el preñado ya. Si un nieto varón me da hará mi vejez felice. Muestra; que añadir es bien
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Tómale la carta que le había dado.
GARCÍA BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA
BELTRÁN GARCÍA
BELTRÁN
cuánto con esto me alegro. Mas di, ¿cuál es de tu suegro el propio nombre? ¿De quién? De tu suegro. (Aquí me pierdo). Don Diego. O yo me he engañado, o otras veces le has nombrado don Pedro. También me acuerdo de eso mismo; pero son suyos, señor, ambos nombres. ¿Diego y Pedro? No te asombres; que, por una condición, don Diego se ha de llamar de su casa el sucesor. Llamábase mi señor don Pedro antes de heredar; y como se puso luego don Diego, porque heredó, después acá se llamó ya don Pedro, ya don Diego. No es nueva esa condición en muchas casas de España. A escribirle voy.
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ieri donna Sancha dice che è certa la gravidanza. Se di un maschietto si tratta l’età mia farà felice. Dammela; scriverò qui Riprende la lettera che gli aveva dato.
DON GARCÍA DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON BELTRÁN
quanto di ciò mi rallegro. Com’è il nome – non rammento – di tuo suocero? Di chi? Di tuo suocero. (Mi perdo). Don Diego. Ma vado errato, o tu l’avevi chiamato don Pedro? È vero, di questo mi ricordo; e la ragione è che i nomi porta entrambi. Diego e Pedro? Quelli, infatti; esiste una condizione. Diego si deve chiamare del casato il successore. Si chiamava il mio signore Pedro, e venne a ereditare; e poiché si chiamò Diego da che succedette al padre, da allora si può chiamare don Diego oppure don Pedro. Non è rara condizione in molte case di Spagna. Vado a scrivergli. Esce di scena. 1529
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GARCÍA TRISTÁN
GARCÍA TRISTÁN
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Extraña fue esta vez tu confusión. ¿Has entendido la historia? Y hubo bien en qué entender. El que miente ha menester gran ingenio y gran memoria. Perdido me vi. Y en eso pararás al fin, señor. Entre tanto, de mi amor veré el bueno o mal suceso. ¿Qué hay de Lucrecia? Imagino, aunque de dura se precia, que has de vencer a Lucrecia sin la fuerza de Tarquino. ¿Recibió el billete? Sí; aunque a Camino mandó que diga que lo rompió, que él lo ha fiado de mí. Y, pues lo admitió, no mal se negocia tu deseo, si aquel epigrama creo que a Nevia escribió Marcial: «Escribí; no respondió Nevia, luego dura está; mas ella se ablandará, pues lo que escribí leyó». Que dice verdad sospecho. Camino está de tu parte, y promete revelarte los secretos de su pecho; y que ha de cumplillo espero si andas tú cumplido en dar, que para hacer confesar no hay cordel como el dinero.
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Che strana ora la tua confusione. Hai inteso, entrando, la storia? C’è stato molto da intendere. Chi mente abbisogna sempre di ingegno e di gran memoria. Perso mi son visto. E in questo andrai a parare, signore. Nel frattempo, del mio amore vedrò il successo o insuccesso. Dimmi, e Lucrecia? Intuisco, se di esser dura si pregia, che conquisterai Lucrecia senza imitare Tarquinio. Ha avuto il biglietto? Sì; però a Camino ordinò di dire che lo strappò; a me lui ha detto così. E se lo ha letto, non male procede il tuo desiderio, se a quell’epigramma credo che a Nevia scrisse Marziale: «Le scrissi. Non replicò Nevia. Dura se ne sta, però si ammorbidirà se ciò che ho scritto guardò». Che dica il vero, sospetto. Camino è dalla tua parte, e promette di svelare i segreti del suo petto; credo che manterrà il patto se tu manterrai nel dare, perché per far confessare nulla v’è come il denaro. 1531
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TRISTÁN
GARCÍA
TRISTÁN
GARCÍA
TRISTÁN
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Y aun fuera bueno, señor, que conquistaras tu ingrata con dádivas, pues que mata con flechas de oro el Amor. Nunca te he visto grosero, sino aquí, en tus pareceres. ¿Es ésta de las mujeres que se rinden por dinero? Virgilio dice que Dido fue del troyano abrasada, de sus dones obligada tanto como de Cupido. ¡Y era reina! No te espantes de mis pareceres rudos, que escudos vencen escudos, diamantes labran diamantes. ¿No viste que le ofendió mi oferta en la Platería? Tu oferta la ofendería, señor, que tus joyas no. Por el uso te gobierna; que a nadie en este lugar por desvergonzado en dar le quebraron brazo o pierna. Dame tú que ella lo quiera, que darle un mundo imagino. Camino dará camino, que es el polo de esta esfera. Y porque sepas que está en buen estado tu amor, ella le mandó, señor, que te dijese que hoy va Lucrecia a la Madalena a la fiesta de la Otava, como que él te lo avisaba. ¡Dulce alivio de mi pena! ¿Con ese espacio me das
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E sarà bene, signore, la tua ingrata ammorbidire con doni, perché ferisce con frecce d’oro l’amore. Non ti ho visto grossolano se non qui, nei tuoi pareri. Lei è tra le donne, sostieni, che si danno per denaro? Virgilio dice Didone, pur regina, innamorata, sia perché dei doni grata che per i dardi d’Amore. Quindi non meravigliarti di questi miei avvisi rudi: che scudi vincono scudi, diamanti intaglian diamanti. Non hai visto? Protestò nell’argenteria, all’offerta. La tua offerta l’avrà offesa, signore, i gioielli no. Di Madrid segui l’usanza, che a nessuno qui, per dare sfacciatamente, mi pare, fu tagliato braccio o gamba. Se mi dici che lo accetta, di darle un mondo desidero. Camino darà il cammino, è il polo di questa sfera. E per dirti come sta in buono stato il tuo amore, sappi che gli diede ordine, di dirti che oggi andrà Lucrecia alla Magdalena alla festa dell’ottava, ma che era lui che avvisava. Sollievo per la mia pena! Mi dai così lentamente 1533
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nuevas que me vuelven loco? Dóytelas tan poco a poco porque dure el gusto más.
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Vanse. Salen Jacinta y Lucrecia, con mantos. JACINTA LUCRECIA
JACINTA
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JACINTA
¿Qué? ¿Prosigue don García? De modo que, con saber su engañoso proceder, como tan firme porfía, casi me tiene dudosa. Quizá no eres engañada, que la verdad no es vedada a la boca mentirosa. Quizá es verdad que te quiere, y más donde tu beldad asegura esa verdad en cualquiera que te viere. Siempre tú me favoreces; mas yo lo creyera así a no haberte visto a ti que al mismo sol obscureces. Bien sabes tú lo que vales, y que en esta competencia nunca ha salido sentencia por tener votos iguales. Y no es sola la hermosura quien causa amoroso ardor, que también tiene el amor su pedazo de ventura. Yo me holgaré que por ti, amiga, me haya trocado, y que tú hayas alcanzado lo que yo no merecí; porque ni tú tienes culpa ni él me tiene obligación.
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notizie per cui impazzisco? Poco a poco le fornisco perché il gusto sia più ingente. Vanno via. Entrano Jacinta e Lucrecia, coi mantelli.
JACINTA LUCRECIA
JACINTA
LUCRECIA
JACINTA
Eh? Continua don García? In tal modo che sapere come mentendo procede e come fermo si ostina, quasi mi lascia perplessa. Forse non vieni ingannata; la verità non vietata è alla bocca menzognera. Forse è vero che ti ama, perché poi la tua beltà attesta la verità di ciò in chiunque ti guarda. Mi sai sempre favorire; ma io lo crederei se non avessi visto te, che il sole fai impallidire. Sai bene quello che vali, e in questa competizione mai c’è stato vincitore, perché avremmo voti uguali. Né c’è solo la beltà che causa amoroso ardore, perché possiede l’amore un po’ di fatalità. Mi rallegro se per te amica, mi avrà cambiato, se così avrai realizzato quello che non spetta a me; né tu ne avresti la colpa né lui verso me ha doveri. 1535
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JACINTA LUCRECIA
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Pero ve con prevención, que no te queda disculpa si te arrojas en amar, y al fin quedas engañada, de quien estás ya avisada que sólo sabe engañar. Gracias, Jacinta, te doy, mas tu sospecha corrige: que estoy por creerle, dije, no que por quererle estoy. Obligaráte el creer y querrás, siendo obligada, y así, es corta la jornada que hay de creer a querer. Pues ¿qué dirás si supieres que un papel he recibido? Diré que ya le has creído, y aun diré que ya le quieres. Erráraste; y considera que tal vez la voluntad hace por curiosidad lo que por amor no hiciera. ¿Tú no le hablaste gustosa en la Platería? Sí. ¿Y fuiste, en oírle allí, enamorada o curiosa? Curiosa. Pues yo con él curiosa también he sido, como tú en haberle oído, en recebir su papel. Notorio verás tu error si adviertes que es el oír cortesía, y admitir un papel, claro favor.
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Ma con cautela procedi, perché non avrai discolpa se ti sbilanci ad amare e resti infine ingannata da chi sei stata avvisata che sa soltanto ingannare. Jacinta, io ti ringrazio, ma correggi il tuo sospetto; che sto per credergli ho detto, ma non che stia per amarlo. Credere può indebitare, e amerai, essendo obbligata, perché corta camminata vi è dal credere all’amare. E che dirai se sapessi che un messaggio ho ricevuto? Dirò che già gli hai creduto, e anche che già lo vorresti. Sbagli in questo; e guarda bene, che spesso la volontà fa, per la curiosità, ciò che amore non farebbe. Non gli hai parlato gioiosa nell’argenteria? Sì. Ed eri, ad udirlo lì, innamorata o curiosa? Curiosa. Ed io incuriosita sono stata di quel tale, come te nel conversare, vedendo la sua missiva. Chiaro apparirà il tuo errore se ammetti che l’ascoltare è cortesia, ed accettare lettere un chiaro favore.
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JACINTA
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Eso fuera a saber él que su papel recebí; mas él piensa que rompí, sin leello, su papel. Pues, con eso, es cierta cosa que curiosidad ha sido. En mi vida me ha valido tanto gusto el ser curiosa. Y porque su falsedad conozcas, escucha y mira si es mentira la mentira que más parece verdad.
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Saca un papel y ábrele, y lee en secreto. Salen Camino, García y Tristán por otra parte. CAMINO
GARCÍA CAMINO
GARCÍA
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¿Veis la que tiene en la mano un papel? Sí. Pues aquélla es Lucrecia. (¡Oh, causa bella de dolor tan inhumano! Ya me abraso de celoso). ¡Oh, Camino, cuánto os debo! Mañana os vestís de nuevo. Por vos he de ser dichoso.
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Llegarme, Tristán, pretendo adonde, sin que me vea, si posible fuere, lea el papel que está leyendo. No es difícil; que si vas a esta capilla arrimado,
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JACINTA
LUCRECIA
Ciò sarebbe lui sapendo che la lettera ho accettato; ma lui pensa che ho strappato la sua missiva, e non letto. Ma se è così, è vera cosa che per curiosità è stato. Mai fino adesso mi ha dato tanto gusto esser curiosa. Perché la sua falsità tu sappia, ascolta e considera se è bugia la bugia che più sembra verità.
Estrae un foglio e lo apre, leggendo in segreto. Entrano Camino, García e Tristán da un altro lato. CAMINO
DON GARCÍA CAMINO
DON GARCÍA
TRISTÁN CAMINO
La vedi quella che ha in mano un foglio? Sì. Bene, quella è Lucrecia. (Oh, causa bella di dolore sì inumano! Brucio da uomo geloso!) Camino, quanto vi devo! Avrete vestiti nuovi. Mi rallegrerete molto. [Camino] esce di scena.
DON GARCÍA
TRISTÁN
Di arrivare, Tristán, tento, più vicino, per vedere, se possibile, e sapere che carta stia lei leggendo. Non è difficile; vai alla cappella accostato,
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GARCÍA
saliendo por aquel lado, de espaldas la cogerás. Bien dices. Ven por aquí.
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Vanse. JACINTA
LUCRECIA
Lee bajo, que darás mal ejemplo. No me oirás. Toma y lee para ti. Da el papel a Jacinta.
JACINTA
Ése es mejor parecer. Salen Tristán y García por otra puerta; cogen de espaldas a las damas.
TRISTÁN GARCÍA
Bien el fin se consiguió. Tú, si ves mejor que yo, procura, Tristán, leer.
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Lee Jacinta. PAPEL
GARCÍA
«Ya que mal crédito cobras de mis palabras sentidas, dime si serán creídas, pues nunca mienten, las obras. Que si consiste el creerme, señora, en ser tu marido, y ha de dar el ser creído materia al favorecerme, por éste, Lucrecia mía, que de mi mano te doy firmado, digo que soy ya tu esposo. Don García.» (¡Vive Dios, que es mi papel!)
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DON GARCÍA
e spuntando da quel lato alle sue spalle sarai. D’accordo. Vieni con me. Escono.
JACINTA
LUCRECIA
Leggi piano, che darai mal esempio. Non mi udrai. Prendilo e leggi da te. Porge il biglietto a Jacinta.
JACINTA
Questo qui è il miglior parere. Rientrano Tristán e García da un’altra porta, portandosi alle spalle delle dame.
TRISTÁN DON GARCÍA
Ecco, è raggiunto lo scopo. Tu, se vedi meglio il foglio, sforzati, Tristán, di leggere. Legge Jacinta.
BIGLIETTO
DON GARCÍA
«Poca considerazione le parole hanno veduta; dimmi se sarà creduta, giacché non mente, l’azione. Che se il credito si pone nello sposarti, signora, e se dà materia ora il credito al tuo favore, per questo, Lucrecia mia, mano di sposo ti dono; firmando, dico che sono tuo marito. Don García.» (Vivaddio, che è il mio biglietto!) 1541
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TRISTÁN GARCÍA JACINTA
GARCÍA
(Pues ¿qué? ¿No lo vio en su casa?) (Por ventura lo repasa, regalándose con él.) (Comoquiera te está bien.) (Comoquiera soy dichoso.) Él es breve y compendioso; o bien siente o miente bien. Volved los ojos, señora, cuyos rayos no resisto.
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Tápanse Lucrecia y Jacinta. JACINTA
LUCRECIA GARCÍA
(Cúbrete, pues no te ha visto, y desengáñate agora.) (Disimula y no me nombres.) Corred los delgados velos a ese asombro de los cielos, a ese cielo de los hombres. ¿Posible es que os llego a ver, homicida de mi vida? Mas, como sois mi homicida, en la iglesia hubo de ser. Si os obliga a retraer mi muerte, no hayáis temor, que de las leyes de amor es tan grande el desconcierto, que dejan preso al que es muerto y libre al que es matador. Ya espero que de mi pena estáis, mi bien, condolida, si el estar arrepentida os trajo a la Madalena. Ved cómo el amor ordena recompensa al mal que siento, pues si yo llevé el tormento de vuestra crueldad, señora,
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TRISTÁN DON GARCÍA JACINTA
DON GARCÍA
(Perché, non l’ha letto a casa?) (Chissà, forse lo ripassa dilettandosi con esso.) (Comunque sia, a te va bene.) (Come sia, sono gioioso.) Sintetico e compendioso; o ben sente o mente bene. Girate gli occhi, signora, ai cui raggi non resisto.
Si coprono Lucrecia e Jacinta [e parlano tra di loro]. JACINTA
LUCRECIA DON GARCÍA
(Copriti, che non ti ha visto, e disingannati ora.) (Silenzio, e non fare nomi.) Togliete i sottili veli a quel tripudio dei cieli ed a quel cielo degli uomini. Possibile ch’io vi veda, sicario della mia vita? Ma se siete mia omicida, certo che vi ho vista in chiesa. Se il delitto vi ha costretta a asilo, niente timore, che nelle leggi d’amore è tutto quanto distorto; è imprigionato chi è morto e libero l’uccisore. Spero ora che la mia pena vi ispiri rincrescimento, se il provare pentimento vi portò alla Magdalena. Vedete, amore decreta rimborso al male che sento; poiché ho subito il tormento di vostra asprezza, signora,
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JACINTA GARCÍA
JACINTA
GARCÍA JACINTA GARCÍA
JACINTA
GARCÍA
la gloria me llevo agora de vuestro arrepentimiento. ¿No me habláis, dueño querido? ¿No os obliga el mal que paso? ¿Arrepentísos acaso de haberos arrepentido? Que advirtáis, señora, os pido, que otra vez me mataréis. Si porque en la iglesia os veis, probáis en mí los aceros, mirad que no ha de valeros si en ella el delito hacéis. ¿Conocéisme? ¡Y bien, por Dios! Tanto, que desde aquel día que os hablé en la Platería no me conozco por vos; de suerte que, de los dos, vivo más en vos que en mí, que tanto, desde que os vi, en vos transformado estoy, que ni conozco el que soy ni me acuerdo del que fui. Bien se echa de ver que estáis del que fuistes olvidado, pues sin ver que sois casado nuevo amor solicitáis. ¡Yo casado! ¿En eso dais? ¿Pues no? ¡Qué vana porfía! Fue, por Dios, invención mía por ser vuestro. O por no sello; y, si os vuelven a hablar de ello, seréis casado en Turquía. Y vuelvo a jurar por Dios que en este amoroso estado
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JACINTA DON GARCÍA
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DON GARCÍA JACINTA DON GARCÍA
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DON GARCÍA
il trofeo guadagno ora del vostro ravvedimento. Non mi parlate, mia vita? Non vi commuove il mio stato? Siete pentita, per caso, di esservi prima pentita? Un’altra volta vi dico, signora, che mi uccidete, e se perché in chiesa siete mi puntate contro le armi il luogo non può giovarvi se in esso il delitto avviene. Mi conoscete? Per Dio! Fino al punto che da quando nel negozio vi ho parlato, non mi riconosco io se non in voi, ed ora vivo più in voi che in me; fino al punto che da quando vi ho veduto in voi trasformato sono, e né so quello che sono né ricordo quel che fui. Si vede bene che avete scordato chi siete stato; come non foste sposato, nuovo amore ora volete. Io, sposato! Lo credete? No? Che vana ostinazione! È stata, per Dio, invenzione per esser vostro. O non esserlo; se si riparla di questo, avrete moglie in Turchia. Per Dio, do ancora parola che in questo amoroso stato 1545
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para todas soy casado y soltero para vos. (¿Ves tu desengaño?) (¡Ah, cielos! ¿Apenas una centella siento de amor, y ya de ella nacen vulcanes de celos?) Aquella noche, señora, que en el balcón os hablé, ¿todo el caso no os conté? ¿A mí en balcón? (¡Ah, traidora!) Advertid que os engañáis. ¿Vos me hablasteis? ¡Bien, por Dios! (¿Habláisle de noche vos, y a mí consejos me dais?) Y el papel que recibistes, ¿negaréislo? ¿Yo, papel? (¡Ved qué amiga tan fiel!) Y yo sé que lo leístes. Pasar por donaire puede, cuando no daña, el mentir; mas no se puede sufrir cuando ese límite excede. ¿No os hablé en vuestro balcón, Lucrecia, tres noches ha? ¿Yo Lucrecia? (Bueno va; toro nuevo, otra invención. A Lucrecia ha conocido, y es muy cierto el adorarla, pues finge, por no enojarla, que por ella me ha tenido). (Todo lo entiendo. ¡Ah traidora! Sin duda que le avisó que la tapada fui yo,
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JACINTA LUCRECIA
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per tutte sono sposato e scapolo per voi sola. (Ti disinganni ora?) (Oh, cielo! Come, appena una fiammella d’amore avverto, da quella vulcani gelosi accendo?) Quella sera, mia signora, che al balcone vi parlai, il caso non raccontai? Io, al balcone? (Traditora!) Sappiate che vi ingannate. Mi parlaste? Giuro, e bene! (Gli parla di notte, e crede di potermi consigliare?) E il foglio che riceveste, lo negate? Una missiva? (Però, che fedele amica!) Ed io so che lo leggeste. Passar per scherzo potrebbe, se non danneggia, il mentire; ma non lo si può soffrire se questo limite eccede. Non vi parlai, al balcone, Lucrecia, tre notti fa? Io, Lucrecia? (Senti qua! Toro nuovo, altra invenzione. Lucrecia ha riconosciuto, e finge, giacché l’adora, perché non si arrabbi ora, ch’io sia lei di aver creduto.) (Ora intendo. Traditora! Senza dubbio lo ha avvisato che io velata ho ascoltato, 1547
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y quiere enmendarlo agora con fingir que fue el tenella por mí la causa de hablalla). TRISTÁN Negar debe de importalla, (A don García) por la que está junto de ella, ser Lucrecia. GARCÍA Así lo entiendo, que si por mí lo negara, encubriera ya la cara. Pero, no se conociendo, ¿se hablarán las dos? TRISTÁN Por puntos suele en las iglesias verse que parlan, sin conocerse, los que aciertan a estar juntos. GARCÍA Dices bien. TRISTÁN Fingiendo agora que se engañaron tus ojos, lo enmendarás. GARCÍA Los antojos de un ardiente amor, señora, me tienen tan deslumbrado, que por otra os he tenido. Perdonad, que yerro ha sido de esa cortina causado. Que, como a la fantasía fácil engaña el deseo, cualquiera dama que veo se me figura la mía. JACINTA (Entendíle la intención). LUCRECIA (Avisóle la taimada). JACINTA Según eso, la adorada es Lucrecia. GARCÍA El corazón, desde el punto que la vi, la hizo dueño de mi fe. JACINTA (a Lucrecia) (¡Bueno es esto!)
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e vuol rimediare ora, fingendo che la credeva me, e per questo le ha parlato.) TRISTÁN Probabilmente ha negato (A don García) per non far capire a quella che è Lucrecia. DON GARCÍA Certamente; se negasse per mia causa, nasconderebbe la faccia. Ma se non è conoscente, lei le parla? TRISTÁN Spesse volte nelle chiese si è veduto che al vicino sconosciuto si rivolgono parole. DON GARCÍA Dici bene. TRISTÁN Fingi ora che hanno sbagliato i tuoi occhi, e rimedierai. DON GARCÍA I dolori di un amore, mia signora, ardente mi hanno offuscato tanto da credervi un’altra. Perdonate; tale cappa ha questo errore causato; che come la fantasia sa ingannare il desiderio, ogni dama che io vedo mi sembra che sia la mia. JACINTA (Ho capito l’intenzione.) LUCRECIA (L’ha avvisato; molto scaltra!) JACINTA Dunque, la vostra adorata è Lucrecia... DON GARCÍA Questo cuore padrona della mia fede la fece dacché l’ho vista. JACINTA (A Lucrecia) Bene, no? 1549
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(¡Que ésta esté haciendo burla de mí! No me doy por entendida, por no hacer aquí un exceso). Pues yo pienso que, a estar de eso cierta, os fuera agradecida Lucrecia. ¿Tratáis con ella? Trato, y es amiga mía, tanto, que me atrevería a afirmar que en mí y en ella vive sólo un corazón. (¡Si eres tú, bien claro está! ¡Qué bien a entender me da su recato y su intención!) Pues ya que mi dicha ordena tan buena ocasión, señora, pues sois ángel, sed agora mensajera de mi pena. Mi firmeza le decid, y perdonadme si os doy este oficio. (Oficio es hoy de las mozas en Madrid). Persuadilda que a tan grande amor ingrata no sea. Hacelde vos que lo crea, que yo la haré que se ablande. ¿Por qué no creerá que muero, pues he visto su beldad? Porque, si os digo verdad, no os tiene por verdadero. ¡Ésta es verdad, vive Dios! Hacelde vos que lo crea. ¿Qué importa que verdad sea, si el que la dice sois vos?
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(Che questa amica si prenda gioco di me? Qui non farò una scenata; meglio far finta di nulla.) Penso che, ad esser sicura di ciò, vi sarebbe grata Lucrecia. Voi le parlate? Le parlo, e mi è amica lei tanto, che mi azzarderei a dire che in noi due batte soltanto un unico cuore. (Se sei tu, questo è evidente! Come mostra chiaramente la prudenza e l’intenzione!) Se la fortuna mi detta tale occasione, signora, da buon angelo, siate ora nunzia di questa mia pena. La mia costanza direte, e scusate se vi affido quest’ufficio. (È un ufficio, ora, a Madrid, per ancelle.) Ditele che tanto ingenti sentimenti in conto tenga. Fate voi che lei li creda e io farò che vi accetti. Non crederà che io muoio, se ho visto la sua beltà? A dirvi la verità, non vi crede veritiero. È verità, vivaddio! Fate in modo che la creda. Cosa importa che sia vera, se siete voi che la dite?
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Que la boca mentirosa incurre en tan torpe mengua, que solamente en su lengua es la verdad sospechosa. Señora... Basta; mirad que dais nota. Yo obedezco. ¿Vas contenta? Yo agradezco, Jacinta, tu voluntad.
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Vanse las dos. GARCÍA
TRISTÁN GARCÍA
TRISTÁN
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¿No ha estado aguda Lucrecia? ¡Con qué astucia dio a entender que le importaba no ser Lucrecia! A fe que no es necia. Sin duda que no quería que la conociese aquella que estaba hablando con ella. Claro está que no podía obligalla otra ocasión a negar cosa tan clara, porque a ti no te negara que te habló por su balcón, pues ella misma tocó los puntos de que tratastes cuando por él os hablastes. En eso bien me mostró que de mí no se encubría. Y por eso dijo aquello: «Y si os vuelven a hablar de ello seréis casado en Turquía.» Y esta conjetura abona más claramente el negar
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Perché bocca menzognera ne è talmente sminuita che detta dalla sua lingua è la verità sospetta. Signora... Basta; attenzione, che vi notano. Obbedisco. Sei contenta? Io gradisco, Jacinta, la tua affezione. Escono.
DON GARCÍA
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TRISTÁN
DON GARCÍA
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Non è prudente Lucrecia? Con che astuzia ha fatto intendere che le importava non essere Lucrecia! Non è un’ingenua. Senza dubbio non voleva rivelarsi a quella dama che presso di lei sostava. Certamente non poteva spingerla un’altra ragione a celare l’evidenza, se non nega la presenza e il parlarti dal balcone, giacché lei stessa toccò i punti che hai menzionato quando da lì le hai parlato. Bene in questo mi mostrò che non da me si copriva. Ed è perciò che vi ha detto: «Se si riparla di questo, avrete moglie in Turchia.» E questa è la spiegazione che chiarisce il suo negare 1553
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que era Lucrecia y tratar luego en tercera persona de sus propios pensamientos, diciéndote que sabía que Lucrecia pagaría tus amorosos intentos, con que tú hicieses, señor, que los llegase a creer. ¡Ah, Tristán! ¿Qué puedo hacer para acreditar mi amor? ¿Tú quieres casarte? Sí. Pues pídela. ¿Y si resiste? Parece que no la oíste lo que dijo agora aquí: «Hacelde vos que lo crea, que yo la haré que se ablande.» ¿Qué indicio quieres más grande de que ser tuya desea? Quien tus papeles recibe, quien te habla en sus ventanas, muestras ha dado bien llanas de la afición con que vive. El pensar que eres casado la refrena solamente, y queda ese inconveniente con casarte remediado; pues es el mismo casarte, siendo tan gran caballero, información de soltero. Y, cuando quiera obligarte a que des información, por el temor con que va de tus engaños, no está Salamanca en el Japón.
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di esser Lucrecia, e il parlare di sé con quella finzione di conoscerne i pensieri, garantendoti che sa che Lucrecia accetterà i tuoi amorosi intenti, se tu facessi, signore, in modo da farti credere. Oh, Tristán! Come procedere perché creda nel mio amore? Tu ti vuoi sposare? Sì. Domandala. E se non vuole? Sembra che le sue parole scordi, che pronunciò qui: «Fate voi che lei li creda, e io farò che vi accetti.» Che migliore prova chiedi che di essere tua anela? Chi i tuoi messaggi riceve, chi ti ha parlato al balcone, ha dato dimostrazione dell’affetto in cui ti tiene. Pensare che sei sposato la trattiene solamente, ma sarà l’inconveniente, sposandoti, rimediato; perché il fatto di sposarti, visto il tuo alto casato, attesta il libero stato. E se volesse obbligarti a dare altra informazione, per il timore che ha delle tue bugie, non sta Salamanca nel Giappone.
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Sí está para quien desea, que son ya siglos en mí los instantes. Pues aquí, ¿no habrá quien testigo sea? Puede ser. Es fácil cosa. Al punto los buscaré. Uno, yo te lo daré. ¿Y quién es? Don Juan de Sosa. ¿Quién? ¿Don Juan de Sosa? Sí. Bien lo sabe. Desde el día que te habló en la Platería no le he visto, ni él a ti. Y aunque siempre he deseado saber qué pesar te dio el papel que te escribió, nunca te lo he preguntado, viendo que entonces, severo negaste y descolorido; mas agora, que ha venido tan a propósito, quiero pensar que puedo, señor, pues secretario me has hecho del archivo de tu pecho y se pasó aquel furor. Yo te lo quiero contar, que, pues sé por experiencia tu secreto y tu prudencia, bien te lo puedo fiar. A las siete de la tarde me escribió que me aguardaba en San Blas don Juan de Sosa para un caso de importancia.
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Lo è, per chi non sa aspettare, perché è un secolo per me ogni istante. Forse qui non c’è chi lo può attestare? Forse. È facile la cosa. Subito lo cercherò. Uno, io te lo darò. E chi è? Don Juan de Sosa. Chi? Don Juan de Sosa? Lui. Lo sa bene. Io da quando nel negozio gli hai parlato non l’ho visto, né tu lui. E anche se mi sono sempre chiesto che pena ti ha dato il foglio che ti ha mandato, mai ho insistito per sapere, vedendo che allora, austero impallidivi negando; ma ora, che viene tanto a proposito, io penso che posso farlo, signore, se segretario mi hai reso dell’archivio del tuo petto, e passato è quel furore. Te lo voglio raccontare, perché so per esperienza la prudenza e segretezza tue, e mi posso fidare. Alle sette della sera mi scrisse che mi aspettava a San Blas don Juan de Sosa per un caso d’importanza. 1557
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Callé, por ser desafío, que quiere, el que no lo calla, que le estorben o le ayuden, cobardes acciones ambas. Llegué al aplazado sitio, donde don Juan me aguardaba con su espada y con sus celos, que son armas de ventaja. Su sentimiento propuso, satisfice a su demanda, y, por quedar bien, al fin desnudamos las espadas. Elegí mi medio al punto, y, haciéndole una ganancia por los grados del perfi l, le di una fuerte estocada. Sagrado fue de su vida un Agnus Dei que llevaba, que, topando en él la punta, hizo dos partes mi espada. Él sacó pies del gran golpe; pero, con ardiente rabia, vino tirando una punta; mas yo, por la parte flaca, cogí su espada, formando un atajo. Él presto saca – como la respiración tan corta línea le tapa, por faltarle los dos tercios a mi poco fiel espada – la suya, corriendo filos, y, como cerca me halla – porque yo busqué el estrecho por la falta de mis armas – a la cabeza, furioso, me tiró una cuchillada.
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Tacqui, perché era un duello, e vuole, colui che parla, l’impedimento o l’aiuto, facendo azione codarda. Giunsi al posto concordato, dove don Juan mi aspettava, con spada e con gelosia, che è l’arma che l’avvantaggia. Il suo sentimento disse; soddisfeci la domanda; per non far brutta figura sguainammo entrambi la spada. Mossi di lato due gradi, e, prendendo la distanza, sorprendendolo di fianco, sferrai una forte stoccata. Salvata gli fu la vita da un Agnus Dei che portava, che, colpito dalla punta, spezzò in due parti la spada. Retrocesse dal gran colpo; però, con ardente rabbia, affondò tutto di punta; di sottile una parata faccio legandogli il colpo a mezzo. Lui la estrae rapida – poiché limita il respiro la così breve distanza, giacché mancano i due terzi alla mia infida spada – di striscio filo con filo, e appena mi ha alla portata – perché io, troppo accostando, non ho spazio per la guardia – alla testa, furibondo un gran fendente mi scaglia.
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Recibíla en el principio de su formación, y baja, matándole el movimiento, sobre la suya mi espada. ¡Aquí fue Troya! Saqué un revés con tal pujanza, que la falta de mi acero hizo allí muy poca falta; que, abriéndole en la cabeza un palmo de cuchillada, vino sin sentido al suelo, y aun sospecho que sin alma. Dejéle así y con secreto me vine. Esto es lo que pasa, y de no verle estos días, Tristán, es ésta la causa. ¡Qué suceso tan extraño! ¿Y si murió? Cosa es clara, porque hasta los mismos sesos esparció por la campaña. ¡Pobre don Juan...! Mas ¿no es éste que viene aquí?
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Salen don Juan y don Beltrán por otra parte. GARCÍA TRISTÁN
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¡Cosa extraña! ¿También a mí me la pegas? ¿Al secretario del alma? (¡Por Dios, que se lo creí, con conocelle las mañas! Mas ¿a quién no engañarán mentiras tan bien trobadas?) Sin duda que le han curado por ensalmo.
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Io lo blocco con la lama al suo primo terzo, bassa, spegnendogli il movimento sulla sua con la mia spada. Ecco, fu Troia! Un rovescio portai con tale possanza, che non mi fece difetto il difetto della spada; perché nella testa aprendo un palmo di coltellata senza sensi cadde al suolo, e, suppongo, già senz’anima. Lo lasciai lì, e in segreto me ne tornai. Questo capita, e se non l’hai visto in giro, Tristán, è questa la causa. Tutto questo è molto strano! E se è morto? È cosa chiara, perché perfino il cervello s’è sparso per la campagna. Triste don Juan! Ma non è lui che arriva? Entrano don Juan e don Beltrán dall’altro lato.
DON GARCÍA TRISTÁN
DON GARCÍA
Cosa strana! Anche a me racconti favole? Al segretario dell’anima? (Per Dio, l’avevo creduta, pur conoscendo la trappola! Ma chi non ingannerebbe bugia così ben pensata?) Di certo l’hanno curato con i salmi.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO TRISTÁN
GARCÍA
TRISTÁN GARCÍA
TRISTÁN GARCÍA
TRISTÁN
GARCÍA
TRISTÁN GARCÍA
TRISTÁN
Cuchillada que rompió los mismos sesos, ¿en tan breve tiempo sana? ¿Es mucho? Ensalmo sé yo con que un hombre, en Salamanca, a quien cortaron a cercen un brazo con media espalda, volviéndosele a pegar, en menos de una semana quedó tan sano y tan bueno como primero. (¡Ya escampa!) Esto no me lo contaron; yo lo vi mismo. Eso basta. ¡De la verdad, por la vida, no quitaré una palabra! (¿Que ninguno se conozca?) Señor, mis servicios paga con enseñarme ese ensalmo. Está en dicciones hebraicas, y, si no sabes la lengua, no has de saber pronunciarlas. Y tú, ¿sábesla? ¡Qué bueno! Mejor que la castellana. Hablo diez lenguas. (Y todas para mentir no te bastan. Cuerpo de verdades lleno con razón el tuyo llaman, pues ninguna sale de él ni hay mentira que no salga).
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[Hablan aparte don Beltrán y don Juan]. BELTRÁN
¿Qué decís?
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO TRISTÁN
DON GARCÍA
TRISTÁN DON GARCÍA
TRISTÁN DON GARCÍA
TRISTÁN
DON GARCÍA
TRISTÁN DON GARCÍA
TRISTÁN
Coltellata che ha rotto il cervello stesso, così presto è risanata? È molto? Preghiere so con cui un uomo, a Salamanca, cui tagliarono di netto un braccio con mezza spalla, riattaccandola di nuovo in quasi una settimana tornò sano e stava bene come prima. È esagerata! Non è cosa che abbia appreso; l’ho vista io. Questo basta. Non toglierò una parola al vero, per la mia anima! (Che nessuno si conosca!) La mia fedeltà ripaga, signore, dandomi il salmo. È composto in lingua ebraica e, se tu non sai la lingua, neanche saprai pronunciarla. Tu invece la sai? Oh, bella! Meglio della castigliana. Ne parlo dieci. (E un tal numero per mentire non ti basta. Corpo di verità pieno a ragione il tuo si chiama, se nessuna esce da quello ed ogni bugia lo lascia). [Parlano in disparte don Beltrán e don Juan.]
DON BELTRÁN
Che dite? 1563
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO JUAN
BELTRÁN
JUAN
Esto es verdad. Ni caballero ni dama tiene, si mal no me acuerdo, de esos nombres Salamanca. (Sin duda que fue invención de García, cosa es clara. Disimular me conviene). Gocéis por edades largas, con una rica encomienda, de la cruz de Calatrava. Creed que siempre he de ser más vuestro cuanto más valga. Y perdonadme, que ahora, por andar dando las gracias a esos señores, no os voy sirviendo hasta vuestra casa.
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Vase. BELTRÁN
TRISTÁN GARCÍA
(¡Válgame Dios! ¿Es posible que a mí no me perdonaran las costumbres de este mozo? ¿Que aun a mí en mis propias canas me mintiese, al mismo tiempo que riñéndoselo estaba? ¿Y que le creyese yo, en cosa tan de importancia, tan presto, habiendo ya oído de sus engaños la fama? Mas ¿quién creyera que a mí me mintiera, cuando estaba reprehendiéndole eso mismo? Y ¿qué juez se recelara que el mismo ladrón le robe de cuyo castigo trata?) ¿Determínaste a llegar? Sí, Tristán.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON JUAN
DON BELTRÁN
DON JUAN
È la verità. Né cavaliere né dama ha, se male non ricordo, con quei nomi Salamanca. (Senza dubbio fu invenzione di García, la cosa è chiara. Dissimulare conviene). A lungo vi sia serbata, e con una ricca rendita, la Croce di Calatrava. Sappiate che sarò vostro sempre, quanto in alto salga. E scusatemi, se adesso dovendo mostrare grata deferenza a quei signori, non vi servo fino a casa. Esce di scena.
DON BELTRÁN
TRISTÁN DON GARCÍA
(Dio mi aiuti! È mai possibile che a me non sia risparmiata l’usanza di quel ragazzo? Che a questi capelli bianchi miei mentisse, al tempo stesso che lo si rimproverava? E che io abbia creduto cosa di tale importanza così presto, avendo udito delle sue bugie la fama? Ma chi l’avrebbe creduto che mentisse a chi gli stava rimproverando ciò stesso? Che giudice ha titubanza che lo derubi quel ladro che attende da lui condanna?) Decidi di avvicinarti? Vado. 1565
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO
Pues Dios te valga.
TRISTÁN GARCÍA
Padre...
¡No me llames padre, vil! Enemigo me llama, que no tiene sangre mía quien no me parece en nada. Quítate de ante mis ojos, que, por Dios, si no mirara... TRISTÁN (A García) El mar está por el cielo; mejor ocasión aguarda. BELTRÁN ¡Cielos! ¿Qué castigo es éste? ¿Es posible que a quien ama la verdad como yo, un hijo de condición tan contraria le diésedes? ¿Es posible que quien tanto su honor guarda como yo, engendrase un hijo de inclinaciones tan bajas, y a Gabriel, que honor y vida daba a mi sangre y mis canas, llevásedes tan en flor? Cosas son que, a no mirarlas como cristiano... GARCÍA (¿Qué es esto?) TRISTÁN (¡Quítate de aquí! ¿Qué aguardas?) BELTRÁN Déjanos solos, Tristán. Pero vuelve, no te vayas; por ventura, la vergüenza de que sepas tú su infamia podrá en él lo que no pudo el respeto de mis canas. Y, cuando ni esta vergüenza le obligue a enmendar sus faltas, servirále, por lo menos, de castigo el publicallas. Di, liviano, ¿qué fin llevas? BELTRÁN
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO
Dio ti faccia grazia. Padre... DON BELTRÁN Non chiamarmi padre, vile! Nemico mi chiama, per Dio! Che non ha mio sangue chi non ha rassomiglianza alcuna con me. Sparisci, che se non mi tiene a bada... TRISTÁN (A don García) Il mare adesso sta in cielo; ad altro tempo rimanda! DON BELTRÁN Cieli! Che castigo è questo? Possibile che a chi ama il vero come me, un figlio di indole tanto contraria abbiate dato? È possibile che uno che all’onore guarda come me, generi un figlio di tendenza così bassa, e Gabriel, che onore e vita dava al mio sangue e all’età, abbiate tolto sì in fiore? Sono cose, a non guardarle da cristiano... DON GARCÍA (Che succede?) TRISTÁN (Che aspetti? Vai, che ti caccia!) DON BELTRÁN Lasciaci soli, Tristán. Però no, Tristán rimanga; perché forse la vergogna che anche tu sappia l’infamia farà in lui ciò che non fece il rispetto dell’età. Se neanche con la vergogna rinnegherà la mancanza, gli servirà, per lo meno, da castigo il pubblicarla. Di’, vano, che fine avevi? TRISTÁN
DON GARCÍA
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO
Loco, di, ¿qué gusto sacas de mentir tan sin recato? Y, cuando con todos vayas tras tu inclinación, ¿conmigo siquiera no te enfrenaras? ¿Con qué intento el matrimonio fingiste de Salamanca, para quitarles también el crédito a mis palabras? ¿Con qué cara hablaré yo a los que dije que estabas con doña Sancha de Herrera desposado? ¿Con qué cara, cuando, sabiendo que fue fingida esta doña Sancha, por cómplices del embuste infamen mis nobles canas? ¿Qué medio tomaré yo que saque bien esta mancha, pues, a mejor negociar, si de mí quiero quitarla, he de ponerla en mi hijo y, diciendo que la causa fuiste tú, he de ser yo mismo pregonero de tu infamia? Si algún cuidado amoroso te obligó a que me engañaras, ¿qué enemigo te oprimía? ¿Qué puñal te amenazaba, sino un padre, padre al fin? Que este nombre solo basta para saber de qué modo le enternecieran tus ansias. ¡Un viejo que fue mancebo, y sabe bien la pujanza con que en pechos juveniles prenden amorosas llamas!
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO
Di’, pazzo, che gusto dà mentire senza pudore? E, pur usando l’errata abitudine con tutti, potevi con me frenarla? A che scopo il matrimonio hai finto di Salamanca, fino a rendere la mia parola ormai screditata? Con che faccia parlerò a quelli cui donna Sancha de Herrera ho detto che avevi sposato? E con quale faccia, quando, sapendo che era finzione questa tua Sancha, come complice del trucco la mia età verrà infamata? Con che mezzo io potrò ripulire questa macchia, se, nel migliore dei casi, volendo da me lavarla la trasferisco a mio figlio, e dicendo che la causa sei tu, diffondo io stesso il bando della tua infamia? Se qualche pena d’amore ti ha spinto a questa panzana, che nemico ti opprimeva? Che spada ti minacciava, se non io, tuo padre infine? Questo nome solo basta per sapere in quale modo capirebbe la tua ansia. Un vecchio che è stato giovane e conosce la possanza con cui in petti giovanili arde l’amorosa fiamma! 1569
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO GARCÍA
BELTRÁN
GARCÍA
TRISTÁN
Pues si lo sabes, y entonces para excusarme bastara, para que mi error perdones agora, padre, me valga. Parecerme que sería respetar poco tus canas no obedecerte, pudiendo, me obligó a que te engañara. Error fue, no fue delito; no fue culpa, fue ignorancia; la causa, amor; tú, mi padre, pues tú dices que esto basta. Y ya que el daño supiste, escucha la hermosa causa, porque el mismo dañador el daño te satisfaga. Doña Lucrecia, la hija de don Juan de Luna, es alma de esta vida, es principal y heredera de su casa; y, para hacerme dichoso con su hermosa mano, falta sólo que tú lo consientas y declares que la fama de ser yo casado tuvo ese principio, y es falsa. No, no. ¡Jesús! ¡Calla! ¿En otra habías de meterme? Basta. Ya, si dices que ésta es luz, he de pensar que me engañas. No, señor; lo que a las obras se remite es verdad clara, y Tristán, de quien te fías, es testigo de mis ansias. Dilo, Tristán. Sí, señor; lo que dice es lo que pasa.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
TRISTÁN
Dunque se lo sai, e sarebbe bastato allora a scusarla, a perdonare il mio errore, fai ora, padre, che valga. Il fatto che mi sembrasse scarso rispetto all’età non obbedirti, potendo, quella bugia mi ha ispirata. Fu errore, non fu delitto; non fu colpa, fu ignoranza; la causa, amore; tu, padre, giacché dici che ciò basta! E già che il danno hai saputo ascolta la bella causa, perché sia chi ha danneggiato colui che il danno ripara. Donna Lucrecia, la figlia di don Juan de Luna, è l’anima di questa vita, ed è nobile ed erede della casa, e, per rendermi felice sposandomi, solo manca che tu consenta alle nozze e dichiari che la fama delle mie nozze per causa aveva questa, ed è falsa. No, Gesù! Taci! In un’altra storia mi metti? Ora basta! Se dici che questa è luce penserò che mi si inganna. No, perché ciò che alle azioni si affida, verità è chiara, e Tristán, di cui ti fidi, testimonia la mia ansia. Digli, Tristán. Sì, signore; ti dice la verità. 1571
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO BELTRÁN
¿No te corres de esto? Di, ¿no te avergüenza que hayas menester que tu criado acredite lo que hablas? Ahora bien; yo quiero hablar a don Juan, y el cielo haga que te dé a Lucrecia, que eres tal, que es ella la engañada. Mas primero he de informarme en esto de Salamanca, que ya temo que, en decirme que me engañaste, me engañas. Que, aunque la verdad sabía antes que a hablarte llegara, la has hecho ya sospechosa tú, con sólo confesarla.
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Vase. ¡Bien se ha hecho! ¡Y cómo bien! Que yo pensé que hoy probabas en ti aquel ensalmo hebreo que brazos cortados sana.
GARCÍA TRISTÁN
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Vanse. Salen don Juan, viejo, y don Sancho. D. JUAN
viejo
D. SANCHO D. JUAN
viejo
D. SANCHO
Parece que la noche ha refrescado. Señor don Juan de Luna, para el río éste es fresco, en mi edad, demasïado. Mejor será que en ese jardín mío se nos ponga la mesa, y que gocemos la cena con sazón, templado el frío. Discreto parecer. Noche tendremos que dar a Manzanares más templada, que ofenden la salud estos extremos.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO
Non ti vergogni di questo? Il bisogno non ti oltraggia che le parole di un servo ti diano testimonianza? Ebbene, voglio parlare a don Juan, e al cielo piaccia che dia Lucrecia, tu essendo tale, che è lei l’ingannata. Ma prima dovrò informarmi sui fatti di Salamanca, perché temo che, smentendo, tu dica un’altra panzana. Che, se verità sapevo già prima di domandarla, tu me l’hai resa sospetta con il solo confessarla.
DON BELTRÁN
Esce di scena. DON GARCÍA
È andata!
TRISTÁN
E bene! Pensavo che provare bisognava su di te quel salmo ebreo che braccia tagliate sana. Escono di scena. Entrano don Juan, anziano, e don Sancho.
DON JUAN
anziano
DON SANCHO
DON JUAN
anziano
DON SANCHO
Mi sembra che la notte ha rinfrescato. Don Juan de Luna, alla mia età, dico io, al fiume il fresco è un poco esagerato. Meglio sarà che in questo mio giardino al riparo si appresti, acché godiamo una gustosa cena, un tavolino. Parere saggio. Un’altra aspetteremo notte sul Manzanarre temperata; danneggia la salute il clima estremo. 1573
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO D. JUAN
viejo (Hacia adentro) D. SANCHO D. JUAN
viejo
Gozad de vuestra hermosa convidada 2985 por esta noche en el jardín, Lucrecia. Veáisla, quiera Dios, bien empleada, que es un ángel. Demás de que no es necia, y ser, cual veis, don Sancho, tan hermosa, menos que la virtud la vida precia. 2990 Sale un Criado.
CRIADO D. SANCHO D. JUAN
viejo
D. SANCHO
Preguntando por vos, don Juan de Sosa a la puerta llegó y pide licencia. ¿A tal hora? Será ocasión forzosa. Entre el señor don Juan. Sale don Juan, galán, con un papel.
D. JUAN
D. SANCHO
A esa presencia, sin el papel que veis, nunca llegara; 2995 mas ya con él, faltaba la paciencia, que no quiso el amor que dilatara la nueva un punto, si alcanzar la gloria consiste en eso de mi prenda cara. Ya el hábito salió; si en la memoria 3000 la palabra tenéis que me habéis dado, colmaréis, con cumplirla, mi victoria. Mi fe, señor don Juan, habéis premiado con no haber esta nueva tan dichosa por un momento sólo dilatado. 3005 A darla voy a mi Jacinta hermosa, y perdonad que, por estar desnuda, no la mando salir. Vase.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON JUAN anziano Godete della bella convitata (Rivolto fuori scena) che è nel giardino stasera, Lucrecia. DON SANCHO La vediate, per Dio, ben accoppiata, perché è un angelo. DON JUAN anziano E poi, ha intelligenza, e pur essendo, com’è, fascinosa, meno che la virtù la vita apprezza.
Entra in scena un Servitore. SERVITORE
DON SANCHO DON JUAN
anziano
DON SANCHO
Domandando di voi, don Juan de Sosa alla porta arrivò e chiede licenza. A quest’ora? Sarà importante cosa. Entri don Juan.
Entra don Juan, in abito elegante, con un foglio. DON JUAN
DON SANCHO
Alla vostra presenza, senza quest’atto, non sarei venuto ma poiché l’ho, è mancata la pazienza: che tardassi non ha amore voluto a portare la nuova, se la gloria del mio bene con questo avrò ottenuto. La Croce ho avuto; e se nella memoria c’è la parola che mi avete dato, piena sarà con lei la mia vittoria. Don Juan, la fede mia avete premiato avendo una notizia sì gioiosa neanche di un momento rimandato. Vado a darla a Jacinta mia graziosa, ma non è pronta ancora, e scuserete se non la chiamo. Esce di scena.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO D. JUAN
viejo
Por cierta cosa tuve siempre el vencer, que el cielo ayuda la verdad más oculta y apremiada; dilación pudo haber, pero no duda.
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Salen don García, don Beltrán y Tristán por otra parte. BELTRÁN
GARCÍA
BELTRÁN
D. JUAN
viejo
BELTRÁN D. JUAN
viejo
BELTRÁN D. JUAN
viejo
BELTRÁN
D. JUAN
viejo
BELTRÁN GARCÍA
D. JUAN GARCÍA
Ésta no es ocasión acomodada de hablarle, que hay visita, y una cosa tan grave a solas ha de ser tratada. Antes nos servirá don Juan de Sosa 3015 en lo de Salamanca por testigo. ¡Que lo hayáis menester! ¡Qué infame cosa! En tanto que a don Juan de Luna digo nuestra intención, podréis entretenello. ¡Amigo don Beltrán! ¡Don Juan, amigo! 3020 ¿A tales horas tal exceso? En ello conoceréis que estoy enamorado. Dichosa la que pudo merecello. Perdón me habéis de dar; que haber hallado la puerta abierta, y la amistad que os tengo, 3025 para entrar sin licencia me la han dado. Cumplimientos dejad, cuando prevengo el pecho a la ocasión de esta venida. Quiero deciros, pues, a lo que vengo. (Pudo, señor don Juan, ser oprimida 3030 de algún pecho de invidia emponzoñado verdad tan clara, pero no vencida. Podéis, por Dios, creer que me ha alegrado vuestra vitoria.) (De quien sois lo creo.) (Del hábito gocéis encomendado, 3035 como vos merecéis y yo deseo.)
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON JUAN
anziano
Per sicura cosa sempre ho avuto il successo; Dio protegge la verità più nascosta e vessata; ci fu ritardo, ma non incertezze.
Entrano don García, don Beltrán e Tristán da un’altra porta. DON BELTRÁN
DON GARCÍA
DON BELTRÁN
DON JUAN
anziano
DON BELTRÁN DON JUAN
anziano
DON BELTRÁN
DON JUAN
anziano
DON BELTRÁN
DON JUAN
anziano
DON BELTRÁN DON GARCÍA
DON JUAN DON GARCÍA
Questa non è l’occasione adeguata per parlargli, che ha gente, ed una cosa così grave a quattr’occhi va trattata. Anzi ci servirà don Juan de Sosa da testimone del mio stato libero. Che ce ne sia bisogno! Infame cosa! Intanto che a don Juan de Luna dico che vogliamo, potete intrattenerlo. Amico don Beltrán! Don Juan, amico! Un tale eccesso a quest’ora? Da questo capirete che sono innamorato. Felice chi di quest’amore è oggetto. Dovete perdonarmi; aver trovato aperto, e l’amicizia che vi tengo, di entrare la licenza mi hanno dato. Non vi scusate, dato che prevengo il petto a ciò che causa questa visita. Vi voglio dire per che cosa vengo. Ha potuto, don Juan, esser svilita da qualcuno da invidia avvelenato verità tanto chiara, ma non vinta. Credete che, per Dio, mi ha rallegrato il vostro trionfo. A un pari vostro credo. Godete della rendita e dell’abito, come voi meritate ed anch’io chiedo.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO D. JUAN
viejo
GARCÍA D. JUAN
viejo
Es en eso Lucrecia tan dichosa, que pienso que es soñado el bien que veo. Con perdón del señor don Juan de Sosa, oíd una palabra, don García. Que a Lucrecia queréis por vuestra esposa me ha dicho don Beltrán. El alma mía, mi dicha, honor y vida está en su mano. Yo, desde aquí, por ella os doy la mía;
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Danse las manos. que como yo sé en eso lo que gano, lo sabe ella también, según la he oído hablar de vos. Por bien tan soberano, los pies, señor don Juan de Luna, os pido.
GARCÍA
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Salen don Sancho, Jacinta y Lucrecia. LUCRECIA
JACINTA D. JUAN
viejo
BELTRÁN
GARCÍA
LUCRECIA
Al fin, tras tanto contrastes, tu dulce esperanza logras. Con que tú logres la tuya seré del todo dichosa. Ella sale con Jacinta, ajena de tanta gloria, más de calor descompuesta que aderezada de boda. Dejad que albricias le pida de una nueva tan dichosa. (Acá está don Sancho. ¡Mira en qué vengo a verme agora!) (Yerros causados de amor, quien es cuerdo los perdona.) ¿No es casado en Salamanca?
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[A don Juan]
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON JUAN
anziano
DON GARCÍA
DON JUAN
anziano
È oggi Lucrecia tanto venturosa, che sembra un sogno il bene che io vedo. Se mi perdona il signor Juan de Sosa, sentite una parola, don Garcia. Che Lucrecia volete come sposa mi ha detto don Beltrán. L’anima mia, la mia gioia, onore e vita ha in mano. Io, da adesso, per lei vi do la mia; Si danno la mano. e come io so quello che ne guadagno, così anche lei, sentendo l’opinione che di voi esprime. Per tale sovrano favore i piedi vi bacio, signore.
DON GARCÍA
Entrano in scena don Sancho, Jacinta e Lucrecia. LUCRECIA
JACINTA
DON JUAN
anziano
DON BELTRÁN
DON GARCÍA
LUCRECIA
Realizzi il tuo dolce sogno dopo quei contrasti, ora. Se tu realizzerai il tuo sarò del tutto gioiosa. Lei sta uscendo con Jacinta ignara di tanta gloria, più disfatta dal calore che agghindata come sposa. Lasciate che sia io a darle tale venturosa nuova. (Ecco don Sancho. Ma guarda in che impiccio sono ora!) (Errori che causa amore chi è avveduto li perdona.) Non ha moglie a Salamanca?
[A don Juan]
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO D. JUAN
viejo
Fue invención suya engañosa, procurando que su padre no le casase con otra. Siendo así, mi voluntad es la tuya, y soy dichosa. Llegad, ilustres mancebos, a vuestras alegres novias, que dichosas se confiesan y os aguardan amorosas. Agora de mis verdades darán probanza las obras.
LUCRECIA D. SANCHO
GARCÍA
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Vanse don García y don Juan [de Sosa] a Jacinta. D. JUAN
GARCÍA BELTRÁN GARCÍA
(a Jacinta)
BELTRÁN GARCÍA
LUCRECIA
¿Adónde vais, don García? Veis allí a Lucrecia hermosa. ¿Cómo Lucrecia? ¿Qué es esto? Vos sois mi dueño, señora. ¿Otra tenemos? Si el nombre erré, no erré la persona. Vos sois a quien yo he pedido, y vos la que el alma adora. Y este papel engañoso,
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Saca un papel.
BELTRÁN D. JUAN D. SANCHO JACINTA GARCÍA
que es de vuestra mano propia, ¿lo que decís no desdice? ¡Que en tal afrenta me pongas! Dadme, Jacinta, la mano, y daréis fin a estas cosas. Dale la mano a don Juan. Vuestra soy. Perdí mi gloria.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON JUAN
anziano
LUCRECIA
DON SANCHO
DON GARCÍA
Fu sua invenzione ingannosa, per fare sì che suo padre non gli desse un’altra sposa. Se è così, il mio volere è il tuo, e ne sono gioiosa. Venite, giovani illustri, ognuno dalla sua sposa che si confessa felice e che vi aspetta amorosa. Ora della verità l’operato darà prova.
Don García e don Juan [de Sosa] si avvicinano a Jacinta. Dove andate, don García? Ecco lì Lucrecia vostra. DON GARCÍA Come Lucrecia? DON BELTRÁN Che accade? DON GARCÍA (A Jacinta) È voi che amo, signora. DON BELTRÁN Ce n’è un’altra? DON GARCÍA Se nel nome errai, non già la persona. Siete voi che ho chiesto in moglie, e voi che l’anima adora. LUCRECIA E questo ingannoso foglio, DON JUAN
Mostra un foglio.
DON BELTRÁN DON JUAN
DON SANCHO JACINTA DON GARCÍA
che è di vostra mano propria, quel che dite non smentisce? Che in tale oltraggio mi ponga! Dammi, Jacinta, la mano, dando fine a questa cosa. Porgi la mano a don Juan. Sono vostra. Addio, mia gloria.
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERDAD SOSPECHOSA, ACTO TERCERO BELTRÁN
D. JUAN
TRISTÁN
GARCÍA TRISTÁN
viejo
¡Vive Dios, si no recibes a Lucrecia por esposa, que te he de quitar la vida! La mano os he dado agora por Lucrecia, y me la distes; si vuestra inconstancia loca os ha mudado tan presto, yo lavaré mi deshonra con sangre de vuestras venas. Tú tienes la culpa toda; que si al principio dijeras la verdad, ésta es la hora que de Jacinta gozabas. Ya no hay remedio, perdona, y da la mano a Lucrecia, que también es buena moza. La mano doy, pues es fuerza. Y aquí verás cuán dañosa es la mentira; y verá el senado que, en la boca del que mentir acostumbra, es la verdad sospechosa.
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FIN DE LA COMEDIA
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JUAN RUIZ DE ALARCÓN LA VERITÀ SOSPETTA, ATTO TERZO DON BELTRÁN
DON JUAN
anziano
TRISTÁN
DON GARCÍA TRISTÁN
Vivaddio, se non accetti donna Lucrecia per sposa, voglio toglierti la vita! La mano vi ho dato ora per Lucrecia, e voi a me; se la folle bizza vostra vi ha mutato tanto presto, delle vostre vene l’onta con il sangue laverò. È la tua tutta la colpa; se al principio avessi detto la verità, già a quest’ora con Jacinta ti sposavi. Non c’è rimedio, perdona, e dai la mano a Lucrecia, che anche lei è una buona sposa. La mano le do, per forza. E vedi quanto è dannosa la menzogna; e noterà anche il senato che in bocca di chi è solito mentire, è la verità sospetta. FINE DELLA COMMEDIA
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La vita e le opere
Nasce a Guadix (Granada), figlio naturale di due nobili; studia a Granada e nel 1600 viene proposto come alcalde della sua città natale: poiché per legge questa carica non poteva essere attribuita a chi avesse meno di 25 anni, se ne desume approssimativamente la data di nascita. Preferisce però la carriera religiosa, e nel 1601 riceve gli ordini; nel 1609 è cappellano «de los Reyes Católicos» di Granada; nel 1610 è al servizio del conte di Lemos, lo segue a Napoli dove fa parte della Accademia degli Oziosi; torna in Spagna verso il 1618. Soggiorna a Madrid, in relazioni di amicizia con Góngora, Lope, Tirso, ecc.; ottiene di cambiare la sua cappellania granadina con una nella capitale, anche in seguito a critiche che gli vengono mosse circa il dispregio dei suoi doveri sacerdotali. Dal 1632 è arcediano di Guadix; vi si ritira e vi muore nel 1644. Si devono a Mira una sessantina di commedie, di vari generi.1 Nell’auto sacramental (Pedro Telonario, La jura del príncipe: Il giuramento del principe), ripete gli aspetti tipici dell’auto pre-calderoniano: ad esempio la vivace descrizione «realistica»; tra le commedie di cappa e spada, si può ricordare La Fénix de Salamanca (La Fenice di Salamanca), con il tipico personaggio della donna vestita da uomo, che con vari stratagemmi segue il proprio amato, fino alle nozze finali. Ma particolarmente congeniale è a Mira la commedia di argomento storico: La desdichada Raquel (La sventurata Rachele); La prospera e La adversa fortuna de don Alvaro de Luna (La felice e L’avversa fortuna di don Alvaro di Luna), dove Mira dà voce al tema del fugace favore regale, con una disingannata visione «politica»: uno dei temi favoriti del periodo; El ejemplo mayor de la desdicha y Capitán Belisario (Il più grande esem1587
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pio della sventura o il Capitan Belisario), che ebbe una fortuna editoriale veramente strepitosa per tutto il secolo e per il seguente, fu attribuita anche a Lope, e adattata al teatro italiano in tre diverse versioni,2 una delle quali si deve a Giacinto Andrea Cicognini;3 in Francia costituirà il «modello» del Belisaire di Rotrou. Non mancano commedie di «storia» nazionale, quali una riproposta del tema del Conde Alarcos; e rilevanti quelle dedicate ad argomenti religiosi, spesso tratti dall’Antico Testamento, come El arpa de David (L’Arpa di David). Di questo gruppo la più interessante viene considerata El esclavo del demonio (Lo schiavo del demonio), scritta prima del 1612, e quindi quasi prototipo dei successivi drammi sul libero arbitrio di Tirso (El condenado por desconfiado) e di Calderón (La devoción de la cruz, El mágico prodigioso). La si è riconnessa con le leggende europee di tipo faustiano: un intreccio denso e complesso propone il problema della salvezza e del pentimento del peccatore e della misericordia di Dio. La posa eloquente dei personaggi, il carattere didattico-dottrinale della rappresentazione, che sposa il moralismo cattolico alla riflessione politica esemplare e a tesi, sono in effetti le caratteristiche più sottolineate del suo teatro. Ad esse va aggiunta la complessità e perfino la farragine dell’intreccio: la critica a volta a volta la giustifica o la condanna; gli spettatori (e poi i lettori) dovettero apprezzare proprio tanta esuberanza, i colpi di scena, la forma dell’espressione piena e brillante. MARIA GRAZIA PROFETI
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El ejemplo mayor de la desdicha Il più grande esempio della sventura Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva e note di FEDERICA CAPPELLI Traduzione di SELENA SIMONATTI
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Nota introduttiva
1. Malgrado la fama che si guadagnò fra i suoi contemporanei – Cervantes e Lope de Vega, per citarne due fra i più famosi, non risparmiarono parole di elogio nei suoi riguardi –, fino a poco tempo fa non si sapeva molto della vita di Antonio Mira de Amescua e poca era l’attenzione che la critica aveva riservato alla sua produzione drammatica. È soprattutto a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, con la nascita, presso l’Università di Granada, del gruppo di ricerca Aula-Biblioteca «Mira de Amescua», che inizia un graduale processo di riscoperta imperniato, da un lato, sull’edizione del teatro completo di Mira e, dall’altro, sulla ricostruzione della sua biografia a partire da documenti ufficiali.1 Antonio Mira de Amescua (1577-1644), sacerdote originario della cittadina andalusa di Guadix, in provincia di Granada, trascorre gran parte della sua vita presso la corte madrilena. Qui entra in contatto con i maggiori letterati del suo tempo e, in particolare, con Lope de Vega, di cui assimila la tecnica teatrale, divenendone uno dei maggiori seguaci assieme a Guillén de Castro, Tirso de Molina, Ruiz de Alarcón e Vélez de Guevara. La sua piena integrazione nel mondo della corte è sancita nel 1610, quando è scelto per fare parte della esigua schiera di letterati che accompagneranno il duca di Lemos a Napoli, e suggellata alcuni anni più tardi dalla nomina a cappellano dell’infante cardinale Fernando (1619). Come attestano le numerose relaciones de sucesos e i documenti ufficiali che danno conto degli eventi importanti dell’epoca, sono questi gli anni dell’apogeo e del grande successo di Mira come autore di comedias e di autos sacramentales. Tutto cambia, però, all’inizio degli 1591
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anni trenta, quando – senza una ragione apparente o, meglio, senza che fino ad ora se ne sia scoperto il reale motivo – abbandona definitivamente il bel mondo dei letterati di corte per fare ritorno nella tranquilla Guadix: il suo nome sparisce dalle cronache degli eventi madrileni del tempo senza ricomparirvi neanche in occasione dell’elogio postumo a Lope de Vega, organizzato dal collega e amico Montalbán. Sul nome di Mira de Amescua cala un silenzio che va oltre la sua morte, avvenuta nel settembre del 1644, e che solo la strenua attività investigativa del gruppo Aula-Biblioteca ha iniziato a dissipare, rispondendo ad alcune fra le molte domande irrisolte sul conto di un autore rimasto troppo a lungo nella penombra.2 2. L’abbandono della corte e la successiva morte causano l’improvviso e inesorabile sgretolamento della fama di Antonio Mira de Amescua; e questo a dispetto del fatto che, sin dagli inizi del 1600 e, ancor di più, a seguito del rientro dal soggiorno napoletano, il suo sia divenuto un nome imprescindibile nel cartellone teatrale della corte. Tacciato a lungo, e approssimativamente, di mero imitatore di Lope de Vega, Mira, che inizia a dedicarsi molto precocemente al teatro, sembra piuttosto trovare la sua giusta collocazione in quella terra di mezzo ancora feconda degli insegnamenti del Fénix de los Ingenios e, al tempo stesso, già proiettata verso l’evoluzione stilistica e lo studio profondo dei personaggi che preludono al teatro di Calderón de la Barca. Della sua produzione drammatica ci sono giunti diciotto autos sacramentales e settantasette comedias che, dal punto di vista tematico, abbracciano quasi tutte le tipologie argomentali dell’epoca: dai drammi storici di ambito nazionale e non (La desdichada Raquel, Las lises de Francia) a quelli di argomento mitologico (El hombre de mayor fama), dalle commedie di cappa e spada (Galán, valiente y discreto, La Fénix de Salamanca) a quelle d’ispirazione biblica o agiografica (El arpa de David, Vida y muerte de San Lázaro); fra queste ultime si annovera anche il suo dramma più famoso, El esclavo del demonio (1612), sorta di rivisitazione in ambito portoghese del tema faustiano. Il numero di commedie ascritte a Mira de Amescua è tuttavia relativo sia perché alcune di esse erano state firmate in collaborazione con autori quali Calderón, Montalbán e Guillén de Castro, sia – e soprattutto – perché molti dei suoi drammi hanno avuto la sfortuna, o la fortuna, di esse1592
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re circolati a lungo attribuiti ad altri drammaturghi. Il motivo di queste false attribuzioni è da ricercarsi tanto nel repentino allontanamento di Mira dalla corte madrilena, probabile origine di errori materiali, quanto, come suggerisce Maria Grazia Profeti,3 nel desiderio di vendere meglio una raccolta o una suelta pubblicata fuori da Madrid in un’epoca in cui la Junta de Reformación aveva proibito la stampa di «commedie, romanzi e altri libri di questo genere».4 È questo il caso anche de El ejemplo mayor de la desdicha, la cui paternità amescuana è oggi definitivamente attestata dal reperimento di un manoscritto autografo conservato presso la Biblioteca Nacional de España, a Madrid (Res. 112), e corredato da un’approvazione, a firma di Lope de Vega, datata luglio 1625. La prima edizione a stampa del Belisario vede la luce nel 1632 a Saragozza, attribuita a Montalbán e compresa nella Parte 25 de Diferentes Autores. L’opera continua a circolare per molti anni a nome di Montalbán o dello stesso Lope de Vega,5 ciò che contribuisce con molta probabilità ad alimentarne il successo. Il suo debutto sulle scene teatrali pare, infatti, contrassegnato da un immediato trionfo, al punto che nei primi anni quaranta se ne registra una rappresentazione addirittura ad Algeri.6 A confermare lo straordinario successo contemporaneo stanno anche le numerose imitazioni straniere scritte all’indomani dal suo esordio. Mi riferisco, in primo luogo, a tre versioni italiane uscite nei vent’anni successivi alla sua pubblicazione: due rifacimenti – Il Bilissario di Onofrio degli Onofri da Ronciglione (Napoli, 1645) e l’anonimo Caduta del gran Capitan Belissario (Bologna, 1661), a lungo attribuito al commediografo fiorentino Giacinto Andrea Cicognini –7 e una traduzione vera e propria, anch’essa anonima: La caduta del gran Capitano Belisario (Bologna, 1666). Alla seconda metà del Seicento risalgono, sempre in ambito italiano, altri due testi tematicamente legati al dramma di Mira e appartenenti a una varietà particolarmente libera di rifacimenti: gli «scenari» o «canovacci» della Commedia dell’Arte.8 Ma El ejemplo mayor de la desdicha trova un suo seguito anche in Francia, dove diviene fonte d’ispirazione per Nicolas Desfontaines e, ancora di più, per Jean Rotrou, rispettivamente, autori di una tragicommedia (1641) e di una tragedia (1644) sulla figura del condottiero bizantino.9 L’enorme successo contemporaneo del Belisario, che si protrae anche lungo il XVIII secolo,10 non trova però un riscontro in tempi a noi più vicini: un recente sondaggio bibliografico sulla fortuna critica di Mira 1593
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de Amescua, realizzato da Ignacio Arellano e Agustín de la Granja, dimostra la quasi totale carenza di studi su questo dramma.11 Una simile parabola, di certo molto consona all’universo tematico amescuano, dove i voltafaccia della fortuna giocano un ruolo fondamentale, appare anche come una perfetta proiezione simbolica della vicenda che vi si narra. 3. Sul filo rosso di una fortuna ondeggiante si dipana, infatti, anche la vicenda storica, intrisa di leggenda, del celebre generale bizantino protagonista del dramma amescuano. Vissuto a Costantinopoli sotto l’imperatore Giustiniano, Flavio Belisario (500-565) è considerato uno dei maggiori strateghi dell’antichità, alla stregua di Alessandro Magno e Giulio Cesare, nonché l’artefice, a detta di Procopio di Cesarea e di Agazia,12 della supremazia militare dell’impero romano d’Oriente. Servitore leale e dotato di un forte senso dello Stato, suggella col proprio nome un infinito numero di campagne militari: a lui si devono, fra le altre, la vittoria sui persiani e sugli unni, la fortunata spedizione in Africa e la riconquista della penisola italica, strappata ai goti. Belisario assurge così ai più grandi onori della storia, divenendo il più intimo e fedele paladino dell’imperatore. Nonostante ciò e malgrado il suo grande contributo alla difesa dell’impero, perde a più riprese il favore di Giustiniano: accusato di tradimento e corruzione, passa dai vertici supremi dell’esercito alle miserie della prigione per poi essere, comunque, sempre riabilitato. Fin qui i dati storici ufficiali; accanto ad essi, però, le ripetute disgrazie che costellano la vicenda del capitano bizantino favoriscono, sin dall’VIII secolo, l’affermarsi di una leggenda sul suo conto che ne fa l’emblema dell’uomo d’onore, vittima dell’invidia, dell’incostanza della sorte e – tema assai caro al Seicento spagnolo – dell’ingratitudine del sovrano. Forte di questa sua doppia dimensione, storica e leggendaria, la figura di Belisario oltrepassa i confini del tempo e dello spazio per entrare a far parte dell’universo dorato della letteratura. Qui, più che per i suoi trionfi militari, è appunto celebrato per il suo ergersi a simbolo della fortuna mutevole e capricciosa, con un’attenzione particolare rivolta verso quella variante della leggenda che ne narra la triste fine: accecato su ordine dello stesso Giustiniano, è ridotto a mendicare per le strade di Costantinopoli. Tale versione, iniziata nel X secolo dal poeta e grammatico bizantino Giovanni Tzetze13 e diffusasi lungo tutto il Medioevo, estrapola dalla vicenda di Belisario, per veicolarlo sino al Seicen1594
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to, quello che diverrà un topico della letteratura spagnola: la sfortuna di insigni capitani. Ma è nel Secolo dei Lumi che l’immagine ultima di un Belisario ridotto in miseria e ripudiato dal proprio re si cristallizza definitivamente. Modello di virtù incompresa, la triste effigie del generale decaduto, oltre a ispirare un gran numero di opere,14 diviene soggetto privilegiato per molti pittori del Settecento15 che le conferiranno quel valore iconico in grado di elevare il personaggio storico al rango di mito. 4. Il caso storico di Flavio Belisario sembra adattarsi perfettamente ai canoni teatrali della cosiddetta comedia de privanza, inquadrabile, a sua volta, entro i confini più ampi della comedia alta, tragica o eroica. Caratterizzata da un apparato scenico solitamente spettacolare e da un registro letterario alto ed elegante, questo tipo di rappresentazione si distingue anche per il proposito edificante di impronta morale che suole accompagnarla. Chiara esemplificazione di questo genere drammatico, come tante opere di Mira de Amescua,16 El ejemplo mayor de la desdicha evidenzia molti dei suoi requisiti essenziali: si avvale di protagonisti dell’alta nobiltà, tocca temi elevati come quello della fortuna incostante e narra di imprese mirabili, prodi conquiste militari e nobili amori con una dizione sobria e raffinata e senza perdere mai di vista il proposito morale di fondo. Commedia eroica, dunque, ma de privanza, ovvero ascrivibile a quel sottogenere drammatico che si centra sull’alterna fortuna dei privados: i favoriti che, nella Spagna dei secoli d’oro, godevano, appunto, della privanza, ossia del favore supremo e della totale fiducia di re, principi o altre figure di grande potere, ma erano spesso soggetti a repentine quanto violente cadute in disgrazia. Si trattava di un tema capace di suscitare un’attrazione enorme e morbosa nel pubblico dell’epoca, sia per la luce che andava a gettare sulle crepe dell’architettura del potere, sia, e soprattutto, per il gioco degli opposti fra ascesa e caduta, splendore e disgrazia, ricchezza e miseria a cui una sorte bizzarra o, più semplicemente, il destino sottoponeva il favorito di turno. La storia passata, come nel caso del Ejemplo mayor de la desdicha, diviene quindi un pretesto per esplorare e commentare una situazione presente, mentre il personaggio storico protagonista si erge a paradigma di chi, nell’attualità, è vittima dei capricci del fato; il tutto – si è già detto –, accompagnato da un’imprescindibile e fondamentale finalità istruttiva di ordine morale. 1595
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Con Belisario, Mira de Amescua ricorre a una figura emblematica, se non addirittura topica, le cui grandezze e miserie erano arcinote sin dal Medioevo e portate spesso a esempio anche dai suoi contemporanei.17 Mira, però, non si ferma alla stereotipia della figura di Belisario, bensì ne sfrutta l’innato potenziale teatrale per renderla unica: il suo è un Belisario idealizzato e altamente drammatico che con la sua tragica morte in scena – col sangue che gli cola dagli occhi brutalmente accecati – va ad annoverarsi fra le vittime innumerevoli della sorte avversa, qui materializzata nel tradimento dell’imperatrice Teodora e nella conseguente, ingiusta collera di Giustiniano. L’ostinata inflessibilità dell’imperatore con il suo implacabile rancore nei confronti dell’ex paladino dà origine a un altro tema nodale di questo genere drammatico: la fallibilità umana dei sovrani, così lontani dalla perfezione di Dio, modello cui essi dovrebbero aspirare e dal quale promana la loro stessa condizione di regalità e il loro potere, secondo la concezione politica del tempo:18 Breve rasgo es de Dios el rey, y ansí humildes valles levanto, soberbios montes inclino. (vv. 1826-29)
Alla stregua degli altri monarchi, protagonisti, assieme ai favoriti, del nutrito gruppo di comedias de privanza amescuane,19 Giustiniano si mostra in tutta la sua debolezza: si lascia ingannare dalle macchinazioni della perfida moglie, cade facilmente in errore e con estrema ingratitudine arriva a condannare ingiustamente chi, fino ad allora, lo ha servito con totale abnegazione e devozione. È lui stesso, impietosito e afflitto dai sensi di colpa, ad ammetterlo subito dopo la morte di Belisario: ¡Mal haya el rey que derriba sin acuerdo y sin firmeza al hombre de quien se fía! Murió el mayor capitán que las naciones antiguas ni venideras tendrán. Vengue en mis entrañas mismas el cielo su mal. (vv. 2781-88) 1596
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A fronte di una simile denuncia circa l’inadeguatezza dei sovrani – presente in fi ligrana in tutte le commedie amescuane di questo genere –, l’eroismo del favorito decaduto si rafforza e con esso il trionfo della dea bendata: [...] Belisario es ya la fábula y risa de la Fortuna. [...] Señores, si el mal lastima cuando no se ha merecido, dad limosna a quien castiga la Fortuna por leal. (vv. 2712-42)
Un trionfo imputabile anche al fatto che la sua natura mutevole e menzognera, forte di una copiosa tradizione simbolica e iconografica,20 appare come lo strumento ideale per veicolare quel messaggio morale – nel nostro caso, la vanità dell’esistenza terrena, la fugacità dei beni materiali, del potere e del successo in vita – da cui questo tipo di teatro non può prescindere. Protagonista assoluta del testo di Mira, così come di una lunga produzione teatrale che va dai drammi tragici del XVI secolo alla commedia aurea,21 la fortuna domina e regola l’universo amescuano del teatro de privanza, disponendo a suo arbitrio del futuro di chi come Belisario, impotente di fronte ai suoi repentini voltafaccia, non può che accontentarsi di una riabilitazione postuma e dell’amore incondizionato dell’amata Antonia. 5. Difficile stabilire a quale fonte si sia direttamente ispirato Mira de Amescua per il suo Belisario; di certo appare improbabile che sia tratto, stando alla tesi di Valbuena Prat, dalla Storia segreta di Procopio di Cesarea, dove il protagonista – come suggerisce Maria Rosa Scaramuzza – è tratteggiato in maniera alquanto negativa, diversamente dall’opera di Mira; molto più plausibile appare la proposta della stessa Scaramuzza, per cui il personaggio e la sua storia, così come vengono rappresentati dal nostro drammaturgo, sono il frutto di un inestricabile intreccio di svariate fonti storiche, letterarie e leggendarie in cui convivono molti dei temi-chiave del dramma amescuano.22 A questo non si può non aggiungere, d’altro canto, la libera fantasia dell’autore, capace di manipolare i per1597
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sonaggi e modificare la storia a sua discrezione e piacimento pur di venire incontro ai gusti dell’esigente pubblico spagnolo secentesco: rimarcando le disgrazie del protagonista, che egli attribuisce all’odio di Teodora nei suoi confronti, e indugiando sulla drammaticità e cruenza della sua fine, Mira fa di Belisario un autentico eroe tragico. A sostegno di quanto appena detto, s’impone una, per quanto possibile, succinta schematizzazione diegetica della fabula che Mira ha intessuto attorno alla leggenda del famoso condottiero bizantino. Di ritorno, vittorioso, da una spedizione nelle provincie orientali dell’impero, Belisario respinge con modestia gli elogi tributatigli dal suo servo Floro; intanto, però, tesse a sua volta le lodi del condottiero Leoncio, ora caduto in disgrazia e lì presente, ma in incognito, perché incaricato dall’imperatrice Teodora di uccidere lo stesso Belisario. Toccato dalle parole di quest’ultimo, Leoncio rinuncia ad ammazzarlo e gli rivela che il suo nemico è una donna, di cui però non svela il nome. Arrivato l’imperatore, Belisario gli riferisce la propria impresa vittoriosa; Giustiniano lo ricompensa con un anello identico al suo, ma Belisario chiede anche, e ottiene, il perdono e la riabilitazione di Leoncio. Floro, nel frattempo, sottrae al soldato Fabricio un documento che certifica i suoi meriti militari per venire premiato al suo posto dall’imperatore, lasciando così Fabricio con un palmo di naso. Mentre l’imperatrice Teodora spiega a Marcia, dama di corte, le ragioni del suo odio verso Belisario – l’aver preferito Antonia a lei –, quest’ultima arriva per raccontare le gesta dell’amato capitano; Teodora, allora, in preda alla gelosia, minaccia Antonia di uccidere Belisario se lei continuerà a ricambiare il suo amore. Detto questo, si nasconde dietro il telone e controlla l’effettiva freddezza con cui Antonia accoglie Belisario, che resta turbato e dispiaciuto per un simile atteggiamento. Intanto, dato il fallimento di Leoncio, l’imperatrice incarica Narses dell’assassinio di Belisario, promettendogli in cambio il governo dell’Italia. Giustiniano consegna a Belisario alcuni memoriali affinché scelga, fra Leoncio, Narses e Filippo, il futuro governatore d’Italia. Essendo i tre parimenti meritevoli, Belisario sceglie a caso il memoriale di Narses e, dopo avervi scritto sopra la nomina, si addormenta. Quando Narses arriva, deciso a ucciderlo, capisce di essere il prescelto e desiste per gratitudine; non solo: gli lascia un messaggio in cui lo mette in guardia da una donna potente. 1598
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Nella scena finale l’imperatore incarica Belisario di una nuova campagna militare in Africa. Al momento del congedo, Antonia, che Belisario ormai reputa essere la sua nemica, tenta di intenerirlo, ma il generale la rifiuta. Nel secondo atto l’imperatore trova l’avvertimento lasciato da Narses e si propone di scoprire l’identità della misteriosa nemica del suo paladino. Intanto Teodora dà nuovamente mandato di uccidere Belisario, questa volta a Filippo, ma Leoncio e Narses ascoltano il dialogo e decidono di proteggerlo uccidendo lo stesso Filippo. Mentre quest’ultimo passeggia di notte in un giardino del palazzo imperiale, è aggredito da Narses e Leoncio. Senza riconoscerli e senza essere riconosciuto a sua volta, Belisario – appena tornato dalla campagna d’Africa – interviene in difesa di Filippo che lo ricompensa con un anello. L’imperatore, ancora in cerca della nemica di Belisario, ne chiede notizia a Narses che, pur rifiutandosi di rispondere, gli fa intendere che si tratta di Teodora. Intanto Belisario si presenta nuovamente vittorioso al cospetto di Giustiniano, che gli conferma la sua fiducia e decide di celebrarlo con la rappresentazione della commedia di Piramo e Tisbe, allestita dalle dame di corte. Nella finzione della rappresentazione, Belisario e Antonia, che interpretano le parti dei due protagonisti, possono liberamente dichiararsi il proprio amore. Successivamente, giunge Filippo, pronto ad uccidere Belisario; tuttavia, vedendo che indossa il suo anello, riconosce in lui il suo salvatore e vi rinuncia, facendogli altresì intendere che la donna che lo vuole morto è Teodora. Turbato, il generale, che vede arrivare Giustiniano, si finge addormentato per poter rivelare nel sonno gli intrighi dell’imperatrice. Giustiniano, allora, si nasconde per ascoltare inosservato le parole della stessa Teodora, appena sopraggiunta e decisa a uccidere personalmente Belisario dati i fallimenti dei suoi sicari. Infuriato, l’imperatore interviene e decide di esiliare sua moglie ad Antiochia, ma Belisario finge di svegliarsi e intercede per lei. Nel terzo atto Belisario torna ancora una volta vittorioso, questa volta da una campagna in Italia, e rifiuta il suggerimento di Narses, Leoncio, Filippo e del servo Floro, che gli consigliano di farsi re d’Italia. Teodora dichiara apertamente il suo amore a Belisario che fermamente la rifiuta; nel frattempo arriva Antonia, a cui Belisario di nascosto consegna una lettera. Teodora, però, se ne impadronisce e grazie ad essa accusa Belisario davanti all’imperatore di aver tentato di sedurla. Con1599
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vinto del tradimento di Belisario, Giustiniano rifiuta le sue spiegazioni e ordina a Filippo di togliergli l’anello che gli aveva donato, a Narses di sequestrargli i beni e a Leoncio di arrestarlo. Belisario, che vuole consegnare la sua spada personalmente all’imperatore, nel farlo gli ricorda i suoi meriti passati, ma l’imperatore non intende cedere. Si scopre così anche l’inganno di Floro ai danni di Fabricio, che si risolve con la rinuncia di Floro al premio. Si dà lettura della sentenza dell’imperatore contro Belisario, al quale, cacciato dalla città e costretto a mendicare, vengono anche cavati gli occhi con cui aveva osato guardare l’imperatrice. In procinto di morire, l’antico favorito chiede ad Antonia di ristabilire il suo onore; la donna, allora, svela a Giustiniano le trame di Teodora. L’imperatore decide di ripudiarla e di chiedere ad Antonia di sposarlo; questa, però, fedele all’amore di Belisario, rifiuta. FEDERICA CAPPELLI
Nota di traduzione La struttura linguistica portante del Mayor ejemplo de la desdicha, la cui traduzione è stata condotta sull’edizione critica di Maria Grazia Profeti (Granada, 2002), si incardina sui nuclei tematici che caratterizzano la trama e lo svolgimento dell’azione di una comedia de privanza o de valido: gloria ed esemplarità, fortuna, invidia della fortuna, disgrazia e caduta. Il legame di vassallaggio e di obbedienza incondizionata di Belisario all’imperatore è sancito, come tipicamente avviene in questo genere di commedie, dalla parola-chiave hechura (fattura, nel senso di «privado, favorito»), termine che descrive esemplarmente la «filiazione» e la «investitura» terrene concesse dal signore. La traduzione italiana creatura acquista una connotazione biblica immediata, finendo per potenziare il senso d’indissolubilità di tale legame e la cesura narrativa che si realizza con il ripudio dell’imperatore-demiurgo alla fine della commedia. Vengo meno a tale principio di coerenza nell’unico caso in cui il testo originale diversifica hechura e creatura, per cui la traduzione incoraggia a una medesima diversificazione, che si esplica sul piano della struttura sintattica (vv. 2274-2277). Le propaggini linguistiche e metaforiche della 1600
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«discendenza genetica» del privado dal signore si configurano come un richiamo alle sfere semantiche della «scrittura» e del «disegno», quali elementi connessi con l’azione demiurgica di Giustiniano, insita nella catena terminologica dei vv. 1321-1323, disegnare/di mio pugno/cancellare (dibujar/mi mano/borrar) che, in traduzione italiana, suggeriscono al lettore un accostamento parentetico ancor più incisivo, dovuto al significato traslato della parola disegno (progetto, predestinazione), cui farà eco la descrizione di Belisario quale «copia, schizzo o bozza» (traslado, borrón, pintura) di una potente mano (vv. 1867-1869). La trivializzazione parodica di questo rapporto è bene espressa nei termini in cui Floro, il gracioso, prefigura la «caduta» di Belisario mediante la favola della volpe e il lupo, che recupera il tema della «creazione» demiurgica e lo traduce in un rapporto di mera (e tirannica) subordinazione del più debole al più forte: «chi ingrassa bene il maiale / poi se lo vuole mangiare» (vv. 1940-1941). L’uso della rima, normalmente sacrificato nel testo italiano a fronte di esigenze prosodiche più caratterizzanti, quali il mantenimento del metro e della scansione ritmica del verso, è qui rivelatore di una specificità narrativa determinante, perché funzionale alla cadenza gnomica e sentenziosa delle parole di Floro. L’unica infrazione al rispetto del computo metrico si registra dopo il verso 1363, in corrispondenza di una caotica battuta di Floro che apre una scena di «teatro nel teatro», contravvenendo alla normale scansione sillabica. L’ipermetria, che ci è imposta dall’agglomerazione di didascalie teatrali e vere e proprie battute in versi ottosillabi, rappresenta un chiaro indizio della stravaganza e della goffaggine del gracioso: è proprio in virtù di queste sue caratteristiche che l’autore imprime all’azione verbale una «deroga» metrica che ci conferma la catastrofica grossolanità del personaggio. L’espediente formale dell’alternanza dei due registri (indicazioni sceniche e unità metriche) e il ricorso a un lessico teatrale, seppur minimo, sbilancia ulteriormente le misure sillabiche nella traduzione. L’espressione delle forze antitetiche operanti nella commedia si polarizza linguisticamente, via negationis, nelle numerose occorrenze della parola «bene» (bien) che Belisario invoca fin dall’inizio come unico principio di salvezza assoluta (vv. 150-156) e in base al quale sceglie di agire di volta in volta contro i molteplici appelli alla vendetta o alla rivalsa che gli suggeriscono i personaggi che lo circondano; sullo sfondo, infatti, balena non solo una imitatio Christi destinata al più lugubre insuccesso, ma 1601
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anche l’implicito riconoscimento dell’impero incontrastato della virtù sulla Fortuna, parola che soltanto Belisario pronuncia nella sua forma vocativa e personificata – e dunque nel suo valore più tradizionalmente pregnante –, anche se questo avviene unicamente quando inizia a presagirne i temibili e avversi mutamenti: «Fortuna, [...] o negami il tuo favore,/ o abbi pietà di me», vv. 773-780; «Fortuna,/ sono forse i presagi/ del tuo mutare?»; vv. 881-883; «Fortuna, ferma, Fortuna!» v. 1888; «Oh, Fortuna,/ fermati!» v. 2049; «Fortuna, ti sei stancata», v. 2314. Traduco il corrispettivo semantico negativo di fortuna, desdicha, con l’italiano «sventura», a causa delle implicazioni secondarie a quelle di «sorte avversa», quale «fatto, evento doloroso, che arreca lutto o disgrazia». Una simile evocazione è già presente nel Vocabulario de las dos lenguas toscana y castellana di Cristóbal de las Casas (Siviglia, 1570), dove alle voci desdicha e sfortuna corrispondono rispettivamente il sostantivo italiano «infelicità» (cui fanno eco «infelice, infausto», di desdichado) e gli aggettivi spagnoli «infortunato, desventurado». Ho reso esplicita questa relazione soltanto in un’occasione, con la traduzione di «cuore infelice» del sintagma corazón desdichado (v. 952), costretta in parte da ragioni metriche ma agevolata, tuttavia, da motivi attinenti alla materia amorosa, che giustifica ampiamente l’uso dell’aggettivo proposto. Anche nella traduzione italiana, dunque, il termine sventura ricorre come reminiscenza del titolo della pièce, nonché come elemento prolettico o evocatore delle conseguenze dolorose di una fortuna avversa, come avviene per il sintagma «amore sventurato», i.e. «osteggiato dalla sorte» (vv. 966 e 1161) e per le più caratterizzanti definizioni che Belisario dà di sé e della condizione paradossalmente catastrofica di colui che è baciato dalla fortuna, con relativo stravolgimento dell’immagine dell’ascesa, assimilata, appunto, alla sventura (vv. 2318-2323). Per le stesse ragioni, il termine sfortuna ricorre soltanto al v. 1239, sebbene qui traduca desdicha, poiché Filipo, che usa il vocabolo riferito a sé, più che ammettere la propria sciagura, constata il malaugurato evento che l’ha determinata: la perdita improvvisa della propria spada. Tornando ai rapporti di forza che determinano l’azione della commedia e alla loro rifrazione nella lingua originale e, da quella, nella traduzione, l’esplicita istigazione al male, ossia alla vendetta quale principio regolatore dei rapporti sociali incardinati in una società monolitica come quella dell’Ancien Régime, si registra soltanto una volta, nella perentoria 1602
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NOTA INTRODUTTIVA
richiesta di giustizia che Filipo, rivelatosi traditore di Belisario, invoca contro di sé: il trionfo del bene richiede l’uso del male, che è dunque «azione meritata» (v. 1560); il male immeritato, invece, è unicamente quello che ha ricevuto in cambio Belisario per i suoi servigi che, pur destinati a rimanere meno famosi della sua caduta (vv. 2331-2333), lo hanno condannato alla cecità e alla perpetua erranza. L’asse semantico ammirare-meritare (admirar-merecer) culmina, infatti, in questi versi, quando l’ammirazione per la caduta, che è immeritata, e l’oscuramento del merito che gli hanno procurato gli impeccabili servigi al suo signore, riconferma la natura distorta delle leggi della Fortuna che l’uomo deve cercare di correggere con la virtù. È in questi versi, infatti, che appare l’ultimo e perentorio riferimento alla Fortuna quale entità ancora indegna, per Belisario, di suscitare il suo timore o il suo rispetto. «Far del bene», dunque, è stato sempre il segno distintivo della divisa virtuosa eletta a morale di vita di cui Belisario si è fatto scudo per osteggiare la dea bendata – e ormai demonio implacabile –; al contrario, il male continua a essere una soluzione «giuridica» sbrigativa e suscettibile di essere fraintesa con l’inappellabilità tirannica del potere incontrastato che «crea» e «cancella» a suo volere, e cui l’incostanza della Fortuna viene, seppur in modo latente, equiparato (vv. 2740-2743): Señores, si el mal lastima cuando no se ha merecido, dad limosna a quien castiga la Fortuna por leal.
Signori, se il male affligge quando non è meritato, carità a chi la Fortuna, per la sua lealtà, condanna.
«Carità per chi la Fortuna castiga ingiustamente»: purtuttavia, il sintagma «por leal» si potrebbe prestare a una doppia attribuzione, risultando così potenzialmente ambiguo: leale, e non ingannevole, è la Fortuna, perché non tenta mai di nascondere la natura delle proprie leggi, anzi la esibisce spavaldamente; leale è Belisario, che resta fedele alla morale della «virtù» nonostante la caduta e il trionfo della Fortuna, per non aver mai infranto il patto d’amicizia con Giustiniano. La Fortuna castiga, infi ne, colui che non smette di censurare e «castigare» la Fortuna con l’esempio morale eccelso del bene, mai ripudiato. Questo latente rapporto di specularità, che in parte sfuma nella traduzione italiana, rinvia ancora una volta all’asse semanticamente portante del merito, nelle sue 1603
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svariate manifestazioni premiali –dalla ricompensa (beneficio, galardón) al favore (favores, mercedes), materiali o spirituali–, assumendo un’importanza rispondente a un modello di giustizia distributiva essenzialmente legata alla magnanimità del signore e dunque facilmente esposta all’equivoco o all’insidia degli invidiosi. La caratterizzazione dell’invidia, in ultima istanza, assume spesso le rappresentazioni metaforiche dell’animalità, amplificate dall’associazione del personaggio di Teodora con la crudeltà di una fiera o con la ferocia del leone della commedia di Piramo e Tisbe, cui spontaneamente la equiparano i personaggi-attori della già ricordata sequenza di «teatro nel teatro». Numerosi i richiami al campo semantico dell’ira, dell’odio e della rabbia (ira, enojo) che si polarizzano nella figura della principale antagonista, Teodora, dalla quale s’irradiano le varie azioni nemiche contro Belisario. Tali gradazioni si riverberano nel testo come tante sfaccettature dell’avversa fortuna del protagonista che prendono vita negli animi umani sopraffatti dalla passione, invano contenuta dalla virtù. Quest’utlimo termine è esplicito nel testo soltanto in due momenti rilevanti e oltremodo significativi in quanto negativamente connotati: quello in cui Floro riconosce nella virtù il motore dell’invidia (vv. 157-158) e quello in cui Belisario, alla fi ne della commedia, sancisce la paradossale equiparazione tra virtù e tradimento (vv. 2642-2644). L’ambientazione e il sostrato culturale classico e italiano della commedia, che conferiscono alla missione cristiano-imperiale di Belisario un’esemplarità che travalica la ricostruzione storica del personaggio, puntando soprattutto a un suo sviluppo ideologico, trapela anche nel ricorso a nomi di spiccata assonanza con la romanità (Narses, Marcia), variamente pomposi o magniloquenti (Leoncio, Teodora) o comunque marcatamente connessi con la realtà italiana (Fabricio, Antonia, Alberta), che si mantengono identici in traduzione. L’unico intervento sui nomi si registra in corrispondenza dei versi 421-432, dove Floro cerca di attribuirsi, con un inganno, dei meriti militari al cospetto dell’imperatore. La sequenza spagnola dei termini Julio-agosto, permessa dal valore paronomastico del primo (Giulio-luglio), è risolta nella sequenza italiana Caio-tizio, dove i due referenti onomastici funzionano in combinazione giocosa nell’allusione di Floro all’entità (inesistente) che ha avvalorato i suoi presunti meriti:
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NOTA INTRODUTTIVA
EMPERADOR
FLORO
IMPERATORE
FLORO
«Gran señor, el que éste lleva es un valiente soldado. Dos banderas ha ganado No hay hombre que a más se atreva. Julio, maestre de campo». Besarme la mano, puedes. Tenga en la corte mercedes Quien servir sabe en el campo. Una villa tienes ya, y esta merced no es muy rica, según Julio certifica. Y aun agosto lo dirá. «Signore, chi ti dà questo è un soldato coraggioso. Egli ha vinto due bandiere. Nessuno può fare tanto. Caio, maestro di campo.» Ecco, bacia la mia mano. Riceva favori a corte chi sa servire in battaglia. Una città ti concedo ed è un favore modesto stando a quanto Caio attesta. E anche tizio lo dirà.
La lingua italiana che riflette tutte queste dinamiche nel rispetto della prosodia, deve cercare di attenersi il più possibile agli equilibri teatrali e alle dislocazioni semantiche e lessicali che essi impongono, ricorrendo a pertinenti compensazioni funzionali, anche riguardanti l’uso della punteggiatura, laddove non si può fare a meno di supplire con alcuni aggiustamenti testuali che, a ogni modo, non devono intaccare né sacrificare la pregnanza caratterizzante di tali equilibri. SELENA SIMONATTI
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EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA
BELISARIO JUSTINIANO
LEONCIO NARSES
ALBERTO
TEODORA
FLORO
ANTONIA
FABRICIO
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IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA
BELISARIO GIUSTINIANO
LEONCIO NARSES
ALBERTO
TEODORA
FLORO
ANTONIA
FABRICIO
MARCIA
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
ACTO PRIMERO Por una puerta, al son de cajas, Belisario, Floro, Alberto, Fabricio; por otra Leoncio, de peregrino. FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO FLORO LEONCIO
BELISARIO
Como tus hechos divinos son asombro de la muerte, todos han salido a verte. Ciudades son los caminos. Los riscos y árboles son miradores, donde están pasmados hombres, que dan ojos a la admiración. En el vulgo incierto y vario cada cual está diciendo: «¡Válgame Dios, que estoy viendo al valiente Belisario!» Alabar sin ocasión es de necios, no es de sabios. Las lisonjas son agravios para el prudente varón. Habla menos y obra más. Lisonjeros hay valientes, y en la guerra serví. Mientes. Algún día lo verás. (Dicha ha dado la osadía; si me escapo la tendré, aunque en esta ocasión sé que es temeridad la mía.) Capitán, tú que has ganado los reinos que al Ganges ven, manda que limosna den a este mísero soldado. ¿Un hombre se ha de decir soldado y mísero, cuando de Persia vengo triunfando?
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
ATTO PRIMO Da una porta, al suono dei tamburi, entrano Belisario, Floro, Alberto e Fabricio; da un’altra, Leoncio, vestito da pellegrino. FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO FLORO LEONCIO
BELISARIO
Dato che le tue prodezze vincono la stessa morte, tutti accorrono a vederti. Gremiti sono i sentieri. Alberi e poggioli sono come belvederi dove stanno uomini ammirati, con stupore nello sguardo. E nel volgo incerto e vario tutti stanno ormai dicendo: «Dio mi aiuti! Sto vedendo Belisario, il valoroso!» Un elogio fuori luogo è da pazzi, non da saggi. Le lusinghe sono offese per colui che è prudente. Meno ciance. E più fatti. Ci son prodi adulatori e ho servito in guerra. Menti. Un giorno ben lo vedrai. (La fortuna è degli audaci; ce l’avrò se fuggo via, anche se so bene che è un’incoscienza la mia). Capitano, tu che hai vinto regni sul Gange affacciati, fa’ che diano un’elemosina a me, misero soldato. Si può definire un uomo misero e soldato quando sto trionfando sulla Persia? 1609
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO
BELISARIO
No lo podrá consentir la piedad que yo profeso. ¿Dónde servisteis, soldado? (En estando descuidado este puñal le atravieso.) Con Leoncio, el general, en las guerras de Asia. Fue gran capitán. Hoy se ve desterrado, pobre y tal que lástima le ha tenido el que envidia le tenía. Su fortuna fue la mía, por seguirle me he perdido. (Cuando limosna me dé, teñiré en sangre el puñal.) Leoncio ha sido leal, como desdichado fue. Envidias le han desterrado, mas ya que a la corte vengo, dicha y favor le prevengo. ¡Vive Dios, que perdonado será del Emperador! De mis vitorias no espero otro premio; sólo quiero sus mercedes y favor para Leoncio, y ansí éste será mi trofeo. Mucho su amistad deseo, años ha que no le vi. Y vos, que fuisteis soldado de buen capitán, tomad;
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO
BELISARIO
Non lo potrà consentire la pietà che io professo. Dov’hai servito, soldato? (Non appena si distrae lo trafiggo col pugnale). Con Leoncio, il generale, nelle guerre d’Asia. È stato un gran capitano. Ed oggi è esiliato e così povero che chi prima lo invidiava ora è mosso a compassione. Eguale destino il mio: l’ho seguito e mi son perso. (Quando mi dà l’elemosina il suo sangue verserò). Leoncio è stato leale tanto quanto sventurato. L’invidia lo ha esiliato ma adesso che sono a corte ogni onore gli apparecchio. Viva Iddio, che perdonato sarà dall’imperatore! Altro premio non m’attendo per queste mie vittorie: voglio solo che Leoncio abbia onori e ricompense. Sarà questo il mio trofeo. Spero nella sua amicizia, da molti anni non lo vedo. E voi, soldato di un grande capitano, ecco, prendete;
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Dale una cadena.
LEONCIO
no tenga necesidad quien a mis pies ha llegado. (¿Qué es aquesto, cielos? ¿Quién se puede atrever a un hombre que merece inmortal nombre, valiente y hombre de bien? ¿Cómo podrá mi crueldad dar a Belisario muerte, si se ve en un pecho fuerte de virtud y de piedad? ¡Vive Dios, que aunque me ordena que muerte le dé, Teodora ha de perdonarme agora! Prisión es esta cadena.) Tu esclavo soy, general, coluna gallarda y fuerte del imperio. Dame muerte con este mismo puñal.
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Arrójalo. A tus pies llegué traidor, y lealtad me has enseñado. De clemencia estás armado; mal te ofenderá el rigor de los hombres. Si he venido a matar, pague el pecado del haberlo imaginado, no del haberlo emprendido; porque a delito tan fuerte aun no hay pena establecida; poca pérdida es la vida, pequeño mal es la muerte.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Gli porge una catena.
LEONCIO
non senta necessità chi ha invocato il mio aiuto. (Che mi succede, mio Dio? Chi può osare contro un uomo degno di fama immortale, valoroso, uomo leale? Potrà mai la mia ferocia dare a Belisario morte, se alberga in un petto forte di virtù e di pietà? Viva Iddio, che nonostante Teodora mi abbia ordinato di ucciderlo, adesso lei dovrà dunque perdonarmi! Prigione è questa catena.) Son tuo schiavo, generale, colonna gagliarda e forte dell’impero. Ecco, uccidimi con questo stesso pugnale. Lo getta a terra. Giunto a te da traditore, mi hai insegnato la lealtà. Sei munito di clemenza: non ti offende la ferocia degli uomini. Venni a ucciderti: possa scontare il peccato di averlo immaginato e non di averlo compiuto; a un delitto così atroce non vi è una pena adeguata: poca perdita è la vita, misero male è la morte.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO FABRICIO FLORO BELISARIO
LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO BELISARIO LEONCIO
¡Muera el traidor! ¡Muera digo! Dejadle, que ese rigor no es dar la muerte a un traidor, sino matar a un amigo. Mucho pierdo en él si muere. Cuando matarme quería esa pena merecía; no agora que ya no quiere. Si bien de mí ha recebido, y él reconociendo va su obligación, claro está que ha de ser agradecido. Si éste, después de obligado, darme la muerte quisiera, pena inmortal mereciera, pero si ya ha confesado, arrepentido, su error y a mi amistad no es ingrato, claro está que si le mato vengo yo a ser el traidor; y seré más liberal si en esta opinión que sigo de un contrario hago un amigo y de un traidor un leal. Levanta. Una pena airada quisiera más, que comienza a matarme la vergüenza, y es muerte más dilatada. Beso tus pies. ¿Por qué, di, me matabas? Fui mandado. ¿Quién mi muerte ha deseado? El secreto prometí, y si agora te lo digo
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO FABRICIO
Morte al traditore!
FLORO
A morte! Fermi! Che questa ferocia non dà morte a un traditore bensì è un amico che uccide. Perdo molto se egli muore. Quando uccidermi voleva, questa pena meritava; non più adesso che non vuole. Se del bene io gli ho fatto, ed egli ha riconosciuto i suoi debiti, è evidente che dovrà essermi grato. Se quest’uomo, debitore, voleva darmi la morte, meritava eterna pena, ma se ormai ha confessato il suo errore ed è pentito, e non vuole essermi ingrato, è evidente, se lo uccido, che sarò io il traditore; e sarò più liberale se mi attengo a quanto credo e un rivale rendo amico, un traditore, un leale. In piedi. Pena più atroce vorrei, perché la vergogna, che è morte più prolungata, sta cominciando ad uccidermi. Io mi inchino. Perché, dimmi, mi uccidevi? Erano ordini. Chi voleva la mia morte? Ho promesso di tacere, e se adesso te lo dico
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LEONCIO
BELISARIO
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
BELISARIO
LEONCIO
FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
será hacer otra acción fea, y no es bien que traidor sea cuando llego a ser tu amigo. Sí; mas no sabiendo yo de quién me debo guardar, siempre en peligro he de estar; y aquel que no me avisó de mi daño, no es mi amigo. Si me confieso obligado, y con el mismo cuidado has de estar si te lo digo, yo he de hacer que tú no mueras, tu vida he de defender, y ansí yo pretendo hacer lo que tú si lo supieras. Callando cumplo conmigo; honrado en esto seré, y siendo honrado, podré cumplir obrando contigo. Tu guarda soy. ¿No es mejor, sin que la ocasión se pierda, dalle diez tratos de cuerda, y que diga este traidor quién te ha mandado matar? Yo, Floro, por muchos modos tengo de hacer bien a todos, y esto me habrá de guardar. Su afrenta lleva consigo quien mal al bueno desea; haga yo bien siempre, y sea quien quisiera mi enemigo. Tu misma virtud será, que envidias te habrá causado. ¿Qué bueno no es envidiado? ¡Triste del que no lo está!
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
BELISARIO
LEONCIO
FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
commetterei un altro errore, e tradire non conviene ora che sono tuo amico. Certo, ma se io non so da chi mi devo difendere mi esporrò sempre al pericolo; e chi non mi ha preservato dall’offesa non è amico. Se, debitore, confesso, e ugualmente preoccupato tu sarai se te lo dico, dovrò vegliar su di te, e difender la tua vita, e così io farò quello che faresti tu sapendolo. Taccio e rimango fedele; uomo d’onore sarò e nell’onore potrò esser fedele anche a te. Sarò la tua ombra. Meglio non perdere l’occasione di torturarlo a dovere: confesserà il traditore chi gli ha ordinato di ucciderti. Io, Floro, in vari modi devo far del bene a tutti: questo mi proteggerà. Porta con sé la sua onta chi male al buono desidera; io voglio fare del bene, qualunque sia il mio nemico. La tua virtù sarà stata a suscitare le invidie. Nessun virtuoso ne è salvo! Triste chi non le patisce!
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO LEONCIO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
No es envidia, que es mujer tu enemigo, si es verdad que la envidia y la amistad entre iguales ha de ser. ¡Mujer enemiga mía! Ya más cuidado rescibo, que es animal vengativo; con ostinación porfía. En todo tiene mudanza su fácil naturaleza, sólo conoce firmeza en el odio y la venganza. ¡Ay miserable pensión de la vida! ¡Ay hado fiero! El triunfo y pompa que espero es la rueda del pavón. ¿Una mujer desanima tu valor? ¡Válgame Dios! ¿Quién es ésta? Una de dos: la Emperatriz o su prima. Claro está que es poderosa la que te quiere ofender. Floro, cualquiera mujer puede mucho si es hermosa. Pero de esas dos ninguna al discurso de mi vida puede mover, ofendida, la rueda de mi fortuna. Antonia Patricia fue – ¿cómo en esto no reparas? – el altar en cuyas aras el alma sacrifiqué. Favorece mi cuidado, mi mismo aumento desea.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO LEONCIO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
Non è invidia bensì è donna il tuo nemico, se è vero che l’invidia e l’amicizia si realizzano tra pari. Una donna mi è nemica! Ora sono più angosciato: è un animale spietato, con ostinazione agisce. È assai mutevole in tutto la sua facile natura costanza conosce solo nella vendetta e nell’odio. Oh miserabile affanno! Oh destino crudelissimo! Il trionfo che aspettavo è la ruota del pavone! Una donna avvilisce il tuo coraggio? Oh, mio Dio! Chi è costei? L’imperatrice o altrimenti sua cugina. È evidente che è potente colei che ti vuole offendere. Floro, ogni donna, se è bella, qualsiasi cosa può fare, ma di queste due nessuna, mentre scorre la mia vita, può muovere, oltraggiata, la ruota della fortuna. Antonia Patricia è stata – come fai a non vederlo? – la dea sul cui altare l’anima ho sacrificato. Ella incoraggia il mio amore e la mia gloria desidera.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
FLORO BELISARIO
FLORO
BELISARIO
FLORO BELISARIO FLORO
¿Cómo quieres que ella sea la que mi muerte ha intentado? ¿Y la Emperatriz Teodora? Es un ángel soberano, y si provincias le gano en los reinos del aurora, si los reyes del oriente pongo a sus pies, ¿qué ocasión puede darle indignación? Si mi memoria no miente y mi discurso no es necio, no pensando que sería emperatriz, te quería, y hoy se venga del desprecio, porque ya a su prima amabas con tal afecto y ardor que llevado de este amor sus favores no estimabas. No la amé, y en esto fundo que no es su pecho tirano, pues la amó Justinïano y es emperatriz del mundo. Pues, Antonia será. No. ¿Por qué no, si la mujer siempre suele aborrecer al mismo paso que amó?
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[Suenan] atabalillos. ALBERTO
FLORO FABRICIO LEONCIO
A recibirte ha salido sin duda el Emperador. ¡Grande bien! ¡Grande favor! (Pues que no soy conocido, quiero esperar hasta ver
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
FLORO BELISARIO
FLORO
BELISARIO
FLORO BELISARIO FLORO
Come puoi creder che abbia attentato alla mia vita? E Teodora imperatrice? Costei è un angelo supremo: se le conquisto provincie nei domini dell’aurora, e se inginocchio ai suoi piedi i sovrani dell’oriente, cosa potrebbe indignarla? Se non mente il mio ricordo e assennato è il mio pensiero, non ancora imperatrice lei ti amava ed oggi vuole vendicarsi del tuo sprezzo: ché tu amavi sua cugina con un tale affetto e ardore che, in balia di quell’amore, tu non la consideravi. Non l’amai, eppur non credo che il suo cuore sia crudele, ché l’ha amata Giustiniano e del mondo è imperatrice. Dunque Antonia sarà. No. Perché no, se è vero che la donna è solita odiare nel modo stesso in cui ha amato? [Suonano] i timpani.
ALBERTO
FLORO FABRICIO LEONCIO
Sicuramente è venuto l’imperatore a riceverti. Grande ossequio! Gran favore! (Qui nessuno mi conosce: voglio aspettare e vedere
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FLORO
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FLORO
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si me consigue el perdón Belisario) ¡Oh gran varón, inmortal habías de ser! Señor, el César entienda que en la guerra le serví. Si tú me sirves a mí merced te haré de mi hacienda. La del rey para el soldado solo, se debe guardar. ¿Si no te vi pelear, cómo he de verte premiado? No ves siempre al que pelea. Muchos persianos maté. Pues haz que el César te dé premios sin que yo lo vea.
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[Sale el] Emperador [con] acompañamiento. Suenan cajas. EMPERADOR BELISARIO
EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
¡Belisario amigo! El nombre, gran señor, del amistad en sí contiene deidad; no se debe dar a un hombre. Proporción no ven contigo mis merecimientos, y hallo que en llamarme tu vasallo me honras más que en ser tu amigo. Más, Belisario, mereces. Dame los brazos. Señor, en los pies estoy mejor. La modestia miente a veces. ¡Vive Dios, que más quisiera ser yo tú, que ser el dueño del mundo, reino pequeño, clima estrecho, corta esfera para tus méritos! Di,
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FLORO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
se Belisario intercede ed ottiene il mio perdono.) Eterna vita al sovrano! Signore, al Cesare di’ che io l’ho servito in guerra. Se un giorno mi servirai, avrai delle ricompense. Quelle del re sono, infatti, ai soldati riservate. Se non ti ho visto combattere, posso vederti premiato? Anche se tu non lo hai visto molti persiani ho ammazzato. Allora, fa sì che il Cesare ti premi senza che io veda.
[Entra l’] imperatore [col suo] seguito. Suonano i tamburi. IMPERATORE
Belisario, amico!
BELISARIO
Altezza, la parola amicizia è una parola divina: non è adatta per un uomo. Sono niente i miei meriti al tuo confronto e ritengo che assai più mi onora essere tuo vassallo che tuo amico. Meriti molto di più. Abbracciami! Mio signore, io sto meglio qui ai tuoi piedi. La modestia mente a volte. Viva Iddio, che più vorrei esser te e non il padrone del mondo, piccolo regno, ristretto ambito e breve sfera ai tuoi meriti! Dimmi,
IMPERATORE
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IMPERATORE
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
BELISARIO
EMPERADOR BELISARIO EMPERADOR BELISARIO
¿no es más saberlo ganar que acertarlo a gobernar? Tú no dependes de mí, contigo trais el valor, ser te da tu mismo ser; pero yo te he menester para ser emperador. Reinos me ganas, y ansí ¡cuánto mejor me estuviera que yo provincias te diera que no el dármelas tú a mí! Como tu deidad es mucha, reflejos de luz nos da. ¿Persia es del imperio ya? Sí, señor. Di cómo. Escucha. Cuando Persia, señor, las armas toma sin temer del imperio los blasones y la fatal violencia con que doma tigres en Asia, en África leones, con las invictas águilas de Roma rompieron tus gallardos escuadrones ondas de plata, arenas de granates, en el rápido curso del Eufrates. En Duras, que es de Persia la frontera, un fuerte fabricamos eminente, que amenazó del sol la rubia esfera con el altivo ceño de su frente; émulo fue de Olimpo, y de manera admiró las provincias del Oriente, que temieron que Júpiter quería fulminar desde allí su monarquía. Nuestro ejército estaba dividido. Yo la mayor Armenia conquistaba cuando el Persa feroz nos ha impidido el edificio, maravilla otava.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
BELISARIO
IMPERATORE BELISARIO IMPERATORE BELISARIO
conquistarlo non ha forse più pregio che governarlo? Tu non dipendi da me, ti porti dentro il coraggio, tu stesso ti definisci; io, invece, ho bisogno di te per essere imperatore. I regni tu mi conquisti: quanto sarebbe più giusto che io provincie ti dessi e non che tu me le offrissi! Riflessi di luce emana la tua natura divina. La Persia è ormai dell’Impero? Sì, Signore. Come? Ebbene, prese le armi la Persia, signore, senza temer dell’impero i blasoni e la violenza fatale che doma tigri in Asia e in Africa leoni, con le aquile invitte di Roma il tuo gagliardo esercito infranse onde d’argento, spiagge di rubini, sul corso impetuoso dell’Eufrate. A Durazzo, frontiera della Persia, costruimmo una grande piazzaforte, che sfidò la bionda sfera del sole col piglio superbo della sua fronte; emulava l’Olimpo e così tanto sbalordì le provincie dell’Oriente, che temettero che Giove volesse fulminare da lassù i loro troni. Il nostro esercito si era diviso. Io conquistavo l’Armenia maggiore quando il Persiano feroce attaccò il nostro forte, ottava meraviglia. 1625
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
La fábrica postró, y al gran ruido volvió del Tigris la corriente brava atrás, y en desiguales horizontes temblaron las colunas de los montes. Babilonia gimió, y estremecida de ser cadáver ya tuvo recelo, creyendo que a borrar la humana vida desataba sus máquinas el cielo, ya que el estruendo, no de la caída, de la fama escuché, el trágico vuelo y aquel agravio me encendió de suerte que tembló de mi cólera la Muerte. Como suele el halcón de la Noruega, si teme el trasmontar del breve día, darse prisa a cazar, y no sosiega hasta ver su rapante tiranía, temiendo la ocasión que se me niega a la venganza fue la prisa mía; torbellino de Armenia, en un momento, rayo del cielo fue y halcón del viento. Derribela a tus pies, y luego parte el vencedor ejército, marchando, como suelen relámpagos de Marte, deshaciendo las nubes y tronando. Apenas el católico estandarte en Persia tremoló sus plumas, cuando tímidos lloran en la humana suerte los pálidos asombros de la muerte. Si viste, gran señor, langosta parda talando rubia mies; si viste un río que la ley de sus márgenes no guarda porque las lluvias le causaron brío; si viste fiero incendio que acobarda las fértiles campañas del estío, nuestro ejército, ansí, latino y griego, río y langosta fue, diluvio y fuego.
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La costruzione cadde e al gran boato, la corrente furibonda del Tigri volse indietro e le colonne dei monti tremarono in disuguali orizzonti. Gemette Babilonia e sussultò dalla paura d’esser già cadavere, credendo che a spezzar la vita umana il cielo le sue macchine spiegasse: non era il frastuono della caduta bensì il tragico volo della fama, e quell’offesa m’accese sì forte che la mia ira atterrì anche la Morte. Com’è solito il falco di Norvegia, quando sente incalzare il giorno breve, che s’affretta a cacciare e non ha posa fino a che non conquista la sua preda, temendo l’occasione venir meno in vendetta si volse la mia fretta: mulinello d’Armenia, in un momento, raggio del cielo fu, falco del vento. Prostrata ai tuoi piedi, è dipartito il vittorioso esercito, marciando come fanno i fulmini di Marte, squarciando le nuvole e tuonando. Non appena il cattolico stendardo in Persia dispiegò i suoi drappi al vento, timidi piangono l’umana sorte i pallidi fantasmi della morte. Hai visto mai, signore, la locusta falciar le bionde messi; hai visto un fiume infrangere la legge dei suoi margini perché le piogge l’hanno insuperbito? Hai visto mai l’incendio intimorire le fertili campagne dell’estate? Il nostro esercito latino e greco fiume e locusta fu, diluvio e incendio.
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EMPERADOR
Su ejército me oponen y confían en la bárbara furia de elefantes, que con navajas de marfil herían las tropas de caballos y de infantes. Cien torres que montañas parecían llevaban estos brutos arrogantes, y tantas flechas disparaban de ellas que eclisaron el sol y las estrellas. Su natural instinto prevenido, en medio de los campos he formado un arroyo de sangre, que han vertido cien bueyes del bagaje, y el airado escuadrón de elefantes suspendido quedó, cuando en la sangre ha reparado, y, ansí, volviendo atrás con furia brava, los suyos sin piedad despedazaba. En efeto, vencí, ¡feliz suceso! Ya es del imperio cuanto el Tigris baña; Arsindo, rey de Armenia, viene preso, y el general de Persia le acompaña. Asia temblando está, y alegre beso tus pies, cuando en el mar y en la campaña adoran las provincias del Oriente el laurel soberano de tu frente. Belisario, ¿qué favor no es pequeño para darte? Sólo pretendo pagarte con mí mismo, con mi amor; que él es inmenso, y ansí grandes mercedes te doy, dando lo mismo que soy para que vivas en mí. Dos anillos con dos sellos mandé hacer de un propio modo, porque podamos en todo ser los dos uno con ellos.
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IMPERATORE
Mi oppongono un esercito che conta sulla barbara furia d’elefanti, che con lame d’avorio laceravano le truppe dei cavalli e dei fanti. Cento torri, come grosse montagne, quei bruti arroganti trasportavano: lanciavano da quelle tanti dardi che eclissarono il sole e anche le stelle. Previsto il loro istinto naturale, pensai di formare, in mezzo ai campi, un fiume di sangue, che fu versato da cento buoi dei nostri, e che arrestò la schiera di elefanti inferociti che, appena visto il sangue sparso a terra, si ritirarono con foga atroce, maciullando impietosi gli avversari. E dunque, vinsi: quale lieto evento! Dell’impero ora è quanto il Tigri bagna; Arsindo, re di Armenia, è prigioniero, e con lui, il generale della Persia. L’Asia sta tremando e io a te mi inchino contento, mentre per mare e per terra le provincie dell’Oriente adorano l’alloro della tua fronte imperiale. Belisario, troppo piccola è qualsiasi ricompensa! Solo voglio ripagarti con me stesso, col mio amore, perché è tanto immenso che grandi favori ti faccio dandoti tutto me stesso affinché tu viva in me. Due anelli con due sigilli feci fare d’una foggia, affinché possiamo in tutto essere, noi due, uno solo.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
BELISARIO LEONCIO
FLORO
Toma el uno, y la amistad finezas haga y estremos. Cástor y Pólux seremos. Belisario es mi mitad. Sola una cosa te ruego. Hazla tú. ¿Qué me propones ni ruegas? Es que perdones a Leoncio. Venga luego, y no sólo le perdono, pero mercedes le haré; porque hombre, que digno fue de tu intercesión y abono, ofenderme no ha podido. Ya mercedes le prevengo, por buen vasallo le tengo; envidias le han perseguido. Beso tu mano. (¿Que yo viniese a matar así al que me da vida a mí? ¡Mal haya quien lo mandó! ¡Mal haya quien lo ha intentado y quien le fuere traidor!) Mirando al Emperador, éste se quedó pasmado. Si de esta caja pudiera sacarle un papel, sería buena fortuna la mía, porque servirme pudiera; que él mismo me lo ha mostrado, y nombre ni señas tray.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
BELISARIO LEONCIO
FLORO
Uno è tuo, e l’amicizia faccia grandi meraviglie. Noi due: Castore e Polluce. Belisario: mia metà. Solo una cosa ti chiedo. Falla tu. Non devi affatto pregarmi. Di perdonare Leoncio. Che venga subito e non solo lo perdono ma lo ricompenserò: se egli è stato un uomo degno della tua intercessione non ha potuto oltraggiarmi. Ho già in serbo ricompense, lo ritengo un buon vassallo; è vittima dell’invidia. Ti bacio le mani. (Ed io, come avrei potuto uccidere colui che mi dà la vita? Maledetto il mio mandante! Maledetto chi ha provato a tradirlo o lo farà! È rimasto sbigottito a guardar l’imperatore. Se io mai riuscissi a prendergli un foglio da questa scatola sarei un uomo fortunato, perché servir mi potrebbe; lui stesso me l’ha mostrato: sui fogli non c’è alcun nome.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Sácale un papel de una caja de latón y métele otro.
EMPERADOR
FLORO
Valientes industrias hay para un gallina soldado. Topelo, el alcance sigo. ¡Helo! En esto no soy manco. Zámpole un papel en blanco, que acaso traigo conmigo. Boquiabierto Juan Paulín a los dos Césares mira y de su amistad se admira. ¡Bisoño en la corte al fin! Así supiese mi amo que aquestas manos pelean. Ya es tiempo que todos vean cuánto tus virtudes amo. Triunfar debes; llega ya en esa imperial carroza a Constantinopla, y goza aplausos que el vulgo da. Todo es confuso tropel en la corte. Aquí te tengo. Pues que de servirte vengo, lee, señor, este papel.
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Dale el papel al Emperador. BELISARIO FLORO
¿Qué intentas, necio? Que creas que Floro en la guerra fue valiente duende, y que sé pelear sin que me veas.
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Lee [el memorial el Emperador]. EMPERADOR
«Gran señor, el que éste lleva es un valiente soldado.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Sottrae un foglio da una scatola di latta e lo sostituisce con un altro.
IMPERATORE
FLORO
L’astuzia è abile compagna di un soldato che è codardo. L’ho trovato, ora lo prendo. Eccolo! Son stato destro! Gli ci butto un foglio bianco che casualmente ho con me. Stupefatto, quel fantoccio sta osservando entrambi i Cesari e ne ammira l’amicizia. Ecco un soldato alla corte! Se sapesse il mio padrone come queste mani lottano! È tempo che tutti sappiano quanto ami le tue virtù. Tu devi trionfare: sali su questo carro imperiale, recati a Costantinopoli e gioisci degli applausi. C’è una grande confusione a corte. Ecco, ti ho trovato! Signore, io ho combattuto: leggi, avanti, questo foglio. Porge il foglio all’imperatore.
BELISARIO
Cosa fai, sciocco?
FLORO
Che creda che Floro in guerra è stato uno spirito intrepido: combatto senza esser visto. Legge [l’imperatore il memoriale].
IMPERATORE
«Signore, chi ti dà questo è un soldato coraggioso. 1633
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
FLORO BELISARIO
FLORO BELISARIO
FABRICIO
Dos banderas ha ganado. No hay hombre que a más se atreva. Julio, maestre de campo.» Besarme la mano puedes. Tenga en la corte mercedes quien servir sabe en el campo. Una villa tienes ya, y esta merced no es muy rica, según Julio certifica. Y aun agosto lo dirá. Di, ¿cúyo es este papel, necio? Del maestre de campo. Otra vez que esté en el campo, pelead en mi cuartel. (Si a este gallina le han dado sin méritos galardón, gozar quiero la ocasión.) Yo, señor, soy un soldado pobre que en Persia serví, según en éste verás.
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Dale otro papel. EMPERADOR
No has servido; servirás, que el papel lo dijo ansí. Si en blanco trais los servicios, en blanco quedarte puedes.
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Rómpelo. Vase. FABRICIO
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¿Cómo? ¿Son éstas mercedes? Perderé dos mil juicios. ¿A un gallina maldiciente una villa y a mí nada? No tiene igual esta espada. Sed, Fabricio, más valiente.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
FLORO BELISARIO
FLORO BELISARIO
FABRICIO
Egli ha vinto due bandiere. Nessuno può fare tanto. Caio, maestro di campo.» Ecco, bacia la mia mano. Riceva favori a corte chi sa servire in battaglia. Una città ti concedo ed è un favore modesto stando a quanto Caio attesta. E anche tizio lo dirà. Parla: di chi è questo foglio, sciocco? Del maestro di campo. Quando tornerò in battaglia, combattete nel mio esercito. (Se a questo codardo han dato un premio che è immeritato, voglio anch’io approfittarne). Signore, io sono un povero soldato che è stato in Persia, come puoi leggere qui. Gli porge un altro foglio.
IMPERATORE
Non ci sei stato; ci andrai, così dice questo foglio. Se i tuoi servizi son niente, niente potrai avere in cambio. Lo straccia. Esce di scena.
FABRICIO
FLORO
Che favori sono questi? Perderò tre volte il senno. A un codardo maldicente una città e a me niente? Questa spada non ha uguali. Siate più prode, Fabricio. 1635
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO FABRICIO
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LEONCIO BELISARIO LEONCIO
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LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO BELISARIO
¡Un loco rascacaballos tiene suerte más dichosa! Sois, Fabricio, poca cosa para un señor de vasallos. ¡Espera, blasón del mundo! ¿Qué quieres? Besar tus pies. Leoncio es éste que ves. ¡Oh, capitán sin segundo! No te conocí, que el traje desmintió tu calidad. En manos del amistad debo a hacer pleito homenaje de ser tuyo. Entre los dos habrá amistad verdadera. Si el Emperador te espera, adiós, Belisario. Adiós, y a esa mujer no ofendida tiempla el injusto rigor. Yo te encomiendo mi honor. Yo te encomiendo mi vida.
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Vanse. [Salen] Teodora y Marcia. MARCIA
Señora, ¿no me dirás, – perdona mi atrevimiento – por qué has mandado matar al que es blasón del imperio? Dime la causa, pues ya me descubriste el secreto. ¿Qué te ha hecho Belisario? ¿Tan grande aborrecimiento merece un hombre famoso, hombre que conquista reinos,
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO FABRICIO
FLORO
LEONCIO BELISARIO LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO
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LEONCIO
BELISARIO
LEONCIO BELISARIO
Un folle strigliacavalli ha più fortuna di me! Poco valete, Fabricio, per un signor di vassalli. Blasone del mondo, aspetta! Cosa vuoi? Baciarti i piedi. Chi vedi ha nome Leoncio. Capitano impareggiabile! Questa veste ti svilisce e non ti ho riconosciuto. In nome dell’amicizia ti presterò giuramento di fedeltà. Tra noi due ci sarà vera amicizia. Se ti attende sua maestà, mi congedo. Arrivederci! Di quella donna mai offesa placa l’ingiusto rigore. Io ti confido il mio onore. Ed io a te la mia vita. Escono di scena. [Entrano] Teodora e Marcia.
MARCIA
Signora, non vorrai dirmi – scusa la mia impertinenza – perché hai ordinato d’uccidere il blasone dell’impero? Dimmi la causa, giacché mi hai rivelato il segreto. Che ti ha fatto Belisario? Una simile avversione merita un uomo di fama, uomo che regni conquista
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
TEODORA
MARCIA
TEODORA
hombre que reyes cautiva para darte a ti trofeos? ¿En qué te ha ofendido? Marcia, no alabes lo que aborrezco, porque es indignarme más. Bien le quise y mal le quiero. Antes que el Emperador pusiese en mí sus deseos y para feliz consorte su amor me eligiese, dieron a Belisario mis ojos favores, que con desprecios me pagó, y tomo venganzas cuando emperatriz me veo. Quiero casar a Filipo con Antonia, demás de esto; y ella, amando a Belisario, no corresponde a mis ruegos. De un rey se dice que tuvo un contrario, antes de serlo; y, siendo rey, sus privados que le matase dijeron. Él respondió: «No es razón que un rey vengue agravios hechos a un particular.» Lo mismo, señora, decirte puedo; los agravios de Teodora no ha de vengar a este tiempo una emperatriz del mundo. Soy mujer, piedad no tengo.
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[Sale] Antonia. ANTONIA
Señora, si a esos balcones hacen oriente los cielos de tus ojos, hallarás
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e che cattura sovrani, per i trofei che ti ha dato? Com’è che ti ha offeso? Marcia, non lodare chi detesto, che mi indigno ancor di più. Io l’ho amato e adesso l’odio. Prima che l’imperatore, desideroso di me, mi volesse come sposa e il suo amore mi scegliesse, gli occhi miei per Belisario erano, che con disprezzo mi ha pagato, e ora vendetta, da imperatrice, io chiedo. Oltre a questo io vorrei sposare Filipo e Antonia; ma lei, amando Belisario, non fa ciò di cui la prego. Di un re si dice che quando non lo era ebbe un nemico; eletto re, i suoi ministri gli dissero di ucciderlo. «Non v’è ragione» rispose «che un re vendichi le offese fatte quando re non era». La stessa cosa ti dico: ora che sei imperatrice non vendicare le offese che hanno fatto a Teodora. Non ho pietà, sono donna. [Entra] Antonia.
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Signora, se a quei balconi i cieli degli occhi tuoi affacci, potrai vedere 1639
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
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(Aparte)
el mayor triunfo que vieron los romanos. En un carro de oro y rubís, compitiendo con el carro del Aurora en los hermosos reflejos de luz y púrpura, viene, terror de persias y armenios, Belisario, dando a Europa gloria y blasones eternos. Traile a su mano derecha el Emperador; que en esto se descubre en un vasallo la grandeza de su dueño. Al concurso de la gente y a los aplausos del pueblo, las aves se han suspendido en las esferas del viento. Dos generales y un rey lleva delante, que, presos en cadenas de oro, dicen la gloria del vencimiento. ¡Válgame Dios! No ha podido el alborozo del pecho disimular con la lengua al amor que está allá dentro. Por la boca y por los ojos vas exhalando el incendio que en el corazón no cabe. Imprudente es el contento; mal sabe disimular. (Rabiando estoy, y no puedo sufrir alabanzas suyas. ¿Que Leoncio no le ha muerto? ¡Ah, cobarde!) Antonia, Antonia, yo te juro por los cielos y por la vida dichosa – atiende a este juramento –
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(A parte)
un trionfo che mai videro i romani. Sopra un carro d’oro e rubini, che sfida il carro dell’Aurora tra i magnifici riflessi di luce e porpora, avanza, terrore di Persia e Armenia, Belisario, che all’Europa dà blasoni e gloria eterni. E alla sua destra avanza l’imperatore, ché in questo si rivela in un vassallo la grandezza del signore. Con l’arrivo della folla, tra gli applausi della gente, gli uccelli han sospeso il volo sopra le sfere del vento. Due generali ed un re gli vanno innanzi in catene d’oro: si dice che sono la gloria della vittoria. Oh Dio mio! Non ha potuto il gran tumulto del cuore mascherare con la lingua l’amore che vi si trova: dagli occhi e anche dalla bocca, ovunque effondi l’incendio che ti trabocca dal petto. È imprudente l’allegria; sa dissimulare male. (Sono rabbiosa e non posso sopportare i suoi elogi. Leoncio non l’ha ucciso! Che codardo!) Antonia, Antonia, ora ti giuro sui cieli e sulla vita propizia – fai attenzione al giuramento – 1641
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
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del grande Justiniano, que si en público o secreto das favor a Belisario, si con los ojos atentos le miras, si con palabras lisonjeas sus deseos, si le escribes ni respondes apaciblemente, muerto le has de ver, por mi mandado. No he de castigar tus yerros en ti, sino en él, y ansí tu amor será su veneno. Tú le matas si le quieres; y a jurar otra vez vuelvo del Emperador la vida que han de darle muerte. ¿Y debo ser ingrata y descortés a quien con tanto respeto me sirve? Si yo te caso con Filipo, que es mi deudo, ¿por qué a mi gusto te opones? (¿Qué desdicha es ésta, cielos? ¿No he de amar a Belisario, no he de estimar sus afectos, no he de agradecer su amor, no he de honrar sus pensamientos, no de mirar su buen talle? ¡Remedio, cielos, remedio, que si tanto amor reprimo, ha de reventar el pecho!)
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Déme vuestra majestad la mano.
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TEODORA
ANTONIA
dell’inclito Giustiniano, che se in pubblico o in segreto incoraggi Belisario, se lo guardi con trasporto e se con dolci parole lusinghi i suoi desideri, se gli scrivi o gli rispondi con delicatezza, io darò l’ordine che muoia. Non castigherò i tuoi errori in te, bensì in lui, e così sarà un veleno il tuo amore. Lo puoi uccidere se lo ami; e di nuovo qui ti giuro sulla vita del mio sposo che lo uccideranno. E devo essere ingrata e scortese con chi con tanto rispetto mi serve? Ma se ti sposo con Filipo, mio parente, perché al mio voler ti opponi? (Quale sciagura, mio Dio! Non devo amar Belisario, né ricambiare il suo affetto né esser grata del suo amore, né i suoi pensieri adorare, né il suo bel corpo ammirare? Aiuto, mio Dio, aiuto! Ché, se tanto amor reprimo, mi scoppierà dentro al petto!)
[Entrano l’] imperatore, Belisario, Narses, Filipo ed il seguito. BELISARIO
Che vostra maestà mi porga la mano. 1643
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO TEODORA
[A Antonia] ANTONIA
BELISARIO
ANTONIA
(Disimulemos, ira y venganza.) Seáis bienvenido. Alzad. (Yo vuelvo a ver si Antonia le mira.) Baja esos ojos al suelo, que le costará la vida. (Muero por mirarle, y temo de esta tigre los enojos. ¡Remedio, cielos, remedio!) (¡Ay, Antonia de mi vida! Gracias al amor, que veo el cielo de tu hermosura. Dudoso del bien que tengo, no doy crédito a los ojos. Mas, ¡ay de mí! ¿qué es aquesto? Los suyos no ha levantado para mirarme. Recelo... Mas, ¿qué recelo, qué digo, si con mis dudas la ofendo, con mis sospechas la agravio? Recato ha sido discreto. Ella su amor disimula.) (Más os valiera estar ciegos, ojos, si no habéis de ver lo que con el alma quiero.)
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[Sale] Leoncio. LEONCIO
TEODORA
Leoncio está a vuestros pies, gran señor, agradeciendo el perdón que le habéis dado, la merced que le habéis hecho. (¿Perdonado está Leoncio? Nuevos enojos prevengo. Este traidor me ha vendido, Él descubrió mi secreto.)
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO TEODORA
[Ad Antonia] ANTONIA
BELISARIO
ANTONIA
(Dissimuliamo ira e vendetta). Che siate il benvenuto. Alzatevi. (Vediamo cosa fa Antonia). Abbassa quegli occhi a terra, che gli costerà la vita. (Mi struggo per lui e temo, la furia di questa tigre. Aiuto, mio Dio, aiuto!) (Oh, Antonia, vita mia! Grazie all’amore io vedo il cielo del tuo splendore. Ma incerto del bene che ho, io non do peso al suo sguardo. Oh, me infelice, perché ella il suo non mi ha rivolto? Ora il timore mi assale... Quale timore? Che dico, se coi miei dubbi la offendo, coi miei sospetti la oltraggio? Ma che discreta cautela! Ella il suo amore dissimula.) (Meglio sarebbe esser ciechi se gli occhi veder non possono quello che voglio con l’anima.) [Entra] Leoncio.
LEONCIO
TEODORA
Leoncio è qui ai vostri piedi, vostra altezza, e vi ringrazia per il perdono concesso, e la ricompensa avuta. (Leoncio è stato perdonato? Io prevedo altri furori. Traditore, mi ha venduto! Ha rivelato il segreto.)
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Déme vuestra majestad la mano. TEODORA [A Leoncio] Traidor, ¿qué es esto? ¿Cuando el perdón te ofrecí porque le matases, veo que él vive y tú le consigues? LEONCIO [A Teodora] No hallé ocasión, ni pretendo darle muerte. TEODORA [A Leoncio] Basta, basta. (Pues éste a la gracia ha vuelto del Emperador, sin duda que ha revelado mi intento a Belisario. No fío de Leoncio más, ni quiero dilatar esta venganza.) Narses.
LEONCIO
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[Hablan aparte.] NARSES TEODORA
NARSES
TEODORA
NARSES ANTONIA
EMPERADOR
Señora. El gobierno de Italia tendrás, si matas a Belisario. Yo aceto tu palabra, y cumpliré lo que mandas. Te encomiendo el secreto y brevedad. Todo está a mi cargo. (Temo que le mato si le miro, y si no le miro muero. Con dos acidentes lucho, con dos contrarios peleo, y con dos muertes batallo. ¡Remedio, cielos, remedio!) Belisario, ven.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Maestà, mi dia la sua mano. [A Leoncio] Traditore, cos’è questo? Ti avevo offerto il perdono affinché tu lo uccidessi: egli è vivo e l’hai ottenuto? LEONCIO [A Teodora] È mancata l’occasione né voglio trovarla. TEODORA [A Leoncio] Taci! (Dunque è tornato in grazia dell’imperatore, certo ha rivelato il mio piano a Belisario. Sospetto ormai di lui, né voglio rimandare la vendetta). Narses.
LEONCIO
TEODORA
[Parlano in disparte.] NARSES TEODORA
NARSES
TEODORA
NARSES ANTONIA
IMPERATORE
Signora. Il governo dell’Italia avrai se uccidi Belisario. Di buon grado accetto ed eseguirò gli ordini. Mi raccomando: segretezza e brevità. Non temere. (Ho paura di ucciderlo se lo guardo, e morir se non lo faccio. Lotto contro due accidenti e combatto due avversari, con due morti io mi scontro. Aiuto, mio Dio, aiuto!) Belisario!
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO BELISARIO
TEODORA
[A Antonia] ANTONIA
(Sospechas, muchas fuerzas vais tiniendo. A traición me mira Antonia, turbado su rostro veo. ¡Matadme, sospechas mías, antes que lleguéis a tiempo de ser en mí desengaños!) ¿Mirándole estás? Muy necios y livianos son tus ojos. Y crueles tus preceptos.
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[A Teodora] TEODORA
No amas mucho, pues no temes...
[A Antonia] BELISARIO
(Ella se mudó. Voy muerto.) Vanse.
ANTONIA
¿Que ponga ley a mis ojos un colérico interés? Ostinado animal es una mujer con enojos: de sus fáciles antojos apriesa toma venganza. En todos tres hay mudanza: ella manda sin razón, él ama sin galardón, yo adoro sin esperanza. Mi pecho amando es ingrato, favoreciéndole es fiero, si le aborrezco le quiero, y si le quiero le mato; su vida está en mi recato, su muerte está en mi favor, en mis ojos hay rigor, en mis labios hay sirenas. ¡Oh, Babilonia de penas! ¡Oh, laberinto de amor!
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO BELISARIO
TEODORA
[Ad Antonia] ANTONIA
(I miei sospetti si stanno consolidando. A tradimento mi guarda Antonia, turbata in volto. Oh, sospetti miei, uccidetemi prima che giunga il momento in cui sarete illusioni!) Lo stai guardando? Lascivi e sciocchi sono i tuoi occhi. E crudeli i tuoi comandi.
[A Teodora] TEODORA
Ami poco se non temi...
[Ad Antonia] BELISARIO
(Lei è cambiata. Sto morendo.) Escono di scena.
ANTONIA
Può esser legge dei miei occhi un collerico interesse? È un animale ostinato una donna oltraggiata: dei suoi effimeri capricci in tutta fretta si vendica. Tutti e tre siamo cambiati: lei comanda con passione, senza ricompensa egli ama, senza speranza io adoro. Il mio cuore, amando, è ingrato, altero se lo incoraggia, se lo detesto io lo amo e se lo amo lo uccido; se mi sottraggo egli vive, se lo incoraggio egli muore, nei miei occhi c’è il rigore, sulle mie labbra, sirene. Oh, Babilonia di pene! Oh, labirinto d’amore! 1649
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
[Sale] Teodora junto al paño. TEODORA
ANTONIA
Cuando una mujer porfía aborrece de esta suerte. Belisario vuelve a verte; y tras desta celosía te he de escuchar. Tiranía, es la tuya, imperio no. ¿Qué amante triste se vio en tal trance? Estoy sin mí. Con el alma diré sí. Con los labios diré no.
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[Sale] Belisario sin ver a Teodora. BELISARIO
A tus pies llega vencido un amante vencedor, aunque mal he dicho «amor» lo que «obligación» ha sido, si es fuerza haberte querido después de haberte mirado; «un corazón obligado» llega a tus pies a vivir, que no me atrevo a decir «corazón enamorado». ¿Cuando triunfo del Oriente, muestras tu tristeza extraña? O es tu amor el que me engaña o es mi vista la que miente. Si el alma está diferente, estelo, señora mía, tu beldad; que es tiranía, si he de amarte, que se vea mudada el alma y que sea la beldad la que solía.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
[Entra] Teodora e rimane vicino al telone. TEODORA
ANTONIA
Quando una donna s’ostina detesta in questa maniera. Torna da te Belisario: io ti ascolterò da dietro questa gelosia. Tiranna tu sei, non imperatrice. Nessun amante patì simili pene! Ora svengo! Con l’anima dirò «sì». Con le labbra dirò «no». [Entra] Belisario senza vedere Teodora.
BELISARIO
Ai tuoi piedi è qui prostrato un amante vincitore, ma ho sbagliato a dire «amore», perché «obbligo» è stato, ché è per forza che t’ho amato dopo che io ti ho guardato; il mio «cuore obbligato» viene a vivere ai tuoi piedi, dato che non oso dire il mio «cuore innamorato». Perché, trionfo dell’Oriente, ti mostri tanto avvilita? O è il tuo amore che m’inganna o è la vista che mi mente. Se il tuo animo è cambiato, lo sia anche, mia signora, la bellezza, perché amarti e vedere che il tuo animo è cambiato mentre è intatta tua beltà è una tortura.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO ANTONIA
BELISARIO ANTONIA
Con ese amoroso engaño a la mariposa imitas, pues tu muerte solicitas amando tu propio daño; y ansí yo te desengaño que es tu amor, si en ti no muere, niño que un cuchillo quiere, y, como el peligro ignora, cuando no se lo dan, llora, y si se lo dan, se hiere. Ama otro dueño y olvida. Oye, escúchame, por Dios. Vivid, Belisario, vos y cuésteme a mí la vida.
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Aparte, y vase. TEODORA
Eso sí. [Vase.]
BELISARIO
¿Cuándo, homicida, se ha mudado de esta suerte mujer alguna? ¿Tan fuerte es en ti el aborrecer? Basta, que ella es la mujer que ha procurado mi muerte. Contra el alma y los sentidos hay ejércitos de enojos; desengaños ven los ojos, rigor sienten los oídos, el corazón llora olvidos, suspensión el pensamiento, impaciencia el sufrimiento, y, de todos combatida, sólo se escapa la vida para darme más tormento.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO ANTONIA
BELISARIO ANTONIA
Con quest’amoroso inganno tu sei come la farfalla, perché incalzi la tua morte amando il tuo stesso danno; e così io ti rivelo che il tuo amore, se non muore, è un fanciullo che un coltello vuole, e ne ignora il pericolo: se non glielo danno piange, se glielo danno si taglia. Ama un’altra e dimentica. Ascolta, senti, per Dio. (Vivete voi, Belisario, e che costi a me la vita.) Antonia esce di scena.
TEODORA
Ben detto. [Teodora esce di scena.]
BELISARIO
Quando, assassina, è mai cambiata così una donna? Così grande è il disprezzo che hai per me? Basta: lei è la donna che ha provato ad uccidermi. Contro l’anima ed i sensi, ecco eserciti di rabbia; nei miei occhi, disinganni, nelle orecchie, crudeltà; il mio cuore piange oblii, il mio pensiero, incertezza, il mio dolore, impazienza. e, da ogni parte osteggiata, la vita si salva solo per tormentarmi di più. 1653
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Que se mude una mujer ya se vio, cualquiera alcanza su porción en la mudanza, y que dé en aborrecer también común suele ser; pero que matar intente al desdichado que ausente su luz hermosa adoró, rigor es que no se oyó en las lenguas de la gente.
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[Sale el] Emperador. Sacan una luz y recado de escribir sobre un bufete. EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
Si tu amigo verdadero pienso ser hasta la muerte, no basta saber quererte si no saben que te quiero. Con la amistad son iguales el vasallo y el señor, y es la riqueza mayor que tenemos los mortales. Y como la majestad de un rey no ha comunicado otro rey, en el privado goza el bien de la amistad. Conózcase mi favor en todo aqueste hemisferio: príncipe eres del imperio y perpetuo dictador. Deja que bese tus pies por honras tan desiguales. Toma estos tres memoriales. Uno elige de esos tres para el supremo gobierno de Italia.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Che una donna sia incostante non è insolito e chiunque può capirne l’entità; e che ciò sfoci nell’odio, anche questo accade spesso; ma che provi anche ad uccidere lo sciagurato, che assente, il suo splendore adorava, è inclemenza mai udita sulla bocca della gente. [Entra l’] imperatore. Dispongono su uno scrittoio una luce e della carta da lettere. IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
Dato che io penso di essere per sempre il tuo vero amico, non basta volerti bene se gli altri questo non sanno. L’amicizia rende uguali il vassallo ed il signore: è la ricchezza più grande che possiedono i mortali. E visto che la maestà di un re vieta l’amicizia d’un altro re, nel vassallo può goder di questo bene. Che conosca il mio favore l’intero nostro emisfero: principe sei dell’impero, e suo perpetuo signore. Lascia che baci i tuoi piedi per questi diversi onori. Prendi questi memoriali e scegli uno dei tre per il supremo governo dell’Italia.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO BELISARIO
EMPERADOR
Yo, gran señor, no merezco tal favor. Y mereces nombre eterno. Libre elección has de hacer, aunque más lo dificultes. Voyme, porque no consultes conmigo tu parecer.
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Vase. BELISARIO
(Siéntase)
[Lee]
Fortuna, tú que me subes hasta la región del fuego, y como el Olimpo griego me has coronado de nubes, si me levantas ansí para desdicha mayor, u niégame tu favor u ten lástima de mí... Aunque la melancolía conduce a mis ojos sueño, quiero obedecer el dueño que de mi elección se fía. «Memorial de Leoncio». Aquéste a mil Numas anticipo yo. «Memorial de Filipo». Bien se puede confiar de este Italia, que es sin segundo. ¿De quién el tercero es? «Narses» dice. Todos tres pueden gobernar el mundo. La abundancia es la que impide la elección que Italia espera, porque a cada cual quisiera darle el gobierno que pide. La duda que tengo es fuerte. Dejémoslo a la fortuna. No he errado empresa ninguna.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO BELISARIO
IMPERATORE
Io, gran signore, tanto favore non merito. Ma meriti eterna fama. Decidi liberamente, anche se fai resistenza. Vado: non devi discutere con me quel che intendi fare. Esce di scena.
BELISARIO
(Si siede)
(Legge)
Fortuna, tu che mi innalzi alla regione del fuoco, e come l’Olimpo greco mi hai incoronato di nubi, se mi alzi così affinché la sventura sia più grande, o negami il tuo favore o abbi pietà di me... Benché la malinconia infonda sonno ai miei occhi, voglio obbedire al signore che ha fiducia in questa scelta. «Relazione di Leoncio»: di mille Numa mi supera. «Relazione di Filipo». L’Italia può confidare in lui, che è senza rivali. E il terzo nome qual è? «Narses», leggo. Tutti e tre governerebbero il mondo. È l’abbondanza a impedire la scelta che Italia attende, perché a tutti io vorrei darle il governo che chiede. Sono incerto sulla scelta. Affidiamoci alla sorte. Non mi ha mai abbandonato. 1657
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Haga esta elección la suerte. Sólo de Antonia la fe mi mayor desdicha ha sido. En mi vida fui vencido. Catorce veces triunfé.
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Baraja los memoriales. Sin que los títulos lea, éste elijo. «Narses» dice. Él ha sido el más felice. ¡Quiera Dios que yo lo sea! El decreto escribo, y luego el sueño me ha de vencer, si el odio de una mujer me ha de permitir sosiego; ganar amigos procuro, mi descanso es hacer bien y el proverbio dice: «Quien hace bien, duerme seguro.»
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[Sale] Narses. NARSES
Con el silencio y quietud de la noche, está el palacio pintando en sombras y lejos la soledad de los campos. Mal sosiega un ambicioso; mal reposan los cuidados de los soberbios que a oficios en las cortes van trepando. Teodora me ha prometido, si doy muerte a Belisario, el consulado de Roma y de Italia el magistrado. Si es Emperatriz, ¿qué mucho que vengue yo sus agravios?
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Che scelga lei al posto mio. Solo fidarmi di Antonia la maggior sventura è stata. Una volta in vita ho perso. E quattordici ho trionfato. Mischia i memoriali. Senza leggerne i titoli, scelgo questo. «Narses», leggo. Il più fortunato è stato. Voglia Dio che lo sia anch’io! L’ordinanza scrivo e poi il sonno mi vincerà, se l’odio di una donna potrà darmi un po’ tregua; io cerco soltanto amici, far del bene è il mio riposo e il proverbio dice: «Chi fa del bene, dorme bene.» [Entra] Narses. NARSES
Nel silenzio e nella quiete della notte, il palazzo orna di ombre e lontananze le campagne desolate. Dorme male un ambizioso; i tormenti danno insonnia ai superbi che aspirano ai privilegi di corte. Teodora mi ha promesso, che se uccido Belisario, sarò il console di Roma e il magistrato d’Italia. Non dovrei io vendicare di un’imperatrice i torti? 1659
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
[Repara en Belisario.] Aquí está, y está dormido. Bien dicen que es un tirano de la mitad de la vida el sueño. Ya no es retrato, sino vivo original de la muerte, en su letargo.
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Saca la daga.
(Lee)
A nunca más despertar le considero. ¡Qué vanos son los discursos del hombre! ¡Qué disinios tan errados! A éste se juzgó inmortal cuando venciendo y triunfando fue la pompa del imperio, y ya le está amenazando en este puñal la muerte. Nadie me ve. Yo le mato. Aquí memoriales veo. La curiosidad me ha dado antojos de ver primero si da oficios soberanos del Imperio. Éste es el mío. Pienso que está decretado. Su letra es y dice «Narses merece, señor, el cargo de Italia, a Narses elijo». ¿Cómo puedo ser ingrato al que procura mi bien? ¡Oh, valor extraordinario de capitán invencible y de prudente privado!
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
[Si accorge della presenza di Belisario.] Eccolo qua, sta dormendo. È vero, il sonno è tiranno della metà della vita. Ma in lui non è più un ritratto, bensì vivo originale della morte, il suo letargo. Sfodera il pugnale.
(Legge)
Egli è già un uomo morto. Quanto sono inconsistenti i discorsi degli uomini! Quanto falsi i loro intenti! Quando, vincendo e trionfando, si considerò immortale, fu l’orgoglio dell’impero ma lo sta già minacciando di morte questo pugnale. Non c’è nessuno. Lo uccido. Vedo qui dei memoriali. La curiosità mi spinge a sapere prima quali supremi incarichi dia l’Impero. Ecco, questo è il mio. Credo sia ratificato. È la sua calligrafia: «Narses scelgo, perché merita l’incarico dell’Italia». Come posso essere ingrato verso chi vuole il mio bene? Oh, coraggio straordinario di capitano invincibile e prudente consigliere!
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
Yo he de ser agradecido, aunque caiga en este caso de la gracia de Teodora. Sepa el peligro en que ha estado. Aquí le escribo un aviso, si bien el secreto guardo de quién es la que desea su muerte.
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Escribe [y] clava la daga. El acero clavo sobre el mismo memorial, y ansí le digo callando, por enigmas, que fui yo, el que la vida le ha dado. Ya desvelados los ojos muestran que fue breve rapto del sueño. Vele, quien tiene tan poderoso contrario.
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Vase. BELISARIO
Sólo el sueño y el amor me han vencido. No es agravio el del sueño, que es pensión natural. ¿Qué es lo que hallo tan cerca de mí? Fortuna, ¿si son éstos los amagos de tu mudanza? Dos veces vi puñal amenazando mi vida. De la tercera me libre Dios. Y clavado en el memorial de Narses, ¿qué significa? Reparo en dos renglones escritos de otra letra y de otra mano.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
Io gli devo essere grato, benché possa avere offeso l’onore di Teodora. Del pericolo che ha corso io lo avviso e glielo scrivo, ma il segreto custodisco di chi sia colei che vuole la sua morte. Scrive [e] trafigge la relazione col pugnale. Con l’acciaio ho trafitto il memoriale, e così dico, tacendo, con un messaggio cifrato, che son io che lo ho salvato. Gli occhi si stanno ormai aprendo: breve rapimento è stato il sonno. Vegli chi ha un così forte avversario. Esce di scena. BELISARIO
Solo il sonno e l’amore mi hanno vinto. Non è offesa il sonno, ma impedimento naturale. Cosa c’è qui vicino a me? Fortuna, sono forse i presagi del tuo mutare? Due volte un pugnale ha minacciato la mia vita. Dio mi salvi dalla terza. Il pugnale trafigge il nome di Narses. Che vuol dire? Vedo qua due righe scritte a mano e non è la mia grafia. 1663
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
(Lea)
«Hacer bien te dio la vida»; y escrito está más abajo: «Guárdate de una mujer». ¡Válgame Dios! ¿Tan tirano es el corazón de Antonia? ¿Tan apriesa está buscando mi muerte? Éstos son avisos que da el cielo soberano. En el memorial se muestra mi dicha, pues doy los cargos del imperio, y el acero diciendo está cuán cercano tiene su peligro aquel que ocupa lugares altos. Memorial y acero juntos no es nueva unión, no es milagro; ejemplo son de las cortes, sucesos de los palacios. Mas si el hacer bien me guarda, pensamiento, no temamos; hagamos bien, porque al fin esto no podrá faltarnos.
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[Sale el ] Emperador con cartas, y un criado que tome la vela; Antonia al paño. EMPERADOR
ANTONIA
EMPERADOR
Nuevas guerras me amenazan. Las cartas me dan cuidados. ¿Africa se me rebela cuando tengo a Belisario? (Siguiendo voy recelosa del Emperador los pasos. Temo que guerras emprende y ha de ausentar a quien amo. Quiero escuchar desde aquí.) Amigo, amigo, temblando está el imperio, si tú
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
(Deve leggere ad alta voce)
«Far del bene ti ha salvato»; e c’è scritto qui, più in basso: «Stai attento a una donna». Oh, mio Dio! Così tiranno è dunque il cuore di Antonia? Così in fretta sta tramando la mia morte? È un avviso che mi dà il cielo supremo. Il memoriale rivela la mia fortuna: assegnato l’incarico di governo, il pugnale ha mostrato il pericolo in cui incorre chi occupa le alte sfere. Memoriale e pugnale: non è un’insolita unione; sono esempio delle corti, circostanza dei palazzi. Se mi salva far del bene, oh pensiero, non temiamo; facciamo sempre del bene: non potrà pregiudicarci.
[Entra] l’imperatore con alcune lettere e con un servo che prenda la candela; Antonia, vicino al telone. IMPERATORE
ANTONIA
IMPERATORE
Nuove guerre mi minacciano. Le lettere mi preoccupano. Adesso l’Africa insorge: io ho con me Belisario. (Io voglio seguire i passi dell’imperatore, attenta. Temo dichiari altre guerre e che allontani chi amo. Voglio ascoltare da qui.) Amico, amico, tremando sta ora l’impero, se tu 1665
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO
BELISARIO
EMPERADOR BELISARIO
[A Antonia]
ANTONIA
[A Belisario] BELISARIO
[A Antonia]
ANTONIA
no le das la invicta mano; los feudos de África roban los vándalos. ¡Castigarlos, triunfar de ellos! Cipïón segundo seré en Cartago. Quiero ver las demás cartas. (Lee) (A Antonia he visto acechando en esta puerta, y mi muerte quiso ver.) ¡Ingrata! En vano has intentado dos veces mi desdicha y mis agravios! Agora temo tu ausencia. ¡Sólo de tu ausencia trato! Porque, ausente, no podrás conseguir tu intento falso. Allá me darán la muerte en los reinos africanos. Primero será la mía.
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[A Belisario] BELISARIO
¿Tanto lo deseas, tanto?
[A Antonia] EMPERADOR BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR BELISARIO
[A Antonia]
ANTONIA
[A Belisario]
Oye. Señor. Hoy conviene que a África partas. (Y salgo de peligros más crueles.) Al momento, señor, parto. Quiero ver el otro pliego. (Lee) No han de permitir los hados ni los cielos que se logren tus intentos, que tiranos son para mí. Bien lo creo de un corazón desdichado.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO
BELISARIO
IMPERATORE BELISARIO
[Ad Antonia]
ANTONIA
[A Belisario] BELISARIO
[Ad Antonia]
ANTONIA
non stendi l’invitta mano; i feudi d’Africa i vandali depredano. Punizione! E poi, trionfo! Un secondo Scipione sarò a Cartagine. Voglio veder le altre lettere. (Legge) (Ho visto Antonia in agguato qui alla porta, mi voleva veder morto. Ingrata! Invano hai provato per due volte a causar la mia sventura. Ora la tua assenza temo. Non penso ad altro che a questo! Perché in mia assenza non puoi raggiungere il bieco scopo. Là mi daranno la morte laggiù, nei regni africani. Ma verrà prima la mia.
[A Belisario] BELISARIO
Così tanto la desideri?
[Ad Antonia] IMPERATORE BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE BELISARIO
[Ad Antonia]
ANTONIA
[A Belisario]
Belisario. Sì. Conviene che tu parta oggi per l’Africa. (E che maggiori pericoli scampi). Sì, parto all’istante. Voglio legger l’altro foglio. (Legge) Non consentiranno i fati né i cieli che si realizzino, contro di me, i tuoi fini crudeli. Certo, crudeli, per un cuore infelice.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO BELISARIO
¡Ah, falsa! ¿Que no lo niegas?
[A Antonia] EMPERADOR
Belisario. Señor.
BELISARIO
¿Cuándo
EMPERADOR
te partirás? BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO
ANTONIA
Esta noche. Si tú me vuelves triunfando serás el mayor ejemplo de la dicha; que estos brazos te han de levantar al cielo. Ejemplos del mundo raros. ¡Oh, mundo, aquí me levantas, y allí me están derribando! Oye...
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[A Belisario] BELISARIO
Sin causa me ofendes.
[A Antonia] ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO ANTONIA
¿Te vas? Sí. Quedo rabiando. ¡Qué intentos tan femeninos! ¡Qué amores tan desdichados!
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Vase cada uno por su puerta; y adviértese que el Emperador está en medio leyendo, y un criado alumbrando, y Belisario habla a hurto con Antonia, llegándose y desviándose cuando llama el Emperador, y ella se está siempre en la puerta porque no la vea el Emperador. ANTONIA BELISARIO
ANTONIA BELISARIO
¿Así te partes, ingrato? Temo tu furor aquí, y en los reinos más extraños no temo los enemigos. ¿Así me dejas? No aguardo a que tercero puñal vea en mi sangre bañado.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO BELISARIO
Ah, falsa! Dunque lo ammetti?
[Ad Antonia] IMPERATORE
Belisario.
BELISARIO
Sì, signore. Quando parti? Questa notte. Se mi fai trionfare ancora tu sarai il più grande esempio della ventura; che queste braccia t’innalzino al cielo. Strani gli esempi del mondo! Oh, mondo, qui mi sollevi, e lì mi stanno annientando! Senti...
IMPERATORE BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO
ANTONIA
[A Belisario] BELISARIO
Offendi ingiustamente.
[Ad Antonia] ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO ANTONIA
Te ne vai? Sì. Ma che rabbia! Quali astuzie femminili! Quale amore sventurato!
I due se ne vanno, ognuno dalla propria porta; l’imperatore rimane in piedi a leggere e un servo gli fa luce, mentre Belisario parla di nascosto con Antonia, standole accanto o allontanandosi da lei quando l’imperatore lo chiama a sé; la donna rimane sulla porta perché l’imperatore non possa vederla. ANTONIA BELISARIO
ANTONIA BELISARIO
Così te ne vai, ingrato? Io qui temo il tuo furore, ma nei regni più lontani io non temo i miei nemici. E mi lasci? Dovrei forse aspettare che il tuo terzo pugnale sparga il mio sangue?
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO PRIMERO ANTONIA
¿Qué no sientes irte?
BELISARIO
No. ¡Y serán eterno llanto mis ojos en tanta ausencia! Y yo ruego al cielo santo, pues que vengarte deseas, que en los reinos africanos algún alarbe cruel, con alguna flecha o dardo, de Belisario la vida acabe, y así quedamos tú vengada y yo en morir entre mis fieros contrarios.
ANTONIA
BELISARIO
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FIN DE LA JORNADA
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO PRIMO ANTONIA BELISARIO ANTONIA
BELISARIO
E non ti addolora? No. Saranno un eterno pianto i miei occhi in tanta assenza! Ed io prego il cielo santo, dato che vuoi vendicarti, che nei regni africani qualche arabo crudele, con una freccia o un dardo, mi tolga, infine, la vita, e così noi due saremo, tu vendicata e io morto tra i miei più fieri avversari. FINE DEL PRIMO ATTO
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
ACTO SEGUNDO HABLAN LOS DEL PRIMERO, MÁS:
CAMILA
REY DE ÁFRICA
FILIPO
CRISIPO
Sale el Emperador y acompañamiento. EMPERADOR
Dejadme. A solas me hallo, sin Belisario, mejor. No ha tenido tanto amor ningún rey a su vasallo. En un memorial de tres, que mi amor le ha consultado, hallé que aviso le han dado que enemiga suya es una mujer, y su vida me es forzoso defender. ¿Quién será aquesta mujer enojada y ofendida?
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[Entran] Teodora, Antonia, Marcia y Camila. TEODORA
EMPERADOR
Para celebrar tus años quieren las damas hacer una comedia. A saber tu gusto vienen. Engaños son del tiempo, años y días. Sin Belisario, en su ausencia, no deben tener licencia, regocijos ni alegrías.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
ATTO SECONDO OLTRE A QUELLI DEL PRIMO ATTO, PARLANO I SEGUENTI PERSONAGGI: RE D’AFRICA
CAMILA FILIPO
CRISIPO
Entra l’imperatore col seguito. IMPERATORE
Lasciatemi solo, è meglio, se Belisario non c’è. Come me mai nessun re ha amato tanto un vassallo. In uno dei memoriali che il mio amore gli ha affidato vedo che l’hanno avvisato che la sua nemica è una donna, e la sua vita devo a ogni costo difendere. Chi sarà mai questa donna indignata ed offesa? [Entrano] Teodora, Antonia, Marcia e Camila.
TEODORA
IMPERATORE
Per festeggiare i tuoi anni le dame allestiranno una commedia e ti chiedono quale tu vorresti. Inganni del tempo, gli anni e i giorni. Ora, senza Belisario, non devono avere luogo né giochi né passatempi.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO ANTONIA
TEODORA EMPERADOR
CAMILA
EMPERADOR
CAMILA ANTONIA
EMPERADOR
Déte el cielo inmortal nombre y mida tu larga edad en su misma eternidad. (¡Que me cause invidia un hombre!) (Una destas ha de ser la que el odio en su alma tray, porque en solas éstas hay belleza, industria y poder. ¡Válgame Dios! ¿Cuál será? Que no puede ser Teodora, porque si mi pecho adora y en él Belisario está, no sentirá agravio alguno, porque su amor no ignoró que ella, Belisario y yo morimos, muriendo el uno. Antonia Patricia es la que él un tiempo ha servido. Si la Emperatriz no ha sido; ¿cuál será de aquellas tres? Marcia es noble, y no hay pasión que de quien es la enajene. Camila es su deuda y tiene apacible condición. Ya imagino hacer de suerte que, discreta o ignorante, se descubra en el semblante la que pretende su muerte.) ¿Qué comedia hacéis? Señor, de «Píramo y Tisbe». ¿Y quién hace a Tisbe? Antonia. (Y bien, por mi desdichado amor.) Marcia ¿qué hace?
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO ANTONIA
TEODORA IMPERATORE
CAMILA
IMPERATORE CAMILA ANTONIA
IMPERATORE
Ti dia il cielo fama eterna e misuri la tua età con la sua eternità. (Invidia sento di un uomo?) (Una di queste deve essere colei che ha l’anima irata, poiché solo in loro alberga bellezza, ingegno e potere). Mio Dio! Quale sarà mai? Non può essere Teodora: se ella il mio cuore adora, e in esso c’è Belisario, non si sentirebbe offesa, perché il suo amore sa bene che chiunque di noi muoia, tutti noi moriamo insieme. Antonia Patricia è colei che egli un tempo ha amato. Se non è l’imperatrice quale sarà delle tre? Marcia è nobile, e nessuna passione può allontanarla da chi ama. E Camila, sua parente, è mite e buona. Voglio fare in modo che, sia discreta o sia villana, chi pretende la sua morte sul suo volto lo riveli.) Quale commedia? Signore, quella di «Piramo e Tisbe». Chi è Tisbe? Antonia (E chi meglio di me può mai farla?) Marcia?
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
Una criada.
MARCIA EMPERADOR
¿Camila? La madre haré
CAMILA
de Tisbe. EMPERADOR
CAMILA
TEODORA ANTONIA
EMPERADOR
ANTONIA TEODORA ANTONIA TEODORA EMPERADOR
Fábula fue de los griegos celebrada. ¿Quién es Píramo? Sin ti elegir no le debemos. Filipo será. (¡Qué extremos para sacarme de mí!) Mejor le hará Belisario si a tiempo llega, aunque yo imagino que murió a manos de su contrario. ¿Qué dices, señor? ¿Qué dices? ¿Muerto Belisario? ¿Muerto... ? (Las dos con el caso incierto han turbado los matices de su rostro. Indicios son, las turbaciones que han hecho, de que tienen en el pecho alguna oculta pasión. Afecto es de amor o agravios. Enemigas son o amantes. Pasión muestran los semblantes. Cuidado dicen los labios. Y bien puede ser que sea sentir su adversa fortuna, porque la teme la una, otra porque la desea. Si en Teodora resplandece el honor que limpio ha sido,
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO MARCIA
Una serva. E Camila?
IMPERATORE CAMILA
La madre di Tisbe.
IMPERATORE
È stata una storia assai elogiata dai greci. E Piramo chi è? Signore, spetta a te scegliere. Sarà Filipo. (Che ardire! Vuole farmi impazzire!) Meglio che sia Belisario, se torna in tempo, sebbene immagino che egli sia morto per mano del suo nemico. Che dici, maestà? Che dici? Belisario, morto? Morto...? (Entrambe, a questa evenienza, mostrano il volto turbato. E questa loro inquietudine di sicuro è un chiaro indizio del fatto che in cuore loro nascondono una passione. Segni di amore o di oltraggio. Sono nemiche o amanti. Passione tradisce il volto. Le labbra angosce comunicano. E può anche darsi che soffrano per la sua avversa fortuna, una perché ne ha timore, l’altra perché la desidera. E se in Teodora risplende l’onore che è stato puro,
CAMILA TEODORA ANTONIA
IMPERATORE
ANTONIA TEODORA ANTONIA TEODORA IMPERATORE
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
Antonia es quien le ha querido, Teodora quien le aborrece.) Hasta aquí aparte. De Belisario la suerte vengaré con tal furor que se descubra mi amor más que en la vida en la muerte. La amistad es alma fiel que en dos cuerpos se dilata; quien le mata a mí me mata, que en mí vive y vivo en él. El imperio sin segundo mostrará este afecto bien, aunque la muerte le den las cuatro partes del mundo. Si algún deudo le agraviara su propia sangre vertiera; si yo su enemigo fuera en mí mismo me vengara, y deshiciera mi ser, no siendo el ser de los dos, aunque fueran, ¡vive Dios!, o mi hijo o mi mujer.
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Vase. ANTONIA
Ya tales desdichas son término de mis enojos. Voyme a que lloren mis ojos pedazos del corazón.
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Vase. CAMILA
Nuestra fiesta habrá cesado si Belisario no viene.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
colei che lo ha amato è Antonia, Teodora, colei che lo odia.) Fin qui tra sé. Le sorti di Belisario vendicherò con furore tale che io possa mostrare il mio amore più in morte che in vita. Anima fedele, l’amicizia sta in due corpi; chi lo uccide, uccide me, che in me vive, e io vivo in lui. Il mio impero ineguagliabile svelerà questo mio affetto, gli dessero pure la morte i quattro lati del mondo. Se un parente lo oltraggiasse il suo sangue verserei; se io fossi il suo nemico di me mi vendicherei ed annienterei il mio essere non essendo più anche il suo, anche se fossero, oh Dio!, o mio figlio o la mia sposa. Esce di scena. ANTONIA
Oramai tali sventure han placato la mia rabbia. Vado a piangere dagli occhi tutti i pezzi del mio cuore. Esce di scena.
CAMILA
Non ci sarà alcuna festa se Belisario non torna. 1679
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO MARCIA
¿Qué gusto este fin no tiene, cuando yo le he deseado? Vase.
TEODORA
¡Que con su sangre y su ser diga que será tirano! ¡Que anteponga Justiniano un vasallo a su mujer! Más me ha causado furor su amenaza. No me admira; antes convierten en ira lo que pudo ser temor. ¿Tan flaco poder alcanza mi brazo? Corrida estoy. ¿De qué sirve el ser quien soy mientras no tomo venganza?
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[Sale] Filipo. FILIPO
TEODORA
FILIPO TEODORA
FILIPO
Pienso que dicen tus ojos, ya que no escuché tus labios, que padece el alma agravios, que el corazón sufre enojos. ¡Oh, Filipo! Causa es tuya la que el gusto me prohíbe; mientras Belisario vive, ha de ser Antonia suya. No la puedo reducir. Amante es de Belisario. Poderoso es el contrario. ¿Por qué? ¿No puede morir un poderoso? Señora, yo me atreveré a que muera, si me das favor.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO MARCIA
Non è questo il finale che io avevo ben sperato. Esce di scena.
TEODORA
Come può un imperatore dichiararsi un tiranno! Come può egli anteporre un vassallo alla sua sposa! Ancor più mi ha adirato la sua minaccia. È evidente: quello che è stato timore si trasforma adesso in ira. Tanto debole è adesso il mio braccio? Mi vergogno. A che serve esser chi sono se rinuncio alla vendetta? [Entra] Filipo.
FILIPO
TEODORA
FILIPO TEODORA
FILIPO
Credo che i tuoi occhi dicano, – non ho ascoltato le labbra – che la tua anima è offesa ed il tuo cuore è rabbioso. Oh, Filipo! È a causa tua che il piacere mi è vietato; finché Belisario è in vita sua sarà, per forza, Antonia. Non la posso dissuadere: Antonia ama Belisario. È potente l’avversario. E allora? Non può morire un potente? Mia signora, io farò in modo che muoia, se tu me lo chiedi.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
[Salen] Narses y Leoncio y quédanse a la puerta. NARSES
[A Leoncio]
FILIPO
[A Narses] [A Leoncio]
LEONCIO NARSES
TEODORA
FILIPO
[A Leoncio] [A Narses] NARSES [A Leoncio] NARSES
LEONCIO
Espera, no entremos, que está Teodora aquí. ¡Juro por los cielos, dueños de la humana suerte, que he de vengar en su muerte tus agravios y mis celos! ¿Qué importa que haya triunfado de varios reinos y gentes? Mis celos son más valientes. Matarélo. ¿Has escuchado? Sí. Mira que has prometido; que Leoncio y Narses fueron tan cobardes que temieron su valor. Nunca he temido, y aun, si gustaras, les diera la muerte a esos dos que ansí no te sirven. ¿Oyes? Sí. Pues, retírate acá fuera.
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Vanse. TEODORA
La venganza no es traición. Mátale tú con secreto que mi favor te prometo. Vase.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
[Entrano] Narses e Leoncio e si fermano sulla porta. NARSES
[A Leoncio]
FILIPO
[A Narses] [A Leoncio]
LEONCIO NARSES
TEODORA
FILIPO
[A Leoncio] [A Narses] NARSES [A Leoncio] NARSES
LEONCIO
Aspetta ad entrare, ché Teodora è qui. Io giuro su Dio, che governa ogni destino, di vendicar con la morte la mia gelosia e il tuo oltraggio! Che importanza vuoi che abbiano i trionfi e le conquiste? La mia gelosia è più ardita. Io lo ucciderò. Hai sentito? Sì. Ricorda che hai promesso; Leoncio e Narses sono stati così vili da temere il suo coraggio. Io mai, e se vorrai io potrei uccidere anche quei due che ti hanno disubbidito. Hai sentito? Sì. Su, andiamo. Escono di scena.
TEODORA
Vendicar non è tradire. Uccidilo tu di nascosto, io ti ricompenserò. Esce di scena.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO FILIPO
Leyes tus preceptos son. No es en los ánimos fuertes la vida inmortal misterio. Desde César, el imperio todo es tragedias y muertes de varones principales. Por invidia o por venganza, teatros son de la mudanza los palacios imperiales.
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Paseándose. Ya que la noche ha venido con alguna oscuridad, y de Antonia la beldad suele a este parque florido dar abriles de hermosura, hablarla quizá podré, porque agradezca una fe con firmeza y sin ventura. Noche apacible y serena, sombra y eclipse del día, convida a esa galería a la que causa mi pena.
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[Salen] Narses y Leoncio embozados. NARSES
LEONCIO
Si darnos muerte desea, la oscuridad nos ayuda. Éste es Filipo, sin duda, que en el parque se pasea. Belisario es nuestro amigo; vida le damos, si muere el que quitársela quiere. Aquí me tienes contigo.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO FILIPO
Sono legge i tuoi comandi. Non è strano che i valenti vogliano vita immortale. Fin da Cesare, l’impero non è che morte e tragedia degli uomini influenti. Per invidia o per vendetta teatri di incostanza sono i palazzi imperiali. Passeggia. Visto che è scesa la notte con la sua oscurità e la bellezza di Antonia infonde la primavera a questo parco fiorito, forse io potrei parlarle affinché apprezzi un amore che è costante e sventurato. Oh, notte mite e serena, ombra ed eclissi del giorno, convoca in questi paraggi colei che affligge il mio cuore! [Entrano] Narses e Leoncio con i volti coperti.
NARSES
LEONCIO
Se è ucciderci che desidera, l’oscurità ci protegge. Quello, senz’altro, è Filipo che passeggia qui nel parco. Belisario è nostro amico; vita gli diamo, se muore chi strappargliela vorrebbe. Conta pure su di me.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
[Salen] Belisario y Floro por otra puerta. BELISARIO
FLORO
BELISARIO FILIPO
LEONCIO FILIPO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
Antes que el Emperador sepa, Floro, que llegamos, entre estas flores y ramos, sabidores de un amor, que dichoso ser solía por singular y por mucho, quiero ver si a Antonia escucho hablar en la galería. Por poderte asigurar te hablará. Teme traición y démosle de antubión dos libras de rejalgar. Calla, loco. Amantes vienen al parque, como es verano. Sospecho que ponen mano estos dos que se detienen. ¿Qué gente? De mal hacer. Aquí engañados están, porque, en efecto, hallarán quien se sabrá defender. Un hombre solo llegó, y dos con él se declaran. ¡Oh, gallinas! ¡No toparan con un hombre como yo! ¿Quieres que los mate? Espera.
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Riñen y cáesele la espada a Filipo. FILIPO
NARSES
¡Oh, qué desdichado he sido! La espada se me ha caído. ¡Muera, mátale!
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
[Entrano] Belisario e Floro da un’altra porta. BELISARIO
FLORO
BELISARIO FILIPO
LEONCIO FILIPO
BELISARIO
FLORO
BELISARIO
Prima che l’imperatore sappia, Floro, che arriviamo, tra queste fronde ed i fiori che conoscono un amore che era un tempo fortunato, perché sconfinato e raro, forse la voce di Antonia sento venir dal loggiato. Per farti stare tranquillo ti parlerà. Un tradimento teme. E la sorprenderemo con due libbre di veleno. Taci, stupido. È estate: ci sono amanti nel parco. Temo vogliano aggredirmi quei due che si son fermati. Chi siete? Dei brutti ceffi. Siete capitati male, perché qui voi troverete chi saprà come difendersi. È arrivato un uomo, solo; due gli si sono annunciati. Oh, codardi! Non gli auguro di aver mai a che far con me! Vuoi che li uccida? Aspetta. Combattono e a Filipo cade la spada.
FILIPO
NARSES
Che disgraziato son stato! La mia spada è caduta. Uccidilo!
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO BELISARIO
NARSES
BELISARIO
LEONCIO
NARSES
No muera; que hay quien le defienda. ¿Quién un traidor está amparando? Un hombre que anda buscando cómo hacer a todos bien. No vi furia más cruel. Poderoso es el contrario. A estar aquí Belisario, pensáramos que era él.
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Vanse los dos. FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
Ya hallé la espada. A tu lado me tienes; mucho me obligas. No es menester que los sigas, que ya los dos te han dejado. Di quién eres, porque ansí conozca mi obligación. Ya la tuve en esta acción: sólo me he obligado a mí. No quiero agradecimientos, y así no importa saber quién soy. El agradecer es de honrados pensamientos, y es bien que este bien merezcan los míos. El bien obrar por sí mismo se ha de amar, y no porque lo agradezcan. Si tú no me has conocido, ni yo te conozco ya, el bien que has hecho será «el bien dado por perdido». No se pierde el bien que se hace.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO BELISARIO
NARSES
BELISARIO
LEONCIO
NARSES
No, non farlo; c’è chi lo difende. E chi offre aiuto a un traditore? Un uomo che sta provando a fare del bene a tutti. Non v’è uomo più feroce. È potente l’avversario Se fosse qui Belisario non potrebbe che esser lui. Leoncio e Narses se ne vanno.
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
Ecco la spada. Al tuo fianco resterò. Ti devo molto. Non seguirli, lascia stare: ti hanno ormai lasciato in pace. Dimmi il tuo nome affinché sappia a chi devo la vita. Non ti sentire obbligato: solo ho fatto il mio dovere. Non mi devi ringraziare, dunque non serve sapere chi io sia. Ringraziare è un’azione che fa onore, ed è bene che sia un bene meritato dai miei amici. Si ami il bene per il bene, non per farsi ringraziare. Se tu non sai chi io sia ed io non so chi sia tu il bene fatto sarà «un bene andato perduto». Non si perde il bene fatto.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO FILIPO
BELISARIO
Sea esta sortija, pues, prenda de mi amor. Cortés pretendo ser, que me place. Dale una sortija.
FILIPO
BELISARIO FILIPO
BELISARIO
FLORO BELISARIO FLORO
Ni yo os conozco, ni vos conocéis con quién habláis. Quédese ansí, pues gustáis. Adiós, caballero. Adiós. Algo la voz he fingido porque anduve desdichado. La voz he disimulado. Ninguno me ha conocido. Hago bien sin ambición. ¿Hay para todos diamantes? ¿Conocístelos? Danzantes de espadas pienso que son. ¡Gallos en su muladar, valentejos en su tierra! ¡Cuerpo de Dios, a la guerra donde yo suelo pelear!
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Vanse. [Sale el ] Emperador y Narses. NARSES
EMPERADOR
Mucho tiempo ha pasado que el gobierno de Italia me habéis dado, señor, y detenido por el despacho estoy. Lo he suspendido por cierta causa; ya ha llegado el día. ¿Conoces esta letra?
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO FILIPO
BELISARIO
Prendi questo anello in segno del mio affetto, allora. Voglio essere cortese: accetto. Gli porge un anello.
FILIPO
BELISARIO FILIPO
BELISARIO
FLORO BELISARIO FLORO
Non vi conosco né voi sapete con chi parlate. E così sia, se volete. Addio, cavaliere. Addio. Ho falsato un po’ la voce, perché ho avuto sfortuna. La voce ho dissimulato. Nessuno ha visto chi sono. Faccio del bene umilmente. E per me, nessun regalo? Sai chi fossero? Immagino dei giostranti di palazzo. Galli nel loro pollaio. Prepotenti in casa propria. Forza, avanti, andiamo in guerra: perché è lì che io combatto! Escono di scena. [Entrano l’] imperatore e Narses.
NARSES
IMPERATORE
Molto tempo è passato da quando ho avuto il governo d’Italia, ma il decreto non è stato notificato. Lo so. L’ho sospeso per certe faccende; è ormai giunta l’ora: sai di chi è questa grafia?
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
Enséñale un memorial. NARSES EMPERADOR
NARSES
EMPERADOR
NARSES
EMPERADOR
Letra es mía. ¿Quién es esa mujer de cuyo enojo ha de guardarse Belisario? Manda que corten mi cabeza, y no que el nombre diga. El negarlo me obliga a que saberlo quiera con más afecto. Ordena que yo muera primero, gran señor. Basta. Negando quién es me ha dicho ya; que si no fuera Teodora, claro está que lo dijera.
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[Sale] un criado. CRIADO
EMPERADOR
FLORO
EMPERADOR
Del ejército de África han venido dos soldados. ¿Y albricias no has pedido? ¡Oh, cuánto deseaba saber de Belisario! Él queda bueno y tiene... No prosigas. Diciendo que está bueno, más no digas.
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[Salen] Floro y Belisario. BELISARIO
EMPERADOR
Pues yo diré lo demás, y que es vuestro esclavo digo. ¡Oh, alegre voz de mi amigo! Bien has hecho, que me das este gozo dilatado, si de repente has venido;
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
Gli mostra un memoriale. NARSES IMPERATORE
NARSES
IMPERATORE
NARSES
IMPERATORE
È la mia. Chi è mai la donna da cui Belisario dovrebbe proteggersi? Ordina pure che mi taglino la testa, non che dica il suo nome. Se tu lo neghi mi induci a volere con più ardore sapere chi sia. Ordina che muoia piuttosto, signore. Basta. Negando mi ha già detto chi è, ché se non fosse Teodora, certo lo avrebbe già detto. [Entra] un servitore.
SERVO
IMPERATORE
FLORO
IMPERATORE
Reduci dall’Africa son venuti due soldati. E con quali novità? Sono ansioso di avere notizie di Belisario! Sta bene ed ha... Non dire nient’altro. Dicendo che sta bene, hai detto tutto. [Entrano] Floro e Belisario.
BELISARIO
IMPERATORE
Allora io dirò il resto: dico che è qui per servirvi. Oh, allegra voce d’amico! Ben fatto, perché mi dai una gioia sconfinata col tuo arrivo improvviso; 1693
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
que mata no prevenido siempre el gusto demasiado. Dame la mano. No quiero, porque el pecho es tu lugar. que en el alma debe estar el amigo verdadero. Levanta, amigo leal; que parece desacato que esté en el alma el retrato y en el pie el original. Pues iguales nos formó la amistad, llega a abrazarme; sube tú para igualarme, porque ansí no baje yo. Amor, amando se paga; y será mejor ansí hacerte César a ti que no que yo me deshaga... Sabe, pues... ¿Qué he de saber cuando sé que vivo estás? No pretendo saber más; basta, amigo, basta ver lo que quiere el alma cuerda. Si te he visto y si me viste, África no se conquiste y el ejército se pierda. Las tres palabras que oí de Julio César diré: «Vine, vi y vencí»; y pondré otra más: que al Rey prendí. Siendo César diferente, pues fue cruel ciudadano, y tú vasallo cristiano más dichoso y más prudente, no le alegues, ni profanes
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BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
e sempre uccide il piacere imprevisto e smisurato. Dammi la mano. Non voglio, perché è il cuore il tuo posto: perché è lì che deve stare un amico quando è vero. Alzati, amico leale; perché sembra una insolenza che il ritratto stia nell’anima, l’originale ai miei piedi. L’amicizia rende uguali: vieni ad abbracciarmi, dunque; alzati tu al mio livello, affinché io non mi abbassi. L’amore amando si paga; meglio che io ti incoroni imperatore, piuttosto che io mi tolga la corona. Sappi che... Per me non conta altro che saperti vivo. Non voglio saper nient’altro; Basta, amico mio, vedere ciò che il buon senso mi esige. Adesso che siamo assieme, che importa perdere l’Africa o l’intero nostro esercito? Le parole pronunciate da Giulio Cesare dico: «Venni, vidi, vinsi» e aggiungo: il re feci prigioniero. Non portare a esempio Cesare: fu un crudele cittadino e tu un vassallo cristiano più fortunato e prudente, e non devi profanare 1695
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ese valor verdadero, que eres el testo primero que han de alegar capitanes. Para el día en que nací triunfo y pompa te debo; que será nacer de nuevo darte yo glorias a ti. Vele más Justinïano; porque será suerte dura que me borren una hechura que dibujé de mi mano.
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Vase. [Salen] Marcia y Camila. MARCIA
CAMILA
BELISARIO
MARCIA
BELISARIO
MARCIA
BELISARIO MARCIA BELISARIO
Sean muy en hora buena la venida y las vitorias. Goce de eternas memorias tu fama de lenguas llena. Con favores tan estraños, ¿quién será mortal jamás? Tres días faltan, no más, para celebrar los años del Emperador. Y pues, ¿conmigo, qué se remedia? Tú has de ser, en la comedia, Píramo. ¿Tisbe... quién es? Antonia. (¡Albricias, sentidos, que buena fiesta tenéis; pues es fuerza que escuchéis amores, aunque fingidos! Hablaréla de esta suerte con razones lisonjeras.
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questo autentico valore: sei tu l’esempio supremo di qualsiasi condottiero. Per il giorno in cui son nato trionfi e gloria io ti devo; sarà nascere di nuovo poter dare glorie a te. Stia più in guardia Giustiniano: ché sarà un triste destino se mai fosse cancellata la creatura disegnata di mio pugno. Esce di scena. [Entrano] Marcia e Camila. MARCIA
CAMILA
BELISARIO
MARCIA
BELISARIO
MARCIA
BELISARIO MARCIA BELISARIO
Che allegria il tuo arrivo e i tuoi successi! Goda d’eterna memoria la tua fama in ogni dove. Mai sono stati concessi tanti favori a un mortale! Tre giorni, non uno in più, mancano al genetliaco dell’imperatore. E allora, cosa io posso mai fare? Devi impersonare Piramo nella commedia. E chi è... Tisbe? Antonia. (Ah, ma che notizia! I miei sensi esulteranno! Dovranno ascoltar per forza amore, anche se finto! In questo modo potrò dirle parole galanti. 1697
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
CAMILA MARCIA FLORO
Píramo amará de veras y Tisbe querrá su muerte.) Venga el papel. Vesle aquí. Floro ha de hacer un criado. Jamás he representado; vencido africanos sí. Pero yo lo estudiaré.
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Dan un papel a cada uno. CAMILA
Antonia viene.
MARCIA
Ensayemos, pues que ya las tres sabemos nuestros papeles. [Sale] Antonia.
ANTONIA
BELISARIO
MARCIA CAMILA
FLORO
¿Podré disimular el contento, encubrir la turbación, alentar el corazón y despedir el tormento? Enhorabuena, señor, sea la vitoria. Y fuera dichoso si ansí venciera en las guerras del amor. Ensayemos, pues. Amigo, tú comienzas y los dos salís juntos. Plegue a Dios que sepa lo que me digo.
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Lee.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
CAMILA
FLORO
Piramo amerà davvero, Tisbe vorrà la sua morte). Dammi il copione. Ecco qua. Floro sarà un servitore. Io non ho mai recitato; solo sconfitto africani. Ma mi studierò il copione. Porgono un foglio a ciascuno.
CAMILA MARCIA
Ecco qua Antonia. Proviamo, che noi tre già conosciamo la nostra parte. [Entra] Antonia.
ANTONIA
BELISARIO
MARCIA CAMILA
FLORO
Potrò dissimulare la gioia, nascondere il turbamento, rinfrancare il mio cuore e allontanare il tormento? Complimenti, mio signore, per la vittoria. Magari potessi trionfar così nelle guerre dell’amore. Su, proviamo, allora. Amico. comincia tu, ed entrambi entrate assieme. Speriamo di non fare figuracce. Legge.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
«Jesús, María. Comedia de Píramo y Tisbe. Jornada Primera. Sale Tirso, alborotado y dice: “Píramo y señor, escucha el más extraño suceso”. Pie: “Dolor”. “Llorando quedaba Tisbe, que era verla compasión”. Pie: “A sabello, voy volando”. Vase. Segunda Jornada. Pie: “Esperanza”. “¡Ay, qué desdicha!; que pienso que está muerto mi señor”. Finis». CAMILA MARCIA FLORO
ANTONIA
[CAMILA BELISARIO
ANTONIA
BELISARIO
Todo el papel ha ensartado. Él es notable persona. Mejor haré la leona, que lo tengo ya estudiado. Suspende un rato el ensayo mientras Teodora no viene, pues veo que conmigo tiene furia y violencia de un rayo. Advierte que la enojamos si hablando os llegase a ver. Buen remedio: responder que la comedia ensayamos] Gracias al cielo, señor, que hablarte una vez me toca, porque me helaba en la boca las palabras el temor. Callando el alma su amor, reprimiendo sus antojos, crecieron, dándome enojos; y si los quiero decir, dudo que puedan salir por la boca y por los ojos. No prosigas. Di, primero, si es eso de tu papel; que ser un pecho cruel
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
«Gesù, Maria. Commedia di Piramo e Tisbe. Prima Giornata. Entra Tirso e, agitato, esclama: “Piramo e signore, ascolta il più sorprendente evento”. Fine della battuta: “Dolore”. “Da tanto piangeva Tisbe che a vederla impietosiva”. Fine della battuta: “Sapendolo, mi precipito.” Se ne va. Seconda Giornata. Fine della battuta: “Speranza”. “Che gran sventura! Io penso che il mio signore sia morto!” Finis». CAMILA MARCIA FLORO
ANTONIA
[CAMILA BELISARIO
ANTONIA
BELISARIO
Hai fatto un grande pasticcio! C’era proprio da aspettarselo! Farei meglio la leonessa, che è un ruolo che ho già studiato. Ferma un momento le prove, finché Teodora non viene: lei si comporta con me come un fulmine impetuoso. Crede che si infurierebbe se vi vedesse parlare. Basta rispondere che stiamo soltanto provando]. Oh, grazie al cielo, signore, adesso posso parlarti, perché, in bocca, il timore mi gelava le parole. L’anima tacque il suo amore e represse i desideri, che, aumentando, provocarono una rabbia indicibile: dubito che riesca a uscire dalla bocca o dagli occhi. Prima di continuare dimmi se stai recitando; ché non si è mai visto prima 1701
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
ANTONIA BELISARIO
ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO
agora tan lisonjero es novedad, y así infiero, o que mi desdicha intentas o que a Tisbe representas; pues son tus formas ingratas, de Antonia cuando me matas, de Tisbe cuando me alientas. ¿Yo, cruel; yo ingrata soy? Sí, pues mi muerte pretendes. Un honesto amor ofendes. Ejemplos de amarte doy. ¡Ah, mudable! Firme estoy. Firme en estar olvidando.
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[Sale] Teodora a la puerta. ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO TEODORA CAMILA BELISARIO
ANTONIA
BELISARIO
¿Yo te olvido, ingrato? ¿Cuándo? Cuando te muestras infiel. Eres falso. Eres cruel. ¿Qué es eso? Están ensayando. Aunque tu dueño ha venido, decir mis quejas intento, que no tiene sufrimiento amor, cuando está ofendido; bien sé que no he merecido favor tuyo levantado sobre el zafir estrellado, mas no te ofendí de suerte que el procurarme la muerte te pueda haber disculpado. Calla, necio, que no puedo favorecerte ni hablar. Mal te pueden disculpar, de no amar, respeto y miedo.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO
che un animo sì crudele sia ora tanto amorevole: o tenti la mia sventura o stai impersonando Tisbe; ingrate son le tue forme: di Antonia quando mi uccidi, di Tisbe quando mi salvi. Io crudele ed ingrata? Non vuoi forse la mia morte? Offendi un amore onesto. Ti do esempi del mio amore. Io son costante, non tu! Costante a dimenticare. [Entra] Teodora.
ANTONIA BELISARIO ANTONIA BELISARIO TEODORA CAMILA BELISARIO
ANTONIA
BELISARIO
Io ti scordo, ingrato? Quando? Quando ti mostri infedele. Bugiardo. Sei assai crudele. Cosa c’è? Stanno provando. Anche se è qui il tuo signore, devo dirti quel che penso, ché l’amore, quando è offeso, non prova più alcun dolore; so che non ho meritato il tuo supremo favore che al cielo mi ha sollevato, ma non ti ho offeso in tal modo da pensare che ti avrebbe vendicato la mia morte. Taci, sciocco, che non posso compiacerti né parlare. Non sono scuse al tuo odio il rispetto e la paura.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO ANTONIA
BELISARIO ANTONIA BELISARIO TEODORA CAMILA TEODORA
Ni lo niego, ni concedo; mas siempre una misma fui. En aborrecerme a mí. En ser la que debo ser. Bien dices, que eres mujer. ¿Y esto es de la farsa? Sí. (Éstos me engañan.) Prosigan. (A hurto pienso cogellos.)
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Vase. ANTONIA
BELISARIO
ANTONIA
MARCIA CAMILA BELISARIO
Ya que cogí los cabellos a la dulce ocasión, digan las penas que me fatigan, mis labios, porque Teodora quiere que tenga traidora el alma, con tal violencia que te olvida en su presencia, y cuando se va te adora. La mano que tú mereces por Filipo ha conquistado. ¿Luego, tú no has inviado a que me maten dos veces? ¡Jesús! ¿Yo, siendo jueces los cielos de que te adora el alma? Sólo Teodora me amenaza con crueldad. Marcia, Camila, ¿es verdad? Sí, señora. Sí, señora. Alma, sentid alegría; y procúreme la muerte el enemigo más fuerte y la mayor tiranía; ya no temo, siendo mía
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO ANTONIA
BELISARIO ANTONIA BELISARIO TEODORA CAMILA TEODORA
Né lo nego, né acconsento; ma non sono mai cambiata. Non hai mai smesso di odiarmi. No, di esser come devo. Dici bene, in quanto donna. Stanno recitando? Sì. (Mi ingannano). Andate avanti. (Li coglierò di sorpresa.) Esce di scena.
ANTONIA
BELISARIO
ANTONIA
MARCIA CAMILA BELISARIO
Dato che ho approfittato di questa dolce occasione, racconterò questa pena che mi affligge, ché Teodora vuole che l’anima mia io tradisca con tale impeto che in sua presenza ti scordi ed in sua assenza ti adori. A Filipo ha destinato la mano che spetta a te. Dunque, non hai tu ordinato la mia morte ben due volte? Non potrei mai! Testimoni del mio amore siano i cieli. La verità è che Teodora mi minaccia crudelmente. Marcia, Camila, è così? Sì, Signora. Sì, Signora. Anima mia, che sollievo! Mi diano pure la morte il nemico più agguerrito e la più grande tirannide: non la temo, essendo mia
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
la que adoro y ofendí con mis sospechas; y ansí seré el ejemplo mayor de la dicha en este amor.
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[Sale] Teodora a la puerta. TEODORA
¿Todavía ensayan?
MARCIA
Sí. Tisbe soy. (¡Finge!) (Prosigo.) En efecto, Tisbe hermosa, aunque fortuna envidiosa use rigores conmigo, sola Antonia..., Tisbe digo... Apunten. ...sola ha de ser la que tengo de querer, porque no es bien singular, sino fuerza, desear, y no obliga a padecer. Píramo, en tus dulces brazos pudieras ver mi persona, si no hubiera una leona que nos quiere hacer pedazos; romper intenta los lazos del amor con el desdén, y en el mal hallo mi bien, porque es gloria para mí morir, si muero por ti. ¿También es farsa? También. (Mucho se van declarando.) ¡Oh, qué ciego el amor es! ¿Cómo, señora, no ves que tu madre está escuchando?
ANTONIA [A Belisario] BELISARIO
FLORO BELISARIO
ANTONIA
TEODORA MARCIA CAMILA MARCIA
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
colei che adoro e che ho offeso coi miei sospetti; e così io sarò il più grande esempio della fortuna in amore. [Entra] Teodora. TEODORA
Provano ancora?
MARCIA
Sì, certo. Tisbe. (Sta fingendo!) (Continuo.) Oh, mia bella Tisbe, anche se vittima sono della fortuna invidiosa, soltanto Antonia... ossia, Tisbe... Qualcuno gli suggerisca... ...soltanto lei posso amare, ché non è un bene speciale ma è un obbligo il desiderio e non costringe a soffrire. Piramo, tra le tue braccia, vedresti certo chi sono, ma c’è qui una leonessa che ci vuole massacrare; con il suo sdegno ella vuole rompere i lacci d’amore; trovo nel male il mio bene perché è una gloria per me morir, se muoio per te. Stanno ancora recitando? Sì. (E si stanno dichiarando.) ¡Oh, com’è cieco l’amore! Come, Signora, non vedi che tua madre sta ascoltando?
ANTONIA [A Belisario] Sono BELISARIO
FLORO BELISARIO
ANTONIA
TEODORA MARCIA CAMILA MARCIA
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO CAMILA
TEODORA
En vano está porfiando quien imposibles contrasta. Tu intención es limpia y casta, agradecimiento pide; pero si el hado os divide, ¿qué quieres, Píramo? Basta. Dame ese papel, que ansí señal y escarmientos doy de que, si leona soy, habéis de temblar de mí.
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Rompe la comedia.
BELISARIO MARCIA CAMILA ANTONIA TEODORA FLORO
Idos, vosotras, de aquí. Sin razón te has enojado. ¡Qué venganza! ¡Qué cuidado! Triste voy. Rabiosa yo. «La comedia se acabó. Perdón, ilustre senado».
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Vanse todos. Queda Belisario. BELISARIO
¿Si es Teodora la que muerto me desea? ¡Cosa es rara! ¡Oh, quién se desengañara! ¡Oh, quién supiera lo cierto! Que es Teodora me parece, y ella en efeto ha entendido que fue el ensayo fingido; y como nos aborrece, ha inflamado el corazón en ira.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO CAMILA
TEODORA
Invano si sta accanendo chi osteggia gli incontrastabili. Hai intenzioni caste e pure, lo si deve riconoscere, ma se il fato vi divide, che vuoi, Piramo? Ora basta. Dammi il copione e così io vi potrò ben mostrare, se una leonessa io sono, quanto dobbiate tremare. Straccia la commedia.
BELISARIO MARCIA CAMILA ANTONIA TEODORA FLORO
E voi altre, via di qua. Senza ragione ti offendi. Che vendetta! Che sgomento! Sono triste. Io, infuriata. «È finita la commedia. Pubblico illustre, perdono.» Tutti se ne vanno, tranne Belisario.
BELISARIO
Come può esser Teodora a volere la mia morte? Oh, magari mi sbagliassi! Oh, potessi esserne certo! Eppur sembra che sia lei, perché, in effetti, ha capito che le prove erano finte; e visto che ci detesta il suo cuore ha preso fuoco nell’ira.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
Sale Filipo. FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
Ya prometí. A gran cosa me atreví. Leyes las palabras son. Su muerte quiere mi prima, y hoy mis cuidados la intentan. Celos son los que me alientan y una emperatriz me anima. La mano le he de pedir lisonjero, y bien asida, podré quitarle la vida sin que él lo pueda impedir. Aquí está solo, y la gente de palacio retirada. La ocasión es estremada. Dame, príncipe valiente, la mano; que he de besar la mano que sabe ser blasón, coluna y poder del imperio. ¿Yo he de dar mano a Filipo, si espero entre sus brazos honrarme? Yo no pienso levantarme, sin que vos me deis primero la mano. Pues yo os la doy de amistad, que ésta deseo. (¡Cielos! ¿Qué es esto que veo? Vencido y suspenso estoy. Mi sortija es ésta. Él es el que la vida me ha dado.) Filipo, ¿qué hacéis postrado de esa manera a mis pies? Un bien y una sinrazón, un agravio, una amistad,
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
Entra Filipo. FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
Io l’ho promesso. Mi sono spinto fin qui. Le promesse sono leggi. Mia cugina l’ha ordinato e oggi mi accingo ad ucciderlo. La gelosia mi alimenta e un’imperatrice mi incita. Con le lusinghe la mano gli chiederò e, afferrandola, potrò togliergli la vita senza che possa difendersi. Qui è da solo e ritirata è la gente del palazzo. Non c’è migliore occasione. Dammi, valoroso principe, la mano: voglio baciare la mano che sa come essere blasone, colonna e forza dell’impero. Perché darvi la mia mano quando spero nell’onore di un abbraccio? Non ho intenzione d’alzarmi se voi prima non mi date la mano. Ve la do in nome dell’amicizia che spero. (Oh, mio Dio! Cos’è che vedo? Sono abbattuto e perplesso. Questo è il mio anello, ed allora è lui ad avermi salvato.) Filipo, che fate a terra così prostrato ai miei piedi! Un bene ed una ingiustizia, un’amicizia, un’offesa, 1711
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
FILIPO
un valor y una crueldad, una fe y una traición, en dos distintos antojos y dos estremos violentos, hacen mal mis pensamientos y bien me han hecho los ojos; y ansí entre dos huracanes dudando quiero y no quiero, suspenso como el acero cuando está entre dos imanes. Levantad, que no os entiendo, ni sé vuestra turbación. Leal soy en la traición. Vida os doy cuando os ofendo. Por la ofensa estoy corrido, por la vida alegre estoy. Lo que me disteis os doy, porque al fin no hay bien perdido. Sospecho que os entendí. A matarme habéis venido, y el acero ha suspendido conocer este rubí. Y aun es acción merecida que el brazo piadoso y fuerte que anoche escusó mi muerte me quite agora la vida, aunque si mal no intentara no luciera en ese pecho el premio del bien que ha hecho ni a ser tuyo me obligara. Ya han permitido los cielos que de mis intentos huya; Belisario, Antonia es tuya; sin envidia estoy ni celos. Argos seré de tu vida y no pienso obedecer
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
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una crudeltà e una forza, una fede e un tradimento tra due opposte volontà e tra due violenti estremi, male fanno i miei pensieri, gli occhi mi hanno fatto bene; sto così, tra due uragani, tra il volere e il non volere, sospeso come l’acciaio che sta tra due calamite. Alzatevi che non sento, né capisco il vostro cruccio. Leale sono se tradisco. Se vi offendo io vi salvo. Mi vergogno dell’offesa, della vita mi rallegro. Ciò che mi deste vi rendo, ché nessun bene si perde. Temo di avervi capito. Siete venuto qui a uccidermi, e l’acciaio si è fermato perché ha visto il mio rubino. È un’azione meritata che il braccio forte e pietoso che stanotte mi ha salvato mi tolga adesso la vita, che se non cercasse il male non ti splenderebbe in petto il premio del bene fatto né a esser tuo mi obbligherebbe. Hanno già permesso i cieli che rinunci ai miei propositi; Belisario, Antonia è tua: non ne ho gelosia né invidia. Sarò Argo alla tua vita: non intendo soddisfare
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
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venganzas de una mujer poderosa y atrevida. ¿Quién es? Decillo quisiera, aunque mi palabra ofendo, pero ve tú discurriendo. ¿Es Camila? No es tan fiera. ¿Marcia? Piadosa es también. ¿Antonia? No lo intentó. ............................................... Hágante los cielos bien. ¿Es Teodora? Adiós, amigo. ¿Vas callando? Hablando voy. ¿Tú eres mi amigo? Sí, soy. Dilo, pues. Ya te lo digo.
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Vase. BELISARIO
¿Qué tengo más que saber? De Teodora es la porfía. ¡Con qué afeto y agonía aborrece una mujer! Si son un alma y un ser Teodora y Justiniano, ¿cómo un mismo cuerpo humano inconstancia tiene tanta, que una mano me levanta y me derriba otra mano? Bien esta duda se esplica:
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le vendette di una donna tanto audace e potente Dimmi chi è. Vorrei dirlo, benché infranga una promessa; prova tu stesso a capirlo... Camila? Non è sì fiera. Marcia? Anche lei è generosa. Antonia? Lei non è stata. ............................................. E che il cielo ti protegga. È Teodora? Addio, amico. Perché taci? Sto parlando. Non sei mio amico? Sì, certo. Dillo, dunque. L’ho già detto. Esce di scena.
BELISARIO
Non c’è altro da sapere. È Teodora la mandante. Con che impeto e agonia riesce ad odiare una donna! Se Teodora e Giustiniano sono un’anima e una vita, come può tanta incoerenza vivere in un corpo solo, ché una mano mi solleva e quell’altra mi distrugge? Ben si spiega questo fatto:
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de una víbora se saca el veneno y la triaca; el sol mata y vivifica. Si rigores multiplica, ¿cómo me podré guardar? Que si es nube su pesar, que en conspiraciones tales llueve sobre mí puñales, alguno me ha de alcanzar. Quejarme al Emperador es ponerme en más cuidado, porque el hombre bien casado, con prudencia y con amor, crédito ha de dar mayor a su mujer que a su amigo. ¡Cruel estrella, hado enemigo! ¿Vivir temiendo, es vivir? Él viene. Yo he de fingir que entre sueños se lo digo.
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Siéntase. [Salen el ] Emperador y Narses. NARSES
EMPERADOR
Entrando van, en efeto, por Italia Longobardos y talando las campañas, como los soplos del Austro, derriban pálidas hojas, cuando en noviembre enojado prende arroyos y desola la hermosura de los campos. Italia, señor, se pierde. Si me hubieras despachado, quizá naciones del Norte no vinieran. Habla paso, porque he visto allí dormidos los ojos de Belisario,
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da una vipera si estrae il veleno e anche l’antidoto; il sole uccide e vivifica. Se la sua asprezza aumentasse, come potrò mai proteggermi? Se il suo dolore è una nuvola che, in tali cospirazioni, sparge piogge di pugnali, prima o poi mi ucciderà. Parlarne all’imperatore certo non mi gioverebbe, perché lo sposo felice, con prudenza e con amore, maggior credito darà alla moglie che all’amico Fato ostile e avversa sorte! Viver nel timore è vita? Ecco, arriva. Devo fingere di rivelarlo nel sonno. Si siede. [Entrano l’] imperatore e Narses. NARSES
IMPERATORE
Stanno entrando, in effetti, in Italia i Longobardi, distruggendo le campagne, come raffiche dell’austro, che scuote pallide foglie quando a novembre, rabbioso, sferza i ruscelli e si abbatte sulla bellezza dei campi. Si sta perdendo l’Italia. Se mi avessi autorizzato forse i popoli del Nord avrei fermato. Fa’ piano, che ho visto lì addormentati gli occhi di Belisario, 1717
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y en lo dulce de aquel sueño yo mismo estoy reposando. Mientras este varón vive, vengan los reyes estraños al imperio, que saldrán llenos de horror y de espanto. Haz que se prevenga el triunfo para mañana; bizarro triunfará de África, y luego iréis a Nápoles ambos.
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Vase Narses. ¡Oh, admiración de los hombres! Del mundo fueras milagro, si hubieras nacido rey como naciste vasallo. Causándome estás respeto; a amor me estás provocando. Eres un rasgo divino; eres un prodigio humano. BELISARIO (Soñando) ¿Por qué, Emperatriz, me matas? ¿Cuándo te hicieron agravio mi lealtad y mis servicios? EMPERADOR Entre sueños está hablando. BELISARIO Si para quitarme a Antonia homicidas has buscado, tu vasallo soy leal; no cometí desacato jamás contra tu persona. EMPERADOR Como son unos retratos los sueños de las pasiones del alma, en dormidos labios vi despierta la verdad que saber he deseado.
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e nel loro dolce sonno anche io sto riposando. Fintanto che egli vivrà i re stranieri saranno cacciati via dall’impero, pieni di orrore e spavento. Fa’ che domani il trionfo sopraggiunga; con fierezza trionferà in Africa, e poi viaggerete entrambi a Napoli. Narses esce di scena. Oh, meraviglia degli uomini! Un miracolo del mondo tu saresti se tu fossi nato re e non vassallo! Mi ispiri un grande rispetto; amore mi stai infondendo. Sei un ornamento divino; sei un prodigio umano. BELISARIO (Nel sonno) Dimmi perché, imperatrice, mi uccidi? E in quale modo ti ha offeso la mia lealtà? IMPERATORE Egli sta parlando in sonno. BELISARIO Se hai cercato dei sicari per separarmi da Antonia, sappi che non ti ho tradito; non sono stato insolente nei tuoi confronti, giammai. IMPERATORE Dato che il sogno è ritratto delle passioni dell’anima su queste labbra assopite è sorta la verità che io volevo conoscere.
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¿Cómo ansí duermes seguro, cuando tienes por contrario mujer bella y poderosa? Pero date mi palacio la inmunidad y el descuido. Duerme y vive, que velando estoy tu vida y tu sueño. A mí mismo en ti me guardo.
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Pónese el Emperador detrás del paño. A la otra puerta [salen] Teodora y Filipo. TEODORA
Eres cobarde.
FILIPO
No pude. Yo buscaré más despacio la ocasión. Dame esta daga.
TEODORA
Quítasela. FILIPO
TEODORA FILIPO
TEODORA FILIPO
TEODORA FILIPO BELISARIO
TEODORA
No te vaya despeñando tu crueldad. No me aconsejes. Si yo, señora, le mato, ¿qué más quieres? No te creo. (¡Quién pudiera despertarlo que allí durmiendo le veo!) A tu decoro gallardo no conviene. No des voces. (Porque despierte lo hago.) (Claro está que si durmiera que hubiera ya despertado. Mucho ve quien vela y calla.) Guarda la puerta, entretanto que yo llego a darle muerte.
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Come può dormir sicuro quando egli ha come nemico una donna bella e forte? Ma il mio palazzo ti offre sicurezza e immunità. Dormi e vivi, che io veglio sulla tua vita e il tuo sonno. Mi proteggo proteggendoti. L’imperatore si sposta dietro al telone. Dall’altra porta [entrano] Teodora e Filipo. TEODORA
Codardo.
FILIPO
Non ce l’ho fatta. Cercherò un’altra occasione con calma. Dammi il pugnale.
TEODORA
Glielo sottrae. FILIPO
TEODORA FILIPO
TEODORA FILIPO
TEODORA FILIPO BELISARIO
TEODORA
Non lasciarti sopraffare dalla crudeltà. Come osi? Se io, signora, lo uccido, che altro vuoi? Io non ti credo. (Lo vedo lì addormentato: ah, se potesse svegliarsi!) Non si addice quel pugnale al tuo rango. Non gridare. (Io lo faccio per svegliarlo.) (È chiaro che se dormissi io mi sarei già svegliato. Vede assai chi veglia e tace.) Tieni d’occhio questa porta mentre io lo vado a uccidere. 1721
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(¡Oh, qué sueño tan pesado! Quiero tropezar...) ¡Jesús! Tropieza, hace ruido en una silla.
TEODORA
No hagas rumor.
FILIPO
(¿Tan ingrato he de ser si me dio vida?) Parece que es un letargo su sueño.
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Vase. TEODORA
EMPERADOR
TEODORA
EMPERADOR
BELISARIO TEODORA
¡Viven los cielos, que pues tres hombres no osaron vengarme del que aborrezco, que ha de morir a las manos de una mujer. ¡Tente, loca! ¿No miras que yo le guardo? Con sus ojos y los míos, hacemos los dos un Argos. La mitad está durmiendo y la otra mitad velando. Mi imagen es, y, otro día, traerá el acero villano contra el mismo original la que se atreve al retrato. ¿Matarme quieres? ¡Señor! ¿Yo contra ti? Paso, paso; que aun interrumpille el sueño he de sentir por agravio. (¡Oh, señor, cuánto te debo!) Yo quise...
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(Mio Dio, che sonno profondo! Dovrò inciampare...) Gesù! Inciampa in una sedia e fa rumore.
TEODORA FILIPO
Non far rumore. (Non posso essere ingrato con chi mi ha salvato!) Un letargo sembra il suo sonno. Esce di scena.
TEODORA
IMPERATORE
TEODORA
IMPERATORE
BELISARIO TEODORA
Esulto! Se tre uomini esitarono a vendicar la mia offesa, dovrà morire per mano di una donna! Ferma, pazza! Non vedi che lo proteggo? Coi suoi occhi e con i miei, noi due assieme siamo Argo. Se la metà sta dormendo, l’altra metà sta vegliando. È la mia immagine, e un giorno colei che attenta al ritratto userà il vile pugnale contro il suo originale. Vuoi uccidermi? Signore! Io contro te! Parla piano; che considero un’offesa persino strapparlo al sonno. (Signore, quanto ti devo!) Volevo...
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Cierra los labios, que oír no quiero tus quejas ni atender a tus descargos. Bien sé que pasiones son, porque sus triunfos y lauros, sus vitorias y trofeos, sus pompas y magistrados, quisieras para tu primo; y es tu pecho tan ingrato, tu condición tan terrible, tu humor tan estraordinario, que invidias lo que debieras estimar, pues no es estraño sino propio el bien que tienen el amigo y el criado. Éste que miras, ingrata, es un patricio romano, es un varón consular que en los reales y campos del Emperador Justino, mi señor, era un soldado, cuando joven, tan valiente, tan animoso y bizarro, que mereció por sus hechos una estatua en el senado. Dos veces me dio la vida porque, perdido el caballo en las guerras de Asia, viendo que me cercaban contrarios, rompió por ellos, cual suele rasgar con truenos un rayo esferas de viento y nubes de flecos tornasolados. Su caballo me dio, y luego, abriendo por todos paso, al ejército me vuelve con vencedores aplausos.
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Chiudi la bocca, non voglio udire lamenti né ascoltare pentimenti. So bene che è per passione che daresti a tuo cugino i suoi trionfi e gli allori, le sue vittorie, i trofei, i suoi fasti e i magistrati; e il tuo cuore è così ingrato, così orribile il tuo stato, così anomalo il tuo umore che invidi ciò che dovresti stimare, perché è normale e non straordinario il bene dell’amico o servitore. Quest’uomo che guardi, ingrata, è un patrizio romano ed è un console illustre che dentro e fuori dal regno dell’Imperator Giustino, mio signore, era un soldato da giovane, così prode, così valoroso e ardito che le sue gesta gli valsero una statua nel senato. Egli mi salvò due volte, perché, perduto il cavallo nelle campagne dell’Asia, accerchiato dai nemici, si scagliò contro di loro sbaragliando, come un fulmine, coi tuoni, sfere di vento, file di nubi cangianti. Il suo cavallo mi dette e poi, aprendo la strada, mi riconsegnò l’esercito tra vittoriosi applausi. 1725
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Otra vez pasando el Tigris, en sus ondas de alabastro me vi perdido, y, rompiendo globos de nieve, en sus brazos me sacó a la margen verde. Fue capitán, y en dos años tuvo treinta desafíos de cuerpo a cuerpo, retando enemigos del imperio, persas, medos, griegos, partos. Fue general y la esfera del imperio ha dilatado a los términos que tuvo en los tiempos de Trajano. Doce reyes ha vencido, quince veces ha triunfado, con el triunfo que mañana le está previniendo carros competidores del sol. ¿En qué madera, en qué mármol no merece los cinceles de Lisipo y de Lisandro? No fue vencido jamás, y en las guerras se ha mostrado un prudente Julio César, un magnánimo Alejandro. ¿Éste quieres deshacer? Mas es león africano que, abiertos los ojos, duerme; en sueños está bramando. ¡Ay de aquel que se le atreva! Cuatro reyes, admirados de su fama, hasta mi corte por verle peregrinaron; y estando en presencia suya en un éxtasis y pasmo
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Un’altra volta, sul Tigri, tra le onde d’alabastro annegavo, ed egli monti d’acqua trasparenti franse e mi portò a nuoto a riva. In due anni divenuto Capitano, corpo a corpo sfidò ben trenta nemici dell’Impero: erano greci, medi, parti e persiani. Quando poi fu generale, estese tanto l’impero che i suo confini eguagliarono quelli al tempo di Traiano. Ha vinto dodici re, quindici volte ha trionfato, col trionfo che domani gli sta riservando carri che competono col sole. Quale legno, quale marmo non merita gli scalpelli di Lisippo e di Lisandro? Mai non è stato sconfitto, sempre in guerra si è mostrato un prudente Giulio Cesare, un magnanimo Alessandro. E tu vorresti ucciderlo? Egli è un leone africano che dorme con gli occhi aperti, e nel sonno sta bramando. Guai a chi si azzarda a tanto! Quattro re in pellegrinaggio vennero a questa mia corte ad ammirar la sua fama; arrivati al suo cospetto, colti da estasi e da spasimo,
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de admiración se quedaban atentos y embelesados. ¿Cómo una mujer se atreve, sin prudencia, sin recato, sin piedad y sin temor, contra el que está amenazando allí al mundo? ¿Son de tigre tus entrañas? ¿Hasta cuándo ha de durar la venganza de tus antojos livianos? ¡Vive Dios, y por la vida del que tú aborreces tanto, que, a no ser honrado y cuerdo, este acero...! Reprimamos, cólera, tales razones, que soy príncipe cristiano, amante de mi mujer, y me llama el mundo «sabio». Mas si el derecho civil y leyes de los romanos pongo en orden y reduzgo a un volumen reformado, «justiciero» debo ser, satisfacer debo agravios, castigar debo delitos, huir respetos humanos. ¡Hola!
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[Hace que] despierta [Belisario.] BELISARIO
¿Señor? Salen Filipo, Leoncio y Narses.
NARSES EMPERADOR
¿Qué nos mandas? A la Emperatriz le han dado algunas melancolías,
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restarono ad ammirarlo con incanto ed attenzione. Come può osare una donna, senza prudenza o ritegno, senza pietà né timore, contro colui che minaccia il mondo intero? Di tigre son le tue viscere? Quanto dovrà durar la vendetta dei tuoi piccoli capricci? Giuro che, su questa vita di chi tanto tu detesti, se non fossi io sensato, quel pugnale...! Reprimiamo, ira, un simile pensiero, ché son principe cristiano ed io amo la mia sposa, e il mondo mi chiama «saggio». Ma se il diritto civile e le leggi dei romani concentrassi, riformate, in un rinnovato tomo, dovrei essere «giustiziere» e punire ogni ingiuria, castigare i delitti senza riguardo a persone. Sveglia! [Belisario] sembra svegliarsi. BELISARIO
Signore? Entrano Filipo, Leoncio e Narses.
NARSES IMPERATORE
Comandi. L’imperatrice si sente malinconica e mi sembra 1729
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y parece acuerdo sano que se retire algún tiempo de la corte y de palacio. A Antioquía ha de irse. Allí pasar puede este verano en la casa de su padre. Id los tres acompañando su persona; y, porque vea lo que debo a Belisario, traed las imperïales insignias.
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Vase Narses. TEODORA
EMPERADOR
[A Teodora]
Estoy temblando; de cólera puede ser, no de miedo. Un breve rasgo es de Dios el rey, y ansí humildes valles levanto, soberbios montes inclino. Batan moneda: que a un lado tenga mi rostro y en otro el de Belisario, orlado de letras que digan: «Éste sustenta el imperio sacro». ¡Muere de envidia, cruel!
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Saca Narses en una fuente un bastoncillo y una corona de laurel dorado. NARSES
Aquí están.
EMPERADOR
Mi imperio parto con quien lo merece entero. Por sucesor te declaro de mi imperio. César eres; Rey eres ya de romanos.
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un giusto provvedimento che stia per un po’ lontana dalla corte e da palazzo. Andrà ad Antiochia dove trascorrerà questa estate nella casa di suo padre. Scortatela fin laggiù e affinché tutti conoscano quanto devo a Belisario, con voi portate le insegne imperiali. Narses esce di scena. TEODORA
IMPERATORE
[A Teodora]
Sto tremando; non di paura bensì di collera. Un ornamento divino è il re, e così umili valli io innalzo, superbi monti io piego. Nuove monete si conino: ci sia su un lato il mio volto e Belisario sull’altro, con incise le parole: «Colui che regge l’Impero». Muori d’invidia, crudele!
Narses prende da un vassoio un piccolo bastone e una corona d’alloro dorato. NARSES IMPERATORE
Ecco. Divido il mio impero con chi lo merita intero. Ti nomino successore dell’impero. Nuovo Cesare; Re dei romani ora sei. 1731
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO SEGUNDO
BELISARIO EMPERADOR BELISARIO
El bastón imperïal se ha de partir: dos pedazos dirán que un alma tenemos. ¡Señor...! No repliques. Hago lo que mandas. Parten entre los dos el bastón.
EMPERADOR
BELISARIO
El laurel del imperio sacrosanto también se ha de dividir, que con esto estoy mostrando que hay un poder en los dos. ¿Tantas honras a un esclavo?
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Parten la corona. EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR BELISARIO
TEODORA BELISARIO
Tantas honras a un amigo. ¡Ea! Mandar debes algo en señal de posesión, que aun yo tus preceptos guardo. Si eso, señor, ha de ser, suplico... ¿Qué dices? Mando... – en tu presencia, señor esta voz me causa empacho –, mando que la Emperatriz, mi señora... (¡Ah, cruel villano!) ...no se vaya de la corte ni salga de tu palacio, y este bastón y laurel pongo a sus pies soberanos
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO SECONDO
BELISARIO IMPERATORE BELISARIO
Questo scettro imperiale diviso sarà: un’anima sola saranno i due estremi. Signore... Taci. Io eseguo i tuoi ordini. Rompono in due il bastone.
IMPERATORE
BELISARIO
L’alloro dell’impero sacrosanto: che venga anch’esso diviso. Facendo così dimostro che abbiamo entrambi il potere. Tanti onori ad uno schiavo? Dividono in due la corona.
IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE BELISARIO
TEODORA BELISARIO
Tanti onori ad un amico. Avanti, ordina qualcosa che anch’io possa rispettare in segno del tuo potere. Sì, ecco, certo, signore, supplico... Che? Ossia, ordino... – al tuo cospetto, signore questo verbo mi imbarazza –, ordino che la signora, l’imperatrice... (Ah, ignobile!) ... non vada più via da corte né abbandoni il tuo palazzo, e questo scettro e l’alloro metto ai suoi piedi sovrani
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
porque todo es suyo, y yo soy un pequeño traslado,
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Pone a sus pies laurel y bastón.
TEODORA
EMPERADOR
BELISARIO
FILIPO LEONCIO NARSES EMPERADOR TEODORA BELISARIO
un borrón, una pintura de su poderosa mano. (Vencióme la cortesía. Venciéronme los halagos de su modestia. Ya siento el pecho desenojado.) Obedecido serás y ya en lugares tan altos serás el mayor ejemplo de la dicha. El postrer paso de la fortuna, di agora. No hay más que subir. Vivamos, corazón, con gran cordura, con modestia y con recato. ¿Quién vio tan grande ventura? ¿Quién vio tan feliz soldado? ¿Quién oyó tales favores? ¿Quién tuvo tan buen vasallo? ¿Quién no venció sus enojos? ¿Quién subió a lugar tan alto? Fortuna, tente. Fortuna, pon en esta rueda un clavo.
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FIN DEL ACTO SEGUNDO.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
ché sono suoi interamente, io sono solo una copia, Mette ai suoi piedi la corona e il bastone.
TEODORA
IMPERATORE
BELISARIO
FILIPO LEONCIO NARSES IMPERATORE TEODORA BELISARIO
uno schizzo, una bozza della sua potente mano. (La sua cortesia mi ha vinto. Mi hanno vinto le lusinghe della sua modestia. Sento il mio cuore ormai guarito.) Obbedirò ai tuoi ordini e ormai essendo così in alto tu sarai il più grande esempio della fortuna. Il suo ultimo stadio, ora possiamo dire. Non si può salire oltre. Viviamo umili, mio cuore, con saggezza e con pudore. Mai vista tanta fortuna! Né soldato più felice! Mai concessi tanti onori! Mai visto un tale vassallo! Né ira così debellata! Mai si è ascesi tanto in alto! Fortuna, ferma! Fortuna, metti un chiodo alla tua ruota. FINE DEL SECONDO ATTO.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
ACTO TERCERO PERSONAS
EL EMPERADOR
FABRICIO
BELISARIO
FLORO
FILIPO
TEODORA
LEONCIO
ANTONIA
NARSES
CAMILA
JULIO
MARCIA
Salen Belisario, Leoncio, Filipo y Floro. LEONCIO
BELISARIO FILIPO
BELISARIO
LEONCIO
FILIPO
LEONCIO
FILIPO
LEONCIO
Bien venga el restaurador del imperio. Bueno está. Si lo sabe, dejará la caza el emperador. Su majestad se entretenga al latir de los sabuesos, que de Italia los sucesos podrá saber cuando venga. ¿No hubiera sido prudencia, sin atender a la ley de vasallo, hacerte rey? Según aquella sentencia, que Eurípides repetía, Belisario, mal hiciste, Rey de Italia ser pudiste; por reinar no hay tiranía. Monarca de este hemisferio fue César siendo atrevido. Tirano en efeto ha sido el principio del imperio. Mudable es la condición. No es monte la voluntad.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
ATTO TERZO PERSONAGGI
L’IMPERATORE
FABRICIO
BELISARIO
FLORO
FILIPO
TEODORA
LEONCIO
ANTONIA
NARSES
CAMILA
JULIO
MARCIA
Entrano Belisario, Leoncio, Filipo e Floro. LEONCIO
BELISARIO FILIPO
BELISARIO
LEONCIO
FILIPO
LEONCIO
FILIPO
LEONCIO
Ossequi a chi ha restaurato questo impero. Ora è in salvo. Se lo sa l’imperatore, tornerà da caccia subito. Si sollazzi sua maestà al latrato dei segugi. ché gli eventi dell’Italia potrà conoscere presto. Prudente sarebbe stato se ti avesse incoronato anche infrangendo la legge. In base a quell’aforisma che Euripide ripeteva, Belisario, hai fatto male, re d’Italia esser potevi; regnare non è tirannide. Grazie alla sua audacia, Cesare fu re di questo emisfero. La tirannia è dunque stata il principio dell’impero. Il nostro stato è mutevole. La volontà non è ostacolo.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO BELISARIO
FLORO
BELISARIO
(O éstos prueban mi lealtad o mis amigos no son. Ansí les responderé, ya que su intención ignoro.) Tú, ¿qué dices a esto, Floro? La fábula contaré de la zorra que cazaba para el lobo noche y día, y solamente comía lo que al lobo le sobraba. Esta sujeción dio pena a cierto zorrazo viejo, y dábale por consejo: «No comas por mano ajena». Respondióle: – «¿Yo, traidora con el lobo mi señor?» Cogiolo de mal humor un día la tal señora; diez gallinas le llevó y él le replicó: – «Esta vez, ¿cómo me traes solas diez si he menester once yo? Mas si no hay quien me socorra en esta hambre canina, a falta de una gallina no será mala una zorra». Bien aplicado lo ves. No hablo a persona sorda: «el que cochinos engorda comerlos quiere después». ¡Vive Dios, loco atrevido, que esta lengua he de cortar!
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Vase tras él, con la daga. FLORO
Tres lenguas puedes sacar si el consejo te ha ofendido.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO BELISARIO
FLORO
BELISARIO
(O mi mettono alla prova o sono dei miei nemici. Io ne ignoro le intenzioni e risponderò così). Tu cosa ne pensi Floro? Ti racconterò la favola della volpe che cacciava per il lupo notte e giorno, e lei soltanto mangiava quello che il lupo lasciava. Quella sua sottomissione un volpone impietosì, che le volle consigliare: «Non mangiar da mano altrui» Lei rispose: «come posso io tradire il mio signore?» Un giorno questa signora lo trovò di malumore; gli portò dieci galline lui rispose: «Ma perché me ne porti solo dieci se di undici ho bisogno? Se non posso rimediare a questa fame canina e non c’è un’altra gallina, andrà bene anche un volpe». Ben capisci la morale. Non parlo a persona sorda: «chi ingrassa bene il maiale poi se lo vuole mangiare». Sciocco audace, un giorno o l’altro dovrò tagliarti la lingua! Lo segue, col pugnale.
FLORO
Tre lingue potrai tagliare se il mio consiglio ti ha offeso. 1739
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
BELISARIO
¿Contra una lengua porfías si son tres las que pecaron? Estos señores hablaron por ver lo que tú decías. Los reyes por privilegio dioses de la tierra son, y hacer con ellos traición es cometer sacrilegio. Bien sé que contra las leyes han hecho las tiranías imperios y monarquías; traiciones han hecho reyes. Si es fácil la voluntad del hombre, aunque rey se llama, no se ha de perder mi fama de parte de mi lealtad; que obedeciendo a mi dueño, más altos honores hallo en ser yo el mayor vasallo que no en ser un rey pequeño.
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Pónense a hablar los tres, y sale Teodora. TEODORA
(Locos pensamientos míos, no os engañen esperanzas, porque son vuestra mudanzas amorosos desvaríos. Quise un tiempo a Belisario y desprecios padecí; sus partes aborrecí y era el amor su contrario. Ya del olvido al amor anda el alma sin sosiego, porque ha recibido el fuego que encubrió mi altivo honor. Si le dan dicha los cielos, si el Emperador le estima,
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
BELISARIO
Contro una ti accanisci se son state tre a peccare? Questi signori parlarono per veder cosa dicevi. È privilegio dei re essere dèi sulla terra e commette un sacrilegio chi contro di loro agisce. Lo so che contro le leggi hanno edificato imperi, monarchie, le tirannie; so che i re hanno tradito. Labile è la volontà dell’uomo, anche se egli è un re, ma la lealtà non dovrà cancellare la mia fama, ché, obbedendo al mio signore, mi procura più alti onori essere il più gran vassallo piuttosto che un re minore. I tre si mettono a parlare ed entra Teodora.
TEODORA
(Oh, folli pensieri miei, non vi inganni la speranza, perché il vostro mutamento è un amoroso delirio. Un tempo amai Belisario ed ebbi in cambio disprezzo; le sue doti io ho detestato ma il suo rivale era amore. Ormai tra l’oblio e l’amore l’anima mia non ha posa, perché ha ricevuto il fuoco che ha coperto il mio onore. Se i cieli lo favoriscono, se l’imperator lo stima, 1741
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
FLORO BELISARIO
TEODORA FILIPO
si le quiere bien mi prima, ¿qué mucho que envidia y celos produzcan amor en mí? ¡Qué batalla con mi honor! ¡Ay de mí, si vence amor!) La Emperatriz está aquí. Déme vuestra majestad su mano. Salid afuera. (Yo pienso que persevera en su tirana crueldad.)
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Vanse [y quedan Teodora y Belisario]. TEODORA BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
Vos seáis muy bien venido. Feliz vino quien escucha tal favor. (El alma lucha con el amor y el olvido. ¡Ayer tanto aborrecer y hoy amor tan singular! Bien dicen que es como el mar el alma de una mujer.) Ya habréis sabido el trofeo de Italia. De más rigor sé que venís vencedor. (Más apacible la veo. ¡Oh, si se fuese mudando su terrible condición!) (El amor y la ocasión me van aquí despeñando. Huid, fáciles antojos, dejadme en eterna calma, que se va asomando el alma a los labios y a los ojos.)
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
FLORO BELISARIO
TEODORA FILIPO
se mia cugina lo ama, come può nascere amore dalla gelosia e l’invidia? Che battaglia col mio onore! Che farò se vince amore?) Ecco qua l’imperatrice. Datemi, maestà, la vostra mano. Lasciateci soli. (Non credo che abbia perduto la sua atroce crudeltà.) Escono [e restano Teodora e Belisario.]
TEODORA BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
Che siate il benvenuto. Felice è chi tal favore ascolta. (L’anima lotta con l’amore e con l’oblio. Ieri, odio smisurato e oggi amore inaudito! È vero che è come il mare l’anima di una donna.) Saprete della vittoria sull’Italia. So piuttosto che voi siete il vincitore. (La noto molto più mite. Magari stesse cambiando il suo terribile umore!) (L’amore e l’occasione mi stanno sopraffacendo. Fuggite, lievi capricci, datemi pace per sempre, ché l’anima sta sorgendo sulle labbra e sugli occhi.)
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
Ir pretendo, en seguimiento de su majestad, al monte. (Ea, corazón, disponte si no tienes sufrimiento. Mi primera inclinación fue a Belisario. Si agora quien le aborreció le adora, no es mucho; cenizas son de mis antiguas pasiones, y ya será agradecido, pues mi rigor ha temido.) ¿Qué piensas? ¿Qué detenciones en el hablarme son éstas? (Ya, atropellado el honor, salga de golpe el amor sin demandas ni respuestas.) Belisario, ¿has olvidado aquel tiempo en que yo amaba? Vuestro pecho adivinaba que le estaba destinado el imperio, y para honrallo con liberal bizarría, vuestra majestad me hacía favores como a vasallo. Y tú, entonces, para ser de Antonia, me dabas celos. (¿Qué lenguaje es éste, cielos? Mucho temo esa mujer.) Conociendo tu grandeza, nunca yo me prometí que hicieses caso de mí; tu virtud y tu belleza siempre estaban dedicadas al que es mi dueño y señor. Almas que alienta el amor no han de ser desconfiadas.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
Voglio andare a cercare sua maestà a caccia sui monti. (Avanti, cuore, preparati, se non ti causa dolore. Il mio primo amore è stato Belisario. E se adesso chi lo detestò lo adora, non è niente, solo ceneri delle mie antiche passioni; egli sarà ringraziato per avermi assai temuto.) A che pensi? Perché indugi a parlarmi, mia signora? (Sbaragliato ormai l’onore, si manifesti l’amore senza altre esitazioni.) Belisario, ti ricordi di quel tempo in cui ti amavo? Intuiva il vostro cuore che eravate destinata all’impero e onoravate con magnanima audacia questo destino, facendomi favori come a un vassallo. Ma tu, appartenendo a Antonia, mi facevi ingelosire. (Che linguaggio è questo, oh Dio! Questa donna mi spaventa.) Considerato il tuo rango, non ho mai creduto che io potessi interessarti; la tua virtù e la bellezza erano sempre rivolte al mio padrone e signore. Le anime mosse da amore non devono diffidare.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
BELISARIO
TEODORA
Yo por desprecio tenía lo que fue desconfianza, y ansí tomaba venganza. Mas ya amor... (Fortuna mía, tente; que en aquellos labios, cuyo silencio deseo, como en un espejo veo mi desdicha y mis agravios. El que no temió escuadrones del africano poder, temiendo está una mujer, temblando está a sus razones. Mujer, mi sepulcro labras. Tres veces darme quisiste la muerte, y hoy me la diste con esas pocas palabras. Mi lealtad es infinita; ¡oh, mi Rey y Emperador! mal te quitará el honor quien la hacienda no te quita.) (Ya me ha entendido, y mi estrella que le dé un favor me manda. Cuando levante esta banda pienso dejarle con ella.)
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Deja caer una banda. BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
Déme licencia, que debe saber cómo ya llegué el César. (O no la ve, o a tomarla no se atreve.) Luego iréis. (¿Con qué intención la banda dejó caer?
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
BELISARIO
TEODORA
Pensavo che fosse sprezzo ciò che era diffidenza e così mi vendicavo. Ma ormai amore... (Oh, Fortuna, fermati! Su quella bocca, che desidero che taccia, vedo come in uno specchio la mia rovina e l’offesa. Chi non temette le truppe dei possenti africani, sta temendo ora una donna, e trema alle sue parole. Donna, mi scavi la tomba. Tre volte hai voluto darmi la morte, ed oggi mi hai ucciso con queste poche parole. La mia lealtà è infinita; Oh, mio re! Oh, mio signore! Non può sottrarti l’onore chi l’impero non ti ha tolto.) (Mi ha ormai capito ed il cielo mi impone di compiacerlo. Userò questo mio nastro: vedremo come reagisce.) Fa cadere a terra un nastro.
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
Col suo permesso io andrei ad avvisar del mio arrivo il Cesare. (O non lo vede o non ha osato raccoglierlo). Dopo andrete. (Ma a che fine ha fatto cadere il nastro?
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
TEODORA
¡Que pasase una mujer del rigor a la afición tan fácilmente!) (Este guante hará que la banda vea.)
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Deja caer un guante. BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
(Que la levante desea. Amor muestra en el semblante. Hareme desentendido.) (O mi favor le ha turbado, o el no mirar es cuidado.) Un guante se me ha caído. ¿Cómo a alzarlo no te inclinas? Ya, mi señora, lo vi; pero no me toca a mí levantar prendas divinas. Si yo las toco, profano su valor y su deidad; que no será autoridad recibillas de mi mano. Llamaré quien las levante, porque en mí es acción grosera. ¿No hay una dama allá fuera que dé una banda y un guante a su Majestad? Cruel, ¿mi favor no has de estimar? Antonia viene. (Al pasar le he de dar este papel.)
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Sale Antonia. Un guante se le cayó a su Majestad; y ansí,
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
TEODORA
Può mai una donna passare dall’asprezza all’affetto così facilmente?) (Un guanto gli farà vedere il nastro.) Fa cadere un guanto.
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
TEODORA
BELISARIO
(Vuole che glielo raccolga. Tradisce amore il suo volto. Io farò finta di niente.) (O l’ha turbato il mio gesto o non guarda per cautela.) Mi è caduto un guanto a terra. Non ti chini a raccoglierlo? Sì, mia signora, ho visto; ma non spetta a me raccogliere simili oggetti divini. Se li tocco ne profano la sacralità e il valore. Non sarebbe affatto giusto che glieli porgessi io. Chiamerò chi deve farlo, perché in me è una turpe azione. Non c’è una dama qui fuori che raccolga un nastro e un guanto a sua maestà? Oh, crudele, non apprezzi i miei favori? Ecco Antonia. (Quando passa devo darle questo foglio.) Entra Antonia. A sua maestà è caduto un guanto, ed è per questo,
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
ANTONIA
como no me toca a mí levantarlo, te llamó. Llega a dárselo. Sí, haré, pues tan dichosa he venido.
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Dale un papel, y échaselo ella en la manga. BELISARIO
(Favorecerme ha querido. Lindamente me escapé.) Vase Belisario.
ANTONIA
(¿Banda y guante por el suelo? Mi temor ha sospechado que cayeron con cuidado. Muchas máquinas recelo.)
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Levanta la banda y el guante y dáselos. TEODORA
ANTONIA
TEODORA ANTONIA TEODORA ANTONIA TEODORA
ANTONIA TEODORA
¿Tú, por fuerza, habías de ser la que viniste, en oyendo a Belisario? ¿Te ofendo en servir y obedecer? ¿Qué papel es ése? ¿Cuál? El que en la manga has echado. ¿Pues, eso te da cuidado? Hame parecido mal. No has de verle ni saber lo que contiene. Señora... No hay que replicarme agora. Soy curiosa, soy mujer.
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Sácale el papel de la manga, y échalo en la suya. 1750
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
ANTONIA
dato che non spetta a me raccoglierlo, ti ha chiamata. Vai a darglielo. Senz’altro, lo faccio ben volentieri. Le porge un foglio che Antonia si infila nella manica.
BELISARIO
(Mi ha elargito i suoi favori. Mi son sottratto con garbo.) Belisario se ne va.
ANTONIA
(Un nastro e un guanto a terra? Io sospetto con timore che non son caduti a caso. Temo che ci sia una trama.) Raccoglie il nastro e il guanto e glieli porge.
TEODORA
ANTONIA
TEODORA ANTONIA TEODORA ANTONIA TEODORA
ANTONIA TEODORA
Proprio tu dovevi accorrere quando hai sentito la voce di Belisario? Ti offendo se ti servo e ti obbedisco? Che foglio è mai quello? Quale? Nella manica lo hai messo. È questo che ti preoccupa? Non mi è piaciuto per niente. Tu non dovrai saper mai quel che contiene. Signora... Non voglio repliche adesso. Sono curiosa, son donna. Le toglie il foglio dalla manica e lo infila nella sua. 1751
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO ANTONIA
TEODORA ANTONIA
Pienso que no son desvelos sólo de mujer curiosa. ¿Sino de quién? De... envidiosa. ¡Abrasada voy en celos!
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Vase. TEODORA
¿Que me haya yo declarado sin remedio ni esperanza? Banda, tomemos venganza, que en el suelo os han dejado. Guante, vuestro honor se halla despreciado como mío; sed guante de desafío; entremos hoy en batalla. Amor, no fuistes amor. Sin duda fuistes deseo, pues que ansí trocado os veo segunda vez en rigor. Declaré mi voluntad, despreciome; es mi enemigo. No es bien que viva testigo que vio mi facilidad. Rabiando quedo de enojos. Venguen los muchos agravios, mis querellas en los labios, mis lágrimas en los ojos.
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Sale el Emperador. EMPERADOR
Mi Teodora, ¿dónde está Belisario? A verle vengo. El alborozo que tengo quietud ni gusto me da. A Italia ha restituido, sujetando nación fiera.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO ANTONIA
TEODORA ANTONIA
Non credo che sia dovuto solo alla curiosità. E allora a cosa? Alla... invidia. M’infiamma la gelosia! Esce di scena.
TEODORA
Mi son forse dichiarata invano, senza speranza? Nastro, avanti, vendichiamoci ché per terra vi ha lasciato. Guanto, il vostro onore è stato disprezzato in quanto mio; siate guanto, ma di sfida; oggi siamo entrati in guerra. Amor, voi non foste amore. Di sicuro desiderio, perché di nuovo vi siete trasformato in rigore. Dichiarandomi, son stata disprezzata; è un nemico. Non può vivere colui che mi ha vista tanto ardita. Sono furiosa ed offesa. Vendichino i molti oltraggi i lamenti della bocca e le lacrime degli occhi. Entra l’imperatore.
IMPERATORE
Oh mia Teodora, dov’è Belisario? Io ho bisogno di vederlo. Non sto in me dalla gioia che io sento. L’Italia è stata domata. Si è arresa la fiera nazione. 1753
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO TEODORA
EMPERADOR
TEODORA
EMPERADOR
TEODORA
No le busques. Más valiera que allá quedara vencido. ¿Aún la cólera te dura? ¿Qué te ha obligado a llorar? ¿O pretendes aumentar con lágrimas tu hermosura? Bellezas, desdichas son. No sé cómo responderte. Ábrame el pecho la muerte; verás en él mi pasión. Tanto aborrecer a un hombre, tanto quererle matar, tanto gemir y llorar en escuchando su nombre, ¿no te han dicho....? Espera; calla. Mira qué dices, primero; advierte que bien le quiero, y se han de dar la batalla la queja de mi mujer y el crédito de mi amigo, y luchando ambos conmigo no sé cuál ha de vencer, que están en una balanza el amor y la amistad. Tú tienes mi voluntad y él tiene mi confianza. Mi mujer y amigo aquí balanzas son – ¡vive Dios! – y no sé cuál de los dos ha de poder más en mí. Por eso quiero morir. Por eso quiero ausentarme. Si el callar ha de matarme, si ha de matarme el decir mis no creídos agravios, si todo ha de ser rigor,
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IMPERATORE
TEODORA
IMPERATORE
TEODORA
Non lo cercare. Sarebbe stato meglio avesse perso. Tu sei ancora adirata? E perché ora stai piangendo? Vuoi per caso aumentare col pianto la tua beltà? La beltà è una sciagura. Non so come replicare. Che la morte mi apra il petto: così vedrai quel che sento. Tanto odio verso un uomo, tanta la voglia di ucciderlo, tante lacrime e lamenti solo a sentire il suo nome, non ti han detto...? Aspetta, taci. Fai attenzione a quel che dici; sappi che gli voglio bene e che dovranno scontrarsi i lamenti di mia moglie e la lealtà di un amico; lottando contro di me non so cosa vincerà, ché l’amore e l’amicizia stanno su di una bilancia. Se è tuo il mio desiderio, egli ha la mia fiducia. Il mio amico e mia moglie su di una bilancia, oh Dio!, non so proprio chi dei due su di me avrà più potere. Per questo voglio morire. Per questo voglio andar via. Se mi ucciderà tacere se mi ucciderà narrare i miei non creduti oltraggi, se tutto sarà inclemenza, 1755
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dilatemos el dolor del corazón a los labios. ¿Quieres ver si pesa más mi amor que su confianza? Pon tu honor en la balanza del amor, y lo verás. Que rica de tu favor con soberbia y vanidad, hallarás que la amistad intenta tu deshonor. Y pues mi agravio es un rayo que se ha engendrado en mi seno, sírvame, al nacer, de trueno o mi muerte o mi desmayo.
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Siéntase desmayada. EMPERADOR
(Lee)
¿Qué dices, mujer; qué dices? Desmayose y con pasión ha robado el corazón a su cara los matices de púrpura y de clavel. Con su pálida hermosura me ha dicho mi desventura. Sin duda, en este papel me escribe la triste suma de rigores alevosos, porque a labios vergonzosos sirve de lengua la pluma. De Belisario es la letra. Nuevo linaje de enojos me está turbando los ojos y el corazón me penetra. «Cuando pensé que querías matarme, sin ofenderte, estimaba aquella muerte más que las vitorias mías.
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tanto vale che il dolore dal cuore arrivi alla bocca. Vuoi veder se pesa più della sua lealtà il mio amore? Sulla pesa dell’amore prova a mettere il tuo onore: scoprirai un’amicizia che, forte del tuo favore, con superbia e vanità, tenta di disonorarti. Quest’oltraggio è come un fulmine che mi sta nascendo in seno: quando esplode, siano il tuono la morte o lo svenimento. Si siede, perdendo i sensi. IMPERATORE
(Legge)
Che dici, donna, che dici? È svenuta e con passione il cuore ha sottratto al volto quelle belle sfumature di garofano e di porpora. La sua pallida bellezza mi ha detto la mia sciagura. Senz’altro su questo foglio scrive il triste resoconto di perfide crudeltà, perché alle labbra pudiche serve il calamo da lingua. La grafia è di Belisario. Un’altra stirpe di offese mi sta offuscando la vista e trafiggendomi il cuore. «Quando pensai che volevi, senza ragione, uccidermi apprezzavo quella morte più di ogni mia vittoria: 1757
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Porque morir a tus manos fuera vivir mereciendo, como agora estoy muriendo, a tus ojos soberanos». ¿Qué duda el alma, que ignora abismos de confusiones? Bien se ve que estas razones sólo son para Teodora. Del pecho el alma revienta. Deme Dios dolor tan fuerte que no le acabe la muerte para que viva y lo sienta. Tu honestidad, tu decoro, te han causado tal tormento, que envidio tu sentimiento y tus desmayos adoro. Ella sintió más pesar, pues, desmayada y hermosa, ha quedado como rosa que acabaron de cortar. ¡Hola!
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Salen Marcia, Camila y Antonia. ANTONIA EMPERADOR
¿Señor? A Teodora dio un accidente violento; retiralda a su aposento.
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Llévanla en la silla. Agora, dolor, agora es el tiempo de acabar el vivir y el padecer. Inmortal debo de ser, pues no me acaba el pesar.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
essere ucciso da te mi avrebbe dato la vita, come ora me la tolgono questi tuoi eccelsi occhi.» Perché, anima, vacilli sull’abisso del tumulto? È chiaro: queste parole sono rivolte a Teodora. L’anima ho fuori dal petto. Dammi, Dio, un tale dolore che la morte non consumi, perché io lo senta in vita. La tua onestà, la decenza ti hanno inflitto un tale strazio che ammiro quello che provi, e il tuo malessere adoro. Per un simile dolore è svenuta, e adesso giace, splendida come una rosa che è stata appena recisa. Correte! Entrano Marcia, Camila e Antonia. ANTONIA IMPERATORE
Signore? È stata colta da un forte malore. Nelle sue stanze portatela. La trasportano su una sedia. Adesso, dolore, adesso è questo il tempo di smettere di vivere e di soffrire. Devo essere immortale se tal pena non mi ha ucciso.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
Cuando matarle quería ella calló estos agravios, que el honor aun a sus labios su misma ofensa no fía.
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Sale Belisario. BELISARIO EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
Dame la mano, señor. (Aquí es menester paciencia; aquí es menester prudencia; aquí es menester valor. ¡Oh, duro trance, aquí, aquí era el morir! ¿Para cuándo está la muerte guardando sus rigores para mí?) A Italia hoy he restaurado, y esta vitoria, señor, es la vitoria mayor que mi fortuna os ha dado. Debe de ser la postrera. (¡Que este hombre me esté agraviando y que estándole mirando tenga él vida y yo no muera! ¿Es posible que mi hechura se haya atrevido a mi honor? ¡No es nuevo que a su criador haga ofensas la criatura!) Señor, ¿qué mudanza es ésta? ¿Vos negándome la mano? (Su pensamiento villano este papel manifiesta. ¿Por qué dudas me permito? Ea; muramos los tres: Teodora, por si no es verdadero este delito y lo ha sabido fingir; por si es cierto, morid vos;
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
Quando ucciderla volevo ella tacque queste offese, perché neppure alle labbra l’onore confessa l’onta. Entra Belisario. BELISARIO IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
Dammi la mano, signore (Devo essere paziente; devo essere prudente; devo esser coraggioso. Oh, che momento durissimo! Morte invoco! Ma per quando la morte avrà riservato la sua inclemenza per me?) L’Italia oggi si è arresa: questa vittoria, signore, è la più grande vittoria che vi dà la mia fortuna. E dovrà essere l’ultima. (Come può egli oltraggiarmi ed io, che lo sto guardando, non morire ed egli vivere? Come può ciò che ho creato attentare al mio onore? Non è raro che al creatore si ribelli la creatura!) Signore, che vi succede? Voi mi negate la mano! (Questo foglio manifesta il suo pensiero villano. Perché mai sto vacillando? Sì, moriamo tutti e tre: Teodora, nel caso in cui fosse falso il disonore e lo avesse simulato; se è vero, morite voi; 1761
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BELISARIO
EMPERADOR
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EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
y yo, porque sin los dos será imposible vivir.) Mi señor, mi rey, mi dueño, ¿vos sin hablarme y sin verme? (¡Que éste se atrevió a ofenderme! ¿Es verdad, cielos, es sueño? Mas no, que ya está culpado; no, que ya estoy ofendido sólo en haberlo creído, sólo en haberlo pensado. Voyme; que el que al ofensor mira con rostro clemente, parece que ya consiente en su mismo deshonor.) Tal disfavor, tal mudanza me han de tener admirado. Muy mala cuenta habéis dado de mi amistad y privanza. Señor, a vuestros enojos ni di ocasión ni lugar. Los ojos han de pagar lo que pecaron los ojos
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Vase. BELISARIO
¿Cuándo en verle he dado enojos? ¿Qué podrá significar «los ojos han de pagar lo que pecaron los ojos?» Fortuna, ya te has cansado; fuerza fue, si nunca paras, que agora me derribaras cuando me ves levantado. No me llamo desdichado por lo que empiezo a sentir; que si el correr y el huir son calidad de tu ser,
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BELISARIO
IMPERATORE
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IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
io, perché senza voi due non riuscirei più a vivere.) Mio signore, re, padrone, tacete e non mi guardate! (Ha davvero osato offendermi? Dio, è così? Oppure è un sogno? No, è colpevole oramai; ed io ormai son stato offeso solo ad averlo creduto solo ad averlo pensato. Me ne vado; ché colui che ha pietà verso chi ha offeso sembra ormai acconsentire alla propria ignominia.) Il disprezzo e il mutamento mi lasciano sbigottito. Bella prova avete dato d’amicizia e di fiducia! Signore, siete adirato senza che io vi abbia offeso. Gli occhi dovranno pagare il peccato che han commesso Esce di scena.
BELISARIO
Io l’ho offeso con lo sguardo? Che vorrà significare «gli occhi dovranno pagare il peccato che han commesso»? Fortuna, ti sei stancata; tu che non ti arresti mai, ora che son così in alto, devi buttarmi giù a terra. Non mi chiamo sventurato per ciò che inizio a sentire; ché se correre e fuggire sono le tue qualità, 1763
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no es la desdicha el caer, la desdicha es el subir. Casi llego a desear la adversidad que estoy viendo, porque pienso ser, cayendo, [ejemplo más singular]; como el subir y el medrar, antítesis de la vida, fue honra en mí tan merecida, que con la virtud se alcanza, no admirará mi privanza y admirará mi caída.
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Sale Filipo. FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
Como amigo desleal, – fuerza ha de ser el decillo –, me envía por el anillo de su sello imperïal su majestad. Si es mortal cualquiera, por más que prive, ¿qué merced eterna vive? Todas mueren, claro está, porque es hombre quien las da y es hombre quien las recibe. Todo favor es violento cuando no viene de Dios. Tomaldo, y ¡dichoso vos, si yo os sirvo de escarmiento! Sabe Dios mi sentimiento, pero no puedo mostrallo. Novedad en eso no hallo; ya sé que es humana ley, que en el semblante del rey se ha de mirar el vasallo.
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non è sventura cadere: la sventura è salire. Sto quasi desiderando questa mia avversità, perché cadendo sarò [un esempio assai più raro]; dato che salire in alto – antitesi della vita – è un onore meritato, che con virtù ho guadagnato, la mia caduta sarà più ammirata dei servigi. Entra Filipo. FILIPO
BELISARIO
FILIPO
BELISARIO
In quanto amico sleale – lo devo dire per forza – richiede indietro l’anello col suo sigillo imperiale sua maestà. E se ognuno, per quanto egli sia fidato, è mortale, quale gloria eterna vive? Periscono tutte, perché è l’uomo a darle ed è l’uomo a riceverle. Ogni favore è violento quando non è Dio a farlo. Prendetelo, e fortunato siate se vi son d’esempio! Lo sa Dio quello che provo; ma io non posso mostrarlo. Non mi sorprende affatto; lo so che è una legge umana che sul volto del sovrano deve specchiarsi il vassallo.
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Sale Narses. NARSES
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Su majestad ha ordenado que os secrete vuestra hacienda. Vuestra amistad no se ofenda, que en efeto soy mandado. No me coge descuidado ese mal; ya lo temía; y ansí, cuando recibía las mercedes que me daba, en mí las depositaba para darlas este día.
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Sale Leoncio. LEONCIO
BELISARIO
El César manda prenderte; y de tus males me pesa. ¡Con qué priesa, con qué priesa se muda la humana suerte! El rey es como la muerte. Despacio favores hace la vida al hombre que nace, y la muerte, – ¡ah desengaños! – lo que vivió muchos años con sólo un soplo deshace. Yo no le he ofendido en nada; el mismo sol es mi fe, y solamente daré a su majestad mi espada, más gloriosa y más honrada porque siempre le he servido.
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Sale el Emperador. EMPERADOR BELISARIO
Yo te prendo y yo la pido. Pisen tus pies la cuchilla que fue otava maravilla.
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Entra Narses. NARSES
BELISARIO
Sua maestà ha ordinato che vi requisisca i beni. Non offendetevi, amico, sto solo obbedendo agli ordini. Non mi coglie impreparato questo male; lo temevo; così, quando ricevevo le ricchezze che mi dava, le depositavo in me per restituirle oggi. Entra Leoncio.
LEONCIO
BELISARIO
Il re ordina il tuo arresto; e sono triste per te. Con che fretta, con che fretta cambiano le sorti umane! Il re assomiglia alla morte. Lentamente favorisce la vita all’uomo che nasce, e la morte – oh, disinganno! – la vita di molti anni fa svanire in un soffio. Non l’ho mai offeso in niente; il sole mi è testimone, e solamente darò a sua altezza la mia spada, con più gloria e con più onore perché sempre l’ho servito. Entra l’imperatore.
IMPERATORE BELISARIO
Ti catturo e la pretendo. Calpesta pure la spada: fu l’ottava meraviglia. 1767
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO EMPERADOR LEONCIO
Guarda este orden. ¿Qué habrá sido? Dale un papel a Leoncio.
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Monarca de dos imperios, rey del orbe, dueño mío, si para honrar las virtudes y castigar los delitos ha menester el que es rey usar de los dos oídos que le dio naturaleza, que me deis uno os suplico. ¡Oh, quién aquí enmudeciera, que referir beneficios no es de magnánimos pechos! Pero si Séneca dijo que se deben referir, si el que los ha recibido o es ingrato o los olvida, justamente los repito. Cuando el Tigris os temió como a celestial prodigio, y de sus cóncavos senos salió con mayores bríos, tropezó vuestro caballo y amenazaba el peligro fin en globos de cristal, muerte en montañas de vidro. Mi amor os vio agonizando y me arrojé a los abismos de nieve, donde estos brazos, remos humanos y vivos, hecho yo bajel con alma, del hundoso precipicio os libraron, y el sepulcro os negaron cristalino;
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO IMPERATORE LEONCIO
Prendi il mandato. Che è stato? Porge a Leoncio un foglio.
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Monarca di due imperi re del mondo, mio signore, se per far trionfare il bene e castigare i delitti è necessario che il re ricorra a entrambe le orecchie che la natura gli ha dato, concedetemene una. Oh, se potessi tacere! Perché gli uomini magnanimi tacciono i favori resi! Ma se Seneca sostenne che si devono pur dire quando chi li ha ricevuti o è un ingrato o li dimentica a ragione li ripeto. Quando il Tigri vi temette, come un prodigio celeste, a dai suoi concavi seni debordò con più superbia, inciampò il vostro cavallo, minacciando di morire tra grandi sfere di vetro e montagne di cristallo. Vedendovi agonizzare, io mi lanciai negli abissi di neve, e queste mie braccia, fatti vivi rami umani di un vascello con un’anima, dal profondo precipizio vi salvarono, e al sepolcro cristallino vi sottrassero; 1769
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porque el amor que os tenía las ondas ha dividido con bombas de fuego. ¿Cuándo teme nada el que bien quiso? Otra vez, cuando los persas, que son legítimos hijos de Marte, porque pelean vencedores y vencidos, rompieron los escuadrones del imperio, y sin aviso vuestra juventud bizarra se empeñó en los enemigos, con valor se defendía, pero con vanos designios: hidras eran; roto un cuello, resultaban infinitos. Ya el caballo sin aliento, manchado el acero limpio, despedazado el escudo, vos vencido de vos mismo, os vi yo, porque mis ojos de vista no os han perdido, bien como a la luz del cielo girasoles amarillos. Acometí, pareciendo rayo que en ardientes giros bajó violento, abrasando capiteles de edificios. Amor fue, no el corazón, el que aquella fación hizo. La dicha fue, no el valor, el que os sacó de peligro, que como felices hados os tenían prometido un imperio, no pudieron ser allí contra sí mismos.
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l’amore che io vi portavo infranse tutte le onde con grandi colpi infuocati. Non è pavido chi ama! E ancora, quando i persiani, che sono figli legittimi di Marte, perché combattono se vincono e anche se perdono, sbaragliarono l’esercito dell’impero, e all’improvviso la vostra gagliarda età volle affrontare i nemici, si difese con coraggio però invano combatteva: come idre, rotto un collo infiniti ne restavano. Il cavallo ormai esausto, l’arma imbrattata di sangue, lo scudo ridotto a pezzi, voi da voi stesso sconfitto, vi vidi, perché i miei occhi mai vi hanno perso di vista, come i gialli girasoli, sempre rivolti alla luce. Io mi scagliai come un fulmine che in spirali arroventate si abbatte violento e incendia capitelli di edifici. Non fu audacia bensì amore a compiere quell’impresa. La sorte, non il coraggio, vi salvò da quel pericolo: visto che i fati propizi vi avevano riservato un impero, non poterono andare contro se stessi.
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De vuestro muerto caballo pasastis, señor, al mío, y yo delante de vos os iba abriendo camino. Desde la muerte a la vida os hice allí un pasadizo, que dar vida a un casi muerto amagos de Dios han sido. Vos el imperio heredastes, yo lo dilaté hasta el Nilo, competidor de los mares y monarca de los ríos, aquel que entra en su sepulcro con estruendo y con ruido, y en la cuna calla tanto que aun no saben su principio. Cuanto Alejandro ignoró sujeté a vuestro albedrío, hasta el origen del Ganges que ve al sol recién nacido. Más reinos os tengo dados que heredastes: abisinos, etíopes, medos, persas, vándalos, lombardos, indios, por mí besan vuestro pie. Cuando Anastasio y Lisinio contra vos se conjuraron, ¿no os di vida? ¿Qué disinios tenéis hoy en deshacer, con el borrón del olvido, hechura que os sirvió tanto, vasallo que tanto os quiso? Pasando la primavera de la edad, llegó el estío de la juventud lozana, y a los ejércitos fuimos donde el águila de Roma,
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Morto era il vostro cavallo e così prendeste il mio; ed io, a piedi, che vi aprivo la strada dinnanzi a voi. Dalla morte alla vita io vi aprii una breccia, ché dar vita a un moribondo fu l’intenzione di Dio. Ereditaste l’impero, io lo estesi fino al Nilo, che compete con i mari ed è signore dei fiumi, ed entra nel suo sepolcro con gran strepito e fragore, ma che in culla è così quieto che si ignora dove nasca. Io ho messo ai vostri piedi quanto Alessandro ignorò, fino alla foce del Gange che vede nascere il sole. Io vi ho donato più regni di quelli ereditati: persiani, abissini e medi, etiopi, lombardi e vandali, indiani a voi ho prostrato. Quando Anastasio e Lisinio contro di voi congiurarono, non son stato io a salvarvi? Che disegni cancellate con la macchia dell’oblio? Una creatura fedele, un vassallo tanto prodigo? Passata la primavera dell’età, venne l’estate della bella gioventù: ci arruolammo nell’esercito dove l’aquila di Roma, 1773
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como el pavón más lucido, llena de ojos y de cuellos mira al sol de hito en hito. ¿Por qué allí me habéis honrado con magistrados y oficios, si era el subirme tan alto para mayor precipicio? Más bien me hubiérades hecho, más piedad hubiera sido, dejarme en mi humilde estado, donde viviera bien quisto, ni envidiado ni envidioso, que una humilde caña, un lirio vive sin temer el rayo como el relevado pino, que está expuesto a su rigor sobre alcázares de riscos. Cruel sois haciendo bien, avaro en el beneficio, tirano dando la vida; engañoso en vuestro estilo. ¿Qué más hiciera algún áspid entre acantos y narcisos, una sirena cantando y llorando un cocodrilo? Si pensáis que os ofendí, ¿en qué tiempos, en qué siglos no hubo traidores y engaños? Porque son un laberinto los humanos corazones, y en los palacios más ricos anda la envidia embozada con máscara y artificio. Entre las cosas más claras ojos engañados vimos; los remos parecen corvos en las ondas y zafiros
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come il pavone più splendido, piena di occhi e di teste, guarda il sole intensamente. Perché mi avete onorato di titoli e privilegi, se quest’ascesa era solo il più grande precipizio? Meglio voi mi avreste fatto, più pietà avreste avuto a lasciarmi in quello stato umile, dove ero amato, né invidiato né invidioso, ché un umile giunco, un giglio non temono nessun fulmine come il pino imponente, che si espone al suo rigore sopra fortezze di rupi. Crudele nel far del bene, avaro nell’elargire, dando la vita, tiranno, i vostri modi son falsi. Potrebbe far meglio un aspide tra gli acanti e tra i narcisi, o il canto di una sirena o il pianto di un coccodrillo? Se pensate che vi ho offeso, quale tempo, quali secoli son privi di tradimenti? Perché i cuori degli uomini sono come un labirinto, e alle corti più sontuose l’invidia sempre serpeggia dietro maschere e artifici. Tra le più limpide cose ci sono occhi offuscati; i remi sembrano curvi sulle onde e sugli zaffiri 1775
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del mar, y paloma negra suele volar, y, a los visos del sol, parecen sus alas oro y púrpura de Tiro. Pues si en el agua y el sol vemos engaños, Rey mío, ¡en las lenguas de los hombres cuantas veces se habrán visto! ¡Vive Dios, que pude ser en los reinos adquiridos más poderoso que vos! Pero no quise; que os sirvo con lealtad, y por reinar no la guarda al padre el hijo; yo sí, que he sido vasallo el más fiel, el más digno de eterna fama. Señor, a vuestras plantas me inclino. Mirad que estoy inocente, suspended vuestro castigo. Si es el rey un casi Dios, advertid que Él no deshizo al hombre, que antes al mundo para reparallo vino. ¡No deshagáis vuestra imagen! ¿Así os vais, airado, esquivo, que no me habéis consolado, que no me habéis respondido? Pues daré a los cielos voces; con mis quejas y suspiros romperé esferas del aire. ¡Sed testigos, sed testigos, cielos, hombres, fieras, plantas, de mi inocencia, y a gritos publicad la ingratitud de los monarcas del siglo!
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del mare, e la colomba nera che vola nel sole sembra che abbia le ali d’oro e porpora di Tiro. Se, dunque, al sole e sull’acqua vediamo inganni, signore, quanti inganni si son visti sulla bocca degli uomini! Viva Dio, che avrei potuto più potente di voi essere nei regni che ho conquistato! Ma non volli; io vi servo con lealtà, e pur di regnare non la porta il figlio al padre; ma io sì, che sono stato il vassallo più fedele, e degno di eterna fama. Signore, a voi io mi inchino. Guardate la mia innocenza, fermate il vostro castigo. Se il monarca è quasi Dio, sappiate che Egli non ha distrutto l’uomo ma, anzi, lo ha creato per correggerlo. Salvate la vostra immagine! Così ve ne andate, altero, schivo, senza consolarmi, e senza neanche rispondermi? Allora griderò al cielo; coi miei lamenti e i sospiri distruggerò sfere d’aria. Siate voi miei testimoni, cieli, fiere, uomini e piante, della mia innocenza e urlando divulgate quanto ingrati siano i re di questo secolo!
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Bien sé que de mi fortuna son éstos los parasismos, y que quieren ya espirar su máquina y edificio. ¡Oíd, mortales, oíd! ¡El César y yo fuimos de la fortuna dos ejemplos vivos, y ya será mi vida el ejemplo mayor de la desdicha!
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Vanse y llévanle preso. FLORO
EMPERADOR
Tragose el lobo a la zorra. Mi villa, señor, aplico, para servirte con ella; finezas haré contigo. Prevén tú la montería en ese bosque vecino al canal, porque Teodora divierta allí los sentidos y yo venza mi tristeza.
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Vase Narses.
JULIO
EMPERADOR
FLORO
Di, Julio, ¿cómo te ha ido en las fronteras de Persia? Bien, gran señor. A Fabricio, que es un valiente soldado, te encomendé, y no ha tenido premio alguno; dos banderas ganó en Asia. No me olvido. Una villa he dado a Floro por esa hazaña. Servicio muy enano.
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Questi sono i parossismi della mia fortuna, che vogliono ormai che perisca il suo intero edificio. Udite, mortali, udite! Il Cesare ed io siam stati due esempi viventi della fortuna, e ormai sarà la mia vita il più grande esempio della sventura. Escono di scena dopo averlo fatto prigioniero. FLORO
IMPERATORE
E il lupo mangiò la volpe. La mia città io dispongo per servirti, imperatore; avrai da me ogni bene. Orsù, prepara la caccia, in quel bosco, presso il fiume, cosicché Teodora possa distendere un po’ i suoi sensi ed io vincer la tristezza. Narses esce di scena.
JULIO
IMPERATORE
FLORO
Julio, come ti è andata sulla frontiera persiana? Bene, signore. Fabricio, che è un valoroso soldato, ti ho affidato; e non ha avuto alcun premio; ha conquistato due regni in Asia. Ricordo. Una città ho dato a Floro per codesta impresa. Infimo servizio.
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FLORO
FABRICIO EMPERADOR
FLORO FABRICIO
Yo fui sólo quien tales facciones hizo, y Floro me hurtó un papel. Yo no ofendo a Jesucristo en el séptimo precepto. No; le ofendes en el quinto. La merced hecha, ha de ser del que venciere: permito que aquí saquéis las espadas. (De aquesta vez me desvillo.) ¡Ea, que el César lo manda!
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Saca la espada. FLORO
Dios no lo manda, y yo rindo villa y espada, y seremos, yo y el señor Fabricio, de la Fortuna dos ejemplos vivos, y yo seré sin villa el ejemplo menor de la desdicha.
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Vanse. Salen Leoncio y Filipo con un papel. LEONCIO
En efeto, Filipo, éste es el orden que ejecutar el César ha mandado, y ansí miras ligado a un árbol, el que fue segundo César. ¡Tal es la condición de la Fortuna!
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Lee Filipo. «Sacaréis con cien soldados de guarda a Belisario, fuera de los muros; y allí le saquen los ojos, pues con ellos ofendió la Cesárea Majestad, poniéndolos en lo sagrado de su honor; y ninguno le socorra,
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FLORO
FABRICIO IMPERATORE
FLORO FABRICIO
Io solamente ho compiuto tale impresa: Floro mi ha sottratto un foglio. Non offendo Gesú Cristo nel comandamento settimo. No, tu l’offendi nel quinto. A colui che vincerà io darò una ricompensa: su, sfoderate le spade. (Io piuttosto me la svigno.) Fermo, è un ordine del Cesare! Sfodera la spada.
FLORO
Se non è Dio a ordinarlo, io mi arrendo e così noi saremo – io e Fabricio – due esempi viventi della fortuna: io senza città sarò l’esempio minore della sventura. Escono di scena. Entrano Leoncio e Filipo con un foglio.
LEONCIO
Infatti, Filipo, questo è il mandato che il Cesare ha ordinato di eseguire per questo vedi legato a un albero chi fu il secondo Cesare. È questa la legge della fortuna! Filipo legge. «Che Belisario sia condotto fuori dalle mura della città, scortato da cento soldati, e che gli siano strappati gli occhi, perché è con essi che ha offeso la Cesarea Maestà, posandoli su ciò che è di più sacro al suo onore; che nessuno gli vada in soccorso
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pena de mi desgracia, porque quiero que mendigue quien usó mal de las riquezas que tenía. Justiniano, Emperador.» LEONCIO
Acto tremendo. Ya el verdugo ha sido quien le quitó los ojos y el vestido.
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Sale Belisario, corriendo sangre de los ojos, con una sotanilla vieja y sin valona y sin capa ni sombrero, cayendo y levantando. BELISARIO
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Si tuviera culpa alguna para tanto padecer, no era maravilla ser escarnio de la Fortuna. Mas que el valor y lealtad padezcan desdichas tales, no han oído los mortales tan estupenda crueldad. Dadme escudo de paciencia en este trance, mi Dios; pues que solamente vos sabéis mi mucha inocencia. Con la virtud fui subiendo, pero cuando más subía la envidia me detenía; mas yo trepando y cayendo, con la gran solicitud de ambas a dos, di en despojos a la envidia hacienda y ojos; y la fama a la virtud. Tengamos piedad alguna. ¿Quién habló? Filipo. Amigo, ya que a mísero mendigo me ha traído la Fortuna, algo me dad con que pueda
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o incorrerà nel mio castigo, perché voglio che mendichi chi ha fatto cattivo uso delle ricchezze che aveva. L’imperatore Giustiniano.» LEONCIO
Terribile castigo. Ecco, il boia gli ha già strappato via gli occhi e le vesti.
Entra Belisario, con gli occhi insanguinati; indossa una vecchia tonaca disadorna, senza mantello né copricapo; mentre avanza cade e si rialza continuamente. BELISARIO
FILIPO BELISARIO FILIPO BELISARIO
Se io avessi qualche colpa per meritar tutto questo non mi stupirei di essere beffato dalla fortuna, ma che coraggio e lealtà tali sventure subiscano, mai le orecchie dei mortali tanta crudeltà hanno udito. Fammi forte di pazienza, oh mio Dio, in questa sciagura, ché soltanto voi sapete quanto io sia innocente. Crebbi grazie alla virtù però quando più salivo l’invidia mi tratteneva; ma io, insistendo e cadendo, sotto l’impulso di entrambe all’invidia ho immolato i miei beni ed i miei occhi, e la fama alla virtù. Abbiamo pietà di lui. Chi parla? Filipo. Amico, se la sorte mi ha ridotto un misero mendicante, 1783
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
LEONCIO BELISARIO
FILIPO
dar, no siendo mi homicida, sustento a una poca vida, que es la hacienda que me queda. Nos darán por alevosos. No me socorráis, señores, si en efeto son traidores ya los hombres virtuosos. Sólo este palo te doy porque te sirva de arrimo.
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Vanse. BELISARIO
Es gran merced; yo la estimo. Siempre agradecido soy. ¿En qué han pecado los ojos que la luz vital les quitan? Haberme dado la muerte menor tormento sería. Mi Dios, ¿en qué te ofendí, que de esta suerte castigas mis pecados? Tú lo sabes, eterna sabiduría. Hombres, Belisario soy; el que reinos y provincias ganó al imperio; sin ojos por estos campos mendiga.
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Sale Narses. NARSES
BELISARIO
Las telas se han de poner desde el bosque hasta la orilla de este camino. Señores, dad limosna a quien podía ser rey del mundo, y se ve derribado de la envidia.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
LEONCIO BELISARIO
FILIPO
non essendo mia omicida, datemi qualcosa che sia sostento alla mia vita, ché quella sola mi resta. Ci chiameranno felloni. Non aiutatemi, allora, se, in effetti, i virtuosi ormai sono traditori. Questo bastone ti do, che ti serva da sostegno. Escono di scena.
BELISARIO
Grande favore mi fai. Te ne sarò sempre grato. Che peccato hanno commesso gli occhi privati di luce? Certo la morte sarebbe stata un minore tormento. Dio, in cosa mai ti ho offeso, che in questo modo castighi i miei peccati? Lo sai tu, che sei eterna saggezza. Gente, io son Belisario, colui che regni e province ha conquistato all’impero; e adesso mendico cieco. Entra Narses.
NARSES
BELISARIO
Si recinti per la caccia lo spazio che va dal bosco fino alla strada. Signori, fate la carità a chi re del mondo poteva essere, e dall’invidia è distrutto. 1785
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
NARSES BELISARIO NARSES BELISARIO
NARSES BELISARIO
NARSES
Dad limosna a Belisario, cuya famosa cuchilla Asia y África temieron. Tu adversidad me lastima. ¿Es quien habló Narses? Sí. Pues de escarmiento te sirva ver del mayor edificio las asoladas ruinas. Lee en mis ojos los sucesos de los mortales, y mira las vueltas de la fortuna en mis calientes cenizas. Admiración das al mundo. Socórreme en la fatiga de mi adversidad. No puedo, que el Emperador se indigna con quien pretende ampararte.
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Vase. BELISARIO
Socórranme las divinas manos de Dios, que ellas solas son liberales y ricas. ¿Qué mucho que los amigos hoy me nieguen las reliquias y migajas de sus mesas, si temen la tiranía de un Emperador ingrato? Pero callemos; no digan que muriendo le ofendió quien no le ofendió en la vida.
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Sale Floro.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO
NARSES BELISARIO NARSES BELISARIO
NARSES BELISARIO
NARSES
Carità per Belisario, la cui spada tanto celebre l’Asia e l’Africa temettero. La tua avversità mi affligge. È Narses che parla? Sì. Che da monito ti serva osservare le rovine del più grande edificio. Leggi i casi dei mortali dentro i miei occhi e guarda i giri della fortuna sopra le mie calde ceneri. Meravigli il mondo intero. Allevia le mie fatiche in questa avversità. No: l’imperatore si indigna con chi vuole aiutarti. Esce di scena.
BELISARIO
Mi aiutino le divine mani di Dio, le uniche ad esser ricche e magnanime. Come possono gli amici oggi negarmi le briciole e i resti del loro cibo, temendo la tirannia di un imperatore ingrato? Che io taccia; non si dica che chi non l’offese in vita ora lo offende morendo. Entra Floro.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO FLORO BELISARIO FLORO
BELISARIO
Mi señor. ¿Quién habla? Floro. También fui zorra. La villa me han quitado. Si los ojos te dejan, ten alegría. Mendiguemos por el mundo, ya que mis pasos imitas, dejando yo a las historias ejemplos de la desdicha. Mortales, alerta, alerta. Esta es la mayor caída que dieron ni que darán los privados. A mi dicha no llegó ningún vasallo. Con el César competía mi fortuna.
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[Salen] el Emperador y los demás. EMPERADOR
BELISARIO
EMPERADOR
Quite el campo mis graves melancolías. Caminantes peregrinos, si hay lástima que os permita tener dolor, Belisario es ya la fábula y risa de la Fortuna. Limosna va pidiendo el que solía hacer bien a todos, y hoy no hallo persona viva que me favorezca. ¡Cielos! ¿Este espectáculo miran mis ojos? Piedad es ya la que hasta aquí fue justicia.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO FLORO
Mio signore.
BELISARIO
Chi è che parla? Floro. Anche volpe son stato. La città mi hanno sottratto. Sii felice, se hai i tuoi occhi. Mendichiamo per il mondo giacché segui le mie orme, e consegni io alle storie gli esempi della sventura. Oh, mortali, attenti, attenti! Questa è la più gran caduta che un vassallo abbia mai fatto e mai farà. Nessun’altro ebbe sì propizia sorte. Competeva con il Cesare la mia fortuna.
FLORO
BELISARIO
[Entrano] l’imperatore e gli altri personaggi. IMPERATORE
BELISARIO
IMPERATORE
La caccia cancelli le mie tristezze. Oh, voi pellegrini erranti se provate, oltre alla pena, del dolore, Belisario è ormai favola e sberleffo della fortuna. Elemosina sta chiedendo chi soleva far del bene a tutti ed oggi non c’è una sola persona che mi sostenga. Oh, cielo! Quale spettacolo vedono i miei occhi! Ormai è pietà quello che è stato giustizia.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO BELISARIO
EMPERADOR
Dadme siquiera consuelo, porque la inocencia mía lo merece. No ofendí jamás al César. Malicia o envidia me han derribado, porque mi nombre eterniza el cielo en mi adversidad. Mudo estoy, y solicita la lengua hablar y no puede. Temo que fue tiranía mi rigor. Tarde lo temo; no quisiera que me digan las historias «el cruel».
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Por otra puerta [salen] Antonia, Marcia y Camila. MARCIA
BELISARIO
ANTONIA
Ven, Antonia, ven Camila, ya que se queda Teodora entre aquellas fuentecillas. Hacia aquí ha sonado gente. Señores, si el mal lastima cuando no se ha merecido, dad limosna a quien castiga la Fortuna por leal. ¿Qué ilusión, qué sombras frías, qué sueño, qué devaneos perturban mis fantasías? No puedo hablar. ¡Belisario! toda el alma me palpita. Temblando en el pecho, – ¡cielos! – salir ha querido aprisa el sentimiento del pecho, mas no pudo y se retira, hasta que resuelto en llanto destile tantas fatigas. ¡Belisario, Belisario!
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO BELISARIO
IMPERATORE
Almeno dammi conforto, perché questa mia innocenza lo merita. Mai ho offeso il Cesare. La malizia o l’invidia mi han distrutto, perché in questa avversa sorte Dio immortala il mio nome. Sono muto e la mia lingua chiede invano di parlare. Temo che tirannia è stata il mio rigore. Ormai è tardi; non vorrei mi raccontassero le storie del «re crudele».
Da un’altra porta [entrano] Antonia, Marcia e Camila. MARCIA
BELISARIO
ANTONIA
Venite, Antonia, Camila, giacché Teodora è rimasta là, presso quelle sorgenti. Sento voci di persone. Signori, se il male affligge quando non è meritato, carità a chi la Fortuna, per la sua lealtà, condanna. Che illusioni e fredde ombre, che sogni, che fantasie perturbano la mia mente? Non riesco più a parlare. Belisario! Sto tremando. Trema il mio petto, Dio mio! ha voluto uscire in fretta il sentimento dal petto: non potendo, si ritrae, fino a che, disciolto in pianto, diluirà ogni mia pena. Belisario, Belisario!
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
BELISARIO
¡Ya entre las lágrimas vivas pude pronunciar tu nombre! Antonia, esa voz me quita, la vida que me quedaba, porque el alma para oírla se va asomando a la boca. Tú sabes que no ofendía a su Majestad. Mi honor te encomiendo. Adiós.
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Déjase caer junto al paño, y queda cubierto. ANTONIA
EMPERADOR
¿Qué arpía, qué tigre, qué fiera habrá que a tal dolor se resista? Emperador riguroso, tirano, cruel, homicida, que a deshacer tus hechuras te arrojas y determinas tan a ciegas, Belisario cortésmente me servía y Teodora me envidiaba; un papel, que me escribía Belisario, me quitó, y viéndose aborrecida de tu vasallo leal, convirtió su amor en ira. Calla Antonia; calla Antonia; más palabras no repitas, que las creo y me atormentan. ¡Mal haya el rey que derriba sin acuerdo y sin firmeza al hombre de quien se fía! Murió el mayor capitán que las naciones antiguas ni venideras tendrán.
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BELISARIO
Tra queste mie calde lacrime, il suo nome ho detto infine! Questa tua voce mi toglie la vita che mi restava perché l’anima si affaccia, per ascoltarla, alla bocca. Tu sai che non ho mai offeso sua Maestà, ed il mio onore io ti affido. Addio. Si lascia cadere vicino al telone che lo copre.
ANTONIA
IMPERATORE
Non v’è arpia né tigre né fiera immune a un tale dolore! Imperatore crudele, bieco tiranno, omicida, che ti precipiti a uccidere le tue creature e disponi delle leggi ciecamente. Belisario mi adorava e Teodora mi invidiava; ella mi sottrasse un foglio che mi scrisse Belisario: sentendosi rifiutata dal tuo vassallo leale trasformò il suo amore in ira. Taci Antonia; taci Antonia; altre parole non dire: io ti credo e mi tormentano. Sciagura al re che distrugge senza consiglio e certezza l’uomo del quale si fida! Morto è il più gran capitano delle nazioni passate e anche di quelle venture.
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO
ANTONIA EMPERADOR ANTONIA
EMPERADOR
ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA
Vengue en mis entrañas mismas el cielo su mal. Teodora repudiada y abatida ha de ser, y sola Antonia, porque él la amó, será mía. Eso no; que vendré a menos. ¿Por qué? Tuvo Roma invicta muchos Césares, y sólo un Belisario. Altas piras y túmulos honorosos, honras varias y exquisitas, le haré en su muerte. Ya es tarde. No me niegues. Soy muy fina. Bien le quise yo. No hiciste. Su virtud amé. Es mentira. Engañeme. No eres cuerdo. Tuyo seré. Mal porfías. Amaré. A Teodora puedes. Fue desleal. No la olvidas. Ya la repudio. La adoras. Mataréla. No me obligas. Sola Antonia... No me nombres. ¿Qué temes? Que solicitas...
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ANTONIA IMPERATORE ANTONIA
IMPERATORE
ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA
Vendichi su di me il cielo il male che ho provocato. Teodora ripudierò: sarà uccisa. Solo Antonia, che egli ha amato, sarà mia. Questo no, ché morirei. Perché? Roma invitta ha avuto molti Cesari e soltanto un Belisario. Alti roghi e degni tumuli, onori vari e speciali io farò alla sua morte. Ormai è tardi. Non contraddirmi. Sia mai. Gli ho voluto bene. Affatto. Ne amai la virtù. È falso. Ho sbagliato. Sei un pazzo. Sarò tuo. Insisti invano. T’amerò. Puoi amar Teodora. Mi ha tradito. Non la scordi. La ripudio. Tu l’adori. La uccido. Non mi riguarda. Antonia... Taci il mio nome. Cosa temi? Che tu voglia... 1795
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MIRA DE AMESCUA EL EJEMPLO MAYOR DE LA DESDICHA, ACTO TERCERO EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADOR ANTONIA EMPERADO
¿Qué...? ...mi muerte. No la temas. Miro ejemplos. Y fe miras. Fui de Belisario. Y yo. Sí, más fuiste... ¿Qué...? ...homicida. Te estimaré. Soy constante. ¿No me querrás? ¡No, en mis días! ¿No has de amar? No. Pues acabe en tu firmeza, y su vida, el ejemplo mayor de la desdicha.
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MIRA DE AMESCUA IL PIÙ GRANDE ESEMPIO DELLA SVENTURA, ATTO TERZO IMPERATORE ANTONIA
Che...? ...uccidermi. Non temere.
IMPERATORE ANTONIA
Ho gli esempi. Hai anche la fede.
IMPERATORE ANTONIA
Son stata sua.
IMPERATORE
Anch’io. Sì, ma anche... Che...? ...assassino. T’amerò. Non cambio idea. Non mi vorrai? In vita, mai. Non mi amerai? No. Or si chiuda con te e lui, fermezza e vita, il più grande esempio della sventura.
ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE ANTONIA IMPERATORE
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Francisco de Rojas Zorrilla
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La vita e le opere
Francisco de Rojas Zorrilla nacque a Toledo il 4 ottobre 1607,1 da un «alférez» che ebbe almeno altri 5 figli; quando aveva tre anni la famiglia si trasferì a Madrid; e qui lo ritroviamo, forse dopo aver frequentato l’università di Alcalá o Salamanca, nel 1631, quando collabora con una composizione poetica all’Anfiteatro de Felipe el Grande (Anfiteatro di Filippo il Grande). Nell’anno seguente Montalbán lo menziona nel Para todos, lodandolo come «poeta florido, acertado y galante, como lo dicen los aplausos de las ingeniosas comedias que tiene escritas».2 Commedie sue si rappresentano a palazzo nel 1633, 1635, 1636; partecipa a varie feste letterarie che si celebrarono per la venuta a corte della principessa di Carignano e della duchessa di Chevreuse. Una satira troppo violenta in una di queste feste dà luogo a un duello dove Rojas viene ferito e addirittura si sparge la notizia della sua morte; ma pochi mesi dopo, ristabilito, compone Entre bobos anda el juego, dove appare una lettera datata 4 settembre 1638. Nel 1639 gli vengono affidati gli autos per il Corpus Domini, e l’incarico si ripete nel 1640 e nel 1641: la sua maniera teatrale gode dunque di grande auge; come conferma il fatto che per l’inaugurazione del nuovo teatro del Buen Retiro, il 4 febbraio 1640, si sceglie proprio una sua commedia, Los bandos de Verona (Le fazioni di Verona). Il 21 novembre dello stesso anno si sposa; dal matrimonio, due anni dopo, nascerà un unico figlio (precedentemente da una commediante, María de Escobedo, aveva avuto una figlia naturale, che diventerà anch’essa famosa come attrice con il soprannome di «La Bezona»). Sempre nel 1640 Rojas riunisce la prima parte delle sue commedie, cui seguirà nel 1645 una seconda parte; ne aveva promessa una terza che non fu mai pubblicata. 1801
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA
La sua vita fortunata culmina con il cavalierato di Santiago, che Filippo IV gli concesse nonostante le informazioni negative, consegnate in documenti che hanno permesso di fissare con una certa esattezza gli avvenimenti della sua esistenza. Anche a non dar credito ad alcune informazioni, secondo le quali Rojas discendeva da moriscos ed ebrei, resta il fatto che il padre era stato «escribano de número» a Murcia, ufficio che veniva considerato «basso». Perché Rojas potesse accedere all’onore del cavalierato, si dovette quindi chiedere la dispensa al papa, che la concesse immediatamente: la raccolta delle informazioni terminò prima dell’ottobre 1645, ed il 16 maggio 1646 Rojas era nominato cavaliere. Ma il 6 ottobre dello stesso anno muore la regina Isabel e le rappresentazioni vengono sospese per il lutto; per la morte dell’erede Baltasar Carlos la proibizione si rinnova fino al 1649, anno in cui il re sposa Mariana de Austria. Ma Rojas era già morto, il 23 gennaio dell’anno precedente, forse repentinamente, dal momento che non poté fare testamento. L’ultima opera sua che vide rappresentata fu dunque un auto, El gran patio de Palacio (Il gran cortile di Palazzo), allestito per la festa del Corpus Domini del 1647. Rojas coltiva un tipo di commedia tragica che si è definita senechista, e di fronte alla quale la critica denuncia spesso una sensazione di malessere;3 i suoi «eccessi», le sue «stravaganze», sono stati spiegati variamente. Per esempio si è visto in questa violenza l’esplosione di un contrasto tra l’identificazione ideologica del drammaturgo con la commedia nazionale, conservatrice e reazionaria, e il dramma personale di Rojas, a cui il processo per il cavalierato di Santiago nega la «purezza di sangue» e quindi la rispettabilità sociale.4 Ma bisognerà anche pensare a ragioni squisitamente «letterarie»: quando egli comincia il suo lavoro di scrittore, verso il l630, da vari decenni un pubblico ricettivo aveva assistito ad una intensa attività teatrale, presenziando a migliaia di commedie: non meraviglia, dunque, che si cerchino temi nuovi o soluzioni inusitate. Nell’intento di superare meccanismi e formule Rojas può così elaborare commedie come Progne y Filomena, Morir pensando matar (Morire pensando di uccidere), Los encantos de Medea (Gli incanti di Medea), o dare nuova voce al vecchio tema di Numanzia. O ancora cercare diverse soluzioni al problema dell’onore, come nella stessa commedia per la quale Rojas è più ricordato, Del rey abajo ninguno (Dal re in giù nessuno); soluzioni a volte rischiose, se è vero che Cada cual lo que le toca (A ciascuno 1802
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LA VITA E LE OPERE
il suo), conobbe un clamoroso insuccesso, secondo la testimonianza di Bances Candamo, perché il pubblico non accettò la presentazione osée di una fanciulla non più vergine al momento del matrimonio. Ed anche l’indugio su una sensualità compiaciuta, la descrizione della dama che si bagna, e che addirittura mostra il piede nudo,5 è una di queste vie verso il rinnovamento di una formula teatrale. Forse ancora ricerca di novità è l’invenzione del genere «de figurón», con Entre bobos anda el juego, una delle prime manifestazioni del genere, che fa parte dei testi qui presentati. MARIA GRAZIA PROFETI
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Entre bobos anda el juego Non si sa chi sia il più furbo! Testo spagnolo a cura di MARIA GRAZIA PROFETI Nota introduttiva di MARIA GRAZIA PROFETI Traduzione e note di SILVIA ROGAI
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Nota introduttiva
1. Francisco de Rojas scrive Entre bobos anda el juego nel 1638: la data «a 4 de setiembre de 638 años» sigla la ricevuta che il protagonista consegna al padre della fanciulla nel primo atto (v. 514). L’autore, nato a Toledo nel 1607, era al culmine della sua fama.1 Quando Rojas inizia il suo lavoro di scrittore teatrale, verso il 1630, a Madrid si stava svolgendo, dalla fine del secolo anteriore, una intensissima attività teatrale; un pubblico vorace aveva «consumato» migliaia di commedie, e i commediografi stavano cercando temi nuovi e soluzioni inusitate. In questa ricerca di innovazione tematica Rojas giunge a sperimentare un tipo di commedia «tragica», che è stata definita «senechista»;2 con soluzioni innovative anche riguardo al consueto tema dell’onore, che a volte producevano dei veri e propri schock nel pubblico, in certi casi determinando l’insuccesso dei testi.3 Il commediografo sembra perseguire un’originalità tesa a violare l’«orizzonte d’attesa» del pubblico conservatore dei Secoli d’Oro, dipinto da Rodríguez Puértolas;4 d’altro canto la rottura della norma è uno dei principali stimoli estetici, come si viene ripetendo da Jakobson in avanti. Buon esempio di tali intenzioni innovatrici, fino alla stessa soluzione finale, è costituita da Entre bobos anda el juego. Gli studiosi sottolineano che si tratta della prima commedia de figurón («mascherone») conosciuta, anche se la deformazione violenta ed iperbolica di un carattere presenta esempi anteriori, come La dama boba di Lope de Vega, che è del 1613 circa:5 Rojas Zorrilla lavora dunque a partire da vari testi precedenti, tra i quali figura El marqués del Cigarral di Castillo Solórzano, da cui forse trae il soprannome del pro1807
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!
tagonista, Don Lucas del Cigarral. Un corpus che ci permette di tentare una definizione della comedia de figurón, distinguendola da testi che si prefiggevano ugualmente di divertire l’uditorio, per esempio la cosiddetta «comedia de disparates» o le «commedie burlesche»,6 ma attraverso meccanismi e temi diversi. La comedia de figurón fa parte della più ampia categoria delle commedie «de capa y espada», che si svolgevano a Madrid e rispecchiavano abitudini e costumi del tempo; tenendo fede alla sua stessa definizione ruota intorno a un personaggio grottesco e caricaturale, che l’autore intende stigmatizzare; si ottiene così il divertimento dell’uditorio, secondo la formula ridendo castigat mores. La costante fondamentale di questo tipo di testi è l’opposizione tra Madrid, centro dell’impero e luogo di eleganza perfetta, e la cittadina di provincia da cui il figurón proviene. Questi desidera uscire dalla propria condizione periferica per mezzo di un matrimonio, che vede come mezzo di promozione sociale, ed a cui pensa di poter aspirare per la propria bellezza o ricchezza, come accade in Entre bobos. Ma questo matrimonio, che un padre poco saggio impone alla figlia, non potrà realizzarsi (altro dato costante del «genere»); mentre nessuna evoluzione è possibile nel figurón, a causa di due sue caratteristiche: la prima è l’incapacità di capire le finezze nelle relazioni, le abitudini di Madrid; la seconda è una assoluta fiducia in se stesso: ci troviamo sempre davanti a un narcisista che non è in grado di percepire i propri limiti, di rendersi conto dei valori sui quali si fonda la «commedia di cappa e spada»: eleganza di comportamento, raffinatezza del linguaggio.7 Così scoppia la risata, che tuttavia non ha la funzione di emendare, ma di cauterizzare; non ha un compito normativo, ma terapeutico:8 lo stravagante, che non vuole o non può adeguarsi agli usi della capitale, riceverà il suo castigo e non si integrerà nella società attraverso le nozze; nel caso di Entre bobos si tratta di una più interessante autoesclusione. Come accade in molte commedie di «capa y espada», il suo pretesto iniziale sono le nozze che don Antonio impone a sua figlia Isabel; ma nuovo elemento, portante fin dalle prime battute, è quello del viaggio, trasgressione evidente: mentre il teatro è presenza nella cassa quadrata del palcoscenico, da cui non si può evadere se non attraverso il racconto, l’autore presenta ora un gruppo di personaggi che si muove dalla capitale verso Toledo, in una zona geografica raffigurata con grande precisione: la prima jornada inizia a Madrid e si conclude a Torrejoncillo, la seconda 1808
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NOTA INTRODUTTIVA
si svolge nell’osteria di Illescas, la terza inizia sulla strada per Cabañas de la Sagra e termina nella stessa Cabañas. Se la commedia «de figurón» presenta sempre un personaggio provinciale alle prese con il mondo della capitale, e che da Madrid sarà respinto, ora è Madrid stessa con tutti i suoi valori che si sposta verso l’esterno. E se il tema del viaggio aveva fatto la sua comparsa nel teatro varie volte, anche in commedie «serie» (come esempio ricordo i percorsi da Olmedo a Medina e da Medina a Olmedo nel Caballero omonimo di Lope)9 qui è l’intera troupe dei personaggi che con il debito accompagnamento di carrozze, portantine, cavalli, si muove dalla capitale verso la patria di Rojas – che era toledano, come sarà utile ricordare – in un paesaggio ostile di osterie e con tipici incidenti di viaggio. Uno dei valori essenziali della capitale è l’eleganza dell’elocuzione, che nel caso delle relazioni intersessuali assume l’aspetto del «corteggiamento»; in Entre bobos nessuno dei due protagonisti negativi saprà condurre questo «gioco di parole»: lo sposo imposto, don Lucas, per una sua fondamentale rozzezza e mancanza di cortesia; il pretendente respinto, don Luis, perché troppo affettato, irretito in un eccesso di convenzionalismo. Accanto ai due bobos si colloca il personaggio positivo, don Pedro, nipote di don Lucas, momento di equilibrio tra le «azioni» e le «parole»: egli ha infatti salvato la protagonista in pericolo e sa esprimere con compiuta eleganza i moti del suo animo. Non solo in una lunga scena del primo atto, di fronte alla dama coperta da una mascherina ed in risposta alle sue parole, è capace di organizzare un gioco concettuale basato sulla mancanza, la privazione, l’indizio; ma in una scena del secondo atto, che ricorda il momento in cui poté salvare la protagonista, la descrive al bagno, attraverso l’antitesi bellezza coperta/ bellezza svelata. Purtroppo un cavaliere così perfetto è povero, e destinato alla sciocca sorella di don Lucas, doña Alfreda. Proposti così i personaggi positivi e quelli negativi, il gioco scenico dovrà funzionare come ritardo, con grossolane zuffe tra don Lucas e don Luis, svenimenti delle dame, rivelazioni del proprio amore al personaggio sbagliato, entrate e uscite dalla camera di Isabel nell’albergo di Illescas. Il tema sviluppato è la possibilità di mentire attraverso la parola, che l’eleganza cortigiana porta con sé, la possibilità dunque di adulterare la realtà, di fronte alla quale don Lucas respinge il mondo della capitale (vv. 1899-904). 1809
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2. Sarà ora il caso di analizzare la commedia in dettaglio. Nel primo nucleo scenico10 Isabel e Andrea discettano quasi accademicamente sul matrimonio, il corteggiamento (galanteo), e la possibilità di esprimere i sentimenti e l’afecto. Le loro parole stabiliscono una serie di antinomie e di opposizioni: da un lato il galanteo, dall’altro l’amor honesto; il primo si basa su parole vane, è la vista che lo scatena ed è destinato ad avere vita breve; il secondo nasce dalla consuetudine (trato) e dura nel tempo. Dopo questa proposta teorica del tema, vengono presentati i due protagonisti negativi, i due sciocchi (bobos) tra i quali «andará el juego». Il primo, don Luis, cavaliere «culto a todo vocablo», «que habla a borbotones» (v. 101), sembra supplire i sentimenti reali, che non vive effettivamente, con una forma convenzionale di rappresentarli, cioè di fingerli. Il secondo bobo è il marito imposto, don Lucas, ridicolo fin dal suo stesso nome, «excelente... para galán de entremés» (vv. 191-92).11 Rojas strizza l’occhio al suo pubblico, ricordandogli che si trova di fronte ad un eccesso di descrizione letteraria, e così lo prepara per una metadescrizione, affidata al personaggio che programmaticamente rappresenta la comicità: Cabellera, il buffo. E ritorna il tema della parola: don Lucas è un grande chiacchierone, meglio è un «hablador de cuentos», e per di più cattivo poeta. Come il frammento era stato preceduto da una dichiarazione meta-teatrale («galán de entremés»), ora Cabellera può chiuderlo sottolineando che solo di parole si è trattato: Estas, damas, son sus partes contadas de verbo ad verbum (vv. 267-68).
Nei vv. 145-58, cioè tra le due presentazioni negative dei pretendenti, Isabel aveva lasciato intravedere un suo interesse per un cavaliere misterioso, che le aveva salvato la vita; poche parole che rimangono sospese, un motivo appena accennato e che avrà un successivo sviluppo, come gli spettatori possono ben immaginare; per ora, accanto alle due grottesche figure, il buffo Cabellera dipinge quella di don Pedro, cugino di don Lucas, perfetta proiezione dell’«amoroso» connotato positivamente, ma le cui doti si annullano per un unico difetto: la povertà. È un tema che talora appare nella commedia del Siglo de Oro. Il fondamento della nobiltà è il valore personale e un lignaggio immacolato, 1810
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la ricchezza non è necessaria per considerarsi nobile, e in alcune occasioni viene manifestato anche un certo disprezzo verso il denaro, che rimanda alla screditata categoria dei mercanti12 e di alcuni compagnoli agiati: l’ideologia della commedia aurea coincide con gli ideali nobiliari della dominante casta aristocratica, nei quali si riconoscono perfino i livelli più bassi dell’uditorio.13 Tuttavia, anche se Rojas tratta il tema del denaro partendo da questa posizione convenzionale, riesce a condurlo verso soluzioni nuove ed interessanti. Il frammento ora si chiude con dichiarazioni che sottolineano la sordida avarizia di don Lucas e la forza delle inclinazioni personali (vv. 317-25). Dunque Rojas presenta ben tre personaggi maschili: Don Luis, che rappresenta la violenza della parola vacua, diventata grottesca; Don Lucas, che incarna la violenza delle cose, del denaro, la corporalità deformata;14 infine Don Pedro, che costituisce il momento di equilibrio tra parole e opere, poiché riunisce le finezze di un corteggiamento concettista e il valore personale. Cabellera si dedica poi alla descrizione della figura negativa della dama, doña Alfonsa, sorella di don Lucas, che è destinata al perfetto don Pedro: capricciosa, piena di paure, dedita a svenimenti finti, e così via (vv. 330-42). Così il primo nucleo della commedia (vv. 1-345) offre agli spettatori tutte le informazioni necessarie per il successivo sviluppo: il pubblico sa che l’autore, attraverso varie vicissitudini, dovrà riunire in un felice matrimonio la protagonista e il prototipo positivo del cavaliere, liberandoli dai falsi impegni che li legano ai personaggi negativi: i «bobos» e doña Alfonsa. Il secondo nucleo presenta l’interazione dei due protagonisti positivi (vv. 346-540), durante il percorso verso Toledo, si direbbe on the road, come in un film americano. Ed in effetti nel terzo nucleo (vv. 541-942) tutti i personaggi si trovano nella locanda di Torrejoncillo; il passaggio dall’ambiente «chiuso» di Madrid (la casa di don Antonio) allo spazio aperto è segnato da un piccolo intermezzo di insulti che l’oste ed i viaggiatori si scambiano fuori dello scenario. Gli spettatori vengono così informati della nuova ambientazione scenica (v. 544), e la scenetta, vera e propria decorazione verbale, sopperisce alla povertà scenica del corral.15 Alcuni meccanismi «tecnici» che Rojas utilizza per la costruzione della trama sono abbastanza correnti: la dama tapada (col volto nascosto: infatti Isabel è costretta a mettersi una mascherina sul volto durante il viaggio a Torrejoncillo, dove l’aspetta il futuro marito), e il caso (Isabel 1811
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riconosce in Pedro il suo salvatore, e ovviamente, quando si leva la mascherina, a sua volta il giovane riconosce in lei la dama che un giorno aveva salvato da morte sicura). Ma altri temi risultano ancor più interessanti: per esempio nelle parole che Isabel dirige al suo promesso sposo si rileva il tema della doppiezza, dell’ipocrisia del linguaggio: è giusto la «discreción» de Inés, la sua sagacia, che le permette di ingannare don Lucas. Ed ugualmente nuovo il meccanismo che consente ai due giovani di scambiarsi complimenti davanti a spettatori tanto scomodi come il padre e il futuro marito: è proprio quest’ultimo a pregare il cugino di «corteggiare» Isabel in vece sua. Ugualmente interessante la struttura linguistica, che alterna il raffinato scambio di complimenti dei protagonisti – costruiti con i materiali, le immagini della lirica amatoria, strutturati con la ferrea logica della disputatio accademica – e la connotazione del linguaggio di don Lucas, intessuto di modismi colloquiali o bassi, di detti proverbiali a volte male applicati. Anche don Luis riesce solo a produrre una volgare imitazione del linguaggio culto; e nello sfondo si percepiscono con chiarezza le polemiche contro i cosiddetti «culteranos», che negli anni trenta erano già un luogo comune: forme stereotipate, latinismi, costruzioni oscure, da leggere sullo sfondo delle parallele satire anticultiste di Quevedo. Riuniti nello spazio chiamato tertulia («conversazione»), il balcone alto situato a destra nei corrales,16 gli intellettuali di Madrid le avranno ascoltate con connivenza. Mentre a un livello basso e quasi infrarealista si situano gli insulti che si scambiano i viaggiatori e l’oste, con i loro doppi sensi, scatologici ed osceni. Dal secondo atto si tratta di ritardare la soluzione, e allo stesso tempo di prepararla adeguatamente, in conformità con le «leggi» della commedia; e di un insieme di convenzioni teatrali è intessuta la jornada: il primo nucleo (vv. 943-1340) ne è un vero e proprio campionario. Nel cortile della locanda di Illescas, sul quale si aprono tutte le porte delle camere, il primo amoroso descrive al servo le circostanze in cui ha salvato la dama e come se ne sia innamorato (vv. 981-1112). Isabel esce dalla sua stanza per dichiarare il suo amore «a los cielos», ma secondo un luogo comune scenico (simile a quello di Romeo e Giulietta di Shakespeare) lo rivela al suo innamorato. Tra i due personaggi si effettua uno scambio di dichiarazioni di amore e gelosia, con reiterati giochi retorici. 1812
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L’azione si intensifica quando giunge in scena don Luis, il che obbliga Pedro e Isabel a nascondersi nella stanza della dama. Uscite di scena dei personaggi, occultamenti reciproci, inganni e qui pro quo sostanziano tutto il secondo nucleo (vv. 1341-620). Luis manifesta il proprio amore a Alfonsa, credendola Isabel; Alfonsa pensa che il giovane che parla con lei sia Pedro; Lucas sorprende Cabellera di guardia alla stanza di Inés, e il servo cerca di intrattenerlo (vv. 1491-536), spengendo la candela perché Lucas non veda Pedro all’interno dell’alloggio di Isabel. Il lettore attuale dovrà ricordare che la messa in scena nel corral si svolgeva di giorno, sotto la luce del sole, il che permetteva allo spettatore di distinguere perfettamente le entrate e le uscite dei personaggi; la convenzione scenica regna sovrana e unisce l’emittente ai suoi destinatari attraverso la recitazione. E quindi l’autore può proporre anche il cambiamento convenzionale di scena (didascalia successiva al v. 1564) che passa dal cortile della locanda alla stanza di doña Isabel, dove resta fi no alla fi ne dell’atto: lo spettatore era abituato a «regole» teatrali che contavano sulla sua intuizione. Nel nucleo fi nale (vv. 1621-1756) tutti gli attori si trovano riuniti in scena: Lucas trattiene Pedro e gli domanda spiegazioni; Alfonsa sviene e Pedro cerca di dirle dei complimenti in modo che Lucas lo creda innamorato; Isabel lo sente e la sua gelosia si intensifica; Pedro le rinnova le sue proposte amorose, ma lo svenimento di Alfonsa era fi nto: irritazione di quest’ultima con il cavaliere, grande movimento sul palco e abituale interruzione dell’atto con dichiarazioni parallele (vv. 1729-36). Le possibilità di mentire e fingere attraverso le parole hanno assunto un nuovo rilievo. L’inizio del terzo atto (vv. 1757-2002) è retto dalla paralisi, sull’asse delle successive manifestazioni di gelosia dei componenti delle coppie. A una fermata imprevista, tra Illescas e Cabañas de la Sagra, don Lucas si allontana dal gruppo con don Antonio per manifestare i propri dubbi sull’onorabilità di doña Isabel, che vede troppo interessata a don Luis. Il colloquio è un pretesto utilizzato da Rojas in funzione di una autopresentazione del bobo (vv. 1775-1834); e si indovinano anche delle linee che saldano la comedia de figurón ai temi più sentiti del periodo. Certamente la reazione di don Antonio in una commedia «seria» dovrebbe dare luogo a un esito funesto («mataros era más justo», v. 1837) mentre ora è solo pretesto per un riassunto burlesco degli avvenimenti 1813
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anteriori (vv. 1339-90), atto a suscitare l’ilarità degli spettatori. Ma subito dopo si propone un tema serio, già presentato da Isabel all’inizio del primo atto: quello del vero amore, nascosto ed espresso con semplicità (vv. 1861-68). Se lo sciocco della comedia de figurón di solito si smarrisce nella selva del linguaggio, qui si verifica qualcosa di diverso: c’è la consapevolezza che l’eloquio può essere inganno e mascheramento, tema molto barocco, che i trattatisti svolgono ripetutamente.17 Le parole di don Lucas, nonostante la sua rozzezza, hanno un’essenza veridica e innegabile, che inizia a rivestire di dignità il personaggio (vv. 1899-1905). Per la prima volta, dunque, come teorizzano Lanot-Vitze, non è Madrid (IN) che rifiuta chi viene dalla provincia (EX); il punto di vista si sposta verso l’esterno, ed è il «provinciale» che respinge gli usi adulteranti della corte, e censura le donne che si comportano liberamente. Il gioco di parole dei vv. 1908-10, il toponimo «calle de Francos», la ripetizione di vuestra («vuestra hija, vuestra calle») sottolineano l’allontanarsi della prospettiva (da EX verso IN). Nel nucleo successivo (vv. 2003-2438) viene proposta la seconda scena caratterizzante di viaggio (vv. 2003-22): fuori dello scenario si ripetono gridi di mulattieri, imprecazioni, un canto intessuto di doppi sensi. Con nuove allusioni agli usi disinvolti di Madrid, alle «mozuelas de la corte», che appaiono in cammino verso Huete e Alcalá de Henares (v. 2016), luoghi dove esistevano carceri correzionali femminili. Rojas utilizza tutti i mezzi (in questo caso il tono tra picaresco e rustico della scena) per sottolineare il cambiamento di prospettiva. Dal punto di vista della tecnica teatrale, la nuova interruzione del viaggio permette che si aprano nuovi colloqui: una carrozza si rovescia e don Pedro accorre in aiuto di doña Alfonsa, mentre Isabel si lamenta con il suo innamorato (vv. 2041-24). In una dinamica amorosa elegante i due protagonisti cercano reciprocamente di placare la gelosia dell’altro; Inés chiama addirittura don Luis per respingerlo pubblicamente: nuovo pretesto per l’ostentazione culta del secondo sciocco (vv. 2211-62). L’intreccio si ingarbuglia sempre più: don Luis è convinto di aver parlato con doña Inés, e che questa gli ha dato speranze per ingannarlo poi con don Pedro. Nuove scene di gelosia da parte di questi e nuove eleganze nell’introspezione amorosa (vv. 2303-68).
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L’arrivo di don Lucas e doña Alfonsa (vv. 2369-2438) permette di ripetere una serie di giochi verbali: ognuno dei due protagonisti, con una sottile rete di dilogie, cerca di ingannare l’altro. È il trionfo della duplicità del linguaggio, che provoca grottescamente, a richiesta di don Lucas, un abbraccio tra i due protagonisti. Il commento del bobo avrà suscitato le risate del pubblico: «Sois muy honesta, Isabel» (v. 2408). Si giunge così al nucleo finale (vv. 2439-2774), che si svolge a Cabaña, e usa esclusivamente un lungo romance assonante in á. I due sciocchi si affrontano, e un sicuro effetto comico è ottenuto dalla continua «traduzione» in termini reali dell’improbabile linguaggio di don Luis. Davanti a tutti i personaggi riuniti in scena Cabellera chiarisce che don Luis nella famosa locanda di Illescas aveva parlato con doña Alfonsa credendola Isabel; e i due giovani confessano la loro reciproca attrazione. La soluzione saranno dunque le nozze tra i protagonisti, ed anche la coppia ridicola doña Alfonsa-don Luis si unirà a Toledo: tutti si incamminano alla volta della città. Ma la conclusione è felice solo apparentemente: la povertà, il denaro, tema sconveniente sul palcoscenico del Siglo de Oro, recupera qui tutti i suoi diritti; la commedia, che era iniziata con la presentazione positiva del cavaliere e negativa del ricco provinciale, finisce abbracciando un punto di vista molto diverso. Si è fatto giustizia della falsa apparenza del linguaggio, proprio mentre fisicamente dal centro dell’impero la compagnia si è spostata in scomodi alberghi, si è esposta agli insulti dei mulattieri e degli osti; cominciata in Madrid la commedia termina a Cabañas «desaliñado lugar» di cui si può dire «la primer pulga.../ fue de aquí natural» (vv. 2440-42): l’illusione artificiosa della grandezza della capitale si confronta, attraversando gli inganni del linguaggio, con la crisi della realtà, con l’amara realtà della nazione. E lo sciocco non lo è tanto come sembrava, è lui che appare come il vero saggio; il titolo stesso della commedia lo sottolinea, dal momento che il proverbio usato da Rojas «se dice cuando los que pretenden alguna cosa son igualmente bellacos y diestros, que con dificultad se dejarán engañar».18 3. Entre bobos anda el juego viene stampata nella Segunda parte de las comedias de don Francisco de Rojas Zorrilla, Madrid, F. Martínez, 1645, ff. 43r-63v, in una collezione curata dal suo stesso autore, che va considerata affidabile come testo base di edizione. La fortuna della commedia è at1815
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testata da due ristampe in collezione (nel 1646 e 1680) e da varie stampe «sciolte» che dal sec. XVII continuano fino all’inizio del XVIII; essa è inoltre presente nella compilazione Teatro español effettuata da García de la Huerta nel 1785,19 ed in varie raccolte ottocentesche di Rojas, certo poco accurate fi lologicamente, ma che dimostrano un interesse per il testo, sottolineato anche dalle «rifusioni».20 Tomás Luceño e Carlos Fernández Shaw le dettero poi forma di operetta (zarzuela), con la musica del maestro Amadeo Vives.21 In Italia la commedia ha avuto una certa fortuna sia coeva che nel secolo XVIII,22 ma ho notizia di una sola traduzione successiva alla seconda metà dell’Ottocento: quella, naturalmente in prosa, di Giovanni La Cecilia, che le affibbia il titolo di Da galeotto a marinaro, definendolo «motto proverbiale, che il traduce a capello».23 Come notazione conclusiva osserverò che le caratteristiche della commedia di Rojas si rilevano nettamente leggendola sulla falsa riga di El sí de las niñas di Leandro Fernández de Moratín, il «rifondatore» della commedia spagnola sulle soglie dell’Ottocento.24 Certo, Moratín era un appassionato lettore del teatro aureo, ed un punto di contatto importante è che l’azione del Sí de las niñas si svolge in una locanda, mettendo per di più in atto un triangolo amoroso tra una coppia di innamorati e un marito imposto. Ma le somiglianze tra i due testi si limitano a questi dati esterni. Non ci sarà bisogno di ricordare che l’unità di luogo in Rojas è inesistente, dato che Entre bobos si struttura proprio sul movimento del viaggio; e nello stesso secondo atto, che si svolge di notte nella locanda di Illescas, si passa dal cortile del mesón all’interno della stanza di doña Isabel. Inoltre don Lucas e don Pedro sono coetanei, e quindi l’opposizione non è tra gioventù e vecchiaia (come in El sí de las niñas), ma tra l’eleganza ed il valore di don Pedro e l’universo grossolano di don Lucas. Infi ne la forma dell’espressione, il tessuto letterario, lo sfondo lirico degli innamorati, i riferimenti alle polemiche anticultiste legano in modo indissolubile il testo di Rojas al suo raffinato contesto barocco. E ovviamente molto diverso il tipo di «insegnamento» che le due commedie si propongono: in Rojas la satira ha come bersaglio la falsa apparenza, dipingendo un mondo dove nessuno è completamente esente da difetti (gli innamorati mentono, i bobos sono grotteschi, il padre avido), con ampi margini di ambiguità; un mondo dove la sottolineatura 1816
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burlesca dà luogo a ben cinque caratteri buffi (don Lucas e don Luis, Cabellera e Carranza, doña Alfonsa). Moratín, dipendendo dalla forma del mondo del suo tempo, preoccupato di fornire un insegnamento e «moralizzare» i costumi, offre al suo pubblico un messaggio didattico, ben leggibile, adottando le «norme» pseudo-aristoteliche e proponendo una nuova «versosimiglianza» teatrale, che richiede, ad esempio, l’uso della prosa in luogo della polimetria aurea. MARIA GRAZIA PROFETI
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ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO PERSONAS QUE HABLAN EN ELLA
DON PEDRO
DON LUCAS
CABELLERA,
DOÑA ISABEL DE PERALTA
gracioso DON ANTONIO, viejo DON LUIS CARRANZA,
ANDREA,
criada
DOÑA ALFONSA
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NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO! PERSONAGGI DELLA COMMEDIA
DON PEDRO
DON LUCA
PARRUCCONE,
buffone DON ANTONIO, vecchio DON LUIS
CARRANZA,
DONNA ISABELLA DE PERALTA ANDREINA,
serva
DONNA ALFONSA
servo
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
PRIMERA JORNADA Salen doña Isabel, con bohemio, y Andrea, criada. ISABEL ANDREA ISABEL
ANDREA
ISABEL
ANDREA
Llegó el coche, es evidente. Y la litera también. ¡Qué perezoso es el bien, y el mal, oh, qué diligente! ¡Que mi padre, inadvertido, darme tal marido intente! Marido tan de repente no puede ser buen marido. Jueves tu padre escribió a Toledo, ¿no es así? Pues viernes dijo que sí, y el domingo por ti envió. Cierta esta boda será, según anda el novio listo, que parece que te ha visto en la priesa que se da. A obedecer me condeno a mi padre, amiga Andrea. Puede ser que éste lo sea, pero no hay marido bueno. Ver cómo se hacen temer a los enojos menores, y aquel hacerse señores de su perpetua mujer; aquella templanza rara y aquella vida tan fría, donde no hay un «¡alma mía!» por un ojo de la cara; aquella vida también sin cuidados ni desvelos, aquel amor tan sin celos, los celos tan sin desdén, la seguridad prolija
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PRIMO ATTO Entrano in scena donna Isabella, con una mantellina, e Andreina, serva. ISABELLA ANDREINA ISABELLA
ANDREINA
ISABELLA
ANDREINA
È arrivata la carrozza. Ed anche la portantina! Tanto è cauto e onesto il bene quanto il male va di corsa! Mio padre è forse impazzito? Mi sposa al primo arrivato? Matrimonio improvvisato non porterà buon marito. Tuo padre ha scritto a Toledo, se non sbaglio, giovedì, venerdì ha detto di sì e domenica di già manda a prenderti qualcuno. Nozze certe! Il tuo promesso sembra quasi ti abbia vista dalla fretta che si è messo. Non posso fare nient’altro che obbedire, amica mia. Può darsi che lui lo sia, ma non è mai esistito, che io sappia, un buon marito. Si sanno solo arrabbiare per tutto o fare i signori dell’affezionata sposa; così controllati, loro, e così freddi, per Dio, che non hai un «amore mio» nemmeno a pagarlo oro; vita priva di premure, desiderio o cortesia, si ama senza gelosia, gelosia senza passione; la tranquillità eccessiva, 1821
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
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y las tibiezas tan grandes, que pone un requiebro en Flandes quien llama a su mujer «hija». ¡Ah! Bien haya un amador destos que se usan agora, que está diciendo que adora, aunque nunca tenga amor. Bien haya un galán, enfín, que culto a todo vocablo, aunque una mujer sea diablo, dice que es un serafín. Luego que es mejor se infiera, haya embuste o ademán, aunque más finja un galán que un marido, aunque más quiera. Lo contrario he de creer de lo que arguyendo estás, y de mi atención verás que el marido y la mujer, que se han de tener, no ignoro, en tálamo repetido, respeto ella a su marido y él a su mujer decoro; y este callado querer mayor voluntad se nombre; que no ha de tratar un hombre como a dama su mujer. Y ansí mi opinión verás de mi argumento evidente: menos habla quien más siente, más quiere quien calla más. No esa llama solicito, todo lenguas al arder, porque un amor bachiller tiene indicios de apetito; y ansí, tu opinión sentencio a mi enojo o mi rigor,
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la freddezza smisurata che chi arriva a dire «cara» pare faccia chissà cosa. Ma meglio un innamorato, quelli che ci sono ora, che ti dice che ti adora anche se non ha mai amato. Molto meglio un galantuomo che sa parlare elegante, e anche a una donna demonio sa come dire che è un angelo. Ne consegue, è presto detto, meglio un bugiardo galante, di amore finto, ma amante, che un marito, anche se ama. Io invece credo che sbagli in ciò che vuoi dimostrare: e se mi stai ad ascoltare vedrai che mariti e mogli possono anche, tra loro, portarsi, in anni di letto, lei al suo sposo rispetto, lui alla sposa decoro; un affetto silenzioso indica che più si ama, e non è bene che un uomo tratti sua moglie da dama. Da quanto ho appena descritto è evidente il mio pensiero: chi più ama parla meno, ama più chi sta più zitto. Le passioni chiacchierone bruciano solo a parole e un amore letterato è segnale di appetito; a ciò che hai appena detto io ribatto con rigore, 1823
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ANDREA
ISABEL
ANDREA
ISABEL ANDREA
ISABEL ANDREA
que antes es seña de amor la cautela del silencio. Dígalo el discurso sabio, si más tu opinión me apura, que no es grande calentura la que se permite el labio; la oculta es la que es mayor; su dolor, el más molesto, y aquel amor que es honesto es el que es perfeto amor; no aquel amor siempre ingrato, todo sombras, todo antojos; que este nació de los ojos, y aquél se engendra del trato; luego más se ha de estimar, porque mi fe se asegure, amor que es fuerza que dure que amor que se ha de acabar. Y di, ¿un marido es mejor que en casa la vida pasa? Pues, ¿qué importa que esté en casa, como yo le tenga amor? Y que es por fuerza, ¿no es fiera pensión? Tampoco me enfada. Naciste para casada, como yo para soltera. Pues déjame. Ya te dejo; pero este chisgarabís, este tu fino don Luis, galán de tapa de espejo, ese que habla a borbotones de su prosa satisfecho, que en una horma le han hecho vocablos, talle y acciones, ¿qué es lo que de ti ha intentado?
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che è maggior segno d’amore la cautela del silenzio. Vuoi un discorso più accurato? Sarò ancora più precisa: non è una grande passione quella che butta via fiato. Se è riservata è maggiore e produce più tormento: un onesto sentimento è il perfetto e vero amore; non l’affetto sempre ingrato, tutto menzogne e conquista: questo nasce dalla vista, l’altro dalla cortesia; dunque è da preferire, per preservare il mio onore, amore imposto che duri a uno che deve finire. Dimmi, dunque, meglio un uomo che passa la vita in casa? Beh, che cosa vuoi che importi? Ciò che conta è che lo amo. Ma che ti abbiano costretta non ti turba? No, non molto. Tu sei nata per sposarti come io per stare sola. Lasciami adesso. Ti lascio, ma prima dimmi: quel tale, quell’omuncolo, Luis, che parla a vanvera e a scroscio, sempre senza interruzioni, tronfio del suo chiacchierare, che in uno stampo gli han fatto le parole, stazza e azioni: cos’ha con te, si è fissato? 1825
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ISABEL
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Ese hombre me ha de matar: ha dado en no me dejar en casa, calle ni prado. Con una asistencia rara si a la iglesia voy, allí oye misa junto a mí; si para el coche, él se para; si voy a andar, yo no sé cómo allí se me aparece; si voy en silla, parece mi gentilhombre de a pie; y, en efeto, el tal señor, que mi libertad apura, visto es muy mala figura, pero escuchado es peor. ¿Habla culto? Nunca entabla lenguaje disparatado; antes, por hablar cortado, corta todo lo que habla; vocablos de estrado son con los que a obligarme empieza: dice «crédito», «fineza», «recato», «halago», «atención»; y desto hace mezcla tal, que aun con amor no pudiera digerirlo, aunque tuviera mejor calor natural. ¡Ay, señora mía, malo! No le vuelvas a escuchar, que ese hombre te ha de matar con los requiebros de palo. Yo admitiré tu consejo, Andrea, de aquí adelante. Señora, el que es fino amante habla castellano viejo, el atento y el pulido;
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Finirà per ammazzarmi: non si decide a mollarmi, che sia casa, strada o prato. Con la sua assidua presenza, se vado in chiesa lui è lì alla messa accanto a me; si ferma la mia carrozza e lui si ferma; cammino e non so da dove appare; sono a cavallo e compare come fosse il mio scudiero; e il signore, a dire il vero, che mi segue dappertutto, a vederlo è molto brutto ma a ascoltarlo è ancora peggio. è forbito? No, non parla in maniera complicata; anzi, per sintetizzare, taglia tutto ciò che dice. È con parole galanti che vorrebbe conquistarmi: dice «credito», «delizia», «attenzioni», «complimenti»; ne fa un tale minestrone che nemmeno se lo amassi lo digerirei, o se avessi uno stomaco adeguato. Tremendo! Non lo ascoltare, dammi retta, stai a sentire: quello ti farà morire con complimenti volgari! Va bene, ti presto orecchio, amica, da qui in avanti. Mia signora, i veri amanti parlan castigliano vecchio, elegante e controllato; 1827
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ISABEL
ANDREA ISABEL
ANDREA ISABEL ANDREA ISABEL ANDREA
ISABEL ANDREA
ISABEL ANDREA
que éste pretende, creerás, ser escuchado no más, mas no quiere ser querido. Andrea amiga, sabrás que tengo amor, ¡ay de mí!, a un hombre que una vez vi. Dime, ¿y no le has visto más? No, y a llorar me provoco de un dolor enternecida. ¿Y qué le debes? La vida. ¿No sabes quién es? Tampoco. Para que esa enigma crea, ¿cómo, te pregunto yo, de la muerte te libró? Oye y lo sabrás, Andrea. Para remediarlo, falta saber tu mal. Oye. Di.
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Dentro, Cabellera. CABELLERA
ANDREA ISABEL ANDREA
¡Ah de casa! ¿Posa aquí doña Isabel de Peralta? Por ti preguntan; ¿quién es? ¿Si vienen por mí? Eso infiero. ¿Quién es?
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Sale Cabellera. CABELLERA
ISABEL
Éntrome primero, que yo lo diré después. ¿Qué queréis?
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ISABELLA
ANDREINA ISABELLA
ANDREINA ISABELLA ANDREINA ISABELLA ANDREINA
ISABELLA ANDREINA
ISABELLA ANDREINA
quell’uomo vuole soltanto farsi ascoltare, nient’altro; ma non vuole essere amato. Amica, io ti confesso che mi sono innamorata di uno che un giorno ho incontrato. E poi non l’hai più rivisto? No, e se soltanto ci penso ho già le lacrime agli occhi. Cosa gli devi? La vita. Non sai chi è? Non lo so. Perché creda a questo enigma dimmi allora: in che maniera ti liberò dalla morte? Ascolta, ti spiegherò. Se vuoi aiuto racconta il tuo male. Ascolta. Sì. Parruccone, da dentro.
PARRUCCONE
ANDREINA ISABELLA ANDREINA ISABELLA
Ehi, di casa, vive qui Isabella de Peralta? Cercano te, chi sarà? Proprio me? A quanto pare. Ma chi è? Entra in scena Parruccone.
PARRUCCONE
ISABELLA
Fatemi entrare e poi dopo ve lo dico. Che volete?
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ISABEL CABELLERA ISABEL CABELLERA ISABEL CABELLERA
ISABEL
Si hablaros puedo, si no os habéis indignado, ¿podré daros un recado de don Pedro de Toledo? Hablad, no estéis temeroso. (¡Buen talle!) Hablad. Yo me animo. ¿Quién es don Pedro? Es un primo del que ha de ser vuestro esposo, que viene por vos. Sepamos qué es lo que envía a decir.
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Dale una carta. CABELLERA
ISABEL
ANDREA ISABEL CABELLERA
ISABEL CABELLERA ISABEL
Que es hora ya de partir si estáis prevenida. ¡Vamos! (Si esto que miro no es sueño, no sé lo que puede ser.) ¿Cómo no me viene a ver ese primo de mi dueño? ¡Oh, marido apretador! ¿Yo he de irme con tanta priesa? Señora, es orden expresa de don Lucas, mi señor, y para él delito fuera no llegarle a obedecer; manda que aun no os venga a ver cuando entréis en la litera. ¿Quién ese don Lucas es? Quien ser tu esposo previene. Excelente nombre tiene para galán de entremés. ¿Vos le servís?
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ISABELLA PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE
ISABELLA
Se è concesso parlarvi, senza indisporvi, posso recarvi un messaggio di don Pedro di Toledo? Dite, non siate pauroso. (Carina!) Su. Sì, comincio. Chi è don Pedro? È un cugino del vostro futuro sposo che è venuto a accompagnarvi. Sentiamo che manda a dire. Le consegna una lettera.
PARRUCCONE
ISABELLA
ANDREINA ISABELLA PARRUCCONE
ISABELLA PARRUCCONE ISABELLA
Che è già ora di partire, se lei è pronta. Andiamo! (O mi trovo dentro un sogno o non so capacitarmi.) E come mai non è entrato il cugino del mio sposo? Ma che marito impaziente! Devo andare così in fretta? Lo comanda espressamente don Luca, il mio padrone, che se non viene obbedito lo considera un delitto; poi vuole che non vi si veda quando entrate in portantina. E chi sarebbe don Luca? Il vostro futuro sposo. Il nome stesso si addice a un personaggio da burla. Siete suo servo?
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No quisiera,
CABELLERA
mas sírvole. ANDREA CABELLERA ISABEL CABELLERA ISABEL CABELLERA
ISABEL
CABELLERA ISABEL CABELLERA
ANDREA CABELLERA ISABEL CABELLERA
¡Buen humor! Nunca le tengo peor. ¿Cómo os llamáis? Cabellera. ¡Qué mal nombre! Pues yo sé que a todo calvo aficiona. ¿No me diréis qué persona es don Lucas? Sí, diré. ¿Hay mucho que decir? Mucho, y más espacio quisiera. Tiempo hay harto, Cabellera. Pues atended. Ya os escucho. Don Lucas del Cigarral, cuyo apellido moderno no es por su casa, que es por un cigarral que ha hecho, es un caballero flaco, desvaído, macilento muy cortísimo de talle, y larguísimo de cuerpo; las manos, de hombre ordinario; los pies, un poquillo luengos, muy bajos de empeine y anchos, con sus Juanes y sus Pedros; zambo un poco, calvo un poco, dos pocos verdimoreno, tres pocos desaliñado y cuarenta muchos puerco; si canta por la mañana, como dice aquel proverbio, no sólo espanta sus males,
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Purtroppo
PARRUCCONE
è così. ANDREINA PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE
ISABELLA
PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE
ANDREINA PARRUCCONE ISABELLA PARRUCCONE
Che buon umore! Non l’ho mai avuto peggiore. Vi chiamate? Parruccone. Che brutto nome! Però ai calvi piace parecchio. Ditemi, questo don Luca che tipo è? Ve lo dico. C’è tanto da dire? Molto. E ci vorrebbe più tempo. Di tempo ce n’è abbastanza. State a sentire. Ascoltiamo. Don Luca del Giardinetto il cui moderno cognome, non si deve alla casata ma alla casetta in cui vive; cavaliere magrolino, lungo, secco ed emaciato, di altezza molto cortissima e larghissimo di stazza; mani da uomo qualunque, piedi un po’ lunghi e un po’ larghi schiacciati, a pianta piatta e pure pieni di calli, con le gambe un poco valghe, un poco calvo, due pochi verdognolo, e tre pochi scomposto, quaranta molti gran porco; e quando canta, come recita il proverbio, oltre ai suoi mali spaventa 1833
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pero espanta los ajenos; si acaso duerme la siesta, da un ronquido tan horrendo, que duerme en su cigarral y le escuchan en Toledo; come como un estudiante y bebe como un tudesco, pregunta como un señor y habla como un heredero; a cada palabra que habla aplica dos o tres cuentos, verdad es que son muy largos, mas para eso no son buenos; no hay lugar donde no diga que ha estado, ninguno ha hecho cosa que le cuente a él que él no la hiciese primero; si uno va corriendo postas a Sevilla, dice luego: «Yo las corrí hasta el Pirú», con estar el mar en medio; si hablan de espadas, él solo es quien más entiende desto, y a toda espada sin marca la aplica luego el maestro; tiene escritas cien comedias, y cerradas con su sello, para, si tuviere hija, dárselas en dote luego; pero ya que no es galán, mal poeta, peor ingenio, mal músico, mentiroso, preguntador sobre necio, tiene una gracia, no más, que con esta le podremos perdonar esotras faltas, que es tan mísero y estrecho,
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perfino quelli degli altri; quando fa il suo pisolino russa con tanto fracasso che da quella sua casetta si sente fino a Toledo; mangia tanto come un bue e beve come una spugna, fa domande impertinenti e parla da nobiluomo; a ogni parola che dice abbina due o tre racconti che sono sempre assai lunghi ma mai altrettanto belli; non c’è posto in cui non dica di essere stato e nessuno gli racconterà una cosa che lui non abbia già fatto; se uno è arrivato a cavallo fino a Siviglia, risponde: «Io invece fino al Perù!», pure col mare di mezzo; quando si parla di spade se ne intende più di tutti e a quelle senza la marca sa attribuire il maestro; ha scritto cento commedie, marchiate col suo sigillo, per poi, se avesse una figlia, dargliele in dote un domani; ma non è affatto galante, né poeta, ingegno zero, musico scarso, bugiardo, si interessa di sciocchezze; ha un pregio solo, nient’altro, per cui poter perdonare tutte queste sue mancanze: è tanto stitico e avaro 1835
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que no dará lo que ya me entenderán los atentos, que come tan poco el tal don Lucas, que yo sospecho que ni aun esto podrá dar, porque no tiene escrementos. Estas, dama, son sus partes, contadas de verbo ad verbum; ésta es la carta que os traigo y éste el informe que he hecho. Quererle es tan cargo de alma como lo será de cuerpo; partiros, no haréis muy bien; casaros, no os lo aconsejo; meteros monja es cordura; apartaros dél, acierto; hermosa sois, ya lo admiro; discreta sois, no lo niego, y así, estimaos como hermosa, y pues sois discreta, os ruego que antes que os vais a casar miréis lo que hacéis primero. ¡Buen informe! Razonable. Pero dime: ¿cómo siendo su criado hablas tan mal de las partes de tu dueño? ¡Como quien come su pan! ¿Yo le como? Ni aun le almuerzo; sirvo por mi devoción, que hice un voto muy estrecho de servir a un miserable, y estoyle agora cumpliendo. Pues, ¿os pasáis sin comer? Si no fuera por don Pedro, su primo, fuera criado de vigilia.
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che non concede nemmeno ciò che chi è furbo ha capito, poiché mangia così poco che mi sa non ne abbia proprio da dare neanche di quella, dato che non ha escrementi. Queste le sue qualità esposte de verbo ad verbum; questa lettera è per voi e questo il mio resoconto; amarlo è un peso del cuore come credo anche del corpo. Partire, cattiva idea, sposarvi, ve lo sconsiglio, farvi suora è previdente, stargli lontana è prudente; siete bella, ed è evidente, e anche saggia, non lo nego: dunque poiché siete bella e saggia, io vi consiglio prima di andare a sposarvi di pensarci molto bene. Che resoconto! Sensato. Ma dite, se siete il servo, come mai parlate male di questo vostro padrone? Sputa nel piatto in cui mangia! Io mangiare? Manco assaggio! Servo per mia devozione, ho fatto rigido voto di servire uno spilorcio, e adesso lo sto compiendo. Ma non vi dà da mangiare? Se non fosse per don Pedro, suo cugino, sarei servo a pancia vuota. 1837
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Y dinos esto: don Pedro, ¿quién es? ¿Quién es? Es el mejor caballero, más bizarro y más galán que alabar puede el exceso; y a no ser pobre, pudiera competir con los primeros; juega la espada y la daga poco menos que el Pacheco Narváez, que tiene ajustada la punta con el objeto; si torea, es Cantillana; es un Lope si hace versos; es agradable, cortés, es entendido, es atento, es galán sin presunción, valiente sin querer serlo, queriendo serlo bien quisto, liberal tan sin estruendo que da y no dice que ha dado, que hay muy pocos que hagan esto. ¿Es posible que tu padre eligiese aquel sujeto, pudiéndote dar estotro? No me espanto, que en efeto este no tiene un ochavo y esotro tiene dinero. Pues, ¿qué importa que lo tenga si lo guarda? Yo no quiero sin el gusto la riqueza. Decidme, y ese don Pedro, ¿tiene amor? Yo no lo sé, mas trátanle casamiento con la hermana de don Lucas,
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E chi è questo don Pedro? Chi è? È il più grande cavaliere, più coraggioso e galante che sia dato di ammirare; non fosse povero, certo terrebbe testa ai migliori: gioca di spada e di daga quasi come il gran maestro spadaccino, poiché centra l’avversario con destrezza; è tra i toreri migliori; un Lope se scrive versi; è piacevole, cortese, è brillante e premuroso, elegante senza boria, è umilmente valoroso e giustamente stimato; generoso e non lo ostenta, dà senza dire che ha dato, cosa che non fanno in molti. Ma tuo padre come mai avrà scelto quel soggetto se poteva darti a questo? Non mi stupisco, è evidente: questo qui non ha un quattrino mentre l’altro è molto ricco. Ma che importa che lo sia se non spende? Io non voglio ricchezza senza piacere. Ditemi, questo don Pedro, è innamorato? Non so, ma l’hanno promesso in sposo alla sorella di Luca, 1839
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doña Alfonsa de Toledo, que puede ser melindrosa entre monjas, y os prometo que se espanta de un araña aunque esté cerca del techo. Vio un ratón el otro día entrarse en un agujero, y la dio de corazón un mal, con tan grave aprieto, que entre siete no podimos abrirla siquiera un dedo; pero son ellos fingidos como yo criado vuestro. Con él viene a recebiros. No vendrá, que ¡vive el cielo! que hoy ha de saber mi padre...
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Sale don Antonio, viejo. ANTONIO ISABEL
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Doña Isabel, ¿qué es aquesto? Es que yo no he de casarme, mándenlo o no tus preceptos, con don Lucas. ¿Por qué, hija? Porque es miserable. Eso no te puede a ti estar mal siendo su mujer, supuesto que vendrás a ser más rica cuando él fuere más atento. Es porfiado. No porfiar con él, y te importa menos. Es necio. Él te querrá bien; y el amor hace discretos. Es feo.
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donna Alfonsa de Toledo, che è perfino più bizzosa di una suora; vi assicuro che si spaventa di un ragno pure sta sul soffitto. L’altro giorno ha visto un topo che entrava in una fessura e si è presa un coccolone tale che nemmeno in sette ci riusciva di tenerla; ma giurerei che fa finta, come io vi sono servo. Vi viene incontro con lui. Non lo farà, voglia il cielo! Io devo dire a mio padre... Entra in scena don Antonio, vecchio.
ANTONIO ISABELLA
ANTONIO ISABELLA ANTONIO
ISABELLA ANTONIO
ISABELLA ANTONIO
ISABELLA
Isabella, che succede? Succede che non mi sposo, che tu lo ordini o meno, con don Luca. Perché, figlia? Perché è uno spilorcio. Questo non ti deve preoccupare: quando diverrai sua moglie tu sarai tanto più ricca quanto lui è parsimonioso. È attaccabrighe. Non parli e non ti darà problemi. È sciocco. Ti vorrà bene, e l’amore rende saggi. È brutto.
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Isabel, los hombres no importa que sean muy feos. Señor, es puerco. Limpiarle. Sea lo que fuere, en efeto, yo os he de casar con él. ¿Será mejor un mozuelo que gaste el dote en tres días y que os dé a comer requiebros? ¡Noramala para vos! Cásoos con un caballero que tiene seis mil ducados de renta, ¿y hacéis pucheros? ¿Qué carta es ésa? Una carta de mi esposo. ¿Y yo no tengo carta alguna? No, señor. Voy a llamar a don Pedro, porque, hasta daros las cartas, no tuve orden para hacerlo. Guárdeos el Cielo.
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Vase. ANTONIO ISABEL ANTONIO ISABEL ANTONIO
Él os guarde. (¡Quitadme la vida, cielos!) Veamos qué dice la carta. Dice así. Ya estoy atento.
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Lee doña Isabel. ISABEL
«Hermana: Yo tengo seis mil y cuarenta y dos ducados de renta de mayorazgo, y me hereda mi primo si no tengo hijos; hanme dicho que vos y
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Gli uomini, cara, non importa siano belli. È un porco. Dovrai pulirlo. Sia come sia, non importa, io ti darò in sposa a lui. Forse è meglio un giovanotto che in tre giorni spenda tutto e ti campi a complimenti? Figlia, ma ti rendi conto? Io ti sposo a un cavaliere che ha ben seimila ducati in dote e tu fai i capricci? Questa cos’è? È una lettera del mio promesso. Per me niente lettera? Nessuna. Vado a chiamare don Pedro, mi hanno proibito di farlo prima di darvi la lettera. Dio vi protegga. Esce di scena.
ANTONIO ISABELLA ANTONIO ISABELLA ANTONIO
Altrettanto. (Oh mio Dio, fammi morire!) Su, leggiamo questa lettera. Leggo. Sono tutto orecchie. Donna Isabella legge.
ISABELLA
«Mia cara, ho seimilaquarantadue ducati in eredità di maggiorasco e se non ho figli li eredita mio cugino; mi hanno detto che voi e io possiamo averne 1843
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yo podemos tener los que quisiéremos; veníos esta noche a tratar del uno, que tiempo nos queda para los otros. Mi primo va por vos; poneos una mascarilla para que no os vea, y no le habléis, que mientras yo viviere no habéis de ser vista ni oída. En las ventas de Torrejoncillo os espero; veníos luego; que no están los tiempos para esperar en ventas. Dios os guarde y os dé más hijos que a mí.» ANDREA ISABEL
ANTONIO
¡Hay tal bestia! Dime agora bien de aqueste majadero. Sí haré, que no es disparate el que viene dicho a tiempo. Don Lucas es hoy marido, y para empezar a serlo, ha dicho su necedad como tal, porque, en efeto, no es marido quien no dice un disparate primero.
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Dale una mascarilla. ISABEL ANDREA ANTONIO ISABEL
La mascarilla está aquí. Y está en el zaguán don Pedro. Pues póntela antes que suba. Si esto ha de ser, obedezco. Pónese la mascarilla.
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Llamaron.
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(¡Llegó mi muerte!) Abre la puerta. Esto es hecho.
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quanti ne vogliamo; venite stanotte a mettere in cantiere il primo, per gli altri abbiamo tempo. Viene a prendervi mio cugino; mettetevi una mascherina affinché non vi veda e non rivolgetegli la parola; poiché fintanto ch’io viva nessuno deve vedervi o udirvi. Vi aspetto alla locanda di Torrejoncillo; fate presto: non è un buon periodo per attendere nelle locande. Dio vi protegga e vi dia più figli che a me.» ANDREINA ISABELLA
ANTONIO
Ma è un demente! Prova, padre, a parlarne bene, adesso! Lo farò: non è sciocchezza se detta al momento giusto. Don Luca oggi è marito e come vuole l’usanza per cominciare a esser tale ha parlato da insensato: si è mariti solo dopo una prima stupidaggine. Le porge una mascherina.
ISABELLA ANDREINA ANTONIO ISABELLA
Ecco qui la mascherina. Don Pedro è nel cortile. Mettila, prima che arrivi. Se così devo, obbedisco. Indossa la mascherina.
ANDREINA
Bussano.
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(È la mia morte!) Apri la porta. Sì, vado.
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Salen don Pedro y Cabellera. ANDREA ANTONIO PEDRO
ANTONIO PEDRO ANTONIO PEDRO
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ISABEL PEDRO
Sea usted muy bien venido. Don Pedro, guárdeos el cielo. Seáis, señor don Antonio, bien hallado. ¿Venís bueno? Salud traigo, ¿y vos? Sentaos. Perdonadme, que no puedo, que me ha ordenado don Lucas que llegue y no tome asiento, que os pida su esposa a vos y que se la lleve luego. (¡Cielos! ¿Qué es esto que miro? ¿Éste no es el caballero a quien le debí la vida? ¡Andrea! ¿Qué hay? ¿Qué tenemos? Este es el que te contaba que tengo amor. No te entiendo. ¿Este es quien te dio la vida, como me dijiste? El mesmo. ¿Y este a quien quieres? También. Si este es primo de tu dueño, ¿qué has de hacer? Morir, Andrea.) Aunque no merezca veros, si las conjeturas ven, divina Isabel, ya os veo; más sois vos que vuestra fama; mal haya el que, lisonjero,
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Entrano in scena don Pedro e Parruccone. ANDREINA ANTONIO PEDRO
ANTONIO PEDRO ANTONIO PEDRO
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ANDREINA
ISABELLA ANDREINA ISABELLA ANDREINA
ISABELLA PEDRO
Benvenuto in questa casa. Don Pedro, Dio vi protegga. Onorato di incontrarla, don Antonio. Come state? Bene e voi? Accomodatevi. Desolato, ma non posso: don Luca mi ha comandato di venire e non fermarmi, chiedervi la sposa e dopo accompagnarla da lui. (Mio Dio! Ma che cosa vedo? Questo è proprio il cavaliere a cui io devo la vita! Andreina! Che succede? è l’uomo che ti dicevo di amare. Non ho capito: è stato lui a salvarti, come mi hai detto? Sì, lui! E tu lo ami? È così! Ma è il cugino del tuo sposo! Cosa puoi fare? Morire.) Nonostante io non meriti di guardarvi, ma supporvi, tuttavia io vi vedo, o divina Isabella: la vostra grande bellezza supera la propria fama. Si sbagliò l’adulatore 1847
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yendo a pintaros perfecta, aún no os retrató en bosquejo. Hermoso enigma de nieve, que el rostro habéis encubierto para que no os adivinen ni los ojos ni el ingenio; jeroglífico difícil, pues cuando voy a entenderos, cuanto solicito en voces, tanto acobardo en silencios; permitid vuestra hermosura... Mas no hagáis tal, que más quiero ver esa pintura en sombras que haber de envidiarla en lejos; claro cielo, sol y rayo que está esa nube tejiendo, venid a Toledo a ser el más adorado objeto que supo lograr Cupido en los brazos de Himeneo. La voz de don Lucas habla en mi voz; yo soy quien, ciego, a ser intérprete vine de aquel amor extranjero; y pues sois rayo, alumbrad entre sombras y reflejos; pues sois cielo y sol, usad de vuestros claros efetos; jeroglífico, explicaos; enigma, dad a entenderos, pues descubriéndoos seréis con una causa, y a un tiempo, el jeroglífico, el rayo, el sol, la enigma y el cielo. Discreto parece el primo.
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che per ritrarvi perfetta non fece più che abbozzarvi. Splendido enigma di neve che avete il volto nascosto per non fare intravedere né gli occhi, né l’intelletto; oh, geroglifico oscuro, quando provo a decifrarvi ciò che vorrei fosse detto per timore poi lo taccio; rivelate la bellezza... Non fatelo, preferisco vedere il quadro velato che invidiarlo da lontano; cielo chiaro, sole, raggio che questa nuvola vela, a Toledo voi sarete l’oggetto più adorato che Cupido ritrovò tra le braccia di Imeneo. È la voce di don Luca a dirvi questo; io, cieco, sono qui da messaggero di quell’amore di un altro; siete raggio, fate luce tra le ombre ed i riflessi; siete cielo e sole; usate i vostri limpidi effetti; spiegatevi, geroglifico; fatevi capire, enigma; poiché scoperta sarete causa e anche, al tempo stesso, il geroglifico, il raggio, il sole, l’enigma, il cielo. È intelligente il cugino.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ISABEL
PEDRO
Advertid, señor don Pedro, que se ha ido vuestra voz hacia vuestro sentimiento; doña Isabel es mi nombre, no doña Alfonsa, y no quiero que allá le representéis y ensayéis en mí el requiebro. Y aunque el favor me digáis por el que ha de ser mi dueño, no os estimo la alabanza que me hacéis; vedme primero y creeré vuestras lisonjas creyendo que las merezco; pero sin verme, alabarme, es darme a entender con eso o que yo soy presumida tanto que pueda creerlo, o que don Lucas y vos tenéis un entendimiento. Pues el sol, aunque se encubra entre nubes, no por eso deja de mostrar sus rayos tan claros, si no serenos; el iris, ceja del sol, más hermoso está y más bello cuando entre negros celajes es círculo de los cielos; más sobresale una estrella con la sombra; los luceros, porque esté obscura la nube, no por eso alumbran menos; perfume el clavel del prado, en verde cárcel cubierto, por las quiebras del capillo da a leer sus hojas luego. Pues, ¿qué importa que esa nube agora no deje veros,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO ISABELLA
PEDRO
Fate attenzione, don Pedro, la vostra voce ha deviato verso i vostri sentimenti: mi chiamo donna Isabella, non donna Alfonsa, e non voglio che proviate su di me i complimenti per lei. E anche se state parlando a nome del mio promesso, non apprezzo le lusinghe che fate; prima guardate e poi crederò agli omaggi pensando di meritarli; elogiarmi e non vedermi è come farmi capire o che sono presuntuosa tanto da poterci credere, o che don Luca e voi pensate allo stesso modo. Ma il sole, anche oscurato dalle nubi, non per questo smette di mostrare i raggi, limpidi, se non sereni; il sopracciglio del sole, l’arcobaleno, è più bello quando si inarca nel cielo in mezzo a nuvole scure; una stella è più brillante nell’oscurità; né un astro smetterà di illuminare sotto una nuvola scura; il garofano in un prato, profuma in un verde carcere, sebbene ancora bocciolo è pronto a schiudere i petali. Dunque, che importa che adesso questa nuvola vi oscuri, 1851
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
ANTONIO
PEDRO
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PEDRO
ANTONIO
si habéis de ser como el iris, clavel, estrella y lucero? Doña Isabel, ¿qué esperamos? A la litera. Teneos, que vos no habéís de salir de Madrid. ¿Por qué, don Pedro? Porque no quiere mi primo. Pues decidme: ¿cómo puedo dejar de ir a acompañar a mi hija? Demás deso, que si yo no se la doy, y lo que ordena obedezco, ¿cómo me podrá dar cuenta de lo que yo no le entrego? Todo esto está prevenido; ved ese papel que os dejo, con que no necesitáis de partiros. Ya le leo. ¿Qué es esto? ¿Papel sellado?
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Abre un pliego de papel sellado. ANDREA CABELLERA
(¿Qué será?) (Yo no lo entiendo.) Lee don Antonio.
ANTONIO
«Recibí de don Antonio de Salazar una mujer, para que lo sea mía, con sus tachas buenas o malas, alta de cuerpo, pelimorena y doncella de facciones, y la entregaré tal y tan entera, siempre que me fuere pedida por nulidad o divorcio. En Toledo, a 4 de septiembre de 638 años. – Don Lucas del Cigarral. Toledo.»
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
ANTONIO
PEDRO
ANTONIO PEDRO ANTONIO
PEDRO
ANTONIO
se sarete arcobaleno garofano, stella, astro? Isabella, che aspettiamo? Alla portantina. Fermo! Voi non dovete lasciare Madrid. Come mai, don Pedro? Ordini di mio cugino. Ditemi, come potrei non venire a accompagnare mia figlia? E non è tutto: se obbedisco ai suoi comandi e non la consegno io, come potrà garantirmi su quello che gli sto dando? È stato tutto previsto: ecco questo documento per cui non c’è alcun bisogno che veniate. Date qui. Documento sigillato? Apre un foglio di carta con il sigillo.
ANDREINA PARRUCCONE
(Che sarà?) (Io non ne ho idea.) Don Antonio legge.
ANTONIO
«Ricevo da don Antonio de Salazar una donna, affinché sia mia, con i suoi pregi e i suoi difetti, di statura alta, capelli neri e dall’aspetto donzella, e tale e quale la restituirò qualora mi venga chiesta indietro per annullamento o divorzio. Toledo, 4 settembre 1638. – Don Luca del Giardinetto. Toledo.» 1853
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ISABEL ANTONIO
CABELLERA
ANDREA ANTONIO
ISABEL
PEDRO
ISABEL PEDRO ISABEL
ANTONIO ANDREA CABELLERA ANTONIO ISABEL ANTONIO PEDRO ISABEL PEDRO ANTONIO
¿Para mí carta de pago? Don Pedro, este caballero ¿piensa que le doy mujer, o piensa que se la vendo? (Pues yo sé que va vendida doña Isabel. Yo lo creo.) Yo quiero ver a don Lucas en las ventas; vamos luego. Ven, Isabel. (¡A morir! ¡Valedme, piadosos cielos!) Aunque esté vuestra pintura en borrón, tiene unos lejos dentro, que el alma retrata, que casi son unos mesmos. (¡Quién pudiera descubrirse!) (¡Quién viera su rostro!) (¡Cielos, qué nave halló la tormenta en las bonanzas del puerto!) Ea, Isabel, a la litera. (Ve adelante. Allá te espero.) (Yo lo erré.) Vamos. Ya voy. ¿Qué esperáis? Ya os obedezco. (¡Si fuera yo la que quiere!) (¡Si este es mi perdido dueño!) Mas si don Lucas es rico, ¿qué importará que sea necio?
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Vanse. Salen don Luis y Carranza, criado.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO ISABELLA ANTONIO
PARRUCCONE
ANDREINA ANTONIO
ISABELLA
PEDRO
ISABELLA PEDRO ISABELLA
ANTONIO ANDREINA PARRUCCONE ANTONIO ISABELLA ANTONIO PEDRO ISABELLA PEDRO ANTONIO
Ma cos’è, una ricevuta? Don Pedro, questo signore pensa che gliela dia in sposa o crede che gliela venda? (Io temo sia già venduta Isabella. Credo anch’io.) Voglio vedere don Luca alla locanda, su andiamo! Vieni, Isabella. (Alla morte! Che il cielo mi protegga!) Malgrado il vostro ritratto sia offuscato, c’è uno sfondo dietro, che vi rappresenta l’anima come dal vero. (Vorrei potermi svelare!) (Vorrei vedere il suo viso!) (Che nave trovò tempesta nelle bonacce del porto!) Isabella, andiamo, su. (Va’ avanti. Ti aspetto là.) (Ho sbagliato.) Vieni. Arrivo. Cosa aspettate? Obbedisco. (Fossi io la sua adorata!) (Fosse lei il perduto amore!) Ma dopotutto, se è ricco, cosa importa se è uno sciocco?
Escono di scena. Entrano don Luis e Carranza, servo.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA CARRANZA
LUIS
¿No me dirás, don Luis, adónde vamos? Ya en las ventas estamos del muy noble señor Torrejoncillo, u del otro segundo Peralvillo, pues aquí la hermandad mesonitante asaetea a todo caminante. Don Luis, habla, conmigo te aconseja. ¿No me dirás qué tienes? Una queja.
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Paséase. CARRANZA
LUIS CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS
¿A qué efecto has salido de la Corte? En estas ventas, di, ¿qué habrá que importe para tu sentimiento? Di: ¿qué tienes señor? Desvalimiento. Deja hablar afeitado, y dime: ¿a qué propósito has llegado a estas ventas? Refiéreme, en efeto: ¿qué vienes a buscar? Busco mi objeto. ¿Qué objeto? Habladme claro, señor mío. Solicito a mi llama mi albedrío. ¿No acabaremos y dirás qué tienes? ¿Quieres que te procure a mis desdenes? A oírlos en tu prosa me sentencio. Y en fin, ¿han de salir de mi silencio? Dilos, señor. Pues a mi voz te pido que hagas un agasajo con tu oído: Carranza amigo, yo me hallé inclinado, costóme una deidad casi un cuidado, mentalmente la dije mi deseo, aspiraba a los lazos de Himeneo, y ella, viendo mi amor enternecido, se dejó tratar mal del dios Cupido.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO CARRANZA
LUIS
Don Luis, non vuoi dirmi dove andiamo? Siamo già alla locanda del nobile signor Torrejoncillo, come accade vicino a Peralvillo anche qui la giustizia locandante aggredisce e assale ogni viandante. Parla Luis, con me puoi confidarti. Non vuoi dirmi che cos’hai? Tormento. Camminano.
CARRANZA
LUIS CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS
Perché siamo partiti dalla Corte? Che c’è in questa locanda che ti causa così tanto dolore? Che cos’hai, signore? Avvilimento. Basta parlare oscuro; ma dimmi, su: che cosa ti ha portato in questo posto? Rispondimi schietto: che cosa cerchi qui? Cerco il mio oggetto. Oggetto? Siate chiaro, mio signore. Esercito l’arbitrio sul mio amore. Quando la smetti e dici che succede? Per riferirti chi sprezzo mi diede? Mi arrendo ad ascoltarlo nei tuoi versi. Dunque devo dar voce ai miei silenzi? Parla, signore. Ma ti raccomando di starmi ad ascoltare con riguardo: Carranza, amico, mi scoprii infatuato e sto pagando caro e tormentato; le dissi col pensiero le mie pene, aspirando ai legami di Imeneo, vedendomi d’amore intenerito lei si lasciò guastare da Cupido. 1857
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
Su padre, que colige mi deseo, en Toledo la llama a nuevo empleo, y hoy sale de la Corte para lograr, indigno, otro consorte; por aquí ha de venir, y aquí la espero; convalecer a mi esperanza quiero, dando al labio mis ímpetus veloces, a ver qué hacen sus ojos con mis voces, Isabel es el dueño, verdad del alma y alma deste empeño, la que con tanto olvido a un amante ferió por un marido. Suspiraré, Carranza, ¡vive el cielo!, aunque me cueste todo un desconsuelo; intimarela todo mi cuidado, aunque muera de haberle declarado; culparé aquel desdén que el pecho indicia, aunque destemple, airada, la caricia; mas si los brazos del consorte enlaza, indignareme con el amenaza; mis ansias, irritado, airado y fiero, trasladaré a las iras del acero, que es descrédito hallarme yo corrido, quedándose mi amor tan desvalido. Esta es la causa, porque desta suerte yo mismo vengo a agasajar mi muerte; de suerte que, corrido, amante y necio, vengo a entrar por las puertas del desprecio; con vuelo que la luz penetrar osa, galanteo mi muerte, mariposa; porque en este desdén, que amante extraño, me suelte mi albedrío el desengaño, y en este sentimiento, mi elección deje libre mi tormento, y para que Isabel, desconocida, logre mi muerte, pues logró su vida.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
Suo padre, che sospetta le mie voglie, la fa andare a Toledo, a un altro in moglie, ed oggi lascia Madrid per raggiungere, indegno, altro consorte; deve passare qui, e qui l’attendo: soccorrere la mia speranza intendo, ricercherò, svelando il mio tormento, negli occhi suoi risposta al mio lamento. Isabella è il mio signore, animo vero che anima l’amore, colei che, indifferente, privilegiò uno sposo ad un amante. Sospirerò, e Dio mi è testimone!, dovesse anche costarmi l’afflizione: io le dichiarerò la mia passione, dovessi anche morirne di dolore; darò al cuore la colpa del disprezzo se si irrita e rifiuta la carezza; se però poi il suo consorte abbraccia mi indignerò, passando alla minaccia; e le ansie, la mia rabbia, fiera e irata, le passerò alle ire della spada: non permetterò onta e disonore causate dal rifiuto del mio amore. Questo il motivo per cui in tale sorte io stesso vado incontro alla mia morte; di modo che, turbato, amante e pazzo, io varcherò le porte dello sprezzo come farfalla alla candela incline così anch’io corteggio la mia fine; da questo spregio, che ancora rifiuto, mi disincanterò, con il mio arbitrio; e in questo sentimento mi liberi la scelta dal tormento: così Isabella mi dà morte, ingrata, con l’essersi la vita procurata.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA CARRANZA
LUIS CARRANZA
1° (Dentro) TODOS (Dentro) 1° (Dentro) 2° (Dentro) 1° (Dentro) 2° (Dentro) 1° (Dentro) 3° (Dentro) (Dentro) 1° (Dentro) 2° (Dentro)
TODOS
CARRANZA LUIS
CARRANZA
1° (Dentro) 2° (Dentro) LUCAS (Dentro) 1° (Dentro) LUIS CARRANZA
1° (Dentro) 2° (Dentro) 3° (Dentro)
Oí tu relación, y maravilla que con cuatro vocablos de cartilla, todos impertinentes, me digas tantas cosas diferentes. Gente cursa el camino. ¿Si ha llegado? ¿Qué es «cursa»? ¿Este camino está purgado? ¡Ah de la venta! ¡Hala! ¡Ah, seor ventero! ¿Hay qué comer? No faltará carnero. ¿Es casado vusted? Más ha de treinta. Según eso, carnero hay en la venta. Huésped, así su nombre se celebre, véndame un gato que parezca liebre. ¡Hala! ¿Qué hay? Mentecato, compra al huésped, que es liebre y tira a gato. Una dama y un hombre miro. Quedo, espérate, que vienen de Toledo. Nada, pues, te alborote. ¿Dónde van Dulcinea y don Quijote? ¿Dónde han de ir? Al Toboso, por la cuenta. ¡Voy al infierno! Eso es: a la venta. ¡Raro sujeto es este que ha llegado! Aqueste es un don Lucas, un menguado de Toledo. ¡Ah, seor güésped! si le agrada, écheme ese fiambre en ensalada. Si va a Madrid la ninfa a estar de asiento, en la calle del Lobo hay aposento. Pues a fe que es mujer de gran trabajo.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO CARRANZA
LUIS CARRANZA
1° (Da dentro) TUTTI (Da dentro) 1° (Da dentro) 2° (Da dentro) 1° (Da dentro) 2° (Da dentro) 1° (Da dentro) 3° (Da dentro) (Da dentro) 1° (Dentro) 2° (Dentro) TUTTI
CARRANZA LUIS CARRANZA
1° (Da dentro) 2° (Da dentro) LUCA (Da dentro) 1° (Da dentro) LUIS CARRANZA
1° (Da dentro) 2° (Da dentro) 3° (Da dentro)
Ho ascoltato il racconto, complimenti: con quattro parolucce, anche frequenti e tutte fuori luogo, ne hai dette assai, di cose, in questo sfogo. Gente occlude il sentiero. Sarà lei? «Occlude»? Ma il sentiero è da purgare? Ehi della locanda! Ehi! Signor oste! Si mangia qui? Ci sarà del castrato! Quindi è sposato? Quasi da quaranta! Allora c’è castrato alla locanda! Oste, ci dia conferma della fama: al posto del coniglio serva gatto. Ehi! Cosa c’è? Tutto matto! Compra a chi per coniglio vende gatto. Vedo arrivare una donna e un uomo. Sì, stanno giungendo da Toledo! Calmo, non ti agitare. Dove van Dulcinea e don Chisciotte? E dove vuoi che vadano: al Toboso! Vado all’inferno! È qui: benarrivato! Curioso l’uomo che è appena entrato! Quello lì è don Luca, un idiota di Toledo. Ah, oste, per piacere con quel salame voglio un’insalata. Se va a Madrid la ninfa, a far la dama, in via del Lupo si farà una fama. Di certo è una che si dà da fare!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA LUCAS
(Dentro)
(Dentro) 1° (Dentro) LUCAS (Dentro) TODOS
CARRANZA LUCAS
(Dentro)
ALFONSA
(Dentro)
1° (Dentro) LUCAS (dentro) (Dentro) (Dentro)
ALFONSA LUCAS
¡Pues voto a Jesucristo, si me bajo, que han de entrar en la venta por la posta! 635 ¡Gua, gua! ¡Que la ha tendido don Langosta! ¡Mentís, canalla! Agora ha echado el resto. ¡Apeaos, doña Alfonsa! Acabad presto, porque quiero reñir. Detente, espera, que me dará un desmayo que me muera. 640 Doña Melindre, déjele. ¿Qué espero? Matarelos, a fe de caballero. Detente, hermano. Vínome la gana. Salen don Lucas y doña Alfonsa.
LUIS CARRANZA LUCAS
TODOS
(Dentro)
LUIS
1° (Dentro) LUCAS CARRANZA
Téngame cuenta usted con esta hermana. ¿No ve vusted que es vaya? Uced se tenga. 645 ¡Conmigo no ha de haber vaya ni venga! ¡Gentecilla! ¡Gua, gua! Tened templanza. ¡Envaine vuesarced, señor Carranza! ¿A mí Carranza, villanchón malvado? Yo soy Carranza, y soy muy hombre honrado, 650 Empuña la espada Carranza.
LUCAS CARRANZA
que yo también me atufo y me abochorno. ¡Mientes tú y cinco leguas en contorno! ¡Sáquela!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
Scommetto che saprò farvi rientrare tutti nella locanda in grande fretta! TUTTI (Da dentro) Ah, ah! 1° (Da dentro) «Don Cavalletta» si difende! LUCA (Da dentro) Basta, canaglia! CARRANZA Adesso ha esagerato. LUCA (Da dentro) Scendete, Alfonsa, e fate di filato! Voglio combattere. ALFONSA (Da dentro) Fermati, aspetta! 1° (Da dentro) Smettete, «Donna Bizza». LUCA (Da dentro) Io aspettare? Li uccido, parola di cavaliere! ALFONSA (Da dentro) Fermo, fratello! LUCA (Da dentro) Mi è venuta voglia...
LUCA
(Da dentro)
Entrano in scena don Luca e donna Alfonsa.
LUIS CARRANZA LUCA
TUTTI
(Da dentro)
CARRANZA
1° (Da dentro) LUCA CARRANZA
Signore io vi affido mia sorella. Ma è solo per scherzo. Si trattenga. Con me non vi consiglio di scherzare! Gentaglia. Ah, ah, ah! Suvvia, si calmi. Rimetta via la spada, su, «Carranza»! Tu mi dai del «Carranza», villanaccio? Carranza sono io e sono onesto... Carranza impugna la spada.
LUCA CARRANZA
e anche io mi infurio e inferocisco! Bugiardo! Te e tutti quelli intorno! Avanti!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA LUIS LUCAS LUIS LUCAS LUIS LUCAS ALFONSA LUIS
LUCAS
(Dentro) TODOS (Dentro) PEDRO
LUIS LUCAS
Téngase, que ya me enfada. Déjeme darle sólo esta estocada. Tened. Yo he de tirarle este altibajo. No me desperdiciéis este agasajo. No os entiendo. ¡Señor, mira...! Repara que es mi sirviente. ¡Fuera! ¡Para! ¡Para! Una litera entró y podéis templaros. Aunque entre un coche, tengo de mataros.
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Salen don Pedro, don Antonio, Cabellera, doña Isabel y Andrea; y doña Isabel con mascarilla. PEDRO
(Dentro)
ALFONSA
LUCAS ANTONIO LUIS ANTONIO
LUCAS LUIS LUCAS CARRANZA
¿Qué es esto? Tente, hermano; detente. ¡No me vayan a la mano! ¿Con quién riñe? Con todo aquel criado. ¡Con un pobre criado así indignado! Don Lucas, débaos yo aquesta templanza. Yo pensé que reñía con Carranza. Envainad, pues os logro tan templado. Primero ha de envainar vuestro crïado. La espada desempuño
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Envainen. y obedezco. LUCAS
Envaino la de Ortuño.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
[Sguaina la spada.] LUIS LUCA LUIS LUCA LUIS LUCA ALFONSA LUIS
LUCA PEDRO TUTTI
(Da dentro) (Da dentro)
LUIS LUCA
Adesso basta, o qui mi arrabbio! Mi lasci solo dargli una stoccata. Finitela! Ecco un colpo di rovescio! Non disprezzi la grazia che vi faccio. Non capisco. Occhio, signore. Fermo, è il mio servo! Fuori! Basta! Basta! Calma, che è entrata una portantina. Fosse anche una carrozza, io vi ammazzo.
Entrano in scena don Pedro, don Antonio, Parruccone, donna Isabella e Andreina; donna Isabella indossa la mascherina. PEDRO
(Da dentro)
Che succede? Su fermatevi,
ALFONSA
fratello! LUCA ANTONIO LUIS ANTONIO
LUCA LUIS LUCA CARRANZA
Dico a voi, non mi intralciate! Con chi combatte? Con il mondo intero. Tanta ira con un povero servo? Don Luca mostri un po’ di padronanza. Pensavo di lottare con «Carranza». Via la spada, parete più pacato. Dopo che il servo avrà rinfoderato. Io rinfodero la spada La ringuaina. e vi obbedisco.
LUCA
Io la mia, ben nota. 1865
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ISABEL ANDREA LUCAS ANTONIO PEDRO ALFONSA
ISABEL LUIS CARRANZA ANDREA LUIS ISABEL LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS PEDRO LUCAS
(Andrea, ¡qué mal hombre!) (!Qué hosco y negro!) Por mi cuenta, señor, vos sois mi suegro. Vuestro padre seré. (¡Muero abrasado!) (Don Pedro, ¿qué será que no me ha hablado? Mas también puede ser que no me vea.) (Doña Alfonsa es aquélla, amiga Andrea.) 675 (Ésta es doña Isabel. Callar intenta.) (Don Luisillo también está en la venta.) (No puedo resistirme.) (¡Que hasta aquí haya venido a perseguirme!) 680 ¿Y hala visto mi primo? Ni la ha hablado. ¿Vino siempre cubierta? Así ha llegado. Y en fin, ¿me quiere bien? Por vos se muere. ¿Y la puedo decir lo que quisiere? Sí, podéis. 685 ¿Puedo? Sí; obligarla intenta. Pues, así os guarde Dios, que tengáis cuenta. Un amor que apenas osa a hablaros, dice fiel, que, una de dos, Isabel: o sois fea o sois hermosa. 690 Si sois hermosa, se acierta en cubrir cara tan rara, que no ha de andar vuestra cara con la cara descubierta. Si fea, el taparos sea 695 diligencia bien lograda, puesto que, estando tapada, nadie sabrá si sois fea.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO ISABELLA ANDREINA LUCA ANTONIO PEDRO ALFONSA
ISABELLA LUIS CARRANZA ANDREINA LUIS ISABELLA LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA PEDRO LUCA
(Che uomo iroso!) (Violento, sgarbato!) Ma mio suocero è qui, se ho ben capito. Vi sarò padre. (Mi sento avvampare.) (Perché Pedro non mi viene a parlare? Può darsi che non mi abbia ancora vista.) (Andreina, eccola donna Alfonsa.) (Isabella, è proprio lei!) (Stai zitto!) (Alla locanda c’è anche don Luisino.) (Non riesco a calmarmi.) (Fin qui è venuto a perseguitarmi?) Pedro l’ha vista? No, né le ha parlato. Porta la maschera? Sempre sul volto. Dunque mi ama? Spasima per voi! E posso dirle tutto ciò che voglio? Sì, certo. Posso? Prova a lusingarla. Che il cielo vi protegga, ora ascoltate. Amor che osa, Isabella, a malapena parlarvi delle due può assicurarvi: o siete brutta o bella. Se bella, fu assai prudente coprire il viso attraente: sarebbe stato incosciente girare a volto scoperto. Se brutta, coprirvi tutta fu astutissima pensata, poiché, così mascherata, nessuno vi vedrà brutta.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
ISABEL ANDREA
ANTONIO LUIS LUCAS ISABEL
LUCAS ANTONIO
LUCAS PEDRO
ALFONSA
LUCAS
Que todos se han de holgar, digo, con vos si hoy hermosa os ven; mas si os ven fea, también todos se holgarán conmigo. Pues estaos así, por Dios, aunque os parezca importuno, que no se ha de holgar ninguno, ni conmigo ni con vos. (¿Qué hombre es éste, Andrea? El peor que he visto, señora mía.) (¡Qué necedad!) (¡Grosería!) ¿No me habláis? Digo, señor, que debo agradecimiento a ansias y pasiones tales pues en vos admiro iguales el talle y entendimiento. La fama que vos tenéis, por ser quien sois, os aclama; pero no dijo la fama tanto como merecéis. Y así, la muerte resisto tarde, pues quiero decir que en viéndoos, pensé morir, y ya muero habiéndoos visto. ¡Lindo ingenio! Así lo crea vuestra pasión prevenida. (¿Qué decís? Que es entendida, y debe de ser muy fea.) (Haz que el rostro se descubra, hermano, si verla intentas. Dejádmela brujulear, que pinta bien.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
ISABELLA ANDREINA
ANTONIO LUIS LUCA ISABELLA
LUCA ANTONIO
LUCA PEDRO
ALFONSA
LUCA
Questo lo dico perché di voi ognun si diletta se siete bella, ma brutta si dilettano di me. Restate così affinché, pur se vi appare sgarbato, nessuno sia dilettato né da voi né da me. (Che uomo è questo? Il peggiore che abbia visto, in verità.) (Che assurdità!) (Che volgare!) Non dite niente? Vi dico, signore, che vi ringrazio di passioni e angosce tali, e che stimo in voi alla pari l’intelletto e la sembianza. La vostra fama rivela l’uomo che in vero voi siete; ma voi alla fama aggiungete altro che essa non svela. Cederò alla morte presto: ché a vedervi, intendo dire, io credevo morire, ma ora muoio a avervi visto. Brillante! Lo può ben dire la vostra accorta passione. (Che pensate? Che se è scaltra di certo deve esser brutta.) (Falle rivelare il viso se vuoi vederla, fratello. Lasciamela un po’ sbirciare che butta bene. 1869
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ALFONSA LUCAS
ISABEL
¿A qué esperas?) Isabel, hacedme gusto de descubriros, y sea la máscara el primer velo que cortáis a la modestia, que están aquí debatiendo si sois fea o no sois fea, y si acaso sois hermosa, no es justicia que yo tenga mancilla en el corazón, porque no tengáis vergüenza. Lo que son en vos preceptos, han de ser en mí obediencias. Yo me descubro.
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Quítase la mascarilla. LUCAS
ANTONIO PEDRO
LUCAS
PEDRO ISABEL
PEDRO
ALFONSA PEDRO
(Llenóme.) Don Antonio, a fe, de veras que hacéis excelentes caras. Era su madre muy bella. (¡Vive Dios!, que es, Isabel. a quien en la rubia arena de Manzanares un día libré de la muerte fiera.) ¿Qué os parece la fachada, primo mío? Hablad. Que es buena. (Ya me conoció don Pedro, porque son los ojos lenguas.) (Y a ti, ¿qué te ha parecido, doña Alfonsa? Que es muy fea. Eres mujer, y no quieres que alaben otra belleza.)
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ISABELLA
Che aspetti?) Isabella, su, di grazia, scoprite il vostro volto, primo velo ad esser tolto alla vostra discrezione, che qui si sta discutendo se siete o non siete brutta, e nel caso siate bella non è giusto che io abbia qualcosa che oscura il cuore per questa vostra vergogna. A ciò che voi mi ordinate io non posso che obbedire. Mi svelo. Si toglie la mascherina.
LUCA
ANTONIO PEDRO
LUCA
PEDRO ISABELLA
PEDRO
ALFONSA PEDRO
(Però, mi piace!) Don Antonio, complimenti, fate proprio bei visini. Molto bella era sua madre. (Dio mio! È quell’Isabella che nella bionda arena del Manzanarre un giorno salvai da morte sicura.) Che vi pare la facciata, cugino? Dite. Che è bella. (Pedro mi ha riconosciuta, me lo dicono i suoi occhi.) (E a te com’è sembrata, donna Alfonsa? Molto brutta. Sei una donna, non ti piace che si elogi altra bellezza.)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA LUCAS
PEDRO LUCAS
PEDRO LUCAS
PEDRO
LUCAS
PEDRO ISABEL ANDREA
Pensando estoy qué deciros después que os vi descubierta, que no sé lo que me diga. (Pedro. Señor. Oyes, llega y di por la boca verbos, o lo que a ti te parezca; háblala del mismo modo como si yo mismo fuera; dila aquello que tú sabes de luceros y de estrellas, tierno como el mismo yo, hasta dejarla muy tierna, que, cubierto, yo me atrevo a hablar como una manteca, pero en mi vida he sabido hablar tierno a descubiertas. ¿Yo he de llegar? Sí, primillo, con mi propio poder llegas. ¿Con qué alma la he de decir los requiebros y ternezas, si es fuerza que haya de hablar con la tuya? Con la vuestra.) Señora, allá va un Perico: no hay sino teneos en buenas, y advertid que los requiebros que os dijere, los requiebra con mi poder; respondelde como si a mí propio fuera. Empezad. Ya te obedezco. (¡Déme mi dolor paciencia! ¡Lindo empleo hizo Isabel!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO LUCA
PEDRO LUCA
PEDRO LUCA
PEDRO
LUCA
PEDRO ISABELLA ANDREINA
Sto pensando a cosa dirvi ora che vi ho vista in volto, ma non trovo le parole. (Pedro! Signore. Ascolta, vieni e dille tu qualcosa, dille quello che ti pare; parla proprio come fossi in realtà io stesso a farlo; dille quello che tu sai, della luna e delle stelle tenero come son io finché sia tenera lei; all’oscuro so parlare dolce come fossi burro, ma se sono allo scoperto io non so mai cosa dire. Mi avvicino? Sì, cugino, vieni pure, ti autorizzo. Con che anima le dico complimenti e tenerezze, se bisogna che le parli con la tua? No, con la tua.) Signora c’è un portavoce: deve solo stare ferma e sapere che gli elogi che vi dice ve li manda in nome mio; rispondete come se lui fosse me. Comincia. Sì, ti obbedisco. (Oh cielo, dammi pazienza. Bel matrimonio le tocca.)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA PEDRO
Amor alas tiene, vuela; surgió la nave en el puerto, halló el piloto la estrella, dio el arroyo con la rosa, salió el arco en la tormenta, gozó el arado la lluvia, hallaron al sol las nieblas, rompió el capillo la flor, encontró el olmo la yedra, tórtola halló su consorte, el nido el ave ligera, que esto y haberos hallado todo es una cosa mesma. Bien haya ese velo o nube, que piadosamente densa, porque no ofendiese al sol, detuvo a la luz perpleja. Yo he visto nacer el día con clara luz y serena para castigar el prado, o ya en sombras o ya en nieblas; yo he visto influir al sol serenidades diversas para engañar al mar cano con una y otra tormenta; pero engañarme con sombras y herir con luz, es destreza que ha inventado la hermosura que es de las almas maestra; vos sois más que aquello, más que cupo en toda mi idea, y aún más que aquello que miro, si hay más en vos que más sea, que tan iguales se añudan en vos ingenio y belleza, vuestro donaire tan uno se ha unido con la modestia,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO PEDRO
L’amore ha ali e vola; la nave attraccò nel porto, trovò il pilota la stella, giunse il ruscello alla rosa, l’arcobaleno al sereno, l’aratura alla sua pioggia, la nebbia ritrovò il sole, il fiore schiuse il bocciolo, l’edera si cinse all’olmo, trovò il consorte la tortora, l’agile uccello il suo nido: che è proprio la stessa cosa che avere trovato voi. Benedetto questo velo, nube densa che, devota, per proteggervi dal sole, mise in dubbio questa luce. Ho visto nascere il giorno con luce chiara e serena per poi castigare il prato, con ombre dense e foschie; ho visto il sole cambiare tra limpidezze diverse per poi ingannare il mare con differenti tempeste; ma fuorviarmi con le ombre e ferire con la luce lo ha inventato la bellezza, la maestra delle anime; più di questo siete, più che parte dei miei pensieri, e ancor più di ciò che vedo e se c’è di più, più sia: poiché in voi beltà ed ingegno sono equamente divisi, e la singolare grazia si è unita con la modestia; 1875
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
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ISABEL
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que si rendirme no más que a la hermosura quisiera, el ingenio me ha de hacer que del ingenio me venza; si del donaire el recato es quien igual me sujeta, porque, como estas virtudes están unidas, es fuerza que o no os quiera por ninguna, o que por todas os quiera. (Aprieta la mano, Pedro, que eso es poco.) Hermosa hiena, que halagaste con voz blanda para herir con muerte fiera, ¿cómo, decidme, de ingrata soberbiamente se precia, quien me ha pagado una vida, con una muerte sangrienta? Desde el instante que os vi se rindieron mis potencias de suerte... Mirad, señor, que es grosería muy necia que me vendáis un desprecio a la luz de una fineza. No entra amor tan de repente por la vista; amor se engendra del trato, y no he de creer que amor que entra con violencia deje de ser como el rayo: luz luego, y después pavesa. No engendra al amor el trato, Isabel, que si eso fuera, fuera querida también, siendo discreta, una fea.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO
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se non mi volessi arrendere solo alla vostra bellezza, sarebbe il vostro ingegno allora a vincere il mio; la modestia e la grazia parimenti mi conquistano, poiché sono in voi riunite queste virtù, io dovrei non amarvi per nessuna oppure amarvi per tutte. (Pedro, rincara la dose: è poco.) Splendida iena, che adula con voce dolce per poi ferire spietata, come, ditemi, da ingrata, vi vantate, da superba, di ripagare la vita che vi diedi, con la morte? Dal momento in cui vi ho vista si arresero le mie forze, dunque... Sappiate, signore, che è scortesia molto stolta che mi spacciate un disprezzo come fosse gentilezza. Non entra amore dagli occhi rapido; l’amore nasce dal conoscersi, un amore entrato con tanta foga, è solamente un fulmine: prima luce, poi scintilla. Non nasce mai dal conoscersi l’amore, se così fosse sarebbe amata lo stesso una brutta intelligente.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA ISABEL
PEDRO
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PEDRO ISABEL
LUCAS PEDRO
LUCAS ISABEL PEDRO
ISABEL PEDRO
ISABEL
PEDRO ISABEL
LUCAS
El trato engendra el amor, y para que la experiencia lo enseñe, si no hay agrado, es cierto que no hay belleza; el agrado es hermosura; para el agrado es de esencia que haya trato, luego el trato es el que el amor engendra. Con trato, amor yo confieso que es perfeto; mas se entienda que amor puede haber sin trato. Pero, en fin, amor se acendra en el trato. Decís bien. Pues si es ansí, luego es fuerza que os quede más que quererme, si más que tratarme os queda. (No me agradan estos tratos.) Concedo esa consecuencia, mas ya os trata amor, si os oye, ya os quiere amor. (Mucho aprieta.) ¿Y me queréis? Os adoro; sólo falta que yo vea vuestra amor. Dirále el tiempo. No le déis al tiempo lenguas, teniendo vos vuestro amor. Pues como a mi esposo es fuerza quereros. Seré dichoso. Esta mano, que lo es vuestra, lo dirá. No es sino mía,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO ISABELLA
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LUCA ISABELLA PEDRO
ISABELLA PEDRO
ISABELLA
PEDRO ISABELLA
LUCA
Conoscersi porta amore, lo dimostra l’esperienza: se non c’è la comprensione di certo non c’è bellezza; la comprensione è bellezza, per creare comprensione serve conoscersi, dunque conoscersi porta amore. La conoscenza, lo ammetto, rende l’amore perfetto, ma si può amare anche senza. Dunque l’amore si affina con il conoscersi. È vero. Se è così dunque ancora, per arrivare ad amarmi, vi rimane da conoscermi. (Qui ci si conosce troppo!) Ne convengo, perché il cuore vi ascolta e vi conosce, e più vi ama. (Qui corre.) E mi amate? Io vi adoro; devo capire se voi mi amate. Lo dirà il tempo. Non fate parlare il tempo se il vostro amore ha voce. In quanto mio sposo devo amarvi. Son fortunato. Ve lo dirà questa mano che è vostra. No invece, è mia!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA
Tómala la mano don Lucas.
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LUCAS
ALFONSA
LUCAS ALFONSA LUCAS
Y es muy grande desvergüenza que os toméis la mano vos sin dármela a mí la Iglesia; primillo, fondo en cuñado, idos un poco a la lengua. ¡Si yo hablaba aquí por vos! Sois un hablador, y ella es también otra habladora. ¡Si vos me disteis licencia! Sí, pero sois licenciosa. Como tú dijiste que era poco lo que la decía... Poco era, ¿quién lo niega? Mas ni tanto ni tan poco. (¡Que ella le hablase tan tierna y que él la adore tan fino!) Doña Alfonsa. ¿Qué me ordenas? Llevaos con vos esta mano.
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Dale la mano de doña Isabel. ALFONSA
(Aparte) LUCAS
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(Aparte)
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Sí haré, y pido que me tengas por tu amiga y servidora. (Y tu enemiga.) En Illescas me he de casar esta noche. Hasta ir a Toledo espera, para que don Pedro y yo nos casemos, y allí sean tu boda y la mía juntas. (Antes quiera Amor que muera.) Señora mía, no estoy para esperaros seis leguas.
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Don Luca le prende la mano. Ed è anche un grande oltraggio che tu prenda quella mano, che la Chiesa ancora deve darmi, cugino, cognato, hai proprio un po’ esagerato. Ma io parlavo in tuo nome! Tu sei un oratore e lei pare anche un’oratrice. Voi me ne deste licenza! E voi siete licenziosa. Ma se sei stato tu a dirmi di rincarare la dose... Era poco, chi lo nega? Ma né tanto e neanche poco. (Lei gli parlava affettuosa, lui l’adorava galante!) Donna Alfonsa. Cosa c’è? Io vi affido questa mano.
PEDRO LUCA
ISABELLA LUCA PEDRO
LUCA
ALFONSA
LUCA ALFONSA LUCA
Le dà la mano di donna Isabella. ALFONSA
(A parte) LUCA
ALFONSA
ISABELLA LUCA
(A parte)
Certo, e vorrei mi stimassi come tua amica e tua serva. (E tua nemica.) Ad Illescas mi sposerò questa notte. Aspetta fino a Toledo così che anche io e Pedro ci sposiamo: lì faremo i due matrimoni insieme. (Piuttosto vorrei morire.) Sorella cara, non posso aspettare altre sei leghe.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, PRIMERA JORNADA LUIS
LUCAS LUIS LUCAS
CABELLERA ANDREA LUIS LUCAS
LUIS LUCAS ISABEL CABELLERA ALFONSA PEDRO ANTONIO ISABEL LUCAS ALFONSA LUCAS
PEDRO LUCAS LUIS
(Muerto estoy.) A acompañaros iré, con vuestra licencia, y celebrar vuestra boda. Yo soy don Luis de Contreras, vuestro servidor antiguo. No os conozco en mi conciencia. Y amigo de vuestro padre. Sed su amigo norabuena, pero no habéis de ir conmigo. Llega el coche. La litera. Yo he de ir con vos. ¡Voto a Dios que me quede en esta venta! Ya me quedo. ¡Gran favor! (Muerta voy.) (¡Hermosa bestia!) (Muriendo de celos parto.) (¡Que esto mi dolor consienta!) (¡Que esto mi prudencia sufra!) (¡Que esto influyese mi estrella!) Alfonsa, ¿guardas la mano? Sí, señor. Pues tened cuenta: ¡entre bobos anda el juego! Pedro, entrad. (¡Cielos, paciencia!) Guárdeos Dios, señor don Luis. (Allá he de ir aunque no quiera.)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, PRIMO ATTO LUIS
LUCA LUIS LUCA
PARRUCCONE ANDREINA LUIS LUCA
LUIS LUCA ISABELLA PARRUCCONE ALFONSA PEDRO ANTONIO ISABELLA LUCA ALFONSA LUCA
PEDRO LUCA LUIS
(Mi sento morire.) Vengo con voi, se mi permettete, per assistere alle nozze. Sono Luis de Contreras, vostro antico servitore. Non mi sembra di conoscervi. Amico di vostro padre. Buon per voi se è vostro amico, ma non verrete con me. Carrozza! La portantina. Devo venire! Accidenti! Rimarrò in questa locanda. Allora resto. Oh, grazie! (Io sono morta.) (Che bestia!) (La gelosia mi divora.) (Che dolore smisurato!) (Cosa devo sopportare!) (Che destino sventurato!) Tienila per mano, Alfonsa. Sì. Ma attenzione, fra tutti, non si sa chi sia il più furbo! Pedro, dentro. (Dammi forza.) Don Luis, Dio vi protegga. (Ci andrò anche se non vuole!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
SEGUNDA JORNADA Salen don Pedro en jubón, sin sombrero, capa y espada, y Cabellera, medio desnudo, por el patio del mesón. CABELLERA
PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO
CABELLERA
PEDRO
¿Adónde vas, señor de esta manera, medio desnudo? Calla, Cabellera. A las dos de la noche, que ya han dado, de mi media con limpio me has sacado, ¿y discurrir no puedo dónde agora me llevas? Habla quedo. Si hemos de ir fuera, aquí miro cerrada la puerta principal de la posada. No ha sido ese mi intento. Pues ¿adónde hemos de ir? A este aposento. Don Lucas aquí duerme recogido, que se oye en todo Illescas el ronquido; doña Alfonsa, su hermana, duerme en otra alcobilla a él cercana. ¿Y el padre de Isabel? Duerme a aquel lado en aquel aposento. ¿Está cerrado? Cerrado está; di lo que quieres, ea. ¿Y dónde está doña Isabel y Andrea? En esta sala están. Ven poco a poco, que la tengo de hablar. Si no estás loco, que has de perder el seso he imaginado. ¿Qué es esto? ¿Tú, señor, enamorado de una mujer que serlo presto espera 965 de don Lucas? Sí, amigo Cabellera.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
SECONDO ATTO Entrano in scena don Pedro, senza farsetto, né cappello, mantello e spada, e Parruccone, mezzo svestito, nel cortile della locanda. PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE PEDRO
PARRUCCONE
PEDRO
Ma dove andate, in questa maniera mezzo svestito? Zitto, Parruccone! Alle due della notte già scoccate voi mi buttate giù dal mio lettuccio e non posso sapere nemmeno dove andiamo? Parla piano. Vi avverto, semmai voleste uscire, che la porta dell’osteria è chiusa. Non è quello che voglio. E allora dove andiamo? In quella stanza. Questa è di Luca, dorme e sta russando così forte da udirlo ad Illesca; sua sorella, donna Alfonsa, dorme in quella stanzetta lì vicino. Don Antonio? Da quella parte là, nell’altra. Si è già chiuso? Sì... mi dite che cosa avete in mente? Dove sono Isabella e Andreina? In quella sala. Vieni, quatto quatto, che le voglio parlare. O siete matto o temo stiate perdendo la testa. Innamorato voi? Che storia è questa? E della donna che, in nome di Dio, sposerà Luca? Sì, amico mio. 1885
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA CABELLERA
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CABELLERA
PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO
Ten, señor, más templanza. ¿Tú faltar de tu primo a la confianza? ¿Cómo, tú enamorado de repente? Más anciano es el mal de mi accidente; siglos ha que padezco un mal eterno. Yo tuve tu accidente por moderno; pero, si tiene tanta edad, más sabio quiero saber tu pena de tu labio; dime tu amor, que ya quiero escucharle. ¿Qué intentes con oírle? Disculparle. ¿Me ayudarás después? Soy tu criado. ¿Óyenos alguien? Todo está cerrado. ¿Tendrás secreto? Ser leal intento. Pues escucha mi amor. Ya estoy atento. Era del claro julio ardiente día, Manzanares al soto presidía, y en clase que la arena ha fabricado, lecciones de cristal dictaba al prado, cuando, al morir la luz del sol ardiente, solicito bañarme en su corriente; en un caballo sendas examino, y a la Casa del Campo me destino. Llego a su verde falda, elijo fértil sitio de esmeralda, del caballo me apeo, creo la amenidad, el cristal creo, y apenas con pereza diligente la templanza averiguo a la corriente, cuando, alegres también como veloces, a un lado escucho femeniles voces. Guío a la voz los ojos, prevenido, y sólo la logré con el oído;
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PARRUCCONE
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PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE PEDRO
Su Pedro, ragionate: così vostro cugino voi ingannate? Ma come, innamorato in un momento? Di vecchia data è il mio sentimento: da secoli patisco un male eterno. Credevo invece fosse più moderno; ma così anziano sarà meditato! Vorrei mi raccontaste come è nato; confidatevi, che voglio ascoltarvi. E quando l’avrai udito? Discolparvi. E poi mi aiuterai? Son vostro servo. Ci sentiranno? No, stanno dormendo. Terrai il segreto? Parola d’onore. Allora ascolta. Con grande attenzione. Era un giorno di luglio, chiaro e afoso, ed ero lungo l’argine boscoso del Manzanarre, che era indaffarato a fare sfoggio di cristallo al prato; quando, al calar del sole, luce ardente, voglio tuffarmi nella sua corrente: così a cavallo esploro lungo il posto, verso Casa del Campo vado lesto. Giungo alle falde verdi e scelgo un luogo ameno di smeraldi; poi scendo da cavallo, ammiro lo splendore del cristallo e controllo, con calma diligente, come sia temperata la corrente, quando, tanto allegre che veloci, odo da un lato femminili voci. Lo sguardo in direzione, cauto, allungo ma solo con l’udito le raggiungo; 1887
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
piso por las orillas, y tan quedo, que pensé que pisaba con el miedo, 1000 más la voz me encamina y más me llama; voy apartando la una y otra rama, y en el tibio cristal de la ribera, a una deidad hallé desta manera: todo el cuerpo en el agua, hermoso y bello, 1005 fuera el rostro, y en roscas el cabello. Deshonesto el cristal que la gozaba, de vanidad al soto la enseñaba; mas si de amante el soto la quería, por gozársela él todo, la cubría. 1010 Quisieron mis deseos diligentes verla por los cristales transparentes, y al dedicar mis ojos a mi pena, estaba, al movimiento de la arena, ciego o turbio el cristal, y dije luego: 1015 «¡Quién con esta deidad no ha de estar ciego!» Turbio el cristal estaba, y cuanto más la arena le enturbiaba mejor la vi; que al no ver la corriente, sola era su deidad lo transparente, 1020 no el río, no, que al gozar tanta hermosura, él es quien se bañaba en su blancura. Cubría, para ser segundo velo, túnica de cambray todo su cielo, y sólo un pie movía el cristal blando: 1025 sin duda imaginó que iba pisando; pero cuando, sin verse, se mostraba, un plumaje del agua levantaba del curso propio con que se movía: víale entre el cristal y no le vía, 1030 que distinguir no supo mi albedrío ni cuándo era su pie ni cuándo el río. Procuraban, ladrones, mis enojos robar sus perfecciones con los ojos
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vado lungo la sponda, silenzioso, pensando di avanzare timoroso, la voce mi indirizza, par mi chiami, così mi faccio strada tra quei rami, nel tiepido cristallo della riva trovo una dea, che tale mi appariva: in acqua il corpo, tratti tanto belli, il viso fuori, raccolti i capelli. Ne godeva, quel fiume disonesto e per vantarsi poi ne dava mostra al bosco, ma se questo la voleva, per goderla solo lui, l’avvolgeva. Desiderando le mie voglie attente vederla in quel cristallo trasparente, fisso l’oggetto del mio sentimento; però la sabbia crea, col movimento, turbini d’acqua, la vista disturba; pensai: «Con una dea chi non si turba?». Il fiume si scuriva e tanto più la sabbia lo smuoveva più la vedevo: scura la corrente, la sua divinità era trasparente e non il fiume, che in quello splendore era chi si bagnava di candore. Una tunica fine, come velo, copriva la bellezza del suo cielo, solo un piede smuoveva il fiume blando: senz’altro certo di stare avanzando; ma quando, non vedendo, si mostrava e all’acqua schiuma d’onde provocava, dal modo in cui scuoteva la corrente, lo scorgo e non lo scorgo nel torrente e l’occhio non distingue ciò che vede: se quel cristallo è acqua oppure il piede. E provo, con furtiva applicazione, a rubarne con gli occhi perfezione,
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cuando en pie se levanta, toda hielo, cubre el cristal lo que descubre el velo; recátome en las ramas dilatadas; prevenidas la esperan sus criadas, dícenla todas que a la orilla pase, y nada se dejó que yo robase, y en fin, al recogerla, tiritando salió perla con perla, y yo dije abrasado: «¡Oh, qué bien me parece el fuego helado!» Sale a la orilla, donde verla creo; pónenseme delante, y no la veo; enjúgala el halago prevenido la nieve que ella había derretido, cuando un toro, con ira y osadía (que era día de fiestas este día), desciende de Madrid al río, y luego, más irritado, sí, que no más ciego, quiere cruel, impío, de coraje beberse todo el río; bebe la blanca nieve, bebe más, y su misma sangre bebe. El pecho, pues, herido, el cuello roto, parte a vengar su injuria por el soto, las cortinas de ramas desabrocha, sacude con la coz a la garrocha, y a mi hermosa deidad vencer procura, que se quiso estrenar en la hermosura. Huyen, pues, sus criadas con recelo, y ella se honesta con segundo velo, que aunque el temor la halló desprevenida, quiso más el recato que la vida. Yo, que miro irritarse al toro airado, de amor y de piedad a un tiempo armado indigno la pasión, librarla espero, y dándole advertencias al acero, osadía y pasión a un tiempo junta,
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ma lei si alza in piedi, tutta gelo, e copre l’acqua ciò che scopre il velo. Io mi nascondo tra fronde intricate e le sue ancelle trepide, impegnate ad incitarla a ritornare a riva: e la mia vista del rubare è priva. E poi quando le riesce, battendo i denti, come perle, esce; io penso appassionato: «Che meraviglia il fuoco congelato!» Giunge alla sponda, di scorgerla credo, ma quelle stanno innanzi e non la vedo; e le asciugano, con premura attenta, la pelle da quel gelo ricoperta; quando un toro dalla rabbia funesta – eravamo in un giorno di festa – arriva da Madrid fino al torrente: di certo più che cieco era furente; feroce e crudele, vuole bersi il fiume con gran fiele; beve la bianca neve, ribeve, il suo stesso sangue beve. Ferito al torso, il collo spezzato, cerca vendetta, corre a perdifiato al bosco, rompe i rami a far da tende, si tira via la pertica scalciando, di prendere la splendida dea anela, che in tutta la bellezza ora si svela. Fuggono poi le ancelle per paura lei con un’altra veste si ripara: anche se alla sprovvista fu assalita pensò prima al pudore che alla vita. Io che osservo infuriarsi il toro irato, sia dell’amore che di pietà armato, per salvarla mi appello al mio ardimento e sguaino la mia spada in un momento, animato d’audacia e d’ardore 1891
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el corazón le paso con la punta, con tan felice suerte que ni un bramido le costó la muerte. Conoce que a mi amor debe la vida, honestamente la hallo agradecida, menos, viéndola más, mi amor mitigo, entra dentro del coche y yo la sigo; cierra luego la noche, entre otros, con lo obscuro, pierdo el coche, búscala y no la encuentra mi cuidado, voyme a Toledo, donde, enamorado, le dije mis finezas con enojos a aquel retrato que copié en los ojos. Quéjome sólo al viento, procúrame mi primo un casamiento, la ejecución de sus preceptos huyo, voy a Madrid a efetuar el suyo, vuelvo con Isabel, ¡nunca volviera!, cubre el rostro Isabel, ¡nunca le viera! pues dice mi esperanza, hoy más perdida, que es Isabel a la que di la vida; por valor o por suerte, que es Isabel la que me da la muerte, y en fin, amante, sí, y no satisfecho, de la sombra esta noche me aprovecho a vengar con mis voces este agravio; salga esta calentura por el labio, sepa Isabel de mí mi cruel tormento, asusten mis suspiros todo el viento, sean agora, que Isabel me deja, intérpretes mis voces de mi queja; suceda todo un mal a todo un daño, válgame un riesgo todo un desengaño; agora la he de hablar, verla porfío, déjame que use bien de mi albedrío, deja que a hablarla llegue, para que esta tormenta se sosiegue;
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con la punta gli trafiggo il cuore: un colpo così attento che quello muore senza un lamento. Lei sa che col mio amore l’ho salvata e onestamente me ne sembra grata, la vedo meglio e amore non dà tregua, entra in carrozza e dietro io la seguo, ma, notte all’improvviso, tra le tante, la carrozza non ravviso la cerca il desiderio e non la vedo, innamorato ritorno a Toledo. Da lì dichiaro sconfinato amore a quel ritratto impresso nel mio cuore. Confido il mio tormento solo al vento, intanto mio cugino mi trova matrimonio, io non voglio, vado a Madrid a organizzare il suo, trovo Isabella, non fosse mai stato!, viso coperto, non averlo visto! Mi dice la speranza, ormai smarrita, che era colei a cui salvai la vita: per valore o sorte era colei che mi dava la morte. Infine, innamorato e insoddisfatto, del buio di stanotte io approfitto per riscattare la pena sofferta; questa bocca bisogna che la avverta perché Isabella sappia il mio tormento, i miei sospiri echeggino nel vento, le dica la mia voce, ora che senza di lei rimango, la mia sofferenza; accada quel che accada, fosse un danno: il rischio vale tutto il disinganno. Devo parlarle, la voglio vedere, lascia che faccia ciò che è in mio potere: lasciamici parlare per alleviare questo gran dolore, 1893
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CABELLERA
PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA
PEDRO
déjame que la obligue, para que este cuidado se mitigue, y porque, al referir pena tan fiera, mi gloria dure y mi tormento muera. Tu relación he escuchado, y por Dios que me lastimo que se enamore quien tiene tan lindos cinco sentidos. ¿Tú, señor, enamorado? Es el sujeto divino. Y tú, muy lindo sujeto; pero puesto que has venido a hablar con doña Isabel, llega falso y habla fino, pero no andarás muy falso con don Lucas, que es tu primo, pues tú la amabas primero, y él hasta ayer no la ha visto, y en llegando a enamorarse un hombre a todo albedrío, no hay hermano para hermano ni hay amigo para amigo. Pues si un hermano no vale, ¿cómo ha de valer un primo, que es parentesco de negros? Todos están recogidos los huéspedes del mesón. ¿Llamaré? Llama quedito. No sea que el huésped nos sienta, que es el huésped más cocido que hay en Illescas, y siente dentro en su casa un mosquito. Oyes, ¿viste anoche entrar a un don Luis, que se hizo amigo de don Lucas?
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PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE
PEDRO
lasciami corteggiare per dare pace a tutto questo amore; resti così solamente la gloria, mentre il tormento, rivelato, muoia. Ho ascoltato il tuo racconto e mi rattrista pensare che si possa innamorare una persona sensata. Tu, signore, innamorato? Sì, di un soggetto divino. E tu, sì, sei un bel soggetto! Ma dato che sei venuto a parlare ad Isabella vieni falso e parla fino, non sarai poi così falso con don Luca, tuo cugino: tu l’amavi già da prima, e invece lui fino a ieri non l’aveva neanche vista! Quando un uomo si innamora sul serio, non c’è un amico e né fratello che tenga. E se non vale un fratello, non varrà certo un cugino, parentela screditata! Ora sono tutti chiusi ognuno nella sua stanza. Chiamo? Sì, ma a bassa voce. Non abbia a sentirci l’oste, che è l’oste più sopraffino di tutta Illescas, e sente dentro casa un moscerino. Stasera hai visto arrivare un tale Luis, amico di don Luca?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA CABELLERA
PEDRO
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PEDRO
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CABELLERA PEDRO CABELLERA
Embozado tras la litera se vino, y anoche tomó posada en el mesón. ¿Y has sabido a qué viene? Galantea a Isabel; que así lo dijo su criado a otro criado, y aqueste criado mismo a otro criado después como criado fidedigno se lo contó, y él a mí; yo agora a ti te lo aviso, que no sirve quien no cuenta lo que ha visto y que no ha visto. Pues, con amor y con celos a un tiempo, me determino a hablar a Isabel. Pues manos al amor, amo y amigo. Llego. No llegues, espera, que están abriendo el postigo por de dentro. Dices bien. ¿Qué será? No lo he entendido.
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Salen doña Isabel, medio desnuda, y Andrea, por otro aposento. ISABEL ANDREA ISABEL
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No me detengas, Andrea. ¿Dónde vas? A dar suspiros a los cielos de mis quejas. Témplate.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PARRUCCONE
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PARRUCCONE
PEDRO
PARRUCCONE
PEDRO
PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE
Di nascosto seguiva la portantina e stasera si è fermato alla locanda. Sai anche come mai viene? Corteggia Isabella, così ha detto il suo servo a un altro servo, e questo servo in persona poi a un altro servo ancora, come servo di fiducia, lo raccontò, e lui a me: ora io lo dico a te, poiché non serve chi tace ciò che ha visto o non ha visto. Con amore e gelosia sono deciso a parlarle. Quindi diamoci da fare con l’amore, mio signore e amico. Arrivo! No, aspetta, che stanno aprendo la porta da dentro. Sì, hai ragione. Che succede? Non lo so. Entrano Isabella, mezza svestita, e Andreina, da un’altra stanza.
ISABELLA ANDREINA ISABELLA
ANDREINA
Non mi fermare, Andreina. Dove vai? A sospirare al cielo i miei lamenti. Calmati.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA ISABEL ANDREA ISABEL ANDREA ISABEL
ANDREA PEDRO CABELLERA ANDREA ISABEL ANDREA ISABEL
PEDRO
ANDREA ISABEL CABELLERA ISABEL
ANDREA
ISABEL
No espero alivio. ¿Qué intentas? Buscar mi padre. Está agora recogido. Ven a despertarle, Andrea, que no ha de ser dueño mío don Lucas. Resuelta estás. (Arrímate. Ya me arrimo.) ¿Y si no quiere tu padre? No es dueño de mi albedrío. Pues ¿quién ha de ser tu esposo? Don Pedro ha de serlo mío, o ninguno lo ha de ser; si no es que, desconocido, a Alfonsa quiere. (¡Pedidme albricias, alma y sentidos!) Vuélvete a dormir. No puedo. (Cenó poco, no me admiro.) ¿En qué aposento hallaré a mi padre? No le he visto recoger; yo no lo sé; en habiendo amanecido podrás hablarle. No alargues plazos a un dolor prolijo; don Pedro ha de ser...
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Tópela cara a cara. PEDRO
Don Pedro, infelice dueño mío, ha de ser quien te adore,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO ISABELLA ANDREINA ISABELLA ANDREINA ISABELLA
ANDREINA PEDRO PARRUCCONE ANDREINA ISABELLA ANDREINA ISABELLA
PEDRO
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Lasciami stare. Cosa fai? Cerco mio padre. Si sarà già addormentato. Allora andiamo a svegliarlo: io non intendo sposare Luca. Sei determinata. (Avvicinati. Sì, vengo.) E se tuo padre è contrario? Non comanda sul mio arbitrio. Allora chi vuoi sposare? Io voglio in sposo don Pedro altrimenti nessun altro; a meno che quell’ingrato non ami Alfonsa. (Che bello! Non credo a quello che sento!) Torna a dormire. Non riesco. (Beh, ha mangiato così poco...) In che stanza troverò mio padre? Io non lo so, non l’ho visto ritirarsi; non appena farà giorno gli parli. Non dilatare un dolore sconfinato; è don Pedro chi... Si ritrovano faccia a faccia.
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Don Pedro, mia infelice signora, è colui che vi adora, 1899
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ISABEL PEDRO
ISABEL PEDRO
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tan amante y tan rendido, que han de ser alma y potencias lo menos de un sacrificio... ¿Quién es? Quien no os ha ganado cuando ya os hubo perdido; el que os ha granjeado a penas, el que os mereció a suspiros, el que os solicita a riesgos, el que os procura a cariños... Hablad quedo y ved que estamos... Templar la voz no resisto, que ésta es la voz de mi amor, y está mi amor encendido. Señor don Pedro, si oísteis la verdad del dolor mío, si aún no os ha costado un ruego la compasión de un cariño, no os llaméis tan infeliz como decís, pues yo he dicho acaso que tengo amor, y ya vos lo habéis sabido. Dejad para el desdeñado la queja; llámese el digno feliz, y infeliz se llame el que nunca ha merecido. Yo sí que soy desdichada, pues os quiero y lo repito, y estando vivo el amor, tengo a los celos más vivos. Ya habréis templado, con verme, el mal de no haberme visto; éste sí es mal, pues que tiene, viéndoos más, menos alivio. Doña Alfonsa ha de ser vuestra; con que viene a ser preciso
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così innamorato e arreso che animo e forza non sono altro che il meno che vi offro... Chi è? È chi non vi vinse quando vi aveva già persa; chi vi ottenne a malapena, chi vi meritò a sospiri, chi rischia a desiderarvi, chi vi cerca con affetto... Piano, vedete che siamo... Non so abbassare la voce, perché a parlare è il mio amore, e il mio amore arriva al cielo. Pedro, se avete sentito il motivo per cui soffro, se non vi costò il mio affetto altro che una preghiera, non ditevi infelice, come fate, poiché ho detto appena adesso di amarvi, e oramai voi lo sapete. Lasciate le lamentele ai rifiutati; si chiami beato chi è corrisposto, infelice chi è respinto. Io sì sono sfortunata, che vi amo, lo ripeto, e quando l’amore è vivo lo è ancor più la gelosia. Vedendomi voi placate il vostro male, ma il mio è un male vero poiché più vi vedo meno ha pace. Sarà Alfonsa vostra moglie, dunque è più che evidente
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que no lo pueda yo ser, ni pueda llamaros mío. Ella es quien dice que os quiere, con que yo naturalizo a mis bastardos temores, que son de mis celos hijos. Mirad, pues, cuál de los dos el más infeliz ha sido, pues vos lográis un amor y yo unos celos concibo. ¿Yo, Isabel, no tengo celos? ¿Yo, decís vos, que me libro de una verdad, que la cubro con la sombra de un indicio? ¿No es la flor Clicie don Luis que, constante a los peligros, está acechando los rayos de vuestro Oriente vecino? ¿No viene a amaros, señora? ¿No viene tras vos? ¿No he visto que os quiere? ¿Y quién es el sol? No con falsos silogismos me arguyáis, cuando estáis vos respondiéndoos a vos mismo. Si es la Clicie flor don Luis, ¿cuándo el sol la Clicie quiso? ¿Cuándo, para desdeñarla, no es cada rayo un aviso? Si soy sol, como decís, ¿cuándo mis rayos no han sido para desdeñarle ardientes y para abrasarle tibios? ¿Qué os daña a vos que él me quiera, pues veis que yo no le estimo? Mucho más florece el premio de la competencia al viso.
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che non possa esserlo io, né potrò mai dirvi mio. È lei a dirvi che vi ama, allora io riconosco le mie illegittime pene, figlie della gelosia. Ditemi chi di noi due vi sembra il più infelice: voi ricevete un amore mentre io ottengo tormenti. E io non sarei geloso? Dite che la mia passione non è vera, che si fonda solo su supposizioni? Non è forse don Luis il girasole che osserva vicino, costante ai rischi, i raggi del vostro Oriente? Non viene qui per amarvi? Non viene per voi? Non vedo che vi ama? Ma chi è il sole? Non con le false metafore mi persuadete, vi state già rispondendo da solo. Se Luis è un girasole, quando mai il sole ha amato dei girasoli? E quando con i raggi non li sdegna? Se sono il sole, voi dite, quando i miei raggi non sono stati ardenti per sdegnarlo e freddi per abbracciarlo? Vi danneggia che mi ami se io invece non lo apprezzo? Ha più gusto esser premiati se davanti all’avversario. 1903
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Al clavel quiere la rosa, y él está desvanecido de ver que le hayan premiado en competencias del lirio; olmo que abrazó la yedra está más agradecido de ver que, siendo él distante, se olvidase del vecino. Ansí, ¿qué importa que, amante, constante, atento, activo, me quiera don Luis a mí, si con ver un amor mismo en los dos, con ser a un tiempo tan constantes como finos, sois el preferido vos y es él el aborrecido? Luego, aunque me quiera a mí doña Alfonsa, no hay indicio para celos. Sí le hay, porque vos no me habéis dicho que no la queréis, y yo que aborrezco a don Luis digo. Pues yo sólo quiero a vos. Que no me halaguéis os pido con el amor, si después me matáis con el olvido; que mucho peor será, si no le tenéis, fingirlo, que, si le tenéis, callarle, pues por más decente elijo que me ocultéis vuestra llama y os halle después más fino, que no hallarme aborrecida, pensando que me han querido. Pulid el bruto diamante de mi amor, en cuyos visos
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La rosa ama il garofano e questi è ben contento di vedere che è premiato nella gara con il giglio; l’olmo abbracciato dall’edera è più contento se vede che, trovandosi distante, si scorda del suo vicino. Dunque, che importa che, amante, costante, attento, attivo, don Luis sia innamorato, se pur vedendo in entrambi lo stesso amore altrettanto tenace e affezionato, siete voi il preferito e lui è il disprezzato? Quindi anche se Alfonsa mi ama, non c’è motivo di gelosia. Si che c’è, perché non avete detto di non amarla, e io dico di disprezzare Luis. Non amo altra che voi. Non mi adulate, vi chiedo, con l’amore, per poi dopo uccidermi con l’oblio; sarà peggio se fingete senza provarlo, piuttosto che tacere innamorato. Io preferisco semmai che ora voi vi tratteniate per poi ritrovarvi amante, anziché credermi amata per poi vedermi sdegnata. Pulite il diamante grezzo del mio amore, le cui facce 1905
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PEDRO ANDREA PEDRO ANDREA
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PEDRO ISABEL PEDRO ISABEL PEDRO ISABEL
PEDRO CABELLERA
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ISABEL
haréis claras experiencias del fondo del dolor mío. Pues elíjase un remedio para evitar los designios de mi padre. ¡Ce, señores! ¿Qué es lo que dices? Que miro abrir aquel aposento. ¿Cúyo es? El de don Luisillo. ¿Dónde irá? Habrá madrugado para tomar el camino antes que amanezca. Es cierto. Pues, señor, yo me retiro; no me vea. Bien eliges. Quédate adiós, dueño mío. En fin, ¿me querrás? Soy tuya. ¿Y don Luis? Es mi enemigo. ¿Y Alfonsa? Mátela amor. Acabad, ¡cuerpo de Cristo!, que está don Luis en el patio. Pues yo me voy, ven conmigo. Señor, entra tú también, porque don Luis ha salido, y puede verte al pasar a tu aposento, y colijo que no puede juzgar bien de verte a esta hora vestido. Mirad, don Pedro...
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PARRUCCONE ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO ISABELLA PEDRO ISABELLA
PEDRO PARRUCCONE
ISABELLA PARRUCCONE
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mostreranno chiaramente che il mio tormento è profondo. Cerchiamo una soluzione per mandare a monte i piani di mio padre. Ehi, signori! Che succede? Ho appena visto quella porta che si apriva. Di chi è? Di don Luisino. Dove andrà? Si sarà alzato di buon’ora per partire prima dell’alba. Senz’altro. Io allora torno dentro: non deve vedermi. Giusto. Dio ti protegga, mio amato. Dunque mi ami? Son tua. E Luis? È mio nemico. Alfonsa? Muoia d’amore. Fatela finita, insomma! C’è don Luis nel cortile! Io vado, vieni con me. Signore, entra anche tu, don Luis è appena uscito e può vederti rientrare nella tua stanza e non credo che sia bene che ti veda vestito ancora a quest’ora. Ma don Pedro...
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¿Qué importa que esté un instante contigo en tanto que este don Luis sale fuera? Bien ha dicho: luz tienes y eres honrada; que él te quiere bien he oído, y los que son más amantes son los menos atrevidos. Pues cierra. La puerta cierro. Tú quédate aquí escondido, pues no importa que te vea. Obedecerte es preciso. (Lo dicho, dicho, lacayo.) (Fregona, los dicho, dicho.)
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Éntranse en el aposento de doña Isabel los tres, queda Cabellera fuera y salen don Luis y Carranza. CARRANZA
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LUIS CARRANZA
A media noche, señor, ¿dónde vas? Nada te espante: voy a intimar a mi amante la justicia de mi amor. No alcanzo tu pensamiento. Huella quedo. ¿No dirás dónde a estas horas vas? Solicito su aposento. Ten cordura, ten templanza. ¡Que esto un hombre cuerdo intente! ¿Y si don Lucas te siente? No me aconsejes, Carranza. Durmiendo, a todos agora con un mismo sueño igualo;
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Cosa importa se entro un attimo con te fintanto che don Luis se ne va via? Ha ragione: c’è luce e sei virtuosa; lui ti ama, l’ho sentito, e quelli più innamorati sono anche i meno audaci. Allora chiudi. Sì, chiudo. Tu rimani qui nascosto, poiché non deve vederti. Ai tuoi ordini, obbedisco. (Il detto è detto, lacchè.) (Il detto è detto, fantesca.)
I tre rientrano nella stanza di donna Isabella, resta in scena Parruccone ed entrano don Luis e Carranza. CARRANZA
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LUIS CARRANZA
LUIS CARRANZA
Nel bel mezzo della notte dove vai? Tranquillo: vado, come è giusto, ad intimare il mio amore alla mia amata. Non riesco proprio a seguirti. Cammina piano. Mi spieghi dove hai intenzione di andare? Sto cercando la sua stanza. Rifletti bene, sta’ attento! E ti consideri saggio? Ma se don Luca ti sente? Niente consigli, Carranza! Dato che dormono tutti vorrei dormire un po’ anch’io! 1909
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no seas Arias Gonzalo si está hecho el mesón Zamora. De verla no es ocasión, y ésta en que la vas a hablar sólo es hora de buscar a la moza del mesón. A dedicar almas mil vengo a la luz por quien veo, porque nunca yo flaqueo de ese accidente civil. Si ello ha de ser, vamos, pues; mitiga tu sentimiento. ¿Sabes cuál es su aposento, Carranza amigo? Éste es. Anoche se recogió en este aposento. Y di, ¿estás cierto en esto? Sí. Pues llama.
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Llame Carranza a otro aposento que esté enfrente del de Isabel. ¿Responde? CARRANZA LUIS
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No. Otra vez puedes volver a llamar, por si despierta. Llamo. Dentro doña Alfonsa.
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¿Quién anda en la puerta? ¿Ésta no es voz de mujer? ¿Quién será? Isabel sería. ¿Si es Andrea?
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LUIS
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LUIS CARRANZA LUIS
Non fare il paladino di quelli delle romanze. Non è il momento opportuno per vederla, questa è l’ora in cui si vanno a cercare le serve della locanda. Voglio dedicare l’anima alla luce che mi illumina e di certo non mi abbasso a queste usanze volgari. Quando è così, su, andiamo; dai pace alle tue smanie. Ma tu sai dirmi, Carranza, qual è la sua stanza? Questa. Si è ritirata stanotte in questa camera qui. Dimmi, ne sei certo? Sì. Su, bussa.
Carranza bussa alla stanza di fronte a quella di Isabella. Risponde? CARRANZA LUIS
CARRANZA
No. Prova di nuovo a bussare, così magari si sveglia. Busso. Donna Alfonsa, da dietro le quinte.
ALFONSA LUIS
CARRANZA LUIS
Chi è che mi cerca? È la voce di una donna? Chi sarà? Sarà Isabella. Se è Andreina?
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No, señor, que yo conozco mejor su voz que la propria mía. Dudoso en la voz estoy. No es Andrea, señor. Pues, si no es Andrea, ella es.
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Sale doña Alfonsa medio desnuda. ALFONSA LUIS ALFONSA CABELLERA LUIS
ALFONSA
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LUIS
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(Aparte)
LUIS ALFONSA
LUIS
(Aparte)
ALFONSA
¿Quién llamaba aquí? Yo soy. ¿Quién sois? (Abrieron la puerta.) Dueño hermoso de mi vida, quien os procuró dormida y os ha logrado despierta. Soy quien con fuego veloz... (Que es don Pedro he imaginado; como habla disimulado no le conozco en la voz.) ... trocar procura en caricias halagos de un ciego dios; soy el que viene tras vos... (Don Pedro es; ¡Amor, albricias!) ... soy quien os quiere tan fiel... ¿Pues cómo, si es eso así, no me hablasteis cuando os vi? (Tiene razón Isabel.) No hagáis, desatenta, enojos las que obré finezas sabio, pues lo que dictaba el labio representaban los ojos. Perdonad, que recelé, que es desconfiada quien ama, que mirabais a otra dama.
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No, signore, la sua voce la conosco ancor meglio della mia. Non mi sembra la sua voce. Non è Andreina, signore. Allora di certo è lei.
CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS
Entra in scena donna Alfonsa, mezza svestita. Chi bussava?
ALFONSA
Sono io.
LUIS ALFONSA CARRANZA LUIS
ALFONSA
(A parte)
LUIS
ALFONSA
(A parte)
LUIS ALFONSA
LUIS
(A parte)
ALFONSA
E chi siete? (Hanno aperto.) Mia signora, sono chi vi cercava addormentata e vi ha ritrovata sveglia. Sono chi brucia d’amore... (Credevo fosse don Pedro però camuffa la voce e non mi sembra la sua.) ...per trasformare in carezze i consigli di Cupido; sono chi viene da voi... (È Pedro! Amore, grazie!) ...colui che vi ama fedele... Allora come mai prima non mi parlaste nemmeno? (Isabella ha ragione.) Non v’arrabbiate, irritata, per le mie caute premure: ciò che dettava la bocca lo pronunciavano gli occhi. Scusatemi, sospettavo, – chi ama è diffidente – che guardaste un’altra donna.
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ALFONSA
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ALFONSA
LUIS
Es verdad que la miré; pero puesto su arrebol de esa luz en la presencia, conocí la diferencia que hay de la tiniebla al sol. Por lisonja tan dichosa premios mi verdad ofrezca; mas como yo os lo parezca, no quiero ser más hermosa. Creer quiero lo que decís y valerme del consuelo. (Doña Alfonsa, ¡vive el Cielo!, es la que habla con don Luis. Buena es la conversación; que es éste don Luis ignora. ¡Cosa que le diese agora algún mal de corazón!) Sola una ocasión deseo en que yo pueda mostrar... Don Lucas ha de estorbar nuestro amor. Así lo creo; pero podéis estar cierta que no ha de lograr su intento, pues cuando este casamiento...
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Dentro don Lucas. LUCAS LUIS ALFONSA CABELLERA LUIS ALFONSA LUIS
¡Hola! ¿Quién anda en la puerta? ¿Quién es? ¡Don Lucas! ¿Qué haré? (¡Sentido los ha, por Dios!) ¿Don Lucas está con vos? ¿Pues dónde queréis que esté? ¡Daré quejas a los cielos! ¿Así premiasteis mi amor? ¿Cómo...?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO LUIS
ALFONSA
CARRANZA
LUIS
ALFONSA
LUIS
È vero che la guardai, ma nel vedere il tramonto dinanzi alla vostra luce, vi trovai la differenza che c’è tra il buio ed il sole. Un complimento così merita un premio in compenso; anche se vi appaio tale io non voglio esser più bella. Voglio solamente credere a ciò che dite e gioirne. (Santo cielo, è donna Alfonsa a parlare a don Luis! Che bella conversazione! Ignora che sia Luis. Di certo se lo sapesse le prenderebbe un malore!) Chiedo un’occasione sola per potervi dimostrare... Luca ostacolerà il nostro amore. Lo so, ma potete stare certa: non riuscirà nell’intento, quando questo matrimonio... Da dentro, don Luca.
LUCA LUIS ALFONSA CARRANZA LUIS ALFONSA LUIS
Ehilà! Chi c’è qui alla porta? Chi è? Don Luca! Che faccio? (Accidenti! Li ha sentiti!) Don Luca è lì con voi? Dove volete che sia? Che dolore misurato! Come? Così ripagate il mio amore? 1915
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA ALFONSA
LUIS ALFONSA CARRANZA
ALFONSA
¿Qué es esto, señor, de don Lucas tenéis celos? Yo he de ver... Tened templanza. No es tiempo de hacer estremos. Vente. Adiós, luego hablaremos.
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Vase. LUIS CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS
¿Qué es esto, amigo Carranza? En la ceniza hemos dado con el amor. Ven tras mí. ¿Sale ya don Lucas? Sí. ¡Por Dios, que se ha levantado! Perdí famosa ocasión.
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Vanse los dos. CABELLERA
Pulgas lleva el don Luisillo; pero no me maravillo, que hay muchas en el mesón. A dormir de buena gana me fuera. Señor, no hay gente;
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Llama a la puerta por donde entró don Pedro. sal presto; pero, detente...
1455
Sale don Lucas, medio vestido, ridículamente, con espada y una luz, por el aposento de Alfonsa. LUCAS
¡El diablo está en Cantillana! ¿Quién está aquí?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
Che succede? Siete geloso di Luca? Voglio vedere... Calmatevi! Non è tempo di imprudenze: vieni. Parleremo poi.
ALFONSA
LUIS ALFONSA CARRANZA
ALFONSA
Esce di scena. Ma che succede, Carranza? Mala sorte ci ha portato l’amore. Vieni con me. Don Luca già esce? Sì. Santo cielo! Si è svegliato! Ho perso la mia occasione.
LUIS CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS CARRANZA LUIS
Escono entrambi di scena. PARRUCCONE
Ha le pulci don Luisino, ma non è poi così strano: la locanda ne ha parecchie! Sarei andato volentieri a letto; signore, esci;
Bussa alla porta da cui è uscito di scena don Pedro. non c’è nessuno; no, aspetta... Dalla camera di Alfonsa esce don Luca, mezzo svestito, in modo ridicolo, con la spada e un lume. LUCA
Al lupo! Gatta ci cova! Chi va là?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
Ve a Cabellera y él vuelve la cara. CABELLERA
LUCAS
CABELLERA
(Ya me vio; a mi fortuna maldigo.) ¡Hombre ordinario! ¿Qué digo? ¿Quién sois, hombrecillo? Yo.
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Vuelve la cara Cabellera y quiere irse. LUCAS
CABELLERA
LUCAS CABELLERA
LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS
¿Qué es yo? Con eso no salva una cuchillada. ¡Fuera! ¡Diga quién es! Cabellera, al servicio de tu calva. ¿Qué haces aquí? (¿Qué diré?) Digo..., estaba..., porque yo... ¿Llamaste a mi puerta? No. Pues, ¿quién llamó? No lo sé. ¿Viste abrir la puerta? Sí. ¿Y quién era conociste? No, señor. ¿Y a qué saliste? Señor, a tu voz salí. ¿Era hombre el que llamaba? Sí, señor. ¿Vístele? No. ¿Adónde entró? Qué sé yo. ¡Esto está peor que estaba! Discurro: ¿no puede ser que quien fue, con mal intento,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
Vede Parruccone e questi si volta. PARRUCCONE
LUCA
PARRUCCONE
(Ormai mi ha visto; maledico la mia sorte!) Uomo da poco! Che dico? Chi siete, omuncolo? Io. Parruccone gira la testa e fa per andarsene.
LUCA
PARRUCCONE
LUCA PARRUCCONE
LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA
Come «io»? Non sarà questo a salvarvi dalla spada. Chi siete? Su! Parruccone, per servirvi la pelata. Che fai qui? (Ora che dico?) Ecco..., ero..., perché io... Hai bussato? No, io no. Chi ha bussato? Non lo so. Hai visto aprire? Sì, ho visto. E chi è che apriva la porta? Non so. Perché sei uscito? Sentivo la vostra voce! È stato un uomo a bussare? Sì, signore. Sai chi? No. Dove è entrato? Che ne so! Adesso è peggio di prima! Mi domando: sarà mica che chi ha bussato alla porta 1919
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
por llamar a mi aposento, llamase al de mi mujer? ¿Y que el que a llamar se atreve, luego que abriesen la puerta, dijese, en viéndola abierta: «Acójome acá, que llueve»? Pero si puede ser, yo intento con gallardas osadías, entrar a hacer de las mías y visitar su aposento, y darle presumo un ¡zas! de buen modo, si le encuentro.
1480
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1490
Va a la puerta don Lucas, por donde entró don Pedro. CABELLERA
LUCAS CABELLERA
LUCAS
(¡Por Cristo!, ¡que va allá adentro!) ¡Ah, señor! ¿Adónde vas? A visitar mi mujer. (¿Cómo lo podré impedir?) Mira que nos hemos de ir y que quiere amanecer. ¿Qué importa eso?
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Va a la puerta. CABELLERA
(Allá se arroja; así le he de divertir.) Señor, ¿quiéresme decir de qué maestro es mi hoja? Que no hay desde aquí a Sevilla quien la sepa conocer.
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Saca la espada. LUIS CABELLERA LUCAS
¿Ahora? Ahora la has de ver. De Francisco Ruiz Patilla.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
si è sbagliato e avrà creduto di bussare alla mia sposa? E che chi osa bussare, dopo che gli è stato aperto, a porta aperta le dica: «Fammi entrare, per favore»? Nel caso fosse, io intendo con il mio coraggio intrepido entrare in camera sua, e se per caso lo incontro dargli una bella stoccata di quelle come so io. Don Luca si dirige verso la porta da cui è uscito di scena don Pedro. PARRUCCONE
LUCA PARRUCCONE
LUCA
(Santo cielo, entra là dentro!) Ma, signore, dove andate? A trovare la mia sposa. (Come lo potrei impedire?) Guarda che dobbiamo andare perché sta per fare giorno. Cosa importa? Va alla porta.
PARRUCCONE
(È risoluto: devo riuscire a distrarlo.) Signore, puoi mica dirmi chi ha forgiato la mia spada? Che non c’è, da qui a Siviglia, chi me l’ha saputo dire. Tira fuori la spada.
LUCA PARRUCCONE LUCA
Proprio adesso? Adesso, sì. Di Francisco Ruiz Patilla. 1921
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA CABELLERA
LUCAS
(Aparte)
(¡Que ahora no salga el aznazo de don Pedro!) Es un espejo la espada; diz que es del viejo. Del mozo es este recazo. Quédate aquí.
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Dale la espada y va a la puerta. CABELLERA
LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA
LUCAS
(No remedia nada, y su intento no evito.) Ansí, de las que has escrito, ¿quieres leerme una comedia? ¿A media noche? Es verano. Pues, ¿adónde la oirás? En aquel pozo, y serás poeta samaritano. La que se ha de hacer cien días, según dices. Hela aquí.
1510
1515
Saque una comedia.
CABELLERA LUCAS
Oye un paso que escribí entre Herodes y Herodías. Será famoso. Sí, a fe. Pero ver primero intento quién llamaba a mi aposento.
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Hace que se va al aposento. CABELLERA LUCAS
Señor, yo fui el que llamé. Si eras tú, yo me concluyo. ¿Y a qué llamaste, si eras?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PARRUCCONE (A parte) (Che
LUCA
quell’asino di Pedro non esca ora!) È uno specchio di spada. Sarà del padre? No, questa parte è del figlio. Resta qui.
Gli restituisce la spada e torna verso la porta. PARRUCCONE
LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE
LUCA
(Non è servito a niente, non lo distraggo.) Mi leggi una commedia di quelle che hai composto? Di notte? Siamo in estate. E dove vuoi ascoltarla? Vicino al pozzo, sarai poeta samaritano. Quella che dici che avrà ben cento repliche. Eccola. Tira fuori una commedia.
PARRUCCONE LUCA
Senti una scena che ho scritto tra Erode e Erodiade. Sarà bellissima. Certo. Ma prima voglio vedere chi bussava alla mia porta. Fa per andare verso la camera.
PARRUCCONE LUCA
Sono stato io a bussare. Se eri tu allora basta. Ma come mai mi hai bussato?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA CABELLERA
(Aparte)
Llamaba a que me leyeras algún trabajillo tuyo si no dormías acaso. (Don Pedo, así, me ha de oír.) ¡Ahora es tiempo de salir!
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Dice recio este verso. LUCAS
¿Quién ha de salir?
CABELLERA
El paso. Di los versos. Son valientes. Lope es contigo novel. «Sale Herodes, y con él, cuatrocientos inocentes.»
LUCAS CABELLERA LUCAS
1535
Asómanse Andrea y don Pedro a la puerta. PEDRO
ANDREA PEDRO CABELLERA LUCAS
(Agora, a salir me obligo, aunque allí está. ¿Sales? Sí.) Vaya, señor. Dice ansí... ¿Quién anda en aquel postigo?
1540
Velos don Lucas y cierran la puerta. PEDRO
(Él me vio, ¡cierra la puerta! ¡Cierra!) Cierran y tórnanse a entrar.
ANDREA LUCAS
CABELLERA
(¡Nací desdichada!) ¿Conmigo la hacen cerrada? ¡Pues yo la he de hacer abierta! (¡Vive Dios!, que no salió.)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PARRUCCONE
(A parte)
Perché, se poi non dormivi, volevo che mi leggessi uno di quei tuoi lavori. (Don Pedro deve sentirmi.) Adesso è il momento buono! Pronuncia questo verso ad alta voce.
LUCA
Buono per cosa? Il brano.
PARRUCCONE
Leggete i versi. LUCA PARRUCCONE LUCA
Eccellenti. Lope in confronto è nessuno. «Entra Erode, insieme a lui ben quattrocento innocenti». Andreina e don Pedro si affacciano alla porta.
PEDRO
ANDREINA
(Ora bisogna che esca, anche se è là. Vai via? Sì.)
PEDRO PARRUCCONE
Andate avanti.
LUCA
Continuo... Chi esce da quella porta? Don Luca li vede e loro chiudono la porta.
PEDRO
(Mi ha visto, chiudi la porta! Veloce!) La chiudono e ritornano dietro le quinte.
ANDREINA LUCA
PARRUCCONE
(Me sventurata!) Me la chiudono così? Vedranno come la apro! (Non è uscito, di sicuro!) 1925
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA LUCAS
¡Cabellera!
CABELLERA
(Él ha de hallarle.) ¿Quieres entrar a matarle? Responde. No, sino no. Llama a la puerta.
LUCAS
Llame Cabellera. ¿Quién llama?
ANDREA LUCAS
¿Ésta es la criada?
CABELLERA
Sí. ¡Hola, criada! Abre aquí al marido de tu ama.
LUCAS
1550
Abre. ANDREA LUCAS
CABELLERA
Entrad. Entra tú primero; morirá, a fe de cristiano. Pon la daga en la otra mano y dame ese candelero, que yo he de morir contigo.
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Dale don Lucas la luz a Cabellera. Esa luz puedes llevar. CABELLERA (Aparte) (Ansí lo he de remediar.) ¿No me sigues? LUCAS Ya te sigo. CABELLERA Voy enojado. LUCAS Voy ciego. CABELLERA (Adelante, industria mía.) LUCAS ¿Adulterio el primer día? ¡Entre bobos anda el juego! LUCAS
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO LUCA PARRUCCONE
LUCA
Parruccone! (Lo vedrà!) Vuoi entrare ad ammazzarlo? Rispondi. Certo che no! Bussa alla porta. Parruccone bussa. Chi è?
ANDREINA LUCA
È la serva?
PARRUCCONE
Sì, è lei. Salve serva! Apri, che sono lo sposo della signora.
LUCA
Apre. ANDREINA
Entrate.
LUCA
Vai tu per primo; lo uccido, puoi starne certo. La spada nell’altra mano, datemi il candelabro: io morirò insieme a voi.
PARRUCCONE
Don Luca passa il lume a Parruccone. Ecco, prendi questo lume. PARRUCCONE (A parte) (Bene, così lo sistemo.) Mi seguite? LUCA Sì, ti seguo. PARRUCCONE Sono arrabbiato. LUCA Io cieco. PARRUCCONE (Su, furbizia, fatti avanti.) LUCA Adulterio il primo giorno? Non si sa chi sia il più furbo! LUCA
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
Éntranse. Salen don Pedro y doña Isabel, turbados. ISABEL PEDRO
ISABEL
PEDRO
ISABEL
PEDRO ISABEL
PEDRO ISABEL PEDRO ISABEL PEDRO
¿Entró don Lucas? Entró, desnudo el airado acero. Detrás de aquella cortina te esconde. No me resuelvo. Diré que tu esposo soy. Échasme a perder con eso; escóndete, dueño mío. Advierte... Escóndete presto, que llegan. No me porfíes. Mira, señor... Estoy ciego. Haz esto por mí. Soy tuyo, Isabel, ya te obedezco.
1565
1570
1575
Escóndese detrás de una cortina. Salen don Lucas y Cabellera, con el candelero. LUCAS
Alumbra, mozo.
CABELLERA
Ya alumbro. ¿Quién está en este aposento? ¿Qué es esto, señor don Lucas? ¿Cómo vos, tan descompuesto, alteráis de mi quietud el recatado silencio? ¿Qué hacéis, Isabel, vestida, a estas horas? En el lecho desvelada, y no desnuda, estaba esperando el tiempo de partir, y vos, airado
LUCAS ISABEL
LUCAS
ISABEL
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1928
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
Escono di scena. Entrano don Pedro e donna Isabel, sconvolti. ISABELLA
È entrato Luca?
PEDRO
È entrato e con la spada sguainata. Su nasconditi, veloce, dietro la tenda. Non voglio. Dirò che sono tuo sposo. Ma così mi perderai! Nasconditi, mio signore. Guarda che... Veloce, presto, che arrivano. Non insistere. Ma vedi... Io sono cieco. Fallo per me. Sono tuo, Isabella, ed obbedisco.
ISABELLA
PEDRO
ISABELLA
PEDRO ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO ISABELLA PEDRO
Si nasconde dietro una tenda. Entrano in scena don Luca e Parruccone, con il candelabro. LUCA
Luce, ragazzo.
PARRUCCONE
D’accordo. Chi si trova in questa stanza? Che succede, signor Luca? Come mai, così scomposto mi disturbate il riposo nel mio composto silenzio? Cosa ci fate vestita a quest’ora? Ero a letto e non riuscivo a dormire, così attendevo il momento della partenza; ma voi,
LUCA ISABELLA
LUCA
ISABELLA
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
LUCAS ISABEL LUCAS
CABELLERA
y ciego, ¿cómo resuelto os entráis desta manera? ¿Y qué hombre estaba aquí dentro? ¿Estáis en vos? Sí, señora, y estoy en vuestro aposento, y le he de ver de pe a pa. Alumbra, hermano; miremos detrás de aquesta cortina. Has dicho muy bien, yo llego.
1590
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Cae en el suelo Cabellera, fingiendo que tropezó, y mata la luz. ¡Jesús! ¿Qué ha sido?
LUCAS CABELLERA
LUCAS CABELLERA
Caer, y matar la luz a un tiempo. Trae otra. Tengo quebrado un pie. (Sal, señor.)
Sale don Pedro detrás de la cortina, con la mano delante. PEDRO
LUCAS
(Yo pruebo a salir, puesto que agora no hay luces.) ¡Ah, señor Nieto! Pues es huésped, traiga luces. Ponerme a la puerta quiero, no sea que estando a escuras se salga el que está acá dentro.
1600
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Vase a la puerta y pónese en ella, y al salir don Pedro topa con él, y ásele don Lucas. ISABEL
(¡Válgame Dios! ¿Qué he de hacer?)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
LUCA ISABELLA LUCA
PARRUCCONE
così arrabbiato, che fate, entrando in questo modo? E l’uomo che era qui dentro? Ma siete in voi? Sì, signora, e anche nella vostra stanza, voglio vederla ben bene. Giovanotto fammi luce: guardiamo dietro la tenda. Buona idea. Eccomi, arrivo.
Parruccone cade a terra dietro la tenda fingendo di inciampare e spegne il lume. Oddio! Che c’è?
LUCA PARRUCCONE
LUCA PARRUCCONE
Son caduto e nel farlo ho spento il lume. Prendine un altro. Mi sono rotto un piede. (Presto, uscite, signore.) Don Pedro esce da dietro la tenda a tentoni.
PEDRO
LUCA
(Ci sto provando, ma è buio.) Signor Nieto! È il locandiere: avrà un lume. Sto sulla porta, non sia mai che chi è qui dentro ne approfitti per scappare.
Va alla porta e si ferma lì. Don Pedro nell’uscire va a sbatterci contro e don Luca lo afferra. ISABELLA
(Dio mi aiuti! Cosa faccio?) 1931
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA LUCAS PEDRO
LUCAS CABELLERA
¿Quién anda aquí? (¡Vive el cielo, que he topado con don Lucas!) Topé un hombre. (Peor es esto, porque, al salir, es sin duda que ha topado con don Pedro; quiero decir que soy yo y llegarme.)
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Llégase cara con cara con su amo. LUCAS
CABELLERA LUCAS
CABELLERA
LUCAS
Diga luego, quién es. Yo, que voy por luces. Mentís, que es de mejor pelo a quien yo tengo. Señor, yo soy. Ahora lo veremos. ¡Luces!
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Dentro, mesonero. MESONERO
¿Andan los demonios en el mesón? Hace fuerza don Pedro para soltarse.
LUCAS
¡Estaos quedo!
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Salen don Luis y doña Alfonsa con luces. ALFONSA LUIS ISABEL
Luz hay aquí. Y aquí hay luz. (¿Qué miro? ¡Válgame el cielo!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO LUCA PEDRO
LUCA PARRUCCONE
Chi va là? (Maledizione! Sono incappato in don Luca!) Ho preso un uomo. (Accidenti! Nell’uscire di sicuro avrà sbattuto in don Pedro; devo avvicinarmi e dire che sono io.) Si avvicina faccia a faccia con il proprio padrone. Dimmi, dunque,
LUCA
chi sei. PARRUCCONE LUCA
PARRUCCONE
LUCA
Io, che cerco un lume. Bugiardo: quello che ho preso è d’altro pelo. Signore, sono io. Ora vedremo. Lume, presto! Il locandiere, da dietro le quinte. C’è il demonio
LOCANDIERE
nella locanda? Don Pedro cerca di divincolarsi con forza. Stai buono!
LUCA
Entrano in scena don Luis e donna Alfonsa, con dei lumi. ALFONSA LUIS ISABELLA
Un lume. Eccolo qua. (Cosa vedo? Santo cielo!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA LUCAS
PEDRO
LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS
Verbum caro factum est. Pues, ¿qué hacéis aquí, don Pedro? Señor, mirar por tu honor, y mirar por lo que debo mirar, que tú eres mi sangre. Dejad esos miramientos y decid qué hacéis aquí. ¡Ea, responded, don Pedro! ¿Quién os mete en eso a vos? ¿Sois mi sombra, caballero? Soy vuestra luz, pues la traigo. Pues llevaos la luz, os ruego, que yo no la he menester. ¿Adónde vais? A Toledo. Pues yo me vuelvo a Madrid, solamente por no veros. Sois ingrato, ¡vive Dios! Yo me voy.
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Vase. LUCAS
ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS
ALFONSA
¿No soy más de esto? ¡Válgate el diablo, el don Luis! Don Lucas, decid: ¿qué es esto? Don Pedro está aquí encerrado. ¿Vos lo encontrasteis? Yo mesmo. Pues ¿a qué entró? ¿Qué sé yo? ¿Quiere a Isabel? Lo sospecho, pues yo le he hallado escondido agora. ¡Válgame el cielo!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO LUCA
PEDRO
LUCA
LUIS LUCA
LUIS LUCA
LUIS LUCA
LUIS
Verbum caro factum est. Che ci fate qui, don Pedro? Io cautelo il vostro onore, lo faccio perché è dovere difendere il proprio sangue. Basta con queste cautele, ditemi che fate qui. Su, don Pedro, rispondete! E voi che cosa c’entrate? Siete forse la mia ombra? La luce, poiché la porto. Via la luce, ve ne prego, che io non ne ho alcun bisogno. Dove andate? A Toledo. Io allora vado a Madrid, giusto per non rivedervi. Siete un ingrato, per Dio! Me ne vado. Esce di scena.
LUCA
ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA
ALFONSA
Non sono altro? Al diavolo don Luis! Don Luca, cosa succede? Pedro stava chiuso qui. L’avete visto? Io stesso. Perché è entrato? Che ne so. Ama Isabella? Io credo, perché l’ho appena trovato nascosto. Che Dio mi aiuti!
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
Finge que la da el mal de corazón y cae sobre un taburete. CABELLERA
Diole el mal.
LUCAS
Tenla esa mano y tírale bien del dedo del corazón. ¿No hay quién traiga manteca? Sí, yo la tengo. Pues, id por ella. Yo voy. (Llamaré de allí a don Pedro.)
ISABEL LUCAS ISABEL
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Vase. CABELLERA LUIS
¡Qué gran mal! ¡Pobre señora! ¿Veis, primo, lo que habéis hecho? Tenedla esta mano vos, porque voy a mi aposento por la uña de la gran bestia.
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Vase y don Pedro tómala la mano. CABELLERA PEDRO CABELLERA PEDRO CABELLERA
PEDRO CABELLERA PEDRO
Ponga su uña, que es lo mesmo. (¿Fuése? Sí. ¿Qué hemos de hacer? Luego trataremos de eso; requiebra a la desmayada, si entra don Lucas, más tierno, porque crea que la quieres, que esto importa. Y eso intento. Él viene ya.) Doña Alfonsa, mi luz, mi divino cielo,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
Finge un malore e cade su di uno sgabello. PARRUCCONE
È svenuta.
LUCA
Forza, prendile la mano e tirale il dito del cuore. Qualcuno porti l’unguento! Io ce l’ho. Andate a prenderlo. Vado. (Da lì chiamerò don Pedro.)
ISABELLA LUCA ISABELLA
Esce di scena. PARRUCCONE LUCA
Povera, che brutto male! Guardate che avete fatto, cugino. Ora tenetela per mano, vado in camera e prendo l’artiglio. Luca esce di scena e don Pedro le tiene la mano.
PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE PEDRO PARRUCCONE
PEDRO PARRUCCONE PEDRO
Può usare il proprio, è una bestia. (È andato? Sì. Che facciamo? Ce ne preoccupiamo dopo; ora pensa a corteggiare la svenuta; quando torna Luca penserà che l’ami e si calmerà. Ci provo. Sta arrivando!) Donna Alfonsa, mia luce, divino cielo,
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA
no le disfracéis turbado si he de gozarle sereno. A vos os quiero, señora.
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Sale doña Isabel. ISABEL PEDRO
ISABEL
PEDRO
(¿Qué es lo que escucho?) Creed esto, que sólo a vuestra hermosura se consagran mis deseos; el alma sois por quien vivo, vos sois la luz por quien veo. Pues, traidor, falso, atrevido, ¡viven mis ardientes celos!, dioses que hoy, en mi coraje, tienen la corona y cetro, que he de pagarte en venganzas cuanto cobro en escarmientos. Don Luis ha de ser mi esposo, porque, aunque yo le aborrezco, por vengarme de ti solo, vengarme en mí misma apruebo. ¡Quédate! Espera, señora,
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Deja a la desmayada.
ISABEL
Y advierte que estos requiebros los pronuncio con el labio y los finjo con el pecho. Díjelos porque don Lucas entendiese que la quiero, no porque a ti no te adoro. ¡Escúchame! No te creo, que, no estando aquí, no vienen esas disculpas a tiempo.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO
non copritevi di nubi voglio vedervi serena. Io vi amo, mia signora. Entra in scena donna Isabella. ISABELLA
(Che cosa sento!)
PEDRO
Credetemi, solo alla vostra bellezza consacro i miei desideri; siete l’anima in cui vivo e la luce che mi illumina. Bugiardo, falso, impostore! La gelosia mi divora, detiene scettro e corona, regina della mia rabbia; ti ripagherò in vendetta la lezione che ricevo. Mi sposerò con don Luca per quanto io lo disprezzi: per vendicarmi di te su di me farò vendetta. Fermati! Ti prego, aspetta,
ISABELLA
PEDRO
Si allontana dalla svenuta.
ISABELLA
Sappi che queste lusinghe le pronuncio con le labbra ma con il cuore le fingo. Le ho dette cosicché Luca credesse che io la amo, e non perché non ti adori. Ascoltami! Non ti credo, dato che lui non è qui queste sono solo scuse. 1939
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA CABELLERA
PEDRO
ISABEL PEDRO ISABEL PEDRO
(¡Si aqueste desmayo fuera fingido, estábamos buenos!) Señora, sólo eres tú el alma por quien aliento, la muerte por quien yo vivo y la vida por quien muero. ¡Escucha! No tengo oídos. Repara bien... Ya te dejo. ...que sólo te quiero a ti, que a doña Alfonsa aborrezco.
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Levántase doña Alfonsa del desmayo fingido. ALFONSA
CABELLERA
ALFONSA ISABEL PEDRO ALFONSA ISABEL PEDRO ALFONSA PEDRO ISABEL ALFONSA ISABEL ALFONSA PEDRO CABELLERA
Pues ¡vive el cielo!, cruel falso, ingrato, lisonjero, que has de decir, de las dos, a cuál adoras, supuesto que a ella le mientes finezas y a mí me finges requiebros. (El desmayo era fingido. ¡Todo el infierno anda suelto!) ¡Di a quién quieres! ¡Eso aguardo! Mirad... ¿En qué estás suspenso? ¿Me quieres? (¿Qué la diré?) ¿Me aborreces? (¿Qué haré, cielos?) ¿Qué te elevas? ¿Qué te turbas? ¿Quién merece tu desprecio? ¿Quién es dueño de tu amor? Yo digo... (¡Bueno la ha hecho!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PARRUCCONE
PEDRO
ISABELLA PEDRO ISABELLA PEDRO
(Se lo svenimento è finto, ne vedremo delle belle!) Signora, tu sei la sola ragione per cui respiro, la morte per cui io vivo, la vita per cui io muoio. Ascolta! Non ne ho più voglia. Credimi, io... Ti lascio. ...non amo altra che te e disprezzo donna Alfonsa. Donna Alfonsa si rialza dal finto svenimento.
ALFONSA
PARRUCCONE
ALFONSA ISABELLA PEDRO ALFONSA ISABELLA PEDRO ALFONSA PEDRO ISABELLA ALFONSA ISABELLA ALFONSA PEDRO PARRUCCONE
Ah! Santo cielo! Crudele, falso, ingrato, adulatore, ora dicci delle due chi è che adori, dal momento che con lei menti lusinghe e con me fingi moine. (Lo svenimento era finto. Si scatenerà l’inferno!) Di’ chi ami! Sto aspettando! Vedete... Che ti trattiene? Mi ami? (Cosa le dico?) Mi disprezzi? (Cosa faccio?) Che ti inquieta? Che ti turba? Chi riceve il tuo disprezzo? Chi è signora del tuo amore? Io dico... (L’ha fatta grossa!) 1941
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA PEDRO
(Aparte) ALFONSA
PEDRO ISABEL ALFONSA ISABEL ALFONSA PEDRO ALFONSA PEDRO ISABEL PEDRO
...que quiero... (A la una agravio si a la otra favorezco.) ¿Éstas eran las finezas con que anoche en mi aposento dijiste que me adorabas? ¿Yo en tu aposento? ¿Qué es esto? ¡A Alfonsa quieres, traidor! ¡Doña Isabel es tu dueño! ¡Hoy has de probar mis iras! ¡Hoy has de ver mi escarmiento! Doña Alfonsa... No te escucho. Doña Isabel... Soy de fuego. Mirad...
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Sale don Lucas. LUCAS CABELLERA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ISABEL LUCAS ALFONSA LUCAS ISABEL LUCAS ISABEL LUCAS PEDRO LUCAS ALFONSA LUCAS
Ya está aquí la uña. (La bestia ha llegado a tiempo.) ¿Estás sosegada? No. Pues, ¿qué sientes? Un desprecio. ¿Qué es esto, Isabel? No sé. Tú, di tu mal. Soy de hielo. Tú, dime tu pena. Es grande. ¿No hay remedio? Es sin remedio. Don Pedro, dime ¿qué sientes? No tiene voz mi tormento. ¿No le he de saber? Sabrasle. ¿No me le dirás?
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO PEDRO
(A parte) ALFONSA
PEDRO ISABELLA ALFONSA ISABELLA ALFONSA PEDRO ALFONSA PEDRO ISABELLA PEDRO
...che amo... (Ne offendo una se faccio felice l’altra.) Queste erano le lodi con cui hai detto stanotte di amarmi, nella mia stanza? Nella tua stanza? Che dici? Ami Alfonsa, traditore! È Isabella il tuo amore! Proverete la mia ira! Sentirete il mio castigo! Donna Alfonsa... Non ti ascolto. Donna Isabella... Divampo. Vedete... Entra in scena don Luca.
LUCA PARRUCCONE LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ISABELLA LUCA ALFONSA LUCA ISABELLA LUCA ISABELLA LUCA PEDRO LUCA ALFONSA LUCA
Ecco l’artiglio. (Arriva in tempo la bestia!) Sei più calma adesso? No. Cosa ti senti? Un disprezzo. Che cosa intende? Non so. Tu, come ti senti? Ghiaccio. Tu, che pena hai? Enorme. Non c’è rimedio? Nessuno. Pedro parla: cosa provi? Non ha voce il mio tormento. Posso saperlo? Non ora. Tu me lo dici? 1943
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, SEGUNDA JORNADA ISABEL LUCAS
ALFONSA ISABEL LUCAS PEDRO LUCAS
No puedo. Isabel, a la litera; Alfonsa, el coche está puesto; Pedro, el rucio está ensillado: en Cabañas nos veremos. (¡Quejas, que muero de amor!) (¡Iras, que rabio de celos!) (Honra, ¿qué andáis titubeando?) (Dudas, ¿qué andáis discurriendo?) (¡Pero yo lo sabré todo, que entre bobos anda el juego!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, SECONDO ATTO ISABELLA LUCA
ALFONSA ISABELLA LUCA PEDRO LUCA
Non posso. In portantina, Isabella; Alfonsa, alla carrozza; Pedro, il cavallo è sellato: ci rivedremo a Cabañas. (Ahimè, io muoio d’amore!) (La gelosia mi divora!) (Onore, perché tentenni?) (Dubbi, che cosa succede?) (Io scoprirò ogni mistero: non si sa chi sia il più furbo!)
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA
TERCERA JORNADA Don Antonio y don Lucas. LUCAS
(Dentro)
Ten ese macho, mulero, que es un poquillo mohino. Salen los dos.
ANTONIO
LUCAS ANTONIO
LUCAS ANTONIO LUCAS
ANTONIO
LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS ANTONIO LUCAS
ANTONIO
LUCAS
ANTONIO
¿Dónde, fuera del camino, me sacáis? Hablaros quiero. Pues, ¿a qué nos apartamos del camino? ¿Qué queréis? Suegro, agora lo veréis. Ya estamos solos. Sí estamos. ¿Viene el coche? Se quedó más de una legua de aquí. ¿Queréis escucharme? Sí. ¿Habéis de enojaros? No. ¿Oís bien? ¿No lo sabéis? Quiero hablar quedo. Hablad quedo. Ultimadamente, ¿puedo hablar a bulto? Podéis. ¿Tenéis que hablar mucho? Mucho. ¿Replicaréis cuando yo estuviere hablando? No.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO
TERZO ATTO Don Antonio e don Luca. Mulattiere bada al mulo, (Da dietro le quinte) che è un bardotto un po’ imbroglione. LUCA
I due entrano in scena. ANTONIO
LUCA
ANTONIO
LUCA ANTONIO LUCA
ANTONIO
LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA ANTONIO LUCA
ANTONIO
LUCA
ANTONIO
Dove mi state portando fuori dal tragitto? Voglio parlarvi. E c’è bisogno di allontanarsi? Che c’è? Suocero, ora vi dico. Eccoci soli. Lo siamo. Ma la carrozza? È rimasta a più di un’ora da qui. Volete sapere? Sì. Vi arrabbierete? Ma no! Ci sentite bene? Certo! Abbasso la voce. Prego. Per farla breve, potrei parlarvi chiaro? Potete. C’è molto da dire? Molto. E mentre starò parlando mi interromperete? No. 1947
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Pues, escuchad. Ya os escucho. Yo soy, señor don Antonio de Contreras, un hidalgo bien entendido, así así, y bien quisto, tanto cuanto; soy ligero luchador, tiro una barra de a cuatro, y aunque pese cuatro y libra, a más de cuarenta pasos; soy diestro como el más diestro, espléndidamente largo, por el principio atrevido y valiente por el cabo; de la escopeta en las suertes salen mis tiros en blanco, y puedo tirar con todos cuantos hay, del Rey abajo; canto, bailo y represento, y si me pongo a caballo, caigo bien sobre la silla, y de ella mejor si caigo; si en Zocodover toreo, me llaman el secretario de los toros, porque apenas llegan, cuando los despacho. Conozco bien de pinturas, hago comedias a pasto, y como todos, también, llamo a los versos «trabajos». No soy nada caballero de ciudad, soy cortesano, y nací bien entendido, aunque nací mayorazgo. Pues mi talle no es muy lerdo, soy delgado sin ser flaco, soy muy ancho de cintura
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO LUCA
Dunque ascoltate.
ANTONIO
Vi ascolto. Don Antonio de Contreras, sono un gentiluomo in gamba, così così, e abbastanza sono ben considerato, lancio un’asta di due chili anche se ne pesa tre a mezzo metro o anche più. Spadaccino esperto come il più esperto; sono inoltre ampiamente generoso, all’inizio ardimentoso, alla fine coraggioso; quando è il mio turno al moschetto manco tutti i colpi a vuoto, posso sfidare chiunque ci sia, all’infuori del re; recito, canto e ballo, e quando monto a cavallo ci faccio la mia figura, soprattutto quando cado! Quando sono nell’arena mi chiamano «segretario dei tori» poiché appena entrano io li sistemo. Sono esperto di pittura, scrivo commedie a bizzeffe e come tutti, del resto, chiamo «lavori» i miei versi. Non sono un cavaliere di provincia, ma di Corte, e sono nato assennato, malgrado sia primogenito. Non avendo grossa stazza sono magro ma non secco, sono largo di cintura
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y de hombros también soy ancho. Los pies, ansí me los quiero; piernas, ansí me las traigo, con su punta de lo airoso y su encaje de estevado. Yo me alabo, perdonad, que esto importa para el caso, y no he de hallar quien me alabe en un campo despoblado. En fin, discreto, valiente, galán, airoso, bizarro, diestro, músico, poeta, jinete, toreador, franco, y sobre todo teniendo de renta seis mil ducados, que no es muy mala pimienta para estos veinte guisados, salgo a que Isabel merezca estas gracias en sus brazos, que nunca pensé, por Dios, venderme yo tan barato, y hallo que con vuestra hija me distis por liebre gato. ¡Advertid que sois un necio! ¿No me oiréis? ¡No he de escucharos; mataros era más justo! Señor mío, no lo hagamos pendencia; escuchad agora, y vamos al cuento. Vamos. Lo primero: envié a decir que saliese con cuidado de Madrid y se pusiese una máscara al recato, y ella se puso por una media mascarilla, tanto
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e pure ampio di spalle. I piedi, così li voglio; le gambe, così le porto, con la loro punta valga e l’incavo tra i ginocchi. E scusate se mi vanto ma è importante che lo faccia, e in questa zona deserta non so chi potrebbe farlo. Dunque: probo, coraggioso, galante, forte, faceto, poeta, torero, musico, spadaccino, cavaliere generoso e infine erede di ben seimila ducati a fare da condimento a questa bella portata. Io credevo che Isabella meritasse queste grazie e mai avrei immaginato di vendermi sottocosto, ma con vostra figlia scopro che volevate fregarmi. Ma voi siete proprio scemo! Non volete più sentire? Facevo meglio a ammazzarvi! Non facciamone motivo di litigio; su ascoltate: torniamo al punto. Torniamo. Primo: vi mandai a dire che partisse da Madrid ben attenta e che indossasse per sicurezza una maschera, ma lei si mise soltanto una mezza mascherina,
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que se le vio media cara, desde la nariz abajo; lo segundo: os supliqué que no vinierais, enviando, de que a Isabel admitía, un recibo ante escribano, y os vinistis, no sabiendo que yo he de vestirme llano, pues la tela de mujer no ha menester suegro al canto; lo tercero: luego al punto que me vio, se fue de labios y me dijo mil requiebros por mil rodeos estraños, y una mujer, cuando es propia, ha de andar camino llano, que no ha de ser hablador el amor que ha de ser casto; más: arguyó con mi primo daca el trato, toma el trato, con que se le echa de ver que es tratante a treinta pasos; luego le dijo y le daba, sin haberla nunca hablado, los requiebros en mi nombre y en causa propia la mano; más: un don Luis se ha venido, amante zorrero, al lado por vuestra señora hija, muy modesto, aunque muy falso; y en Illescas, esta noche, hallé a mi primo encerrado en la sala de Isabel, y hoy, que a examinarle aguardo, pregunto qué fue la causa de haber anoche violado el que ella llama templo
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tanto che metà del volto, dal naso in giù, si vedeva. Numero due: io vi chiesi di non venire e inviai ricevuta notarile con cui accettavo Isabella, ma voi veniste sebbene io non ami cerimonie: se c’è l’abito da sposa non serve il suocero accanto; terza cosa: non appena lei mi vide parlò troppo, mi disse mille lusinghe con mille strane espressioni, ma una donna, quando è propria, è bene sia misurata e un amore che sia casto non deve parlare troppo; poi parlò con mio cugino: e «caro qui», «caro là», si capisce che è un’esperta e che sa vendere caro. Dopo le ha detto e le ha dato, senza averle mai parlato, lusinghe in vece mia, invece sua era la mano. Non è tutto: a corteggiare vostra figlia si presenta quel don Luis, palla al piede, tanto modesto che falso; e ad Illescas questa notte ho trovato mio cugino chiuso in camera con lei. Oggi per interrogarlo gli ho chiesto quale ragione lo avesse indotto a violare ciò che ella chiama tempio 1953
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y vos nombraréis sagrado, y díjome que allí oculto estuvo, por ver si acaso don Luis hablarla intentara, para que su acero airado feriara a venganzas nobles aquellos celos villanos. ¿Y habló con don Luis? No habló; pero es caso temerario que haya de andar un marido si la ha hablado o no la ha hablado. ¿Por una mujer y propria, he de andar yo vacilando, pudiendo por mi persona tener mujeres a pasto? Ella, en fin, no es para mí: mujer que se haya criado en Toledo es lo que quiero, y aun que naciese en mi barrio; mujer criada en Madrid, para mi propria descarto, que son de revés las unas y las otras son de Tajo. Y, en efeto, don Antonio, sólo vengo a suplicaros que os volváis a vuestra hija a vuestra calle de Francos. No he de casarme con ella aunque me hicieran pedazos; solos estamos los dos, naide nos oye en el campo: volveos a mi sa Isabel a Madrid, sin enojaros, que esto es entre padres y hijos, que es algo más que entre hermanos, y en llegando las sospechas
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e voi dichiarate sacro: ha detto che era nascosto per vedere se Luis andava lì per parlarle e nel caso consegnare la sua la spada alla vendetta di un tale oltraggio villano. E Luis le parlò? No. Ed è una cosa terribile che un marito si domandi se lui ci ha parlato o meno. Per una donna, già mia, devo stare a tormentarmi, quando poi potrei, di donne, averne pure a bizzeffe? Lei non è donna per me: ne voglio una cresciuta nella città di Toledo, magari nel mio quartiere; una donna di Madrid non la voglio come mia: sono dei tiri mancini e finanche troppo destre. Dunque vengo, don Antonio, solamente a supplicarvi di riprendere Isabella e riportarvela a casa. Non mi sposerò con lei nemmeno fatto a pezzetti; qui ci siamo solo noi nessuno ci può sentire, rimandate vostra figlia a Madrid, senza arrabbiarvi, è cosa tra padre e figlio, vale più che tra fratelli; si avvicinano i sospetti 1955
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a andar tan cerca del casco, en siendo los suegros turbios, han de ser los yernos claros. Por cierto, señor don Lucas, que un poco antes de escucharos os tuve por majadero, pero no os tuve por tanto. ¿Sabéis con quién habláis? Sí; dadme mi carta de pago y llevaos a vuestra hija. Con ella habéis de casaros o os tengo de dar la muerte. ¿Qué dirán de mi honra cuantos digan que a casarse vino? ¿Y qué dirán los criados, que han sabido que don Luis la anda siguiendo los pasos? Don Luis camina a Toledo. Pues, ¿cómo va tan de espacio, yendo Isabel en litera y él en mula? ¿No está claro que es por llevar compañía, y no ir solo? Ése es el caso, que por no ir solo a Toledo, quiere ir acompañado. ¿No decís que vuestro primo se encerró anoche en el cuarto de mi hija? Ansí lo digo, y él ansí me lo ha contado, para ver mejor si hablaba con él.
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a spuntarmi dalla testa: se il suocero non è onesto il genero parli chiaro. Ammetto, caro don Luca, che prima di ascoltarvi vi consideravo sciocco. Ma non fino a questo punto! Sapete chi sono? Sì. Datemi la ricevuta e prendete vostra figlia. La sposerete o dovrò ammazzarvi: che direbbe del mio onore chi sapeva che era venuta a sposarsi? E che diranno i miei servi che vedono che Luis la segue passo per passo? Luis sta andando a Toledo. Come mai va così lento se Isabella è in portantina e lui in mula? Ma è ovvio: per andare accompagnato e non da solo. Ah, dunque per andarsene a Toledo sta cercando compagnia? Non diceste che stanotte vostro cugino si è chiuso nella stanza di mia figlia? L’ho detto, mi ha raccontato che era per controllare se lui le parlava.
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Pues desengañaos, y logre esa diligencia quietudes a vuestro engaño. Si no es cómplice en su amor, ¿por qué queréis, indignado, pagarla en viles castigos cuanto debéis en halagos? Don Luis está ya en Toledo, porque ya se ha adelantado, y yo quedo con la queja y vos con el desengaño; templaos, don Lucas, prudente, que ¡vive Dios! que me espanto que no tengáis entre esotras la falta de ser confiado. ¿Cómo no? Sí, tengo tal, que no soy tan mentecato que no sepa que merezco más que él, esto y otro tanto; pero díceme mi primo, que es un poco más cursado, que las mujeres escogen lo peor. Pues consolaos, que no tenéis mal partido si es verdadero el adagio. Ahora, señor don Antonio, vuelvo a decir que estoy llano a casar con vuestra hija, ya yo estoy desengañado; pero si acaso don Luis, amante dos veces zaino, vuelve a hacerse encontradizo con nosotros, no me caso. Pues yo admito ese partido. Yo vuestro precepto abrazo.
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Dunque tranquillo: questa premura vi solleva dal sospetto. Se non ricambia il suo amore, perché volete, indignato, punirla con un castigo anziché tesserle lodi? Luis sarà già a Toledo perché prima è andato avanti: io proseguo nei lamenti, voi abbandonate i sospetti. State tranquillo, don Luca, mi meraviglio, per Dio, che non abbiate, tra gli altri, il difetto di fidarvi. Come no? Certo, ce l’ho, e non sono tanto idiota da non sapere che merito più di lui, questo e non solo; ma mi ha detto mio cugino, che se ne intende di più, che le donne preferiscono i peggiori. State allegro: se ciò che si dice è vero voi non siete svantaggiato. Ora, signor don Antonio, sono di nuovo deciso a sposare vostra figlia, ho abbandonato i sospetti; ma se per caso Luis, quell’innamorato falso, torna ancora a farsi vivo con noi, non mi sposo più. Accetto questa proposta. Io abbraccio la vostra scelta.
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Pues esperemos el coche en ese camino. Vamos; así, don Antonio, aviso que si hubiere algún engaño en el amor de don Luis, que si él entra por un lado a medias, como sucede con otros más estirados, me habéis de volver al punto cuanto yo hubiere gastado en mulas, coche, litera, gastos de camino y carros, que no es justicia ni es bien, cuando yo me quedo en blanco, que seamos él y yo, él del gusto y yo del gasto. Dios os haga más discreto. No haga más, que ya he hecho harto.
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Vanse. Dentro ruido de cascabeles y campanillas y representan todo lo que se sigue dentro. 1° (Dentro) 2° 1° 2°
¡Arre, rucia de un puto; arre, beata! ¡Dale, dale, Perico, a la reata! ¡Oiga la parda cómo se atropella! ¡Arre, mula de aquél, hijo de aquélla! CABELLERA (Dentro) ¡Va una carrera, cocherillo ingrato! 1° ¿Qué hace que no se apea y corre un rato? CABELLERA ¿Adónde va el patán en el matado? CAMINANTE (Dentro) A buscar voy a tu mujer, menguado. CABELLERA Dígame, si va a vella, ¿cómo va tan despacio? CAMINANTE Tal es ella. ANTONIO Y él, ¿no deja a sus hijos con el cura?
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Attendiamo la carrozza qui sulla strada. Sì, andiamo; ma vi avverto, don Antonio, che se scopro qualche inganno nell’amore di Luis, o se si rimette in mezzo, come succede con altri più arroganti e presuntuosi, mi ripagherete subito ciò che ho speso fino ad ora: nelle mule, la carrozza, la portantina, i carri, ché non è giusto né bene che io la prenda in tasca e sia un altro poi che intasca: io la spesa, lui la sposa. Che Dio vi faccia più saggio! Ha già fatto pure troppo.
Escono di scena. Si sentono suonare dei sonagli e delle campanelle da dietro le quinte e tutto ciò che segue viene detto da dentro. 1° (Da dentro) 2° 1° 2° PARRUCCONE
(Da dentro) 1° PARRUCCONE VIANDANTE
Dai, dai, bestiaccia! Dai, dai, mula, dai! Su, su, Pierino, dàgli a quel somaro! Ma guarda questa come si è impuntata! Vai, mula di quello, figlio di quella! Datti una mossa, cocchierino ingrato! Perché non scendi e ti fai una corsetta? Rozzone, dove vai sul cavallaccio? Dalla tua donna vado, mentecatto!
(Da dentro) PARRUCCONE
VIANDANTE ANTONIO
Se vai da lei, come mai sei così lento? Ma proprio per questo! E lei, non lascia i figli col curato? 1961
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA OTRO CAMINANTE CABELLERA TODOS MÚSICOS
(Dentro)
CABELLERA
1° 2° ANDREA ALFONSA CABELLERA COCHERO ANDREA
¿Para qué? Aquí hay montón. Pues, ¿qué hay? Basura. Mozuelas de la Corte, todo es caminar, 2015 unas va a Güete y otras a Alcalá. ¡Para, cochero; el coche se ha volcado! El cibicón del coche se ha quebrado. Pues ¿qué importa? ¡Qué lindo desahogo! Sáquenme a mí primero, que me ahogo. 2020 Paren esa litera. ¡Para, para! ¡Quebróse la redoma de la cara! Salen doña Isabel y Andrea.
ISABEL ANDREA ISABEL
ANDREA ISABEL ANDREA
ISABEL ANDREA ISABEL ANDREA
ISABEL
¡Volvióse el coche! ¡En hora mala sea! Don Pedro saca a doña Alfonsa, Andrea. ¿Qué espero? Ya su amor se ha declarado. ¿Si la dará otro mal como el pasado? ¿Cómo mis iras se hallan tan templadas? Previniéndola están dos almohadas en tanto que aderezan una rueda. ¿Queda más por saber? Aún más te queda. Ya doña Alfonsa en ellas se ha asentado. Don Pedro en la litera te ha buscado, y como no te halla, yo recelo que te viene a buscar. Pues ¡vive el Cielo! que yo no le he de hablar.
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Salen don Pedro y Cabellera.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO ALTRO VIANDANTE PARRUCCONE TUTTI MUSICISTI
(Da dentro) PARRUCCONE
1° 2° ANDREINA ALFONSA PARRUCCONE COCCHIERE ANDREINA
Perché? Qui ce n’è. Di che? Spazzatura! Fanciulle di Madrid: viaggiano sempre, chi va a Huete, chi ad Alcalá. Fermo, si è ribaltata la carrozza! Si è rotto l’asse che tiene le ruote. Che cosa importa? Quanta indifferenza! Per prima me, perché sto soffocando! Ferma la portantina! Ferma, ferma! Le si è rotta l’ampolla della faccia!
Entrano in scena donna Isabella e Andreina. ISABELLA
La carrozza è ribaltata.
ANDREINA
Sfortuna! Alfonsa va con quella di don Pedro. Che mi aspetto? Il suo amore s’è svelato. E se si sente male un’altra volta? Com’è che la mia rabbia si è calmata? Le hanno già preparato due cuscini nel mentre che raddrizzano la ruota. C’è altro da sapere? Sì che c’è. E cosa? Alfonsa si è seduta sopra? Don Pedro ti ha cercata in portantina e poiché non ti ha trovata, io credo che venga a cercarti. Santo cielo! io non ci voglio parlare.
ISABELLA ANDREINA ISABELLA ANDREINA
ISABELLA ANDREINA ISABELLA ANDREINA
ISABELLA
Entrano in scena don Pedro e Parruccone.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA
Oye, deténte,
PEDRO
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no quieras... ISABEL PEDRO
ISABEL PEDRO
ISABEL CABELLERA PEDRO ISABEL
Dejamé. ... tan impaciente malograr mi verdad. No hay quien la crea. Ruégala que me escuche, amiga Andrea; abona tú mi fe. Nada te abona. Enternécete, dura faraona. Iras y pasos detén. Cruel, diestro, engañador, que amagas con el amor para herir con el desdén, ¿quién es tan ingrato, quién? ¿Quién fue tan desconocido que para haber conseguido una tan fácil vitoria resucite una memoria con la muerte de un olvido? Y pues tus engaños veo, delincuente el más atroz, ¿para qué hiciste tu voz cómplice de tu deseo? Si sabes que no te creo, si conoces mi razón, ¿por qué quiso tu pasión, viendo que es mayor agravio, hacer delincuente al labio de lo que erró el corazón? Y ya que tan falso eras, y ya que no me querías, di, ¿para qué me fingías? ¿Pídote yo que me quieras? Tu amor hicieras, y fueras poco fino; sólo un daño sintiera mi desengaño;
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO
Aspetta,
PEDRO
non essere... ISABELLA PEDRO
ISABELLA PEDRO
ISABELLA PARRUCCONE PEDRO ISABELLA
Lascia! ... precipitosa nel giudicarmi. Nessuno ti crede. Pregala tu, Andreina, di ascoltarmi, fallo per me. Per te non farà niente. Abbi un po’ di pietà, donna crudele. Frenate passi e rabbia. Malvagio, falso, bugiardo, con l’amore minacciate per ferire col disprezzo: chi è mai stato tanto ingrato? Chi è così irriconoscente che dopo avere ottenuto una facile vittoria resusciti un ricordo con la morte di un oblio? E ora che ho chiari i tuoi inganni, delinquente dei peggiori, perché hai reso la tua voce complice dei desideri? Giacché sai che non ti credo, e conosci la ragione, perché desideri rendere, pur se è un’offesa maggiore, responsabili le labbra degli sbagli del tuo cuore? E se eri tanto falso, e se nemmeno mi amavi, dimmi: perché mi ingannavi? Ti avevo chiesto di amarmi? Bastava che tu seguissi il tuo vero amore, avrei sofferto solo di quello; 1965
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mas tal mis ansias se ven, que, mucho más que el desdén, vengo a sentir el engaño. No me hables y mis enojos menos airados verás, que se irritan mucho más mis oídos que mis ojos; quiero vencer los despojos de mi amor, si te oigo a veces, y tanto al verte mereces que, aunque has fingido primero, sólo miro que te quiero y no oigo que me aborreces. Mas vete, que he de argüir, cuando me quiera templar, que a mí no me puede amar quien a otra sabe fingir. Ya yo te he llegado a oír que a tu prima has de querer, y aquel que llegare a ser en mi amor el preferido, aun no ha de decir, fingido, que procura otra mujer. A Alfonsa dices que quieres, a mí dices que me adoras; por una, fingiendo, lloras, y por otra, amando, mueres. Pues ¿cómo si no prefieres tu voluntad declarada, creerá mi pasión – errada cuando es la tuya fingida – que soy yo la preferida y es Alfonsa la olvidada? Pues témplese este accidente, que no es justicia que acuda a una tan difícil duda un amor tan evidente;
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ora mi sento frustrata più per l’inganno subito che l’essere disprezzata. Se non mi parli vedrai che sarò meno arrabbiata, poiché sono più irascibili le mie orecchie dei miei occhi; posso vincere i residui del mio amore se ti ascolto, mentre se ti guardo e basta, anche se mi hai presa in giro, vedo solo che ti amo, non ascolto il tuo disprezzo. Vattene, che devo aggiungere, se mi voglio trattenere, che non voglio essere amata da chi finge con un’altra. Ti ho sentito dichiarare a tua cugina che l’ami e colui che nel mio cuore ho scelto come mio amato non dice, neanche per finta, di desiderare un’altra. A Alfonsa dici di amarla, a me dici che mi adori, per una piangi per finta, per l’altra muori d’amore. Se l’amor che dichiarasti è finto, come può credere la mia passione – in errore dato che la tua era falsa – che io sono preferita e Alfonsa è rifiutata? Diamo un taglio a questa storia: non è giusto che il mio amore dichiarato apertamente debba struggersi nel dubbio; 1967
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PEDRO
porque es más fácil que intente, menos airado y más sabio, siendo tan grande el agravio a vista de mis enojos, dar lágrimas a los ojos, que evidencias a tu labio. Quiere, adora a Alfonsa bella, y sea yo la olvidada, porque ya estoy bien hallada con tu olvido y con mi estrella; yo soy la infelice, y ella quien te merece mejor; y pues tuve yo el error de haberte querido, es bien que pague con el desdén lo que erré con el amor. Y vete agora de aquí, porque no es justicia, no, que tenga la culpa yo y te dé la queja a ti. Hermosa luz por quien vi, alma por quien animé, deidad a quien adoré, no hagas con ciega venganza que pague tu desconfianza lo que no ha errado mi fe. Deja esa pasión, que dura en tus sentidos inquieta, y no seas tan discreta que no creas tu hermosura. Tú misma a ti te asegura, imagínate deidad, y creerás mi verdad; usa bien de tus recelos y cría para estos celos, por hijo, a la vanidad.
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PEDRO
è più facile tu riesca, meno arrabbiato e più accorto, dopo offesa tanto grande verso i miei sentimenti, a far piangere i miei occhi che a parlare le tue labbra. Ama, adora la tua Alfonsa, e sia io la rifiutata, mi sono già abituata al tuo abbandono e alla sorte; sono io quella infelice, lei a meritarti di più. Sono stata io a sbagliare a averti amato, ed è bene che paghi con il disprezzo ciò che ho errato per amore. Adesso vattene via, perché non è affatto giusto che per ciò che è colpa mia io mi lamenti con te. Luce amata dei miei occhi, anima che mi sostenta, divinità che io adoro, non far che poca autostima vendichi senza motivo ciò che non ho messo in dubbio. Metti da parte la rabbia che ti inquieta e non lasciare che la modestia ti privi di veder quanto sei bella. Persuadi intanto te stessa, considerati una dea, e crederai ciò che dico; utilizza bene i dubbi, placa ogni gelosia cullando la vanità.
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ISABEL
PEDRO ISABEL PEDRO
ISABEL
PEDRO ISABEL PEDRO
A doña Alfonsa prefieres, bien como el lirio a la rosa; mas, ¿qué importa ser hermosa, si no presumes lo que eres? Sé como esotras mujeres: ten conmigo más pasión, haz de ti satisfacción; sé, divina, más humana; que a ti, para ser más vana, te sobra más perfección. Esa prudente advertencia con que tu pasión me ayuda es buena para la duda, mas no para la evidencia: ella dijo en mi presencia que tú en su cuarto has estado anoche, que la has hablado; pues ¿cómo, si esto es verdad, con toda mi vanidad sosegaré a mi cuidado? Y cuando eso fuera, di, di, cuando con ella estabas, ¿no te oí decir que amabas a doña Alfonsa? Es ansí. ¿Tú no lo confiesas? Sí, mas fingido mi amor fue. Y cuando te pregunté a cuál de las dos querías, ¿por qué no me respondías? Oye por qué. Di por qué. Porque es grosería errada, nunca al labio permitida, despreciar la aborrecida en presencia de la amada;
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ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO
ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO
Tu sei migliore di Alfonsa come la rosa del giglio, ma che importa essere bella se per prima non ci credi? Fai come tutte le altre: se sei arrabbiata con me fai vanto di ogni tuo pregio; sii più umana, mia divina: tu che sei troppo perfetta per essere vanitosa. Questo tuo saggio consiglio, che mi proponi con foga, funzionerebbe nel dubbio, non davanti a fatti certi: ha detto lei in mia presenza che ieri notte sei stato nella sua stanza a parlare; se ciò è vero, come posso, anche con la vanità, dare pace ai miei sospetti? E se anche fosse, su, dimmi: non ti ho forse io sentito, mentre eri con Alfonsa dirle che l’amavi? Sì. Lo confessi? È così, ma il mio amore era per finta. E quando ti ho domandato chi tu amassi delle due come mai non hai risposto? Ti spiego perché. Ti ascolto. Perché è immensa scortesia che mai si dovrebbe fare, disprezzare la respinta in presenza dell’amata. 1971
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ISABEL
PEDRO
ISABEL
PEDRO ISABEL PEDRO CABELLERA
PEDRO
ISABEL PEDRO ISABEL
PEDRO ISABEL
bástela verse olvidada sin que oyese aquel desdén; bástela quererte bien, sin que al ver desprecio tal, la venga a pagar tan mal porque me quiso tan bien. Pues galán no quiero agora, que, por no dejar corrida a aquélla de quien se olvida, no hace un gusto a la que adora. Vete. Escúchame, señora: que agradezca no te espante ver que me ame tan constante, pero a ti te he preferido. Pues si estás agradecido, cerca estás de ser amante. Oye, señora, y verás... No he de oírte. Aguarda, espera... Don Luis abrió la litera y mira si en ella estás. ¿Y agora también dirás que no te tiene afición? Daré la satisfación. Tampoco te he de creer. ¿Quieres echarme a perder con los celos mi razón? Pues no ha de valerte, no; despreciarle pienso aquí. ¿Yo he de escucharle? Sí. ¡Don Luis!
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Dentro, don Luis. LUIS
¿Quién me llama?
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ISABELLA
PEDRO
ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO PARRUCCONE
PEDRO
ISABELLA PEDRO ISABELLA
PEDRO ISABELLA
È sufficiente ignorarla, senza doverla umiliare; è sufficiente l’amarti, senza disprezzare lei e farle pagare caro l’avermi voluto bene. Non mi interessa un amante che per non far vergognare la donna che lui non ama, nega un piacere a chi adora. Vattene. Senti, Isabella: non devi meravigliarti che sia grato a chi mi ama, ma io preferisco te. Beh, se le sei tanto grato sei già quasi innamorato. Ascoltami e capirai... Non voglio. Ti prego, aspetta... Luis è andato a cercarvi alla vostra portantina. E ora mi vorresti dire che non c’è niente tra voi? Ti darò una spiegazione. Ma io non ti crederò. Con la gelosia tu pensi di farmi dimenticare che ho ragione? Non potrai: lo liquiderò all’istante. Posso ascoltare? Sì, certo. Luis! Don Luis, da dietro le quinte.
LUIS
Chi mi chiama? 1973
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CABELLERA PEDRO
Yo. El viene acá, ya te oyó. Escóndete entre esos ramos. La satisfación oigamos. Yo he de quedar con recelos, y tú has de quedar sin celos. Ven, señor, que llega. Vamos.
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Escóndense y sale don Luis. LUIS
Al cariño de tu voz no vengo, divina ingrata, como otras veces solía, a consagrar vida y alma; a ser escarmiento vengo de mi amor, a ser venganza de tu desdén, a ser duda de mis proprias esperanzas; fiera al paso que divina, cruel al paso que blanda, que me matas con los celos y con el desdén me halagas; yo soy el que mereció sacrificarse a tus llamas, si no ciega mariposa, atrevida salamandra; yo soy aquel que te quiso y aquel soy a quien agravias, el que, como el girasol, aspiró tus luces tardas; el que anoche en tu aposento logró (nunca los lograra) de tus labios más favores que tú quejas de mis ansias; y cuando a tan fino amor, a tan fingidas palabras,
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PARRUCCONE PEDRO
Io. Ti ha sentita, sta arrivando. Nasconditi tra gli arbusti. Sentiamo la spiegazione. Io rimarrò coi miei dubbi e tu senza gelosia. Signore, arriva. Andiamo. I due si nascondono ed entra in scena don Luis.
LUIS
Non vengo dalla tua voce attratto, divina ingrata, come ho fatto tante volte per donarti vita e anima; vengo per il castigo del mio amore, la vendetta del tuo disdegno, il dubbio delle mie stesse speranze; tanto belva che divina, tanto crudele che dolce, mi uccidi di gelosia e col disprezzo lusinghi; sono chi ha meritato sacrificio nel tuo fuoco, quando non cieca farfalla, intrepida salamandra; sono colui che ti amava e lo stesso che tu offendi; chi, come un girasole, si rivolse ai tuoi raggi; chi nella tua stanza ieri notte ebbe (meglio niente!) dalle tue parole affetto più che tu da me lamenti. E quando a amore ‘sì fino, a così false parole, 1975
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ISABEL
LUIS
ISABEL LUIS ISABEL
encubridora la noche secretamente mediaba, cuando un «sí» llegó a mi oído, llegó un premio a mi esperanza. recójome a mi aposento, y cuando pensé que estaba don Lucas dentro del suyo, que a veces la voz engaña, oigo en otro cuatro voces, tomo luz, busco la causa, y hallo, ¡ay Dios!, que con don Pedro tu fee y mi lealtad agravias. ¿Para esto me diste un «sí»? ¿Para esto, dime, premiabas un amor que le he sufrido al riesgo de una esperanza? No quiero ya tus favores; logre don Pedro en tus aras las ofrendas por deseos que amante y fino consagra; bastan tres años de enigmas, tres años de dudas bastan, desengáñenme los ojos con ser ellos quien me engañan; ya el «sí» que me diste anoche no lo estimaré. Repara que yo no te he hablado anoche. ¿Dónde o cómo? Ya no falta sino que también me niegues que me diste la palabra de ser mi esposa; si piensas que la he de admitir, te engañas. ¿Yo te hablé anoche? ¿Esto niegas? Mira...
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la notte che tutto copre dava aiuto in gran segreto, quando udii quel «sì», fu premiata la mia speranza; mi ritirai alla mia stanza e credendo che don Luca si trovasse nella propria – talvolta la voce inganna –, ne sento quattro in un’altra, col lume vado, mio Dio!, e lì con Pedro tu oltraggi il mio onore e il tuo decoro. Mi dicesti «sì» per questo? Con questo ricompensavi un amore che ha patito il rischio dell’incertezza? Non voglio più le tue grazie: che possa pure don Pedro offriti i suoi desideri, da fedele innamorato. Tre anni di dubbi bastano, tre anni di incertezze mi disingannino gli occhi: furono loro a ingannarmi. E il tuo «sì» di ieri notte lo scorderò. Guarda che ieri notte non parlammo. Dove e come? Manca solo che adesso arrivi a smentire di avermi dato parola di matrimonio; se credi che io lo ammetta, ti sbagli. Io ti ho parlato? Lo neghi? Senti... 1977
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ISABEL LUIS PEDRO ISABEL LUIS
Mis celos, ¿qué aguardan? Sólo vengo a despedirme, de mi amor; quédate, falsa; tus voces ya no las creo, tu amor ya me desengaña, a Madrid vuelvo corrido, vuélvase el alma a la patria; del desengaño halle el puerto. ¿Quién navegó en la borrasca? Razón tengo, ya lo sabes; celos tengo, tú los causas, y si dudosos obligan, averiguados, agravian. Espera... Voyme. ¡Ah, cruel! Mira... Déjame, traidora.
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Vase. Salen don Pedro y Cabellera. PEDRO
ISABEL PEDRO
ISABEL
Pídeme celos agora de doña Alfonsa, Isabel. Habla. ¿Qué te has suspendido? No finjas leves enojos; di que no han visto mis ojos, di que está incapaz mi oído. Resuelto a escucharte estoy. ¿Qué puedes ya responder? ¿Con qué has de satisfacer mis celos? Con ser quien soy. Pues ¿cómo puedes negar que estuviste, ¡gran tormento!, con don Luis en tu aposento? Respóndeme. Con callar.
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ISABELLA LUIS PEDRO ISABELLA LUIS
Che altro mi attende? Vengo solo a dire addio al mio amore. Basta, falsa! Non credo alle tue parole, non mi inganna più il tuo amore; torno a Madrid disilluso: l’anima ritorni in patria, porto del suo disinganno. Chi affronta un mare in tempesta? Ho ragione e tu lo sai; la gelosia è colpa tua: quando è un sospetto, ti accende, quando è confermata, offende. Aspetta... Vado. Crudele! Ma... Lasciami traditrice. Esce di scena. Entrano don Pedro e Parruccone.
PEDRO
ISABELLA PEDRO
ISABELLA
Ora di’ che sei gelosa di Alfonsa, Isabella. Parla. Perché adesso taci? Non fingere lievi sdegni, di’ che non ho visto niente o che non ci sento bene. Sono pronto ad ascoltarti. Cosa pensi di rispondere? Con che cosa placherai la gelosia? Con chi sono. Ma in che modo puoi smentire di esser stata – che tormento! – con Luis nella tua stanza? Rispondimi. Col silenzio. 1979
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ISABEL PEDRO ISABEL
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Isabel, ingrata, di, ¡fuego en todas las mujeres!, ¿cómo niegas que le quieres? Con decir que te amo a ti. ¿No entró? A callar me sentencio; un bronce obstinado labras. ¿No crees tú mis palabras y he de creer tu silencio? Fiera homicida del alma, matar con la voz intenta; mar que embozó la tormenta con la quietud de la calma; ingrata la más divina, divina más rigurosa, purpúrea, a la vista, rosa, y al tacto cruel espina; ya no podrá tu rigor peregrinar esta senda; ya me he quitado la venda, y con vista no hay amor. A dejarte me sentencia una verdad tan desnuda, que al caminar por la duda, encontró con la evidencia. Ya no he de ser el que soy, ya no quiere, arrepentido, sufrir a tu voz mi oído: ya te dejo, ya me voy. Pues falso, aleve, infiel, ingrato como enemigo, si estuve anoche contigo, ¿cómo pude estar con él? ¿Cuándo había de hablar, espero saber, cuando yo quisiera? Respóndeme.
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Isabella, ingrata, dimmi – siano dannate le donne! –: come neghi tu di amarlo? Dicendo di amare te. È entrato da te? Non parlo. Le mie labbra sono bronzo. Non credi alle mie parole, io dovrei ai tuoi silenzi? Fiera assassina dell’anima uccidi con la tua voce; mare che celò burrasca con la sua più quieta calma; la ingrata più divina la divina più severa, rosa purpurea alla vista, al tatto pungente spina; la tua crudeltà non può proseguire nel suo intento perché mi hai tolto la benda: con la vista non c’è amor. Mi costringe a abbandonarti questa evidente realtà che sul cammino del dubbio incontrò la verità. Non sono più chi son stato, e più non voglio, pentito, struggermi alla tua voce: ti lascio ormai, me ne vado. Falso, infedele, sleale, ingrato quanto un nemico, se ero con te ieri notte, potevo stare con lui? Quando mai avrei potuto parlargli, anche volendo? Dimmi.
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¿No pudiera haberte hablado primero? No pudiera, y ese es el indicio más impropio. ¿No sabes tú que tú propio le viste salir después de su aposento? Es ansí. Luego el castigo mereces. ¿No pudo salir dos veces? Sí pudo salir; mas di: ¿cuándo estabas escondido, que yo te amaba no oíste? Sí, pero también pudiste haberme ya conocido. Ya que en esos celos das, dime, don Pedro, por Dios: ¿puedo yo querer a dos? A don Luis quieres no más. Y si eso pudiere ser, que no lo he de consentir, ¿por qué había de fingir contigo? Por ser mujer. Tú eres la luz de mi vida: sólo a ti te adoro yo. No lo haces de amante. ¿No? Pues, ¿de qué? De agradecida. Deja esa duda, señor, no te cueste un sentimiento, que no hay agradecimiento adonde no hay sino amor. Las finezas son agravios.
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Perché, non poteva averti parlato prima? Non avrebbe mai potuto, è la teoria più sbagliata: dopo non sei stato tu ad averlo visto uscire dalla sua stanza? È così. Quindi meriti il castigo! Se fosse uscito due volte? Certo, poteva, ma dimmi: mentre stavi lì nascosto sentisti dirmi che ti amo? Sì, ma tu avresti potuto avermi riconosciuto. Data questa gelosia, dimmi, in nome di Dio, potrei forse amarne due? Ami soltanto Luis. E ammesso ma non concesso che così fosse, mi spieghi come mai io farei finta con te? Perché sei una donna. Sei la luce dei miei occhi: non adoro altri che te. Non perché sei innamorata. E perché? Riconoscente. Abbandona questo dubbio, non lasciare che ti turbi: non c’è la riconoscenza dove c’è soltanto amore. Le finezze sono offese.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA
Mi bien, templa esos enojos y satisfagan mis ojos lo que no aciertan mis labios. ¡No he de creerte, cruel! Advierte... No estoy en mí.
ISABEL
PEDRO ISABEL PEDRO
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Salen don Lucas y doña Alfonsa, cada uno por su puerta. ALFONSA LUCAS CABELLERA LUCAS ISABEL PEDRO ISABEL PEDRO
LUCAS ISABEL
(Aparte)
CABELLERA ISABEL
LUCAS ALFONSA
LUCAS
Don Pedro, ¿qué hacéis aquí? ¿Qué es eso, doña Isabel? (Cayeron en ratonera.) ¿Qué era el caso? Señor, fue... Fue, señor... (¿Qué le diré?) Era estar quejosa. Era reñirme agora también porque entré con el intento que te dije en su aposento esta noche. Hizo muy bien. (Esforcemos la salida.) ¿Y a vuestro amor corresponde que entre otro que vos adonde yo estuviere recogida? (Ya deste rayo escapamos.) ¿Vos dudáis, siendo quien soy? Naide entra adonde yo estoy. ¡Porque no entre nadie andamos! (¡Que así este engaño creyó!) Don Lucas, advierte agora que no entró... Callad, señora: yo sé si entró o si no entró.
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Caro, placa la tua ira e riscontra nei miei occhi ciò che non so dirti a voce. Non ti credo, traditrice! Ma io... Son fuori di me.
ISABELLA
PEDRO ISABELLA PEDRO
Entrano in scena don Luca e donna Alfonsa, ciascuno dalla propria porta. ALFONSA LUCA PARRUCCONE LUCA ISABELLA PEDRO ISABELLA PEDRO
LUCA ISABELLA
(A parte)
PARRUCCONE ISABELLA
LUCA ALFONSA
LUCA
Pedro, cosa fate qui? Che cosa c’è, Isabella? (Adesso sono in trappola.) Cosa succede? È che... è che, signore... (Che dico?) Mi lamentavo. Mi vuole rimproverare del fatto che ieri notte, allo scopo che vi ho detto, sono entrato da lei. Hai fatto bene. (Cerchiamo una via d’uscita!) Non importa al vostro amore che sia un altro anziché voi a entrare dove sto io? (E questo è stato evitato!) Mettete in dubbio chi sono? Nessuno entra da me. Parliamo proprio di questo! (Ha creduto a questa farsa!) Don Luca, ha appena detto che non è entrato... Stai zitta! Lo so io se è entrato o no.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA ALFONSA
LUCAS
ALFONSA LUCAS
ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS
ISABEL
LUCAS
ISABEL LUCAS ISABEL LUCAS
PEDRO LUCAS PEDRO
LUCAS PEDRO
(Aparte)
ALFONSA LUCAS
ISABEL
Que creáis me maravillo este enojo que fingió: él la quiere... Ya sé yo que la quiere don Luisillo, mas yo lo sabré atajar. No es sino... Callad, señora, que os habéis hecho habladora. Mirad... No quiero mirar. Advierte, señor, que es él... Calla, hermana, no me enfades; háganse estas amistades; dalde un abrazo, Isabel. No me lo habéis de mandar, que ha dudado en mi opinión. Digo que tenéis razón, pero le habéís de abrazar. Por vos hago este reparo. Sois muy honesta, Isabel. ¿Querrá él? Sí, querrá él. ¿No está claro? No está claro... ¿Cómo no? ¡Viven los Cielos! Si aún no tengo satisfecha una evidente sospecha. ¿Qué sospecha? (De unos celos.) ¿No lo has entendido? No. Pues, ¿hay otra causa? Sí, que está doña Alfonsa aquí.
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LUCA
ALFONSA LUCA
ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA
ISABELLA
LUCA
ISABELLA LUCA ISABELLA LUCA
PEDRO LUCA PEDRO
LUCA PEDRO
(A parte)
ALFONSA LUCA
ISABELLA
Mi stupisce che tu creda alla sua rabbia fasulla: lui la ama... Lo so bene che don Luisino la ama, ma io glielo impedirò. Ma non è... Ora stai zitta, ti sei fatta chiacchierona. Guarda... Non voglio guardare. Bada bene che è lui... Basta, mi fai arrabbiare; adesso fate la pace: dai, abbraccialo, Isabella. Non me lo potete imporre: ha dubitato di me. Io vi sto dando ragione, ma lo dovete abbracciare. Lo faccio solo per voi. Ma come siete onesta! Lui sarà d’accordo? Certo. Non è chiaro? Non lo è... Ma come no? Santo cielo! Devo risolvere prima un evidente sospetto. Che sospetto? (Gelosia.) Non l’hai sentito? Io no. C’è dell’altro? Sì, che c’è: che Alfonsa sia qui presente.
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ISABEL CABELLERA ALFONSA
PEDRO
¿Y estoy en las Indias yo? Habéis de darla un abrazo por mí; acabemos, por Dios. Voy a dáselo por vos. (¡Que te clavas, bestionazo!) (Siendo ciertos mis recelos, ¿cómo mis iras reprimo?) Agradeceldo a mi primo.
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Abrázanse. ISABEL LUCAS ALFONSA LUCAS
ANDREA LUCAS ALFONSA
LUCAS ISABEL LUCAS PEDRO ANDREA LUCAS CABELLERA
Agradécelo a mis celos. Eso me parece bien. Mira, hermano... Ya es enfado. ¿Está el coche aderezado? Sí, señor. Isabel, ven. (Diréle que me engañó luego que salga de aquí.) ¿Eres su amiga? Yo, sí. Y tú, ¿eres su amigo? Aún no. Hazlos amigos, ¿qué esperas? Vuelvan acá: ¿dónde van? Déjalos, que ellos se harán más amigos que tú quieras.
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Vanse. Salen don Luis y Carranza. CARRANZA LUIS CARRANZA
Éste es Cabañas, señor. ¡Desaliñado lugar! La primer pulga se dice que fue de aquí natural. Aquí han de parar el coche y la litera.
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ISABELLA PARRUCCONE ALFONSA
PEDRO
E io sono nelle Indie? Suvvia, datele un abbraccio e facciamola finita. Sì, per voi lo abbraccerò. (Te l’hanno fatta, bestiaccia!) (Se i miei sospetti son giusti, perché reprimo la rabbia?) Ringraziate mio cugino! Si abbracciano.
ISABELLA LUCA ALFONSA LUCA
ANDREINA LUCA ALFONSA
LUCA ISABELLA LUCA PEDRO ANDREINA LUCA PARRUCCONE
La mia gelosia ringrazia. Questo mi sembra opportuno. Guardali... Mi hai scocciato. La carrozza è riparata? Sì, signore. Su, Isabella. (Non appena ce ne andiamo gli dirò che mi ha ingannata.) Sei sua amica? Certo, sì. Tu sei suo amico? Io no. Siate amici, che aspettate? Tornate qui, dove andate? Lasciali, diventeranno più amici di quanto vuoi. Escono di scena. Entrano don Luis e Carranza.
CARRANZA LUIS CARRANZA
Ecco Cabañas, signore. Ma che luogo degradato! La prima pulce si dice che provenisse da qui. Qui si dovranno fermare carrozza e portantina. 1989
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CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS
CARRANZA
LUIS
CARRANZA LUIS
CARRANZA LUIS CARRANZA
Es verdad, y aquí he de hablar a don Lucas. Yo pienso que llegan ya. Pero ¿qué intentas decirle, si le hablas? Tú lo sabrás. ¿Tienes celos de Isabel? He llegado a imaginar que si anoche, como viste, habló conmigo, será poner manchas en el sol buscarla en su honestidad; demás que aquel aposento en que la hallamos está poco distante del otro, y se pudo acaso entrar en él oyendo la voz de don Lucas. Es verdad que él la sintió cuando tú la hablabas. Tente, que ya llegan todos a la puente. ¿Qué intentas? Tú has de llamar a don Lucas y decirle que un caballero, que está por huésped desto aposento, dice que le quiere hablar. Voy a hacer lo que me ordenas. Con silencio. Así será.
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Vase. LUIS
Sepa don Lucas de mí mi amor, sepa la verdad
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CARRANZA
LUIS CARRANZA LUIS
CARRANZA
LUIS
CARRANZA LUIS
CARRANZA LUIS CARRANZA
Sì; e qui voglio parlare con don Luca. Eccoli là! Ma che cosa gli vuoi dire quando ci parli? Vedrai. Sei geloso di Isabella? Sono arrivato a concludere che se ha parlato con me ieri notte, come hai visto, mettere in dubbio il suo onore è come macchiare il sole; e poi la stanza dov’era non si trovava distante e potrebbe esservi entrata avendo udito la voce di don Luca. Hai ragione; infatti lui l’ha sentita parlare con te. Silenzio, stanno arrivando al ponte. Come fai? Devi chiamare don Luca per avvisarlo che un cavaliere che è ospite in questa locanda dice che vuole parlargli. Farò come mi comandi. E silenzio! Sì, d’accordo. Esce di scena.
LUIS
Deve sapere il mio amore don Luca, la verità
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de mi dolor, que no es bien, donde tantas dudas hay, ocultar el acidente pudiendo sanar el mal.
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Sale don Lucas. LUCAS
LUIS LUCAS LUIS LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS
LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS LUCAS LUIS LUCAS
¿Está un caballero aquí que me quiere hablar? Sí está. ¿Vos sois? Sí, señor don Lucas. ¿Todavía camináis? ¿Vais en mula o en camello? Porque, desde ayer acá, cuando os presumo delante, os vengo a encontrar atrás. ¿Qué me queréis, caballero, que un punto no me dejáis? Quiero hablaros. Yo no quiero que me habléis. Esperad, que os importa a vos. ¿A mí me importa? Pues perdonad, que con importarme a mí tanto, no os quiero escuchar. ¿Y si toca a vuestro honor? A mi honor no toca tal, que yo sé más de mi honra que vos ni que cuantos hay. ¿Dos palabras no me oiréis? ¿Dos palabras? Dos no más. Como no me digáis tres, lo admito.
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del mio dolore, è ingiusto, con tutti questi misteri, nascondere il mio male se c’è modo di guarirne. Entra in scena don Luca. LUCA
LUIS LUCA LUIS LUCA
LUIS LUCA
LUIS
LUCA
LUIS LUCA
LUIS LUCA LUIS LUCA
Si trova qui il cavaliere che vuole parlarmi? Sì. Sareste voi? Sì, don Luca. Ma siete sempre in cammino? Con la mula o col cammello? Visto che, da ieri a oggi, vi immaginavo più avanti però vi ritrovo indietro. Che volete, cavaliere che non mi date mai tregua? Voglio parlarvi. Non voglio che mi parliate. Un momento, vi interessa. Mi interessa? Perdonatemi, signore, pur se mi interessa tanto io non intendo ascoltarvi. Se riguarda il vostro onore? Non lo riguarda il mio onore: ne so più io del mio onore di voi o chiunque altro. Proprio solo due parole? Due parole? Non di più. Se non arrivano a tre lo permetto. 1993
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA LUIS LUCAS LUIS
LUCAS
LUIS LUCAS
LUIS
LUCAS
LUIS
LUCAS
LUIS
LUCAS
Pues dos serán. Decidlas. Doña Isabel me quiere a mí solo. ¡Zas! Más habéis dicho de mil en dos palabras no más; pero ya que se ha soltado tan grande punto al hablar, deshaced toda la media y hablad más. Pero, ¿qué más? Señor, yo miré a Isabel... Bien pudierais escusar haberla mirado. El sol, cuando con luz celestial sale al oriente divino, dorando la tierra y mar, alumbra la más distante flor, que en capillo sagaz, de la violencia del cierzo guarda las hojas de azahar... No os andéis conmigo en flores, señor don Luis; acabad. Digo que adoré sus rayos con amor tan pertinaz... ¿Pertinaz? Don Luis, ¿queréis que me vaya agora a echar en el pozo de Cabañas, que en esa plazuela está? Quísome Isabel, que yo lo conocí en un mirar tan al descuido, que era cuidado de mi verdad, que quien los ojos no entiende... ¡Oculista o Barrabás!, que de Isabel en los ojos
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Solo due.
LUIS LUCA
Dille.
LUIS
Donna Isabella ama soltanto me. Ahi! Me ne avete dette mille di parole in due e non più; ma poiché ormai si è disfatto un punto così importante, disfate tutta la maglia e parlate. Ma c’è altro? Signore ho visto Isabella... Potevate fare a meno di rimirarla. Il sole, quando con luce celeste sale dal divino oriente, indorando terra e mare, illumina il più distante fiore che, dentro un bocciolo, ripara i propri petali dalla violenza del vento... Basta con le fioriture, Luis, con me non funziona. Dico che adorai i suoi raggi di un amore pervicace... Pervicace? Voi volete che io mi vada a buttare dentro il pozzo di Cabañas che c’è là in quella piazzetta? Isabella mi ama, io l’ho visto dal suo guardarmi senza attenzione, ma attenta alla mia preoccupazione, chi non sa leggere gli occhi... Grande oculista o Barabba, che negli occhi di Isabella
LUCA
LUIS LUCA
LUIS
LUCA
LUIS
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LUIS
LUCAS
hallastes la enfermedad, decidme cómo os premió, que aquesto es lo principal, y no me habléis tan pulido. Premiome con no me hablar; pero en Illescas, anoche, con ardiente actividad la solicité en su lecho; salió a hablarme hasta el zaguán y en él me explicó la enigma de toda su voluntad. Dice que ha de ser mi esposa, y que violentada va a daros la mano a vos; pues si esto fuese verdad, ¿por qué dos almas queréis de un mismo cuerpo apartar? Yo os tengo por entendido y os quiero pedir... ¡Callad, que para esta y para estotra que me la habéis de pagar!
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Dentro, doña Alfonsa. ALFONSA LUCAS
LUIS
LUCAS
¿Está mi hermano aquí dentro? A esta alcoba os retirad, que quiero hablar a mi hermana. Decidme: ¿en qué estado está mi libertad y mi vida? Idos, que harto tiempo hay para hablar de vuestra vida y de vuestra libertad.
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Sale doña Alfonsa. ALFONSA
Hermano...
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LUIS
LUCA
trovaste la malattia; ditemi se ha ricambiato, che è questo quello che conta, senza parlare forbito. Ricambiò con il silenzio; ma ieri notte, ad Illescas, spinto dal mio ardente amore, andai in camera a cercarla; lei è uscita nel cortile a parlarmi e ha dichiarato i suoi veri sentimenti. Dice che vuole sposarmi, che va contro il suo volere doversi sposare a voi. Se ciò dunque fosse vero, vorreste voi separare le due anime di un corpo? Vi considero assennato e voglio chiedervi... Zitto! Che per questo e per quest’altro me la dovrete pagare! Da dietro le quinte, donna Alfonsa.
ALFONSA LUCA
LUIS
LUCA
C’è mio fratello qua dentro? Andate là, ora voglio parlare con mia sorella. Ditemi, come son messe la mia libertà e la vita? Andate, ci sarà tempo per parlare della vita vostra e della libertà. Entra in scena donna Alfonsa.
ALFONSA
Fratello... 1997
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ALFONSA LUCAS ALFONSA
LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS
ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA
LUCAS ALFONSA
ALFONSA ALFONSA
LUCAS ALFONSA
¿Qué hay, doña Alfonsa? Yo vengo a hablaros. ¿Hay tal? ¡Qué dellos hablarme quieren! Mas si yo no dejo hablar, hacen muy bien en hablarme y hago en oírlos muy mal. ¿Estamos solos? Sí, hermana. Di, señor: ¿te enojarás de mis voces? ¿Qué sé yo? Sabes, señor... No sé tal. Que soy mujer. No lo sé. Yo, señor... ¡Acaba ya! (Este don Luis y esta hermana pienso que me han de acabar.) Tengo amor... ¡Ten norabuena! A don Pedro... Bien está. Pero él no me quiere a mí, porque, amante desleal, a doña Isabel procura, contra mi fe y tu amistad. Digo que he de creerlo. Ya sabes que me da un mal de corazón. Sí, señora. Y también te acordarás que en Illescas me dio anoche un mal destos. Pues, ¿qué hay? Sabrás que el mal fue fingido.
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ALFONSA LUCA ALFONSA
LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA
ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA
LUCA ALFONSA
LUCA ALFONSA
LUCA ALFONSA
Alfonsa, che c’è? Devo parlarvi. Anche tu? Tutti vogliono parlarmi! Ma se non li lascio fare, fanno sì bene a parlarmi, faccio male io a ascoltarli. Siamo soli? Sì, sorella. Dimmi, ti molesterà ciò che dirò? Che ne so! Sai, signore... No, non so. Sono donna. Non lo so. Io, signore... Adesso basta! (Quel Luis e mia sorella credo che mi sfiniranno.) Sono innamorata... Bene! Di don Pedro... Ancora meglio! Però lui non mi ricambia poiché, amante sleale, ama Isabella, tradendo la tua amicizia e il mio onore. Non potrei crederlo mai. Sai che io ho delle crisi di svenimento... Lo so. E ti ricorderai anche che ieri notte ad Illescas ho avuto una crisi. Quindi? Io allora stavo fingendo. 1999
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ALFONSA
LUCAS ALFONSA
LUCAS
Y agora, ¿quién te creerá si te da el mal verdadero? Importó disimular, porque don Pedro, traidor, juzgando que era verdad, dijo a Isabel mil ternezas; yo entonces quise estorbar su amor con mi indignación, y tan adelante está su amor, que aun en tu presencia la requebró. ¡Bueno está! Anoche estuvo con ella en su aposento, y pues ya llegan mis celos a ser declarados, tú podrás tomar venganza en los dos; solicita, pues, vengar esta traición que te ha hecho contra la fidelidad don Pedro. ¡Buena la hice! Mas, ¿quién puede examinar si quiere a don Luis o a Pedro? Pero a entrambos los querrá, porque la tal Isabel tiene gran facilidad. Mas de lo que estoy corrido, más que de todo mi mal, es que, riñendo por celos, los hiciese yo abrazar. Pero, ¿a cuál de los dos quiere? Agora he de averiguar, y si es don Pedro su amante..., ¡por vida desta y no más!, que he de tomar tal venganza, que he de hacer castigo tal,
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ALFONSA
LUCA ALFONSA
LUCA
E chi ti crederà adesso se ti succede davvero? Servì fingere perché Pedro pensò, traditore, che fosse vero e le disse mille tenerezze; allora volli impedire il suo amore con la mia indignazione; ma oramai è così preso che nemmeno in tua presenza si è trattenuto. Ma bene! Ieri notte si è recato nella sua stanza, ma adesso che ho ammesso la gelosia tu ti potrai vendicare di entrambi: su, punisci il tradimento che ha fatto contro la tua fedeltà don Pedro. L’ha fatta grossa! Però chi potrebbe dire se ama don Luis o Pedro? Magari li ama entrambi, essendo questa Isabella tanto propensa all’amore. Ma quello che mi dispiace più di qualsiasi disgrazia, è che per farli calmare io li abbia fatti abbracciare. Ma lei chi ama dei due? Bisogna che lo capisca, e se l’amante è don Pedro, lo giuro sulla mia vita, compierò tale vendetta, gli darò un tale castigo che duri tutta la vita, 2001
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ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA LUCAS ALFONSA
que dure toda la vida, aunque vivan más que Adán; que darles muerte a los dos es venganza venial. Pues, ¿qué intentas? ¿Don Antonio? Sentado está en el zaguán. ¿Don Pedro? Ya entra don Pedro. ¿Doña Isabel? Allí está.
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Salen don Antonio, doña Isabel, don Pedro, Andrea y Cabellera. ANTONIO ISABEL PEDRO LUCAS
CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS CABELLERA LUCAS LUIS ISABEL ANTONIO PEDRO LUIS ALFONSA LUCAS
¿Qué me mandas? ¿Qué me quieres? ¿Qué me ordenas? Esperad. Cabellera, entra acá dentro. Como ordenas, entro ya. Cerrad la puerta. Ya cierro. Dadme la llave. Tomad. Don Luis, salid. Yo ya salgo. Di, ¿qué intentas? ¿Qué será? ¿A qué me llamas? ¿Qué es esto? ¿Qué pretendes? Escuchad: el señor don Luis, que veis, me ha contado que es galán de doña Isabel, y dice que con ella ha de casar,
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ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA LUCA ALFONSA
vivesse anche più di Adamo; giacché l’ucciderli entrambi sarebbe poca vendetta. Che fai? Dov’è don Antonio? È seduto nel cortile. Don Pedro? Ecco sta entrando. Isabella? Eccola là.
Entrano in scena don Antonio, donna Isabella, don Pedro, Andreina e Parruccone. ANTONIO
Che cosa c’è?
ISABELLA
Cosa vuoi? Che mi comandi? Aspettate. Parruccone, entra dentro. Come mi ordini, entro. Chiudi la porta. La chiudo. Dammi la chiave. Ecco qua. Luis, venite. D’accordo. Che vuoi fare? Che sarà? Perché mi chiami? Che c’è? Cos’è che vuoi? Ascoltate: il qui presente Luis mi ha detto d’esser l’amante di Isabella, inoltre afferma che si sposerà con lei
PEDRO LUCA
PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA PARRUCCONE LUCA LUIS ISABELLA ANTONIO PEDRO LUIS ALFONSA LUCA
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CABELLERA
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ALFONSA
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PEDRO LUCAS
porque ella le dio palabra en Illescas, y... No hay tal, que yo en Illescas, anoche, le vi a una puerta llamar, y con doña Alfonsa habló por Isabel. ¿No es verdad que tú la sentiste anoche? ¿Tú no saliste a buscar un hombre, con luz y espada? Pues él fue. ¿Quién negará que tú saliste y que yo me escondí? Pero juzgad que yo hablé con Isabel, no con Alfonsa. Aguardad: yo fui la que allí os hablé, pero yo os llegaba a hablar pensando que era don Pedro. (¡Amor, albricias me dad!) (¿Lo entendiste?) (Sí, Isabel.) Esto está como ha de estar; ya está este galán a un lado, con esto me dejará. Pues vamos al caso agora, porque hay más que averiguar. Doña Alfonsa me ha contado que, traidor y desleal, queréis a Isabel... Señor... Decidme en esto lo que hay; vos me dijisteis anoche que entrasteis sólo a cuidar por mi honor en su aposento, con que colegido está
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PEDRO LUCA
che gli diede parola ad Illescas... Non è vero, ad Illescas io l’ho visto bussare ad una porta e parlare con Alfonsa credendo fosse Isabella. Non l’hai forse tu sentita e sei uscito a cercare un uomo, con lume e spada? Era lui. Nessuno nega che tu sia uscito o che io mi sia nascosto, ma guarda che parlai con Isabella, non con Alfonsa. Aspettate: chi vi parlava ero io, però l’ho fatto credendo che si trattasse di Pedro. (Amore, grazie, che gioia!) (Hai sentito?) (Sì, Isabella!) Sia come sia questa storia, lui mettiamolo da parte e ci penserò più tardi. Ma torniamo alla questione: c’è ben altro da capire. Alfonsa mi ha raccontato che, traditore sleale, ami Isabella... Signore... Racconta la verità: dicesti che ieri notte entrasti nella sua stanza per tutelare il mio onore, ma per farlo si deduce 2005
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que de la parte de afuera le pudiérades mirar; más: os ha escuchado Alfonsa ternísimo requebrar y satisfacerla amante. Don Lucas, no lo creáis. Yo creeré lo que quisiere, dejadme agora y callad. Más: os hablasteis muy tiernos en Torrejoncillo; más: cuando el coche se quebró, esto no podéis negar, tuvisteis un quebradero de cabeza... (¡Hay tal pesar!) Más: al llegar a Cabañas, esto fue sin más ni más, le sacasteis en los brazos de la litera al zaguán; más: desde ayer a estas horas se miran de par a par, cantando a un coro los dos el tono del ay, ay, ay; más: aquí os hicisteis señas; más: no lo pueden negar; pues muchos mases son éstos, digan luego el otro «más». Padre y señor... ¿Qué respondes? Don Pedro... Remisa estás. Es el que me dio la vida en el río. Y el que ya no puede agora negarte una antigua voluntad.
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PEDRO
che potevi sorvegliare anche guardando da fuori; in più Alfonsa ti ha sentito sospirare dolcemente parlando da innamorato. Don Luca, non lo crediate. Crederò a quello che voglio, adesso lasciami in pace. In più: a Torrejoncillo facevate i piccioncini; e ancora: appena si è rotta la carrozza, non lo puoi negare, a te si è rotto qualcosa dentro... (Che pena!) In più: arrivati a Cabañas, questo è proprio il più dei più, dalla portantina, in braccio, la portaste nel cortile; in più: da ieri ad adesso non fanno altro che guardarsi, cantare a una voce sola canzoni da innamorati; in più: vi fate dei cenni; ed in più: non lo negate. Questi «più» sono parecchi: ditene qualcuno in più. Padre... Che cosa rispondi? Don Pedro... Sembri confusa. È colui che mi salvò nel fiume. E che non può nascondere oramai questo antico sentimento.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA
LUCAS
PEDRO
LUCAS
PEDRO ANDREA
ANTONIO LUCAS
PEDRO LUCAS
ANTONIO
LUCAS
Antes que tú la quisieras, la adoré; no es desleal quien no puede reprimir un amor tan eficaz. Calla, primillo, que ¡vive...!; pero no quiero jurar, que he de vengarme de ti. Estrena el cuchillo ya en mi garganta. Eso no; yo no os tengo de matar; eso es lo que vos queréis. Pues, ¿qué intentas? ¿Qué querrá? ¡Entre bobos anda el juego! ¿Qué haces? Ahora lo verás. Vos sois, don Pedro, muy pobre, y a no ser porque en mí halláis el arrimo de pariente, perecierais. Es verdad. Doña Isabel es muy pobre: por ser hermosa no más yo me casaba con ella; pero no tiene un real de dote. Por eso es virtuosa y principal. Pues, dalda la mano al punto, que en esto me he de vengar: ella, muy pobre; vos, pobre, no tendréis hora de paz; el amar se acaba luego, nunca la necesidad; hoy, con el pan de la boda, no buscaréis otro pan;
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO
LUCA
PEDRO
LUCA
PEDRO ANDREINA
ANTONIO LUCA
PEDRO LUCA
ANTONIO
LUCA
Ben prima che tu l’amassi io l’adoravo; non è sleale chi non reprime un amore tanto intenso. Zitto, cugino! Io giuro... Però non voglio giurare: mi vendicherò di te. Prova ora il tuo pugnale nella gola. Questo no; io non ti voglio ammazzare: sarebbe ciò che vorresti. Cosa farai? Che vorrà? Non si sa chi sia il più furbo! Che fate? Ora vedrete. Pedro, tu sei molto povero: se non fosse per l’aiuto che ti do come parente moriresti. Questo è vero. Isabella è molto povera: se non fosse perché è bella non l’avrei voluta in sposa; non ha un soldo bucato in dote. Però, in compenso, è virtuosa ed onorata. Bene, datele la mano, così mi vendicherò: lei povera e tu povero, non starete un’ora in pace; l’amore poi si esaurisce, ma i bisogni invece no. Oggi avrete come pane giusto quello delle nozze; 2009
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA
PEDRO LUCAS CABELLERA LUCAS
PEDRO
(Aparte)
CABELLERA
PEDRO
de mí os vengáis esta noche, y mañana, a más tardar, cuando almuercen un requiebro, y en la mesa, en vez de pan, pongan una fe al comer y una constancia al cenar, y, en vez de galas, se ponga un buen amor de Milán, una tela de «mi vida», aforrada en «¿me querrás?», echarán de ver los dos cuál se ha vengado de cuál. Señor... Ello has de casarte. ¡Cruel castigo les das! ¡Entre bobos anda el juego! Presto me lo pagarán y sabrán presto lo que es sin olla una voluntad. (Hacerme de rogar quiero.) Señor... (La mano la da, no se arrepienta). Esta es mi mano.
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Danse las manos. ISABEL
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El alma será quien sólo ajuste este lazo. Don Luis: si os queréis casar, mi hermana está aquí de nones y haréis los dos lindo par.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO
PEDRO LUCA PARRUCCONE LUCA
PEDRO
(A parte)
PARRUCCONE
PEDRO
di me vi vendicherete stanotte, ma domattina al più tardi, a colazione avrete dei complimenti anziché il pane sul tavolo; e a pranzo la fedeltà, e la costanza per cena, e al posto dei vestiti bell’amore di Milano, e tessuto «vita mia» foderato di «mi ami?»: lo vedrete tutti e due chi si vendica di chi! Signore... Ora ti sposi. Che punizione severa! Non si sa chi sia il più furbo! Me la pagheranno presto e capiranno com’è l’amore senza un quattrino. (Voglio farmi scongiurare.) Signore... (Dalle la mano, non abbia a pentirsi.) Ecco la mia mano. Si danno la mano.
ISABELLA
LUCA
Solo l’anima confermerà quest’unione. Luis, volete sposarvi? C’è mia sorella che è sola: sarete una bella coppia.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA ENTRE BOBOS ANDA EL JUEGO, TERCERA JORNADA LUIS LUCAS CABELLERA
En Toledo nos veremos. Ireme dél si allá vais. Y don Francisco de Rojas, a tan gran comunidad, pide el perdón con que siempre le favorecéis y honráis.
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FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA NON SI SA CHI SIA IL PIÙ FURBO!, TERZO ATTO LUIS LUCA PARRUCCONE
Ci rivediamo a Toledo. Se andate là, vado altrove. E don Francisco de Rojas domanda venia ai presenti, tutti voi che, come sempre, lo favorite e onorate.
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Agustín Moreto
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La vita e le opere
Nato da una famiglia di commercianti di origine italiana, nel 1634 si immatricola all’Università di Alcalá e termina gli studi nel 1639. Tre anni più tardi è ordinato sacerdote e gode di un beneficio nella chiesa parrocchiale di Mondéjar (Toledo). Nel 1649 è membro dell’Accademia castigliana, nel 1654 pubblica la Primera parte delle sue commedie, nel 1656 scrive loas e sainetes per il Corpus Domini di Sevilla, nel 1657 entra al servizio dell’arcivescovo di Toledo, e a Toledo muore nel 1669. Questi scarni dati, gli unici sicuri, sono stati ampiamente affabulati dai primi studiosi di Moreto; mentre in anni più vicini ci si è lamentati di non poter recuperare attraverso di essi una «vita interiore» dell’autore. Ma la sua opera ce lo mostra come intellettuale prudente, che sottomette le passioni al dominio della razionalità, che contempla con assennatezza sia la fine di un’epoca che la formula teatrale che si trova ad ereditare. È l’ideale insomma espresso anche da Gracián; e questo universo «regolato» di Moreto, perfettamente in linea con i suoi tempi, costituisce la più interessante chiave di lettura del suo teatro.1 Egli «ripensa» i testi precedenti, aggiustandoli a questa nuova necessità di ordine trame e caratteri; il che ovviamente ha comportato l’accusa di mancanza di originalità, o addirittura di plagio, anche se gli si concede una certa eleganza di risultati: polemica ormai priva di senso, dato che il confronto intertestuale può servire, più che a dare patenti di valore, a rendersi conto del perché delle riprese e dei cambiamenti. Da un lato Moreto si dedica alle consuete commedie «de tramoya», tanto amate dal pubblico, indulgendo al maraviglioso: San Franco de Sena (San Franco da Siena), La adúltera penitente (L’Adultera penitente) con Cáncer 2017
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AGUSTÍN MORETO
e Matos Fragoso, El lego del Carmen (Il frate converso del Carmelo), alle quali ovviamente non ha alcun senso domandare «indagini psicologiche», lontanissime dalle preoccupazioni dell’autore e dei suoi spettatori. Dall’altro coltiva il meccanismo ad orologeria della commedia d’intreccio, come El desdén con el desdén, ultima di tutta una serie di commedie analoghe;2 anche El lindo don Diego (Il bel don Diego) ha dei precedenti, ed ha il proprio sfondo nelle polemiche sul lusso eccessivo che nella prima parte del secolo si erano venute svolgendo. La satira per i lindos, i damerini che avevano una eccessiva cura si sé, si era riflessa nella commedia (Antes que todo es mi dama di Calderón, ad esempio) ed estesa alla prosa moraleggiante, come il Día de fiesta (Il giorno di festa) di Juan de Zabaleta. Lo stesso Moreto costruisce sul topos un brillante frammento in San Franco de Sena: ecco dunque i materiali a disposizione del commediografo, che li inserirà nella consueta griglia della «comedia de figurón». Attraverso la risata liberatoria lo spettatore allontana da sé il diverso, colui che non sa conformarsi alla dizione sottile e spiritosa, ed all’eleganza della moderazione. MARIA GRAZIA PROFETI
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El desdén con el desdén Il disdegno col disdegno Testo spagnolo a cura di ENRICO DI PASTENA Nota introduttiva, traduzione e note di ENRICO DI PASTENA
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Suelta del Desdén con el desdén Esemplare della Biblioteca Nacional de Madrid (Sevilla, F. De Leefdael, s.a.)
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Nota introduttiva1
1. Un’aristocratica di nome Diana, erede della contea di Barcellona, si mostra restia all’amore e avversa agli uomini, fondando il proprio convincimento sugli studi che ha realizzato e su illustri esempi dell’antichità. Sono in lizza per la sua mano tre nobili provenienti da territori limitrofi. Su tutti s’imporrà Carlos, conte di Urgel, il solo che, con l’aiuto di uno spigliato servo, tratta Diana con un disdegno simulato, espediente con cui ne pungola l’amor proprio e la conquista. È questo il lineare intreccio della commedia più conosciuta di Agustín Moreto, drammaturgo secentesco affermatosi alla fine degli anni quaranta e attivo nei due decenni successivi.2 Così prospettata, la trama non appare particolarmente originale. L’idea che il disdegno della persona desiderata possa essere vinto da un finto distacco si ritrova in diverse opere teatrali del periodo, siano esse di Lope de Vega (Los milagros del desprecio, La hermosa fea) che di Tirso de Molina (Celos con celos se curan). Lo stesso Moreto ripropone situazioni affini nella commedia El poder de la amistad (1652) e nella precedente Hacer remedio el dolor, composta intorno al 1648 in collaborazione con Jerónimo de Cáncer.3 Una figura rispondente alla tipologia della «donna schiva», anch’essa di nome Diana, compariva nella lopiana El perro del hortelano, mentre una ritrosa nutrita di numerose letture era la protagonista della Vengadora de las mujeres. Il motivo risulta dunque piuttosto diffuso. Il numero iperbolico di titoli che sono stati suggeriti come potenziali modelli del Disdegno col disdegno, quasi venti,4 rappresenta una conferma di ciò e un segno della loro parziale improbabilità in quanto fonti in senso stretto. Inoltre, che 2021
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO
il disdegno si combatta con le stesse armi riprende un principio più generale, quello del similia similibus curantur, proveniente dall’antichità e che dalla fine del Settecento farà proprio l’omeopatia. L’intento di suscitare le attenzioni dell’amata attraverso un ostentato distanziamento, assieme al motivo dell’amore inteso come malattia o della convenienza di servirsi di un medico d’amore si ritrovano, ad esempio, nel Remedia amoris; all’altezza di metà Seicento l’uno e gli altri sono materia comune e parte integrante del codice testuale della Commedia, per quanto Moreto apprezzi particolarmente Ovidio: nel Disdegno col disdegno riprende probabilmente dalle Metamorfosi alcune figure di fanciulle refrattarie all’amore, e cita e rielabora l’incipit di Tristia nella dedica che precede la stampa della sua Primera parte (1654). Del resto, molte delle commedie addotte come possibili modelli presentano tangenze meramente tematiche e piuttosto superficiali. È significativo, invece, che Moreto conferisca ai materiali adottati un trattamento efficace e un’impronta caratteristica: azione unica, personaggi ben delineati, calibrato sviluppo della trama e utilizzo della simmetria. Il titolo della pièce, costruito attorno a una epanalessi, preannuncia infatti una serie di parallelismi che si ritrovano nel suo svolgimento. E il fatto che il drammaturgo riproponga il motivo centrale in più di una commedia rivela la sua consapevolezza delle potenzialità teatrali che esso poteva offrire, confermate poi dall’accoglienza riservata al Disdegno col disdegno dal pubblico e da successivi autori nel corso del tempo, da Molière a Schreyvogel passando per Gozzi. A lungo si è tramandata l’immagine, desunta da un testo satirico in prosa (un Vejamen accademico di Cáncer, stampato per la prima volta nel 1651 ma scritto qualche anno prima),5 di un drammaturgo intento a passare al setaccio commedie del passato per estrarvi spunti utili. Quel testo, di natura giocosa, che satireggiava altri coevi uomini di lettere appartenenti all’Accademia di Madrid ed era firmato da un autore in ottime relazioni con Moreto (con lui scriverà una decina di pièces), può divenire fuorviante se lo si adotta per tacciare il drammaturgo di scarsità d’inventiva o, peggio, di plagio. Conserva invece un suo valore se lo si riconduce all’alveo della prassi imitatoria comunque viva nel XVII secolo e in particolare in una generazione di drammaturghi che percepisce la Comedia Nueva lopiana come un modello ineludibile ma in parte da rifondere e risemantizzare, avvalendosi in talune circostanze di una sorta di «tecnica da centone».6 Lo scritto di Cáncer ci aiuta quindi a collocare Moreto 2022
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nel contesto di un gruppo di autori – ascritti un po’ schematicamente al cosiddetto «ciclo calderoniano» e la cui specifica conoscenza da parte nostra è piuttosto migliorata negli ultimi lustri – per i quali la nozione di originalità non può essere intesa come la si concepisce dal Romanticismo in poi. Il drammaturgo si colloca in una fase in cui la freschezza e le innovazioni del teatro lopiano sono sottoposte a un processo di stilizzazione strutturale e di imbrigliamento dei contenuti, in risposta a una mai sopita domanda di opere nuove da parte del pubblico, ma anche in conseguenza di un irrigidimento delle gerarchie sociali, com’è proprio di un tempo in cui, in particolare dagli anni quaranta, si acuisce la crisi politico-economica della Spagna di Filippo IV. A ciò occorre aggiungere qualche specifico condizionamento delle attività teatrali derivato dal dibattito teorico e soprattutto dalle restrizioni a esse imposte, a fronte di rinfocolate polemiche sulla loro liceità e della chiusura per qualche anno dei corrales (gli spazi teatrali pubblici dell’epoca) in seguito a lutti nella famiglia reale. Moreto, che ha diciotto anni meno di Calderón (nato nel 1600) e undici meno di Rojas Zorrilla (del 1607), è testimone diretto della crisi del paese sin dalla prima età adulta, quando sono già scomparsi Lope, Pérez de Montalbán e Ruiz de Alarcón. Comincia a scrivere assai precocemente per il teatro (intorno all’estate del 1637), e si tratta di testi composti a più mani, conquistandosi tuttavia fama e visibilità nel volgere di pochi anni, se è vero che prima del 1650 vende più di una commedia a un capocomico dell’importanza di Antonio García de Prado; la collaborazione proseguirà con il figlio di quest’ultimo, Sebastián, e si estenderà ad altre compagnie.7 Come spartiacque convenzionale nella sua produzione può essere presa l’uscita della Primera parte de comedias, la sola pubblicata in vita, cui faranno seguito altre due sillogi uscite postume nel 1677 e 1681. Intorno alla metà del secolo è un drammaturgo riconosciuto, che nel 1654 ha all’attivo almeno sedici commedie tutte sue e altrettante in collaborazione. La scrittura teatrale di Moreto si colloca dunque a cavallo tra la piena maturazione formale del codice della Commedia e una sua fase di graduale logorio, visto che, diversamente da quel che si è talvolta sostenuto, dopo aver preso gli ordini sacerdotali continuerà a scrivere, e anche con rinnovata intensità, per il palazzo e per i corrales, e commedie dell’autore verranno riproposte sulle scene negli anni ottanta, un decennio circa dopo la sua morte, avvenuta nel 1669. Come per Calderón, si è evocata per Moreto una «biografia del silenzio». 2023
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Dalla relativa scarsità di dati emergerebbe, stando a una parte della critica, l’immagine di un intellettuale giudizioso, nel quale non pesano più di tanto le origini italiane della famiglia di provenienza (riflesse anche nel secondo cognome Cavana), che gode della protezione di un cardinale e cerca l’appoggio di qualche potente, ma che, in modo assai diverso da Lope, vive quasi in sordina la sua esistenza, subordinando, a quel che è dato vedere, le passioni al dominio del raziocinio e della riflessività. Di certo queste eventuali prerogative, che a noi potrebbero interessare ovviamente nella misura in cui dovessero trovare una eco nelle sue opere, non gli impediscono uno straordinario dominio dei tempi e delle modalità comiche, anche nelle forme brevi: i suoi intermezzi hanno una vitalità e una brillantezza che lo collocano tra i migliori realizzatori del genere.8 L’inclinazione alla battuta salace dell’autore attrasse le critiche di Francisco Antonio de Bances Candamo in una incompiuta precettistica tardosecentesca, El teatro de los teatros, e nel secolo successivo la vis comica del drammaturgo (ed era prevedibile in ottica neoclassica) non parrà priva di eccessi anche a chi, come Ignacio de Luzán, saprà riconoscere gli indubbi meriti costruttivi dell’arte moretiana. E tuttavia la comicità delle creature di Moreto è molto spesso contigua alla satira, e non di rado fa indulgere al sorriso piuttosto che al riso. 2. La editio princeps del Disdegno col disdegno vide la luce nel 1654 a Madrid, in un volume stampato sotto il presumibile controllo di Moreto e che comprendeva canonicamente dodici commedie, diverse delle quali provenivano dal repertorio del capocomico Gaspar Fernández de Valdés.9 La commedia dovette essere composta pochi anni prima. Facendo leva anche sull’ambientazione catalana delle vicende, gli studiosi hanno suggerito che qualche tratto della figura del suo protagonista, Carlos, potrebbe evocare in modo encomiastico don Giovanni d’Austria, colui che, non lo si confonda con l’omonimo vincitore a Lepanto, nell’ottobre del 1652 aveva riconquistato per il governo centrale Barcellona e i suoi territori e restituito alla città lo sfarzo e la varietà di festeggiamenti che avevano anticipato le forme e gli svaghi di un carnevale celebre in tutta la penisola. Nel gennaio del 1653 era stato nominato viceré di Catalogna. La data di redazione proposta per la commedia si attestava intorno al 1653-1654. Ma forse il destinatario dell’implicito omaggio potrebbe essere stato Francisco Fernández de la Cueva, VIII duca di Alburquerque, 2024
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barcellonese di nascita e autore di imprese che nella campagna di Catalogna, cui prese parte sin dal 1645, spianarono la via ai successi militari dello stesso don Giovanni. Al duca, quasi coetaneo e mecenate di Moreto, il drammaturgo dedica con tipico tono elogiativo il volume del 1654. Inoltre, nel Disdegno col disdegno l’autore riadatta una romanza cantata in cui si allude a un «secondo re» (v. 1801) e la tentazione di individuarvi un’allusione a Fernández de la Cueva sarebbe forte, se non fosse che il duca venne nominato ufficialmente viceré della Nuova Spagna solo nel marzo del 1653 (svolse il suo incarico dal 15 agosto) e credibili deduzioni realizzate a partire da dati riguardanti l’attività della compagnia di Juan Vivas e Gaspar de Valdés, che allestirono Il disdegno col disdegno in località non distanti da Madrid nel giugno del 1652, spingono invece a collocare la composizione della commedia intorno alla seconda metà del 1651 o tutt’al più agli inizi dell’anno successivo. Come sia, che il (generico) tratteggio pubblico di Carlos rinvii a don Giovanni d’Austria oppure al duca di Alburquerque, dipingere nei primi anni di quel decennio una Barcellona spensierata come quella che emerge dal Disdegno col disdegno poteva avere anche il sapore dell’auspicio di una «pacificazione» tra centro e periferia del regno ancora da compiersi fino in fondo. Che Moreto e il suo pubblico da Madrid guardassero alla Catalogna con molto interesse e qualche apprensione è comprensibile e confermato da altre opere che il drammaturgo compone in quegli anni. La vocazione prevalentemente non realista della Commedia non impedisce infatti di applicare in singole realizzazioni pennellate di stretta contemporaneità, come la dettagliata relazione che l’autore introduce nel primo atto di De fuera vendrá quien de casa nos echará e relativa alla conquista di Gerona, strappata ai francesi nel settembre 1653 da don Giovanni con l’ausilio di Gaspar de la Cueva, fratello del duca. Echi delle recenti vicende catalane (e forse richiami a Giovanni d’Austria) potrebbero inoltre essere ritrovati nell’ambientazione aragonese e nella presenza di un conte di Urgel e dei suoi figli in conflitto in Hasta el fin nadie es dichoso, altra commedia della Primera parte.10 3. Vero è che il tono dominante nel Disdegno col disdegno pare quasi favolistico. Non sappiamo con certezza, come pure si è ipotizzato, se nacque per il palazzo, sebbene esistano dati relativi a rappresentazioni secentesche in saloni di edifici reali a Madrid (come l’Alcázar e il palazzo del 2025
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Buen Retiro) o che consentono di supporre allestimenti privati in case aristocratiche, quantomeno di area linguistica catalana; del resto, è noto come le medesime compagnie portassero talvolta a palazzo le opere messe in scena per il pubblico dei corrales. Protagonisti di alto rango, lontananza cronologica, anacronismi e una certa vaghezza delle coordinate temporali,11 accompagnati da uno scarso interesse per la ricostruzione storica, fanno del Disdegno col disdegno l’ideale prolungamento di quella commedia palatina che con situazioni spesso più audaci Lope aveva portato in auge alcuni decenni prima. Ora il nodo è costituito dall’avversione di Diana all’amore e agli uomini, e risulta intrigante che la nobile faccia del sapere il nutrimento della propria ostilità, sebbene la nicchia di autonomia che si ricava non possa essere mantenuta a lungo e, come vedremo più avanti, la prospettiva del drammaturgo e del pubblico del tempo non riconosca autentica legittimità alle aspirazioni della futura contessa. L’ossessione di Diana la isola, la sua rigidità la conduce a sfiorare agli occhi di chi la circonda una pericolosa e involontaria comicità. Una delle indiscusse qualità del Disdegno col disdegno è l’architettura coesa. L’azione viene costruita a grandi blocchi e con minori variazioni delle strofe e dei metri rispetto al passato, secondo una costante riscontrabile anche in Calderón, e la minima alternanza degli spazi adduce infine a quello condiviso da Diana e Carlos, ma dominato dalla aspettativa pubblica e dal gentiluomo. La chiarezza strutturale quasi rasenta lo schematismo. Nella prima scena Carlos mette a parte il servo e ovviamente il pubblico dei precedenti della vicenda. L’innamoramento, come in altre opere moretiane, appartiene all’antefatto. Il nucleo dell’intreccio consisterà nel mostrare le oscillazioni del comportamento di Diana e come ineluttabilmente essa cadrà. L’esile trama si dispiega armonicamente lungo i tre atti, non senza qualche simmetria tra le scene di apertura e di chiusura. Ciascuna delle tre articolazioni conosce un momento culminante: la lunga contesa verbale tra Diana e Carlos nella prima; la divertente sequenza del giardino nella seconda; i dilemmi della nobile che precedono lo scioglimento nella terza. Tre nuclei che sanciscono il percorso della donna dalla superbia alla vigilia della resa, passando per un frustrante tentativo di seduzione e suggerendo una delle letture del testo: il graduale processo di scoperta di sé da parte dell’eroina, l’abbandono di ciò che la società concepisce come errore e il conclusivo ritorno alla legge comune, nei toni lievi della commedia. 2026
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Oltre che di una evidente riduzione degli spazi, l’opera si avvale di una contenuta concentrazione temporale. In Moreto è stata colta, del resto, una disposizione flessibile dinanzi alle norme neoaristoteliche, di cui tornano a dibattere con rinnovato ardore alcuni teorici negli anni quaranta.12 Se nel primo atto Polilla entra al servizio di Diana nel torrido periodo estivo, nel secondo ci ritroviamo in tempo di carnevale, essendosi convenzionalmente prodotta la cesura temporale nel passaggio da un atto all’altro. Il periodo di carnevale, parallelo alla fase di instabilità affettiva della nobildonna (e pertanto politico-sociale nella contea), si prolunga per buona parte del terzo atto. I rituali carnevaleschi permettono a Moreto di avvicinare anche fisicamente i due protagonisti, forse attenuano la licenziosità del comportamento di Diana che in giardino si mostra en négligé, certamente danno colore e movimento agli algidi spazi del palazzo. Era notissimo all’epoca il carnevale di Barcellona, e non è chiaro se l’ambientazione nella città conteale poté suscitare in Moreto il collegamento con le feste, o se accadde il contrario, o se poté pesare l’esempio del recente dramma El pintor de su deshonra di Calderón (dove riappaiono Barcellona, il suo carnevale e uno dei frammenti cantati che risuonano nel Disdegno col disdegno). È invece fuor di dubbio la funzionalità della festa carnevalesca. Alle ragioni enumerate si può aggiungere quella decisiva: funge da cassa di risonanza del duello di reciproci mascheramenti che si svolge tra i due protagonisti. Gli spazi sono caratterizzati dall’eleganza dei saloni di palazzo. Lo stesso giardino ove ha luogo la scena in cui Diana cerca di dimostrare le proprie qualità canore è, con le sue geometrie alla francese, promanazione di quel palazzo, natura addomesticata e fondale di un rinnovato tentativo di irretire. Si intende che gli àmbiti spaziali del Disdegno col disdegno siano stati accostati alla raffi natezza dello spazio teatrale rococò piuttosto che al «disordine» di quello barocco. Le movenze del ballo, gli interludi cantati (generalmente in dialogo, più o meno scoperto, con il tema amoroso), le accennate note di circostanza degli strumenti musicali e ovviamente la predominante modalità discorsiva dei personaggi alti partecipano della distinzione degli ambienti e concorrono a una atmosfera che fa di questa commedia una sorta di meccanismo a orologeria. Scandita dal ritmo leggero, come di minuetto, delle entrate e delle uscite, essa è impreziosita da una palpabile venatura sensuale e da una indubbia fascinazione visiva, dato, quest’ultimo, che merita di 2027
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essere ricordato in un teatro di parola com’è quello dei Secoli d’Oro in Spagna. 4. Diana, donna intellettuale, nutrita di filosofia, storia e mitologia, ha tratto dallo studio l’insegnamento che l’amore sia la causa principale delle umane calamità. Quel che la contraddistingue finisce anche per fuorviarla. Il suo sapere libresco la dota infatti di un falso dominio di sé e l’allontana da chi la circonda. Le censure da parte degli altri personaggi, anche di quelli a lei più prossimi, sono unanimi, sebbene non vengano proferite a voce alta in sua presenza, e si accompagnano all’intermittente affioramento dell’ironia autoriale. Prima di soffermarmi sulla cultura di Diana, suo autentico tratto distintivo, ricorderò come contribuiscano a qualificarla una serie di riverberi mitologici, palesi ma non puramente esornativi. L’onomastica offre in tal senso più di un appiglio: la nobile porta il nome della dea della caccia, combattiva sostenitrice della castità propria e delle sue ninfe; Laura fu sodale prediletta della stessa dea e a uno degli appellativi di questa, «Cintia» (dal momento che si venerava sul monte Cinto a Delo), rimanda il nome di un’altra delle dame di compagnia. Ma ancora più degno d’attenzione è il rovesciamento umoristico di qualche spunto di carattere mitologico, a sottolineare in modo divertito l’inaccettabilità delle pretese di Diana. Così, accade che le «ninfe» non le siano fedeli e Cintia in particolare si ritrovi sul punto di prendersi l’uomo che la futura contessa vorrebbe umiliare. Nell’episodio in cui la protagonista intende ammaliare Carlos con il suo canto, il bosco della storia di Atteone (colui che sorprese la dea al bagno e, trasformato in cervo, venne divorato dai propri cani) è diventato un giardino aristocratico e il potenziale trasgressore, che s’introduce in uno spazio precluso agli estranei, si mostra invece (falsamente) disinteressato. La principessa non sarà né sirena né Eva né tantomeno Diana cacciatrice, perché il suo antagonista, previamente informato del tranello tesogli, è preparato a farvi fronte e ha il sostegno del proprio servitore. Lo spesseggiare dei richiami mitologici, forse un po’ troppo scoperto, è dunque del tutto pertinente. In alcune delle rielaborazioni che dell’opera si fecero fuori di Spagna, in particolare in quelle di Gozzi e di Schreyvogel, si è invece notato come la dimensione mitologica scada a elemento poco meno che accidentale. Le conoscenze di Diana travalicano quelle comunemente attribuite o concesse alle donne nella società secentesca, ma non quelle di chi ap2028
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partiene all’alta aristocrazia. La protagonista dell’opera esprime i suoi saperi servendosi di astrazioni e sofismi di ascendenza scolastica, che ne ottenebrano il buon senso e la sottraggono all’orizzonte delle aspettative femminili del tempo, che quasi si riducevano alla vita matrimoniale o a quella monacale. Insomma, l’ossessione per lo studio provoca in Diana una tensione tra due sue facoltà, l’intelletto e la volontà. L’errore della nobile consiste nel ritenere che la sua avversione all’amore sia frutto di una disposizione genuina e naturale piuttosto che il risultato di un’arbitraria imposizione sulla volontà di un raziocinio fuorviato da una conoscenza solo teorica delle passioni. Anche il gesuita Baltasar Gracián, contemporaneo di Moreto, facendosi eco di Cicerone, si interrogò retoricamente sulla utilità di un sapere che non fosse pratico nel suo Oráculo manual y arte de prudencia (aforisma 232). La fallacia della posizione della protagonista si va manifestando in tutta la sua portata dacché Carlos, assecondato e aiutato da Polilla, e differenziandosi dagli altri pretendenti, evita di riconoscerle credibilità e ingaggia con lei una disputa apparente in forma di schermaglia concettista. Sorta di specchio di Diana, Carlos agisce intenzionalmente. Il fatto di simulare quanto l’interlocutrice crede veridico gli assicura un vantaggio che presto diviene incolmabile. È la sua falsa identità a consentirgli di disvelare a Diana la condizione che a Moreto e ai suoi contemporanei appariva la più «naturale». Il rischio implicito nel persistere da parte della principessa nelle proprie posizioni si intravede prima dello scioglimento: il microcosmo di cui fa parte ha emarginato Diana e minaccia di escluderla dalla felicità. Ed ecco che gli accessi d’ira scatenati dalla vanità ferita si alternano ai disperati tentativi di mostrare una ormai impossibile coerenza: emblematiche le oscillazioni del suo contraddittorio conversare con Cintia (vv. 2710 ss.), in un intervento che può proficuamente essere messo in relazione con quello iniziale di Carlos, al quale risulta contiguo per temi e vocabolario (decoro, desiderio di vincere l’amante, la fortuna, la gioia d’essere amati). E prima, nell’unico sonetto della commedia (vv. 2553-2566), in una di quelle autoanalisi che hanno reso celebre il teatro di Calderón e che in Moreto, pur presenti, risultano meno laceranti, Diana ha potuto confessare a se stessa la passione che alberga nel petto attraverso una serie di considerazioni che gravitano intorno alla figurazione di un incendio non più domabile. In tutta l’opera le metafore di ormai indiretta derivazione petrarchesca tracciano «un’algebra rigorosa di immagini con i valori di 2029
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“ghiaccio” e “fuoco”»,13 e ora il secondo è riconducibile a quello simbolico della purificazione, alla morte figurata della vecchia Diana. Ma in che misura la cultura acceca la futura contessa? Il testo osteggia forse l’idea che sia opportuna l’acculturazione femminile? Il disdegno col disdegno ha il fine primario di intrattenere e se contiene spunti di satira sociale questi sono diretti, più che a una eventuale, intrinseca improponibilità delle pretese di una donna colta, agli eccessi che derivano dal suo orgoglio e alla limitatezza di una erudizione teorica che l’allontana dalla decorosa mediocritas su cui poggia l’equilibrio familiare e sociale. Per il Moreto del Desdén con el desdén un’attività intellettuale slegata dalla realtà, o peggio, in aperta contraddizione con essa, è condannata all’insuccesso ed è, nella migliore delle ipotesi, una stravaganza.14 Il drammaturgo, del resto, ha tratteggiato altrove figure femminili accattivanti, come l’Ana di No puede ser el guardar una mujer (1659). E nel clima pur giocoso di una commedia, occorre ricordare che Diana è l’erede di una contea, della quale deve garantire la successione, per cui ogni suo atto acquisisce una rilevanza politica. In tal senso merita di essere menzionato l’atteggiamento accondiscendente del padre della protagonista, a differenza della condotta consueta nella Commedia di altre figure maschili d’autorità.15 Non stupisce invece l’assenza della madre, evidentemente defunta, anche se nulla viene detto a tale riguardo: è figura quasi mai prevista dalle dramatis personae secentesche. A ogni modo, Moreto, al di là degli eccessi sofistici e della divertente «caduta» nel giardino, ha cura di preservare il decoro della nobile. Infine Carlos si professa ancora un adoratore di Diana e lascia formalmente nelle mani di costei la scelta del proprio destino. Dotato delle qualità nobilitanti del galán positivo, cosciente del suo ruolo sociale e dei suoi obblighi, sin dall’inizio il conte di Urgel analizza lucidamente i meccanismi del desiderio e inquadra la situazione in un modo che gli sviluppi dell’azione confermeranno. Fondamentale è la sua definizione del decoro come equidistanza tra favore e scortesia (vv. 135-156). A renderlo più credibile come personaggio, tuttavia, sono i momenti di cedimento, utili a riscattarlo, almeno in parte, dalle secche dell’astrazione. Quando è sul punto di perdersi, Carlos può valersi, alternativamente, di due risorse principali: il proprio ingegno (che ora gli permette di mettere a punto l’inganno del finto disdegno, ora di riprendersi dal mancamento che lo obnubila, per il contatto della mano di Diana, durante il ballo, vv. 1557-1616) e, in seconda istanza, Polilla, 2030
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il cui intervento nella sequenza del giardino è risolutivo nell’evitare il naufragio del piano. Nel fatto che la strategia operativa venga concepita dal padrone e non dal servitore si è visto l’orientamento di un autore che intende salvaguardare la preminenza e la dignità del nobile al cospetto della debordante vitalità del plebeo, in modo ben diverso da quanto si verificava in alcuni dei presumibili modelli di Moreto, come Los milagros del desprecio o El perro del hortelano, dove i servi Hernando e Tristán svolgevano un ruolo centrale nell’elaborare e mettere in pratica gli espedienti che permettevano la risoluzione del conflitto. D’altro canto, non paiono appropriate valutazioni moralmente negative dell’operato del protagonista maschile: che nella commedia di Moreto il nobile si serva d’un inganno non è tanto la manifestazione di una incrinatura etica quanto di un ingegno, «moderno» e in certa misura spregiudicato, che sa adattare il comportamento alle necessità. E questo è tanto più vero se, come ha segnalato Wardropper,16 si tratta di risvegliare l’amore, per cui occorre ingraziarsi l’altrui volontà e non appellarsi alle ragioni dell’intelletto. Potremmo dire che all’occultamento, volontario o meno, dell’identità nella commedia palatina lopiana, si è sostituito qui quello della identità «psicologica». Nel contesto in cui si produce, l’azione di Carlos può essere ritenuta una sorta di rovesciamento del codice cortese, che predicava la sottomissione e l’obbedienza incrollabile dell’innamorato. Più in generale, nella Commedia e in altre realizzazioni dello stesso Moreto, non è insolito che le dame vengano conquistate mediante l’ingegno. Di fatto, Carlos viene a essere l’incarnazione di un principio, la discreción, che qui favorisce il rispetto del decoro nelle differenti situazioni sociali e che può essere elevato a norma di condotta universale. Potrebbe trattarsi di una comune temperie culturale, ma è interessante notare come in più di un’opera del già ricordato Gracián – che sia El discreto o l’Oráculo manual – si ritrovino echi affini a quelli che risuonano nel Disdegno col disdegno. Del resto, quasi negli anni in cui il drammaturgo compone il testo, il gesuita dà un giudizio lusinghiero, seppur lapidario, delle commedie di Moreto nella Primera parte de El criticón,17 riprova, forse, di una stima ricambiata. Polilla, il servo buffo, immette nel testo la voce dell’esperienza, con un pragmatismo assai schietto, lo scoppiettio di arguzie di grana grossa e, c’è da crederlo, una esuberanza sostenuta da una esplicita mimica durante la rappresentazione. È figura essenzialmente comica, dunque, ma an2031
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che confidente del padrone, cui lo lega un’inverosimile prossimità, come s’evince sin dalla scena d’apertura. La rilevanza del personaggio subalterno, sebbene questi sia un mero aiutante, è suffragata dall’ampio sviluppo testuale che gli si concede e viene confermata dalla sua presenza in scena in momenti strategici: il gracioso dice quasi la terza parte del totale dei versi, appare in tutti gli inizi di atto e ha l’ultima parola in ciascuno di essi, compreso quello conclusivo. Si è inoltre registrata una preponderanza della funzione imperativa nelle parole di Polilla. Questo forse spiega che qualche studioso sia stato indotto all’errore di attribuirgli il piano che invece elabora il suo padrone. Se la beffa del sistema di valori e del linguaggio dei personaggi elevati sono costitutivi del buffo, assieme al fatto che offra la chiave interpretativa di alcune situazioni o le traduca metaforicamente, occorre mettere in evidenza il filo che nel Disdegno col disdegno, pur con il fine primario di suscitare l’ilarità, lega tra di loro varie sue battute e queste all’assunto centrale della commedia: ostinarsi a voler condannare l’amore è una sorta di malattia e di conseguenza Polilla agirà da medico, prescrivendo ogni sorta di provocatoria e scatologica terapia. Il linguaggio basso e l’ossessione per il cibo fanno parte delle preoccupazioni delle figure plebee sin dai pastori sciocchi del teatro del primo Cinquecento. Ma ora gli aneddoti dell’uva (vv. 381-392) e del fico (vv. 404-422) funzionano, rispettivamente, come segni delle motivazioni che governano il desiderio e del modo di imporle: ciò che ci viene negato è quanto più desideriamo e prima o poi, se adeguatamente sollecitati, tutti cedono. Valgono come nuclei emblematici che condensano gli obiettivi e il programma che alimenta l’azione di Polilla, e dunque del suo padrone. Altri ambiti lessicali ricorrono, tra cui quello delle carte e dei giochi in generale, e una serie di allusioni al sacro, non percepite all’epoca come irriverenti né dal pubblico né, generalmente, dalle autorità. Ma i numerosi richiami alla patologia amorosa, lo ripetiamo, sono quelli che conferiscono maggiore coerenza agli interventi del servo. Il ruolo di medico d’amore offre inoltre la giustificazione della presenza di Polilla a palazzo. L’ambivalenza del suo operato, ora accanto a Carlos, ora accanto a Diana, si manifesta nello sdoppiamento dei suoi significativi nomi.18 Nel giardino è la sua daga a fare da ago della bilancia, mentre, per il sicuro divertimento del pubblico, dirige i movimenti di un padrone improvvisamente pusillanime, a mo’ di regista del play within the play che è 2032
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l’ostentazione della falsa indifferenza scelta come strategia, secondo uno schema di relazione tra servo e signore che ritorna in altre commedie moretiane. Alla fine, dinanzi alla richiesta di matrimonio avanzata da Laura, Polilla rivela la sua vera identità. Lo scioglimento rappresenta un ritorno all’ordine, dopo il tempo trasgressivo del carnevale e quello della cecità che portava a sottrarsi all’amore. Gli incerti casi della fortuna possono frenare ma non deviare i passi della forza che, in chiave neoplatonica e provvidenziale, governa il mondo e riunisce tra loro gli esseri. Il risultato si configura come il raggiungimento di un equilibrio sociale, realizzato attraverso l’integrazione del desiderio dell’individuo nell’edificio collettivo e la ricomposizione del dissidio tra ragione e sentimento, intelletto e volontà, cultura e natura. Un equilibrio raggiunto mediante l’unione tra individui dello stesso rango. Nel Disdegno col disdegno viene meno l’ostacolo centrale, la diversità di status dell’amato, che nel Perro del hortelano impediva alla protagonista di mostrare i suoi sentimenti. Ora nessuno dei pretendenti incarna un’autentica alternativa sociale: dei tre nobili, che si mostrano insolitamente collaborativi (almeno all’apparenza, nel caso di Carlos), s’impone semplicemente quello più astuto e motivato. Soggiace dunque al testo di Moreto l’accettazione dei princìpi su cui poggia la società. Gli ingredienti, i significati e le implicazioni ideologiche con cui viene configurata la commedia sono noti: i riverberi del mito di Diana, le ragioni politiche di un palazzo, la concezione neoplatonica dell’amore e vestigia della letteratura cortese, ambienti signorili e il contrappunto di un arguto plebeo, una prolungata controversia con toni d’accademia infine ingegnosamente risolta. Eppure il risultato dell’elaborazione moretiana presuppone «un cambiamento di sostanza» rispetto ai materiali di partenza, come ebbe a scrivere Francisco Ruiz Ramón,19 con una grazia che drammaturghi e rifacitori seppero percepire e vollero ricreare e persino parodiare. In Spagna nel Settecento circolò l’omonima e anonima commedia burlesca El desdén, con el desdén;20 esiste inoltre una relazione in ottonari, anch’essa anonima, in cui viene deformato in chiave grottesca il lungo intervento di Carlos in apertura. L’una e l’altra sono prova della persistente notorietà del testo. In altri paesi, oltre alla molieriana La princesse d’Élide (1664), due rifacimenti meritano di essere ricordati in particolare: La principessa filosofa, o sia il controveleno di Carlo Gozzi (1772), con 2033
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il vivace servo Giannetto che si esprime in dialetto veneziano, e Donna Diana (1816), firmato da Joseph Schreyvogel, con lo pseudonimo di C. A. West e tenendo presente la mediazione di Gozzi nella scena del ballo.21 In Italia, ben prima di Gozzi, il canonico viterbese Arcangelo Spagna aveva realizzato una riduzione a libretto per melodramma del testo moretiano (Lo sdegno con lo sdegno si vince, 1709) e ne aveva riecheggiato in parte il titolo – e in modo assai obliquo, qualche spunto – nella commedia Amore tra gli sdegni (stampata a Roma senza indicazione dell’anno e verosimilmente uscita intorno al 1712-1713). E i comici italiani di Luigi Riccoboni avevano composto, sulla falsariga moretiana, un canovaccio dal titolo Ritrosia per ritrosia, rappresentato per la prima volta a Parigi nel giugno 1717 dalla compagnia del Nouveau Théâtre Italien. La vitalità sulle scene della pièce di Moreto è confermata da dati inequivocabili che ne testimoniano la favorevole accoglienza da parte di destinatari di epoche diverse, in particolare dall’ultimo quarto del XVII secolo a tutto quello successivo, anche nel Nuovo Mondo, e con una discreta presenza in buona parte dell’Ottocento, quando non mancheranno gli apprezzamenti della critica, da Eugenio de Ochoa ad Adolphe de Puibusque. Ancora nel capitolo XVI della Regenta (1885) Clarín può riproporne alcuni versi del secondo atto e, in un suo opuscolo dedicato a Rafael Calvo (1890), noto attore dell’epoca, ha modo di commentare che al pubblico, anche a quello più sprovveduto, la commedia di Moreto «piaceva perché sí, perché gli parlava in parole assai belle e molto spagnole delle cose eterne che sono nell’anima».22 Infine, dopo la meritoria attività editoriale ottocentesca di Fernández Guerra, relativa a un’ampia parte del corpus moretiano,23 nel Novecento si riducono drasticamente gli allestimenti del Desdén con el desdén in Spagna e fuori dai confini nazionali,24 ma se ne conferma l’ascrizione al canone e ne vengono approntate edizioni filologicamente più affidabili. 5. Il testo spagnolo su cui è stata condotta la traduzione si basa su quello dell’edizione critica da me curata per il vol. 77 della collezione «Biblioteca Clásica» a cui ho tuttavia apportato lievissimi ritocchi testuali e la revisione della punteggiatura. Lo stesso titolo ha subìto una leggera modifica e appare ora privo della virgola, che non è indispensabile in nessuna delle tre occorrenze in cui il sintagma si ripete nel corso dell’opera.25 La editio princeps del Desdén con el desdén venne stampata nella 2034
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Primera parte de comedias de don Agustín Moreto (Madrid, Diego Díaz de la Carrera 1654, ff. 42v-64), sotto il probabile controllo del suo autore, come già segnalato. Il volume conobbe una seconda edizione nel 1677 (Madrid, Andrés García de la Iglesia, ff. 41-61v), pochi anni dopo la morte del drammaturgo. In una recente edizione della commedia, María Luisa Lobato ne ha esplorato la tradizione testuale – assai ricca nel Settecento – anche nei rami bassi dello stemma, senza che questo abbia comportato variazioni significative nella constitutio textus. Secondo un orientamento affermatosi con crescente convinzione negli ultimi decenni, è parso qui opportuno rendere in versi un teatro concepito e composto in tale forma come quello della Commedia dei Siglos de Oro. Ho dunque cercato – con quanta fortuna lo stabilirà il lettore – di restituire, se non rime, assonanze e strofe, quantomeno le misure metriche e l’andamento ritmico dei versi di partenza. Si tratta di una soluzione che richiede talora uno sforzo di adattamento all’orecchio del destinatario italiano, com’è nel caso del preponderante ottonario, la cui massiccia presenza (nella sola forma della romanza si ritrova in oltre il 60% del totale dei versi) impone una scansione metrica assai meno diffusa nella nostra tradizione letteraria di quanto non lo sia nella spagnola, nonostante vi si siano cimentati poeti rilevanti e diversi tra loro (considerando soltanto autori dal Seicento in poi, ricordo Chiabrera, Parini, Manzoni, Carducci, Pascoli e D’Annunzio). Non mi sfuggono l’enfasi semantica frequentemente contenuta nei vincoli rimici e i richiami di giacitura talvolta ospitati all’interno delle varie strofe. Il traghettamento di rime e forme strofiche, tuttavia, richiede una perizia e uno sforzo che non sempre valgono a evitare lo scadimento del verso spagnolo a sonorità cantilenante. Piuttosto che correre tale rischio o espormi a quello della banalizzazione o, peggio, di una ancor più decisa infedeltà, ho tentato qui di ricreare, come detto, il ritmo dei versi e con esso il movimento degli scambi verbali, nonché la diversità dei registri e dei toni. Tutto ciò, cercando di tenere presente, almeno in qualche misura, come il testo originario fosse stato elaborato per andare in scena ed essere dunque declamato dagli uni e recepito dagli altri, prima di costituirsi in letteratura teatrale e affidarsi alla fruizione individuale attraverso la lettura. Il lessico moretiano ruota in questa commedia attorno a una serie di vocaboli pregnanti («cortesia», «favore», «gioia», «fede», «divinità», 2035
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«discrezione», «ingegno» e via dicendo), che sono in parte rivisitazione secentesca del legato cortese e rielaborazione, assai stilizzata, di relazioni cortigiane codificate al limite della ritualizzazione. In particolare, è il vocabolo discreción, e il corrispondente aggettivo discreto, a rivelarsi, nel secolo di Gracián, un concetto chiave e sfaccettato. La sintassi dei dialoghi, organizzata in modo privilegiato attorno a soggetti impersonali, si modella sulla dialettica argomentativa che oppone Carlos a Diana e che trae alimento da un caratteristico respiro sillogistico, di cui si fa eco lo stesso Polilla e che si ritrovava ovviamente anche in Calderón, con il quale Moreto condivide l’impiego di un lessico rigoroso, un culteranismo controllato, un certo formulismo e la frequenza di determinati procedimenti (parallelismo, disseminazione e raccolta, esclamazione), nonché l’ampio uso di nessi causali e finali, cui il nostro autore aggiunge una particolare predilezione per la congiunzione illativa pues («quindi», «dunque»). Ho tradotto i versi provandomi a non ispessire più di tanto nella lingua d’arrivo la patina arcaizzante e aulica che li avvolge. Per quel che attiene alle formule di trattamento, ho preferito adottare l’uso del «voi» negli scambi in cui il servitore Polilla si rivolge a voce alta al suo padrone (nell’originale lo fa in seconda persona singolare) e a Diana (nell’originale a un iniziale «voi» fa seguito il «tu»). Però, laddove Polilla si figura un meno riguardoso dialogo con Diana (come ai vv. 1200, 1211, 2519), si serve anche nella mia traduzione della seconda persona singolare. Ho invece conservato la modalità impiegata da Carlos e da Cintia, dama di compagnia e congiunta della futura contessa, quando si rivolgono rispettivamente al servitore e alla propria signora (ancora il «tu»). In modo diverso ho giudicato il caso di Laura, corrispettivo femminile di Polilla, che, nell’interpellare brevemente Diana in un paio di circostanze (vv. 739-740 e 1835 ss.), adotta in questa versione italiana il «voi». Quanto ai nomi propri, tendo a conservare quelli originali, anche nei casi in cui esistano corrispettivi evidenti nella nostra lingua (emblematico il caso di «Cintia» per «Cinzia») e, in particolare, quello del servo buffo Polilla, che si fa passare pure per Caniquí (in nota chiarisco i calembour e le battute che il personaggio basa sui propri nomi). La toponomastica viene anch’essa mantenuta, con più di qualche motivata eccezione: in primis, «Barcellona» e «L’Avana», in quanto nomi di luogo vulgati; traslittero poi «Añover» in «Annover» per preservare almeno parzialmente 2036
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un gioco di parole; meritano infine una menzione i toponimi «Bearne» e «Fox», utilizzati nel testo per designare i signori delle rispettive contee e che ho restituito nella forma francese «Béarn» (considerato ora monosillabo, ora bisillabo) e «Foix». Il dentro a cui si riferiscono le indicazioni di scena designa la parte di scenario non visibile allo spettatore; non è stato reso con «dietro le quinte» poiché nello scenario secentesco spagnolo queste non esistevano, al pari delle uscite laterali. Le note si limitano a informazioni essenziali, sebbene in qualche occasione vengano fornite alcune indicazioni per ampliarle. Vi registro eventuali letture sanate; alle didascalie si fa riferimento con il numero di verso che le precede, seguito da didascalia. Concludo con un sentito ringraziamento a Maria Grazia Profeti, per avermi suggerito di tornare a un testo con cui mi ero misurato in veste di editore non pochi anni fa, e a Nuccio Ordine, per averlo accolto nella collana da lui diretta. Dopo le versioni di Giovanni La Cecilia e di Dario Puccini,26 il lettore italiano ha così modo di accostarsi nuovamente nella propria lingua a una delle più riuscite realizzazioni teatrali di Agustín Moreto. ENRICO DI PASTENA
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EL DESDÉN CON EL DESDÉN IHS COMEDIA FAMOSA PERSONAS
CARLOS, POLILLA,
Conde de Urgel gracioso
EL CONDE DE BARCELONA
DIANA CINTIA LAURA
EL PRÍNCIPE DE BEARNE
MÚSICOS
DON GASTÓN,
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Conde de Fox
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IL DISDEGNO COL DISDEGNO IHS COMMEDIA FAMOSA PERSONAGGI
CARLOS, POLILLA,
Conte di Urgel servo buffo
IL CONTE DI BARCELLONA IL PRINCIPE DI BÉARN DON GASTÓN,
Conte di Foix
DIANA CINTIA LAURA MUSICISTI
[FENISA]
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA PRIMERA
[JORNADA PRIMERA] Salen Carlos y Polilla. CARLOS
POLILLA
CARLOS
POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
Yo he de perder el sentido con tan estraña mujer. Dame tu pena a entender, señor, por recién venido. Cuando te hallo en Barcelona lleno de aplauso y honor, donde tu heroico valor todo su pueblo pregona; cuando sobra a tus vitorias ser Carlos, conde de Urgel, y en el mundo no hay papel donde se escriban tus glorias, ¿qué causa ha podido haber de que estés tan mal guisado, que por más que la he pensado no la puedo comprender? Polilla, mi desazón tiene más naturaleza: este pesar no es tristeza, sino desesperación. ¿Desesperación? Señor, que te enfrenes te aconsejo, que tiras algo a bermejo. No burles de mi dolor. ¿Yo burlar? Esto es templarte; mas tu desesperación ¿qué tanta es a esta sazón? La mayor. ¿Cosa de ahorcarte? Que, si no, poco te ahoga. No te burles, que me enfado. Pues si estás desesperado, ¿hago mal en darte soga?
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO PRIMO
[ATTO PRIMO] Entrano Carlos e Polilla. CARLOS
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CARLOS
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CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
Mi farà perdere il senno una donna così strana. Ditemi le vostre pene, signore, ché arrivo ora. Se vi trovo a Barcellona colmo di applausi e onori, e il vostro eroico valore la gente tutta proclama, e supera i vostri trionfi che siete Carlos, il conte di Urgel, e non c’è al mondo chi ignora le vostre glorie, che ragione mai avete per il vostro volto triste, ché per quanto io ci pensi non so concepirne una? Polilla, la mia afflizione è di maggiore sostanza: questa ansia non è tristezza ma vera disperazione. Disperazione? Signore, di frenarvi vi consiglio, ché diventate funereo. Non schernire il mio dolore. Schernirvi? Provo a calmarvi; la vostra disperazione è tanta in questo momento? Tantissima. Da impiccarvi? Sennò, non vi toglie il fiato. Non schernirmi, ché mi arrabbio. Ma se siete disperato, faccio male a darvi corda? 2041
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA PRIMERA CARLOS
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CARLOS
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CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA CARLOS
Si dejaras tu locura, mi mal te comunicara; porque la agudeza rara de tu ingenio me asegura que algún medio discurriera, como otras veces me has dado, con que alivie mi cuidado. Pues, señor, ¡Polilla fuera! Desembucha tu pasión; y no tenga tu cuidado, teniéndola en el crïado, Polilla en el corazón. Ya sabes que a Barcelona, del ocio de mis estados, me trajeron los cuidados de la fama que pregona de Dïana la hermosura, de esta corona heredera, en quien la dicha que espera tanto príncipe procura, compitiendo en su deseo gala, brío y discreción. Ya sé que sin pretensión veniste a este galanteo, por lucir la bizarría de tus heroicos blasones, y que en todas las acciones siempre te has llevado el día. Pues oye mi sentimiento. Ello ¿estás enamorado? Sí estoy. Gran susto me has dado. Pues escucha. Va de cuento. Ya sabes cómo en Urgel tuve, antes de mi partida, del amor del de Bearne
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO PRIMO CARLOS
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CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA CARLOS
Cessa con le tue pazzie e il mio male ti dirò, perché la gran sottigliezza del tuo ingegno mi assicura che un rimedio troverai, come è stato altre volte, per alleviare il mio affanno. Mio signore, fuori i tarli! Spifferate la passione; non tenga la vostra pena nessun tarlo dentro al cuore, fidatevi di Polilla! Sai già che qui a Barcellona, dagli ozi delle mie terre, mi ha portato il pungolo della fama che annuncia la bellezza di Dïana, di questa corona erede; la felicità si attendono i Principi che competono tra loro per la sua grazia e il suo garbo e discrezione. So già che senza interesse partecipate all’agone, per mostrare l’eleganza dei vostri eroici blasoni e che in tutte le disfide vi siete sempre imposto. Ascolta che cosa sento. Siete innamorato? Sì. Che spavento m’ero preso! Ascolta. Via al racconto. Sai che prima di partire già ad Urgel avevo avuto notizie ampie dell’amore 2043
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y el de Fox, larga noticia. De Dïana pretendientes, dieron con sus bizarrías voz a la fama y asombro a todas estas provincias. El ver de amor tan rendidos, como la fama publica, dos Príncipes tan bizarros, que aun los alaba la envidia, me llevó a ver si esto en ellos era por galantería, gusto, opinión o violencia de su hermosura divina. Entré, pues, en Barcelona; vila en su palacio un día, sin susto del corazón ni admiración de la vista: una hermosura modesta, con muchas señas de tibia, mas sin defecto común ni perfección peregrina; de aquellas en quien el juicio, cuando las vemos queridas, por la admiración apela al no sé qué o a la dicha. La ocasión de verme entre ellos cuando al valor desafían en públicas competencias, con que el favor solicitan, ya que no pudo a mi amor, empeñó mi bizarría, ya en fiestas y ya en torneos y otras empresas debidas al culto de una deidad, a cuya soberanía sin el empeño de amor la obligación sacrifica.
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nutrito da Béarn e Foix. Da pretendenti di Diana, con le loro gesta diedero voce alla fama e stupore a tutte queste province. Sapendo vinti d’amore, come la fama divulga, due così valenti Principi che pure l’invidia loda, volli vedere se ciò era sfoggio di galanteria, diletto, stima o ardore per quella eccelsa bellezza. Venni, dunque, a Barcellona; la vidi a palazzo un dì, senza sussulti del cuore né ammirazione degli occhi: una bellezza modesta, e anche tiepida alquanto, priva di pecche correnti e di rara perfezione; una che, quando la vede desiderata, il giudizio l’ammirazione attribuisce a un non so che o alla sorte. Là, tra quei suoi adoratori che il loro ardire misurano nelle pubbliche tenzoni con cui il favore ne cercano, non già da amore sospinto ma dalla mia gagliardia, io presi parte alle sfide e agli altri omaggi dovuti ad una divinità, a cui la galanteria impone, pur senza amore, l’offerta di sacrifici. 2045
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Tuve en todas tal fortuna que, dejando deslucidas sus acciones, salí siempre coronado con las mías. Y el vulgo, con el suceso, la corona merecida con la suerte dio a mi frente por mérito, siendo dicha, que cualquiera de los dos que en ella me competía la mereció más que yo. Pero para conseguirla tuve yo el faltar mi amor y no tener la codicia con que ellos la deseaban, con que por fuerza fue mía; que en los casos de la suerte, por tema de su malicia, se van siempre las venturas a quien no las solicita. Siendo, pues, mis alabanzas de todos tan repetidas, solo en Diana hallé siempre una entereza, tan hija de su esquiva condición, que, siendo mis bizarrías dedicadas a su aplauso, nunca me dejó noticia, ya que no de favorable, siquiera de agradecida. Y esto con tanta esquivez, que en todos dejó la misma admiración que en mis ojos, pues la estraña demasía de su entereza pasaba del decoro la medida y, excediendo de recato,
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Tanto mi arrise fortuna che, messe in ombra le gesta altrui, conquistai alle mie gli allori del trionfo sempre. E il volgo, con il successo, quelle corone acquisite per sorte, sopra la fronte per merito volle pormi, quando ciascuno dei due che là me le contendevano più di me le meritava. Ma io le potei ottenere perché non sentivo amore e non provavo la smania con cui le desideravano: le feci mie senza sforzo; ché nei casi della sorte, per l’assurda sua malizia, la ventura favorisce colui che non la pretende. Se sulla bocca di tutti correvano le mie lodi, solo in Diana trovai sempre un rigore in tutto figlio di una condizione schiva; certo tutte le mie gesta miravano al suo plauso, eppure non ricevetti da lei non dico favore ma neppure gratitudine. Ciò con tale ritrosia, che in tutti lasciò lo stesso stupore che nei miei occhi, poiché gli strani eccessi del suo riserbo passavano la misura del decoro e, ben oltre la modestia, 2047
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tocaba ya en grosería. Que a las damas de tal nombre puso el respeto dos líneas: una es la desatención, y otra, el favor; mas la avisa que ponga entre ellas la planta tan ajustada y medida, que en una ni en otra toque: porque si, de agradecida, adelanta mucho el pie, la raya del favor pisa, y es ligereza; y si, entera, mucho la planta retira, por no tocar el favor pisa en la descortesía. Este error hallé en Dïana que empeñó mi bizarría a moverla por lo menos a atención, si no a caricia; y este deseo en las fiestas me obligaba a repetirlas, a buscar nuevos empeños al valor y a la osadía. Mas nunca pude sacar de su condición esquiva más que más causa a la queja y más culpa a la malicia. De esto nació el inquirir si ella conmigo tenía alguna aversión o queja, mal fundada o presumida; y averigüé que Dïana, del discurso las primicias, con las luces de su ingenio, le dio a la filosofía. De este estudio y la lición de las fábulas antiguas,
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la villania sfioravano. Alle dame di tal nome diede il rispetto due estremi: uno è l’indelicatezza, l’altro, il favore; e richiese di porre tra di essi il piede con una misura tale da non toccarne nessuno: perché se, per gradimento, avanza di molto il piede, pesta del favor la riga e è leggerezza; e se, fredda, molto la pianta ritira, per non toccare il favore nella scortesia incorre. Cadde in questo errore Diana, spronò la mia valentia a muoverla a cortesia almeno, se non a affetto, e mi sentii obbligato a provarmi in altre giostre, a cercare nuove imprese per il valore e l’audacia. Ma non potei ottenere dal suo carattere schivo che ragioni per lagnarmi e incolparne la malizia. Volli allora indagare se per me Diana nutriva un’avversione o stizza senza causa o fondamento, e seppi che i primi frutti della ragione aveva, coi lumi del suo ingegno, votato a filosofia. Dallo studio e lettura delle favole antiche 2049
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resultó un común desprecio de los hombres, unas iras contra el orden natural del amor – con quien fabrica el mundo a su duración alcázares en que viva –, tan estable en su opinión, que da con sentencia fija el querer bien por pasión de las mujeres indigna. Tanto que, siendo heredera de esta corona, y precisa la obligación de casarse, la renuncia y desestima por no ver que haya quien triunfe de su condición altiva. A su cuarto hace la selva de Dïana, y son las ninfas sus damas, y en este estudio las emplea todo el día. Solo adornan sus paredes de las ninfas fugitivas pinturas que persüaden al desdén. Allí se mira a Dafne huyendo de Apolo; Anaxarte, convertida en piedra por no querer; Aretusa, en fuentecilla, que al tierno llanto de Alfeo paga en lágrimas esquivas. Y viendo el Conde, su padre, que en este error se confirma cada día con más fuerza, que la razón no la obliga, que su riesgo no la ablanda y con tal furia se irrita, en hablándola de amor,
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aveva tratto disprezzo per gli uomini, e un’avversione alle leggi naturali dell’amore, con cui il mondo innalza a sua permanenza palazzi dove dimora, salda nella sua opinione al punto da giudicare l’amore come passione ignobile per le donne. E pur essendo l’erede di questa corona, e l’obbligo di sposarsi ineludibile, vi rinuncia e lo disprezza perché nessuno ne vinca quella altera condizione. Le sue stanze muta in bosco di Diana, e son le sue dame le ninfe, ed a questo compito le prepara tutto il giorno. Ornano le sue pareti solo dipinti di ninfe fuggiasche che indurre vogliono al disdegno. Là si ammira Dafne che fugge da Apollo; Anassarete, cangiata in pietra per la sua asprezza; Aretusa, in una fonte che il dolce pianto di Alfeo ripaga in lacrime schive. Vedendo il Conte, suo padre, che nell’errore si ostina ogni giorno con più forza, che la ragione non la obbliga, che il monito non la modera e con tale furia s’irrita se le si parla d’amore, 2051
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que teme que la encamina a un furor desesperado, que el medio más blando elija le aconseja su prudencia, y a los Príncipes convida para que, haciendo por ella fiestas y galanterías, sin la persuasión ni el ruego, la Naturaleza misma sea quien lidie con ella, por si, teniendo a la vista aplausos y rendimientos, ansias, lisonjas, caricias, su propio interés la vence o la obligación la inclina; que en quien la razón no labra endurece la porfía del persuadir, y no hay cosa como dejar a quien lidia con su misma sinrazón, pues si ella misma le guía al error, en dando en él, es fuerza quedar vencida, porque no hay, con el que a escuras por un mal paso camina, para que vea su engaño, mejor luz que la caída. Habiendo ya averiguado que esto en su opinión esquiva era desprecio común y no repugnancia mía, claro está que yo debiera sosegarme en mi porfía; y, considerando bien opinión tan exquisita, primero que a sentimiento pudiera moverme a risa.
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egli teme di sospingerla a un furore disperato e di usar mezzi più blandi gli consiglia la prudenza: riunisce a palazzo i Principi di modo che dedicandole feste e galanterie, senza pretesa o richiesta, sia la Natura stessa ad imporsi su di lei, nel caso che assistendo ad applausi e gentilezze, ansie, lusinghe, premure, la vinca il suo interesse o l’obbligo le si imponga; chi non vuole udir ragioni s’inasprisce alle insistenze di chi persuaderlo vuole e non c’è che da lasciarlo con la sua stessa follia; se questa infatti induce a errore, quando vi incappa, forzoso è si dia per vinto: non c’è, per uno che al buio su una brutta via cammina, perché veda il suo inganno, miglior luce che cadere. Appurato poi che l’indole sua schiva alimentava un disprezzo generale, non avversione per me, è chiaro che avrei dovuto frenare la mia insistenza; e, considerando bene quella insolita opinione, avrei dovuto riderne più che farmene un cruccio. 2053
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Pues, para que se conozca la vileza más indigna de nuestra naturaleza, aquella hermosura misma que yo antes libre miraba con tantas partes de tibia, cuando la vi desdeñosa, por lo imposible, a la vista la que miraba común me pareció peregrina. ¡Oh, bajeza del deseo! Que aunque sea [a] la codicia de más precio lo que alcanza que lo que se le retira, solo por la privación de más valor lo imagina, y da el precio a lo difícil, que su mismo ser le quita. Cada vez que la miraba, más bella me parecía, y iba creciendo en mi pecho este fuego tan aprisa, que, absorto de ver la llama, a ver la causa volvía y hallaba que aquella nieve de su desdén, muda y tibia, producía en mí este incendio. ¡Qué ejemplo para el que olvida! Seguro piensa que está el que en la ceniza fría tiene ya su amor difunto: ¡qué engañado lo imagina! Si amor se enciende de nieve, ¿quién se fía en la ceniza? Corrido yo de mis ansias, preguntaba a mis fatigas: «¡Traidor corazón!, ¿qué es esto?
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E perché si riconosca qual è l’indegna viltà di questa nostra natura, quella identica bellezza che dapprima percepivo così modesta nei tratti, quando la vidi sdegnosa, in quanto irraggiungibile, seppur comune alla vista a me apparve peregrina. Che bassezza, il desiderio! Benché per la bramosia valga di più quel che ottiene di quello che le si nega, solo perché ne è privata gli assegna maggior valore e più apprezza ciò che è arduo anche se non fa più vivere. La guardavo e ogni volta più leggiadra mi appariva e cresceva nel mio petto questo fuoco così in fretta che, rapito dalla fiamma, volli saperne la causa e trovai che era la neve del disdegno, muta e tiepida, a produrre in me l’incendio. Che esempio per chi dimentica! Pensa di essere al sicuro colui che tra spente ceneri crede già morto il suo amore: e invece quanto s’inganna! Se amore arde con neve, chi si fida della cenere? Vergognoso delle mie ansie, domandavo ai miei travagli: «Cuore sleale, cos’è questo? 2055
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¿Qué es esto?, ¡aleves caricias! La que neutral no os agrada ¿os parece bien esquiva? La que vista no os suspende ¿cuando es ingrata os admira? ¿Qué le añade a la hermosura el rigor que la ilumina? ¿Con el desdén es hermosa la que sin desdén fue tibia? El desprecio ¿no es injuria? La que desprecia ¿no irrita? Pues la que no pudo afable, ¿por qué os arrastra enemiga? La crueldad, a la hermosura, el ser de deidad le quita. Pues ¿qué, para mí la ensalza lo que para sí la humilla? Lo tirano se aborrece; pues a mí ¿cómo me obliga? ¿Qué es esto? ¿Amor? ¿Es acaso hermosa la tiranía? No es posible, no, esto es falso; no es esto amor, ni hay quien diga que arrastrar pudo inhumana la que no movió divina. Pues ¿qué es esto? ¿Esto no es fuego? Sí, que mi ardor lo acredita; no, que el hielo no le causa; sí, que el pecho lo publica. No puede ser, no es posible; no, que a la razón implica. Pues ¿qué será? Esto es deseo. ¿De qué? ¿De mi muerte misma? Yo mi mal querer no puedo... Pues ¿qué será? ¿Una codicia de aquello que se me aparta? No, porque no lo quería
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Cos’è mai, infide lusinghe! Colei che in sé non vi piace vi aggrada quando è ritrosa? Chi la vista non vi abbaglia quando è ingrata vi ammira? Cosa aggiunge alla bellezza il rigore che la illumina? Il disdegno rende bella colei che, senza, non lo era? Il disprezzo non è ingiuria? Chi disprezza non offende? Colei che non poté affabile, perché da nemica affascina? La crudeltà alla bellezza ruba l’indole divina. Forse che per me eleva ciò che in sé l’umilierebbe? Se la tirannia si fugge, perché io ne son rapito? Cos’è questo? Amore? Forse che la tirannia è bella? Non è possibile, è falso; non è amore, e non può attrarre chi è disumana se non poté da divina. E allora? Il mio non è fuoco? Sì, il mio ardore lo conferma; no, il gelo non può causarlo; sì, il mio petto lo divulga. Non può essere, impossibile, la ragione si smarrisce. Ma che sarà? Desiderio. Di cosa? Della mia morte. Volermi male non posso... Ma che sarà? Una brama di ciò che mi vien negato? No, perché non lo voleva 2057
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el corazón. ¿Esto es tema? No. Pues, alma, ¿qué imaginas? ¿Bajeza es del pensamiento? No es sino soberanía de nuestra naturaleza, cuya condición altiva todo lo quiere rendir, como superior se mira; y habiendo visto que hay pecho que a su halago no se rinda, el dolor de este desdén le abrasa y le martiriza y produce un sentimiento, con que a desearle obliga vencer aquel imposible. Y ardiendo en esta fatiga, como hay parte de deseo y este deseo lastima, parece efecto de amor, porque apetece y aspira; y no es sino un sentimiento equivocado en caricia». Esto la razón discurre; mas la voluntad, indigna, toda la razón me arrastra y todo el valor me quita. Sea amor o sentimiento, nieve, ardor, llama o ceniza, yo me abraso, yo me rindo a esta furia vengativa de amor, contra la quietud de mi libertad tranquila. Y, sin esperanza alguna de sosiego en mis fatigas, yo padezco en mi silencio, yo mismo soy de las iras de mi dolor alimento;
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il cuore. Forse è ossessione? No, cosa vado a pensare? Sarà d’animo bassezza? Questo non è che il dominio dell’umana condizione, la cui indole altezzosa a tutto vorrebbe imporsi, sentendosi superiore, e imbattutasi in un petto che alle lusinghe non cede, il dolore del disdegno ne brucia e tortura il cuore e causa un risentimento che la stimola a volere vincere quell’impossibile. E ardendo in tale travaglio, poiché v’è anche desiderio e questo viene a ferire, pare un effetto d’amore in quanto ambisce e aspira, ma è solo risentimento che si maschera da affetto». Ciò la ragione considera; ma la volontà, indegna, tutto il giudizio mi offusca, tutta la forza mi toglie. Sia amore o risentimento, neve, ardore, fiamma o cenere, io avvampo, io mi arrendo alla vendetta furiosa d’amore, avversa alla pace della mia libertà placida. E, senza speranza alcuna di requie nei miei affanni, io patisco in silenzio, io stesso sono delle ire del mio dolore alimento; 2059
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mi pena se hace a sí misma, porque, más que mi deseo, es rayo que me fulmina; aunque es tan digna la causa, el ser la razón indigna, pues mi ciega voluntad se lleva y se precipita del rigor, de la crueldad, del desdén, la tiranía; y muero, más que de amor, de ver que a tanta desdicha, quien no pudo como hermosa, me arrastrase como esquiva. Atento, señor, he estado, y el suceso no me admira, porque eso, señor, es cosa que sucede cada día. Mira: siendo yo muchacho, había en mi casa vendimia, y por el suelo las uvas nunca me daban codicia. Pasó este tiempo, y después colgaron en la cocina las uvas para el invierno, y yo, viéndolas arriba, rabiaba por comer de ellas, tanto que, trepando un día por alcanzarlas, caí y me quebré las costillas. Este es el caso, él por él. No el ser natural me alivia, si es injusto el natural. Dime, señor: ¿ella mira con más cariño a otro? No. Y ellos ¿no la solicitan? Todos vencerla pretenden.
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la pena di sé si pasce e, più del mio desiderio, mi fulmina come saetta; benché sia degna la causa, è indegna la mia ragione, e la volontà mia cieca il dominio del rigore e del crudele disdegno, si porta via e fa crollare; e muoio, più che d’amore, vedendo che a tal disgrazia, chi non poté come bella, mi trascinò come altera. V’ho prestato attenzione e il fatto non mi stupisce, perché ciò, signore, è cosa che succede tutti i giorni. Sentite: ero io un ragazzo e in casa si vendemmiava e sul pavimento l’uva non mi faceva mai gola. Passata quella stagione, s’appendevano in cucina i grappoli per l’inverno e io, vedendoli in alto, per mangiarmeli smaniavo; m’arrampicai un bel giorno per prenderli, caddi giù e due costole mi ruppi. Sì, andò proprio così. Che sia naturale, a me non consola, se è ingiusto. Dite, signore: lei guarda con più affetto ad un altro? No. E loro non la corteggiano? Tutti voglion conquistarla. 2061
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Pues que cae más aprisa apostaré. ¿Por qué causa? Solo porque es tan esquiva. ¿Cómo ha de ser? Verbigracia: ¿viste una breva en la cima de una higuera, y los muchachos, que en alcanzarla porfían, piedras la tiran a pares, y aunque a algunas se resista, al cabo, de aporreada con las piedras que la tiran, viene a caer más madura? Pues lo mismo aquí imagina. Ella está tiesa y muy alta; tú tus pedradas la tiras; los otros tiran las suyas; luego, por más que resista, ha de venir a caer, de una y otra a la porfía, más madura que una breva. Mas, cuidado a la caída, que el cogerla es lo que importa; que ella cairá, como hay viñas. El Conde, su padre, viene. Acompañado se mira del de Fox y el de Bearne. Ninguno tiene noticia del incendio de mi pecho, porque mi silencio abriga el áspid de mi dolor. Esa es mayor valentía. Callar tu pasión mucho es, ¡vive Dios! ¿Por qué imaginas que llaman ciego a quien ama? Porque sus yerros no mira.
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Beh, che cadrà più in fretta scommetto. Per quale causa? Solo perché è così altera. Come può essere? Un esempio: avete mai visto un frutto in cima a un fico e i ragazzi per coglierlo fare a gara e in quantità tirar pietre? A qualche pietra resiste, ma alla fine, dalle pietre che gli lanciano colpito, se ne vien giù e più maturo. Lo stesso qui immaginate. Lei è là dura e superba, le vostre pietre lanciate, gli altri lanciano le proprie; ma poi, per quanto resista, dovrà pur venire giù, grazie a quell’insistenza, più matura di un bel fico. Occhio, però, alla caduta, coglierla è ciò che importa, perché cadrà, state certo. Il Conte, suo padre, arriva. Accompagnato egli viene da quel di Foix e di Béarn. Nessuno è a conoscenza dell’incendio del mio petto, perché in silenzio mi morde l’aspide del mio dolore. Ecco una vera prodezza! Tacere questa passione, che impresa! Perché pensate che chi ama vien detto cieco? I suoi errori non vede. 2063
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Pues ¿por qué está ciego? Porque el que ama al ciego imita. ¿En qué? En cantar la pasión por calles y por esquinas.
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Salen el Conde de Barcelona, el Príncipe de Bearne y don Gastón, Conde de Fox. CONDE
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Príncipes, vuestro justo sentimiento, mirado bien, no es vuestro, sino mío. Ningún remedio intento que no le venza el ciego desvarío de Dïana, en quien hallo cada vez menos medios de enmendallo. Ni del poder de padre a usar me atrevo, ni del de la razón, porque se irrita tanto cuando de amor [a] hablarla pruebo, que a más daño el furor la precipita. Ella, en fin, por no amar ni sujetarse, quiere morir primero que casarse. Esa, señor, es opinión aguda de su discurso, a los estudios dado, que el tiempo solo o la razón la muda, y sin razón estás desesperado. Conde de Fox, aunque verdad es esa, no me atrevo a empeñaros en la empresa de que asistáis en vano a su hermosura, faltando en vuestro estado a su asistencia. Señor, con tu licencia, el que es capricho injusto nunca dura; y aunque el vencerle es dificultoso, yo estoy perdiendo tiempo más airoso, ya que a este intento de Bearne vine, que dejando la empresa mi constancia, porque es mayor desaire que imagine
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Ebbene, perché lo è? Perché chi ama, il cieco imita. In che? Canta la Passione agli angoli delle strade.
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Entrano il Conte di Barcellona, il Principe di Béarn e don Gastón, Conte di Foix. CONDE
DON GASTÓN
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Prìncipi, il vostro giusto dispiacere, invero, non è il vostro, bensì il mio. Nessun rimedio appronto che non sia vinto dal cieco delirio di Diana, e inoltre trovo per correggerlo sempre meno mezzi. Non voglio usare il potere di padre né quello di ragione, perché si irrita tanto se provo a parlarle d’amore che a maggior danno l’ira la precipita. Ella, per non amare e non piegarsi, vuol morire piuttosto che sposarsi. Questa, signore, è opinione arguta del suo ingegno, agli studi consacrato, che solo il tempo, o la ragione, muta; senza ragione voi vi disperate. Conte di Foix, anche se questo è vero, io non oso impegnarvi nell’impresa di omaggiare la sua bellezza invano, trascurando tutti i vostri doveri. Con la vostra licenza, non dura, signore, un capriccio ingiusto; e per quanto vincerlo sia difficile, io sto impiegando il tempo di buon grado, con questo intento da Béarn son venuto e non intendo lasciare l’impresa, ché sarebbe il peggiore degli affronti 2065
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nadie que la dejé por inconstancia, ni eso crédito es de su hermosura ni del honesto amor que la procura. El Príncipe, señor, ha respondido como galán, bizarro y caballero, que aun en mí, que he venido sin ese empeño, solo aventurero, a festejar no haciendo competencia, dejar de proseguir fuera indecencia. Príncipes, lo que siento es empeñaros en porfïar, cuando halla la porfía de mayor resistencia indicios claros. Si la gala, el valor, la bizarría, no la mueve ni inclina, ¿con qué intento vencer imagináis su entendimiento? Señor, un necio a veces halla un medio que aprueba la razón. Si dais licencia, yo me atreveré a daros un remedio, con que, aunque ella aborrezca su presencia, se le vayan los ojos, hechos fuentes, tras cualquiera galán de los presentes. Pues ¿qué medio imaginas? Como mío. Hacer justas, torneos, a una ingrata, es poner ollas a quien tiene hastío. El medio es, que rendirla no dilata, poner en una torre a la Princesa, sin comer cuatro días ni ver mesa; y luego han de pasar estos galanes delante de ella, convidando a escote, el uno con seis pollas y dos panes, el otro con un plato de gigote, y a mí me lleve el diablo, si los viere y tras ellos corriendo no saliere. ¡Calla, loco, bufón! ¿Esto es locura? Ejecútese el medio, y ¡a la prueba!
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rinunciarvi per mera incostanza; non lo merita la grazia di Diana né l’onesto amore che ella ispira. Il Principe, signore, ha parlato da galante e cortese cavaliere, ed a me pure, che sono venuto senza questo impegno, alla ventura, ad omaggiare ma non a competere, desistere non pare decoroso. Prìncipi, a me duole d’impegnarvi a proseguire, quando s’intravedono di maggior resistenza chiari indizi; se le feste, il valore, l’eccellenza non valgono a smuoverla e piegarla, con che mezzo vorrete persuaderla? Uno sciocco, signore, a volte trova un buon sistema. Se mi consentite, oserei suggerirvi un rimedio per cui la Principessa, ora sdegnosa, volgerà gli occhi, zampillanti lacrime, a uno dei cavalieri qui presenti. Che sistema hai trovato? Di me degno. Offrire giostre e tornei a un’ingrata è come cucinare per chi è sazio. Rinchiudete per soli quattro giorni la Principessa Diana in una torre senza farle toccare o veder cibo; poi fatele sfilare i cavalieri dinanzi, e che la invitino a pranzo, uno con sei polli arrosto e due pani, l’altro con della carne rosolata; il diavolo mi porti, se vedendoli non gli va subito dietro di corsa. Taci, pazzo e buffone! È pazzia questa? S’esegua il piano, si metta alla prova! 2067
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Sitien luego por hambre su hermosura, y verán si los ojos no la lleva quien sacare un vestido de camino guarnecido de lonjas de tocino. Señor, sola una cosa por mí pido, que don Gastón también ha de querella: nunca hablar a Diana hemos podido; danos licencia tú de hablar con ella, que el trato y la razón puede mudalla. (Aunque la ha de negar, he de intentalla.) Pensad vosotros medios y ocasiones de mover su entereza, que a escucharos yo la sabré obligar con mis razones, que es cuanto puedo hacer para ayudaros a la empresa tan justa y deseada de ver mi sucesión asegurada.
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DON GASTÓN
CARLOS
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BEARNE DON GASTÓN
Condes, crédito es de la nobleza de nuestra heroica sangre la porfía de rendir el desdén de su belleza; juntos la hemos de hablar. Yo compañía al empeño os haré, mas no al deseo, porque yo sin amor sigo este empleo. Pues ya que vos no estáis enamorado, ¿qué medios seguiremos de obligalla? Que esto lo ve mejor el descuidado. Yo un medio sé que mi silencio calla, porque otro empeño es, que al proponelle cualquiera de los dos ha de querelle. Decís bien. Pues, Bearne, vamos luego a imaginar festejos y finezas. A introducir en su desdén el fuego. Ríndanse a nuestro incendio sus tibiezas.
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BÉARN
CONDE
La sua bellezza prendete per fame e vedrete se gli occhi non le ruba colui che sfoggia un vestito da viaggio guarnito di belle fette di lardo. Solo vi chiedo, signore, un favore, e pure don Gastón si unisce a me: con Diana non abbiamo mai parlato; licenza concedeteci di farlo, ragionare con lei potrà mutarla. (Anche se non vorrà, tentare devo.) Voi pensate a sistemi e occasioni per poter vincere la sua fermezza, io la convincerò ad ascoltarvi, ché è quanto posso fare per aiutarvi in questa giusta e anelata impresa di assicurare la mia successione. Esce.
BÉARN
CARLOS
DON GASTÓN
CARLOS
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BÉARN DON GASTÓN
Conti, è obbligo del nostro sangue insigne e nobile perseverare per vincere di Diana il disdegno; parlarle insieme dobbiamo. Mi unisco al vostro intento, non al desiderio; prendo parte all’impresa senza amore. Visto che voi non siete innamorato, di quali mezzi dovremmo servirci? Li ha più chiari chi non è coinvolto. Conosco un mezzo, ma voglio tacerlo, ché è un nuovo intento e se lo propongo suo vorrà farlo ciascuno di voi. Dite bene. Béarn, andiamo dunque a preparare feste e altri omaggi. Ad appiccare il fuoco al suo disdegno. La sua freddezza ceda al nostro incendio. 2069
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Yo a eso asistiré. Pues ¡a esta gloria! Y del más feliz sea la vitoria. Vanse.
POLILLA
CARLOS
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CARLOS POLILLA
Pues ¿qué es esto, señor? ¿Por qué has negado tu amor? He de seguir otro camino de vencer un desdén tan desusado. Ven, y yo te diré lo que imagino, que tú me has de ayudar. Eso no hay duda. Allá has de entrar. Seré Sinón y ayuda. ¿Sabraste introducir? Y hacer pesquisas. ¿Yo Polilla no soy? ¿Eso previenes? Me sabré introducir en sus camisas. Pues ya a mi amor le doy los parabienes. Vamos, que si eso importa a las marañas, yo sabré apolillarle las entrañas.
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Vanse. Salen músicos, Diana, Cintia y Laura y damas. MÚSICOS
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Huyendo la hermosa Dafne, burla de Apolo la fe; sin duda le sigue un rayo, pues la defiende un laurel. ¡Qué bien que suena en mi oído aquel honesto desdén! ¡Que hay mujer que quiera bien! ¡Que haya pecho agradecido! (¡Que por error su agudeza quiera el amor condenar
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Io sarò spettatore.
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A conquistarla! Vada al più fortunato la vittoria.
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Escono. POLILLA
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Signore, che significa? Negate il vostro amore? Un’altra via ci vuole per vincere un disdegno così insolito. Seguimi, ti dirò quel che ho pensato e tu dovrai aiutarmi. Ma sicuro. Entrerai là. Sarò Sinone e d’aiuto. Saprai introdurti? E pure indagare. Non son forse Polilla? Dubitate? Saprò infilarmi fin nelle sue vesti. Al mio amore già guardo con fiducia. Andiamo, ché se serve alla tresca, saprò tarlarle anche le budella. Escono. Entrano i musicisti, Diana, Cintia e Laura e le dame.
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Fuggendo la bella Dafne beffa di Apollo la fede; certo l’insegue una saetta, se la difende un alloro. Com’è grato al mio orecchio quel decoroso disdegno! E ci sono donne che amano! E ci sono cuori grati! (L’ingegno suo come errore vuol l’amore condannare
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y, si lo es, quiera enmendar lo que erró Naturaleza!) Ese romance cantad; proseguid, que el que le hizo bien conoció el falso hechizo de esa tirana deidad. Poca o ninguna distancia hay de amar a agradecer; no agradezca la que quiere la vitoria del desdén. ¡Qué bien dice! Amor es niño, y no hay agradecimiento que al primer paso, aunque lento, no tropiece en su cariño. Agradecer es pagar con un decente favor; luego quien paga el amor ya estima el verse adorar. Pues si estima, agradecida, ser amada una mujer, ¿qué falta para querer a quien quiere ser querida? El agradecer, Dïana, es deuda noble y cortés: la que agradecida es no se infiere que es liviana. Que agradece la razón siempre en nosotras se infiere, la voluntad es quien quiere; distintas las causas son; luego si hay diversidad en la causa y el intento, bien puede el entendimiento obrar sin la voluntad. Que haber puede estimación sin amor, es la verdad,
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e correggere i pretesi errori della Natura!) Quella romanza cantate, proseguite: chi la fece conosceva il sortilegio di quel tirannico dio. È assai breve il passo dal gradire all’amare; non gradisca colei che ama il trionfo del suo disdegno. Giusto! L’Amore è fanciullo, gradimento non esiste che al primo passo, pur cauto, non inciampi nell’affetto. Gradire è ripagare con un onesto favore e chi ripaga l’amore vuole di già che l’adorino. La donna benevolente essere amata desidera: non è già pronta ad amare chi essere amata vuole? La benevolenza, Diana, è legge cortese e nobile: colei che è benevolente è non per questo leggera. Sappiamo che il gradimento è un atto di ragione, di volontà lo è l’amore. Diverse sono le cause; se c’è dunque differenza tra la causa e l’intenzione, l’intelletto può benissimo senza la volontà agire. Che possa esserci la stima anche senza amore è vero:
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porque amar es voluntad y agradecer es razón. No digo que ha de querer por fuerza la que agradece, pero, Cintia, me parece que está cerca de caer; y quien de esto se asegura no teme o no ve el engaño, porque no recela el daño quien al riesgo se aventura. El ser desagradecida es delito descortés. Pero el agradecer es peligro de la caída. Yo el delito no permito. Ni yo un riesgo tan estraño. Pues, por escusar un daño, ¿es bien hacer un delito? Sí, siendo tan contingente el riesgo. Pues ¿no es menor, si es contingente, este error que ese delito presente? No, que es más culpa el amar que falta el no agradecer. ¿No es mejor, si puede ser, el no querer y estimar? No, porque a querer se ha de ir. Pues ¿no puede allí parar? Quien no resiste a empezar, no resiste a proseguir. Pues el ser agradecida ¿no es mejor, si esto es ganancia, y gastar esa constancia en resistir la caída? No, que eso es introducirle al amor, y, al desecharle,
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della volontà è l’amare, della ragione il gradire. Non dico che debba amare per forza colei che è grata, però, mia Cintia, a me pare che sia prossima a cadere; e sentendosi sicura non teme né vede inganni, perché non sospetta il danno chi a un rischio si avventura. Che una donna sia ingrata è di scortesia delitto. Ma nella benevolenza c’è il rischio della caduta. Non so un delitto scusare. Né io un rischio così insolito. E per evitare un danno si può incorrere in delitto? Sì, essendo così probabile quel rischio. Ma se è così, non è meglio quell’errore che un delitto sicuro? No, è più peccato amare che colpa l’essere ingrati. Non è meglio, se si può, apprezzare senza amare? No, ché si arriva ad amare. E non ci si può fermare? Chi non si frena all’inizio, non sa frenarsi più tardi. E mostrare gradimento non è meglio, se è opportuno, usando poi la fermezza per opporsi alla caduta? No, così si apre la porta all’amore; e se lo scacci 2075
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no basta para arrojarle lo que puede resistirle. Pues cuando eso haya de ser, más que a la atención faltar, me quiero yo aventurar al peligro de querer. ¿Qué es querer? ¿Tú hablas así? ¡Oh, atrevida! Oh, sin cuidado! Sin duda te has olvidado que estás delante de mí. ¿Querer se ha de imaginar? ¿En mi presencia querer? Mas esto no puede ser... Laura, volved a cantar. No se fíe en las caricias de Amor quien niño le ve; que, con presencia de niño, tiene decretos de rey.
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Sale Polilla, de médico. POLILLA
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(¡Plegue al cielo que dé fuego mi entrada!) ¿Quién entra aquí? Ego. ¿Quién? Mihi vel mi; scholasticus sum ego, pauper et enamoratus. ¿Vos enamorado estáis? Pues ¿cómo aquí entrar osáis? No, señora: escarmentatus. ¿Qué os escarmentó? Amor ruin; y escarmentado en su error, me he hecho médico de amor, por ir de ruin a rocín.
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non basta ad allontanarlo la forza che hai di resistergli. Ma quando fosse così, piuttosto che a cortesia venir meno, preferisco correre il rischio di amare. Amare? Ma cosa dici? Oh insolente e sventata! Hai proprio dimenticato che ti trovi al mio cospetto. Si può pensare di amare? E di amare in mia presenza? No, proprio non è possibile... Laura, riprendete il canto. Non fidi delle lusinghe d’Amor chi bimbo lo vede: pur con sembianze di bimbo egli come un re dispone. Entra Polilla, travestito da medico.
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(Voglia il cielo attizzi il fuoco questa mia entrata!) Chi è? Ego. Chi? Mihi vel mi; scholasticus sum ego, pauper et enamoratus. Come, siete innamorato? E osate venire qui? No, signora: ammaestratus. Chi vi ha ammaestrato? Amore! Da quell’errore ammaestrato, mi son fatto d’amor medico: dalla padella alla brace! 2077
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¿De dónde sois? De un lugar. Fuerza es. No he dicho poco, que en latín lugar es loco. Ya os entiendo. Pues ¡andar! ¿Y a qué entráis? La fama oí de vos, con admiración de tan rara condición. ¿Dónde supiste de mí? En Acapulco. ¿Dónde es? Media legua de Tortosa; y mi codicia, ambiciosa de saber curar después del mal de amor, sarna insana, me trajo a veros, por Dios, por solo aprender de vos. Partime luego a La Habana, por venir a Barcelona, y tomé postas allí. ¿Postas en La Habana? Sí. Y me apeé en Tarragona, de donde vengo hasta aquí, como hace fuerte el verano, a pie, a pediros la mano. Y ¿qué os parece de mí? Eso es fuerza que me aturda; no tiene Amor mejor flecha que vuestra mano derecha, si no es que sacáis la zurda. ¡Buen humor tenéis! Ansí, ¿gusta mi conversación?
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Venite da...? Dalla luna. Da lontano, dite. No, è che sono un po’ lunatico. Capisco. Bene così! Che vi porta? Della fama vostra ho udito, e ammirato la vostra indole rara. Dove vi han detto di me? Ad Acapulco. E dov’è? A una lega da Tortosa; e poi un vivo desiderio di saper curare il male d’amore, rogna malsana, mi ha condotto fino a qua ad imparare da voi. Per venire a Barcellona son partito dall’Avana, da laggiù arrivo a cavallo. A cavallo dall’Avana? Ne son sceso a Tarragona, da dove qui son venuto, poiché torrida è l’estate, a piè a chiedervi la mano. Che ve ne pare di me? Forzoso è dirmi stordito; non ha Amore miglior saetta della vostra mano destra, se non usate la manca. Buonumore avete! Dunque vi piace il mio conversare?
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Sí. Pues con una ración os podéis hartar de mí. Yo os la doy. Beso... (¡Qué error!) ¿Beso dije? Ya no beso. Pues ¿por qué? El beso es el queso de los ratones de amor. Yo os admito. Dios delante; mas sea con plaza de honor. ¿No sois médico? Hablador, y ansí seré platicante. Y del mal de amor, que mata, ¿cómo curáis? Al que es franco curo con ungüento blanco. ¿Y sana? Sí, porque es plata. ¿Estáis mal con él? Su nombre me mata. Llamó al amor Averroes «hernia», un humor que hila las tripas a un hombre. Amor, señora, es congoja, traición, tiranía villana, y solo el tiempo le sana, suplicaciones y aloja. Amor es quita-razón, quita-sueño, quita-bien, quita-pelillos también, que hará calvo a un motilón. Y las que él obliga a amar todas se acaban en quita:
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Datemi una razione e di me vi sazierete. Concessa! Bacio... (Che errore!) Bacio ho detto? Niente bacio. Ma perché? Il bacio è il cacio di tutti i topi d’amore. Vi prendo. Lo voglia Iddio, ma che sia un posto d’onore. Siete medico... A parole: un medico predicante. E il fatale mal d’amore come lo curate? Il franco curo con unguento bianco. Guarisce? Sì, perché è argento. Ce l’avete con lui? Il nome già m’uccide. Averroè definì l’amore «ernia», umor che torce budella. L’amore, signora, è angoscia, tradimento e tirannia, solo il tempo lo guarisce, con dei sospiri e idromele. L’amore è uno strappa-senno, strappa-sonno, strappa-bene, strappa-peli e rende calvo pure chi è mezzo rapato. E quelle che obbliga a amare tutte finiscono in aria:
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Francisquita, Mariquita, por ser todas al quitar. Lo que yo había menester para mi divertimiento tengo en vos. Con ese intento vine yo desde Añover. ¿Añover? Él me crió; que en este lugar estraño se ven melones cada año, y ansí Añover se llamó. ¿Cómo os llamáis? Caniquí. Caniquí, a vuestra venida estoy muy agradecida. Para las dueñas nací. (Ya yo tengo introducción; así en el mundo sucede: lo que un príncipe no puede, yo he logrado por bufón. Si ahora no llega a rendilla Carlos, sin maña se viene, pues ya introducida tiene en su pecho la polilla.) Con los Príncipes tu padre viene, señora, acá dentro. ¿Con los Príncipes? ¿Qué dices? ¿Qué intenta mi padre? ¡Cielos! Si es repetir la porfía de que me case, primero rendiré el cuello a un cuchillo. (¿Hay tal aborrecimiento de los hombres? ¿Es posible, Laura, que el brío, el aliento del de Urgel no la arrebate?
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Ilaria, Daria, Rosaria, tutte con le gambe all’aria. Ciò di cui avevo bisogno per distrarmi e intrattenermi in voi trovo. A questo scopo son venuto da Annover. Annover? Là sono nato; luogo strano, ove si vedono ogni anno tanti meloni, per cui Anno-ver lo chiamano. Vi chiamate? Caniquí. Caniquí, del vostro arrivo io mi rallegro non poco. Per le dame io sono nato. (Ormai mi sono introdotto; ed ecco come va il mondo: quel che a un principe non riesce, l’ottengo io come buffone. Anche se Carlos non viene, senza astuzie cederebbe, perché in petto le è entrato quel bel tarlo di Polilla.) Coi Principi vostro padre sta venendo qui, signora. Coi Principi? Cosa dici? Che cerca di fare, cielo? Se ancora vuole ostinarsi a maritarmi, piuttosto offro la gola a un coltello. (Una simile avversione per gli uomini? È possibile, Laura, che il piglio e l’ardore di Urgel non la rapiscano?
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Que es hermafrodita pienso. A mí me lleva los ojos. Y a mí el Caniquí, en secreto, me ha llevado las narices, que me agrada para lienzo.)
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Sale el Conde, con los tres Príncipes. CONDE CARLOS
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Príncipes, entrad conmigo. (Sin alma a sus ojos vengo; no sé si tendré valor para fingir lo que intento: ¡siempre la hallo más hermosa!) (¡Cielos! ¿Qué puede ser esto?) ¿Hija? ¿Dïana? ¿Señor? Yo, que a tu decoro atiendo y a la deuda en que me ponen los Condes con tus festejos, habiendo de ellos sabido que del retiro que has hecho de su vista, están quejosos... Señor, que me des te ruego licencia, antes que prosigas ni tu palabra haga empeño de cosa que te esté mal, de prevenirte mi intento. Lo primero es que contigo ni voluntad tener puedo, ni la tengo, porque solo mi albedrío es tu precepto. Lo segundo es que el casarme, señor, ha de ser lo mesmo que dar la garganta a un lazo y el corazón a un veneno. Casarme y morir es uno; mas tu obediencia es primero
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Che sia ermafrodita temo. A me ha portato via gli occhi. E a me Caniquí, confesso, m’ha portato via il naso: lo voglio per fazzoletto.) Entra il Conte, con i tre Principi.
CONTE CARLOS
DIANA CONTE DIANA CONTE
DIANA
Prìncipi, entrate con me. (Mi turba la sua presenza; non so se avrò il coraggio di fingere come voglio. La trovo sempre più bella.) (Cielo! Cosa accade ora?) Diana, figlia mia. Signore...? Io, attento al tuo decoro e a sdebitarmi coi Conti per le loro attenzioni, avendo saputo che essi del tuo severo ritiro si sono rammaricati... Signore, licenza datemi, ché prima che proseguiate e impegniate la parola vostra in atti inopportuni desidero prevenirvi. Primo: io dinanzi a voi non accampo volontà, né mai potrei, perché basta ad essa la vostra guida. Sappiate, poi, che sposarmi, signore, è la stessa cosa che dare la gola a un cappio o dare al cuore un veleno. Sposarmi è per me morire; ma obbedirvi viene prima 2085
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que mi vida. Esto asentado, venga ahora tu decreto. Hija, mal has presumido, que yo casarte no intento, sino dar satisfación a los Príncipes, que han hecho tantos festejos por ti, y el mayor de todos ellos, que es pedirte por esposa, siendo tan digno su aliento, ya que no de tus favores, de mis agradecimientos. Y, no habiendo de otorgallo, debe atender mi respeto a que ninguno se vaya sospechando que es desprecio, sino aversión que tu gusto tiene con el casamiento. Y también que esto no es resistencia a mi precepto, cuando yo no te lo mando, porque el amor que te tengo me obliga a seguir tu gusto; y pues tú, en seguir tu intento, ni a mí me desobedeces ni los desprecias a ellos, dales la razón que tiene para esta opinión tu pecho, que esto importa a tu decoro y acredita mi respeto.
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Si eso pretendéis no más, oíd, que dárosla quiero. Solo a ese intento venimos.
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della mia vita. Ciò detto, attendo l’ordine vostro. Figlia, male hai giudicato, farti sposare non voglio, bensì dar soddisfazione ai Principi, che ossequi tanti ti hanno consacrato, ed il più grande tra tutti quello di chiederti in sposa, un desiderio che è degno, quando non del tuo favore, della mia riconoscenza. Non potendo soddisfarli, con riguardo ho da evitare che qualcuno se ne vada pensando che sia un’offesa quanto è solo l’avversione che proclami al matrimonio. Che essi vedano che in ciò non ti opponi ai miei precetti, poiché io non te li impongo, e l’amore che ho per te mi induce ad accontentarti; nel seguire il tuo volere, che a me non disubbidisci e loro non sprezzi, mostra, e manifesta ai Principi le ragioni del tuo cuore, per serbare il tuo decoro e assicurare il mio onore. Esce.
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Se è questo che pretendete, udite, voglio spiegarvele. Altro intento non abbiamo.
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Y no estrañéis el deseo, que más estraña es en vos la aversión al casamiento. Yo, aunque a saberlo he venido, solo ha sido con pretexto – sin estrañar la opinión – de saber el fundamento. Pues oíd, que ya le digo. (¡Vive Dios, que es raro empeño! ¿Si hallará razón bastante? Porque será bravo cuento dar razón para ser loca.) Desde que, al albor primero con que amaneció al discurso la luz de mi entendimiento, vi el día de la razón, fue de mi vida el empleo el estudio y la lición de la historia, en quien da el tiempo escarmiento a los futuros con los pasados ejemplos. Cuantas ruinas y destrozos, tragedias y desconciertos han sucedido en el mundo entre ilustres o plebeyos, todas nacieron de amor. Cuanto los sabios supieron, cuanto a la filosofía moral liquidó el ingenio, gastaron en prevenir a los siglos venideros el ciego error, la violencia, el loco, el tirano imperio de esa mentida deidad, que se introduce en los pechos con dulce voz de cariño, siendo un volcán allá dentro.
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Non stupisca la richiesta, perché più stupisce in voi l’avversione al matrimonio. Anch’io vengo ad ascoltare tali ragioni ma solo per saperne il fondamento, non perché me ne stupisca. Ascoltate, le dirò. (Vivaddio, che stramba impresa! Troverà le sue ragioni? Perché è una bella fatica spiegar la propria pazzia.) Dacché, al riflesso dell’alba che al discorrere dischiuse la luce del mio intelletto, vidi il dì della ragione, consacrai la mia esistenza allo studio e alla lettura della storia, che fornisce insegnamenti ai posteri con gli esempi del passato. Ogni rovina e ogni piaga, ogni tragedia e sciagura verificatasi al mondo tra nobili e tra plebei dall’amore scaturì. Tutto il sapere dei dotti, quel che alla filosofia morale svelò l’ingegno si impiegò per impedire nei secoli successivi l’errore cieco, la furia, il folle, tiranno impero di una divinità falsa, che penetra fin nei cuori con dolce voce affettuosa quando è un ardente vulcano. 2089
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¿Qué amante jamás al mundo dio a entender de sus efectos sino lástimas, desdichas, lágrimas, ansias, lamentos, suspiros, quejas, sollozos, sonando con triste estruendo para lastimar las quejas, para escarmentar los ecos? Si alguno correspondido se vio, paró en un despeño, que al que no su tiranía se opuso el poder del cielo. Pues si quien se casa va a amar por deuda y empeño, ¿cómo se puede casar quien sabe de amor el riesgo? Pues casarse sin amor es dar causa sin efecto, ¿cómo puede ser esclavo quien no se ha rendido al dueño? ¿Puede hallar un corazón más indigno cautiverio que rendirle su albedrío quien no manda su deseo? El obedecerle es deuda; pues ¿cómo vivirá un pecho con una obediencia afuera y una resistencia adentro? Con amor o sin amor, yo, en fin, casarme no puedo: con amor, porque es peligro; sin amor, porque no quiero. Dándome los dos licencia, responderé a lo propuesto. Por mi parte yo os la doy.
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Quale amante mai al mondo ha trovato tra i suoi effetti se non tormenti, disgrazie, lacrime, ansie, lamenti, sospiri, pianti, singhiozzi, e quel triste risuonare di gemiti che fan pena, di echi che sono di monito? Se mai qualcuno riamato si vide, finì in rovina: se non la sua tirannia, gli furono avversi i cieli. Chi si unisce in matrimonio ama per obbligo e impegno; come può dunque sposarsi chi sa i rischi dell’amore? Se sposarsi senza amore è dar causa senza effetto, come può essere schiavo chi non si è dato a un padrone? Può forse trovare un cuore più indegna prigionia che consegnarsi all’arbitrio di chi non ha il suo affetto? È l’obbedienza un dovere; ma come vivrà un petto obbedendo all’esterno e resistendo all’interno? Con amore o senza amore, io non mi posso sposare: non con esso, perché un rischio; non senza, perché non voglio. Se me ne date licenza, vorrei rispondere io. Da parte mia, ve la do.
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Yo, qué responder no tengo, pues la opinión que yo sigo favorece aquel intento. La mayor guerra, señora, que hace el engaño al ingenio es estar siempre vestido de aparentes argumentos. Dejando las consecuencias que tiene Amor contra ellos, que en un discurso engañado suelen ser de menosprecio, la experiencia es la razón mayor que hay para venceros, porque ella sola concluye con la prueba del efecto. Si vos os negáis al trato, siempre estaréis en el yerro, porque no cabe experiencia donde se escusa el empeño. Vos vais contra la razón natural, y el propio fuero de nuestra naturaleza pervertís con el ingenio. No neguéis vos el oído a las verdades del ruego: porque si es razón no amar, contra la razón no hay riesgo; y si no es razón, es fuerza que os ha de vencer el tiempo, y entonces será vitoria publicar el vencimiento. Vos defendéis el desdén: todos vencerle queremos; vos decís que eso es razón: permitíos al festejo. Haced escuela el desdén, donde, en nuestro galanteo,
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Non ho nulla da obiettare, perché la mia opinione quei princìpi condivide. La peggior guerra, signora, che fa l’inganno all’ingegno sta nel mostrarsi vestito di illusori argomenti. Tacendo le conseguenze con cui Amore vi si oppone, ché una mente ingannata di solito le disprezza, l’esperienza è la ragione per convincervi maggiore, poiché fornisce da sola la riprova degli effetti. Rifiutando ogni contatto, resterete nell’errore, ché non vale l’esperienza quando si evita l’impresa. Voi osteggiate la ragione naturale, e anche le leggi della natura umana pervertite con l’ingegno. Non negate il vostro udito alle veraci preghiere: se ha ragione chi non ama, la ragione nulla rischia; se non ha ragione, è forza che vi vinca infine il tempo e una vittoria sarà render nota la sconfitta. Voi sostenete il disdegno, tutti vincerlo vorremmo; voi dite di aver ragione, concedetevi alle feste. Fate del disdegno scuola, ove, con i nostri omaggi, 2093
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los intentos de obligaros han de ser los argumentos. Veamos quién tiene razón, porque ha de ser nuestro empeño inclinaros al cariño o quedar vencidos ellos. Pues para que conozcáis que la opinión que yo llevo es hija del desengaño, y del error vuestro intento, festejad, imaginad cuantos caminos y medios de obligar una hermosura tiene Amor, halla el ingenio; que desde aquí me permito a lisonjas y festejos con el oído y los ojos, solo para convenceros de que no puedo querer y que el desdén que yo tengo, sin fomentarle el discurso, es natural en mi pecho. Pues si argumento ha de ser desde hoy nuestro galanteo, todos vamos a argüir contra el desdén y el despego. Príncipes, de la razón y de amor es ya el empeño; cada uno un medio elija de seguir este argumento; veamos, para concluir, quién elige mejor medio.
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Yo voy a escoger el mío, y de vos, señora, espero
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gli strumenti per convincervi han da essere gli argomenti. Vedremo chi avrà ragione: noi tutti ci impegneremo a piegarvi alla passione o a dichiararci sconfitti. Bene, perché voi sappiate che questa mia opinione è figlia del disinganno e la vostra di un equivoco, fate feste, escogitate tutti i mezzi e gli espedienti con cui l’amore o l’ingegno avvincono la bellezza; d’ora in avanti mi presto alle attenzioni e alle feste con l’udito e con gli occhi, solamente per convincervi che mi è impossibile amare e che il disdegno che nutro naturale è nel mio petto e non frutto della mente. Se argomenti han da essere da oggi i nostri omaggi, tutti vogliamo ribattere al disdegno e alla freddezza. Ora l’impresa è, Principi, della ragione e d’amore; che ciascuno scelga il modo di porre questo argomento; vedremo, in conclusione, chi saprà provarlo meglio. Esce.
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Io il mio vado a cercare e spero che voi, signora, 2095
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que habéis de ser contra vos el más agudo argumento.
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Pues yo, señora, también, por deuda de caballero, proseguiré en festejaros, mas será sin ese intento. Pues ¿por qué? Porque yo sigo la opinión de vuestro ingenio; mas aunque es vuestra opinión, la mía es con más estremo. ¿De qué suerte? Yo, señora, no solo querer no quiero, mas ni quiero ser querido. Pues ¿en ser querido hay riesgo? No hay riesgo, pero hay delito: no hay riesgo, porque mi pecho tiene tan establecido el no amar en ningún tiempo, que si el cielo compusiera una hermosura de estremos y esta me amara, no hallara correspondencia en mi afecto; hay delito, porque cuando sé yo que querer no puedo, amarme y no amar sería faltar mi agradecimiento. Y ansí yo, ni ser querido ni querer, señora, quiero, porque temo ser ingrato cuando sé yo que he de serlo. Luego ¿vos me festejáis sin amarme?
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contro di voi vi mostriate il più sagace argomento. Esce. CARLOS
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Ebbene anch’io, signora, poiché sono un gentiluomo, continuerò a omaggiarvi, ma senza quell’intenzione. E perché mai? Condivido l’opinione da voi assunta; anzi, rispetto alla vostra, è la mia ancor più estrema. In che modo? Io, signora, non solo amare non voglio, neanche voglio essere amato. È un rischio l’essere amati? Non è un rischio, ma è una colpa: non lo è perché il mio petto è così fermo e deciso a non amare giammai che se il cielo componesse una bellezza sublime che mi amasse, non potrei corrisponderne l’affetto; è una colpa, perché quando so di non potere amare, lasciarmi amare sarebbe venir meno a cortesia. Perciò, signora, non voglio amare né essere amato, temendo di essere ingrato se so di doverlo essere. Mi prestate, allora, omaggio senza amarmi? 2097
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Eso es muy cierto. Pues ¿para qué? Por pagaros la veneración que os debo. ¿Y eso no es amor? ¿Amor? No, señora, esto es respeto. (¡Cuerpo de Cristo! ¡Qué lindo! ¡Qué bravo botón de fuego! Échala de ese vinagre y verás, para su tiempo, qué bravo escabeche sale.) (Cintia, ¿has oído a este necio? ¿No es graciosa su locura? Soberbia es. ¿No será bueno enamorar a este loco? Sí, mas hay peligro en eso. ¿De qué? Que tú te enamores si no logras el empeño. Ahora eres tú más necia, pues ¿cómo puede ser eso? ¿No me mueven los rendidos y ha de arrastrarme el soberbio? Esto, señora, es aviso. Por eso he de hacer empeño de rendir su vanidad. Yo me holgaré mucho de ello.) Proseguid la bizarría, que yo ahora os la agradezco con mayor estimación, pues sin amor os la debo. ¿Vos agradecéis, señora? Es porque con vos no hay riesgo. Pues yo iré a empeñaros más. Y yo voy [a] agradecerlo.
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Esattamente.
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E perché?
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Per tributarvi la devozione dovuta. E ciò non è amore? Amore! No, signora, anzi è rispetto. (Corpo di Cristo! Grandioso! Questo sì che è un bel cauterio! Versaci di questo aceto e vedrai, fra un po’ di tempo, che marinata vien fuori.) (Cintia, hai udito lo sciocco? Spassosa la sua follia... Superbia è. Non sarà buffo far innamorare il pazzo? Sì, ma correresti un rischio. E quale? Di innamorarti se non riesci nell’intento. Adesso sei tu la sciocca! Come potrebbe mai essere? Non mi muove chi si arrende e mi turberà un superbo? Il mio è un avvertimento. Ora sarà mio impegno questa sua vanità vincere. Io me ne rallegrerò.) Continuate con gli onori, li avrò in considerazione grande, ora piú che mai: senza amore ve li devo. Voi gradite i miei omaggi? Con voi non si corron rischi. Ma io vi impegnerò ad altro. Ed io ve ne sarò grata.
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Pues mirad que no queráis, porque cesaré en mi intento. No me costará cuidado. Pues, siendo ansí, yo lo aceto. Andad. Venid, Caniquí. ¿Qué decís? Soy yo ese lienzo. (Cintia, rendido has de verle. Sí será, pero yo temo que se te trueque la suerte.) (Y eso es lo que yo deseo.)
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Vanse. DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA CARLOS DIANA
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Mas... ¿oís? ¿Qué me queréis? Que si acaso os muda el tiempo... ¿A qué, señora? A querer. ¿Qué he de hacer? Sufrir desprecios. ¿Y si en vos hubiese amor? Yo no querré. Ansí lo creo. Pues ¿qué pedís? Por si acaso... Ese acaso está muy lejos. ¿Y si llega? No es posible. Supongo. Yo lo prometo. Eso pido. Bien está. Quede ansí. Guárdeos el cielo. (Aunque me cueste un cuidado, he de rendir este necio.)
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State attenta a non amare: abbandonerei l’intento. Non mi costerà fatica. Se è così, siamo d’accordo. Ora andate. Caniquí...? Che? Son io quel fazzoletto. (Cintia, vinto lo vedrai. Così andrà, però io temo ti si rovesci la sorte.) (E n’avrei davvero gusto.) Escono.
DIANA
Sentite...
CARLOS
Desiderate...? Se mai col tempo cambiaste... In che? Se vi innamoraste... Che farò? Avreste un rifiuto. Se vi innamoraste voi? Giammai. Io vi credo, ma... Cosa, dunque? Se per caso... Questo caso è assai remoto. E se arrivasse? Impossibile. È un’ipotesi. La escludo. Questo volevo. Sta bene. Intesi. Vi assista il cielo. (Mi costasse degli affanni, ho da piegare lo sciocco.)
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA PRIMERA
Vase. POLILLA CARLOS
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CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
Señor, buena va la danza. Polilla, yo estoy muriendo; todo mi valor ha habido menester mi fingimiento. Señor, llévalo adelante, y verás si no da fuego. Eso importa. Ven, señor, que ya yo estoy acá dentro. ¿Cómo? Con lo Caniquí me he hecho ya lienzo casero.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO PRIMO
Esce. POLILLA CARLOS
POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
La danza va a meraviglia! Polilla, sto per morire; tutto quanto il mio valore ha richiesto la finzione. Signore, ora continuate, e vedrete se s’infiamma! È ciò che conta. Venite, io mi sono introdotto. Come? In quanto Caniquí son fazzoletto domestico.
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA
JORNADA SEGUNDA Salen Carlos y Polilla. CARLOS
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CARLOS
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Polilla, amigo, el pesar me quitas. Dale a mi amor alivio. Aspacio, señor, que hay mucho que confesar. Dímelo todo, que lucha con mi cuidado mi amor. ¿Quieres besarme, señor? Apártate allá y escucha. Lo primero, estos bobazos de estos Príncipes, ya sabes que en fiestas y asumptos graves se están haciendo pedazos. Fiesta tras fiesta no tarda, y con su desdén tirano hacer fiestas es en vano, porque ella no se las guarda. Ellos gastan su dinero, sin que con ello la obliguen, y de enamorarla siguen el camino carretero; y ellos mismos son testigos que van mal, que esta mujer el alcanzarla ha de ser echando por esos trigos. Y es tan cierta esta opinión que, con tu desdén fingido, de tal suerte la has herido, que ha pedido confesión, y con mi bellaquería su pecho ha comunicado, como ella me ha imaginado doctor de esta teología.
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ATTO SECONDO Entrano Carlos e Polilla. CARLOS
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Polilla, amico, questa ansia toglimi. Al mio amore dà un po’ di sollievo. Calma, signore, ce n’è da dire. Dimmi tutto, perché lotta con la mia pena il mio amore. Volete forse baciarmi? Fatevi in là e ascoltate. Quei semplicioni dei Principi, e voi lo sapete già, in feste e gravi faccende si stan tutti consumando. Una festa segue l’altra, ma per quel crudo disdegno vana risulta ogni festa, ché ella nessuna n’osserva. Sprecano il loro denaro, senza con ciò mai impegnarla, e per conquistarla seguono la strada maestra e nota. Si sono accorti essi stessi di aver errato e che Diana solo può essere raggiunta tagliando in mezzo ai campi. Ed è davvero così se il vostro disdegno finto a tal punto l’ha ferita che ha chiesto di confessarsi, e alla mia birbanteria ha il suo cuore rivelato, perché mi crede dottore nella teologia d’amore. 2105
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POLILLA
Para rendirte, un intento siempre a preguntarme sale. ¡Mira tú de quién se vale para que se yerre el cuento! Yo dije con voz madura: «Si eso en cuidado te tray, para obligarle no hay medio como tu hermosura. Hazle un favor, golpe en bola, de cuando en cuando al cuitado, y, en viéndole enamorado, vuélvete y dile: “¡Mamola!”». Ella de mi parecer se ha agradado de tal arte, que ya está en galantearte. Mas ahora es menester que con ceño impenetrable, aunque parezcas grosero, siempre tú estés más entero que bolsa de miserable. No te piques con la salsa, no piense tu bobería que está la casa vacía por ver la cédula falsa, porque ella la trae pegada, y si tú vas a leella, has de hallar que dice en ella: «Aquí no se alquila nada». Y de eso ¿qué ha de sacarse? Que se pique esta mujer. Pues ¿cómo puedes saber que ha de venir a picarse? ¿Cómo picarse? ¡Eso es bueno! Si ella lo finge diez días y tú de ella te desvías, te ha de querer al onceno, a los doce ha de rabiar
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Per vincervi, qualche mezzo è sempre lì a domandarmi. Guardate di chi s’avvale per mandar tutto in malora! Le ho detto con voce grave: «Se è questo a preoccuparvi, non c’è di meglio per vincerlo che questa vostra bellezza. Lusingate, così, al volo, di tanto in tanto il suo amore; quando pare innamorato voi gli fate: “V’ho fregato!”». A tale punto ha gradito Diana questo mio consiglio che è già pronta a corteggiarvi. Ma ora è proprio necessario che con piglio impenetrabile, pur di sembrare scortese, voi siate più intoccabile della borsa d’un taccagno. Non vi stuzzichi la salsa, non pensate, da ingenuo, che sia libera la casa perché si vede un cartello falso; l’ha messo lei stessa e se a leggerlo andate vedrete che così recita: «Qui non s’affitta un bel niente». E da ciò cosa deduci? Che s’infiammerà da sola. Ma tu come puoi sapere che infine s’infiammerà? Come, dite? Buona questa! Se finge per dieci giorni e voi non ve ne curate, s’innamora all’undicesimo, si dispera al dodicesimo 2107
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y a los trece me parece que, aunque ella se esté en sus trece, te ha de venir a rogar. Yo pienso que dices bien; mas yo temo de mi amor que si ella me hace un favor no sepa hacerla un desdén. ¡Qué más dijera una niña! Pues ¿qué haré? Mostrarte helado. ¿Cómo, si estoy abrasado? Beber mucha garapiña. Yo he de esforzar mi cuidado. ¡Ansí pesia mi memoria, que lo mejor de la historia es lo que se me ha olvidado! Ya sabes que ahora son Carnestolendas. ¿Y pues? Que en Barcelona uso es de esta gallarda nación, que con fiestas se divierte, llevar, sin nota en su fama, cada galán a su dama. Esto en palacio es por suerte: ellas eligen colores, pide uno el galán que viene, y la dama que le tiene va con él, y a hacer favores al galán el día la empeña, y él se obliga a ser su imán, y es gusto, porque hay galán que suele ir con una dueña. Esto supuesto, Dïana contigo el ir ha dispuesto, y no sé, por lograr esto, cómo han puesto la pavana;
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e penso che al tredicesimo, per quanto voglia impuntarsi, finirà per supplicarvi. Credo che tu abbia ragione, però io temo il mio amore: se mi accordasse un favore non saprei essere sdegnoso. Parlate come una bimba! Che fare? Siate di ghiaccio. E come, se sono un fuoco? Prendetevi una granita. Moltiplicherò i miei sforzi. Dannata la mia memoria, il cuore della faccenda me l’ero bell’e scordato! Sapete bene che siamo a Carnevale. E con questo? È usanza di Barcellona, delle sue genti gagliarde intrattenersi scegliendo un cavaliere la dama senza onta per la sua fama. A corte si tira a sorte: le dame i colori scelgono, ne chiede uno il cavaliere e la dama che ha il colore lo segue, e ad onorarlo per quel giorno è tenuta, e lui a esserne l’ombra, ed è spassoso che un giovane s’accompagni a una signora. Premesso questo, Dïana con voi pensa di trovarsi, e non so, pur di riuscirci, come ha disposto la danza; 2109
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ello está trazado ya. Mas ella sale. Hacia allí te esconde, no te halle aquí, porque lo sospechará. Persuade tú a su desvío que me enamore. Es forzoso. Tú eres enfermo dichoso, pues te cura el beber frío.
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Salen Diana, Cintia y Laura. DIANA
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Cintia, este medio he pensado para rendirle a mi amor: yo he de hacerle más favor. Todas, como os he mandado, como yo habéis de traer cintas de todas colores, con que al pedir los favores podréis cualquiera escoger el galán que os pareciere, pues cualquier color que pida ya la tenéis prevenida; y la que el de Urgel pidiere, dejádmela para mí. Gran vitoria has de alcanzar, si le sabes obligar a quererte. ¿Caniquí? ¡Oh, luz de este firmamento! ¿Qué hay de nuevo? Me he hecho amigo de Carlos. Mucho me obligo de tu cuidado. Ansí intento ser espía y del consejo.
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è tutto già preparato. Ma ecco che arriva. Laggiù celatevi, non vi veda, sospetterebbe qualcosa. Persuadi quella ritrosa a innamorarmi. Sicuro. Siete infermo fortunato, vi giovan bevande fredde. Entrano Diana, Cintia e Laura.
DIANA
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Cintia, avrei pensato un modo per averlo qui ai miei piedi: lo favorirò sugli altri. Tutte, come vi ho ordinato, come me dovete avere nastri di vari colori. Quando vi verrà richiesto, scegliere potrà ciascuna quale cavaliere vuole: qualunque colore chieda voi lo avrete già approntato; e quello chiesto da Urgel dovete lasciarlo a me. Avrai una grande vittoria, se saprai infine costringerlo ad amarti. Caniquí... ¡Oh, luce del firmamento! Novità? Ora sono amico di Carlos. Ti sono grata della tua premura. Faccio da spia e da consigliere. 2111
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DIANA
(No es mi prevención muy vana, que esto es echarle botana, por si se sale el pellejo.) ¿Y no has descubierto nada de lo que yo de él procuro? ¡Ay, señora, está más duro que huevo para ensalada! Pero yo sé tretas bravas con que has de hacerle bramar. Pues tú lo has de gobernar. (¡Ay, pobreta, que te clavas!) Mil escudos te apercibo, si tú su desdén allanas. Sí haré: el emplasto de ranas pone por madurativo. Y si le vieses querer, ¿qué harás después de tentalle? ¿Qué? Ofendelle, desprecialle, ajalle y dalle a entender que ha de rendir sus sosiegos a mis ojos por despojos. (¡Fuego de amor en tus ojos!) (¡Qué gran gusto es ver dos juegos!) Digo, ¿y no sería mejor, después de haberle rendido, tener piedad del caído? ¿Qué llamas piedad? De amor. ¿Qué es amor? Digo, querer, ansí al modo de empezar, que aquesto de pellizcar no es lo mismo que comer. ¿Qué es lo que dices? ¿Querer? ¿Yo me había de rendir? Aunque le viera morir, no me pudiera mover.
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(A parte)
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DIANA
(Precauzione non superflua: questo è metterci una pezza nel caso si rompa l’otre.) E non hai scoperto nulla di ciò che voglio sapere? Ahimé, signora, è duro come l’uovo da insalata! Ma io conosco certe astuzie con cui lo farete fremere. Occupatene tu allora. (Poverina, come abbocchi!) Ti aspettano mille scudi se il suo disdegno cancelli. Serve un impiastro di rane perché maturi il bubbone. E dopo averlo tentato che fate se s’innamora? Che cosa? L’offenderò, lo umilierò e capirà di aver la pace immolato sull’altare dei miei occhi. (Nei tuoi c’è fuoco d’amore!) (Son divertenti due tresche!) Dite, non sarebbe meglio, dopo che lo si è sconfitto, avere pietà del vinto? Pietà, dici? Dell’amore. Come, amore? Voglio dire voler bene, giusto un po’, ché mettersi a spiluccare non è poi come mangiare. Cosa dici? Voler bene? Forse arrendermi dovrei? Lo vedessi pur morire, non potrebbe impietosirmi. 2113
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(¿Hay mujer más singular? ¡Oh, crüel! Déjame hacer, que no solo ha de querer, ¡vive Dios!, sino envidar.) (Yo salgo. ¡El alma se abrasa!) Carlos viene. Disimula. (¡Lástima es que tome bula! ¡Si supiera lo que pasa!) Cintia, avisa cuando es hora de ir al sarao. Ya he mandado que estén con ese cuidado. Y yo el primero, señora, vengo, pues es deuda igual, a cumplir mi obligación. Pues ¿cómo sin afición sois vos el más puntual? Como tengo el corazón sin los cuidados de amar, tiene el alma más lugar de cumplir su obligación. (Hazle un favorcillo al vuelo, por si más grato le ves. Eso procuro.) (Esto es hacerla escupir al cielo.) Mucho, no teniendo amor, vuestra asistencia me obliga. Si es mandarme que prosiga, sin hacerme ese favor, lo haré yo, porque obligada a eso mi atención está. (Poca lumbre el favor da. Está la yesca mojada.)
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(S’è vista donna più strana? Crudele! Lasciate fare a me: dopo aver puntato, vorrà pure rilanciare.) (Io vado. Ho il cuore in fiamme!) Carlos! Fa’ finta di niente. (Peccato che s’intrometta! Se sapesse quel che accade!) Cintia, avvisa quando è l’ora d’andare al ballo. Ho ordinato che ci avvertano per tempo. Signora, io sono il primo a giungere: ho pur sempre degli obblighi da osservare. Come? Voi, senza passione, siete adesso il più puntuale? Essendo sgombro il mio cuore dagli affanni dell’amore, l’animo più facilmente può gli obblighi osservare. (Siate un poco più gentile, ché ve ne debba esser grato. Mi ci proverò.) (È come indurla a sputare al cielo.) Non essendo innamorato, squisito garbo è il vostro. Se volete che continui, pur senza il vostro favore lo farò, poiché l’impone la mia stessa cortesia. (Accende poco il favore. Sarà bagnata quest’esca.)
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Luego ¿al favor que os hago no le dais estimación? Eso con veneración, mas no con amor, le pago. (¡Necio, ni aun ansí le pagues! ¿Qué quieres? ¿Templa mi ardor, aunque es fingido, el favor. Pues enjuágate y no tragues.) (¿Qué le has dicho? Que al oíllos agradezca tus favores. Bien haces.) (Esto es, señores, engañar a dos carrillos.) Si yo a querer algún día me inclinase, fuera a vos. ¿Por qué? Porque entre los dos hay oculta simpatía: el llevar vos mi opinión es ser vos del genio mío; y, a sufrirlo mi albedrío, fuera a vos mi inclinación. Pues hicierais mal. No hiciera, que sois galán. No es por eso. ¿Por qué? Porque os confieso que yo no os correspondiera. Pues si os viérades amar de una mujer como yo, ¿no me quisiérades? No. Claro sois. No sé engañar.
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Dunque, il favore che vi offro non apprezzate per niente? Non con l’amore lo pago ma con la mia devozione. (Sciocco, non dovreste proprio! Che vuoi? Mi spegne lo slancio il favore, benché finto. Non deve darvela a bere.) (Che gli hai detto? Di esser grato alle vostre gentilezze. Ben fatto!) (Questo, signori, è ingannare a due palmenti.) Se io volessi, un giorno, amare qualcuno, sareste voi. Perché? Perché tra di noi c’è una occulta simpatia; la pensate come me, abbiamo la stessa indole; se il mio arbitrio lo volesse, io propenderei per voi. Fareste male. No, siete amabile. Non per questo. E perché? Ve lo confesso: non sareste corrisposta. Ma se vi vedeste amato da una donna come me, voi non mi amereste? No. Siete franco. Non so fingere.
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(¡Oh, pecho heroico y valiente! Dale por esos ijares. Si tú no se la pegares, me la peguen en la frente.) (Mucho al enojo me acerco. ¡Tal desahogo no he visto! Desvergüenza es, ¡vive Cristo! ¿Has visto tal? ¡Es un puerco! ¿Qué haré? Meterle en la danza de amor, y a puro desdén quemarle. Tú dices bien, que esa es la mayor venganza.) Yo os tuve por más discreto. Pues ¿qué he hecho contra razón? ¡Eso es ya desatención! No ha sido sino respecto. Y porque veáis que es error que haya en el mundo quien crea que el que quiere lisonjea, oíd de mí lo que es amor. Amar, señora, es tener inflamado el corazón con un deseo de ver a quien causa esta pasión, que es la gloria del querer. Los ojos, que se agradaron de algún sujeto que vieron, al corazón trasladaron las especies que cogieron y esta inflamación causaron. Su hidrópico ardor procura apagar de sus antojos la sed viendo la hermosura,
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(Oh, che petto valoroso! Incalzatela ben bene. Se ora non l’abbindolate, mi potrei tagliare un braccio.) (Sto proprio per adirarmi. Una impudenza mai vista! Sfrontatezza è, vivaddio! Hai visto? Uno scostumato! Che fare? Che entri nel ballo d’amore e nel mio disdegno poi bruci. Tu dici bene, è la migliore vendetta.) Vi credevo più assennato. Che ho fatto di riprovevole? La vostra è già scortesia! Il mio non è che rispetto. E per mostrarvi che è errore che credano alcuni al mondo che colui che ama lusinga, vi dirò cos’è l’amore: l’amore, signora, è un fuoco che infiamma e brucia il cuore con la smania di vedere ciò che causa la passione, grande gloria dell’amore. Gli occhi, che della vista di qualcuno han goduto, al cuore hanno trasmesso le immagini che hanno visto e quel fuoco hanno acceso. L’idropico ardore cerca delle sue brame di spegnere la sete, quella bellezza
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mas crece la calentura mientras más beben los ojos. Siendo esta fiebre mortal, quien corresponde al amor bien se ve que es desleal, pues le remedia el dolor, dando más fuerzas al mal. Luego el que amado se viere, no obliga en corresponder, si daña, como se infiere. Pues oíd cómo en querer tampoco obliga el que quiere. Quien ama con fe más pura pretende de su pasión aliviar la pena dura mirando aquella hermosura que adora su corazón. El contento de miralla le obliga al ansia de vella: esto, en rigor, es amalla; luego aquel gusto que halla le obliga solo a querella. Y esto mejor se percibe del que aborrecido está, pues aquel amando vive, no por el gusto que da, sino por el que recibe. Los que aborrecidos son de la dama que apetecen, no sienten la desazón porque cansa su pasión, sino porque ellos padecen. Luego si por su tormento el desdén siente quien ama, el que quiere más atento no quiere el bien de su dama, sino su propio contento.
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vedendo, e cresce la smania quanto più bevono gli occhi. Questa è una febbre mortale. chi ricambiasse l’amore, è chiaro, sarebbe sleale, ché curerebbe il dolore dando ancor più forza al male. Dunque l’essere amati non obbliga a ricambiare, se nuoce, come si evince. Udite come a riamare neanche obbliga l’amare. Chi ama di puro amore cerca della sua passione sollievo alla pena dura guardando quella bellezza adorata dal suo cuore. Il diletto di guardarla diviene ansia di vederla: questo è, a rigore, amore; dunque è il piacere che trova a spingerlo ad amarla. Ciò si vede con chiarezza nell’amante non riamato: costui amando si nutre non del piacere che dà, ma di quello che riceve. Quelli che sono respinti dalla dama che vagheggiano, non sentono lo sconforto, consunti dalla passione ma solo perché patiscono. Se poi per il suo tormento chi ama soffre del disdegno, colui che ama con più zelo, non il bene della dama vuole, ma il suo appagamento. 2121
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A su propia conveniencia dirige Amor su fatiga; luego es clara consecuencia que ni con amor se obliga, ni con su correspondencia. El amor es una unión de dos almas, que su ser truecan por transformación, donde es fuerza que ha de haber gusto, agrado y elección. Luego si el gusto es después del agrado y la elección, y ésta voluntaria es, ya le debo obligación, si no amante, de cortés. Si vuestra razón infiere que el que ama hace obligación, ¿por qué os ofende el que quiere? Porque yo tendré razón para lo que yo quisiere. Y ¿qué razón puede ser? Yo otra razón no prevengo más que quererla tener. Pues esa es la que yo tengo para no corresponder. ¿Y si acaso el tiempo os muestra que vence vuestra porfía? Siendo una la razón nuestra, si se venciere la mía, no es muy segura la vuestra.
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Suenan los instrumentos. LAURA
Señora, los instrumentos ya de ser hora dan señas de comenzar el sarao para las Carnestolendas.
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Volge a suo vantaggio tutte le sue fatiche l’Amore; dunque è chiara conseguenza che né obbliga l’amore né il fatto di corrisponderlo. L’amore è invece un’unione di due anime che, nel fondersi, l’una nell’altra si mutano, e richiede inclinazione, nonché gradimento e scelta. Ma se quella viene dopo il gradimento e la scelta, ed è questa volontaria, si deve già gratitudine per cortesia e non amore. Se da questo deducete che colui che ama impegna, perché vi offende chi ama? Perché avrei una ragione per quello che preferisco. Che ragione può mai essere? Mi basta come ragione quella di volerla avere. Sarà la stessa che ho io per non dover ricambiare. E se la vostra fermezza il tempo dovesse vincere? La stessa opinione abbiamo; se mai la mia viene vinta, non così salda è la vostra. Si odono degli strumenti.
LAURA
Signora, coi loro suoni segnalano gli strumenti che è giunta l’ora d’inizio del ballo di Carnevale. 2123
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Y ya los Príncipes vienen. Tened todas advertencias de prevenir los colores. (¡Ah, señor, estar alerta! ¡Ay, Polilla, lo que finjo toda una vida me cuesta! Calla, que de enamoralla te hartarás al ir con ella, por la obligación del día. Disimula, que ya llegan.)
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Salen los Príncipes y los músicos cantando. MÚSICOS
BEARNE
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MÚSICOS
Venid los galanes a elegir las damas, que en Carnestolendas Amor se disfraza. Falarala, larala, etc. Dudoso vengo, señora, pues, teniendo corta estrella, vengo fïado en la suerte. Aunque mi duda es la mesma, el elegir la color me toca a mí, que el ser buena, pues le toca a mi fortuna, ella debe cuidar de ella. Pues sentaos, y cada uno elija color, y sea como es uso, previniendo la razón para escogella, y la dama que le tiene salga con él, siendo deuda el enamorarla en él y el favorecerle en ella. Venid los galanes a elegir las damas, etc.
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Ed ecco venire i Principi. State tutte ben accorte a tener pronti i colori. (Signore, state allerta! Oh, Polilla, la finzione mi tiene in sospeso l’anima! Via, di farla innamorare vi stuferete, al suo fianco negli impegni di quest’oggi. Fa’ finta di niente, vengono.) Entrano i Principi e i musicisti cantando.
MUSICISTI
BÉARN
DON GASTÓN
DIANA
MUSICISTI
O bei cavalieri scegliete le dame, è già Carnevale, Amore si maschera. Trallallà, trallallero... Dubbioso giungo, signora: senza una buona stella ho da affidarmi alla sorte. È quel dubbio pure il mio, ma un colore voglio prendere perché dipenda soltanto dalla scelta che io faccio che la fortuna mi arrida. Ora sedete e ciascuno secondo gli usi un colore scelga e si prepari a dire un motivo per la scelta, e la dama che ha il colore a lui si affianchi, con l’obbligo per lui di essere galante e per lei di compiacerlo. O bei cavalieri scegliete le dame...
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CINTIA
Esta es acción de Fortuna, y ella, por ser loca y ciega, siempre le da lo mejor a quien menos partes tenga. Por ser yo el de menos partes, es forzoso que aquí sea quien tiene más esperanza, y ansí el escoger es fuerza el color verde. (Si yo escojo de lo que queda, después de Carlos, yo elijo al de Bearne.) Yo soy vuestra, que tengo el verde. Tomad.
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Dale una cinta verde. BEARNE
Corona, señora, sea de mi suerte el favor vuestro, que, a no serlo, elección fuera.
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Danzan una mudanza y pónense mascarillas y retíranse a un lado, quedando en pie. MÚSICOS
DON GASTÓN
FENISA
Vivan los galanes con sus esperanzas, que para ser dichas el tenerlas basta. Falarala, larala, etc. Yo nunca tuve esperanza, sino envidia, pues cualquiera debe más favor que yo a las luces de su estrella; y, pues siempre estoy celoso, azul quiero. Yo soy vuestra, que tengo el azul. Tomad.
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Ora tocca alla Fortuna, che, in quanto cieca e folle, concede sempre il meglio a chi meno ne par degno. Essendo io il meno degno, più di ogni altro mi devo affidare alla speranza, e ho da scegliere così il colore verde. (Se io scelgo tra quelli che restano, tolto Carlos, preferisco Béarn.) A voi sono assegnata, poiché ho il verde. Prendete.
BÉARN
CINTIA
Gli porge un nastro verde. Il favor vostro coroni una fortuna, signora, che avrei voluto scegliere.
BÉARN
Eseguono una figura di danza, si mettono delle maschere e si ritirano da un lato, rimanendo in piedi. MUSICISTI
DON GASTÓN
FENISA
Viva i cavalieri con le lor speranze, perché siano gioie sol basta nutrirle. Trallallà, trallallero... Io non ho avuto speranze bensì invidia, poiché a tutti si mostra più favorevole che a me la buona stella, e poiché sono geloso l’azzurro voglio. Son vostra, ho l’azzurro. Ecco, prendete. 2127
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Dale una azul. DON GASTÓN
Mudar de color pudiera, pues ya, señora, mi envidia con tan buena suerte cesa.
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Danzan y retíranse. MÚSICOS
POLILLA DIANA POLILLA
DIANA POLILLA
LAURA
No cesan los celos por lograr la dicha, pues los hay entonces de los que la envidian. Falarala, falarala, etc. Y yo ¿he de elegir color? Claro está. Pues vaya fuera, que ya salirme quería a la cara, de vergüenza. ¿Qué color pides? Yo tengo hecho el buche a damas feas, de suerte que habrá de ser muy mala la que me quepa. De las damas que aquí miro no hay ninguna que no sea como una rosa, y pues yo la he de hacer mala por fuerza, por si ella es como una rosa, yo la quiero rosa seca. Rosa seca, sal acá. ¿Quién le tiene? Yo soy vuestra, que tengo el color. Tomad.
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Dale una cinta.
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Gliene porge uno azzurro. DON GASTÓN
Cambiar colore potrei, signora: la mia invidia con tanta fortuna cessa. Danzando si ritirano da un lato.
MUSICISTI
POLILLA DIANA POLILLA
DIANA POLILLA
LAURA
Gelosia non muore con la buona sorte, gelosi rivali ha sempre chi ama. Trallallà, trallallero... Io pure scelgo un colore? Ma certo. Fuori allora, perché un po’ sta per spuntarmi sul viso, per la vergogna. Che colore scegli? Sono un tipo avvezzo alle brutte, per cui una proprio orribile mi dovrebbe capitare. Tra le dame qui riunite non c’è n’è una che non sia come una rosa, e siccome si guasterà accanto a me, se lei somiglia a una rosa, voglio il color rosa secca. Rosa secca, vieni fuori. Chi ce l’ha? Sono con voi, l’ho io il colore. Prendete. Gli porge un nastro.
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LAURA POLILLA
LAURA
POLILLA
¿Yo aquí he de favorecerla y ella a mí ha de enamorarme? No, sino al revés. Pues vuelta: enamóreme al revés. Que no ha de ser eso, bestia, sino enamorarme tú. ¿Yo? Pues toda la manteca, hecha pringue en la sartén, a tu blancura no llega, ni con tu pelo se iguala la frisa de la bayeta, ni dos ojos de jabón más que los tuyos blanquean; ni siete bocas hermosas, las unas tras otras puestas, son tanto como la tuya; y no hablo de pies y piernas, porque no hilo tan delgado, que aunque yo con tu belleza he caído, no he caído, pues no cae el que no peca.
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Danzan y retíranse. MÚSICOS
CARLOS
Quien a rosas secas su elección inclina, tiene amor de rosas y temor de espinas. Falarala, etc. Yo a elegir quedo el postrero, y ha sido por la violencia que me hace la obligación de haber de fingir finezas; y pues ir contra el dictamen del pecho es enojo y pena, para que lo signifique,
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Io la dovrei compiacere e lei deve corteggiarmi? No, a rovescio. Ecco, mi volto: a rovescio corteggiatemi! Asino, non hai capito, tu mi devi corteggiare. Io? Dico che tutto il lardo disciolto in una padella al tuo biancore non giunge, né può la frangia del panno eguagliare la tua chioma, né due mani di sapone fanno meglio delle tue; né sette boccucce belle, le une accanto alle altre, potran la tua pareggiare; non parlo di piedi e gambe, perché non ricamo troppo, e innanzi alla tua bellezza son caduto, ma non proprio, ché non cade chi non pecca. Danzando si ritirano da un lato.
MUSICISTI
CARLOS
Chi a rosa secca la scelta destina, amore ha di rosa, timore di spina. Trallallà, trallallero... A scegliere sono l’ultimo, si intende: mi fa violenza avere assunto l’obbligo di fingere gentilezze; e se avversare il volere del cuore è duro e penoso, perché esprima questa lotta, 2131
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de los colores que quedan, pido el color nacarado. ¿Quién le tiene? Yo soy vuestra, que tengo el nácar. Tomad.
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Dale una cinta de nácar. CARLOS
Si yo, señora, supiera el acierto de mi suerte, no tuviera por violencia fingir amor, pues ahora le debo tener de veras.
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Danzan y retíranse. MÚSICOS
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Iras significa el color de nácar; el desdén no es ira; quien tiene iras ama. Falarala, etc. (Ahora te puedes dar un hartazgo de finezas: come para quince días, mas no te ahítes con ellas.) Guíe la música, pues, a la plaza de las fiestas, y ya galanes y damas vayan cumpliendo la deuda. Vayan los galanes todos con sus damas, que en Carnestolendas Amor se disfraza. Falarala, etc.
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Vanse todos de dos en dos, y al entrar se detienen Diana y Carlos. 2132
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tra i colori che rimangono, scelgo il color madreperla. Chi ce l’ha? Io sono con voi, ho il madreperla. Prendete. Gli porge un nastro color madreperla.
CARLOS
Se avessi la mia fortuna saputo, signora, a tempo, io non mi sarei sforzato di fingere quell’affetto che ora vi devo sul serio. Danzando si ritirano da un lato.
MUSICISTI
POLILLA
DIANA
MUSICISTI
È dell’ira segno color madreperla; non lo è il disdegno; d’amor l’ira è segno. Trallallà, trallallero... (Ora fatevi una bella spanciata di tenerezze, buona per quindici giorni, e attento alle indigestioni!) La musica si diriga alla piazza delle feste, e le dame e i cavalieri come è dovuto procedano. Orsù, cavalieri, scegliete una dama, è già Carnevale e Amore si maschera. Trallallà, trallallero... Escono tutti, a due a due, e, quando fanno per uscire, Diana e Carlos restano in scena. 2133
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(Yo he de rendir este hombre, o he de condenarme a necia.) ¡Qué tibio galán hacéis! Bien se ve en vuestra tibieza que es violencia enamorar; y siendo el fingirlo fuerza, no saberlo hacer no es falta de amor, sino de agudeza. Si yo hubiera de fingirlo no tan remiso estuviera, que donde no hay sentimiento está más prompta la lengua. Luego ¿estáis enamorado de mí? Si no lo estuviera, no me atara este temor. ¿Qué decís? ¿Habláis de veras? Pues si el alma lo publica, ¿puede fingirlo la lengua? Pues ¿no dijistes que vos no podéis querer? Eso era porque no me había tocado el veneno de esta flecha. ¿Qué flecha? La de esta mano, que el corazón me atraviesa; y, como el pez que introduce su venenosa violencia por el hilo y por la caña y al pescador pasma y hiela el brazo con que la tiene, a mí el alma me penetra el dulce, ardiente veneno que de vuestra mano bella se introduce por la mía y hasta el corazón me llega.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO SECONDO DIANA
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(Se non m’impongo a quest’uomo, sono davvero una sciocca.) Vi trovo un poco tiepido! Si vede fin troppo bene quanto dobbiate sforzarvi; se è un dovere, affetto fingere, non riuscirci non è assenza d’amore, bensì d’ingegno. Ma se io fingere dovessi, non sarei così restio: quando non c’è sentimento più sciolta appare la lingua. Dunque siete innamorato di me? Oh, se non lo fossi, non avrei questo timore. Cosa? Parlate sul serio? Se lo manifesta l’anima, la lingua lo può celare? Ma di non potere amare non avete detto? Questo perché non mi aveva colto il veleno di una freccia. Che freccia? La vostra mano, che il cuore mi trapassa; come il pesce che trasmette la sua velenosa scarica alla lenza e alla canna, e del pescatore scuote il braccio con cui la tiene, a me l’anima invade il dolce, ardente veleno che la vostra mano bella sta trasmettendo alla mia penetrando fino al cuore. 2135
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(Albricias, ingenio mío, que ya rendí su soberbia. Ahora probará el castigo del desdén de mi belleza.) Que, en fin, ¿vos no imaginabais querer, y queréis de veras? Toda el alma se me abrasa, todo mi pecho es centellas. Temple en mí vuestra piedad este ardor que me atormenta. Soltad. ¿Qué decís? ¡Soltad!
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Quítase la mascarilla Diana y suéltale la mano.
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¿Yo, favor? La pasión ciega para el castigo os disculpa, mas no para la advertencia. ¿A mí me pedís favor diciendo que amáis de veras? (¡Cielos, yo me despeñé! Pero válgame la enmienda.) ¿No os acordáis de que os dije que en queriéndome era fuerza que sufrieseis mis desprecios sin que os valiese la queja? Luego ¿de veras habláis? Pues ¿vos no queréis de veras? ¿Yo, señora? Pues ¿se pudo trocar mi naturaleza? ¿Yo querer de veras? ¿Yo? ¡Jesús, qué error! ¿Eso piensa vuestra hermosura? ¿Yo, amor? Pues, cuando yo le tuviera, de vergüenza le callara. Esto es cumplir con la deuda de la obligación del día.
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(Rallègrati, ingegno mio, hai vinto la sua superbia. Ora proverà il sapore amaro del mio disdegno.) Non lo credevate e ora amate di vero amore? Tutta l’anima mia è in fiamme, tutto il mio petto divampa. La vostra pietà attenui l’ardore che mi tormenta. Lasciatemi! Cosa dite?
Diana si toglie la maschera e si divincola dalla mano di Carlos.
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Pietà? La passione cieca vi dispensa dal castigo, ma non dall’ammonimento. A me chiedete pietà ed ora dite di amarmi? (Cielo, sono rovinato! Ma posso ancora salvarmi.) Ricordate che vi dissi che se mi aveste amato vi attendeva il mio disprezzo e senza alcuna pietà? Ma parlate seriamente? Voi non amate sul serio? Io, signora? Ma poteva cambiare la mia natura? Io amare sul serio? Io? Quale errore! Questo crede la vostra bellezza? Amore? E poi, se mai io amassi, lo tacerei per vergogna. Fatto ho solo il mio dovere in questo giorno di festa.
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¿Qué decís? ¡Yo estoy muerta! ¿Que no es de veras? ¿Qué escucho? Pues ¿cómo aquí...? (¡[A] hablar no acierta mi vanidad, de corrida!) Pues vos, siendo tan discreta, ¿no conocéis que es fingido? Pues ¿aquello de la flecha, del pez, el hilo y la caña, y decir que el desdén era porque no os había tocado del veneno la violencia? Pues eso es fingirlo bien. ¿Tan necio queréis que sea que cuando a fingir me pongo lo finja sin apariencias? (¿Qué es esto que me sucede? ¿Yo he podido ser tan necia que me haya hecho este desaire? Del incendio de esta afrenta el alma tengo abrasada. Mucho temo que lo entienda. Yo he de enamorar a este hombre, si toda el alma me cuesta.) Mirad que esperan, señora. (¡Que a mí este error me suceda!) Pues ¿cómo vos...? ¿Qué decís? (¿Qué iba yo [a] hacer? ¡Ya estoy ciega!) Poneos la máscara y vamos. (No ha sido mala la enmienda. ¿Ansí trata el rendimiento? ¡Ah, cruel! ¡Ah, ingrata! ¡Ah, fiera! ¡Yo echaré sobre mi fuego toda la nieve del Etna!) Cierto que sois muy discreto, y lo fingís de manera que lo tuve por verdad.
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Che dite? (Sono finita!) Non era vero? Cosa odo? Ma come...? (Non sa parlare la mia vanità, confusa!) Tanto accorta e non avete visto che stavo fingendo? Ma... nominare la freccia, e pesce, lenza e canna, dire che il disdegno c’era perché non vi aveva colto la scarica del veleno? Mentivo come si deve. Così sciocco mi pensate da credere che se fingo lo faccia senza sagacia? (Ma che cosa mi succede? Sono stata così sciocca da lasciarmi oltraggiare? Per l’incendio dell’affronto ho l’anima tutta in fiamme. Temo se ne possa accorgere. Ma lo farò innamorare, dovessi perderci l’anima.) Siamo attesi, signora. (Io cadere in questo errore!) Ma come, voi...? Cosa dite? (Che faccio mai? Sono cieca!) Si va, mettete la maschera. (Non ne sono uscito male. Così tratta chi si arrende? Com’è crudele e ingrata! Getterò sul mio ardore tutta la neve dell’Etna!) Siete davvero sagace e fingete in modo tale che ho creduto fosse vero. 2139
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Cortesanía fue vuestra el fingiros engañada, por favorecer con ella; que con eso habéis cumplido con vuestra naturaleza y la obligación del día, pues fingiendo la cautela de engañaros, porque a mí me dais crédito con ella, favorecéis el ingenio y despreciáis la fineza. (Bien agudo ha sido el modo de motejarme de necia; mas ansí le he de engañar.) Venid, pues, y aunque yo sepa que es fingido, proseguid, que eso a estimaros me empeña con más veras. ¿De qué suerte? Hace a mi desdén más fuerza la discreción que el amor, y me obligáis más con ella. (¡Quién no entendiese tu intento! Yo le volveré la flecha.) ¿No proseguís? No, señora. ¿Por qué? Me ha dado tal pena el decirme que os obligo, que me ha hecho perder la senda del fingirme enamorado. Pues vos ¿qué perder pudierais en tenerme a mí obligada con vuestra atención discreta? Arriesgarme a ser querido. Pues ¿tan mal os estuviera?
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Vera finezza, la vostra, di fingervi ingannata solo per mostrar favore; così avete soddisfatto la vostra stessa natura e gli obblighi della festa, ché fingendo con astuzia di esservi fatta ingannare, accrescete la mia fama e assecondate l’ingegno disdegnando la lusinga. (Un modo arguto ha trovato per darmi ora della sciocca! Ma lo ingannerò anch’io.) Venite, su, e seguitate, pure se io lo so, a fingere: questo mi impegna a stimarvi ancora di più. In che modo? L’ingegno più dell’amore può fiaccare il mio disdegno e spingermi a favorirvi. (Sin troppo chiaro l’intento! Io le restituisco il colpo.) Seguitate? No, signora. Perché? Tanto mi addolora sapere che siete in obbligo che voglio lasciar la via del fingermi innamorato. Ma cosa ci rimettete a mantenermi nell’obbligo con un misurato garbo? C’è il rischio di essere amato. E sarebbe un grande male?
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Señora, no está en mi mano; y si yo en eso me viera, fuera cosa de morirme. (¡Que esto escuche mi belleza!) Pues ¿vos presumís que yo puedo quereros? Vos mesma decís que la que agradece está de querer muy cerca; pues quien confiesa que estima, ¿qué falta para que quiera? Menos falta para injuria a vuestra loca soberbia; y eso poco que le falta, pasando ya de grosera, quiero escusar en dejaros. Idos. Pues ¿cómo a la fiesta queréis faltar? ¿Puede ser sin dar causa a otra sospecha? Ese riesgo a mí me toca. Decid que estoy indispuesta, que me ha dado un accidente. Luego con eso licencia me dais para no asistir. Si os mando que os vais, ¿no es fuerza? Me habéis hecho un gran favor. Guarde Dios a Vuestra Alteza.
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¿Qué es lo que pasa por mí? ¡Tan corrida estoy, tan ciega, que si supiera algún medio de triunfar de su soberbia, aunque arriesgara el respeto,
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Ciò non dipende da me; e se dovesse accadermi, io potrei anche morirne. (Che ode mai la mia bellezza!) E voi presumete che io possa amarvi? Avete detto che chi mostra gradimento è a un passo dall’amore; a chi ammette di stimare cosa manca perché ami? Meno manca per l’ingiuria alla vostra sfrontatezza; e quel poco che ora manca, a rischio di esser scortese, lo evito restando sola. Andate. Come, la festa disertate? Non potrà che alimentare sospetti... È un rischio che correrò. Dite che sono indisposta, che ho avuto un mancamento. Dunque licenza con ciò mi date di non assistervi. Ve l’ordino. È sufficiente? Mi avete reso un favore. Dio protegga Vostra Altezza. Esce.
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Che cosa mi sta accadendo? Mi sento così sconvolta che se conoscessi un mezzo per vincerne la superbia anche arrischiando l’onore,
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por rendirle a mi belleza, a costa de mi decoro comprara la diligencia! Sale Polilla. POLILLA
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¿Qué es esto, señora mía? ¿Cómo se ha aguado la fiesta? Hame dado un accidente. Si es cosa de la cabeza, dos parches de tacamaca, y que te traigan las piernas. No tienen piernas las damas. Pues por esa razón mesma digo yo que te las traigan. Mas ¿qué ha sido tu dolencia? Aprieto del corazón. ¡Jesús! Pues si no es más de esa, sangrarte y purgarte luego, y echarte unas sanguijuelas, dos docenas de ventosas, y al instante estarás buena. Caniquí, yo estoy corrida de no vencer la tibieza de Carlos. Pues ¿eso dudas? ¿Quieres que por ti se pierda? Pues ¿cómo se ha de perder? Hazle que tome una renta. Pero, de veras hablando, tú, señora, ¿no deseas que se enamore de ti? Toda mi corona diera por verle morir de amor. Y ¿es eso cariño o tema? La verdad, ¿te entra el Carlillos? ¿Qué es cariño? Yo soy peña.
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per piegarlo ai miei incanti a costo del mio decoro risolverei la faccenda! Entra Polilla. POLILLA
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Che vi accade, mia signora? Cosa rovina la festa? Ho avuto un mancamento. Se è mal di capo ci vogliono due begli impiastri di resina e una fregata alle gambe. Non hanno gambe le dame. Proprio per questo, che importa se dovessero fregarvele? Di quale male soffrite? Complicazioni del cuore. Gesù! Se non è che questo, un salasso e poi una purga, nonché delle sanguisughe, due dozzine di ventose e all’istante guarirete. Mi sconcerta, Caniquí, non vincere la freddezza di Carlos. Ne dubitate? Lo volete rovinare? Sì, ma come posso fare? Fategli prendere un buono del tesoro! Ora, sul serio: voi, signora, non volete che s’innamori di voi? La mia corona darei perché morisse d’amore. Per affetto o fissazione? Vi solletica il Carlino? Affetto? Sono una pietra. 2145
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Para abrasarle a desprecios, a desaires y a violencias, lo deseo sólo. (¡Zape! Aún está verde la breva; mas ella madurará, como hay muchachos y piedras.) Yo sé que él gusta de oír cantar. Mucho, como sea la Pasión o algún buen salmo cantado con castañetas. ¿Salmo? ¿Qué dices? Es cosa, señora, que esto le eleva. Lo que es música de salmos, pierde su juicio por ella. Tú has de hacer por mí una cosa. ¿Qué? Abierta hallarás la puerta del jardín; yo con mis damas estaré allí, y, sin que él sepa que es cuidado, cantaremos; tú has de decir que le llevas porque nos oiga cantar, diciendo que, aunque le vean, a ti te echarán la culpa. Tú has pensado brava treta, porque en viéndote cantar se ha de hacer una jalea. Pues ve a buscarle al momento. Llevarele con cadena. A oír cantar irá el otro tras un entierro; mas sea buen tono. ¿Qué te parece?
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Per colpirlo con lo sprezzo, con offese e con violenza lo desidero. (Salute! Ancora è acerbo ’sto fico! Maturerà, quant’è vero che ci son ragazzi e pietre.) So che gli piace sentire cantare. Molto, se è un canto di Passione o un bel salmo dalle nacchere ritmato. Salmo? Che dici? Son cose, o signora, che lo esaltano. Quando si tratta di salmi perde davvero la testa. Dovresti farmi un piacere. Sì? Aperta vedrai la porta del giardino; sarò là con le mie dame a cantare e non saprà che è un tranello; dovrai dirgli che lo chiami perché venga ad ascoltarci e che se sarete visti a te daranno la colpa. Proprio una bella trovata! Quando egli vi udrà cantare andrà in brodo di giuggiole. Vallo a cercare subito. Ce lo porto incatenato. Lui, pur di udire dei canti, seguirebbe un funerale; fate un bel motivo. Quale?
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Alguna cosa burlesca que tenga mucha alegría. ¿Cómo qué? ¿Un requiem aeternam? Mira que voy al jardín. Pues ponte como una Eva, para que caiga este Adán. Allá espero.
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¡Norabuena, que tú has de ser la manzana y has de llevar la culebra! (Señores, ¡que estas locuras ande haciendo una Princesa! Mas, quien tiene la mayor, ¿qué mucho que estotras tenga? Porque las locuras son como un plato de cerezas, que en tirando de la una, las otras se van tras ella.)
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Sale Carlos. CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA
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¿Polilla, amigo? Carlos, ¡bravo cuento! Pues ¿qué ha habido de nuevo? Vencimiento. Pues tú ¿qué has entendido? Que, para enamorarte, me ha pedido que te lleve al jardín, donde has de vella más hermosa y brillante que una estrella, cantando con sus damas; que, como te imagina duro tanto, ablandarte pretende con el canto. ¿Eso hay? Mucho lo estraño.
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Qualche cosa di spassoso e di parecchio allegro. A esempio? Un requiem aeternam? Io me ne vado in giardino. Vestitevi come una Eva perché cada questo Adamo. Ti aspetto là. Esce.
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Complimenti: tu dovrai fare da mela e restare buggerata! (Signori, veder follie tali in una Principessa...! Ma se compie la più grande, come stupirsi delle altre? Perché sono le follie come un piatto di ciliegie: cominci infatti con una e tante altre le van dietro.) Entra Carlos.
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CARLOS
Polilla, e allora? Carlos, buone nuove! Cos’è accaduto di nuovo? Vittoria. Ma dimmi, cos’hai inteso? Per farvi innamorare, lei m’ha chiesto di condurvi in giardino, ove starà, più bella e luminosa di una stella, a cantar con le dame; e siccome vi immagina assai duro, di ammorbidirvi spera con il canto. Sì? Molto mi stupisce. 2149
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Mira si es liviandad de buen tamaño, y si está ya harto ciega, pues esto hace y de mí a fïarlo llega.
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Tañen dentro. CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA
Ya escucho el instrumento. Esta ya es tuya. Calla, que cantan ya. Pues ¡aleluya! Cantan.
POLILLA CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS
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Olas eran de zafir las del mar sola esta vez, con el que siempre le aclaman los mares segundo rey. Vamos, señor. ¿Qué dices? Que yo muero. Deja eso a los pastores del Arcadia y vámonos allá, que esto es primero. Y ¿qué he de hacer? Entrar y no miralla y divertirte con la copia bella de flores; y aunque ella se haga rajas cantando, no escuchalla, por que se abrase. No podré emprendello. ¿Cómo no? ¡Vive Cristo que has de hacello, o te tengo de dar con esta daga que traigo para eso, que esta llaga se ha de curar con escozor! No intentes eso, que no es posible que lo allanes. Señor, tú has de sufrir polvos de Joanes, que toda el alma tienes ya podrida.
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Vedete se non è incoscienza grande, e se non è offuscata, dato quello che fa e che a me s’affida. Si odono accordi.
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Sento già i primi accordi. Son per voi. Zitto, ché cantano già. E alleluia! Cantano.
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CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS
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Eran di zaffiro l’onde del mare per l’occasione, con esse sempre l’acclamano i mari secondo re. Forza, signore. Che dici? Io muoio. Lasciate pure le sdolcinatezze ai pastori d’Arcadia e andiamo là. Che devo fare? Entrare, non guardare e intrattenervi con l’esuberanza dei fiori; e anche se lei si sgolerà a cantare, non uditela, perché bruci di rabbia. Non ci riesco. Come no? Viva il cielo, lo farete, o colpirvi dovrò con questa daga, la porto apposta, perché questa piaga va curata col fuoco. Non provarci, la cosa non potresti sistemare. Polveri di mercurio vi ci vogliono, ormai avete il cuore tutto marcio.
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Cantan dentro. CARLOS POLILLA
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Otra vez cantan; oye, por tu vida. ¡Pesia mi alma, vamos, no en eso tiempo pierdas! Atendamos, que luego entrar podemos. Allá, desde más cerca, escucharemos. ¡Anda con Barrabás! Oye primero. Has de entrar, ¡vive Dios! Oye. No quiero.
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Métele a empujones. Salen Diana y todas las damas en guardapieses y justillos, cantando. DAMAS
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DIANA LAURA
Olas eran de zafir las del mar sola esta vez, con el que siempre le aclaman los mares segundo rey. ¿No habéis visto entrar a Carlos? No solo no le hemos visto, mas ni aun de que venir pueda en el jardín hay indicio. Laura, ten cuenta si viene. Ya yo, señora, lo miro. Aunque arriesgue mi decoro, he de vencer sus desvíos. Cierto que estás tan hermosa, que ha de faltarle el sentido si te ve y no se enamora. Mas, señora, ya le he visto, ya está en el jardín. ¿Qué dices? Que con Caniquí ha venido.
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Cantano dentro. CARLOS POLILLA
CARLOS
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Di nuovo cantano; ascolta, ti prego. Non c’è preghiere, andiamo, non si perda altro tempo! Aspettiamo, possiamo entrare dopo. Da laggiù, più vicini, ascolteremo. Che il diavolo vi porti! Prima senti... Entrate, vivaddio! Ma senti... Niente!
Lo spinge verso il centro della scena. Entrano cantando Diana e tutte le dame, in corpetto e gonnella. DAME
DIANA CINTIA
DIANA LAURA DIANA
LAURA
DIANA LAURA
Eran di zaffiro l’onde del mare per l’occasione, con esse sempre l’acclamano i mari secondo re. Non avete visto Carlos? Non solo non lo si è visto, ma non c’è nessun indizio che possa venire qui. Laura, avvertimi se arriva. Signora, ecco, già lo vedo. Ci rimettessi il decoro, voglio vincerne il disdegno. Oggi siete così bella che sarebbe proprio sciocco se di voi non si invaghisse. Signora, l’ho già veduto, è qui in giardino. Che dici? Con Caniquí è venuto.
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Pues volvamos a cantar, y sentaos todas conmigo. Siéntanse todas, y salen Polilla y Carlos.
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POLILLA
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No te derritas señor. Polilla, ¿no es un prodigio su belleza? En aquel traje doméstico es un hechizo. ¡Qué bravas están las damas en guardapiés y justillo! ¿Para qué son los adornos donde hay sin ellos tal brío? Mira: estas son como el cardo, que el hortelano advertido le deja las pencas malas, que, aunque no son de servicio, abultan para venderle; pero, después de vendido, solo se come el cogollo. Pues las damas son lo mismo: lo que se come es aquesto, que el moño y el artificio de las faldas son las pencas que se echan a los borricos. Pero vuelve allá la cara, no mires, que vas perdido. Polilla, no he de poder. ¿Qué llamas no? ¡Vive Cristo que has de meterte la daga si vuelves!
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Pónele la daga a la cara. CARLOS POLILLA
Ya no la miro. Pues la estás oyendo, engaña los ojos con los oídos.
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Allora cantiamo ancora, sedetemi tutte accanto. Si siedono tutte ed entrano Polilla e Carlos.
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CARLOS
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CARLOS POLILLA
Non vi sciogliete, signore. Polilla, non è un prodigio la sua bellezza? In quei panni domestici è incantevole. Come stan bene le dame in corpetto e in gonnella! Perché gli ornamenti quando hanno, senza, tanta grazia? Guardate: son come i cardi, a cui l’ortolano scaltro lascia le foglie più dure, che, pur se inutilizzabili, ne fanno aumentare il peso e poi, una volta venduti, se ne mangia solo il cuore. È lo stesso con le donne: si mangia quel che sta al centro, e la crocchia e gli artifici delle vesti sono foglie che si buttano ai somari. Ma ora volgete la testa, non guardate o vi perdete. Polilla, non ce la faccio. Come dite? Vivaddio, vi pungete con la daga se vi girate! Gli punta la daga sul viso.
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Non guardo. Poiché la udite, ingannate gli occhi con le orecchie. 2155
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA CARLOS
CINTIA DIANA
Pues vámonos alargando, porque si canta, el no oírlo no parezca que es cuidado, sino divertirme el sitio. Ya te escucha, cantar puedes. Ansí vencerle imagino.
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Cantan.
DIANA LAURA DIANA CINTIA CARLOS
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El que sólo de su abril escogió mayo cortés, por gala de su esperanza, las flores de su desdén... ¿No ha vuelto a oír? No, señora. ¿Cómo no? Pues ¿no me ha oído? Puede ser, porque está lejos. En toda mi vida he visto más bien compuesto jardín. Vaya de eso, que eso es lindo. El jardín está mirando: ¿este hombre está sin sentido? ¿Qué es esto? Cantemos todas para ver si vuelve a oírnos.
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Cantan todas.
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A tan dichoso favor sirva tan florido mes; por gloria de sus trofeos, rendido le bese el pie. ¡Qué bien hecho está aquel cuadro de sus armas! ¡Qué pulido! Harto más pulido es eso. ¡Que esto escucho! ¡Que esto miro! ¿Los cuadros está alabando cuando yo canto!
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Attardiamoci un poco perché, se canta, non sembri che non la udiamo apposta ma che ci affascina il luogo. Ora ti può udire, canta. Così spero di sconfiggerlo. Cantano.
DIANA LAURA DIANA CINTIA CARLOS
POLILLA DIANA
Chi nel ridente aprile invoca maggio gentile per fregio della speranza con i fiori del disdegno... Non si volge? No, signora. Ma come? Non m’ha udito? Forse no, è molto lontano. In vita mia non ho visto un giardino più curato. Dateci dentro, bel colpo! Il giardino sta guardando: quest’uomo è privo di senno? Ma come? Cantiamo tutte per vedere se si volge. Cantano tutte insieme.
CARLOS
POLILLA DIANA
A tali lieti favori arrida il fiorito mese; a gloria dei suoi trofei, umile ne baci il piede. Ma com’è bella quell’aiola con lo stemma! Com’è fine! È più fine quel che dite. Cosa sento! Cosa vedo! Le aiole si mette a elogiare mentre canto! 2157
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA CARLOS
POLILLA
DIANA
No he visto hiedra más bien enlazada. ¡Qué hermoso verde! Eso pido: date en lo verde, que engordas. No me ha visto o no me ha oído. Laura, al descuido le advierte que estoy yo aquí.
1905
Levántase Laura. CINTIA
LAURA
CARLOS
POLILLA DIANA LAURA DIANA
(Este capricho la ha de despeñar a amar.) Carlos, estad advertido que está aquí dentro Dïana. Tiene aquí un famoso sitio: los laureles están buenos; pero entre aquellos jacintos, aquel pie de guindo afea. ¡Oh, qué lindo pie de guindo! ¿No se lo advertiste, Laura? Ya, señora, se lo he dicho. Ya no yerra de ignorancia; pues ¿cómo está divertido?
1910
1915
Pasan por delante de ellas, llevándole Polilla la daga junto a la cara, por que no vuelva. POLILLA
CARLOS
POLILLA
CARLOS POLILLA
Señor, por aquesta calle pasa sin mirar. Rendido estoy a mi resistencia; volver temo. ¡Ten, por Cristo, que te herirás con la daga! Yo no puedo más, amigo. Hombre, mira que te clavas.
1920
1925
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO SECONDO CARLOS
POLILLA
DIANA
Mai vista edera intrecciata così bene. Graziosa verzura! Ecco, altra verdura: fa bene! Non mi ha visto o non mi ha udito. Che sappia in modo discreto che son qui. Si alza Laura.
CINTIA
LAURA
CARLOS
POLILLA DIANA LAURA DIANA
(Questo capriccio ha da spingerla ad amare.) Carlos, vi vengo a avvertire che Diana è nel giardino. Quant’è bello questo luogo! Gli allori sono magnifici, ma in mezzo a quei giacinti stona un poco quel ciliegio. Com’è di pregio il ciliegio! Non l’hai avvertito, Laura? Signora, gliel’ho già detto. Non pecca per ignoranza; ora come mai è distratto? Passano dinanzi ad esse, mentre Polilla gli tiene puntata la daga sul viso, perché non si volti.
POLILLA
CARLOS
POLILLA
CARLOS POLILLA
Signore, da quel vialetto, ma senza voltarvi. Vinta è ormai la mia resistenza; mi volterò, temo. Fermo o vi ferirà la daga! Non ne posso più, amico. Occhio, che vi trafiggete! 2159
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA DIANA LAURA DIANA
¿Qué quieres? Ya me he vencido. Vuelve por estotro lado. ¿Por acá? Por allá digo. ¿No ha vuelto? Ni lo imagina. Yo no creo lo que miro; Fenisa, ve tú al descuido, y vuelve a darle el aviso.
1930
Levántase Fenisa. POLILLA
FENISA CARLOS POLILLA FENISA CARLOS
DIANA
Otro correo dispara, mas no dan lumbre los tiros. ¿Carlos? ¿Quién llama? ¿Quién es? Ved que Dïana os ha visto. Admirado de esta fuente, en verla me he divertido y no había visto a Su Alteza; decid que ya me retiro. (¡Cielos!, sin duda se va.) Oíd, escuchad, a vos digo.
1935
1940
Levántase. CARLOS DIANA CARLOS DIANA
CARLOS
¿A mí, señora? Sí, a vos. ¿Qué mandáis? ¿Cómo, atrevido, habéis entrado aquí dentro, sabiendo que en mi retiro estaba yo con mis damas? Señora, no os había visto: la hermosura del jardín me llevó, y perdón os pido.
1945
1950
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO SECONDO CARLOS POLILLA CARLOS POLILLA DIANA LAURA DIANA
Che vuoi? Ho fatto sin troppo. Girate da questa parte. Per di qua? No, per di là. Si volge? Neanche ci pensa. Non credo a quel che vedo; va’ da lui in modo discreto ed avvertilo di nuovo. Si alza Fenisa.
POLILLA
FENISA CARLOS POLILLA FENISA CARLOS
DIANA
Un altro corriere lancia, ma non vanno a segno i colpi. Carlos? Chi mi chiama? Chi è? Sentite: Diana vi ha visto. Rapito da questa fonte mi sono distratto e visto non avevo Sua Altezza; ditele che mi ritiro. (Cielo! Se ne va di certo.) Ehi, udite: dico a voi! Si alza.
CARLOS DIANA CARLOS DIANA
CARLOS
A me, signora? Sì, a voi. Cosa mi ordinate? Come avete osato entrare, sapendo che ritirata mi ero qui con le mie dame? Signora, io non vi ho vista: la bellezza del giardino mi ha attirato, e me ne scuso. 2161
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA DIANA
CARLOS DIANA CARLOS
(Esto es peor, que aun no dice que para escucharme vino.) Pues ¿no me oístes? No, señora. No es posible. Un yerro ha sido, que solo enmendarse puede con no hacer más el delito.
1955
Vase. CINTIA DIANA
CINTIA LAURA
Señora, este hombre es un tronco. Dejadme, que sus desvíos el sentido han de quitarme. (Laura, esto va ya perdido. Si ella no está enamorada de Carlos, ya va camino.)
1960
Vase. DIANA
POLILLA
DIANA POLILLA DIANA
POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA
¡Cielos! ¿Qué es esto que veo? Un Etna es cuanto respiro. ¡Yo despreciada! (Eso sí, ¡pesia su alma!, dé brincos.) ¿Caniquí? ¿Señora mía? ¿Qué es esto? ¿Este hombre no vino a escucharme? Sí, señora. Pues ¿cómo no ha vuelto a oíllo? Señora, es loco de atar. Pues ¿qué respondió o qué dijo? Es vergüenza. Dilo, pues.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO SECONDO DIANA
CARLOS DIANA CARLOS
(Di male in peggio! Non dice che è venuto ad ascoltarmi.) Non mi avete udito? No. Impossibile. Ma è stato un errore che riparo ponendo fine all’offesa. Esce.
CINTIA DIANA
CINTIA LAURA
Quest’uomo è come un tronco. Lasciatemi: il suo disdegno mi sta facendo impazzire. (Laura, ormai è spacciata. Se non si è già innamorata di Carlos, è sulla via.) Esce.
DIANA
POLILLA
DIANA POLILLA DIANA
POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA
Cielo! Che cosa ho mai visto? Come l’Etna è il mio respiro. Io disprezzata! (Ecco, dài, animuccia in pena, scalpita.) Caniquí? Sì, mia signora? Quell’uomo non è venuto a ascoltarmi? Sì, signora. Ma perché non si è voltato? Solo è matto da legare. Ma che ha risposto, che ha detto? È una vergogna. Su, parla.
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA SEGUNDA POLILLA
DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA
Que cantabais como niños de escuela y que no quería escucharos. ¿Eso ha dicho? Sí, señora. ¿Hay tal desprecio? Es un bobo. ¡Estoy sin juicio! No hagas caso... ¡Estoy mortal! ...que es un bárbaro. Eso mismo me ha de obligar a rendirle, si muero por conseguirlo.
1975
1980
Vase. POLILLA
¡Buena va la danza, alcalde, y da en la albarda el granizo!
1985
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO SECONDO POLILLA
DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA POLILLA DIANA
Che come le scolarette cantavate e non voleva ascoltarvi. Questo ha detto? Sì, signora. Quale affronto! Uno sciocco... Io impazzisco! Non ci badate... Io muoio! È un selvaggio. Proprio questo m’impegnerà a conquistarlo, mi costasse pur la vita. Esce.
POLILLA
Il ballo va a meraviglia: le salta la mosca al naso!
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA
JORNADA TERCERA Salen Carlos, Polilla, don Gastón y el de Bearne. BEARNE
CARLOS BEARNE POLILLA
BEARNE
CARLOS DON GASTÓN
Carlos, nuestra amistad nos da licencia de valernos de vos para este intento. Ya sabéis que es segura mi obediencia. En fe de eso, os consulto el pensamiento. (Va de consulta, y salga la propuesta, que todo lo demás es molimiento.) Ya vos sabéis que no ha quedado fiesta, fineza, obstentación, galantería, que no haya sido de los tres compuesta para vencer la injusta antipatía que nos tiene Dïana, sin debella ni aun lo que debe dar la cortesía. Pues habiendo salido vos con ella, la obligación y el uso de la suerte, por no favoreceros, atropella, y la alegría del festín convierte en queja de sus damas y en desprecio de nosotros, si el término se advierte. Y de nuestro decoro haciendo aprecio más que de nuestro amor, nos ha obligado solamente a vencer su desdén necio; y el gusto quedará desempeñado de los tres, si la viésemos vencida de cualquiera de todos al cuidado. Para esto, pues, traemos prevenida yo y don Gastón la industria que os diremos, que si a esta flecha no quedare herida, no queda ya camino que intentemos. ¿Qué es la industria? Que pues para estos días todos por suerte ya damas tenemos, prosigamos en las galanterías todos sin hacer caso de Dïana,
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO
ATTO TERZO Entrano Carlos, Polilla, don Gastón e Béarn. BÉARN
CARLOS BÉARN POLILLA
BÉARN
CARLOS DON GASTÓN
Ci dà, Carlos, licenza l’amicizia per chiedervi nel nostro intento aiuto. Di me sapete di poter disporre. Certo di ciò, vorrei da voi un consiglio. (Via al consiglio, e fuori la proposta, ché tutto il resto è una gran seccatura.) Non abbiam lesinato, lo sapete, feste, né sforzi né galanterie; da noi tre sono stati predisposti per vincere l’ingiusta antipatia che ci palesa Diana e senza avere neppure quel che esige cortesia. Benché la sorte vi abbia a lei assegnato, del Carnevale gli obblighi e gli usi, pur di non favorirvi, ella calpesta, e l’allegria della festa cangia in lamentela delle dame e in spregio verso noi tutti, con tale condotta. L’aver stimato più il nostro onore che il nostro amore ci ha impegnati a voler vincerne il disdegno futile, e noi ci riterremo soddisfatti tutti quanti, vedendola piegata di uno solo di noi dalle attenzioni. A tal fine abbiamo escogitato una trovata don Gastone e io, e se ferita pur da questa freccia non rimarrà, non v’è altro da fare. La trovata qual è? In questi giorni che ciascuno alla dama avuta in sorte continui pure a fare la sua corte, senza mostrare interesse per Diana, 2167
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA
POLILLA
BEARNE
CARLOS
pues ella se escusó con sus porfías. Que si a ver llega su altivez tirana, por su desdén, su adoración perdida, si no de amante, se ha de herir de vana; y en conociendo indicios de la herida, nuestras finezas han de ser mayores, hasta tenerla en su rigor vencida. No es ése mal remedio, mas, señores, eso es lo mismo que a cualquier doliente el quitarle la cena los doctores. Pero si no es remedio suficiente, cuando no alivie o temple la dolencia, sirve de que no crezca el accidente. Si a Dïana la ofende la decencia con que la festejamos, porfïalla solo será crecer su resistencia. Ya no queda más medio que dejalla; pues si la ley que dio Naturaleza no falta en ella, ansí hemos de obligalla, porque en viendo perdida la fineza la dama, aun de aquel mismo que aborrece, sentirlo es natural en la belleza. Que la veneración de que carece, aunque el gusto cansado la desprecia, la vanidad del alma [la] apetece; y si le falta lo que el alma aprecia, aunque lo calle allá su sentimiento, la estará a solas condenando a necia. Y cuando no se logre el pensamiento de obligarla a querer, en que lo sienta queda vengado bien nuestro tormento. Lo que, ofendido, vuestro amor intenta, por dos causas de mí queda acetado: una, el ser fuerza que ella lo consienta, porque eso su desdén nos ha mandado; y otra, que, sin amor, ese desvío no me puede costar ningún cuidado.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO
POLILLA
BÉARN
CARLOS
che per le sue manie si è ritirata. Se vede perdersi, per la superbia ed il disdegno, gli ossequi avuti, sentirà la sua vanità colpita; della ferita notando gli indizi, useremo maggiori cortesie, finché il rigore non ne avremo vinto. Non è un cattivo metodo, signori, esattamente come ad un malato cui levano la cena dei dottori. Se non sarà rimedio sufficiente e non placherà o tempererà il male, almeno servirà a non farlo crescere. Se Diana è offesa dalla discrezione con cui noi la omaggiamo, seguitare ne farà crescere la resistenza. Non ci resta che abbandonarla a sé, e se la legge che Natura detta in lei non manca, ne sarà spronata, ché quando vede perdersi gli ossequi, anche di chi aborrisce, una donna nella bellezza toccata si sente: quella venerazione che è svanita, sebbene con fastidio la spregiasse, la vanità dell’animo pretende; e se le manca quel che apprezza l’animo, potrà tacerlo, ma la sua afflizione in cuor suo sciocca la proclamerà. E se non otterremo che s’impegni ad amare, allora quel suo cruccio sarà vendetta del nostro tormento. Del vostro offeso amore il proposito per due ragioni voglio approvare; l’una: è forza che Diana lo permetta, perché ciò il suo disdegno ci ha imposto; l’altra: privo d’amore, quel distacco a me fatica non ha da costare. 2169
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA BEARNE CARLOS BEARNE
DON GASTÓN CARLOS BEARNE DON GASTÓN
CARLOS BEARNE
CARLOS BEARNE DON GASTÓN BEARNE
Pues la palabra os tomo. Yo la fío. Y aun de Dïana el nombre a nuestro labio desde aquí le prohíba el albedrío. Ese contra el desdén es medio sabio. Digo que de mi parte lo prometo. Pues vos veréis vengado nuestro agravio. Vamos y, aunque se ofenda su respeto, en festejar las damas prosigamos con más finezas. Yo el desvío aceto. Pues si a un tiempo todos la dejamos, cierto será el vencerla. Ansí lo creo. Vamos, pues, Don Gastón. Bearne, vamos. Logrado habéis de ver nuestro deseo.
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Vanse. POLILLA
CARLOS
POLILLA
Señor, esta es brava traza y medida a tu deseo, que esto es echarte el ojeo, por que tú mates la caza. Polilla, ¡mujer terrible! ¡Que aun no quiera tan picada! Señor, ella está abrasada, mas rendirse no es posible. Ella te quiere, señor, y dice que te aborrece, mas lo que ira le parece es quintaesencia de amor; porque, cuando una mujer de los desdenes se agravia, bien puede llamarlo rabia, mas es rabiar por querer. Día y noche está tratando
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DON GASTÓN CARLOS BÉARN DON GASTÓN
CARLOS BÉARN
CARLOS BÉARN DON GASTÓN BÉARN
In parola vi prendo. Voi l’avete. E di Diana anche il nome dalle labbra d’ora in avanti noi proscriveremo. È un buon rimedio a quel suo disdegno. Io vi prometto di essere dei vostri. Vendicheremo così il nostro oltraggio. A costo di venir meno al riguardo per Diana, usiamo verso le altre dame maggiori cortesie. Sono d’accordo. Se tutti insieme l’abbandoneremo, certa sarà la vittoria. Sicuro. Andiamo, don Gastón. Béarn, andiamo. Vedrete realizzato il nostro intento. Escono.
POLILLA
CARLOS
POLILLA
Questa è una bella trovata e risponde al vostro scopo: stanano la selvaggina perché la uccidiate voi. Polilla, è donna terribile! Nessun pungolo la smuove! Signore, ha il cuore in fiamme, ma non può capitolare. Lei vi ama, signore, e dice di non potervi soffrire, ma quel che a lei pare ira è quintessenza d’amore; perché quando una donna a una ripulsa s’offende, può chiamarla solo rabbia, ma è già rabbia d’amore. Giorno e notte pensa a come 2171
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS
cómo vengar su congoja; mas no temas que te coja, que ella te dará bien blando. ¿Qué dice de mí? Te acusa, dice que eres un grosero, desatento, majadero. Y yo, que entiendo la musa, digo: «Señora, es un loco, un sucio»; y ella después vuelve por ti y dice: «No es, que ni tanto ni tan poco». En fin, por que sus desvelos no se logren, yo imagino que ahora toma otro camino y quiere picarte a celos. Conoce tú la varilla; y si acaso te la echa, disimula y di a la flecha, riendo: «Hágote cosquilla», que ella se te vendrá al ruego. ¿Por qué? Porque, aunque se enoje, quien cuando siembra no coge, va a pedir limosna luego; esto es, señor, evidencia. Lope, el fénix español, de los ingenios el sol, lo dijo en esta sentencia: «Quien tiene celos y ofende, ¿qué pretende? La venganza de un desdén; y si no le sale bien, vuelve a comprar lo que vende». Mas ya los Príncipes van sus músicas previniendo. Irme con ellos pretendo.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO
CARLOS POLILLA
CARLOS POLILLA
CARLOS
vendicare la sua pena; ma non abbiate timore, vi colpirà proprio piano. Che dice di me? Vi accusa, dice che siete un villano, grossolano e zuccone. Io, che conosco la musica, dico: «Signora, è un pazzo, un disonesto»; e lei subito vi difende e dice: «No, ora non esageriamo». Ma visto che i suoi sistemi non hanno successo, credo prenderà la via di farvi rodere di gelosia. Voi conoscete quel dardo; se ve lo scagliasse contro, come niente fosse dite ridendo: «Mi fai solletico», e sarà lei ad implorarvi. Perché? Per quanto si arrabbi, chi semina e non raccoglie, finisce col mendicare; è, signore, una evidenza. Lope, fenice spagnola, sole di tutti gli ingegni, lo disse in una sentenza: «Chi per gelosia offende, che pretende? Vendicarsi del disdegno; e se la cosa non riesce, ricompra quanto ha venduto». Ma di già i Principi fanno approntare i madrigali. Unirmi a essi io voglio. 2173
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA POLILLA CARLOS POLILLA
CARLOS
Con eso juego te dan. Diana viene. Pues cuidado y escápate. Voyme luego.
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Vase. POLILLA
Vete, que, si nos ve el juego, perderemos lo envidado. Cantan dentro, y va saliendo Diana.
Pastores, Cintia me mata; Cintia es mi muerte y mi vida; yo de ver a Cintia vivo y muero por ver a Cintia. DIANA ¡Tanta Cintia! POLILLA Es el reclamo del bearnés. DIANA ¡Finezas necias! POLILLA (Aparte) (Todo esto es echar especias al guisado de mi amo.) DIANA Por no ver estas contiendas de que a sus damas alaben, deseo ya que se acaben aquestas Carnestolendas. POLILLA Eso es ya rigor tirano. Deja, señora, querer, si no quieres; que eso es ser el perro del hortelano. DIANA Pues ¿no es cosa muy cansada oír músicas precisas de Cintias, Lauras, Fenisas, cada instante? POLILLA Si te enfada ver tu nombre en verso escrito, MÚSICOS
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO
Così fanno il vostro gioco. Ecco Diana. State attento e andate. Lo faccio subito.
POLILLA CARLOS POLILLA
CARLOS
Esce. Via, ché se vede il gioco perdiamo tutta la posta.
POLILLA
Cantano dentro ed esce Diana. MUSICISTI
DIANA POLILLA
DIANA POLILLA
DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
(A parte)
Pastori, Cintia m’uccide; Cintia è mia morte e mia vita; vederla mi dà la vita e per lei muoio d’amore. Quanta Cintia! È l’omaggio di Béarn. Moine sciocche! (Aggiungono allo stufato del mio padrone le spezie!) Pur di non dover assistere a queste gare di elogi per le dame, vorrei fosse già finito il Carnevale. Voi siete proprio tirannica. Lasciate che gli altri amino, se voi non volete; o siete il cane dell’ortolano? Ma tu non trovi noioso queste musiche udire per Cintia, Laura, Fenisa, a ogni ora? Se udire in versi il vostro nome v’offende, 2175
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA
¿qué han de hacer sino cintiar, laurear y fenisar, que dïanar es delito? Y el bearnés tan fino está con Cintia, que está en su pecho, que una gran décima ha hecho. DIANA Y ¿cómo dice? POLILLA Allá va. «Cintia el mandamiento quinto quebró en mí, como saeta; Cintia es la que a mí me aprieta, y yo soy de Cintia el cinto. Cintia y cinta no es distinto; y pues Cintia es semejante a cinta, soy fino amante, pues traigo cinta en la liga. Y esta décima la diga Cintor el representante». DIANA Bien por cierto; mas ya suena otra música. POLILLA Y galante. DIANA Esta será de otro amante. POLILLA (Aparte) (Reventando está de pena.) MÚSICOS No iguala a Fenisa el fénix, que si él muere y resucita, Fenisa da vida y mata; más que el fénix es Fenisa. DIANA ¡Qué finos están! POLILLA ¡Jesús! Mucha cosa, y aún mi pecho. Oye lo que a Laura he hecho. DIANA ¿También das músicas? POLILLA Pus Laura, en rigor, es laurel, y pues Laura a mí me plugo, yo tengo de ser besugo, por escabecharme en él.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO
DIANA POLILLA
DIANA
POLILLA DIANA POLILLA
(A parte)
MUSICISTI
DIANA POLILLA
DIANA POLILLA
che fare se non cintiare, laureare e fenisare, poiché dianare è delitto? Béarn è cortese con Cintia, che ha nel cuore, a tal punto da averle scritto una strofa. Come dice? Fa così: «Cintia come saetta infrange con me il quinto precetto; Cintia è colei che mi fascia e io son di Cintia la cinta. Cintia e cinta sono simili; e se Cintia rassomiglia a cinta, più che mai l’amo: una ne ho alla caviglia. E reciti questa strofa Cintor il commedïante». Certo, è bella; ma già si ode altra musica. E galante. Sarà di un altro amante. (Sta per scoppiare d’invidia.) La fenice non eguaglia Fenisa: muore e rinasce però non dà vita e morte; più di fenice è Fenisa. Son proprio belli! Gesù! Gran cosa, ma manco io. Ecco che ho scritto per Laura. Anche tu canti? Ma certo! Laura vuole dire lauro, e poiché Laura mi piace, devo essere una triglia per marinarmi nel lauro. 2177
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
Y Carlos ¿no me pudiera dar música a mí también? Si él llegara a querer bien, sin duda se te atreviera; mas él no ama, y tú el concierto de que te dejase hiciste, con que al punto que dijiste: «Id con Dios», vio el cielo abierto. Que lo dije ansí confieso; mas él porfïar debía, que aquí es cortés la porfía. Pues ¿cómo puede ser eso, si a las fiestas han de ir, y es desprecio de su fama no ir un galán con su dama, y tú no quieres salir? ¿Que pudiera ser no infieres que saliese yo con él? Sí, señora, pero él sabe poco de poderes. Mas ya galanes y damas a las fiestas van saliendo; cierto que es un mayo ver las plumas de los sombreros. Todos vienen con sus damas, y Carlos viene con ellos. (Señores, si esta mujer, viendo ahora este desprecio, no se rinde a querer bien, ha de ahorcarse, como hay credo.)
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Salen todos los galanes con sus damas, y ellos y ellas con sombreros y plumas. MÚSICOS
A festejar sale Amor sus dichosos prisioneros,
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POLILLA
DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
DIANA
POLILLA
E Carlos non mi potrebbe dedicare un madrigale? Se potesse voler bene, senza dubbio si esporrebbe, ma non ama ed in accordo con voi vi ha lasciata sola e al vostro «Andate con Dio» si è subito dileguato. Lo riconosco, l’ho detto; ma lui doveva insistere, come vuole cortesia. E come poteva farlo se si tengono le feste ed è onta per la fama recarvisi senza dama e muovervi non volete? Credi non avrei potuto andare infine con lui? Sì, ma lui si cura poco di quello che essere può. Ecco dame e cavalieri che alla festa stanno andando; son come la primavera tante piume sui cappelli! Ha ciascuno la sua dama e Carlos viene con gli altri. (Signori, se questa donna, vedendosi disprezzata, non si arrende all’amore, finisce per impiccarsi.) Entrano tutti i cavalieri con le loro dame, gli uni e le altre con cappelli e piume.
MUSICISTI
Viene Amore a festeggiare le sue vittime felici,
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AGUSTÍN MORETO EL DESDÉN CON EL DESDÉN, JORNADA TERCERA
BEARNE
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dando plumas sus penachos a sus arpones soberbios. Príncipes, para picarla es este el postrer remedio. Mostrarnos finos importa. Mi fineza es el despego. Cada instante, Cintia hermosa, me olvido de que soy vuestro, porque no creo a mi suerte la dicha que la merezco. Más dudo yo, pues presumo que el ser tan fino es empeño del día, y no del amor. Salir del día deseo por venceros esa duda. Y vos, si dudáis lo mesmo, veréis pasar mi fineza a los mayores estremos, cuando solo deuda sea de la fe con que os venero. Nadie se acuerda de mí. Yo por ninguno lo siento, sino por aquel menguado de Carlos, que es un soberbio. ¿Tiene él algo más que ser muy galán y muy discreto, muy liberal y valiente, y hacer muy famosos versos y ser un príncipe grande? Pues ¿qué tenemos con esto? Conde de Fox, no perdamos tiempo para los festejos que tenemos prevenidos. Tan feliz día logremos. ¡Qué tiernos van! Son menguados.
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dando piume i suoi pennacchi alle armi sue superbe. Prìncipi, per pungolarla è questo l’ultimo mezzo. Le mostreremo finezza. La mia, sarà il distacco. A ogni istante, Cintia bella, dimentico di esser vostro, non credendo alla fortuna ed alla gioia di avervi. Dubito anch’io, presumendo si debba la cortesia a obbligo e non ad amore. Vorrei finisse la festa per fugare in voi quel dubbio. E se anche voi dubitaste, i miei ossequi vedreste aumentare sempre più, obbligo semplicemente dell’affetto che vi porto. Nessuno pensa più a me. Io non ce l’ho con nessuno, tranne che con quel meschino di Carlos, che è un superbo. Sì, sarà un gran cavaliere, assai galante e avveduto, liberale e valoroso, e comporrà dei bei versi e poi sarà un grande principe. Ma di ciò che ne facciamo? Conte di Foix, non perdiamo tempo e iniziamo le feste che abbiamo preparato. E che sia un giorno felice. Come son teneri! Scemi!
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CARLOS
Pues ¿es malo el estar tiernos? Sí, que es cosa de capones. Proseguid el dulce acento que nuestra dicha celebra. Yo seré imán de sus ecos.
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Vanse pasando por delante de Diana sin reparar en ella. MÚSICOS
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A festejar sale Amor sus dichosos prisioneros, etc. ¡Qué finos van y qué graves! ¿Sabes qué parecen estos? ¿Qué? Priores y abadesas. Y Carlos se va con ellos. Solo de él siento el desdén; pero de abrasarle a celos es ésta buena ocasión... Llámale tú. ¡Ah, caballero! ¿Quién llama? Appropinquación ad parlandum. ¿Con quién? Mecum. Pues ¿para eso me llamas, cuando ves que voy siguiendo este acento enamorado? ¿Vos enamorado? ¡Bueno! Y ¿de quién lo estáis? Señora, también yo aquí dama llevo. ¿Qué dama? Mi libertad, que es a quien yo galanteo.
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CARLOS
È un delitto essere teneri? Sì, è una cosa da capponi. Seguitate con il canto che esalta la nostra gioia. Sarò l’ombra di quegli echi. Vanno passando dinanzi a Diana senza prestarle attenzione.
MUSICISTI
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CARLOS POLILLA CARLOS
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Viene Amore a festeggiare le sue vittime felici, ecc. Come son galanti e seri! Sapete a chi assomigliano? A chi? A priori e badesse. Carlos se ne va con loro. Il suo disdegno mi duole; ma per farlo ingelosire è una buona occasione... Chiamalo. Ehi, gentiluomo! Chi mi vuole? Appropinquatio ad parlandum. Con chi? Mecum. Come ti azzardi a chiamarmi, quando vedi che ascolto questo canto innamorato? Voi innamorato? Benissimo! E di chi? Signora mia, io pure ho qui una dama. Quale? La mia libertà: lei, la dama che corteggio.
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(Cierto que me había dado gran susto.) POLILLA (Aparte) (¡Bueno va esto! Ya está más allá de Illescas para llegar a Toledo.) DIANA ¿La libertad es la dama? ¡Buen gusto tenéis, por cierto! CARLOS En siendo gusto, señora, no importa que no sea bueno, que la voluntad no tiene razón para su deseo. DIANA Pero ahí no hay voluntad. CARLOS Sí hay tal. DIANA O yo no lo entiendo, o no la hay; que no se puede dar voluntad sin sujeto. CARLOS El sujeto es el no amar, y voluntad hay en esto; pues si quiero no querer, ya quiero lo que no quiero. DIANA La negación no da ser, que solo el entendimiento le da al ente racional un ser fingido y supuesto; y así es esa voluntad, pues sin causa no hay efecto. CARLOS Vos, señora, no sabéis lo que es querer; y así en esto será lisonja deciros que ignoráis el argumento. DIANA No ignoro tal, que el discurso no ha menester los efectos para conocer las causas, pues sin la experiencia de ellos las ve la filosofía: pero yo ahora lo entiendo con experiencia también.
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(A parte)
(Prendere mi aveva fatto spavento!) (Tutto procede! E già ben oltre Illescas sulla strada per Toledo.) È la libertà la dama? Buon gusto avete, davvero! Essendo gusto, signora, non importa che sia buono, ché la volontà non rende conto dei suoi desideri. Qui la volontà non c’entra. Eccome. O io non capisco, o non c’entra; non può darsi la volontà senza scopo. Il mio scopo è il non amare, e sì, c’è volontà in questo; se io amo il non amare, amo già quel che non amo. Da negazione non sorge realtà: solo il raziocinio dota l’ente razionale di realtà finta o presunta; per la volontà è lo stesso, non v’è effetto senza causa. Voi, signora, non sapete cosa sia amare; e in ciò sarà lusingarvi dire che ignorate l’argomento. Però so che alla ragione non servono gli effetti per conoscere le cause, e senza esperire gli uni vede il filosofo le altre; ora però me ne avvedo io anche per esperienza. 2185
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Pues ¿vos queréis?
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Lo deseo. (¡Cuidado, que va apuntando la varita de los celos! Úntate muy bien las manos con aceite de desprecios, ¡no se te pegue la liga!) (Si este tiene entendimiento, se ha de abrasar, o no es hombre.) (Eso fuera a no estar hecho él defensivo y pegado.) De oíros estoy suspenso. Carlos, yo he reconocido que la opinión que yo llevo es ir contra la razón, contra el útil de mi reino, la quietud de mis vasallos, la duración de mi imperio. Viendo estos inconvenientes, he puesto a mi pensamiento tan forzosos silogismos, que le he vencido con ellos. Determinada a casarme, apenas cedió el ingenio al poder de la verdad su sofístico argumento, cuando vi, al abrir los ojos, que la nube de aquel yerro le había quitado al alma la luz del conocimiento. El Príncipe de Bearne, mirado sin pasión... (¡Helos! ¡Al aceite, que traen liga!) ...es tan galán caballero, que merece la atención mía, que harto lo encarezco.
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Dunque amate?
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Lo desidero. (Occhio, della gelosia sta preparando la pania! Ungete bene le mani con dell’olio del dispregio, il vischio non v’imprigioni!) (Se costui ha sale in zucca, s’infiamma o non è un uomo.) (Accadrebbe, se non fosse fermo sulla difensiva.) Vi ascolto con impazienza. Carlos, mi sono avveduta che l’opinione che avevo era avversa alla ragione, al bene dei miei domini, alla pace dei vassalli, alla tutela del regno. Visti tali inconvenienti, ho imposto al mio pensiero necessari sillogismi che a persuaderlo son valsi. Decisa a prender marito e arresasi la mia mente e i suoi argomenti sofistici all’evidenza del vero, ho aperto gli occhi e visto che la nube dell’errore oscurava nel mio cuore l’alba della conoscenza. È il Principe di Béarn a guardare bene... (Pronti con l’olio per questo vischio!) ...il compìto cavaliere che merita l’attenzione e l’apprezzamento mio.
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Por su sangre, no hay ninguno de mayor merecimiento; por sus partes, no le iguala el más galán, más discreto. Lo afable en los agasajos, lo humilde en los rendimientos, lo primoroso en finezas, lo generoso en festejos, nadie lo tiene como él. Corrida estoy de que un yerro me haya tenido tan ciega, que no viese lo que veo. (Polilla, aunque sea fingido, ¡vive Dios que estoy muriendo! ¡Aceite, pesia mi alma, aunque te manches con ello!) Y ansí, Carlos, determino casarme; mas antes quiero, por ser tan discreto vos, consultaros este intento. ¿No os parece que el de Bearne que será el más digno dueño que dar puedo a mi corona? Que yo por el más perfeto le tengo de todos cuantos me asisten. ¿Qué sentís de ello? Parece que os demudáis. ¿Estrañáis mi pensamiento? (Bien he logrado la herida, que del semblante lo infiero; todo el color ha perdido: eso es lo que yo pretendo.) (¡Ah, señor! ¡Estoy sin alma! Sacúdete, majadero, que se te pega la liga.)
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Per sangue non c’è nessuno che abbia meriti maggiori; nelle virtù non lo eguaglia il più galante e assennato. Affabile negli omaggi, misurato negli ossequi, fine nelle cortesie, generoso negli onori, nessuno gli sta alla pari. Mi rincresce essere stata per errore tanto cieca da non veder quel che vedo. (Polilla, sarà finzione, ma io mi sento morire! Olio, olio, dannazione, doveste sporcarvi tutto!) E così, Carlos, intendo sposarmi; ma prima voglio, poiché siete giudizioso, chiedervi una opinione. A voi non pare che il Principe sia il più degno dei signori cui offrire la corona? Lo considero il migliore tra tutti quei cavalieri che mi omaggiano. Che dite? Mi sembrate un po’ sconvolto. Vi stupisce la mia scelta? (Il colpo è andato a segno, dall’espressione lo arguisco; tutto il colore ha perduto: proprio quello che volevo.) (Signore! Il cuore non regge! Dovete reagire, sciocco, vi uccellano con il vischio.)
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¿No me respondéis? ¿Qué es eso? Pues ¿de qué os habéis turbado? Me he admirado, por lo menos. ¿De qué? De que yo pensaba que no pudo hacer el cielo dos sujetos tan iguales, que estén a medida y peso de unas mismas cualidades sin diferencia compuestos, y lo estoy viendo en los dos, pues pienso que estamos hechos tan debajo de una causa, que yo soy retrato vuestro. ¿Cuánto ha, señora, que vos tenéis ese pensamiento? Días ha que está trabada esta batalla en mi pecho, y desde ayer me he vencido. Pues aquese mismo tiempo ha que estoy determinado a querer, ello por ello. Y también mi ceguedad me quitó el conocimiento de la hermosura que adoro; digo, que adorar deseo, que cierto que lo merece. (Sin duda logré mi intento.) Pues bien podéis declararos, que yo nada os he encubierto. Sí, señora, y aun hacer vanidades del acierto. Cintia es la dama. ¿Quién? ¿Cintia? (¡Ah, buen hijo! Como diestro, herir por los mismos filos, que esa es doctrina del negro.)
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Non rispondete? Che avete? Che cosa v’ha mai turbato? Ero soltanto sorpreso. Di cosa? Stavo pensando che il cielo non ha forgiato due persone tanto simili che siano per la misura e il peso corrispondenti nelle loro qualità quanto lo siamo noi due, e a tal punto credo abbiamo in noi una stessa impronta che sembro il vostro ritratto. Da quando, signora, avete preso tale decisione? Da giorni mi si è accesa questa battaglia nel petto e ieri mi sono arresa. Lo stesso lasso di tempo dacché mi sono deciso ad amare, giusto giusto. Ed anche io per cecità non avevo conosciuto la bellezza che ora adoro, cioè che adorare voglio, poiché di certo lo merita. (Il mio scopo è raggiunto.) Potete ben dichiararvi, io non vi ho nascosto nulla. Sì, signora, ed anche fare sfoggio di questa mia scelta. Cintia è la dama. Chi? Cintia? (Sì! Come lo spadaccino esperto, con la stoccata rispondere alla stoccata!) 2191
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¿No os parece que he tenido buena elección en mi empleo? Porque ni más hermosura empleo ni mejor entendimiento jamás en mujer he visto. Aquel garbo, aquel sosiego, su agrado, ¿no hace dichosa mi pasión? ¿Qué sentís de ello? Parece que os he enojado. (Toda me ha cubierto un hielo.) ¿No respondéis? Me ha dejado suspensa el veros tan ciego, porque yo en Cintia no he hallado ninguno de esos estremos: ni es agradable, ni hermosa, ni discreta, y ese es yerro de la pasión. ¿Hay tal cosa? Hasta ahí nos parecemos. ¿Por qué? Porque a vos de Cintia se os encubre el rostro bello, y del de Bearne a mí lo galán se me ha encubierto; conque somos tan iguales que decimos mal a un tiempo: yo, de lo que vos queréis, y vos, de lo que yo quiero. Pues si es gusto, cada uno siga el suyo. (Malo es esto. Encima viene la tuya: no se te dé nada de eso.) Pues ya, con vuestra licencia, iré, señora, siguiendo aquel eco enamorado;
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Non vi pare che abbia fatto la migliore delle scelte? Perché né maggior bellezza né migliore intelligenza ho mai visto in una donna. Quella grazia, quella calma e dolcezza non esaltano la mia passione? Che dite? Mi sembrate contrariata. (Mi ha invasa un’onda di gelo.) Non rispondete? Vedervi così cieco mi sconcerta, perché in Cintia nessuna di tali virtù ritrovo: non è affabile, né bella, né sagace. Vi tradisce la passione. Che mi dite? Anche in ciò ci somigliamo. Perché? Perché voi di Cintia non apprezzate la grazia, e a me di quel di Béarn non appare la finezza; dunque siamo tanto simili da criticare all’unisono: io, colui che voi amate, e voi, colei che io amo. Ciascuno, in fatto di gusto, segua il suo. (Così non va. Giocate la vostra carta: non le dovete badare.) Se me ne date licenza, signora, io seguirò quel richiamo amoroso; 2193
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que el disfrazaros mi intento fue temor, que ya he perdido, sabiendo que mi deseo, en la ocasión y el motivo, es tan parecido al vuestro. ¿Vais a verla? Sí, señora. (¡Sin mí estoy! ¿Qué es esto, cielos?) (Para largo, que la pierde.) Adiós, señora. Teneos, aguardad. ¿Por qué ha de ser tan ciego un hombre discreto, que ha de oponer un sentido a todo un entendimiento? ¿Qué tiene Cintia de hermosa? ¿Qué discursos, qué conceptos os la han fingido discreta? ¿Qué garbo tiene? ¿Qué aseo? (Cinco, seis y encaje, cuenta, señor, que la va perdiendo hasta el codo.) ¿Qué dices? Que ha sido mal gusto el vuestro. ¿Malo, señora? Allí va Cintia; miralda aun de lejos y veréis cuántas razones da su hermosura a mi acierto. Mirad en lazos prendido aquel hermoso cabello, y si es justo que en él sea yo el rendido y él el preso. Mirad en su frente hermosa cómo junta el rostro bello, bebiendo luz a sus ojos, sol, luna, estrellas y cielo. Y en sus dos ojos mirad
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vi ho nascosto il mio intento per un timore che ho perso sapendo che quel che voglio a tal punto corrisponde a quel che volete voi. Da lei andate? Sì, signora. (Son fuori di me! Che accade?) (Dateci dentro, ch’è fatta.) Addio, signora. Fermatevi, sentite. Perché deve essere così cieco un uomo accorto da opporre un sentimento a ogni ragionevolezza? Cosa ha mai Cintia di bello? Che discorsi, che pensieri ve la mostrano sagace? Che garbo ha? Che eleganza? (Carte, denari e primiera; contate, perch’è rimasta senza carte.) Cosa dite? Voi non avete buon gusto. Non ho buon gusto? Guardate Cintia, anche da lontano, e vedrete le ragioni che la mia scelta confortano. Guardate in laccio raccolta quella sua leggiadra chioma, e se quel laccio non debba anche me far prigioniero. Guardate su quella fronte come il volto bello unisce, illuminato dagli occhi, sole, luna, stelle e cielo. E in quegli occhi guardate 2195
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si es digno y dichoso el yerro que hace esclavos a los míos, aunque ellos sean los negros. Mirad el sangriento labio, que, fino coral vertiendo, parece que se ha teñido en la herida que me ha hecho; aquel cuello de cristal, que, por ser de garza el cuello, al cielo de su hermosura osa llegar con el vuelo; aquel talle tan delgado, que yo pintarle no puedo, porque es él más delicado que todos mis pensamientos. Yo he estado ciego, señora, pues solo ahora lo veo; y del pesar de mi engaño me paso a loco, de ciego: pues no he reparado aquí en tan grande desacierto como alabar su hermosura delante de vos. Mas de esto perdón os pido, y licencia de ir a pedírsela luego por esposa a vuestro padre, ganando también a un tiempo del Príncipe de Bearne las albricias de ser vuestro.
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¿Qué es esto, dureza mía? Un volcán tengo en mi pecho. ¿Qué llama es esta que el alma me abrasa? Yo estoy ardiendo.
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se è degno e fausto l’errore che schiavi rende i miei, pur se i neri sono i suoi. Guardate le rosse labbra, che, come fine corallo, sembrano essersi tinte nella ferita che mi aprono; quel suo collo di cristallo, flessuoso come d’airone, nel cielo delle sue grazie osa dispiegare il volo; quella figura sottile, che dipingere non so, essendo più delicata di ognuno dei miei pensieri. Son stato cieco, signora, ora solo me ne accorgo; ed afflitto dall’inganno da cieco divengo folle: non mi sono avveduto di quale grande sproposito sia lodarne la bellezza dinanzi a voi. Vi chiedo perdono e poi licenza di andarla subito a chiedere a vostro padre in sposa, recando allo stesso tempo al Principe di Béarn la notizia che egli è vostro. Esce. DIANA
Che mi accade, mia fermezza? Un vulcano ho nel petto. Che fiamma è questa che il cuore m’incendia? Io sto avvampando.
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(Alto, ya cayó la breva, y dio en la boca por yerro.) ¿Caniquí? Señora mía, ¿hay tan grande atrevimiento? ¿Por qué con él no embestiste y le arrancaste a este necio todas las barbas a araños? Yo pierdo el entendimiento. (Pues pierde también las uñas.) ¡Caniquí, este es un incendio! Eso no es sino bramante. ¿Yo arrastrada de un soberbio? ¿Yo rendida de un desvío? ¿Yo sin mí? Señora, quedo, que eso parece querer. ¿Qué es querer? Serán torreznos. ¿Qué dices? Digo de amor. ¿Cómo, amor? No, sino huevos. ¿Yo, amor? Pues ¿qué sientes tú? Una rabia y un tormento. No sé qué mal es aqueste. Venga el pulso, y lo veremos. Déjame, no me enfurezcas; que es tanto el furor que siento, que aun a mí no me perdono. ¡Ay, señora! Vive el cielo que se te ponen azules las venas, y es mal agüero. Pues ¿de aqueso qué se infiere? Que es pujamiento de celos.
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(Alt, questo fico è caduto, ed in bocca gli è finito.) Caniquí? Signora mia, c’è un uomo più sfacciato? Perché mai non v’avventate su quello sciocco e la barba non gli strappate a graffi? Sto perdendo la ragione. (E perdi pure le unghie.) Caniquí, questo è un incendio! (Non è altro che una miccia.) Io attratta da un superbo? Io vinta dal suo disdegno? Io fuori di me? Un momento, questo si direbbe amare. Io, amare? Sarà del lardo. Che dici? Parlo d’amore. Come, amore? O forse uova... Io, amore! Cosa provate? Rabbia ed un grande tormento. Non so che male sia questo. Datemi il polso e vedremo. Lascia, non farmi infuriare; così forte è il mio furore che non mi so perdonare. Ahimè, signora! Azzurre stan diventando le vostre vene: è un brutto presagio. E che cosa indica questo? Attacco di gelosia.
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¿Qué dices? ¡Loco, villano, atrevido, sin respeto! ¿Celos yo? ¿Qué es lo que dices? ¡Vete de aquí! ¡Vete luego! Señora... ¡Vete, atrevido, o haré que te arrojen luego de una ventana! ¡Agua va! Voyme, señora, al momento, que no soy para vaciado. (Madre de Dios, ¡cuál la dejo! Voyme, que, donde hay pañal, el caniquí tiene riesgo.)
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¿Fuego en mi corazón? No, no lo creo. Siendo de mármol, ¿en mi pecho helado pudo encenderse? No, miente el cuidado. Pero ¿cómo lo dudo, si lo veo? Yo deseé vencer, por mi trofeo, un desdén. Pues si es quien me ha abrasado fuego de amor, ¿qué mucho que haya entrado donde abrieron las puertas al deseo? De este peligro no advertí el indicio, pues para echar el fuego en otra casa yo le encendí, en la mía hizo su oficio. No admire, pues, mi pecho lo que pasa; que quien quiere encender un edificio suele ser el primero que se abrasa.
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Sale el de Bearne. BEARNE
Gran vitoria he conseguido, si mi dicha es cierta ya; mas aquí Dïana está.
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Che dici, pazzo, villano, insolente e spudorato? Gelosia? Ma cosa dici? Vattene da qui! E subito! Signora.... Via, insolente, o gettare ti farò dalla finestra! Arriva acqua! Io me ne vado all’istante, non sono mica un pitale. (Dio Santo, com’è ridotta! Via! Dove s’usano fasce, pure un fazzoletto rischia.) Esce.
DIANA
Ho forse il cuore in fiamme? Non ci credo. Se io son di marmo e il mio petto di gelo, come avvampò? No, mente la mia pena. Ma come dubitarne, se io l’avverto? Come trofeo, vincere un disdegno ho voluto. Ma se è fuoco d’amore quel che mi brucia, non sarà entrato quando aprivo le porte al desiderio? Non ho saputo vedere quel rischio ed appiccando il fuoco in casa d’altri la mia ho consegnato alle fiamme. Non si stupisca il mio cuore di questo, ché chi vuole incendiare un edificio è spesso il primo a scottarsi col fuoco. Entra Béarn.
BÉARN
È grande la mia vittoria, se è vero quel che mi dicono; ma ecco, qui vedo Diana. 2201
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A vuestras plantas rendido, señora, perdón os pido de venir tan arrojado con la nueva que me han dado; que yo pienso que aun es poco, siendo vuestro, el venir loco de un favor imaginado. No os entiendo, ¿habláis conmigo? ¿Qué favor decís? Señora, el de Urgel me ha dicho ahora que de él ha sido testigo, y que yo el laurel consigo de ser vuestro. Necio fue, si os dijo lo que no sé, y vos si lo habéis creído. Ya lo dudó mi sentido, mas quien lo creyó es mi fe. Que, como milagro fuera de vos el tener piedad, os negara el ser deidad, si mi amor no lo creyera. En el pecho que os venera, haber más fe es más trofeo; y pues fe ha sido el deseo de imaginaros deidad, perdonad mi necedad por la fe con que lo creo. Pues ¿no es más atrevimiento creeros digno de mi amor? No, que vos, con el favor, podéis dar merecimiento; y en esto mi pensamiento, antes que en mí el merecer, creyó de vos el poder. Y ¿él os ha dicho ese error?
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Ai vostri piedi m’inchino, signora, e scusa vi chiedo perché oso presentarmi con la nuova che ho avuto; ma reputo ancora poco venire folle di gioia per il favore che date. Non capisco, dite a me? Quale favore? Signora, il Conte d’Urgel mi ha detto che ne è stato testimone e che a me spetta il premio di esser vostro. È stato sciocco se ha detto quel che non so, e voi, se gli date credito. In dubbio era la mia mente, speranzosa la mia fede: sarebbe stato un miracolo in voi l’avere pietà, e che divinità siate io non potevo non credere. Ad un cuore che vi venera, più fede dona più gloria; se era fede il desiderio di immaginarvi divina, perdonate il mio ardire per la fede con cui credo. Non è audacia maggiore credervi del mio amor degno? No, ché col vostro favore potete elargire meriti; ed in questo il mio pensiero, piuttosto che al mio merito, si affidò al vostro potere. Egli vi ha indotto in errore? 2203
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Sí, señora. (Esto es peor que lo que acaba de hacer, porque supone estar yo despreciada, y él amante, pues al Príncipe al instante el aviso le llevó; que él nunca lo hiciera, no, si a mí me quisiera bien. Amor, la furia detén, pues ya mi pecho has postrado, que en él este hombre ha labrado el desdén con el desdén.) Señora, yo el modo erré de acetar vuestro favor y lo que fuera mejor; enmendando el yerro, iré a vuestro padre, y diré la gracia que os he debido, y rogaré agradecido que interceda en mi pasión, por mi dicha y el perdón de haber andado atrevido.
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¿Qué es esto que me sucede? Yo me quemo, yo me abraso; mas si es venganza de Amor, ¿por qué su rigor estraño? Esto es amor, porque el alma me lleva el desdén de Carlos. Aquel hielo me ha encendido; que Amor su deidad mostrando, por castigar mi dureza, ha vuelto la nieve en rayos. Pues ¿qué he de hacer, ¡ay de mí!,
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Sì, signora.
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(Questo è peggio di quel che ha appena fatto: si presume che io sia spregiata e lui innamorato, se il Principe all’istante è andato ad avvisare; certo non l’avrebbe fatto se avesse amato me. Amore, placa la furia, il petto già mi hai prostrato: Carlos in sé ha coltivato il disdegno col disdegno.) Signora, ho errato il modo di accogliere il favor vostro e quanto ne scaturiva; vado, per fare ammenda, da vostro padre a dirgli della grazia che vi devo e a chiedergli che interceda per codesta mia passione, la mia sorte e il perdono della mia temerità.
BÉARN
Esce. DIANA
Che cosa mi accade, insomma? Sì, io brucio, ardo tutta; ma se è vendetta di Amore, perché me ne meraviglio? È amore il mio, il disdegno di Carlos mi spezza il cuore. Quel gelo mi ha infiammata; mostra Amore la natura sua divina per punirmi e muta la neve in fuoco. Povera me, cosa fare 2205
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para enmendar este daño que en vano el pecho resiste? El remedio es confesarlo. ¿Qué digo? ¿Yo publicar mi delito con mi labio? ¿Yo decir que quiero bien? Mas Cintia viene: el recato de mi decoro me valga; que tanto tormento paso en el ardor que padezco, como en haber de callarlo.
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Salen Cintia y Laura. CINTIA LAURA
CINTIA
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CINTIA DIANA
Laura, no creo mi dicha. Pues la tienes en la mano, lógrala, aunque no la creas. Diana, el justo agasajo que, por ser tu sangre yo, te he debido, ahora aguardo que sea con tu favor el que requiere mi estado. Carlos, señora, me pide por esposa, y en él gano un logro para el deseo, para mi nobleza un lauro. Enamorado de mí, pide, señora, mi mano; solo tu favor me falta para la dicha que aguardo. (Esto es justicia de Amor. ¡Uno tras otro el agravio! ¿Ya no me doy por vencida? ¿Qué más quieres, dios tirano?) ¿No me respondes, señora? Estaba, Cintia, mirando
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per scongiurare il danno cui invano il petto resiste? Il rimedio è confessarlo. Che dico? Io proclamare la colpa con le mie labbra? Io rivelare che amo? Ma ecco Cintia: la cautela sia d’aiuto al mio decoro, ch’è un tormento per me tanto l’ardore che provo come il doverlo tacere. Entrano Cintia e Laura. CINTIA LAURA
CINTIA
DIANA
CINTIA DIANA
Alla mia sorte non credo. Se l’hai a portata di mano, pur non credendoci, coglila. Diana, per tutti i riguardi che in quanto tua congiunta io ti devo, ora attendo che riceva il tuo favore colui che mi si dichiara. Carlos, signora, mi chiede in sposa, e con lui ottengo una conquista anelata ed un blasonato trionfo. Innamorato di me, egli chiede la mia mano; solo il tuo favore manca alla gioia che mi attende. (Ecco giustizia di Amore! Un oltraggio dopo l’altro! Non basta per dirmi vinta? Cos’altro vuoi, dio tirannico?) Non mi rispondi, signora? Stavo, Cintia, osservando
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de qué modo es la fortuna en sus inciertos acasos. Anhela un pecho infeliz, con dudas y sobresaltos, diligencias y deseos, por un bien imaginado; solo porque le desea, huye de él, y es tan ingrato, que de otro que no le busca se va a poner en la mano. Yo, de su desdén herida, procuré rendir a Carlos, obliguele con favores, hice finezas en vano: siempre en él hallé un desvío; y sin buscarle tu halago, lo que huyó de mi deseo se va a rendir a tus brazos. Yo estoy ciega de ofendida, y el favor que me has rogado que te dé, te pido yo para vengar este agravio. Llore Carlos tu desprecio, sienta su pecho tirano la llama de tu desvío, pues yo en la suya me abraso. Véngame de su soberbia, hállete su amor de mármol; pene, suspire y padezca en tu desdén, y llorando sufra... Señora, ¿qué dices? Si él conmigo no es ingrato ¿por qué he de dar yo un castigo a quien me hace un agasajo? ¿Por qué me has de persuadir lo que tú estás condenando?
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come agisca la fortuna nelle sue alterne vicende. Anela un petto infelice – tra dubbi e agitazioni, attenzioni e desideri – a un affetto immaginato, e questi perché ambìto lo rifugge, così ingrato da gettarsi tra le braccia di chi non l’ha mai cercato. Dal suo disdegno ferita, cercai di vincere Carlos, di obbligarlo col favore: vana ogni mia cortesia, sempre si è mostrato schivo, e ora, senza tue lusinghe, si sottrae al mio desiderio e si arrende alle tue braccia. Mi sento cieca di rabbia, e il favore che domandi lo chiedo invece io a te per vendicare l’oltraggio. Carlos pianga il tuo disprezzo, soffra il suo cuore tirannico la fiamma del tuo rifiuto, come io nella sua mi struggo. Punisci la sua superbia, sii di marmo al suo amore; che sospiri e che patisca per il tuo disdegno, e in lacrime soffra... Signora, che dici? Se lui con me non è ingrato perché dovrei castigare chi mi mostra il suo riguardo? Perché mi vuoi persuadere a ciò che stai condannando? 2209
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Si en él su desdén no es bueno, también en mí será malo. Yo le quiero, si él me quiere. ¿Qué es quererle? ¿Tú de Carlos amada, yo despreciada? ¿Tú con él casarte, cuando del pecho se está saliendo el corazón a pedazos? ¿Tú logrando sus cariños, cuando su desdén helado, trocando efecto la causa, abrasa mi pecho a rayos? Primero, ¡viven los cielos!, fueran las vidas de entrambos asumpto de mi venganza, aunque con mis propias manos sacara a Carlos del pecho, donde, a mi pesar, ha entrado, y para morir con él matara en mí su retrato. ¿Carlos casarse contigo, cuando yo por él me abraso, cuando adoro su desvío y su desdén idolatro? Pero ¿qué digo? ¡Ay de mí! ¿Yo así mi decoro ultrajo? Miente mi labio atrevido, ¡miente!; mas él no es culpado, que si está loco mi pecho, ¿cómo ha de estar cuerdo el labio? Mas ¿yo me rindo al dolor, para hacer de uno dos daños? Muera el corazón y el pecho, y viva de mi recato la entereza, Cintia, amiga: si a ti te pretende Carlos, si da Amor a tu descuido
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Se è brutto in lui il disdegno, bello non sarà in me. Io lo amerò, se lui mi ama. Come, amarlo? Tu da Carlos amata, io disprezzata? Tu lo vuoi sposare, quando se ne esce da questo petto il mio cuore in frantumi? Tu avresti il suo affetto, quando il suo disdegno gelido, rovesciando i suoi effetti, fa il mio petto avvampare? Ma piuttosto, vivaddio, saranno le nostre vite mira della mia vendetta, dovessi con le mie mani strapparmi Carlos dal petto, dove è entrato mio malgrado, e per morire con lui in me il suo ritratto uccidere. Carlos sposarsi con te, quando io per lui sto bruciando, quando adoro il suo distacco ed il suo disdegno venero? Ma cosa dico? Ahimé! Così offendo il mio decoro? Mente la mia lingua audace, mente; ma colpa non ha: se è folle il cuore, come può essere saggia la lingua? Ma io mi arrendo al dolore, per fare di uno due mali? Muoiano il cuore e il petto, e viva del mio pudore la fermezza, Cintia amica: se ti vuole in moglie Carlos, se Amore dà al tuo distacco 2211
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lo que niega a mi cuidado, cásate con él, y logra casto amor en dulces lazos. Yo solo quise vencerle, y este fue un empeño vano de mi altivez, que ya veo que fue locura intentarlo, siendo acción de la Fortuna; pues, como se ve en sus casos, siempre consigue el dichoso lo que intenta el desdichado. El ser querida una dama de quien desea no es lauro, sino dicha de su estrella; y cuando yo no la alcanzo, no se infiere que no tengo en mi hermosura y mi aplauso partes para merecello, sino suerte para hallarlo. Y pues yo no la he tenido para lo que he deseado, lógrala tú que la tienes: dale de esposa la mano, y triunfe tu corazón de sus rendidos halagos. Enlace... Pero ¿qué digo?, que me estoy atravesando el corazón. No es posible resistir a lo que paso. Toda el alma se me abrasa. ¿Para qué, cielos, lo callo, si por los ojos se asoma el incendio que disfrazo? Yo no puedo resistirlo. Pues, cuando lo mienta el labio, ¿cómo ha de encubrir el fuego que el humo está publicando?
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quel che nega al mio tormento, sposalo e di un casto amore i dolci vincoli godi. Solo vincerlo volevo, questo è stato il vano sforzo della mia arroganza, ed ora vedo che follia è stata, trattandosi di Fortuna; come illustrano i suoi casi, chi ne ha il favore ottiene quel che cerca l’infelice. Che una dama venga amata da chi ama non è un trionfo ma segno di buona stella; e se io non ne ho goduto, non vuol dire che difettino in me bellezza e virtù tali da meritar plauso, ma solo la buona sorte. Visto che io non ne ho avuta in ciò che desideravo, gustala tu che ne godi: dàgli di sposa la mano, e che il tuo cuore trionfi dei suoi devoti ossequi. Si unisca... Ma cosa dico, se tutto ciò mi trafigge il cuore? Non è possibile resistere a quel che soffro. Ho tutta l’anima in fiamme. Perché, cielo, io lo taccio, se negli occhi affiora già quell’incendio che nascondo? Io non posso più resistere. Quando mentisse la lingua, come celare mai un fuoco se il fumo lo va svelando? 2213
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Cintia, yo muero: el delirio de mi desdén me ha llevado a este mortal precipicio por la senda de mi engaño. El Amor, como deidad, mi altivez ha castigado: que es niño para las burlas y dios para los agravios. Yo quiero, en fin, ya lo dije, y a ti te lo he confesado, a pesar de mi decoro, porque tienes en tu mano el triunfo que yo deseo. Mira si, habiendo pasado por la afrenta del decirlo, te estará bien el dejarlo.
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CINTIA LAURA
CINTIA LAURA
CINTIA
¡Jesús! El cuento del loco. Él por él está pasando. ¿Qué dices, Laura, qué dices? Viendo prohibido el plato, Dïana se ahitó de amor y del desdén ha sanado. ¡Ay, Laura! Pues ¿qué he de hacer? ¿Qué, señora? Asegurarlo, y al de Bearne, que es fijo, no soltarle de la mano hasta ver en lo que para. Calla, que aquí viene Carlos.
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Las unciones del desprecio, señor, la vida le han dado. ¡Gran cura hemos hecho en ella!
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Cintia, io muoio: il delirio del mio disdegno mi ha spinta in questo fatale baratro per la via dell’inganno. Come il dio che è, Amore punisce la mia superbia: è fanciullo nelle burle ed è nume negli oltraggi. Sì, amo, infine l’ho detto, ed a te l’ho confessato a rischio del mio decoro, perché hai nelle tue mani quella vittoria che inseguo. Pensa se, ora che mi sono umiliata a dirti questo, non sia giusto rinunciare. Esce. LAURA
CINTIA LAURA
CINTIA LAURA
CINTIA
O Gesù! Questa la storia del frutto proibito pare. Che ne dici, Laura? Che dici? Vedendo vietato il piatto, a Diana è venuta fame e dal disdegno è guarita. Oh, Laura, e che cosa faccio? Che cosa? Tientelo stretto, e del Principe di Béarn non mollare ora la mano, vedremo come finisce. Taci, ecco che arriva Carlos. Entrano Polilla e Carlos.
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Gli unguenti a base di sdegno la vita le hanno ridato. L’abbiam curata a dovere! 2215
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CARLOS POLILLA
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Si es cierto, gran triunfo alcanzo. Haz cuenta que ya está sana, porque queda babeando. Y ¿has conocido que quiere? ¿Cómo querer? Por San Pablo, que me vine huyendo de ella, porque la vi querer tanto, que temí que echase el resto y me destruyese. ¿Carlos? ¿Cintia hermosa...? Vuestra dicha logra ya triunfo más alto que el que en mi mano pretende. Vuestro descuido ha triunfado del desdén que no ha vencido en Dïana el agasajo de los Príncipes amantes. Ella os quiere; y yo me aparto de mi esperanza, por ella y por vos, si es vuestro el lauro. ¿Qué es lo que decís, señora? Que ella me lo ha confesado. ¡Toma, si purga, señor! No hay en la botica emplasto para las mujeres locas como un parche de mal trato. Mas aquí su padre viene, y los Príncipes: ¡al caso, señor, y aunque esté rendida, declárate con resguardo!
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Salen el Conde de Barcelona y los Príncipes. CONDE
Príncipe, vos me dais tan buena nueva, que es justo que os la acete, y aunque os deba
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Se è vero, quale gran trionfo! Datela già per guarita, perché non fa che sbavare. E ti pare proprio che ami? E come no? Per San Paolo, sono dovuto scappare, ardeva tanto d’amore che ho temuto di finire arrostito anch’io. Carlos? Mia bella Cintia...? Un più alto trionfo di questa mia mano la vostra ventura attende. Il vostro distacco trionfa sul disdegno che in Diana non hanno vinto i riguardi dei Principi pretendenti. Lei vi ama, ed alla speranza mia rinuncio, in favore suo e vostro, se è vostro il lauro. Cosa dite mai, signora? Me l’ha confessato lei. Funziona eccome, la purga! Non c’è miglior medicina, per una femmina pazza, di un impiastro d’insolenza. Ma ecco che viene suo padre con i Principi: attenzione, signore, e pur se lei è vinta, con cautela dichiaratevi! Entrano il Conte di Barcellona e i Principi.
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Principe, buona nuova mi portate, è giusto che l’accolga e che vi debba
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lo que a vuestra persona, pago en daros mi hija y mi corona. Pues aunque yo, señor, no haya tenido la dicha que Bearne ha conseguido, siempre estaré contento de que él haya logrado el vencimiento que tanto he deseado, por la parte que debe a mi cuidado; y el parabién le doy de este trofeo. Y también le admitid de mi deseo. Carlos, yo le recibo, y el mío os apercibo, pues en Cintia lográis tan digno dueño, que envidiara el empeño, a no lograr el mío.
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Sale Diana al paño. DIANA
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¿Dónde me lleva el loco desvarío de mi pasión? ¡Yo estoy muriendo, cielos, de envidias y de celos! Mas los Príncipes todos se han juntado, y mi padre con ellos; sin alma llego a vellos, pues si su fin no alcanza, yo tengo de morir con mi esperanza. Carlos, pues vos pedís a mi sobrina, yo, pagando el deseo que os inclina, os ofrezco su mano; y pues tanto sosiego en esto gano, háganse juntas todas las bodas de Dïana y vuestras bodas. ¡Cielos, yo estoy mi muerte imaginando! (Señor, Dïana allí te está escuchando, y has menester un modo muy discreto de declararte, por que tenga efeto,
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DON GASTÓN
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quanto a voi corrisponde: figlia e corona son lieto di darvi. Benché, signore, io non abbia avuto la ventura che Béarn qui si conquista, sono assai contento che egli abbia ottenuto la vittoria a cui tanto anelavo, avendovi io stesso preso parte, e mi congratulo per il successo. Anch’io mi associo ai rallegramenti. Carlos, ve ne son grato, e voglio ricambiarli, poiché trovate in Cintia degna sposa, che vi avrei invidiato se ora pago non fossi. Entra Diana e rimane nascosta.
DIANA
CONDE
DIANA POLILLA
A cosa mi ha portato lo sproposito della passione? Sto morendo, cielo, di invidia e gelosia. Ma si sono riuniti tutti i Principi, e mio padre con loro; senza forze mi accosto: se il mio intento non compio, ci perderemo io e la mia speranza. Carlos, chiedete in sposa mia nipote, io, ripagando il vostro desiderio, concedo la sua mano; e poiché tutto ciò assai mi solleva, si facciano al contempo sia le nozze di Diana che le vostre. O cielo, si avvicina la mia morte! (Signore, Diana è lì e vi sta ascoltando, e bisogna che con prudenza grande vi dichiariate, se volete farcela,
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que va con condiciones el partido, y, si yerras el cabe, vas perdido.) Yo, señor, a Barcelona vine, más que a pretender, a festejar de Dïana la hermosura y el desdén; y aunque es verdad que de Cintia el hermoso rosicler amaneció en mi deseo a la luz del querer bien, la entereza de Dïana, que tan de mi genio fue, ha ganado en mi albedrío tanto imperio, que no haré cosa que no sea su gusto, porque la hermosa altivez de su desdén me ha obligado a que yo viva por él; y puesto que haya pedido mi amor a Cintia, ha de ser siendo ansí su voluntad, pues la mía suya es. Pues ¿quién duda que Dïana de eso muy contenta esté? Eso lo dirá Su Alteza, por hacerme a mí merced.
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Sí diré. Pero, señor, ¿vos contento no estaréis, si yo me caso, que sea con cualquiera de los tres? Sí, que todos son iguales. Y vosotros ¿quedaréis de mi elección ofendidos? Tu gusto, señora, es ley.
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perché ora è incerta la partita, e, se fallite il colpo, è la fine.) Son venuto a Barcellona più che come pretendente, ad omaggiare di Diana la bellezza ed il disdegno; e se è vero che di Cintia il leggiadro incarnato ha generato nel cielo del mio desiderio l’alba, pur la fermezza di Diana, a me così congeniale, si è imposta al mio pensiero al punto che non farò niente che ella non approvi, perché la bella superbia del suo disdegno m’impegna a non farne più a meno; e sebbene abbia chiesto la mano di Cintia, devo saper cosa sente Diana: la mia volontà è la sua. E chi dubita che Diana assai non se ne rallegri? Questo lo dica Sua Altezza, se tale grazia vuol farmi. Entra.
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Sì, lo dirò. Ma, signore, voi sareste soddisfatto se io dovessi sposare uno qualsiasi dei tre? Sì, ché son nobili tutti. E voi rimarreste forse della mia scelta offesi? Ciò che vi aggrada è legge. 2221
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Y todos la obedecemos. Pues el Príncipe ha de ser quien dé a mi prima la mano; y quien a mí me la dé, el que vencer ha sabido el desdén con el desdén. Y ¿quién es ese? Tú solo. Dame ya los brazos, pues. Y mi bendición os caiga, por siempre jamás, amén. Pues esta, Cintia, es mi mano. Contenta quedo también. Pues tú, Caniquí, eres mío. Sacúdanse todos bien, que no soy sino Polilla: ¡mamola vuesa merced! Y con esto, y con un vítor que pide, humilde y cortés, el ingenio, aquí se acaba El desdén con el desdén.
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AGUSTÍN MORETO IL DISDEGNO COL DISDEGNO, ATTO TERZO DON GASTÓN DIANA
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E tutti l’osserveremo. Che il Principe dunque dia a mia cugina la mano, e che infine la mia ottenga chi vincere ha saputo il disdegno col disdegno. E chi è costui? Siete voi. Datemi le vostre braccia. E la mia benedizione vi giunga per sempre, amen. Cintia, eccovi la mia mano. La mia io vi do con gioia. E tu, Caniquí, sei mio. Scrollatevi tutti quanti, non son altri che Polilla: abboccò sua signoria! E con ciò e con un evviva che chiede, umile e gentile, l’autore, giunge alla fine Il disdegno col disdegno.
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Opere citate in forma abbreviata Alciato: A. Alciato, Omnia Andreae Alciati V. C. Emblemata: Cum Commentariis, Quibus Emblematum omnium aperta origine, mens auctoris explicatur, et obscura omnia dubiaque illustrantur: Per Claudium Minoem Diuionensem.-Antverpiae: Ex officina Christophori Plantini, architypographi regij, 1577. Autoridades: Diccionario de Autoridades, Madrid, Gredos, 1984, 3 voll.; edizione facsimile del Diccionario de la Lengua Castellana. Compuesto por la Real Academia Española, Madrid, Emprenta de F. Del Hierro, 1726-1739. Bolaños: P. Bolaños, ed. di L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, Madrid, Castalia, 2001. Bonilla: A. Bonilla y San Martín, Recensione alla edizione R. Menéndez Pidal de La serrana de la Vera, in “Revista crítica hispanoamericana”, 3, 1917, pp. 176-182. Castro: F. de Rojas Zorrilla, Cada cual lo que le toca y la viña de Nabot, ed. di A. Castro, Madrid, Centro de estudios históricos (Teatro antiguo español, 2), 1917. CH: S. de Covarrubias Horozco, Emblemas morales, ed. C. Bravo Villasante, Madrid, 1978 (edición facsímil de la edición Madrid, Luis Sánchez, 1610).
fue,
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OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Correas: G. Correas, Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627), texte établi, annoté et presenté par L. Combet, Bordeaux, Institut d’études ibériques et ibéro-américaines de l’Université de Bordeaux, 1967, rev. por R. Jammes e M. Mir-Andreu, Madrid, Castalia, 2000. Covarrubias: S. de Covarrubias y Orozco, Tesoro de la lengua castellana española, edición integral e ilustrada de I. Arellano y R. Zafra, Universidad de Navarra-Iberoamericana-Vervuert, 2006. Di Pastena: E. Di Pastena (a c. di), A. Moreto, El desdén, con el desdén, Barcelona, Crítica, 1999. Fernández: El garrote más bien dado, in El mejor de los mejores libros que ha salido de comedias nuevas, Alcalá de Henares, María Fernández, 1651. Fernández Guerra: L. Fernández Guerra (a c. di), A. Moreto, El desdén con el desdén, in Comedias escogidas, Madrid, Rivadeneyra (BAE, 39) 1856; ristampe: Madrid, Sucesores de Hernando, 1911; Madrid, Atlas, 1950, pp. 1-19. HC: J. de Horozco y Covarrubias, Emblemas Morales de Don Ivan De Horozco Y Covarrvvias... En Çaragoça. Por Alonso Rodríguez. Año de 1604 (Ia ed.: Segovia, 1589). Juliá: F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego, ed. di E. Juliá, Zaragoza, Ebro, 1947. King: W. F. King (a c. di), A. Moreto, El desdén, con el desdén, México, El Colegio de México, 1996. La Cecilia: G. La Cecilia (trad.), A. Moreto, Sdegno contro sdegno, in Teatro scelto spagnuolo antico e moderno, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1858, vol. IV, pp. 299-355. Lobato: M. L. Lobato (a c. di), A. Moreto, El desdén, con el desdén, in Comedias de Agustín Moreto. Primera parte de comedias, Kassel, Reichenberger, 2008, vol. I, pp. 397-580. Menéndez Pidal: R. Menéndez Pidal, M. Goyri de Menéndez Pidal, ed. di L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, Madrid, tae, 1916. Peale: G. Peale, ed. di L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, Newark, Juan de la Cuesta, 2002.
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OPERE CITATE IN FORMA ABBREVIATA
Profeti: F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego, ed. di M. G. Profeti, Barcelona, Crítica, 1998. Puccini: D. Puccini (trad.), A. Moreto, Disdegno per disdegno, in Teatro spagnolo del Secolo d’Oro, Torino, Edizioni Radio Italiana (collana «La Spiga»), 1957, pp. 241-327. Quiñones: El garrote más bien dado, in El mejor de los mejores libros que han salido de comedias nuevas, Madrid, María de Quiñones, 1653. Rico: F. Rico (a c. di), A. Moreto, El desdén, con el desdén, Madrid, Castalia, 1971. Rodríguez Cepeda: E. Rodríguez Cepeda, ed. di L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, Madrid, Cátedra, 1982. Ruiz: F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego, ed. di F. Ruiz Morcuende, Madrid, EspasaCalpe (Colección Universal), 1921. Sirera: J. L. Sirera (a c. di), A. Moreto, El desdén con el desdén. El lindo don Diego, Barcelona, Planeta, 1987. Valbuena Prat: Á.Valbuena Prat (ed.), A. Mira de Amescua, El ejemplo mayor de la desdicha o el Capitán Belisario, in Teatro, Madrid, Espasa-Calpe (Clásicos Castellanos), 1947 (Ia ed. 1928), vol. II, pp. 145-283. Vera Tassis: El alcalde de Zalamea, in Séptima parte de comedias del célebre poeta español don Pedro Calderón de la Barca, que corregidas por sus originales publica don Juan de Vera Tassis y Villarroel, Madrid, Francisco Sanz, 1683.
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PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA La vita e le opere 1 Le descrizioni bibliografiche di queste stampe possono vedersi nell’accurato Bibliographisches Handbuch der Calderón-Forschung / Manual bibliográfico calderoniano di K. e R. Reichenberger, Kassel, Verlag Thiele & Schwarz, 1979-1981, 3 voll.; e nella riproduzione anastatica delle Parti effettuata da D. W. Cruickshank e J. E. Varey, London, Tamesis Books, 1973 (voll. I-XIX; il primo e l’ultimo volume con ricca serie di studi di importanti calderonisti). L’edizione delle Parti, ad opera di specialisti calderoniani, Madrid, Biblioteca Castro, 2006-2010, è giunta alla Parte VI; un limite indubbio dell’edizione è che non sono previste note al testo.
Superata è la classificazione contenutistica; ricordo che M. Menéndez Pelayo, Estudios y discursos de crítica histórica y literaria, Santander, CSIC, 1941, divideva la produzione calderoniana in dramas e comedias, distinguendo, all’interno dei primi, tra drammi religiosi, filosofici e tragici (con tutta la labilità di confini che può immaginarsi). Valbuena Briones la organizza in dammi storici, di tema antico, me-
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dioevale o moderno, religiosi, filosofici e di onore; e poi in commedie di cappa e spada, esemplari e novellesche (P. Calderón de la Barca, Comedias, in Obras completas, II, ed. A. Valbuena Briones, Madrid, Aguilar, l956). Più recentemente F. Ruiz Ramón divide quelle che chiama Tragedias in testi sulla dialettica libertà-destino, drammi di onore, opere a tema religioso, e a tema storico (P. Calderón de la Barca, Tragedias, ed. F. Ruiz Ramón, Madrid, Alianza, 19671969, 3 voll.). Per la produzione calderoniana indirizzata alla corte si veda M. Rich Greer, The play of Power. Mythological Court Dramas of Calderón de la Barca, Princeton, University Press, 1991; S. Neumeister, Mito clásico y ostentación. Los dramas mitológicos de Calderón, Kassel, Reichenberger, 2000.
3
Si veda l’edizione del poemetto in P. Calderón de la Barca, Poesía, ed. E. Rodríguez Cuadros, Madrid, Biblioteca Nueva, 2001, pp. 75-91.
4
«Perché il fare versi era un ornamento dell’anima». Vedi l’Introduzione di A. Egido a P. Calderón, La fiera, el rayo y la piedra, Madrid, Cátedra, 1989, p. 13, nota.
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Una presentazione ragionata, una bibliografia essenziale e la riproduzione dei testi salienti in M. Durán, R. González Eche-
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NOTE
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varría, Calderón y la crítica: historia y antología, Madrid, Gredos, 1976, 2 voll. Per i riflessi sulla cultura tedesca vedi H. W. Sullivan, El Calderón alemán. Recepción e influencia de un genio hispano, FrankfurtMadrid, Iberoamericana-Vervuert, 1998. C. Morón Arroyo, Calderón. Pensamiento y teatro, Santander, Sociedad Menéndez y Pelayo, 1882.
7
D. Alonso, La correlación en la estructura del teatro calderoniano, in Seis calas en la expresión literaria, Madrid, Gredos, 19704. 8
H. Hatzfeld, Estudios sobre el barroco, Madrid, Gredos, 1973, p. 179: «Tutti gli elementi di accelerazione non sarebbero tipici del barocco calderoniano se non spiccassero su uno sfondo statico di elementi solenni, che implicano grandezza, gloria, sublimità, potere, accentrati intorno ad idee come religione, potenza politica e militare, amore, onestà, dignità femminile, purezza di sangue».
9
Si veda la bibliografia che ho raccolto in Texto literario del siglo XVII, texto espectáculo del siglo VIII: la intervención censoria como estrategia intertextual, in Coloquio internacional sobre el teatro español del siglo XVIII, Abano, Piovan, 1988, pp. 333-350. 10
Si vedano gli Atti dei Coloquios Anglogermanos intitolati Hacia Calderón, Berlino-New York, I (1970), II (1973), III (1976), IV (1979), V (1981), VI (1982), ecc.; o le Concordanze dovute al lavoro di H. Flasche e G. Hofmann, Hildesheim-New York, I (1980), II (1981), III (1982), ecc. 11
Può essere utile ricordare i risultati cui perviene I. Arellano, La comicidad escénica en Calderón, in «Bulletin Hispanique», 88, 1986, pp. 47-92, che esamina gli effetti comici extra-letterari in circa novanta opere di Calderón: quelli visuali sono utilizzati con perizia e rivestono un aspetto importante, anche se «inferiori a quelli verbali». 12
M aria Grazia Profeti
PP. 8-19
La dama folletto Nota introduttiva Per un censimento di queste allusioni, si veda F. A. De Armas, The invisible mistress. Aspects of feminism and fantasy in the Golden Age, Charlottesville, Biblioteca Siglo de Oro, 1976, pp. 123-159. 1
Dati sugli adattamenti e sulle traduzioni de La dama duende nelle diverse lingue europee, in K. e R. Reichenberger, Bibliographisches Handbuch der Calderón-Forschung / Manual bibliográfico calderoniano, Kassel, Verlag Thiele & Schwarz, I, 1979.
2
Un panorama commentato della critica esistente su La dama duende nelle due edizioni spagnole da me curate, la prima per la collana Biblioteca Clásica (Barcelona, Crítica, 1999), la seconda per la collana Clásicos y modernos (Barcelona, Crítica, 2005).
3
Cfr. M. G. Profeti, Introduzione a L’età d’oro della letteratura spagnola. Il Seicento, a cura di M. G. Profeti, Firenze, La nuova Italia, 1998, soprattutto le pp. 25-33. 4
5 F. A. de Bances Candamo, Theatro de los theatros de los passados y presentes siglos (1689-1694), ed. D. W. Moir, London, Tamesis, 1970, p. 33 (traduzione mia). 6 Fra tanti, ricordo specialmente M. D. Stroud, Social-comic anagnorisis in «La dama duende», in «Bulletin of the Comediantes», XXIX, 1, 1977, pp. 96-102. 7 Si veda al riguardo F. A. De Armas, The invisible mistress, cit. 8 Ne esiste una bella edizione moderna a cura di T. Ferrer Valls (Madrid, Castalia, 2001). 9 Come ad esempio A. Schizzano Mandel, El fantasma en «La dama duende»: una estructuración dinámica de contenidos, in Calderón. Actas del Congreso Internacional sobre Calderón y el teatro español del Siglo de Oro (Madrid, 8-13 junio 1981), ed. L. García Lorenzo, tomo III, Madrid, CSIC,
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1983, pp. 639-648), che ha equiparato la credenza a una «fragile membrana» che permette a donna Angela di «penetrare nell’intimità di don Manuel», e che ha parlato della visita alle stanze di donna Angela da parte del cavaliere, nel terzo atto, come di una penetrazione «negli oscuri spazi intimi» della dama. 10 Cito solo gli apporti che considero tra i più significativi di questa interpretazione: B. Mujica, Calderón’s characters: an existential point of view, Barcelona, Puvill, 1980 (cap. II: Freedom and reason: «La dama duende», pp. 93-133); J. E. Varey, «La dama duende» de Calderón: símbolos y escenografía, in Calderón. Actas del Congreso Internacional sobre Calderón, cit., tomo I, pp. 165-183; A. Rey Hazas y F. Sevilla Arroyo, «Introducción» a: Pedro Calderón de la Barca, La dama duende, Barcelona, Planeta (Clásicos Universales, 172), 1989; M. C. Bobes Naves, Cómo está construida «La dama duende» de Calderón, in «Tropelías», I, 1990, pp. 65-80. 11 È questa la lettura di B. Wardropper, dalla quale partono tutti i critici sopra citati (El problema de la responsabilidad en la comedia de capa y espada de Calderón, 1967, ora ripubblicata in Calderón y la crítica, eds. M. Durán y R. González Echevarría, vol. II, Madrid, Gredos, 1976, pp. 714722).
In particolare E. Honig, Flickers of incest on the face of honor: «The Phantom Lady», 1962, adesso in Id., Calderón and the seizures of honor, Cambridge, Harvard University Press, 1972, pp. 110-157; ma anche B. Mujica, Calderón’s characters: an existential point of view, cit., e altri. 12
Cfr. M. Vitse, El hecho literario, in Historia del teatro en España. I. Edad Media, Siglo XVI, Siglo XVII, ed. J. M. Díez Borque, Madrid, Taurus, 1983, soprattutto le pp. 548-559 e 576-590.
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14 Cito fra tutti C. Larson, «La dama duende» and the shifting characterization
NOTE
of Calderón’s diabolical angel, in The perception of women in Spanish Theater of the Golden Age, eds. A. K. Stoll y D. L. Smith, Lewisburg-London-Toronto, Bucknell University Press-Associated University Presses, 1991, pp. 33-50. Fausta Antonucci Note al testo didascalia: elementi centrali del vestito da viaggio così come veniva usato a teatro erano gli stivali, gli speroni, gli abiti colorati e adorni di passamanerie e nastri (gli abiti da città erano neri o di colore scuro). 5. Il principe Baltasar Carlos (16291646), primo e unico figlio maschio di Filippo IV e di Isabel di Borbone, venne battezzato il 4 novembre 1629. 10. Piramo e Tisbe (Ovidio, Metamorfosi, IV, 55-166), erano due giovani innamorati di Babilonia che, per eludere l’opposizione delle rispettive famiglie alla loro unione, decisero di fuggire insieme. Tisbe arrivò per prima alla fonte dove si erano dati appuntamento e venne messa in fuga da una leonessa, che le strappò il velo; Piramo sopraggiunse poco dopo e, vedendo il velo di Tisbe insanguinato, credette che la sua amata fosse morta e si uccise; Tisbe, tornando poco dopo, si uccise a sua volta sul cadavere di Piramo. 11. Vicino al luogo dell’incontro mancato di Piramo e Tisbe cresceva un gelso, i cui frutti, bagnati dal sangue dei due infelici amanti, divennero neri – da bianchi che erano – a ricordare per sempre la tragedia di cui erano stati testimoni. 22. Racconta Tito Livio (Decadi, I, 57-59) che a seguito di una scommessa Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il superbo, venne incaricato di verificare la condotta delle matrone romane durante l’assenza dei rispettivi mariti, impegnati in una guerra. Giunto a casa di Collatino sul far della sera, Tarquinio vide la moglie di lui Lucrezia impegnata a tessere insieme
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alle sue ancelle; colpito dalla sua bellezza e operosità, se ne incapricciò e la costrinse a giacere con lui, minacciando, se lei non avesse acconsentito alle sue voglie, di diffamarla facendo credere a tutti di averla trovata a letto con uno schiavo. Lucrezia, dopo la violenza subita, attese il ritorno del marito e del padre e, dopo aver denunciato loro l’oltraggio, si uccise. Il nome di Lucrezia passò alla storia come sinonimo di donna eroicamente casta, ma non mancarono critiche al suo comportamento: se davvero non aveva in alcun modo provocato Tarquinio, ed era dunque senza colpa, perché mai avrebbe dovuto uccidersi? Di qui le controversie sull’esistenza o meno della violenza da parte di Tarquinio. 25. Sacerdotessa di Afrodite, Ero viveva in una torre sulla spiaggia di Sesto; lì aspettava tutte le notti Leandro, che per raggiungerla attraversava a nuoto lo stretto dei Dardanelli; una notte, il mare in tempesta fece affogare il giovane, il cui cadavere venne gettato sulla spiaggia. Quando Ero lo vide, disperata si buttò dall’alto della torre per morire con il suo amato. 36. Calderón allude in questi versi all’opera Hero y Leandro, del drammaturgo Antonio Mira de Amescua (1574?-1644), e alla famosa attrice María de Córdoba, detta Amarilis. Sembra di capire dai versi della commedia che l’attrice rappresentava la parte di Ero con eccessivo verismo, facendosi male nel buttarsi dall’alto, sicuramente legata a una corda, come facevano i saltimbanchi e gli acrobati che davano i loro spettacoli durante la Quaresima, quando le rappresentazioni teatrali erano vietate. 42. Era proverbiale all’epoca il detto «Abindarráez è arrivato tardi», in riferimento a qualcuno che per colpa di un ritardo perde un’ottima occasione. La frase ripete il verso di un romance moresco nel quale la bella Fatima, offesa per il disinteresse del moro Abindarráez nei suoi confronti, dice all’amica Jarifa che di lui non le
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PP. 28-32
importa più nulla: è arrivato tardi e adesso il suo cuore è già occupato. 46. Il motivo dell’«amore alla moda», inteso come amore interessato e venale, è ricorrente in alcune opere teatrali dell’epoca, in opposizione all’amore «all’antica», disinteressato e idealista; e trova la sua consacrazione nella commedia di Antonio de Solís y Rivadeneyra El amor al uso (1636?). 50. Nell’originale sustenta, che, come l’italiano mantiene, indica sia l’azione di procurare sostentamento a qualcuno, sia l’azione di chi in un torneo agisce da sfidante, mantenendo la sua causa contro tutti coloro che vogliono combattere con lui. 62. Riferimento alla guerra per il possesso del Monferrato (1624-1626), che vide scontrarsi gli eserciti spagnoli contro quelli di Carlo Emanuele I di Savoia. Il duca di Feria cui si allude è Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba (1587-1634), governatore di Milano e capo dell’esercito spagnolo in questa guerra. 68. Nell’originale, il pronome complemento oggetto lo viene sostituito dal pronome complemento indiretto le: si tratta di un fenomeno linguistico detto leísmo, comune a quasi tutti gli scrittori madrileni dell’epoca, e ancora oggi ampiamente diffuso in Spagna. 80. L’emblema del dono che Calderón descrive in questi versi somiglia all’allegoria della Magnanimità inclusa nella Iconologia (1593) di Cesare Ripa: una dama dal ricco vestito, che estrae da una cornucopia molte monete d’oro senza guardarle. 100. didascalia: nell’originale, tapadas: cioè col volto coperto quasi interamente dal mantello, che lasciava scoperto soltanto un occhio. L’uso del tapado (cioè di questa sorta di travestimento) da parte delle donne era assai diffuso, perché permetteva di uscire senza essere riconosciute, e dunque garantiva loro una certa libertà di movimento e di azione. Proprio per questo, i
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moralisti lo consideravano un costume deplorevole, e dal 1586 al 1639 vennero emanati numerosi editti di proibizione, che evidentemente non dovettero avere grande successo, visto il loro continuo ripetersi. 137. Cosme, per aiutare il padrone, finge di essere analfabeta e di non riuscire quindi a leggere l’indirizzo segnato sulla lettera. Non era strano che un servo fosse del tutto ignorante, ma Cosme mostra in più occasioni di saper leggere (come nei vv. 723 e ss., che inevitabilmente danno luogo alla reazione maliziosa di don Luis). 138. Nell’originale, troviamo la forma arcaica agora, usata regolarmente da Calderón in posizione trisillabica, in alternanza con ahora, bisillabo. 140. Rendiamo con l’italiano tempo l’originale flema: uno dei quattro umori del corpo umano nella concezione medica dell’epoca, che, se presente in eccesso, produceva pigrizia e lentezza nei movimenti. Era proverbiale la pigrizia dei servi: per questo Cosme (nell’originale spagnolo) dice di averne molta.
NOTE
Calderón. Nell’originale, don Manuel sarebbe un don Chisciotte de la legua, cioè, «di seconda categoria». Le compagnie teatrali «de la legua» erano infatti quelle che, non avendo ricevuto il permesso reale di rappresentare nelle grandi città, percorrevano la Spagna per lavorare nei villaggi e piccoli centri. 284. Secondo una convinzione diffusissima all’epoca, l’inclinazione amorosa dipendeva dalle stelle, era cioè predeterminata, non contrastabile dalla volontà umana. 286. Nell’originale, troviamo las, pronome complemento oggetto, in luogo di les, pronome complemento indiretto: si tratta del fenomeno linguistico del laísmo, oggi generalmente percepito come scorretto, ma all’epoca assai diffuso fra gli scrittori soprattutto madrileni, tra cui Calderón. 343. Le vedove dovevano rispettare rigorosamente un lungo periodo di lutto; specialmente gravoso era il primo anno di vedovanza, che le obbligava a rimanere chiuse in casa e a non poter ricevere visite.
159. Dare soddisfazione significava, nel codice d’onore nobiliare, dare spiegazioni o scusarsi in risposta alle rimostranze o proteste fatte da un pari grado; implicava di fatto ammettere le ragioni di chi aveva chiesto soddisfazione, e quindi evitare un possibile duello, cosa che si riteneva indegna di un nobile.
368. Nell’originale, la credenza è piena di vidrios, cioè oggetti di vetro (bicchieri, coppe, ecc.), che abbiamo reso con piatti per ragioni di metrica e perché anche i piatti sono fragili. Anche il proverbio spagnolo cui si allude in questi versi assimila l’onore al vetro, perché entrambi si spezzano al primo colpo.
174. Per ribattere all’insinuazione fatta da don Manuel, che cioè don Luis non conosca la cortesia e debba farsela insegnare da un forestiero, il cavaliere sta per pronunciare un «mentite», cioè quella che si considerava una delle più gravi offese all’onore di un nobile, da lavare necessariamente solo col sangue. Per questo don Manuel toglie la parola di bocca a don Luis, per esortarlo al duello ed evitare che pronunci la parola fatidica.
370. Nell’originale, tocas (che abbiamo reso con «cuffia»): erano dei veli pesanti che coprivano tutta la testa e venivano usati dalle vecchie e, appunto, dalle vedove.
254. Le allusioni al capolavoro di Cervantes sono frequentissime nel teatro di
386. Angela equipara i rovesci della sua fortuna alle fasi lunari, che hanno reso questo pianeta il simbolo dell’incostanza delle sorti umane. 392. Questa affermazione ha dato luogo a molte interpretazioni critiche fuorvianti, che vogliono leggervi la coscienza da parte di donna Angela dei desideri incestuosi dei suoi fratelli. Bisogna però leggere la
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frase per quello che è, ossia un paradosso dettato dall’esasperazione: morto un marito, dice Angela, adesso me ne ritrovo due (i miei fratelli). Marito qui non va inteso nel senso di «uomo con cui si ha un rapporto coniugale», ma nel senso di «uomo che controlla l’onore della donna». 400. Allude al suono degli strumenti (generalmente trombe, clarini e tamburi) che servivano a convocare il pubblico alle feste cittadine, come quella organizzata per il battesimo del principe Baltasar, cui si allude già nei primissimi versi della commedia. 411. Nell’originale, de azahar, cioè «profumate come il fiore d’arancio», ma anche gioco di parole con de azar, che si pronuncia nello stesso modo e che vuol dire «pericolose, astute». 466. L’originale in questo punto è di difficile comprensione, e i diversi testimoni presentano non a caso diverse varianti. È probabile che il soggetto di pagó (sempre che questa sia la lettura giusta) sia nuestro hermano (v. 461), che paga a don Luis la sua rabbia, cioè la «compensa», con la persona stessa di don Manuel, che don Luis ferisce en profecía, cioè come indovinando che si tratta proprio dell’aborrito ospite, prima ancora di sapere che si tratta effettivamente di lui. 471. Il recinto, costruito sulla piazza antistante il Palazzo reale, serviva a delimitare l’area destinata ai tornei. 492. Nell’originale, vella sta per verla, per un fenomeno di assimilazione e palatalizzazione della –r dell’infinito che è comunissimo nella lingua letteraria dell’epoca. 499. Nell’originale, abbiamo hidalgo, propriamente «nobile». Non deve meravigliare questa qualificazione: anche se in italiano, per esigenze di metrica e perché rimanda al rapporto di subordinazione nel quale opera, abbiamo adottato la resa «servo», bisogna tener presente che il criado è
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innanzitutto una persona legata alla famiglia di un nobile di maggior gerarchia, che spesso è stata cresciuta (criado, appunto, o criada, se si tratta di una donna) in casa di questi e lo accompagna e serve fin dalla più tenera età; e questo non esclude però che si tratti a sua volta di un hidalgo, cioè, non di una persona del volgo ma di un nobile, anche se di bassa categoria. 536. I figli cadetti non avevano beni propri, perché tutta l’eredità andava al primogenito, ed essi dipendevano dunque da lui per tutte le loro necessità. 560. Angela sottolinea in questi versi un aspetto caratteristico delle commedie di cappa e spada, spesso segnalato dai critici dell’epoca come difetto: e cioè l’inverosimile accumularsi di coincidenze in un tempo ridottissimo. Un’analoga ricapitolazione di eventi concentrati nel tempo la fa don Luis ai vv. 305 e ss. 572. Questi versi sono fondamentali per comprendere la dinamica degli spostamenti su cui si basa la commedia. Innanzitutto, cuarto non indica, come oggi, una singola stanza, bensì un insieme di stanze (quello che oggi chiameremmo «appartamento» o forse ancora meglio «suite») destinate, nel contesto di una casa, a una determinata persona. Il cuarto si componeva di una sala, una alcova o camera da letto, e uno o più stanzini o ripostigli: tutti questi spazi verranno evocati, sia a proposito delle stanze di don Manuel, sia a proposito di quelle di donna Angela. Le stanze della dama, come chiariscono i vv. 568-569, sono distanti da quelle del cavaliere; tuttavia, c’è un passaggio che le mette in comunicazione, come spiega la replica di Isabel. 587. Giardino (jardín nell’originale) sta qui probabilmente a indicare il patio o cortile interno della casa, sul quale affacciano anche le stanze di donna Angela. 590. Rendiamo con «credenza» l’originale alacena: mobile composto di scaffali e chiuso da vetrine, che normalmente si co-
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struiva in una incassatura del muro, ed era dunque fisso, non portatile, cioè spostabile. 600. La dinamica dell’incidente raccontato da Isabel suggerisce che la credenza fosse stata collocata nel vano della porta, a dissimularlo. Probabilmente il battente della porta era stato tolto e il mobile fissato agli stipiti, male, con dei chiodi o in qualche altro modo poco efficace, e questo spiega perché, quando Isabel vi si appoggia, la credenza si sposta e poi cade sotto il suo peso. 616. Lo stratagemma dei due chiodi messi en falso, come dice l’originale, cioè senza che veramente servano a fissare il mobile, dovrebbe far credere a tutti (e soprattutto a don Manuel e al suo servo) che la credenza è bloccata, costruita cioè nel muro e non, come Angela e Isabel sanno, «portatile» e dunque spostabile. 664. Nell’originale è più chiaro che l’assenza di colpa si riferisce a don Luis, che ha ferito don Manuel in regolare duello. 697. Nell’originale, docientos, forma antica per doscientos. 702. L’imprecazione di Cosme invoca sul suo capo, in caso di menzogna, non una sventura (come sarebbe quella di essere gettato a testa in giù nell’inferno) ma un evento fortunato; è un tipo di imprecazione ingannevole molto frequente nella letteratura comica e burlesca. 707. Galizia ed Asturie si consideravano zone arretrate e isolate per eccellenza, dunque antitetiche a Madrid, sede della Corte. 708. Abbiamo reso diversamente la paronomasia originale tra Reporta («calma», «sta’ zitto») e reportorio (cioè repertorio, «miscellanea di curiosità»), cercando di riprodurre in altro modo il nonsense della risposta di Cosme all’esortazione del suo padrone. 712. All’epoca della composizione di questa commedia, Madrid si stava riem-
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piendo di fontane pubbliche, la cui costruzione, iniziata sotto il regno di Filippo III, continuava sotto Filippo IV. Cosme, amante del vino come corrisponde al tipo teatrale del servo buffo, vede nell’acqua un nemico e giustifica così la sua rabbia verso la fontana responsabile dei suoi guai. 718. Nell’originale, puesto de lodo: modo di dire che equivaleva a «insultato», ma che letteralmente significava «riempito di fango». 724. Cosme fa allusione alle miscellanee di curiosità varie (come ad esempio la Silva de varia lección di Pero Mexía) che raccoglievano notizie strabilianti e favolose come questa delle fonti le cui acque avevano il potere di trasformare gli oggetti che vi si immergevano, o anche riuscivano ad ubriacare chi vi beveva, come se invece di acqua zampillassero vino. 733. Le ultime domande di don Luis sono una didascalia implicita della gestualità dell’attore che rappresentava Cosme, che probabilmente doveva scansarsi come per evitare un possibile castigo per la sua menzogna. Benché spaventato, Cosme però trova una risposta plausibile, vista la differente leggibilità tra i caratteri a stampa e la scrittura corsiva manoscritta. 752. Don Juan insiste con Cosme sul fatto che le loro stanze non hanno un’altra porta oltre a quella che dà su un’uscita secondaria dalla casa; questa «altra porta» in realtà c’è, come sappiamo, ma è dissimulata dalla credenza e don Juan ha tutto l’interesse a negarne l’esistenza. Don Juan sottolinea inoltre l’esistenza di due sole chiavi che danno accesso alle stanze di don Manuel: la sua, che è di fatto un passepartout, e quella che sta dando a Cosme. L’assenza di altre chiavi dell’appartamento di don Manuel sarà determinante per lo svolgimento della vicenda. 756. La pratica truffaldina del fare la cresta, sottrarre cioè denaro al padrone facendogli credere che si è speso più di
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quanto si sia effettivamente pagato, è spesso attribuita al tipo teatrale del servo, e fa parte del suo carattere venale e interessato. 760. Nell’originale, que sta per donde, «dove»; lacerías («piccolezze», «quantità miserabili») è di uso abbastanza raro, il che ha determinato letture varianti in molti testimoni. 770. Cosme vuol dire che il denaro non è frutto di una transazione commerciale (l’immaginaria vendita di agnelli) perché lui debba controllare di aver ricevuto il prezzo giusto. 776. Nell’originale, «proprio perché sono un servo». Era proverbiale la renitenza e pigrizia dei servi nell’obbedire ai comandi dei padroni. 778. Nell’originale, rezar a una ermita (dove ermita, cioè «romitaggio», nel gergo dell’epoca indicava l’osteria). 780. didascalia: la descrizione del movimento della credenza suggerisce che il mobile doveva essere montato (o dipinto, più probabilmente) sul battente di una delle tre porte che si aprivano sulla parete di fondo del palcoscenico, potendosi dunque muovere di fatto come una porta. Quando l’azione si svolgeva in spazi diversi dalla stanza di don Manuel, il mobile, o il dipinto che lo rappresentava, probabilmente rimanevano coperti da una tenda scorrevole. 811. Scrittoio, all’epoca, non indicava un mobile pesante, bensì una specie di grande scatola di legno nella quale si potevano chiudere carte e altri oggetti personali. Tutti gli oggetti cui si allude in questi versi quasi sicuramente comparivano agli occhi del pubblico nel vano centrale in fondo al palcoscenico, la cosiddetta «scena interna», che si poteva chiudere semplicemente scorrendo una tenda. 843. Gli oggetti che enumera Isabel fanno parte del nécessaire del cavaliere alla moda: ferri o pinzette per arricciare i capelli e dare volume alla ciocca (copete, nell’originale) che si rialzava sulla fronte in
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un’onda; una guaina di cuoio per mantenere in forma i baffi durante la notte. Lo svelamento dell’intimità del cavaliere, attraverso la sua biancheria e i suoi oggetti da toletta, ha una forte componente comica. 847. Oltre al senso letterale di questi versi (don Manuel ha nel suo bagaglio anche le forme di legno da mettere nelle scarpe perché non si deformino) c’è nell’originale l’allusione al detto Hallar uno la horma de su zapato («trovare la forma per le proprie scarpe»), usato quando qualcuno trova chi gli è superiore in furbizia. Nel nostro caso, don Manuel effettivamente ha trovato in Angela e Isabel persone capaci di smascherare tutti i segreti della sua toletta. 877. Il commento metateatrale di Isabel, che si rivolge apertamente al pubblico, è destinato a prevenire le possibili critiche alla verosimiglianza delle sue azioni. 882. Nell’originale, toalla: una tela che serviva a coprire il cuscino dei letti e che si toglieva al momento di coricarsi. Il deittico qui doveva essere accompagnato da un gesto con il quale l’attrice che recitava la parte di Isabel indicava il luogo dove doveva trovarsi il letto: quasi sicuramente il vano centrale sul fondo del palcoscenico (vedi n. 811). Non è detto che questo letto fosse visibile agli spettatori: si consideri che normalmente l’alcova era uno spazio diverso e separato dalla sala, che è quella dove si trovano donna Angela e Isabel. Si veda a riprova il movimento scenico dei vv. 971 e ss., con don Manuel che esce di scena quando vuole andare a coricarsi, e poi rientra per far vedere a Cosme il biglietto che ha trovato sotto il copricuscino. 892. Isabel ripete la formula latina che gli artigiani incidevano sulle loro opere (spade, vasellame, ecc.) preceduta dal proprio nome; la usa come una sorta di firma del disordine in cui lasciano la stanza, di cui sarebbe artefice la credenza stessa, che ha permesso il passaggio alle due donne.
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897. Nell’originale, almoneda, cioè «asta pubblica». 899. Nell’originale, Plazuela de la Cebada, che era ai tempi di Calderón, ed è ancora oggi, luogo di mercato. 920. Nell’originale, duendecillo, diminutivo di duende, spirito folletto che si credeva abitasse le case, mostrandosi dispettoso ma mai malevolo. Una delle azioni che si attribuivano tradizionalmente ai folletti era, appunto, quella di mutare in carbone il denaro o i gioielli. 972. Il remo è quello delle galere, dove finivano all’epoca tanti delinquenti, condannati ai lavori forzati nella flotta del re. Di qui l’equivalenza odierna fra prigione e galera (in origine, «nave a remi»). 983. Comico riferimento alla tromba del settimo angelo che annuncia il Giudizio Universale chiamando davanti a Dio tutti gli uomini (Apocalisse, XI, 15-19). 1028. Si sottintende, «dopo che mi era successo di essere coinvolto in un duello e di essere ferito». 1033. Cosme vuol dire che, da quando è rimasto solo nell’appartamento, cioè dopo averne avuto la chiave da don Juan, nessuno è potuto entrare, proprio perché, come spiegato ai vv. 746 e ss., non ci sono altre chiavi di quelle stanze a parte il passepartout di don Juan. 1053. Nell’originale tray, forma dissimilata per trae, usata qui per esigenze di rima. 1081. Mentre si credeva che le streghe avessero stipulato col diavolo un patto esplicito di sottomissione, non così le fattucchiere, che si credeva avessero soltanto una certa familiarità con il diavolo. 1082. I succubi erano dèmoni notturni che si credeva prendessero forma di donna per tentare gli uomini e avere con loro rapporti sessuali. 1085. Negromante è, secondo l’interpretazione etimologica di Covarrubias nel
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suo Tesoro de la lengua castellana (1611), l’arte di divinare invocando i morti; più spesso indica genericamente chi esercita la magia. 1088. Cosme pensa di aver messo in difficoltà il padrone, che non potrà negare l’esistenza dei diavoli, ammessa dalla dottrina cattolica. Ma don Manuel replica che questi diavoli non hanno potere; uniformandosi così alla dottrina cattolica, che considera il potere dei diavoli limitato dalla volontà divina che non gli permette di manifestarsi se non in rari casi. 1090. Un cattolico non può negare neanche l’esistenza delle anime del purgatorio; ma don Manuel se la cava replicando con una domanda ironica. 1102. Il tabacco, importato dalle terre americane, era inizialmente usato come trinciato da annusare; fumarne le foglie era ancora una pratica poco diffusa, che molti consideravano demoniaca per i suoi effetti (soprattutto per la fuoriuscita di fumo dalla bocca e dalle narici del fumatore). 1123. Lo stile del biglietto di don Manuel evoca, spiritosamente, il linguaggio arcaico dei romanzi di cavalleria, già parodiato da Cervantes nel Don Chisciotte. 1162. Il sole è metafora di Beatriz, la donna amata da don Juan, mentre l’angelo è, evidentemente, sua sorella donna Angela. 1188. Donna Beatriz riprende le metafore usate in precedenza da don Juan, aggiungendone una: la casa del cavaliere è una sfera di diamante; con allusione al primo mobile o cielo cristallino, la nona e più elevata fra le sfere concentriche che secondo la cosmologia tolemaica circondavano la terra, dimora delle gerarchie angeliche e di molto superiore alla sfera del sole (la quarta). 1192. Nell’originale, de barato: era abitudine di chi vinceva al gioco fare delle regalie a chi aveva assistito alla partita.
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1257. Nell’originale, huevo de Juanelo, con lo stesso significato che ha l’espressione italiana uovo di Colombo. Gianello Torriani, conosciuto in Spagna come Juanelo Turriano (1501-1575), era un orologiaio e matematico cremonese che lavorò al servizio di Carlo V e Filippo II, costruendo automi e macchinari che divennero assai famosi, primo fra tutti il meccanismo idraulico per approvigionare di acqua la città di Toledo, che all’epoca veniva considerato l’ottava meraviglia del mondo. 1298. Nell’originale, «scrivi un altro fratello al margine», con allusione al manoscritto teatrale, nel quale le didascalie di ingresso dei personaggi si scrivevano spesso su uno dei due margini. È uno dei tanti commenti metateatrali di Isabel. 1324. Don Luis giustifica il gesto villano con cui sta impedendo a Beatriz di andarsene, dicendo che, poiché ne ama le ripulse, non vuole neanche aspettare che lei gli usi la gentilezza di restare, che potrebbe sembrare un favore (si intenda, «favore amoroso»). 1420. Sfera indica, nel linguaggio poetico di Calderón, il mondo, l’ambito nel quale si muove un personaggio; trattandosi di una metafora geometrica, nell’originale si dice che tutte le linee (cioè i percorsi che don Manuel traccia idealmente nel muoversi per la città) passeranno per il centro di questa sfera, che è, appunto, il Palazzo reale. 1426. Il monastero di San Lorenzo del Escorial (o Escurial) fu fatto costruire da Filippo II nella località omonima, assai vicina a Madrid, a partire dal 1563. Terminato nel 1594, il complesso di edifici fu fin dall’inizio non solo e non tanto monastero e luogo di culto, quanto soprattutto di residenza temporanea del re. 1464. Il paragone che fa don Luis risponde alla realtà (è la notte che sembra fuggire via quando sorge il sole) ma non all’uso metaforico corrente di queste im-
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PP. 112-142
magini: infatti, normalmente, il sole, o la luce del giorno, sono metafore della bellezza femminile. Non a caso, don Luis afferma di bruciare ai raggi della luce del giorno, cioè, di essere innamorato di una luminosa bellezza. Così, nell’ambito di pochi versi, Beatriz viene prima paragonata alla notte e poi metaforizzata come luce diurna. 1537. L’accenno al buio pesto serviva a sollecitare l’immaginazione degli spettatori: in realtà, lo spettacolo teatrale si svolgeva nelle prime ore del pomeriggio, in un cortile scoperto, e quindi non c’era la possibilità di creare un’oscurità artificiale. Per suggerire un’ambientazione notturna si ricorreva, oltre che alle parole messe in bocca ai personaggi, a elementi di attrezzo come una candela accesa o un lume, alla gestualità dell’attore, che doveva muoversi come a tentoni, o al vestito (i cavalieri che uscivano la sera indossavano un manto guarnito d’oro e di colore acceso). 1572. Cosme adatta alle sue esigenze quattro versi di una canzone popolare molto diffusa all’epoca, nei quali una ragazza che sta per essere venduta ai mori dal suo rapitore, lo supplica di avere pietà e di non abbandonarla. Prendendo spunto da questo testo tradizionale, sia Luis Vélez de Guevara sia Pedro Calderón costruirono due commedie dallo stesso titolo, La niña de Gómez Arias. 1584. Verbo caro...: sono le prime parole dell’Angelus (Verbum caro factum est), pronunciate in modo scorretto da Cosme, come invocazione di aiuto. 1635. Era credenza comune che i folletti potessero apparire in aspetto di fraticelli. 1690. Nell’originale, Cosme paragona don Manuel al padre de la mancebía, cioè al padrone di un bordello e «protettore» delle prostitute, che si prendeva la parte maggiore dei loro guadagni (e proprio perché a lui non viene nessun guadagno dagli incontri col presunto folletto, Cosme si autodefinisce un puto, un «prostituto»).
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1708. Era credenza popolare che i folletti avessero due mani, una di stoppa o di lana, morbida e delicata, e una di ferro, con la quale assestavano colpi tremendi. 1718. In città e a Corte i nobili usavano vestire di nero, e nero è il mantello che Cosme consiglia di prendere a don Manuel per il viaggio: un herreruelo, nell’originale, senza cappuccio e con un ampio collo. 1724. Don Manuel si riferisce all’incontro che la dama misteriosa gli ha promesso nel biglietto riportato ai vv. 1652 e ss. 1766. didascalia: nell’originale, al paño. Nella parete in fondo al palcoscenico si aprivano, come già detto, tre porte, che si potevano dissimulare grazie ad altrettante tende. Era un ricorso abituale quello di far nascondere parzialmente un attore dietro una di queste tende, a significare che il personaggio ascoltava non visto le parole degli altri personaggi presenti in scena. 1837. Don Juan, con sfoggio di argomenti sofistici, si dice in sostanza incredulo che Beatriz abbia potuto soffrire per la sua mancanza, e invidioso di se stesso per questa fortuna. 1852. Beatriz a sua volta risponde a don Juan utilizzando i suoi stessi argomenti, ma dando ad essi un significato del tutto diverso, in linea con la proverbiale gelosia della dama innamorata, che sospetta sempre che il proprio cavaliere corteggi anche un’altra. 1882. È il lume che donna Angela chiede di poter nascondere; come si vedrà ai vv. 2003-2006, quando lo scopre. 1887. Nell’originale, quilates, «carati»: l’unità di misura della purezza dell’oro e, per estensione metaforica, di qualsiasi sentimento prezioso. 1902. Il sonetto di don Juan è tutto giocato sull’opposizione fra libero arbitrio e predestinazione degli astri come moventi dell’amore (vedi anche nota al v. 284): la stella di don Juan, cioè la sua inclinazione spontanea verso Beatriz, è talmente forte
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da vincere sul libero arbitrio; eppure il giovane vorrebbe poter dimenticare l’amata per poi scegliere liberamente (cioè, con un atto volontario del libero arbitrio) di amarla. Questo complesso ragionamento si colloca sulla stessa linea delle battute precedenti del personaggio, in una sorta di «Accademia d’amore» i cui partecipanti sono lo stesso don Juan e Beatriz. 1916. Così come nello scambio di battute precedente, anche qui nel suo sonetto Beatriz ribatte agli argomenti di don Juan, rivendicando per il proprio amore (volontà) una consonanza fra libero arbitrio e inclinazione che lo rende più sicuro. 1917. L’azione si sposta in uno spazio esterno imprecisato, antistante alla casa di don Juan, nella quale presto i due personaggi entreranno per recuperare le pratiche che Cosme ha dimenticato nella stanza. 1920. Un nobile non poteva aggredire un inferiore, perché la differenza sociale tra i due avrebbe reso questa aggressione disonorante per chi l’avesse compiuta. 1948. Il deittico lì indica che il ragazzo con le mule non era presente in scena; l’allusione serve a fare appello all’immaginazione degli spettatori. 1984. didascalia: don Manuel e Cosme escono di scena, come fingendo di entrare in casa da una delle porte del fondo. Subito dopo, dalla porta che raffigura la credenza (vedi nota al v. 780 didascalia) entrano le due donne, e il palcoscenico passa quindi a rappresentare l’interno della stanza di don Manuel. 1988. Era molto diffusa all’epoca l’immagine del sonno come ladro della metà della vita, che si associava all’iconografia classica del Sonno come fratello della Morte. 1996. Questa raccomandazione di donna Angela a Isabel è imprescindibile per lo sviluppo successivo di questa sequenza culminante del secondo atto: se infatti don
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Manuel e Cosme avessero potuto vedere la credenza spostata dal suo incasso, avrebbero subito capito il mistero del presunto folletto; d’altro canto, se non venisse detto in questi versi che la credenza è chiusa «dal di fuori», non si capirebbe neppure perché donna Angela non prova a scappare quando Cosme e don Manuel escono dalla stanza per andare a chiudere tutte le porte che immettono nel loro appartamento. La chiusura della credenza è dunque una misura esclusivamente funzionale allo svolgimento del’intreccio, per la quale non bisogna cercare una verosimiglianza pratica: come invece hanno fatto quei commentatori che si sono chiesti come faccia Isabel a «chiudere» dal di fuori, visto che non si è mai parlato fino adesso di chiavistelli o catenacci della credenza. 2036. Idre: allusione all’Idra di Lerna, mostro mitologico dalle molte teste, che rinascevano non appena venivano tagliate. Fu alla fine sconfitto e ucciso da Ercole in una delle sue dodici fatiche. 2043. L’immagine di Dio come supremo pittore è molto ricorrente nel teatro di Calderón. 2044. Cosme è convinto che si tratti di un essere diabolico, creatura di Dio anch’essa, ma non umana. L’immagine di Dio come divino artefice è molto presente nel teatro di Calderón. 2047. Nell’originale Cosme gioca con la paronomasia lucero (stella) / Lucifer (Lucifero), che non abbiamo potuto mantenere nella traduzione per ragioni di rispetto della misura metrica. 2054. Cosme allude all’idea vulgata, originata in un passo dell’Apocalisse (XII, 4), che i diavoli, quando vennero estromessi dal Paradiso per essersi ribellati a Dio, avessero portato con sé nell’Inferno un terzo delle stelle del cielo. 2058. L’iconografia tradizionale del diavolo lo raffigura con le zampe terminanti in zoccoli caprini; il che spiega anche
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PP. 164-176
l’affermazione del v. 2061 (ángel patudo, nell’originale, cioè «angelo con le zampe»). 2087. Nell’originale, letteralmente «questa è la sconfitta definitiva del diavolo» (la frase «Aquí fue Troya» o «Aquí es Troya» equivaleva all’epoca alla constatazione di un disastro, essendo quella di Troia la disfatta per antonomasia). 2110. Donna Angela, che per quanto ne sappiamo non era al corrente della superstizione di Cosme, cerca comunque in questi versi di far credere a don Manuel di essere una creatura non umana, dotata di poteri soprannaturali; e, come fanno nelle fiabe le fate e i folletti, impone il segreto come condizione per manifestare compiutamente i propri favori all’eroe. 2144. Nell’originale, si gioca sulla disemia di tocar: «toccare» e «suonare uno strumento». 2157. Nell’originale, il verbo desdorar ha un senso non solo letterale («togliere brillantezza») ma anche metaforico, perché ferire una donna sarebbe gesto indegno di un nobile. 2173. Quella porta fa riferimento alla porta che dà alla stanza di don Manuel, e che, come abbiamo già detto, è una delle tre porte che si aprono sul fondo del palcoscenico. La menzione della porta dell’androne allude all’esistenza di un altro vano che separa la porta della stanza dalla porta secondaria che dà sulla strada; ma soprattutto serve a far uscire Cosme e don Manuel dalla stanza e a far sì che essi non vedano da dove scompare donna Angela nei vv. seguenti. 2215. In questo scambio di battute, si invertono comicamente le parti fra Cosme, che senza volerlo segnala la soluzione dell’enigma, e don Manuel, che neanche prende in considerazione la possibilità che il passaggio si nasconda dietro la credenza, fuorviato dalla presenza del «vasellame» al suo interno.
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2246. Trappola: nell’originale, tramoya. Indicava inizialmente qualsiasi macchinario teatrale che consentiva effetti speciali come apparizioni e sparizioni improvvise di personaggi in scena; per estensione, passò a indicare qualsiasi inganno o intrigo ben congegnato.
2346. Le obiezioni di donna Angela in questi versi si basano su due diffusissimi luoghi comuni poetici: il riso dell’alba, metafora che indicava lo spuntare del chiarore diurno, e il pianto dell’aurora, metafora della rugiada che bagna la terra in questo momento del giorno.
2252. Don Manuel fa riferimento all’incontro che chiude il secondo atto, quando la misteriosa dama, o prodigio, è apparsa nella stanza del cavaliere con un lume, ed è poi scomparsa senza che don Manuel sia riuscito a scoprire in che modo.
2348. Il sole è anche metafora della luce che chiarisce dubbi o illumina la verità delle cose; la verità che Angela dice di amare può riferirsi alla sincerità dei sentimenti di don Manuel.
2262. Il cimitero di San Sebastián, oggi scomparso, si trovava accanto alla chiesa intitolata allo stesso santo, nella madrilena calle de Atocha. Portantina traduce, in modo non del tutto esatto, l’originale silla, o silla de manos: una specie di carrozza senza ruote e con un solo sedile, con tendine ai finestrini, che veniva trasportata da due portantini: era all’epoca un vero e proprio status symbol, ambito soprattutto dalle dame perché vi si potevano spostare in incognito, tirando le tendine e nascondendosi alla vista. L’uso improprio dell’intimità che queste sillas garantivano ne determinò la censura da parte dei moralisti. 2264. La complicata messa in scena escogitata da donna Angela per incontrarsi con don Manuel ha come obiettivo principale quello di evitare che il cavaliere riconosca che l’incontro avviene nella stessa casa nella quale è ospite. 2312. Il nucleo concettuale del galante discorso di don Manuel è che la bellezza di Angela è talmente radiosa da non aver bisogno dell’oscurità per risaltare; poiché, come dirà più avanti, brilla più del sole, risalterebbe anche in pieno giorno. 2339. Sfera del sole fa riferimento al quarto dei cieli concentrici che nella cosmologia tolemaica circondavano la terra; si credeva che fosse il calore del sole a generare e far muovere i venti.
2386. Donna Angela allude al genere pittorico dei «quadri con segreto», molto diffusi soprattutto in area tedesca e fiamminga nel Cinquecento (di qui che il termine più diffuso per designarli sia quello, tedesco, di Vexierbilder, letteralmente «quadri con inganno»), ma anche in Italia (fu praticato per esempio dall’Arcimboldo). Si tratta di quadri che rivelano una figura nascosta qualora li si osservi da un diverso punto di vista. L’illusionismo di questo genere pittorico è imparentato con quello dell’anamorfosi, anch’essa molto in voga nel Cinquecento e Seicento: un disegno o pittura che rappresenta, se guardato frontalmente, un soggetto deforme o distorto, che riacquista forma e proporzioni corrette se guardato da un preciso punto di vista, di solito laterale. 2415. La reazione stizzita di donna Angela è ovviamente una finzione; fa parte della rappresentazione teatrale che ha organizzato con la cugina e nella quale le ha assegnato la parte della domestica, che deve essere redarguita aspramente dalla padrona. Lo scopo è quello di far credere a don Manuel che donna Angela sia una nobilissima dama (il titolo di Eccellenza spettava soltanto ai Grandi di Spagna), e non la dama di nobiltà media quale effettivamente è. 2428. Anche questa bugia fa parte della strategia di depistaggio che donna Angela pratica nei confronti di don Manuel, per
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allontanare la possibilità che lui la riconosca come sorella di don Juan e don Luis. 2531. Lo stravagante cognome di Cosme era già stato usato da Lope de Vega, nella sua commedia El perro del hortelano, come nome immaginario, fintamente greco, del padre del gracioso Tristán. 2575. Per capire questa scena, bisogna sapere che spesso, nel teatro dell’epoca, si fingeva che due personaggi o due gruppi di personaggi presenti sul palcoscenico, pur parlando entrambi, non comunicassero realmente fra loro. In questo caso, don Manuel, che parla rientrando nella sua stanza dalla porta che dà verso l’androne, non viene sentito da Cosme e da Isabel, che sono invece più vicini alla porta che raffigura il passaggio segreto della credenza, e a sua volta non sente le loro parole, in particolare l’invocazione di aiuto di Cosme che chiude la scena. 2589. Per nascondersi nell’alcova, evidentemente don Manuel utilizza la terza fra le porte che si aprivano nella parete di fondo del palcoscenico. 2609. Amadigi e Belianigi sono i protagonisti di due fra i più famosi romanzi di cavalleria, assai in voga ancora ai tempi di Calderón: Amadís de Gaula (1508) di Garci Rodríguez de Montalvo, e Belianís de Grecia (1547) di Jerónimo Fernández. 2621. Comico e burlesco anche nella paura, Cosme si rivolge a Beatriz chiamandola con il femminile del nome Damiano che, nel calendario liturgico, si associa sempre a quello di Cosme (Cosma, in italiano, o Cosimo). I fratelli Cosma e Damiano (gemelli, secondo alcune tradizioni) affrontarono insieme il martirio sotto Diocleziano, e insieme vengono venerati dalla Chiesa. 2627. È strano che il pauroso Cosme, che fino adesso si è sempre rifiutato di aderire al codice comportamentale del nobile, si richiami qui al senso dell’onore; in realtà, poiché non parla di honor ma di pun-
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PP. 198-210
donor, «punto d’onore», forse allude solamente all’amor proprio maschile, che – come spiega il raccontino che segue – deve dimostrare comunque la propria virilità in presenza di una bella donna, senza lasciarsi intimidire dall’eventuale natura diabolica di costei. 2637. Eco delle polemiche dei moralisti contro questi due capi di vestiario: il primo (cotilla, nell’originale) perché troppo attillato e scollato, spesso anche senza maniche; il secondo (nagua o enagua, una sorta di sottoveste) perché realizzato con stoffe molto care e pesanti che servivano a dare corpo e volume alla gonna, imbottendola con un effetto guardinfante. 2649. Dispera qui ha il senso di «perdi la speranza nella salvezza della tua anima». 2662. L’irriverente raccontino di Cosme soffrì probabilmente il taglio della censura, come prova la sua assenza in uno dei due manoscritti che ci hanno trasmesso il testo de La dama duende, quello appartenuto alla compagnia teatrale di Antonio de Escamilla e copiato nel 1689; e la sua espunzione dall’altro manoscritto, senza data, ma sicuramente del XVII secolo. 2666. Nell’originale, è chiaro che Cosme nega di avere sete, non di avere timore; forse perché ha paura che le dame (della cui natura umana non è affatto convinto) gli facciano bere qualche pozione diabolica. 2668. L’obiezione di Beatriz tende a rafforzare i sospetti di Cosme, e a ritardare l’identificazione del luogo dove si trova con uno degli spazi domestici della casa di don Juan: solo le streghe infatti potevano percorrere distanze così grandi in un tempo brevissimo, come quello che ha impiegato Cosme per raggiungere le stanze di donna Angela, guidato da Isabel. 2682. Si tratta in realtà della portantina che ha trasportato poco tempo prima un ignaro don Manuel.
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2702. L’accelerazione degli sviluppi dell’intreccio, propria della fase finale della commedia, comporta qualche incongruenza e una rottura della rappresentazione verosimile degli spazi così come era stata condotta fin qui. Sappiamo infatti, dalle parole dei personaggi nel primo atto (cfr. soprattutto i vv. 567 e ss.), che le stanze di don Manuel sono lontane da quelle di donna Angela: è dunque impossibile, in una prospettiva «realista», che don Luis senta il rumore della credenza, che pure è necessario in questo punto della commedia per destare i suoi sospetti. Allo stesso modo, la didascalia seguente non indica, come potrebbe sembrare, che il passaggio segreto mette in comunicazione diretta le stanze di donna Angela con quelle di don Manuel (ci vogliono ancora 26 versi prima che don Luis entri nelle stanze di don Manuel passando dalla credenza socchiusa): serve soltanto a indicare che don Luis esce dalle stanze di donna Angela passando per quella stessa porta del fondo dalla quale, al v. 2726, entrano nelle stanze di don Manuel Isabel e Cosme: la porta che raffigura la credenza (vedi nota al v. 780 didascalia).
2800. In questi versi don Manuel enuncia le leggi del duello a oltranza: i due contendenti devono avere a disposizione la stessa intensità di luce, devono combattere in un luogo chiuso, e il duello si può concludere soltanto con la morte di uno dei due.
2726. didascalia: la porta da cui entra in scena don Manuel è quella che immette all’alcova, dove il protagonista era entrato al v. 2589.
2880. didascalia: don Manuel esce dal palcoscenico passando dalla porta che dà all’alcova, per andare ad aprire a Cosme, che si trova, come ha detto lui stesso pochi versi prima, in uno stanzino o sgabuzzino (un retrete), probabilmente contiguo all’alcova vera e propria.
2776. L’uomo che don Luis ha visto nascondersi è Cosme, in realtà, non don Manuel: per questo don Manuel ha buon gioco a ribattergli che anche gli occhi possono sbagliarsi (motivo questo assai frequente nel teatro calderoniano, e che si apparenta al grande tema dell’illusione dei sensi assai trattato nel Barocco). 2784. L’interruzione brusca di don Manuel serve ad evitare che don Luis pronunci il fatidico «menti!», offesa suprema dell’onore che si può lavare solo col sangue. La situazione è del tutto analoga a quella dei vv. 173 e ss., che danno inizio al primo duello fra i due personaggi.
2858. Per uscire, probabilmente don Luis ha raccolto da terra la chiave che vi era stata gettata al v. 2798, e ha aperto la porta lasciando la chiave nella serratura; quando lui se ne va, don Manuel chiude di nuovo. Sottolineare con le parole il gesto di togliere la chiave dalla serratura dopo aver chiuso, serve a rendere verosimile il successivo ingresso di don Juan (che, come si ricorderà, ha un’altra chiave della stanza) al v. 2881. 2868. didascalia: «al piano alto» indica che l’attore si doveva affacciare a una delle finestre che si aprivano al primo piano della parete di fondo del palcoscenico. Non si tratta di un’indicazione verista, in quanto l’alcova nella quale è stato rinchiuso Cosme con ogni probabilità si trovava sullo stesso livello della sala dove si svolge l’azione principale.
2935. Mondo (nell’originale esfera) è metafora abbastanza comune in Calderón per indicare l’ambito domestico (cfr. anche la nota ai vv. 1188 e 1420). In questo caso si riferisce alla casa di Beatriz. 2947. Allusione alla proverbiale loquacità delle donne. 2952. Doppio ossimoro complicato da una antitesi quadrupla. Vulcano e Alpe sono, per antonomasia, il vulcano perpetuamente in eruzione e la montagna coperta da nevi perenni.
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3006. In realtà, chi rinasceva dalle proprie ceneri, nel mito classico, era la Fenice, uccello favoloso che dopo una vita plurisecolare si rinnovava bruciandosi. Calderón lo incrocia qui con la figura mitica dell’Idra di Lerna, già menzionata al v. 2036, che nel suo teatro indica sempre l’angoscioso moltiplicarsi di sventure. 3008. Il labirinto è figura dello sperdimento, dell’incapacità di trovare una direzione al proprio agire: don Manuel si sente «labirinto di se stesso» perché non sa decidere sul da farsi. 3037. Donna Angela pensa che chi sta entrando sia don Juan. L’ingresso di don Luis la coglie invece di sorpresa. Si tratta dell’ennesimo sacrificio della verosimiglianza al colpo di scena, poiché solo don Juan avrebbe potuto aprire la porta, visto che è l’unico oltre a don Manuel ad averne la chiave. 3089. didascalia: l’ingresso in scena di tutti gli altri personaggi è caratteristico del finale della commedia; qui avviene a prezzo di un’altra incongruenza, poiché, se don Juan entra dalla porta che dà all’androne e poi all’esterno, Beatriz e Isabel entrano dalla porta che raffigura il passaggio segreto della credenza, che però (v. 2801 e ss.) don Luis aveva sbarrato con un tavolino. 3114. È un topos nel teatro aureo la richiesta finale agli spettatori di perdonare gli eventuali errori o manchevolezze della rappresentazione. Fausta Antonucci
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te e l’«Aldea» nel teatro spagnolo del Siglo de Oro, in Teatri barocchi (Tragedie, commedie, pastorali nella drammaturgia europea fra ’500 e ’600), a cura di S. Carandini, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 439-468. N. von Prellwitz, «De tus brazos me retiro»: gestos del conflicto padre-hijo en «La vida es sueño», in Giornate calderoniane. Calderón 2000. Atti del Convegno Internazionale (Palermo, 14-17 dicembre 2000), a cura di E. Cancelliere, Palermo, Flaccovio, 2003, pp. 127-140.
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3 F. Olmedo, Las fuentes de «La vida es sueño». La idea, el cuento, el drama, Madrid, Voluntad, 1928.
Edito da Enrique Rull, insieme alla commedia: Pedro Calderón de la Barca, La vida es sueño (comedia, auto y loa), Madrid, Alhambra, 1980.
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M. Vitse, Segismundo et Serafina, Toulouse, Institut d’études hispaniques et hispano-américaines de l’Université de Toulouse-Le Mirail, 1980.
5
M. Molho, Segismundo o el Edipo salvaje, 1979, trad. sp. in Id., Mitologías. Don Juan. Segismundo, Madrid, Siglo XXI, 1993, pp. 240-248.
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7 F. Ruiz Ramón, Mitos del poder: «La vida es sueño», 1992, ora rielaborato in Id., Paradigmas del teatro clásico español, Madrid, Cátedra, 1997 e in Id., Calderón nuestro contemporáneo, Madrid, Cátedra, 2000.
F. Ruiz Ramón, Calderón nuestro contemporáneo, cit., p. 215.
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M. Vitse, Segismundo et Serafina, cit., pp. 18-32. 9
La vita è un sogno Nota introduttiva 1 Su questo paradigma teatrale si vedano: F. Antonucci, El salvaje en la comedia del Siglo de Oro. Historia de un tema de Lope a Calderón, Pamplona-Toulouse, Universidad de Navarra-Université de Toulouse, 1995; e S. Arata, Il principe selvaggio: la cor-
C. Bandera, Mímesis conflictiva. Ficción literaria y violencia en Cervantes y Calderón, Madrid, Gredos, 1975, p. 192 e passim.
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Fausta Antonucci Note al testo personaggi. Ho tradotto così l’originale gracioso, che indica un personaggio sempre
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presente nel teatro aureo, fin dagli inizi del Seicento: il servo caratterizzato dalla funzione comica (la gracia è lo scherzo che fa ridere) e da una visione del mondo radicalmente opposta a quella del nobile al quale si accompagna.
sto cioè di abiti dai colori vistosi e di alti stivali di cuoio) indicava con certezza che il personaggio era una dama abbandonata dal suo amante, che aveva intrapreso un viaggio per tentare di recuperare il suo onore perduto.
didascalia: nei teatri pubblici del Seicento spagnolo (corrales) lo spazio utile per la rappresentazione era costituito dal palcoscenico, aperto al pubblico su tre lati, e dalla parete che lo chiudeva sul fondo, nella quale si aprivano, su tre livelli (livello del palcoscenico, primo corredor o galleria balconata, secondo corredor) nove vani chiusi da tende che potevano aprirsi all’occorrenza per fare uscire/entrare gli attori o mostrare scene d’interni o apparizioni magiche o soprannaturali. Normalmente gli attori entravano e uscivano dalle due porte laterali che si aprivano al livello del palcoscenico; mentre si mostravano ai vani del primo corredor accedendovi da dietro la parete di fondo. In questo caso, l’attrice che impersona Rosaura deve invece scendere dal primo corredor attraverso una rampa a gradini che veniva montata direttamente sul palcoscenico prima della rappresentazione, utilizzando delle «espansioni» laterali del palcoscenico (tablado) chiamate tabladillos: uno spazio che si potevano permettere solo alcuni teatri, in particolare quelli di Madrid dove con ogni probabilità venne rappresentata per la prima volta La vida es sueño. Il monte, dal punto di vista scenografico, era appunto formato dalla rampa a gradini e da un vano del primo corredor attrezzato con rami e foglie a fingere un ambiente naturale: decorazione che poi veniva coperta da una tenda quando l’azione si spostava a palazzo. Rosaura entra in scena vestita da uomo, una convenzione frequente nel teatro dell’epoca, che piaceva molto agli spettatori perché i pantaloni attillati tipici del vestito maschile mettevano in risalto le gambe delle attrici, normalmente nascoste dalle ampie gonne; il fatto che questo vestito da uomo fosse «da viaggio» (compo-
8. Rosaura sta apostrofando il suo cavallo, che, imbizzarrito, si è precipitato giù dal monte disarcionandola: lo chiama ippogrifo, che è quel favoloso cavallo alato che nell’Orlando Furioso accompagna Astolfo sulla Luna a recuperare il senno di Orlando; gli attribuisce tutta una serie di epiteti che rimandano ai quattro elementi del cosmo (fuoco, aria, terra e acqua rispettivamente), ciascuno però privato di un suo componente fondamentale; vede la montagna dove il cavallo si è precipitato come un confuso labirinto (immagine che evoca, da un lato il groviglio di problemi in cui si sente imprigionata Rosaura, dall’altro la figura mitologica del Minotauro, composto favoloso di uomo e toro rinchiuso nel labirinto costruito da Dedalo per il re di Creta Minosse, e che anticipa in qualche modo la prossima apparizione di Segismundo). Questo incipit così complesso, così retoricamente costruito, sarà a partire dal Settecento uno dei bersagli preferiti della critica neoclassica, che considerava improprio e sproporzionato che una donna sbalzata di sella si lanciasse in un’invettiva tanto astrusa; ma, come ha fatto giustamente notare Francisco Rico (El teatro es sueño, in Id., Breve biblioteca de autores españoles, Barcelona, Seix-Barral, 1990, pp. 201-234), l’inizio altisonante e oscuro serviva a captare con forza l’attenzione degli spettatori, a immergerli nel favoloso mondo del teatro, marcando in modo inequivocabile la distanza con il prosaico mondo della loro vita di tutti i giorni. In più, quest’apostrofe iniziale costruisce una rete di riferimenti a problematiche più profonde che percorrono tutta l’opera (la violenza e la superbia che portano all’autodistruzione, il doloroso inizio di qualsiasi avventura alla ricerca di sé, l’ibridazione mostruosa di caratte-
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ri...); rete che sicuramente gli spettatori più colti potevano comprendere e apprezzare, e che modernamente è stata messa in luce da molti critici, tra i quali ricordiamo Carmelo Samonà (Saggio di un commento a «La vida es sueño», 1967, ora in Id., Ippogrifo violento, Milano, Garzanti, 1990, pp. 17-108). 10. Fetonte, figlio del Sole, volle condurre intorno alla terra il carro di fuoco del padre, ma, privo di esperienza e troppo audace, fu sul punto di causare la distruzione del pianeta perché si era pericolosamente avvicinato alla superficie terrestre; per evitarlo, Zeus lo uccise colpendolo con un fulmine e Fetonte precipitò nel fiume Eridano, l’odierno Po. Le letture simboliche di questo mito, specialmente diffuse a partire dal Cinquecento, fanno di Fetonte l’emblema dell’audacia e della superbia castigate. 16. La cima della montagna viene presentata metaforicamente come una testa: arruffata per l’intrico della vegetazione, e accigliata per via dei dirupi e spaccature che fanno pensare a un cipiglio aggrottato. 38. Forse Seneca, o Eraclito, che nell’iconografia tradizionale veniva rappresentato sempre piangente, in opposizione al ridente Democrito. 72. Ancora una metafora umanizzante: l’oscurità densissima viene vista come il frutto di un corpo (il rustico palazzo che è la prigione di Segismundo) che lo concepisce nelle sue viscere e lo fa uscire dalla bocca (la porta). Nella rappresentazione, probabilmente la porta della prigione corrispondeva alla porta centrale che si apriva a livello del palcoscenico nella facciata di fondo, e che dava su un piccolo vano utilizzabile per montare scene che potevano poi essere nascoste rapidamente alla vista grazie alla tenda; in questo caso, la tenda si sarebbe aperta più avanti per far vedere Segismundo prigioniero.
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PP. 268-276
74. La presenza delle antitesi (e degli ossimori, come il vivo cadavere di poco successivo) è frequentissima in questa come in altre opere di Calderón, a indicare la coesistenza di sensazioni ed emozioni opposte: in questo caso, il gelo della paura e il fuoco dell’emozione. didascalia: l’apparizione di Segismundo incatenato con ogni probabilità si realizzava facendo scorrere la tenda che copriva la porta centrale sul fondo del palcoscenico, che conduceva allo spogliatoio degli attori: un vano questo che veniva spesso utilizzato per rappresentare scene o ambienti che dovevano poi essere nascosti rapidamente alla vista degli spettatori (come succederà ai vv. 327-329, quando Clotaldo ordina di rinchiudere il prigioniero). Il vestito di pelli è una caratteristica iconografica tipica dell’uomo selvaggio, figura mitica molto presente nel folklore, nella letteratura e nelle arti figurative europee medievali. Fra i suoi tanti significati, il selvaggio è simbolo dell’uomo asservito totalmente agli istinti animali: con questo valore Calderón lo usa per esempio nei suoi autos sacramentales, componimenti teatrali in un solo atto dedicati a esaltare il sacramento dell’Eucaristia e a ribadire il dogma della transustanziazione. Tuttavia, spesso nel teatro spagnolo del Seicento si attribuiscono i tratti folklorici del selvaggio alla figura romanzesca del giovane principe abbandonato, cresciuto lontano dalla corte e ignaro della sua vera identità, che finirà per recuperare alla fine grazie a uno straordinario riconoscimento e alle prove di valore che dà di sé. Il vestito di pelli di Segismundo, agli occhi degli spettatori dell’epoca, rimanda a entrambi i significati, e anticipa in parte lo svolgimento e il significato della sua vicenda. 126. Calderón opera qui uno «scambio o incrocio di attributi» (una delle figure tipiche della poesia barocca), basato sulla somiglianza tra i fiori e il piumaggio delicato, leggero e brillante dell’uccello.
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140. Questa décima allude a un imprecisato animale selvaggio la cui pelle a chiazze, disegnata da quel sommo pittore che è Dio, ricorda una costellazione di astri che brillano sul fondo scuro del cielo. Forse questo animale è il toro, che è un segno dello Zodiaco, e che rimanda al tempo stesso al mitico Minotauro, mostro del suo labirinto. 141. In realtà, lo spagnolo distinto non equivale esattamente all’italiano istinto, che ho scelto per ragioni di misura metrica e di rima: significa «capacità di distinguere tra il bene e il male», ed è dunque un concetto vicino a quello di libero arbitrio, che indica la capacità di scegliere liberamente tra il bene e il male. 160. La pietà, nella lingua de La vida es sueño, equivale praticamente sempre a «rispetto», «sottomissione»: i fiori si comportano col ruscello come i sudditi col monarca, si inchinano al suo passaggio riconoscendo la sua superiorità, la sua maestà; e il ruscello ringrazia con la musica delle sue acque. 170. Il privilegio e l’eccezione cui fa riferimento Segismundo è la libertà, di cui lui è privo, e di cui invece godono l’uccello, la belva, il pesce e il ruscello (si osservi come ritorna in queste quattro creature, e nell’imprecazione che apre la décima successiva, la quadripartizione degli elementi che si osservava già nell’invettiva iniziale di Rosaura al suo cavallo: aria, terra, acqua e, con l’allusione al vulcano, fuoco). 182. saprai... so... sai: il polittoto (qui, una stessa radice verbale flessa in diverse forme e persone) rende ostici questi due versi al lettore di oggi, ma è una tipica espressione di quello stile ingegnoso caro al Barocco, che privilegia tutte le figure retoriche che si costruiscono giocando con le parole. Qui, tra l’altro, il polittoto sottolinea un concetto chiave del codice dell’onore, centrale in quell’etica nobiliare che permea tutto il teatro di Calderón: mostrare debolezza è già di per sé disonorevole, ma
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lo è ancora di più se questa debolezza ha un testimone; e Segismundo non può permettere che questo testimone rimanga in vita, perché si tratterebbe di una debolezza doppia, in quanto indicherebbe che egli accetta passivamente la perdita d’opinione ingenerata dall’aver reso pubbliche, senza volerlo, le sue lamentele. 212. Troviamo in questi due versi un’altra figura retorica, il chiasmo (o inversione dei termini) combinato con l’antitesi (uomo/fiera), che serve a sottolineare la presenza di qualità contraddittorie nel personaggio di Segismundo. 216. Lo studio della politica nel grande libro della Natura, propiziato dall’osservazione delle comunità animali, è un topos di radice aristotelica molto comune nella letteratura dell’epoca. 232. L’idropisia si caratterizza per un accumulo anomalo di liquidi in alcuni tessuti e cavità del corpo, specialmente nell’addome, e determina nel malato una sete patologicamente inestinguibile. In questi versi è nuovamente molto presente il polittoto (vedo, vedere), insieme alla figura etimologica (morte, muoio). A queste figure si somma nell’originale anche la paronomasia (somiglianza fonica tra parole) perché in spagnolo ver e beber sono quasi omofoni. La concentrazione di queste figure retoriche ricorda, al destinatario colto, il peculiare codice stilistico della lirica amorosa cancioneril, che precedette in Spagna la fioritura della lirica petrarchista, e che si sforzava di esprimere le contraddizioni e i contrasti presenti nell’anima dell’amante avendo specialmente caro l’utilizzo di figure come appunto il polittoto, la figura etimologica, la paronomasia, oltre all’antitesi (che troviamo nella décima successiva, come contrasto tra vita e morte). Di fatto, in questi versi, Segismundo sta elaborando una dichiarazione d’amore a Rosaura, benché l’aspetto con il quale lei gli si presenta sia quello di un uomo e non di una donna.
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242. Il senso di questi versi è il seguente: è vero che la vista di Rosaura uccide Segismundo; ma, se questi non vedesse più Rosaura, non avrebbe la vita, ma la morte; infatti, la vita nella sventura (cioè, nell’assenza dell’essere amato) equivale alla morte; ed allora è meglio morire felice, guardando la bellezza di Rosaura. 262. Il raccontino deriva dall’Esempio X del Libro del Conde Lucanor, composto nella prima metà del XIV secolo da don Juan Manuel. 336. Quest’invettiva di Segismundo richiama il mito classico dei Titani, i giganti figli di Urano e Gea, che si ribellarono contro gli dèi dell’Olimpo e tentarono di dare la scalata al cielo ammucchiando uno sull’altro enormi massi. Zeus li sconfisse scagliando contro di loro i suoi fulmini: la loro caduta, come quella di Fetonte (e di Icaro), veniva letta all’epoca come un emblema della superbia e dell’ambizione punite. I vetri cristallini del sole sono la sfera al cui interno esso ruota; nella cosmologia tolemaica ogni pianeta gira in una sfera di cristallo, e tutte ruotano con moto concentrico intorno alla terra. 350. Umiltà e Superbia sono due personaggi allegorici molto frequenti negli autos sacramentales. 365. Con queste parole, Clarín si deve evidentemente rivolgere a un soldato, porgendogli la sua spada. 415. Gli indizi sono rappresentati dalla spada e dal racconto, ancora molto ellittico, che Rosaura ha fatto a Clotaldo; i segni del cuore sono le manifestazioni emotive di un riconoscimento istintivo, propiziato dalla «forza del sangue», un vero luogo comune nel teatro dell’epoca. 432. Nell’etica nobiliare, di stampo ancora feudale, cui fa riferimento Calderón, un vassallo come Clotaldo deve al suo Re obbedienza e fedeltà assolute, al di sopra dei suoi sentimenti privati e personali.
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PP. 282-296
433. Amor proprio non equivale qui tanto a «orgoglio», quanto, etimologicamente, all’amore «di sé stesso», cioè il desiderio di salvaguardare la propria vita e quella dei propri familiari. 438. Si intenda: «che la lealtà abbia il sopravvento, e mio figlio muoia». 442. Infame, qui nel senso etimologico di «privo di fama», in quanto l’onore coincide con l’opinione (o fama) di una persona, e cioè, con la proiezione pubblica dei suoi atti e del suo stesso essere. In questa concezione, ampiamente drammatizzata nel teatro dell’epoca e in particolare in quello di Calderón, l’individuo in sé non esiste, esiste soltanto in quanto gli altri gli riconoscono l’onore; l’onore, quindi, coincide per un nobile con l’identità e con la vita stessa. Per questo Clotaldo ritiene, come dirà più avanti a Rosaura, che una vita disonorata non è vita; convinzione peraltro interamente condivisa da Rosaura. 450. La fragilità estrema dell’onore viene espressa paragonandolo al vetro, in una frase proverbiale molto ripetuta all’epoca di Calderón: «La donna e l’onore sono come il vetro, al primo colpo si rompono». didascalia: l’uscita di scena di tutti i personaggi determina un breve momento in cui il palcoscenico rimane vuoto, momento che coincide con un cambiamento di luogo (qui, dalla torre al palazzo) e, spesso, anche di tempo. Si tratta di un’articolazione interna all’atto che i drammaturghi dell’epoca chiamavano «escena» o «salida» («uscita»), e che la moderna critica teatrale preferisce chiamare «quadro». didascalia: l’entrata in scena contemporanea di due personaggi, ciascuno da una delle due porte laterali che si aprono nella facciata di fondo del palcoscenico, spesso serve a visualizzare, nel teatro di Calderón, un’opposizione o un contrasto fra i due. Gli spettatori potevano capire che l’azione si è spostata a palazzo osservando gli abiti degli attori che entravano in scena (in
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questo caso, quelli di Astolfo ed Estrella, sicuramente sfarzosi), e, magari, qualche elemento di arredo collocato nel vano centrale in fondo al palcoscenico. Sul valore metonimico degli elementi scenografici nel teatro commerciale del Siglo de Oro, cfr. Maria Grazia Profeti, Introduzione allo studio del teatro spagnolo, Firenze, La casa Usher, 1994, pp. 145-151. 479. L’elaborato complimento con il quale Astolfo riceve Estrella ne sottolinea la luminosità degli occhi, raggi eccelsi (nel senso di «bellissimi»), come quelli di una cometa (si credeva all’epoca che le comete fossero prodotte dalle esalazioni ignee del sole). Il complimento nasconde però dei doppi sensi non del tutto lusinghieri, in quanto le comete erano considerate dei segnali infausti, e rayos, in spagnolo, significa anche «fulmini», ed evoca dunque l’idea di tempesta. D’altronde, Estrella arriva a corte come nemica potenziale di Astolfo; e per questo nelle parole del duca coesistono elementi idilliaci e pacifici (il canto degli uccellini e delle fonti) e termini che appartengono al campo semantico della guerra e dell’aggressività (grancasse, trombe, armi). 484. Viene utilizzato nuovamente lo «scambio o incrocio di attributi»: clarini di piuma sono gli uccelli, uccelli di metallo sono le trombe (strumenti a fiato come i clarini o clarinetti). La figura si basa sulla sonorità acuta che è comune ai volatili e agli strumenti. 489. Gli uccellini, che normalmente cantano al sorgere del sole, salutano Estrella quasi fosse la dea Aurora; le trombe invece la salutano in quanto dea guerriera, com’era nel mito greco Pallade Atena; i fiori, infine, la salutano come Flora, dea della vegetazione. 492. Si intenda: «nonostante il giorno stia scomparendo all’arrivo della notte, la vostra bellezza è tale da illuminarlo come farebbe l’Aurora; e di fatto, la gioia che procura il vostro arrivo equivale a un’Aurora».
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501. Estrella allude al seguito di soldati che accompagna Astolfo; poiché la principessa teme siano indice di intenzioni poco pacifiche nei suoi confronti, si dichiara da subito pronta a opporvisi. 519. I nomi Eustorgio, Basilio e Clorilene, così come l’ambientazione tra Polonia e Moscovia (l’odierna Mosca), vennero ispirati a Calderón, con ogni probabilità, dalla lettura di un romanzo bizantino pubblicato nel 1629 e intitolato Eustorgio y Clorilene, historia moscóvica, di Enrique Suárez de Mendoza y Figueroa. 524. Vuol dire che è morta, e il suo regno è ora il cielo. 535. «Si deve arrendere alle miserie della vecchiaia, sorte comune a tutti gli uomini». 554. Allude alla guerra d’amore. 557. Il volgo viene chiamato sicuro astrologo per la sua capacità di prevedere gli sviluppi delle vicende dei potenti, ed evidentemente le voci popolari davano per certo il matrimonio tra i due principi. 571. Ingrato nel senso di «poco fedele», «poco sincero». 580. Talete, famoso matematico greco, ed Euclide, considerato il fondatore della geometria moderna, sono nomi che i nipoti di Basilio gli attribuiscono per elogiare le sue conoscenze di matematica e astronomia. Tuttavia, almeno la menzione di Talete potrebbe avere un doppio senso critico: Talete è infatti spesso collegato, come protagonista, ad un antico aneddoto, quello dello studioso che, per guardare le stelle, non si accorge del fosso che si apre nella strada e vi cade dentro: un inconveniente analogo a quello cui va incontro, in maniera molto più drammatica, la scienza astrologica di Basilio. 596. Quello dell’età avanzata. 611. Timante, pittore, e Lisippo, scultore, sono i nomi di due famosi artisti contemporanei di Alessandro Magno. Nelle
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parole di Basilio stanno a significare degli artisti sommi per antonomasia, ma i loro nomi rafforzano anche l’atmosfera di intemporalità nella quale si muove l’azione del dramma. 623. Basilio sottrae al tempo e alla fama quello che sarebbe il loro compito, la loro giurisdizione: mostrare ogni giorno cose nuove, che nuove non sono più perché lui le ha già predette, grazie allo studio della matematica e ai calcoli che conduce sulle tavole astrologiche. 631. Le metafore di questi versi fanno riferimento alle sfere concentriche o cieli (trasparenti come vetro o cristallo o diamante) che secondo la cosmologia tolemaica circondavano la terra muovendosi in circolo attorno ad essa, ciascuna presieduta da un pianeta, e ornata dalle costellazioni (segni). 639. I cieli vengono metaforizzati come libri dalla carta di diamante (per la trasparenza che si attribuiva al corpo celeste) e dai quaderni di zaffiro (azzurro scuro come il colore del cielo), sulle quali il cielo (cioè Dio) scrive con le costellazioni (tracciato d’oro) i destini umani.
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PP. 304-312
torre (v. 195), essendo lui stesso scheletro vivo e animato morto (vv. 201-202). 675. Si credeva infatti che i piccoli della vipera, nascendo, uccidessero la madre lacerandole il ventre. 687. Descrive metaforicamente un’eclissi di sole, vista come lotta fra sole e luna, che si affrontano in un campo di battaglia (il cielo) delimitato dalla terra; i due corpi celesti (fanali divini), che non possono ovviamente lottare corpo a corpo come farebbero due guerrieri, lottano luce a luce per sopraffarsi a vicenda (si è cercato di rendere in questo modo il gioco di parole dell’originale tra a luz entera, cioè, «a tutta luce», e a brazo partido, cioè «corpo a corpo», ma che letteralmente vuol dire «a braccio spezzato»). 695. Quella, cioè, della morte. 699. Queste manifestazioni apocalittiche che si accompagnano all’eclissi di sole sono analoghe a quelle che riferiscono i Vangeli di Luca, Marco e Matteo in coincidenza con la morte di Gesù; in particolare la pioggia di pietre e il terremoto sono menzionati da Matteo (27, 51-53). 737. Basilio traduce la massima latina, e stoica, Sapiens homo dominatur astris; tuttavia la travisa profondamente, perché il saggio che spera di vincere sulle stelle (Basilio stesso) non cerca di procurarsi questa vittoria superando le sue proprie passioni e inclinazioni, bensì impedendo alla creatura interessata dal vaticinio (Segismundo) di entrare nella vita, sperando che in questo modo il vaticinio stesso non si realizzi.
660. Svista molto (forse troppo) commentata di Calderón, che attribuisce lo stesso nome a una delle sorelle di Basilio, madre di Estrella. Maurice Molho (Segismundo o el Edipo salvaje, 1979, trad. spagnola in Id., Mitologías. Don Juan. Segismundo, Madrid, Siglo XXI, 1993, pp. 240248) ha potuto dire in proposito che questa coincidenza di nomi adombra un incesto tra Basilio e la sorella, che si ripeterebbe con il matrimonio finale tra Segismundo ed Estrella, che verrebbe ad essere, con questa ipotesi, la sua sorellastra.
745. I rustici obelischi sono le rocce altissime tra le quali è incassata la torre, come si era visto già nella scena di apertura del dramma.
667. L’idea della coincidenza fra nascita e morte è un topos della cultura barocca, che trova un riscontro quasi letterale negli ossimori che punteggiano la storia di Segismundo, passato dal sepolcro vivo del ventre di sua madre, alla culla-tomba della
771. Il diritto del primogenito a ereditare il trono del padre, principio sul quale si basa la monarchia ereditaria, si considerava sancito da una legge degli uomini che, tuttavia, rifletteva al tempo stesso una legge divina, per l’investitura religiosa di cui
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godeva l’autorità monarchica nella cultura dell’epoca. 791. Basilio esprime in questi versi la posizione dell’ortodossia cattolica riguardo ai possibili influssi astrali sulla vita dell’uomo, che possono solo predisporre il libero arbitrio a determinate scelte, ma mai forzarlo. 842. Seneca, filosofo stoico del I sec. d.C. il cui influsso è molto forte nella cultura dell’epoca e in particolare ne La vida es sueño, viene detto spagnolo perché nato a Córdoba; la massima cui si fa riferimento in questi versi è tratta dal suo De clementia (I, 8). 855. Astolfo ed Estrella, chiamati atlanti perché, come il mitico gigante Atlante, sono il sostegno della vecchiaia di Basilio e, al tempo stesso e in prospettiva, il sostegno del regno, il cui governo toccherà a loro se Segismundo dovesse fallire nell’esperimento preparatogli dal padre. 864. Clotaldo gioca con il significato etimologico della parola benvenuto: anche se si è sempre felici quando si giunge al cospetto del Re, stavolta questa legge è stata stravolta, quest’abitudine spezzata, nel senso che egli arriva davanti al Re pieno di dolore e di preoccupazione. 874. Clotaldo stava per dire «mio figlio», ma il Re lo interrompe e la rivelazione viene, quindi, rimandata. 895. Si cerca di rendere con sbircio il gioco paronomastico che fa Clarín fra beso e viso; una caratteristica tipica del gracioso, quella di giocare con le parole per far ridere il pubblico. 898. Calderón gioca evidentemente con l’equivoco, perché, mentre il pubblico sa che Rosaura è figlia di Clotaldo, Rosaura ancora lo ignora: infatti, dice di dovergli la vita perché Clotaldo le ha ottenuto il perdono del Re. 925. Clotaldo cerca di rimediare al lapsus che gli ha fatto confessare che la spada gli è appartenuta.
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950. Era convinzione comune che il re o signore legittimo non potesse arrecare offesa al vassallo; anche nel senso che, essendo la sua autorità intoccabile, il vassallo minacciato o colpito nell’onore non poteva lavare l’affronto vendicandosi sulla persona del suo signore. Questo valeva, naturalmente, nel caso dei sudditi di sesso maschile; il caso di Rosaura, che è donna, implica un disonore diretto, di carattere sessuale, che potrebbe essere riparato dal matrimonio. 961. Lo schiaffo era una delle peggiori offese che potesse subire l’onore di un nobile. Basti pensare all’episodio che scatena la tragedia nella vicenda del Cid, drammatizzata nel XVII secolo sia da Guillén de Castro sia da Corneille: uno schiaffo che il conte Lozano, padre di Jimena, infligge al vecchio padre di Rodrigo, che, impossibilitato a vendicarsi direttamente a causa dell’età avanzata, esige che sia suo figlio a vendicarlo. 965. Anche in Rosaura dunque opera i suoi effetti la «forza del sangue», che le fa provare nei confronti di Clotaldo quei sentimenti che normalmente si provano per un padre. 977. Allusione al filo che Arianna aveva dato a Teseo, per permettergli di uscire dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro che vi era rinchiuso. 978. L’offesa fatta a Rosaura incide direttamente sull’onore di Clotaldo, che è suo padre. Il concetto di onore è infatti una caratteristica delle società patriarcali, nelle quali la donna è depositaria dell’onore dei maschi della sua famiglia. 1001. La pozione sonnifera sottrae a chi la beve i cinque sensi e le tre «potenze dell’anima», cioè memoria, intelletto e volontà. 1006. Sono le proprietà specifiche degli elementi naturali, che solo in pochi conoscono (per questo si chiamano arcani o segreti).
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1024. Tutti piante o principi attivi dalle proprietà narcotiche, ma anche allucinogene. Alcuni critici (tra i quali Ruiz Ramón, nei suoi diversi scritti su La vida es sueño, raccolti da ultimo in Calderón nuestro contemporáneo, Madrid, Cátedra, 2000, e Ruano de la Haza nell’Introduzione alla sua edizione della commedia, Madrid, Castalia, 1994) sostengono che la mescolanza di queste sostanze era nota all’epoca di Calderón come un narcotico con effetti collaterali pesantissimi, che influivano sulla percezione e sul comportamento di chi lo assumeva. La composizione della bevanda doveva perciò insinuare nello spettatore o lettore il sospetto che Basilio l’avesse scelta per le sue proprietà, capaci di determinare in Segismundo proprio quelle reazioni negative che poi avrebbero giustificato il suo ritorno alla reclusione. 1043. L’aquila era emblema della maestà regale, e il suo volo altissimo, nelle regioni supreme del fuoco, cioè vicino al sole, si considerava una diretta conseguenza della sua capacità di guardare il sole stesso a occhi aperti, unica fra le creature a poterlo fare senza perdere la vista. L’aquila viene detta lampo e cometa, in quanto entrambi i fenomeni si pensavano composti da esalazioni ignee e sono caratterizzati da un’estrema rapidità di movimento.
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PP. 330-338
1111. La massima già evocata ai vv. 736737 viene ripresa ora con più proprietà, poiché adesso Basilio ipotizza che sia Segismundo stesso a vincere, con coraggio e con prudenza, il verdetto che il cielo ha pronunciato su di lui, costringendolo dunque a smentirsi. Tuttavia, come ricorda giustamente Robert Pring-Mill (La «victoria del hado» en «La vida es sueño», 1970, ora in Id., Calderón: estructura y ejemplaridad, a cura di N. Griffin, London, Tamesis, 2001, pp. 49-63), Segismundo non può comportarsi con prudenza, perché questa è il frutto dell’esperienza, che a lui manca totalmente a causa del tipo di educazione cui lo ha sottoposto suo padre. 1131. Disperare vale «perdere la speranza della salvezza», peccato grave perché comporta l’abbandono di una delle tre virtù teologali (fede, speranza, carità); vale anche, usato in forma assoluta come qui, «suicidarsi» (gesto che è conseguenza della disperazione). 1169. Vuol dire che l’alabardiere ha la barba dello stesso colore della livrea, cioè bionda, o rossiccia (nello spagnolo dell’epoca rubio indicava entrambi i colori). Gialla con bande di velluto rosso era appunto la livrea delle guardie che Carlo V aveva portato con sé in Spagna dalle Fiandre, nella prima metà del XVI secolo.
1097. Nel rivolgersi a Clotaldo, il Re alterna indifferentemente il trattamento di «tu» e quello di «voi», entrambi consentiti ad un superiore che si rivolge a un inferiore.
1177. L’improntitudine o sfacciataggine, qualità tipica del servo gracioso, è quella che permette a chiunque di trovarsi un posto di osservazione senza aspettare il permesso né pagare nulla in cambio; Clarín fa allusione all’abitudine di assistere agli spettacoli, sia quelli nei teatri pubblici sia quelli che si svolgevano in piazza, pagando un biglietto per avere accesso a una finestra alla quale affacciarsi. Si noti il ripetersi dei giochi paronomastici, come quello fra spogliato («privo di qualsiasi ricchezza», come è sempre il servo) e spigliato.
1106. Il crudele carattere è quello di Segismundo, attraverso il quale il cielo ha dato ripetute prove della sua durezza.
1188. Il travestimento maschile della donna veniva visto da moralisti e censori dell’epoca come un segno di leggerezza, e
1054. Questo aspetto del carattere di Segismundo è un’ulteriore manifestazione del topos della «forza del sangue», che determina in lui aspirazioni nobili e grandi, benché ancora egli ignori del tutto il segreto della sua identità. 1093. Cioè, addormentato.
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in quanto tale Clotaldo desidera che Rosaura lo abbandoni appena possibile. 1201. Equivocando deliberatamente le parole di Clarín, Clotaldo fa capire che desidera lasciare al tempo la soluzione del caso d’onore di Rosaura, senza impegnarsi in prima persona a risolverlo. 1211. Raccontare cioè che Rosaura non è affatto la nipote di Clotaldo, bensì l’antica amante di Astolfo, venuta in Polonia per costringere quest’ultimo a mantenere la sua promessa di matrimonio; il che avrebbe scombinato tutti i disegni di Basilio circa l’unione politica fra i suoi due nipoti.
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mentre il Domestico 2 sostiene che Clotaldo doveva obbedire senza chiedersi se i comandi ricevuti fossero giusti o meno. 1339. Il servo condensa in questi due versi una delle caratteristiche essenziali del subalterno senza dignità, quella di schierarsi sempre con chi è più potente e arrogante. 1347. Astolfo usa, per dare il benvenuto a Segismundo, la metafora del sole, da sempre simbolo della maestà regale; ma non rinuncia a un perfido accenno alla rustica origine del nuovo principe, che come il sole, sorge dalle montagne.
1214. Il clarino (che in spagnolo è il nome stesso del servo) è uno strumento a fiato dal suono squillante; mentre l’indiscrezione del servitore e la sua incapacità di mantenere un segreto sono un vero e proprio topos letterario e teatrale.
1351. Segismundo risponde al dissimulato sarcasmo di Astolfo con una formula di saluto semplice, normalmente usata fra contadini e popolani, ma assolutamente bandita a corte, che suscita la reazione offesa e irata del duca.
1219. Sono gli ultimi due versi del ritornello di un romance di Luis de Góngora che Calderón cita altre volte nelle sue opere teatrali.
1356. Astolfo esige da Segismundo di essere trattato con la stessa formula di cortesia riservata al principe, «Vostra Altezza».
1239. Nell’originale, Segismundo chiede al cielo che gli dia il disinganno, cioè che gli chiarisca la realtà effettiva delle cose, al di là delle apparenze, e gli spieghi quindi il mistero di ciò che vede.
1371. Il Domestico 2 vuol dire che Astolfo, come succede in Spagna con i Grandi (nobili di grado specialmente elevato), ha il diritto di non scoprirsi neanche davanti al re.
1311. Le accuse di Segismundo a Clotaldo sono in linea con le convinzioni giuridiche dell’epoca; tuttavia, la sua decisione di eseguire di persona la condanna a morte (atto improprio di un principe) mostra tutta la sua impulsività e la sua ignoranza del savoir faire cortigiano.
1394. Cioè, l’unico bene per il quale Segismundo accetta le felicitazioni di Estrella è il fatto di averla conosciuta, non quello di essersi insediato sul trono. Soprattutto nell’originale spagnolo, si apprezza il ricorso continuo al polittoto.
1325. Questo vivace scambio dialettico tra il Domestico 2 e Segismundo è il breve compendio di una questione da tempo assai dibattuta, quella riguardante i limiti del potere monarchico e l’eventuale diritto di resistenza del vassallo agli ordini ingiusti di un re tiranno. Qui, Segismundo difende la posizione favorevole al diritto di resistenza, accusando Clotaldo di aver colpevolmente obbedito a ordini ingiusti;
1401. Segismundo gioca con il significato comune del nome proprio Estrella («stella»): pur essendo solo una stella, ella è talmente luminosa che può far sorgere il giorno, allietando il sole (il più splendente dei lumi). 1407. Il rimprovero di Estrella nasce dal fatto che anche un semplice baciamano, se chiesto senza la dovuta umiltà e rispetto, si poteva configurare come un’offesa all’onore della dama, in particolare se,
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come in questo caso, è presente anche il suo promesso sposo. 1418. In questi due versi Calderón riprende una coppia di termini molto cara a Lope de Vega, e usata per lo più con valore antinomico: da un lato il gusto di un potente, dall’altro ciò che sarebbe giusto e che a questo gusto si oppone. In questo frangente, Segismundo, contraddicendo quanto aveva affermato nella precedente discussione con il Domestico 2, si dichiara apertamente in favore della tirannia, procurando il proprio gusto a discapito della giustizia. 1426. Questa dichiarazione del Domestico si spiega con il fatto che il personale di corte non era composto da semplici servitori di basso rango, come ad esempio Clarín, bensì da gentiluomini di un certo livello sociale. 1430. Su questo verso si sono esercitati a lungo i critici, sconcertati dal riferimento a un mare che, in realtà, non ha mai bagnato le rive della capitale della Polonia, benché all’epoca di Calderón il Paese avesse comunque uno sbocco sul mar Baltico. È importante capire che i riferimenti geografici, in questa come in altre opere analoghe di Calderón, non hanno una funzione realistica, non servono cioè a collocare la vicenda in un contesto puntualmente verificabile, ma, al contrario, sono deliberatamente vaghi e fantastici, e non necessariamente devono avere un riscontro nella realtà geopolitica dell’epoca. 1439. Lo minaccia, cioè, di farlo decapitare; l’ostentato mantenimento del cappello da parte di Astolfo disturba specialmente Segismundo, insieme al suo modo altero e superbo di parlare. 1458. Metafora che allude alle braccia di Segismundo, che sono state strumento della morte del Domestico. 1489. Si intenda, «che non ti avessi dato il tuo essere di uomo», cioè, «che non ti avessi fatto nascere».
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PP. 354-374
1495. Segismundo si riferisce al modo con il quale è stato cresciuto, certo più proprio di una belva che di un uomo. 1511. Segismundo allude al fatto che, essendo egli figlio di re, ed essendo suo padre prossimo alla morte, il trono gli spetta di diritto, per legge naturale (così si considerava all’epoca, come è stato già ricordato, l’ereditarietà della monarchia). 1565. L’idea dell’uomo come piccolo mondo, compendio di tutta la creazione, è un topos della cultura occidentale fin dal Medioevo. 1574. È sottintesa la metafora di Rosaura come sole: arrivando, sorge (oriente), andandosene, tramonta (occidente). 1589. Segismundo non è cosciente del fatto di avere già incontrato Rosaura (la prima volta che l’ha vista, nel primo atto, era vestita da uomo) e tuttavia, ha come l’impressione di riconoscerla. Per questo dice che la conquista (cioè la ama) con la fede, perché questa è l’unica fra le virtù teologali che non si appoggia sul senso della vista (concetto questo che viene ribadito spessissimo negli autos sacramentales calderoniani, a difesa del dogma della transustanziazione). 1608. I circoli concentrici dei cieli che circondano la terra nella cosmologia tolemaica. 1705. Vuol dire che sguaina la spada solo per legittima difesa, non per offendere il Principe. 1706. I duelli erano proibiti a palazzo, e ancor più in presenza del re. Per questo i due contendenti rinfoderano la spada all’arrivo di Basilio. 1743. I raggi splendenti sono, ancora una volta, gli sguardi di Estrella, più luminosi del sole, più ampi e vasti del cielo. 1746. Il soggetto è il fato. 1749. Vuol dire che il fato ha predetto bene solo nella promessa che gli ha fatto di ottenergli i favori amorosi di Estrella,
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promessa che però non è stata mantenuta, perché Estrella gli mostra più disdegno che amore.
stizia. Inoltre, il nome Astrea riecheggia, nella sua radice «astr-», quello della rivale di Rosaura, Estrella.
didascalia: nell’originale, al paño: indica che l’attore o attrice deve rimanere per metà dietro la tenda che copre una delle porte che si aprono sul fondo del palcoscenico. È una convenzione teatrale per la quale si finge che nessuno dei personaggi in scena si accorga della presenza dell’attore o attrice che si nasconde dietro la tenda, e che così può ascoltare il dialogo che si svolge fra chi è sul proscenio.
1789. Estrella crede che Rosaura sia nipote di Clotaldo, e dunque confida nella sua nobiltà.
1770. Astolfo gioca con l’idea platonica dell’immagine dell’amata che si imprime nel cuore dell’amante; toglierà dunque dal petto il ritratto di Rosaura, sia in senso proprio, sia in senso figurato, sostituendo la sua immagine interiore con quella di Estrella. 1773. Il significato della prima frase è chiaro: la stella (Estrella), che è luminosa, non può stare insieme all’ombra (che sarebbe Rosaura). La seconda parte è invece meno chiara: potrebbe voler dire che Estrella è il sole, e che dunque una stella (Rosaura) non può rimanere dove ha preso posto il sole, più luminoso di lei. Tuttavia, poiché l’uguaglianza del nome propizia sempre la metaforizzazione di Estrella come stella, si potrebbe anche interpretare la seconda frase come un «a parte» nel quale Astolfo riflette sul fatto che Estrella (la stella) non può convivere nel suo petto con il sole (Rosaura). Se così fosse, le parole di Astolfo denuncerebbero la sua doppiezza amorosa, quella appunto che gli continua a rinfacciare Estrella. 1777. È topos ampiamente ripetuto nella poesia dell’epoca che la lontananza fra gli amanti determini automaticamente la morte dell’amore, la fine della fedeltà. 1779. È il falso nome con il quale Rosaura si è presentata a palazzo. Nel mito greco, è collegata a Temi, dea della giustizia, o è vista essa stessa come dea della giu-
1837. Secondo la leggenda, la Fenice, uccello favoloso, viveva più di seicento anni, e poi moriva nell’incendio del suo nido, da lei stessa appiccato; dalle sue ceneri, rinasceva immediatamente un’altra Fenice. È dunque il simbolo dell’immortalità, e di una vita che si rigenera continuamente traendo energia vitale perfino dalle proprie sventure. 1843. Nel senso che non tornano mai indietro, non si allontanano mai. 1902. Perché la sua bellezza è tanto luminosa che può essere equiparata a quella della stella della sera, o stella di Venere, la più luminosa fra tutte le stelle. 1911. La traduzione non riesce a rendere compiutamente il gioco di parole dell’originale, che fa perno ancora una volta sul doppio significato del nome Estrella. Estrella (nome proprio) ha chiesto a Rosaura di rimanere e prendere il ritratto, richiesta che l’ha messa in grande difficoltà e dunque va a suo discapito; d’altro canto, le disgrazie di Rosaura sono dovute sia a una stella («fato») contraria che a una Estrella (la donna che è sua rivale). 1949. Qui con ogni probabilità Rosaura si getta su Astolfo per strappargli il ritratto. 2041. Si riferisce al domestico che, avendo discusso con Segismundo, è stato gettato giù dal balcone. Icaro, figlio di Dedalo, l’architetto del labirinto di Creta destinato al Minotauro, cadde in mare perché, troppo sicuro di sé e troppo audace, si avvicinò eccessivamente al sole il cui calore squagliò la cera di cui erano fatte le sue ali. Il domestico, pur se a un livello inferiore (da tre soldi), condivide con Icaro l’eccessiva fiducia nelle proprie possibilità,
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e l’audacia imprudente di essersi avvicinato troppo al sole (metafora della regalità).
Niceno, suona come «né ceno». Ho cercato di rendere l’equivoco con alcune parafrasi.
2047. Il corno viene definito strumento spregevole perché, al contrario del clarino che viene usato nel contesto eroico della guerra, è lo strumento di cacciatori e postiglioni, usato quindi in contesti più prosaici. Inoltre, è spregevole perché il materiale di cui è fatto e la sua forma evocano le tanto temute corna, e perché il termine spagnolo (corneta) indica anche il cornuto contento, che invece di reagire all’adulterio della moglie tace accettando l’infamia.
2223. Un proverbio molto diffuso all’epoca di Calderón diceva Al buen callar llaman santo («Il silenzio opportuno è santo»), per questo Clarín dice che il silenzio è santo come in un calendario nuovo (cioè, che non coincide con quello in uso); e visto che si tratta di un santo nuovo, pensa di chiamarlo San Segreto, sia per associazione di idee con il segreto che l’ha portato in carcere, sia perché non può mai festeggiarlo, perché si limita a osservarne la vigilia senza mai godere delle gioie della festa (cioè, digiuna sempre, e non mangia mai).
2049. Cioè, mascherato. didascalia: anche in questo caso, l’attore che impersona Basilio si dovrà ritirare dietro una delle tende che coprono le porte situate in fondo al palcoscenico. 2173. In spagnolo, il senso di questo verso è più chiaro: pretender vuol dire infatti brigare per cercare di ottenere un incarico a corte, nell’esercito o nella Chiesa: le tre vie che si aprivano al nobile che, per la sua appartenenza di classe, non poteva neanche considerare di vivere del lavoro delle sue mani, riservato ai non nobili. 2187. Questo verso famosissimo che chiude il secondo atto è ripreso da una canzoncina tradizionale, che viene citata non dal solo Calderón, ma anche da Lope de Vega, Tirso de Molina, José de Valdivielso e dal conte di Villamediana: Soñaba yo que tenía / alegre mi corazón; / mas a la fe, madre mía, / que los sueños, sueños son («Sognavo di avere in cuore / felicità e allegria; / ma in verità, madre mia, / i sogni, son solo sogni»). 2189. Cioè, per colpa del segreto dell’identità di Rosaura del quale lui solo è a conoscenza, oltre a Clotaldo. 2219. Ancora giochi di parole da parte del servo gracioso: nello spagnolo dell’epoca, il nome (assolutamente inventato) del primo filosofo, Nicomedes, suona come «non mangiate»; e il nome del concilio,
2227. Come è stato detto più sopra, una delle caratteristiche topiche del servo di commedia era la sua incapacità di mantenere i segreti. 2247. Lo ha visto infatti succedere a Segismundo. 2279. Si intenda: «il tuo aspetto corrisponde a ciò che sapevamo di te, e ora siamo sicuri che sei tu Segismundo, anche se prima ti abbiamo acclamato senza averti visto» (la fede infatti, come si ricorda più sopra alla nota 109, non ha bisogno di vedere per credere). 2290. Cioè, erede legittimo del trono, discendente diretto del Re. 2337. Il mandorlo è il primo albero da frutto a fiorire, quando ancora la primavera non si è saldamente insediata, e dunque rischia sempre di vedersi stroncare dalle repentine gelate di marzo. Per questa ragione, diventa, già dal ’500 (lo troviamo negli emblemi di Alciato), il simbolo della caducità della bellezza; Calderón lo usa qui come emblema di imprudenza. 2361. Dunque, al contrario di quanto fa il mandorlo (v. 2333). 2371. Per un destinatario credente, è ovvio che il creditore, colui che ha concesso questo prestito, è Dio. Si noti tuttavia che Calderón non lo nomina quasi mai,
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preferendo espressioni più neutre come cieli, o, qui, un sostantivo generico (dueño).
vassallo fedele come lui non avrebbe mai potuto pensare di commettere.
2441. Si vuol dire che la guerra è stata scatenata da coloro che non vogliono giurare obbedienza ad Astolfo ma pretendono una diversa soluzione (mettere cioè sul trono Segismundo). Si osservi l’uso della parola «orrore», che è una delle traduzioni possibili di phòbos («paura»), uno dei due sentimenti che secondo Aristotele la tragedia deve suscitare negli spettatori (e non a caso, nel v. 2443 compare anche la parola «tragedia»).
2550. Di nuovo, Calderón gioca sull’equivoco. Ovviamente, Clotaldo si riferisce a quando ha ottenuto dal Re il perdono per Rosaura, che avrebbe dovuto essere condannata a morte per aver violato il carcere di Segismundo.
2451. In senso stretto, si deve intendere semplicemente che la discesa fulminea di Astolfo sarà posteriore al tuono delle sue dichiarazioni bellicose. Tuttavia, questo passo, così come altri analoghi che si trovano nel teatro di Calderón, fa sospettare che il drammaturgo credesse che il tuono precede sempre il lampo. 2475. Versi molto famosi per l’accumulo di immagini mortuarie che sorgono da elementi che di per sé non hanno connotazioni funebri. Le due ottave pronunciate da Estrella, che descrivono i lutti della guerra civile, sono costruite per produrre un grande impatto emotivo, suscitando quell’orrore e quella paura che, secondo Aristotele, sono componenti tipiche della tragedia (termine, questo, menzionato sia da Estrella sia, poco prima, da Basilio).
2615. Clotaldo gioca con il senso dell’espressione spagnola acogerse a sagrado, cioè, «rifugiarsi in luogo sacro», dove la giustizia non poteva mettere piede. Chi fuggiva dopo aver commesso un delitto aveva questa possibilità per scampare agli inseguitori. In questo caso, il delitto commesso da Rosaura è la perdita del suo onore. 2655. Non deve sfuggire che l’unica volta in cui Clotaldo usa il vocativo figlia, lo fa quando Rosaura è già uscita di scena e non può sentirlo.
2495. Rosaura vuol dire che anche il compito al quale sta per esortare Clotaldo (la difesa del suo onore) è una forma di guerra.
2674. Questo inciso di Clarín è un esempio di quei commenti metateatrali che così spesso i drammaturghi mettevano in bocca ai servi graciosos: Clarín infatti ironizza sull’abitudine di far pronunciare ai personaggi lunghe tirate descrittive, quando se ne presenta l’occasione, per spezzare la tensione o per dare prova di abilità retorica e poetica. D’altra parte, le lunghe descrizioni servivano innanzitutto a sopperire all’assenza in scena dell’evento o dell’oggetto descritto, stimolando la fantasia degli spettatori a immaginarselo. Sull’importanza della parola nell’alludere a scene e situazioni la cui immaginazione era affidata alla collaborazione degli spettatori, si veda Ignacio Arellano, Valores visuales de la palabra en el espacio escénico del Siglo de Oro, 1995, ora in Id., Convención y recepción. Estudios sobre el teatro del Siglo de Oro, Madrid, Gredos, 1999, pp. 197-237.
2534. L’assassinio di Astolfo non si sarebbe dunque configurato per Clotaldo come regicidio, delitto gravissimo che un
2681. Non sfuggirà certamente che questa descrizione che Clarín fa del cavallo montato da Rosaura riecheggia punto
2491. Bellona era la dea romana della guerra, e dunque, rivale della corrispondente divinità greca, Pallade Atena; Estrella dice che il suo posto è accanto al sole, cioè, al fianco del Re; la metafora delle ali spiegate evoca l’iconografia tradizionale della Nike, dea greca della vittoria.
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per punto l’invettiva all’ippogrifo violento che apriva l’opera: anche questo cavallo riassume in sé i quattro elementi del creato, ma non è più imbizzarrito e sfrenato, bensì condotto sapientemente dal suo cavaliere. La differenza sta a indicare il radicale mutamento che si è operato nella traiettoria dei due protagonisti, Segismundo e la stessa Rosaura, che hanno deciso finalmente di prendere in mano le redini della propria vita, dominando e sottomettendo il fato avverso. didascalia: il vestito teatrale cui allude la didascalia aveva le falde larghe, ed era lussuoso e molto vistoso. Serve a mettere in evidenza la femminilità e la nobiltà di Rosaura, ma anche la sua risoluzione di mantenersi casta e fedele al suo obiettivo, che è quello di sposare Astolfo o ucciderlo. Non è un caso quindi che, quasi una novella Diana, Rosaura indossi ora un vestito da cacciatrice. 2694. Il sole. 2741. È la nozione aristotelica dell’uomo che imprime la sua forma (o idea) alla materia femminile: essendo Rosaura nata dall’unione tra Clotaldo e Violante, può ben dirsi frutto dell’idea di Clotaldo. 2747. In realtà il dio è uno solo, Zeus, di cui il mito greco narra le innumerevoli avventure amorose con ninfe, dèe e mortali, che spesso seduceva sotto mentite spoglie, facendole poi dunque piangere per l’inganno subito. Tutte le fonti concordano nel collegare la metamorfosi di Zeus in pioggia d’oro alla seduzione di Danae, e quella in toro alla seduzione di Europa; più controverso e difficile da spiegare è invece il collegamento che Calderón stabilisce tra la metamorfosi di Zeus in cigno e la figura di Silene o Selene (Cilene in spagnolo). Normalmente, infatti, tutti concordano nell’indicare Leda come l’oggetto dell’amore del cigno divino, non Silene/Selene, né tanto meno Cillene (ninfa dell’Arcadia che accudì il neonato Ermes). Poiché però, secondo alcuni studiosi di mitologia citati
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da Ciriaco Morón Arroyo nella sua edizione de La vida es sueño (Madrid, Cátedra, ed. riv. 1989), Leda fu anche uno dei nomi della dea Luna o Selene, che in alcune versioni del mito è fatta oggetto dell’amore di Zeus, Calderón potrebbe aver incrociato i due miti dando il nome di Silene (Selene) all’amante del dio trasformato in cigno. 2762. Enea, il mitico eroe troiano in fuga dalla sua città per raggiungere la terra dove, per volere degli dèi, avrebbe dovuto fondare una nuova civiltà, si fermò durante il suo viaggio a Cartagine, dove sedusse la regina Didone. Costretto poi dagli dèi a proseguire, abbandonò Didone, lasciandole però la sua spada, con la quale la regina, disperata per la partenza dell’amante, si suicidò. 2769. L’unione tra Violante e Clotaldo è stata, di fatto, un matrimonio, anche se segreto, in quanto per la Chiesa la promessa di matrimonio aveva, fino a un certo periodo, valore di sacramento, dunque vincolante; tuttavia, dopo il concilio di Trento, la Chiesa divenne molto più severa nei confronti di questo tipo di unioni, che servivano spesso anche a eludere la volontà dei familiari degli sposi; in questo senso, il matrimonio segreto viene detto delitto, perché considerato ormai un illecito. 2785. In quest’inciso di Rosaura risuona un’eco delle credenze che sostenevano nel Medioevo una delle prove del giudizio di Dio: si diceva che, quando l’assassino si avvicinava al cadavere dell’ucciso, le ferite di quest’ultimo riprendevano a sanguinare, quasi a voler accusare il colpevole. 2797. Rosaura gioca ancora una volta con il doppio senso del nome della sua rivale: si diceva che l’amore fosse propiziato dalle stelle, e in questo senso Astolfo e Rosaura sono stati uniti da una stella, mentre ora, un’altra Stella (Estrella) li separa. 3051. Un romance molto famoso sull’incendio di Roma iniziava appunto così: Mira Nero de Tarpeya / a Roma cómo se
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ardía; / gritos dan niños y viejos, / y él de nada se dolía («Da Tarpea guarda Nerone / come sta Roma bruciando; / gridano bambini e vecchi, / lui di nulla si curava»); versi che erano diventati quasi proverbiali di un atteggiamento di cinico disinteresse per i mali altrui. 3055. È la seconda volta che Clarín si accinge a fare da spettatore a vicende in vario modo drammatiche, sempre con la speranza di non esserne coinvolto: ma la prima volta (secondo atto) finisce in prigione, ora, finirà addirittura ucciso. didascalia. È probabile che l’attore che impersonava Clarín si nascondesse in qualche punto della rampa a gradoni che rappresentava il «monte» (v. nota alla prima didascalia), dietro le frasche che normalmente l’adornavano per suscitare negli spettatori la nozione di un luogo selvaggio. Adesso, deve cadere da quel punto, a fingere una caduta dall’alto. 3104. La lingua sanguinosa, come si capisce meglio nel testo originale, è il sangue che scorre dalla ferita, vista come una bocca che impartisce agli astanti i suoi insegnamenti. 3122. Il senso delle parole di Clotaldo è che non esiste a priori nulla che possa difendere l’uomo dagli assalti della malasorte; proprio per questo, l’uomo prudente e cristiano deve fare in modo di difendersi da solo dal dolore e dalla disgrazia, con il suo comportamento e le sue scelte. 3128. Questa allusione ai fitti rami è una riprova della presenza in scena di un «monte» ornato di rami e foglie. 3167. L’azzurra tela e le pergamene azzurre sono metafore del cielo; le lettere d’oro sono le stelle. È nelle costellazioni infatti che secondo gli astrologi è scritto il destino dell’uomo. 3247. Segismundo attende il castigo che merita per essere insorto in armi contro il Re.
NOTE
3252. Alloro e palma sono due notissimi simboli di vittoria: il primo classico, il secondo cristiano. 3258. La più alta vittoria, secondo la filosofia stoica, è appunto la vittoria su sé stessi, sulle proprie passioni. 3316. Il soggetto è «la gioia». 3319. Come quasi sempre nel teatro dell’epoca, l’opera si chiude con la richiesta al pubblico di perdonare gli errori degli attori e del drammaturgo. Fausta Antonucci
Il principe costante Nota introduttiva 1 Si veda K. Löwith, Significato e fine della storia, trad. it., Milano, Edizioni di Comunità, 1963.
E. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia e sulla rappresentazione pittorica, trad. it., Torino, Einaudi, 1965, p. 267.
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F. Meregalli, Introduzione a Calderón de la Barca, Roma-Bari, Laterza, 1993.
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W. Kayser, Zur Struktur des Standhaften Prinzen von Calderón, in Gestalprobleme der Dichtung, Bonn, Bouvier, 1957, pp. 67-72. 4
Cfr. A. Manzoni, Lettre à M. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie, in Tutte le Opere, 6 voll., Milano, Mondadori, 1957-74, vol. II, pp. 1676-1694.
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L. Spitzer, Die Figur der Fénix in Calderons Standhaftem Prinzen, in «Romanistisches Jahrbuch», X, 1959, pp. 305-335.
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A. Serpieri, I sonetti dell’immortalità, Milano, Bompiani, 1975.
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8 J. Grotowski, Per un teatro povero, trad. it., Roma, Bulzoni, 1970.
A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, trad. it., Torino, Einaudi, 1968.
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10 Tertulliano, De Spectaculis, trad it. e testo critico a cura di E. Castorina, Firenze, La Nuova Italia, 1961. 11 Il termine significa «cortile». In questi spazi fin dai primi anni del secolo XVI le varie compagnie di attori mettevano in scena delle commedie su un palcoscenico di legno. Nel corso del secolo il corral indicò lo spazio teatrale fisso al quale si accedeva a pagamento. Tra i più importanti ricordiamo quelli della città di Madrid: Corral de la Pacheca il Corral del Príncipe e il Corral de la Cruz. Altri ne sorsero a Siviglia, Granada. Rimane solo il Corral de Almagro nella Castilla-La Mancha che, restaurato nel 1954, è sede di un prestigioso Festival di Teatro.
H. Wolfflin, Rinascimento e Barocco, trad. it., Firenze, Vallecchi,1988.
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13 G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, trad. it., Torino, Einaudi, 1990. 14 P. Brook, Lo spazio vuoto, trad. it., Roma, Bulzoni, 1998.
Enrica Cancelliere Note al testo 5. baño: cella sotterranea dove i Mori usavano rinchiudere i prigionieri illustri che potevano essere riscattati: vedi Autoridades. 39-40. Il motivo del Deus-pictor, paradigma della pittura come procedimento sapienziale (Empedocle, Pindaro), assume valore teologico in Clemente Alessandrino trasmettendosi fino alla trattatistica dei secoli XVI e XVII. Qui si fa allusione a Dio pittore a proposito della bellezza della principessa Fénix con un recupero, quindi del tema dell’Eros terreno come primo gradino verso l’Eros celeste. Lo stesso Calderón scrive nel 1677 un trattato sulla pittura in cui insiste sul motivo del Deuspictor: Deposición en favor de los Profesores de la pintura 1677.
PP. 486-508
102. cuartana: è così detta la febbre che si manifesterebbe al quarto giorno dell’affezione causata dall’«umore melanconico»: vedi Covarrubias. 104-106. Calderón allude alla nuova tecnica di dipingere ritratti. La concezione del ritratto come copia del reale è superata da pittori quali Tiziano, Rembrandt e Velázquez, per i quali la riproduzione del modello deve corrispondere all’idea che ne ha l’artista secondo la sua personale esperienza e il suo vissuto. 141 e ss. Elogio della bellezza secondo un topos retorico barocco d’ascendenza petrarchista al quale Calderón ricorre varie volte. Ricordiamo, per esempio, quello che rivolge Sigismondo a Estrella ne La vida es sueño: «Presto, dimmi, / chi è questa beltà sovrana, / chi è questa dea umana, / ai cui piedi divini / il cielo prostra il suo splendore? / Chi è questa donna bella?» Atto II, vv. 1384-1391 (Pedro Calderón de la Barca. La vita è sogno, trad. e cura di E. Cancelliere, Palermo, Edizioni Novecento, 2000) . 177. Probabilmente si allude allo stretto di Gibilterra. 179-182. Questa spiegazione dell’etimologia di Ceuta non avrebbe fondamento. Secondo Max Krenkel (Klassische Bühnendichtungen der Spanier, Leipzig, Barth, 1881), deriva dal latino septa che vuol dire «luogo chiuso». L’invenzione etimologica, però, costruisce una verità poetica più vera della realtà in quanto rappresentazione della luce della Fede. 192. padrastro: l’ostacolo costituito da fortificazioni di castelli o di città, da dove si può colpire il nemico. Si dice così perché sta sempre davanti agli occhi minaccioso, alludendo al fatto che nell’antichità si aveva timore che l’ombra del padre ritornasse maligna – da patrigno, cattivo padre – ad arrecare danno: vedi Covarrubias. 235-240. In questi versi Calderón si fa interprete di teorie pittoriche seicentesche
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sulla prospettiva. I pittori, infatti, nel realizzare un paesaggio dovrebbero considerare la distanza dell’oggetto rispetto al punto di vista di chi osserva in modo da graduarne la definizione e simulare ciò che effettivamente l’occhio può vedere in analoghe condizioni. Questi versi hanno suscitato l’ammirazione di Gombrich che ne ha fornito un’analoga spiegazione. (E. H. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, trad. it., Torino, Einaudi, 1965, pp. 265-268). 237. visos: nel linguaggio tecnico della pittura sta a significare la rappresentazione dei «primi piani». 237. lejos: in pittura denomina ciò che è dipinto in forma progressivamente più piccola perché distanziato rispetto alla figura in primo piano; vedi Autoridades. Può quindi designare anche soggetti, cose e parti del paesaggio che fanno da «sfondo». 257-259. Il racconto di Muley si costruisce secondo lo schema di un ragionamento deduttivo proprio della filosofia della Seconda Scolastica. 339. quinas: stemma del Portogallo costituito da cinque scudi azzurri disposti a croce; vedi Autoridades. 349. «Órdenes de Cristo y de Avis»: si tratta di due Ordini di Cavalleria istituiti rispettivamente dai re portoghesi don Dionisio VI e don Alonso I, allo scopo di difendere la fede cattolica dagli infedeli. 371-377. In questa profezia di Muley probabilmente il pubblico dell’epoca poteva trovare un’allusione alla sconfitta che subì ad Alcazarquivir nel 1578 il re Sebastián di Portogallo. 451-459. Il dialogo fra Fénix e Muley procede secondo una «emisticomitia»: struttura dialogica propria della tragedia greca o latina che procede per battute che hanno la misura di mezzo verso, conferendo al ritmo una forte concitazione. Concitato, ma non altrettanto, è il ritmo
NOTE
della «sticomitia» dove le battute hanno la misura di un verso. 490. Alarbe: il termine indica un uomo barbaro, rude e disumano. La denominazione deriva dalla brutalità e crudeltà che fu mostrata dagli Arabi o «Alárabes» che conquistarono la Spagna; vedi Autoridades. La scelta, inoltre, è suggerita a Calderón da un verso del romance di Góngora El español de Orán: «Triste camina el alarbe». 508-509. L’espressione monstruo de madera (mostro di legno) allude probabilmente alla bussola. Questa è definita «monstruo» per il fatto che è un «juez de palo» o, come si dice, «alcalde de palo» che significa «giudice inutile e ignorante». L’allusione polemica del gracioso (buffone) fa riferimento ai rischi della navigazione, tema che ricorre spesso nella letteratura dell’epoca; rischi che non vengono meno con i nuovi marchingegni tecnici. 510-515. Riportiamo in corsivo questi versi che il drammaturgo mette in bocca al gracioso Brito perché all’epoca furono censurati. Alexander A. Parker li inserisce per la prima volta nella sua edizione (Calderón, El príncipe constante, Cambridge, Cambridge University Press, 1938) alla quale facciamo riferimento. Qui Calderón, con tono sarcastico e oscuro, si fa beffe di fray Hortensio de Paravicino, poeta famoso per lo stile enfatico e magniloquente. Questi, a sua volta, aveva accusato con toni aspri i due fratelli di Calderón che avevano profanato il convento delle monache di clausura dove si era rifugiato Pedro Villegas, da loro inseguito dopo avere ferito uno di loro. 522-525. Tutta la complessa metafora restituisce l’immagine di una eclissi solare: Apollo – cioè il sole, quindi Dio – si oscura avvolto dalle nubi che sono come un sudario. El Greco in due suoi dipinti del 1579 e del 1580, intitolati La santa faz (La sacra effige) aveva ritratto il volto di Cristo impresso nel velo della Veronica.
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524. amortajado: da mortaja che significa «sudario» con allusione al sudario di Cristo. 599-703. Nella tirata di don Fernando Calderón va intercalando dei versi dal romance di Góngora El español de Orán. La tecnica di intercalare versi del romancero viejo o nuevo nel teatro del XVII secolo era frequente – in particolare ne fa uso Lope de Vega nelle commedie di argomento storico-nazionale – perché queste citazioni suscitavano grande emotività presso il pubblico. 745-746. Si ha notizia di due battaglie de Los Gelves (attuale Gerba) avvenute rispettivamente nel 1510 e nel 1560, quest’ultima particolarmente sfortunata per la Spagna. Calderón non si riferisce a nessuna delle due, comunque posteriori ai fatti storici narrati dal dramma. Suscitare presso il pubblico il ricordo di sconfitte cristiane in Africa serve però ad una mozione degli affetti. 803-807. L’incontro tra don Fernando e Muley si costruisce sul modello del romanzo moresco Historia del moro Abencerraje y de la hermosa Jarifa (Storia del moro Abencerraje e della bella Jarifa) di autore anonimo (1565). 887-888. La quarta sfera è quella del sole da cui si dirama il raggio. 921-922. Il termine desesperación significa «suicidio». Se un cavaliere, sconfitto dal nemico, non muore in battaglia deve arrendersi perché il contrario equivarrebbe al suicidio che non è ammesso dalla religione cattolica. 951-956. Secondo Fernando agire come principe cristiano significa difendere il cattolicesimo. Per conseguenza il re don Duarte deve accettare anche che egli muoia, ma mai cedere la città di Ceuta. 970. Calderón chiude il primo atto mettendo in bocca al gracioso Brito un’espressione in portoghese: «ainda mortos» (sebbene morti) come ricorso drammatico
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al fine di suscitare presso il pubblico un comune sentimento della Nazione, dal momento che il Portogallo è annesso alla Spagna e lo resterà fino al 1640. 1165-1166. Secondo i codici dell’amor cortese è di rigore tacere il nome della donna amata. Muley, allora, lo dichiara in forma allusiva riferendolo alla fenice, uccello dell’Arabia Felice che, come dice Plinio, è favoloso e unico in tutto il mondo. Bellissimo di piumaggio, si vuole che avesse il potere di morire sul rogo e risorgere dalle proprie ceneri, tanto che per i cristiani si fa simbolo della fede che dona con il martirio la vita eterna e addirittura simbolo della resurrezione di Cristo. 1262. Si tratta di Alfonso V (1438-1481) chiamato «El Africano» in seguito alle conquiste di Tangeri e Arzila (1471). 1266 e ss. In questo monologo, che procede secondo un ragionamento sillogistico proprio della Seconda Scolastica, don Fernando dimostra che, in quanto principe cristiano, non può permettere che una città che professa il culto cattolico sia consegnata ai Mori e che le sue chiese siano trasformate in moschee, anche se ciò dovesse costare la sua vita. In particolare la città di Ceuta aveva consacrato una chiesa alla Concezione Immacolata della Vergine, e con Filippo II la Spagna diventa la nazione paladina del culto dell’Immacolata. 1371-1376. Don Fernando dimostra che è giusta la sua scelta di morire in difesa della città di Ceuta continuando ad apportare ragionamenti sillogistici: la perdita della libertà (qui la sua condizione di schiavo) è una non-vita, quindi è già morte. 1377. vanos poderes: la metafora allude al documento firmato dal re Alfonso V in cui si ordina di consegnare Ceuta come prezzo del riscatto di don Fernando. Il tema della precarietà del potere umano è ricorrente nel teatro di Calderón. La battuta è accompagnata da una mimica gestuale: don Fernando afferra il plico dalle mani di
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don Enrique, lo strappa in piccoli pezzi e fa il gesto di mangiarli. 1483. mazmorra: parola di orige araba, designa la prigione scavata nelle profondità della terra dove i Mori erano soliti rinchiudere di notte gli schiavi, vedi Covarrubias. 1632. maravilla: nome di fiori di colore azzurro striato di rosso, a forma di campanellina. La loro caratteristica è che appassiscono non appena il sole li sfiora; e sebbene tornino a fiorire non durano più di tre giorni. Queste Maravillas, sono dette pure «fiori di notte» perché sbocciano all’imbrunire e appassiscono con lo spuntar del sole; vedi Covarrubias. Ma nella battuta di Fénix il termine allude ambiguamente anche al significato di «meraviglia» come fatto straordinario che causa stupore o paura, facendo riferimento all’arrivo di don Fernando. 1678-1681. Allusione a Saturno il cui nefasto influsso è causa della melanconia di Fénix. Tuttavia la principessa si fa emblema di una condizione d’infelicità cui sono destinate tutte le donne che attribuiscono valore alla propria caduca bellezza. 1687. superiores: in astrologia vengono così indicati i pianeti Saturno, Giove e Marte perché si trovano più distanti dal sole. 1830 e ss. La causa dello stato di confusione in cui si dibatte Muley è il conflitto tra l’agire onorevolmente nei confronti del suo re, a cui lo obbliga la «legge del vassallaggio», e nei confronti di don Fernando, al quale deve essere grato per aver avuta salva la vita. Calderón drammatizza ripetutamente la lotta tra l’amor proprio e la lealtà al re. Tuttavia don Fernando, con inconfutabile logica, persuaderà Muley a rispettare la lealtà al re che viene prima di ogni valore nell’ambito dei rapporti personali. 1946-1948. Nel racconto di Muley assume un valore emblematico l’immagine
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di don Fernando, consunto dal martirio, posto su una misera stuoia. L’immagine infatti risulterà centrale nella concezione del «teatro povero» della seconda metà del Novecento, poiché troverà riscontro sia nella regia di Grotowski de El principe constante nella formidabile interpretazione di Cieslak, che nelle teorizzazioni di Peter Brook secondo il quale un corpo nudo su una stuoia basta a delimitare tutto lo spazio e le funzioni simboliche del teatro. Questa immagine si manifesta addirittura come icona nei versi 2449-2462 che chiudono il lungo monologo pronunciato dal santo martire ormai prossimo alla morte. 1951. muladar: luogo fuori dalle mura della città dove si getta lo sterco e l’immondizia. Per il fatto che si trovava fuori dalle mura si chiamò muradal, e da qui muladar (letamaio) invertendo i suoni; vedi Covarrubias. 1962 e ss. Nella costruzione simbolica e iconografica del martirio di don Fernando svolge una funzione importante il cibo. In questa battuta il cibo, metonimicamente un solo tozzo di pane non presente in scena, restituisce attraverso un’iperbole la visione dello stato di consunzione del corpo del martire. 2108-2110. Il re don Alfonso di Portogallo e il principe Tarudante di Marocco si sono presentati al cospetto del re di Fez sotto le mentite spoglie dei loro rispettivi ambasciatori. Artificio cui Calderón ricorre frequentemente al fine di creare una tensione drammatica che si scioglie con un «colpo di scena». In questa battuta Tarudante smaschera il suo avversario ed egli stesso dichiara di essere il principe del Marocco. 2275-2280. Fradejas offre una interpretazione del passo. Brito insegna qui a don Fernando come chiedere elemosina al re Moro attraverso una battuta irriverente nei riguardi del profeta Maometto che suonerebbe più o meno: «per quello stinco di santo / di Maometto il gran profeta». (José
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Fradejas, Notas a un pasaje de El príncipe constante, in Crítica textual y anotación filológica en obras del Siglo de Oro, eds. I. Arellano, J. Cañedo, Madrid, Castalia, 1991, pp. 159-172). Il termine zancarrón (osso con poca carne) rinvierebbe a zancajo (osso del piede, calcagno). Inoltre secondo Pedro Cubero Sebastián (Peregrinación del mundo, Madrid, Atlas, 1943) il termine zancarrón indica l’osso di una gamba che si venerava come reliquia alla Mecca. Infatti l’espressione zancarrón de Mahoma allude con scherno alle ossa di quel «falso Profeta» che i Mori vanno ad adorare nella Moschea della Mecca. Vedi Autoridades.
derón: innovación y legado. Actas selectas del IX Congreso de la Asociación Internacional del Teatro Español y Novohispano de los Siglos de Oro, en colaboración con el griso de la Universidad de Navarra, ed. I. Arellano, G. Vega García-Luengos, New-York, Peter Lang, 2001, pp. 401-410. Cito, salvo puntuali eccezioni, i contributi più recenti su El pintor de su deshonra. Per la bibliografia pregressa, oltre agli studi riportati, cfr. K. e R. Reichenberger, Bibliographisches Handbuch der Calderón-Forschung / Manual bibliográfico calderoniano, Kassel, Verlag Thiele & Schwarz, 1979, tomo I, pp. 406-410; 1999, tomo II, 1, pp. 463-469.
2530-2537. Le ultime volontà di don Fernando Calderón le farà proprie nel testamento che lascerà pochi giorni prima di morire nel 1681.
Si ha notizia di una rappresentazione di El médico de su honra allestita dalla compagnia di Antonio de Prado il 10 giugno del 1635. La critica attuale (Edición crítica de «El médico de su honra» de Calderón de la Barca y recepción crítica del drama, ed. A. Armendáriz Aramendía, MadridFrankfurt, Iberoamericana-Vervuert, 2007, pp. 15-17) sospetta che la performance del 1629 (o 1628) sia quella della pièce omonima attribuita a Lope de Vega. A secreto agravio, secreta venganza venne, invece, rappresentata in presenza dei monarchi l’8 giugno del 1636.
2695. alfanje: spada ricurva a forma di falce come indica il termine composto dall’articolo arabo Al e da fange, lat. falxcis (falce), vedi Covarrubias. Si tratta della scimitarra che si distingue per avere il filo della lama nella parte convessa. 2781-2785. «para que acabe...Constante». Questi versi sono recitati da don Alfonso non più nel suo ruolo di personaggio ma nelle veste d’attore che, secondo una formula presente in tutto il teatro spagnolo del Seicento, si fa avanti sul proscenio e si rivolge al pubblico per chiedere indulgenza per le gravi carenze di una così impegnativa rappresentazione, ricorrendo ad un artificio retorico che trascina l’applauso. Enrica Cancelliere
Il pittore del proprio disonore
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3 Un esempio di messinscena «moderna» dell’opera è quella che la Royal Shakespeare Company ha realizzato nel 1995 (cfr. S. L. Fischer, Historicizing Painter of Dishonour on the «Foreing» Stage: A Radical Interrogation of Tragedy, in «Bulletin of Spanish Studies», LXXVII, 2000, pp. 183-216).
Apud P. Calderón de la Barca, Dramas de honor I. A secreto agravio, secreta venganza, ed. Á. Valbuena Briones, Madrid, EspasaCalpe, 1967, p. XXXIII.
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La variante maschile del dilemma ha, invece, ampio sviluppo sul versante comico con esiti opposti: i cavalieri danno prova della loro capacità di vincere se stessi, superando le debolezze sentimentali e sacrificando l’amore sull’altare della lealtà e del
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Nota introduttiva 1 J. Whicker, Un cambio de perspectiva en los dos «Pintores de su deshonra» de Calderón: el uso de las pistolas en la catástrofe de la comedia y del auto sacramental, in Cal-
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dovere. Il loro valore verrà alla fine ricompensato dal lieto fine. 6 A. Mª. García Gómez, Incomunicación en la dramaturgia calderoniana, in Hacia Calderón. Octavo Coloquio Anglogermano (Bochum, 1987), dir. M. Tietz, ed. H. Flasche, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 1988, pp. 13-29; R. M. Johnston, Reverse Perspective and Spectator’s Experience in Calderón’s «El pintor de su deshonra», in «Revista de Estudios Hispánicos», 27: 3, 1993, pp. 385-403; W. Matzat, Norma y deseo en los dramas de honor de Calderón, in Deseo, sexualidad y afectos en la obra de Calderón. Duodécimo Coloquio Anglogermano sobre Calderón (Leipzig, 14-18 de julio de 1999), ed. M. Tietz, Stuttgart, Franz Steiner, 2001; M. J. Heigl, Erotic Paranoia and Wife Murder in Calderonian Drama, in «Hispanic Review», 70, n. 3, 2002, pp. 333-353; R. M. Johnston, El movimiento escénico y las «relaciones proxémicas» en «A secreto agravio, secreta venganza» y «El pintor de su deshonra» de Calderón, in Teatro calderoniano sobre el tablado. Calderón y la puesta en escena a través de los siglos. XIII Coloquio Anglogermano sobre Calderón (Florencia, 10-14 de julio de 2002), ed. M. Tietz, Stuttgart, Franz Steiner, 2003, pp. 235-249; R. M. Johnston, Ideología estética de Calderón: La comedia como «espejo» y los dramas de honor, in Calderón y el pensamiento ideológico y cultural de su época. XIV Coloquio Anglogermano sobre Calderón (Heidelberg, 24-28 de julio de 2005), ed. M. Tietz, G. Arnscheidt, Stuttgart, Franz Steiner, 2008, pp. 299-315. 7 Cfr. C. Colahan, Art and imagination in Calderón’s «El pintor de su deshonra», in «Bulletin of the Comediantes», XXXIII, 1981, pp. 73-80; G. Edwards, Calderón’s «Los tres mayores prodigios» and «El pintor de su deshonra»: The modernization of Ancient Myth, in «Bulletin of Hispanic Studies», Liverpool, LXI, 1984, pp. 326-334; R. Walthaus, Pintar en palabras. Ekphrasis y retrato en algunas obras calderonianas,
NOTE
in Actas del IV Congreso Internacional de la Asociación Internacional Siglo de Oro (AISO), Alcalá de Henares, 22-27 de julio de 1996, ed. Mª. Cruz de Enterría, A. Cordón Mesa, Alcalá de Henares, Universidad, 1998, II, pp. 1661-1670; Mª. A. Gómez, Mirando de cerca «Mujer, Comedia y pintura» en las obras dramáticas de Lope de Vega y Calderón de la Barca, in «Bulletin of the Comediantes», XLIX, 1997, n. 2, pp. 273-293; U. Aszyk, La figura del pintor en la comedia y el auto de «El pintor de su deshonra»: de la alegoría de la pintura a la alegoría de la creación, in La dramaturgia de Calderón: técnicas y estructuras (Homenaje a Jesús Sepúlveda), ed. I. Arellano, E. Cancelliere, Madrid-Frankfurt, Universidad de Navarra-Iberoamericana-Vervuert, 2006, pp. 65-79. 8 Cfr. S. L. Fischer, Art-within-Art: The significance of the Hercules painting in «El pintor de su deshonra», in Critical persectives on Calderón de la Barca, ed. F. A. De Armas, D. M. Gitlitz, J. A. Madrigal, Lincoln, Society of Spanish and SpanishAmerican Studies, 1981, pp. 69-79; A. Martinengo, La venganza de Hércules: técnicas y sentido del cuadro de Roca en «El pintor de su deshonra», in Calderón y el pensamiento ideológico e cultural de su época. XIV Coloquio Anglogermano sobre Calderón (Heidelberg, 24-28 de julio de 2005), ed. M. Tietz, G. Arnscheidt, Stuttgart, Franz Steiner, 2008, pp. 367-377; C. Hue, L’acte de peindre dans «El pintor de su deshonra» de Pedro Calderón de la Barca: les circonstances d’une rencontre particulière avec l’autre et soi-même, in Stratégies de l’encuentro et du desencuentro dans les textes hispaniques. Actes du Colloque des 8, 9 et 19 juin 2006, dir. P. Meunier, J. Soubeyroux, Saint-Étienne, Publications de l’Université de Saint-Étienne, 2008, pp. 213-224.
A. Mª. García Gómez, Comicidad sin humor en «El pintor de su deshonra»: exploración de sus raíces cómico-trágicas, in Hacia
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Calderón. Sexto Coloquio Anglogermano (Würzburg, 1981), dir. T. Berchem, ed. H. Flasche, Wiesbaden, Franz Steiner Verlag, 1983, pp. 123-133; F. B. Pedraza Jiménez, El estatuto genérico de «El pintor de su deshonra», in La dramaturgia de Calderón: técnicas y estructuras (Homenaje a Jesús Sepúlveda), ed. I. Arellano, E. Cancelliere, Madrid-Frankfurt, Universidad de Navarra-Iberoamericana-Vervuert, 2006, pp. 341-355. J. J. Rodríguez Rodríguez, La acción secundaria de «El pintor de su deshonra» de Calderón, in «Cuaderno para la Investigación de la Literatura Hispánica», Madrid, 25, 2000, pp. 75-90; R. Sloane, On Juanete’s Final Story in El pintor de su deshonra, in «Bulletin of the Comediantes», 28, 1976, pp. 100-103. 10
11 A. K. G. Paterson, The comic and tragic melancholy of Juan Roca: A Study of Calderón’s «El pintor de su deshonra», in «Forum for Modern Language Studies», 5, 1569, pp. 244-261; D. J. Hildner, Amos calderonianos injeridos en criados, in Hispanic Studies in Honor of Robert L. Fiore, ed. C. M. Gasta, J. Domínguez, Newark (Delaware), Juan de la Cuesta, 2010, pp. 281-294, in partic. 283-285. Dei tre protagonisti principali parla anche R. Sloane, Diversion in Calderón’s «El pintor de su deshonra», in «Modern Language Notes», 91, 1976, pp. 247-263. 12 M. Vitse, En defensa de Serafina, in Las mujeres en la sociedad española del Siglo de Oro: ficción teatral y realidad histórica. Actas del II coloquio del Aula-Biblioteca «Mira de Amescua» celebrado en GranadaÚbeda del 7 al 9 de marzo de 1997 y cuatro estudios clásicos sobre el tema, ed. J. Antonio Martínez Berbel, R. Castilla Pérez, Granada, Universidad de Granada-Caja General de Ahorros de Granada, 1998, pp. 505-555.
Armas Frederick A. de, The Soundless Dance of Passions: Boscán and Calderón’s El pintor de su deshonra, in «The Modern 13
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Language Review», LXXXVII, 1992, n. 4, pp. 858-867; Güntert, Georges, El sabio en el baile: Boscán, Ariosto, Calderón y una fuente común, in Literatura y bilingüismo. Homenaje a Pere Ramírez, Kassel, Edition Reinchenberger, 1993, pp. 395-405. È apparsa una nuova edizione dell’auto sacramental, di cui riporto gli estremi bibliografici pur non avendola consultata: P. Calderón de la Barca, El pintor de su deshonra, ed. A. K. G. Paterson, Kassel, Reichenberger (Ediciones críticas 172), 2011. Sull’auto si vedano R. Walthaus, Pintar en palabras..., cit.; U. Aszyk, La figura del pintor en la comedia y el auto de «El pintor de su deshonra»..., cit.; L. FothergillPayne, «El pintor de su deshonra»: Auto y Comedia, in Hacia Calderón. Noveno Coloquio Anglogermano (Liverpool, 1990), ed. H. Flasche, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 1991, pp. 155-160; P. Mitchell, Painting as Metaphor: Calderón’s «El pintor de su deshonra», Comedia and Auto, in «Romance Languages Annual», VIII, 1996, pp. 582-588; J. Whicker, Un cambio de perspectiva..., cit.; A. K. G. Paterson, «Calderón, Grotius y el Diablo: un modelo humanístico en El pintor de su deshora (auto)», Calderón y su escuela: variaciones e innovación de un modelo teatral. XV Coloquio Anglogermano sobre Calderón (Wrocław, 2008), ed. M. Tietz, G. Arnscheidt e la collaborazione di B. Baczyńska, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2011, pp. 403-413.
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Cfr. Diccionario filológico de la literatura española. Siglo XVII. Volumen I, dir. Pablo Jauralde Pou, Madrid, Castalia, 2010, p. 221.
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Si ha notizia, invece, di uno spettacolo a Palazzo il 29 settembre del 1650 (ivi, p. 221).
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Cfr. Don W. Cruickshank, Calderón de la Barca, Madrid, 2011 (ed. inglese: Don Pedro Calderón, Cambridge, University Press, 2009), pp. 418-420. Il processo a cui fu sottoposto il pittore divise l’opinione pubblica e si concluse con un’assoluzione
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per mancanza di prove. Il tribunale, però, credeva che il pittore, dichiaratosi innocente, fosse il mandante dell’omicidio e che la causa del misfatto fosse l’infedeltà della donna. Liège Rinaldi, che doverosamente ringrazio per la consultazione dell’esemplare della Parte XLI conservato a Friburgo (Universitätsbibliothek, E 1032, g-42), sta preparando l’edizione critica della commedia per il griso. D’altro canto, Luis Iglesias Feijoo dirige la pubblicazione delle opere non sacramentali calderoniane per la Biblioteca Castro, seguendo l’ordine di uscita delle Partes de Comedias de Calderón del XVII secolo. La Séptima parte è in preparazione. 18
Sulla tradizione testuale de El pintor de su deshonra e la bibliografia relativa è imprescindibile consultare K. e R. Reichenberger, Bibliographisches..., cit. Ha trattato la questione anche A. K. G. Paterson, El texto original, ¿realidad o ensueño? Un caso típico: El pintor de su deshonra de Calderón, in Teatro y vida teatral en el Siglo de Oro, London, Tamesis, 1991, pp. 285294; e, naturalmente, nel prologo all’edizione bilingue sopra citata.
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L’edizione consultata è quella del 1951. Elena Elisabetta M arcello
Note al testo titolo. Nelle stampe e nei manoscritti antichi il titolo dell’opera è affiancato dal termine comedia, che, all’epoca, equivaleva a «spettacolo teatrale» e non connotava il genere di appartenenza. La nuova formula drammatica promossa da Lope de Vega fu un’abile commistione di elementi comici e tragici, che ottenne immediatamente il favore del pubblico e, allo stesso tempo, attrasse l’attenzione dei letterati. Diede il via, infatti, a un vivace dibattito teorico, scaturito dal confronto con la tassonomia aristotelica rivisitata nel Cinquecento. Lo scontro sul genere teatrale in voga fu visi-
NOTE
bile anche a livello terminologico: accanto ai classici comedia e tragedia, il termine tragicomedia (e sul versante italiano: ilarotragedia, tragicommedia, tragedia a lieto fine, ecc.) cercò di conciliare il contrasto risultante dalla mescolanza di elementi tassonomici diversi. Al di là delle polemiche letterarie, l’applauso del pubblico giustificò l’esistenza di questo teatro. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’ingente patrimonio teatrale spagnolo – superiore in quantità (e con i dovuti distinguo, in qualità) alla restante produzione europea – è un prodotto drammatico nato per gli scenari commerciali e, quindi, legato a quelle leggi del mercato che, a seconda dell’abilità del drammaturgo di turno, ne hanno plasmato l’essenza. In base allo spazio scenico (Corte, Palazzo del Buen Retiro, zone cittadine adibite alle rappresentazioni, come i famosi corrales, ecc.), all’occasione (festività religiose, celebrazioni profane o regali, spettacoli pubblici ordinari, ecc.), agli interessi personali dell’autore o a quelli pubblici o propagandistici, al gusto degli spettatori, il drammaturgo spagnolo si adoprava a scrivere commedie. lista dei personaggi. Completano il cast di El pintor... alcune figure secondarie (Celio, Belardo, le due servette, ecc.) e le comparse (i ballerini e i cantanti, i marinai, il seguito di corte, ecc.). Queste ultime, spesso, non vengono menzionate nell’elenco iniziale dei personaggi, ma danno vita a scenette d’ambiente cruciali (il ballo in maschera ed il rapimento di Serafina). Sono ruoli intercambiabili, che potevano essere interpretati da un medesimo gruppo di attori, a seconda delle possibilità delle compagnie teatrali. 40. La melancolía, spesso connessa con l’estro creativo, viene descritta nei trattati di medicina del tempo attraverso la teoria degli umori, che ne si spiegava la sintomatologia. Su questa «saturnina» afflizione di don Giovanni Roca si è soffermato in più di un’occasione Paterson, che, correlando-
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la con l’attività pittorica del personaggio, l’ha trasformata nel fulcro della propria interpretazione de El pintor de su deshonra. 41. tratábades è, all’epoca, forma comune per tratabais. 54. vía, i. e., veía: forma arcaica necessaria per ragioni metriche. 94. El pintor... è ambientato tra Gaeta (I atto), Barcellona (II atto) e Napoli (III atto). Gli accenni topografici (si menzionano Barcellona ai vv. 149, 260, 699, 895, 1205, 1435 e Napoli ai vv. 14, 112, 306, 316, 363, 784, 1568, 2432, 2435, 2622) sono sufficienti a collocare in uno spazio familiare al pubblico dei Secoli d’Oro la tragica storia di don Giovanni e Serafina. Questa prossimità geografica si combina con quella cronologica, cambiando notevolmente l’effetto degli eventi drammatizzati. Calcano la scena, infatti, personaggi che gli spettatori sentono vicini, uomini e donne con cui si possono identificare e di cui riescono a percepire l’altalena delle passioni. 190. didascalia: lo spagnolo Juanete, diminutivo di Giovanni (Giannetto o Giovannino), è anche il nome della deformazione all’alluce popolarmente chiamata «cipolla». È, quindi, un nome parlante, che rimanda al peculiare comportamento del personaggio, importuno quanto il malessere del piede. La principale mania di questo servo buffo o gracioso è raccontare delle storielle, che, oltre a costituire un ludico intermezzo drammatico, fanno da controcanto alle azioni ed ai sentimenti dei protagonisti principali dell’intreccio. Le sue interruzioni, pertanto, sono fuori luogo soltanto in apparenza. Cfr. G. Güntert, El gracioso de Calderón: disparate e ingenio, in Actas del Sexto Congreso Internacional de Hispanistas (Toronto, 2226 de agosto de 1977), ed. A. M. Gordon, E. Rugg, Toronto, University of Toronto, 1980, pp. 360-364. 193-204. L’atto di presentazione del gracioso ed il suo biglietto da visita è una
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storiella apparentemente innocua: il villano che si mostra ansioso di dare alloggio ad un soldato, perché pregusta il piacere che sentirà alla di lui partenza. In realtà, il contrappunto narrativo focalizza l’attenzione sulla mania dell’ospitale don Luis. 213-228. Doveva suscitare ilarità e sornioni ammiccamenti questa novelletta sul forestiero invitato a pranzo, con cui Juanete risponde alla domanda sul matrimonio tra il vecchio don Giovanni e la giovane Serafina. 245-256. Fare un giro in carrozza a Madrid sul viale del Prado, nei dintorni del Coliseo (il teatro reale costruito negli anni trenta del Seicento) o lungo le rive del fiume Manzanares era occasione per vedere ed essere visti, per corteggiare e divertirsi. Nel teatro aureo vengono frequentemente ricordati i luoghi di svago della nobiltà spagnola insieme alla passione per le carrozze, attribuita spesso e volentieri alla frivolezza femminile; è, quindi, comprensibile che la dama della favola di Juanete preferisca alla sepultura, cui rimanda la parrocchia di San Sebastiano, il viale madrileno più famoso dell’epoca. 312. Si allude alle galere (la recua è la mula da soma), il mezzo di trasporto che libererà don Luis dagli ospiti. 567. La Séptima parte attribuisce il verso a Porcia, che esce di scena cercando le due domestiche; altri testimoni, invece, a don Alvaro, che, appena sbarcato, è corso alla ricerca della sorella ed è entrato in casa. Entrambe le possibilità sono valide, ma la soluzione di Vera Tassis sembra più logica: la battuta è da correlare, infatti, con l’«Oye» del v. 562, cui fa eco l’«Hola» usato dalla giovane per cercare aiuto. Diventa così anche più plausibile l’entrata in scena di don Alvaro che, senza quell’interrogazione iniziale, esprime le ragioni della sua presenza. Tutti gli editori moderni, tranne Astrana Marín e Paterson, adottano la seconda lettura. Per quanto concerne la Séptima parte..., si avvisa in questo luogo
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che sono stati mantenuti gli iperbati, le alterazioni dell’ordine sintattico (vv. 1297, 1371, 1417, 1694) ed altre varianti (per es., i vv. 1547, 1737, 1819 didascalia, 2618) perché del tutto accettabili. 740. Il paragone del ballerino, immagine molto diffusa nel Rinascimento, si ritrova in Juan Boscán, che G. Güntert (El sabio en el baile..., cit.) considera la fonte principale di Calderón. Ne El pintor... si capovolge l’atteggiamento del saggio, che osserva con distacco ballare gli uomini in preda alle passioni, per esaltare l’amore, al cui suono danza il principe italiano. Si introduce in questo modo il secondo intreccio amoroso, che viene tessuto sulla scia di un accompagnamento musicale (cfr. l’incontro tra Porcia e il principe del secondo atto, vv. 1625-1783). 774. Lezione divergente dell’edizione di Vera Tassis («no me doy por entendido» vs «yo me doy por entendido»), che viene conservata. Una sola consonante modifica completamente il discorso del principe. È parso più galante per un corteggiatore come il principe fingere di non aver ricevuto uno sgarbo piuttosto che sottolinearlo. 843. La lettura della Séptima parte («es que va a casarla a ella») restaura la rima, ma è incongruente, dato che Serafina è già sposata. Volendo mantenere un atteggiamento più conservatore si potrebbe proporre il seguente emendamento: «es que va casada a ella». Si è preferito, invece, adottare la lettura dell’edizione del 1650 e di un manoscritto («¿A que? Va casada a ella») che, aveva già notato Paterson, riprende la battuta del principe e rende più agile il discorso drammatico. 869. Si corregge la lettura della Séptima parte («festejar solo dos días») che rompe la rima. 874. Il ricordo di don García de Toledo, figlio del celebre viceré Pedro de Toledo, colloca l’azione drammatica nel periodo
NOTE
in cui questi era Generale delle galere di Napoli, cioè tra il 1535 ed il 1542. 1080. didascalia: è sufficiente una tenda per creare l’illusione scenica di un nuovo ambiente. In questo caso, la casa dei novelli sposi, o meglio, lo studio di don Giovanni con cui si apre il secondo atto; più avanti, durante i festeggiamenti del Carnevale, la stessa tenda servirà a separare la zona occupata dai musici dallo scenario, in cui si dispongono, da una parte, i ballerini e, dall’altra, don Alvaro e Celio, che osservano il passatempo generale. In un corral de comedias, il teatro commerciale spagnolo, lo spazio era abbastanza limitato. Le porte ed i balconi orchestravano le entrate e le uscite al palcoscenico, mentre gli effetti speciali erano minimi: le botole permettevano l’apparizione improvvisa di un personaggio (in genere, demoniaco), i teli servivano alle apariencias e i dislivelli presenti tra scenario e balconi (o palchetti laterali) ottemperavano ad altri effetti scenografici. Per di più, si lasciava all’immaginazione degli spettatori la ricostruzione notturna (lo spettacolo era pomeridiano), le sequenze tra sé, i fuori scena ed altri momenti complessi dell’azione. Con poche didascalie, sia implicite che esplicite, si dirigeva l’attenzione del pubblico creando l’illusione dello spazio drammatico. 1170-1180. L’intervento «narrativo» di Juanete sottolinea lo scarso talento artistico del nobile, ridimensionando il rimprovero che questi ha lanciato a Serafina. Don Giovanni è come il sordo che accusa gli altri di parlare sottovoce. La storiella successiva (vv. 1219-1230), invece, fa da contrappunto comico alle parole di Serafina sulle brave mogli. 1312-1404. Il commovente dialogo tra Serafina e don Alvaro è abbellito dalla glossa di un celebre romance. Si tratta di un esercizio poetico all’epoca molto frequente, il cui successo dipendeva non solo dall’abilità versificatoria del poeta, ma anche dalla notorietà del testo di partenza.
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La lirica glossata (cfr. vv. 1347-1348, 133613367, 1383-1384, 1403-1404), che tratta il tema barocco della distruzione delle opere umane a causa del trascorrere del tempo, viene qui applicata alla caducità delle passioni. Alla fine di ogni intervento (questo è il primo) si inseriscono due versi originali che compendiano poeticamente il senso del discorso. 1325. Come già fecero Ruiz Ramón e Acutis, si corregge la «fineza» della Séptima parte... (ed altri testimoni) in «firmeza», perché più coerente con l’immagine dello scoglio e della quercia, con cui Serafina sottolinea la fermezza della sua condotta. 1597-1621. Classica correlazione calderoniana, magistralmente studiata da Dámaso Alonso, qui usata in consonanza con il discorso amoroso elevato. Cfr. D. Alonso, C. Bousoño, Seis calas en la expresión literaria española (prosa-poesía-teatro), Madrid, Gredos, 1970, 4ª ed., pp. 111-175. Il discorso concettoso del principe, sorretto sia dall’uso della silva de pareados che dalle immagini correlate della nube (A1) che copre il sole (B1), dello stridore del temporale (A2) cui segue il fulmineo lampo (B2), del mare (A3) che fa nascere e morire una piccola sorgente (B3), del vento (A4) che annienta rapidamente la fiamma (B4) e, per finire, del gelo (A5) che fa sfiorire il fiore (B5), sorregge l’espressione della sofferenza di un uomo innamorato. È chiaro il paragone sotteso: come il sole, il fulmine, la fonte, la fiamma e il fiore, il principe ama Serafina. L’immediatezza di un amore «a prima vista» non inficia l’essenza stessa del sentimento amoroso. Un solo incontro è bastato a far nascere in lui tale passione. 1601-1604. Resta irrisolta l’irregolarità metrica (rime alterne al posto delle rime baciate e la presenza di un verso in più) che denuncia una corruttela o un intervento spurio, anche se non viene stravolto il senso del discorso. Una possibile soluzione, che restaura versificazione e contesto,
PP. 778-812
è quella di eliminare il v. 1602 («del relámpago y trueno»). Si è preferito mantenere il testo di Vera Tassis in attesa di una collatio esaustiva che renda conto del ventaglio variantistico. 1630-1633. Fulcro dell’interpretazione musicale di Porcia è una lirica del Conde de Villamediana, di cui qui si usano due frammenti originali, cui fanno seguito due variazioni calderoniane. Il conte spagnolo è una figura affascinante dell’epoca, conosciuta sia per le sua abilità artistiche sia per i suoi trascorsi libertini e, soprattutto, per la tragica e misteriosa fine (viene pugnalato a morte il 21 agosto 1622 a Madrid). L’arpón è il dardo di Cupido, che si è tradotto letteralmente («arpone») per questioni foniche, nonostante abbia in italiano diversa accezione. Sorregge questa scelta la similitudine delle due immagini. 1643. Si rettifica l’ordine delle parole, giacché il «despide o llama» di Vera Tassis inverte la correlazione, cambiando il senso del discorso. 1787. La piazza del Clos, scenario delle feste carnevalesche de El pintor..., viene volutamente menzionata in catalano per dare all’azione quel tocco di realismo scenico, subito confermato dagli interventi e dalle canzoni nella lingua locale. Il catalano di Calderón pecca di qualche ispanismo («fadrines» per «fadrins», «músicos» per «músics», ecc.) ma è sufficiente a creare l’illusione di una Barcellona in festa. 1813. L’accenno alla belligeranza catalana, di pubblico dominio ai tempi di Calderón, è stato connesso con il momento storico in cui la Catalogna si sollevò contro il governo di Filippo IV. Calderón visse in prima persona la campagna degli anni 1640-1641 e del 1642. Questo riferimento, alquanto convenzionale, a dire il vero, sembra collocare nella prima metà degli anni Quaranta del Seicento la composizione dell’opera.
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1846. Paradetas, da «paradas». Ballo locale, dal ritmo vivace, fatto di frequenti arresti e riprese del movimiento, atto a creare un’atmosfera festiva e spensierata. 1863. Il colloquio tra Serafina e don Alvaro si fonda sulla dilogia del termine «mudanza» (cfr. anche v. 1866), che indica, da un lato, i movimenti del ballo e, dall’altro, l’incostanza di un affetto o di un principio. La dama, quindi, non solo declina l’invito a ballare, ma conferma qual è la sua posizione rispetto alle aspettative di don Alvaro. Serafina non è disposta a cambiare opinione: ha deciso di onorare il marito e dimenticare il primo amore, e così farà. 1890. Il Ruggiero, dal nome del famoso paladino ariostesco, è una musica da ballo italiana di gran successo nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento, che sembra avere origine dall’uso di cantare ottave. Verrà, in seguito, utilizzata come base per variazioni musicali. 1922. La tarazana (o atarazana o tarazanal) è il cantiere navale, la zona portuale adibita alla costruzione delle imbarcazioni. 1931-1933. Sia la versificazione che il contesto denunciano una lacuna del testo, in corrispondenza di un cambio metrico. La Séptima parte legge infatti: «Mi cuidado te asegura / de vista, aunque al cabo vaya / del mundo». È forse il luogo critico più complicato da restaurare. La corruttela si è risolta utilizzando l’edizione del 1650. Si è aggiunto il verso «de que no le perderé», anche se la lettura adottata da Valbuena Briones e dalla maggior parte dei critici («que seré su centinela») è altrettanto valida. 1948-1950. Frecciata che il gracioso lancia al clero dedito solo ai piaceri terreni, in questo caso, al mangiare. Poche parole bastano a visualizzare un prete che si affretta a raggiungere la sua destinazione per rifocillarsi a dovere.
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2090. La boutade di Juanete si incentra sull’espressione (in spagnolo: «hombre a la mar» o «hombre al agua») usata per indicare che un uomo è caduto in mare e si trova in grave pericolo. Si è risolta facendo ricorso all’equivalente in italiano. Pur tuttavia, è degna di nota la soluzione proposta da Acutis che si avvale del modo di dire «essere con l’acqua alla gola» per indicare la situazione in cui si trova don Giovanni, entrato in mare per raggiungere il vascello che gli porta via la moglie. 2204-2205. Si allude al proverbio «Hombre pobre, todo es trazas», perché la povertà, si sa, aguzza l’ingegno. Di necessità, virtù. Calderón intitolò così un’altra sua commedia, il cui protagonista (un bugiardo impenitente), invece, mostra l’altra faccia dell’adagio. 2448. Apelle, il celebre pittore dell’antica Grecia, viene qui ricordato come parametro d’eccellenza artistica. Sono molti gli aneddoti che lo hanno come protagonista. Forse il più famoso è quello di Campaspe, donna amata da Alessandro Magno, di cui Apelle si innamorò pazzamente. Calderón portò sulla scena questa antica storia d’amore nella commedia Darlo todo y no dar nada. 2496. Di per sé, la lettura di Vera Tassis («si no estorbo, salir pueden») ha senso. Sembra, infatti, che il villano, con un certo tono sornione, stia chiedendo permesso al principe e a Serafina, entrambi nascosti, prima di richiamarli e farli uscire. Pur tuttavia, l’espressione «sin estorbo», «via libera», pare più logica e, per questa ragione, viene adottata. 2548. Noto proverbio dell’epoca qui risolto, come già fece C. Acutis, nel non meno celebre «Il silenzio è d’oro». 2687. Il quadro dipinto da don Giovanni raffigura il rapimento di Deianira, di cui si è ampiamente trattato nella Nota introduttiva. Protagonisti del mito sono il centauro Nesso, Ercole e la moglie Deia-
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nira, cui corrispondono nella finzione drammatica don Alvaro, don Giovanni Roca e Serafina. Il pittore del proprio disonore spiega al principe di aver dipinto la furia di un uomo in preda alla gelosia mentre insegue il rapitore della moglie. Ercole riuscirà ad ucciderlo, ma verrà a sua volta avvelenato proprio dalla moglie che, credendo alle parole di Nesso, gli ha fatto indossare una camicia intrisa del sangue del centauro. Il semidio, vittima del fuoco della gelosia, morirà infine sulla pira che è stata abbozzata sullo sfondo. 2768. Imprescindibile la correzione della lettura «una pistola» in «unas pistolas», visto che sono due gli spari con cui don Giovanni uccide la moglie ed il presunto amante. È interessate vedere come gli altri testimoni hanno risolto l’incoerenza (cfr. Paterson, El texto original..., cit., p. 291). 2788. La menzione delle farse serve a ricalcare l’atteggiamento del personaggio che, immerso nei suoi pensieri, parla e gesticola da solo. 2966. Adattamento burlesco della preghiera alla Madonna Salve, regina, mater misericordiae. 3028. Il riferimento alla scultura ha ulteriormente arricchito l’interpretazione «artistica» dell’opera. Cfr. F. M. A. Robben, El motivo de la escultura en «El pintor de su deshonra»: una interpretación, in Hacia Calderón. Sexto Coloquio Anglogermano (Würzburg, 1981), dir. T. Berchem, ed. H. Flasche, Wiesbaden, Franz Steiner Verlag, 1983, pp. 106-113. 3067. La scena dell’abbraccio è il momento decisivo della vendetta. Don Giovanni ha perduto l’onore e l’identità, ma le riprende entrambe quando, preso dalla gelosia, ammazza moglie e presunto amante. Qual è il suo errore? Essersi sposato con una donna più giovane, come sembra all’inizio, o aver «riconosciuto» la colpevolezza della moglie in un atto – l’abbraccio –
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che invece non era poi così incriminante? Il pubblico, che Calderón ha reso onniscente, assiste al dramma e riflette dando risposte diverse a tutti questi quesiti. 3082-3117. È da notare la disposizione delle figure sulla scena, che sembra focalizzare l’attenzione degli spettatori sulla vittima piuttosto che sul vendicatore. Don Giovanni, infatti, descrive fuori campo il «quadro» finale (lo scenario con i due cadaveri circondati dai restanti interpreti), finché non viene liberato da Belardo. Nell’edizione del 1650, invece, si semplifica in parte la scena ed i due giovani muoiono abbracciati insieme, con una didascalia («Dispara a los dos y caen abrazados y salen todos alborotados», f. 43r) che non concorda poi con le battute successive. Così facendo, però, si modifica il «quadro» finale dando risalto all’onta dei due presunti adulteri. Elena Elisabetta M arcello
Il giudice di Zalamea Note al testo 1-100. redondillas. 5. gitanos: comparvero in Spagna verso la metà del secolo XV; conducevano una vita errante. 7. arrollada: arrotolata. La bandiera veniva spiegata al vento nelle parate e durante i combattimenti. 16. lugar: località abitata, villaggio. 21. comisario: furiere incaricato degli alloggiamenti. 22. Alcaldes: giudici, con funzione di sindaco o di assessore. 33-34. a obedecer / orden, in Vera Tassis. 34. orden: introduce con fini satirici un significato polisemico (comando / congregazione religiosa); si contrappone la povertà degli ordini mendicanti alla ricchezza di altri ordini monastici.
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38. Zalamea: Zalamea de la Serena, località dell’Estremadura, in provincia di Badajoz. 43. tornillazo: diserzione (in senso figurato). 50. Don Lope de Figueroa: celebre generale spagnolo (1520-1595), leggendario eroe di Lepanto, aveva acquistato fama di comandante intransigente sui campi di battaglia delle Fiandre; venne celebrato in molte opere teatrali del 1600 (Lope de Vega, El asalto de Mastrique; Diamante, El defensor del Peñón; Vélez de Guevara, El águila del agua; Calderón, Amar después de la muerte). Non è provata storicamente la sua presenza a Zalamea al tempo dell’annessione del Portogallo. 51. que si tiene fama y loa, in Vera Tassis. 55. jurador: blasfemo; renegado: irascibile. Le frequenti imprecazioni di questo personaggio vengono puntualmente ribattute da Pedro Crespo. 59. Vustedes: forma derivata (insieme a vuecé, voacé, vusté, vussé, ucé, ecc.) da vuestra merced, che origina anche l’attuale forma di cortesia usted (ustedes). 63. pero por esa pobreta, in Vera Tassis. 65. Seor: sincope popolare di señor. 66. vuecé: cfr. nota al v. 59.
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93. con su voz al aire inquieta, in Vera Tassis. 94. jácara: romanza o ballata popolare, per lo più licenziosa e grossolana, sulle imprese picaresche dei jaques, bravacci, ruffiani. 95. Parodia del linguaggio cancelleresco. 100. Vive Dios que ha dicho bien, in Vera Tassis. 101-104. pareados. 102. jacarandaina, e jacarandina (v. 104); indica sia il genere melico delle jácaras sia la consorteria dei jaques. 105-112. romance con assonanza in -á. 112. carnero: con ovvia allusione alle corna. Questa jácara prospetta le aspirazioni antieroiche della parte più indisciplinata dell’esercito. 113-212. redondillas. 116. de haber llegado a ver esa, in Vera Tassis. 121. vusté: cfr. nota al v. 59. 127-128. cosita, in Vera Tassis. 129. ucé: cfr. nota al v. 59. 131. justo .. es: anacoluto giustificato da esigenze di rima. 138. albricias (arabismo): rallegramenti (e anche «mancia»).
67. que bien sabe que yo, in Fernández; que bien se sabe que yo, in Quiñones; que, como ya sabe, yo, in Vera Tassis.
143. Llerena: località dell’Estremadura, in provincia di Badajoz, circa a 60 km a sud di Zalamea.
68. barbada el alma (accusativo alla greca): «con anima villosa», cioè virile; la Favilla intende proclamare il proprio coraggio.
146. Guadalupe: località dell’Estremadura, in provincia di Càceres, famosa per un santuario del sec. XIII dedicato alla Vergine; si trova a un centinaio di chilometri da Zalamea. Filippo II vi soggiornò nel 1580, durante la spedizione in Portogallo.
76. regidor: assessore (qui, all’economia). 80. regla: regola (associata a mese acquista un doppio senso). menos cuenta con el mes, in Vera Tassis. 82. a marchar y padecer, in Vera Tassis. 84. postema: persona fastidiosa, insopportabile.
147. tercio: reggimento di fanteria, solitamente composto di dodici banderas, compagnie, suddivise secondo le armi in dotazione: picche, archibugi, spade e rotelle. 155. boletas: biglietti per l’alloggio; l’onere di ospitare i soldati cadeva sui con-
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NOTE
IL GIUDICE DI ZALAMEA
tadini, era il cargo de aposento, e spesso la boleta era oggetto di traffici illeciti. 171. Infante de León: l’aristocrazia asturiano-leonese si considerava orgogliosamente la più antica di tutta la Spagna; con il titolo di infante si designava il principe. 213-556. romance con assonanza in á-e. 214. rocinante: allusione esplicita al cavallo di don Chisciotte e, subito dopo, al suo cavaliere altrettanto macilento; sono frequenti, nel teatro calderoniano, le citazioni da Cervantes; questa però risulta anacronistica, poiché l’azione dell’Alcalde de Zalamea viene collocata nell’estate del 1581 e la prima parte del Quijote fu pubblicata nel 1605.
PP. 930-944
279. principios: per don Mende, «princìpi filosofici»; per Nuño, ovviamente, gli «antipasti». 280. y aun los antes, in Vera Tassis. 283. mesa divina: la mensa eucaristica. 294. cebolla: la cipolla era considerata un alimento tipico dei contadini; anche don Chisciotte raccomandava di non mangiarne, per non tradire con l’alito un’origine villana (Quijote, II, 43). 296. tate e ta (interiezioni): piano. 305. greda: i due hanno la bocca talmente asciutta che la loro saliva è paragonata alla creta secca usata per smacchiare. 310. gañán: bracciante agricolo.
217. parece a aquel Don Quijote, in Vera Tassis.
325. Nuño manca in Fernández; ipometria corretta già in Vera Tassis.
220. figura: al maschile, significava anche «personaggio ridicolo».
327. hombre llano: uomo di bassa estrazione sociale; ma llano significa anche liscio, da cui il gioco di parole di Nuño, che allude a possibili inciampi.
225. rucio rodado: cavallo pomellato (da rueda, ruota, cerchio); ma rodado significa anche «crollato, stramazzato»; inizia qui il malizioso gioco allusivo di Nuño, che non perde un’occasione per rinfacciare al padrone la miseria in cui vive, in contrasto con la boria nobiliare che continua a mettere in mostra. 236. palillo: stecchino, stuzzicadenti. Veniva ostentato come segno di un lauto pasto consumato; con tale significato compare già nel Lazarìllo, nel Quijote e nel Romancero General; è dunque un motivo satirico ormai convenzionale. 243. sustentar: sostenere / alimentare (polisemia subito sfruttata da Nuño). 250. lástima: don Mendo commisera i contadini per ostentare i propri privilegi di hidalgo (il grado inferiore della nobiltà), che lo esoneravano, fra l’altro, dall’obbligo di ospitare le truppe in transito. 256. cas: forma apocopata arcaica (casa). 262. ejecutoria: titolo nobiliare che si poteva acquistare; notoriamente esentava da tasse e contributi.
337. Huelgas: Santa María de las Huelgas, celebre monastero cistercense di Burgos, fondato da Alfonso VIII nel 1181. 341. Pero: Pedro (forma popolare sincopata). 343. haz...: don Mendo utilizza imprudentemente la parte iniziale del proverbio Haz lo que manda tu amo y sentaraste con él a la mesa («Ubbidisci al tuo padrone e ti siederai con lui a tavola»), che Nuño interpreta in senso ironico. 349 ss. Sviluppo enfatico della metafora tradizionale che raffigura l’apparizione della donna amata. Sulla bocca di don Mendo il codice della lirica amorosa si trasforma in modo caricaturale. 361. tema: mania. 371 ss. Amplificazione non meno ridicola della metafora precedente (cfr. vv. 349 ss.). 382. hace, in Vera Tassis. 395. aventurero: nei tornei l’aventurero era il cavaliere che tentava di raccogliere la
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PP. 950-960
IL GIUDICE DI ZALAMEA
NOTE
sfida lanciata dal mantenedor, lo sfidante; costui aveva il dovere di sostenere a oltranza l’impegno.
515. las vejaciones, ipermetria, in Fernández; vejaciones, in Quiñones; las molestias, in Vera Tassis.
491. fantasma: in senso caricaturale equivale a «fantoccio».
525. Lisboa: il re Filippo II giunse a Lisbona solo il 27 luglio 1581, dopo un lungo soggiorno in Estremadura. I suoi diritti alla successione al trono portoghese, in quanto figlio della regina Isabel (sorella di João III, re di Portogallo) e marito di María Manuela (figlia dello stesso re e sorella del suo successore, il re don Sebastião) vennero riconosciuti dalle Cortes di Tomar, nell’aprile del 1581.
418. Dios os guarde: forma di cortesia usata nei rapporti con gli inferiori o con i familiari; ma Pedro Crespo la utilizza a sua volta, per manifestare il proprio disprezzo per don Mendo. 420. darle: dargliele, suonargliele. Si noti l’uso polisemico di dar. 432. contraste: ufficio pubblico di verifica di pesi e misure; qui nel senso di «controllo», «controllore». 461. he de pagarte, in Vera Tassis. 468. Álvaro de Ataide: personaggio immaginario. 473. que para servir a Dios, in Vera Tassis. 475. hacienda: patrimonio, podere. 477. aposento: alloggio. 484. hospedajes: onere di alloggio delle truppe; i nobili erano esenti anche da questo gravame fiscale. 487. ejecutoria: cfr. nota al v. 262; l’acquisto di un titolo di hidalgo era alla portata della ricca borghesia agricola e urbana. 490. limpio: puro. Pedro Crespo esalta la «purezza di sangue» della sua stirpe, cioè la propria discendenza dai cristianos viejos, ma nello stesso tempo è conscio della propria estrazione sociale; da un lato condivide l’opinione diffusa che una ascendenza «impura», araba o ebraica, macchi l’onore di una famiglia; d’altra parte riconosce che la ricchezza non è sufficiente a conferire nobiltà ad una persona. Nel corso del dramma il suo concetto dell’onore tenderà a qualificarsi soprattutto in relazione ai suoi valori intimistici e spirituali. 498. reales: antiche monete d’argento. 510. fulano (arabismo): tizio.
531 ss. Il passaggio del tercio di don Lope de Figueroa nel territorio di Zalamea non è documentato storicamente, ma nella commedia calderoniana acquista una funzione diegetica importante. 545-546. Mi prima y yo en este cuarto / estaremos, in Vera Tassis. 546 ss. nadie... no sepa: doppia negazione arcaica. 555. guardar: custodire. Riprende il motivo di una canzonetta popolare incorporata più volte anche nelle opere teatrali di Lope de Vega: Madre, la mi madre, / guardas me ponéis; / que si yo no me guardo, / mal me guardaréis («Madre, madre mia, / mi vuoi sorvegliare; / ma se io non mi controllo, / non mi saprai controllare»). 557-680. silvas. 570. alcázar: castello, rocca; arabismo, coniato sul latino castrum. 582. villanchón: villanaccio. 596. tema: cfr. nota al v. 361. L’ostinazione del capitano è ormai fondata sul puntiglio orgoglioso. 622. ayudilla de costa: indennità aggiuntiva per missioni particolari. 624. juego del boliche: gioco abbastanta simile al bigliardo; si dovevano lanciare le bocce nelle buche di un tavolo concavo. In sostanza, Rebolledo chiede l’appalto dei giochi consentiti alle truppe.
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NOTE
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626. obligaciones: obblighi, ma anche «debiti», polisemia sfruttata comicamente. 627. Digo que es muy justo, in Fernández: ipometria corretta in Vera Tassis. 630. Bolichera: tenutaria del gioco del boliche. 642. color (anticamente femminile): significava anche «copertura, giustificazione fittizia e pretestuosa». 654. este ayuda, in Fernández. 655. gallina: come attributo maschile, significava «codardo». 657. tronera: spacconata, sparata. 664. bengala: bastone del comando, insegna militare. 665. que si tuviera, in Vera Tassis. 681-894. romance con assonanza in -ó. 683. sagrado: rifugio; i luoghi consacrati offrivano diritto d’asilo; Rebolledo sfrutta in senso allusivo la convenzione. 696. lo que ellas son: il loro stato sociale. 698. siendo vos quien sois: la condizione sociale di don Álvaro de Ataide lo dovrebbe indurre a rispettare il codice cortese. 705. homicidio: secondo il topos poetico della mortale ferita d’amore. 720. discreción: prudenza, assennatezza. 738. corrido en el alma: profondamente indignato. 750-751. tras él. Mi hija / estima mucho el favor, in Vera Tassis; ma la lezione di Fernández si può accettare ammettendo uno iato. 755. yo lo he visto, in Vera Tassis. 766. opinión: reputazione, stima. 770. labrador: l’agricoltore era considerato da varii economisti seicenteschi l’autentico sostegno della monarchia; Juan si fa portavoce dunque di quella fiera consapevolezza sociale. Cfr. José M. Díez Borque, Sociología de la comedia española en el siglo XVII, Madrid, Cátedra, 1976.
PP. 960-982
774. hurgón: stoccata, espressione del gergo picaresco. 776. ojo avizor: occhio all’erta. 784. rapagón: ragazzino, giovane imberbe (arcaismo). 790. dolor: don Lope soffriva effettivamente a causa di una ferita di guerra; il motivo divenne topico nei testi letterari in cui compare questo personaggio, i cui scatti d’ira erano famosi. 815. denle: gli si diano. 818. tratos: trattamento, modo di trattare: gioco di parole con tratos de cuerda dei vv. precedenti, dura forma di punizione militare. 852. la ocasión, in Vera Tassis. 870. ser quien sois: l’essere quello che siete, il vostro stato sociale. 875. patrimonio del alma: puntualizza il valore spirituale che Pedro Crespo attribuisce all’onore. 894. no haremos migas: non spezzeremo insieme il pane, non diventeremo amici; le migas erano un piatto rustico, a base di pane, olio, aglio e peperoncino. 895-1230. romance con assonanza in é-a. 895. te contó, in Vera Tassis. 896. Ginesa: la domestica di Isabel non appare mai in scena, ma svolge un ruolo di un certo rilievo; cfr. vv. 941, 1429, 1689. 900. cautela: stratagemma. 903. humo: il senso figurato di hacer humo (fare fumo), corrisponde a «starsene tappato in casa, starsene con le mani in mano». 927. reformarlos: licenziarli, quasi fossero domestici superflui. 945. que haya, in Quiñones e Fernández; que se haya, in Vera Tassis. 949. azulejo: piastrella policroma; si utilizzava anche per illustrare lo stemma del casato.
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PP. 982-1008
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NOTE
950. guadarnés: solaio, ma anticamente indicava il deposito delle armi.
1097. sin cantores que os deleiten, in Vera Tassis.
962. sirviera: si tratta, ovviamente, di servizio amoroso.
1120. y aun en la silla primera, in Vera Tassis.
969 ss. En un día...: la struttura anaforica allinea una serie di metafore allusive ai rapidi mutamenti della sorte, con riferimento finale alle vicende sentimentali di don Álvaro.
1126. pesias: imprecazioni, maledizioni.
986. potencias: capacità conoscitive, ragione, immaginazione, giudizio. 999 ss. Costruzione anaforica analoga alla precedente, conclusa da una complessa correlazione sintagmatica (vv. 1007 ss.), ad illustrare metaforicamente l’improvvisa esplosione della passione amorosa. 1002. fulgúreo volcán: la correlazione del v. 1009 lascia capire che la metafora sta ad indicare l’esplosione di una mina. 1006. reformada pieza: pezzo d’artiglieria con carica limitata. 1031. alcaida: forma popolare per alcaldesa (qui in senso scherzoso: giudice o arbitro del gioco del boliche). 1033. jacarear: cantare jácaras; cfr. v. 94. 1034. jira: chiassata, baldoria. 1043. de rebozo (vale a dire rebozado): a volto coperto (fino agli occhi). 1055. alicantina: inganno, imbroglio. 1056. barato: la percentuale spettante alla bolichera. 1062. puntos: viene sfruttata comicamente la polisemia; qui si tratta dei punti di sutura della ferita (il barbiere era anche chirurgo); invece al v. 1059 si alludeva al punteggio del gioco. 1065. mohina: sdegno, stizza. 1089. copas: cime delle piante. 1090. mis cláusulas, in Fernández; corretto in Vera Tassis. 1094. guijas (sinonimo di almortas): vecce, cicerchioni (rampicanti, qui paragonati a corde di strumenti).
1159. un hora: apocope popolaresca dell’articolo. 1177. prevenciones: qui nel senso di provisiones, provvigioni. 1185. en esta parte: si riferisce all’invito galante. 1199. ladino: fine, abile, sagace, contrapposto a bárbaro, rozzo. 1205. serviros: offrirvi i miei servizi, onorarvi. 1219. religión: vocazione, professione. 1220. ensanchas: concessioni, facilitazioni. 1222. fuérades: fuerais (forma arcaica). 1224. vuexelencia: forma sincopata per vuestra excelencia. 1226. letra: canzonetta, strofetta. 1231-1234. villancico; questa canzonetta popolare fu incorporata anche in testi teatrali di Lope de Vega e glossata da Luis de Góngora. 1235-1284. romance con assonanza in é-a. 1236. tirar: lanciare (sassi). 1238. cantaletas: canzoni sguaiate. 1244. rodelilla: da rodela, scudo rotondo; cfr. v. 1272. 1282. deshecha: finzione. 1285-1320. redondillas. 1287. rancho: nel linguaggio militare indicava sia il pasto (rancio) sia il luogo riservato all’alloggiamento; qui significa «prendere posizione». 1296. jinete de la costa: cavaliere della costa, soldato della vigilanza territoriale (non erano considerate truppe scelte). 1314. ser ordena: si tratta di.
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NOTE
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1316. cañas: il gioco delle canne era una sorta di torneo fra squadre di quattro cavalieri che al galoppo si scagliavano canne a guisa di giavellotto. Lo scudo sulle spalle può essere inteso come gesto protettivo del fuggiasco. 1321-1340. romance con assonanza in ú-e, compresa la jácara cantata dalla Chispa. 1324. y el rufo, in Vera Tassis. 1325. la Chillona: la Strillona. 1327. asonante: assonanza o rima imperfetta; in questa jácara compare l’assonanza ú-e (nei versi pari, come avviene nelle romanze spagnole); quindi al v. 1328 la parola lunes (lunedì) presenta un’assonanza che giustifica la stentata battuta di Rebolledo. que el asonante, in Vera Tassis. 1330. entre dos luces: fra lusco e brusco (ma anche «poco lucida, mezzo ubriaca»). 1331. el Garlo: il Garrulo, il Ciacolone. 1332. casa de los azumbres: casa delle fiasche (perifrasi eufemistica per «osteria», «taverna»). 1335. de tejado abajo (locuzione gergale): dalla testa ai piedi. 1338. tajo y revés: fendente e rovescio. 1341-1396. redondillas. 1345. Ni ... no: doppia negazione arcaica. se ha de escapar, in Vera Tassis. 1346. almagre (arabismo): ocra rossa; metaforicamente: ferita, botta. 1349. Huid, in Fernández; Huid vos, in Vera Tassis. 1394. ya haremos migas: cfr. v. 894, dove Pedro Crespo sospettava il contrario. 1397-1501. quintillas. 1417. océano español: l’Oceano Atlantico (ma ormai la Spagna stava perdendone il dominio). 1418. luciente farol: il sole. 1422. figura: cfr. v. 220.
PP. 1008-1026
1426. gordura: corpulenza, pinguedine (solito gioco allusivo di Nuño). 1431. homicida: assassina; cfr. v. 705. 1432. dádivas: ovviamente don Álvaro aveva corrotto la domestica. 1456. albricias: cfr. v. 138. 1470. rezagos: residui, contrapposto alle «primizie» del verso seguente. 1491. coser: cucire (allude ai punti di sutura della ferita; cfr. v. 1062). 1499. jineta: giannetta, lancia corta con insegna; il paje de jineta era il paggio portainsegna. 1500-01. Pues yo plaza pasaré / por él, in Vera Tassis. 1502. bandera: corpo militare più o meno equivalente alla compagnia di un reggimento; cfr. tercio v. 147. 1502-1505. redondilla che incorpora un cantarcillo de pié quebrado. 1504. que el amor...: allude ad una canzonetta popolare ancor oggi diffusa nel mondo ispano-americano: El amor del soldado / no es más de una hora, / que en tocando la caja /y a Dios, señora («L’amore del soldato / non dura più di un’ora; / appena suona il tamburo, / addio, signora»). 1506-1787. romance con assonanza in í-o. 1524. rústico estudio: motivo della contrapposizione fra aldea e corte. 1535. litera: lettiga trasportata da muli, portantina. 1536. sin que os despidáis de quien, in Vera Tassis. 1542. por que no el premio, in Vera Tassis. 1544. venera: medaglione con l’insegna degli ordini monastico-cavallereschi; qui si tratta della conchiglia di Santiago. 1549. patena: ciondolo. 1574. por vida mía, in Fernández; corretto già in Vera Tassis.
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PP. 1028-1052
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1591. disinios: concetti. Fondamentale, nella valutazione di Pedro Crespo, è la coscienza della propria «limpidezza di sangue», ma anche delle proprie origini umili. Designios, in Vera Tassis. 1593. con recto juicio, in Vera Tassis, per evitare una ripetizione, che però potrebbe essere intenzionale. 1605. partido: generoso (che reparte, cioè condivide con gli altri quanto possiede). 1606. sombrero: allude all’atteggiamento deferente di chi si toglie il cappello. 1622. enseñarse, in Vera Tassis. 1633. asiento: sede, accampamento. 1648. los ojos: gli occhi in lacrime. 1671. aun en público, in Fernández e Quiñones; corretto in Vera Tassis. 1673. Pues sin soldados...: l’ingenua sicurezza di Inés facilita il rapimento di Isabel. 1684. diz que: si dice che (forma impersonale arcaica). 1685. oficios: cariche pubbliche municipali, come quella di alcalde. 1693. visos: riverberi. 1702. estás para..: sei disposto a. 1716. ten: tieni, custodisci. Rebolledo vuole che la Chispa non venga coinvolta direttamente nello scontro. 1718. la gala...: allude al proverbio La gala del nadar es saber guardar la ropa («Il vanto del nuotare è saper conservare i vestiti»). 1737-38. Porque sin armas seguirlos / es en vano; y si brioso, in Vera Tassis. 1744. Ya tienes aquí la espada, in Vera Tassis. 1746. Ya tengo honra...: ora che ha una spada, Pedro Crespo intende lavare l’onta subìta con il sangue dell’offensore. 1749. habéis cogido, in Vera Tassis, per evitare una ripetizione; ma cfr. v. 1593.
NOTE
1786. que así honro las mujeres, in Vera Tassis. 1788-2135. romance con assonanza in í-a. 1791. sombra: contrapposta a luz, è anche simbolo del disonore. 1792. oh tú..: raffigurazione analogica (notte stellata / prato fiorito). 1796. llanto: pianto / rugiada. 1800. mayor planeta: il sole, secondo la concezione tolomaica. 1807. precisa: predeterminata. 1812. venganza, in Fernández, Quiñones, e Vera Tassis; vari editori moderni emendano in vergüenza. 1839. digan, in Vera Tassis. 1856. piedad no dejar, in Fernández; piedad el dejar, in Quiñones e Vera Tassis. 1861. obliga: impegna, spinge. 1886. con manos: a mani libere. 1894. que sepas: che devi sapere (costruzione elittica). 1896. te irrite, in Vera Tassis. 1913. cisma: discordia (al femminile, secondo l’uso popolare). 1917 ss. le hacían espladas: gli coprivano le spalle. 1919. bandera: cfr. v. 1502. que la bandera, in Vera Tassis. 1924. sagrado: con allusione probabile al v. 683. 1925. ira mía, in Fernández e Quiñones; corregge: tiranía, in Vera Tassis. 1934. sino ríos, in Fernández e Quiñones; corregge: sino ruido, in Vera Tassis; ma ríos allude metaforicamente al mormorio delle acque dei fiumi. 1966. es querer a una mujer, in Vera Tassis. 1972. enmudezca: ammutolisca. 1979. tal vez con la acción, in Vera Tassis.
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NOTE
IL GIUDICE DI ZALAMEA
1999. alumbra y domina, in Fernández e Quiñones; corregge: alumbra, ilumina, in Vera Tassis. 2010. cierra: investe, attacca. 2028. asegurarle: finirlo, dargli il colpo di grazia; quiso asegundarle, in Vera Tassis. 2029. los que..: cfr. vv. 1707-1715. 2033. cuadrilla: squadra di quattro soldati. 2037. incitan: sollecitano. en su venganza se irritan, in Vera Tassis. 2047-2050. Correlazione sintagmatica; cfr. vv. 1007 ss. 2071. que atormenten y que aflijan, in Vera Tassis. 2087. precisa: pressante. 2097. albricias: cfr. v. 138.
PP. 1054-1088
pubblica vendetta, che però non ripara l’offesa. 2270. maravedí: unità minima del sistema monetario spagnolo del secolo XVII; 34 maravedíes valevano un real. 2276. una S y un clavo: una S e un chiodo, figura della parola esclavo, schiavo. 2288. refrán: il proverbio diceva En Castilla el caballo lleva la silla («In Castiglia è il cavallo che porta la sella»); nei commenti paremiologici dell’epoca (Correas, Covarrubias, ecc.) veniva spiegato nel senso che la nobiltà si trasmette per linea paterna. 2294. nieve y agua: il candore della barba e la lacrime che la bagnano. 2300-01. con humildad, que no es mío / lo que os pido, sino vuestro, in Vera Tassis. 2306-2625. redondillas.
2102. acciones: l’alcalde svolgeva funzione di giudice e di sindaco.
2317. no tenéis jurisdicción: non avete alcun potere legale.
2126. vení: forma popolare apocopata; qui consente la sinalefa.
2331. enviará por mí: manderà a prelevarmi.
2134 ss. Adattamento del proverbio: Quien tiene el padre alcalde seguro va a juicio («Chi ha il padre giudice, va tranquillo al processo»). 2136-2191. redondillas. 2158. justicia ordinaria: nell’opinione del capitano, il tribunale civile doveva essere subordinato al tribunale militare (in effetti avveniva così solitamente). 2159. Fernández omette ahora. 2168. seguridad: salvezza. 2192-2305. romance con assonanza in é-o.
2336. Pues juro a Dios, in Vera Tassis. 2348. vivo: in servizio attivo. 2352. prender: imprigionare. 2365. grillos: essere messo ai ceppi era considerata una ignominia per un nobile. 2375. paño: stoffa (materia). 2379. este paje: la Chispa è ancora travestita da paggio; cfr. v. 1499. 2384. paso de garganta: allude al supplizio per strangolamento. 2389. cantéis: anche in antico spagnolo «cantare» poteva significare «confessare». 2397. jacarandina: cfr. vv. 94 ss.
2202. tienen encerrados, in Fernández e Quiñones (probabile refuso); han estado encerrados, in Vera Tassis.
2408. paje de jineta: paggio da giannetta; cfr. v. 1499.
2215. el Cabildo y el Concejo: le autorità religiose e civili del luogo.
2409. paje de brida: paggio da briglia, palafreniere (ma con un doppio senso erotico).
2244. ponzoña: veleno, feccia. 2259. manifiesto: il disonore di Pedro Crespo è ormai pubblico, ed esige una
2519. mortal: stremato, stanco morto. 2527. proseguí: forma popolare apocopata.
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PP. 1088-1112
LUIS VÉLEZ DE GUEVARA
2528. alcaldillo: diminutivo spregiativo di alcalde. 2532. excomulgada: scomunicata, maledetta. 2542. sin que deje...: anche se non se le lascia dare. 2553. alcalde ordinario: giudice in attività di servizio. In realtà, il potere del giudice di un villaggio era abbastanza limitato. 2557. garrote: garrotta, morsa a vite con cui si stringeva il collo del condannato a morte fino allo strangolamento. 2562. decid donde vive o no, in Vera Tassis. 2564. vení: forma popolare apocopata. 2572. pues yo acá, in Vera Tassis. 2575. juez: il generale era anche supremo giudice del tribunale militare. 2582. prefiere (latinismo): supera, sovrasta. 2603 vais: forma popolare apocopata, per vayais. 2909. el acción: la forma maschile dell’articolo era relativamente frequente anche dinanzi a parola femminile iniziante con a- atona. 2617. cuerdas: micce. 2626-2767. romance con assonanza in -á. 2646. luminarias: incendi (allusione sarcastica). 2679. si está escrito algo demás, in Vera Tassis. 2693. está ejecutado ya, in Vera Tassis. 2711. quien ha acertado lo más, in Vera Tassis. 2726-2727. que errar lo menos no importa / si acertó lo principal, in Vera Tassis. Giovanni Caravaggi
NOTE
LUIS VÉLEZ DE GUEVARA La vita e le opere 1 L’edizione dell’opera di Luis Vélez de Guevara è stata intrapresa da C. George Peale, che affida le introduzioni a vari studiosi, e le stampa in volumi singoli presso l’editore Cuesta, Newark, Delaware; sono già apparse 33 commedie.
Riproduco qui alcune pagine del mio Note critiche su Luis Vélez de Guevara, in Miscellanea di Studi Ispanici, Pisa, Università, 1965; ad esso si rimanda per una documentazione più puntuale. 2
L. Vélez de Guevara, La luna de la Sierra, in Dramáticos contemporáneos de Lope de Vega, ed. D. R. Mesonero Romanos, BAE, XLV, p.197c: «Qui finisce, signori, / senza tragedia o disgrazia / e senza nozze per frutta / La luna della Montagna»; A lo que obliga el ser rey, in Nuevo teatro de comedias varias, Madrid, Imprenta Real, 1658, f. 145rb: «E a cosa obbliga l’esser re / finisca in questa maniera, / senza morti e senza nozze, / che è una bella fortuna!» 3
4 P. A. Legarda, Lo vizcaíno en la literatura castellana, San Sebastián, Biblioteca vascongada de los amigos del País, 1953, p. 222.
Una definizione del genere di appartenenza può vedersi in C. G. Peale, La anatomía de El diablo cojuelo: deslindes del género anatomístico, Chapel Hill, North Carolina Studies, 1977; definizione interessante più che altro in rapporto ai modelli che stanno a monte dell’opera. Con la conclusione secondo la quale l’ironia del Cojuelo non è di tipo tragico, come quella della picaresca, ma di tipo comico. Si veda una riproposta in: L. Vélez de Guevara, El diablo Cojuelo, ed. R. Valdés, estudio preliminar de B. Periñán, Barcelona, Crítica, 1999.
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NOTE
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Ivi, p. 128: «E così finisce questo romanzo e il suo autore ringrazia Dio, perché lo tirò felicemente fuori da esso, supplicando il lettore che si rallegri e non si annoi nella lettura, e vedrà come si trova bene».
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La montanara della Vera Nota introduttiva Per una bibliografia aggiornata sull’autore e la commedia vedi le edizioni di L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, dovute a P. Bolaños, Madrid, Castalia, 2001 e a C. G. Peale, Newark, Juan de la Cuesta, 2002.
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2 M. de los Reyes Peña, En torno a la actriz Jusepa Vaca, in Las mujeres en la sociedad española del Siglo de Oro: ficción y realidad histórica, ed. J. A. Martínez Berbel y R. Castilla Pérez, Granada, Universidad, 1998, pp. 81-114.
J. Ruiz, Arcipreste de Hita, Libro de buen amor, ed. A. Blecua, Madrid, Cátedra, 1992: «De como el Arcipreste fue a provar la sierra e de lo que le contesció con la serrana», strofe 950-958; «Lo que conteció al Arcipreste con la serrana», ripetuto due volte, strofe 972-986, 993-996; «De lo que conteció al Arcipreste con la serrana e de las figuras d’ella», strofe 1006-1021. Qui e infra le traduzioni sono mie.
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Ivi, pp. 230-257, strofe 959-71, 987-92, 997-1005, 1022-42.
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Ivi, pp. 243, 237: «La Camusa indiavolata / – San Giuliano la confonda! – / mi buttò via il bastone, / roteò la fionda, / mi lanciò la pietra, / disse: Per Dio, Padre vero, / oggi pagherai l’esserti avvicinato. [...] La montanara monella / disse: Lottiamo un po’; / alzati svelto da qui, / levati questo vestito. / Mi prese per il polso, / dovetti fare il suo volere; / credete: feci un buon affare». 5
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6 Ivi, p. 244: «Mi ospitò e mi dette da mangiare, / ma me la fece pagare; / siccome non feci quello che voleva / mi disse: Maledetto, sgorbio, malaticcio! / Come ho sbagliato / a lasciare per te il vaccaro! / Ti insegnerò, se non ti arrendi, / come il riccio si acciambella / anche senz’acqua e rugiada» (cioè: dovrai piegare la schiena sotto le mie bastonate).
I. López de Mendoza, Poesías completas, ed. M. Durán, Madrid, Castalia, 19841986: «Fanciulla sì bella / non ho visto nella Frontera / come una mandriana / della Finojosa. / / Facendo la strada / del Calatraveño / a Santa Maria, / vinto ormai dal sonno, / per terre scoscese / ho perso la strada, / e vidi la mandriana / della Finojosa. / / [...] Non avrei guardato / la sua gran bellezza / perché mi lasciasse / la mia libertà. /Ma dissi: Mia bella / – per sapere chi era – / di dove è la mandriana / della Finojosa? / Come sorridendo /disse: Benvenuto, /ma ho già capito / quello che volete. / Non ha desiderio / d’amare, né lo vuole / questa mandriana / della Finojosa». La toponomastica rimanda alla zona della Sierra Morena e ai dintorni di Córdoba.
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R. Menéndez Pidal, Introduzione a L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, Madrid, tae, 1916, p. 134, parla di una «tradición extremeña, recogida en un romance popular, del cual conocemos, por ahora, veintiuna versiones» («una tradizione di Estremadura, raccolta in una romanza popolare di cui conosciamo, per ora, ventuno versioni»). 8
J. Caro Baroja, Ritos, y mitos equívocos, Madrid, Istmo, 1974, p. 191.
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10 F. Delpech, La leyenda de la Serrana de la Vera: las adaptaciones teatrales, in La mujer en el teatro e la novela del siglo XVII, Actas del II Coloquio del geste, Toulouse, Université, 1978, pp. 23-36.
J. de José Prades, Teoría de los personajes de la comedia nueva, Madrid, csic, 1963; M. McKendrik, Women and Society in the 11
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Spanish Drama of the Golden Age, Cambridge University Press, 1974. 12 M. G. Profeti, Los Reyes Católicos en el teatro de Lope de Vega, in La literatura en la época de los Reyes Católicos, ed. N. Salvador Miguel-C. Moya García, Madrid, Iberoamericana-Vervuert, 2008, pp. 229-247.
F. Antonucci, El salvaje en la comedia del siglo de oro, Navarra, Université de Toulouse, 1995, pp. 160-169: le commedie esaminate sono El satisfacer callando y princesa de los montes; Amor es naturaleza; La lindona de Galicia. 13
AA.VV., El bandolero y su imagen en el Siglo de Oro, Madrid, Universidad Autónoma, 1979.
14
T. Wilder, Lope, Pinedo, some Child-Actors and a Lion, in «Romance Philology», VII, 1953, pp. 19-25.
15
Cfr. l’introduzione di P. Bolaños a L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, cit., p. 23.
16
Per le somiglianze con la Serrana vedi la mia introduzione a L. Vélez de Guevara, La montañesa de Asturias, Verona, clued, 1975-1976, pp. XV-XVII.
17
Si veda M. G. Profeti, Note critiche sull’opera di Vélez de Guevara, in Miscellanea di Studi ispanici, Pisa, Università, 1965, pp. 157-160.
18
L. de Vega, Las dos bandoleras, in Obras de Lope de Vega, Madrid, vol. XX, in bae, vol. 201, Madrid, Atlas, 1967, pp. 208b209a.
19
Sono stati segnalati dalle varie edizioni della Serrana; per una loro valutazione sia all’interno dell’opera di Vélez, che in relazione a commedie analoghe, vedi D. Crivellari, Il romance spagnolo in scena. Strategie di riscrittura nel teatro di Vélez, Roma, Carocci, 2008, pp. 62-67.
20
Vélez sembra molto affezionato a questa entrata, che ripeterà negli Hijos de la Barbuda: L. Vélez de Guevara, Los hijos de la Barbuda, ed. M. G. Profeti, Pisa, Univer-
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NOTE
sità, 1970, p. 205; e ne El alba y el sol: vedi la ed. a cura di C. G. Peale, studio introduttivo di M. G. Profeti, Newark, J. de la Cuesta, 2010, pp. 28-29. Analoghe entrate sono censite da Peale nella sua citata edizione della Serrana de la Vera. Analoghi riferimenti appaiono in El alba y el sol, ed. cit., vv. 307-308; e Peale, cit. ed. della Serrana, vv. 223-224. 22
23 Sui Re Cattolici nel teatro dei Secoli d’Oro vedi Profeti, Los Reyes Católicos en el teatro de Lope de Vega, cit.
Reputo meno attendibile, ma soprattutto meno interessante per lo spettatore coevo, l’ipotesi di Rodríguez Cepeda, appoggiata sulle vicende personali di Vélez come cristiano nuevo, che vede nella morte finale di Gila una esplosione dei conflitti sociali all’epoca del commediografo: L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, ed. E. Rodríguez Cepeda, Madrid, Alcalá, l967, pp. 9-34. Questa lettura datata, che non tiene conto delle peculiarità del genere teatro, si ripete nella successiva edizione da lui curata, Madrid, Cátedra, 1982, che unisce schemi strutturali a una interpretazione rigidamente storico-marxista.
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25 Vedi M. G. Profeti, De la tragedia a la comedia heroica y viceversa, in III Congreso internacional de Teoría del teatro, Vigo, 16-17 marzo 2000, in Tragedia, comedia y canon, Teatralia, III, Vigo, Universidad, 2000, pp. 99-122.
Per i rapporti tra spettacolo e corte in questo periodo vedi Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro, (Lerma, 26-29 de septiembre de 2005), ed. B. J. García y M. L. Lobato, Madrid, Iberoamericana-Vervuert, 2007, pp. 133-150.
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27 Vedi Profeti, Note critiche sull’opera di Vélez de Guevara, cit., p. 57; e la cit. ed. a cura di Bolaños, p. 17.
Da Piezas maestras del teatro teológico español, I, ed. N. González Ruiz, Madrid, l968, pp. 209b-210a: «Là in Garganta la Olla, / nella piana di Plasencia, / mi
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NOTE
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assaltò una montanara / capelli biondi, occhi neri. / Raccolti i capelli / sotto un berretto, / la balestra in spalla / e cinta la spada, / a assalire i viandanti / balza fuori dal pendio. / Volle Dio per mia disgrazia / che in lei io mi imbattessi. / Pensai che mi rispettasse, / pensai che mi conoscesse, / perché crescemmo insieme / nel centro della Vera. [...] / Mentre seguì i miei consigli / in Plasencia fu stimata / donna di retta ragione, / saggia, discreta ed onesta; / fino a quando l’Appetito / con sciocca sfrenatezza / cominciò a contrastarmi / per mettermela contro. / Le raffigurò i diletti, / piaceri, doni, ricchezze, / ma tutto solo in finzione, / come i re delle commedie». 29 Si tratta di tre fascicoli rilegati, numerati in maniera discontinua anticamente sul recto in alto a destra e modernamente da 1 a 61 (a questa numerazione moderna mi riferisco nelle note); in precario stato di conservazione, molto attaccato dall’umidità, smangiato nella parte bassa a destra; mm. 205 x 138. Una grafia moderna, sul f. 2, attribuisce la commedia a Lope de Vega.
Per la prima edizione moderna, dovuta a Ramón Menéndez Pidal vedi nota 8; per le successive di Rodríguez Cepeda vedi nota 24; per quelle più recenti di Bolaños e Peale vedi nota 1. Con qualche stravaganza: Piedad Bolaños consegna le grafie antiche, criterio che poteva essere lecito nell’ottica di Menéndez Pidal, ma che in tempi di riproduzioni informatiche degli originali appare superato a favore di un testo assestato criticamente; mentre è curioso che George Peale registri in apparato tutte le letture, comprese quelle moderne, e punteggi a volte in maniera capricciosa.
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31 Menéndez Pidal, Introduzione a L. Vélez de Guevara, La serrana de la Vera, cit., p. 142.
Esistono anche alcune correzioni in itinere dell’autografo, interessanti ai fini
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di un’analisi delle tecniche di scrittura dell’autore; ad esempio al v. 2984 Vélez scrive «hoy cuentas contigo hago» e poi corregge «hoy contigo cuentas hago». Poiché si tratta di informazioni non strettamente pertinenti alla fissazione del testo critico le ometto; potranno comunque vedersi registrate in Menéndez Pidal, Peale e Bolaños. 33 «Este verso terminaba antes con las palabras “Muerto y enterrado”, que se tacharon para escribir en su lugar “Oydme con cuydado”, con tinta diferente»: nota alla p. 61. Secondo Peale la grafia sarebbe di Vélez: nota alla p. 132: «El verso primero terminaba con las palabras “Muerto y enterrado”, que Vélez luego tachó para escribir en su lugar, con tinta diferente, “Oydme con cuydado”». 34 Il criterio di assetto grafico che seguo nella trascrizione è la modernizzazione della grafia, sciogliendo i compendi, ma rispettando le fusioni correnti (desto, desta), le vacillazioni vocaliche (impresas, v. 50) e consonantiche consuete del periodo (efeto, v. 42; agora, didascalia successiva al v. 620, ecc.), le metatesi (seldo per «sedlo», v. 2); le assimilazioni (serville per «servirle», v. 4), le riduzioni consonantiche (vitoria per «victoria», v. 144; estraño per «extraño»), ecc.: le note ne forniscono un campionario. Rispetto ovviamente le forme contratte con cui Vélez connota il linguaggio rustico, come hendo per «haciendo», v. 277; le consuete dislessie come dempués per «después», v. 665; il peculiare vocalismo (vedi nota al v. 50), i rotacismi (diabros per «diablos», v. 1074); l’aspirazione della f iniziale (huente per «fuente», v. 276), la velarizzazione di h iniziale (güesped per «huesped», v. 368); forme come ell (per «el», v. 752). Ugualmente rispetto il peculiare linguaggio dei bravacci, con la perdita delle velari a favore dell’aspirazione e viceversa (vedi nota al v. 586).
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Note al testo Acto: Come Lope anche Vélez utilizza questa dizione nei suoi autografi. Solo la diffusione a stampa dei testi renderà comune la definizione di «jornada». Ogni indicazione degli atti è preceduta nel Ms. dalla invocazione «Ave María». L’elenco dei personaggi si ripete all’inizio del secondo e del terzo atto. personaggi. Plasencia: Vélez scrive «Palencia», f. 3r del Ms.; sano, con Menéndez Pidal, l’error calami di Vélez; Bolaños conserva. personaggi. Maestro de esgrima; Perico: Vélez omette l’indicazione dei due personaggi che compaiono ai vv. 582 e ss. Nessuno dei moderni editori sana. invocazione. Dopo l’invocazione alla famiglia divina (Gesù, Maria e Giuseppe) Vélez consegna il proprio nome (Luis), quello della seconda moglie (Ursula Ramisi Bravo), sposata nel 1608, e quello dei figli: Francisco, Juan e Antonio. Juan nacque nel 1611; Antonio fu battezzato il 1 gennaio del 1613: siamo così in grado di datare la Serrana in quest’anno. Queste dizioni si ripetono prima degli atti successivi. didascalia. gineta, y en cuerpo: la gineta è una lancia corta; e il capitano, en cuerpo, non è rivestito dalla «capa». 2. seldo: la metatesi del pronome enclitico si ripete ai vv. 100 (escusaldo), 821 (dejaldo), 944 (llamalda), 1565 (pedilde), 2108 (echaldo), 2526 (matalda), 2592 (dejalda), 3076 (abrasalda) 3079 (quemalda). 4. serville: «servirle», con assimilazione abituale nel tempo (vedi infra, vv. 307, 504, 1299, 1493, 1686, 2554, 2823, 3151, 3194, 3195, 3247, 3267, 3295). 8. alcalde: non è un riferimento al capo della Santa Hermandad (come ipotizza Peale), personaggio che vedremo apparire più tardi; ma al funzionario a capo di ogni città o paese, cui spettava il compito di amministrare la giustizia, o concedere esenzioni da servitù, come quella di allog-
NOTE
giare le truppe; alle fine della commedia di questa dignità vedremo rivestito lo stesso Giraldo. 25. posib[le]: la parte inferiore destra del f. 4r è lacerata. 32-33. Allusione al proverbio «No es villano el de la villa, sino quien hace la villanía» (Correas). 42. efeto: «efecto», con riduzione del gruppo consonantico, abituale nel periodo. Le riduzioni si ripetono ai vv. 816 (res peto), 1145 (perfeto), 1699 (colunas), 3124 (estraño), 3128 (efeto), 3138 (satisfación), 1784 (estrañas). 44. bozo: la prima peluria della pubertà. 50. impresas: «empresas» (e infra, vv. 1944, 1994), con vacillazione vocalica corrente in tutto il testo, cui talora si sovrappone l’inflessione rustica della vocale protonica: vedi vv. 289 (roído); 295 (cochi llos); 370 (soprique); 376 (jodío); 398, 1215, 1370 (nenguno); 409 (atordille); 418 (roín); 1031 (escrebir); 1205, 2311 (fegura); 1316 (sotil); 1345 (apercebido); 1397 (mochacho); 1598 (lominaria); 1722 (musaica); 1856 (desimula); 2129, 2151 (mesmo); 2171 (homecida); 2355 (rofián); 2462 (trebunal); 2464 (josticia); 3166 (previlegios); 3204 (josticiar). 72. patente: concessione del re, specialmente a fini militari; in questo caso relativa alla leva. 74. la Vera (de Plasencia): regione nella provincia di Cáceres. 76. tocar cajas: in senso figurato per «reclutare». 77. levantar la bandera: accamparsi. 85. Garganta la Olla: uno dei paesi della Vera de Plasencia. 100. escusaldo: «escusadlo»: vedi v. 2. 114. (ir...) más a la mano: contenersi, calmarsi. 116. Roldán: personaggio dell’epica carolingia, per antonomasia cavaliere valoroso.
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125. volver (por las ofensas): difendersi dalle offese. 126. arrestando: arrischiando. 132. agüelo: forma popolare per «abuelo»: nonno. 139-40. tirar la barra: la barra era una pertica che serviva per alzare pesi; uno sport molto popolare tra i giovani era esercitarsi a lanciarla il più lontano possibile. 144. vitoria: «victoria», con riduzione corrente del nesso consonantico: vedi v. 42. 181. ambos a dos: «los dos», tutti e due. 186 didascalia. atambor: «tambor». 191. echar el bando: «pregonar», bandire, annunziare. 197. luego luego: immediatamente. 204 didascalia. relinchos: grida di festa. co[ronas] è suggerimento di Menéndez Pidal, a sanare la lacerazione in basso a destra del f.7r del Ms. sayuelo: la parte del vestito che copre le spalle. patenas: lamine decorative. botín argentado: stivaletto color d’argento. 205. Per analoghi canti popolari vedi Peale, pp. 194-195. 211. en crenchas: con i capelli divisi al centro e poi lasciati liberi sulle spalle (vedi v. 2215). 219. cuerpo genzor y adamado: con arcaismo corpo elegante, «gentile». 233. adame: «innamori». 235. nos: così dà Bolaños; mentre Menéndez Pidal, seguito da Rodríguez Cepeda e Peale, leggono «mos», gli ultimi due spiegando che si tratta di un «sayaguesismo convencional». Tuttavia la lettura del Ms. non mi sembra così chiara da dover inserire una forma tanto inusitata nel sayagués usato da Vélez. 237. la: con laismo per «le». 255. Jordán de mi edad: metafora ormai lessicalizzata: secondo una tradizione popolare bagnarsi nel Giordano ringiovani-
PP. 1138-1154
va. Vélez la usa anche nell’Águila del agua: vedi Peale, p. 195. 263. «Vene di zaffiro», dalla pietra preziosa azzurra. 266. maravillas: il «flor de la maravilla» appartiene alla famiglia degli iris. 276. huente: per «fuente», con aspirazione della f iniziale, che caratterizza il linguaggio rustico: ritorna ai vv. 286 e 294. Si vedano inoltre vv. 399, 1392 (hueran = fueran); 400, 827, 888, 1053, 1446, 2164, 2685, 3204, (huera = fuera); 686, 1269, 2075, 2113, 2157 (huego= fuego); 707, 765, 803, 893, 943, 2325, 2335, 2340, 2705, 2737, 3003, 3271 (hue = fue); 781 (huí = fuí); 929, 2379 (huerza = fuerza); 1115, 2384, 3012 (he = fe); 1324, 2093 (huerte = fuerte); 1371 (hanegas= fanegas); 2352 (huese = fuese); 3045 (huistes = fuisteis). 277. hendo: per «haciendo», con contrazione tipica del linguaggio rustico; vedi anche i vv. 637, 660, 724, 771, 861, 904, 922, 1059, 1078, 1183, 1245, 1250, 1309, 1560, 1579, 1594, 1825, 2285, 2375, 2412 (regolare al v. 1192). 277. ruinseñores: per «riuseñores»; fa parte dei rusticismi usati da Vélez. 278. caricio: lettura di Menéndez Pidal, che sottolinea che si tratta «de lectura dudosa», ed allega un luogo della Colección de autos viejos; conservano Rodríguez Cepeda e Bolaños; Peale legge «cariño», lettura plausibile. 289. roído: «ruido»: vedi v. 50. 295. cochillos: «cuchillos»: vedi v. 50. 307. herillo, apartallo: per «herirlo», «apartarlo»: vedi v. 4. 309-312. Cassati, f. 9r del Ms. 340. de camino: con abiti da viaggio. 355. Hércules: abituale riferimento mitologico per antonomasia. 368. güésped: per «huésped», con velarizzazione della h (vedi vv. 1244, 1289 e 3033).
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370. soprique: «suplique»: vedi vv. 50 e 1074. 376. jodío: «judío»: vedi v. 50. judío è offesa abituale nella commedia aurea: Peale, p. 196. 398. sopetearnos: «maltratarnos». neguno: «ninguno»: vedi v. 50. 403. Formula popolare di imprecazione: Bolaños, p. 120. 409. atordille: «aturdirle»: vedi v. 50. 416. «Despabilar los mocos», «pulire il moccio», è forma figurata per «prendere a schiaffi». 418. roín: «ruin»: vedi v. 50. 425. cruz del lugar: incrocio di strade che precede il paese; vicino al quale venivano esposti i cadaveri dei giustiziati. 442. Roldán: riferimento per antonomasia al cavaliere della tavola Rotonda. 451. «hacerse cruces», cioè «farsi il segno della croce», esprime meraviglia. 462. mismo: è lettura di Menéndez Pidal, ripetuta da tutta la tradizione; il ms. abbrevia «mis». 467. Aquiles: comparazione antonomastica che fa riferimento all’eroe omerico. 493. polla: «pollastrella», giovane in età da marito. 504. remitillo: «remitirlo», con assimilazione: vedi v. 4. 509-10. pacienc[ia] e v[ale] sono suggerimenti di Menéndez Pidal, a sanare la lacerazione in basso a destra del f. 12r del Ms.
NOTE
555. Alhama: città della provincia di Granada, che fu presa ai Mori nel 1482 dalle truppe dei Re Cattolici guidati da Rodrigo Girón. 581. azúcar blanco rosado: uno zucchero color rosa; Menéndez Pidal, p. 163, rintraccia una citazione in Piñeiro; una seconda in Lope de Vega: Peale, p. 198. 583. arnés: l’insieme delle armi per la scherma: spada e elmetto. 585. poleo: «arroganza, coraggio ostentato». Bolaños legge «pelea», ma dà in nota la delucidazione di «poleo». 585 didascalia. montera y polainas: cappello tipico, di solito in feltro, e calze rimboccate sulla parte alta delle scarpe. capote de dos haldas: è una variante della «capa», chiusa nella parte superiore. coleto: «casacca di cuoio». Vélez dunque descrive minutamente l’abito di scena che connota i due bravos, cioè «bravacci». Nella sua entrata nel terzo atto anche Gila vestirà un «capote de dos faldas», v. 2212. 586. hugaremos: «jugaremos», con aspirazione della jota, che identifica il linguaggio del bravaccio, e si ripete ai vv. 587, 1848 (Heronimo = Jerónimo); 588 (hente = gente); 602 (huguemos = juguemos); 725, 751 (muher = mujer); 1834 (huego = juego); 2619 (dihera = dijera). Ma anche inversamente: v. 673 (mogina = mohina; regolari i vv. 2647 e 2649); 693 (agito = ahito); 803 (moginas = mohinas).
531. lanzadas y rejones: due tipiche fasi della corrida.
597. mear la pajuela: gioco infantile; l’espressione ha poi assunto il significato di «stravincere»; alcuni luoghi sono raccolti da Peale, pp. 199-200.
549. juego de cañas: uno sport nobiliare dei Secoli d’Oro, in cui si affrontavano squadre di cavalieri.
599. hacer nombre de Dios: proverbio raccolto da Covarrubias per «dare inizio, cominciare».
550. capas y gorras: i cavalieri quindi non vestiranno «livree», che non hanno avuto tempo di far confezionare, ma avranno gli abiti abituali di ogni giorno.
604-05. La rima della redondilla esige una lettura tronca dei due versi, come trascrivono Menéndez Pidal e Peale; Bolaños inusitatamente li dà come sdruccioli.
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NOTE
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609 e 699-700. Toquen casco, Dorabuena e Limpio marcano le tre fasi della scherma; il primo è il saluto rituale che si faceva alzando la mano a toccare il casco, il secondo è l’augurio reciproco di buona fortuna («En hora buena»), il terzo indica che, dopo aver toccato il rivale, la spada viene ritirata e l’avversario rimane «pulito». 612. Lo scopo dell’esercizio è insegnare il gioco di scherma; fare altro sarebbe borrachera (ubriachezza), cioè una sciocchezza. 615-20. Cassati, f. 14r del Ms. 620 didascalia. Gila appare ora vestita in maniera femminile, come la cugina, con il viso coperto da un velo (con rebozos... de volante), con un tipo di «cappa» leggera (ferreruelo), e con cappelli di tipo contadinesco. agora: «ahora». 622. camínase por el viento: velocemente. 627-645. Cassati, f. 14r-v del Ms. 645. punto en boca: zitti. 664. sienta: «ferma, metti giù (la spada)». 665. dempués: «después», rusticismo; ritorna ai vv. 864, 881, 1099, 1105, 1178. 667 didascalia. montante: la spada grande, che si usa con tutte e due le mani, per tirare fendenti dall’alto verso il basso. maeso: forma contratta per «maestro». 668. guardar los pies: ritirarsi. 669-70. ¡Mahoma... montera!: formula deprecatoria-burlesca: «prenda la spada Maometto (il diavolo stesso) contro questo che ha la montera»; come si ricorderà è Andrés che porta questo tipico cappello (cfr. 585 didascalia). 672. gallina: codardo. 673. mojina (vedi v. 586): «mohina»: noia, preoccupazione. 684. mandoble: colpo a due mani, dall’alto verso il basso. 693. agito (vedi v. 586): «harto»: sono stufo.
PP. 1170-1182
694. payo: contadino. 697. cuervo: secondo Bolaños, p. 143, essendo i corvi uccelli che divorano i cadaveri, Mingo dichiara che uno di essi sta vicino alla sua spada, destinata ad uccidere. 702-14. Cassati con una croce, f. 15v del Ms. 715-16. «dar pan como unas nueces» è frase proverbiale: bastonare. 724-25. her que me sueñe: è una minaccia: «vi ricorderete di me!» Peale, p. 202, fornisce luoghi analoghi di Vélez. 731. chichón: bernoccolo; gente de chichón: persone litigiose. Peale legge «Chinchon», e vi vede un riferimento alla città di questo nome. Ma è evidente che Mingo si riferisce al bernoccolo che si sta palpeggiando («el que tiento»), e che è grosso come una seconda testa. 740. almirez: mortaio. 740. boj: bosso, legno particolarmente duro. 744. dieras el caíz: «avresti suonato le dodici», secondo l’interpretazione della maggior parte dei commentatori. 745. Aldonza o Beatriz: Aldonza è amata da Don Chisciotte, Beatrice da Dante; Gila viene ridotta a fanciulla passiva. 752. ell agua de Dios: giuramento fatto in nome dell’acqua benedetta; con una serie di luoghi in Menéndez Pidal, pp. 168169. Per la forma ell vedi Peale, p. 203; ritorna al v. 2802. 755. carro o carreta: Peale ricorda un proverbio raccolto da Correas: «lo que ha de cantar el carro, canta la carreta», che Covarrubias spiega così: «Este refrán se acomoda cuando entre dos que tienen algún trato, se queja el que menos razón tiene y el agraviado calla y pasa por todo»; non risulta dunque applicabile alle parole di Gila. Bolaños annota: «Gila alude a la doble condición de la que goza: lo mismo por hombre que por mujer».
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PP. 1182-1196
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758-60. Ancora un proverbio citato da Mingo: Bolaños, p. 147. 759. br[ava]: lacerato in basso a destra il f. 16r. 765. Tajo y ... Duero: Mingo gioca con la polisemia tra il nome dei due fiumi: Tajo (in italiano Tago) che ha anche il senso di «taglio»; come Duero allude a «duro» (con riferimento al colpo che ha ricevuto). 767. siente la espada: deponga la spada: vedi v. 664. 768. entrampe el juego: imbrogli il gioco. 773. saya: sottana. 777. San Rorro: santo di fantasia, spesso invocato: vedi Bolaños, p. 149. 778. doblar: suonare a morto. 788. Mase Juan: allusione a un fabbricante di spade di Toledo e Valencia, che firmava i propri manufatti «Johannis me fecit», marca che lo rese celebre: Peale, p. 204. 792. ha turdido: «ha aturdido», con crasi. 796 didascalia. meter el montante: vedi 667 didascalia; in senso figurato è «dividere due litiganti», poichè, come qui, il maestro di scherma usava questa spada pesante per fermare gli spadaccini. 803. vedi nota al v. 586: mohina è «sdegno, rabbia». 810. È detto proverbiale raccolto da Correas, per indicare chi sopravanza il proprio maestro. 819. bordón: palo con punta di ferro. 821: dejaldo: «dejadlo», con metatesi: vedi v. 2. 829. Gila viene lasciata sola, per timore, come tutti fuggono dal toro. Peale, pp. 204-205, vede in questa immagine una proiezione simbolica del temperamento eccessivo di Gila.
NOTE
836-37. Altro proverbio, censito da Correas, che si potrebbe tradurre «andare per lana e tornare pelati». 847-56. Cassati, ff. 17v-18r del Ms.; al margine la dizione «dícese a la vuelta». 856 didascalia. atabalillos: piccoli tamburi. 861. helles: «hacerles», con contrazione ed assimilazione: vedi v. 277. 864. dempués: «después»: vedi v. 665. 868. hiedra y olmo: immagine della fedeltà, variante della «vite ed olmo», con riferimento al mito di Filemone e Bauci; per l’uso contemporaneo vedi Bolaños, p. 155. 871-91. Cassati, f. 18r-v del Ms., al margine la dizione «dícese», forse di altra mano. 880-82. Granada-granates: gioco tra il nome della città e la gemma di color rosso. 881. dempués: «después»: vedi v. 665. 885. presona: «persona», metatesi che connota il linguaggio rustico; Peale regolarizza (per la metatesi del pronome enclitico vedi v. 2). 904. Vélez aveva scritto «hacer», che corregge in «her», in funzione connotativa del linguaggio rustico. 915. Redina: è il nome che Vélez darà a uno dei diavoli che accompagnano il Diablo Cojuelo: Menéndez Pidal, p. 170. Peale, p. 206, lo interpreta come nome comune: «ruota di legno dei telai». 918. melecina: purga. 922 didascalia. vestuario: nei Secoli d’Oro la parte retrostante il centro del palcoscenico. 941-42. Gila si autodefinisce «vizarra polla», cioè gagliarda fanciulla (vedi nota al v. 493), che ha avuto come madre (cascarón: guscio da cui esce il pulcino) una giovane di uguale temperamento. 944. llamalda: «llamadla», con metatesi: vedi v. 2.
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NOTE
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945-46. Allusione a una filastrocca popolare: Peale, p. 206. 949. Gi[rón] è suggerimento di Menéndez Pidal, a sanare la lacerazione in basso a destra del f. 19r del Ms. 949-50. Come tutti i commentaristi rilevano, Vélez indulge a un evidente anacronismo: l’azione si dovrebbe svolgere nel 1491, prima della presa di Granada, e Rodrigo Girón, maestre de Calatrava, menzionato anche al v. 556, era morto durante l’assedio di Loja, nel luglio 1482. La morte del principe don Juan, che qui il Maestre annuncia, avvenne nel 1497. E nel v. 962 si alluderà alla scoperta dell’America, che è posteriore alla presa di Granada. Anacronismi del genere sono consueti nel teatro aureo, che non è certo retto da logiche di fedeltà storica. 955. estraña: vedi v. 637. 958 didascalia. ropilla como vaquero: la «ropilla» è una sopraveste; il «vaquero» una «vestidura de faldas largas» (Autoridades). 972. Albayaldos cegrí y al gomel Muza: Albayaldos e Muza sono due protagonisti delle Guerras civiles de Granada di Ginés Pérez de Hita; di essi si ricorda l’appartenenza a due casati arabi, rispettivamente dei «cegríes» e dei «gomeles», come rileva Menéndez Pidal, p. 170, che menziona anche i romances sul Maestre de Calatrava, cui si attribuiva la vittoria sul moro Albayaldos. 982. absente: leggero arcaismo per «ausente»; connota il linguaggio aulico del Maestre. 988. alarde: rassegna delle truppe. 991. polaco: razza di cavalli che si considerava molto vivace. 992. faiciones: «facciones», ancora in funzione aulica. 994. clin: «crin». 995. linaza: seme del lino, di colore grigio.
PP. 1196-1206
996. blancas moscas: le macchie del manto del cavallo; con alcune citazioni di passi analoghi in Menéndez Pidal, p. 171. 999. bucéfalo: per antonomasia «cavallo selvaggio ed indomabile», in ricordo di quello, così chiamato, che fu domato da Alessandro Magno giovanetto. 1004. corbeta: «impennata». 1008. pluguiera: Vélez scrive «plugiera», f. 20r del Ms.; sano con tutta la tradizione l’error calami. 1015. medio: tutta la tradizione sana l’error calami di Vélez, «mendio», f. 20r del Ms. 1018. el arena: nel sec. XVII ancora persiste la presenza di «el» davanti a sostantivo femminile iniziante per a atona. Vedi anche infra, v. 1302: el aspereza. 1020. corcovo: scarto del cavallo, per disarcionare il cavaliere. Menéndez Pidal, pp. 158-159, sottolinea come nella «caduta da cavallo» quale causa della morte del principe don Juan, si verifichi una confusione con quella del principe Alonso de Portugal; probabilmente già instaurata nella tradizione che Vélez raccoglie. 1025. dejarretar: «desjarretar»: tagliare le zampe all’altezza dei garretti. 1031. escrebir: «escribir»: vedi v. 50. 1033. alarbe: «arabo», per antonomasia barbaro, malvagio. 1054. Come era prassi il titolo si ripete lungo la commedia, spesso alla fine degli atti. Vélez chiude poi l’atto con la propria firma, che ripete alla fine del secondo e del terzo atto. 1054 didascalia. mancera: l’impugnatura dell’aratro. aguijada: il pungolo dei buoi. 1056. adibas: malattia delle bestie. 1057. cejar: girare, spesso detto di carri trainati da mule o buoi. 1068. respingar: movimento delle bestie, scalciare. 1070. guijarro: ciottolo.
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PP. 1206-1218
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1073. merá: imperativo di «merar»: mescolare liquori; in senso figurato «calmare». 1074. diabros: rotacismo che connota il linguaggio rustico; vedi vv. 370, 1246, 2170, 2445, 2495, 2506, 2510, 3217. 1077-81. Allusione a detti proverbiali sull’ostinazione delle donne: Bolaños, p. 169. 1097-100. Paragone stereotipato tra il sole e la bellezza femminile, su cui Peale raccoglie vari luoghi, pp. 209-211. 1099. dempués: «después»: vedi v. 665. 1105. dempués: «después»: vedi v. 665. 1110. te enquillotras (e infra, v. 1182): «quillotro» e «enquillotrar» connotano il linguaggio rustico, e assumono vari significati: cfr. M. Romera Navarro, «Quillotro» y sus variantes, in «Hispanic Review», 1934, pp. 117-25; per Vélez vedi M. G. Profeti, Note critiche sull’opera di Vélez de Guevara, in Miscellanea di Studi ispanici, Pisa, Università, 1965, p. 84. 1131-74. Cassati, ff. 24r-26r del Ms. 1131. Juan Guarín: eremita del monte Monserrat, che aveva conosciuto una certa fama, con menzioni in varie opere: Peale, p. 212. 1139-58. Raccontino popolare molto in voga nel tempo: Peale, p. 212. 1178. dempués: «después»: vedi v. 665. 1205. fegura: «figura»: vedi v. 50. 1209. luna: come si sa la mezza luna costituiva l’insegna dei mussulmani (quindi «no es de cristianos»); e per di più è «mutevole», simbolo della incostanza femminile. 1215. neguno: «ninguno»: vedi v. 50. 1219. Bolaños legge «porque aquel abril nació», meno plausibile per il senso. 1227-46. Cassati, f. 26v del Ms. 1230. Curiosamente sia Menéndez Pidal che Peale danno in apparato «men-
NOTE
seg.»; invece il Ms., f. 27r, legge distesamente «mensegeros», come riporta Bolaños. Qualche difficoltà può creare il senso: di solito si è interpretato il termine come «meseguero», colui che custodisce le messi; come i guardiani le ortiche impediscono ai passanti di lasciare le loro feci sui fiori (li «profumino», con antifrasi ironica). 1244. güeso: «hueso», vedi v. 368. 1245. Menéndez Pidal interpreta «hertê», ossia «herte he», «devo farti»; ma il Ms., f. 27r, è chiaro e plausibile: «herte» dipende da «será»: non è bene spezzettare («trocarte... en menudos») la bellezza di Gila e far diventare la fanciulla («herte»), a forza di lodarne le varie parti, come una credenza dove si ripongono i piatti («aparador de pratero»: per «platero», con rotacismo: vedi v. 1074). 1250. Dopo questo v. appaiono nel Ms., f. 27r, tre versi cassati in itinere: «si no me dejas morder / de esa boca que me agrada / porque la tienes penada». Vélez riprenderà il concetto più tardi, v. 1252. 1252. penada: si diceva «copa penada» quella a cui si beveva con difficoltà. 1258. orejas de Corinto: Bolaños interpreta come «orecchie piccoline», in relazione all’uva passa di Corinto; Peale come «ornate e ricche», come i capitelli corinzi, oppure bianche come il marmo. Migliore la prima interpretazione, visto che le orecchie piccole erano apprezzate nell’immaginario erotico del tempo, e soprattutto considerando che ai vv. 1263-64 Gila commenta il complimento. 1261. alano: i cani alani venivano addestrati ad azzannare i tori alle orecchie durante le fiestas. Peale, p. 213, allega una allusione simile in Lope. 1264-65. Continua il gioco sulle varie accezioni di «oreja»: ora dar... oreja è «dare credito». 1277. Toma: Vélez non segnala che Gila deve stringere la mano a Mingo: buona
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prova che il drammaturgo si fida della capacità dei suoi attori di interpretare i movimenti scenici. 1287-88. vuelta: giro di corda, tortura praticata per ottenere la confessione degli imputati. 1289. güesos: «huesos»: vedi v. 368. 1298-1334. Cassati, f. 28r-v del Ms. 1299. firmallo: «firmarlo»: vedi v. 4. 1302. el aspereza: vedi v. 1018.
PP. 1220-1238
1397. mochacho: «muchacho»: vedi v. 50. 1402: plumas dando, haciendo piernas: con pompa, a passo di parata. 1403. alabarda: insegna del sergente di fanteria. 1409. pendón de un sastre: erano i pezzi di tela avanzati che rimanevano ai sarti. 1425. afeitadas: truccate pesantemente, imbiancate come case di un villaggio; alcuni luoghi analoghi in Peale, pp. 220-221.
1303. Inizia una sfilata di allusioni a detti proverbiali, rilevati nei vari commenti al testo: si vedano le citazioni in Peale, pp. 216-218.
1458. Alto de mano en mano: i soldati si devono fermare via via che arrivano.
1310. reír: si applicava alle lacerazioni della tela troppo usata.
1462. Alzad: Giraldo si è dunque inginocchiato o inchinato davanti al capitano.
1316. sotil: «sutil»: vedi v. 50. 1317. marzo en la cola: con allusione a un detto proverbiale censito da Covarrubias, che allude ai cambiamenti di clima tipici del mese: «Cuando marzo vuelve de rabo, ni deja cordero con cencerro ni pastor enzamarrado». 1326. almohaza: la striglia dei cavalli. 1329-30. vos: era infatti la allocuzione che i superiori riservavano agli inferiori. 1332. vira: freccia usata per la balestra, che non ha «vuelta» giacché non si raccoglie. 1345. apercebido: «apercibido»: vedi v. 50. 1363-90. Cassati, f. 29r-v del Ms. 1370. neguna: «ninguna»: vedi v. 50. 1371 hanegas: «fanegas», vedi v. 276. 1382. cencia: «ciencia». 1391. colgar... del rollo: il «rollo» era la colonna di pietra, di solito culminante in una croce, che indicava i confini di un paese; a cui si appendevano i giustiziati (Covarrubias). I soldati vi appendono i doni manifestando la volontà di non accettarli. 1396. gineta: vedi la prima didascalia.
1444. reja: «aratro».
1464. vuestra: Vélez scrive «muestra», f. 30v del Ms.; error calami che anticipa la rima del verso seguente; tutti gli editori moderni sanano. 1468. «togliere le porte dai cardini, forzarle». 1475. y todo: «también», accezione ben documentata da tutti gli editori moderni. 1493. pretendella: «pretenderla»: vedi v. 4. 1524. amonestaciones: pubblicazioni di matrimonio. 1529. dadme los brazos: saluto amichevole tra pari grado. 1540. Vamba: Wamba, leggendario re visigoto, che si diceva fosse stato contadino; Lope de Vega gli dedicò una commedia, che contribuì a rendere le sue imprese ben conosciute al pubblico. 1543. Volvé: «volved», con apocope. 1560. prencipesa: «princesa». 1561-62. Preste Juana: «Preste Juan» era il titolo che si diceva spettasse all’Imperatore di Abissinia: vedi Peale, p. 222, per un luogo analogo in Vélez. 1563. Alimaña: deformazione di «Alemania», Germania.
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PP. 1238-1254
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1565. pedilde: «pedidle», con metatesi: vedi v. 2. 1567-68. Giraldo esorta la figlia a non insuperbirsi. 1596. chapines: erano delle sottoscarpe di sughero che aumentavano l’altezza delle dame. La satira dell’abbigliamento del tempo, in cui eccelse Quevedo, prosegue nei vv. seguenti, dove si allude alla lechuguilla, ampio colletto ricamato, che rende la dama simile a una lominaria («luminaria»), cioè a una decorazione che si metteva alle finestre. 1611-12. Semíramis: per il rimando alla mitica regina di Assiria e Babilonia vedi supra, Nota introduttiva. Evadnes: moglie di Capaneo si gettò nelle fiamme della pira funebre del marito. Palas: dea della guerra. Il riferimento a Semiramide ed Evadne si ripete al v. 1928. 1632. Muerto y enterrado: restauro la lezione di Vélez, f. 33v del Ms.: vedi supra, Nota introduttiva. 1645. Nel romance si stratificano tradizioni popolari, già segnalate da Menéndez Pidal (Peale, pp. 224-225), e detti proverbiali (vv. 1657, 1665-68). 1647. Vélez scrive «nuevo Esculapio», poi corregge «Nuevo Galeno». Per altre correzioni in itinere, in questo frammento di grande impegno retorico, vedi Menéndez Pidal, vv. 1672, 1679, 1694, 1709, 1726, 1729, 1736. 1647-48. Galeno, Esculapio: riferimenti «classici» (il primo è un celebre medico, il secondo è il dio stesso della medicina); citati per antonomasia. 1669. sin herederos: tuttavia la moglie era incinta, ed il principe aveva quattro sorelle (non tre, come recita il v. 1684).
NOTE
1703. mauseolo: con metatesi per «mausoleo»; per antonomasia «edificio funebre», come quello celeberrimo che Artemisia, regina della Caria, dedicò al marito Mausolo. 1705-20. Vero e proprio pezzo di bravura, che descrive il monumento funebre accumulando uno specifico lessico architettonico, e rimandi al mondo classico (Efesia y Acaya, v. 1700). 1721. capel ardente: forma italiana. 1722. musaica: «mosaica»: vedi v. 50. 1724-32. Come ricorda Covarrubias, p. 64, si diceva che l’aquila provasse il valore dei propri implumi portandoli in alto verso il sole; se essi non ne sostenevano lo splendore con lo sguardo li lasciava cadere nel vuoto; la leggenda proviene da Plinio. 1733. Doce: numero dal valore «magico». 1763. obsequias: onoranze funebri. 1765. monteros de Espinosa: con questo nome si indicavano i nobili che avevano come compito la protezione delle persone reali: vedi documentazione in Peale, p. 226. 1774-75. Ulteriore anacronismo: doña Juana giurò nel 1500. 1793. motilona: fanciulla che forma parte della famiglia, spesso con compiti servili. 1803. ciegayernos: cosa di scarso valore; con un luogo di Vélez in Peale, p. 227. 1810. torcaza: colomba di grandi dimensioni. 1811. sisón: oca granaiola. 1815. queda adiós: formula corrente di saluto, che Bolaños non identifica.
1686. amparalla: «ampararla»: vedi nota al v. 4.
1820. prima: Menéndez Pidal conserva l’error calami di Vélez, «Gila»; e l’errore passa a Rodríguez Cepeda; emendano Bolaños e Peale.
1693. catredal: Ms., f. 34r: metatesi inusitata, che mantengo.
1823. maginación: «imaginación», con apocope. Regolarizza Bolaños.
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1834. huego: «juego» (vedi v. 586). socorro: la paga del soldato: «mi gioco la paga». 1839. Dorabuena: «en hora buena», alla buon’ora. 1840. trocada: senso poco chiaro; forse «al contrario mi fermo». 1852-53. negras y blancas espadas: le spade «nere» sono quelle da esercitazione, quelle «bianche» sono le spade vere, da offesa e difesa. 1856. desimula: «disimula»: vedi v. 50. 1857. chirlo: «ferita da taglio sulla faccia, e successiva cicatrice». 1864. barato: è la mancia che dava il vincitore a chi assisteva al gioco. 1870. so: contrazione di «señor». 1874. sora: contrazione di «señora». 1878. frasco: il contenitore della polvere da sparo. reata: la terza mula che si aggiungeva al carro. 1889. vuacé: rusticismo per «vuestra merced» (vostra grazia). Al v. 1893 appare nella forma voacé. 1904 didascalia. ferreruelo: vedi nota al v. 621 didascalia. Quello indossato dalla regina è di vayeta: «tela di lana leggera». In tutta la scena Vélez omette l’indicazione D. (don) relativa a Rodrigo. 1914. Riferimento al fratello gemello del Maestre, don Alonso Téllez Girón. 1917-18. Rodríguez Cepeda e Peale invertono i due vv. 1928. Vedi nota ai vv. 1611-12. 1930. Fenis: «Fénix»: rara come la Fenice, uccello unico al mondo. 1936-37. Riferimento probabilmente desunto da Ginés Pérez de Hita, Guerras civiles de Granada, parte I, capp. 13, 14, 16: Menéndez Pidal, pp. 172-173. 1940-44. Enumerazioni tipiche del gusto di Vélez; alcune identificazioni sono state effettuate da Bolaños, p. 216.
PP. 1254-1274
1959. Sano l’error calami di Vélez «Caliz» (f. 38v del Ms.). Anche nel precedente v. 1940 Vélez aveva scritto «Caliz», che una seconda mano corregge in «Cadiz». 1989. Guadalupe: città al nordest di Badajoz. 1998 ss. In questa scena e nella seguente Vélez omette l’indicazione D. (don) relativa a García. 2030. tascar el freno è «imbizzarrirsi»; il capitano già si sta ribellando all’amore. 2031-33. Appena la donna cede e si scopre suo «enigma» (enima: con riduzione del nesso consonantico), l’amore lascia il posto a bochornos y bascas: noie e nausee. 2038-39. Nessuno degli editori di Vélez ha identificato il riferimento; Rodríguez Cepeda annota «acaso alusión a un dicho o canción popular»; Bolaños ripete: «estos vv. pudieran pertenecer a alguna canción popular»; Peale omette qualsiasi spiegazione. Silvia Rogai ha felicemente identificato il frammento, che dovette godere di molta fortuna, e che San Juan de la Cruz glossa «a lo divino»: «Por toda la hermosura / nunca yo me perderé, / sino por un no sé qué / que se alcanza por ventura»: cfr. San J. de la Cruz, La notte più felice dell’aurora. Poesie, a cura di M. Ciceri, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 108-109. 2049. llegué, engañé y vencí: parafrasi del detto di Cesare «Veni, vidi, vici»; molto presente nel teatro aureo. Un analogo luogo di Vélez in Peale, p. 229. 2075. ¡Huego, huego!: «fuego», vedi v. 276. Analoghe le grida di Tisbea davanti alla fuga di Don Juan nel Burlador de Sevilla (e infra, vv. 2113, 2157). 2081. mostro: «monstruo». 2108-11. La fuga di Bireno, che abbandona Olimpia in un’isola deserta nell’Orlando furioso, divenne luogo comune nel teatro dei Secoli d’Oro; da notare che anche nell’Amor en vizcaíno di Vélez, prima della scena del giuramento, la allusione si
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NOTE
ripete: cfr. ed. M. G. Profeti, Verona, Università, 1977, nota ai vv. 1737-39. echaldo: con metatesi per «echadlo», vedi v. 2.
dad de Vélez de Guevara, ed. G. Peale, Amsterdam-Philadelphia, J. Benjamins, 1983, pp. 104-110.
2116-17. Luogo comune sulla velocità dei destrieri, che si ripete ne La niña de Gómez Arias: cfr. Peale, p. 230.
2210. cuerpos de palmilla: corpetto di panno.
2129. mesmos: «mismos: vedi v. 50. 2139-50. Per giuramenti analoghi, veri e propri pezzi di bravura per gli attori, cfr. Peale, pp. 230-231. 2151. mesmo: «mismo: vedi v. 50. 2170. cumpre: «cumple», con rotacismo: vedi v. 1074. 2171. homecida: «homicida»: vedi v. 50. 2175. rocín: cavallo da lavoro e non da sella. 2180 muermo [...] o torzón: malattie dei giumenti; la prima è una infiammazione nasale, la seconda una enterite. 2187. [yo]: lacerata la parte inferiore destra del f. 44r del Ms. 2189. La lettura del Ms., f. 44v, «de sellalbarda», ha dato luogo a varie interpretazioni. Bonilla, nella sua rassegna alla edizione Menéndez Pidal, suggeriva «des[d]ell’albarda», che tutti i moderni editori accettano; ma che mi pare abbastanza lontana dalle abitudini di scrittura di Vélez. Preferisco dunque conservare, ed interpreto «sellalbarda» come una fusione scherzosa di Mingo tra «albarda» come ‘sella da carico’, ‘basto’, e «silla» ‘sella da passeggio’: «Chi mi ha elevato dalla sella di carico a quella da passeggio?» Può operare qui il ricordo del detto proverbiale «no ser para silla ni para albarda»: non essere adatto a nulla; il gioco tra silla e albarda ritorna ai vv. 2282-83. 2199. tien: apocope di «tiene», in funzione connotativa del linguaggio rustico. 2202. Il romance è stato commentato da M. Morreale, Apuntaciones para el estudio del tema de la serrana en dos comedias de Vélez de Guevara, in Antigüedad y actuali-
2227. conseja: favola, storia inventata. 2256. Des[dicen]: è lettura di Menéndez Pidal, la parte inferiore destra del f. 45r del Ms. è oggi illeggibile. 2266. garlito: inganno, tranello. 2272-83. Cassati, f. 45v del Ms. 2272. en sus treces dio el rocín: il giumento si è incaponito. 2293. hago corbetas: «hacer corbetas» è ballare e danzare, fare piroette. 2297. Santa Guiteria, o Quiteria, era la protettrice dei ciechi. 2298-2303. Probabilmente una canzoncina popolare, che non è stata rintracciata. jerga: è una stoffa rustica, tipo tela da sacco. 2306-07. Il cavallo che parla ricorda il romancero tradizionale, riferimento non rilevato dalla tradizione critica; qui naturalmente usato come spunto comico-grottesco: «Allí hablara el caballo /bien oiréis lo que hablaba» (Romance del rey moro que perdió a Valencia, in Cancionero de romances, Amberes s.a, f. 179r). 2312-13. Allusione al proverbio «aunque la mona se vista de seda, mona se queda»: la scimmia anche se vestita di seta resta sempre una scimmia. 2319-21. Secondo l’iperbole di Mingo il veterinario (albéitar), che è nato insieme al cavallo, sostiene che avrebbe compiuto cinquant’anni in primavera. 2325. espada sin vuelta: iniziano i giochi di parole e le allusioni di Mingo, che dovevano essere vere e proprie barzellette, atte a provocare le risate del pubblico. Non tutte sono oggi comprensibili.
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NOTE
LA MONTANARA DELLA VERA
2337. San Dimas: è il buon ladrone che si pentì sulla croce; con allusione ai sarti «ladri». 2341. corta de vestir: «sparla»; che si riallaccia al gioco anteriore. 2347. No las hagas, no las temas: proverbio registrato da Correas: chi fa il male deve anche temerlo. 2348-75. Cassati, ff. 46v-47r del Ms. 2351. arancel por guinea: tassa sui consumi, o norma, regola: il senso non appare chiaro in nessuno dei commentarori. 2352. Pero Grullo: personaggio folklorico, dalla sapienza fittizia. 2353. Jarandilla: paese della zona della Vera. 2355. igreja: rusticismo per «iglesia»: chiesa (vedi anche infra, vv. 2709, 3045). Il sacristano è riconosciuto dalla chiesa stessa come «ruffiano». 2356. Appaiono una serie di doppi sensi: tabardillos è allo stesso tempo «tifo» e «gioco di carte»; il barbiere (che aveva funzioni di medico, per esempio faceva i salassi) ed il farmacista van horros a matar, cioé giocano in coppia (vedi Bolaños, p. 242) nell’uccidere, insieme al medico ed il veterinario. Non chiara l’interpretazione di Peale.
PP. 1292-1306
bias); da qui il timore di Gila che il padre voglia «arrestarla». 2383. Santa Hermandad: aveva funzioni di polizia e di giustizia, ed operava fuori dalle città; Vélez la presenta come istituzione recente dei Re Cattolici, v. 3165, e nota di Bolaños, p. 293. 2392-93. Proverbio molto conosciuto: «Proverà sulla sua (testa) chi non impara dalla altrui»: riferimenti e bibliografia in Peale, p. 235. 2395-96. aguarse: in questo caso «costiparsi» (Bolaños, p. 245). 2417-18. Riferimento antifrastico al detto proverbiale «paño de que cortar», che indica l’abbondanza. 2445. robre: «roble» (quercia), con rotacismo: vedi v. 1074. 2462. trebunal: «tribunal»: vedi v. 50. 2464. josticia: «justicia»: vedi v. 50. 2468. intricado: «intrincado», con riduzione del nesso consonantico. 2474-76. Luoghi comuni consueti, ampiamente usati da Vélez: vedi Peale, pp. 236-37. 2484. acârriba: «Acá arriba», con crasi. 2487-89. Mingo de cera: come ex-voto per grazia ricevuta; molti luoghi di Vélez sono rassegnati in Peale, pp. 237-38.
2360-62. Albardero: venditore di albardas, cioè di «basti»; che innesta l’allusione seguente: no hay albarda que no mate: cioè non c’è basto che non faccia lividi («mataduras»), ma anche – visto che la moglie dell’albaldero è morta – che non «uccida».
2495. cremencia: «clemencia», con rotacismo: vedi v. 1074.
2378. pasa a lágrimas: sopporta piangendo.
2526. matalda: di solito la metatesi (per «matadla») è forma popolareggiante (vedi nota al v. 2), che qui invece vediamo utilizzata dal Maestre (Vélez indica ora il personaggio con la sua carica e non con il nome di Rodrigo).
2380. alcalde: il «sindaco» aveva compiti di polizia e di amministrazione della giustizia, la cui insegna era la vara: «las que traen el día de hoy los alcaldes de corte, los corregidores, sus tenientes y alcaldes, los jueces pesquisidores, los alguaciles y los demás ministros de justicia» (Covarru-
2506. diabro: «diablo»: vedi v. 1074. 2510. tabrero, «tablero»: vedi v. 1074. 2522. tíguere: «tigre», con anaptissi.
2534-37. Cassati, f. 49v del Ms. 2554. rendillo: «rendirlo», con assimilazione: vedi v. 4.
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PP. 1306-1320
LA MONTANARA DELLA VERA
2557. santisfacer: deformazione popolareggiante per «satisfacer»: vedi anche vv. 2675, 2679. 2559. prosupuesto: «presupuesto». 2565. el Rey es Dios en la tierra: concetto fondante della visione dello stato e del re nei Secoli d’Oro: Peale, pp. 239240, rassegna analoghi luoghi in Vélez; una bibliografia fondamentale in Bolaños, p. 256. 2571. hidrópica: «assetata» (di sangue). 2573. castigad: Peale interviene sul Ms., f.50r, e emenda in «castigar» (che fa dipendere da «voy»); intervento innecessario su una lettura chiarissima e sensata.
NOTE
2635: melicia: «milicia», con vacillazione vocalica. 2642. boquimuelle: credulone. 2644. duendes y leguas: Peale corregge la dizione del Ms. «leguas», f. 51r, in «lenguas»; ma il passo si può interpretare come suggerisce la recensione di J. Gómez Ocerín, in RFE, 4, 1917, p. 412: «ci sono poche certezze circa gli spiritelli (duendes) e le distanze (leguas)»; dove «se alude a la disparidad con que suelen apreciarse las distancias y a las discusiones que ello motiva, el caso es frecuente todavía entre las gentes del campo».
2592. dejalda: «dejadla», con metatesi: vedi v. 2.
2646. rucia: la cavalla di colore scuro. voto a: forma di imprecazione. Jerolisto: per eufemismo Jesús Cristo.
2596. y todo: vedi v. 1475. Peale attribuisce i vv. 2595-96 a Fernando.
2647. Pardiós: ancora per eufemismo «Por Dios».
2597. vuecelencia: fusione corrente per «vuestra excelencia».
2648. aciones: corde da cui pendono le staffe.
2599. buscar la reina: l’omissione dell’a dell’accusativo personale è corrente nei Secoli d’Oro.
2653-54. [duda] e [de pareceres]: sono ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lacerazione del Ms., f. 51r, parte inferiore destra.
2601-2603. Allusione alla leggenda che voleva che un antenato dei Girones, don Rodrigo González de Cisneros, avesse offerto durante una battaglia il proprio cavallo al re Alfonso VI, rimasto appiedato; un romance aveva diffuso la leggenda, su cui Vélez scrisse una commedia: Peale, p. 240. 2613. bota: sideddoche per «vino». 2616. la razón haremos: risponderemo al brindisi. 2618. juncia: giunco. 2619. dihera: «dijera», con aspirazione della jota: vedi v. 586. 2626. frezada: «frazada»: coperta.
2656-69. Romance tradizionale studiato da Menéndez Pidal, pp. 153-54. 2673. si: «aunque»: anche se. 2673 didascalia. todo[s]: tutti gli editori sanano «todo», lapsus calami di Vélez, f. 51v del Ms. 2684. solmente: solamente. Al v. 2688 appare nella forma soldemente: entrambe connotano il linguaggio rustico. 2685. tirte huera (vedi v. 276): connota il linguaggio rustico: «vai via, levati di qui!» 2686-87. Bolaños punteggia facendo di «para» voce del verbo «parar», e rendendo interrogativa la frase successiva.
2628-39. Cassati, f. 51r del Ms; a sinistra la dizione «no».
2692. Molteplici i detti proverbiali sulla donna «facile»: Peale, pp. 241-42.
2634. trascartón: scambio della carta vincente con la perdente.
2697. Locifer: «Lucifer», con vacillazione vocalica.
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NOTE
LA MONTANARA DELLA VERA
2698. saltabardales: come il successivo machorra indica la donna che ostenta atteggiamenti maschili. 2699. consejas: racconti popolari. 2705. Cava de Rodrigo: l’amante dell’ultimo re visigoto, che per lei «perse» il trono. 2708. ñublo: arcaismo per «nublo»; tempesta estiva che veniva esorcizzata con preghiere. 2709. igreja: vedi v. 2355. 2712-13. mata candelas: durante la prassi della scomunica si spengevano le candele con acqua. 2714. en haz y en paz: «secondo il gusto di tutti».
PP. 1320-1340
2799. estrellarse: in un divertente gioco la «stella di Venere», citata in romances popolari (Menéndez Pidal, p. 174) sale a «spiaccicarsi» nella padella («sartén») della notte. 2801. potras: ferite. 2802. ell: vedi nota al v. 752. 2805. Mirad con quien y sin quien: modismo che risale a una canzone (Menéndez Pidal, p. 174), molto presente nella commedia aurea (Bolaños, p. 274). 2809. Venta: è il toponimo già citato al v. 1386; Bolaños lo considera sostantivo comune. 2819. fuerdes: arcaismo per «fuéredes».
2717. agraz: l’uva che non matura, sgradevole.
2821-22. Modismo registrato da Covarrubias, molto presente nella commedia aurea.
2720. en veluntad lo tienen: hanno questa intenzione («voluntad», con deformazione rustica).
2823. perdello: assimilazione per «perderlo», vedi v. 4.
2753. picándote están ortigas: letteralmente: «ti pizzicano le ortiche»; per «ti stanno addosso, ti inseguono». 2755. puesto que: «aunque», anche se. 2762-77. Cassati, f. 53r del Ms. 2764-65. regañarás con sal y vinagre: letteralmente «te la dovrai vedere col sale e l’aceto»: «avrai delle belle difficoltà». 2765 didascalia. agora: «ahora»: vedi 620 didascalia. 2774. diablo: per la regolarità del v. con dieresi. 2779. [bajara]: è lettura di Menéndez Pidal; la parte inferiore destra del f. 53r del Ms. è oggi illeggibile. 2784-85. tía: nel senso generico di «tizia, buona donna»; Gila risponde utilizzando il senso proprio di «zia», ed apostrofando Andrés come «nipote». 2789. pullas: celie, prese in giro. 2792. escorrozo: volgarismo per «allegria».
2830-31. sol: gioco tra il «sole», e le successive note musicali «fa mi re». 2846-53. Cassati, f. 54v del Ms. 2884-93. Cassati, f. 55r del Ms. 2955. talle: secondo un luogo comune dei Secoli d’Oro il portamento e la figura sono attestato di nobiltà. 2960. tahur: «baro» al gioco dell’amore, inaffidabile. 2961. acuchillado: «esperto, pratico»; Peale, p. 245, interpreta «colpito da ciò che si dice». 2969-70. Se[rrana] e [salió vana]: sono ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lacerazione della parte inferiore destra del f. 56r del Ms. 2978. Modo proverbiale, per «arrivare a una felice conclusione»; ripreso in forma antifrastica dal v. 3020. 2984-93. Cassati, f. 56v del Ms. 3009. fementido: falso. 3033. güésped: «huésped», con velarizzazione della h: vedi v. 368.
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PP. 1340-1360
LA MONTANARA DELLA VERA
3042-45. Si interpreti: «lo stesso delitto spinge a fare (aconseja) quello da cui il colpevole si dovrebbe allontanare»; tanto che don Lucas è finito in «carcere», cioè in un luogo dove sarà punito, quando credeva di essere arrivato all’immunità, che la chiesa riservava in effetti a chi vi si rifugiava. igreja: vedi v. 2355. 3046-65. Cassati, f. 57v del Ms. 3051: mentirosa capa: l’oscurità menzognera della notte; a cui risponde capear del v. 3054: rubare la cappa in un assalto notturno; e quitar la capa dei vv. 3056-57: svelare la verità. 3074. Proverbio registrato da Correas. 3076. abrasalda: «abrasadla», con metatesi consueta: vedi nota al v. 2. 3079. abrasada: la lettura corretta viene consegnata solo da Bolaños; tutta la tradizione ripete «abrasalda». 3079. quemalda: «quemadla», con metatesi: vedi v. 2. 3082 didascalia. Appaiono dunque in scena don Juan de Carvajal, «alcalde» della Santa Hermandad, e Giraldo, «alcalde» di Garganta la Olla: «también con su vara». 3097. ll[egó]: è ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lacerazione della parte inferiore destra del f. 58r del Ms. 3122. cadena: tutta la tradizione legge «cadenas», con verso ipermetro; ma il Ms., f. 58v, dà «cadena», anche se la scrittura poco nitida può aver originato la falsa lettura. D’altro canto la didascalia che segue il v. 3125 chiarisce che a Gila vengono apposti «a los pies grillos y una cadena», si intende quella che legava tra loro i ferri. 3127 didascalia. Entra in scena anche doña Isabel, che accompagna il marito, come il dialogo successivo attesta: completo dunque la didascalia, smangiata dalla lacerazione che interessa la parte inferiore sinistra del f. 58v del Ms., lacuna che Menéndez Pidal, seguito da tutta la tradizione successiva, non rilevò.
NOTE
3128-79. Cassati, ff. 58v-59v del Ms. 3133-35. Considerazioni analoghe raccoglie Peale, p. 246. 3151. llegalla: «llegarla», con assimilazione: vedi v. 4. 3162. per[miten]: è ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lacerazione della parte inferiore destra del f. 59r del Ms. 3166. previlegios: «privilegios»: vedi v. 50. 3179. Con proverbio registrato da Correas; luoghi di Vélez in Peale, pp. 246-247. 3194. sabello: «saberlo», con assimilazione, vedi v. 4. 3195. encontralla: «encontrarla», con assimilazione, vedi v. 4. 3204. josticiar: «justiciar»: vedi v. 50. huera: «fuera»: vedi v. 276. 3213. en su: Peale legge «es su». 3217 crara: «clara», con rotacismo: vedi v. 1074. 3219. p. 297.
Detto
proverbiale:
Bolaños,
3225. didascalia. agora: «ahora»: vedi 620 didascalia. 3231-33. Il dettato non è del tutto chiaro, soprattutto nella interpunzione adottata da Menéndez Pidal e Peale; accetto dunque quella di Rodríguez Cepeda e Bolaños, con «ésta» riferito a «desgracia», e quindi a «muerte». 3247. encargalle: per «encargarle», con assimilazione: vedi v. 4. 3249. Motivo popolare: bibliografia in Peale, p. 247. 3256. estremo: «extremo»: vedi v. 637. 3260. a mí: «a», necessaria per il senso, viene aggiunta in un secondo tempo; il v. risulta tuttavia ipermetro. 3261 didascalia. agora: vedi 620 didascalia.
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NOTE
LA MONTANARA DELLA VERA
3265. at[an]: è ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lettura poco chiara del Ms., f. 60v. 3266-69. garrote: forma spagnola di giustiziare per strangolamento, in uso fin alla dittatura franchista; se ne veda la descrizione in Peale, p. 247. Il supplizio, come si vede, nel periodo dei Re Cattolici era completato da un tiro di frecce, il che permette la comparazione finale di Gila con San Sebastiano: Peale, pp. 247-48. 3267. tiralla: per «tirarla», con assimilazione: vedi v. 4. 3268. [le pone]: è ipotesi di Menéndez Pidal, a sanare una lacerazione della parte inferiore destra del f. 60v del Ms. 3271. hue: «fue»: vedi v. 276. 3291-92. Il re concede a Don Juan (non a Giraldo, come crede Peale, p. 249) di essere «alcalde» perpetuo di Plasencia. 3294. entrieguen: forma ancora in uso nel sec. XVII. 3295. enterralla: per «enterrarla», con assimilazione: vedi v. 4. 3298. Giraldo sarà dunque affrancato dai gravami tipici dei vassalli, e godrà di uno stato para-nobiliare. [rubrica finale] 16[1]3: il Ms., f. 61v, recita «1603», che si considera error calami di Vélez: vedi nota iniziale, e Menéndez Pidal, pp. 125-127. M aria Grazia Profeti Note alla traduzione 241. Nella Chanson de Roland i dodici Pari di Francia erano i paladini guidati da Orlando (cfr. v. 116). Si traduce genericamente con «paladini». 360. Si traduce utilizzando parte di un proverbio italiano molto vicino all’originale: «chi compra sprezza e chi ha comprato apprezza».
PP. 1360-1364
670. Nell’originale Mahoma («Maometto»), forma di esclamazione dell’epoca. Si traduce liberamente con l’immagine del diavolo, che richiama la blasfemia evocata dall’imprecazione originale. 713-14. Come indicato nella Nota introduttiva, si traduce utilizzando il celebre distico tratto dal Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici per la vicinanza al contesto culturale della lingua di arrivo, così da compensare alcune perdite precedenti nella traduzione. 765. La traduzione non riesce a rendere compiutamente il gioco di parole dell’originale, di cui si cerca di mantenere l’ironia sfruttando la polisemia del termine «rovescio». 798-800. Ennesimo gioco di parole da parte del gracioso che si fonda sulla coincidenza della seconda persona singolare dell’imperativo del verbo sentar («smettere») e la terza persona singolare del presente indicativo del verbo sentir («provare dolore»). Si cerca di renderne l’ironia tramite il verbo «bastare», nella doppia accezione di «smettere» e «averne abbastanza». 806. Mentre in Spagna è la gallina l’animale che rappresenta metaforicamente la codardia, in Italia troviamo un’analoga accezione figurata nel coniglio. Nella traduzione si utilizza dunque sempre questo termine per rendere lo spagnolo gallina, nell’accezione di «codardo». 827. Si traduce liberamente inserendo un detto popolare assente nell’originale ma pertinente e adeguato al registro, per compensare alcune precedenti perdite nella traduzione dei giochi linguistici del gracioso. 837. Mancando in italiano un proverbio corrispondente a quello spagnolo (ir por lana y volver trasquilado), si traduce liberamente con l’espressione idiomatica «tornare con la coda fra le gambe», sebbene essa abbia una sfumatura di significato leggermente diversa.
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P. 1369
JUAN RUIZ DE ALARCÓN
942. La traduzione non riesce a rendere il gioco di parole dell’originale, ottenuto dalla polisemia del termine polla («fanciulla» e «pollastra», da cui il riferimento ironico al cascarón). 995-98. La traduzione non riesce a rendere il gioco di parole dell’originale, basato sulla doppia accezione del termine mosca («macchia» e «mosca»), ma tenta comunque di mantenerne l’integrità semantica: il manto maculato e la velocità del cavallo. 1183-84. Mingo gioca con l’espressione spagnola irse a la mano a alguien («trattenere qualcuno») e il significato letterale del verbo ir («andare»). Si traduce con l’espressione idiomatica «venire dietro», perdendo parte del gioco originale ma conservandone significato e registro. 1226. Per mantenere l’allusione eufemistica dell’originale (a dejarlo perfumado) si traduce con un sostantivo che ben si adatta al registro linguistico del gracioso. 1277. didascalia. Si aggiunge una didascalia per agevolare la comprensione della scena. 1462. didascalia. Si aggiunge una didascalia per agevolare la comprensione della scena. 1803-4. In spagnolo il gioco tra il termine ciegayernos (oggetto di scarso valore che appare pregiato) e il verbo cegar è più immediato. Si è cercato di avvicinarsi all’ironia dell’originale utilizzando i termini carabattola e cara. 1863. didascalia. Si aggiunge una didascalia per agevolare la comprensione della scena. 1899. didascalia. Si interviene sulla didascalia ampliandola, così da chiarire l’atteggiamento sprezzante di Gila, palese nell’originale già dalla locuzione volver la cara. 2044. Allusione al detto «picar la mosca»: innamorarsi. Si traduce liberamente mantenendo l’immagine del tormento dell’amore, paragonato nell’originale a una mosca insistente, tramite il riferimento al tarlo, a mio parere più vicino alla cultura d’arrivo.
NOTE
2273-75. La traduzione tenta di riproporre il gioco di parole originale, fondato sulla polisemia dell’espressione idiomatica dar de cabeza («incaponirsi» e «battere la testa in terra»), tramite l’utilizzo della locuzione «sbatterci la testa», nella doppia accezione letterale e figurata. 2298-99. Si traduce liberamente inserendo una filastrocca popolare italiana in una delle sue numerose varianti regionali. 2313. Si traduce liberamente utilizzando un proverbio italiano analogo a quello originale. 2322-2325. La traduzione non riesce a mantenere il gioco di parole originale, poco comprensibile, e perde dunque l’effetto comico voluto. 2380. Si omette il riferimento diretto alla vara del alcalde poiché di difficile traduzione; in italiano manca infatti un’insegna corrispondente. Esso rimane tuttavia sempre presente nelle didascalie quale oggetto di scena connotante il personaggio dell’alcalde. 2418. Si traduce liberamente con un’espressione analoga a quella utilizzata nell’originale. 2526. Per la prima volta Vélez indica il personaggio che parla con la sua carica (Maestre) e non con il nome (Rodrigo), dizione che si ripete anche al verso 2595. In entrambi i casi si mantiene la scelta dell’autore anche nella traduzione. 3131-32. Si traduce alla lettera perdendo tuttavia il gioco di parole originale, peraltro molto diffuso, tra celos («gelosia») e cielo («cielo»). Silvia Rogai
JUAN RUIZ DE ALARCÓN La vita e le opere 1 Ad Alarcón era stata commissionata la relazione dei festeggiamenti per la venuta a Madrid del Principe di Galles, ed egli
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NOTE
LA VERITÀ SOSPETTA
affidò parte delle descrizioni ad altri autori; scattarono così le beffe degli intellettuali madrileni, che composero le Décimas satíricas a un poeta corcovado que se valió de trabajos ajenos (Decime satiriche a un poeta gobbo che si giovò di lavori altrui) riunite poi da J. Alfay in Poesías varias de grandes ingenios españoles (Poesie varie di grandi ingegni spagnoli), Zaragoza, Ibar, 1654; ed. moderna di J. M. Blecua, Zaragoza, Instituto Fernando el Católico, 1946. M. Frenk, Introduzione a J. Ruiz de Alarcón, Comedias, Caracas, Biblioteca Ayacucho, 1982, pp. XXIII-XXVI.
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In italiano è stata tradotta da C. E. Gadda, La verità sospetta, in Teatro spagnolo dei Secoli d’oro, Torino, eri, 1957, poi in Tre traduzioni, a cura di M. Benuzzi Billeter, Milano, Bompiani, 1977, pp. 213-400; e da A. Gasparetti con il titolo di Il bugiardo, Roma, Edizioni Paoline, 1966. 3
4 Si veda l’illustrazione relativa in J. Ruiz de Alarcón, Las paredes oyen. La verdad sospechosa, ed. J. Oleza y T. Ferrer, Barcelona, Planeta, 1986. 5 N. Alcalá Zamora y Torres, El derecho y sus colindancias en el teatro de don Juan Ruiz de Alarcón, México, Impr. Universitaria, 1949.
J. Ruiz de Alarcón, El examen de maridos, ed. M. G. Profeti, Kassel, Reichenberger, 1997.
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M aria Grazia Profeti
PP. 1370-1383
e 189-193) in F. Rico, Historia y crítica de la literatura española, 3/1, Siglos de oro: Barroco. Primer suplemento, Aurora Egido et al., a c. di Carlos Vaíllo, Barcellona, Crítica, 1992, pp. 476-482. Il testo è consultabile alla URL cvc.cervantes.es/obref/verdad_sospechosa.
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3 Per un inquadramento generale della critica, si veda M. Peña, «Juan Ruiz de Alarcón en el espejo de la crítica», in El escritor y la escena. Actas del I Congreso de la Asociación Internacional de Teatro Español y Novohispano de los Siglos de Oro (18-21 de marzo de 1992, Ciudad Juáez), Città del Messico, Universidad Autónoma de Ciudad Juárez, 1993, pp. 177-187. 4 Faccio riferimento, per comodità, alla classificazione data da A. V. Ebersole nella sua edizione di La verdad sospechosa (Madrid, Cátedra, 2006), pur con molti dubbi sulla terminologia utilizzata. 5 Si veda L. Fothergill-Payne, «La justicia poética de La verdad sospechosa», in Romanischen Forschungen, LXXXIII (1971), pp. 588-595, riprodotto in F. Rico, Historia y crítica de la literatura española, 3, Siglos de oro: Barroco, a c. di B. W. Wardropper, Barcellona, Crítica, 1983, pp. 884-888; vi si sostiene il vantaggio finale del matrimonio ottenuto dal protagonista. 6 Ignacio Arellano, Historia del teatro español del siglo XVII, Madrid, Cátedra, 1995, p. 283.
Si veda il capitolo «Questa traduzione» alle pp. 37-44 del volume Juana Inés de la Cruz, Il divino Narciso, traduzione e studio di Barbara Fiorellino, Roma, Bagatto Libri, 2007, che affronta con particolare attenzione le problematiche legate alla tecnica di resa del romance, ed anche la più snella nota contenuta alle pp. 50-51 di Lope de Vega, Il cane dell’ortolano, introduzione e commento di Fausta Antonucci e Stefano Arata, traduzione di Barbara Fiorellino, Napoli, Liguori, 2006. 7
La verità sospetta Nota introduttiva Si vedano in particolare A. V. Ebersole, El ambiente español visto por Juan Ruiz de Alarcón, Valencia, Castalia, 1959, e Willard F. King, Juan Ruiz de Alarcón, letrado y dramaturgo. Su mundo mexicano y español, Città del Messico, El Colegio de México, 1989, consultabile in parte (pp. 89, 115-120, 122-123, 139-140, 142-143
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Barbara Fiorellino
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LA VERITÀ SOSPETTA
Note al testo personaggi. Il nome del servitore, Camino («strada», «via», «percorso») è allusivo. 2. Don García chiede al padre la mano da baciare. 14. La Corte: secondo l’uso spagnolo, si riferisce, metonimicamente, alla capitale. 22. Continua il gioco della cortesia per cui don García offre l’abbraccio mentre il precettore si china a baciargli i piedi. 39. corregimiento nell’originale. Il Corregidor era un funzionario reale che rappresentava la Corona nell’ambito municipale. 216. Alla mia natura. 330. La strofa gioca coi diversi significati di Tusón come ordine del Toson d’Oro e Tusona, prostituta, nome che allude alla punizione del taglio dei capelli o alla perdita dei capelli a causa del vizio. 379. Tra i molti significati di punta nel Diccionario de Autoridades della Real Academia Española ve ne sono due che mi sembrano possibili: uno, quello per cui ho optato, fa riferimento all’attività cacciatrice della punta ed è quindi omogeneo con la metafora usata; l’altro potrebbe riferirsi ai merletti dell’abito, dai quali escono le eburnee mani e che presumibilmente orlano anche il velo circondando gli occhi. 439. Il mitico gigante condannato da Zeus a sostenere la volta celeste sulle spalle. 499. Importantissimo centro minerario sito nell’attuale Bolivia. 578. La Chiesa della Vitoria, al lato della quale vi è l’omonima via, si trova a Puerta del Sol, all’inizio della Carrera de San Jerónimo, all’angolo con la calle de Espoz y Mina. 609. Il Manzanarre, fiume di Madrid. 684. Padiglioni. 871-872. Il modo di dire è già consolidato all’epoca col significato di «mettere il sale in zucca»; Alarcón riprende il signifi-
NOTE
cato originale per giocare con i versi precedenti, dicendo che García ha bisogno di chiudere la fontanella (la parte del cranio non del tutto solida alla nascita) e diventare adulto. 1020. Il proverbio che riguarda il cane dell’ortolano, che non mangia le verze né permette che vengano mangiate da altri («El perro del hortelano, ni come las berzas ni las deja comer» e varianti) è impiegato per riferirsi all’amore inconcludente che arriva ad essere d’impiccio alla conclusione di altri amori, ed è stato usato da Lope de Vega come titolo di una celebre commedia. 1174. Anche questa frase funziona da indicazione scenica; il paggio si è genuflesso e non si rialza se non col permesso del gentiluomo. 1180. L’eremo di San Blas, oggi non più esistente, era il luogo solitamente prescelto pe i duelli. 1199. Gioco simile al biliardo. 1343. I due personaggi mitici, l’uno re della Frigia dotato dell’abilità di trasformare in oro quanto toccava e l’altro giovane bellissimo che si innamora della propria immagine, sono qui usati nei loro valori antonomastici di «ricchezza» e «bellezza». 1393. Il madrileno Paseo de Atocha era tra i luoghi di passeggio preferiti dai nobili. 1481. Nell’originale grandes, títulos e caballeros sono, in ordine discendente, i tre gradi della nobiltà. 1546. Nella mitologia greca, il figlio del Sole che, salito sul carro del padre, non seppe dominarlo e finì per precipitare alle foci del fiume Eridano, in Veneto. 1856–1860. Il testo spagnolo instaura un gioco concettista multiplo tra matador («assassino» ma anche una delle tre carte principali nel gioco di carte del hombre) e quinta (nel gioco del ciento la successione di cinque carte di un solo seme) e tra quin-
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ta («quinta» e «villa di campagna») e prima («prima» e «cugina»), intraducibili in italiano. Le due cugine (primas) che possiedono una casa in campagna (quinta) sono assassine (matadoras) perché affascinano ma anche perché paragonate metaforicamente alle carte migliori, gli assi, di una combinazione vincente. Don Félix parla in modo allusivo ma trasparente, come si deduce dalla sicurezza con cui don Juan individua le due dame, che vivono a Madrid in Calle del Carmen, dove si trovava il monastero carmelitano. 1909. Altro nome di Ercole. 2083. Si ricordi che donna Lucrecia ha i due cognomi Luna e Mendoza. Il cognome materno è usato antonomasticamente per indicare la fortuna e si contrappone, in questo verso, al giorno sfortunato, che in Spagna è il martedì. 2220. Il convento agostiniano femminile della Magdalena si trova nella calle de Atocha. 2287. Sesto Tarquinio, che violentò la bella Lucrezia. L’originale spagnolo dice «senza la forza di Tarquinio». 2478-2479. Allusione all’abitudine, per coloro che avevano compiuto qualche crimine, di rifugiarsi in chiesa. 2734. Lo svolgimento del duello si ispira al manuale di scherma di Pacheco de Narváez Modo fácil y nuevo para examinarse los maestros en la destreza de las armas, Madrid, 1625. 2786-2787. Curar por ensalmo: curare con delle orazioni (ensalmos), con o senza altri rimedi medicamentosi. In spagnolo la parola ensalmo deriva da salmo (che designa il salmo biblico, perché a volte – ma non sempre – le preghiere usate erano effettivamente dei salmi); nel seguito, Tristán gioca sulla differenza tra salmo ed ensalmo. Barbara Fiorellino
PP. 1504-1591
ANTONIO MIRA DE AMESCUA La vita e le opere L’edizione del Teatro di A. Mira de Amescua, dovuta a vari studiosi, Granada, Universidad, iniziata nel 2001, ha già pubblicato dodici tomi, più un volume di M. González Dengra, J. L. Suárez García, A. Valladares Reguero, Guía para la interpretación del Teatro de Mira de Amescua, Granada, Universidad, 2009.
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M. R. Scaramuzza Vidoni, Relazioni letterarie italo-ispaniche: il «Belisario» di Mira de Amescua, Roma, Bulzoni, 1989.
2
F. Cancedda, S. Castelli, Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini, Firenze, Alinea, 2001, pp. 137-141.
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M aria Grazia Profeti
Il più grande esempio della sventura Nota introduttiva 1 Il gruppo Aula-Biblioteca, diretto dal professor Agustín de la Granja dell’Università di Granada, nasce nei primi anni ottanta dalla volontà di colmare le evidenti lacune che fino ad allora caratterizzavano gli studi sul teatro di Antonio Mira de Amescua, prima fra tutte, la mancanza di edizioni critiche affidabili dei testi. Del progetto fa parte anche la compilazione della Nueva biografía de Antonio Mira de Amescua, che sarà raccolta in un ampio volume suddiviso in diversi capitoli; in attesa che il libro sia completo, le sue diverse sezioni sono state inserite in apertura dei volumi del Teatro completo a partire dal V (cfr. R. Castilla Pérez-A. de la Granja, Preámbulo, in A. Mira de Amescua, Teatro completo, coord. A. de la Granja, Granada, Universidad de Granada-Diputación de Granada, 2005, voll. V e ss.). Per i dati biografici su Mira de Amescua, oltre al citato
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Teatro completo, mi rifaccio anche a E. Cotarelo y Mori, Mira de Amescua y su teatro. Estudio biográfico y crítico, Madrid, Tipografía de la Revista de Archivos, 1931 e R. Castilla Pérez, El arcediano Antonio Mira de Amescua, Úbeda, Universidad Internacional de Educación a Distancia, 1998; infine, si vedano anche: J. A. Castañeda, Mira de Amescua, Boston, Twayne Publishers, 1977 e A. de la Granja, Dos páginas desconocidas para la biografía de Mira de Amescua, en Teatro del Siglo de Oro. Homenaje al Profesor Alberto Navarro González, Kassel, Reichenberger, 1990, pp. 259-263. 2 Con questa espressione alludo volutamente al titolo di un convegno (Antonio Mira de Amescua: un teatro en la penumbra) organizzato nel dicembre del 1990 dall’Aula-Biblioteca in collaborazione con il griso (Grupo de investigación Siglo de Oro) dell’Università di Navarra, che raccoglieva i risultati di una serie di ricerche su commedie amescuane appena studiate o, in molti casi, mai prese in esame dalla critica (cfr. Antonio Mira de Amescua: un teatro en la penumbra, ed. I. Arellano y A. de la Granja, Rilce, 7, 2, número monográfico, 1991). 3 Maria Grazia Profeti, El ejemplo mayor de la desdicha y la comedia heroica, in Mira de Amescua en candelero. Actas del Congreso Internacional sobre Mira de Amescua y el teatro español del siglo XVII (Granada 2730 de octubre de 1994), ed. A. de la Granja y J. A. Martínez Berbel, Granada, Universidad de Granada, 1996, pp. 65-66.
Cfr. J. Moll, Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla: 1625-1634, in «Boletín de la Real Academia Española», 54, 1974, p. 98 (la traduzione è mia come tutte quelle che seguiranno, salvo il caso delle citazioni tratte dal Belisario, per cui mi rifaccio alla presente traduzione di Selena Simonatti).
4
La si ritrova nella Parte 25 de Diferentes Autores (Zaragoza, 1633), nelle Doce comedias de los mejores, Parte 4 (Lisboa, 1652), 5
NOTE
nella Parte VI de Nuevas escogidas (Zaragoza, 1653), nelle Comedias de los mejores (Köln, 1697), in varie edizioni sueltas e in un manoscritto (Biblioteca Nacional de España, Madrid, Ms. 16906) (cfr. M. G. Profeti, «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 65). 6 «Il 7 dicembre 1641, vigilia della festa di Nostra Signora, gli schiavi dei bagni della Dogana rappresentarono, la sera, ai bagni, una commedia in spagnolo piuttosto ben fatta sulla storia di Belisario»: è la testimonianza di un prigioniero originario di Bruges, Emanuel de Aranda (E. de Aranda, Il riscatto. Relazione sulla schiavitù di un gentiluomo ad Algeri, a cura di C. Béguin, Milano, Serra e Riva, 1981, p. 137, apud Profeti, «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 66).
Sulla controversa attribuzione della Caduta del gran Capitan Belissario a Cicognini si veda il capitolo III (La «Caduta del gran Capitan», adattamento anonimo del 1661) del saggio di M. R. Scaramuzza Vidoni, Relazioni letterarie italo-ispaniche: il «Belisario» di A. Mira de Amescua, Roma, Bulzoni, 1989, p. 31 e ss.
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Cfr. Scaramuzza Vidoni, Relazioni letterarie, cit., cap. V, Gli scenari del «Belisario», pp. 59-62 e Appendice I e II, pp. 6776. 8
9 Per il rapporto Mira-Desfontaines cfr. C. Chaineaux, Introduction, in N. M. Desfontaines, Bélisaire, édition critique, Mémoire de maîtrise de Lettres Modernes sous la direction de Monsieur G. Forestier, Paris, Université de Paris-Sorbonne (Paris IV), 1997, pp. III-IX; per un raffronto tra l’opera di Mira e quella di Routrou rimando a C. Bauer-Funke, Análisis comparado de «El ejemplo mayor de la desdicha» de Antonio Mira de Amescua y «Bélisaire» de Jean Rotrou, in Actas del V Congreso de la Asociación Internacional Siglo de Oro (Münster 1999), ed. C. Strosetzki, Münster, Iberoamericana, 2001, pp. 176-186.
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NOTE
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Al 1700 risalgono numerose edizioni sueltas del dramma di Mira (cfr. Profeti, «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 67, 8n) e continua il processo di imitazione all’estero (a tal proposito si veda il paragrafo successivo).
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Fanno eccezione solamente il citato saggio di Maria Rosa Scaramuzza e l’introduzione di Valbuena Prat all’edizione dei Clásicos Castellanos: A. Mira de Amescua, Teatro, ed. Á. Valbuena Prat, Madrid, Espasa-Calpe (Clásicos Castellanos), 1947 (Ia ed. 1928), vol. II, spec. pp. IX-XII (cfr. I. Arellano-A. de la Granja, Bibliografía esencial de estudios sobre el teatro de Mira de Amescua, in Mira de Amescua: un teatro en la penumbra, cit., pp. 383-393).
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Autori, rispettivamente della Storia segreta e della Storia dell’impero di Giustiniano, conosciuta anche come la Storia dei Cesari. Per le notizie storiche su Belisario, cfr. G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Torino, Einaudi, 1968; J. J. Norwich, Bisanzio, Milano, Mondadori, 2000; G. Ravegnani, La storia di Bisanzio, Roma, Jouvence, 2004.
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13 La leggenda riguardante la drammatica fine di Belisario è riportata da Tzetze nella sua opera più importante, il Libro di Storie, più nota come Chiliadi («migliaio»), perché composta da tredici libri di mille versi ciascuno; più precisamente, il racconto in questione è compreso nella terza Chiliade (vv. 339-348).
Alludo, fra le altre, al dramma di Philips, Belisarius (1724), alla commedia tragicomica di Goldoni, Il Belisario (1730), al romanzo storico, Belisarius (1742) di Downman e al romanzo filosofico di Marmontel, Bélisaire (1767).
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Si vedano, ad esempio, l’incisione Date obolum Belisario (1733-55), da un dipinto attribuito a Van Dyck, il Bélisaire réduit à la mendicité, secouru par un officier de Justinien (1776) di François André Vincent, il più famoso quadro di Jacques-Louis Da-
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PP. 1593-1597
vid, Bélisaire reconnu par un soldat qui avait servi sous lui, au moment qu’une femme lui fait l’aumône (1781) o, ancora, il Bélisaire portant son guide piqué d’un serpent (1795) di François Gerard. Secondo Maria Grazia Profeti, quasi tutti i drammi di Mira – biblici, agiografici e di argomento storico – sono collocabili nell’ambito della comedia heroica (cfr. «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 70). 16
17 Ricordo, fra gli altri, Lope de Vega (El despertar a quien duerme, 1617) e Francisco de Quevedo (Marco Bruto, 1644); sempre a questo proposito, Valbuena Prat, nel Preliminar alla sua edizione del Belisario amescuano, scrive: «Era un lugar común de la época la cita del famoso capitán bizantino como ejemplo de inconstancia de fortuna» (Mira de Amescua, Teatro, cit., p. IX; «La menzione del famoso capitano bizantino come esempio dell’incostanza della sorte era un luogo comune dell’epoca»).
Basterà ricordare famosi trattati contemporanei sul tema, quali la Política de Dios (1635) di Francisco de Quevedo o la Idea de un príncipe político cristiano (1640) di Saavedra Fajardo.
18
Tra queste ricordo: No hay dicha ni desdicha hasta la muerte (1628), La rueda de la fortuna, La próspera fortuna de don Bernardo de Cabrera, La adversa fortuna de don Álvaro de Luna, Adversa fortuna de don Bernardo Cabrera e Adversa fortuna de don Álvaro de Luna. 19
A partire dagli Emblemas di Alciato, tradotti in spagnolo nel 1549 da Bernardino Daza Pinciano, per arrivare alle raccolte successive, fra cui ricordo le Empresas morales (1581) di Juan de Borja e gli Emblemas morales (1610) di Sebastián de Covarrubias y Horozco.
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21 Cfr. Profeti, «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 79.
Dal poema intitolato Racconto del mirabile uomo chiamato Belisario alla citata
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terza Chiliade del Libro di Storie di Tzetze, entrambi di epoca bizantina, dall’Italia liberata dai Goti (1547-48) di Giangiorgio Trissino al Belisario di Scipione Francucci (1622) (cfr. M. Scaramuzza Vidoni, Relazioni letterarie italo-ispaniche, cit., pp. 11-15). Federica Cappelli Note al testo 53. Flavio Pietro Sabbatio Giustiniano, detto Giustiniano I il Grande, resse l’Impero Romano d’Oriente a partire dal 527 e fino alla sua morte, avvenuta nel 565. Il suo fu un regno denso di guerre, condotte, sul fronte occidentale, con il proposito di riportare sotto il controllo diretto di Costantinopoli i territori occupati dai barbari e, su quello orientale, per arginare le mire espansionistiche dei persiani. Il continuo impegno in estenuanti campagne militari e la conseguente incessante richiesta di imposte al suo popolo per sovvenzionarle non lo resero un sovrano amato e rispettato, tanto che la sua morte, come testimonia lo storico contemporaneo Procopio di Cesarea, fu accolta con un senso di sollievo. La raccolta normativa del 535, conosciuta come Corpus iuris civilis, alla base dell’attuale diritto civile, costituisce il suo maggiore lascito. 56. I vocaboli merced e favor (grazie, favori, premi) – che tornano spesso nel corso del I atto: vv. 353, 358, 374, 378, 427, 757 – insistono sul senso di apprezzamento, di simpatia, di amicizia e di gratitudine che l’imperatore sente per Belisario in riconoscimento del suo grande merito e della sua incondizionata fedeltà. 147. Nel testo, tratos de cuerda allude a un tipo specifico di tortura consistente nel legare i polsi dietro la schiena al condannato per poi sollevarlo per i polsi stessi tramite una carrucola e lasciarlo cadere di colpo ripetutamente, senza però fargli mai toccare terra (cfr. Autoridades, s.v.: trato).
NOTE
150-56. Il termine bien ricorre più volte nell’opera in quanto principio regolatore dell’agire di Belisario che, incurante degli ammonimenti di chi gli è vicino, persevera nella convinzione, errata, che «fare del bene a tutti» sarà per lui garanzia di salvezza assoluta. 175-76. Immagine lessicalizzata molto cara a Mira de Amescua: vale disinganno, contingenza e, in questo caso, fugacità e precarietà della gloria di Belisario (per le sue ricorrenze in Mira de Amescua rimando alla nota corrispondente in Valbuena Prat, pp. 138-139). 188. Immagine iconografica della fortuna diffusasi soprattutto a partire dal Medio Evo e tesa a rappresentarne la mutevolezza; nell’emblematica spagnola, le due figurazioni più conosciute della fortuna si devono a Sebastián de Covarrubias y Horozco: Mutatur in horas (CH, Cent. 2, embl. 34, fol. 134) e Maior quam cui possit fortuna nocere (CH, Cent. 1. embl. 65, fol. 65); nel secondo dei due emblemi citati, la Fortuna è raffigurata seduta su una ruota nell’atto di inchiodarla per tentare di arrestarne l’eterno girare. Si tratta di un’immagine a cui Mira di Amescua fa costante ricorso; tornerà, per esempio nel II atto, vv. 1887-88 e ai vv. 2313-16 del III atto; La rueda de la fortuna è inoltre il titolo di una delle prime commedie di Mira (1615), di ambientazione bizantina come il Belisario (sull’iconografia della fortuna a partire dalle diverse interpretazioni del mito, cfr. Ma. S. Carrasco Urgoiti, Fortuna reivendicada: recreación de un motivo alegórico en «El Criticón», in «El Crotalón», 1, 1984, pp. 163-165; sulla volubilità della fortuna nel teatro aureo si veda J. Gutiérrez, La «fortuna bifrons» en el teatro del Siglo de Oro, Santander, Sociedad Menéndez y Pelayo, 1975; sulla fortuna come «forma del mundo» proposto dalla comedia heroica, cfr. M. G. Profeti, El ejemplo mayor de la desdicha y la comedia heroica, cit., pp. 7880; sulla mitologia della fortuna in Mira si
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veda J. M. Villanueva, La mitología en la dramaturgía de Mira de Amescua, in «Estudios Clásicos», 19, 1996, pp. 49-57). 199-202. Belisario allude alla vittoriosa campagna militare d’Oriente, contro i Persiani, avvenuta nel 541, dopo che il re Cosroe I ebbe rotto il trattato di pace perpetua (532) con i romani invadendone il territorio orientale. Nella realtà storica la vittoria di Belisario non sancì la fine delle ostilità, che ripresero poco dopo per durare fino al 545, anno in cui si giunse a un armistizio. La pace definitiva si raggiunse solo nel 562. La battaglia che vede Belisario protagonista sarà descritta con dovizia di dettagli nell’ampio resoconto che lo stesso riporterà, poco più avanti, all’imperatore (vv. 272-352). 272-352. Prima di tre lunghe tirate che l’autore ripartisce, simmetricamente, nei tre atti della comedia (le altre si trovano in II, vv. 1715-810 e in III, vv. 2383-569), nelle quali fa sfoggio della sua maestria retorica, stilistica e letteraria. Costituito da dieci ottave reali, il monologo, pronunciato da Belisario, è ricco di riferimenti a immagini topiche (il Tigri e l’Eufrate, le águilas de Roma o Giove colto nell’atto di scagliare fulmini), cultismi (trasmontar) e cadenze calderoniane (pálidos asombros de la muerte, rayo del cielo o halcón del viento); non mancano, inoltre, accenni a particolari concreti della battaglia cui si fa riferimento (l’importanza di Durazzo come frontiera della Persia o la cattura di Arsindo, re di Armenia) e accenti esotici, qual è la descrizione della bárbara furia de elefantes con le loro laceranti navajas de marfil. Infine, l’ampia similitudine che occupa i versi 30512 evoca un’immagine – quella del halcón de la Noruega in atteggiamento di rapante tiranía – molto abituale nel teatro dell’epoca e, particolarmente, in quello di Mira. Si tratta di un motivo topico che affonda le proprie radici nella pratica venatoria della falconeria, penetrata nella letteratura poetica medievale e successivamente passata
PP. 1620-1634
alla lirica e al teatro dei secoli d’oro; imprescindibile punto di riferimento in tal senso è l’estesa rassegna di rapaci della nobile arte della cetrería (la «falconeria», appunto) presente nelle Soledades gongorine (L. de Góngora, Soledades, ed. R. Jammes, Madrid, Castalia, 1994, II, vv. 735-98): si noti la forte analogia tra le espressioni impiegate da Mira in riferimento al falco («rayo del cielo fue y halcón del viento», v. 312) e quelle di Góngora relative al nibbio («El neblí, que, relámpago su pluma, / rayo su garra...», vv. 745-46 – «il nibbio, che, lampi le sue plume, / fulmini i suoi artigli...»). 367. Nati dall’amore di Zeus e di Leda e conosciuti col nome di Dioscuri, i due mitici gemelli erano uniti da un legame così profondo e indissolubile che quando Castore si trovò in punto di morte, Polluce implorò Zeus di far morire anche lui o di concedere l’immortalità al fratello; Zeus, allora, permise loro di rimanere per sempre insieme vivendo un giorno sull’Olimpo e uno nell’Ade. Nel testo simboleggiano il grande sodalizio e l’intima amicizia che legano l’imperatore e Belisario. 401. L’espressione originale, Boquiabierto Juan Paulín, rimanda a un detto popolare registrato da Correas (p. 705b) – «quedarse hecho un Juan Paulín» – che vale, letteralmente, rimanere «nudo, povero e abbattuto» e, in senso lato, restare come un allocco, da cui la scelta della versione italiana; si ritrova, tra le altre, nella commedia di Cervantes, Pedro de Urdemalas (in Obra completa, ed. F. Sevilla Arroyo y A. Rey Hazas, Alcalá de Henares, Centro de Estudios Cervantinos, 1993, vol. 3, I, vv. 716-19): «Murióseme mi buen ciego, / dejóme cual Juan Paulín, / sin blanca, pero discreto, / de ingenio claro y sotil» («Morì il mio povero cieco, / restai come Juan Paulín, / senza un soldo però accorto, / con l’ingegno ben aguzzo»). 425-32. Nell’originale è presente un bisticcio linguistico, piuttosto frequente nel
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PP. 1652-1674
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teatro dei secoli d’oro, giocato sul valore dilogico dello spagnolo julio: sostantivo comune che designa uno dei dodici mesi dell’anno e nome proprio (italiano Giulio); per una spiegazione sulla scelta traduttiva nella versione italiana, che ha imposto un sensibile cambiamento terminologico, rimando alla Nota di traduzione. 706-08. Motivo petrarchista molto ricorrente nella poesia e nel teatro del Seicento spagnolo, secondo cui la farfalla (il poeta) sarebbe attratta dalla luce della fiamma (l’amata) fino al punto di bruciarsi le ali e trovarvi la morte (sul tema si veda, di A. S. Trueblood, La mariposa y la llama: motivo poético del Siglo de Oro, in Letter and Spirit in Hispanic Writers. Renaissance to Civil War Selected Essays, London, Tamesis Books, 1989, pp. 26-34). 773-80. Belisario è l’unico personaggio a invocare la fortuna in quanto entità personificata, da qui la maiuscola (analoga invocazione si ripresenterà ai vv. 881-83: «Fortuna, / ¿si son éstos los amagos / de tu mudanza?»; vv. 1888-89: «Fortuna, tente; Fortuna, / pon en esta rueda un clavo»; vv. 2048-49: «Fortuna mía, / tente» e al v. 2314: «Fortuna, ya te has cansado»). 806-07. Mira si attiene piuttosto fedelmente alla realtà dei fatti storici: il generale bizantino Narsete (478-574), dopo aver portato a compimento la conquista dell’Italia (553) iniziata dallo stesso Belisario, ne fu governatore per conto di Giustiniano fino a che non fu rimosso per volere del suo successore, Giustino II, nel 568. 834-36. L’idea che il sonno sia un tiranno che usurpa all’uomo una buona metà della propria esistenza torna insistentemente nella letteratura dei secoli d’oro spagnoli, così come il noto topico del «somnium imago mortis» che qui pure si evoca (per la ricorrenza del motivo del sonno nel teatro di Mira rimando alla nota corrispondente in Valbuena Prat, p. 186).
NOTE
879. pensión: vale metaforicamente «affanno, obbligo, pena o preoccupazione» (Autoridades, s.v.). 913-28. Mira allude alla spedizione in Africa contro i Vandali, avvenuta tra il 533 e il 534 sotto la guida di Belisario che, dopo avere inflitto una serie di sconfitte ai nemici, entrò vittorioso a Cartagine dove li costrinse alla resa; il loro regno fu quindi incorporato nell’impero. 941. Primero será la mía: si noti il gioco anfibologico contenuto nella battuta di Antonia: il possessivo, con cui la donna allude alla propria morte, è invece interpretato da Belisario come allusivo della sua che, secondo i suoi timori, Antonia gli infliggerà prima ancora di poter perire sul campo di battaglia. 952. corazón desdichado: l’aggettivo del sintagma originale costituisce l’unico caso in cui per un vocabolo derivato da desdicha si è evitato il termine «sventura» (e quindi «sventurato») a pro dell’italiano «infelice» e questo in virtù di ragioni metriche, supportate, però, anche da motivi attinenti alla sfera amorosa. Nei restanti casi, ad eccezione di uno riferito a Filipo in cui si è impiegato l’italiano «sfortuna» (II, v. 1239), si è sempre reso lo spagnolo desdicha con «sventura» pensando anche al suo valore semantico secondario rispetto a «sorte avversa», ovvero di «avvenimento doloroso o luttuoso». 985. didascalia. In realtà nell’atto non figurano né il «Re d’Africa» né «Crisipo», probabilmente inseriti da Mira pensando a un episodio che è stato poi soppresso nel corso della stesura. 1034-35. Si annuncia qui un’imminente scena di teatro nel teatro (vv. 1362-488): i personaggi interpreteranno la mitica storia di Piramo e Tisbe, sfortunati amanti babilonesi il cui amore, ostacolato dalle rispettive famiglie, diventa riflesso di quello fra Belisario e Antonia, a sua volta contrastato dall’imperatrice Teodora. Si noti, nel gioco
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di specchi che si viene a creare, l’avvertimento nascosto che Camila rivolge ad Antonia per informarla dell’arrivo di Teodora: nella finzione della rappresentazione teatrale l’avvisa che è arrivata sua madre (vv. 1477-78). Sicuro di poter contare su un pubblico che conosce molto bene la vicenda, Mira de Amescua si concede richiami ad aspetti specifici del mito, come è il caso della leona erroneamente creduta da Piramo responsabile della morte di Tisbe, la quale, prima, è evocata en passant da Floro (v. 1365), poi, nominata da Antonia per riferirsi a Teodora (v. 1467) e, infine, dalla stessa imperatrice che a sua volta si identifica con l’animale (v. 1487). Quella della «scena infrascenica» è una modalità cui Mira ricorre con frequenza per rivelare verità attraverso la falsa apparenza (sul tema si veda R. Rutelli, La «Never Ending Story» della scena infrascenica, in Modi del raccontare, a cura di G. Ferroni, Palermo, Sellerio, 1987, pp. 126163; vedi anche M. G. Profeti, «El ejemplo mayor de la desdicha» y la comedia heroica, cit., p. 87). 1185. rejalgar (italiano «realgar») indica un minerale rosso vivace costituito da una combinazione molto velenosa di arsenico e zolfo, da cui la nostra scelta traduttiva (cfr. Autoridades, s.v.). 1269. La battuta è pronunciata dal criado e non da Floro, che entra in scena solo poco dopo. 1306. «Vine, vi y vencí»: traduzione della celebre frase con cui, secondo Plutarco (Vita di Cesare, 50, 6), Giulio Cesare annunciò la fulminea vittoria riportata a Zela contro Farnace, figlio di Mitridate, re del Ponto (47 a.C.). Belisario la impiega per riferirsi alla sconfitta inflitta a Gelimero, re dei Vandali, nella battaglia di Tricamaro presso Cartagine (533). 1320-23. Trattasi di un’esortazione che Giustiniano rivolge a se stesso affinché vigili di più sull’incolumità di Belisario. Il
PP. 1686-1716
termine spagnolo hechura (letteralmente in italiano «fattura»), sprovvisto dell’immediata connotazione biblica della traduzione italiana «creatura», assume qui il valore di parola chiave volta a designare l’indissolubile legame di dipendenza e di filiazione diretta di Belisario rispetto all’imperatore, autentico «artefice» del suo status di vassallo e di favorito, da cui deriva la sua incondizionata gratitudine. Si noti, inoltre, come i verbi borrar e dibujar, appartenenti al campo semantico della scrittura e del disegno, tornino ad insistere sull’azione demiurgica di Giustiniano e sulla riduzione del privado alla condizione di «prodotto» dello stesso imperatore. Per un commento più diffuso si rimanda alla Nota di traduzione. 1428-29. Nella traduzione si perde il riferimento ai cabellos de la dulce ocasión: un particolare topico della figurazione emblematica dell’Occasione, che solitamente è rappresentata come una donna nuda con la testa calva ad eccezione di una lunga ciocca sulla fronte, simbolo della possibilità di afferrarla, ovvero di approfittare della buona opportunità, quando essa sopraggiunge, ma non quando è ormai passata (si veda l’emblema CXXI, In Occasionem, di Andrea Alciato, p. 415). 1572. Nel mito greco, essere gigantesco e prodigioso fornito, secondo le varie versioni, di uno, quattro o cento occhi che non chiudeva mai tutti insieme; per antonomasia indica una persona dalla vista o dall’ingegno penetrante, ma è anche simbolo di vigilanza e protezione, come in questo caso. 1616-17. Il sonno costituisce, assieme alla finzione scenica, un altro espediente molto frequente in Mira de Amescua (e più in generale nel teatro spagnolo del Seicento) per rivelare indirettamente una verità. 1618-19. Mira cade qui in un’incongruenza storica: i longobardi invasero la penisola italica, guidati dal re Alboino, nel 568, ben tre anni dopo la morte di Giusti-
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niano. La lotta fra bizantini e longobardi che ne scaturì si protrasse per decenni fino al consolidamento del dominio longobardo con la conversione al cristianesimo, avvenuta sul finire del VI secolo (cfr. C. Azzara, L’Italia dei barbari, Bologna, Il Mulino, 2002). 1716-811. Lunga sequenza di romances – questa volta pronunciata dall’imperatore – in cui Mira dà nuovamente prova delle sue abilità retoriche di alto livello stilistico: accanto alle consuete suggestioni calderoniane («cual suele / rasgar con truenos un rayo /esferas de viento y nubes / de fluecos tornasolados») e a immagini di sapore più gongorino (ondas de alabastro; globos de nieve) non mancano riferimenti, dal valore meramente ornamentale, a imperatori romani (Giustino, Traiano e Giulio Cesare, quest’ultimo menzionato in coppia con Alessandro Magno) e a figure classiche (come Lisippo e Lisandro, rispettivamente scultore fra i più eccellenti dell’antica Grecia e generale spartano cui fu dedicata una famosa statua evocata anche da Cicerone nel De divinatione, I, 34). Si noti anche l’allusione all’immagine del leone vigilante (vv. 1777-78), legata alla credenza secondo cui l’animale dormirebbe sempre ad occhi aperti: una tradizione iniziata nell’antichità (Orapollo, Hieroglyphica, I, 19) e poi raccolta dai bestiari medievali e dai libri di emblemi (si veda, ad esempio, l’emblema XV di Alciato, Vigilantia et custodia, Alciato, p. 102) o il capitolo XXX (libro 1) degli Emblemas morales di Juan de Horozco y Covarrubias (HC, fol. 75v). Nella tirata si evoca anche l’episodio in cui Belisario salvò l’imperatore cedendogli il suo cavallo e si allude al codice normativo lasciato da Giustiniano, già commentato nella nota al v. 53 del I atto. 1901-05. La sentenza cui fa riferimento Mira si trova ne Le Fenicie di Euripide, come attesta il Primo Libro della Vita dei Cesari che Svetonio dedica a Caio Giulio Cesare, nel quale si legge: «[...] Cicero-
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ne [...] nel terzo libro della sua opera Dei doveri dice che Cesare aveva sempre sulle labbra i versi di Euripide (si trovano nelle Fenicie: «Quando si deve commettere ingiustizia, bellissima è l’ingiustizia per il potere: per il resto si deve essere pietosi») che egli stesso così aveva tradotto: «Giacché se il diritto si deve violare, violarlo si deve per la conquista del regno; in tutto il resto osserva la pietà»» (Svetonio, Vita dei Cesari, trad. di E. Noseda, Milano, Garzanti, 1988, 5a ed., p. 19). Mira de Amescua rimanda a tale sentenza anche in un’altra sua commedia: No hay reinar como vivir (ed. L. Josa, in Teatro completo, coord. A. de la Granja, Granada, Universidad de Granada-Diputación de Granada, 2004, vol. IV, I, vv. 103-07: «De Eurípide repetía / la Antigüedad ambiciosa / dos versos: que si las leyes / no observadas han de ser / por reinar, se han de romper» («Di Euripide ripeteva / l’Antichità ambiziosa / due versi: che, se le leggi / non sono da rispettare / per arrivare a regnare, / romper si possono pure»). 1917-41. Nel teatro spagnolo aureo è frequente il ricorso a racconti del folklore popolare o a favole della tradizione classica che, quasi sempre pronunciati dal gracioso, assumono il valore di exempla tesi a veicolare un avvertimento (cfr. D. Mc Grady, Sentido y función de los cuentecillos en «El castigo sin venganza» de Lope, in «Bulletin Hispanique», 85, 1983, pp. 45-64). Qui, l’apologo del lupo e della volpe recupera, in termini ancor più riduttivi – come si confà al ruolo del gracioso –, il tema della «promanazione» di Belisario da Giustiniano, traducendolo in una relazione di mera sottomissione del più debole al più forte, che culmina col detto dei vv. 1940-41: «chi ingrassa bene il maiale / poi se lo vuole mangiare», a prefigurare l’ineludibile fine del generale. 1998-99. Allusione alla campagna militare iniziata nel 535 con lo sbarco in Sicilia di Belisario che, risalendo la penisola,
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ebbe ragione delle truppe gote di Teodato, prima, e di Vitige, poi, riconquistando importanti città tra cui la stessa Roma. Si trattò comunque di una vittoria effimera giacché con il richiamo di Belisario a Costantinopoli e la contestuale ascesa al trono di Totila, i goti riuscirono a riconquistare molte posizioni perdute. 2066-125. Tanto gli oggetti impiegati (banda, guanto e carta) quanto i gesti che li accompagnano (il lasciar cadere a terra il nastro o il guanto e il trafugamento della lettera) fanno parte di un vasto repertorio scenico codificato al servizio del drammaturgo in caso di situazioni di corteggiamento o di seduzione (sul tema si veda, tra l’altro, A. de la Granja, Ronda y galanteo en la España del Siglo de oro, in Ronda, cortejo y galanteo en el teatro español del siglo de oro, Actas del I Curso sobre teoría y práctica del teatro, organizado por el Aula Biblioteca Mira de Amescua y el Centro de Formación Continua celebrado en Granada) (7-9 noviembre, 2002), ed. R. Castilla Pérez, Granada, Universidad de Granada, 2003, pp. 11-28. 2384-570. Ultimo sfoggio di erudizione da parte dell’autore, le cui abilità lirico-retoriche, questa volta, sono poste al servizio del tono eroico del frammento e del prossimo scioglimento tragico dell’intera opera; si notino la menzione di Seneca a proposito dell’ingratitudine del sovrano; quelle del Tigri, del Nilo e del Gange, tese a sottolineare l’estensione dei domini conquistati dall’eroe ripudiato assieme all’elenco dei popoli sottomessi (Abisinos, etíopes, medos, persas, vándalos, lombardos, indios) e ai nomi di due insorti puniti, Anastasio e Lisinio, e, non ultime, le ardite formule retoriche di stampo calderoniano quando non gongorino (cóncavos senos, globos de cristal, montañas de vidrio, abismos de nieve, Bajel con alma, hundoso precipicio e così via). Torna anche l’episodio del cavallo, che Belisario cedette all’imperatore per salvarlo, e, nella parte finale, un nutrito
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bestiario topico associato ai temi dell’invidia e del tradimento, che hanno causato la caduta in disgrazia del protagonista (áspid, sirena, cocodrilo, corvos, paloma negra, ecc.). Non manca, infine, un rimando al tema della fortuna suggellato dalla citazione del titolo dell’opera. 2571-605. La scena che ha qui inizio tende ad alleggerire il patetismo e la tragicità evocati dal monologo di Belisario fino a culminare nella controcitazione burlesca del titolo dell’opera, pronunciata dal servo Floro: «el ejemplo menor de la desdicha». 2612. didascalia. Caso di anacronismo storico: l’abbigliamento descritto nella didascalia («sin valona y sin capa ni sombrero») corrisponde agli usi del XVII secolo più che a quelli dell’epoca bizantina; si tratta di un’incoerenza frequente nel teatro spagnolo secentesco, evidenziata anche da Lope de Vega nel suo Arte nuevo de hacer comedias en estos tiempos (v. 361). 2743. por leal: il sintagma presenta una certa ambiguità in quanto attribuibile tanto alla Fortuna, che è leale perché non nasconde la crudeltà delle sue leggi, quanto a Belisario – come forse la traduzione insinua di più –, che non è mai venuto meno al suo patto di fedeltà con l’imperatore. Federica Cappelli
FRANCISCO DE ROJAS ZORRILLA La vita e le opere Riassumo qui le mie pagine introduttive a F. de Rojas Zorilla, Entre bobos anda el juego, Barcelona, Crítica, 1998; a cui rimando per informazioni più puntuali. 1
Pérez de Montalbán Indice de los ingenios de Madrid, cit., p. 20: «Poeta ornato, preciso ed elegante, come attestano gli applausi delle ingegnose commedie che ha scritto». 2
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Per tutti ricorderò il giudizio di E. Cotarelo y Mori, Don Francisco de Rojas Zorrilla, noticias biográficas y bibliográficas, Madrid, Imprenta de la Revista de Archivos, 1911, p. 119 (ristampa anastatica a cura di A. Madroñal, Toledo, Real Academia de Bellas Artes, 2007): «Voluntariamente quiso apartarse de la pauta normal de nuestro teatro, buscando nuevos problemas morales y lances en que el choque de las pasiones humanas revistiese formas inusitadas en nuestra escena. Su atrevimiento le condujo a idear situaciones ultratrágicas (fratricidios, filicidios, violaciones), y a presentar conflictos de honor muy poco comunes en nuestro antiguo teatro»: «Si volle allontanare volontariamente dalla linea normale del nostro teatro, cercando nuovi problemi morali e casi nei quali lo scontro tra le passioni umane rivestisse forme inusitate sulle nostre scene. La sua audacia lo indusse a ideare situazioni ultratragiche (fratricidi, uccisioni di figli, violazioni), e a presentare conflitti di onore molto poco comuni nel nostro teatro antico».
3
4 J. Rodríguez Puértolas, Alienación y realidad en Rojas Zorrilla, in «Bulletin Hispanique», 69, 1967, pp. 325-346. 5 R. R. McCurdy, Women and sexual love in the Plays of Rojas Zorrilla: tradition and innovation, in «Hispania», 62, 1979, pp. 255-265.
M aria Grazia Profeti
Non si sa chi sia il più furbo! Nota introduttiva 1 Per una biografia di Rojas si può iniziare con il classico intervento di E. Cotarelo y Mori, Don Francisco de Rojas Zorrilla, noticias biográficas y bibliográficas, Madrid, Imprenta de la Revista de Archivos, 1911 (si veda la recensione di A. Hämel, in «Zeitschrift für romanische Philologie», XXXVIII, 1914, pp. 119-122); e succes-
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sivamente R. R. McCurdy, Francisco de Rojas Zorrilla, New York, Twayne’s World Author’ Series, 1968. Per interventi recenti vedi AA. VV., Francisco de Rojas Zorrilla, poeta dramático. Actas de las XXII jornadas de teatro clásico de Almagro, Ciudad Real, Universidad de Castilla-La Mancha, uclm-Festival de Almagro, 2000. Nel 2007, in occasione del quarto centenario della nascita del drammaturgo, sono state effettuate una serie di iniziative che hanno rinnovato la sua valutazione critica. Ricordo soltanto F. B. Pedraza Jiménez, Estudios sobre Rojas Zorrilla, Ciudad Real, Universidad de Castilla-La Mancha, uclmFestival de Almagro, 2007; AA. VV., Rojas en escena, XXX Jornadas de teatro clásico, Castilla-La Mancha, uclm-Festival de Almagro, 2007; Numero monografico dedicato a Francisco de Rojas Zorrilla della «Revista de Literatura», vol. LXIX, enerojunio 2007. Si stanno anche pubblicando le opere complete di Rojas: nel 2007-2011 è apparsa la Primera parte de comedias, coordinata da F. B. Pedraza Jiménez e R. González Cañal; mentre la Bibliografía de Francisco de Rojas Zorrilla è stata curata da R. González Cañal, U. Cerezo Rubio, G. Vega García-Luengos, Kassel, Reichenberger, 2007. Nel 2012 è apparso il primo volume della Segunda parte, che include Entre bobos, a cura dello stesso gruppo. 2 Citerò Progne y Filomena, Morir pensando matar, Los encantos de Medea, che presentano, ad esempio, la formula della «pura tragedia de revancha» (R. R. MacCurdy, edizione di F. de Rojas Zorrilla, Morir pensando matar e La muerte en el ataud, Madrid, Clásicos Castellanos 153, 1961, p. XXVI). 3 Come attesta F. de Bances Candamo, Theatro de los theatros de los presentes y pasados siglos, ed. Duncan W. Moir, London, Tamesis Books, 1970, p. 35: «A don Francisco de Rojas le silbaron la comedia Cada cual lo que le toca, por haberse atrevido a poner en ella un caballero que, casándose,
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halló violada de otro amor a su esposa» («A don Francisco de Rojas gli fischiarono la commedia Cada cual lo que le toca, perché osò rappresentare un cavaliere che al momento di sposarsi trovò che la sua sposa era stata violata da un altro innamorato»). J. Rodríguez Puértolas, Alienación y realidad en Rojas Zorrilla, in «Bulletin Hispanique», LXIX, 1967, p. 326 (poi in De la edad media a la edad conflictiva, Madrid, Gredos, 1972, pp. 339-363).
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Per una cronologia della commedia de figurón vedi J. R. Lanot, M. Vitse, Eléments por une théorie du figurón, in «Caravelle, Cahiers du monde hispanique et lusobrésilien», XXVII, 1976, p. 189, con una lista volontariamente incompleta, ma che può essere interessante come quadro didattico di riferimento. Le varie commedie sarebbero: Verso il 1613: L. de Vega, La dama boba. Verso il 1619: A. Hurtado de Mendoza, Cada loco con su tema. Verso il 1623: J. Ruiz de Alarcón, No hay mal que por bien no venga. Prima del 1625: G. de Castro, El Narciso en su opinión. Verso il 1630: A. Castillo Solórzano, El marqués del Cigarral. Verso il 1638: F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego. 1649: P. Calderón de la Barca, Guárdate del agua mansa. Prima del 1653: A. de Moreto y Cabaña, El lindo don Diego. ?: J. de la Hoz Mota, El castigo de la miseria. 1697: de Zamora, El hechizado por fuerza. Lanot e Vitse dividono i protagonisti in varie categorie: Hiperfigurón, Paleofigurón, Demi-figurón; il protagonista di Entre bobos apparterrebbe alla prima. 5
Tra i primi interventi ricordo F. Serralta, Comedia de disparates, in «Cuadernos Hispano-Americanos», CCCXI, 1976, pp. 450-461; L. García Lorenzo, La comedia burlesca en el siglo XVII. «Las mo6
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cedades del Cid» de Jerónimo de Cárcer, in «Segismundo», XIII, 1965, pp. 131-146; S. Crespo Matellán, La parodia dramática en la literatura española, Salamanca, Universidad, 1979; I. Arellano, edizione di Alonso de Castillo Solórzano, El mayorazgo figura, Barcelona, PPU, 1989; F. Iniguez Barrena, La parodia dramática: naturaleza y técnicas, Sevilla, Universidad de Sevilla, 1995. Una bibliografia aggiornata sulla commedia burlesca in M. G. Profeti, La doble cara de la comedia burlesca, in Comedia burlesca y teatro breve del «Siglo de Oro», ed. A. Bègue, C. Mata Indurain y P. Taravacci, Universidad de Navarra, eunsa, 2013, pp. 219-228. Varie commedie burlesche sono poi state stampate a cura dell’équipe dell’Università di Navarra: dopo il primo vol., Comedias burlescas del siglo de Oro, ed. I. Arellano, C. García Valdés, C. Mata y M. C. Pini-llos, Madrid, Austral, 1999, le Comedias burlescas del siglo de oro, pubblicate nella collana Madrid, Iberoamericana, contano già cinque volumi. Lanot-Vitse, Eléments por une théorie..., cit., pp. 205-206.
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Ivi, p. 199.
G. Greco, Il linguaggio artistico spaziale in «El caballero de Olmedo» di Lope de Vega, in «Studi Ispanici», 1981, pp. 47-80. 9
10 Per la segmentazione della commedia in «nuclei scenici», utili ad organizzare funzionalmente il testo letterario per il teatro vedi M. G. Profeti, La vil quimera de este monstruo cómico, Kassel, Reichenberger, 1992, pp. 196-226.
L’entremés è il breve componimento burlesco che si rappresentava tra un atto e l’altro della commedia aurea. 11
12 J. M. Díez Borque, Sociología de la comedia española del siglo XVII, Madrid, Cátedra, 1976, pp. 228-231; M. G. Profeti, La vil quimera..., cit., pp. 227-264.
J. M. Díez Borque, Sociedad y teatro en la España de Lope de Vega, Barcelona, A. Bosch, 1978, pp. 118-140. 13
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H. B. Powers, The Grotesque Vision of Rojas Zorrilla, in «Buletin of Comediantes», XXIII, 1971, pp. 1-6.
14
J. M. Ruano de la Haza, J. J. Allen, Los teatros comerciales en el siglo XVII y la escenificación de la comedia, Madrid, Castalia, 1995, danno informazioni sullo stato della scenografia nei teatri commerciali spagnoli del sec. XVII, che agli studiosi appare più complessa di quanto non si pensasse fino a poco decenni fa; tuttavia le dimensioni ridotte dello scenario e gli scarsi investimenti, particolarmente esigui per le commedie «de capa y espada», inducono a ridurre i risultati degli studiosi, a volte proposti in forma troppo perentoria.
15
J. E. Varey, C. Davis, Las tertulias de los corrales de comedias de Madrid, in En torno al teatro de los Siglos de Oro, Almería, Instituto de Estudios Almerienses, 1992, pp. 155-180.
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17 R. Lida, Prosas de Quevedo, Barcelona, Crítica, 1981, pp. 226-233.
Diccionario de la lengua castellana... por la Real Academia Española, Madrid, 17261739, 6 vol.; riedizione Madrid, Gredos, 1964, I, p. 624b: «Si dice quando quelli che vogliono qualcosa sono ugualmente astuti e accorti, e si lasceranno ingannare con difficoltà».
18
Si veda la Bibliografía de Francisco de Rojas Zorrilla, cit., pp. 195-199, e l’analisi dei rapporti tra i testimoni antichi che ho fornito in F. de Rojas Zorrilla, Entre bobos anda el juego, Barcelona, Crítica, 1998, pp. XLVII-LIX, a cui rimando anche per la discussione ecdotica e per le stampe moderne. Esse non sono così abbondanti come quelle di alcune commedie chiave del teatro aureo, ma ne rimangono una ventina, rassegnate nella Bibliografía de Francisco de Rojas Zorrilla, cit., pp. 2002001, tra cui ricordo quelle dovute a F. Ruiz Morcuende (Clásicos de la lectura, 1917; Madrid, Espasa Calpe, 1967); A. del Saz (Madrid, Biblioteca Cervantes, 1929); 19
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J. Mallorquí Figuerola (Barcelona, Molino, 1942); F. C. Sainz de Robles (Madrid, Aguilar, 1943); E. Juliá (Zaragoza, Ebro, 1947, 1976); A. Suárez (Barcelona, Planeta, 1990). Ricordo Don Lucas del Cigarral di Felipe Enciso Castrillón, che si conserva in tre mss. del 1834 presso la Biblioteca Municipal di Madrid, segnatura 123-8; e quella di E. Asquerino, Entre bobos anda el juego, Madrid, F. R. del Castillo, 1851; vedi anche Bibliografía de Francisco de Rojas Zorrilla, cit., pp. 201-202.
20
21 T. Luceño - C. Fernández Shaw, Don Lucas del Cigarral, Madrid, R. Velasco, 1899. Ricordo anche le successive riscritture di L. Suñer Casademunt, Barcelona, Costa, 1914; e J. García Nieto, Madrid, 1951.
Per la fortuna di Rojas nel Settecento vedi E. Marcello, La recepción del teatro de Francisco de Rojas Zorrilla en Italia. Algunas anotaciones, in «Lectura y signo», 2, 2007, pp. 175-189; M. G. Profeti, Rojas en Italia en los siglos XVII y XVIII, in «Revista de Literatura», vol. LXIX, 2007, pp. 163-182; M. G. Profeti, Gozzi re-escribe «Casarse por vengarse», in Rojas Zorrilla en su IV centenario. Congreso Internacional, Toledo, 4-7 ottobre 2007, Cuenca, Universidad de Castilla-La Mancha, 2008, pp. 75-97 (versione italiana: Da «Casarse por vengarse» a «Bianca contessa di Melfi», in Parola, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 533-549).
22
23 Teatro spagnuolo antico e moderno, versione italiana di Giovanni La Cecilia, Torino, Società dell’Unione Tipografica Editrice, 1857, vol. VII.
Il debito di El sí de las niñas nei riguardi di Entre bobos è rilevato da F. Ruiz Morcuende, Prólogo a L. Fernández de Moratín, Teatro, Madrid, La lectura, 1924, pp. 63-64. Altre possibili influenze del teatro aureo sul testo di Moratín in J. Pérez Magallón, edizione di L. Fernández
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de Moratín, La comedia nueva. El sí de la niñas, Barcelona, Crítica, 1994, pp. 57-58. M aria Grazia Profeti Note al testo Le note sono esemplate, con aggiunte in merito ad aspetti riguardanti alcune scelte traduttive, su quelle che appaiono in Profeti, con il consenso dell’autrice. Come indicato nella Nota introduttiva, il testo spagnolo riprodotto a fronte della traduzione italiana segue quasi interamente Profeti, la quale a sua volta si è basata sulla Segunda parte de las comedias de Francisco de Rojas Zorrilla, F. Martínez, Madrid, 1645 (A) emendando alcune letture dubbie o errate con il ricorso alla Parte 57 (?) de diferentes autores, Juan Sansoni, Valencia, 1646 (B) od ope ingenii. Ogni intervento è indicato in nota. La grafia è stata modernizzata rispettando le peculiarità grafiche e fonetiche della stampa antica. L’accentazione segue le norme della Real Academia Española e la puntuazione è interpretativa. Gli aparte («A parte»), sono collocati tra parentesi sia nel testo spagnolo che in quello italiano. titolo. Per mantenere il gioco semantico dell’originale, che titola la commedia con un’espressione idiomatica in ottosillabo più volte ricorrente nel testo (vv. 939, 1562, 1574, 2721, 2755), propongo una traduzione non letterale ma che ne mantenga, in modo antifrastico, il senso, l’aspetto idiomatico e la misura metrica. personaggi. Utilizzo i nomi propri italiani corrispondenti per i personaggi che presentano un nome spagnolo con analoga trasposizione nella lingua d’arrivo (Antonio, Luca, Isabella, Alfonsa), in caso contrario mantengo i nomi originali (Pedro, Luis, Carranza). Uniche eccezioni sono il diminutivo Andreina (per la poca familiarità della lingua italiana con il nome Andrea usato al femminile) e Cabellera, tradotto in italiano con Parruccone per non
PP. 1816-1822
perdere la connotazione caricaturale del personaggio del «buffo» con il richiamo al campo semantico della capigliatura e la probabile allusione autoironica alla calvizie di Zorrilla. 16. priesa: forma corrente nel XVII secolo per «prisa» («fretta»). 17. me condeno: «mi costringo», «devo». 21-26. Andrea lamenta la mancanza di dimostrazioni di affetto da parte dei mariti: perfino la gelosia, qualora manifestata, si rivela «fredda», poiché non corrisponde a genuino affetto. 35. pone un requiebro en Flandes: espressione creata da Zorrilla calcando la locuzione «poner una pica en Flandes», che indica la realizzazione di una cosa complicata e difficile (cfr. Profeti). 38. destos: contrazione abituale nella grafia dell’epoca della preposizione «de» con pronome o aggettivo; sono presenti anche le forme desto (vv. 129, 246, 2467, 2588), dél (vv. 276, 2770), deso (v. 504), deste (vv. 580, 2383), desta (vv. 595, 1004, 2622), dellos (v. 2565), destos (v. 2588), ecc. (cfr. Profeti); agora: forma analogica e più ricorrente nell’opera per «ahora» («adesso»); ritorna ai vv. 292, 381, 494, 948, 1101, 1105, 1154, 1170, 1353, 1423, 1537, 1601, 1648, 1763, 1839, 2121, 2181, 2195, 2285, 2375, 2388, 2524, 2590, 2620, 2686, 2669; invece ahora ai vv. 1503, 1505, 1531, 1975, 2709, 2724 (cfr. Profeti). 42. culto a todo vocablo: «esageratamente culterano». È frequente in Zorrilla la critica al culteranesimo, termine dispregiativo per indicare lo sfoggio di preziosismi, latinismi e formule espressive ricercate, che vede in Luis de Góngora il massimo rappresentante. La polemica anticulterana si sviluppa proprio negli anni di composizione di Entre bobos anda el juego. 45. Luego que es mejor se infiera: «quindi se ne deduce che sia meglio»; con i successivi arguyendo (v. 50), opinión (vv. 61, 69, 74), argumento (v. 62), sentencio (v. 69),
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Zorrilla imita la terminologia giuridica. Vedi nota ai vv. 850 ss. 55. respeto: «respecto», con riduzione del nesso consonantico, corrente all’epoca. 61. ansí: forma analogica ricorrente nell’opera per «así» («così»); ritorna ai vv. 69, 874, 1273, 1511, 1559, 1813, 1814, 1947, 1948, 2164, 2339; invece así ai vv. 10, 723, 1530, 1779, 1987, 2387, 2470 (cfr. Profeti). 66. lengua: con dilogia, in spagnolo, indica sia la «fiamma» che la «lingua» degli amanti troppo loquaci. 67. bachiller: «chiacchierone», «superficiale» (cfr. Autoridades e Covarrubias). 68. apetito: «desiderio». 80. perfeto: per «perfecto» («perfetto»), con corrente riduzione del nesso consonantico; ritorna al v. 870; troviamo invece la forma perfecta al v. 423. 98. chisagarabís: «uomo di poca sostanza» (cfr. Autoridades). 100. galán de tapa de espejo: figure di ornamento di un tipo di rappresentazione pittorica (cfr. Juliá). Difficile mantenere il riferimento culturale in italiano: traduco alla lettera. 107. me dejar: nel Siglo de Oro è corrente la posizione proclitica del pronome personale complemento con infinito e imperativo. 116. gentilhombre de a pie: «chi serve una persona che è a cavallo accompagnandola a piedi» (cfr. Autoridades). 117. efeto: per «efecto» («effetto»), con riduzione del nesso consonantico; ritorna ai vv. 320, 362, 388, 450, 555. 121-22. Nunca entabla / lenguaje desparatado: il linguaggio di Luis è considerato laconico e caratterizzato da un lessico eccessivamente affettato. 123. hablar cortado: «parlare con frasi brevi e non coordinate».
NOTE
125. vocablos de estrado: «termini raffinati», «eleganti»; estrado era lo spazio in cui le dame ricevevano le visite. 131-32. Secondo la teoria galenica il «calore naturale» dello stomaco favoriva la digestione. 136. de palos: «volgari». 192. para galán de entremés: la metateatralità (galán, «amoroso», è un personaggio del teatro del Siglo de Oro; entremés, «intermezzo», è un genere breve della drammaturgia aurea) rompe la convenzione scenica e introduce la descrizione grottesca del personaggio di Lucas. 198. a todo calvo aficiona: probabile richiamo autoironico alla calvizie dell’autore. 205. Cigarral: piccola casa di campagna tipica di Toledo, situata in riva al Tago. Per conservare la polisemia ironica della battuta traduco con «Giardinetto», che conserva la sproporzione tra l’idea di una nobile casata e la realtà di una modesta abitazione. 209. caballero flaco: il protagonista negativo è contraddistinto da caratteristiche, come la magrezza, antitetiche al canone di bellezza virile dell’epoca. 216. Juanes: gioco di parole che allude alla presenza di «juanetes», ossia dell’osso dell’alluce sporgente. Difficile mantenere il gioco di parole originale: per non usare il termine «valgo», che si ripeterebbe al verso seguente, traduco genericamente con «calli». 217. zambo: «persona con il ginocchio valgo». 218. dos pocos: «due pochi», ossia «molto», in un climax ironico che va da «un poco» del verso precedente a «tres pocos» («tre pochi») e poi «cuarenta muchos» («quaranta molti») dei versi successivi; verdimoreno: neologismo creato da Zorrilla sulla base di «verdinegro» («di colore tra il verde e il nero», cfr. Autoridades): in an-
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titesi ai canoni estetici del tempo, secondo i quali la carnagione doveva essere bianca, quella di Lucas è tra il marrone e il verde. 221-24. Allusione ironica al proverbio «quien canta, sus males espanta» («chi canta spaventa i propri mali»), analogo all’espressione idiomatica italiana «canta che ti passa». 229-30. Secondo luoghi comuni dell’epoca, gli studenti avevano fama di essere perennemente affamati e i tedeschi di essere grandi bevitori. 231-33. I versi fanno riferimento alla proverbiale altezzosità dei nobili e al loro atteggiamento inquisitorio. 243. Pirú: per «Perú», con vacillazione della vocale protonica. 247. marca: «marchio» di riconoscimento apposto dal costruttore che aveva cesellato la spada. 259. esotras: contrazione corrente nel XVII secolo; ritorna ai vv. 319, 322, 1963, 2145, 2553. 260. estrecho: gioco di parole dato dalla dilogia del termine, sia «avaro» che «stitico». 261-62. lo que ya / me entenderán los atentos: allusione agli escrementi, come si esplicita al v. 266. 268. de verbo ad verbum: «una ad una», con un’ostentazione di «latinorum» comune da parte del gracioso. 281. vais: forma etimologica per «vayáis». 281-82. Allusione al proverbio «antes que te cases mira lo que haces» («prima di sposarti pensa a quello che fai»). 292. estoyle: per «le estoy». 298. mejor caballero: alla descrizione negativa del protagonista è contrapposto il modello positivo di Pedro, perfetta incarnazione del canone del cavaliere del XVII secolo.
PP. 1832-1842
303. daga: spada corta dalla lama larga e diritta. 304-05. Pacheco de Narváez: spadaccino di grande fama, maestro di scherma di Felipe IV, re di Spagna dal 1621 al 1665. 307. Cantillana: si allude al conte di Cantillana, cavaliere di Siviglia particolarmente abile nell’affrontare i tori. 308. Lope: si allude al famoso Lope de Vega Carpio, il più celebre commediografo del teatro del Siglo de Oro. 321. ochavo: moneta di bronzo dallo scarso valore. 331-32. All’epoca le suore avevano fama di essere molto schizzinose. 333. un araña: con elisione, corrente nella lingua letteraria del Siglo de Oro, dell’articolo indeterminativo «una»; cfr. al v. 590 el amenaza. 339. podimos: per «pudimos» («abbiamo potuto»), con vacillazione della vocale protonica corrente all’epoca. 340. abrirla siquiera un dedo: era credenza comune che per curare un attacco epilettico o uno svenimento fosse necessario aprire o stringere il dito medio della mano sinistra, che si pensava fosse collegato al cuore; abrirla: per «abrirle», con laismo (uso dei pronomi personali la e las in funzione di oggetto indiretto al posto delle forme le e les), fenomeno corrente nella commedia aurea. 341. Emendo la lettura di A, «ellas fingidas», con quella di B, «ellos fingidos», riferito a «mal» o «aprietos» (cfr. Profeti). 343. Emendo la lettura di A, «Él viene ya a recibiros», con quella di B, «Con él viene a recebiros», più persuasiva in relazione alla precedente descrizione di Alfonsa (cfr. Profeti). 367. noramala: per «en hora mala» (espressione che indica disapprovazione), con aferesi; analogamente norabuena per «en hora buena» (per indicare compiacimento) ai vv. 926 e 2577 (cfr. Profeti).
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369. ducados: moneta di valore (cfr. Autoridades). 381 didascalia. Come spiega Profeti, nella lettera Lucas contravviene ad ogni regola dell’etichetta, omettendo saluti, complimenti, presentazioni, ecc. Inoltre affronta senza alcun pudore il delicato tema del denaro, identificando da un lato il matrimonio con uno strumento di possesso finalizzato alla riproduzione e dall’altro la donna con un mero oggetto. Ventas de Torrejoncillo: «locande» che si trovavano sul tragitto tra Madrid e Toledo (cfr. Juliá). 385-90. Allusione a un detto proverbiale spagnolo secondo cui il futuro marito durante il primo incontro con la promessa sposa dice o commette una sciocchezza; vedi ad esempio Lope de Vega, El castigo sin venganza, vv. 920-21 (es hacer la necedad / que otros casados dijeron). 405. L’omissione dell’indicazione dell’accusativo di persona (a) è accettata nella lingua del XVII secolo; ritorna ai vv. 621, 1169, 1493, 2655 (cfr. Profeti). 412. que: «che», non è raro come dativo di persona nella lingua letteraria del XVII secolo. 414. mesmo: «mismo», con vacillazione vocalica; ritorna ai vv. 802, 1644, 1660 (cfr. Profeti). 419. Isabel, celata dalla maschera, viene definita «enigma» (v. 425), «geroglifico» (v. 429-32), «dipinto sfocato» (v. 435-36) e ancora «cielo», «sole» e «raggio» coperti da una nuvola (v. 437). Ogni concetto viene poi ripreso: «enigma» v. 428; «geroglifico» v. 451; «dipinto» v. 448, «raggio» v. 447, «cielo» vv. 449-50 (cfr. Profeti).
NOTE
co che veniva eseguito durante il rito del matrimonio, era la divinità mitologica che presiedeva al matrimonio (figlio di una musa e di Apollo o Dioniso). Lo stesso riferimento alla mitologia classica sarà utilizzato al v. 568 da Luis, così come accade con Cupido al v. 441, ripreso al v. 570. 457. discreto-primo: Zorrilla gioca con la polisemia del termine primo (vedi nota al v. 1132), che oltre a «cugino» può significare anche «sciocco». 491. capillo: «capullo» («bocciolo»). 504. Accolgo per il senso la lettura di B, «a mi hija», emendando quella di A, «a mi prima», in accordo con gli editori moderni (cfr. Profeti). 504. demás: per «además», con aferesi. 515. carta de pago: «ricevuta». Lucas continua a dare prova di mancanza di eleganza dimostrando la scarsa considerazione in cui tiene la dama, vista come mera merce d’acquisto. 544. u: forma alternativa a «o», sia davanti a vocale che a consonante, corrente all’epoca. Peralvillo: cittadina in provincia di Ciudad Real nella quale esercitava la giustizia l’istituzione spagnola della Santa Hermandad, forza di polizia centralizzata con ampi poteri di giurisdizione fondata nel XV secolo dai re cattolici Fernando e Isabella per mantenere l’ordine pubblico.
425. hermoso enigma: sostantivo di genere ambiguo; appare al femminile al v. 153, esa enigma, e al v. 2543, la enigma (cfr. Profeti).
545. mesonitante: «de los mesoneros» («dei locandieri»), neologismo calcato su «caballero andante», «cavaliere errante». Come in Peralvillo l’istituzione della Santa Hermandad si occupa di giustiziare i malfattori, analogamente in Torrejoncillo la «Hermandad de los mesoneros», ossia degli osti, uccide i viandanti di passaggio, con allusione al luogo comune della scomodità delle locande, frequente nella letteratura dell’epoca.
442. Himeneo: Imeneo, personificazione dell’omonimo componimento poeti-
553. hablar afeitado: «parlare ornato», «forbito».
423. perfecta: vedi nota al v. 80.
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558. Solicito a mi llama mi albedrío: verso e concetti oscuri, parodia del linguaggio culterano (vedi nota al v. 42). Traduco seguendo Profeti, secondo cui potrebbe essere interpretato come «cerco il mio amore, al quale mi offro». 563-606. Luis usa gli stessi riferimenti alla mitologia classica di cui si era servito Pedro (Imeneo e Cupido, vv. 568, 570); vedi nota al v. 442. A creare la parodia del linguaggio culterano (vedi nota al v. 42) contribuiscono le eleganze forbite, le costruzioni stravaganti, le accezioni rare, le figure retoriche e la presenza della silva (strofa metrica spagnola composta da settenari ed endecasillabi che cominciò a essere coltivata agli inizi del XVII secolo e fu consacrata da Góngora nel poema Soledades). 572. empleo: «matrimonio»; ritorna al v. 789. 573. de la corte: da Madrid. 582. ferió: «cambió». L’uso del verbo «feriar» in Zorrilla è stato ampiamente analizzato e documentato (cfr. Castro); ritorna al v. 1889. 590. el amenaza: nel XVII secolo l’articolo determinativo maschile davanti ad a atona era ancora accettato. 600. galanteo mi muerte mariposa: «cerco la mia morte come fa la farfalla», tanto attratta dalla luce delle candele da bruciarsi; il riferimento torna al v. 2225. 608. vocablos de cartilla: «termini comuni», «di uso corrente». 611-12. Gioco fondato sulla dilogia del verbo «cursar», usato da Luis come termine culterano (vedi nota al v. 42) nell’accezione di «passare per» («arrivano alcune persone passando dalla strada») e che Carranza interpreta invece nel senso comune di «avere flussi intestinali», «purgare». 613-36. Come spiega Profeti, le battute tra l’oste e i viandanti, che costituiscono quasi un piccolo entremés («intermez-
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zo»; vedi nota al v. 192) inserito al centro dell’atto, sono caratterizzate da un linguaggio quotidiano e realistico che si oppone al registro culterano di Luis. 613. hala: interiezione; seor: contrazione di «señor» («signore»), forma caratteristica della lingua popolare del XVII secolo. 615. vusted: per «usted» (forma di cortesia spagnola corrispondente alla terza persona singolare italiana), deformata per connotare il registro basso dei viandanti. 616. carnero: «cornuto», riferito all’oste, sposato da più di venti anni. 618. Menzione al proverbio «dar gato por liebre» («ingannare», «vendere una cosa per un’altra»); ritorna al v. 1834. 620. es liebre y tira a gato: «è codardo e un po’ ladro». 621. una dama y un hombre: vedi nota al v. 405. 624-25. L’allusione al celebre Don Quijote de la Mancha dimostra l’interesse nei confronti Miguel de Cervantes da parte di Zorrilla, il quale si ispirò al Persiles y Segismunda nella composizione di una sua omonima commedia. 626. a la venta: si allude alla scomodità delle locande, paragonate all’inferno; vedi nota al v. 545. 629. güesped: volgarismo per «huésped» («ospite», in questo caso chi dà alloggio). 630. fiambre: «insaccato»; insulto burlesco che allude alla magrezza di Lucas. Traduco con «salame» per mantenere il gioco parodico dell’originale. 631. ninfa: «prostituta», in linguaggio gergale; estar de asiento: in accezione letterale «risiedere», ma anche «rifornirsi», con probabile allusione oscena. 632. calle del Lobo: attuale Calle de Echagaray, luogo di prostituzione all’epoca (cfr. Profeti).
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633. de gran trabajo: «che si dà da fare», con ulteriore allusione alla prostituzione. 635. por la posta: «correndo», «in tutta fretta». 636. Gua, gua: onomatopea che imita la risata; que la ha tenido: «l’ha stesa», con allusione oscena; don Langosta: «don Cavalletta», soprannome che allude alla magrezza di Lucas. 645. uced: altra forma popolare per «Vuestra Merced» (antica forma di cortesia spagnola, oggi «usted»; vedi nota al v. 615). 645-46. vaya ni venga: gioco di parole basato sulla dilogia del termine vaya, nell’accezione di voce del verbo ir («andare») e «scherzo», dall’italiano «baia» (cfr. Profeti). Traduco alla lettera data la difficoltà di conservare la doppia accezione dell’originale. 648. vuesarced: «Vuestra Merced» (antica forma di cortesia spagnola, oggi «usted»; vedi nota al v. 615); señor Carranza: come ai vv. 304-05 e 307, torna l’allusione, in questo caso con antifrasi ironica, a uno spadaccino allora molto noto, Jerónimo de Carranza. 649. villanchón: «villano», «grossolano». 651. atufo: «mi arrabbio»; abochorno: «mi scaldo». 652. mientes tú: formula con cui si usava sfidare l’avversario. Lucas aggiunge che oltre a Carranza a mentire sono anche tutti coloro che si trovano nelle cinque leghe circostanti («cinco leguas en contorno»). 655. altibajo: colpo di spada dall’alto verso il basso. 663. Seguo la lettura di B («con todo aquel criado»: «con tutto il creato», «con il mondo intero») poiché quella di A («con este criado») manca di una sillaba (cfr. Profeti). 670. Ortuño: Hortuño de Aguirre, celebre costruttore di spade di Toledo, attivo
NOTE
nel 1604. Si conosce un altro Ortuño, attivo nel 1637 (cfr. Profeti). Ometto il riferimento culturale e traduco genericamente con «ben nota». 681. Seguendo gli editori moderni emendo la lettura di A, «mi hermano», con quella più coerente di B, «mi primo» (cfr. Profeti). 687-706. I complimenti di Lucas appaiono ridicoli; le ripetizioni dei termini cara (vv. 692, 693, 694) e holgar (vv. 699, 702, 705) conferiscono al passaggio un tono di verbosità inutile e pleonastica (cfr. Profeti). 699. holgar: «alegrar» («rallegrarsi»). 710-22. Giocando con raffinate anfibologie Isabel riesce a far sembrare complimenti quelle che in realtà sono manifestazioni di disprezzo. 716. por ser quien sois: inversione ironica del sintagma codificato e ricorrente «soy quien soy» («sono chi sono»), solitamente utilizzato nella commedia aurea a testimoniare la nobiltà dei personaggi («sono ciò che è stabilito dal mio rango»). Ritorna, in accezione seria, ai vv. 2294 e 2384. 726. Secondo l’opinione comune le donne intelligenti («entendidas») non potevano essere anche belle. 743. Llenóme: formula volgare che significa «mi piace». 763. di por la boca verbos: locuzione verbosa per «habla» («parla»); con la consueta mancanza di eleganza di Lucas. 772. como una manteca: «come burro», «soave» e, volgarmente, «in modo tenero», «con dolcezza». 776. poder: autorizzazione conferita con un atto formale. 781. Perico: si gioca sull’omofonia del termine, sia diminutivo di Pedro che «pappagallo», che parla al posto di un’altra persona.
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785. respondelde: per «respondedle», con metatesi del gruppo dl, corrente nella lingua dell’epoca e in Zorrilla. 789. empleo: vedi nota al v. 572. 798. encontró el olmo la yedra: nella mitologia classica i due contadini Filemone e Bauci, coppia di sposi esemplari, furono gli unici a offrire ospitalità a Zeus ed Ermes, in viaggio per la Frigia sotto sembianze umane. Perciò il padre degli dei, oltre a risparmiarli quando punì i frigi con un diluvio, fece della loro umile capanna un tempio e realizzò il loro desiderio di morire insieme trasformandoli in un olmo e una vite (o un’edera) attorcigliati. Analogo riferimento appare al v. 1269. 813. cano: «bianco di spuma», «in piena burrasca». 850-ss. La filosofia amorosa proposta assume le sembianze di una controversia giuridica («se entienda» v. 870; «Decís bien» v. 873; «Concedo esta consecuencia» v. 878; «luego» vv. 867, 874; «pues» v. 874); vedi nota al v. 45. 857. Emendo per il senso la lettura di A, «el amor al trato», con quella di B, «al amor el trato» (cfr. Profeti). 870. perfeto: vedi nota al v. 80. 884. No le deis al tiempo lenguas: «Non lasciate che sia il tempo ad avere l’ultima parola sull’amore». Accolgo la lettura di B, «leguas», più coerente di A, «treguas» (cfr. Profeti). 885. Emendo la lettura di A, «teniendo vos vuestro amor», con quella di B, «teniendo voz vuestro amor» («poiché il vostro amore ha voce propria per potersi esprimere»), secondo la proposta di Cáceres e Jiménez (M. Rodríguez Cáceres – F. B. Pedraza Jiménez, «Entre bobos anda el juego, historia textual», in Criticón, 110, 2010, pp. 201-216). 899. licenciosa: «che si prende troppa libertà».
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910. Illescas: cittadina a metà strada tra Madrid e Toledo. 918. seis leguas: la distanza tra Illescas e Toledo. 926. norabuena: per «en hora buena»; vedi nota al v. 367. 939. entre bobos anda el juego: la ripetuta allusione al titolo è una pratica abituale nella commedia aurea; ritorna ai vv. 1564, 1756, 2723 e 2757. 943 didascalia. sin sombrero: al v. 944 Cabellera dice che Pedro è «mezzo svestito», mentre al v. 1326 afferma che è vestito. L’opinione più plausibile è che sia vestito, cosa che potrebbe apparire sospetta a Luis (no puede juzgar bien / verte a estas horas vestido, vv. 1325-26), ma sin sombrero, capa y espada, accessori senza i quali un cavaliere non poteva uscire di casa, tanto che il servo può definirlo «svestito» (cfr. Profeti). 953-61. Il dialogo ha la funzione scenica di indicare sia che l’azione si svolge ad Illescas, sia le varie camere in cui dormono i personaggi. 959. ea: «su», interiezione esortativa. 978. ¿Óyenos alguien?: gioco frequente nella commedia aurea; dal punto di vista della finzione scenica il pubblico non esiste. 980-1112. Il metro nobile della silva (vedi nota al v. 563-06) è funzionale a una scena simbolica di grande sensualità, in cui a un’apparente accelerazione di avvenimenti corrisponde un effettivo rallentamento dell’azione. 992. creo: «admiro» («ammiro»), con epanadiplosi del verbo all’inizio e alla fine del verso. 998. Pedro non vede la scena ma può ascoltare le voci. 1003-44. La descrizione della dama che fa il bagno nel fiume si serve di espedienti topici quali la bellezza velata e svelata (si noti la ricorrenza di termini come «cubrir», «enseñar», «transparente», «mostrar» o «descubrir»).
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PP. 1888-1900
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1007-10. La sensualità del passaggio è confermata da termini quali deshonesto («disonesto») e amante («amante») o il verbo gozar («godere»). 1017-22. La carnagione della donna è talmente bianca e più trasparente dell’acqua da far sembrare che sia il fiume a fare il bagno in lei e godere della sua bellezza. 1018. la arena: emendo la lettura di A, «el arena», poiché la misura del verso richiede «la arena», come legge B e come emendano tutti gli editori moderni (cfr. Profeti). 1024. cambray: «tela fine» (cfr. Autoridades) che veniva fabbricata nella città di Cambray, a cui deve il nome. 1027-30. Torna l’opposizione tra «scoprirsi» e «nascondersi»: sin verse se mostraba, víale el cristal y no le veía (con epanadiplosi). 1028. plumaje: «schiuma». 1042. tiritando salió perla con perla: «uscì battendo i denti bianchi come le perle», con metafora abituale. 1044. fuego helado: «fuoco gelato», ossimoro proveniente dalla poesia amorosa; vedi l’incipit del noto sonetto di Francisco de Quevedo (F. de Quevedo, Obra Poética, ed. di J. M. Blecua, 3 voll., Madrid, Castalia, 1969-1970, n. 375: Es hielo abrasador, es fuego helado: «è gelo che brucia, è fuoco gelato»), scrittore spagnolo del XVI secolo considerato il massimo esponente del concettismo, corrente letteraria barocca caratterizzata da ritmo rapido, lessico semplice, metafore ingegnose e giochi di parole (in opposizione al culteranesimo; vedi nota al v. 42). 1047-48. Inizia la seconda parte del resoconto, dedicata alla descrizione del toro, simbolo di furia sessuale, davanti al quale il pudore induce la dama a coprirsi con un altro velo (v. 1064).
NOTE
1073. felice: per «feliz» («felice»), forma paragogica corrente nel linguaggio della commedia aurea; ritorna al v. 1192. 1088. efetuar: per «efectuar» («effettuare», «eseguire»), con riduzione del nesso consonantico; vedi nota al v. 55. 1099. L’amore viene considerato come la febbre di una malattia (calentura). 1110. cuidado: «passione amorosa»; ritorna ai vv. 2160, 2530. 1119. lindo sujeto: «persona strana», con antifrasi ironica. 1132. primo: Zorrilla gioca ancora (vedi nota al v. 457) con la polisemia del termine primo, «cugino» ma anche (cfr. Autoridades) «negro» o «etíope» (da cui parentesco, «parentela», de negros). Difficile mantenere in italiano la dilogia originale: traduco con «parentela screditata». 1138. cocido: «persona abile», «scaltra» (cfr. Autoridades). 1148. dijo: il pettegolezzo dei servi è un luogo comune della commedia aurea. 1159-60. manos / al amor: locuzione costruita con «poner manos a», dunque «forza con l’amore». 1169. mi padre: vedi nota al v. 405. 1182. albricias: mancia o regalo dati a chi per primo portava una buona notizia; ritorna ai vv. 1396, 2664. 1184. Cabellera commenta che non c’è da stupirsi dell’insonnia di Isabel poiché la dama ha mangiato poco a cena; si applica così un riferimento corporale al mondo nobile dei sentimenti della dama. 1192. infelice: si veda la nota al v. 1073. 1196. A legge «lo menos que un serafín», mentre B, con cui emendo, «lo menos de un sacrificio» (cfr. Profeti). 1197-1202. Si notino l’anafora del sintagma «el que os» («colui che vi»), la struttura parallela e l’antitesi «ganado»«perdido» («vinto»-«perso»): giochi retorici frequenti nel registro degli amanti.
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NOTE
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1225. éste: la malattia della gelosia. 1243. Secondo quanto racconta la mitologia, la ninfa Clizia, figlia di Oceano e Teti, che fu prima amata e poi ripudiata da Apollo, si lasciò morire distesa a terra con il volto in direzione del Sole. Apollo, impietosito, la trasformò nel fiore chiamato «eliotropio» o «girasole». Il riferimento torna al v. 2229.
PP. 1900-1920
1417. Seguo Profeti, che emenda ope ingenii la lettura di A, «lo que que», con «lo que». 1422. Emendo la lettura errata di A, «que éste», con quella di B «que es éste» (cfr. Profeti). 1432. ¡Hola!: frequente interiezione, utilizzata per chiamare i servi.
1269. olmo que abrazó la hiedra: vedi nota al v. 798.
1442. estremos: per «extremos» («esagerazioni»), con riduzione corrente del nesso consonantico.
1300. visos: con dilogia, «superfici splendenti» e «aspetto superficiale di un dipinto», sul cui sfondo si manifesta il «dolore» dell’innamorato.
1446. en la ceniza hemos dado: l’effetto comico deriva dall’utilizzo di un’espressione bassa applicata al tema dell’amore (cfr. Profeti).
1314. Quédate adiós: forma etimologica, da cui deriva il moderno «adiós» («arrivederci», «addio»), corrente nella commedia aurea.
1450. pulgas lleva: espressione idiomatica che significa «è molto inquieto», con un gioco di parole che allude alle numerose pulci della locanda. Traduco perdendo l’accezione figurata dell’originale.
1326. vestido: vedi nota 943 didascalia. 1355. Arias Gonzalo: protagonista di molti celebri romances (poemi narrativi caratteristici della tradizione orale spagnola che a partire dal XV secolo vengono raccolti per scritto), difensore della città spagnola di Zamora contro l’assedio di Sancho II. Traduco genericamente con «paladino». 1360. moza del mesón: «la serva della locanda», che aveva fama di donna leggera. 1364. civil: «volgare»; Lucas spiega che non si dedica ad amori servili. 1380. propria: forma etimologica corrente nel XVII secolo, per «propia»; ritorna ai vv. 1895, 1904 e 2218. 1395. ciego dios: Cupido, rappresentato con una benda sugli occhi; analogo riferimento ritorna al v. 2317. 1396. Amor, albricias: vedi nota al v. 1182; Alfonsa ringrazia Amore perché crede che Pedro la ricambi. 1409-10. La luce della donna amata occulta il «riflesso» (arrebol) dell’altra.
1456. ¡El diablo está en Cantillana!: locuzione proverbiale per indicare la presenza di un problema. Traduco utilizzando due espressioni idiomatiche italiane: «Al lupo! Gatta ci cova!». 1476. está peor que estaba: detto proverbiale, frequente nella letteratura dell’epoca, che significa «è peggio di prima». 1484. Acójome acá, que llueve: espressione proverbiale, all’epoca ben nota, che indica l’impertinenza di chi si prende troppe libertà (cfr. G. Correas, Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627), ed. di L. Combet, Bourdeaux, Institut d’Études Ibériques et Ibéro-Américanes de l’Université, 1967, p. 612). Traduco genericamente «Fammi entrare, per favore». 1489. ¡zas!: onomatopea che riproduce il suono di un colpo (cfr. Autoridades); ritorna al v. 2502. 1493. mi mujer: vedi nota al v. 405. 1500. hoja: la lama della spada. 1504. Francisco Ruiz Patilla: era un celebre costruttore di spade di Toledo il
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PP. 1920-1944
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cui figlio (el mozo, «il giovane», citato al v. 1508) era ancora attivo nel 1520. 1508. recazo: «guarnizione», la parte della spada che si trova tra lama e impugnatura (cfr. Autoridades). 1510. Seguo Profeti e Ruiz, che emendano ope ingenii con «no evito», la lectio facilior di A, «no he visto», e l’incomprensibile «novito» di B (cfr. Profeti). 1515. Per comprendere il riferimento del verso seguente («poeta samaritano») è necessario emendare la lectio facilior di A, «poyo», con la lettura di B, «pozo» (cfr. Profeti). 1515-16. Menzione al noto episodio del Vangelo di Giovanni (4, 1-26) secondo cui Gesù, in un viaggio attraverso la Samaria, incontra vicino a un pozzo una donna samaritana, le chiede da bere e la distoglie dalla vita da peccatrice. 1517. hacer cien días: «rappresentare per cento giorni», immagine iperbolica: al massimo una commedia si ripeteva per una o due settimane. 1534. A e B concordano nell’attribuzione del verso a Cabellera, il che richiede di emendare la lettura di A, «conmigo», con quella di B, «contigo» (cfr. Profeti). novel: «principiante»: si allude a Lope de Vega; vedi nota al v. 308. 1535-36. Si tratta di una didascalia della commedia di Lucas. 1543. hacen cerrada: gioco di parole tra l’accezione letterale, «puerta cerrada» («porta chiusa»), e figurata, «disimular» («fingere», «dissimulare»). Nella traduzione non mantengo questo secondo significato. 1548. No, sino no: frase ellittica, «non ci mancherebbe altro che non fosse così». 1564. Vedi nota al v. 939. 1575. A legge «Haz esto por mí»: il verso manca di tre sillabe; Ruiz aggiunge «señor»; B permette di emendare la lettura
NOTE
con la battuta di Pedro, «Soy tuyo» (cfr. Profeti). 1593. de pe a pa: «interamente». 1594-98. Il gioco scenico della candela spenta dal servo per aiutare il proprio padrone è frequente nella commedia aurea (cfr. Profeti). 1602. Nieto: si deduce che sia il nome dell’oste della locanda. 1616. pelo: «categoria», con riferimento ironico alla barba. 1623. Verbum caro factum est: letteralmente «il verbo si fece carne», è un passaggio dell’inizio del Vangelo di Giovanni (1, 14) proposto con accezione metaforica e ironica: «posso individuare perfettamente di chi si tratta». 1628. miramientos: «sospetti»; in risposta ai vv. 1625-27 in cui Pedro ripete tre volte il verbo «mirar» nell’accezione di «proteggere». 1641. el don Luis: forma di apostrofe corrente nella commedia aurea. 1650-51. tírale bien el dedo / del corazón: vedi nota al v. 340. 1652. manteca: «burro», era considerato un altro rimedio agli svenimenti. 1659. uña de la gran bestia: si credeva che gli artigli dell’alce («la gran bestia») preservassero dagli attacchi epilettici (cfr. Autoridades). 1689-90. Viene presentato il tema della finzione tramite parole (labio, «labbra») che non trovano corrispondenza nei sentimenti (los finjo con el pecho). 1701-02. muerte-vivo, vida-muero: chiasmo, figura retorica molto usata nella lirica del periodo. 1735-36. Vedi nota al v. 1659. 1743. Seguo Profeti, che emenda ope ingenii la lettura di A, «sintes», con «sientes». 1749. rucio: «cavallo di colore marrone chiaro».
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1750. Cabañas: si tratta della località di Cabañas de la Sagra, sulla strada tra Madrid e Toledo. 1756. vedi nota al v. 939. 1758. mohino: gioco di parole fondato sulla dilogia del termine, sia «falso» che «bardotto» (figlio di un cavallo e di un’asina). Traduco mantenendo entrambe le accezioni. 1772. a bulto: «senza un piano preciso», «improvvisando». 1777-1834. Si rompe la regola di cortesia che vieta l’autocelebrazione, sebbene le sciocchezze dette da Lucas tolgano ogni valore logico alla presentazione (cfr. Profeti). 1782-83. barra: asta di ferro cilindrica dalle estremità appuntite che si lanciava per competizione (cfr. Autoridades); de a cuatro: del peso di quattro libbre, ossia di circa due chilogrammi. La libbra era un antico peso della Castiglia, equivalente a dieci once (cfr. Autoridades), vale a dire quattrocentosessanta grammi. Ironia data dall’insensatezza di un’asta «de a cuatro» («del peso di quattro libbre») che pesa cinque libbre («cuatro y libra»: «quattro libbre più una»). 1784. pasos: misura dell’epoca (cfr. Autoridades) che equivaleva a due piedi e mezzo, ossia settanta centimetri (un piede corrispondeva a ventotto centimetri). 1786. largo: «generoso», con dilogia si fa riferimento ironico anche all’accezione letterale del termine: «grasso». 1788. por el cabo: «esageratamente», ma alla lettera «alla fine». 1790. mis tiros salen en blanco: gioco di parole tra «salir al blanco» («andare a segno») e «salir en blanco» («fallire»). Per mantenere il gioco dell’originale traduco utilizzando la paronomasia dei due termini «mancare» e «mandare».
PP. 1944-1950
1792. del Rey abajo: autocitazione di Zorrilla, che allude alla sua commedia Del Rey abajo, ninguno. 1795-96. Gioco di parole fondato sulla polisemia del verbo «caer», letteralmente «cadere» ma anche «caer bien» («apparire»): «sulla sella mi faccio notare, ancora di più quando cado». 1797. Zocodover: piazza di Toledo in cui venivano celebrati i tornei e le corride. 1800. los despacho: «li uccido», in accezione letterale, ma «despachar» significa anche «mettere a posto la corrispondenza», compito dei segretari: per questo Lucas dice me llaman el secretario / de los toros («mi chiamano il segretario / dei tori»). 1802. a pasto: «abbondantemente»; ritorna al v. 1898. 1805-06. caballero / de ciudad: «provinciale»; appare in Cada cual lo que le toca (v. 993) e in Obligados y ofendidos (v. 654). Per il suo uso in Zorrilla cfr. Castro, p. 225. 1807. bien entendido / mayorazgo: i primogeniti, eredi dei beni di famiglia («maggioraschi»), sono spesso rappresentati nelle commedie auree come sciocchi. 1811. soy muy ancho de cintura: «sono molto largo alla vita»; secondo i canoni di bellezza virile dell’epoca la vita doveva essere ridotta. 1815. con su punta de lo airoso: «un po’ storte». 1816. su encaje de estevado: il vuoto tra le gambe, poiché queste sono ricurve; vedi nota al v. 217. 1821-34. Come afferma Profeti, nell’accumulazione finale Lucas dà ennesima prova di cattivo gusto: sottolinea la propria ricchezza e afferma, rompendo ogni regola di cortesia, che non sono «le grazie» della dama a essere «meritate», bensì quelle del promesso sposo. 1824. toreador: era il cavaliere che combatteva i tori a cavallo, a differenza del «torero», che li combatteva a piedi nelle
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PP. 1950-1960
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piazze, per mestiere (cfr. Ruiz); franco: «generoso», ma potrebbe essere anche un’allusione al nome di Zorrilla, Francisco. 1834. me distis: «disteis», forma non infrequente nella lingua letteraria del Siglo de Oro (come al v. 1853); por liebre gato: vedi nota al v. 618, vi si potrebbe leggere un’allusione oscena, poiché nel Medioevo la lepre indicava l’organo sessuale femminile (cfr. Profeti). 1853. venistis: «venisteis»; vedi nota al v. 1834. 1858. se fue de labios: «parlò troppo». 1860. estraños: per «extraños», con riduzione corrente del nesso consonantico; vedi nota al v. 1442. 1866. daca: «dame acá»; ancora una volta Lucas applica termini materiali e bassi ad attività raffinate come, in questo caso, la discussione tra Isabel e Pedro. 1868. tratante: «chi si dedica a comprare generi per poi rivenderli»; attribuito alla dama, il termine costituisce un’ennesima prova della grossolanità di Lucas. Per mantenere il gioco di parole originale traduco servendomi della polisemia del termine «caro».
NOTE
1904. propria: per «propia»; vedi nota al v. 1380. 1905-06. L’equivoco è costruito giocando sui termini tajo, allo stesso tempo colpo di scherma da destra verso sinistra e fiume Tago (cfr. Autoridades), e revés, colpo di scherma da sinistra verso destra e anche «disgrazia» (cfr. Autoridades): «le donne di Toledo, che vivono vicino al Tago, sono il contrario di quelle di Madrid». Traduco utilizzando l’opposizione tra «tiri mancini» (espressione che rimanda in parte anche al campo semantico della scherma) e «destre», con accezione idiomatica. 1910. calle de Francos: strada in seguito intitolata a Cervantes (cfr. Ruiz), non lontano da dove viveva Zorrilla. 1914. naide: per «nadie», con metatesi corrente; ritorna al v. 2385. 1915. Seguo Profeti e Ruiz, che emendano ope ingenii con «sa» (ironicamente per «señora», «signora») A, «missa», e la lectio facilior di B, «a doña». 1917. entre padres y hijos: Lucas allude alla parentela stabilita dalle nozze nel momento stesso in cui rifiuta il matrimonio. 1920. casco: «cabeza» («testa»).
1872. causa propia: «per suo tornaconto»; sebbene i complimenti fossero a nome di Lucas. Per mantenere l’allusione traduco utilizzando l’omofonia tra «in vece» e «invece».
1971-72. las mujeres escogen / lo peor: luogo comune della commedia e della letteratura aurea.
1874. zorrero: aggettivo che si riferisce a un’imbarcazione che ha difficoltà a navigare per la sua pesantezza e, per estensione, a chi resta indietro rispetto agli altri (cfr. Autoridades).
1998. Emendo la lettura di A, «en blando», con quella di B, «en blanco» (cfr. Profeti).
1889. feriara: vedi nota al v. 582. 1892. temerario: letteralmente «imprudente», ma qui, con accezione errata, ha il significato di «temibile» (cfr. Profeti). 1895. propria: per «propia»; vedi nota al v. 1380. 1898. a pasto: vedi nota al v. 1802.
1980. zaino: «traditore», «falso» (cfr. Autoridades).
2000. él del gusto y yo del gasto: Zorrilla chiude il frammento di Lucas con una paronomasia e un’ulteriore allusione al denaro. Traduco utilizzando l’omofonia tra «in tasca» e «intasca» e la paronomasia tra «sposa» e «spesa». 2003. didascalia. ruido: suono di un’azione che avviene fuori scena (vedi vv. 613-36).
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NOTE
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2003. Arre: esclamazione per incitare gli animali; rucia: mula di colore marrone chiaro; Beata: nome proprio della mula, o applicato con antifrasi a un animale ribelle (cfr. Profeti). 2004. reata: mula aggiunta al carro o alla carrozza come supporto nelle salite. 2006. aquél, aquélla: eufemismi al posto di parolacce. 2007-08. Si deduce che l’azione si svolge in un declivio che le mule faticano a risalire, pertanto Cabellera incita il cocchiere definendolo ingrato perché non fa niente per alleviare la fatica degli animali e questi gli risponde di scendere e correre a fianco alle mule (cfr. Profeti). 2011. vella: per «verla», con assimilazione corrente dell’infinito seguito dal pronome. 2012. Tal es ella: «è talmente brutta che nessuno ha fretta di vederla». 2013. Si insinuano rapporti illeciti tra la moglie del viandante e il parroco, probabile padre dei figli. 2014. Negli insulti ironici possono leggersi alcune allusioni volgari od oscene quali «montón» (nell’accezione di «ammucchiata»). 2015 didascalia. Músicos: la musica e il canto rivestivano un ruolo importante nella commedia aurea, in momenti di particolare intensità lirica o a sottolineare il significato di un determinato passaggio. Qui il canto contribuisce ad ambientare la divertente scena del viaggio. 2016. Güete: volgarismo per «Huete» (vedi nota al v. 629). Allusione alla disinvoltura delle mozuelas de la corte («fanciulle di corte») che si dirigono verso Huete e Alcalá de Henares, cittadine che ospitavano carceri femminili. 2022. redoma de la cara: «ampolla della faccia», metafora per «naso».
PP. 1960-1980
2023. Seguo Profeti nell’emendare con B, «volvióse», la lectio facilior di A «volcóse». 2031. Emendo la lettura di A, «ella», con quella di B, «ellas», riferito ad almohadas, «cuscini» (cfr. Profeti). 2040. faraona: allusione ironica alla crudeltà dei sovrani dell’antico Egitto. 2048. vitoria: per «victoria» («vittoria»), con riduzione del nesso consonantico; vedi nota al v. 80. 2071-80. Isabel afferma di poter resistere a Pedro se lo ascolta e basta, mentre se lo guarda è attratta a tal punto che, pur sapendo che l’ha ingannata, non può non fare a meno di amarlo. 2160. cuidado: «passione amorosa»; vedi nota al v. 1110. 2197. satisfación: per «satisfacción» («soddisfazione»), con riduzione corrente del nesso consonantico (vedi nota al v. 80); ritorna al v. 2207. 2218. proprias: per «propias»; vedi nota al v. 1380. 2225. mariposa: vedi nota al v. 600. 2226. salamandra: «dicono che sia talmente fredda che passando per carboni ardenti li spenga come fosse puro gelo» (cfr. Covarrubias); «pare che se buttata nel fuoco, grazie alla propria umidità o al proprio peso, in parte lo attenui; tuttavia se vi permane ne soffre il calore [...] metaforicamente rappresenta ciò che si mantiene nel fuoco dell’amore, o dell’affetto» (cfr. Autoridades). 2248. fee: forma etimologica per «fe» («fede»). 2254. Emendo la lettura errata di A, «logren», con quella di B, «logre» (cfr. Profeti). 2294. ser quien soy: vedi nota al v. 716. 2304. «Cerchi di fare una cosa impossibile», poiché il bronzo era considerato un metallo di difficile lavorazione.
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PP. 1980-2012
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2313. Con anacoluto, «rosa purpurea alla vista» (cfr. Profeti). 2317. Torna il riferimento alla cecità di Cupido; vedi nota al v. 1395. 2354. La falsità delle donne era un luogo comune della commedia aurea. 2369 didascalia. cada uno por su puerta: le «porte» a cui si rimanda sono quelle che collegavano il retropalco del palcoscenico. 2384. siendo quien soy: vedi nota al v. 716. 2385. naide: per «nadie»; vedi nota al v. 1914. 2402. dalde: per «dadle»; vedi nota al v. 785. 2417. Isabel insinua che Pedro non la abbraccerà per non turbare Alfonsa. 2425. agradeceldo: per «agradecedlo»; vedi nota al v. 785. 2439. Cabañas: vedi nota al v. 1750. 2441. primer: apocope dell’aggettivo femminile, non inusuale nel XVII secolo. 2463. la puente: l’uso di «puente» come sostantivo femminile era corrente nel XVII secolo. 2475. acidente: per «accidente» («accidente»), con riduzione corrente del nesso consonantico; vedi nota al v. 80. 2502. ¡zas!: vedi nota al v. 1489. 2506-07. Gioco di parole costruito sulla dilogia del termine punto, sia «faccenda» che «nodo che si forma nel tessuto della maglia». 2516. capillo: vedi nota al v. 491. 2519. flores: con dilogia, sia «fiori», in accezione letterale, che «eleganze», in senso figurato. 2521. Emendo la lettura errata di A, «odoré», con quella corretta di B, «adoré» (cfr. Profeti). 2530. cuidado: «passione amorosa»; vedi nota al v. 1110.
NOTE
2532. Barrabás: «maledetto», «disgraziato», con menzione al detenuto ebreo che venne graziato al posto di Gesù. 2533-34. Luis ha conosciuto la «malattia» di Isabel, ossia l’amore, attraverso gli occhi (cfr. Profeti). 2543. la enigma: vedi nota al v. 425. 2577. norabuena: per «en hora buena»; vedi nota al v. 367. 2655. un hombre: vedi nota al v. 405. 2664. albricias: vedi nota al v. 1182; me dad: vedi nota al v. 107. 2674. lo que hay: «la verità». 2691-92. quebradero de cabeza: «inquietudine»; gioco di parole con il v. 2689, cuando el coche se quebró. 2681-2704. Giochi linguistici costruiti sull’anafora del más («più»). 2694. sin más ni más: «con precisione» (cfr. Autoridades). 2700. tono del ay, ay, ay: onomatopea che rimanda a un ballo molto popolare all’epoca (cfr. Profeti). Traduco genericamente con «canzoni da innamorati». 2723. Vedi nota al v. 939. 2732. real: moneta che valeva trentaquattro maravedì. 2738. Accolgo per il senso la lettura di B, «tendréis», emendando quella di A, «tenéis» (cfr. Profeti). 2750. de Milán: da Milano provenivano le tele migliori e gli abiti più eleganti. 2755. Ello: «en efecto» («proprio»), con valore pleonastico, a sottolineare la determinazione di Lucas. 2757. Vedi nota al v. 939. 2760. olla: pentola, per estensione «cibo». 2772-74. Formula di congedo con appello diretto agli spettatori, abituale nella comedia aurea. Silvia Rogai
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NOTE
IL DISDEGNO COL DISDEGNO
AGUSTÍN MORETO La vita e le opere 1 E. Caldera, Il teatro di Moreto, Pisa, Goliardica, 1960. Il teatro di Moreto viene ora edito da un équipe dell’Università di Burgos, guidata da M. L. Lobato, alla quale si deve l’edizione delle Loas, entremeses y bailes de A. Moreto, 2 vol., Kassel, Reichenberger, 2003.
Sono state indicate 18 commedie-fonte: R. L. Kennedy, The Dramatic Art of Moreto, Northampton Mass., Smith College Studies in Modern Languages, XIII, 19311932. Ma vedi la messa a punto di E. Di Pastena, in A. Moreto, El desdén con el desdén, ed. E. Di Pastena, Estudio preliminar de J. H. Varey, Barcelona, Crítica, 1999, pp. LIII-LV; e l’introduzione alla commedia da lui tradotta. 2
M aria Grazia Profeti
PP. 2017-2023
riferimenti più specifici sul Desdén con el desdén, si possono consultare in particolare le seguenti edizioni e le relative introduzioni: a c. di F. Rico, J. L. Sirera, W. F. King, E. Di Pastena, M. L. Lobato. In quest’ultima opera, è la dama Cassandra a simulare il proprio disinteresse, risvegliando così le sopite attenzioni di un innamorato che ha lo stesso nome del protagonista maschile del Disdegno col disdegno. Solo in stampe risalenti al secondo Settecento la commedia viene attribuita, oltre che a Moreto e a Cáncer, pure al portoghese Juan de Matos Fragoso (cfr. M. L. Lobato, Escribir entre amigos: hacia una morfología de la escritura dramática moretiana en colaboración, in La escritura en colaboración en el teatro áureo, Valladolid, Universidad de Valladolid, in corso di stampa). Quanto all’anno di redazione, M. L. Lobato ha proposto il 1648 (La dramaturgia de Moreto en su etapa de madurez, cit., p. 58); in precedenza, si era ipotizzato il 1649 o poco prima.
3
Cfr. M. M. Harlan, The Relation of Moreto’s «El desdén con el desdén» to Suggested Sources, in «Indiana University Studies», XI, 1924, pp. 1-109 e R. L. Kennedy, The Dramatic Art of Moreto, Philadelphia, University of Pennsylvania, 1932 (rist. di «Smith College Studies in Modern Languages», XIII, 1-4, 1931-1932), pp. 160-169.
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Il disdegno col disdegno Nota introduttiva Questo lavoro beneficia della partecipazione del suo autore ai progetti finanziati dal Ministerio de Economía y Competitividad e feder (Spagna), con numero di protocollo ffi 2011-23549 e cds2009-00033, ed è stato pubblicato in una prima versione nel 2012 (Pisa, ETS). 1
Per indicazioni bibliografiche sul drammaturgo rimando a M. L. Lobato e C. Byrne, Bibliografía descriptiva del teatro de Agustín Moreto, in De Moretiana Fortuna: estudios sobre el teatro de Agustín Moreto, in «Bulletin of Spanish Studies», a c. di M. L. Lobato e A. L. Mackenzie, LXXXV, 7-8, 2008, pp. 227-278, a cui si può aggiungere M. L. Lobato, La dramaturgia de Moreto en su etapa de madurez (1655-1669), in «Studia Aurea», 4, 2010, pp. 53-71. Per
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5 Si veda J. C. González Maya, «Vejamen de D. Jerónimo Cáncer». Estudio, edición crítica y notas, in «Criticón», 96, 2006, p. 96. 6 E in tal senso, secondo M. Vitse (El hecho literario, in Historia del teatro en España, dir. J. M. Díez Borque, Madrid, Taurus, 1990, vol. I, p. 593), per la sua capacità di rifondere materiali altrui in una veste nuova Moreto sarebbe il drammaturgo più rappresentativo del terzo quarto del XVII secolo.
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y edición de algunas de sus comedias (16371654), in Moretiana. Adversa y próspera fortuna de Agustín Moreto, a c. di M. L. Lobato e J. A. Martínez Berbel, Madrid-Frankfurt, Iberoamericana-Vervuert, 2008, pp. 15-37. Si veda lo studio che ne realizza M. L. Lobato nel primo volume di Loas, entremeses y bailes de Agustín Moreto, Kassel, Reichenberger, 2003. 8
Cfr. M. Zugasti, La «Primera parte»: de la escena al libro, in Comedias de Agustín Moreto, cit., vol. I, pp. 1- 17. 9
Cfr. J. Farré Vidal, «Hasta el fin nadie es dichoso», de Agustín Moreto y su reescritura a partir de «Los enemigos hermanos», de Guillén de Castro, in «Revista de Literatura», LXX, 140, 2008, pp. 405-438. Si veda inoltre M. L. Lobato, Los fundamentos del teatro de Moreto, in El teatro del Siglo de Oro. Edición e interpretación, a c. di A. Blecua, I. Arellano e G. Serés, MadridFrankfurt am Main, Iberoamericana-Vervuert, 2009, pp. 207-230. 10
11 L’ultimo tra i titoli nobiliari menzionati nell’opera a essere soppresso è quello di conte di Urgel: scompare nel 1413. 12 E. Caldera, Il teatro di Moreto, Pisa, Editrice Libreria La Goliardica, 1960, pp. 159-172. E, del resto, il conclamato antiaristotelismo del teatro classico spagnolo è un concetto che merita più di una precisazione, in particolare per quel che riguarda il dramma: cfr. F. Ruiz Ramón, Calderón nuestro contemporáneo, Madrid, Castalia, 2000, pp. 33-41. 13
Rico, «Introducción», p. 22.
14
Cfr. J. L. Sirera, «Introducción», p. xlvi.
Di recente, nella figura dell’anziano conte si è voluta percepire una incarnazione della prudenza regale di Filippo IV (I. Ruiz, La figura del Rey en el teatro del Siglo de Oro español: el Conde de Barcelona en «El desdén, con el desdén», in «Contraluz. Revista de investigación Teatral de la esad de Málaga», 6, 2012, pp. 36-56).
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NOTE
B. W. Wardropper, Moreto’s «El desdén con el desdén»: The Comedia Secularized, in «Bulletin of Hispanic Studies», XXXIV, 1957, p. 7.
16
17 La Prima parte vede la luce nel 1651. Per il riferimento a Moreto, cfr. El criticón, a c. di S. Alonso, Madrid, Cátedra, 1990, parte III, crisi 8, p. 720.
Sui nomi del personaggio e i giochi di parole cui danno luogo si vedano le note ai vv. 40, 727, 738, 1028 e 2551.
18
F. Ruiz Ramón, Historia del teatro español (desde sus orígenes hasta 1900), Madrid, Cátedra, 2000, 10ª ed., p. 267.
19
20 El desdén, con el desdén, in Comedias burlescas del Siglo de Oro, a c. di A. Rodríguez, Madrid-Pamplona, Iberoamericana-Universidad de Navarra, 2003, tomo IV, pp. 215-361.
Un colpo d’occhio su queste riscritture, oggetto di analisi più specifiche in contributi recenti, si trova in R. Bauer, Les metamorphoses de Diane, in Wort und Text. Festschrift für Fritz Schalk, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1963, pp. 294-314. Sulla Principessa filosofa si veda tra gli altri R. Ricorda, Invito alla lettura dei drammi spagnoleschi di Carlo Gozzi: preliminari per «La principessa filosofa», in «Theatralia», 8, 2006, pp. 99-112; sul teatro di ispirazione spagnola di Gozzi cfr. ora i contributi raccolti in Metamorfosi drammaturgiche settecentesche. Il teatro «spagnolesco» di Carlo Gozzi, a c. di J. Gutiérrez Carou, Venezia, Lineadacqua, 2011.
21
Cfr. L. Alas «Clarín», Rafael Calvo y el teatro español. Folletos literarios, VI, in Obras completas. Crítica (Segunda parte), a c. di L. Bonet in collaborazione con J. Estruch e F. Navarro, Oviedo, Nobel, 2003, vol. IV, p. 1412.
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23 A. Moreto, Comedias escogidas, a c. di L. Fernández Guerra, Madrid, Rivadeneyra (BAE, 39), 1856.
Si veda ora L. García Lorenzo, El teatro de Agustín Moreto en la escena españo-
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la (1939-2006), in Moretiana. Adversa y próspera fortuna de Agustín Moreto, cit., pp. 104-105, 109, 113, 115, 117-118. Mantengo invece invariati i criteri editoriali: modernizzo le grafie che non hanno valore fonologico, conservo le alternanze vocaliche e le oscillazioni dei nessi etimologici, risolvo le abbreviature e le crasi.
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Si tratta, rispettivamente, di Sdegno contro sdegno (1858) e di Disdegno per disdegno (1957). Si veda a tal riguardo E. Di Pastena, Due traduzioni italiane de «El desdén, con el desdén», in «Rivista di filologia e letterature ispaniche», VII, 2004, pp. 223-238.
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Enrico Di Pastena Note al testo dramatis personae. Con «servo buffo» ho reso l’originale gracioso, figura di servitore, ricorrente nel teatro aureo, alla quale si attribuivano la funzione comica e un sistema di valori generalmente opposto a quello del padrone. 10. La contea di Urgel si estendeva in una zona prepirenaica della attuale provincia di Lérida. 11-2. Letteralmente, «non c’è al mondo abbastanza carta / per scrivere le tue glorie». 23. Alla lettera, tiras algo a bermejo «tendi al rosso», in riferimento a Giuda, la cui capigliatura si riteneva avesse questo colore e che è un modello di disperazione, stato d’animo che nel Seicento, come si evince più avanti nel testo, veniva associato alla volontà di suicidarsi. Lobato suggerisce anche la possibilità che Polilla si riferisca al colore del viso di Carlos, «infervorato» per effetto dell’ira. 40. Il testo gioca con il nome del gracioso (Polilla «Tignola» o «Tarma» e, in chiave figurata, «Tarlo»), come accade sovente nel teatro secentesco e in altre commedie di Moreto.
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67-8. La vicecontea di Béarn (Francia meridionale) scomparve come titolo indipendente nel 1290, assorbita dalla contea di Foix. 98. Lo spagnolo bizarría, già apparso al v. 57 dell’originale, copre un’ampia gamma di valori: «grazia ed elegante attrattiva, gagliardia e coraggio, nobiltà d’animo e magnanimità». 121-24. Si riferisce all’idea proverbiale per cui talvolta la fortuna aiuta chi non la cerca (in spagnolo ne dà qualche esempio Correas, p. 686: «Quien menos la procura, a veces ha más ventura»). 178. fábulas antiguas: racconti mitologici. 195-98. La protagonista ha il nome della dea latina, signora delle selve, che la tradizione presenta come amante della caccia e decisa difensora della propria castità. 203-8. Dafne, Anassarete e Aretusa sono figure che rimandano al disdegno amoroso: la prima, in fuga da Apollo, venne trasformata in alloro per essere sottratta all’inseguitore; la seconda, una fanciulla di Cipro, rigettò l’innamorato Ifi provocandone il suicidio e fu convertita in pietra; la terza, Aretusa, respinse Alfeo e venne tramutata in fonte. Tutte le figure appaiono nelle Metamorfosi ovidiane (libri I, XIV e V), testo piuttosto diffuso nel Seicento in Spagna e per il quale Moreto mostrò apprezzamento. 281-86. L’immagine del fuoco nascosto sotto la cenere è di remota ascendenza virgiliana (Eneide, IV, 23). 404. Il fico come immagine tradizionalmente associata alla donna in un primo momento schiva all’amore torna nella produzione di Moreto in Lo que puede la aprehensión (a c. di F. Domínguez Matito, in Comedias de Agustín Moreto. Primera parte, Kassel, Reichenberger, 2010, vol. IV, vv. 1490-92) e nel Poder de la amistad (a c. di M. Zugasti, in Comedias de Agustín Mo-
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reto. Primera parte, Kassel, Reichenberger, 2011, vol. III, vv. 2366-70). 437-38. Dal momento che i ciechi per assicurarsi la sussistenza solevano cantare strofe, recitare preghiere e vendere relazioni in strada. 458. Si intenda: «doveri propri della sua condizione di signore di una contea». 494. Nell’originale convidando a escote «offrendo, invitando alla romana», ovvero pagando ciascuno il suo. 496. Il gigot era un piatto di carne tritata, in particolare quella della coscia di montone, che si saltava nel lardo. 540. Sinone fu l’acheo che favorì la conquista di Troia, convincendo gli assediati a portare dentro le mura il celebre cavallo di legno (Eneide, II, 57-198 e 328-30). L’edizione della Primera parte di commedie di Moreto del 1677 legge Simón (il Cireneo che aiutò Cristo a portare la croce sulla via del Calvario), ma si tratta verosimilmente di una banalizzazione. Nell’ayuda che Polilla dice di voler prestare potrebbe esserci una velata allusione a un altro significato del vocabolo: «clistere» (cfr. il v. 546). 543. Nuova allusione al nome del servo comico (cfr. nota al v. 40). 550. La credenza che i fulmini non colpissero l’alloro, già nella Naturalis historia di Plinio (XV, 40), venne ripresa, tra gli altri, da Petrarca (Canzoniere, canzone XXIX), che contribuì a diffonderla. Nei Secoli d’Oro spagnoli era ancora piuttosto comune (cfr. J. Salazar Rincón, Sobre los significados del laurel y sus fuentes sálicas en la Edad Media y el Siglo de Oro, in «Revista de Literatura», LXIII, 126, 2001, specialmente alle pp. 348-51). 649-ss. L’impiego del latino maccheronico è uno dei procedimenti comici cui ricorrono i servitori buffi; torna nei vv. 2261-62. 658. L’originale dice ir de ruin a rocín («andare di male in peggio»), proverbio
NOTE
più frequente nella forma inversa (ir de rocín a ruin), la cui apparizione è forse qui giustificata dal fatto che all’epoca i medici si spostavano su mule o altri quadrupedi. 659-61. La traduzione letterale suonerebbe così: «diana Di dove siete? polilla Di un luogo. / diana Per forza. polilla Non dico poco, / ché in latino luogo è loco»; in spagnolo, loco vale «pazzo», in giocosa auto-allusione di Polilla. Il precedente lugar potrebbe significare anche «borgo, villaggio», come nel celeberrimo incipit del Chisciotte. La soluzione traduttiva incentrata su «luna-lunatico» appariva già in Puccini. 667. Da Acapulco comincia l’improbabile viaggio che avrebbe portato Polilla dal Messico all’Avana, poi a Tarragona e infine a Barcellona, possibile eco del viaggio in Spagna raccontato da Dorotea nei panni della principessa Micomicona nel Don Chisciotte (I, 30). Il riferimento ai territori d’oltreoceano è un patente anacronismo, visto che l’azione si suppone ambientata in un vago Medioevo. D’altro canto, se effettivamente, come è stato suggerito da qualche studioso, il richiamo al Messico contiene una allusione a Francisco Fernández de la Cueva, viceré della Nuova Spagna dal 1653, bisognerebbe forse ipotizzare qualche ritocco al testo da parte di Moreto dopo la sua composizione, avvenuta nel 1651 o 1652. 671. Il mal de amor è la sifilide. 676. tomé postas nell’originale, ovvero, «presi dei cavalli di posta», le cavalcature che si affittavano fuori città e che a distanze più o meno regolari potevano essere sostituite con altre fresche, in modo da rendere più veloce il viaggio. Non sfugga la coloritura giocosa e paradossale per cui si pretende di aver realizzato a cavallo un viaggio dall’Avana. 689. Il termine ración dell’originale si riferisce alla quantità quotidiana di cibo che il padrone assicurava al servitore e si
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può intendere anche come «remunerazione, gratifica». Nell’accordare tale compenso, Diana prende al suo servizio Polilla. 698. In spagnolo platicante racchiude un gioco di parole tra «praticante» (el que practica) e «ciarliero» (el que platica). 701. L’ungüento blanco era una pomata che si utilizzava nel trattamento della sifilide, il mal francese: il precedente franco, quindi, non vale solo «galante, magnanimo», ma evoca anche chi era affetto da tale patologia. Il successivo «argento» si spiega perché con ungüento blanco si designava giocosamente la plata (Autoridades), visto che si riteneva che il metallo prezioso sapesse guarire anche gli animi. 706. Nel senso che l’amore debilita come se si avesse lo stomaco vuoto. 710. Polilla ripropone uno strambo e giocoso trattamento per il mal d’amore basato sugli alimenti: le suplicaciones erano una sorta di cialde dalla forma allungata, qui evocate perché producono una dilogia con le «suppliche» d’amore (le ho rese con «sospiri», dolci o pasticcini tradizionali, dalla pasta assai leggera e spugnosa, generalmente coperta di cioccolata e zucchero); la aloja, una bevanda rinfrescante fatta di acqua, mele e spezie, era venduta anche nei corrales de comedias. 714. Il motilón è colui che ha pochi capelli o la testa rapata ma può riferirsi anche a un religioso secolare, senza obbligo di tonsura (in quest’ultimo caso, il verso si potrebbe rendere: «pure chi non porta chierica»).
PP. 2080-2106
il gioco di parole dell’originale; anche in italiano occorre pronunciare il toponimo come un vocabolo tronco. È possibile che la compagnia teatrale di Juan Vivas e Gaspar de Valdés mettesse in scena ad Añover de la Sagra El desdén con el desdén nel giugno del 1652: cfr. Ch. Davis e J. E. Varey, Actividad teatral en la región de Madrid según los protocolos de Juan García de Albertos, 1634-1660, Tamesis, London, 2003, p. 337; M. L. Lobato, Moreto, dramaturgo y empresario de teatro. Acerca de la composición y edición de algunas de sus comedias (1637-1654), cit., pp. 25-6. L’allusione da parte del gracioso potrebbe dunque essere stata un modo per assicurarsi la benevolenza del pubblico. 727. Il caniquí è un tessuto di cotone leggero, in origine proveniente dall’India. Vi si potevano foderare vestiti e realizzare fazzoletti. Il nome fittizio scelto dal servo astuto ha una qualche attinenza con quello reale: quest’ultimo (Polilla) può produrre guasti nel primo (Caniquí), adottato per introdursi nel palazzo dell’antagonista. Ho preferito conservare la voce spagnola, laddove La Cecilia si limita a traslitterare Caniquí in «Canichì» e Puccini la rende con «Fisciù» (fazzoletto di forma triangolare, con frange, di stoffa leggera o di lana, di seta o di merletto, usato dalle donne, specialmente nel passato, come elegante drappeggio per coprire le spalle e il petto). 738. Letteralmente en su pecho la polilla sta per «nel suo petto i tarli». 1028. Nuova allusione giocosa al nome, stavolta quello fittizio, del gracioso. Lo stesso, più sotto, al v. 1056.
715-18. I nomi femminili dell’originale terminano in –quita «toglie» (che in precedenza si è tradotto con «strappa-»), per favorire il gioco di parole fondato sull’idea, diffusa nella letteratura non solo satirica dell’epoca, che l’amore sottrae beni e risorse.
1072. Nell’originale, ella no se las guarda «non le accetta, non se ne cura», calcato sull’espressione guardar las fiestas, appunto «osservare, santificare le feste». Ovviamente, il soggetto è Diana.
726. Ho traslitterato Añover, località in provincia di Toledo celebre per i suoi meloni, in «Annover» per conservare in parte
1097. Il golpe en bola dell’originale si riferisce a una situazione del gioco dell’argolla, una sorta di pallamaglio o croquet
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nel quale occorreva far passare la palla di legno del rivale attraverso un anello di ferro infisso nel terreno colpendola con una mazza concava; vinceva il giocatore che colpiva la palla dell’avversario in modo da spingerla oltre una linea. Il tutto per dire che Diana dovrebbe operare qualche saltuaria concessione a Carlos. 1127. L’espressione estar uno en sus trece «impuntarsi» permette qui un gioco di parole con l’omonimo numerale precedente (trece «tredici»). 1136. La garapiña era una bevanda ghiacciata che conteneva scorza di ananas. 1154. Nell’originale, imán «calamita, magnete»: il cavaliere s’impegna ad accompagnare la dama e a non allontanarsene. 1160. La pavana era una danza di corte, in metro binario e andamento moderato, contraddistinta da movimenti solenni. 1169. In effetti, si riteneva che sorbire bevande fredde fosse un segno di distinzione e un rimedio terapeutico. 1204. L’impiastro di rane era un unguento con una base di ossido di mercurio, usato per il trattamento della sifilide. 1228. In spagnolo, il testo gioca sul doppio significato di querer «amare» e, nei giochi di carte, «accettare una puntata»; questo secondo significato giustifica il successivo envidar «rilanciare». 1231. Letteralmente: tome bula «si prenda la licenza (di intervenire)». 1255-56. Richiamo metaforico al fatto che non s’attizza il fuoco d’amore: dar lumbre equivale a «dar fuoco» all’esca con le scintille prodotte dall’acciarino, procedimento in uso anche per accendere le polveri nelle antiche armi da fuoco. 1286. Letteralmente, dale por esos ijares vale «sferzala su quei fianchi». 1288. L’originale si serve doppiamente del verbo pegar, nel suo significato di «ingannare» (se la pegares) e nell’espressione me la peguen en la frente, che si usa per
NOTE
dare enfasi alla evidenza di un determinato evento o di una certa situazione. 1305-59. Questi versi si rifanno alla concezione neoplatonica dell’amore, nonché al ruolo preminente che vi svolge la vista. 1320-24. Echi del sonetto XIV di Garcilaso de la Vega, a sua volta debitore di un componimento di Ausiàs March (cfr. G. de la Vega, Obra poética y textos en prosa, a c. di B. Morros, Barcelona, Crítica, 1995, p. 30). 1399-403. Un affine testo cantato appare in catalano nel secondo atto del Pittore del suo disonore di Pedro Calderón de la Barca (se ne vedano, in questo volume, i vv. 1820-31). 1430. Nel gioco dei colori, il corteggiatore occasionale doveva mostrare il proprio ingegno motivando in modo arguto la scelta effettuata. Esisteva all’epoca una sostanziale codificazione del significato simbolico dei colori, seppur non esente da innovazioni individuali (si veda G. Vega García-Luengos, Sobre los colores que se ven y se oyen en la Comedia Nueva, in Les couleurs dans l’Espagne du Siècle d’Or. Écriture et symbolique, a c. di Y. Germain e A. Guillaume-Alonso, Paris, pups, 2012, pp. 159-86), e a quella tradizionale si attiene nell’insieme Moreto, aggiungendovi l’uso giocoso del colore della «rosa secca» (a cui si allude anche nella República al revés di Tirso de Molina: cfr. G. Poggi, El color de los celos: un topos lírico en el teatro de Lope, Góngora, Tirso de Molina, in La pasión de los celos en el teatro del Siglo de Oro, a c. di R. Morales Raya e M. González Dengra, Granada, Universidad de Granada, 2007, p. 306). 1437. Galantemente, Béarn afferma che se non gli fosse toccata in sorte Cintia e avendone la facoltà, l’avrebbe comunque scelta di sua iniziativa. 1448. Nell’originale viene associato all’invidia il colore azul «azzurro, blu, tur-
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chino». Da noi, a parte l’espressione «verde d’invidia» (con richiamo alla bile), si collega questo sentimento al giallo, colore impiegato nella sua traduzione da Puccini. 1486-87. Nel testo spagnolo, intraducibile gioco di parole tra ojos de jabón «mani di sapone» e gli ojos «occhi» dell’amata, dei quali viene detto che «sbiancano» (fanno impallidire) più del sapone. 1509. nacarado: il color madreperla rimanda non solo al cromatismo chiaro della faccia interna delle conchiglie, ma anche alle loro iridescenze rosate e rossastre. Qui il colore viene adottato in consonanza con la pena (v. 1506) e l’ira (v. 1517). Calderón usa talvolta il madreperla per riferirsi alle guance e Moreto in un’altra sua commedia, La fuerza de la ley, lo compara al corallo delle labbra. Si noti, tuttavia, che i testimoni più affidabili del Desdén con el desdén (Primera parte de comedias de don Agustín Moreto, Madrid, Diego Díaz de la Carrera, 1654 e Madrid, Andrés García de la Iglesia, 1657) leggono, presumibilmente per errore, encarnado («incarnato, rosso») in luogo di nacarado. 1527. Si tratta del Clos, piazza di Barcellona che viene evocata nel secondo atto de Il pittore del suo disonore di Calderón (cfr. in questo volume i vv. 1784-91). 1559-63. Si riferisce alla torpedine; in merito a questa immagine, si veda E. Di Pastena, «Por el sedal y la caña, la mano y brazo... hiela». Nota al margen de un topos de historia natural, in «Anuario Lope de Vega», V, 1999, pp. 187-95. 1713. Per comprendere l’affermazione di Diana occorre tenere presente che pierna «gamba» era considerato termine improprio in ambito cortigiano. La battuta di Polilla nell’originale si costruisce a partire dalla locuzione te traigan las piernas, che significa «ti facciano frizioni alle gambe» e «ti portino le gambe». 1726. Si sottoscriveva una renta o «titolo di stato» (in definitiva, un prestito con-
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cesso alle casse monarchiche) nella speranza di maturare buoni interessi. In verità, le frequenti bancarotte, ripetutesi anche immediatamente prima e dopo la metà del Seicento (e in particolare, in prossimità della data di redazione della nostra commedia, nell’ottobre del 1647) frustrarono ripetutamente tali aspettative, rendendo di dolorosa attualità la battuta di Polilla agli spettatori coevi dell’opera. 1774. Il testo spagnolo potrebbe essere interpretato in due modi: «devi essere la mela e devi portare la serpe (dell’inganno)» oppure «devi essere la mela e subire una beffa» (commento quest’ultimo più probabile, se si pensa che Polilla lo realizza a insaputa di Diana); dar culebra equivale infatti a «beffare qualcuno, giocargli un brutto tiro o ingannarlo». Chiara l’allusione all’Eden del Genesi. 1777. La crasi contenuta in estotras (estas otras) viene mantenuta nell’originale per assicurare la corretta misura sillabica, in eccezione alla norma generalmente adottata in questo lavoro di scioglimento della fusione tra parole. 1791. Gioco di parole, nell’originale e in traduzione, tra canto «canzone» e «spigolo». In spagnolo, tuttavia, il vocabolo vale anche «ciottolo, sasso» e principalmente con quest’ultima accezione qui e in altre commedie lo impiegò Moreto. 1798-2001. Versi di una romanza preesistente che Moreto adotta con minime variazioni; il testo, anonimo, era stato musicato dal compositore Manuel Correa (ca. 16001653), portoghese di nascita ma attivo in Spagna (cfr. L. Josa e M. Lambea, «Lisonjas ofrezca» Agustín Moreto: intertextualidades poético-musicales en algunas de sus obras, in «Bulletin of Spanish Studies», a c. di M. L. Lobato e A. L. Mackenzie, LXXXV, 7-8, 2008, pp. 153-72). È stata avanzata l’ipotesi che attraverso il segundo rey menzionato nella romanza (e comunque già presente nel testo cantato originale) Moreto volesse rendere omaggio a Francisco Fernández de
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la Cueva, viceré della Nuova Spagna dal 1653. 1815. polvos de Juanes: da Juan de Vigo, il chirurgo spagnolo che ebbe a inventarle, sono un precipitato rosso di mercurio, ovvero ossido mercurico che si impiegava nel trattamento della sifilide (cfr. vv. 700-1 e 1203-4). 1852-58. L’immagine del cardo è utilizzata da Moreto anche ne El mejor amigo, el rey, vv. 849-50 (a c. di E. Borrego Gutiérrez, in Comedias de Agustín Moreto, vol. I, cit.). 1915. qué lindo pie de guindo: nell’espressione spagnola, lindo («bello») ha valore ironico, mentre quel che segue (pie de guindo «pianta di amareno») è verosimilmente indotto dalla rima. 1926. Nell’originale, te clavas potrebbe nascondere una dilogia tra «t’infiggi la daga» e «t’inganni, ti sbagli». 1935. L’espressione utilizzata è dar lumbre, che richiama quella apparsa al v. 1255. 1963. didascalia. Nonostante sia al singolare, l’indicazione di scena si riferisce a Laura e a Cintia. 1984-85. Qui l’alcalde è colui che guida una danza. L’espressione «buena va la danza», che richiama il v. 1047, era piuttosto comune e costituiva la parte iniziale di un proverbio («Buena va la danza, señora Mari Pérez, con cascabeles», Correas, p. 136). Covarrubias (s. v. «granizo») spiega il detto «Salta como granizo en albarda» riferendolo a chi reagisce con veemenza dinanzi a cose non di suo gradimento, analogamente «alla grandine che rimbalza contro il basto». 1999. Nell’originale gli obblighi e gli usi si riferiscono al gioco dei colori. 2078-79. Il nesso tra ira e amore era già stato segnalato dai musicisti al v. 1520. 2113-17. Del passo, dimostrazione tangibile della stima che Moreto nutrì per Lope de Vega, non è stata individuata la fonte esatta.
NOTE
2140. Nell’originale, senza interrogazione. Rievoca un proverbio e il titolo di una delle più celebri commedie di Lope nonché possibile modello del Desdén con el desdén, ovvero Il cane dell’ortolano, la cui protagonista, Diana, è anch’essa inizialmente refrattaria all’amore. Il proverbio completo recita: «el perro del hortolano, que ni come las berzas ni las deja comer al extraño» (Correas, p. 288) e viene ora riferito a Diana, che non ama Carlos né vorrebbe consentirgli di corteggiare altre dame. 2154. Nel testo spagnolo, el quinto mandamiento «il quinto comandamento», ovvero «non uccidere». L’intera decima (vv. 2153-62) ruota intorno a giochi verbali tipici del concettismo, che qui consentono di riverberare il nome dell’amata attraverso cinto «cintura» e cinta «nastro» (e a quest’ultimo termine, di riallacciarsi all’intrattenimento cortigiano illustrato nell’Atto secondo); nella traduzione («cinta») viene neutralizzata la distinzione tra i due vocaboli. 2160. Nell’originale la cinta o nastro è nel reggicalze. La dama in segno d’affetto soleva donare al suo cavaliere un nastro che questi poteva allacciare al reggicalze o al copricapo. 2162. Il riferimento è a Gabriel Cintor, un attore attivo sin dai primi anni venti del Seicento e che godette di buona fama a Madrid per i suoi ruoli di galán, ma la cui parabola quando Moreto scrive El desdén con el desdén è già discendente: Cintor avrà notevoli difficoltà economiche negli ultimi anni di vita (Diccionario biográfico de actores del teatro clásico español, edizione digitale, dir. T. Ferrer Valls, Kassel, Reichenberger, 2008, s. v.). 2174. L’originale Pus potrebbe essere una forma sincopata di pu(e)s «poiché», condizionata dalle esigenze di rima con Jesús e in relazione con la congiunzione causale del v. 2175 (King la ritiene forma inventata per pues, ma la fa seguire incon-
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NOTE
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gruamente da un punto fermo). Altri commentatori hanno suggerito che potrebbe trattarsi di una esclamazione, qui di autoincoraggiamento (¡Pus!, Lobato), oppure valere letteralmente pus (Rico), in linea con il presunto mestiere di medico di Polilla, o trattarsi di un refuso della parola latina plus (Sirera), o infine fare le veci dell’interiezione ¡sus! con il significato di «ma va là» (R. L. Kennedy, The Dramatic Art of Moreto, cit., p. 55, n. 39). 2178. La marinata (escabeche) si poteva in effetti elaborare con vino bianco, aceto e foglie d’alloro. 2186. vio el cielo abierto, letteralmente «ha scorto una via di scampo, ha visto una soluzione». 2201. Il testo di partenza allude al mese di maggio, fiorito – e dunque colorato – per antonomasia, e forse anche al palo de mayo, l’albero adornato di fiori e nastri multicolori, tradizionale nelle feste di primavera. 2208. L’originale como hay credo vale «com’è vero Iddio». Su questa costruzione è calcata quella del v. 422. 2233. La princeps e la edizione del 1677 leggono erroneamente questo verso sino porque el menguado. La opportuna correzione, già in Fernández Guerra, p. 15. 2250. Riappare nel testo spagnolo la «calamita» (imán); cfr. v. 1154. 2274. Ovvero: «è a buon punto». Illescas era tappa consueta nel percorso da Madrid a Toledo. Anche in questo caso, come accadeva per Añover (cfr. sopra, n. 726), il riferimento potrebbe essere spia di una rappresentazione de El desdén con el desdén tenutasi a Illescas il 5 o 6 giugno 1652 (cfr. Davis e Varey, Actividad teatral en la región de Madrid, cit., p. 324). 2291. Correggo la lettura ente ración delle stampe antiche con ente racional (in alternativa: ente de razón).
PP. 2176-2200
2315. Il pegado dell’originale può essere inteso in vari modi e il suo significato effettivo avrebbe forse potuto chiarirsi attraverso la mimica durante la rappresentazione. In possibile relazione antitetica con il precedente ¡no se te pegue la liga!, potrebbe riferirsi al fatto che Carlos è «fisso» sulle sue posizioni, ma anche che sia «attaccato, vicino» al servo che lo blocca, e persino che questi minacci di picchiarlo. 2325. Il forzoso di partenza potrebbe anche avere il significato di «forte, potente». 2410. Letteralmente, esa es doctrina del negro «questa è la scienza dell’astuto». Ma Negro (in questo caso con la maiuscola) potrebbe riferirsi più specificamente a Pablo de Paredes, noto spadaccino. 2412. L’empleo è la «impresa amorosa», come al v. 522. 2451. Para largo: letteralmente «Punta forte». Segue e precede una serie di espressioni desunte dal campo lessicale del gioco delle carte (cfr. vv. 2439 e 2461). 2478. In spagnolo, un ulteriore significato è dato dall’omofonia tra el yerro, «l’errore» che rende l’amante schiavo dei neri occhi dell’amata, e el hierro, «il ferro» con cui si marcavano gli schiavi. 2521. Nell’originale appare bramante «filo spesso», con il quale Polilla allude alla gelosia, autentica «miccia» dell’incendio amoroso. 2540. Alla lettera, pujamiento, un tenesmo o spasmo del retto, rimanderebbe alla «diarrea». 2547. Nuova allusione scatologica: «Attenti all’acqua!» si gridava prima di vuotare liquami in strada dalle finestre delle abitazioni. 2551. Il pañal è una fascia o un pezzo di panno morbido e assorbente in cui si avvolgevano i lattanti. Dove sono presenti accessi escrementizi, anche il tessuto del Caniquí (qui tradotto «fazzoletto») corre
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dei rischi. Su questo nome fittizio di Polilla, si vedano le nn. 727 e 1028. 2604. In pronome él dell’originale si riferisce al conte di Urgel. 2619. King propone una punteggiatura diversa per il passo («Señora, yo el modo erré / de acetar vuestro favor; / y lo que fuera mejor, / enmendando el yerro, iré»), il quale, in tal caso suonerebbe così: «Signora, ho errato il modo / d’accogliere il favor vostro; / e di certo sarà meglio / che io vada, per fare ammenda». Come sia, Béarn riconosce un errore di forma nel non essersi rivolto al conte di Barcellona. 2653. Per la prima volta si dice che Laura sia una parente di Diana. Più sotto, v. 2866, possiamo dedurre che si tratta di sua cugina; lo conferma il v. 2912. Una situazione affine – rivalità con una congiunta – si determinava nel Perro del hortelano tra Diana e Marcela. 2723-26. Diana minaccia di togliersi la vita pur di dar morte al ritratto di Carlos che è impresso nel suo petto. Il motivo per il quale l’innamorato porta disegnata in sé l’immagine dell’amata, già della tradizione trobadorica e petrarchesca, e prima ancora platonica e biblica (cfr. G. Serés, La transformación de los amantes, Barcelona, Crítica, 1996, pp. 142 ss.), in Spagna aveva conosciuto una celebre rielaborazione nell’incipit del sonetto V di Garcilaso (cfr. Obra poética, cit., pp. 17 e 369-371). 2797-98. In spagnolo, cuento del loco: potrebbe trattarsi di quello che racconta il gracioso Motril nel primo atto di Yo por vos, y vos por otro, dello stesso Moreto: una fanciulla oppilata si espone al rischio di morire a causa dell’eccessiva e ripetuta ingestione di cenere (che si praticava a scopi terapeutici), ma comincia a provare verso di essa una avversione insuperabile dacché un medico le prescrive l’assunzione quotidiana della cenere di un intero braciere. Analogamente, il disdegno simulato di Carlos ha risvegliato l’interesse di Diana per lui, poiché si desidera quanto non si possiede e si disprezza quel che si ha.
NOTE
2809. Il riferimento è all’unguento di mercurio, che si usava, come detto, nel trattamento della sifilide; lo confermano nel v. 2814 il babear proprio di chi aveva tali affezioni e veniva trattato con questa sostanza e, più in generale, il ricorrere di espressioni riferite nell’opera al mal d’amore. Lobato nella sua edizione interpreta il passo come un mero richiamo all’estrema unzione. 2816. Non è da escludere che il riferimento a Paolo sia dovuto al fatto che a questo apostolo si attribuisca la celebre lettera (Corinzi, I, 13) che ha per tema l’amore (vocabolo reso in molte traduzioni con «carità»). 2818-19. L’originale si basa sulla intraducibile dilogia di querer (cfr. n. 1228); echar el resto corrisponde a «giocarsi tutto», «fare lo sforzo estremo». 2857. didascalia. Nell’indicazione di scena originale, al paño indica che l’attore o l’attrice rimane seminascosto dietro la tenda che copre una delle porte che si aprono sul fondo del palcoscenico. Si tratta di una convenzione teatrale per la quale nessuno dei personaggi presenti in scena si avvede della presenza dell’attore che si cela dietro la tenda e questi (o questa, come nel nostro caso) può ascoltare il dialogo che si svolge tra coloro che si trovano nel proscenio. 2877. Il cabe è il colpo nel gioco dell’argolla (cfr. n. 1097) in cui una palla colpisce un’altra, spingendola fuori dal campo. Enrico Di Pastena
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Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note
Acutis, Cesare 2272-73 Afrodite 2234 Agazia Scolastico 1594 Agostino, santo 484, 486 Aguirre, Hortuño de 2323 Alas «Clarín», Leopoldo 2333 Alba, duca d’ (Fernando Álvarez de Toledo y Mendoza) 6 Albayaldos Cegrí 2292 Alboino 2312 Alcalá Galiano, Antonio María 9 Alcalá Zamora y Torres, Niceto 2304 Alciato, Andrea 2227, 2258, 2308, 2312-13 Alessandro Magno 1594, 2251, 2273, 2293, 2313 Alfay, José 916, 2304 Alfeo 2334 Alfonso V (El Africano) 2264 Alfonso VI 2299 Alfonso VIII 2276 Alighieri, Dante 2290 Allen, John J. 2317 Alonso, Dámaso 8, 2232, 2272
Alonso, infante de Portugal 2292 Alonso, Santos 2333 Alonso I 2263 Anassarete 2334 Anastasio 2314 Antonucci, Fausta 11, 25, 243, 265, 1373, 1385, 2233, 2246, 2261, 2285, 2304 Apelle 2273 Apollo 2263, 2321, 2326, 2334 Apontes, Juan Fernández de 917 Aranda, Emanuel de 2307 Arata, Stefano 2246, 2304 Arcimboldo, Giuseppe 2243 Arellano, Ignacio 1594, 2228, 2232, 2259, 2266-68, 2304, 2307-08, 2316, 2333 Aretusa 2334 Arianna 2253 Arias, Gonzalo 2326 Aristotele 258, 2259 Armendáriz Aramendía, Ana 2266 Arnscheidt, Gero 2267-68 Arsindo 2310 Artaud, Antonin 486, 2261 2345
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INDICI
Artemisia 2295 Asquerino, Eduardo 2317 Astrana Marín, Luis 686, 2270 Aszyk, Urszula 2267-68 Atlante 2253 Atteone 2028 Attilio Regolo 482 Aurora 2251 Azzara, Claudio 2313 Baczyńska, Beata 2268 Baldung Grieng, Hans 483 Baltasar Carlos, principe 13, 1802, 2233, 2236 Bances Candamo, Francisco Antonio de 7, 14, 1803, 2024, 2232, 2315 Bandello, Matteo 19 Bandera, Cesáreo 261, 2246 Bauci 2291, 2324 Bauer, Roger 2333 Bauer-Funke, Cerstin 2307 Beatrice 2290 Bègue, Alain 2316 Béguin, Claude 2307 Belisario, Flavio 1594-1604 Bellona 2259 Benuzzi Billeter, Manuela 2304 Berchem, Theodor 2268, 2274 Bezón, Francisca (La Bezona) 1801 Blecua, Alberto 2284, 2333 Blecua, José Manuel 2304, 2325 Bobes Naves, María del Carmen 2233 Boccaccio, Giovanni 483 Bolaños, Piedad 2227, 2284-91,
2293, 2295-96, 2298-2301 Bonet, Laureano 2333 Bonilla y San Martín, Adolfo 2227, 2297 Borja, Juan de 2308 Borrego Gutiérrez, Esther 2339 Boscán, Juan 684, 2271 Bousoño, Carlos 2272 Bravo Villasante, Carmen 2227 Brook, Peter 490, 2262, 2265 Burgos, Jerónima de 1121 Byrne, Ceri 2332 Cadalso, José 257 Caldera, Ermanno 2332-33 Calderón de la Barca, José 5, 7, 13 Calderón de la Barca, Pedro 3-9, 12-16, 19-21, 23, 244, 247, 24951, 254-58, 261-62, 264, 477-79, 481-84, 486, 489, 491, 673-74, 676-79, 684-85, 687, 909-10, 913-16, 1110, 1588, 1592, 2018, 2023, 2026-27, 2029, 2036, 2231-35, 2239-40, 2242, 224446, 2248-56, 2258-75, 2316, 2337-38 Calvo, Rafael 2034 Camões, Luís de 481 Campaspe 2273 Cancedda, Flavia 2306 Cancelliere, Enrica 475, 490, 2246, 2262, 2266-68 Cáncer, Jerónimo de 2017, 202122, 2332 Cañedo, Jesus 2266 Cano, Alonso 686 Cantillana, conte di (Don Juan
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Vincentelo de Leca y Álvarez) 2320 Capaneo 2295 Cappelli, Federica 1589, 1600, 2309, 2314 Carandini, Silvia 2246 Caravaggi, Giovanni 907, 917, 2283 Carducci, Giosuè 2035 Carignano, principessa di (Maria di Borbone) 1801 Carlo I 1126 Carlo II 6 Carlo V 2240, 2254 Carlo Emauele I di Savoia 2234 Caro, Rodrigo de 1109 Caro Baroja, Julio 2284 Carranza, Jerónimo de 2323 Carrasco Urgoiti, María Soledad 2309 Castañeda, James Agustín 2307 Castelli, Silvia 2306 Castilla Pérez, Roberto 2268, 2284, 2306-07, 2314 Castillo Solórzano, Alonso de 2316 Castore 2310 Castorina, Emanuele 2262 Castro, Américo 2227 Castro, Guillén de 251, 1591-92, 2253, 2316, 2322, 2328 Castro, Inés de 1109 Cerezo Rubio, Ubaldo 2315 Cervantes Saavedra, Miguel de 1591, 2235, 2239, 2276, 2310, 2322, 2329 Chaineaux, Claire 2307
Chevreuse, duchessa di (Marie de Rohan Montbazon) 1801 Chiabrera, Gabriello 2035 Ciceri, Marcella 2296 Cicerone, Marco Tullio 484, 2029, 2313 Cicognini, Giacinto Andrea 1588, 1593, 2307 Cid Campeador (Rodrigo Díaz, conte di Bivar) 2253 Cieslak, Ryszard 490, 2265 Cillene 2260 Cintor, Gabriel 2339 Clarín, Leopoldo Alas 257, 2333 Clemente Alessandrino 2262 Clizia 2326 Coello, Antonio 7, 1126 Colahan, Clark 2267 Collatino 2233 Colombo, Cristoforo 2240 Combet, Louis 2228, 2326 Copeau, Jacques 490 Córdoba, María de (Amarilis) 2234 Cordón Mesa, Alicia 2267 Corneille, Pierre 1370, 1380-82, 2253 Correa, Manuel 2338 Correas, Gonzalo 2228, 2282, 2287, 2290-91, 2298, 2301, 2310, 2326, 2334, 2339 Cosma, santo 2244 Cosroe I 2310 Cotarelo y Mori, Emilio 2307, 2315 Covarrubias y Horozco, Sebastián de 2227-28, 2239, 2262, 2347
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2265-66, 2282, 2289-90, 229495, 2298, 2300, 2308-09, 2313, 2319, 2330, 2339 Crespo Matellán, Salvador 2316 Crisipo 2311 Crivellari, Daniele 2285 Crono 258 Cruickshank, Don William 686, 2231, 2268 Cruz, Ramón de la 489 Cruz de Enterría, María 2267 Cubero Sebastián, Pedro 2266 Cuesta, Jean de la 2228, 2268, 2283-85 Cueva, Francisco Fernández de la, 2025, 2335, 2339 Cueva, Gaspar de la 2025 Cupido 2272, 2321-22, 2326, 2331 D’Annunzio, Gabriele 2035 Dafne 2334 Damiano, santo 2244 Danae 2260 David, Jacques-Louis 2308 Davis, Charles 2317, 2336, 2340 Daza Pinciano, Bernardino 2307 De Armas, Frederick Alfred 2232, 2267-68 De Cisneros, Rodrigo González 2299 Dedalo 2247, 2257 Deianira 677-78, 2273-74 Del Bianco, Baccio 6 Del Hierro, Francisco 2227 Deleuze, Gilles 487, 2262 Delpech, François 2284 Democrito 2248
Desfontaines, Nicolas M. 1593, 2307 Di Pastena, Enrico 2019, 2037, 2228, 2332, 2334, 2338, 2341 Diamante, Juan Bautista 2275 Diana 1123, 2028, 2033 Díaz de la Carrera, Diego 2035, 2338 Didone 2260 Díez Borque, José María 1376, 2233, 2278, 2316, 2332 Diocleziano 2244 Dionisio VI 2263 Dioniso 2321 Dioscuri 2310 Domínguez, Julia 2268 Domínguez Matito, Francisco 2334 Dostoevskj, Fëdor Michajlovič 483 Downman, John 2308 Duarte I di Portogallo 479, 2264 Durán, Manuel 2231, 2233, 2284 Ebersole, Alva V. 2304 Eco, Umberto 1383 Edipo 258-59 Edwards, Gwynne 2267 Egido, Aurora 2231, 2304 El Greco (Dominikos Theotokopoulos) 487, 2263 Empedocle 2262 Enciso Castrillón, Felipe 2317 Enea 2260 Enrico I di Portogallo (CardinaleInfante) 910 Eraclito 2248
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Ercole 677-78, 2242, 2273-74, 2306 Ermes 2260, 2324 Ero 2234 Eros 2262 Escamilla, Antonio de 2244 Escobedo, María de 1801 Esculapio 2295 Estruch, Joan 2333 Euclide 2251 Euripide 2313 Europa 2260 Eva 2028 Evadne 1123-24, 2295 Faría y Sousa, Manuel de 481 Farinelli (Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi) 255 Farnace 2312 Farré Vidal, Judith 2333 Fenice 2246, 2257, 2296 Fernández, Jerónimo 2244 Fernández, María 2228, 2275-82 Fernández, María del Rosario (La Tirana) 489 Fernández de Moratín, Leandro 24, 1816, 2317-18 Fernández de Navarrete, Pedro 912 Fernández Guerra, Luis 2034, 2228, 2333, 2340 Fernando d’Austria (CardinaleInfante) 1591 Fernando d’Aviz (Il principe costante) 481 Ferrer Valls, Teresa 2232, 2304, 2340
Ferroni, Giulio 2312 Fetonte 2248, 2250 Filemone 2291, 2324 Filippo II 910, 1109, 2240, 2275, 2277 Filippo III 1126, 2237 Filippo IV 6, 686, 910, 1126, 1802, 2023, 2233, 2237, 2264, 2272, 2333 Fiorellino, Barbara 1373, 1384, 2304, 2306 Fischer, Susan L. 2266-67 Flasche, Hans 2232, 2267-68, 2274 Flora 2251 Foote, Samuel 1381-82 Forestier, George 2307 Fothergill-Payne, Louise 2268, 2304 Fradejas Lebrero, José 2265-66 Francucci, Scipione 2309 Frenk, Margit 2304 Frías, duca di (Bernardino Fernández de Velasco) 5-6 Gadda, Carlo Emilio 2304 Galdós, Benito Pérez 257 Galeno 2295 Galles, principe di (Carlo I Stuart) 1126, 2303 García, Bernardo J. 2285 García de la Huerta, Vicente 1816 García de la Iglesia, Andrés 2035, 2338 García Gómez, Ángel María 2267 García Lorenzo, Luciano 2232, 2316, 2333 2349
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INDICI
García Nieto, José 2317 García Valdés, Carmen 2316 Gasparetti, Antonio 687, 2304 Gasta, Chad M. 2268 Gea 2250 Gelimero 2312 Gerard, François 2308 Germain, Yves 2337 Giocasta 258 Giovanni, santo 2327 Giovanni III 910, 2277 Giovanni d’Austria 481, 1109, 2024-25 Giove 2310 Girón, Rodrigo, maestro di Calatrava 2289, 2292 Gitlitz, David M. 2267 Giuda 2334 Giulio Cesare 1594, 2312-13 Giuseppe, santo 2287 Giustiniano I il Grande (Flavio Pietro Sabbatio Giustiniano) 1594, 1596, 1598, 1601, 1603, 2309, 2311-12 Giustino II 2311, 2313 Goethe, Johann Wolfgang 489 Goldoni, Carlo 1381-82, 2308, 2317 Gombrich, Ernst H. 479, 2261, 2263 Gómez Ocerín, Justo 2299 Góngora, Luis de 1369, 1376, 1587, 2255, 2263-64, 2279, 2310, 2318, 2322 González Cañal, Rafael 2315 González de Cellorigo, Martín 912
González Dengra, Miguel 2306, 2357 González Echevarría, Roberto 2231-33 González Maya, Juan Carlos 2332 González Ruiz, Nicolas 2285 Gordon, Alan M. 2270 Goya, Francisco 257 Goyri de Menendéz Pidal, María 2228 Gozzi, Carlo 2022, 2028, 2033-34, 2333 Gracián, Baltasar 261, 2017, 2029, 2031, 2036 Granja, Agustín de la 1594, 230608, 2313-14 Greco, Gilberto 2316 Griffin, Nigel 2254 Grotowski, Jerzy 485, 490, 2261, 2265 Guarín, Juan 2293 Guerra, Fernández 2034, 2228, 2333, 2340 Guillaume-Alonso, Araceli 2337 Guiteria (Quiteria), santa 2297 Güntert, Georges 2268, 2270-71 Gutiérrez, Jesus 2309 Gutiérrez Carou, Javier 2333 Hämel, Adalbert 2315 Harlan, Mabel Margaret 2332 Hatzfeld, Helmut 2232 Heigl, Michaela J. 2267 Hierro, Agustín de 916 Hildner, David J. 2268 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus 489
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Hofmann, Gerd 2232 Hofmannsthal, Hugo von 261 Honig, Edwin 2233 Horozco y Covarrubias, Juan de 2228, 2313 Hoz Mota, Juan de la 2316 Hue, Cécile 2267 Hurtado de Mendoza, Antonio 2316 Icaro 2250, 2257 Iglesias Feijoo, Luis 2269 Imeneo 2321-22 Immermann, Karl Leberecht 489 Iniguez Barrena, Francisca 2316 Isabel d’Aviz 910, 2277 Isidro, santo 5 Jakobson, Roman 1807 Jammes, Robert 2228, 2310 Jauralde Pou, Pablo 2268 João III v. Giovanni III Johnston, Robert M. 2267 Josa, Lola 1376, 2313, 2338 José Prades, Juana de 2284 Juan I v. Giovanni d’Austria Juan de Austria v. Giovanni d’Aust ria Juan de la Cruz, santo (Giovanni della Croce) 2296 Juana, infanta (Giovanna la Pazza) 1125 Juana Inés de la Cruz 2304 Juliá, Eduardo 2228, 2317, 2319, 2321 Kayser, Wolfgang 482, 2261
Kennedy, Ruth Lee 2332, 2340 King, Willard F. 2228, 2304, 2332, 2340-41 Kovalenskaja, Natal’ia 490 Krenkel, Max 2262 La Cava (Florinda) 2300 La Cecilia, Giovanni 1816, 2037, 2228, 2317, 2336 Laio 258 Lambea, Mariano 2338 Lanot, Jean Raymond 1814, 2316 Larson, Catherine 2233 Las Casas, Cristóbal de 1602 Leandro 21, 2234 Leda 2260, 2310 Legarda, P. Anselmo 2283 Lemos, conte di (Castro y Andrade, Pedro Fernández) 1587, 1591 Lerma, duca di (Francisco Gómez de Sandoval y Rojas) 1126 Lesage, Alain-René 1113 Lessing, Gotthold Ephraim 489 Lida, Raimundo 2317 Lipsio, Justo 483 Lisandro 2313 Lisinio 2314 Lisippo 2251, 2313 Lobato, María Luisa 2035, 2228, 2285, 2332-34, 2336, 2338, 2340-41 López de Mendoza, Inigo, marchese di Santillana 1118, 2284 Los Reyes Peña, Mercedes de 2284, 2304 Lotti, Cosimo 6 2351
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INDICI
Löwith, Karl 2261 Luca, santo 2252 Luceño, Tomás 1816, 2317 Lucrezia 21, 2233-34, 2306 Luzán, Ignacio de 2024 Machiavelli, Niccolò 261 Mackenzie, Ann L. 2332, 2338 Madrigal, José A. 2267 Madronal, Abraham 2315 Mallorquí Figuerola, José 2317 Manuel, Juan 2250 Manzoni, Alessandro 482, 2035, 2261 Maometto 2265, 2290 Marcello, Elena Elisabetta 671, 687, 2269, 2274, 2317 March, Ausiás 2337 Marco, santo 2252 María, principessa (María Ana de España) 1126 Maria di Magdala 483 Maria Manuela d’Aviz 910, 2277 Mariana de Austria 1802 Marmontel, Jean-François 2308 Martinengo, Alessandro 2267 Martínez, Francisco 1815, 2318 Martínez Berbel, Juan A. 2268, 2284, 2307, 2333, 2336 Mata Indurain, Carlos 2316 Matos Fragoso, Juan de 2018, 2332 Matteo, santo 2252 Matzat, Wolfgang 2267 Mausolo 2295 McCurdy, Raymond R. 2315 McGrady, Donald 2313
McKendrik, Melveena 2284 Medici, Lorenzo de’ 2302 Mejercol’d, Vsevolod 490 Mendelssohn-Bartholdy, Jakob Ludwig Felix 489 Menéndez Pidal, Ramón 1128-29, 2227-28, 2284, 2286-93, 229597, 2299-2302 Menéndez y Pelayo, Marcelino 253, 2231-32, 2309 Meregalli, Franco 2261 Mesonero Romanos, D. Ramon 2283 Meunier, Philippe 2267 Mexía, Pero 2237 Minosse 2247 Minotauro 2247, 2249, 2253, 2257 Mir-Andreu, Maité 2228 Mira de Amescua, Antonio 158588, 1591-93, 1595-98, 2229, 2234, 2306-13 Mitchell, Phyllis 2268 Mitridate 2312 Moir, Duncan W. 2232, 2315 Molho, Maurice 258, 2246, 2252 Molière (Jean-Baptiste Poquelin) 1381, 2022 Moll, Jaime 2307 Moncada, Sancho de 912 Montalbán, Juan Pérez de 7, 1120, 1369, 1376, 1592-93, 1801, 2023, 2314 Morales Medrano, Juan de 1117, 1120, 1128 Morales Raya, Remedios 2337 Moratín, Leandro Fernández de 24, 1816-17, 2317-18
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Moreto y Cabaña, Agustín de 913, 2015-18, 2021-24, 2027, 202931, 2033-37, 2228-29, 2284, 2316, 2332-41 Morón Arroyo, Ciriaco 8, 2232, 2260 Morreale, Margherita 2297 Morros, Bienvenido 2337 Moya García, Cristina 2285 Mujica, Bárbara 2233 Muza Gomel 2292 Narsete 2311 Navarro, Francisco 2333 Navarro Durán, Rosa 1376 Nerone 2261 Nesso 677-78, 2273-74 Neumeister, Sebastian 2231 Nike 2259 Norwich, John Julius 2308 Ochoa, Eugenio de 2034 Oleza, Juan 2304 Olmedo, Félix 254, 2246 Onofri da Ronciglione, Onofrio degli 1593 Orapollo 2313 Ordine, Nuccio 2037 Orioli, Luisa 265 Osterwa, Julius 490 Ostrogorsky, Georg 2308 Ovidio 2022, 2233 Pacheco de Narváez, Luis 2306, 2320 Pallade Atena 1123, 2251, 2259 Paolo, santo 2341
Paravicino, Hortensio de 2263 Parini, Giuseppe 2035 Parker, Alexander A. 9, 681, 2263 Pascoli, Giovanni 2035 Paterson, Alan K. G. 681, 686-87, 2268-71, 2274 Peale, C. George 1129, 2228, 2283-2302 Pedraza Jiménez, Felipe B. 2268, 2315, 2324 Pedro I de Portugal 1109 Peña, Margarita 2304 Peñalosa, Benito de 912 Pérez de Hita, Ginés 2292, 2296 Pérez Magallón, Jesus 2317 Periñán, Blanca 2283 Petrarca, Francesco 2335 Philips, William 2308 Pindaro 2262 Pinedo, Baltasar de 1120 Pinillos, María Carmen 2316 Piramo 21, 1599, 2233, 2311-12 Platone 484 Plinio il Vecchio 2264, 2295, 2335 Poggi, Giulia 2337 Polluce 2310 Powers, Harriet B. 2317 Prado, Antonio García de 913, 2023, 2266 Prado, Sebastián de 2023 Prellwitz, Norbert von 254, 2246 Pring-Mill, Robert 2254 Procopio di Cesarea 1594, 1597, 2309 Profeti, Maria Grazia 9, 1113, 1115, 1129, 1372, 1588, 1803, 1805, 1817, 2018, 2284, 2286, 2353
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INDICI
2302, 2304, 2306, 2315, 2318, 2332 Puccini, Dario 265, 2037, 2229, 2335-36, 2338 Puibusque, Adolphe de 2034 Quevedo, Francisco de 1369, 1812, 2295, 2308, 2325 Quiñones, María de 2229, 2275, 2277-78, 2281-82 Ramisi Bravo, Ursula 2287 Ravegnani, Giorgio 2308 Reichenberger, Kurt 2231-32, 2266, 2269 Reichenberger, Roswitha 2231-32, 2266, 2269 Rembrandt, Harmenszoon van Rijn 2262 Rey Hazas, Antonio 2233, 2310 Riccoboni, Luigi 2034 Rich Greer, Margaret 2231 Rico, Francisco 2229, 2247, 2304, 2332-33, 2340 Ricorda, Ricciarda 2333 Rinaldi, Liège 2269 Ripa, Cesare 2234 Robben, Frans 2274 Rodríguez, Alberto 2228, 2333 Rodríguez Cáceres, Milagros 2324 Rodríguez Cepeda, Enrique 1129, 2229, 2285-86, 2288, 2295-96, 2301 Rodríguez Cuadros, Evangelina 2231 Rodríguez de Montalvo, Garci 2244
Rodríguez Puértolas, Julio 1807, 2315-16 Rodríguez Rodríguez, José Javier 2268 Rogai, Silvia 1115, 1805, 2303, 2331 Rojas Zorrilla, Francisco de 7, 1126, 1799-1803, 1807, 180911, 1813-16, 2023, 2227-29, 2314-17 Romera Navarro, Miguel 2293 Rotrou, Jean de 1588, 2307 Ruano de la Haza, José María 2254, 2317 Rugg, Evelyn 2270 Ruiz, Juan, arciprete di Hita 2284 Ruiz de Alarcón y Mendoza, Juan 1367-72, 1375-76, 1384, 1591, 2023, 2304, 2316 Ruiz Lagos, Manuel 686 Ruiz Morcuende, Federico 2229, 2317 Ruiz Patilla, Francisco 2326-27, 2329 Ruiz Ramón, Francisco 258-59, 686, 2033, 2231, 2246, 2254, 2272, 2333 Ruiz, Inmaculada 2333 Rull, Enrique 2246 Rutelli, Romana 2312 Saavedra Fajardo, Diego de 2308 Sainz de Robles, Federico Carlos 2317 Salas Barbadillo, Alonso Jerónimo 1369, 1376 Salazar Rincón, Javier 2335
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Saldaña, conte di (Diego Gómez de Sandoval) 1109, 1126 Salvador Miguel, Nicasio 2285 Samonà, Carmelo 2248 Sánchez, Luis 2227 Sancho II 2326 Sansoni, Juan 2318 Sanz, Francisco 2229 Saz, Agustín del 2317 Scaramuzza Vidoni, Maria Rosa 1597, 2306-09 Schlegel, August Wilhelm 9, 489 Schlegel, Karl Wilhelm Friedrich 9 Schizzano Mandel, Adrienne 2232 Schreyvogel, Joseph 2022, 2028, 2034 Sebastiano, santo 2302 Sebastiano I di Portogallo 676, 910, 2023, 2263, 2277 Semiramide 2295 Seneca, Lucio Anneo 255, 482-83, 2248, 2253, 2314 Serés, Guillermo 2333, 2341 Serpieri, Alessandro 484, 2261 Serralta, Frédéderic 2316 Sesto Tarquinio 21, 2233-34, 2306 Sevilla Arroyo, Florencio 2233, 2310 Shakespeare, William 1812 Shaw, Carlos Fernández 1816, 2317 Shelley, Percy Bysshe 9 Silene (Selene) 2260 Simonatti, Selena 1589, 1605 Sinone 2335 Sirera, Josep Lluís 2229, 2332-33,
2340 Sloane, Robert 2268 Slowacki, Julius 490 Smith, Dawn L. 2233 Solís y Rivadeneyra, Antonio de 2234 Soubeyroux, Jacques 2267 Spitzer, Leo 483, 2261 Stanislavskij, Konstantin Sergeevi 490 Steele, Richard 1382 Stoll, Anita K. 2233 Strosetzki, Christoph 2307 Stroud, Matihew D. 2232 Suárez, Ana 2317 Suárez de Figueroa, Cristóbal 7 Suárez de Figueroa y Córdoba, Gómez 2234 Suárez de Mendoza y Figueroa, Enrique 2251 Suárez García, José Luis 2306 Sullivan, Henry W. 2232 Suñer Casademunt, Luis 2317 Svetonio 2313 Talete 2251 Taravacci, Pietro 2316 Téllez Girón, Alonso 2296 Temi 2257 Teodato 2314 Teodora 1596, 1598-1600, 1604, 2311-12 Tertulliano, Quinto Settimio Fiorente 2262 Teseo 2253 Teti 2326 Tietz, Manfred 2267-68 2355
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INDICI
Timante 2251 Tirso de Molina 13, 913, 1110, 1120, 1369, 1376, 1382, 158788, 1591, 2021, 2258, 2337 Tisbe 21, 1599, 2233, 2296, 231112 Titani 2250 Tito Livio 2233 Toledo, García de 686, 2271 Toledo, Pedro de 2271 Torriani, Gianello (Juanelo Turriano) 2240 Totila 2314 Traiano 2313 Trissino, Giangiorgio 2309 Trueblood, Alan S. 2311 Tzetze, Giovanni 1594, 2308 Urano 2250 Vaca, Jusepa 1117, 1120, 112223, 1126, 1128 Vaíllo, Carlos 2304 Valbuena Briones, Ángel 686-87, 2231, 2266, 2273 Valbuena Prat, Ángel 1597, 2229, 2308-09, 2311 Valdés, Gaspar Fernández de 2024-25, 2336 Valdés, Pedro de 1121 Valdés, Ramon 2283 Valdivielso, José de 1111, 1121, 1126, 2258 Valladares Reguero, Aurelio 2306 Valle-Inclán, Ramón María del 257 Valverde Arrieta, Juan de 912
Van Dyck, Anthony 2308 Varey, John Earl 2231, 2233, 2317, 2332, 2336, 2340 Vecellio, Tiziano 2262 Vega, Garcilaso de la 911, 2337, 2341 Vega Carpio, Lope de 5, 7, 9, 14, 19, 21, 23, 251, 263-64, 482, 674, 912-13, 915, 1110-11, 1120-21, 1128, 1375, 1380, 1383-84, 158788, 1591-93, 1807, 1809, 202124, 2026, 2244, 2256, 2258, 2264, 2266, 2269, 2275, 2277, 2279, 2286-87, 2289, 2293-94, 2304-05, 2308, 2314, 2320-21, 2327, 2339 Vega García-Luengos, German 2266, 2315, 2337 Velázquez, Diego 2262 Vélez de Guevara, Antonio 2287 Vélez de Guevara, Francisco 2287 Vélez de Guevara, Juan 2287 Vélez de Guevara, Luis 251, 482, 913, 1107-13, 1117, 1120-23, 1126, 1128-29, 1369, 1376, 1591, 2227-29, 2240, 2275, 2283-99, 2301-03 Vera Tassis y Villarroel, Juan de 7, 687, 917, 2229, 2270-83 Veragua, duca di (Pedro Manuel, Colón de Portugal) 916 Vigo, Juan de 2339 Villalba, Juana de 1120 Villamediana, conte di (Juan Tassis y Peralta) 684, 2258, 2272 Villanueva, Juan Manuel 2309
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INDICE DEI NOMI CITATI NELL’INTRODUZIONE E NELLE NOTE
Villegas, Pedro 2263 Vincent, François André 2308 Violante 2260 Vitige 2314 Vitse, Marc 257, 260, 681, 2233, 2246, 2268, 2316, 2332 Vivas, Juan 2025, 2336 Vives, Amadeo 1816 Walthaus, Rina 2267-68 Wamba, re visigoto 2294 Wardropper, Bruce W. 2233, 2304, 2333
2031,
Whicker, Jules 2266, 2268 Wilder, Thorton 2285 Wilson, Edward M. 9 Wolff, Pius Alexander 489 Wolfflin, Heinrich 487, 2262 Zabaleta, Juan de 2018 Zafra, Rafael 2228 Zamora, Antonio de 2316 Zeus 258, 2248, 2250, 2260, 2305, 2310, 2324 Zugasti, Miguel 2333-34
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Indice dei nomi citati nelle commedie
Achille 1163 Adamo 651, 2003, 2149 Aguilar, signore di 1265 Albayaldos Cegrí 1201 Alcide (Ercole) 1505 Alessandro Magno 1435, 1727, 1773 Alfeo 2051 Amarilis 29 Anasserete 2051 Anastasio 1773 Apelle 859 Apollo 1433, 1443, 2051, 2071 Aretusa 2051 Arsindo 1629 Atena 1241 Atlante 535, 1415 Aurora 297, 437, 503, 1641 Averroè 2081 Baltasar Carlos, principe 29 Basilio 299 Beatrice 1183 Bellona 423
Cadice, marchese di 1265 Caravajal 1267 Carranza 1863, 1865 Castore 1631 Cervantes Saavedra, Miguel de 933 Chico, re (Boabdil) 1263 Cintor, Gabriel 2177 Clorilene 299, 307 Colombo, Cristoforo 113 Cupido 1483, 1849, 1857, 1913 Dafne 2051, 2071 Danae 439 Deianira 875 Della Parra, medico 1243, 1245 Diana 447, 1205 Didone 1533 Duarte di Portogallo 515, 553, 573 Efesia 1441 Enea 441 Ercole 873, 875, 1155 2359
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INDICI
Ero 29 Erode 1923, 1925 Erodiade 1923 Esculapio 1243 Estuñiga 1267 Euclide 303 Euripide 1737 Europa 439 Eustorgio III 299 Eva 2149 Evadne 1241, 1263
Lucia, santa 1291 Lucrezia 29
Fenice 381, 1263 Feria, duca di 31 Fetonte 269, 1483 Flora 297, 695
Narciso 1471 Nerone 457 Nettuno 511 Nevia 1531 Nicomede 405
Galeno 1243 García de Toledo 747 Giobbe 633 Giove 1625 Giulio Cesare 1695, 1727 Giuseppe, santo 1133 Giustino 1725 Guzmán Bueno di Niebla 1265 Icaro 395 Imeneo 1849, 1857 Juan, principe 1175, 1203 Juan Guarin 1211 Juana, principessa 1203, 1251 La Cava (Florinda) 1321 Lisandro 1727 Lisinio 1773 Lisippo 305, 1727
Maometto 507, 515, 637 Marte 545, 547, 953, 1627, 1771 Marziale 1531 Mida 1471 Mira de Mescua (Antonio Mira de Amescua) 29 Muley (Abdul Hassan) 1263 Muza Gomel 1201
Ovidio 1519 Pallade Atena 297, 423, 447 Palma, conte di 1265 Paolo, santo 2217 Piramo 29, 1675, 1677, 1697, 1699, 1701, 1707, 1709 Polluce 1631 Recisunda 299 Ribera, governatore di Andalusia 1265 Rodrigo, re 1321 Rojas Zorrilla, Francisco de 2013 Ruiz Patilla, Francisco 1921 Scipione 1667 Sebastiano, santo 1361 Semiramide 1241, 1263
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INDICE DEI NOMI CITATI NELLE COMMEDIE
Seneca, Lucio Anneo 317, 1769 Sesto Tarquinio 29, 1531 Silene 439 Sinone 2071 Talete 303 Timante 305 Tirso de Molina 1701 Tisbe 29, 1675, 1677, 1697, 1699, 1701, 1703, 1707 Traiano 1727
Vaca, Jusepa 1131, 1365 Vega Carpio, Lope de 1839, 1925, 2173 Vélez de Guevara, Antonio 1133 Vélez de Guevara, Francisco 1133 Vélez de Guevara, Juan 1133 Vélez de Guevara, Luis 1133, 1365 Venere 695 Virgilio Marone, Publio 1533 Wamba, re visigoto 1237
Ureña, conte d’ 1265 Ursula (Ramisi Bravo) 1133
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BIOGRAFIE DEI CURATORI
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Maria Grazia Profeti
Maria Grazia Profeti si è occupata di teatro barocco con monografie, testi critici, bibliografie (Lope de Vega, Pedro Calderón de la Barca, Tirso de Molina, Luis Vélez de Guevara, Juan Pérez de Montalbán, Francisco Rojas Zorrilla, Agustín Moreto, ed altri), dell’opera poetica di Francisco de Quevedo, della generazione del ’27 (Federico García Lorca, Luis Buñuel), di rapporti interculturali (la commedia barocca spagnola nell’Italia del Seicento), di scrittura sulla moda. Il 2 giugno 1985 è stata nominata Commendatore della Repubblica Italiana dal presidente Sandro Pertini. Ha ricevuto nel febbraio 1999 il «Premio nacional de bibliografía» della Biblioteca Nacional di Madrid, per l’opera Bibliografía delle opere non drammatiche a stampa di Lope de Vega.
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Hanno collaborato
Fausta Antonucci è professore ordinario di Letteratura spagnola all’Università Roma Tre. è autrice di monografie e saggi su diversi aspetti della letteratura spagnola e ispanoamericana, ma si è dedicata specialmente allo studio del teatro del Siglo de Oro, ambito nel quale ha pubblicato numerose edizioni di testi di Lope de Vega (Peribáñez e il commendatore di Ocaña, Il cane dell’ortolano, una raccolta di loas) e di Pedro Calderón de la Barca (La dama duende, El verdadero Dios Pan, La vida es sueño). Si interessa inoltre delle varie forme di scambio e circolazione di testi teatrali fra la Spagna e l’Italia nel Seicento; è appassionata di traduzione letteraria, che ha praticato sia con testi di autori argentini moderni (Borges, Quiroga, Bioy Casares) sia con testi di autori spagnoli del Siglo de Oro (José de Acosta, Pedro Calderón, Lope de Vega). Enrica Cancelliere è professore ordinario di Letteratura spagnola, Università di Palermo. Le sue ricerche si svolgono nell’ambito dei Siglos de Oro con particolare riguardo alla poesia, al teatro ed al rapporto tra letteratura ed arti, esaminato anche nelle connessioni con le forme letterarie novecentesche e le metodologie attuali d’indagine quali lo strutturalismo, l’iconologia, le teorie topologiche e analitiche della complessità. Fra le molte pubblicazioni segnaliamo: Lope de Rueda. I pasos, Bulzoni 1986); Góngora. Percorsi della visione, Flaccovio 1990; ed. cast. Góngora Itinerarios de la visión, Diputación de Córdoba 2006; l’edizione de El príncipe constante di Calderón de la Barca, (Biblioteca Nueva, 2000); Aristóteles, Lope y la teoría de lo verosímil, in Anuario Lope de Vega, Editorial Milenio, 2006, pp. 35-56; Estrategias icónicas en las comedias 2366
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mitológicas de Calderón, Anuario Calderoniano, ACAL 8, coord. da W. Aichingen y S. Kroll, Iberoamericana-Vervuert, 2015, pp. 211-243. Traduttrice di Góngora (Luis de Góngora Favola di Polifemo e Galatea, trad, in versi e rima, Einaudi, 1991); di Lope de Rueda, Cervantes, è stata insignita della “Mención de Honor al mejor texto clásico” dall’Instituto “Cervantes en Italia” per la traduzione de La vida es sueño (Calderón de la Barca, La vita è sogno, Edizioni Novecento, 2000). Federica Cappelli è ricercatrice di Letteratura spagnola presso il dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell’Università di Pisa. Specialista del Siglo de Oro, si è occupata, in particolare, di teatro barocco e dell’opera di Francisco de Quevedo e Baltasar Gracián, pubblicando edizioni (Cuatro milagros de amor di Mira de Amescua) e numerosi studi critici. Negli ultimi anni si è dedicata anche alla traduzione letteraria sia di testi secenteschi (ha tradotto integralmente la Vida del escudero Marcos de Obregón di Vicente Espinel) sia di opere più recenti, con un riguardo particolare per la narrativa breve dell’esilio repubblicano spagnolo (Una farfalla sull’orlo dell’abisso. Racconti dall’esilio repubblicano spagnolo; R. J. Sender, Racconti di frontiera). Giovanni Caravaggi, già professore ordinario, di Lingua e Letteratura spagnola presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pavia. Dal 2007 è Professore Emerito presso la stessa Facoltà. È Membro effettivo dell›Accademia Lombarda di Scienze e Lettere e Membro corrispondente della Real Academia Española; nel 2001 gli è stata conferita la Encomienda de la Orden de la Reina Isabel la Católica. Le sue aree di ricerca sono la letteratura spagnola dei secoli XV-XVII e XX, la filologia iberica e la storia della lingua spagnola. Enrico Di Pastena insegna Letteratura spagnola all’Università di Pisa. Ha curato l’edizione critica di opere teatrali di Lope de Vega, Francisco de Rojas Zorrilla e Agustín Moreto. È autore di numerosi studi sul teatro secentesco spagnolo, sul romanzo del XIX secolo e sulla drammaturgia moderna e contemporanea. Codirige la rivista «Anuario Lope de Vega. Texto, literatura, cultura». Tra le sue traduzioni, un’ampia antologia del Romancero, La Presidentessa di Leopoldo Alas «Clarín» e pièces di Alfonso Sastre e di Juan Mayorga. 2367
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Barbara Fiorellino, Dottore di Ricerca, ha insegnato come professore a contratto in varie Università. Ha tradotto teatro barocco (Lope e Sor Juana), saggi e poesia. Ha studiato la picaresca spagnola e ispanoamericana ed ha pubblicato studi letterari (García Lorca, Carpentier, Fernández de Lizardi, Juana Inés de la Cruz) e riflessioni sulla traduzione. Ha partecipato a progetti di ricerca sui rapporti tra Italia e Spagna nei Secoli d’Oro. Si interessa attualmente al nuovo costituzionalismo ispanoamericano. È funzionario linguistico presso il Ministero dell’Interno, dove dirige la Sezione Servizi Linguistici del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia. Elena E. Marcello insegna Lingua spagnola all’Università Roma Tre ed è membro dell’Instituto Almagro de teatro clásico dell’Universidad de Castilla-La Mancha. Si è occupata di teatro barocco e delle relazioni letterarie tra l’Italia e la Spagna. Ha pubblicato diversi articoli sui drammaturghi spagnoli Francisco de Rojas Zorrilla, Álvaro Cubillo de Aragón e Calderón de la Barca, di cui ha curato anche alcune edizioni critiche, e sugli italiani Carlo Celano, Andrea Perrucci e Girolamo Gigli. Silvia Rogai insegna traduzione, lingua e letteratura spagnola a Firenze. Laureata in Teoria e pratica della traduzione letteraria, ha frequentato la Scuola di specializzazione per traduttori editoriali presso l’Agenzia formativa TuttoEuropa di Torino, specializzandosi in traduzione in versi di commedie del teatro spagnolo del Siglo de Oro. In particolare con la traduzione de La serrana de la Vera di Luis Vélez de Guevara (La montanara della Vera, Alinea, 2010) ha vinto la sezione “Opera Prima” del Premio Monselice per la traduzione 2011. Nel 2014 ha conseguito il dottorato di ricerca in Lingue e culture del Mediterraneo presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi traduttologica su due versioni settecentesche, francese e italiana, della commedia El sabio en su retiro y villano en su rincón, Juan Labrador di Juan de Matos Fragoso. Attualmente, oltre all’insegnamento, si occupa di ispanistica e traduttologia e collabora con alcune case editrici e agenzie letterarie per servizi di traduzione e redazione.
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Selena Simonatti svolge attività di docenza e di ricerca presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa. Si è occupata principalmente di letteratura spagnola medievale e del Siglo de Oro. Ha pubblicato saggi sul Libro de buen amor, sulla prosa del Cancelliere López de Ayala, su Cervantes e, in anni più recenti, su Damasio de Frías, di cui sta preparando l’edizione dei dialoghi letterari. Si è variamente occupata di poesia spagnola contemporanea e ha tradotto Ángel González (Il silenzio è cresciuto come un albero. Ángel González: versi. Antologia, traduzione e postfazione a cura di Selena Simonatti, In forma di parole, 2010).
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Indice del volume Sommario V Il teatro spagnolo dei Secoli d’Oro. Volume secondo Pedro Calderón de la Barca 3 La vita e le opere
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La dama duende / La dama folletto 11 Nota introduttiva 13 Personaggi 27 Atto primo 29 Atto secondo 103 Atto terzo 181 La vida es sueño / La vita è un sogno 243 Nota introduttiva 245 Personaggi 267 Atto primo 269 Atto secondo 329 Atto terzo 405 El príncipe constante / Il principe costante 475 Nota introduttiva 477 Personaggi 493 Atto primo 495 Atto secondo 557 Atto terzo 615
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El pintor de su deshonra / Il pittore del proprio disonore 671 Nota introduttiva 673 Personaggi 689 Atto primo 691 Atto secondo 763 Atto terzo 835 El alcalde de Zalamea / Il giudice di Zalamea 907 Nota introduttiva 909 Personaggi 919 Atto primo 921 Atto secondo 981 Atto terzo 1043 Luis Vélez de Guevara
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La vita e le opere
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La serrana de la Vera / La montanara della Vera 1115 Nota introduttiva 1117 Personaggi 1131 Atto primo 1133 Atto secondo 1207 Atto terzo 1281 Juan Ruiz de Alarcón
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La vita e il teatro
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La verdad sospechosa / La verità sospetta 1373 Nota introduttiva 1375 Personaggi 1387 Atto primo 1389 Atto secondo 1457 Atto terzo 1523 2372
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Antonio Mira de Amescua
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La vita e le opere
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El ejemplo mayor de la desdicha / 1589 Il più grande esempio della sventura Nota introduttiva 1591 Personaggi 1607 Atto primo 1609 Atto secondo 1673 Atto terzo 1737 Francisco de Rojas Zorrilla
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La vita e le opere
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Entre bobos anda el juego / Non si sa chi sia il più furbo! 1805 Nota introduttiva 1807 Personaggi 1819 Atto primo 1821 Atto secondo 1885 Atto terzo 1947 Agustín Moreto
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La vita e le opere
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El desdén con el desdén / Il disdegno col disdegno 2019 Nota introduttiva 2021 Personaggi 2039 Atto primo 2041 Atto secondo 2105 Atto terzo 2167
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Note 2225 Opere citate in forma abbreviata 2227 La dama folletto La vita è un sogno Il principe costante Il pittore del proprio disonore Il giudice di Zalamea La montanara della Vera La verità sospetta Il più grande esempio della sventura Non si sa chi sia il più furbo! Il disdegno col disdegno
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Indice dei nomi citati nelle introduzioni e nelle note Indice dei nomi citati nelle commedie Biografie dei curatori
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